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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 206 di mercoledì 22 luglio 2009

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

La seduta comincia alle 10.

SILVANA MURA, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Bernini Bovicelli, Gregorio Fontana, Mazzocchi e Pescante sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Approvazione in Commissione.

PRESIDENTE. Comunico che nella seduta di ieri, martedì 21 luglio 2009, la IX Commissione permanente (Trasporti) ha approvato, in sede legislativa, il seguente progetto di legge:
ZELLER e BRUGGER: «Modifiche al codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, in materia di limitazioni nella guida e di sanzioni per talune violazioni» (44); CONTENTO: «Disposizioni per accrescere la sicurezza della circolazione stradale mediante l'utilizzo della segnaletica orizzontale» (419); FORMISANO Anna Teresa: «Modifica all'articolo 126 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, in materia di conferma della validità della patente di guida per soggetti post-comatosi» (471); META ed altri: «Disposizioni in materia di circolazione e di sicurezza stradale» (649); CARLUCCI: «Modifiche al codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, in materia di guida in stato di ebbrezza o di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti, nonché di iscrizione delle violazioni nell'anagrafe nazionale degli abilitati alla guida» (772); LULLI ed altri: «Modifica dell'articolo 78 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, per la semplificazione delle procedure relative alla modifica delle caratteristiche costruttive dei veicoli a motore» (844); CONTE: «Modifiche al codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, in materia di regole di comportamento nell'esecuzione dei servizi di polizia stradale, di limiti all'utilizzo di apparecchi per la rilevazione della velocità e di destinazione delle entrate derivanti dalle sanzioni per la violazione dei limiti di velocità» (965); VELO ed altri: «Modifiche agli articoli 186 e 187 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, in materia di confisca dei veicoli in caso di guida in stato di ebbrezza o di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti» (1075); BOFFA ed altri: «Introduzione dell'articolo 126-ter del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, in materia di certificato a punti di idoneità alla guida di Pag. 2ciclomotori» (1101); VELO ed altri: «Modifiche agli articoli 188 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e 74 del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in materia di contrassegni per la circolazione e la sosta dei veicoli al servizio delle persone invalide» (1190); VANNUCCI: «Modifica all'articolo 116 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, per l'introduzione della prova pratica per il conseguimento del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori» (1469); LORENZIN ed altri: «Modifiche al codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, in materia di guida accompagnata dei minori di anni sedici e di esercitazioni di guida» (1488); MOFFA ed altri: «Disposizioni per il miglioramento della segnaletica stradale e delega al Governo per la riforma del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285» (1717); MINASSO ed altri: «Modifica dell'articolo 78 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, per la semplificazione delle procedure relative alla modifica delle caratteristiche costruttive dei veicoli a motore» (1737); GIAMMANCO: «Modifiche agli articoli 186 e 187 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, in materia di omicidio commesso a causa della guida in stato di ebbrezza o di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti» (1766); DUSSIN Guido ed altri: «Modifiche al codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e altre disposizioni in materia di circolazione delle biciclette e di caratteristiche tecniche delle piste ciclabili» (1998); COSENZA: «Modifiche agli articoli 186 e 187 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, in materia di guida in stato di ebbrezza o di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti» (2177); BARBIERI: «Modifica degli articoli 72, 75, 76, 78, 79 e 80 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, in materia di equipaggiamento dei veicoli e di omologazione degli stessi e delle loro dotazioni» (2299); CONSIGLIO REGIONALE DEL VENETO: «Disposizioni per la disciplina e la diffusione della pratica del guidatore designato» (2322); CONSIGLIO REGIONALE DEL VENETO: «Disposizioni in materia di bevande alcoliche e interventi per il miglioramento della sicurezza stradale» (2349); STASI: «Modifiche agli articoli 126-bis e 208 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, in materia di superamento dell'esame per il recupero del punteggio della patente nonché di adempimenti degli enti locali in ordine ai proventi delle sanzioni amministrative» (2406); BRATTI e MOTTA: «Modifiche al codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, in materia di tutela dell'utenza debole e per il miglioramento della sicurezza della mobilità ciclistica e pedonale» (2480), in un testo unificato con il seguente titolo: «Disposizioni in materia di sicurezza stradale» (44-419-471-649-772-844-965-1075-1101-1190-1469-1488-1717-1737-1766-19982177-2299-2322-2349-2406-2480).

Sull'ordine dei lavori (ore 10,08).

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, chiedo la parola sull'ordine dei lavori e per un richiamo al Regolamento, e lo faccio di proposito preventivamente, prima dell'inizio della discussione del provvedimento che abbiamo all'ordine del giorno. Credo infatti sia doveroso richiamare l'attenzione della Presidenza affinché ella possa anche trasferire al Presidente della Camera non solo le nostre preoccupazioni, ma anche le nostre riserve sull'atto che ci troviamo oggi a discutere, le quali sono relative a quanto è accaduto durante i lavori delle Commissioni, in particolare con riferimento alle decisioni che le Commissioni hanno adottato nella Pag. 3giornata di ieri attraverso le scelte e le responsabilità che si sono assunti i presidenti delle due Commissioni, finanze e bilancio, soprattutto - ed anzi, sostanzialmente - dal punto di vista procedurale.
Non è inutile ricordare, signor Presidente, che ci troviamo di fronte ad un decreto-legge che, come è noto a tutti, mette insieme, andando in contrasto anche con lo spirito della previsione costituzionale, materie assolutamente disomogenee, pezzi di questioni che non hanno nulla a che fare tra di loro. Inoltre, come normalmente accade, di fronte ad una sostanziale, ma ormai rituale, violazione del precetto costituzionale, il Governo decide di strozzare il dibattito parlamentare ponendo la questione di fiducia: cosa che ancora non è stata fatta, ma si tratta di un fantasma ormai fisicamente molto presente nelle discussioni in Aula e nelle Commissioni; anzi potremmo dare al «signor fiducia» un posto nei banchi della maggioranza, così il suo peso diventerebbe più pratico e presente.
Verrà posta la fiducia e ci verrà impedito, ancora una volta, di poter intervenire sulle questioni pratiche e di merito sulle quali abbiamo lavorato in questi giorni. Signor Presidente, abbiamo lavorato - è utile dirlo perché anche questo rimanga agli atti della Camera - in condizioni incivili. Le condizioni nelle quali più di settanta, ottanta, parlamentari, si sono trovati a lavorare nella Commissione finanze sono state incivili, non degne di un Parlamento come il nostro negli anni Duemila.
Non si può dire che sia stato incivile, ma sicuramente è stato complicato, anche l'iter di questo provvedimento che non è solo un decreto-legge costituito da parti disomogenee su cui incombe il voto di fiducia, ma è anche un testo cambiato radicalmente più volte nel corso della discussione, grazie ad emendamenti, presentati all'ultimo momento dal Governo e dai relatori, che hanno sostituito completamente delle parti, modificato e stravolto il testo originario sul quale si era lavorato nei giorni precedenti.
Sostanzialmente, l'esame concreto di questo decreto-legge che prevede molte norme è iniziato nelle Commissioni soltanto lunedì scorso, in quanto tutto il lavoro svolto precedentemente è stato più un lavoro di accademia che non di merito. L'opposizione ha chiesto più volte al Governo su tre o quattro questioni qualificanti di avere delle risposte chiare ed inequivoche, in ragione delle quali fosse stato possibile preparare e decidere il proprio comportamento in merito al provvedimento. Queste risposte non sono state mai fornite, e sono state sempre rinviate al giorno dopo, al giorno successivo. Tutto ciò è accaduto nonostante la decisione presa dal Presidente della Camera sulla prosecuzione di un giorno dei lavori delle Commissioni per andare avanti nell'esame del testo e degli emendamenti, e nonostante che l'opposizione abbia condotto una battaglia, non certo ostruzionistica, ma di merito, volta a far sì che fossero chiare le posizioni e che anche la maggioranza, come in qualche caso si è dimostrato evidente, potesse ravvedersi e prendere atto (e non solo perché una volta è andata in minoranza su un voto in Commissione) che vi erano delle misure palesemente sbagliate.
Nella giornata di ieri eravamo giunti all'esame di un ennesimo articolo, quando il presidente di turno, onorevole Conte, ci ha informato che era stata presa la decisione chiudere i lavori delle Commissioni alle 14. Sarebbe, quindi, dovuto avvenire che i lavori delle Commissioni si concludessero lì dove eravamo arrivati. Invece, la decisione assunta - e su questo la prego di informare il Presidente della Camera - prima dal presidente Conte, poi dal presidente Giorgetti, è stata quella di mettere in votazione non esclusivamente il mandato ai relatori per esprimere il parere in Aula, ma anche un pacchetto di emendamenti sui quali i relatori avevano espresso parere favorevole.
Non bastasse questo, signor Presidente, nonostante in tutti i modi si sia cercato di spiegare ai due presidenti delle Commissioni che si stava commettendo una palese e insopportabile violazione del Regolamento, si è deciso di effettuare un voto unico sul pacchetto di emendamenti. In Pag. 4altre parole le Commissioni hanno votato con unico voto sugli emendamenti sui quali i relatori avevano dato il parere favorevole. È sgradevole anche che il presidente Giancarlo Giorgetti sollecitato a leggerci i precedenti - che noi conosciamo bene - non abbia letto tali precedenti, e le posso garantire che se i precedenti sono quelli in nostro possesso non possono dirsi tali, perché i precedenti per esser tali devono corrispondere a situazioni identiche. Non è mai stato indetto un voto su emendamenti accorpati in un provvedimento che è un normale decreto-legge e non è legato a nessun vincolo di procedure riguardanti il bilancio o argomenti di questo tipo.
Dinanzi ad un decreto-legge normale si tratta di un precedente che comporta che da domani qualunque presidente potrà decidere, se, alla fine, non si riesce ad esaminare tutto il provvedimento, di mettere in votazione tutti gli emendamenti sui quali la maggioranza e il Governo esprimono il proprio gradimento. In questo modo si concludono sempre i lavori delle Commissioni nel modo che si vuole.
È un fatto grave, signor Presidente, e non le dico che abbiamo anche ripetutamente chiesto di esercitare quanto previsto dall'articolo 79, comma 10 del Regolamento, ovverosia di poter indicare (ne abbiamo il diritto) e di poter votare due emendamenti per ogni articolo da parte di ogni gruppo. Tutto ciò ci è stato impedito sostenendo che si poteva fare prima e non all'ultimo momento, il che peraltro non è vero. Voglio informarla del fatto che nell'esame di questo provvedimento non si sono potuti votare emendamenti che l'opposizione aveva il diritto fossero votati, perché è stato violato, nonostante le nostre proteste, l'articolo 79, comma 10 del Regolamento. La prego di informare il Presidente anche di questo.
Morale della favola: penso che quello sul quale noi oggi iniziamo la discussione sia un provvedimento gravemente viziato da irregolarità procedurali sulle quali le sarei veramente grato se lei informasse il Presidente della Camera. Quando si producono cicatrici alle regole che stanno alla base del lavoro comune non si fa un danno all'opposizione ma a tutto il Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, la Presidenza prende atto delle sue osservazioni. Peraltro rilevo che l'organizzazione dei lavori delle Commissioni dipende da una scelta autonoma delle Commissioni medesime e del relativo ufficio di presidenza. Proprio per questo motivo do volentieri la parola all'onorevole Giancarlo Giorgetti, presidente della V Commissione che, d'altra parte, ha chiesto di parlare.
Prego, ne ha facoltà.

GIANCARLO GIORGETTI, Presidente della V Commissione. Signor Presidente, all'onorevole Giachetti e ai colleghi che ieri nelle Commissioni riunite bilancio e finanze hanno eccepito queste questioni regolamentari credo di avere già risposto in tale sede, ma è assolutamente opportuno (condivido tale necessità) ribadire le ragioni di quanto è avvenuto.
Non discuto su aspetti che secondo me sconfinano nel merito. In particolare chiaramente l'opposizione ha più volte posto, non tanto ai presidenti quanto al rappresentante del Governo, la pressante richiesta di ritiro di alcune questioni relative alle pensioni piuttosto che allo scudo fiscale o altro. Certamente può essere condivisibile o no la risposta del Governo ma se l'Esecutivo intende mantenere quei provvedimenti non è naturalmente un problema delle presidenze o della gestione dei lavori. È una questione di condivisione o meno e certamente il Governo e la maggioranza non devono sempre agire secondo quello che obietta o richiede l'opposizione.
Ciò premesso, quanto alle questioni procedurali, noi abbiamo organizzato i nostri lavori all'interno dei tempi che ci sono stati assegnati dalla Conferenza dei presidenti di gruppo (questa è la responsabilità dei presidenti di Commissione). Abbiamo naturalmente riportato anche al Presidente e alla Conferenza dei presidenti di gruppo i problemi che abbiamo riscontrato Pag. 5e che abbiamo raccolto nell'ambito dell'ufficio di presidenza delle Commissioni bilancio e finanze. In funzione di questo i lavori delle Commissioni riunite, originariamente stabiliti entro determinati termini, sono stati dapprima prolungati nella giornata di lunedì e poi ulteriormente nella giornata di martedì.
Tale dilazione dei tempi naturalmente presupponeva una circostanza: addivenuti all'ulteriore dilazione dei tempi, in quel momento comunque tutti gli emendamenti che erano stati presentati, sia dalla maggioranza sia dall'opposizione, e sui quali era stato espresso un orientamento favorevole, avrebbero dovuto avere la possibilità di essere votati entro una determinata ora perché entro quell'ora doveva avere inizio una procedura che permettesse di formulare il testo e, quindi, di arrivare in Aula entro i termini stabiliti. Questa è la responsabilità che spettava ai presidenti di Commissione, a me e al presidente Conte, e in questo senso ci siamo orientati, cercando di coinvolgere nella misura massima possibile le opposizioni e condividendo l'esigenza di un ulteriore tempo a disposizione delle Commissioni, così come è avvenuto.
Abbiamo affrontato i temi cercando di fare tutto il possibile. Naturalmente l'approfondimento non dico ostruzionistico ma l'approfondimento effettivo delle questioni ha portato all'analisi di una parte del testo e, invece, ad un esame più superficiale di altra parte del testo. Tuttavia questo è quanto avvenuto, come avviene non sempre ma purtroppo spesso in Commissione e quindi non è niente di nuovo.
Ciò che è nuovo - obietta l'onorevole Giachetti - è che si sia votato in termini riassuntivi su un pacchetto di emendamenti e, al riguardo, la richiesta avanzata dall'onorevole Giachetti in Commissione e ripetuta in questa sede è che io avrei dovuto leggere i precedenti. In Commissione ho citato uno ad uno i precedenti - ritengo che faccia fede il Bollettino delle Giunte e delle Commissioni in distribuzione - menzionando date, Commissioni e presidenze in cui tale procedura è stata seguita. Non sto qui ora a ripeterli, tuttavia si inizia dal 2007 e si risale sino al 1993.
Procedendo in quel modo sicuramente abbiamo fatto una forzatura ma non abbiamo violato il Regolamento: ci sentiamo di dirlo tranquillamente. Soprattutto non abbiamo violato il Regolamento per quanto riguarda l'articolo 79, comma 10, vale a dire la possibilità di indicare emendamenti su cui svolgere la votazione. Lo potranno confermare i colleghi dell'opposizione facenti parte dell'ufficio di presidenza: consapevoli del rischio, abbiamo più volte chiesto l'indicazione di emendamenti considerati prioritari su cui svolgere la discussione e su cui effettuare di sicuro la votazione. Lo abbiamo fatto più volte e alcuni gruppi hanno condiviso questo tipo di opportunità, altri liberamente non l'hanno condivisa ma, a quel punto, dovevamo prendere una decisione consapevole e ragionata e l'abbiamo presa. Come è normale in Commissione, abbiamo offerto ampia facoltà di intervento, anche ripetutamente, dal momento che i lavori di Commissione sono informati a flessibilità e in questo senso abbiamo dato a tutti la possibilità di intervenire anche più volte sugli stessi emendamenti per cercare di arrivare a soluzioni il più possibile condivise e comunque al fine di migliorare il testo.
Questo tipo di approccio, a posteriori, forse può essere giudicato sbagliato. Un ragionamento futuro, magari riguardante il contingentamento dei tempi degli interventi in Commissione, potrebbe essere forse anche opportuno. Nel complesso vorrei dire all'onorevole Giachetti e a lei, signor Presidente, al quale chiedo di riferire al Presidente della Camera, che può anche darsi che il comportamento del presidente della Commissione sia stato sgradevole, ma, in assoluta coscienza, ritengo che quanto abbiamo fatto sia stato la cosa più giusta ed equa rispetto al mandato ricevuto e alla responsabilità che ci competeva. Pertanto, con senso di assoluta responsabilità, ritengo di poter confermare la correttezza del lavoro e del Pag. 6comportamento che io e il presidente Conte abbiamo tenuto nelle Commissioni riunite.

ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Signor Presidente, come vede è giunto or ora il testo e, dunque, anche il Bollettino delle Giunte e delle Commissioni che riporta fedelmente la discussione svoltasi nei giorni scorsi nelle Commissioni di merito e anche gli interventi e le richieste avanzate ai presidenti da parte del gruppo del Partito Democratico relativamente alle modalità ed alle procedure che si sono volute imporre alle Commissioni per licenziare il testo conclusivo del decreto-legge.
Dai resoconti è possibile evincere che vi è stata una discussione di merito, per tutto il tempo che è stato concesso alle Commissioni, relativamente al tentativo, ovviamente da parte dell'opposizione e dei rappresentanti del mio gruppo, di migliorare un testo che già si presentava in una veste non usuale nel momento in cui è arrivato in Parlamento, perché già presentava al suo interno più temi e questioni legate alla vicenda della crisi e alla «proroga termini», a cui il decreto si riferiva.
Signor Presidente, è difficile pensare che si possa agevolmente concludere una discussione in Commissione, nel momento in cui negli ultimi giorni e nelle ultime ore il Governo - e la maggioranza, per la verità - hanno inteso presentare intere riforme attraverso l'azione emendativa: nelle ultime ore è stato presentato un emendamento che tende e vuole riformare il sistema pensionistico; è stato presentato sotto forma di emendamento lo scudo fiscale, che dovrebbe essere oggetto di una discussione più ampia, e per di più in assenza di una previsione precisa anche della politica economica e dei fondamentali dell'economia, che si sarebbero dovuti vedere all'interno del Documento di programmazione economico-finanziaria, che quest'Aula discuterà solo la settimana prossima, cioè dopo che sarà stato varato un «decreto anticrisi», in cui si introducono elementi di forzatura anche della legislazione vigente per quanto riguarda il bilancio e gli strumenti di formazione del bilancio dello Stato.
In questa situazione l'opposizione non ha fatto una battaglia ostruzionistica, nonostante un atteggiamento di forzatura continua delle regole e del bon ton parlamentare da parte del Governo e della maggioranza. Questa non è una questione di bon ton che va riconosciuto ai presidenti delle due Commissioni: si possono fare forzature e rotture delle regole che devono garantire il funzionamento democratico del Parlamento e della Camera dei deputati e forzature della prassi consolidata, che è data anche dal richiamo ai precedenti, con un atteggiamento, diciamo così, amichevole. Tuttavia, ciò non toglie che l'atteggiamento e il bon ton usati abbiano prodotto comunque una rottura delle modalità con le quali questa Camera, le Commissioni bilancio e finanze e le Commissioni di merito hanno sempre esaminato e licenziato un provvedimento, da presentare nel testo con il quale l'Aula deve lavorare, procedere e legiferare.
Si è deciso, come ha ricordato il collega Giachetti, in rottura e in difformità con la regola e la prassi: mi riferisco alla regola che il Regolamento richiama agli articoli 77, 85 e soprattutto all'articolo 79, comma 10, che già il collega Giachetti ha ricordato. Si è voluto fare un «voto in blocco» degli emendamenti su cui il Governo e la maggioranza hanno reso parere positivo. Signor Presidente, ciò impedisce non solo all'opposizione e ai gruppi di opposizione, non solo alla maggioranza e ai gruppi di maggioranza, ma anche ai singoli parlamentari di poter illustrare e votare senza alcun vincolo di mandato, come prevede la Costituzione e come pertinentemente prevede il Regolamento, andando pertanto contro la prerogativa del singolo parlamentare.
Il «voto in blocco» non riguarda e non può esser adottato dai Parlamenti democratici, quelli delle democrazie occidentali: Pag. 7è un voto che riguarda altre modalità, altri sistemi, meno democratici e più autoritari. Non vogliamo che si introducano innovazioni e rotture del Regolamento e delle regole democratiche in Parlamento, finché questa democrazia è una democrazia parlamentare e finché il Parlamento è un elemento fondamentale nel definire gli equilibri democratici del nostro sistema istituzionale e della nostra Repubblica tra Esecutivo e Parlamento, tra maggioranza e Governo e tra opposizione, maggioranza e Governo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

ANGELO COMPAGNON. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANGELO COMPAGNON. Signor Presidente, anch'io vorrei esprimere tutta la preoccupazione del nostro gruppo rispetto a come stanno andando avanti i lavori parlamentari. Le ultime questioni di fiducia che sono state discusse in quest'Aula ci avevano portato a dire: speriamo sia l'ultima, e speriamo che il Parlamento torni ad essere centrale, come deve esserlo, nella discussione degli argomenti in questo Paese.
Adesso, si parla anche di «votazioni globali» in Commissione, una pratica che, come è stato ricordato, ha dei precedenti. Tuttavia, se non ho ascoltato male l'intervento del presidente Giorgetti, questi precedenti sono datati dal 1993-1994 in poi, cioè proprio dal periodo in cui è partita una nuova filosofia, un nuovo modo di pensare la democrazia di questo Paese - cioè poca democrazia -, che ha tolto, sempre di più, a questo Parlamento il suo ruolo e la possibilità di discutere ed approfondire gli argomenti che vengono portati in quest'Aula per poterli migliorare.
Continuare in questo modo significa continuare a produrre e a creare provvedimenti da calare sulla pelle dei cittadini italiani, visti e pensati da pochi, con l'impossibilità, da parte nostra, di portare quel contributo che, seriamente e con grande equilibrio, tentiamo di portare dall'inizio di questa legislatura.
Pertanto, anch'io mi associo alla preoccupazione e richiamo la Presidenza della Camera, affinché si metta fine a questo modo di legiferare che, sicuramente, non potrà che produrre negatività rispetto alle esigenze del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

GIANFRANCO CONTE, Presidente della VI Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANFRANCO CONTE, Presidente della VI Commissione. Signor Presidente, all'onorevole Quartiani, dopo aver indossato la giacca, dovrei far rilevare che la ricostruzione dei fatti avvenuti in Commissione non è esattamente quella che ci è stata rappresentata.
Voglio ricordare che abbiamo passato i primi tre giorni di esame del provvedimento avendo licenziato, nemmeno completamente, tre soli articoli del provvedimento. Quando ci è stato chiesto un approfondimento dell'esame del provvedimento, abbiamo chiesto al Presidente della Camera di poter spostare la chiusura dell'esame del provvedimento, prevista per venerdì, a lunedì.
Lunedì, visto che i lavori procedevano lentamente - avevamo potuto esaminare solo altri due o tre articoli - ci è stato chiesto dalle opposizioni, e lo abbiamo concordato, la possibilità di prolungare ulteriormente i lavori delle Commissioni al pomeriggio e alla serata di lunedì e alla mattina di martedì.
In quella sede, dopo aver sentito il Presidente della Camera, è stato concordato che si avevano davanti due scelte: terminare l'esame del provvedimento lunedì in mattinata (così com'era previsto), oppure proseguire nell'esame. A quel punto, abbiamo concordato - qui sono presenti i presidenti dei gruppi nelle Commissioni - che, laddove, non fosse terminato l'esame di tutti gli articoli, si sarebbe proceduto al voto di un pacchetto di questioni, che erano state riassunte e che contenevano emendamenti del Governo, dei relatori, della maggioranza e dell'opposizione: Pag. 8temi che erano conosciuti da tutti i componenti delle Commissioni.
Peraltro, voglio ricordare che i presidenti delle Commissioni, già venerdì, in considerazione del fatto che continuavano ad essere presentati emendamenti da parte dei relatori e del Governo e che vi erano richieste di presentazione di ulteriori emendamenti, avevano stabilito che si sarebbe posto termine alla presentazione di tutti i documenti, da chiunque provenissero. Pertanto, si è costituito un «blocco» di questioni sul quale era necessario lavorare.
Naturalmente, dopo aver preso questo accordo, ci è sembrato veramente singolare che, dopo essersi impegnati lunedì a votare martedì - comunque fossero andati i lavori e a qualunque punto del provvedimento fossimo arrivati - un «blocco» di emendamenti, sui quali era già stato espresso il parere favorevole...

ROBERTO GIACHETTI. No, questa è una menzogna, sta dicendo il falso!

GIANFRANCO CONTE, Presidente della VI Commissione. Lo vedrà, onorevole Giachetti, lei non era presente! Chieda ai capigruppo in Commissione se questo non era l'accordo preso!

ROBERTO GIACHETTI. Di votare in blocco, no!

GIANFRANCO CONTE, Presidente della VI Commissione. Questo era l'accordo: avremmo votato in blocco tutto quello che sarebbe rimasto, ed era noto. Questo abbiamo fatto e credo che i presidenti delle Commissioni si siano regolati in conseguenza degli impegni assunti in Commissione.

ROBERTO GIACHETTI. Mentire in Aula è grave!

PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, per cortesia.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Baretta. Si tratta del terzo oratore dello stesso gruppo, ma, data la rilevanza dell'argomento, gli concedo egualmente la parola. Ne ha facoltà.

ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Signor Presidente, si tratta di un secondo richiamo al Regolamento.

PRESIDENTE. Sta bene, onorevole Quartiani.

PIER PAOLO BARETTA. Signor Presidente, la ringrazio, effettivamente è necessario chiarire alcuni argomenti.
Mi è capitato alcune volte di trattare con degli interlocutori giapponesi, i quali, quando esponevo un problema, facevano di sì con la testa: io pensavo che fossero d'accordo, invece, semplicemente, avevano capito. Noi non abbiamo neanche annuito con la testa: il presidente Conte ha preso un abbaglio, evidentemente (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Desidero fare alcune precisazioni. Innanzitutto, il presidente Giorgetti ha fatto riferimento alla questione delle segnalazioni. Noi non abbiamo aderito alle segnalazioni, abbiamo esplicitamente detto questo: non mi pare che le segnalazioni rappresentino - se un gruppo non è d'accordo - un cambiamento obbligato di metodologia. Non abbiamo aderito alle segnalazioni e non abbiamo ritenuto - e non riteniamo, a differenza di altri gruppi - che esse significhino cambiare la metodologia, pertanto accantonerei questo argomento.
C'è una seconda questione che desidero precisare. Il fatto che, come ha ricordato il presidente Conte, nelle prime due giornate si sia discusso di pochi articoli ha due motivazioni, bisogna essere sinceri in quest'Aula. La prima è che noi, punto su punto e su ogni problema, abbiamo cercato di spostare - ove possibile e nell'ottica del dialogo - le posizioni del Governo; la seconda è che i presidenti hanno gestito - legittimamente - un calendario del tutto originale: avevamo chiesto di discutere l'articolo 5, invece si è discusso l'articolo 21 relativo ai giochi, così come avevamo chiesto di discutere l'articolo 9, ma lo Pag. 9abbiamo fatto soltanto in un secondo momento. La scelta del calendario, quindi, ha fatto sì che alcuni temi importanti non fossero trattati. Non a caso, nel cosiddetto maxi pacchetto, sono incluse le questioni delle pensioni, dello scudo fiscale, della «Tremonti ter» e del terremoto. A proposito del terremoto, avevamo più volte chiesto di discutere l'articolo 23, proprio per la sua rilevanza.
Infine, per quanto riguarda il prolungamento dei lavori: mi dispiace, ma noi del Partito Democratico non abbiamo mai chiesto alcun prolungamento dei lavori. Abbiamo sempre detto che non garantivamo l'esito dei lavori stessi, che eravamo disponibili, che saremmo rimasti seduti, come poi è accaduto, ma non avremmo tolto le «castagne dal fuoco» - per dirla con chiarezza - e ne abbiamo discusso formalmente e anche informalmente. Abbiamo sempre dichiarato, anche ufficialmente, come risulta dai resoconti sommari, che non garantivamo l'esito finale. Quindi, a proposito del «pacchetto» concordato, non abbiamo mai garantito che avremmo aderito a quella metodologia, perché era contraria ad una impostazione non solo regolamentare, ma anche politica cui ci siamo attenuti in questi giorni.
È bene essere precisi, perché, come ho dichiarato ieri nel corso della seduta delle Commissioni, signor Presidente, questo è un punto molto importante e non soltanto metodologico, tanto che non credo si possa procedere per quattro anni ancora in questo modo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Colleghi, dalla discussione che si è appena svolta risulta con molta chiarezza che problemi di natura regolamentare si intrecciano con la rilevanza politica del provvedimento in esame e con l'ultima considerazione svolta dall'onorevole Baretta.
Da questo punto di vista non si può che sottolineare un aspetto ovvero che i precedenti regolamentari ai quali si è fatto più volte riferimento possono rappresentare, dal punto di vista dell'applicazione del Regolamento, una sorta di giustificazione al comportamento che è stato assunto di volta in volta dai presidenti di Commissione ma, al tempo stesso, rappresentano in qualche modo un'ulteriore sottolineatura della rilevanza politica dell'argomento che è stato preso in esame. Non vi è dubbio, dal punto di vista del Regolamento, che spetta ai presidenti di Commissione assicurare che un provvedimento possa arrivare in Aula nei tempi che sono stati previsti e, da questo punto di vista, alla presidenza delle varie Commissioni è anche affidata una sorta di discrezionalità nelle procedure da scegliere.
Alcuni precedenti in relazione a quanto si è adesso discusso sono stati obiettivamente ricostruiti dal 1993 al 2007: si va dal decreto-legge in materia economico-finanziaria del 23 giugno 1993, con espressa contrarietà del Movimento Sociale e di Rifondazione Comunista, al decreto-legge sul Banco di Napoli, esaminato dalla VI Commissione, il 17 ottobre 1996, con l'espressa contrarietà della Lega nord e di Alleanza Nazionale, alla posizione della questione di fiducia in Aula, il 22 ottobre 1996, e al disegno di legge finanziaria per il 2008, esaminata della V Commissione, il 7 dicembre 2007, con espressa contrarietà dell'UdC. D'altra parte, è anche vero che ogni precedente non coincide perfettamente con analoga situazione antecedente e neanche con ciò che si è verificato in questa circostanza. Restano fermi due principi generali: le Commissioni debbono terminare i loro lavori in modo da assicurare il rispetto dei termini previsti dal calendario e spetta ai presidenti di Commissione assumersi la responsabilità di individuarne i percorsi.
Detto questo, proprio per la rilevanza politica dell'argomento, non posso che investire il Presidente della Camera della questione e sarà, naturalmente, mia cura richiamare con forza l'attenzione sull'ampiezza di questo dibattito affinché questo tema venga affrontato e, lo ripeto, i precedenti regolamentari non possano servire a creare una situazione di maggiore difficoltà nel rapporto tra maggioranza e opposizione, andando invece verso un'applicazione del Regolamento e una interpretazione Pag. 10dei precedenti che aiutino questo Parlamento a ritrovare la sua centralità nella vita della Repubblica italiana.

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, recante provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali (A.C. 2561-A) (ore 11,40).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, recante provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali.
Avverto che, come stabilito dalla Conferenza dei presidenti di gruppo, riunitasi nella giornata di ieri, la discussione generale sul provvedimento proseguirà fino alle ore 14,30 per riprendere alle ore 16, dopo lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata, con prosecuzione notturna.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2561-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Partito Democratico e Italia dei Valori ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto altresì che le Commissioni V (Bilancio) e VI (Finanze) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
Il relatore per la V Commissione, onorevole Moroni, ha facoltà di svolgere la relazione.

CHIARA MORONI, Relatore per la V Commissione. Signor Presidente, onorevoli colleghi, gli obiettivi principali del decreto alla nostra attenzione sono il mantenimento della stabilità dei conti pubblici e il rafforzamento della coesione sociale a sostegno degli investimenti delle imprese, che sono destinatarie, al fine di mantenere presso di loro un'adeguata liquidità, anche di risorse pari a 5 milioni di euro a copertura dei debiti pregressi della pubblica amministrazione.
Il provvedimento è stato oggetto di un esame, per quanto breve e in qualche caso anche discusso, come è evidente dal dibattito che abbiamo appena svolto, pur tuttavia approfondito nelle Commissioni competenti. Se certamente si può discutere nel merito ogni scelta, va dato atto al Governo di essersi mosso con coerenza rispetto agli impegni assunti; in particolare, è necessario riconoscere la volontà di affrontare la crisi in maniera costante con interventi continui che si ripetono a breve tempo uno dall'altro.
La flessibilità dell'intervento è stata ed è una caratteristica fondamentale per la sua riuscita: la competitività del sistema Paese è oggi legata alla rapidità dell'intervento, alla capacità di rivederlo ed eventualmente modificarlo. L'azione dei Governi nazionali deve integrarsi coerentemente con nuove realtà sovranazionali che nel tempo hanno assunto una capacità di intervento sempre più efficace, ma proprio per questo anche sempre più vincolante.
La manovra che abbiamo alla nostra attenzione, dunque, è legata ad una visione di insieme nella quale ogni singolo intervento assume il suo specifico significato; non a caso il decreto-legge è intimamente e coerentemente collegato al quadro generale tracciato dal DPEF, presentato dal Consiglio dei ministri la scorsa settimana, ed è dunque necessario leggerlo per un giudizio complessivo alla luce del quadro generale tracciato.
Per contrastare gli effetti della crisi finanziaria internazionale l'Italia, come riporta il DPEF, ha stanziato risorse lorde pari a circa 27,3 miliardi per il quadriennio 2008-2011 corrispondenti all'1,8 per cento del PIL, a questo si aggiungono 16 miliardi di finanziamenti destinati alle infrastrutture. Il valore della manovra supera i cinque miliardi con investimenti Pag. 11concentrati nel biennio 2009-2010 e punta a mobilitare risorse per 30-40 miliardi di euro.
Il mantenimento della stabilità dei conti pubblici, il rafforzamento della coesione sociale e il mantenimento della liquidità alle imprese non sono, quindi, solo tre obiettivi congeniali al mantenimento di un livello adeguato di competitività del nostro Paese sul piano internazionale, ne rappresentano anche condizioni ineludibili che non possiamo non rispettare. Era fondamentale agire per garantire queste tre condizioni anche durante la crisi; il rischio sarebbe quello di trovarci impreparati al momento della possibile ripresa che diversi segnali indicano già a partire dal 2010.
La massiccia concentrazione e riallocazione delle poste all'interno del bilancio, troppo spesso criticata, ha, tra l'altro, permesso di liberare risorse per una pluralità di interventi proprio in funzione anticrisi. È stato salvaguardato il sistema creditizio e il risparmio delle famiglie, si è intervenuto per sostenere i redditi e i consumi, per estendere e rifinanziare gli ammortizzatori sociali, per potenziare e accelerare gli investimenti pubblici e incentivare gli investimenti privati. Inoltre, sempre rispettando i limiti consentiti dalla finanza pubblica, si sono operate importanti iniezioni di liquidità nel sistema accelerando il pagamento dei debiti pregressi e abbattendo l'ammontare accumulato dai rimborsi fiscali.
Con l'obiettivo di mantenere i tre obiettivi citati la manovra si sviluppa su due principali ambiti: interventi anticrisi e interventi antielusione, tra le altre cose, entrambi coerenti con il rafforzamento della coesione sociale. Tra gli interventi anticrisi rientrano certamente gli incentivi al lavoro: i primi rappresentano la consapevolezza che una delle vie per facilitare l'uscita dalla crisi è quella di sostenere il reddito. In questo senso l'intervento appare per più aspetti innovativo: la ratio delle disposizioni previste all'articolo 1, è infatti quella di mantenere il lavoratore in attività, di non interrompere il suo rapporto di lavoro e per questo si riconosce alle imprese la possibilità di richiamare in attività il personale in cassa integrazione per riqualificarlo con specifici progetti di formazione.
Stessa logica per i contratti di solidarietà: si afferma in questo senso una scelta contraria a sostegni di puro assistenzialismo; infatti, nella stessa scia si dispone il riconoscimento di incentivi specifici per quei lavoratori che decideranno di investire costituendo attività private. Importante, in questo senso, è l'intervento sviluppatosi nelle Commissioni secondo cui tale meccanismo sarà riconosciuto anche ai casi di sospensione dal lavoro.
Sempre durante i lavori nelle Commissioni è intervenuta un'importante modifica al testo originale mirata a dare la possibilità di riconoscere e regolarizzare attraverso i necessari controlli la posizione di molti lavoratori e lavoratrici, soprattutto extracomunitari, occupati in attività di sostegno e di assistenza alle famiglie.
Si tratta di un intervento che dimostra come la scelta della maggioranza continui ad essere quella di premiare e valorizzare quella che si può definire «buona immigrazione».
Con riguardo specificatamente alle imprese, si segnalano una serie di interventi mirati come quelli degli articoli 3 e 4 in materia di energia. Si potrà contare sull'ingresso nel mercato di 5 miliardi di metri cubi di gas distribuiti a prezzi concordati con il Ministero dello sviluppo economico. Per molte grandi aziende questo è un segnale tangibile della volontà di interventi concreti. Il Consiglio dei Ministri, d'intesa con le regioni, potrà individuare gli interventi urgenti per la realizzazione delle reti di trasmissione e di distribuzione dell'energia realizzati con capitale privato. Vale la pena ricordare che a conferma dell'attenzione per il sostegno alle regioni meridionali rivestono tale carattere, ad esempio, gli adeguamenti della rete per consentire il collegamento degli impianti rinnovabili, la metanizzazione del Mezzogiorno, il secondo collegamento elettrico e l'anello di rete in Sicilia.
Importante sottolineare l'intervento deciso a favore della detassazione delle risorse Pag. 12reinvestite dalle aziende. Nelle Commissioni si è deciso di estendere la platea delle aziende che possono operare tale scelta che in un primo momento dovevano esser solo quelle che potevano reinvestire gli utili. Secondo quanto deciso durante l'esame nelle Commissioni, la detassazione potrà essere usufruita anche dal 2009 in sede di saldo dell'imposta, qualora gli investimenti siano stati effettuati in quest'anno. La detassazione riguarda gli investimenti in macchinari effettuati dall'entrata in vigore del decreto-legge fino al 30 giugno 2010.
Ancora a sostegno del sistema impresa, durante i lavori delle Commissioni è stata introdotta una norma che permetterà la procedura per la moratoria sui crediti bancari verso le piccole e medie imprese. Nel testo si afferma che per sostenere le piccole e medie imprese in difficoltà finanziaria il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato a stipulare un'apposita convenzione con l'ABI per favorire l'adesione degli istituti di credito a pratiche finalizzate all'attenuazione degli oneri finanziari sulle citate piccole e medie imprese, anche in relazione ai tempi di pagamento degli importi dovuti.
In un'ottica del sostegno allo sviluppo generale, va ricordato l'intervento maturato nelle Commissioni - a dimostrazione di quanto sia stato produttivo il confronto durante i lavori parlamentari - relativo alla velocizzazione degli appalti per le infrastrutture con il quale si consente di velocizzare la realizzazione delle opere pubbliche. Si tratta di una misura quanto mai necessaria in un periodo di congiuntura economica sfavorevole, ovvero un significativo passo in avanti nell'ottica della semplificazione e del rispetto dei tempi di realizzazione delle infrastrutture.
Per quanto attiene alle norme specifiche definite sul fronte antielusivo, meritano certamente di essere citate quelle previste dagli articoli 12 e 13, finalizzate a contrastare i paradisi fiscali e gli arbitraggi fiscali internazionali. È la dimostrazione di un impegno concreto, forte e deciso contro il tentativo di distrarre energie e risorse dal nostro Paese. Va ovviamente aggiunta la decisione di intervenire inserendo nel testo norme finalizzate all'introduzione di un'imposta straordinaria per la regolarizzazione delle attività finanziarie e patrimoniali detenute al di fuori del territorio dello Stato.
Un'annotazione particolare merita la decisione maturata di intervenire portando dal 2,7 per cento al 4 per cento l'ammontare dei residui passivi in conto capitale che i comuni potranno escludere dal saldo ai fini del rispetto del Patto di stabilità per l'anno 2009, accolto con favore dall'Associazione comuni italiani. È la dimostrazione della sensibilità che il Parlamento, così come ha dichiarato il presidente dell'ANCI, ha voluto mantenere nei confronti dei comuni italiani. Da registrare l'intervento - anche questo maturato durante il confronto nelle Commissioni - relativo ai rilievi della BCE sulle riserve auree.
Infine, da ricordare che il decreto-legge contiene quella che può essere definita una piccola riforma delle pensioni. La novità di interesse più generale partirà dal 2015 con la revisione delle finestre e l'agganciamento pensione-aspettativa di vita. L'obiettivo è di evitare che l'allungamento della vita media degli italiani possa mettere a rischio la tenuta del sistema previdenziale, ma al tempo stesso l'intervento è soft e molto graduale. Nel 2015 l'età pensionabile potrà essere innalzata al massimo di tre mesi e le altre misure riguardano, invece, solo il settore pubblico e in particolare le donne. Per rispondere ad una sentenza della Corte di Giustizia europea, l'Esecutivo ha deciso di innalzare gradualmente l'età di pensione di vecchiaia per le statali in modo tale da equipararla a quella dei colleghi maschi.
Ci sarà poi un'applicazione più ampia dei prepensionamenti per i dipendenti che raggiungono i quarant'anni di contributi, compresi quelli figurativi.
Dal 2010, si innalzerà di un anno l'età pensionabile per le dipendenti pubbliche, che passerà da sessanta a sessantuno anni; nel 2012 salirà a sessantadue e così via per scatti biennali, fino a raggiungere i sessantacinque anni nel 2018. È la risposta Pag. 13messa in campo per evitare le sanzioni dell'Unione europea che, con riferimento al sistema italiano, ha parlato di un sistema discriminatorio. È una scelta, dunque, responsabile e in linea con gli obblighi comunitari. Un'ultima notazione riguarda la decisione di garantire il pagamento dei crediti nella pubblica amministrazione. I ritardi dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni, infatti, costituiscono un problema da tempo al centro delle richieste del sistema produttivo italiano. Su questa materia è già intervenuto il decreto-legge n. 185, all'articolo 9, la cui completata attuazione è stata tra l'altro sollecitata con la risoluzione approvata all'unanimità dalla Commissione bilancio lo scorso 20 maggio. La disposizione di cui all'articolo 9 prevede che i crediti esigibili nei confronti dei Ministeri alla data del 31 dicembre 2008, iscritti nel conto dei residui passivi per somministrazione, forniture e appalti, siano accertati con decreto del Ministero dell'economia delle finanze e resi liquidabili nei limiti delle risorse stanziate con la legge di assestamento del bilancio dello Stato. Si impone poi per il futuro a tutte le amministrazioni di adottare, senza nuovi o maggiori oneri, le misure organizzative per garantire il pagamento delle somme dovute. Inoltre, si prevede che il funzionario che adotta provvedimenti che comportano impegni di spesa ha l'obbligo di accertare preventivamente che l'impegno sia compatibile con i relativi stanziamenti di bilancio, con conseguente responsabilità amministrativa e disciplinare in caso di violazione dell'obbligo. Onorevoli colleghi, sono questi gli interventi ed i tratti salienti di un intervento complesso e articolato, che si muove con l'obiettivo di garantire al nostro Paese la possibilità di trovarsi pronto al momento della ripresa internazionale, oltre che di garantirlo in un periodo in cui la crisi appare in fase di superamento. Si sono focalizzati obiettivi precisi: mantenimento della stabilità dei conti pubblici, rafforzamento della coesione sociale, mantenimento della liquidità alle imprese, alle quali si è coerentemente fatta seguire una serie di scelte mirate e specifiche.

PRESIDENTE. Il relatore per la Commissione finanze, onorevole Fugatti, ha facoltà di svolgere la relazione.

MAURIZIO FUGATTI, Relatore per la VI Commissione. Signor Presidente, il provvedimento che oggi arriva in Aula dopo il lavoro presso le Commissioni bilancio e finanze è corposo sotto l'aspetto economico, fiscale e di bilancio. Infatti, si chiama «decreto-legge anticrisi». È un decreto-legge, quindi un provvedimento d'urgenza, in quanto sappiamo che la situazione economica del nostro Paese e delle nostre imprese, ma anche a livello europeo e internazionale, ha bisogno di provvedimenti urgenti per cercare di rilanciare una situazione economica che è oggettivamente di difficoltà. Quindi, è un provvedimento che ha le caratteristiche dell'urgenza sotto l'aspetto economico.
È un provvedimento corposo che ha al suo interno diverse argomentazioni e tratta diversi aspetti. Nel corso dello svolgimento nelle Commissioni, come è già stato detto, è stato arricchito anche di altre questioni importanti, come lo scudo, le badanti, le pensioni, via via che la discussione continuava (i tempi sono stati anche dilatati: da venerdì 17 siamo arrivati alla giornata di ieri nelle Commissioni).
Per quanto riguarda i lavori svolti nelle Commissioni, su alcuni punti ritengo che l'approfondimento ci sia stato. C'è stata anche la scelta, che ritengo legittima, da parte di un gruppo, di non arrivare alle segnalazioni degli emendamenti. Questo probabilmente ha un po' allungato i tempi, però ritengo che, quando si sono approfonditi e sviscerati anche singoli emendamenti e singole questioni, qualche risultato sia stato raggiunto. Certo se ci fosse stato anche più tempo, probabilmente si sarebbe raggiunto anche qualche altro risultato. Però, ritengo comunque che un lavoro - non completo, perché questo ormai è un dato oggettivo - su alcuni punti sia Pag. 14stato svolto dalle Commissioni. Per quanto riguarda gli argomenti che interessano la Commissione finanze, che molte volte però vanno a toccare, all'interno di questo provvedimento, anche argomenti che interessano altre Commissioni, faccio una breve elencazione delle modifiche e segnalo come si è arricchito il testo sulle questioni d'interesse della Commissione.
Sulla questione delle badanti, in merito all'articolo 1 la discussione vi è stata all'interno delle Commissioni e si sono approfonditi diversi aspetti. Vi era la richiesta di arrivare ad una modifica soprattutto per quanto riguarda la questione del limite di reddito di 20-25 mila euro. Si è ritenuto che l'intervento in materia di badanti fosse necessario, in quanto, dopo l'approvazione della legge sulla sicurezza, il Governo ha ritenuto di presentare questo articolo.
Non si è arrivati a rivedere la questione dei 25 mila euro, perché ritenevamo che questo potesse, nel tempo, portare ad eludere questa norma e a procedere anche a regolarizzazioni che non riguardano le badanti e/o le colf. Sull'articolo 2 vi è stata una discussione, ritengo, importante: esso riguarda le questioni bancarie e i rapporti delle famiglie e delle imprese con le banche. Al riguardo, il Governo era già intervenuto sulla questione della commissione di massimo scoperto.
Sappiamo che in un precedente provvedimento essa era stata abolita, poi le banche hanno fatto tutto quello che volevano e hanno introdotto in modo fantasioso commissioni sostitutive, che, alla fine, eludevano la norma che il Parlamento aveva approvato. Il Governo è intervenuto introducendo lo 0,50 per cento sulla disponibilità dei fondi. All'interno delle Commissioni, sia con emendamenti di maggioranza e dei relatori, ma anche approvando emendamenti dell'opposizione, si sono ancora ristrette le maglie a favore dei consumatori.
Da una parte, per quanto riguarda la disponibilità e la valuta di assegni circolari e bancari e di bonifici, ci si è regolamentati sulla base di quello che stabilisce una direttiva che entrerà in vigore nei prossimi mesi e che comporta dei termini temporali, tra l'avere a disposizione l'assegno o il bonifico e la reale valuta e disponibilità da parte del cliente, inferiori rispetto a quelli che il testo prevedeva, prevedendo anche giorni reali e non giorni lavorativi (sappiamo che, molto spesso, questo era un aspetto che andava a favore delle banche).
Siamo poi intervenuti ampliando lo 0,5 per cento sulla messa a disposizione dei fondi anche allo sconfinamento, nel senso che, se un cliente sconfina da una disponibilità di fido, molto spesso sappiamo che le banche si comportano in maniera diversa, applicando molto spesso anche commissioni pesanti su questo sconfinamento.
Lì si è intervenuti prevedendo lo 0,5 per cento anche su questo sconfinamento. Si è poi intervenuti anche sulla questione delle modifiche unilaterali dei contratti, in maniera specifica ampliando i giorni entro cui il cliente può accettarle o meno, da 60 a 120 giorni, e prevedendo anche che il limite di aumento del tasso d'interesse, che molto spesso viene fatto tramite l'aumento dello spread da parte delle banche, che al cliente viene imposto con una modifica unilaterale del contratto, non possa essere superiore al 5 per cento del tasso contrattuale previsto.
Su questo aspetto ci potrebbe essere un'interpretazione diversa e, magari, ambigua della norma. Nelle Commissioni era stata anche stabilita una diversa formulazione dell'emendamento approvato; in seguito, per un equivoco, per un refuso, magari anche - lo dico - per una dimenticanza da parte dello stesso relatore, questo emendamento non è stato posto in votazione. Riteniamo, però, che il problema si possa risolvere con un ordine del giorno o, comunque, in altra maniera, perché la norma è in sé molto chiara.
Si è intervenuti, poi, con l'articolo 4-quinquies, sull'affitto dei terreni ai giovani. Sappiamo che vi è una certa poca predisposizione da parte dei giovani ad andare a lavorare in agricoltura, quindi con una mancanza di manodopera e di imprenditoria giovanile; crediamo che l'articolo Pag. 154-quinquies, che riguarda l'affitto dei terreni ai giovani, vada in questa direzione.
Sull'articolo 5, che contiene la norma cosiddetta Tremonti-ter, non si è giunti a votazione; si è avuta però un'ampia discussione, che ha portato alla luce diverse questioni. La questione dell'ampliamento di tale norma veniva posta da più parti, sia di opposizione sia di maggioranza. Non si è addivenuti ad un ampliamento per motivi molto semplici: tutti avremmo voluto riuscire ad ampliare e portare questo beneficio a favore di maggiori imprese, di maggiori categorie e di maggiori beni, in termini di macchinari e beni utilizzati; si deve però poi fare il conto anche con le disponibilità economiche e finanziarie che vi sono da parte dello Stato per poter coprire tali maggiori ampliamenti, e quindi alla fine queste aperture non sono state fatte.
Le modifiche apportate comunque riguardano il fatto che la norma cosiddetta Tremonti-ter può essere applicata solo sui beni nuovi, e non sui beni usati; si è posto un chiarimento molto specifico su quando vi sono le agevolazioni previste da tale norma, nel senso che l'agevolazione può essere fruita già col pagamento del saldo dell'imposta 2009: a giugno 2010, quindi, le imprese che non sono in perdita (e anche su ciò vi è stata una discussione), e che pagano il saldo per gli investimenti effettuati nel 2009, possono avere il beneficio della norma cosiddetta Tremonti-ter. In termini di tempo, dunque, siamo riusciti anche a chiarire che già nel 2010 vi sarà il beneficio sulla norma cosiddetta Tremonti: si tratta di un aspetto importante, perché altrimenti se uno pensava di avere il beneficio nel 2011, nel 2009 sicuramente non effettuava investimenti, nel 2010 forse li effettuava a fine anno, e quindi la spinta propulsiva che tale proposta voleva avere sarebbe stata un po' vanificata; averlo portato già nel pagamento del saldo in maniera chiara, specificandolo, del 2009, quindi a giugno 2010, crediamo sia stato un aspetto positivo.
È stato approvato un emendamento di tipo particolare, che stabilisce che le imprese che beneficiano della norma cosiddetta Tremonti-ter, qualora volessero vendere i macchinari acquistati in Paesi fuori dalla Comunità europea, perdono i benefici: è chiaro che nessuno può avere un beneficio in Italia, poi magari andare a vendere il macchinario in Paesi extra-UE, che possono essere l'India o la Cina. È stato introdotto lo sgravio sulle capitalizzazioni: si è discusso molto su tale aspetto, era richiesto anche dalle opposizioni; vi è stata una discussione importante su questo punto, ed è stato introdotto tale sgravio sulle capitalizzazioni fino a 500 mila euro, uno sgravio del 3 per cento che sappiamo essere molto atteso dalle categorie, ritengo anche a seguito delle proposte avanzate dai colleghi.
Sulla questione della moratoria, vi è stata un'ampia discussione su emendamenti proposti sia dall'opposizione sia dalla maggioranza; nella parte finale della discussione nelle Commissioni è stata introdotta una normativa che prevede un accordo tra ABI e Ministero dell'economia e delle finanze per quanto riguarda i problemi di liquidità da parte delle piccole e medie imprese. Su questo articolo non si è votato, questo è un dato di fatto, però ritengo che la discussione sia stata approfondita ed importante.
Per quanto riguarda l'articolo 9, veniamo alla questione del Patto di stabilità: ritengo che l'ampliamento che si è avuto al 4 per cento del monte residui 2007, dal 2,7 iniziale che si era proposto, fino ad un massimo di 2 miliardi, sia stato anche frutto dell'approfondita discussione che si è svolta nelle Commissioni da parte sia dell'opposizione sia della maggioranza, e su ciò credo che i comuni virtuosi oggi possano avere un respiro migliore, sotto l'aspetto finanziario ed economico. Su tale aspetto sono stati introdotti all'interno del provvedimento in esame anche alcuni commi che regolano il rapporto tra le autonomie speciali ed il Governo.
Quanto all'articolo 10, è stata allargata la platea di chi rilascia le autorizzazioni per le compensazioni ed è stato aumentato Pag. 16a 15 mila euro il limite minimo per la necessità del visto di conformità (ciò sulla base di una proposta che proveniva da più parti: vi erano peraltro richieste di ampliare ulteriormente a 20, 30 o 50 mila euro, ma se si è raggiunto un accordo su tale cifra).
Su proposta dei relatori, è stato introdotto l'articolo 11-bis, che introduce il «documento di regolarità contributiva» per gli ambulanti. Dal momento infatti che - come sappiamo - il mercato degli ambulanti oggi vede vasta irregolarità, crediamo che questo strumento possa far bene ad esso.
Con l'articolo 13-bis è stato introdotto il cosiddetto «scudo fiscale». È vero che su questo punto non vi è stata discussione nelle Commissioni, anche se dobbiamo anche dire che gli unici emendamenti proposti arrivavano dal gruppo dell'Italia dei Valori. Comunque, è da notare che non vengono sanati i reati, contrariamente a quanto si diceva all'inizio. Si tratta di una questione della quale si sta discutendo a livello non solo italiano, ma anche europeo e internazionale. Si tratta di un provvedimento che è stato adottato anche da altri Paesi e che crediamo porterà risorse delle quali il Paese ha bisogno. Crediamo che andare a chiedere tali risorse a coloro che pagano sempre le tasse fosse sbagliato, e così le andiamo a chiedere per una volta a coloro che non hanno mai pagato, portando il denaro all'estero in maniera irregolare: altrimenti, costoro non pagherebbero mai nulla. In questo modo, invece riusciamo almeno a far pagare qualcosa a qualcuno: non è poco.
L'articolo 14 affronta la questione dell'oro: una questione particolare e più volte rivista. La versione definitiva prevede un'aliquota del 6 per cento entro l'importo massimo di 300 milioni di euro. Qui vi è stata una discussione sul rapporto fra Governo, Banca centrale europea e Banca d'Italia: l'accordo che si è trovato - anche grazie ad un emendamento che veniva dall'opposizione - è che le disposizioni di questo articolo si applicano previo parere favorevole della Banca centrale europea, e comunque nella misura idonea a garantire l'indipendenza istituzionale e finanziaria della Banca (sull'aspetto dell'indipendenza della Banca centrale si è infatti molto discusso in questi giorni). Tale misura è fissata con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze previo parere conforme della Banca d'Italia: sono così disciplinati anche i rapporti fra Banca d'Italia, Banca centrale europea e Ministero dell'economia e delle finanze su questo argomento.
Concludo svolgendo un'ultima considerazione, che ho già fatto. È chiaro che il testo non è stato discusso nella sua completezza: questo è un dato di fatto. Là dove però esso è stato discusso, gli argomenti sono stati approfonditi, e, ritengo, sono state anche accolte talune delle osservazioni che provenivano dall'opposizione. Per la modesta esperienza che ho, ritengo comunque che non sia la prima volta che accade che un testo arrivi in Aula in questo modo, al di là di come si sono conclusi i lavori, cioè non completamente studiato e analizzato dalle Commissioni di merito (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

ALBERTO GIORGETTI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, penso che ci troviamo di fronte ad un film già visto tante volte in quest'Aula nel corso di questa legislatura. Sappiamo già che domani mattina sarà posta la questione di fiducia, con tutto quello che ciò comporta e con tutto quello che ne consegue. Ora, però, anche per riprendere le questioni che sono state poste all'inizio della seduta, è chiaro che ci troviamo di fronte a un meccanismo Pag. 17che... io non so: precedenti vi saranno anche stati (del resto, ogni precedente fa storia a sé, per le motivazioni che ogni volta hanno portato a stabilirlo).
È evidente però che, se passasse ora l'idea che ogni volta si lavora solo su decreti-legge - e questa è già quasi diventata una realtà, più che un'idea - e che ogni volta il decreto-legge va all'esame della Commissione per poi giungere ad un voto globale e si ritenesse con ciò assolta la funzione del Parlamento, saremmo di fronte ad un cambiamento della Costituzione ancora più forte e più rilevante di quello che è già in atto con il fatto che si lavora solo su decreti-legge.
Ma credo - e questa è la cosa grave - che qualcuno dovrà comunque prendere una posizione. Leggo infatti dalla lettera che il Presidente della Repubblica ha scritto il 15 luglio scorso, nella quale ad un certo punto, riferendosi in quel caso al disegno di legge sulla sicurezza, afferma: «ritengo doveroso ribadire oggi che è indispensabile porre termine a simili prassi, specie quando si legifera su temi che - come accade per diverse norme di questo provvedimento - riguardano diritti costituzionalmente garantiti e coinvolgono aspetti qualificanti della convivenza civile e della coesione sociale».
A seguito di questa lettera, il Presidente del Consiglio ha dichiarato che intende adeguarsi ai rilievi che il Presidente della Repubblica ha mosso con riferimento a quel caso (ed eravamo in presenza di un disegno di legge).
Oggi siamo invece in presenza di un decreto-legge che di per sé è opinabile se avesse i requisiti previsti dalla Costituzione, ma noi accettiamo l'idea che, avendolo il Presidente della Repubblica emanato, egli abbia esercitato, dal suo punto di vista, il vaglio di legittimità costituzionale (e può darsi che, essendo materia opinabile, noi si abbia, di questo vaglio, un concetto diverso da quello del Presidente della Repubblica, e dunque accettiamo che il Presidente della Repubblica abbia deciso in quel modo).
Ma oggi il Presidente della Repubblica si troverà di fronte ad un provvedimento che è totalmente stravolto rispetto a quello che ha sottoscritto, e non in parti piccole o minimali. Si introducono una sanatoria che riguarda le badanti (e quindi riguarda la legge sull'immigrazione appena varata), una sanatoria che riguarda il rientro dei capitali dall'estero (dove si trovano a seguito di evasione conclamata) e una riforma delle pensioni: di fronte a tutto ciò non posso che restare attonito, perché provvedimenti di clemenza, che hanno di per sé un rilievo costituzionale proprio perché sono provvedimenti di clemenza, finiscono dentro un decreto-legge in questo modo! Ma stiamo scherzando? Qui siamo veramente di fronte ad uno stravolgimento totale dei principi costituzionali: quelle misure - sanatoria e immigrazione, sanatoria e rientro dei capitali dall'estero, riforma delle pensioni - avevano di per sé bisogno di provvedimenti a sé stanti e certamente non in forma di decreto-legge, perché presupponevano che le Commissioni di merito potessero vagliarli in modo appropriato (penso, ad esempio, alle misure sulle pensioni che non passano nemmeno per il vaglio della Commissione lavoro, e ciò a me pare assolutamente fuori luogo, così come accade per altre parti).
I casi allora sono due. Il Presidente della Repubblica si è espresso in un certo modo e il Presidente del Consiglio ha fatto una dichiarazione di acquiescenza rispetto alle dichiarazioni del Presidente della Repubblica, ma puntualmente oggi siamo di fronte ad un atto che è in totale contrasto con quelle dichiarazioni. Allora, a mio avviso i casi sono appunto due. Posto che verrà chiesta la fiducia e che quindi questo provvedimento andrà alla firma del Presidente della Repubblica, qualcuna delle due istituzioni ne uscirà con le ossa rotte: se il Presidente della Repubblica lo promulga, lo farà in contrasto con una lettera che ha scritto quindici giorni fa; viceversa se lo rinvia, evidentemente vi è qualcun altro che finisce nel tritacarne ed è il Governo (ma certo una delle due parti non uscirà bene da questa vicenda).
Naturalmente, anche noi non siamo stati favorevoli a come si è conclusa questa Pag. 18vicenda nelle Commissioni. Se mi limito a guardare quei tre o quattro articoli sui quali abbiamo discusso, devo dire che quello è il modo di discussione degno di un'attività di Commissione parlamentare. Sugli articoli sui quali abbiamo svolto degli approfondimenti, abbiamo discusso sempre in modo costruttivo e abbiamo trovato soluzioni migliorative; è evidente che questo era il lavoro che dovevano continuare a svolgere le Commissioni. L'interruzione forzata di quel lavoro toglie validità a tutto ciò che è avvenuto, anche a quegli articoli discussi - lo ribadisco - in modo appropriato ed adeguato.
Entrando nel merito del provvedimento, noi abbiamo presentato degli emendamenti migliorativi. Mi limiterò a sottolineare quelli che mi stanno particolarmente a cuore perché affrontano determinate questioni. Sull'articolo 1, che riguarda gli ammortizzatori sociali è evidente che siamo di fronte ad un duplice problema. Da un lato, si tratta di un intervento necessario per permettere alle famiglie di quei lavoratori che hanno, di fatto, perso il posto di lavoro di poter continuare ad avere una fonte di reddito, sia pure ridotta. Però, questo Governo, questa maggioranza, continuano a dimenticare che la situazione del mercato del lavoro oggi è radicalmente diversa da quella di dieci anni fa. Oggi esistono 3 milioni di lavoratori che non possono, in larga parte, fruire di questo tipo di interventi e che hanno perso il loro posto di lavoro semplicemente perché hanno un contratto che non è stato rinnovato. Per questi lavoratori, in questo decreto-legge cosiddetto anticrisi, non è previsto un centesimo! Credo che non sia immaginabile lasciare senza sostegno famiglie che hanno accettato un lavoro flessibile. È evidente che il lavoro flessibile è una necessità delle imprese, ma ciò non può avere un effetto negativo nei confronti di quei lavoratori che accettano questa logica; quanto meno tra un lavoro flessibile ed un altro, deve essere previsto il diritto ad essere sostenuti così come avviene per ogni altro tipo di lavoratore. Non è previsto un centesimo perché quel pochissimo che era stato previsto si è rivelato, come era evidente, non solo inadeguato, ma di fatto riservato ad un numero estremamente limitato di persone: solo 1.800 lavoratori hanno potuto fare domanda avendo i requisiti per accedere a quel limitatissimo provvedimento che servirà a poco o a niente. Noi avevamo proposto delle soluzioni anche dal punto di vista delle coperture e non averle accettate credo sia stato abbastanza sbagliato.
L'altro tema riguarda gli abusi che si sono fatti della cassa integrazione che si perpetueranno da questo momento in avanti, considerata la creatività di questo provvedimento che prevede di far tornare i lavoratori a lavorare pur essendo in cassa integrazione. Penso che non vi sia nulla di peggio di un tale intervento. Per questo proponiamo, così come avevamo già fatto sette mesi fa, ad un Governo sordo di realizzare un intervento sul tipo di quello tedesco, dove è all'azienda che mantiene i posti di lavoro e rifiuta il concetto di cassa integrazione che si dà un sostegno, non a quella che prima pone i lavoratori in cassa integrazione e poi li riassume.
Qui siamo a un controsenso assoluto a mio giudizio; se si volevano evitare abusi si dovevano seguire altre strade. Per quanto riguarda l'articolo 2 prima abbiamo sentito il relatore raccontarci, con dovizia di particolari, questi tentativi di limitare la Commissione da un lato, di limarla dall'altro, di fare un intervento sui giorni. Ma questo è veramente antiliberale! Lasciamo al mercato e alle parti farsi le regole delle Commissioni, anche perché ogni volta la banca... (Commenti del deputato Conte).
Cosa c'è colleghi? Mi dispiace ma io parlo in questo modo, cercherò di allontanarmi, ci vuole la sordina.

ROBERTO GIACHETTI. Vogliono metterci la sordina!

FABIO EVANGELISTI. Tanto siete sordi alle nostre argomentazioni!

ANTONIO BORGHESI. Non fatemi perdere il filo del mio intervento. Siamo in Pag. 19presenza di un inseguimento del gatto al topo, dove il topo è la banca (un topo - forse è un po' irriguardoso dirlo - che dalle mie parti diremmo una pantegana da quanto è grosso), che quindi sarà capace immediatamente di adattarsi alla nuova situazione. Infatti il vero problema è l'asimmetria informativa delle parti: da un lato vi sono i clienti, le piccole e medie imprese, gli artigiani, i piccoli commercianti, non certo la FIAT perché è questa che detta le regole alla banca. Allora qui bisognava avere il coraggio di ribaltare il concetto, e di intervenire in un altro modo, quello di rendere trasparente il mercato.
Qui c'era la nostra proposta, e devo dire che era - credo - così significativa e vera che sia il sottosegretario Alberto Giorgetti (presente in Aula) sia il relatore Fugatti l'hanno capita dando parere favorevole. Ma, ahimè, le banche sono dei soggetti rilevanti, sono quello che si dice le forze economiche che controllano la politica, e - guarda caso - naturalmente l'idea che si creasse trasparenza del loro mercato, l'idea che fossero costretti davvero a fare mercato e a fare concorrenza dava fastidio. È meglio pescare nel torbido dove si possono imbrogliare i cittadini, dove si possono imbrogliare i piccoli imprenditori, dove si possono imbrogliare le piccole imprese, caricando su di loro costi dopo costi. Infatti l'indicatore che noi proponevamo obbligava la banca a dire quale era la percentuale comprensiva di tutte le spese, nessuna esclusa. Così, invece di giocare sul fatto che viene dato un prestito al 6 per cento e poi uno scopre che è al 12, erano obbligati a dire subito al cliente: il costo complessivo è il 12 per cento su base annua. Diventava facile per il cliente capire che cosa stava succedendo. Diventava facile andare da un'altra banca, fare il confronto tra i tassi e capire quale era realmente il soggetto che offriva le condizioni migliori. Così Tremonti, il «condonatore», ha deciso che si doveva cambiare parere e il parere è stato cambiato.
Per quanto riguarda l'intervento sugli utili reinvestiti, si tratta di un intervento a pioggia, privo di selettività. Noi oggi offriamo ad imprese al limite della decozione, ad imprese che probabilmente sono marginali e non riusciranno a stare sul mercato al termine di questa crisi, un'ipotesi di vantaggio di tipo fiscale a condizione che facciano un acquisto. Si tratta di un bonus acquisti per le imprese, non un reinvestimento di utili. Per questo noi avevamo fatto una proposta, che era la ripresa della vecchia Tremonti-bis, che aveva un pregio (ovviamente escludendo gli immobili, escludendo le autovetture), perché essendo fondata sugli investimenti degli ultimi tre anni poteva essere utilizzata dalle imprese che avevano già in atto investimenti; imprese che prevedibilmente erano imprese innovative, capaci di stare sul mercato perché avevano un piano di attività già in essere.
Quindi quel provvedimento premiava le imprese che al termine della crisi si trovavano pronte a riprendere meglio un percorso di sviluppo e non realizzava un intervento a pioggia, come invece è stato fatto, peraltro appena corretto. Prendiamo atto che il Governo - meglio tardi che mai - l'ha capito. Già all'inizio avevamo presentato un emendamento perché tutto l'intervento andasse a vantaggio della patrimonializzazione delle imprese, delle piccole e medie imprese. Avevamo inoltre chiesto che, piuttosto che questo a mio giudizio non obbrobrio ma comunque intervento assai discutibile, la detassazione riguardasse gli utili che le imprese trasferivano al capitale. È stato fatto ma in misura modesta mentre doveva esser fatto in misura molto più rilevante così come doveva essere reintrodotta la possibilità di detassazione degli investimenti in ricerca da parte delle imprese. Se si tratta di un decreto-legge anticrisi, dalla crisi si esce con l'innovazione e con la ricerca e non sostenendo imprese e settori che non avranno più alcuna possibilità di crescita. Infatti quando il mercato ripartirà, lo farà in Cina per quel tipo di imprese e non certo nel nostro Paese. Era dunque necessario puntare sull'innovazione e, invece, abbiamo eliminato un elemento che doveva servire a questo scopo. Pag. 20
Vengo rapidamente ad un altro aspetto: qui siamo all'immoralità vera e propria. È inutile che ci dicano che l'intervento sul rientro dei capitali all'estero è un intervento limitato e che non si tratta di un vero e proprio condono. Scusatemi, quando vado a leggere questo passaggio nel comma 3: il rimpatrio ovvero la regolarizzazione si perfezionano con il pagamento dell'imposta e non possono in ogni caso costituire elemento utilizzabile a sfavore del contribuente, in ogni sede amministrativa o giudiziaria, in via autonoma o addizionale.
Il comma 4 stabilisce quali sono gli effetti prodotti dal pagamento dell'imposta ma prevede che restano comunque esclusi dal campo di applicazione i reati, ad eccezione dei reati di dichiarazione infedele e di omessa dichiarazione ma non si precisano i limiti del reddito sul quale è calcolato il 5 per cento che è previsto come imposta da pagare per il rientro. E allora che cosa accade? Chiunque compia un intervento anche minimale di rientro di capitali - infatti non è necessario dimostrare come sono stati portati all'estero - si cautela dal fatto che non potrà avere accertamenti, non gli potrà essere contestata la dichiarazione infedele né i reati che qui invece si intenderebbero ancora perpetrati da parte di questi soggetti. Infatti si sarebbe dovuto precisare quali erano i limiti per la contestazione non contestabili, che non potevano che essere limitati al provvedimento. Questo diventerà un'amnistia, un condono totale e tombale per molti, moltissimi contribuenti che hanno conti aperti o che hanno evasioni rilevanti in essere in questo momento.
Diventa persino ridicolo l'intervento del nostro Ministro «condonatore» Tremonti che una volta si è presentato ad una conferenza stampa dicendo: «Noi abbiamo compiuto un intervento che nessuno aveva compiuto. Consideriamo illegale ed evasione fiscale ciò che è depositato all'estero ribaltando l'onere della prova». Sì, grazie, ma se immediatamente emani un provvedimento di questo genere che permette di condonare qualunque cosa! Perché ci prende in giro quel Ministro? Perché ci prende in giro con la questione degli arbitraggi? Intanto la norma di prima che considera evasione ciò che è all'estero ha riguardo soltanto per le persone fisiche e non per le imprese, già questo diventa una limitazione assolutamente incredibile della portata della norma. Inoltre circa la questione degli arbitraggi, ho presentato da tempo un'interrogazione al signor Ministro «condonatore» Tremonti (condonatore perché è lui il maestro dei condoni).

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE (ore 11,30)

ANTONIO BORGHESI. Vorrei soltanto ricordare che tra il 2001 e il 2006 il Ministro Tremonti ha emanato una serie di condoni in base al quale le persone si sono autodenunciate per imposte di condono da pagare che ammontavano a 11 miliardi di euro ma ne ha incassati soltanto 6 su 11. Per questo dico con risultati molto discutibili. Ha previsto nel bilancio dello Stato quei miliardi ma non li ha poi incassati.
Vengo alla questione degli arbitrati: vi è una mia interrogazione, da tempo pendente, in cui racconto che due banche - e non due piccole banche, ma quelle contro le quali parla costantemente il nostro Ministro di giorno, salvo poi andarci a letto la notte, evidentemente, perché è la notte che poi porta consigli come quello di far cambiare il parere favorevole su quell'emendamento di cui ho parlato poc'anzi - come Intesa e Unicredit, insieme a Barclays, con una sola operazione di arbitraggio discutibile, opinabile e quindi a mio giudizio di evasione fiscale e non di elusione fiscale, hanno sottratto al fisco italiano 30 milioni di euro, mentre io sono ancora in attesa di risposta. Sono ancora in attesa della risposta del signor Ministro a quella interrogazione. Tra l'altro un nostro giornale economico ha interrogato e una di queste banche ha in qualche modo ammesso questa operazione, quindi sarebbe ora che vi fosse una risposta. Pag. 21
Vorrei ancora ricordare la questione degli obbligazionisti o azionisti Alitalia. Ancora una volta si tratta di un'altra questione su cui il Presidente del Consiglio e il Ministro Tremonti hanno sostenuto: «Non perderanno niente i risparmiatori che hanno in portafoglio obbligazioni e azioni Alitalia, perché noi impediremo che da quell'operazione ci perdano». Ecco qua invece un meccanismo che determina perdite rilevanti per chi ha creduto in un'azienda di Stato. Non va mai dimenticato che molti di coloro che vi hanno creduto erano dipendenti, le cui spettanze sono state in parte pagate con obbligazioni e azioni. Oggi cosa hanno in cambio? Agli obbligazionisti si dà più o meno il 70 per cento del valore nominale, ma glielo si dà di fatto incassabile fra tre anni, quindi è evidente che vi è una perdita rilevante da parte di tali soggetti. Per gli azionisti va ancora peggio. Qualcuno dirà: «Sì, ma sono azionisti, quindi sapevano che correvano un rischio». Qui vi erano alcuni nostri emendamenti, che miravano a portare almeno al 100 per cento del valore nominale (che comunque era una perdita dal punto di vista finanziario) e che raddoppiavano la quota destinata agli azionisti.
Anche su questo evidentemente si è preferito invece discutere, creare e dare grande appoggio ai giochi (al business dei giochi, perché questo è, e non a caso i corridoi pullulavano di soggetti legati al business dei giochi in questi giorni) e hanno avuto addirittura anche vantaggi in termini di sanatorie rispetto a multe già accertate, già rilevate e già iscritte nel bilancio dello Stato a nostro giudizio, anche se un chiarimento totale su questo punto non vi è stato da parte del Governo.
Non parliamo poi delle proroghe, tra le quali voglio solo ricordarne due che sono particolarmente significative: quella della class action o azione risarcitoria collettiva è veramente l'assurdo dell'assurdo, perché è stata inserita nel decreto-legge del Governo in esame il giorno dopo che questo Parlamento ha approvato una modifica alla normativa esistente, che già era penalizzante nei confronti dei soggetti che potevano fruirne, perché aveva sancito la non retroattività, salvando così i Tanzi, salvando la vicenda Cirio, salvando le banche che ne hanno approfittato in passato, salvando i bond dell'Argentina, salvando l'insalvabile, ciò che moralmente era non salvabile. Basta che facciamo un parallelo tra la vicenda Tanzi e la vicenda americana: quel signore che ha creato tanti danni ai risparmiatori è stato condannato a 150 anni di carcere e non gli hanno fatto neanche lo sconto per l'età.
Pertanto, egli passerà gli ultimi anni della sua vita, finché vivrà, dentro una galera, per aver causato un danno che, significativamente, è pari a circa tre o quattro volte il danno causato dal signor Tanzi che, invece, se ne sta libero nella sua villa dorata e che, addirittura, ha potuto riprendere impunemente l'attività, forse, per truffare nuovamente altri cittadini. Di fronte a questo e di fronte al fatto che il Parlamento approva una modifica - che voi volete - per salvare questa gente, il giorno dopo, stabilite un ulteriore rinvio, perché ancora non vi basta.
Allo stesso modo, per l'altra vicenda incredibile dei terremotati di Abruzzo, per i quali si prevede addirittura, per poter procedere all'iscrizione in bilancio, il rientro delle tasse che erano state sospese, e glielo si chiede a partire dall'inizio dell'anno prossimo, con una significativa modifica, in negativo, rispetto a tutti gli altri terremotati. Mi preme ricordare, in questa sede, che ancora con l'ultima legge finanziaria, sono stati inviati 38 milioni di euro ai terremotati del Belice, mentre ai terremotati di Abruzzo - terremoto avvenuto qualche mese fa - già gli si chiede, a partire dall'inizio dell'anno, di pagare le tasse che erano state sospese.
Non parliamo, poi, delle pensioni. Già all'inizio del mio intervento, ho affermato che in relazione a questi temi, vi era il dovere costituzionale di trattarli in modo singolo, individuale e con una discussione adeguata, e non certo infilandoli, in modo surrettizio, all'interno di un decreto-legge, la cui discussione, poi, non è avvenuta neanche in Commissione, in virtù di quella tagliola, che è stata posta all'ultimo momento, Pag. 22e che ha portato all'approvazione in blocco anche del provvedimento sulle pensioni.
Anche in questo caso, era necessario avere coraggio. Noi, almeno, avevamo dato dei suggerimenti: che, almeno, quei risparmi andassero direttamente a vantaggio delle donne, visto che erano i soggetti colpiti da questo provvedimento. Un disegno di legge a prima firma dell'onorevole Donadi, presentato nella scorsa legislatura, prevedeva questa ipotesi: che quei risparmi andassero a vantaggio delle donne nella fascia di età in cui, tipicamente, si trovano di fronte a maggiori difficoltà, cioè nel momento della nascita dei figli e, nella fase successiva, nel periodo in cui i figli devono essere cresciuti. Invece no, si opera un rinvio indistinto a qualcosa di carattere sociale e di non precisato.
In conclusione, signor Presidente, dubitiamo che il presente decreto-legge abbia i requisiti previsti dalla Costituzione, di per sé. Accettiamo, tuttavia, come ho detto all'inizio, che il vaglio del Presidente della Repubblica l'abbia ritenuto, comunque, nei limiti della costituzionalità. Ribadisco che, alla luce della lettera che il Presidente della Repubblica ha inviato il 15 luglio scorso al Presidente del Consiglio, dubito che i citati requisiti possano sussistere, oggi, nel decreto-legge in oggetto, in seguito alle tre riforme che sono state inserite: sanatoria per le badanti, sanatoria per il rientro dei capitali dall'estero e riforma delle pensioni.
A mio avviso, uno dei due organi costituzionali - Governo o Presidente della Repubblica - uscirà da questa vicenda, comunque, con uno scontro (e si sentirà un rumore di ferraglia), perché, evidentemente, o si rispetterà il rilievo avanzato dal Presidente della Repubblica - e non si poteva fare ciò che si è fatto - oppure, il Presidente della Repubblica sarà costretto a rimangiarsi ciò che solo il 15 luglio ha scritto (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fluvi. Ne ha facoltà.

ALBERTO FLUVI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci troviamo, di nuovo, a parlare di un altro provvedimento economico. È passato, ormai, un anno dall'approvazione, in quest'Aula, di quella manovra triennale che, non solo, avrebbe dovuto consentire di mettere in sicurezza i conti pubblici - come, più volte, ha affermato il Ministro Tremonti - ma, soprattutto, avrebbe dovuto permettere di evitare quel suk delle leggi finanziarie, che impegnavano il Parlamento da ottobre a dicembre.
Ricordo ancora i plausi per l'interventismo del Governo, per il suo piglio decisionista, per la capacità dell'Esecutivo di stare, una volta tanto, al passo con l'economia. Ho l'impressione che questi obiettivi siano stati entrambi mancati e cercherò di spiegare perché.
Signor Presidente, non le sarà sfuggito che è dall'inizio della legislatura che le Commissioni V e VI lavorano congiuntamente per affrontare i provvedimenti economici. Con questa considerazione intendo dire che si ha l'impressione che siamo andati oltre la legge finanziaria che occupava il Parlamento da ottobre a dicembre, per avventurarci in una legge finanziaria che, ormai, impegna il Parlamento tutto l'anno. Non solo, tutti i provvedimenti sono stati adottati a mezzo di decreti-legge, quindi con tempi di discussione estremamente limitati e con nessuna agibilità di discussione in quest'Aula parlamentare a causa dei continui voti di fiducia. Ho l'impressione che anche questo provvedimento seguirà la stessa sorte.
Signor Presidente, non siamo innamorati delle precedenti sessioni di bilancio, anzi, siamo interessati - lo abbiamo dichiarato più volte - a portare a conclusione l'iter di modifica della legge di bilancio avviato al Senato, ma, quanto meno, le vecchie sessioni di bilancio avevano delle regole, delle procedure, dei tempi definiti: qui no, qui siamo all'assurdo di un decreto-legge approvato all'inizio di luglio, con trenta giorni per la sua conversione - in luogo dei sessanta previsti dalla Costituzione a causa della chiusura estiva del Parlamento - e con Pag. 23proposte emendative del relatore e del Governo che arrivano nel corso dell'esame nelle Commissioni riunite, modificando in maniera sostanziale il testo originario.
Abbiamo apprezzato lo sforzo del Presidente della Camera, teso a garantire qualche giorno in più per la discussione di un provvedimento che contiene moltissime materie da affrontare: dagli ammortizzatori sociali all'energia, dagli incentivi alle agevolazioni per gli investimenti e alla tassazione della Banca d'Italia, dalle obbligazioni Alitalia al terremoto in Abruzzo, dalla tassazione sulle sofferenze bancarie agli interventi sul settore della sanità, e potrei continuare. Converrà, però, con me, signor Presidente, che, con la presentazione degli emendamenti sul condono fiscale per i capitali esportati illegalmente all'estero e sulle cosiddette pensioni rosa, proposte emendative presentate a metà della settimana scorsa, il quadro di riferimento, già molto complesso all'inizio, sia radicalmente cambiato. Abbiamo da subito richiesto il ritiro dei due emendamenti per consentire un più agevole lavoro delle Commissioni, ma, nonostante il rifiuto del Governo e del relatore, siamo stati in Commissione, ci siamo confrontati nel merito dei singoli emendamenti e abbiamo chiesto, inascoltati, di poter discutere su articoli per noi importanti, come quello sulla detassazione degli investimenti o quello sul terremoto in Abruzzo.
Non abbiamo partecipato al voto finale, signor Presidente, non vi abbiamo partecipato per non renderci complici, per non avvalorare quella che a noi è sembrata una vera e propria forzatura da parte dei presidenti di Commissione. Non riprendo le considerazioni svolte stamani dai miei colleghi di gruppo, ne faccio solo una per sviluppare un concetto già introdotto dall'onorevole Baretta. La legislatura è appena all'inizio, mancano ancora quattro anni. Abbiamo e avremo da affrontare provvedimenti più complessi, sia di natura economica, sia di natura ordinamentale, provvedimenti più vari e sicuramente tutti importanti. Credo, signor Presidente, che sia interesse di tutti, maggioranza e opposizione, trovare il modo e le sedi per una riflessione sull'organizzazione dei lavori parlamentari, per una riflessione, prima ancora che sui rapporti tra maggioranza e opposizione, sui rapporti tra Governo e Parlamento.
Queste considerazioni non esauriscono la nostra critica al provvedimento, che non riguarda solo il tema del condono e quello delle pensioni, ma che riguarda l'impianto stesso del provvedimento: essa muove dalla convinzione che il testo approvato dal Governo e anche quello licenziato dalle Commissioni, nonostante alcune modifiche, così com'è non serve a fronteggiare la crisi. Ancora una volta abbiamo la convinzione che Governo e maggioranza stiano lasciando sole famiglie e imprese a confrontarsi con i colpi della crisi economica.
Abbiamo più volte detto in questi giorni che la discussione che abbiamo avviato è partita dalla coda e non dalla testa. Saremmo dovuti, a nostro avviso, partire dal Documento di programmazione economico-finanziaria, da un confronto sulla situazione della finanza pubblica e sull'andamento dell'economia. Tale percorso avrebbe dovuto incontrare l'approvazione del rendiconto e dell'assestamento e solo dopo avviare il confronto su un provvedimento anticrisi.
Capite bene che non è solo una questione formale o procedurale: un quadro di riferimento condiviso è, a nostro avviso, il presupposto per l'approvazione di misure efficaci e il quadro di riferimento non può che essere rappresentato dall'andamento della finanza pubblica, dal rapporto deficit-PIL, che si avvia a sforare il 5 per cento, o dal rapporto debito-PIL, che si avvia pericolosamente a raggiungere il 120 per cento - signor Presidente, dal 1994 sono passati 15 anni e abbiamo lo stesso rapporto debito-PIL -, dall'andamento delle entrate, il cui crollo non può essere addebitato alla sola congiuntura (basterebbe fare riferimento all'andamento dei consumi e al calo delle entrate, dell'IVA, per rendersi conto che c'è qualcosa di più rispetto alla sola congiuntura) oppure dall'incremento della spesa corrente o dall'andamento del prodotto interno lordo le Pag. 24cui previsioni per l'anno in corso dicono che chiuderemo con un meno 5,2 per cento.
Credo che occorra partire da qui per affrontare la crisi, da una riflessione su quella cornice che ha sostenuto sino ad oggi il vostro immobilismo e il vostro impianto di politica economica. Ma se il quadro di riferimento è questo, stupisce a mio avviso il silenzio di tanti autorevoli commentatori: non si tratta, onorevoli colleghi, di essere ottimisti o pessimisti, perché credo che il compito di una classe dirigente sia uno solo, quello di essere realisti. Credo che il nostro compito sia quello di dire la verità agli italiani per chiamare a raccolta tutte le risorse endogene, tutte le competenze e le risorse di cui questo Paese dispone per fronteggiare una crisi che sta mettendo a dura prova interi territori del nostro Paese.
Vorrei rivolgermi al Governo e alla maggioranza per ribadire la nostra disponibilità ad un confronto su questo, che abbia al suo centro la crisi, la tenuta sociale del Paese e il rilancio del sistema economico e produttivo. Lo diciamo con la consapevolezza della limitata possibilità di intervento a causa dei vincoli imposti dal quadro di finanza pubblica, ma è proprio per questo che serve uno sforzo nazionale, corale che coinvolga tutte le forze politiche e sociali nella definizione di un progetto condiviso che accompagni famiglie e imprese fuori dalla crisi e che getti le basi per far in modo che dalla crisi il nostro sistema economico esca più competitivo di come vi è entrato.
Noi siamo disponibili da subito, a partire da oggi: poniamo una domanda e chiediamo una risposta. Ripetiamo, anche in questo caso, quello che abbiamo detto in sede di Commissioni: ritirate quei due emendamenti, ritirate l'emendamento sul condono fiscale e quello sulle pensioni e noi saremo disponibili a ritirare gran parte dei nostri emendamenti per concentrare la discussione su poche questioni a nostro avviso qualificanti.
Fra l'altro, per quei due emendamenti - relativi a condono e pensioni - mancano anche i requisiti di necessità e di urgenza: il condono non porta gettito per la copertura della manovra e in materia di pensioni vi sono norme che entreranno in vigore nel 2015. Dov'è l'urgenza per inserirli in un decreto-legge su cui porrete la questione di fiducia?
Mi permetta, signor Presidente, di soffermarmi brevemente sul condono dei capitali esportati illegalmente all'estero. Noi avevamo riposto grandi aspettative e speranze nelle dichiarazioni del G20 circa la comune volontà di combattere i paradisi fiscali e sulla necessità di individuare regole comuni per fronteggiare la crisi che ha colpito i mercati finanziari di tutto il mondo. Non parlerò di morale, di etica, di comportamento criminoso, mi limito a sottolineare come quella italiana sia una fuga solitaria al di fuori di qualunque posizione condivisa a livello europeo ed internazionale.
Solo per memoria, vorrei leggere alcune misure sulle quali stanno lavorando alcuni Paesi. Penso agli Stati Uniti, che stanno studiando una misura per cui si pagheranno le imposte al 100 per cento più il 20 per cento di sanzioni, oppure alla Gran Bretagna, dove sono previsti due tipi di sanzioni, le imposte dovute, più il 10 per cento o il 20 per cento per chi non ha utilizzato il precedente condono, o alla Francia, dove si paga l'imposta dovuta più una penale in misura ridotta rispetto alle sanzioni normalmente previste. Sono solo alcuni esempi.
In Italia con il provvedimento che state per approvare si pagherà una misura irrisoria, un'aliquota irrisoria su un rendimento previsto del 2 per cento. Ora è difficile spiegare il rischio che un soggetto si assume portando all'estero i capitali per un rendimento così basso del 2 per cento; ebbene, su questo si pagherà l'1 per cento all'anno per cinque anni, quindi al massimo il 5 per cento ed inoltre sarà garantito l'anonimato. Al riguardo vorrei svolgere solo una considerazione: sul rendimento di un BOT si paga il 12,5 per cento, per un'operazione di questa natura l'1 per cento l'anno. Chiamatelo come volete, noi lo chiamiamo condono. Pag. 25
Ieri, il Ministro dell'economia ha ribadito che l'Italia è la seconda manifattura d'Europa dopo la Germania: è vero, ma è proprio per questo che il nostro Paese, al pari della Germania, soffre del crollo della domanda internazionale e del calo della domanda interna. Non è necessario andare a scomodare le previsioni del Fondo monetario e dell'OCSE per rendersi conto di come la crisi si stia scaricando sui territori, si stia scaricando pesantemente su quel tessuto di piccole e piccolissime imprese che è l'ossatura, l'asse portante del nostro sistema economico. Dire che è urgente intervenire rischia di essere un eufemismo, ma io avverto che cominciano a manifestarsi i primi segni di incrinatura della coesione sociale: vi sono rischi di tenuta di pezzi grandi del nostro tessuto economico. Colleghi, la coesione sociale è un bene prezioso che non possiamo permetterci il lusso di disperdere; in questi anni si è ampliata la forbice fra chi ha e chi non ha. Per questo sono importanti le tutele, gli ammortizzatori sociali per chi perde il posto di lavoro indipendentemente dal tipo di contratto e, quindi, è necessario estendere gli ammortizzatori sociali anche a coloro che ne sono sprovvisti.
Vorrei concludere su questo aspetto con una riflessione: sono convinto, onorevoli colleghi, che se dalla crisi non usciamo con un di più di solidarietà, con un di più di coesione, rischiamo di perdere un'occasione, non solo economica, ma prima di tutto politica e culturale.
Così com'è necessario intervenire sul tema del credito. Il problema oggi si chiama liquidità, peggioramento delle condizioni di accesso al credito e aumento dei costi per l'accesso al credito. È difficile trovare un altro periodo nella storia del nostro Paese, dove sia così evidente la distanza tra gli annunci e la realtà, tra quello che dite alla televisione e quello che viviamo nella realtà: continui spot che non trovano riscontro nelle imprese sui territori. Vengono alla mente le dichiarazioni roboanti del Ministro Tremonti dell'ottobre scorso contro le banche e la responsabilità dei banchieri (vi ricordate che si parlava di galera), oppure quelle più recenti sulla scesa in campo dei prefetti per controllare le banche, fino a quelle più concilianti del tavolo di confronto con l'ABI di qualche giorno fa. La sostanza però non cambia: nonostante queste continue dichiarazioni i rubinetti del credito sono a secco.
Si ha quasi l'impressione allora che le banche, che pure hanno la loro responsabilità, siano diventate una sorta di paravento dietro al quale mascherare l'incapacità del Governo di affrontare e risolvere il problema. Inoltre, il Ministro si fa forte del fatto che l'Italia, a differenze di altri Paesi, non è dovuta intervenire a sostegno del sistema finanziario. È vero che non siete intervenuti a sostegno del sistema finanziario, ma mi consenta però di sottolineare, signor Presidente, come questa decisione la stia pagando il sistema economico, soprattutto le piccole e piccolissime imprese. Provate a chiedere voi agli artigiani o ai commercianti le condizioni di accesso al credito.
Se il tema è quello della patrimonializzazione degli istituti di credito, allora è necessario procedere o agli aumenti di capitale, o alla richiesta di quegli strumenti ibridi (i cosiddetti Tremonti bond) per rafforzare il patrimonio delle banche. Non si è fatto né l'uno, né l'altro, salvo due richieste per quanto riguarda i Tremonti bond. Si sono risolti i problemi diminuendo gli impieghi, ovvero scaricando sui territori il peso delle mancate scelte. Ripeto che si tratta di una scelta che sta penalizzando il tessuto di piccole e piccolissime imprese del Paese, non certo le grandi aziende che hanno altri strumenti per contrattare con le banche e per finanziarsi.
Scusate se insisto - e mi avvio a concludere - sulle piccole imprese. Ho la sensazione, infatti, che vi sia una sorta di accanimento nei confronti di quello che è l'asse portante del sistema economico italiano. Eppure pensavo - forse mi ero illuso - che un pezzo della maggioranza (penso alla Lega) altro non fosse che la rappresentanza politica, almeno in alcune aree del Paese, di un blocco sociale che fa Pag. 26perno sulla microimpresa, sugli artigiani, i commercianti e le partite IVA. Vi è, invece, come dicevo prima un accanimento.
Basta prendere il tema dell'energia affrontato in questo decreto-legge per rendersi conto come con l'introduzione all'articolo 3 dal concetto di regressività si arrivi all'assurdo che i minori costi di trasporto del gas ottenuti dalle grandi aziende energivore saranno pagati dalle piccole imprese e dalle famiglie. Oppure, il tema delle compensazioni IVA. La crescita abnorme delle compensazioni IVA è nota da tempo ed è giusto e corretto intervenire. Tuttavia, il meccanismo che avete introdotto all'articolo 10 altro non fa che appesantire i costi e le procedure burocratiche a carico delle imprese e produce nei fatti un allungamento dei tempi per le compensazioni. L'articolo 10 prevede, infatti, che i crediti IVA superiori a 15 mila euro non possano essere compensati prima del sedicesimo giorno successivo a quello di presentazione della dichiarazione IVA. Parliamo di un ritardo di quarantacinque giorni.
Anche l'articolo 5, seppure migliorato durante la discussione nelle Commissioni, rischia di escludere dal beneficio gran parte delle imprese in contabilità semplificata, quelle imprese più piccole che non possono riportare le perdite e quindi non possono utilizzare il beneficio. Meglio sarebbe stato introdurre, attraverso l'approvazione di un nostro emendamento, un credito di imposta per gli investimenti effettuati. Sarebbe stato immediatamente utilizzabile da una platea ampia di imprese. Signor Presidente, mi avvio alla conclusione, noi diamo, come avrà capito, un giudizio molto critico sul provvedimento, che affonda le radici nella consapevolezza o nella convinzione - forse è meglio - che le misure contenute in questo testo non rispondono alle domande che giornalmente famiglie e imprese si pongono di fronte alla crisi.
Non c'è dubbio che il decreto-legge contenga anche alcune pillole di buonsenso, ma perdono molto della loro efficacia nell'assenza di una politica economica autorevole, che sappia indicare al Paese una chiara direzione di marcia. Noi non ci stancheremo, nonostante tutto, di ricercare il confronto in quest'Aula e nel Paese. Noi vogliamo troppo bene all'Italia per rifugiarsi in una sterile opposizione, fine a se stessa. Vogliamo confrontarci sulle nostre idee e sulle nostre proposte, disponibili attraverso il confronto a modificarle. Concludo, facendo riferimento alla concezione che Gramsci aveva sui partiti. Egli diceva, nei Quaderni, che i partiti hanno un senso se fanno storia e se sono utili al Paese. Ecco, noi abbiamo quest'ambizione: il Partito Democratico non intende sfuggire a queste responsabilità, che derivano dall'essere la più grande forza riformista del Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Comaroli. Ne ha facoltà.

SILVANA ANDREINA COMAROLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, siamo qui per discutere sul decreto-legge del 1o luglio 2009, n. 78, recante gli interventi del Governo per fronteggiare la crisi, a testimonianza dell'impegno del Governo. L'azione del Governo è stata fortemente condizionata dalla crisi economica mondiale. Fin dal suo insediamento, si è adoperato per sostenere l'economia e la finanza, in particolare con il decreto-legge del 27 maggio 2008 n. 93, con l'abolizione dell'ICI sulla prima casa, la rinegoziazione dei mutui a tasso variabile e la detassazione degli straordinari, con il decreto- legge n. 112 del 2008, che prevede l'istituzione del fondo per i cittadini meno abbienti e l'addizionale IRES per le aziende petrolifere, con il decreto-legge n. 155 del 2008, a sostegno delle banche e degli istituti finanziari, con il decreto-legge n. 185 del 2008, cosiddetto anticrisi, in cui sono previsti il bonus alle famiglie, l'introduzione del tetto al 4 per cento delle rate dei mutui a tasso variabile, l'IVA per cassa, la deduzione dell'IRES dalla quota IRAP, la revisione degli studi di settore, la sottoscrizione pubblica delle obbligazioni bancarie speciali, il decreto-legge n. 5 di quest'anno, con incentivi a sostegno del Pag. 27settore delle auto, dei mobili e degli elettrodomestici.
Ora, era inevitabile intervenire nuovamente per cercare di dare slancio all'economia. Da diversi anni, i Governi che si succedono anticipano la legge finanziaria di fine anno con uno o più decreti estivi, oggi è più che mai necessario, visto che non si vedono significativi segnali di miglioramento degli indicatori economici. È un decreto-legge pensato per aiutare la ripresa dell'economia e delle imprese, da una parte, e delle famiglie, dall'altra. Da più parti, si sollecitava un intervento che potesse rilanciare gli investimenti delle nostre imprese e la cosiddetta Tremonti-ter credo risponda a questa esigenza. Si tratta di detassare al 50 per cento gli utili reinvestiti dalle aziende in macchinari e apparecchiature fino al 30 giugno 2010. L'incentivo è revocato se, ovviamente, l'imprenditore cede a terzi i beni oggetto dell'investimento, per finalità estranee all'esercizio di impresa, prima del secondo periodo di imposta successivo all'acquisto.
La detassazione degli investimenti era già stata proposta dal Ministro Tremonti nel 1994 e nel 2001; forse, quella del decreto-legge n. 78 di quest'anno è la soluzione che meglio contempera l'esigenza di stimolare gli investimenti limitando il minor gettito erariale, ma è anche più limitata nel campo di applicazione, e noi, con alcuni emendamenti del nostro gruppo, avevamo lo scopo di allargarla ad altri ambiti, proprio per agevolare soprattutto le piccole imprese.
Da questa misura scaturirà comunque un aumento dell'occupazione, della produttività e del reddito. Altro fronte caldo in questo anno di Governo è stato quello delle banche: da un lato, il Governo ha concesso un'apertura a favore del mondo creditizio, favorendo la capitalizzazione degli istituti di credito attraverso i Tremonti bond, dall'altro, grazie anche agli stimoli forniti dalla Lega, è intervenuto a favore dei piccoli clienti, dei piccoli risparmiatori e dei correntisti comuni.
Anche in questo decreto-legge, infatti, gli interventi vanno in questa direzione: fissare le valute a favore dei beneficiari per assegni o bonifici significa aumentare la trasparenza contrattuale e introdurre regole certe per i correntisti.
Il decreto legge n. 185 dell'anno scorso era già intervenuto a rendere nulla la commissione di massimo scoperto, ma le banche avevano, di fatto, sostituito tale balzello con varie commissioni dai nomi più diversi e fantasiosi (commissione per istruttorie urgenti, commissione per scoperto di conto, recupero spese per ogni sospeso, onere per passaggio a debito nel trimestre, commissione manca fondi), addirittura, in alcuni casi, a conti fatti, di importo più elevato rispetto alla precedente commissione di massimo scoperto.
Il decreto-legge n. 78, invece, interviene fissando un tetto massimo ai corrispettivi che le banche possono applicare per il servizio di messa a disposizione del denaro e nelle Commissioni è stato svolto un lavoro affinché le banche non abbiano scuse ulteriori. Altra norma introdotta da tempo a favore dei clienti delle banche era quella della surrogazione dei mutui; tale novità, però, ha dovuto fare i conti con la vischiosità del sistema bancario e con la naturale resistenza degli istituti di credito a lasciar andare i propri clienti.
Con il presente decreto-legge viene introdotto un risarcimento a carico della banca pari all'1 per cento del valore del mutuo per ciascun mese di ritardo o frazione di esso, se non procede alla surrogazione entro 30 giorni dalla data di richiesta del cliente. Tale misura dovrebbe senz'altro favorire la libera scelta da parte di chi ha un mutuo di andare alla ricerca delle migliori condizioni di mercato.
La data di disponibilità economica per il beneficiari di bonifici e assegni è stata ridotta; inoltre, ora i clienti di banche, quando riceveranno le variazioni contrattuali unilaterali da queste ultime, anziché gli attuali 60 giorni per esprimere il proprio dissenso, avranno 120 giorni di tempo.
Sono previste, inoltre, agevolazioni per i costi finanziari in favore delle sole piccole e medie imprese, da realizzare con una convenzione con l'Associazione bancaria Pag. 28italiana entro quattro mesi dall'entrata in vigore del presente decreto-legge.
Sono previsti, poi, nuovi sistemi di export bank, che consentiranno, anche tramite la Cassa depositi e prestiti, l'utilizzo dei fondi del decreto-legge n. 269 del 2003 per sostenere l'internazionalizzazione delle nostre imprese, quando le operazioni sono assistite da garanzia della SACE.
Con un emendamento presentato in Commissione, anche importi ridotti fino a 100 mila euro avranno garanzie dalla SACE, norma che va ad aiutare le nostre piccole e medie imprese che hanno contratti di fornitura all'estero più contenuti, ma comunque fondamentali per la nostra economia.
Sul tema delle compensazioni, è sicuramente da segnalare il fatto che sia stato innalzato il limite massimo dei crediti di imposta e dei contributi compensabili o rimborsabili, portandolo dall'attuale miliardo di lire a 700 mila euro: ciò consentirà maggiore agio alle nostre imprese.
Dall'altro, era necessario prevenire e limitare le compensazioni di crediti inesistenti; da qui, l'introduzione di alcuni adempimenti che possono, però, d'altra parte, in qualche modo ostacolare le piccole imprese, come il visto di conformità rilasciato da un esperto, la presentazione della dichiarazione IVA prima di effettuare la compensazione e il limitato importo di compensazione, che in Commissione abbiamo elevato a 15 mila euro.
Sempre per le imprese sono anche previsti sostegni finanziari per chi non licenzia, è prevista l'accelerazione dell'ammortamento dei beni strumentali dell'impresa, una riduzione dei costi dell'energia, maggior tempestività dei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni a fronte di somministrazioni, forniture e appalti, sgravi fiscali del 3 per cento sull'aumento del capitale sociale delle imprese sino a 500 mila euro, a partire dall'anno in cui l'aumento viene effettuato e nei quattro anni successivi. Un altro elemento del decreto-legge fiscale prevede che gli ispettori del fisco possano, nell'attività di lotta all'evasione, accedere alle carte, ma anche a notizie, date, informazioni relative all'attività di controllo e di vigilanza di natura creditizia, finanziaria e assicurativa svolta dalle authority di settore, cioè da Banca d'Italia, Consob e Isvap, creando una vera e propria banca dati antievasione.
Inoltre, per migliorare l'attuale insoddisfacente livello di trasparenza fiscale e di scambio di informazioni, e incrementando la cooperazione amministrativa tra gli Stati, l'Agenzia delle entrate costituirà un coordinamento con la guardia di finanza: un'unità speciale, dotata di articolazioni anche all'estero, per il contrasto dell'evasione ed elusione internazionali, per l'acquisizione di informazioni utili all'individuazione dei fenomeni illeciti e al rafforzamento della cooperazione internazionale.
Sui temi del rimpatrio dei capitali e delle misure già presenti nel decreto-legge n. 78 del 2009, occorre a parer mio sottolineare che nel recente G8 de L'Aquila i ministri hanno scritto che «non possiamo continuare a tollerare che ampi volumi di capitali vengano nascosti per sfuggire alla tassazione». Il cosiddetto, erroneamente, «scudo fiscale» è quindi un allineamento alle posizioni concordate delle più importanti economie mondiali: hanno già introdotto misure simili alla nostra Francia, Gran Bretagna, USA e Ungheria. Negli USA viene previsto il pagamento delle imposte dovute, più il 20 per cento del loro ammontare, evitando l'applicazione di tutte le misure penali. In Ungheria viene previsto il pagamento delle sole imposte, senza penali o maggiorazioni per le imprese, mentre per i privati è prevista un'imposta del 10 per cento. In Gran Bretagna lo scudo sarà aperto da settembre 2009 a marzo 2010, e prevede le imposte dovute, più il 10 per cento per chi non ha avuto la possibilità di aderire allo scudo del 2007, oppure le imposte dovute più il 20 per cento per chi ha ignorato lo scudo del 2007. In Francia è stato predisposto un numero di telefono con il quale, in forma anonima, il cittadino può avere informazioni e concordare un appuntamento per stabilire imposte, modalità di pagamento e sanzioni. Pag. 29
Nel decreto-legge vi sono poi le norme che hanno impatto sulla vita delle famiglie. Sono previsti progetti di formazione per i lavoratori in cassa integrazione che altrimenti sarebbero costretti a casa, l'inserimento sperimentale in progetti di riqualificazione professionale e formazione all'interno dell'azienda, anche con mansioni produttive. Ciò comporterà per il lavoratore, oltre al già previsto sostegno al reddito pari all'80 per cento, anche il restante 20 per cento; ovviamente si procederà previo accordo tra le parti, al fine di evitare abusi.
Il decreto-legge rifinanzia inoltre le proroghe a 24 mesi della cassa integrazione straordinaria per cessazione, con 25 milioni per il 2009 a valere sul Fondo sociale per l'occupazione; in via sperimentale, per il 2009-2010, l'integrazione salariale per i contratti di solidarietà è aumentata nella misura del 20 per cento del trattamento perso a seguito della riduzione di orario, nel limite massimo di 40 milioni di euro per il 2009, 150 milioni per il 2010.
Il provvedimento estende l'incentivo attualmente previsto per i datori lavoro che assumono anche ai lavoratori in cassa integrazione che decidono di avviare un'impresa o di associarsi in cooperativa. Nel decreto-legge vi sono anche norme più stringenti sulle invalidità civili: infatti dal 1o gennaio 2010 le Commissioni mediche dell'ASL saranno integrate da un medico INPS che diventerà un componente effettivo. L'accertamento definitivo sarà in ogni caso effettuato dall'INPS, che dovrà verificare anche la permanenza dei requisiti sanitari dei titolari di invalidità, cecità e sordità o disabilità.
Con un articolo aggiuntivo del Governo si è voluto mettere in regola coloro che fanno attività di assistenza e di sostegno alle famiglie.
Si potrà regolarizzare al massimo un lavoratore per nucleo familiare (due in caso di presenza di persona affetta da grave patologia o handicap che ne limita l'autosufficienza, certificata da struttura sanitaria). Lo scopo di tale articolo aggiuntivo è tutelare le famiglie che si trovano in condizioni per le quali è necessaria l'assistenza, verificando però caso per caso, in maniera selettiva, le reali necessità. Non è assolutamente una sanatoria: è il voler rispettare le esigenze dei cittadini. Infatti, la procedura per la regolarizzazione prevede una serie di misure per evitare ogni atto illecito: fra l'altro, con false dichiarazioni di emersione si rischiano fino a sei anni di carcere.
Per quanto riguarda l'emergenza abitativa, il decreto fiscale impone uno slittamento di sei mesi, quindi al primo gennaio 2010, dell'esecuzione degli sfratti. In particolare, il blocco di ulteriori sei mesi degli sfratti a favore degli inquilini riguarda i comuni che hanno oltre diecimila abitanti e che sono ad alta densità abitativa.
Il decreto anticrisi proroga inoltre il piano città sicure dal 4 agosto fino al 31 dicembre 2009. Il personale sarà a disposizione dei prefetti delle province. È dunque prorogata l'operazione strade sicure con un aumento di militari in aiuto di carabinieri e polizia. Tali militari saranno impegnati in pattugliamenti a piedi in ore serali. Complessivamente i militari impegnati saranno 4.250.
È poi importante sottolineare l'attenzione in favore dei risparmiatori che avevano investito in Alitalia, sia azionisti sia obbligazionisti. Il Governo ha stabilito che la percentuale di rimborso sale al 70,97 per cento per questi ultimi, mentre è al 50 per cento per gli azionisti. In verità, il Governo aveva più volte promesso un rimborso integrale, ma poi taluni avvenimenti a carattere straordinario, su tutti il tragico terremoto in Abruzzo, lo hanno costretto a spostare le risorse su altri provvedimenti.
Dal punto di vista della pubblica amministrazione, sono previste una serie di norme. Sul fronte delle limitazioni imposte a comuni e province dal patto di stabilità interna, si è provveduto allo sblocco dei residui passivi per un importo non superiore al 4 per cento, destinandoli a investimenti per un ammontare complessivo di 2 miliardi. Da questo punto di vista, si poteva fare di più, e infatti la Lega Pag. 30Nord ha presentato una serie di emendamenti proprio per aumentare le risorse a disposizione dei comuni: risorse che avrebbero dato un poco di ossigeno alla nostra economia.
Le donne nel pubblico impiego, visto l'incremento dell'aspettativa di vita, saranno equiparate gli uomini nel 2018 per quanto riguarda l'età pensionabile di vecchiaia; a partire già dal 2010 inizierà l'aumento dell'età pensionabile di vecchiaia di un anno ogni due. Le pubbliche amministrazioni potranno mandare in pensione i dipendenti con oltre 40 anni di contributi. Vi sarà poi un percorso di reclutamento speciale per il triennio 2010-2012 fondato sul concorso pubblico. È data comunque possibilità alle amministrazioni di poter riservare ai precari una percentuale pari al 50 per cento dei posti complessivi messi a concorso.
Al fine di assicurare la trasparenza delle attività istituzionali, è istituito l'indice degli indirizzi delle amministrazioni pubbliche, nel quale sono indicati la struttura organizzativa, l'elenco dei servizi offerti e le informazioni riferite al loro utilizzo, gli indirizzi di posta elettronica da utilizzare per le comunicazioni per lo scambio di informazioni e per l'invio dei documenti a tutti gli effetti di legge fra le amministrazioni e fra amministrazione e cittadini.
Concludendo, alla luce di quanto esposto, possiamo affermare che il decreto n. 78 è un provvedimento che dà una spinta all'economia e che mette le imprese in condizioni migliori per agganciare la ripresa: si tratta di interventi positivi nella direzione della tenuta dell'apparato produttivo. Si poteva fare certamente di più, ma la ristrettezza delle risorse, il debito pubblico che limita molte iniziative, il rispetto del patto di spesa pubblica, il tragico verificarsi di eventi come il terremoto in Abruzzo, al quale era nostro dovere devolvere in primis ogni risorsa disponibile per la ricostruzione, hanno limitato la portata del provvedimento.
La pressione fiscale resta tuttora elevata, sui valori massimi degli ultimi decenni, ed è per questo che sarà necessario fare quanto prima ancora di più per le nostre imprese, sia da un punto di vista fiscale, sia da un punto di vista della concorrenza sleale.
Il progresso nel contenimento della spesa corrente e nella lotta contro l'evasione fiscale, per la cui realizzazione sarà fondamentale il federalismo fiscale, sono elementi essenziali per consentire nel medio termine la riduzione delle aliquote di imposta sul lavoro e sulle imprese, proprio perché le nostre piccole e medie imprese sono il pilastro portante dell'economia reale e saranno loro che ci porteranno fuori dalla crisi.
Questo provvedimento ha messo in primo piano il fattore-famiglie, con la tutela del lavoro. Infatti una delle priorità del Governo è stata, in questo periodo di crisi, la coesione sociale, un presupposto fondamentale per la tenuta economica: l'alto grado di coesione sociale dipende non solo dalle scelte del Governo, ma anche dalla responsabilità dei lavoratori, dei produttori nonché dalla tenuta sociale e strutturale del nostro Paese.
Tutte le risorse possibili sono state concentrate sugli ammortizzatori sociali, ma permettetemi di dire anche che, grazie al lavoro della Lega Nord, nel decreto-legge n. 78 del 2009 sono contenute misure molto utili ed incisive a vantaggio delle amministrazioni locali e del sistema delle piccole e medie imprese. Cito solo alcuni esempi: l'innalzamento a 2 miliardi della capacità di spesa sui residui per i comuni che hanno rispettato il Patto di stabilità; l'obbligo di presentazione del documento unico di regolarità contributiva (il cosiddetto DURC) per le imprese che svolgono attività di commercio sulle aree pubbliche, con cui si è voluto far sì che coloro che vendono abusivamente abbiano gli stessi doveri e non solo gli stessi diritti dei nostri commercianti; gli sgravi fiscali del 3 per cento per le piccole e medie imprese che ricapitalizzano e la disposizione che impedisce di vendere fuori dall'Unione europea i macchinari acquistati con le agevolazioni della cosiddetta Tremonti-ter (quest'ultima misura è l'applicazione di quanto chiesto dalla Lega, cioè lo Pag. 31stop agli incentivi per chi delocalizza): queste misure sono sempre state fortemente volute dalla Lega Nord (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Galletti. Ne ha facoltà.

GIAN LUCA GALLETTI. Signor Presidente, mi pare evidente che con la discussione e l'approvazione del decreto-legge cosiddetto anticrisi certifichiamo la crisi istituzionale di questo Parlamento. Ci dobbiamo chiedere, come membri di questo Parlamento, come è possibile che dall'inizio della crisi, che coincide più o meno con l'inizio di questa legislatura, non siamo mai stati messi nelle condizioni di svolgere nelle Commissioni e in Aula una discussione compiuta sulle ragioni della crisi e sulle misure che questo Governo e questo Parlamento possono mettere in atto per combattere la crisi.
Abbiamo agito sulla crisi a colpi di decreti-legge e di voti di fiducia, ed abbiamo instaurato un iter parlamentare pericoloso che ha espropriato anche le Commissioni parlamentari (la V e la VI) delle proprie prerogative. È evidente a chi ha partecipato ai lavori delle Commissioni che in quella sede non è stato possibile svolgere un lavoro approfondito sul testo sul quale probabilmente domani mattina dal Governo verrà posta la questione di fiducia. Anzi, dico di più: appositamente nelle Commissioni si è evitato di discutere i nodi fondamentali del decreto-legge che andremo ad approvare.
Ricordo ai colleghi che hanno partecipato a quei lavori che non abbiamo mai discusso compiutamente dell'articolo 5 sulla detassazione degli investimenti, non abbiamo discusso delle pensioni, abbiamo discusso sì - ma in misura limitata - del Patto di stabilità, non abbiamo affrontato i nodi fondamentali che caratterizzano o vorrebbero caratterizzare questo decreto-legge. Credo che questo sia un problema serio, che questo Parlamento si deve porre, altrimenti rischiamo veramente di mettere a repentaglio la democrazia di questo Paese ed il ruolo di questo Parlamento: stiamo discutendo di questo e non di altro, e penso che questo sia un tema fondamentale. Attendiamo con ansia la revisione della legge di bilancio e della legge finanziaria già discussa presso il Senato.
Ma devo dire che, visto come stanno le cose oggi, noi siamo fra coloro - lo dico chiaramente - che rimpiangono la vecchia legge finanziaria; almeno in quell'ambito avevamo delle regole certe di approvazione dei documenti contabili. Oggi, quelle regole certe non esistono più. Vi invito a pensare che per la prima volta nella storia di questa Repubblica stiamo discutendo un provvedimento che per sua natura sarebbe un collegato alla legge finanziaria, prima della discussione del DPEF. Stiamo discutendo di un documento che incide sui saldi di contabilità, senza averli prima rendicontati nel documento principe, che ancora, fino al momento in cui lo cambieremo, è il DPEF. Così non si può agire, così creiamo solo confusione istituzionale e contabile. Non abbiamo la certezza di quanto questo provvedimento inciderà sui conti dello Stato e sui saldi di finanza pubblica. Questo è un problema che il Parlamento deve evidenziare con forza.
Definiamo questo provvedimento anticrisi. Voglio fare una domanda ai colleghi: dietro le definizione anticrisi ci può stare tutto, ma andiamo a vedere chi sta colpendo in primis questa crisi. Questa crisi colpisce famiglie ed imprese. Dall'inizio della legislatura tengo a mente una tipologia di famiglia che è quella più diffusa in Italia: la famiglia media. Non sto parlando di assistenzialismo, sto parlando della famiglia media composta da due genitori che lavorano, che hanno un reddito congiunto di 30, 40 mila euro e due figli. Questa è la tipologia di famiglia che più subisce gli effetti della crisi. Sono preoccupato perché questa è la tipologia di famiglia che gli effetti veri della crisi li deve ancora scontare. Oggi, forse, questa tipologia di famiglia, proprio per come si esplica non solo questa crisi, ma le crisi economiche in generale, ancora non subisce gli effetti della crisi. Anzi questa famiglia rischia di avere un piccolo vantaggio dalla crisi, Pag. 32perché i tassi sono scesi a seguito delle politiche governative, non tanto italiane, ma europee e mondiali, che hanno introdotto liquidità sul mercato, abbassando i tassi. Siamo, inoltre, nel periodo caratteristico della crisi che è quello della deflazione, ovvero i prodotti costano un po' meno. È vero quello che più volte il Ministro ci dice in televisione ovvero che l'ammontare degli stipendi in termini reali ha tenuto. Di fronte a un calo dei costi dei prodotti dovuto alla deflazione, ad una diminuzione del costo dei mutui dovuta all'abbassamento dei tassi e ad una tenuta del valore reale degli stipendi, questa famiglia ancora non subisce gli effetti della crisi fino in fondo. Attenzione, però, il problema reale è quello che capiterà tra alcuni mesi, alla ripresa, dopo le ferie, ad ottobre e a novembre, quando si comincerà ad innescare - speriamo - un minimo di ripresa. A quel punto, quelle misure che oggi hanno caratterizzato la fase della crisi andranno in maniera ciclica, avranno un effetto contrario. Il costo del denaro oggi è drogato, come ricordavo prima, da una massa di denaro che è stata posta in circolazione. Abbiamo mai pensato cosa voleva dire quando leggevamo sui giornali che venivano introdotti miliardi di euro nel circuito finanziario? Ciò voleva solamente dire che la BCE stampava denaro e lo metteva in circolazione. Quel denaro, nel medio periodo, produrrà inflazione e tornerà a costare il suo valore naturale. Nei prossimi mesi, quindi, avremo esattamente la posizione contraria a quella che abbiamo oggi: il denaro e i mutui costeranno di più e graveranno sulla famiglia e avremo un periodo di forte inflazione.
A quel punto il valore reale degli stipendi non terrà più. Questa famiglia, che oggi ancora riesce a contrastare la crisi, tra qualche mese non riuscirà più a contrastarla, perché l'inflazione da una parte e l'aumento del costo del denaro dall'altra gli porrà una situazione economica difficile. Allora, io dico che un Paese serio e un Governo serio si pone quel problema lì, si pone in anticipo quel problema; non rassicura oggi i cittadini dicendo che va tutto bene e di stare tranquilli perché il loro stipendio, in valore reale ha tenuto, perché sta illudendo i cittadini, e soprattutto sta eludendo un problema che tra qualche mese ci sarà. Il decreto-legge cosiddetto anticrisi di oggi ignora volutamente il problema di quelle famiglie, e - attenzione - non è un problema di questo decreto-legge cosiddetto anticrisi, è un problema di tutti i provvedimenti economici che noi abbiamo discusso dall'inizio della legislatura ad oggi. Io vi invito a pensare e a citare un solo provvedimento che è andato incontro ai problemi di questa famiglia, cioè della famiglia media.
Non mi si citi il bonus famiglia e la social card, per due ragioni. In primo luogo perché non erano rivolti a questa famiglia, erano provvedimenti di tipo assistenziale, non di tipo familiare; soprattutto non li citate perché quei provvedimenti - come noi avevamo detto nel momento in cui questo Parlamento era chiamati ad approvarli - non hanno esplicato i loro effetti. Guardate, è così evidente che nei provvedimenti economici successivi noi abbiamo utilizzato i residui di quei provvedimenti. Ciò vuol dire che già erano limitati nell'importo, ma che anche con quella limitatezza di importo le famiglie non ne hanno usufruito, tant'è vero che tutto il denaro che avevamo destinato a quegli interventi non è stato utilizzato. Allora, il primo problema che noi poniamo è quello di aiutare da oggi con provvedimenti a loro favore le famiglie, e in questo decreto-legge cosiddetto anticrisi non c'è assolutamente nulla che vada in favore di questi nuclei familiari, e di questo noi siamo molto preoccupati.
Ci sono altri provvedimenti che riguardano le imprese che nella loro natura sono anche provvedimenti condivisibili - nella loro natura, lo ripeto - io però voglio far notare una cosa a questo Parlamento: che alla fine questo Governo, con una contrattazione che viene fatta fuori da queste Aule, prova a trovare un equilibrio sociale solo ed esclusivamente con le corporazioni che più incidono. Mi riferisco agli industriali da una parte e ai sindacati dall'altra. Non contesto questo metodo, dico solo Pag. 33che bisogna tener conto di un equilibrio generale. Non esistono solo le corporazioni, le associazioni degli industriali o i sindacati, esistono imprese che non si riconoscono in queste, ma soprattutto esistono - come ricordavo prima - i problemi sociali delle famiglie. Andare incontro solo ed esclusivamente alle richieste di questi soggetti ci porta oggi a fare un provvedimento parziale, non solo per quanto riguarda i beneficiari di questi interventi, ma anche per quanto riguarda il contenuto degli interventi stessi. Noi siamo tra i fautori della detassazione degli investimenti. Se andate a vedere il programma elettorale dell'Unione di Centro e tutte le proposte economiche che noi abbiamo fatto, constaterete che abbiamo sempre messo al primo punto la detassazione degli investimenti. Anzi, fino ad oggi ci chiedevamo perché questa misura, giusta, non venisse presa in esame dal Governo. In questo provvedimento c'è, ma è così limitata, sia nel tempo sia nella tipologia di investimenti agevolabili, che rischia di essere inutile. Il provvedimento finisce per agevolare gli investimenti fatti entro il 30 giugno del 2010. È chiaro che le imprese che acquistano macchinari nuovi hanno dei tempi di consegna dei medesimi macchinari che vanno oltre quella data, perché se un macchinario è un po' complesso, non c'è alcuna industria, alcuna impresa che glielo può consegnare entro quella data. Così facendo escludiamo già a priori gran parte degli investimenti che oggi le aziende italiane potrebbero fare. Ma non solo: gli investimenti agevolabili sono limitati solo ad alcune tipologie troppo ristrette. Mancano altre tipologie, come la parte informatica, la parte sanitaria, che potrebbero invece dare luogo a tantissimi investimenti che sono esclusi dalla agevolazione stessa.
Quindi riteniamo che l'intervento, pur essendo giusto, è limitato nel tempo e nella tipologia e rischierà di non avere l'effetto di rimettere in moto l'economia che, invece, potrebbe avere. Nel momento in cui avete emanato il provvedimento sulla sicurezza e sull'immigrazione siamo stati tra i primi che hanno segnalato che esisteva il problema delle famiglie che avevano le badanti e di persone non autosufficienti che avevano chi le aiutava nella cura. Allora ci avete ignorato. Allora avete ignorato il grido di allarme che noi avevamo lanciato. Oggi ci date ragione inserendo questo provvedimento nel decreto-legge cosiddetto anticrisi. Siamo soddisfatti di questo inserimento. Diciamo soltanto che, come al solito, per trovare una mediazione al vostro interno finite per ridimensionare troppo quel provvedimento. Avete stabilito un tetto di reddito alla regolarizzazione di cui sinceramente si fa fatica a capire il significato. State dicendo agli italiani che se hanno una persona che li aiuta nella gestione familiare possono regolarizzarla solo ed esclusivamente se hanno un reddito superiore a 20 mila euro o ai 25 mila euro di reddito familiare. Questa norma non si capisce. Non si capisce la ragione di questa norma se non la si interpreta politicamente, cioè se non la si interpreta come una mediazione al vostro interno per limitare le regolarizzazioni. Ma inserita in quel modo crea disparità fortissime. Vi invito a pensare ad una situazione che si viene a creare, a cui noi non siamo riusciti a trovare una risposta e che tira in ballo di nuovo la famiglia. Se c'è un genitore anziano che ha 82 anni e che sta bene ed è autosufficiente, ma che ha bisogno di una persona che la mattina lo aiuti a far la spesa e le pulizie di casa, se l'anziano deve regolarizzare questa persona, lo può fare solo ed esclusivamente se ha un reddito superiore a 20 mila euro, altrimenti non lo può fare. Se questa persona è un pensionato non può regolarizzare la persona che quotidianamente lo aiuta. In questo Paese esiste una solidarietà familiare che ha permesso allo stesso Paese, in momenti di crisi, non ultimo quello che stiamo vivendo, di uscirne a testa alta. Una solidarietà familiare che ha chiamato i genitori ad aiutare i figli, i figli ad aiutare i genitori, i fratelli tra di loro. Noi oggi escludiamo la possibilità che i figli possano pagare la badante per il genitore. Al di là dell'effetto pratico che è forte, ma mi interessa sino ad un certo punto, è il concetto che è sotteso che non mi sta Pag. 34bene. Infatti, ogni qual volta la famiglia ci è utile, la chiamiamo in causa, ma ogni qual volta dobbiamo aiutare la famiglia non lo facciamo, anzi quando possiamo la ostacoliamo pure. Quindi non prendiamo in considerazione una tipologia di intervento che è importante, la solidarietà familiare, e tentiamo di penalizzarla. Ritengo che a questo problema vada data una risposta e - ripeto - non tanto in termini pratici ma per affermare un principio: il welfare di questo Paese si basa soprattutto sulla solidarietà familiare e questa va premiata ogni volta che possiamo farlo. Di questo decreto-legge mi preoccupa anche il fatto che, ancora una volta, non affrontiamo in maniera seria il problema della spesa pubblica. Lo scorso anno abbiamo approvato la conversione in legge del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 e abbiamo instaurato un metodo che a me non piace molto. Infatti, abbiamo affidato la riduzione della spesa pubblica ai tagli lineari, di cui si è abusato in questo decreto-legge, nel senso che ogni volta che abbiamo avuto un problema di copertura per i vari interventi abbiamo adoperato i famosi tagli lineari. Attenzione, noi dell'UdC continuiamo a dirlo: questi tagli lineari utilizzati in maniera esasperata come sta facendo questo Governo sono un pericolo perché i tagli lineari alla fine del gioco si rivelano e si concretizzano in minori trasferimenti agli enti locali e, quindi, in minori servizi sociali alle famiglie. Penso agli asili nido e all'assistenza domiciliare.
Alla fine si concretizzano in minori soldi per il Ministero dell'istruzione, quindi in una peggiore qualità delle nostre scuole e delle nostre università e si concretizzano così in maniera discriminata, senza discernere la spesa buona e la spesa cattiva.
Vorrei che questo Governo, già dal DPEF che approveremo nei prossimi giorni, si ponesse il problema della qualità della spesa e imboccasse un'altra strada, abbandonasse quella dei tagli lineare, facesse uno sforzo e andasse a vedere settore per settore la spesa buona e la spesa cattiva, tagliasse la spesa cattiva e lasciasse in essere la spesa buona, anzi incentivasse la spesa buona. Capisco che in un momento di crisi economica è difficile tagliare la spesa: non sto chiedendo un taglio drastico della spesa pubblica, sto dicendo che oggi diventa indispensabile una riqualificazione della spesa pubblica. È dall'inizio di questa legislatura che non sento più in quest'aula la parola inglese (brutta, se volete) spending review, che vuol dire esattamente questo, cioè riqualificare la spesa pubblica, non il taglio lineare fine a se stesso. L'abuso, nel decreto-legge in esame, dei tagli lineari mi fa paura e mi fa temere che questo Governo pensi che coi tagli lineari si possa indirizzare la spesa pubblica, cosa che non è assolutamente vera.
Abbiamo apprezzato lo sforzo del Governo sulla linea della revisione delle pensioni: riteniamo che questa sia una riforma strutturale da affrontare. Nel decreto-legge in esame si comincia a parlare di revisione del sistema pensionistico. Attenzione: siamo agli albori. Tutti siamo d'accordo nell'aderire alla richiesta della UE di innalzare l'età pensionabile delle donne e noi siamo tra coloro che lo hanno proposto dall'inizio. Il risparmio che deriva da questa manovra è un risparmio ridicolo: leggevo l'altro giorno un articolo di Giavazzi, che diceva che alla fine il risparmio è uguale al costo di Kakà. È vero: alla fine il risparmio di questa manovra non si discosta molto dal costo di un calciatore.
Detto ciò, però, mancano altri aspetti: noi abbiamo sempre detto che la riforma delle pensioni, soprattutto per quanto riguarda l'età delle donne, dovrebbe essere accompagnata da altri provvedimenti, che riguardano proprio le donne. Avevamo apprezzato la predisposizione e la presentazione di un emendamento, da parte della maggioranza, che diceva una cosa molto semplice, cioè che le donne che hanno figli potevano andare in pensione prima delle altre. Ciò non perché riteniamo che siano più brave delle altre, ma perché riteniamo che durante la loro vita lavorativa abbiano forse fatto uno sforzo più grande delle altre e anche degli uomini. Certo, sarebbe meglio se noi dessimo loro un ritorno Pag. 35nell'età e nel momento in cui svolgono l'attività di cura verso i figli, ma ci sembrava comunque un sistema per riconoscere a quelle donne un valore aggiunto che hanno avuto ed un maggiore sforzo lavorativo che hanno dovuto compiere nel corso della loro attività. Questo era un provvedimento giusto. Quando dico che avremmo dovuto fare questi approfondimenti in Commissione, dico che sarebbero stati utili per la completezza del provvedimento. Ci avete fatto mancare questa opportunità ed è secondo noi una grave pecca.
Sugli enti locali noi abbiamo allargato le maglie del Patto di stabilità. Non cadiamo in un tranello: non lo dico all'opposizione, lo dico anche alla maggioranza. Noi col decreto-legge in esame stiamo sbloccando tre miliardi di euro di investimenti degli enti locali. Detto così potrebbe sembrare anche una cosa buona ed anzi io dico che è una cosa buona, ma dobbiamo guardare tutto il film, perché altrimenti rischiamo di dare un'interpretazione errata se guardiamo solo la fine del film.
È vero che liberiamo tre miliardi di euro, ma, non più tardi di sei mesi fa, ne avevamo bloccati 35. Quindi, i miliardi ancora bloccati nelle casse dei comuni sono 32. E quei 32 miliardi di euro sono soldi che - sì - servono a combattere la crisi, ma sono soldi veri, che potrebbero essere messi in circolazione domattina. Ben vengano i due miliardi di euro che stiamo sbloccando con il decreto-legge in oggetto (si trattava di un miliardo e mezzo, ma poi, anche a seguito di proposte avanzate dal nostro gruppo, sono stati portati a tre). Tuttavia, la cifra è ancora irrisoria rispetto a tutti i soldi che giacciono nelle casse dei comuni. È necessario fare uno sforzo più elevato: bisogna fare in modo che quei due miliardi di euro che sblocchiamo oggi, diventino almeno 12, almeno 15. Solo allora riusciremo ad avere un impatto positivo sulle economie locali.
Mi rivolgo soprattutto agli amici della Lega: attenzione, gran parte di quei denari sono nelle casse dei comuni del nord, perché sono proprio quelli ad essere stati i comuni più virtuosi, che hanno potuto mettere in cantiere più opere pubbliche da finanziare quest'anno. Stiamo penalizzando soprattutto i comuni virtuosi, che si sono comportati meglio degli altri. Ritengo che questa non sia, a prescindere, una politica giusta.
Queste sono le questioni che avremmo voluto affrontare e che, in gran parte, non ci avete permesso di discutere. Pensiamo che sia una grande occasione mancata. Il nostro impegno sarà di fare in modo che ciò non si ripeta (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Commercio. Ne ha facoltà.

ROBERTO MARIO SERGIO COMMERCIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è con profondo rammarico che, anche in questa occasione, dobbiamo evidenziare la scarsa attenzione strategica prestata al Mezzogiorno da parte del Governo nel varare le misure anticrisi contenute nel decreto-legge in discussione, con il quale è stata esplicitamente operata una scelta significativa di drenaggio dei fondi vincolati per il sud verso obiettivi di spesa che vanno a privilegiare, sostanzialmente i territori del nord, dove notoriamente si trova la maggior concentrazione di imprese. Ancora una volta, dunque, lo sviluppo del Mezzogiorno passa in secondo piano e questa è una tendenza che occorre assolutamente invertire e che, oramai, da tempo, ciclicamente si ripropone, anche nei rapporti di forza all'interno della stessa maggioranza.
Il provvedimento in discussione ignora le aree deboli del sud, dove si concentrano le famiglie più numerose e più povere del Paese, dove i lavoratori sono meno tutelati e dove gli imprenditori, travolti dalla bufera della recessione produttiva, sono, perciò, più esposti. Nulla è stato previsto, infatti, per ripristinare l'automatismo sul credito di imposta, lasciando, così, questi ultimi senza strumenti di fiscalità di sviluppo nella morsa della stretta creditizia.
Il Presidente della Repubblica non perde occasione per riproporre una «questione Pag. 36meridionale», denunciando quelle che ha definito «nuove sordità» verso le esigenze del Mezzogiorno e ribadendo che l'unità nazionale va rafforzata anche attraverso il dovere inderogabile del nord di essere solidale con il sud. Anche in questa occasione, come da un anno a questa parte, è stata confermata la pratica di utilizzare la disponibilità del FAS come un bancomat improprio, a copertura degli oneri di disposizioni legislative che nulla, o poco, hanno a che fare con la ripresa economica strutturale del Mezzogiorno, causando decurtazioni di stanziamenti pari a 16,4 miliardi di euro nel solo periodo 2008-2011.
Questa vera e propria emorragia ha comportato, in termini di programmazione economica, una riduzione del FAS di oltre 13,8 miliardi di euro, di cui 10,5 miliardi a valere sul ciclo di programmazione per gli anni 2007-2013. Cosa ancor più grave, ha sospeso una serie di interventi, già programmati dal Ministero dello sviluppo economico, in favore delle aree del sud d'Italia: due miliardi di euro al recupero dei siti industriali inquinati, 1,8 miliardi a nuovi contratti di sviluppo per il Mezzogiorno, 200 milioni all'estensione del programma «Industria 2015», 800 milioni alla rete a banda larga, 700 milioni per incentivare l'utilizzo di fonti rinnovabili a risparmio energetico, oltre a 100 milioni di euro per l'avvio delle zone franche urbane.
Per il sud fino ad oggi abbiamo percepito solo roboanti enunciazioni ed abbiamo dovuto contrastare una pericolosa deriva - paradosso del paradosso - che vuole dare consistenza ad una inesistente e improbabile questione settentrionale, che vuole a tutti i costi accantonare del tutto quella meridionale, malauguratamente - purtroppo - ancora in piedi, dall'inizio del terzo millennio, in tutta la sua drammaticità.
Assistiamo, inoltre, ad un ritorno politico e culturale - oserei dire, ad un rigurgito - della vecchia pratica colonizzatrice di coinvolgere in grandi progetti le aziende del nord, per niente interessate a investire i proventi ricavati nel Mezzogiorno d'Italia, come il recente caso FIAT di Termini Imerese, noto a tutti, ci insegna.
Ribadiamo, ancora una volta, che siamo i primi e convinti assertori che il Mezzogiorno debba impegnarsi per allontanare da sé, una volta per tutte, lo stereotipo dell'assistenzialismo. In questo senso, il federalismo fiscale, così come lo abbiamo varato, può rappresentare uno strumento efficace per evitare sprechi e distorsioni della spesa pubblica, rendendo più efficienti le amministrazioni locali e più trasparenti i meccanismi di prelievo e di investimento delle risorse sul territorio. Per la classe dirigente meridionale questa è una sfida decisiva che potrà contribuire a fare del Sud un fattore di spinta della crescita nazionale.
Accanto alla dissennata riprogrammazione dei fondi per le aree sottoutilizzate operata dagli ultimi provvedimenti del Governo a scapito delle regioni meridionali, è in corso anche il pericoloso tentativo di intervenire nello stesso modo per i programmi operativi nazionali, i cosiddetti PON, per il reperimento delle fonti necessarie alla cassa integrazione e per diverse misure del decreto-legge che stiamo esaminando. Tale drenaggio di risorse destinate al sud verso altre destinazioni continua e viene dopo che da anni gli investimenti in conto capitale per il Mezzogiorno sono calati costantemente. Il risultato è che la crisi economica globale rischia di avere effetti devastanti soprattutto al sud, dove il sistema economico sociale è strutturalmente più debole. Occorre invertire subito tale rotta, abbandonare qualsiasi raffigurazione desolata e restituire al Mezzogiorno l'attenzione e gli investimenti sul piano delle idee, delle risorse, del capitale umano e della cultura che esso merita.
Secondo autorevoli economisti, onorevoli colleghi, il ritardo del Mezzogiorno e la sua carenza di infrastrutture costituiscono il maggior problema strutturale della nostra economia; ritardo che, di contro, proprio in considerazione degli ampi margini di crescita, potrebbe svolgere una funzione trainante ai fini del Pag. 37rilancio dell'intera economia italiana. Ancora oggi, però, vari problemi - quali la carenza storica di infrastrutture, la dimensione troppo piccola delle imprese, la loro scarsa internalizzazione, la presenza di un sistema bancario poco efficiente (perché il Mezzogiorno nel corso degli anni è stato depauperato del suo patrimonio bancario, al punto che non vi sono più istituti di credito che possano dirsi finalizzati allo sviluppo del sud), il ritardo di una pubblica amministrazione spesso pletorica, l'emigrazione di tanti giovani (recentemente confermata dai dati ISTAT) che non trovano lavoro adeguato al loro livello culturale, l'incapacità di sfruttare le risorse ambientali e paesaggistiche e, infine, l'infiltrazione nelle economie sane della malavita organizzata - rappresentano tutti penalizzanti fattori di contesto, che ipotecano le sue possibilità di progresso economico.
Più volte, in questo come in altri provvedimenti, abbiamo indicato nella fiscalità di vantaggio - intesa, sia chiaro, come fiscalità compensativa e non come misura assistenzialistica - la strada da percorrere per sostenere un forte rilancio dell'economia del Mezzogiorno.
Abbandonata, ormai, la logica - peraltro fallimentare - dell'impegno di risorse pubbliche di natura assistenziale, occorre prevedere misure che incentivino i nostri imprenditori a realizzare nuovi insediamenti produttivi, creando così opportunità per le nuove generazioni, convinti come siamo che tutto ciò sarebbe funzionale alla ripresa economica del Paese. Non più, dunque, elargizione di finanziamenti a pioggia e risorse da dissipare che irresponsabilmente, come qualcuno contesta, poi non vengono neanche utilizzate, ma opportunità da offrire agli imprenditori virtuosi disposti ad investire nel sud per superare il grave ostacolo di un sistema infrastrutturale deficitario sotto ogni profilo.
Alla fiscalità di vantaggio vanno accompagnati il rilancio dell'agricoltura come settore economico di valore strategico, lo sviluppo di politiche in favore delle produzioni tipiche e l'incentivazione della localizzazione degli investimenti esteri. Tutta l'impresa diverrebbe però ardua se per invertire questa tendenza non si affrontassero quei nodi strutturali superabili solo attraverso quell'impegno straordinario di risorse previsto dalla missione 5 del programma di Governo, laddove si enuncia quanto segue: «Vogliamo un'Italia che finalmente superi, attraverso un impegno straordinario, il drammatico divario tra nord e sud, realizzando una politica che valorizzi la responsabilità dei territori e metta a frutto tutte le energie presenti nel Paese».
Non ci stancheremo di ribadire come la questione meridionale possa rappresentare lo start per rilanciare lo sviluppo del sistema Italia e in questo siamo supportati dal parere di autorevoli economisti come lo stesso Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, che ha detto con chiarezza nella sua relazione annuale - cito testualmente - che molto più che in passato, dal decollo del sud può derivare una crescita sostenuta e duratura della nostra economia e che un innalzamento duraturo del basso tasso di crescita del Paese non può prescindere dal superamento del sottoutilizzo delle risorse al sud.
Occorre percepire questo nesso e, lo ribadisco, porlo al centro dell'analisi della politica economica. Occorre superare steccati ideologici ed interpretare la politica non come una competizione per la ripartizione delle risorse ma come il tentativo per accrescere la disponibilità di risorse per tutti, in un Paese in cui ci si possa sentire titolari di uguali diritti e di uguali doveri e si possa disporre in maniera universale di uguali opportunità. Solo così potremo restituire alla politica quel senso profondo che ha smarrito, non più dunque una difesa del sud contro il nord, perché i problemi dell'Italia non si risolvono schierando due fazioni che difendono ciascuna la propria piccola patria. Se non si supera questa vecchia dicotomia, questa spinta secessionista che ha caratterizzato tutte le vicende storiche legate alla questione meridionale, il nostro Paese sarà Pag. 38destinato a rimanere non solo diviso al suo interno ma anche a vedere dimezzata la sua capacità di sviluppo.
Saremo i primi, noi del Movimento per l'Autonomia-Alleati per il sud, a dimostrare che a partire dalle aule parlamentari, come del resto facciamo da tempo, rispetto alla questione meridionale, fino ad oggi intesa come una palla al piede per il sistema Italia, si debba aprire una nuova stagione di pensiero, una grande occasione di riscatto della centralità del sud Italia quale baricentro naturale per i traffici e per gli scambi tra l'Europa Continentale e i Paesi che si affacciano sul Mare Nostrum di romana memoria.
Il Mezzogiorno, infatti, fisicamente e storicamente è proiettato nell'area mediterranea e potrebbe candidarsi a divenire zona cerniera e ponte del partenariato della zona di libero scambio euro-mediterranea. Onorevoli colleghi, se non riduciamo il divario, non si recupereranno sviluppo e competitività. Per fare ciò, anche all'interno della maggioranza dobbiamo remare tutti nella stessa direzione, nel rispetto degli impegni assunti con il Paese prima e con gli elettori dopo (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud).

GIANFRANCO CONTE, Presidente della VI Commissione. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANFRANCO CONTE, Presidente della VI Commissione. Signor Presidente, bisognerebbe provvedere ad un errata corrige all'atto Camera n. 2561-A. Si fa presente che, per un errore materiale, alla pagina 111 del testo A dell'atto Camera 2561, relativo al disegno di legge di conversione in legge del decreto-legge n. 78 del 2009, all'esame dell'Assemblea, all'articolo 2, comma 1-bis, non è stato riportato correttamente il testo dell'emendamento 2.38 dei relatori, riformulato nel corso dell'esame nelle Commissioni, e che risulta invece allegato, nella versione effettivamente approvata dalle medesime Commissioni, al Bollettino delle Giunte e delle Commissioni n. 205 del 20 luglio scorso, a pagina 47 (emendamento 2.38 nuova formulazione dei relatori).
Rispetto al testo riportato nell'atto Camera n. 2561-A, nel citato comma 1-bis dell'articolo 2 devono ritenersi soppresse le parole da: «Fino al 1o gennaio 2012» fino alle parole: «su supporto cartaceo» (secondo e terzo periodo). Si provvederà quindi a stampare un errata corrige all'atto Camera 2561-A, affinché il testo dell'articolo 2 sia identico a quello approvato, con modificazioni, dalle Commissioni V e VI.

PRESIDENTE. La Presidenza ne prende atto.
È iscritto a parlare l'onorevole Cazzola. Ne ha facoltà.

GIULIANO CAZZOLA. Signor Presidente, non farò un intervento organico come quello dei colleghi che mi hanno preceduto, ma affronterò alcune questioni riguardanti soprattutto il lavoro e la previdenza. Voglio iniziare però con «l'emendamento badanti» che è stato oggetto di un dibattito intenso fuori da quest'Aula nelle Commissioni e ripreso, anche questa mattina, dagli interventi dei colleghi.
Credo che il Governo abbia fatto bene a presentare un emendamento su questa materia perché era giusto dare garanzie alle famiglie ed anche rivedere una normativa che presentava problemi interpretativi di carattere dubbio. Il Governo ha dunque previsto dei requisiti di reddito e complessivi per evitare che in questa materia vi siano abusi.
Sappiamo che non basta dire badanti perché si tratti effettivamente di un rapporto di badantato. Sappiamo, per esempio, che nel rapporto di badantato - questo lo dicono gli esperti di immigrazione, senza nessuna coloritura politica - si realizzano spesso anche dei ricongiungimenti familiari per i quali sono previste norme diverse.
Però credo che ci siano delle cose che sarebbe stato opportuno evitare. Vorrei capire - chiedo questo al rappresentante Pag. 39del Governo - perché deve essere la legge a decidere chi sono i cittadini autorizzati ad assumere una badante, in quanto il testo dell'emendamento prevede nei fatti una condizione specifica di salute e fisica della persona per la quale i suoi familiari o lei stessa decidano di assumere una badante. Infatti, l'emendamento si riferisce a componenti della propria famiglia non conviventi, affetti da patologie o handicap che ne limitano l'autosufficienza. Mi domando se chi è soltanto anziano, e non ha patologie o handicap che ne limitino l'autosufficienza, non abbia diritto ad assumere regolarmente ed in maniera trasparente con il reddito che viene richiesto una badante.
Quindi, credo sarebbe opportuno nel maxiemendamento mettere riparo a questa che credo sia una svista, una norma che credo sia sfuggita anche agli stessi proponenti che volevano comunque mettere dei limiti e prevedere dei criteri. Ma queste saranno valutazioni che farà chi elaborerà il maxiemendamento e comunque sarà opportuno dare chiarimenti a questo proposito una volta che la legge sarà approvata con questa formulazione.
Viviamo in una situazione sicuramente difficile - inizio a svolgere considerazioni di carattere generale - e ritengo che non siamo guariti dalla crisi nonostante, come si dice, stiamo cominciando a risalire, però credo che i colleghi dell'opposizione non possono venirci a dire, come ormai fanno da mesi, che il peggio deve ancora arrivare.
Dicevano che ci aspettavano tempi difficilissimi; abbiamo visto la dimensione delle difficoltà di questi tempi che indubbiamente non sono stati facili. Oggi, ci si annuncia un autunno drammatico, quando in realtà gli indicatori riportano segnali di inversione di tendenza anche se indubbiamente sarà necessario fare scelte di carattere strutturale, fare dei conti, valutare gli effetti che la crisi ha prodotto sulle imprese, misurarsi probabilmente anche con i problemi dell'occupazione, tuttavia, senza fare ottimismi, senza essere superficiali, senza ignorare la realtà, mi pare difficile continuare con questo gioco in cui il domani sarà sempre più difficile e sempre più duro.
Dico questo all'onorevole Galletti che se lo domandava: il Governo ha proceduto indubbiamente con una strategia di piccoli passi, però lo ha fatto in una situazione di finanza pubblica difficile, garantendo in tutti i provvedimenti, compreso questo, un equilibrio tra entrate e uscite senza aumentare le tasse. Infatti, non solo non aumentare le tasse rientra nei progetti, nei propositi, nel DNA di questo Governo, ma sarebbe stata un'operazione esiziale in questa situazione dell'economia.
Come ho già detto, signor Presidente, affronterò alcune questioni che riguardano il lavoro e la previdenza, per dire anche in questo caso al mio amico e concittadino, onorevole Galletti, che noi le famiglie le abbiamo difese non solo con i provvedimenti che l'onorevole Galletti ricordava. Tra l'altro è abbastanza singolare - questo lo dico anche all'onorevole Borghesi - che ci siano degli stanziamenti, dei provvedimenti, delle misure (giuste o sbagliate, modeste o importanti che siano) che in sostanza non vengono utilizzate dagli utenti (o da quelli che venivano prefigurati come possibili utenti). Abbiamo un bonus famiglie che non è stato utilizzato appieno da quelli che erano previsti al momento della discussione del provvedimento. Lo stesso dicasi per la social card o per quella indennità di reinserimento prevista per i lavoratori definiti collaboratori in regime di monocommittenza.
I requisiti possono anche essere stati sbagliati e possono essere rivisti, ma non è colpa del Governo se il cavallo non beve, se chi può avvantaggiarsi - poco o tanto che sia - di queste misure non lo fa. Infatti, non può essere il Governo a rincorrere gli utenti. Probabilmente abbiamo una rappresentazione della realtà che è più brutta e difficile di quanto poi non avviene concretamente. Stamattina, ho sentito parlare di tre milioni di lavoratori precari che avrebbero perso il posto durante il 2008, quando i dati dell'ISTAT del primo trimestre del 2009 ci dicono che i disoccupati in questo paese sono aumentati Pag. 40di 200 mila unità, perché c'è stata una compensazione interna tra un maggior numero di cittadini italiani che hanno perso il lavoro e un certo numero di cittadini stranieri che sono entrati in questo trimestre nel mercato del lavoro.
Quindi, onorevole Galletti, voglio dire che abbiamo difeso le famiglie, difendendo in questi mesi il lavoro e, quando non è stato possibile difendere il lavoro (è, infatti, successo anche che la disoccupazione sia aumentata), abbiamo difeso il reddito di coloro che sono stati costretti a periodi di sospensione dal lavoro. Questo oggi ci porta a dire che riconfermiamo la linea di condotta portata avanti in questi mesi per reagire e contenere gli effetti e le ricadute sociali della crisi internazionale.
Non abbiamo fatto grandi proclami strategici - lo ricordava l'onorevole Moroni nella sua relazione questa mattina - ma abbiamo fatto interventi mirati, se mi consentite il paragone, con il metodo del just in time, applicato anche alle misure di politica economica. Credo che si tratti di una linea politica rivelatasi giusta e comunque adeguata a fronteggiare i problemi per come si sono presentati.
Vedete, nei mesi scorsi Governo e opposizione hanno giocato a «guardia e ladri», cioè si sono confrontati - non c'è nessun atteggiamento polemico nella similitudine che ho usato - su due diverse strategie: l'opposizione ha proposto una riforma strutturale della disoccupazione, la maggioranza ha scelto di mettere in campo dei massicci finanziamenti per la cassa integrazione in deroga con l'accordo e il concorso responsabile delle regioni.
In poche settimane gli stanziamenti sono aumentati, benché i conti fossero stati chiusi per la cassa integrazione in deroga con la manovra di portata triennale già l'estate scorsa (anche questo a volte viene rimproverato alla maggioranza, quando invece io credo sia un segno tutto sommato di capacità di intervento che la maggioranza ha dimostrato) e gli stanziamenti per la cassa integrazione in deroga, che con l'A.C. 1441-quater, approvato da quest'Aula nell'ottobre scorso, ammontavano a 600 milioni, nel giro di pochi mesi sono arrivati a un miliardo; poi il 17 febbraio, con l'accordo fatto con le regioni, sono saliti a 8 miliardi per il biennio 2009-2010. Quindi, io credo che ci sia stata, se volete, un'imprevidenza nello stanziamento iniziale - tra l'altro nessuno si aspettava una crisi così improvvisa, repentina e violenta -, ma anche una grande capacità di adattamento nel far fronte alla situazione che veniva a determinarsi.
Onestamente - tra l'altro nel dibattito è stato riconosciuto - non era possibile nel momento in cui si stanziavano somme così importanti per la cassa integrazione in deroga trovare quei quattro o cinque miliardi di euro che le opposizioni chiedevano per un istituto riformato della disoccupazione in senso universalistico ed esteso anche a quei settori del mondo del lavoro che non ne disponevano. Non c'è dubbio, e io ne sono assolutamente convinto, che, se noi avessimo mandato un segnale allocando risorse importanti sulla disoccupazione nel momento in cui le imprese non sapevano dove sbattere la testa (perché si sono trovate dalla sera alla mattina con il taglio del credito e con il ritiro degli ordinativi), se noi avessimo mandato un segnale forte con un significato politico sulla disoccupazione (anziché sulla CIG anche se alcuni settori sono rimasti fuori dalla tutela del mercato del lavoro), noi avremmo dato alle imprese il segnale che la strada da percorrere era quella di licenziare. Aver messo in campo interventi massicci sulla cassa integrazione ha consentito alle imprese di tenere duro e di stare a vedere.
Badate, questo lo dice anche il confronto dei dati INPS sulla cassa integrazione guadagni con i dati ISTAT sulla disoccupazione nel primo trimestre del 2009. Nel primo trimestre del 2009 noi abbiamo avuto un aumento della disoccupazione con indice destagionalizzato rispetto al dicembre del 2008 dello 0,3 per cento; rispetto al primo trimestre del 2008 dello 0,9 per cento. Quindi, noi abbiamo avuto un incremento contenuto della disoccupazione, assolutamente migliore di quello che è successo in altri Paesi che Pag. 41sono stati ricordati qui come Paesi portatori di una visione globale, come Paesi che avevano fatto piani di risanamento migliori dei nostri, rispetto alla nostra politica di piccoli passi. Bene, in questi stessi mesi, gennaio, febbraio, marzo del 2009, noi abbiamo avuto - come potete vedere nel grafico del DPEF che discuteremo la prossima settimana - un picco nella cassa integrazione guadagni che ha raggiunto il suo apice nel febbraio 2009. Quindi, in buona sostanza, abbiamo retto con la cassa integrazione la situazione più difficile che si è determinata nell'anno.
Credo che questo vada segnalato. Così pure va sottolineato, come hanno già fatto i tanti colleghi che hanno ricordato, punto per punto, le previsioni contenute nel decreto-legge n. 78 del 2009, che questo è un provvedimento di svolta, soprattutto per gli effetti che ha sull'apparato produttivo, sulla ripresa, sulla possibilità di dare fiato, ossigeno alle aziende.
Sono stati ricordati i provvedimenti per il lavoro: il bonus per chi non licenza, l'integrazione retributiva per chi viene riprofessionalizzato all'interno dell'azienda, l'incentivo all'autoimprenditorialità avvalendosi degli ammortizzatori sociali come capitale di avvio. Sono misure che tendono a mantenere il più possibile il lavoratore legato alla propria impresa, un'impresa che ovviamente deve essere mantenuta in vita, o comunque ad allontanare il più possibile il calice amaro dell'esubero.
Ciò detto, Presidente, arrivo rapidamente alla questione delle pensioni e all'emendamento del Governo che io saluto con un peana di gioia e di soddisfazione, anche se non credo che siamo alla fine della storia per quanto riguarda, appunto, la questione delle pensioni. Il Governo giustamente dice che abbiamo messo in equilibrio i conti pubblici ed ha ragione, ma ritengo che dobbiamo abituarci a revisioni periodiche del sistema delle pensioni. Non a caso, quando un Governo in Europa mette mano alle pensioni riceve dai mercati e dall'Unione europea dei segnali di attenzione, delle benemerenze, proprio perché la questione delle pensioni è uno dei flagelli della finanza pubblica in un continente che invecchia come l'Europa.
Quindi, non siamo affatto alla fine della storia, però pensiamo di aver compiuto dei passi importanti, ci siamo incamminati lungo un percorso con un Governo che fino ad oggi è stato titubante. Io dico: Dio benedica l'Alta Corte di giustizia che con questa sentenza sul pensionamento delle lavoratrici pubbliche ha dato il «la» ad un intervento significativo e importante che, tra l'altro, ha avuto anche una chiusura di carattere generale con l'aggancio delle finestre alle attese di vita.
Sono state rivolte delle critiche sul metodo, si è detto che è mancata la concertazione. Ebbene, fino a prova contraria, le misure hanno avuto il consenso di una parte importante del movimento sindacale; non potremo dire che la concertazione è solo quella che si fa in corso d'Italia 25, dove ha sede la CGIL e, soprattutto - se mi consentite - preferisco risolvere un problema modesto quale quello che abbiamo risolto con le pensioni, se volete un po' sbrigativamente, come hanno fatto questo Governo e questa maggioranza, senza tutto quel trambusto che c'è stato con il Protocollo del 2007. Se quella è la concertazione ve la lasciamo tutta.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

GIULIANO CAZZOLA. Poiché mi ha richiamato, mi avvio a concludere, Presidente. Voglio solo ricordare che il Governo di centrosinistra ha previsto le finestre nella pensione di vecchiaia che non c'erano mai state, ed ha dimezzato le finestre nella pensione di anzianità riducendole da quattro a due, recuperando un periodo di allungamento della vita lavorativa, grosso modo, da sei mesi ad un anno, a seconda che si tratti di lavoro dipendente o autonomo.
Voglio anche ricordare che non è corretto, come viene fatto spesso, citare il trattamento pensionistico delle lavoratrici private, ossia iscritte all'INPS, che si trovano in una posizione debole nel mercato Pag. 42del lavoro. Se noi consideriamo l'anzianità contributiva media di una pensionata di vecchiaia dell'INPS scopriamo che ha alle spalle all'incirca 23 anni di lavoro. Un requisito siffatto determina il 46 per cento della copertura del salario di riferimento; se consideriamo, invece, un lavoratore privato ci rendiamo conto che mediamente ha 38 anni alle spalle, quindi è in condizione di andare in pensione di anzianità e 38 anni di contributi corrispondono al 76 per cento.
Bene, nell'impiego pubblico le cose non stanno così. Nell'impiego pubblico le donne conservano, anche con questa riforma, la possibilità di andare in pensione di anzianità, quindi ad un'età inferiore ai 65 anni e nell'impiego pubblico tale possibilità ce l'ha il 40 per cento delle donne, come ci dicono i dati dell'INPDAP.
Inoltre, le pensioni nell'impiego pubblico sono comunque dignitose in quanto mediamente nel primo semestre del 2009 le pensioni liquidate dall'INPDAP per le diverse tipologie sono state mediamente in misura di 1.800 euro lordi al mese per le donne e di 2.500 euro lordi al mese per gli uomini. Quindi, abbiamo sostanzialmente una situazione diversa e l'INPDAP ci dice che solo il 19 per cento del totale delle pensioni è sorto in età compresa tra i 60 e i 64 anni, pur non avendo maturato i requisiti minimi dei 35 anni. Sono queste le pensioni colpite da una riforma che comunque è graduale. La ringrazio Presidente e mi scusi se ha dovuto richiamandomi al tempo (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ceccuzzi. Ne ha facoltà.

FRANCO CECCUZZI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo provvedimento rappresenta purtroppo l'ennesima occasione mancata per il Governo e anche per il Parlamento per varare misure anticicliche effettivamente produttive ed efficaci e anche questo provvedimento finirà per arricchire la collezione del decreti anticrisi che come le dispense escono ormai a puntate periodiche. Il nostro giudizio negativo su questo decreto-legge si è accentuato dopo l'esame delle Commissioni durante il quale, pur avendo cercato con tutte le forze di lavorare intensamente per migliorarlo, l'opposizione - come è già stato ricordato in quest'Aula - è stata sistematicamente ignorata nel corso dell'esame e messa di fronte per di più a gravi lesioni del Regolamento. Mi riferisco alla pesante forzatura del voto in blocco sugli emendamenti che se pure trova un precedente anche con la finanziaria per l'anno 2008, in quel momento bisogna ricordare che era del tutto confortata da un accordo politico tra maggioranza e opposizione. Quindi, non ci è stata lasciata altra scelta che uscire dall'aula al momento del voto nelle Commissioni.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI (ore 13.40)

FRANCO CECCUZZI. Il Governo e la maggioranza hanno evitato il confronto sui temi più delicati ed importanti che avevamo posto fin dall'inizio. Mi riferisco al rafforzamento degli ammortizzatori sociali e peraltro proprio oggi è uscito il rapporto del CNEL secondo cui la disoccupazione è al 9 per cento e ci sono molti posti di lavoro ancora più a rischio. Avevamo posto il tema dell'estensione per territorio e per settore delle agevolazioni sugli investimenti previsti dalla cosiddetta Tremonti-ter; avevamo posto l'innalzamento del tetto per la compensazione dei crediti IVA fino a 50 mila euro; avevamo posto l'aumento della deducibilità dell'IRES degli interessi passivi sugli investimenti sino al tema della tassazione dei territori colpiti dal sisma. Sono tutte misure giuste di cui il Paese, le famiglie e la piccola e media impresa sentono la necessità e che il Governo sistematicamente ha ignorato. Avevate soltanto bisogno di prendere tempo per scrivere l'emendamento sullo scudo fiscale, ovvero l'ennesimo condono che premia chi evade e che si prende gioco dei contribuenti onesti che invece fanno il loro dovere.
Questo primo anno di governo ci consegna purtroppo, alla vigilia dell'interruzione Pag. 43dei lavori parlamentari per la pausa estiva, una situazione molto preoccupante caratterizzata dall'aumento del debito pubblico, della pressione fiscale e dell'evasione fiscale e dalla diminuzione delle entrate tributarie per 32 miliardi di euro. Non si dica che ciò è solo colpa della crisi economica perché la diminuzione delle entrate dell'IVA non è assolutamente attribuibile soltanto al calo dei consumi. La situazione, inoltre, è caratterizzata da una contrazione del prodotto interno lordo che l'ISTAT stima in termini reali sul 6 per cento e infine (fatto assolutamente preoccupante) dall'indebolimento del sistema industriale, soprattutto del manifatturiero.
Le risorse stanziate fino a questo momento sono state assolutamente inadeguate per contrastare la crisi e provare ad agganciare la ripresa. A differenza di altri molti Paesi (che per brevità non elencherò) questo Governo ha ritenuto di non attuare significative misure di stimolo anticiclico con effetti sulla domanda aggregata. La Banca d'Italia ha recentemente ricordato che gli interventi attuati fino ad ora per attenuare i costi sociali della recessione hanno soprattutto utilizzato risorse già stanziate in bilancio e per altri impieghi.
Basta ricordare gli esempi del decreto-legge n. 185 dell'anno scorso, colpevole in parte di aver causato un aumento della pressione fiscale, che fu finanziato con 5,2 miliardi di euro di maggiori entrate e 1,2 miliardi di tagli alla spesa, e del decreto-legge n. 5 del 2009, sugli incentivi per le auto, che fu finanziato con 0,7 miliardi di maggiori entrate e 1,5 miliardi di tagli alla spesa.
La situazione appare ancora più grottesca se si analizzano le risorse presenti in questo ultimo decreto-legge: dei 23 miliardi di euro per i pagamenti delle pubbliche amministrazioni alle imprese nel 2009, che vengono disposti all'articolo 9, sono stati stanziati finanziamenti aggiuntivi minimi; per il resto si tratta ancora una volta di risorse già presenti e iscritte a bilancio.
Anche le misure a sostegno dei redditi dei disoccupati, previste all'articolo 1, oltre che del tutto insufficienti, in relazione alla gravità della situazione attuale, vengono prelevate dal Fondo sociale per l'occupazione e la formazione, grazie però alla disponibilità delle regioni, che hanno ceduto al Governo 85 milioni di euro per tutto il 2009. È un'operazione creativa che si ripete: il piano per le infrastrutture, il Fondo per gli ammortizzatori sociali e quello per l'economia reale, varati tra dicembre 2008 e marzo 2009 non sono stanziamenti aggiuntivi, ma anche in questo caso una riprogrammazione di risorse statali (25,4 miliardi vengono prelevati dalla quota FAS) e regionali (2,6 miliardi dell'FSE), già esistenti, oltre a finanziamenti privati, già previsti, per 8 miliardi. Il fatto significativo è che dei 22,8 miliardi di aumento della spesa corrente previsti per il 2009, soltanto 3,2 miliardi derivano da interventi anticrisi, poco più del 10 per cento. Tutto il resto, purtroppo, è conseguenza in parte della spesa pensionistica e soprattutto, quello che è più significativo, di una nuova impennata, come quella che si manifestò nella precedente esperienza di Governo della destra, della spesa per acquisti di beni e servizi. Infatti, questo centrodestra ha connaturato nella sua natura l'essere una coalizione che provoca immediatamente l'aumento della spesa pubblica. Il debito sul prodotto interno lordo, come ha ricordato l'onorevole Fluvi prima di me, è destinato a crescere tra il 114,3 e il 115,8 per cento e tra il 117,1 e il 119,6, quasi a toccare il 120, il prossimo anno, mentre la percentuale di indebitamento netto sul PIL rischia di sfiorare il 5 per cento già nel corso di quest'anno.
Da questi dati derivano due giudizi fortemente negativi, che sono riferiti non soltanto a questa manovra, ma ad un anno intero di Governo. Bisogna ripartire dalla manovra triennale approvata con il decreto-legge n. 112 del 2008, la quale non ha avuto alcun effetto nell'arginare la deriva fortemente negativa della finanza pubblica e, nel contempo, le misure correttive adottate in funzione anticiclica, contenute nei giusti limiti imposti dai vincoli di bilancio, non hanno avuto alcuna efficacia nel contrasto alla crisi. A ciò si aggiunge una forte Pag. 44ripresa dell'evasione fiscale, che ha contribuito in maniera rilevante al peggioramento dei conti. Si tratta di 32 miliardi di euro in meno, un tonfo vero e proprio, che, come ho detto prima, non si può giustificare soltanto con l'andamento negativo dell'economia.
Il manifesto ideologico di questo Governo e di questa maggioranza sulle politiche fiscali è stato impresso nero su bianco e senza pudore nel documento conclusivo sull'indagine conoscitiva condotta sull'evasione fiscale dalla Commissione bicamerale di vigilanza sull'anagrafe tributaria, un documento che è stato approvato solo dalla maggioranza la scorsa settimana. Secondo il centrodestra, sarebbe l'eccesso di adempimenti a spingere e quasi a giustificare l'evasione.
Mi permetterei sommessamente di aggiungere che, in questo modo, per dimezzare le condotte peccaminose, bisognerebbe dimezzare i comandamenti oppure, per dimezzare i reati, bisognerebbe dimezzare il codice penale. In questo corposo documento è stato scritto che l'utilizzo di una spiegazione moralistica della lotta all'evasione è censurabile, perché genera lacerazioni sociali dannose e inutili. Si tratta di affermazioni gravissime scritte in un documento di una Commissione bicamerale, che per di più è preposta a sorvegliare l'anagrafe tributaria. In un Paese civile non sarebbe necessario ricordare, specialmente in un Aula parlamentare, che il contrasto efficace all'evasione fiscale rappresenta prima di tutto una forma alta di lealtà al dettato costituzionale, oltre che uno strumento per migliorare i bilanci dello Stato, e soprattutto - questo per la nostra parte è la questione più rilevante - una leva insostituibile ed efficace per la redistribuzione della ricchezza, anche alla luce dei circa 30 miliardi di euro di imponibile, che vengono sottratti ogni anno all'erario.
Si tratta di una stima che è stata stilata da un'associazione internazionale per conto dell'Associazione dei contribuenti italiani, elaborando dati ministeriali e dell'ISTAT: circa 300 miliardi di euro di evasione fiscale. In questo contesto, va ricordato che nel 2007, con il Governo Prodi, le entrate dello Stato aumentarono di 27,2 miliardi rispetto al 2006; in un solo anno, 27,2 miliardi!
Le maggiori risorse furono utilizzate per ridurre le imposte a famiglie e imprese, il cosiddetto tesoretto, ma anche a garantire il rispetto dei parametri dell'Unione europea sul debito pubblico e sul rapporto tra deficit e PIL. Naturalmente, non fu possibile attuare fino in fondo questa politica redistributiva, perché vi fu l'interruzione della legislatura, però essa ci ha lasciato un'eredità importante, che in questi giorni avete cercato di occultare.
Di queste politiche giuste dal punto di vista sociale, ma anche efficaci, nei giorni scorsi hanno tratto beneficio 3 milioni e 426 mila pensionati, che hanno potuto percepire, con un importo medio di 380 euro una tantum, la quattordicesima mensilità, che verrà erogata annualmente ai pensionati che percepiscono un assegno mensile fino a circa 700 euro.
Si tratta di un onere complessivo di un miliardo e 305 milioni di euro, che è stato possibile erogare nei confronti di più di tre milioni di pensionati al minimo; questo risultato è il frutto del protocollo del 2007 voluto dal Governo Prodi.
L'Esecutivo in carica, abituato ad annunci roboanti quanto inconsistenti di risorse promesse e mai pagate, ha cercato di far passare sotto silenzio questo importante intervento sociale semplicemente perché era stato frutto dell'azione del Governo precedente.
Ben diverso, mi si consenta, il rapporto promessa-risultato di questo Governo: una social card prevista per oltre un milione e mezzo di pensionati che è stata devoluta ad appena un terzo; un assegno di disoccupazione per i lavoratori a progetto, cioè precari, che non solo corrisponde ad appena il 20 per cento dell'ultima retribuzione, ma che ha interessato fin qui 1.800 persone rispetto ai circa 400 mila precari che hanno perso il lavoro nel corso del 2008.
Con questo Governo si è subito manifestata una rapida inversione di tendenza rispetto alle politiche di contrasto all'elusione Pag. 45e all'evasione, indirizzi che si sono concretizzati subito, purtroppo, in particolare con la legge n. 133 del 2008, che ha convertito il decreto-legge n. 112, con la quale il Governo ha abolito molti provvedimenti utili presi dal precedente Esecutivo per contrastare l'evasione, a partire dalla cancellazione della tracciabilità degli assegni, dall'abolizione delle norme sulla tracciabilità dei pagamenti e dall'obbligo di allegare l'elenco fornitori-clienti alle dichiarazioni dei redditi, oltre alla riduzione delle sanzioni e dei relativi interessi per gli evasori totali e parziali.
Si tratta di misure che sono state criticate, come noto - ma credo che qui sia utile e giusto ribadirlo - anche dalla Corte dei conti, che ha rilevato una netta inversione rispetto alle politiche precedenti. L'evasione fiscale, ha affermato il procuratore generale Furio Pasqualucci, rappresenta un vero e proprio tesoro; ove acquisito all'erario, risolverebbe non pochi problemi, consentendo una sollecita riduzione del debito, una riduzione della pressione fiscale, che in questo anno, aggiungo io, è aumentata, e un incremento delle spese in conto capitale tali da rilanciare l'economia.
Ma ben altre, purtroppo, sono la cultura politica e l'indirizzo programmatico che portano allo scudo fiscale ter, introdotto con l'articolo 13-ter di questo provvedimento, che purtroppo sta per essere approvato.
Il messaggio è chiaro e devastante: chi evade, prima o poi, può ottenere una sanatoria, con uno sconto sulla sanzione pecuniaria e l'assolvimento da ogni implicazione di carattere penale. Ci sono autorevoli commentatori che, addirittura, hanno sostenuto che si tratta di un'amnistia mascherata in contrasto con l'articolo 79 della Costituzione.
Quello che è chiaro è che lo Stato, proprio in riguardo alla Costituzione, dovrebbe essere garante di tutti i cittadini con l'articolo 53, che afferma testualmente che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.
Promuovere di fatto l'evasione, favorendo con una tassazione esigua la regolarizzazione e il rientro in Italia di attività finanziarie e patrimoniali detenute illegalmente all'estero, è senza dubbio in contrasto, proprio quando l'Agenzia delle entrate, nei giorni scorsi, ha fornito dati che dimostrano che la media del reddito di un italiano è poco sopra i 18 mila euro e che fasce di contribuenti con presunti ricavi assai superiori denunciano, invece, lo stesso reddito, circa 15 mila euro, dei pensionati.
È necessario che il Parlamento e il Governo diano forza e sostegno alle strutture dello Stato e alle agenzie che ogni giorno conducono la lotta all'evasione, al fine di recuperare quanto sarebbe dovuto alla collettività.
Il ministro Tremonti si è giustificato sottolineando che tutti i Paesi prevedono meccanismi di rimpatrio: alcuni li fanno dopo la campagna elettorale, ha detto, altri già li attuano, come in America, o li hanno già annunciati come in Gran Bretagna; ed ha aggiunto che lo scudo proposto concorda perfettamente con la politica degli Stati Uniti. Ma anche in questa occasione i parametri non corrispondono: lo scudo fiscale italiano, come ha detto anche l'onorevole Fluvi prima di me, non è propriamente la stessa operazione della dichiarazione volontaria sui capitali esportati che è stata introdotta negli Stati Uniti. La filosofia dei due provvedimenti è completamente diversa: il nostro garantisce l'anonimato, il che è tutto dire, mentre negli Stati Uniti è previsto un pieno disvelamento dell'esportatore di capitali; in America si devono pagare le imposte eventualmente evase, in Italia c'è appunto la salvaguardia dello scudo. E dunque si tratta di un condono, dal quale però restano comunque escluse le violazioni IVA sulla base delle norme europee, nonostante Berlusconi e la sua annunciata volontà di concordare a livello internazionale ogni strategia di rientro dei capitali.
Dietro lo scudo, per concludere, vi è un provvedimento pieno di occasioni mancate: mi riferisco in particolare alle misure nei confronti della piccola e media impresa, Pag. 46che già adesso è in crisi di liquidità e che verrà proiettata nella fase di aggravamento di settembre, che sarà davvero difficile, senza alcuna reale misura di sostegno. Il Governo ha chiuso tutte le porte del confronto, sia sull'ampiamento dei codici Tabella ATECO, la cui estensione, in virtù anche di una soglia più bassa di detrazione fino al 40 per cento, avrebbe trovato, come abbiamo sentito nelle audizioni, anche d'accordo le associazioni di imprese, che su misure fiscali di indubbia utilità, come l'aumento dal 30 al 50 per cento della deducibilità dell'IRES degli interessi passivi, che adesso sarebbe particolarmente importante per sostenere le imprese che avevano investito e che sono state colte nel corso di questo sforzo dall'aggravarsi della crisi, o l'innalzamento almeno fino a 50 mila euro delle compensazioni sui crediti IVA. Ciò sarebbe stato particolarmente utile perché le imprese sono in crisi di liquidità, e il rallentamento del credito è sicuramente molto forte: lo ha detto ripetutamente, e anche ieri sera il Governatore della Banca d'Italia Mario Draghi nel corso dell'audizione sul DPEF delle Commissioni bilancio di Camera e Senato. I dati sull'erogazione del credito alle imprese a maggio su 12 mesi è scesa dal 3 al 9,6 per cento che era nel settembre 2008, quindi si è sostanzialmente divisa per 3; sui tre mesi recenti è diventata negativa, diminuendo di 1 punto in termini assoluti, mentre per le famiglie la variazione è rimasta vicina allo zero. Sappiamo che intervenire per legge è oggettivamente molto difficile, perché il credito è un'attività spiccatamente di mercato, che è legata alla libera contrattazione tra le parti; ci permettiamo però di osservare che in questo momento vi è in gioco un asset fondamentale del Paese, qual è l'impresa, ed in particolare quelle piccole, dell'artigianato e del commercio, del turismo e dei servizi, che peraltro non possono usufruire di altri provvedimenti perché non sono in contabilità ordinaria, e quindi non potranno avvalersi della defiscalizzazione degli aumenti di capitale.
I problemi principali sono quelli di sfuggire al rientro a breve per concordare la ristrutturazione del debito, procedere per gli affidamenti a medio e lungo termine al pagamento solo degli interessi e introdurre una moratoria per il rimborso della quota di capitale. Soprattutto, a nostro avviso, occorrerebbe rivedere Basilea II, perché provoca effetti prociclici che danneggiano il sistema produttivo e peraltro limitano negativamente anche gli impieghi delle banche; soprattutto per i grandi gruppi, che hanno diminuito gli impieghi, le cui restrizioni non vengono poi compensate dalla Popolari e dalle BCC. Nel provvedimento in esame il tema viene affrontato al comma 3-ter dell'articolo 5, ma francamente il testo, che richiama ad una convenzione con l'ABI, è assai vago, e a nostro parere 120 giorni, 4 mesi, sono tanti, forse troppi per arrivare alla stipula di tale convenzione con l'ABI.
Anche sul fronte del credito alle famiglie non vi sono stati passi in avanti. Sui mutui, dopo un anno, siamo sostanzialmente fermi ai provvedimenti del centrosinistra. Sull'aumento delle detrazioni che abbiamo riproposto e che avete puntualmente respinto, pur trattandosi di una norma che costa 500 milioni e di cui potrebbero beneficiare oltre tre milioni e 300 mila mutuatari prima casa, soltanto grazie alla nostra incalzante iniziativa sono state introdotte nel decreto-legge n. 185 del 2008 le sanzioni alle banche che ostacolano la portabilità, e col decreto-legge in esame sono state inasprite, così come la gratuità della surroga, che è stata inserita con il decreto-legge n. 185 e che è stata rafforzata col provvedimento in esame.
Vorrei ricordare che i provvedimenti di questo Governo sui mutui dopo un anno purtroppo non sono stati neppure neutri. Perché se dal versante dei mutuatari non hanno arrecato alcun vantaggio, in quanto essi non sono si sono avvalsi né della rinegoziazione né tanto meno del tasso eccedente il 4 per cento, dal momento che tale eccedenza è stata eliminata dalla dinamica del mercato, sono state però imposte alle banche ingenti spese organizzative per adeguarsi a disposizioni così inutili, che vogliamo sperare non siano Pag. 47state poi riversate in forma di commissioni nascoste a danno dei clienti. Dunque, le norme sui mutui non hanno prodotto alcun effetto e sono state addirittura probabilmente foriere di conseguenze negative per i clienti.
In questi giorni vi è stato un piccolo esempio di intesa tra maggioranza e opposizione su problemi di grande interesse per i cittadini quali quello del contenimento dei costi delle commissioni bancarie. Vale la pena ricordare però che, nel testo originario del Governo, l'articolo 2 non faceva alcuna menzione della direttiva 2007/64/CE, la quale regola i servizi di pagamento interno, che entra in vigore il 1o novembre 2009. Grazie a una convergenza in sede di Commissioni, con un emendamento dei relatori, un subemendamento del Partito Democratico e l'intervento della Presidenza delle Commissioni, siamo riusciti a stilare un testo che allinea la legislazione italiana alla direttiva europea, inserendo così in quel testo omissivo del Governo una formulazione molto più vantaggiosa, che prevede la coincidenza di valuta e disponibilità, diversamente invece da quello che si aveva nel testo originario, che le disallineava in maniera penalizzante per i clienti.
In conclusione, quello che è emerso nel corso dell'esame nelle Commissioni è una maggioranza confusa, indecisa, spesso divisa nell'assecondare senza obiezioni un Governo chiuso al dialogo, anche se, al tempo stesso, consapevole di viaggiare per una direzione sbagliata e di sostenere scelte sbagliate. Da questo punto di vista, abbiamo anche constatato che il Governo è stato battuto su emendamenti importanti, a testimonianza del fatto che in questo momento comincia ad esservi qualche scricchiolio.
La recessione in corso e l'alto livello di indebitamento del nostro Paese non consentono scorciatoie per agganciare la ripresa e sostenere la coesione sociale: solo il coraggio di fare riforme strutturali potrebbe liberare le risorse necessarie per le politiche di sviluppo e di modernizzazione. E dopo il fallimento di questo primo anno di governo della destra, sarà compito del Partito Democratico indicare agli italiani una politica economica alternativa e la strada per uscire dalla crisi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Servodio. Ne ha facoltà.

GIUSEPPINA SERVODIO. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, onorevoli colleghi, le politiche di tutti gli Stati coinvolti nell'attuale recessione economica hanno contemplato misure dirette a salvaguardare l'occupazione, la coesione sociale, la continuità dei consumi e le più diversificate forme di sostegno al credito. Come sa chi legge la stampa internazionale e in modo particolare europea, in molti paesi dell'Unione europea i sistemi produttivi hanno trovato azioni appropriate di sostegno: per esempio, per l'industria meccanica e manifatturiera, anzitutto con incentivi alla rottamazione, per i settori commerciali, con le promesse di aiuto da parte delle banche, per il sistema sociale, con l'incremento di misure di solidarietà e di tutela in caso di disoccupazione.
In questi settori vi è stato quindi un forte interesse dei Governi dell'Unione. Per quanto riguarda il nostro Paese, purtroppo e con nostro dispiacere, lo voglio dire al collega Cazzola, il Governo ha messo in campo sì una strategia economica, ma una strategia disorganica e insufficiente. Lo si può verificare anche in questo provvedimento cosiddetto anticrisi, ma che a mio avviso non è un provvedimento anticrisi perché non ha tenuto conto dell'esigenza da un lato di sostenere le componenti economiche, sociali e produttive più dinamiche della società, e dall'altro di mettere in campo misure straordinarie per quelle aree sociali e produttive più esposte al rischio di esclusione e di povertà.
Lasciatemi dire ed esprimere una sensazione: penso che si sia inseguita più la strada del rispondere a richieste di un mondo associativo e di categoria, richieste giuste ma che avevano ed hanno bisogno di essere tenute dentro un progetto economico complessivo che era ed è il compito del Governo e della maggioranza. Pag. 48
Il Partito Democratico in tutti questi mesi ha incalzato il Governo con proposte innovative, cui faceva riferimento il collega Fluvi, ed ha tentato di aprire, signor sottosegretario, un confronto sul tema della coesione sociale. Sottosegretario, la coesione sociale non è un'affermazione sociologica, ma ha un rilievo ed un profilo politico: coesione sociale significa creare quelle condizioni per superare la crisi, e se andiamo a leggere la storia di questo Paese in un quadro anche politico diverso da quello che oggi è rappresentato in Parlamento, questo Paese ha superato le crisi più difficili puntando sulla coesione sociale e con la coesione sociale si è raggiunta non solo un'efficienza economica, ma anche una crescita del reddito nazionale.
Abbiamo proposto, anche nel lavoro svolto presso le Commissioni (compresa quella di cui faccio parte, la Commissione agricoltura), di ridurre le aree del privilegio, della speculazione e del corporativismo e di sostenere invece, con utili ed efficienti misure, le aree di emarginazione e di ritardo nello sviluppo del Mezzogiorno e delle altre zone in difficoltà del centro-nord.
Vorrei che al riguardo fossimo chiari: non siamo pessimisti, perché i politici non devono essere né ottimisti né pessimisti, ma devono guardare i dati e dare delle risposte. Il Paese è in crisi e - lo ripeteva oggi sempre l'onorevole Cazzola - mi dispiace che anche in questa sede si minimizzi la portata di tale crisi, perché questo è un danno per il Paese. Leggiamo come vogliamo i dati ma noi, come Partito Democratico e come opposizione, leggiamo alcuni dati non solo di istituti nazionali, ma anche europei ed internazionali: l'Italia è il Paese che cresce di meno rispetto ai Paesi dell'Europa, ha una minore mobilità sociale, ha più elevati livelli di disuguaglianza, ha redditi delle famiglie non sufficienti a coprire le esigenze primarie - anche di quelle famiglie che hanno due lavoratori al proprio interno - e cresce la disoccupazione, un dato questo che ricordava prima il predetto collega.
Mi rivolgo a lei, sottosegretario, visto che qui rappresenta il Governo: avete avuto tante occasioni di utilizzare la disponibilità e la sensibilità del gruppo del Partito Democratico, ma anche dei gruppi di tutta l'opposizione. Noi volevamo essere coinvolti in un confronto credibile dal Governo e dalla maggioranza, nella costruzione di un progetto di innovazione e di cambiamento che non può essere definito di destra o di sinistra (abbiamo superato infatti da tempo una visione ideologica). Guardiamo al Paese ed alle sue difficoltà ed avremmo voluto essere coinvolti in questo progetto di innovazione e di cambiamento, che è difficile perché è difficile questo Paese, nella direzione di alcune riforme - liberalizzazioni, più concorrenza nei servizi locali, nelle grandi reti, nei sistemi di trasporto, nell'energia - e con il rigore volto a ridurre la spesa e a risanare la finanza pubblica - vedremo infatti tra qualche mese come starà la finanza pubblica! - attraverso investimenti per ammodernare e infrastrutturare il Paese e mettendo al centro - e qui mi piace molto ricordare il ragionamento del collega Fluvi - il sistema delle piccole imprese. Questo Paese è cresciuto grazie alle piccole imprese ed oggi la mortalità delle piccole imprese è un dato che deve preoccupare tutti, Governo, maggioranza ed opposizione. L'altra priorità è la dignità del lavoro, ma riteniamo che questi obiettivi non siano stati raggiunti. Voglio però soffermarmi, in modo particolare, su un aspetto.
Questa crisi ha avuto ripercussioni sull'intero sistema agricolo europeo, tanto che la Commissione europea ha emanato una comunicazione a sostegno dell'accesso al finanziamento nell'attuale situazione di crisi finanziaria ed economica, prevedendo anche di superare i vincoli comunitari. Signor sottosegretario, i Governi degli altri Paesi dell'Unione europea hanno fatto la loro parte, hanno incluso nei provvedimenti cosiddetti anticrisi alcune misure importanti per il rilancio competitivo del sistema agricolo e rurale. Ricordavamo l'altra settimana, durante la discussione sulle mozioni, come in Francia siano stati Pag. 49stanziati oltre 250 milioni di euro, come la Spagna e la Germania hanno avviato riforme importanti per dare slancio all'agricoltura come attività multifunzionale (la Spagna e la Germania, e in modo particolare la Francia, sono Paesi che competono con i nostri prodotti). In Italia cosa è avvenuto? Abbiamo avuto solo dei tagli vistosi, e l'assoluta estromissione del settore agricolo dall'agenda delle misure anticrisi poste in campo dal Governo. Nella scorsa settimana, in quest'Aula, abbiamo discusso e approvato all'unanimità, le mozioni riguardante questo settore: non vorrei che l'agricoltura fosse relegata in quest'Aula soltanto all'approvazione di alcune mozioni. Alle mozioni devono seguire i fatti e questo provvedimento, visto che vi accingete a chiedere la fiducia su un maxiemendamento, avrebbe dovuto almeno recepire alcune delle misure che tutti insieme in quest'Aula abbiamo condiviso. Dopo che si parla in Aula, e in Commissione agricoltura, dell'agricoltura, siamo stanchi di vedere atti incoerenti da parte della maggioranza e del Governo. Si tratta di un settore che presenta oltre un milione imprese, che costituiscono il 16 per cento del totale delle imprese italiane; sono una ricchezza sulla quale si può puntare. Il comparto dell'agricoltura sull'economia nazionale incide con il 15 per cento del prodotto interno lordo. Ripeto, non vorremmo che l'interesse per l'agricoltura si riducesse soltanto all'approvazione di mozioni.
Oggi le imprese agricole vivono le stesse condizioni critiche dei titolari dell'industria, delle attività commerciali, dei settori del secondario e terziario. In questo decreto-legge non è previsto alcun intervento per le imprese agricole, per gli agricoltori e per gli operai agricoli, non è prevista alcuna forma di tutela per chi viene espulso dal lavoro rurale, per gli operai delle piccole attività agroalimentari, per chi assicura servizi tecnici al sistema rurale. Il mondo agricolo italiano è finanziariamente in ginocchio. Ogni giorno si leggono notizie dell'entrata in crisi di alcuni comparti, da quello suinicolo, a quello lattiero-caseario, avicolo o del comparto ortofrutticolo. È dovere della politica e delle istituzioni scongiurare un arretramento strutturale e produttivo del settore agricolo e mettere in campo, invece, quelle misure per dare forza alle grandi potenzialità e capacità competitive della rete dei produttori agricoli italiani. Abbiamo la netta sensazione che il Governo ignori profondamente le caratteristiche dei sistemi strutturali agrari del Paese, nonostante il Ministro Zaia sia stato molto competente nella sua esperienza regionale. La dimensione media delle imprese agricole, il ricambio generazionale, la frammentazione e la polverizzazione delle filiere, i limiti infrastrutturali, sono le cause che impediscono il pieno sviluppo. Questo decreto-legge, cosiddetto anticrisi, allora, doveva comunque rispondere ad una di queste cause, per invertire la tendenza in questo settore. Bisognava prevedere, ad esempio, degli interventi a favore degli investimenti, dell'ammodernamento delle strutture agricole ed agroalimentari, un sostegno alla ricerca finalizzata (la Francia e la Spagna ci stanno battendo nella ricerca in questo settore), nuove fonti agroenergetiche, la tutela dei territori e l'accorpamento fondiario, che è uno dei motivi di crisi strutturale del nostro modello agricolo.
La scorsa settimana, in occasione sempre della discussione su alcune mozioni (è l'unica occasione in cui abbiamo parlato di agricoltura, e ricordo che di agricoltura abbiamo parlato quando abbiamo dovuto affrontare il decreto-legge delle quote latte, ma non vorrei ricordare qui una pagina molto oscura del dibattito in questo Parlamento), ricordavo a una collega che Nomisma, nella presentazione dell'undicesimo rapporto sull'agricoltura italiana, ha definito il nostro sistema vecchio, ingolfato, polverizzato, con un ritardo strutturale primario rispetto ai principali competitor europei. A fronte di questo scenario è incomprensibile l'insensibilità e l'assenza da parte del Governo e della maggioranza, nonostante l'espressione di buona volontà che tutti i colleghi di tutti i gruppi all'interno della Commissione Agricoltura in tante circostanze esprimono. Noi siamo Pag. 50disponibili a ragionare intorno a una visione complessiva e globale del nostro sistema agroalimentare, per tentare di superare le cause, e in questa circostanza con il decreto-legge cosiddetto anticrisi avremmo dovuto aiutare i nostri imprenditori agricoli per quanto concerne il concorso nel pagamento degli interessi sui mutui di ammortamento a 15 anni, i contratti per il salvataggio e la ristrutturazione delle imprese agricole (soprattutto quelle piccolissime e medie), anche in relazione all'esposizione debitoria verso enti pubblici operanti nel settore dell'assistenza e dalla previdenza.
Avremmo voluto anche auspicare in questa direzione - abbiamo presentato a tal proposito degli emendamenti - degli interventi per il miglioramento della redditività e delle condizioni di funzionamento delle imprese agricole. Guardi, signor sottosegretario, noi dobbiamo ragionare bene sulle filiere, perché oggi i prodotti costano alle famiglie, ma rispetto a questi costi gli agricoltori hanno redditi minimi, quindi il vero problema è questo: filiere lunghe, disorganizzate, che impediscono agli agricoltori di fruire di redditi adeguati, e agli utenti di avere costi minori nell'acquisto dei prodotti. Allora, noi avremmo voluto in questo decreto-legge - abbiamo formalizzato a tal proposito degli emendamenti - e immaginato dei mutui finalizzati ad assicurare ai beneficiari prospettive di redditività a lungo termine, come i conferimenti di capitale, la cancellazione di esposizioni debitorie, l'erogazione di crediti, ovvero concessione di garanzie su operazioni creditizie, la riduzione della base imponibile ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche, e l'esonero parziale dal pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
Registriamo che molte promesse fatte dal Governo sono puntualmente disattese, e in alcuni casi - mi spiace ricordarlo - noi in quest'Aula abbiamo approvato misure come per esempio il Fondo di solidarietà, che è una misura strutturale per il mondo agricolo; lo abbiamo approvato in questa sede e quasi nello stesso giorno, il giorno dopo, nel provvedimento cosiddetto «milleproroghe» tale misura è stata cancellata. Quindi, ciò rappresenta anche un modo per irridere il lavoro che la Commissione Agricoltura - ma il Parlamento nel suo complesso - ha svolto. Ci preoccupa molto, e credo che debba preoccupare la maggioranza, il Governo e l'opposizione il fatto che il fenomeno della desertificazione di numerose produzioni di eccellenza si faccia sempre più forte nel nostro Paese. Mi riferisco alla mortalità di tante piccole e medie aziende, all'espulsione di addetti e di lavoratori. Non è corretto sostenere che, essendo il settore agroalimentare quello che sta reggendo meglio alla crisi, la politica e le istituzioni non si debbano far carico delle difficoltà che il settore ha, a partire - lo ripeto - dal calo dei redditi degli agricoltori, dell'occupazione, e conseguentemente dal disavanzo commerciale del settore.
Il nostro giudizio, sottosegretario, è molto critico su questo provvedimento, e io credo che noi dobbiamo lanciare un appello (non so se questo appello potrà e vorrà essere accettato dal Governo e della maggioranza): quando un Paese è in crisi il dovere della politica e delle istituzioni è quello di lavorare insieme, di portare una speranza per i cittadini; la crisi si supera se la politica si fa carico realmente dei bisogni dei cittadini. Mi riferisco al Partito Democratico e al lavoro che ha svolto nelle Commissioni competenti, soprattutto in questi ultimi giorni, e al dibattito che per noi non è una esercitazione verbale (la discussione generale).
Sono parlamentare da qualche legislatura e ricordo che in quest'Aula si sono svolte discussioni generali su alcuni provvedimenti che hanno anche convinto il Governo e la maggioranza a cambiare. Assistiamo purtroppo al fatto che, nonostante tutte le riflessioni, le idee e le proposte che, con senso di responsabilità, ci sforziamo di esprimere al Governo nelle discussioni sulle linee generali, rimangono lì. Sono sordi e la sordità di un Governo può portare anche a fare danno al Paese.
Nella discussione sulle linee generali in corso non ci stancheremo, quindi, di offrire Pag. 51proposte affinché questo decreto-legge anticrisi che non può essere completamente e sostanzialmente recuperato possa almeno prevedere l'approvazione di alcuni elementi importanti cui faceva riferimento l'onorevole Lulli in precedenza (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cambursano. Ne ha facoltà.
Ricordo che dopo l'intervento dell'onorevole Cambursano, secondo accordi intercorsi, sospenderemo la seduta per riprendere alle 15 con il question time.

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, rappresentante del Governo, colleghi, anzitutto non intendo più, per averlo fatto troppo volte, entrare nel merito dei rapporti tra Governo e Parlamento, tra maggioranza e opposizione né nelle Commissioni Bilancio e Finanze nella fattispecie su questo provvedimento né in Aula. Non vi è stato, non vi è e non vi sarà dialogo con questo Governo e con questa maggioranza. In questi quindici mesi vi è stato una volta sola su un provvedimento relativo al federalismo fiscale. Per il resto vi è stata netta chiusura e, quindi, di conseguenza, puro scontro. Peraltro non è un fatto solo di questi quindici mesi: chi era presente nella XIV legislatura lo ha potuto verificare per cinque anni consecutivi sui decreti-legge e disegni di legge ad personam. Quando vi sono troppi interessi privati in atti pubblici e sussistono conflitti di interesse mostruosi, il risultato non può che essere questo: da una parte, maggioranza e Governo, ci si chiude e, dall'altra, si tenta con i mezzi che abbiamo a disposizione di contrastare il provvedimento.
Per questo motivo non intendo più parlarne e un invito che faccio a me stesso e all'opposizione, è che alla ripresa dei lavori autunnali si individuino strade diverse, percorsi diversi e, se necessario, financo strumenti forzosi nei confronti di questa maggioranza e di questo Governo.
Entro nel merito, signor Presidente. The Economist recentemente diceva testualmente che non accettare la crisi economica è il vero scandalo dell'Italia. E che lo scandalo continui - lo abbiamo sentito ieri nell'audizione al Senato della Repubblica presso le Commissioni bilancio riunite e, peraltro, lo abbiamo sentito anche stamane nell'intervento del collega Cazzola - evidentemente è dovuto al fatto che vedono o hanno visto film diversi rispetto a quelli che il Paese vede e, per quanto ci riguarda, noi vediamo.
Ieri il «superministro», parlando del vecchio Documento di programmazione economico-finanziaria vale a dire quello del luglio dello scorso anno, ha detto che i tre obiettivi che si era posto sono stati tutti quanti centrati e li citava: il primo è quello relativo alla finanza pubblica. Ha detto testualmente, udite: «I conti sono in linea con i nostri impegni internazionali». Infatti è stato smentito categoricamente qualche ora dopo dal Governatore della Banca d'Italia il quale ha detto testualmente che i conti pubblici sono gravemente deteriorati. Dunque delle due l'una: o il Governatore ha preso un abbaglio enorme oppure il Governo e il suo «superministro» vogliono prendere un abbaglio enorme evidentemente per giustificare il fallimento totale di politica economica adottata in questi mesi.
Per quanto riguarda la finanza pubblica, il deficit nel primo trimestre 2009 ha toccato punte del 9,3 per cento e sta scivolando decisamente verso il 5,2: lo dice lo stesso Documento di programmazione economica e finanziaria, se le cose stanno così e cioè se i miglioramenti attesi - sono parole loro - fossero confermati.
Infatti, se ciò non accadesse supereremmo anche quella percentuale.
Sulle capacità divinatorie: sempre il «superministro» ha detto che aveva capito prima degli altri cosa sarebbe successo nel 2008 e infatti aveva previsto nel documento di programmazione, quando la crisi era già di fatto scoppiata, che avremmo avuto un aumento del prodotto interno lordo dello 0,5-1 per cento (peccato che ciò non sia accaduto), così come prevedeva un deficit dei conti pubblici che si sarebbe attestato semplicemente allo 0,9 per cento (mentre invece stiamo veleggiando, come Pag. 52dicevo prima, oltre il 5 per cento). Le entrate tributarie sono scese del 3,8 per cento e il debito, come è stato ricordato da altri colleghi, viaggia decisamente verso il 120 per cento: è solo questione di qualche mese, lo vedremo, perché tutti i provvedimenti che abbiamo adottato finora non hanno reale copertura, è fittizia. Si gioca con le tre carte, come si faceva nelle feste padronali e nei mercati rionali, quando vi erano quegli omini che giocavano con le carte e con i bussolotti. Le spese correnti in compenso sono aumentate eccome, del 4,6 per cento, mentre invece quelle in conto capitale sono diminuite di oltre il 6 per cento. Quel che è ancor più grave è che la caduta della produzione industriale (quindi per leggere che vi è una ripresa ci vuole davvero un ottimismo sfrenato) è stata di oltre il 22 per cento.
Signor Presidente, si parla per la prima volta non di un avanzo primario, ma di un disavanzo primario, che raggiungerebbe lo 0,4 per cento. Quindi, stiamo andando decisamente oltre ogni più difficile e critica previsione, si stanno superando tutte quante nettamente. Poi cosa succede a coloro che le tasse le pagano, a quella parte sempre minore di cittadini italiani che pagano le tasse, cioè i lavori dipendenti, i pensionati e anche i lavoratori autonomi onesti (e ve ne sono)? La pressione fiscale ha superato il tetto massimo mai raggiunto sinora, il 43,4 per cento, dato che risale al 1998, quando fu adottata la sovrimposta per entrare in Europa, che poi come sappiamo è stata restituita, almeno nella misura del 60 per cento. In compenso, l'unico dato in aumento oltre alle spese correnti è quello dell'evasione fiscale: l'abbiamo dimostrato in tanti nostri ragionamenti, con dati alla mano. Questi sarebbero i conti pubblici in ordine? Ecco perché abbiamo visto un film diverso.
Il secondo obiettivo: la tenuta sociale, che sarebbe stata garantita. Garantita da chi? Garantita da questo Governo con i provvedimenti che ha assunto? No, perché l'unico sforzo vero fatto per gli ammortizzatori sociali lo hanno fatto le regioni, che hanno sborsato soldi di tasca propria. La pace e la tenuta sociale sono state garantite dall'alto senso di responsabilità dei lavoratori dipendenti che sono stati messi in casa integrazione e dei lavoratori precari, che hanno un senso dello Stato molto superiore rispetto a quanto non l'abbiano questo Governo e questa maggioranza (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
La tenuta sociale è stata garantita, signor Presidente, dagli 8 mila e oltre comuni, perché chi fa l'amministratore locale (e ve ne sono, non oggi, in quest'aula) lo sa benissimo cosa vuol dire fare il sindaco e stare sul territorio in trincea, quando ti viene chiesto come rispondere alle esigenze quotidiane dei tuoi concittadini che amministri e cerchi di mettere mano al portafoglio, qualche volta anche di tasca propria, per farvi fronte. Il senso di responsabilità degli amministratori locali a prescindere dal colore politico, ma per l'unica fascia tricolore che indossano, ha garantito questa pace sociale. E noi come li abbiamo premiati? Tagliando, tagliando e ancora al tagliando le risorse che erano proprie: togliendo l'imposta sugli immobili, l'ICI.
Terzo obiettivo: quello della struttura produttiva che è stata sostenuta dal credito. Ma dove vive il nostro Ministro? Probabilmente ha in mente semplicemente le grandi aziende di cui come sappiamo è stato (adesso non più, per ovvie ragioni di incompatibilità, almeno speriamo) grande consulente tributario.
Si riferisce alle grandi aziende: certo, queste riescono ad ottenere i quattrini, perché, da un lato, sono azioniste delle banche (quindi, con un conflitto di interessi ovvio ed evidente) e, dall'altro lato, si rivolgono al mercato (è con le obbligazioni che si sono rilanciati i cosiddetti bond aziendali). Ma le piccole, piccolissime e medie industrie dove trovano il denaro? Da nessuna parte.
Signor Ministro, venga al nord - parlo del nord non in contrapposizione rispetto al meridione e al sud, ma semplicemente perché ho la presunzione di conoscerlo meglio - e verifichi quante aziende non ce la fanno più e chiudono i battenti. Lo Pag. 53verificheremo nel prossimo autunno, quando alla ripresa non del lavoro, ma delle attività generali, tanti lavoratori saranno messi o in cassa integrazione (se saranno coperti da questo strumento) o licenziati, come, ahimè, sta avvenendo.
Pertanto, signor Ministro, delle due, l'una: o sono stati truccati i conti - non quelli scritti, perché sono leggibili ed evidenti, ma quelli annunciati - oppure, abbiamo visto due film diversi, due Italie diverse. Questo è il vero scandalo: non aver capito quale fosse la gravità della situazione ed averla nascosta. Ultimamente, l'OCSE ha dichiarato che vi sono alcuni segnali positivi in evidenza: indicazioni di potenziale recupero relativo al mese di giugno e la cassa integrazione che ha avuto un calo dello 0,6 per cento. Chi era presente all'assemblea dell'ABI, che si è svolta l'8 luglio scorso (quindi, neanche tanti giorni fa), dovrebbe ricordare qual è stata, ancora una volta, la risposta del governatore Draghi. Egli ha detto che si tratta di un dato costante, ormai, da almeno dieci anni consecutivi. Mi riferisco al fatto che nel mese di giugno la cassa integrazione faccia un piccolo passo indietro. Peraltro, lo aveva già fatto. Sempre secondo le parole del Governatore Draghi, ciò si era verificato anche nel mese di gennaio, ma poi vi sono stati quattro mesi consecutivi con un forte aumento della cassa integrazione. Vedremo a luglio, vedremo in autunno quale sarà la situazione.
In compenso, i maggiori organismi internazionali - il Fondo monetario internazionale, la Commissione europea - sottolineano come l'Italia, rispetto alla grave crisi che ha colpito l'intero mondo e l'Europa, abbia speso soltanto 9 miliardi di euro di stimolo per la ripresa, in due anni, meno del dieci per cento - dicono testualmente - di quanto, mediamente, abbiano speso le altre nazioni che si trovavano nelle stesse condizioni. La riprova? I consumi privati. A dirlo non è Renato Cambursano, ma l'ISTAT in alcuni dati riportati nei documenti che ieri erano a disposizione dei colleghi al Senato della Repubblica: a pagina 4, si dice che vi è stata una caduta del 2,2 per cento dei consumi privati delle famiglie, concentrata soprattutto nei beni e meno nei servizi. Si dice, inoltre, che continua ad aumentare la percentuale di famiglie che acquistano presso hard discount e supermercati e che hanno dichiarato di aver limitato l'acquisto a scelte di prodotti di qualità inferiore.
Caro Governo, qui rappresentato dal sottosegretario, questa è l'Italia nelle condizioni in cui l'avete ridotta: non si consuma più e si acquista laddove si vende a meno ma a qualità inferiore. Volete un'Italia da Terzo mondo o vogliamo stare in Europa all'altezza delle sue maggiori democrazie, visto che siamo stati tra i fondatori dell'Unione europea?
Per quanto riguarda gli investimenti, accade la stessa cosa. Sempre l'ISTAT, alla pagina successiva dei citati documenti, afferma che le imprese non hanno più realizzato investimenti, che sono in difficoltà di finanziamento per l'accentuarsi dell'incertezza e che hanno diminuito, di quasi il 7 per cento, il ricorso agli investimenti.
A proposito del provvedimento in discussione, torna immediatamente alla memoria quanto ricordava, molto meglio di me, il collega Borghesi, quando diceva che avevamo presentato degli emendamenti con i quali proponevamo di allargare la fascia degli interventi possibili, come la riduzione della tassazione sugli investimenti, non solo verso l'acquisto di macchinari, ma anche verso l'innovazione, la ricerca e verso alcuni strumenti informatici e telematici che sono indispensabili.
La risposta è stata un «no» secco e la ragione - voi sostenete - è la mancanza di risorse finanziarie e che non si possono fare le «nozze con i fichi secchi». È vero, ma dove li avete spesi i fichi secchi quando c'erano, parlo dell'eredità del Governo Prodi? Ecco la grande responsabilità negativa di questo Governo.
Il Ministro Tremonti ha dichiarato: «Ho visto giusto, c'è una crisi in arrivo». Da un Ministro che rilascia queste dichiarazioni ci si aspetterebbe provvedimenti che vanno nella direzione esattamente opposta rispetto a quelli che avete adottate, e mi riferisco al decreto-legge n. 112 di un Pag. 54anno fa. La domanda, a cui non avremo mai risposta, è la seguente: signor Ministro (lo chiedo con forza, perché magari così sente anche lui), se fosse possibile tornare indietro con l'orologio e con il calendario a 14 mesi fa, farebbe le stesse scelte sulla abolizione dell'ICI sulle case dei ricchi? Farebbe le stesse scelte sulla riduzione della tassazione del lavoro straordinario che non c'era più? Farebbe le stesse scelte nell'introdurre la famosa «Robin tax» su qualcosa che non esisteva più? Le stesse scelte per salvare un'azienda, l'Alitalia, che offre un disservizio ormai generalizzato realizzato? Onestà intellettuale vorrebbe che egli venisse qui e dicesse: no, mi sono sbagliato, troviamo insieme le soluzioni. Invece l'arroganza del potere fa sì che si continui sulla stessa strada.
Andiamo oltre. Sabato scorso su La Stampa di Torino - come lei sa, signor Presidente, vengo da quel territorio, ma si tratta di un giornale diffuso in tutta Italia - un grande economista premio Nobel per l'economia, Paul Samuelson, sosteneva testualmente: «Quello che più serve ora è dare impulso alle spese di impatto immediato. Adesso è troppo tardi per programmare spese a medio e lungo termine. Non date retta alle rosee assicurazioni di ripresa economica nei prossimi mesi.» Vorrei che ci fosse questa ripresa, come vorremmo noi dell'Italia dei Valori e dell'opposizione, certo che lo vorremmo, ma non ci sarà nelle condizioni in cui opera questo Governo. «Le perdite di tempo sono letali» - proseguiva Samuelson - «quando una recessione degenera in un circolo vizioso di cause ed effetti negativi che aggravano le cause». Ecco, non servono perdite di tempo, invece voi avete perso mesi utili che avrebbero potuto dare un segnale forte di ripresa.
Nel documento di programmazione economica e finanziaria di un anno fa affermavate di voler interrompere la tradizione di discussione che richiede mediamente nove o dieci mesi per preparare, controllare e verificare gli effetti della legge finanziaria. Ebbene, cosa abbiamo fatto in questi 14 mesi? Unicamente rincorrere quello che è stato fatto male all'avvio di questa legislatura. Delle due, l'una: o non avete capito nulla di quello che stava avvenendo nel mondo - e questo sarebbe già grave per chi, come il Governo, dispone degli strumenti: basta guardare e basta leggere - oppure, peggio ancora, sarebbe irresponsabilità pura aver capito quanto stava avvenendo ad essere andati nella direzione esattamente opposta.
Avete perso tempo e denaro e solo ora vi accorgete che forse è opportuno intervenire, ma i risultati di questi provvedimenti in esame arriveranno troppo tardi rispetto alla crisi che svilupperà i suoi effetti terribili nel prossimo autunno. Chi garantirà, allora, quella pace sociale che è richiamata ancora nel nuovo documento di programmazione? Date queste condizioni, non sarà certamente questo Governo. A sostenerlo è - ancora una volta - il Governatore Draghi, il quale afferma che la ripresa è legata alla tenuta dei consumi e alla possibilità di tenuta del mercato di lavoro. Allora, ho già illustrato il dato dei consumi; quali sono i dati relativi all'occupazione? Un calo netto dell'occupazione e un aumento vertiginoso della disoccupazione.
Attenzione, quando l'ISTAT fotografa la disoccupazione - evidentemente non può fare diversamente - nel momento in cui effettua la rilevazione, se una persona lavora anche solo per un giorno, una settimana o un mese viene data per occupata, ma se il giorno dopo ritorna a casa perché è scaduto il suo contratto precario, continua ad essere fotografata come lavoratore e non lo è più. Ecco perché è un dato ovviamente truccato, non volutamente, ma perché così è.
Avete adottato nei confronti dei più deboli la social card - lo ricordava Cazzola - ma non è così, come è stato detto. Vi abbiamo suggerito elementi per migliorare il testo e soprattutto le procedure. Siete stati ancora una volta sordi, ecco perché la domanda non è stata esattamente nella quantità che era prevista da voi. Ora ve ne accorgete e correggete, sempre meglio tardi che mai, ma qualche volta ascoltate l'opposizione! Pag. 55
Certo che per distrarre l'attenzione da quello che sta avvenendo in questo Paese avete pensato bene, proprio nella giornata di ieri, di fare il «grande annuncio». Il Presidente del Consiglio e il Ministro Matteoli annunciano il Piano casa: verranno investiti 200 milioni di euro per costruire case per chi non ce l'ha. Bello. Certo che un annuncio di questo genere fa presa, soprattutto per chi controlla tutti i media. Ma stanno così le cose? Dove sono finiti i 550 milioni che il Governo Prodi aveva stanziato per lo stesso obiettivo (e stava partendo la realizzazione) e quindi gli investimenti che voi avete sottratto esattamente un anno fa? 550 milioni contro 200 milioni: questo è il «grande annuncio»? Abbiate il coraggio, ancora una volta, con onestà intellettuale, di dire le cose come stanno, non di edulcorarle e peggio di truccarle.
Abbiamo chiesto di intervenire per sostenere i lavoratori dipendenti e parasubordinati che non hanno diritto a nessun tipo di ammortizzatore sociale. La risposta è stata «no». La Banca d'Italia stima che ammontino a un milione 600 mila i lavoratori che si trovano in queste condizioni e sui giornali di oggi è scritto che non avranno più copertura, cioè verranno mandati a casa e andranno ad aumentare le file dei disoccupati e, quindi, troveremo le piazze piene, purtroppo. Per questo aspetto non c'è nulla.
Avete preferito intervenire sul fronte degli ammortizzatori sociali già esistenti ma anche qui non mettendo un euro in più: tutto era già previsto dal CIPE e dal Fondo sociale per l'occupazione e la formazione. Vi ricordate dove sono stati presi i quattrini, vero? Dal FAS, il Fondo per le aree sottoutilizzate. La manovra è di 6 miliardi in quattro anni, per quest'anno è di appena 1,3 miliardi. Ma andiamo a vedere, sia per quest'anno che per il prossimo, dove andranno queste risorse. Per le famiglie e i lavoratori stanziate 20 milioni di euro quest'anno e 150 milioni nel 2010, tutto il resto va alle imprese. Sono contento per loro, salvo il fatto che ci voleva una emendamento, presentato ancora una volta dal gruppo dell'Italia dei Valori che considerava fosse più opportuno estendere gli investimenti e soprattutto capitalizzare le imprese, perché è di questo che hanno bisogno, di liquidità.
Abbiamo proposto in Commissione bilancio l'istituzione di un fondo aggiuntivo per facilitare l'accesso al credito delle piccole e medie imprese, il sostegno ai settori nei territori più esposti alla concorrenza internazionale, il riconoscimento di una detrazione di imposta per l'innovazione, l'istituzione di un fondo a valere sulle risorse della Cassa depositi e prestiti, un'incentivazione dei contratti di solidarietà. Abbiamo proposto emendamenti che andavano nella direzione del sostegno ai consumi delle famiglie per un anno, per esempio, con la detrazione di determinate spese per sostenere la domanda. La risposta è stata «picche» su tutto.
Concludo con due «chicche», anche se il tempo necessario per spiegare sarebbe molto più lungo, ovviamente. Che cosa avete fatto? Quali sono i due interventi clamorosi di questo decreto-legge? Si tratta di due «chicche» che vanno nella direzione di sostenere chi ha evaso le tasse: la prima è il rientro dei capitali esportati clandestinamente all'estero e fate attenzione all'avverbio «clandestinamente».
Credo vi siano tante categorie di persone che hanno esportato capitale all'estero, ma chi lo ha fatto clandestinamente è chi aveva qualcosa da nascondere ed esattamente proventi di attività criminose o criminali. Questa è la verità. Andiamo a vedere che cosa è successo con i vostri primi due scudi fiscali della XIV legislatura. Dei 73 miliardi, 43 sono rientrati e 28 sono rimasti all'estero «lavati» e «puliti con candeggina», però dei 43 rientrati solo il 10 per cento è rimasto effettivamente reinvestito nelle attività produttive. L'altra parte è ritornata all'estero e a dirlo è stato il presidente dell'Unione delle banche svizzere di allora, il quale affermò che erano rientrati gli stessi quattrini che avevano preso la strada per l'Italia per essere «lavati» con il condono tombale, esattamente come quello che si prevede anche adesso. Pag. 56
Non a caso abbiamo presentato un altro nostro emendamento che diceva che andava bene far pagare - no, non andava bene perché siamo stati e siamo contrari per principio a questo tipo di politica fiscale -, ma che almeno bisognava far pagare per le responsabilità, laddove queste erano esistenti (penali, amministrative e comunque giudiziarie) e non monetizzare.
E la tassa che applicate? Calcolate su un rendimento del 2 per cento, con l'imposta del 50 per cento, l'1 per cento annuale, prevedendo che sia esteso per cinque anni. Allora mi chiedo: ma se si va in banca per mettersi a posto e per approfittare di questo strumento che viene previsto nel decreto-legge e si dice all'intermediario - concludo - di avere 100 all'estero, alla domanda su quando lo avrebbe portato, il tale signor Rossi risponderebbe «un anno fa», anche se invece ciò fosse avvenuto molto prima. Ma perché? Per una ragione semplicissima: perché si calcola il rendimento solo dell'ultimo anno, cioè di quello che ha denunciato, il 50 per cento del 2 per cento, cioè l'1 per cento. E poi si ha il coraggio di venire qui a dire che negli altri Paesi è stato adottato un analogo provvedimento con esiti decisamente diversi e superiori. Ma con quale faccia?
L'ultima «chicca» - ce ne siamo occupati troppo poco, purtroppo, ma vi ritornerò - è quella relativa alla sanatoria sulle multe per evasione da parte delle società concessionarie delle slot machine.
Questo Parlamento aveva istituito una Commissione presieduta da Alfiero Grandi, che doveva verificare che cosa fosse successo. In contemporanea la guardia di finanza ha svolto indagini, ma il giorno nel quale doveva fare la sua relazione è stata bloccata. I finanzieri aggiungono di aver trovato ostacoli enormi nel loro cammino. Certo! Dietro a queste operazioni - ci sono persone ovviamente oneste anche in questa attività - c'è una prevalenza di camorra, di 'ndrangheta, di mafie e di riferimenti a Nitto Santa Paola, per essere ancora più chiari.
Questa è la realtà e allora il regalo è un emendamento, presentato da un collega, che fa un «colpo di spugna»: interrompe i lavori previsti dalla Corte dei conti, la quale ovviamente reagisce e rivendica il compito di verificare i danni all'erario. Invece, si chiude tutto e l'appuntamento di dicembre alla Corte dei conti non servirà più: si cancellano 90 miliardi - quante leggi finanziarie? - in un colpo solo! Ecco l'altro regalo grosso a chi evade.
In conclusione, cito quel dato sconcertante: conflitto di interessi privati in atti pubblici. Chi è il legale rappresentante in Italia della prima società concessionaria che da sola ha evaso 31 miliardi? Un collega, ovviamente del Popolo della Libertà (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Sospendo a questo punto la seduta, che riprenderà alle ore 15 con lo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata e alle ore 16 con il seguito della discussione sulle linee generali del disegno di legge di conversione del decreto-legge recante provvedimenti anticrisi.

La seduta, sospesa alle 14,35, è ripresa alle 15.

Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata, alle quali risponderanno il Ministro per i rapporti con il Parlamento, il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali e il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione.

(Misure a favore del Corpo nazionale dei vigili del fuoco - n. 3-00608)

PRESIDENTE. L'onorevole Compagnon ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-00608, concernente misure a favore del Corpo nazionale dei vigili del fuoco (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

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ANGELO COMPAGNON. Signor Presidente, signor Ministro, la motivazione che ci ha spinto a presentare questa interrogazione urgente è la forte preoccupazione per la situazione nella quale si trova da tempo il Corpo dei vigili del fuoco: una situazione di profondo disagio operativo, più volte manifestato civilmente, a dimostrazione della grande responsabilità che contraddistingue la categoria.
Si tratta di un disagio operativo tale da pregiudicare l'efficacia e l'efficienza nello svolgimento dei compiti assegnati. Sappiamo che tali compiti sono richiesti soprattutto in casi di gravi situazioni, penso all'Abruzzo e a Viareggio, solo per le ultime difficili operazioni, ma molto più in generale.
Per tali motivi, signor Ministro, noi le chiediamo se non ritenga di attivarsi subito per affrontare le criticità che le ho manifestato in questa interrogazione e che penalizzano veramente la categoria dei vigili del fuoco.

PRESIDENTE. Il Ministro per i rapporti con il Parlamento, Elio Vito, ha facoltà di rispondere.

ELIO VITO, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, voglio ringraziare l'onorevole Compagnon per l'opportunità che mi dà, a nome dell'intero Governo, di confermare ancora una volta il sentito apprezzamento per l'opera che il Corpo nazionale dei vigili del fuoco ha determinato in alcune gravi emergenze, quali quelle citate dall'onorevole Compagnon, l'evento sismico in Abruzzo, il tragico episodio di Viareggio.
Tale valutazione ha portato il Consiglio dei ministri, lo scorso 3 luglio, a formalizzare con un apposito atto l'apprezzamento per il Corpo nazionale dei vigili del fuoco che, lo ricordo, dal 1941 svolge questo compito fondamentale nel nostro Paese: oltre quello di soccorrere le persone, anche di salvaguardare i beni e di tutelare l'ambiente.
A fronte di questo apprezzamento il Governo ha posto in essere in questo avvio di legislatura alcuni provvedimenti per andare incontro alla situazione nella quale opera il Corpo dei vigili del fuoco.
In particolare, con il disegno di legge n. 1167, delega al Governo in materia di lavori usuranti, approvato dalla Camera e in corso di esame presso la competente Commissione del Senato, è previsto il riconoscimento della specificità del ruolo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, al pari di quello delle Forze armate e delle forze di polizia. Il Governo auspica per questo una rapida e definitiva approvazione di tale proposta da parte del Parlamento.
Tale specificità, comunque, è stata già riconosciuta con il decreto-legge n. 185, cosiddetto anticrisi, che prevede la riduzione dell'IRPEF e delle addizionali regionali anche a favore del personale del comparto del soccorso pubblico.
Con lo stesso decreto sono stati stanziati 30 milioni di euro a valere sul Fondo istituito dalla legge finanziaria per il 2007: 30 milioni di euro distribuiti per il 40 per cento per migliorare la qualità del servizio di soccorso e per il rimanente 60 per cento per l'istituzione di una speciale indennità operativa per il servizio di soccorso urgente.
Con il decreto-legge a seguito del sisma dell'Abruzzo è stata ripristinata, a decorrere dal 2009, l'indennità di trasferta già prevista per il personale delle forze di polizia e per quello delle Forze armate.
Per quanto riguarda il buono pasto giornaliero, anche questo oggetto della sua interrogazione, precisiamo che per il personale inviato presso le sedi distaccate l'importo attualmente corrispondente viene offerto solo al personale in sedi dove si può usufruire in alternativa anche del servizio mensa.
Infine, Presidente, mi consenta di aggiungere che nell'ottobre scorso è stata avviata l'assunzione di circa 1.300 nuove unità e che il Governo è impegnato, attraverso il ripianamento degli organici, anche con un programma di assunzioni straordinarie.
Questo per esprimere ancora una volta in termini concreti, lo ripeto, l'apprezzamento Pag. 58del Governo e credo quello unanime del Parlamento per la preziosa opera del Corpo dei vigili del fuoco.

PRESIDENTE. L'onorevole Compagnon ha facoltà di replicare.

ANGELO COMPAGNON. Signor Presidente, signor Ministro, ovviamente mi fa piacere il suo apprezzamento che denota giustamente la sensibilità nei confronti di questo Corpo. Quando partecipo a questi question time vorrei sempre dirmi soddisfatto.
Mi rendo conto che anche per lei non è semplice dare certe risposte, però, tra le problematiche che avevo posto, vi erano anche i cinque anni di lavoro in più per ottenere lo stesso trattamento pensionistico rispetto agli altri corpi di pubblica sicurezza, le 4 mila carenze nell'organico, i debiti nei confronti dei fornitori, una serie di situazioni che, comunque, indubbiamente andrebbero affrontate in maniera più articolata.
Dico ciò perché, anche in questi giorni, stiamo discutendo il decreto anticrisi e ci viene data poca possibilità di incidere.
Crediamo che nei confronti dei vigili del fuoco si possa e si debba fare di più, ma non solo nei loro confronti. In quest'Aula si discute poco: a nostro avviso, ci è permesso discutere poco anche delle forze dell'ordine, delle famiglie, delle piccole e medie imprese, del ceto medio (ne abbiamo parlato oggi in sede di discussione sulle linee generali del cosiddetto decreto anticrisi).
Se vogliamo dare risposte, passi la decretazione, signor Ministro, ma fermiamoci con la fiducia: diamo la possibilità a questo Parlamento di dare un contributo.
Credo che, se avessimo potuto discutere di più sull'ultimo decreto anticrisi, potevamo dimostrare che per i vigili del fuoco si poteva fare ancora di più.
Non ce lo avete permesso, per cui, alla fine, non è che sono insoddisfatto, per l'amor di Dio, ma sono solo preoccupato. Se è vero quello che dite, perché - e ho concluso, signor Presidente - vi sono ancora queste manifestazioni di piazza?
Da che parte stare? Stiamo sicuramente dalla loro parte e crediamo a quelli che manifestano, perché i fondi, se non ci sono, non dovevano esserci nemmeno per Alitalia, per Catania, per le ronde. In questo senso, credo che l'UdC sarà sempre dalla parte di chi ha diritto ad essere ascoltato.
Non si possono eludere queste categorie, non si possono dir loro bugie: bisogna dire la verità! Come UdC, staremo sempre da questa parte, in quest'Aula, fino alla fine della legislatura (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

(Misure adottate dal prefetto di Milano, in qualità di commissario straordinario per l'emergenza campi nomadi in Lombardia, e iniziative relative all'occupazione abusiva della Cascina Bareggiate nel comune di Pioltello (Milano) - n. 3-00609)

PRESIDENTE. L'onorevole Rondini ha facoltà di illustrare l'interrogazione Cota n. 3-00609, concernente misure adottate dal prefetto di Milano, in qualità di commissario straordinario per l'emergenza campi nomadi in Lombardia, e iniziative relative all'occupazione abusiva della Cascina Bareggiate nel comune di Pioltello (Milano) (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata), di cui è cofirmatario.

MARCO RONDINI. Signor Presidente, signor Ministro, premesso che nel territorio del comune di Pioltello è in corso da diversi anni l'occupazione abusiva della Cascina Bareggiate da parte di un gruppo di stranieri di etnia rom, ad oggi è problematico quantificare il numero degli occupanti, che varierebbe in continuazione; tuttavia, si stima che questi possano raggiungere anche le 500 unità.
Le condizioni igienico-sanitarie di detto insediamento abusivo sono precarie, come dimostrato dal fatto che si sono registrati, a partire dal mese di marzo del 2009, diversi casi di tubercolosi tra gli occupanti.
Ciò che desta maggior allarme sono le ricadute sulla sicurezza dell'area in conseguenza di tale insediamento: le denunce Pag. 59di furto e di borseggi nella zona sono, infatti, numerose e hanno subito un deciso incremento, soprattutto a danno di persone anziane.
La Cascina Bareggiate è inserita in un parco locale di interesse sovracomunale denominato «Parco delle Cascine», nato per preservare un'ampia porzione di verde agricolo dall'urbanizzazione crescente dell'hinterland milanese e per salvaguardare le vecchie cascine...

PRESIDENTE. Onorevole Rondini, la prego di formulare il suo quesito al Ministro.

MARCO RONDINI... ivi presenti, testimonianza del passato rurale della città di Pioltello. Chiediamo quali misure abbia intrapreso ad oggi il prefetto di Milano, anche in virtù dei poteri assegnatigli in qualità di commissario straordinario per la gestione dell'emergenza rom in Lombardia, per risolvere la situazione descritta in premessa e se il Governo intenda intervenire...

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Rondini. Il Ministro per i rapporti con il Parlamento, Elio Vito, ha facoltà di rispondere.

ELIO VITO, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, vorrei innanzitutto rassicurare l'onorevole Rondini che la situazione dell'occupazione abusiva della Cascina Bareggiate nel comune di Pioltello, in provincia di Milano, alla quale ha fatto riferimento, è seguita con costante attenzione dal Governo, dal Ministro dell'interno, dall'amministrazione e dal prefetto di Milano, che, come lei ha giustamente ricordato, riveste anche il ruolo di commissario straordinario per la gestione dello stato di emergenza in relazione agli insediamenti nomadi nel territorio della regione Lombardia.
Nell'ottobre dello scorso anno - veniamo ad alcuni dati che lei ha richiesto - a seguito del censimento disposto dal prefetto, era stata rilevata la presenza di circa 250 persone che vivevano nell'immobile, effettivamente in condizioni di grave precarietà sotto il profilo igienico-sanitario.
A seguito delle iniziative assunte d'intesa con il comune di Pioltello, delle quali, tra poco, le darò riferimento, dall'ultimo controllo effettuato risultano censite 111 persone attualmente presenti nella struttura.
La prefettura sta lavorando, come dicevo, in stretto raccordo con il comune di Pioltello per trovare una soluzione che consenta il superamento dell'emergenza, offrendo opportunità di integrazione e di accoglienza a quegli appartenenti ai nuclei familiari che hanno manifestato disponibilità ad un rapporto con le istituzioni, ed assicurando soprattutto la frequenza scolastica dei minori.
Il comune ha recentemente redatto un progetto per lo smantellamento dell'insediamento, e le posso assicurare che sono in via di predisposizione da parte del commissario straordinario gli ultimi dettagli necessari per procedere allo sgombero e alla definitiva demolizione della cascina.
È evidente che solo quelle persone che manifestano la concreta volontà di accettare il percorso di integrazione proposto dalle istituzioni potranno utilizzare le opportunità del progetto «Patto per la legalità», previsto proprio per fronteggiare l'emergenza che si è determinata in provincia di Milano.
L'amministrazione del Ministero dell'interno confida che l'avvio di questo progetto consenta, oltre che a risanare l'area e porre rimedio ai pericoli per l'incolumità delle persone, anche una sicura riduzione dei fenomeni di illegalità e la prevenzione di potenziali contrasti sociali tra la popolazione della zona.
La sicurezza pubblica della zona comunque, onorevole Rondini, è sempre attentamente monitorata, con iniziative che sinora hanno avuto l'effetto di scoraggiare presenze indesiderate all'interno dell'immobile: infatti, dall'intervenuta dichiarazione dello stato di emergenza numerosi servizi di controllo da parte delle forze dell'ordine hanno portato all'arresto di Pag. 60quattro persone e ad una progressiva riduzione, come dicevo prima, delle presenze.
Si ritiene, comunque, che la questione possa essere a breve definitivamente risolta.

PRESIDENTE. L'onorevole Rondini ha facoltà di replicare.

MARCO RONDINI. Signor Presidente, siamo soddisfatti; ci auguriamo, però, che la soluzione proposta dall'amministrazione comunale non preveda necessariamente l'abbattimento di questa vecchia cascina, perché costituisce, insieme alle altre che purtroppo l'amministrazione comunale ha abbattuto nel corso degli anni, un patrimonio storico nel quale la comunità di Pioltello si identificava. Sarebbe magari opportuno che l'amministrazione ne preservasse la conservazione, e la restituisse alla comunità affinché essa ne potesse usufruire.

(Chiarimenti e iniziative in merito al prezzo al dettaglio dei carburanti in relazione alle oscillazioni del prezzo del petrolio al barile - n. 3-00610)

PRESIDENTE. L'onorevole Melchiorre ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-00610, concernente chiarimenti e iniziative in merito al prezzo al dettaglio dei carburanti in relazione alle oscillazioni del prezzo del petrolio al barile (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

DANIELA MELCHIORRE. Signor Presidente, signor Ministro, secondo le più recenti rilevazioni ISTAT la voce carburanti, che ha fatto finora segnare forti flessioni tendenziali, registra preoccupanti segnali di rialzo, con la benzina verde in aumento del 6,4 per cento rispetto a maggio e il diesel a più 2,2 per cento.
Alla vigilia dei grandi esodi estivi sulla rete nazionale italiana, il rischio è che gli automobilisti possano subire la beffa di aver beneficiato solo parzialmente delle riduzioni sul prezzo dei carburanti, quando il costo del greggio era precipitato sotto quota 40 dollari all'inizio dell'anno, e si accingano invece a pagare, questa volta per intero, la risalita del prezzo della benzina a seguito del rincaro del costo del greggio, passato ai circa 65-70 dollari attuali.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

DANIELA MELCHIORRE. Chiediamo pertanto se il Ministro, a fronte delle oscillazioni del prezzo del petrolio al barile dal luglio 2008 al luglio 2009, abbia ravvisato delle asimmetrie tra movimenti dei pezzi industriali nazionali e quotazioni del greggio.

PRESIDENTE. Il Ministro per i rapporti con il Parlamento, Elio Vito, ha facoltà di rispondere.

ELIO VITO, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, occorre anzitutto chiarire, onorevole Melchiorre, che oggi, come lei sa, i prezzi dei carburanti non sono più amministrati, ma sono liberi. Sarebbe, quindi, contrario alle norme antitrust formulare un prezzo corretto per un litro di benzina o di gasolio valido per tutti.
Comunque, il Ministero dello sviluppo economico effettua un monitoraggio settimanale dell'andamento dei prezzi petroliferi di largo uso, che tende a verificare anche attraverso un confronto su base europea che i prezzi praticati siano adeguati alle oscillazioni del costo del petrolio.
In particolare, nel periodo compreso fra il 6 e il 13 luglio 2009, le quotazioni del greggio espresso in dollaro/barile sono diminuite del 7,1 per cento; per contro, il cambio euro/dollaro è aumentato dello 0,6 per cento. Il prezzo medio industriale italiano della benzina è risultato superiore di 0,041 euro al litro rispetto alla media europea riferita ai 16 Paesi dell'Unione monetaria europea.
E comunque, analizzando il periodo da lei citato, luglio 2008 - luglio 2009, le valutazioni tendenziali dei prezzi mostrano che Pag. 61in Italia vi è stata una riduzione del prezzo medio del 31,8 per cento. Il prezzo industriale italiano del gasolio auto è invece superiore di 0, 036 euro al litro rispetto alla media riferita ai 16 Paesi europei; se però si analizza il periodo citato, anche per il gasolio vi è stata una riduzione del prezzo medio del 44, 4 per cento.
Comunque, il Ministero dello sviluppo economico, al fine di raggiungere l'obiettivo di riallineare il costo industriale dei carburanti italiani a quello di altri Paesi europei, ha avviato un tavolo permanente di confronto sul mercato petrolifero, che consente di definire una nuova metodologia di analisi dell'andamento dei prezzi italiani, e - come ho detto - una loro comparazione con i 15 Paesi dell'area euro.
In tal modo, sarà possibile tenere conto delle promozioni e delle offerte commerciali, così come della presenza della grande distribuzione commerciale, in modo da poter rendere il confronto più omogeneo in favore dei consumatori.
Concludo infine, onorevole Melchiorre, dicendo che è già in corso di predisposizione il decreto attuativo previsto dall'articolo 51 della legge, recentemente approvata dal Parlamento, recante disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, che prevede più efficaci misure specifiche per migliorare la conoscibilità dei prezzi dei carburanti: misure che potranno garantire nel contempo anche una maggiore concorrenza sul mercato petrolifero del nostro Paese.

PRESIDENTE. L'onorevole Melchiorre ha facoltà di replicare.

DANIELA MELCHIORRE. Signor Presidente, noi non siamo assolutamente soddisfatti della risposta del Governo, soprattutto sul piano del ragionamento tecnico e dei rimedi presi, che hanno sempre il sapore dell'annuncio (peraltro, il tavolo cui lei faceva riferimento esiste già dall'anno scorso).
Noi abbiamo notato che, come dimostrato anche da autorevoli ricerche, già dal 2008 si registra periodicamente uno scollamento fra il prezzo industriale della benzina in Italia - cioè il prezzo che viene pagato da ciascun automobilista alla pompa al netto delle imposte - e il prezzo internazionale della benzina, che è quello che - come voi stessi avete detto nel febbraio di quest'anno rispondendo ad un'altra interrogazione parlamentare in Senato - dovrà essere valutato sulla base di questo parametro. Per prezzo internazionale si intende il costo della benzina sul mercato internazionale, che risente direttamente del costo del greggio, cui vanno naturalmente aggiunti gli oneri fissi di commercializzazione.
Ebbene, da un anno a questa parte si sta notando uno scollamento e dunque un rapporto non corretto fra il prezzo internazionale dei 15 Paesi cui lei faceva riferimento e il prezzo industriale che viene adottato in Italia.
Le faccio notare, fra l'altro, che, se facciamo un calcolo riferito anche al biennio 2006-2007, si registra non una riduzione del costo della benzina in Italia, ma un aumento di circa 4 centesimi: 4 centesimi che peraltro, se si aggiunge l'IVA che - come si sa - si paga due volte, sulle accise e sul costo intero, va ad aumentare di circa dieci centesimi il costo al litro.
Inoltre, signor Ministro, a proposito del tavolo che lei ha citato, quel tavolo che aveva come obiettivo quello di trovare soluzioni in grado di incidere sulla struttura del settore carburanti (cito testualmente), le chiediamo se esso serva soltanto perché qualcuno possa mangiare più comodamente, oppure possa invece fare gli interessi di tutti gli italiani.

(Iniziative in merito all'inquinamento del mare in Campania - n. 3-00611)

PRESIDENTE. L'onorevole Palagiano ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-00611, concernente iniziative in merito all'inquinamento del mare in Campania (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

ANTONIO PALAGIANO. Signor Presidente, da diversi giorni, a causa di comportamenti Pag. 62irresponsabili di taluni amministratori, decine di migliaia di metri cubi di liquami putridi, infetti e tossici, vengono sversati nel Golfo di Napoli, le cui acque sono ormai divenute marroni e hanno una superficie giallognola, frammista a materiale schiumoso.
Secondo i dati dell'ARPAC, l'Agenzia regionale di protezione ambientale, le concentrazioni di colibacilli sarebbero cento volte superiori ai limiti massimi. Secondo Legambiente, inoltre, nel litorale casertano sarebbero 29 su 45 i chilometri di costa inquinata.
È evidente che tutti questi dati testimoniano un attentato alla salute dei cittadini e ledono gravemente l'immagine dell'Italia all'estero con drammatiche conseguenze sul turismo, sull'occupazione e sull'economia.
Con questa interrogazione l'Italia dei Valori chiede al Governo se e come intenda intervenire di fronte a questa gravissima emergenza, viste l'inerzia e l'indifferenza della regione Campania, della provincia e degli altri enti locali preposti al controllo, che sembrano ignorare del tutto quella che si prefigura come una nuova catastrofe ambientale.

PRESIDENTE. Il Ministro per i rapporti con il Parlamento, Elio Vito, ha facoltà di rispondere.

ELIO VITO, Ministro per i rapporti con il Parlamento. Signor Presidente, onorevole Palagiano, la sorveglianza delle acque di balneazione costituisce un momento essenziale della salute pubblica e dell'ambiente. Per questo l'attenzione e l'impegno del Governo - e in particolare dei Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del lavoro, della salute e delle politiche sociali - sono costantemente assicurati in questa direzione. Tra l'altro, la normativa italiana in materia è tra le più rigorose d'Europa ed impone dei criteri restrittivi sia per i tratti di costa insufficientemente campionati, sia per quelli vietati per inquinamento microbiologico.
In particolare, per quanto riguarda il tratto marino antistante il litorale campano esso è da tempo oggetto di ripetuti campionamenti per la ricerca di parametri microbiologici. Per quanto riguarda i dati ai quali lei ha fatto riferimento, voglio rassicurarla che i superamenti dei valori massimi dei limiti ai quali lei ha fatto riferimento sono tutti avvenuti in siti comunque già permanentemente chiusi alla balneazione.
Per quanto concerne gli aspetti inerenti l'igiene e la prevenzione sanitaria, non è stato riscontrato da parte delle ASL competenti nessun fenomeno di rilievo riferibile a intossicazioni o a particolari dermatiti.
Presso la prefettura di Napoli si è comunque svolta, nello scorso mese di giugno, una riunione con i rappresentanti dell'assessorato all'ambiente della regione Campania, dell'ARPAC e dei comuni interessati volta all'attivazione di un tavolo tecnico per la risoluzione delle problematiche rilevate in seguito ai fenomeni ai quali lei ha fatto riferimento. Si è concordato che la regione, con un'apposita commissione di esperti, avrebbe provveduto al piano di ristrutturazione anche sotto il profilo finanziario e che la regione stessa darà il via ad un progetto nel quale saranno individuate le priorità più impellenti per fare fronte all'attuale situazione.
Comunque, secondo quanto riferito dalla stessa regione Campania, la situazione dell'inquinamento marino va migliorando. Infatti, su 267 punti di prelievo, l'ARPAC esamina annualmente 4.500 campioni: nel 2001 è stato rilevato un inquinamento in più di 2 mila di essi, mentre nel 2008 in soli 400.
Dalle risultanze delle indagini espletate non emerge alcun rischio di disastro ambientale o di allarme sanitario. La regione Campania e la Protezione civile regionale - attraverso l'ARPAC e l'ateneo «Federico II», e in particolare l'istituto di igiene della facoltà di biologia - stanno monitorando la situazione ambientale del litorale. È comunque previsto un intervento di riqualificazione del litorale domizio e le posso assicurare che sarà cura del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuare a monitorare Pag. 63l'evolversi della situazione affinché siano adottati, ove del caso, tutti i provvedimenti necessari alla tutela della salute dei cittadini e dell'ambiente stesso.

PRESIDENTE. L'onorevole Palagiano ha facoltà di replicare.

ANTONIO PALAGIANO. Signor Presidente, signor Ministro, sono davvero sbigottito e sorpreso. So che lei è di Napoli e che dovrebbe avere a cuore il golfo di Napoli, ma forse vive troppo a Roma. Questo non è un argomento polemico, ma sono dispiaciuto per i miei corregionali, per gli amici del mare e soprattutto per i bambini che frequentano il mare; ho dei figli che vanno al mare proprio in costiera e il nostro bellissimo golfo di Napoli è diventato davvero impraticabile. Anche il giornale di oggi parla di impraticabilità delle acque di Capri e c'è una sfasatura con i prelievi eseguiti dall'ARPAC della Campania, che chiaramente dipende dalla regione, in quanto è la regione stessa che ne nomina i vertici.
Questo è il nocciolo del problema: noi dell'Italia dei Valori ci saremmo aspettati che voi, come Governo, prendeste «il toro per le corna», come si dice, e faceste qualcosa di più rispetto alla regione. La regione finora non ha dato esito a tutti questi controlli e il mare è sempre più inquinato.
Mi sarei aspettato anche che coinvolgeste la capitaneria di porto, le motovedette della Guardia di finanza, la polizia del mare ed i carabinieri non tanto per controllare le acque, ma per controllare il controllore: questo è il punto della situazione, controllare il controllore (che richiede quindi un impegno governativo).
Se voi effettivamente siete, come dite di essere, il partito del fare, fate qualcosa, cercate di tagliare i rami secchi, punite i responsabili di questo scempio ambientale, altrimenti sarà come al solito la magistratura ad intervenire là dove voi della politica e del Governo non avete fatto nulla! Ma fate presto e salvate il golfo di Napoli: Ministro, il golfo di Napoli non può morire (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

(Elementi in ordine alla reale diffusione del virus influenzale di tipo A (H1N1) in Italia e indirizzi di politica sanitaria al riguardo - n. 3-00612)

PRESIDENTE. L'onorevole Lenzi ha facoltà di illustrare l'interrogazione Livia Turco n. 3-00612, concernente elementi in ordine alla reale diffusione del virus influenzale di tipo A (H1N1) in Italia e indirizzi di politica sanitaria al riguardo (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata), di cui è cofirmataria.

DONATA LENZI. Signor Presidente, abbiamo presentato questa interrogazione perché vorremmo capire la portata dell'allarme che a giorni alterni arriva dai mezzi di comunicazione e che è confermato dall'atteggiamento e dalle scelte di altri di Paesi europei. Mi riferisco alla disdetta dei viaggi prevista anche per i ragazzi che avevano progettato di andare questa estate in Inghilterra, o in altri Paesi, all'annuncio secondo cui chi scende dagli aerei sarà sottoposto a visita medica, e all'annuncio del Viceministro sulla messa in discussione della data di riapertura delle scuole. A tutto ciò si contrappongono alcune rassicurazioni sulla capacità del virus di incidere.
Vorremmo sapere quali siano le scelte del Governo e gli interventi previsti.

PRESIDENTE. Il Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, Maurizio Sacconi, ha facoltà di rispondere.

MAURIZIO SACCONI, Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali. Signor Presidente, preciso in primo luogo che in Italia le misure di sorveglianza e controllo finora adottate hanno consentito di limitare il numero di casi di influenza del nuovo virus a 320 (in Europa i casi sono 17.181, di cui 10.169 nella sola Gran Bretagna) e solo 4 dei nostri casi non sono riferibili a viaggi in aree affette.
L'aumento dei casi in Italia è previsto, ma non desta particolare preoccupazione, sia perché questo nuovo virus è responsabile Pag. 64di una sintomatologia più leggera di quella determinata dal virus dell'influenza stagionale, sia perché è disponibile una rete di servizi di sanità pubblica in grado di condurre tempestive indagini sui casi sospetti e confermati e per la ricerca di contatti, nonché una rete di centri di riferimento di eccellenza per il ricovero, l'isolamento, ove necessario, e il trattamento delle persone affette.
È stata rafforzata la rete di sorveglianza epidemiologica e virologica dell'influenza (la rete Influnet) per permettere la raccolta di informazioni e campioni virali ai fini del tempestivo riconoscimento dei casi di influenza e per la conseguente adozione delle misure di sanità pubblica. Sono state allertate, attraverso le regioni, le strutture di ricovero in generale e quelle specifiche per malattie infettive in particolare, per essere pronte a gestire i casi sospetti di influenza da nuovo virus, mediante idonee misure di contenimento, oltre che con misure di appropriato trattamento. Gli uffici di sanità marittima e aerea di frontiera sono stati allertati fin dal 25 aprile sulla necessità sia di applicare misure di sorveglianza straordinaria, sia di fornire informazioni ai viaggiatori internazionali diretti o provenienti dai Paesi interessati all'epidemia.
In data 11 maggio 2009, l'OMS ha dichiarato il passaggio dalla fase 5, prepandemica, alla fase 6, di allerta pandemica, anche se ha precisato che le azioni della fase 6 devono essere commisurate alla gravità della malattia, che, al momento, si presenta moderata. L'OMS, come peraltro nella altre fasi pandemiche, non ha raccomandato la chiusura delle frontiere e la restrizione di viaggi internazionali. Inoltre, non sono state raccomandate attività di screening dei viaggiatori in ingresso o in uscita, in quanto tali misure hanno uno scarso impatto sulla diffusione dell'infezione, ponendo, invece, maggiore attenzione sulla sorveglianza e corretta gestione dei casi.
Nella riunione dell'unità di crisi presieduta dal Viceministro Fazio, il 15 luglio scorso, è stato approvato un documento che definisce la strategia preventiva nazionale, in base al quale il Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio sta predisponendo e procedendo all'acquisto di strumenti di prevenzione (vaccini, antivirali e dispositivi di protezione disinfettanti) in conformità alla valutazione tecnica dei bisogni.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MAURIZIO SACCONI, Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali. La vaccinazione pandemica sarà offerta prioritariamente al personale sanitario, che dovrà assistere i malati, ed ai soggetti a rischio di complicanze per patologie, per un totale di 8,6 milioni di soggetti entro la fine del 2009. Poiché i bambini e i giovani sono maggiormente suscettibili di tale infezione, e quindi sono serbatoi di diffusione della stessa, si sta considerando di vaccinare dal gennaio 2010 anche tale fascia di popolazione, che va dai 2 ai 27 anni (15,4 milioni di soggetti).
Un ciclo vaccinale è costituito da due dosi di vaccino, pertanto verranno acquisite 48 milioni di dosi di vaccino pandemico, dalla fine di novembre a gennaio 2010, secondo la programmazione di produzione delle industrie farmaceutiche con le quali il nostro Paese - concludo, signor Presidente - ha stipulato contratti di prelazione dal 2005.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MAURIZIO SACCONI, Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali. In merito a presunti dissensi tra gli organi di Governo - ho finito davvero - ricordo che ciò che ha rappresentato il professor Fazio costituiva (a domanda insistita da parte della stampa sull'ipotesi di apertura anticipata delle scuole) soltanto il non rifiuto di una mera eventualità, allo stato però non sostenuta dai fatti, così come ci siamo pronunciati noi stessi direttamente. Quindi non vi è alcun dissenso.

PRESIDENTE. L'onorevole Lenzi ha facoltà di replicare.

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DONATA LENZI. Signor Presidente, ringrazio il signor Ministro per la risposta. Credo che anche chi ci ascolta ringrazi per avere avuto quelle indicazioni che in questi giorni forse sono mancate.
Novembre è avanti, da qui a novembre vi è appunto la fase di apertura delle scuole, il rientro dalle vacanze di quelli che sono andati all'estero; il vaccino arriva, ma arriva comunque sempre dopo l'avvio di un'epidemia che passa dalla fase 5 alla fase 6. Noi abbiamo piena fiducia nel sistema sanitario pubblico, nel sistema di rete e di prevenzione che il sistema sanitario pubblico si dimostra in grado di attuare proprio in queste fasi, quando più occorre la prevenzione e il governo dell'emergenza.
Devo dire che, rispetto ad altri Paesi europei, noi sembriamo più tranquilli e ci auguriamo che questa tranquillità sia pienamente motivata, ma che in caso di necessità si sappia anche correre il rischio di prendere decisioni difficili.

(Risultati e prospettive di sviluppo del servizio Linea amica - n. 3-00613)

PRESIDENTE. L'onorevole Bianconi ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-00613, concernente risultati e prospettive di sviluppo del servizio Linea amica (Vedi l'allegato A - Interrogazioni a risposta immediata).

MAURIZIO BIANCONI. Signor Presidente, signor Ministro, questo Governo è fortemente impegnato nell'azione di riforma della pubblica amministrazione. Questo processo di riforma si dipana su più fronti, da quello normativo a quello dello stimolo mediatico, ed utilizza strumenti che tecnologia e progresso mettono a disposizione.
Tra questi vi è Linea amica, rete di contact center e ufficio relazioni con il pubblico, istituito dal suo Ministero per promuovere i servizi a distanza della pubblica amministrazione, e alla quale già collaborano amministrazioni centrali, regioni, province e comuni.
La interrogo, Ministro, per conoscere i risultati di Linea amica dopo i primi sei mesi di attività e quali siano - e se ci saranno - le sue future linee di sviluppo.

PRESIDENTE. Il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, Renato Brunetta, ha facoltà di rispondere.

RENATO BRUNETTA, Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. Signor Presidente, come è noto Linea amica, servizio avviato il 29 gennaio 2009, è un centro multimediale che fornisce risposte al cittadino cliente su tematiche inerenti la pubblica amministrazione. Esperienza unica in Europa, il numero verde 803001 di Linea amica, attivo tutti i giorni feriali dalle 9 alle 18, è un servizio gratuito che dà informazioni di ogni tipo e allo stesso tempo un accompagnamento per risolvere problemi e pratiche amministrative. Caratteristica distintiva del servizio Linea amica è dunque la propensione all'ascolto, che si traduce in cortesia e disponibilità fino alla soluzione del caso. Il cittadino non è mai lasciato solo. In quasi sei mesi Linea amica ha avuto 100 mila contatti, ha aperto 50 mila pratiche e ha evaso il 98 per cento delle richieste; oltre 2 mila domande e risposte più frequenti sono attualmente disponibili in rete.
Linea amica opera in una logica di rete tra tutti i centri di contatto e URP delle amministrazioni. Questa rete ha sviluppato, da febbraio ad oggi, 33 milioni di contatti, di cui oltre 21 milioni attraverso operatori. In aiuto all'emergenza in Abruzzo e in raccordo con la Protezione civile e gli enti locali abruzzesi, è stata insediata una task force di Linea amica a L'Aquila, operativa sette giorni su sette, che ha finora realizzato oltre 15 mila interventi a sostegno del post sisma.
Il prossimo obiettivo è finanziare la fase 2, che consentirà a oltre mille amministrazioni di essere in rete telefonica e web con organizzazione unica e con condivisione di banche dati comuni. Inoltre, sulla base di protocolli di intesa firmati dal mio Ministero e dalle maggiori federazioni di disabili, sono in fase di avvio Pag. 66nuovi servizi specializzati per le categorie svantaggiate.
Ultima notizia: Linea amica non va in vacanza, ma sarà operativa anche durante il periodo estivo.

PRESIDENTE. L'onorevole Bianconi ha facoltà di replicare.

MAURIZIO BIANCONI. Signor Presidente, signor Ministro, mi dichiaro soddisfatto della risposta. Lei sa bene che sulla riforma della pubblica amministrazione questo Governo si gioca molta parte della sua credibilità e lei personalmente incarna anche mediaticamente questa linea di riforma.
Badi che, a nostro avviso, Linea amica è importante perché dobbiamo vincere una sorta di diffidenza storico-culturale dei cittadini nei confronti della pubblica amministrazione. È necessario inoltre dare motivazione ai dipendenti, farli sentire orgogliosi di lavorare per lo Stato e, quindi, dare loro strumenti idonei. Se riusciremo a fare tutto questo ed ognuno farà la sua parte, forse riusciremo a portare la macchina dello Stato all'altezza che compete al nome del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata. Sospendo la seduta che riprenderà alle 16.

La seduta, sospesa alle 15,40, è ripresa alle 16,05.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione alla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione del disegno di legge di conversione n. 2561-A.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C.2561-A)

PRESIDENTE. Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta è iniziata la discussione sulle linee generali.
È iscritto a parlare l'onorevole Polledri. Ne ha facoltà.

MASSIMO POLLEDRI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, è un onore servire il nostro Paese in questo momento di difficoltà. Il primo messaggio che vogliamo dare al Paese è un segnale di attenzione sulla crisi.
Ma c'è la crisi? Che cos'è questa crisi? Quando finirà? Ha una speranza questo Paese? Questo ci sentiamo dire e ci diciamo molte volte. C'è la crisi sì, lo dicono i numeri: una riduzione del PIL quest'anno del 4 o 5 per cento, probabilmente; un calo delle esportazioni del 16 per cento; una riduzione di investimenti in macchinari del 18 per cento; probabilmente una disoccupazione dell'8 per cento; un calo dei consumi relativamente minore, dell'1,7 per cento.
Potremmo rassegnarci e continuare il gioco dell'Italietta piccola, che guarda al proprio ombelico, i giochi tra maggioranza e opposizione, in cui ci si dipinge come gli affamatori o gli irresponsabili. Io credo che questa Italietta dei pulcinella contrapposti agli arlecchino, con il povero sud che piange ed il ricco nord egoista, oppure con i poteri forti, gli amici dei poteri forti e gli amici invece del popolo sia una rappresentazione non reale. Io credo che questa Italia, l'Italia che sogniamo e l'Italia che la Lega e la Padania sognano, sia qualcosa di diverso, non sia questo prurito continuo delle pagine dei giornali. La politica è molto di più, è molto di più la maggioranza ed è molto di più l'opposizione. Lo abbiamo dimostrato su molti temi. La politica non è la politica della casta, del Pag. 67giornalista di turno che magari si arricchisce ed è più casta dei politici stessi.
C'è sicuramente questa crisi, ma noi siamo sicuri che vi sia una Padania e un'Italia sana. Da una parte c'è questa Italia che tira la carretta tutti i giorni, l'Italia che incontriamo al mattino quando veniamo a lavorare, l'Italia della massaia che va a fare la spesa e sta attenta ai conti, della famiglia che risparmia, perché il risparmio è l'oro nero di questo Paese: non abbiamo il petrolio, ma abbiamo tutta una serie di valori.
La crisi di questo Paese è diversa: non abbiamo cercato noi la crisi, l'hanno inventata da altre parti, la stiamo subendo ma la stiamo subendo meglio, perché il nostro è un Paese fondamentalmente sano e con valori sani, che ci derivano anche da una tradizione cattolica (e mi riferisco a punti nodali quali il risparmio, per esempio). Siamo stati abituati a non sperperare, a non buttare via le cose, e dunque abbiamo un indebitamento familiare nettamente basso, diverso per esempio dai Paesi anglosassoni, in cui il debito delle famiglie supera il debito dello Stato.
Non citiamo i dati in questa sede, ma per quanto concerne il debito dei Paesi anglosassoni - Regno Unito e Stati Uniti, per esempio - la somma del debito delle famiglie supera la somma del debito dello Stato. Noi abbiamo un alto debito dello Stato, che ci è stato consegnato da trent'anni di Italia «da bere», che abbiamo superato (e per questo, in molti, siamo diventati leghisti).
Vorrei ripetere questi valori fondamentali: il risparmio e il senso della ricchezza, che deve provenire dal lavoro. Non parlo dell'arricchimento, né del PIL prodotto attraverso la finanza (e, quindi, tutti i titoli tossici e la speculazione): da noi la ricchezza è giusta, non ci si vanta della ricchezza e, soprattutto, da noi la ricchezza è fatta con il sudore, è la ricchezza lecita. Il popolo che intendiamo rappresentare è quello della lima, del capannone, dei calli sulle mani. Molte volte si è parlato della Lega come del partito votato dalle persone che hanno i calli sulle mani: sì, e ne siamo fortemente orgogliosi. Si tratta di un popolo che si è spostato anche da un voto tradizionalmente di sinistra, perché non si è più sentito rappresentato da un partito che parla poco di operai, ma che parla molto di testamento biologico, di matrimoni, di Pacs, di Dico, di «Cus-Cus» (se fosse una cosa seria non si chiamerebbe in tutti questi modi), di indulto, ma che ha smesso di parlare del capannone.
Vi sono dei segnali profondi. Il primo è dato dalla struttura morale ed etica di questo Paese. Usciremo da questa crisi, ne usciremo diversi, ma ne usciremo migliori - ne sono convinto - sia a destra che a sinistra, proprio perché è in corso un processo importante di congiungimento dell'etica alla politica, dell'etica all'economia.
Vorrei fare riferimento anche all'enciclica Caritas in veritate e al principio del federalismo fiscale, che abbiamo condiviso. Come dicevo, non mi rassegno ad una contrapposizione frontale, all'idea che non si possa riconoscere che, da una parte e dall'altra, vi siano brave persone motivate che possono fare il bene del Paese. Lo abbiamo dimostrato anche con il provvedimento in discussione. Poi possiamo fare il gioco delle parti, ma su alcuni punti ci siamo trovati e ci siamo arricchiti. Vorrei fare solamente un esempio: quello delle cure palliative. Vi è stata una forte opposizione - ho ringraziato prima l'onorevole Turco - che ha stimolato il Governo, e vi è stata anche la determinazione del collega Duilio, con cui, insieme, abbiamo portato in Commissione il tema delle cure palliative (cioè, del dolore), per dare un significato ed una risposta al dolore. Lo abbiamo fatto tutti insieme (abbiamo perso due anni nella scorsa legislatura, ma ora abbiamo recuperato). Pertanto, qualcosa insieme la sappiamo fare ed anche bene. Dobbiamo dare questo messaggio a questo Paese.
Questa Italietta dell'ombelico, del pruriginoso, di un'immagine sempre catastrofica non è reale: il Paese non è liquido, il nord non è liquido, ed anche al sud vi sono segni di speranza. Vi sono segni di responsabilizzazione fiscale, vi è un'attenzione; vi è molta paura e, in qualche modo, dobbiamo rassicurare. Ieri, abbiamo Pag. 68sentito il Governatore Draghi parlare di recessione profonda, ma, anche lì, vi sono segnali positivi.
Abbiamo fatto tutto quello che dovevamo fare con il provvedimento in discussione? Non lo so. Credo che abbiamo dato un segnale economico, ma anche culturale, dei piccoli segnali di responsabilizzazione e che è finita l'epoca dei furbi e dei furbetti. Sì, vi sono delle norme (di cui parleremo in seguito) da modificare o che, magari, avremmo voluto in modo diverso, ma si tratta di piccole cose. Mi riferisco a piccoli segnali. Ad esempio, la Lega ha chiesto una modifica del DURC con riferimento alla concessione per gli ambulanti: alcuni segnali sugli evasori vanno dati.
Ci vuole certamente una strategia organica, ma anche i segnali concreti di inversione culturale sono in grado di agire da leva. Parole come senso del dovere, ordine, meritocrazia ora le mastichiamo senza vergogna (parlo come Lega Nord), le portiamo in piazza e abbiamo un eco positivo dal popolo che pensiamo di poter rappresentare.
Quando Draghi parla di riallocazione delle risorse, accrescendo quelle destinate al lavoro e sulle imprese, riteniamo di averlo fatto? Noi pensiamo di sì, pensiamo che nell'articolato vi sia stata attenzione al popolo dei capannoni, alla piccola e media impresa, al popolo consumatore di energia e di energivori, e non abbiamo fatto sconti. È sicuramente presente una funzione di stimolo.
Quanto allo scudo fiscale, certo è che in questo provvedimento ci siamo spinti in avanti, capisco le ragioni dell'opposizione. Abbiamo inviato un segnale forte sulle pensioni e anche sull'assistenza e sulle badanti (di cui parleremo), così come sullo scudo fiscale; però dobbiamo intervenire oggi, a luglio, perché sappiamo che settembre sarà il momento in cui molte casse integrazione finiranno, e in cui ci sarà da riaprire, il momento in cui le piazze saranno piene, come, ad esempio, è avvenuto per gli imprenditori che resistono e che pochi giorni fa erano in mille a Torino. Dobbiamo dare un segnale concreto, affinché, per quando arriverà settembre, la macchina di questo Stato, di questa Italia, di questa Padania che vuole dare una risposta sia pronta e attiva.
La moratoria sui debiti delle piccole e medie imprese che tanto tenacemente ha voluto la Lega, insieme al Ministro, è anch'essa un segnale concreto di attenzione. Vorrei ricordare oggi le vittime dell'usura. Abbiamo letto del barista di 52 anni, Andrea, che si è impiccato. Credo che il tema del credito alla piccola e media impresa, agli artigiani e ai commercianti sia un tema importante. A tale questione si è data in passato una risposta con i Tremonti bond e si è data una scossa alle banche. Siamo consci di aver inflitto un forte colpo agli utili delle banche e abbiamo chiesto loro un grande atto di responsabilità e di solidarietà. Forse, in passato, vi è stata qualche attenzione eccessiva alle banche (ad esempio, con l'IRAP, con agevolazioni per un miliardo e mezzo di euro). Nei nostri gazebo non abbiamo frequentazioni con i banchieri, ma ci siamo permessi di chiedere molto alle banche e anche da loro, in qualche modo, è arrivato un atteggiamento responsabile.
Lo sconto fiscale sugli investimenti è un altro provvedimento di attenzione al popolo dei capannoni. La ricapitalizzazione al 3 per cento dell'imponibile sugli aumenti di capitale sociale delle piccole aziende è un altro argomento di cui tutti parliamo spesso. Con cosa saranno ricapitalizzate? Probabilmente con i soldi che rientreranno dallo scudo fiscale, è vero: pensiamo che sia sbagliato? Pensiamo di essere diversi da altri Paesi che hanno già agito in questo senso? Altri Paesi lo hanno fatto e lo faremo anche noi. Abbiamo ben precisato quale debba essere la provenienza di questo denaro, non dovendosi trattare di altro se non di omissione di denuncia.
È un provvedimento che parla anche dei piccoli contributi degli uomini della Lega, dei piccoli segnali che abbiamo voluto dare di miglioramento a questo provvedimento del Governo. L'emendamento 2.39 dei relatori riguarda modifiche ai Pag. 69contratti bancari nel senso di una maggiore sicurezza per i contribuenti, delimitando i giorni in cui si contabilizzeranno gli accrediti. Inoltre, voglio citare l'emendamento 2.37 sullo sconfinamento oltre l'affidamento: abbiamo visto come molte volte le banche, in vario modo, abbiano aggirato la commissione di massimo scoperto, e la nostra intenzione è stata quella di garantire sicurezza.
Sul costo dell'energia non abbiamo fatto sconti. Abbiamo chiesto concretamente di poter sostenere gli energivori, certamente avremmo potuto chiedere qualcosa di più per le piccole e medie imprese e per i distretti, ma non abbiamo voluto infierire. Sono passati due identici emendamenti - uno della sinistra, Lulli 3.23, e l'altro della Lega, Fava 3.16 - che evidenziano un lato positivo e uno negativo. Il lato negativo è che si vanno a vedere i contratti dell'ENI, coperti dal segreto di Stato, e siamo convinti che ci voglia molta prudenza. Il lato positivo è che il prezzo che verrà stabilito sarà sicuramente determinato, non ci sono margini di equivoco. In merito crediamo - e presenteremo un ordine del giorno al riguardo - che qualche passo vada compiuto nei confronti dell'occupazione e dei settori strategici, da cui pensiamo che le società partecipate dello Stato non si debbano sottrarre. Non possiamo pensare che Finmeccanica, ENEL ed ENI dismettano interi settori strategici per il Paese. Mi riferisco a quanto avvenuto in Sardegna: la battaglia per il mantenimento del petrolchimico non è solo dei sardi - lo abbiamo detto in sede di Commissioni e lo ripetiamo qui - ma è una battaglia del Paese: si colpiscono i sardi, si colpiscono i veneti ma soprattutto tutti noi, perché se ci allontaniamo dai settori strategici come quello della chimica, diventeremo un Paese di serie B. Non possiamo abbandonare il settore manifatturiero o quello della chimica.
In merito all'articolo 4, signor Presidente, vorrei invitare il Ministro Prestigiacomo, che ieri ha avuto qualche scambio con il ministro Calderoli, a una maggiore riflessione. Nell'articolo in questione si cerca di sbloccare un importante nodo del Paese che è quello delle reti. Oggi abbiamo ancora alcune zone del Paese non servite (mi riferisco per esempio a quella parte della Basilicata, si tratta di qualche chilometro, nella quale dovrebbe essere completata la realizzazione dell'elettrodotto proveniente dalla Grecia). Circa il due per cento della capacità elettrica potrebbe andare al sud. La situazione del meridione non migliora per magia o per interventi, ma un passo alla volta. Quella dell'energia ad un prezzo più basso è una sfida per il sud ma anche per il nord, dal momento che oggi, al nord, paghiamo l'energia elettrica dai sei agli otto euro in più a causa dell'insufficiente distribuzione dell'energia al sud.
Quando parliamo di commissariamento delle opere, di sbloccare 22 miliardi, non vogliamo fare un dispetto al Ministro Prestigiacomo, perché non si tratta di un'offesa. C'è un atteggiamento da parte dei Ministri che pensano: il «mio» Ministero. Non esiste Ministero che appartenga a qualcuno. Tutti noi siamo investiti temporaneamente di una funzione, quella pubblica, e credo che questa cosa sia stata ben chiarita.
Quanto all'articolo 5, la detassazione degli utili reinvestiti in macchinari, c'è una piccola parte di Lega, ovvero l'emendamento Forcolin 5.31, sulla revoca dell'agevolazione fiscale. Anche relativamente all'articolo 9-bis, concernente il Patto di stabilità, si tratta di una battaglia che abbiamo combattuto. Abbiamo convinto il Governo a contemplare una deroga fino a 2 miliardi di euro - certo avremmo voluto di più - per il pagamento delle spese in conto capitale. Oggi abbiamo ben presente che circa 10 mila aziende chiudono perché la pubblica amministrazione non paga in tempo. Non è qualcosa di semplice da realizzare in presenza di un debito che rischia di superare il 120 per cento del PIL, ma in qualche modo si sta andando in questo senso: la ristrutturazione del debito della Cassa depositi e prestiti è un passo in questo senso. Quanto agli articoli 11 e 11-ter, essi contemplano analisi e Pag. 70studi economico-sociali nonché la semplificazione e il riordino delle disciplina dello sportello unico.
Abbiamo deciso di prevedere un contributo, detassando gli utili reinvestiti in macchinari, ma a chi mantiene la produzione nel nostro paese. Ci dicevano che eravamo matti quando parlavamo di dazi e che la Cina era una grande opportunità, ma è stata una grande fregatura e qualcuno oggi se ne accorge. Ieri il Ministro Zaia è andato ai confini per difendere la nostra salute ed evitare le frodi. Questo è quello che deve fare una forza popolare, una forza popolana, una forza in qualche modo anche laburista - lo dico da emiliano romagnolo - che in qualche modo supplisce ad una carenza.
Lo dico anche agli amici dell'Italia dei Valori che tanto a cuore hanno la legalità e di cui riconosco la sincera espressione. Vi è l'articolo aggiuntivo 14.03 dei relatori sulla tracciabilità dei rifiuti. Tutti abbiamo letto alcuni importanti libri che sono stati istruttivi; mia moglie giustamente me li ha regalati per Natale perché un politico deve leggere uno spaccato di Paese e deve imparare cosa succede in una parte del Paese. La tracciabilità dei rifiuti è una piccola iniezione di legalità. Non risolve, ma è un segnale piccolo e concreto.
C'è qualche nota positiva, è vero, come oggi ho detto prima sul settore delle cure palliative. C'è qualche nota positiva anche sui giochi, sui quali noi abbiamo sempre espresso una certa perplessità. Vi sono due proposte emendative, l'articolo aggiuntivo Toccafondi 15.02 con cui si migliorano i controlli e l'articolo aggiuntivo Bernardo 15.03 che propone un piano di contrasto al gioco illegale. Qualche zona d'ombra - lo dico con tutta l'amicizia e con tutta la simpatia per il collega che l'ha proposto e di cui ho stima e riconosco la rispettabilità - presenta l'emendamento Ventucci 21.4 che lascia delle zone d'ombra.
Abbiamo discusso a lungo su questo emendamento e vi è una nota da parte degli uffici che rileva che questo emendamento incide solamente sulle sanzioni, ma probabilmente il Governo non è riuscito sufficientemente a tranquillizzare in ordine ai possibili effetti della famosa multa miliardaria che rimane aperta ancora nell'ordinamento nei gradi di giudizio e per questo credo che un atteggiamento prudenziale andrebbe adottato.
Anche l'emendamento che aumenta ancora la disponibilità dei giochi nei bingo, crediamo non sia positivo. Lo abbiamo sempre detto come Lega: non vogliamo e siamo contrari ai casinò di quartiere, che rischiano di diventare le sale bingo. Per questo speriamo e crediamo che in qualche modo vi si potrà mettere mano eventualmente nel corso della fiducia.
Non ci arrendiamo ad un'immagine della politica piccola e pensiamo che questo provvedimento sia un'iniezione di fiducia che ci viene, lo ripeto, da una constatazione che abbiamo tutti i giorni di un'Italia e di una Padania sana, di un Sud sano, di gente che si alza, che lavora, che si comporta bene e che ha senso del dovere.
Crediamo sia venuto il momento della responsabilità della maggioranza e della responsabilità dell'opposizione. Di fronte ad una crisi invochiamo e crediamo che occorra una responsabilità repubblicana ed europea che imponga a tutti comportamenti razionali e rigorosi che siano qualcosa di più della compostezza, condizione irrinunciabile di civile convivenza.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ciccanti. Ne ha facoltà.

AMEDEO CICCANTI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, dopo la crisi finanziaria del 1929, il mondo ha vissuto, tra la fine del 2008 e l'inizio del 2009, una crisi finanziaria ancora peggiore che si è trasformata in crisi economica e oggi sta diventando anche crisi sociale.
Con la manovra estiva del 2008 il Governo aveva messo in sicurezza i conti pubblici senza prevedere la crisi finanziaria, che dopo appena tre mesi si sarebbe abbattuta sull'Europa e sull'Italia con il fallimento della Lehman Brothers dovuta all'insolvenza dei mutui subprime. Basti pensare alle misure concernenti la cosiddetta Pag. 71Robin tax per capire come il Ministro Tremonti fosse lontano dal ciclone finanziario che stava per travolgere le maggiori economie del mondo.
Da settembre, da quando ci siamo trovati dentro la crisi, il Governo ha solo fatto manutenzione del sistema economico, intervenendo con misure diversificate e di lieve entità, senza affrontare con risolutezza quei nodi strutturali del Paese che, da 15 anni, ne rallenta la crescita rispetto ai paesi di eurolandia. Nell'audizione di ieri sera il Ministro Tremonti ha ammesso che, di fronte ad una politica di coraggio e ad una di prudenza, ha scelto quella di prudenza. È la sua politica! Quella che ha messo in atto dal 2001 al 2005, con interventi una tantum, con tanti condoni, cartolarizzazioni e svendita del patrimonio immobiliare. La finanza creativa ha guidato la speranza della ripresa economica, che però è arrivata quando non stava più al Governo. Adesso torna ad applicare la stessa filosofia, sperando nella ripresa del 2011. Per il momento si preoccupa della coesione sociale, ossia di evitare le tensioni della piazza che dovrebbero essere risolte attraverso interventi di ordine pubblico.
Questa filosofia politica Tremonti nel DPEF la traduce in numeri, quando riconosce che, al netto degli interventi sulle banche, prima di questo decreto-legge anticrisi la crisi è affrontata con un ammontare di risorse pari a circa 27 miliardi e 300 milioni di euro, spalmata però nell'arco del quadriennio 2008-2011: appena 2,7 miliardi nel 2008, 11,4 miliardi del 2009, 7,5 miliardi nel 2010 e 5,8 miliardi del 2011, appena l'1,8 per cento del PIL.
Non sono state assolutamente reperite nuove risorse: sono state allocate diversamente quelle esistenti e sono state rinviate le spese di qualche anno. Ogni manovra che è stata fatta era neutra dal punto di vista dei conti e del bilancio pubblico. Significa che c'erano minori spese per fronteggiare delle nuove spese o quanto meno delle minori spese per minori entrate per sostenere alcuni impieghi. Noi abbiamo chiamato questa politica il «gioco delle tre carte». I soldi cambiavano colore mensilmente, dando agli italiani l'illusione ottica che il Governo aveva stanziato nuove e maggiori risorse.
Sta di fatto che questa politica miope fatta di leggi spot, ha prodotto una caduta del nostro sistema economico che aveva già grossi problemi strutturali ai quali si sono aggiunti i problemi della crisi finanziaria internazionale. Così ci stiamo avviando ad un PIL nel corso dell'anno 2009 che segna un regresso del 5,3 per cento rispetto al 4,6 previsto dalla relazione unificata economica e finanziaria, che appena ad aprile era ritenuto dal Governo un limite invalicabile. Nel 2009 peggiora il saldo primario di oltre cinque miliardi di euro rispetto al 2008 scivolando dal 2,4 per cento del PIL addirittura a meno 0,4 per cento. Per la prima volta, dal 1991, è negativo con oltre 43 miliardi di euro.
L'indebitamento netto sale al 5,3 per cento con valori molto al di sopra del 3 per cento previsto dagli accordi di Maastricht e al 4,7 per cento della media dei paesi dell'area euro.
Dei 35 miliardi di euro del maggior disavanzo sono da imputare alle spese, al netto degli interessi, riferibili a prestazioni sociali, 13 miliardi solo per pensioni.
Il debito pubblico sale ad oltre 115 per cento, 10 punti in più rispetto al 2008, nonostante l'abbattimento dei tassi di interesse nei mercati finanziari; si prevede addirittura un'ulteriore risalita ad oltre il 118 per cento sia nel 2010 che nel 2011, con relativo consumo di risorse per gli interessi sul debito. La disoccupazione crescerà dal 6,7 per cento del 2008 all'8,8 per cento, con un ulteriore inasprimento nel 2010. Le esportazioni si prevede che abbiano una caduta del 19,2 per cento, a fronte della quale non si registra un aumento della domanda interna, con una prevedibile e ineludibile stagnazione economica. La pressione fiscale salirà al 43,5 per cento del PIL rispetto al 42,8 del 2008, che ritenevamo già abbastanza elevata e si attesterà purtroppo su tali livelli anche nel 2010.
Se questo è il quadro tendenziale previsto dal Governo nel DPEF 2010-2013, il quadro programmatico si discosta solo di Pag. 72qualche decimale a causa della speranza tremontiana di una ripresa del commercio mondiale, che si prevede riprenda però nell'ultimo trimestre del 2010. Intanto però Tremonti vara questa seconda manovra estiva con il decreto-legge n. 78, un decreto con numerosi ed eterogenei ambiti normativi al quale sono stati aggiunti ulteriori corpi normativi. Intendiamo riferirci alla sanatoria di badanti e colf; al condono fiscale per gli evasori che avevano portato i loro capitali all'estero, ovvero dove avevano allocato i loro patrimoni; alla graduale equiparazione della pensione di vecchiaia tra uomini e donne nel pubblico impiego e all'allungamento dell'età pensionabile oltre i 65 anni attraverso degli indici di rivalutazione che saranno meglio definiti nel prossimo futuro.
Una specie di fritto misto che ha tolto alle Commissioni di merito quel giusto approfondimento che avrebbe sicuramente migliorato la qualità legislativa. Questo decreto presenta inoltre norme di interpretazione autentica con carattere retroattivo, nonché numerose disposizioni a carattere sperimentale o di natura derogatoria che hanno visto la censura del Comitato per la legislazione per l'opera di rilegificazione in modo frazionato in materie già deferite alla fonte normativa secondaria. Da una parte, si predica la semplificazione e la delegificazione, dall'altra, come in questo caso, si continua a complicare la vita degli operatori giuridici, dei cittadini e ad intasare gli organi di giustizia per fare chiarezza su un modo schizofrenico di legiferare.
Alcuni aspetti di questo decreto intendo sottolinearli per la loro portata politica e l'impatto che hanno sui cittadini di alcune aree del Paese.
Comincio con l'articolo 1 relativo al rafforzamento degli ammortizzatori sociali. Il quadro ideologico entro cui si inserisce questa norma è aberrante, se si pensa alla dichiarazione della relatrice Moroni, di cui ricordo qualche matrice socialista, ossia di chi guarda la società dalla parte dei deboli. La relatrice Moroni ha affermato in Commissione che questa norma è un presidio per le aziende e che quindi non va letta dalla parte della tutela dei lavoratori e della salvaguardia dei posti di lavoro, ma della tutela dei datori di lavoro, i quali devono avere mani libere nel gestire la fase transitoria della crisi in atto. Non neghiamo che la salvaguardia delle aziende significhi anche la tutela del posto di lavoro; temiamo però che l'utilizzo degli ammortizzatori sociali dal lato dei datori di lavoro possa determinare abusi a danno della fiscalità generale ed alteri anche le condizioni della concorrenza e del mercato.
Un altro rilievo è la durata triennale e il finanziamento della misura. Ci troviamo con il ricordato "gioco delle tre carte" di fronte ad un Fondo per l'occupazione e la formazione, istituito con legge n. 185 del 2008, da cui vengono prelevate le risorse per questa norma di proroga della cassa integrazione e per i trattamenti di cassa integrazione anche in deroga.
Questo fondo di circa otto miliardi di euro è per 5 miliardi e 300 milioni finanziato dallo Stato e per il resto dalle regioni. La parte dello Stato per 4 miliardi di euro è di fonte Fas, ossia il Fondo per le aree sottoutilizzate, ossia quel fondo che per l'85 per cento è destinato ad interventi finanziari per lo sviluppo del Mezzogiorno e per il 15 per cento è destinato al nord.
Ebbene, questo Governo, a trazione Lega, ha sconvolto tutte le previsioni, destinando, con delibera del CIPE n. 2 del 6 marzo 2009, tre miliardi di euro al nord e circa un miliardo di euro al sud: un'evidente prevaricazione di regole e accordi a danno del Mezzogiorno, che non può non richiamare la coscienza dei deputati meridionali.
Un'altra norma su cui voglio soffermare l'attenzione è l'articolo 2, relativo al contenimento del costo delle commissioni bancarie: una norma attesa dagli operatori economici e dai cittadini.
La norma prevede che, dal 1o novembre 2009, la data di valuta per il beneficiario di tutti i bonifici, assegni circolari e bancari non possa superare rispettivamente uno, uno e tre giorni lavorativi successivi al versamento. Quello che non condividiamo, però, è il differimento a Pag. 73quattro, quattro e cinque giorni lavorativi della disponibilità economica dei rispettivi versamenti.
Anche qui ci troviamo di fronte ad un regalo alle banche da parte del Governo; ciò è palese, perché dal 1o novembre 2009 lo Stato italiano dovrebbe conformarsi alla direttiva europea 2007/64/CE, che prevede un solo giorno di disponibilità, prorogabile a tre con l'accordo tra le parti.
Perché regalare alle banche tre giorni di disponibilità di somme non sue? Il paradosso del comportamento del Governo è evidente quando reclama il rispetto delle decisioni della Corte di giustizia per l'equiparazione dell'età pensionabile delle donne nel pubblico impiego e nega tale rispetto per le decisioni europee quando si tratta di dare qualche dispiacere alle banche.
Ma vi è di più: non abbiamo condiviso la norma per la restituzione dei tributi e contributi concernenti gli eventi sismici dell'Abruzzo. Dopo che il Presidente Berlusconi, prima del G8 a L'Aquila, aveva assicurato la proroga delle restituzioni previste per il 1o gennaio 2009, ci ritroviamo di fronte ad un tradimento di tale impegno. Per le Marche e l'Umbria tale restituzione è stata prorogata per 120 mesi, mentre per l'Abruzzo non si è voluta una proroga di 12 mesi, come anche l'UdC aveva chiesto.
Un'altra osservazione va fatta sull'articolo 14, relativo all'imposta sulle plusvalenze su oro non industriale di società ed enti. Si tratta di fare cassa sulle plusvalenze del valore dell'oro posseduto dalla Banca d'Italia per incassare un supposto miliardo di euro.
Non entro nel merito dei conteggi, cioè se riferibili al 2008 o agli anni precedenti all'aumento di tale valore, ma sul fatto che tale norma sia una «grida manzoniana», perché l'autorizzazione deve essere data preventivamente dalla Banca centrale europea.
La norma, infatti, scalfisce lo stato patrimoniale della Banca d'Italia, che fa parte del sistema europeo delle banche centrali. Anche qui, ci troviamo di fronte ad una finanza creativa che non porta da alcuna parte. Abbiamo espresso il nostro disdegno per il rimborso irrisorio agli obbligazionisti dell'Alitalia e le nostre perplessità sull'articolo 22, relativo al settore sanitario.
Sull'Alitalia ci troviamo di fronte ad una truffa di Stato: gli obbligazionisti Alitalia, infatti, fecero i loro investimenti sulla base di un piano industriale dell'Alitalia, il cui socio di riferimento era il Ministero dell'economia e delle finanze, che fu sottoposto al vaglio della Commissione europea.
È stato lo stesso Ministero dell'economia e delle finanze a chiudere l'Alitalia con decisione unilaterale, per svenderla alla Cai-Alitalia, girando i debiti ad una bad company e debilitandone i bilanci con circa 5 miliardi di euro di debiti, con relativa svalutazione delle obbligazioni e delle azioni. Oggi si rimborsa, a tre anni, solo il 70 per cento del valore nominale: una vera e propria presa in giro per gli investitori compiuta dallo Stato, ossia da questo Governo.
Altrettanto pensiamo che sia un errore nominare commissari straordinari per il risanamento finanziario dei debiti della sanità regionale quei presidenti delle regioni che li hanno provocati: è come affidare le pecore ai lupi; abbiamo fatto proposte alternative, ma sono rimaste inascoltate.
Tre riflessioni sulla superfetazione normativa di questo decreto-legge: sanatoria degli immigrati irregolari, scudo fiscale ed equiparazione pensionistica.
La prima, poteva essere evitato per la regolarizzazione delle colf il presupposto del minimo di reddito del datore di lavoro, come è stato qui ricordato questa mattina dal collega Galletti. È infatti una norma inutile quanto dannosa.
Si limita la solidarietà familiare, che per affermarsi deve ricorrere a contratti simulati: la colf la assume il figlio, che ha reddito superiore a 20 mila euro, per farla lavorare dalla madre che invece ha la pensione minima e non li raggiunge. Un raggiro necessario per far contenta la Lega, che non voleva una regolarizzazione generalizzata, in quanto avrebbe in qualche Pag. 74modo danneggiato la sua immagine elettorale al nord. Tale regolarizzazione, comunque, vi sarà lo stesso per le 500 o 700 mila colf e badanti, ma la Lega potrà dire ai propri elettori che l'ha limitata. Anche qui, propaganda elettorale piuttosto che gli interessi dell'Italia.
La seconda riflessione è sullo scudo fiscale. Il dottor Alberto Cisterna, sostituto procuratore nazionale antimafia, su Il Sole 24 Ore del 18 luglio scorso ha osservato che la norma, così com'è scritta, rischia di risolversi in un favore al crimine, soprattutto a quello organizzato e al malaffare. Non c'è nessun monitoraggio sulla costituzione dei patrimoni e delle provviste finanziarie off-shore. Non basta escludere dal beneficio i proventi di una serie di reati che vengono elencati. Se verificati, ciò riporterebbe indietro molti patrimoni o capitali oggi residenti all'estero, che provengono da quei reati invece che da semplice elusione o evasione fiscale, che è il presupposto della norma in discussione.
Il Ministro Alfano si è vantato qualche settimana fa di aver approvato un severo pacchetto di sanzioni contro la mafia, ma se poi gli strumenti investigativi e di indagine per individuare le ricchezze illegali sono limitati e dimezzati, si riduce tutto, anche in questo caso, a delle grida manzoniane. Anche qui solo propaganda. Basti pensare alla normativa varata dal Governo in materia di intercettazioni, per capire come si leghino le mani agli investigatori.
Sul rientro dei capitali basta tener conto che si risolve tutto in una dichiarazione riservata tra banca e contribuente infedele, su cui è preclusa ogni indagine giudiziaria. Con il primo scudo 2001-2003 rientrarono 80 miliardi, che fecero la fortuna delle banche, perché questi capitali, una volta ripuliti, in gran parte ripartirono per l'estero. Adesso, si prevede un rientro utile alle banche; si tratta di sapere quanto sarà utile anche alla nostra economia. Il messaggio che passa, comunque, è che la vittoria è ancora una volta dei furbi!.
Sulle «pensioni rosa» l'UdC aveva avuto sempre una posizione chiara: utilizzare i risparmi attesi per un «welfare donna», sia come sistema materno infantile, che come mercato del lavoro. Niente di specifico è stato detto, se non un generico impegno sul sociale.
Ho presentato un ordine del giorno che impegna il Governo ad utilizzare i previsti 7 miliardi e mezzo di euro a regime, per finanziare l'introduzione di un graduale quoziente familiare; con ulteriori economie, derivanti dall'introduzione dei coefficienti di rivalutazione generalizzati, si può ipotizzare anche l'introduzione per intero del quoziente familiare, per defiscalizzare le famiglie italiane con figli, migliorando la qualità della vita di migliaia di famiglie. Vedremo come andrà.
Per queste ragioni, soprattutto di carattere sociale, in un momento di crisi sociale, di forti tensioni sociali, che si prevede si acuiranno nel mese di settembre, riteniamo il provvedimento in esame limitativo, insufficiente, non rispondente ai bisogni degli italiani.
Non possiamo rimanere indifferenti a quella parte dell'Italia che la crisi la sta subendo per intero, a cui non può bastare la social card.
Visto che avete tagliato fuori l'opposizione da questo provvedimento, signori relatori di maggioranza, e che taglierete anche le coscienze critiche della stessa maggioranza con il voto di fiducia che andrete a porre, non ci rimane che sperare nella prossima legge finanziaria di ottobre per far valere ancora le nostre ragioni.
Colleghi del centrodestra, all'epoca del Governo Prodi criticammo insieme il Ministro Bersani per le famose «lenzuolate», per l'apertura dei mercati, dicendo che, invece di liberalizzare le autostrade e invece di separare la rete Snam dall'operatore ENI (un problema che il presidente Ortis ha riproposto proprio qualche settimana fa al Ministro Scajola), liberalizzava invece il piccolo commercio, i tassisti e i parrucchieri. Qualcuno anzi allora - anche autorevole personaggio del centrodestra - capitanò la rivolta dei tassisti qui a Roma, facendone le proprie fortune elettorali. Pag. 75
Ebbene, ci saremmo aspettati che quei critici, giunti ad avere oggi un Governo liberale (o comunque di socialisti liberali che ne rappresentano un po' la cabina di regia: il cosiddetto riformismo craxiano è oggi alla guida di questo Governo, almeno nel suo impatto strategico), avrebbero fatto riforme liberali, aprendo alla concorrenza i servizi, sia quelli pubblici nazionali sia quelli locali, sia quelli privati, per rimuovere caste, corporazioni e nicchie di mercato protette.
Invece, questo Governo non solo non ha fatto queste, ma ha fatto marcia indietro su talune norme riguardanti i servizi locali. Lo dobbiamo riconoscere: tutto quello che di concorrenza vi è oggi nel settore dell'energia è merito degli ex Ministri dell'industria Letta e Bersani. Il centrodestra, invece, è rimasto protettivo e concepisce ancora una politica dirigistica e statalista.
La Lega, addirittura, sul decreto-legge n. 112 del 2008, ha rimosso il merito e i termini entro i quali si sarebbero dovuti pubblicare i bandi per le gare di affidamento dei servizi pubblici locali, in particolar modo nella gestione delle risorse idriche. Quell'emendamento, che riportava le lancette indietro, introdotto nottetempo, portava proprio la firma dell'attuale relatore della Lega, onorevole Fugatti, che certo non fece allora una gran bella figura, sia per le modalità con cui quell'emendamento fu presentato, sia per i risultati che esso ottenne.
Nessuno di noi pensa alla privatizzazione delle reti. Ma la privatizzazione e la liberalizzazione delle gestioni sono doverose e necessarie, soprattutto per un'efficace ed efficiente gestione. Questo è oggi un obbligo morale prima che politico. Abbiamo letto tutti, qualche giorno fa, la cronaca della gestione dei servizi pubblici a La Spezia, la cosiddetta «parentopoli». Si tratta di vicende che indicano che, quando il gestore è pubblico, i costi di mala gestio vengono sopportati, in quanto caricati sulle tariffe, dal cittadino utente.
Questo cosiddetto capitalismo municipale oggi è la palla al piede del Paese: i cittadini non hanno la possibilità di scegliere il miglior prezzo e il miglior servizio, ma sono costretti a subire la prevaricazione e le lottizzazioni della classe politica che governa gli enti locali. Un potere che, peraltro, è molto più evidente e forte proprio in quel nord governato dalla Lega, che si fa paladina di buongoverno, ma poi non può smentire quei meccanismi di degenerazione della gestione di queste municipalizzate o ex municipalizzate che producono clientele e malgoverno.
Queste sono le ragioni per cui l'UdC è critico nei confronti di questo decreto-legge, per le opportunità che non ha saputo valutare e soprattutto per non aver introdotto, a costo zero, quelle riforme che avrebbero potuto migliorare veramente l'efficienza del Paese e renderlo più moderno e più competitivo nel contesto europeo (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lolli. Ne ha facoltà.

GIOVANNI LOLLI. Signor Presidente, svolgerò un intervento su un solo punto, cercando di farlo - spero - in maniera breve, efficace, chiara e concreta. Il punto è quello contenuto nell'articolo 25, in particolare nei commi 2 e 3 con i quali si stabilisce che le popolazioni terremotate, a partire da gennaio, debbano restituire in ventiquattro mesi il 100 per cento di quanto è stato loro concesso per quanto riguarda il non pagamento dei tributi e degli oneri previdenziali: sono 513 milioni di euro che entrano dai terremotati.
A mio avviso, questa misura avrà conseguenze drammatiche e, siccome nelle Commissioni non ci avete dato la possibilità di parlare di questo come di altri argomenti altrettanto importanti, permettetemi di motivare con tre ragionamenti perché ritengo che questa misura avrà conseguenze gravissime.
In primo luogo, proviamo a fare un paragone tra ciò che è avvenuto e sta avvenendo in Abruzzo (ossia il modo in cui state trattando l'Abruzzo) e ciò che è successo in occasione di tutti gli altri terremoti o eventi calamitosi (e lasciamo Pag. 76perdere quelli più lontani nel tempo, quando lo Stato si mostrava tanto generoso quanto oggi non potremmo sperare che sia).
Guardiamo, dunque, agli eventi a noi più vicini, quelli di Umbria, Marche e Molise. Intanto, l'esenzione dai tributi e dagli oneri previdenziali in Umbria e nella Marche, ad esempio, è durata non sei mesi, come in Abruzzo, ma un anno e mezzo e la restituzione, peraltro con legge identica per Marche, Umbria e Molise, è avvenuta dodici anni dopo nel caso delle Marche e otto anni dopo nel caso del Molise, per il 40 per cento dell'importo e in 120 rate.
Proviamo, quindi, a guardare la differenza: nel caso di Marche, Umbria e Molise i tributi sono stati sospesi per un anno e mezzo, mentre in Abruzzo solo per sei mesi; nel primo caso la restituzione è stata del 40 per cento, nel secondo è del 100 per cento; nel primo caso è avvenuta dodici anni dopo in 120 rate, nel secondo subito ed in 24 rate.
Perché questa differenza? Ma come, il terremoto dell'Abruzzo non costituiva il banco di prova con il quale questo Governo dava una dimostrazione di grande efficienza e di grande forza e ci doveva far vedere come questo terremoto sarebbe stato trattato in un modo ben diverso da tutti gli altri? Certo, è stato trattato in un modo ben diverso dal momento che è stato trattato molto, ma molto peggio!
In secondo luogo, proviamo a capire perché lo Stato in queste occasioni dilaziona e poi richiede la restituzione anni dopo. Lo Stato ragiona così: quando una popolazione o un territorio è in ginocchio, per tutto il tempo in cui rimane in ginocchio si cerca di non fargli pagare le tasse per permettergli di sopravvivere; mano a mano che si rialza si comincia a fargli pagare di nuovo le tasse ma gli si chiede la restituzione, peraltro forfettizzata, solo quando, anni dopo, quel territorio si è rialzato in piedi, la produzione si è riavviata, le attività economiche sono riprese e si valuta che sia in condizione di poter restituire quello che gli è stato fornito.
Così è sempre successo, ma visto che voi all'Abruzzo interrompete la sospensione e addirittura chiedete la restituzione subito del 100 per cento, bisogna arguire che ritenete che l'Abruzzo è in condizione di restituire questi soldi, cioè che l'Abruzzo è di nuovo in piedi e che, tutto sommato, sta bene!
Capisco anche che voi possiate pensare così perché, siccome viaggio tutti i giorni da L'Aquila a Roma, quando mi trovo a L'Aquila vedo le cose come stanno ma poi vengo qui, accendo la televisione e vedo che hanno riaperto il centro storico, hanno riaperto le scuole e stanno costruendo le case.
Vi comunico, allora, che le cose non stanno così: praticamente lì stiamo poco, poco meglio di quanto non stessimo il 7 di aprile. Solo molto meno del 10 per cento dei cittadini è rientrato nelle case, ci sono 30 mila sfollati che si trovano ancora negli alberghi della costa, 30 mila che si trovano ancora nelle tende - vi assicuro in condizioni disperate - e vi sono poi tutti gli altri che si trovano nelle cosiddette autonome sistemazioni (che, cioè, in qualche modo si sono arrangiati).
Pensare che gente che si trova in quelle condizioni possa essere considerata gente che si è rialzata e che può pagare le tasse, mi sembra una cosa un po' bizzarra.
Per quanto riguarda le attività economiche: siamo circa centomila terremotati, sapete quanti sono quelli che hanno usufruito, finora, della cassa integrazione in deroga consentita dalle prime ordinanze sul terremoto? Non considerando le casse integrazioni ordinarie sono 15 mila. Considerando questi 15 mila lavoratori, pensate a quante attività sono ferme, chiuse. Solo nel centro storico de L'Aquila mille esercizi commerciali sono crollati. Solo nel centro storico de L'aquila, vi sono centinaia e centinaia di attività di professionisti (dentisti, farmacisti, medici) chiuse. Solo nel centro storico de L'Aquila vi sono diverse centinaia di artigiani che non sono in condizioni di lavorare. Tutta questa gente ha tirato avanti perché i mutui sono stati sospesi, le tasse e gli oneri previdenziali non sono stati pagati. Questa gente si Pag. 77sta dando da fare. Molti di questi hanno già riaperto la propria attività. Abbiamo studi medici, professionisti che in baracche di legno stanno ricominciando a lavorare, ed altri che hanno affittato un capannone o un appartamento a prezzi - vi assicuro - assolutamente esorbitanti. Questa gente a gennaio dovrà ripagare i mutui (perché la sospensione dei pagamenti scade), dovrà ricominciare a pagare le tasse nonché gli oneri previdenziali e, per di più, dovrà pagare anche gli arretrati sulle tasse e sugli oneri previdenziali. Ma come pensate che ce la possa fare? Quanto guadagnerà quel farmacista nella baracca per poter far fronte a tutte queste misure?
Vi è anche un paradosso: nel provvedimento sul terremoto abbiamo indicato la zona franca che abbiamo coperto con 45 milioni di euro per quattro anni, 11 milioni di euro l'anno. Le popolazioni terremotate avranno il prossimo anno 11 milioni di sgravi fiscali e dovranno pagare 250 milioni di euro di tasse in più; ma vi rendete conto? È come fare un prelievo - e che prelievo! - ad un ferito grave che avrebbe bisogno di una trasfusione.
Sapete quanti sono 513 milioni di euro al mese per due anni? Sono 23 milioni di euro al mese. Per quella popolazione ci saranno tasse in più rispetto a quelle che pagano tutte gli altri italiani: 23 milioni di euro in più! Si tratta di una zona franca al contrario. Cosa volete che possa pensare quella popolazione, di fronte a condizioni di questo genere? È un colpo mortale.
La terza considerazione riguarda - uso un termine un po' forte, ma lo devo usare - l'inganno. Non solo prima del G8 - come ha già detto il collega - ma anche giovedì scorso, il Presidente del Consiglio è andato a L'Aquila e ha tenuto una conferenza stampa nella quale ha detto: state tranquilli, cosa vi siete messi in testa, è chiaro che le tasse non ve le richiederemo indietro. E ciò avveniva mentre noi eravamo già in Commissione a discutere il provvedimento. Cosa devono pensare i cittadini aquilani? Cosa dobbiamo pensare noi? Ma quale fiducia volete che possiamo avere verso questo profluvio di parole, di impegni, di raccomandazioni, di impegni a rassicurarci, di promesse, quando poi seguono regolarmente questi fatti?
In merito al decreto-legge, in una conferenza stampa è stato detto: il decreto cambierà in quei punti; e il decreto non è cambiato. Poi, ci avete detto che con le ordinanze avreste risolto il problema; sono stata emanate le ordinanze e ovviamente ricalcano, come altro non poteva essere, esattamente il decreto.
Sulle case ci è stato detto che sarebbero state pronte a settembre, adesso a fine novembre. Vi comunico che non basteranno quelle case; avremo migliaia di persone che rimarranno fuori perché, fatto il conto, le cosiddette case E, quelle inagibili, sono molto di più di quelle che si prevedeva.
In Abruzzo qualche giorno fa si è tenuto il G8. Altre popolazioni, altri territori, forse, avrebbero utilizzato quell'occasione per svolgere proteste forti, per dichiarare al mondo che le cose non andavano bene.
Noi siamo fatti diversamente. Non abbiamo fatto proteste e quelle che ci sono state sono state garbate, civili e ironiche. La manifestazione che altri, i Cobas, sono venuti a fare in Abruzzo non ha visto l'adesione di alcun abruzzese (manifestazione che, peraltro, si è svolta pacificamente).
Noi non abbiamo fatto proteste e non abbiamo utilizzato il G8, in primo luogo perché il Presidente della Repubblica lo aveva chiesto - e ossequiosamente ci siamo conformati - e poi perché pensavamo che fosse nostro dovere contribuire a far fare all'Italia una bella figura. Ma che dobbiamo pensare adesso, considerato che in quelle stesse ore, mentre si teneva il G8, voi stavate scrivendo questo decreto e ci richiedevate indietro tutte le tasse? Cosa dobbiamo pensare adesso (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Unione di Centro)?
Dovete cambiare il provvedimento in esame, non so se con un maxiemendamento. Fate un altro provvedimento oppure inventatevi qualcosa altro, ma questo provvedimento deve cambiare, prima di Pag. 78tutto perché è un'indecenza che, in un provvedimento per le imprese italiane che vale 2 miliardi, un quarto è coperto e pagato dai terremotati. È una cosa indegna e indecente! Ma poi lo dovete cambiare perché è una cosa assurda, assurda!
Tutti ci avete descritto come un popolo dignitoso e paziente. Ebbene, con la stessa dignità e un po' meno di pazienza da questo momento in poi cominceremo a protestare. E protesteremo; protesteremo perché voi ci costringete a protestare. Non è bello protestare quando uno sta dentro una tenda, quando è sfollato e preferirebbe dedicarsi alla propria famiglia, a ricostruire la propria attività e a inventarsi il proprio futuro. Ci costringete a protestare! Ci costringete a protestare mentre prima avevate accumulato un patrimonio di grande fiducia in quel territorio. Lo aveva accumulato prima di tutto la Protezione civile con l'ottimo lavoro che ha fatto, ma lo avevate accumulato anche voi, con tutte le presenze, gli impegni e le belle parole. Con questo atto definitivamente dissipate quel patrimonio. Lo potrete riconquistare non attraverso le belle parole ma solo attraverso atti, e il primo atto che dovete fare è correggere questa indecenza (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico, Unione di Centro e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ventura. Ne ha facoltà.

MICHELE VENTURA. Signor Presidente, ciò che adesso ha detto il collega Lolli dimostra come le Commissioni siano state costrette a lavorare. Infatti, noi non siamo riusciti, nonostante le richieste più volte rappresentate dai nostri capigruppo e da altri gruppi di opposizione, a discutere l'articolo 25. L'articolo 25 non è mai giunto all'esame delle Commissioni, chiaramente per questi motivi di imbarazzo, ma è del tutto chiaro che lì si è manifestata una volontà, sui temi più complicati per la maggioranza, di evitare qualsiasi tipo di confronto.
Credo, signor Presidente, che noi ci dobbiamo porre - questo lo dico molto rapidamente - il problema che in modo strisciante il Parlamento sta perdendo il suo ruolo centrale e fondamentale. Non è solo un problema di forzature rispetto ai lavori delle Commissioni, ma dell'intendimento stesso con il quale il Governo vuole dialogare con il Parlamento. Diventa sempre più incomprensibile il metodo di legiferare.
Vorrei richiamare l'attenzione dell'Aula - lo ha già fatto il collega Fluvi stamani - sul fatto che stiamo affrontando questa discussione essendo partiti dalla coda, come abbiamo avuto modo di dire. Discutiamo di un decreto-legge e paradossalmente, nella seconda pagina del DPEF - cosa mai vista -, possiamo leggere che tale decreto è da intendersi collegato al Documento di programmazione economico-finanziaria stesso. C'è un DPEF che viene approvato successivamente e che opera un collegamento rispetto a un decreto che era già all'esame del Parlamento.
Avremmo dovuto esaminare il Documento di programmazione economico-finanziaria, nonché, signor Presidente, l'assestamento di bilancio, che questa volta non è lo stesso assestamento burocratico e banale, in quanto contiene la vera e propria manovra di cassa di quest'anno. La manovra di cassa sta nell'assestamento, e quindi avremmo dovuto esaminare il decreto successivamente, dopo il Documento di programmazione economico-finanziaria e l'assestamento.
In realtà, perché le cose funzionano in questo modo? Perché i decreti-legge contengono ormai in larga parte norme programmatiche, confuse ed eterogenee, che si sono ulteriormente aggravate durante la lettura nelle Commissioni per ciò che è stato aggiunto. Anche in questo decreto-legge siamo di fronte a spot e a norme-manifesto che hanno ormai sostituito un'efficace azione di Governo.
Non sfugge certo a noi che l'Italia si trova in una situazione di particolare gravità per l'ampiezza del proprio debito pubblico. Al riguardo vorrei richiamare l'attenzione del rappresentante del Governo sul fatto evidenziato anche oggi da Romano Prodi in un articolo Pag. 79su Il Messaggero: l'aggravamento delle condizioni, confermato dal Governatore della Banca d'Italia ieri e ammesso dallo stesso Ministro Tremonti, e una parte del peggioramento delle condizioni dei conti risiedono in una diminuzione delle entrate pari a 9 miliardi di euro, dovuto certamente alla crisi e all'abbassamento del controllo sull'evasione fiscale; ma c'è un dato incredibile e preoccupante, perché siamo di fronte ad una crescita delle spese primarie, cioè le spese ordinarie della pubblica amministrazione, che risultano in aumento rispetto allo scorso anno del 4,9 per cento, pari cioè a 35 miliardi di euro.
Non possiamo assistere sempre alla propaganda, dove da un lato c'è il Ministro Brunetta che continuamente ci parla di efficienza e riqualificazione della pubblica amministrazione e poi improvvisamente scoprire che siamo di fronte ad un aumento delle spese ordinarie in questa percentuale, a dimostrazione del fatto che non vi è stato alcun tipo di controllo e che queste somme si sarebbero potute utilizzare per investimenti produttivi, per un sostegno reale e per una politica davvero di contrasto alla crisi.
Non ci sfugge neppure, onorevole Giorgetti, che la crisi economica e finanziaria internazionale ha accentuato le debolezze strutturali del Paese, come è del tutto evidente. Ma qui sorge spontanea una domanda: per quale ragione il Governo ha scelto una linea minimalista per intervenire sulla crisi, che Tremonti riassume nella linea della prudenza? Siamo di fronte ad una linea minimalista: lasciare il corso delle cose andare naturalmente senza correzioni importanti dal punto di vista delle tendenze che si stanno manifestando.
Questa domanda è necessaria perché, a mio avviso, è un errore ritenere che ci si possa affidare soltanto ad una possibile inversione del ciclo, aspettando una ripresa sui mercati della Germania o degli Stati Uniti. Siamo di fronte alla necessità di un intervento più deciso da parte del Governo, che non è avvenuto sicuramente con tutti i provvedimenti che abbiamo esaminato nel corso di questi mesi.
Chi è andato più in sofferenza, colleghi? Il Mezzogiorno, l'occupazione, la piccola e media impresa, la cultura, l'arte, l'innovazione e la ricerca. Questi sono i grandi settori in sofferenza colpiti dalla crisi.
Mi chiedo e mi sono chiesto durante l'esame delle Commissioni: questi problemi si sono avvertiti durante il lavoro che abbiamo svolto? Quanto è entrato del mondo reale nei nostri lavori? Sono stati avvertiti come problemi dirompenti da parte della maggioranza? Davvero si ritiene di aver fatto tutto il possibile per salvaguardare la coesione sociale, il mondo produttivo, la speranza per il futuro (sono le cose che diceva l'onorevole Lolli adesso)? Non sentite il divario stridente tra le vostre rassicurazioni e ciò che nella società si muove?
Qui vorrei porre un problema: temo un effetto boomerang; quando un numero crescente di cittadini finisce per non sentirsi rappresentato dalla descrizione ottimistica dei governanti, può avvenire un'autoemarginazione, un trarsi da parte proprio per il motivo di non essere riconosciuti e di non riconoscersi rispetto a quanto viene detto e affermato. Può prevalere anche il ritorno a forme estese di elusione ed evasione fiscale. Il risultato che ne consegue può essere una perdita di prestigio dello Stato, in sostanza un baratto che può portare ad un imbarbarimento della società.
Vorrei spendere due parole per quei titoli che prima ho sottolineato: il Mezzogiorno. Qui mi dispiace che non vi siano colleghi della Lega. Una classe dirigente illuminata dovrebbe comprendere che il Mezzogiorno è la grande questione nazionale che noi abbiamo ed è la grande questione nazionale anche per chi abita nelle vallate della Padania e per chi abita nelle città del centro e del nord. Una classe dirigente illuminata dovrebbe leggere nel manifestarsi di un forte disagio politico (stiamo leggendo e vediamo che si parla del partito del sud) il segnale di un aggravarsi delle condizioni materiali e dei rischi di tenuta della stessa coesione sociale in vaste aree del sud. Pag. 80
Ma davvero colleghi non ci dice niente questa nuova fuga di tanti giovani laureati e diplomati, che lascia esposta quella parte meno attrezzata culturalmente e socialmente al reclutamento nella grande e nella microcriminalità? Infatti, questo è il rischio vero che si corre: ossia che si trovi una risposta soltanto nell'azione che svolgono i grandi gruppi criminali.
Nel lavoro della Commissione non è stato possibile esaminare l'articolo 5, la Tremonti-ter, nonostante l'impegno di colleghi come l'onorevole Vannucci ed altri, che hanno su questo molto insistito. Non è stato possibile discutere i nostri emendamenti a favore delle imprese del sud. Avete smantellato la fiscalità di vantaggio; avete cancellato i meccanismi automatici, che erano stati un punto di avanzamento reale verso le politiche meridionali, perché uscivano dalla discrezionalità e premiavano chi veramente investiva; avete cancellato la «Visco sud»; i FAS sono stati utilizzati per tutto tranne che per lo sviluppo delle aree del Mezzogiorno, le cosiddette aree sottoutilizzate. Le promesse sono rimaste promesse, onorevole Giorgetti, compresa la «banca del sud» dell'onorevole Tremonti, che sembrava diventata risolutrice di tanti problemi.
Rimane lo spot sul ponte sullo Stretto, mentre giacciono immobili gli impegni per il corridoio Berlino-Palermo, l'Alta velocità tra Bari e Napoli e l'adeguamento della jonica. Ma voi davvero potete pensare di governare l'Italia attraverso spot e manifesti?
Sappiamo bene che in alcune zone del sud vi è stato sviluppo, ma cerchiamo di non scoraggiare chi si è mosso decisamente in questa direzione. Quando parlo del Mezzogiorno come grande questione nazionale, non lo faccio per nostalgia o reminiscenze di letture di qualche decennio fa. Ne parlo comprendendo che non si tratta della tradizionale riproposizione di finanziamenti a pioggia, ma di trovare la strada di uno sviluppo che può essere possibile per il Mezzogiorno e, quindi, per tutta l'Italia. In questo decreto-legge, denominato «anticrisi», non vi è niente di tutto questo.
Sull'occupazione parleranno altri colleghi. Anche in questo caso, uscirei dal trionfalismo: oggi, i dati parlano del 9 per cento, di altri 800 mila posti a rischio. Il Governo non ha accolto nessun emendamento a favore di coloro che non hanno alcuna protezione (mi riferisco ai precari). Su questo abbiamo fatto una battaglia molto decisa in Commissione, senza alcuna risposta positiva. Probabilmente, visto che si parla spesso di riforme senza realizzarle, bisognerebbe uscire da soluzioni tampone e pensare alla riforma degli ammortizzatori sociali in senso reale, ampio, esteso e moderno, e aumentare le retribuzioni dei lavoratori agendo sulla fiscalità (voce anche questa rimasta inascoltata).
Vorrei dedicare il penultimo punto del mio intervento ad una riflessione sul mondo della piccola e media impresa. Colleghi, noi siamo perché si parli direttamente con il mondo delle imprese. Sarei ipocrita se tacessi il fatto che ho trovato estremamente deludente l'audizione con le associazioni di categoria, in contrasto netto rispetto a ciò che avvertiamo quando incontriamo i piccoli imprenditori, gli artigiani e i commercianti sui territori. Lì abbiamo l'angoscia di non sapere se si riapriranno le attività dopo l'interruzione estiva.
Il Governatore della Banca d'Italia ci avverte che per le imprese aumenta il rischio di usura e che la lotta alle mafie, in questa fase, è più importante che mai. Perché l'usura (sono i temi già illustrati da altri colleghi)? Perché non vi è liquidità. L'unica risposta che è stata data, dopo le nostre denunce, è che si lavorerà per una convenzione tra ABI e il Ministero dell'economia e delle finanze, che, quindi, è solo una petizione di principio: nessuna certezza, nessuno sblocco, nessuna garanzia sulle risorse a favore della piccola e media impresa. Avete rifiutato l'ampliamento della platea relativamente a chi può usufruire degli investimenti sugli utili realizzati e che possono essere rivolti ad un rafforzamento e a un potenziamento delle attività produttive. Pag. 81
Vi è un fatto singolarissimo (torno al Ministro Brunetta e ad altri): su Il Sole 24 Ore di qualche giorno fa, si è letto che le spese per l'iter burocratico, cioè per la burocrazia, delle piccole e medie imprese è pari al 7 per cento. Dal 2008 al 2009, tale dato è aumentato del 25 per cento, aggravato da ciò che è stato fatto nel decreto-legge in oggetto relativamente alle compensazioni IVA, che porteranno ad un ulteriore allungamento burocratico e a nuovi ulteriori costi.
Questo è ciò che è accaduto nel corso della lettura del provvedimento in discussione. Questa è la situazione di fronte alla quale ci troviamo, attraverso una forma discriminatoria che non è riuscita a colmare neppure quella domanda elementare - e torno un momento al sud - di dare per le imprese meridionali una riserva che assomigliasse ad una fiscalità di vantaggio.
Infine, arrivo all'ultimo punto, relativo alla cultura, l'arte, l'innovazione e la ricerca. Un Paese - e mi riferisco sempre alla pomposità di quel titolo, decreto-legge «anticrisi» - che non si preoccupa della cultura, della ricerca e dell'innovazione non va da nessuna parte. È l'immagine di noi che forniamo. Oggi ho letto, con un certo interesse, che a Barcellona sono presenti 25 mila italiani. È anche la suggestione, l'idea, perché poi, leggendo l'articolo, non è che a Barcellona ci siano opportunità infinite. Eppure ci si domanda: perché? Perché l'immagine che si dà è quella di un dinamismo sociale e culturale, è quella in cui si può immaginare che vi sono dei margini per la propria affermazione, che vi sono gli spazi.
Parlo di questo non solo perché il Presidente della Repubblica ha fatto un appello relativamente al FUS e ai tagli che esso ha subito, ma perché questo è legato all'alimentazione di programmi di ricerca e di sperimentazione; è legato alle attività giovanili di molteplici gruppi che animano la vita nelle nostre città, e il fatto culturale vero è che si collega alle grandi istituzioni culturali. Se non ci preoccupiamo neanche di questo, quale avvenire possiamo pensare di avere? Avete negato ogni possibilità quando, durante la lettura di questo decreto-legge, abbiamo parlato di ricerca e di forme incentivanti per la ricerca: avete risposto di no su tutto. Vi è un'idea statica, altro che passaggio a livello, la locomotiva e i vagoni! Voi pensate solo che qualcun altro ci risolverà i problemi, ma non sarà così. Ci dobbiamo preoccupare anche noi dei problemi che assillano da lungo tempo questo nostro Paese.
Voglio concludere con un auspicio. Altri hanno parlato e parleranno dello scudo fiscale, che è appunto una sanatoria, un condono; altri parleranno delle pensioni (ho trovato molto interessanti le considerazioni che i colleghi dell'Unione di Centro hanno svolto nei loro interventi); altri ancora parleranno del Patto di stabilità, che è l'unico punto sul quale si sono ottenuti dei passi in avanti. Vorrei però concludere con un augurio, signor sottosegretario. Proprio perché non ci vogliamo ridurre a schermaglie, il mio augurio è che arrivi il tempo per un vero confronto, per dare una risposta comune alla crisi, come tutti i grandi Paesi fanno quando una maggioranza e un Governo avvertono che dall'opposizione può venire un contributo per dare quella coesione che in momenti come questi è più che mai necessaria (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barbato. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BARBATO. Signor Presidente, trovandomi a Palermo sabato, domenica e lunedì scorsi, in occasione delle commemorazioni per l'assassinio di Paolo Borsellino e della sua scorta avvenuto 17 anni fa, ho capito perché non era presente nessun rappresentante né del Governo, né del Popolo della Libertà. Infatti, quando sabato siamo saliti in marcia sul monte Pellegrino, sul punto da cui fu pigiato il pulsante che provocò l'esplosione che ammazzò Borsellino e la sua scorta, non era presente nessuno né dal Governo, né del Popolo della Libertà, né parlamentari, né uomini del Governo. Quando poi domenica ci siamo recati in via D'Amelio, sino Pag. 82a sera, anche lì, non c'era nessuno né del Popolo della libertà, né del Governo; eppure c'erano forse più di un migliaio di persone, di giovani, anche se poi la stampa ha cercato di minimizzare il tutto.
Anche lunedì, quando siamo stati sotto il tribunale di Palermo per sostenere l'impegno e l'attività dei magistrati palermitani nel contrasto alla mafia, non c'era nessun uomo né del Governo né del Popolo della Libertà. Eppure, con quel popolo che si è riunito lì a Palermo, c'erano giovani, uomini e donne che gridavano: «Fuori la mafia dalle istituzioni» e «Paolo vive ancora».
Allora ho capito perché non c'era nessuno né del Governo né del Popolo della Libertà, l'ho capito leggendo l'articolo 13-bis del presente decreto anticrisi, che al comma 4 dispone che: «L'effettivo pagamento dell'imposta produce gli effetti di cui agli articoli 14 e 15 e rende applicabili le disposizioni di cui all'articolo 17 del decreto-legge 25 settembre 2001, n. 350, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 novembre 2001, n. 409». L'articolo 17, comma 2, del decreto-legge citato recitava così: «Le operazioni di cui agli articoli 12, 15 e 16 non costituiscono di per sé elementi sufficienti ai fini della valutazione dei profili di sospetto per la segnalazione di cui all'articolo 3 del decreto-legge n. 143 del 1991». Che cosa significa? Che con lo scudo fiscale non solo si sta realizzato un vero e proprio condono ma si sta dando una vera mano a tutti quelli che hanno esportato illecitamente all'estero capitali, danaro, e hanno creato patrimoni in modo illecito. Quindi stanno favorendo quelli che, facendo gli evasori fiscali o i mafiosi, hanno portato all'estero capitali non puliti. Non è possibile che con questa operazione non venga individuato l'intermediario finanziario, e cioè che la banca non possa segnalare denaro sospetto, perché con lo scudo fiscale si realizza ciò.
Allora il Governo in questo momento si sta sostituendo alla mafia, perché sta facendo attività di riciclaggio, sta diventando una sorta di lavatrice, perché fa arrivare qui in Italia del denaro che proveniva da attività illecite, criminali, mafiose e di evasione fiscale. Ebbene, è proprio in quel settore che bisogna dare un segnale esattamente contrario, se vogliamo un'economia sana. Ce lo ha detto la Corte dei conti non più tardi di un mese fa: si tratta di 160 miliardi di euro, di cui 100 miliardi sono di evasione fiscale e 60 miliardi di corruzione. Questo era il settore sul quale bisognava mettere le mani e ciò avrebbe fatto migliorare il nostro debito pubblico, non ci avrebbe costretto a finanziarie «al sangue» e avrebbe davvero rimesso in sesto l'economia. Ma bisognava voler percorrere una strada di legalità e anziché premiare gli evasori, i mafiosi, i corruttori, quelli che sono abituati a praticare l'illegalità, i furbetti del quartiere, bisognava mettere le mani addosso a questa gente, non fare esattamente il contrario, così come è stato fatto con questo scudo fiscale.
Le mafie vanno colpite soprattutto sul denaro, sulla tasca, sui patrimoni; è lì che bisogna far male alla mafia. Infatti, il clan dei Casalesi (come i mafiosi) non investe solo in Italia, ma anche in Spagna, nella Costa del Sol, addirittura nei Paesi scandinavi acquista cliniche e strutture sanitarie e lì, poiché non ci sono normative antimafia - perché non sanno neanche cosa sia la mafia - ha vita facile e percorsi facili.
Ecco perché capisco il comportamento in sede legislativa di questa maggioranza e di questo Governo. A questo Governo, per la verità, bisogna riconoscere una coerenza. Infatti, come abbiamo visto la sua assenza a Palermo rispetto alla battaglia contro la mafia che abbiamo fatto in occasione della ricorrenza dell'uccisione di Borsellino, fuori dall'attività istituzionale e legislativa abbiamo visto dei segnali anche all'esterno, quando il 26 aprile il Premier Berlusconi, il nostro Premier «papi», è andato a Casoria. È andato a Casoria perché? Per vedere la giovane Noemi? No, è andato a Casoria per parlare con il papà, con Benedetto Letizia, con il quale è stato chiuso in una stanza da solo per mezz'ora. Dopo che hanno avuto questo lungo colloquio è uscito fuori, hanno fatto il brindisi Pag. 83per i fotografi e per la stampa ed è andato via. Che cosa stava succedendo lì?
L'anno scorso sono stati inferti colpi mortali al clan dei Casalesi: è stato arrestato il capo dei Casalesi Sandokan, successivamente Bidognetti, poi era stato arrestato nell'ottobre 2008 un gruppo di fuoco nel quale c'era un certo Giovanni Letizia, e poi hanno cominciato a confiscare i beni del clan dei Casalesi. Hanno confiscato 139 milioni di euro e la settimana scorsa ne hanno sequestrati altri 50 milioni.
Poi cosa è successo? Che per queste decapitazioni che si sono avute, il clan dei Casalesi ha avuto come reggente un certo Armando Letizia. Quindi, quando il Presidente del Consiglio si reca da Benedetto Letizia il 26 aprile si danno dei segnali veramente gravi e sconvolgenti, perché tra l'altro anche Benedetto Letizia fu arrestato per peculato e per concussione.
Quindi era preferibile che il Presidente del Consiglio andasse per altre ragioni a Casoria, per andare a trovare chi aveva avuto 110 e lode, chi si era laureato, qualche associazione di beneficenza o qualche università dove sostenere la ricerca e altre cose utili per il Paese, e non invece per incontrare Benedetto Letizia, anche perché poi la magistratura napoletana non si fa mettere il cappello in testa e il 28 maggio hanno arrestato anche il reggente del clan dei Casalesi, ovvero Armando Letizia. E poi hanno arrestato anche il figliolo, Franco Letizia. C'è troppa letizia in questa attività del nostro Premier.
Quindici giorni fa in Commissione finanze abbiamo chiesto - l'ho fatto personalmente - alla presidente della Confindustria Marcegaglia se era soddisfatta delle attività e delle iniziative del Governo Berlusconi in ordine allo sviluppo e all'attività delle imprese, soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia, e la risposta della presidente di Confindustria Marcegaglia è stata categorica: no, non siamo soddisfatti della sicurezza che questo Governo garantisce soprattutto al mondo dell'imprenditoria, agli industriali e agli imprenditori.
Infatti, è solo di quindici giorni fa uno studio, sempre di Confindustria, che ci dice che nel Mezzogiorno d'Italia non vengono attirati capitali esteri e, addirittura, c'è una statistica che ci dice che per ogni milione di abitanti al sud ci sono due investimenti, mentre nel resto d'Europa ce ne sono 23,6. La ragione è molto semplice: c'è un nesso molto stretto fra il libero mercato e la legalità. Nel Mezzogiorno d'Italia il libero mercato, cioè la concorrenza tra le varie imprese, è «regolato» dalla criminalità organizzata (la camorra, la mafia, la 'ndrangheta), che obbliga ad acquistare il cemento da quell'impresa, l'asfalto da quell'altra, le mozzarelle per fare le pizze da quell'altro ancora (ai prezzi che ti dicono loro); poi ti obbligano a prendere quell'istituto di vigilanza per farti la guardiania, quella ditta per farti le pulizie. È ovvio che, quindi, non c'è libero mercato, né concorrenza e, invece, le imprese vivono se c'è concorrenza. Questa è la regola vitale per l'imprenditoria. Quindi, al sud non c'è sicurezza, non c'è assolutamente agibilità per imprese sane, che vogliono lavorare in modo serio.
Passiamo dall'articolo 13-bis sullo scudo fiscale all'articolo 24, e precisamente ai commi 74 e 75, dove ci propongono la proroga per le Forze armate, aumentando gli uomini, al sud. Continuate a stare sulla strada sbagliata, perché la criminalità organizzata non si combatte smantellando le forze di polizia, togliendo ai Carabinieri, alla Guardia di finanza e alla Polizia di Stato 3 miliardi di euro circa, come avete fatto con i vostri provvedimenti sulla sicurezza. Non si combatte la criminalità organizzata ridimensionando addirittura l'organico delle forze di polizia, che ad oggi complessivamente già annoverano 40 mila unità in meno per effetto dei continui tagli fatti alle forze dell'ordine.
Ecco perché noi ribadiamo con grande insistenza che la legalità è precondizione per lo sviluppo, che occorre legalità per creare sviluppo e che occorre sviluppo per avere legalità. Infatti, se al sud non ci sono occupazione né lavoro, è ovvio che tanti giovani senza futuro possono essere attirati Pag. 84dalle sirene della criminalità organizzata e dello spaccio della droga, che è l'attività «imprenditoriale» più redditizia. Infatti, non so se lo sapete, la rendita si triplica di volta in volta: se si compra una partita di droga a mille euro, dopo la vendita ha prodotto 3 mila euro; quei 3 mila euro, se vengono reinvestiti in una nuova partita di droga, diventano 9 mila euro. Questo è il meccanismo con il quale funziona questa grande impresa della droga in Italia e, soprattutto, nel Mezzogiorno, almeno questi sono i dati che ci vengono da chi contrasta tali fenomeni.
Quindi, state veramente perdendo una grande occasione, soprattutto perché non mettete in moto poi quei meccanismi che servono veramente per dare sbocco e una spinta in avanti, per far crescere l'economia di questo Paese. Non tenete in considerazione gli oltre 8 mila comuni d'Italia, che nel 2008 in buona sostanza hanno chiuso i loro bilanci in equilibrio e nel 2009, un po' per effetto del blocco delle entrate e per la riduzione dei trasferimenti, ci dicono che avranno una riduzione della spesa totale di circa il 9 cento.
Questo è un dato molto significativo, perché la parte migliore della pubblica amministrazione è rappresentata dai comuni. Dovrebbe saperlo il Ministro Brunetta, il noto Ministro fannullone che ancora oggi continua a prendere lo stipendio anche da deputato, pur non facendo il deputato, perché lo vedete come è assente, ma intanto continua a percepire lo stipendio. Il Ministro Brunetta dovrebbe avvisare gli altri suoi colleghi Ministri, perché, mentre per i comuni virtuosi è invariata la spesa per il personale, invece per i Ministeri si prevede un incremento dell'8 per cento.
Questa è la differenza tra la politica governativa dei Ministri e dei Ministeri rispetto ai comuni virtuosi che avrebbero la possibilità di utilizzare i residui passivi in conto capitale. Cosa sono i residui passivi? Sono quei fondi già impegnati, che cioè trovano già copertura nei bilanci comunali, ma che non vengono spesi. Da un'indagine dell'ANCI risulta che vi sono la bellezza di 33 miliardi di residui passivi al 2007. Ebbene, già immediatamente si potrebbe spendere un terzo di quei 33 miliardi, vale a dire che 11 miliardi sarebbero già immediatamente spendibili per mettere in moto quei meccanismi che servono soprattutto per mettere a norma gli edifici scolastici di cui tanto si parla, per mettere a posto le strade e renderle sicure, per mettere a posto le strutture pubbliche.
Se ricordate, questa è la regola keynesiana: Keynes diceva che quando c'è un momento di crisi bisogna far scavare anche dei buchi e poi, dopo che si è scavato, bisogna farli riempire. Insomma, bisogna far fare, bisogna far spendere, bisogna mettere in moto quelle attività che consentono la spesa, che rimettono in moto l'economia. È così che si mettono in moto veramente dei meccanismi anticrisi, mettendo in moto i comuni, quella parte virtuosa della pubblica amministrazione che questo Governo centralista e statalista non vuole mettere in moto e infatti ha trascurato. Ci sono stati diversi emendamenti con cui chiedevamo di forzare il Patto di stabilità interno e invece «no», perché i comuni devono avere le mani legate, perché, probabilmente, rappresentano un mondo che non è vicino al Popolo della Libertà in modo esclusivo e quindi deve essere tutto accentrato in mano a questo Governo.
Ma in verità il dato più grave di questo provvedimento anticrisi è che questo provvedimento non è anticrisi, questo è un provvedimento anti-Mezzogiorno d'Italia. Lo dice lo SVIMEZ, non lo dice l'Italia dei Valori: da circa otto anni il sud cresce meno del nord, non era mai successo dal dopoguerra ad oggi. Naturalmente, dobbiamo ringraziare il Presidente Berlusconi che in questi otto anni è stato molto presente al Governo; ringraziamo davvero Tremonti che ha consentito che il Mezzogiorno d'Italia continuasse ad avere il PIL dei propri cittadini in negativo. Infatti lo SVIMEZ dice che, anche nel 2008, c'è stato un meno 1,1 per cento, come diceva bene anche qualche collega dell'MPA. Dobbiamo per la verità davvero cominciare a ribellarci, cari amici e colleghi, perché non è Pag. 85più una questione di destra o di sinistra, è una questione che riguarda il problema vero del nostro Paese: la questione meridionale, che non è un problema degli uomini e delle donne del sud, è un problema di questo Paese, perché se non si alza il Mezzogiorno d'Italia non ci riprenderemo da questa crisi, questa è la vera difficoltà di questo Paese (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Movimento per le Autonomie-Alleati per il Sud)!
Il Mezzogiorno d'Italia è stato svaligiato e defraudato da questo Governo, perché vi erano dei provvedimenti ben precisi, vi erano i fondi Fas.
I fondi Fas, come diceva bene un collega intervenuto in precedenza, sono diventati il bancomat di questo Governo a trazione settentrionale e a trazione leghista, perché sembra che il problema di questo Governo sia diventato la questione settentrionale, addirittura, non la questione meridionale.
Noi poniamo la questione meridionale in termini seri: non siamo quel Mezzogiorno straccione e questuante che viene a chiedere soldi; siamo quella parte pulita, sana, che vuole lavorare, che vuole produrre, e vuole farlo in modo sano; sicuramente, non vuole farlo con i metodi mafiosi che ci propone questo Governo con lo scudo fiscale.
Ma lo vogliamo fare soprattutto, mettendo in moto quelle strutture ed infrastrutture di cui il Mezzogiorno d'Italia è carente, quegli incentivi alla piccola e media imprese di cui avevamo bisogno con i fondi Fas; invece, i fondi Fas sono stati rubati al Mezzogiorno d'Italia.
Essi, una volta, hanno dovuto dare copertura per l'ICI, per quelli che hanno più soldi, perché questo è un Governo che aiuta quelli più forti a danno dei più deboli, e una volta, invece, hanno dovuto coprire l'operazione Alitalia.
Addirittura, i soldi del Mezzogiorno d'Italia hanno dovuto coprire anche le multe per le quote latte che gli imbroglioni del nord avevano realizzato, che gli agricoltori del nord avevano messo in campo (Commenti di deputati del gruppo Lega Nord Padania).
Questo è quello che state facendo con questo Governo, con i soldi dei Fas, con i soldi del Mezzogiorno d'Italia: anche le multe delle quote latte avete pagato, rubando i soldi al Mezzogiorno d'Italia! Perché, tra l'altro, la questione meridionale non è al centro dell'agenda di questo Governo? Perché i due punti di forza del Mezzogiorno d'Italia non sono affatto presenti, citati e portati avanti con il decreto anticrisi. I due punti forti sono il turismo e l'agricoltura.
Per il turismo non abbiamo bisogno di costruire capannoni, industrie, di versare cemento, perché nel Mezzogiorno d'Italia abbiamo le più grandi bellezze archeologiche, paesaggistiche, artistiche, architettoniche; bisognava semplicemente dare slancio, perché dovevamo diventare la California d'Europa, in cui si veniva per svernare. Dovevamo diventare davvero il punto turistico di riferimento di tutti quelli che volevano vivere un turismo non solo estivo, ma un turismo fatto soprattutto di cultura e di conoscenza di posti meravigliosi. Di turismo non si parla affatto in questo provvedimento anticrisi!
L'altro argomento, invece, è l'agricoltura: ieri, nemmeno a farlo apposta, proprio ieri, partecipavo ad una manifestazione organizzata dalla Coldiretti, che oggi ne organizza una in tutta Italia (è il motivo per cui il mio responsabile, onorevole Borghesi, mi ha rimproverato, perché ieri mattina sono stato assente in Commissione finanze).
A noi dell'Italia dei Valori piace essere uomini del fare, vicini ai problemi veri dei cittadini, vicini alle cose serie, vicini alle cose che interessano davvero la gente. Sono stato con la Coldiretti ieri sotto il palazzo della regione Campania. La Coldiretti mi faceva notare che proprio ieri sono stati bloccati due TIR al nord in cui c'era della cagliata, che serve a fare il latte, il burro, i formaggi.
Vorrei dire al nostro Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali: perché non facciamo, mutuando un termine che si usa soprattutto in economia, anche la tracciabilità dei prodotti? Infatti, ci fanno mangiare dei prodotti che vengono Pag. 86realizzati nel nord Africa, addirittura con degli antiparassitari, tipo DDT, che da noi sono stati banditi da quarant'anni; sulle nostre tavole arrivano dei prodotti che vengono venduti come nostri prodotti e invece non è così.
Noi invece come Mezzogiorno d'Italia vogliamo più legalità, vogliamo più trasparenza, vogliamo la tracciabilità dei prodotti, perché noi vogliamo vendere le nostre pesche, il nostro pomodoro San Marzano! Vogliamo vincere sulla qualità: è questo il tipo di agricoltura che noi vogliamo per il Mezzogiorno d'Italia, e sono questi i due argomenti forti che potevano servire per dare slancio al Mezzogiorno d'Italia.
Ma che gli frega a questo Governo del Mezzogiorno d'Italia, che gli frega degli uomini e delle donne del sud? L'anno scorso, solo nel 2008, vi sono stati ben 277 mila giovani che sono emigrati al nord per trovare lavoro e per trovare un futuro! Quale emigrazione voleva togliere di mezzo questo Governo, l'emigrazione che veniva dall'Africa? E invece sta mettendo in moto un'altra emigrazione, l'emigrazione dei giovani e delle giovani del sud, che per trovare futuro devono emigrare nel centro-nord, per trovare un lavoro, per trovare occupazione, per trovare avvenire e vengono divise le famiglie: i genitori, i padri e le madri devono veder andar via i loro figlioli! E soprattutto stanno andando via le persone anche con livelli di professionalità maggiore, perché lì non trovano uno sbocco. E allora di tali questioni dovevamo interessarci! Invece questo Governo è sordo ai problemi veri del Paese, si vede che si allontana sempre di più dai problemi veri del Paese, si allontana sempre di più dal sentimento del Paese, non riesce più ad intercettarlo. E sono molto preoccupato, soprattutto per la ripresa autunnale: se continua così, sicuramente questo Governo ci porta verso un drammatico strappo sociale, perché davvero non se ne può più, soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia, a Napoli, a Reggio Calabria, a Palermo, a Catania; non ne possiamo più di questo Governo che sta maltrattando soprattutto il sud e il Mezzogiorno d'Italia.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

FRANCESCO BARBATO. Per la verità - e concludo, signor Presidente - questo Governo un provvedimento anticrisi lo ha fatto l'anno scorso: è un provvedimento non scritto. Era un provvedimento non scritto che ha fatto per una sola impresa. L'anno scorso ha fatto un provvedimento che in un anno ha già dato degli effetti molto positivi ad un'impresa. Questa impresa si chiama Mediaset; perché non so se lo sapete, che dall'anno scorso, da quando si è insediato il Governo Berlusconi, la pubblicità istituzionale che commissiona Palazzo Chigi si è quadruplicata per Mediaset: Mediaset aveva 440 mila euro di commissione per pubblicità istituzionale, è passata a 2 milioni di euro e più di pubblicità istituzionale; lo stesso vale per Italia 1, lo stesso vale per Retequattro. Naturalmente il tutto a discapito del pubblico, a discapito della RAI, che invece deve registrare un meno 20 per cento di pubblicità istituzionale da parte di Palazzo Chigi.
E la stessa cosa hanno fatto le grandi imprese, le grandi aziende, che seguono gli input del Premier «papi». Il Premier «papi» ha dato questo tipo di indicazione: ha detto che anche gli altri non dovevano dare pubblicità. E infatti le altre imprese hanno aumentato la pubblicità Mediaset a discapito della RAI, tranne la FIAT.
Questo Governo, fatto solo per gli interessi propri, per le leggi ad personam, per le leggi «ad propriam aziendam», per le leggi ai propri interessi, e oggi anche per le leggi per gli amici degli amici, come ha fatto, è semplicemente un Governo che non ci sta facendo approvare un provvedimento anticrisi, ma ci sta facendo approvare un provvedimento antimeridionalista ed un provvedimento mafioso (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Occhiuto. Ne ha facoltà.

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ROBERTO OCCHIUTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, i miei colleghi di gruppo, che sono intervenuti prima di me nella discussione sulle linee generali, hanno rappresentato con dovizia di particolari anche l'attività che il gruppo ha svolto nella Commissione, partecipando alla discussione con un atteggiamento che - lo riconosceranno anche i relatori - è stato assai costruttivo: abbiamo proposto i nostri emendamenti, li abbiamo discussi.
Abbiamo evitato di tenere un atteggiamento ostruzionistico, pur contestando le modalità e i tempi di discussione di questo decreto, in qualche modo ravvisando il pericolo che vi fosse una lesione delle prerogative delle Commissioni e dell'Assemblea. Proprio per questo, abbiamo cercato di aiutare la discussione, partecipando attivamente, mai con l'obiettivo di rallentare il voto finale sul provvedimento. E nel corso della discussione ci siamo anche assunti oneri che spesso le opposizioni fanno a meno di assumersi.
Ad esempio, non abbiamo chiesto, come hanno fatto altri, che si ritirassero previsioni come quella sulle pensioni, che anche noi giudichiamo insufficiente e che riteniamo essere più un segnale che quella vera riforma che occorrerebbe al Paese. Non lo abbiamo fatto perché nel corso dei mesi passati abbiamo più volte incalzato la maggioranza e il Governo a procedere su questa strada, assumendo un atteggiamento più coraggioso sui temi di politica economica e sulle riforme: perché se il Paese non fa le riforme in una fase di crisi, non consente al suo tessuto produttivo di ripartire quando la crisi finisce. Dunque, pur convinti del fatto che questa norma sulle pensioni avrebbe dovuto trovare più opportunamente luogo in un provvedimento a sé, abbiamo accolto il ravvedimento del Governo (poiché fino a qualche tempo fa dal Governo provenivano segnali diversi rispetto alla riforma delle pensioni: si diceva che essa non era necessaria né urgente). Noi che chiedevamo quella norma, ora che finalmente il Governo ha trovato il coraggio, non abbiamo chiesto di stralciarla dal provvedimento.
Né abbiamo fatto le barricate su un'altra norma che certo popolare non è: quella sullo scudo fiscale. Non abbiamo fatto le barricate, come spesso l'opposizione fa, cercando di catalizzare il dissenso che produce chi governa: e sapevamo che quel dissenso avremmo potuto catalizzarlo, poiché sono tante le famiglie che combattono quotidianamente con le difficoltà economiche e che certamente non guardano con favore ad una sanatoria fiscale per chi invece le risorse non le ha investite nel Paese ma le ha portate fuori. Non abbiamo fatto le barricate perché ci siamo resi conto delle difficoltà nelle quali la nostra economia versa, e abbiamo cercato anche qui di migliorare il migliorabile, proponendo ad esempio un emendamento che prevedeva un'aliquota privilegiata per coloro che si impegnavano ad investire le risorse nella capitalizzazione delle aziende, oppure per alimentare un fondo da utilizzare per il sostegno al reddito delle famiglie o per fini sociali (ad esempio per un piano straordinario di costruzione di asili nido).
In Commissione abbiamo cercato di svolgere il ruolo che deve svolgere un'opposizione responsabile.
Ma la nostra opposizione responsabile è una opposizione parlamentare, che ha l'obbligo, oltre che la volontà, di affermare le prerogative del Parlamento. Ad esempio, ci è stato chiesto di votare in Commissione con un solo voto tutti gli emendamenti che avrebbero dovuto trovare poi posto nel maxiemendamento che si porrà in votazione eventualmente con la questione di fiducia; in sostanza, ci è stato chiesto di anticipare il voto di fiducia in Commissione, con una procedura che mi pare rappresenti una fattispecie assai strana (come se si chiedesse la fiducia in Commissione!...

DOMENICO SCILIPOTI. Ti prendiamo in parola!

ROBERTO OCCHIUTO. ... riunendo in un unico voto l'espressione su tante questioni di carattere diverso.
Ci è stato detto dai presidenti che vi erano dei precedenti, anche se la cosa non Pag. 88ci ha convinto perché non vi erano poi tanti precedenti su decreti-legge ordinari come questo; comunque, siamo convinti che non basta richiamare i precedenti per poter dire che, siccome vi è una prassi più o meno consolidata, ciò che è prassi si può fare: certo che si può fare, ma non necessariamente deve farsi perché vi sono buone pratiche e cattive prassi, ed una maggioranza che voglia essere una maggioranza di buongoverno alle cattive prassi cerca di sostituire buone pratiche.
Quanti sono intervenuti prima di me hanno parlato, anche con dovizia di particolari tecnici, delle varie questioni oggetto del decreto-legge in esame. Nel mio intervento vorrei limitarmi invece a rintracciare quelle che, a mio avviso, sono le due gravi, grandi assenze di questa manovra che sono, per l'appunto, la famiglia ed il sud, il Mezzogiorno.
Con riferimento alla famiglia, secondo noi, non vi è alcun intervento davvero incisivo nella direzione di sostenere il reddito delle famiglie, a meno che non si ritengano tali gli interventi sulla commissione di massimo scoperto o quelli sulla proroga degli sfratti.
Non è prevista alcuna misura a sostegno del reddito (e non intendo riferirmi al quoziente familiare perché anche noi sappiamo quanto esso costerebbe così come conosciamo lo stato dei conti pubblici del Paese), mentre avremmo voluto che in questo decreto-legge fosse stato introdotto perlomeno un sistema incisivo di interventi che aiutino realmente le famiglie (non la social card né il bonus familiare o le solite cose alle quali questo Governo ci ha abituato quando si legiferava o si interveniva a sostegno della famiglia, più perseguendo un obiettivo di immagine per il Governo che cercando, invece, di conseguire un risultato che agisse davvero nella direzione di rendere più potenti, dal punto di vista del salario reale, le nostre famiglie).
In questo atteggiamento, a mio giudizio, si rintraccia un vizio della politica economica del Governo, il quale non si rende conto che la famiglia è il vero ammortizzatore sociale di questo Paese, forse anche quello che funziona meglio. Ogni volta cerchiamo di trovare risorse - che è così difficile trovare - per finanziare la cassa integrazione, magari creando un fondo che sia alimentato dal Fondo sociale europeo, come è accaduto in passato, ma poi non ci rendiamo conto che in questo Paese l'ammortizzatore sociale che funziona meglio è proprio la famiglia.
Quanta importanza ha avuto la famiglia in questi mesi per sostenere anche economicamente quelli che hanno perso il lavoro? E quanto si è impoverita la famiglia per svolgere questa funzione? Quanto fa risparmiare la famiglia allo Stato, alle regioni e ai comuni nell'attività di assistenza agli anziani o nell'attività di supplenza nel campo dei servizi sociali, che spesso svolge in maniera sussidiaria?
A proposito degli anziani, abbiamo accolto con favore l'intenzione del Governo di correggere un errore che la maggioranza aveva compiuto nel provvedimento sulla sicurezza in relazione alle badanti, ma anche in questo caso nel corso della discussione avevamo proposto con un nostro emendamento di rimuovere la soglia del reddito, anche perché il legislatore deve avere la capacità di evitare norme che poi in qualche modo inducano quasi ad eludere la legge.
Come diceva bene il collega Ciccanti, le badanti spesso assistono anziani che non hanno un reddito sufficiente per poterle regolarizzare e spesso all'interno della famiglia il figlio o la figlia aiutano la madre o il padre sostituendosi nel pagamento della badante per la mamma o per il padre.
Questa norma, come diceva l'onorevole Ciccanti, per come è stata scritta, avrà l'effetto di far stipulare dei contratti simulati, perché non vi sarà la possibilità per chi non ha un reddito superiore ad una certa soglia di procedere alla regolarizzazione.
Ebbene, sostenere le famiglie per noi significa occuparsi dei problemi più immediati, dei bisogni essenziali dei cittadini, ma anche investire in una risorsa straordinaria che, proprio applicando le categorie della Pag. 89sussidiarietà, può essere di aiuto allo Stato anche dal punto di vista del contenimento della spesa per tante attività.
Come dicevo, il secondo assente in questa manovra è il Mezzogiorno. Su questo aspetto, siccome ho ascoltato anche gli altri interventi svolti prima di me, vorrei che fosse chiaro che l'atteggiamento che bisogna avere rispetto a questo problema non deve essere solo di rivendicazione degli interessi e dei diritti legittimi di una parte del Paese contro un'altra parte (altrimenti faremmo un leghismo di ritorno, di serie «B»).
Chi parla del Mezzogiorno, soprattutto quando proviene dal Mezzogiorno, deve avere il coraggio di ammettere che, a volte, i danni maggiori al Mezzogiorno li ha fatti la politica del Mezzogiorno quando si è rappresentata come una politica svolta da masanielli o da quanti hanno inteso il governo locale come un modo per governare il consenso, più che i bisogni, per alimentare clientele, più che ragionare sulle prospettive di sviluppo locale.
Difendere davvero il Mezzogiorno significa avere il coraggio di smontare quello che è diventato un alibi formidabile per quanti ritengono che non bisogna investire più nel Mezzogiorno. L'alibi che ha costruito una politica incapace, incompetente, che non ha saputo rappresentarsi come una politica di prospettiva per le regioni del Mezzogiorno.
In questo provvedimento il Mezzogiorno è assente. Se ci riferiamo alla cassa integrazione, questa opera soprattutto nel nord del Paese e, peraltro, è finanziata da quel Fondo sociale europeo che, però, è alimentato anche dalle regioni del Mezzogiorno. Riguardo la Tremonti-ter, perfino la presidente Marcegaglia durante l'audizione in Commissione ci ha detto che vi è un rapporto, forse, del 70 per cento a vantaggio delle regioni del nord rispetto alla detassazione degli investimenti. Di certo, non si tratta di provvedimenti che vanno nella direzione di incidere sui bisogni del Mezzogiorno.
Ascoltavo, durante la discussione, qualche mio collega Lega e apprezzavo il senso di alcuni ragionamenti, come quello svolto del collega Polledri che richiamava il Governatore Draghi a proposito delle dichiarazioni fatte sul credito e sulle imprese.
Però, Draghi è intervenuto più volte proprio per dire quello che dovrebbe essere ormai chiaro a tutti, ovvero che, se vi è una parte del Paese che può crescere di più e che può aiutare l'intero Paese a crescere meglio, se vi una parte del Paese che può concorrere di più alla crescita del prodotto interno lordo, questa è proprio il Mezzogiorno d'Italia.
Certo, l'atteggiamento di chi vorrebbe difenderlo costituendo i partiti del sud non aiuta a rappresentare i bisogni reali di questa parte del Paese. Anche su questo abbiamo provato in Commissione a porre la questione. Abbiamo provato, in più di un'occasione nella discussione del testo a modificare, per esempio, l'articolo 22 del decreto-legge che riguarda la sanità e il commissariamento delle regioni che accumulano deficit.
C'è in questo articolo un comma che prefigura già il commissariamento di una regione del Mezzogiorno che ha accumulato ben due miliardi di euro di deficit. Noi abbiamo chiesto quello che ci sembrava assolutamente logico, cioè che si inibisse la possibilità di nominare commissario per la sanità in quella regione chi aveva contribuito nel corso degli anni, guidando la regione, a maturare a e a consolidare quel deficit. Ci sembrava una cosa di una logicità straordinaria perché chi crea il debito e non è capace di riformare la sanità o non è capace nemmeno di fare un piano di rientro, è giusto che non venga nominato commissario.
Se esiste il potere sostitutivo del Governo nazionale rispetto alle inadempienze di una regione, quel potere sostitutivo va esercitato con coraggio, e non va esercitato nominando i presidenti della regione, laddove i presidenti della regione sono stati i massimi responsabili dello sfascio della sanità. Questo significa chiedere che il Mezzogiorno venga responsabilizzato; questo significa chiedere, attraverso un'assunzione di responsabilità, un'attenzione maggiore da parte del Governo nazionale verso il Mezzogiorno. Pag. 90
Diceva bene chi mi ha preceduto: negli ultimi sette anni il PIL del Mezzogiorno è sempre cresciuto di meno rispetto al nord del Paese, e non accadeva dal dopoguerra, benché il divario tra Mezzogiorno e nord del Paese è oggi lo stesso che c'era nel dopoguerra. Il Mezzogiorno d'Italia è l'unica parte d'Europa dove non vi è stata la convergenza verso le parti più sviluppate del Paese. Solo nel Mezzogiorno questo si è determinato. Certo, si è determinato per una scarsa attenzione, per una scarsa sensibilità, per una volontà insufficiente da parte del Governo nazionale di intervenire, e anche in questo decreto-legge si rintraccia questo limite, ma si è determinato anche per un'incapacità dei gruppi dirigenti del Mezzogiorno nel rappresentarsi come gruppi dirigenti capaci di aprire stagioni di governo diverse per questa parte del Paese.
In conclusione, noi abbiamo espresso delle criticità su questo decreto-legge e le ribadiamo; si tratta secondo noi di una manovra che sembra quella di un Governo che vuole attendere che la crisi passi da sé, che vuole disporsi in una condizione di attesa perché tanto tutti gli indicatori economici dicono che in Europa e nel mondo ormai la crisi sta vivendo la sua parte finale; quindi, è un Governo che continua a non intervenire in maniera incisiva sui saldi di finanza pubblica.
Così come si è verificato in tutte la altre manovre fino ad oggi approvate dal Governo e in tutte quelle licenziate dal Parlamento, in tutte le manovre volte a finanziare gli interventi cosiddetti anticrisi, l'Italia ha speso complessivamente soltanto lo 0,2 per cento del prodotto interno lordo, mentre la Germania ha speso l'1,6, e persino l'Arabia Saudita ha speso il 3,3.
A differenza però degli altri interventi, che pure erano chiamati anticrisi, quelli fatti dalla manovra triennale in poi nell'ultimo anno, in questo intervento manca qualsiasi attenzione verso le questioni strategiche, verso le questioni strutturali, che sono propedeutiche in qualche modo allo sviluppo, verso le questioni che bisogna affrontare per rilanciare lo sviluppo e preparare il Paese a ripartire quando ci saranno le condizioni per la ripartenza.
Infatti, il tema oggi, non è solo o non è più solo quello di comprendere come fronteggiare la crisi. Noi siamo convinti, come molti altri (anche nel dibattito di oggi è emerso), che la crisi morderà ancora, nonostante gli indicatori che provengono dagli altri Paesi, nonostante qualche timido segnale che proviene anche dal nostro Paese, e che dopo l'estate molte piccole aziende italiane non riapriranno i battenti, e che i dati sull'occupazione saranno ancora più preoccupanti in autunno.
Proprio oggi il CNEL stima un aumento dei disoccupati nel 2009 compreso tra i 270 mila e i 460 mila, con un tasso di disoccupazione che sfiorerebbe il 9 per cento. Ancora, sempre il CNEL ci dice che a pagare di più sarebbero i lavoratori autonomi, il cui numero diminuisce, e i precari, i lavoratori a termine che alla scadenza del loro contratto non lo hanno visto rinnovato.
Negli anni passati noi abbiamo difeso la flessibilità del lavoro, ma chi difende come noi la flessibilità del lavoro deve avere poi il coraggio di prevedere che la flessibilità del lavoro sia difesa anche quando in situazioni di crisi la parte di lavoro che è più in difficoltà e in pericolo è il lavoro flessibile e precario.
La crisi volge al termine ma vi sarà una coda dolorosa per tante aziende, per molti lavoratori e per moltissime famiglie. A me pare che, da un lato, non vi sia questo sforzo straordinario che sarebbe richiesto dalla straordinarietà della congiuntura e, d'altro lato - questo forse è il tema principale - non vi sia neanche l'attenzione a preparare il nostro sistema produttivo alla nuova partenza quando tra qualche mese vi sarà negli altri Paesi.
Per la prima volta in questo decreto-legge rispetto agli altri non vi è niente che riguardi le infrastrutture; non vi è nulla sulla spesa in conto capitale per l'ammodernamento del Paese e delle sue parti che vanno maggiormente ammodernate. Non vi è nulla sugli investimenti in ricerca e sviluppo che pure la Confindustria ha Pag. 91chiesto insistentemente nelle settimane passate, domandando che fosse ripristinato il credito d'imposta per gli investimenti in sviluppo e ricerca. A nostro avviso, questi sono i provvedimenti che dovrebbe emanare un Governo che voglia avere l'ambizione di preparare il tessuto produttivo del nostro Paese a correre quando si potrà correre.
Queste sono le criticità di una manovra che anche noi riteniamo minimalista. Ci dispiace che, ancora una volta, con questa manovra si prosegua come si è fatto nel corso dell'ultimo anno. La nostra preoccupazione, infine, è che la politica economica di questo Governo non abbia la capacità di arginare la crisi, ponendo in essere interventi che a volte hanno più il senso della creatività che il senso della soluzione dei problemi.
Qualcuno nella discussione sulle linee generali ha richiamato i limiti dell'articolo 14 sulle riserve auree della Banca d'Italia. Tuttavia, credo che nessuno abbia detto che, se quell'articolo, soprattutto nella formulazione iniziale, fosse stato scritto da un altro Ministro dell'economia diverso da Tremonti, questo Ministro dell'economia sarebbe stato ricoperto di ridicolo. Tremonti ha anche la capacità di compiere errori e, tuttavia, di evitare che questi errori abbiano lo stesso effetto che avrebbero per altri.
Noi ci lamentiamo soprattutto del fatto che fino ad oggi questo Governo e la sua politica economica non hanno avuto la capacità di pensare alla prospettiva del Paese. Si sono trincerati dietro la difesa dei saldi senza peraltro nemmeno ottenere gli obiettivi auspicati a causa della congiuntura economica, ma soprattutto non hanno avuto la capacità di individuare nelle scelte di politica economica gli atteggiamenti che sarebbero più appropriati per preparare il nostro Paese a riprendere la corsa quando questa crisi sarà davvero finita (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro e di deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Causi. Ne ha facoltà.

MARCO CAUSI. Signor Presidente, mi permetta di cominciare il mio intervento con l'affermazione, che cercherò poi di motivare, che è molto netta: siamo di fronte ad un impianto di politica economica fortemente criticabile nel metodo e nel merito.
Nel metodo: il decreto-legge n. 78 del 2009 arriva al nostro esame prima del DPEF e dell'assestamento di bilancio. Il DPEF addirittura collega il decreto-legge n. 78 del 2009 a se stesso, una cosa non prevista dall'attuale ordinamento. La stessa manovra è stata poi modificata nel corso dell'esame in Commissione con emendamenti sostanziali, prodotti da Governo e relatori, presentati in Commissione e privi di relazione tecnica (in particolare, penso all'articolo 13-bis, che noi riteniamo essere un condono sui capitali rimpatriati).
Il Ministro Tremonti non perde occasione per affermare che non crede al DPEF, non crede possibile, né necessario, né utile programmare a medio termine. Polemicamente potremmo dire che il Governo non ha strategia, si limita a «galleggiare». Sappiamo anche che dietro a questa dichiarazione del Ministro è in corso una discussione sulla riforma del processo di bilancio, che dovremo affrontare nelle prossime settimane, e alcuni pensano come Tremonti che sia inutile una sessione di bilancio estiva di tipo strategico.
Signor Presidente, mi faccia affermare che io non sono fra questi: ritengo che sia necessario mantenere nettamente una separazione tra una strategia pluriennale di finanza pubblica, anche con numeri e in particolare anche con i quadri definiti della finanza locale, come abbiamo deciso entro la legge n. 42, separata poi da un'ulteriore sessione di attuazione finanziaria annuale. Forse dovremmo anche avere il coraggio di anticipare la sessione estiva e di farla anche prima di luglio, in modo da permettere agli enti locali territoriali di adottare poi i loro bilanci.
Ma questo impianto di politica economica è criticabile anche nel merito. È illuminante da questo punto di vista - e Pag. 92ne propongo la lettura a tutte le colleghe e i colleghi - la tabella 3.9 a pagina 37 del DPEF. In questa tabella gli uffici del Ministero dell'economia e delle finanze scompongono il deficit pubblico (indebitamento netto ai fini di Maastricht) fra componente strutturale e componente ciclica. Ebbene, nel 2008 la componente ciclica del bilancio dello Stato italiano è stata pari a +0,5 (mezzo punto del PIL in avanzo), cioè la politica economica è stata prociclica, inerzialmente e strutturalmente ha determinato un deficit di 3,2 punti percentuali; gli interventi congiunturali infrannuali e discrezionali hanno ridotto quel 3,2 al 2,7. Interventi prociclici: proprio quando arrivava la più grande crisi economica degli ultimi cinquant'anni, la politica economica italiana nella sua componente discrezionale è stata prociclica, ossia ha aggravato la crisi e ristretto la finanza pubblica.
Ebbene, il Partito Democratico lo aveva detto: lo avevamo detto e denunciato in tutte le sedi, parlamentari e politiche, ed è proprio questo ciò che è successo. Noi riteniamo, signor Presidente, che l'entità della recessione italiana nel 2009 (e cioè il fatto che il prodotto interno lordo italiano si riduca nell'anno in corso del 5,2 per cento, il peggiore risultato fra tutte le economie del mondo, tranne la Germania) dipenda anche da questa politica economica sbagliata.
Siamo di fronte a gravi errori di politica economica, nelle quantità di risorse messe in campo, nella qualità delle misure e degli interventi e nei tempi dell'azione.
La differenza tra la proposta del Partito Democratico e quello che il Governo ha realizzato è in fondo la differenza fra un più e un meno. Noi avremmo fatto, come abbiamo sempre proposto, una vera manovra anticiclica di un punto di PIL, cambiando quel +0,5 in -0,5 e avremmo così anticipato di un anno l'emergere della componente anticiclica, che nel 2009 è pari a circa 2 punti percentuali del PIL in termini di disavanzo.
Il DPEF, da questo punto di vista, svela la verità e, forse, è per questo che non piace al Ministro, perché leggendo il DPEF si legge la verità. A pagina 16, le risorse anticrisi messe in campo dai sette decreti-legge (quello in discussione è l'ottavo), che abbiamo approvato nel corso di questi dodici mesi, sono pari complessivamente a 27,3 miliardi di euro nei quattro anni che vanno dal 2008 al 2011. Poi, però, vi è un commento intellettualmente disonesto, perché si dice che questi 27 miliardi sono pari all'1,8 per cento del PIL, ma - attenzione - in quattro anni: 2008, 2009, 2010 e 2011. Quindi, in realtà, siamo di fronte ad un intervento pari allo 0,45 per cento, in media, all'anno: 2,7 miliardi nel 2008, 11,4 miliardi nel 2009, 7,5 miliardi nel 2010 e 5,8 miliardi nel 2011. Anche questo, l'opposizione l'ha sempre detto.
Sappiamo che la gravità della recessione italiana non dipende solo da questo. Nel misurare la gravità della recessione, scopriamo quanto sia centrale per la nostra struttura produttiva l'apparato industriale. Riconosciamo, proprio nella recessione, la capacità di competere, di innovare e di esportare da parte delle nostre imprese. Un dato molto interessante riguarda, per esempio, la tenuta, nel 2008, del saldo commerciale italiano (ovviamente, al netto dei prodotti energetici), che, addirittura, nel 2008, migliora rispetto al 2007. L'apparato industriale italiano ha prodotto un saldo commerciale positivo di 50 miliardi di euro nel 2008, già a crisi scoppiata sui mercati mondiali, incrementando questo saldo di 10 miliardi rispetto al 2007.
Non ci deve stupire soltanto la FIAT e la sua capacità di eccellenza tecnologica, ma ci devono stupire le nostre piccole imprese e i tanti distretti industriali, non soltanto quelli del nord. Forse, abbiamo sbagliato negli ultimi anni - lo dico anche a me stesso e al mio schieramento - a discutere così tanto di declino, ma appunto per questo, di fronte alla forza e all'eccellenza dell'apparato industriale italiano, occorre una strategia a medio termine per la finanza pubblica e per portare questo apparato produttivo all'appuntamento con l'uscita dalla crisi prima che esso vada disperso o distrutto. È una strategia che il Governo non ha, o non Pag. 93vuole avere, per tenersi ben stretta una massima discrezionalità di manovra, abilmente giocata sul piano della comunicazione, dell'annuncio continuo di misure di provvedimenti di dubbia efficacia e dei rapporti di forza e di potere all'interno del corpo sociale e dei corpi intermedi.
Intanto, il saldo strutturale di bilancio resta invariato (era -3,2 nel 2008, è -3,1 nel 2009), la spesa corrente della pubblica amministrazione per redditi da lavoro e consumi intermedi, come è già stato ricordato, prima di me, dal collega Ventura, aumenta di ben 8 miliardi di euro nel 2009, dimostrando, una volta ancora, che i tagli lineari non funzionano. È il secondo esempio in pochi anni, dopo il tetto alla spesa, che dimostra che la spesa pubblica non si governa con provvedimenti aggregati, né con misure uguali per tutti, ma si governa con ciò che aveva avviato il Ministro dell'economia del precedente Governo - cioè, con le spending review, andando a vedere, voce per voce, quali sono i risparmi possibili - e si controlla passando ai costi standard, come si è deciso con legge n. 42 del 2009, di attuazione dell'articolo 119 della Costituzione (a questo proposito, vorrei chiedere al Governo di avere notizie in merito all'attuazione e in merito alle quantificazioni).
Lo scetticismo del Ministro Tremonti per tutto quello che è scenario a medio termine, diventa, da questo punto di vista, un grave limite anche all'azione di Governo. Ancora non abbiamo quantificazioni ufficiali in merito all'impatto della legge n. 42 del 2009. Il gruppo parlamentare del Partito Democratico, per stimolare il Governo ad iniziare a lavorare sui costi standard, ha realizzato uno studio che sta per essere pubblicato e che è già stato anticipato alla stampa. Per esempio, nel caso di un «pezzo» di spesa sanitaria, dimostra che il passaggio ai costi standard può generare risparmi pari a circa 3 miliardi di euro e che questi risparmi vanno generati in tutto il Paese, non solo nel sud o nel nord. Tutti gli amministratori locali, regionali e statali si devono rimboccare le maniche e risparmiare.
Mentre il saldo di bilancio strutturale resta costante e il gettito delle imposte diminuisce più di quanto si riducono consumi e redditi (segno di crescita dell'evasione, di cui, peraltro, anche il Governo si è accorto, al punto che nel decreto-legge n. 78 propone di stringere alcuni meccanismi: concordiamo, ad esempio, sulle questioni relative ai paradisi fiscali, al rafforzamento della riscossione e alle compensazioni IVA), gli investimenti pubblici sono previsti in riduzione: 4,4 miliardi di euro in meno nel 2010 e ulteriori 2,5 miliardi in meno nel 2011. Chiedo al Governo: pensate davvero che sia questa l'exit strategy per il Paese, più spesa pubblica corrente non governata e meno investimenti? Come proposta di strategia a medio termine mi pare un po' poco, ed è un po' poco anche la strategia che ci viene proposta nel decreto-legge n. 78 che, alla fine, è l'unica manovra che abbiamo. Fino a quando non deciderete altrimenti, sembra che l'unica manovra collegata a questa sessione di bilancio sia il decreto-legge di cui oggi abbiamo cominciato l'analisi.
È un po' poco per tre motivi: primo, perché tale decreto-legge contiene provvedimenti fortemente criticabili; secondo, perché è una mancata occasione per introdurre le riforme necessarie ad una vera exit strategy di medio periodo; terzo, perché quando propone alcune riforme, le fa male e troppo in fretta.
Inizierò dalle norme su cui vi è una nostra forte opposizione, che, tra l'altro, ci ha portato - come è noto - a non aderire alla proposta di segnalare in Commissione i nostri emendamenti preferiti; infatti, preliminare e pregiudiziale era per noi l'abolizione di queste norme. Innanzitutto vi è il condono. Desidero illustrare un solo punto, e mi rivolgo direttamente al Governo e alla maggioranza. Volete fare il condono? Fatelo, se volete, ma una cosa sola vi chiedo: non dite che state agendo come Obama, non ditelo. Smettete di dire che voi siete come Obama. Obama infatti dispone di una struttura delle entrate che si chiama Internal Revenue Service: è l'Agenzia delle entrate americana. Io sono andato sul sito della Internal Revenue ServicePag. 94e vi leggo, traducendo, cosa deve fare un contribuente americano per regolarizzare i capitali residenti all'estero: egli deve produrre una lettera da un avvocato o da altro legale rappresentante, che descriva i rendimenti ottenuti dai capitali esportati. La dichiarazione deve essere completa e accurata e deve descrivere le origini legali dei redditi la cui dichiarazione è stata omessa; in essa il contribuente si impegna a pagare le tasse, gli interessi ed ogni altra penalità determinata dalla Internal Revenue Service e deve essere firmata. È una dichiarazione spontanea firmata, non è mica anonima! Allora, volete prevedere un condono collegato ai meccanismi della legge n. 409 del 2003, quindi anonimo e che non possa poi essere utilizzato per alcun accertamento fiscale nei prossimi anni? Fatelo, ma non dite che questo è quanto fa Obama, perché egli fa qualcosa di completamente diverso, cioè quello che ho appena illustrato: una dichiarazione spontanea che prelude ad un accertamento, sul quale si pagano le imposte sui redditi eventualmente evasi. Quindi, se quel reddito non era stato dichiarato, si paga l'imposta non soltanto sull'interesse presuntivo durante la detenzione del capitale, ma anche sul reddito originario. Noi sosteniamo, invece, che il vostro è un condono perché è anonimo, perché è un «lavaggio» da ogni futuro accertamento e perché è possibile sanare la propria posizione fiscale anche con meno del 5 per cento, dichiarando che si è tenuto il capitale per meno di cinque anni.
In fondo, signori del Governo e della maggioranza, esso è anche contraddittorio rispetto ad alcune vostre linee di indirizzo. Ad esempio, recentemente ho letto un'intervista al direttore dell'Agenzia delle entrate nella quale egli sostiene che, secondo l'attuale indirizzo dell'Agenzia, la linea è quella di accertamenti sintetici tramite indicatori indiretti della capacità contributiva (il redditometro).
Quindi andiamo a vedere qual è il livello di vita del contribuente e lo confrontiamo con quanto dichiarato e con l'indicatore indiretto di capacità: la casa che abita, i beni di lusso che ha, lo yacht, eccetera, servono all'amministrazione fiscale per gli accertamenti.
Allora mi domando: la casa e lo yacht sono rilevanti, ma se il contribuente svela di possedere un conto corrente bancario con un milione di euro nelle isole Cayman o in una banca svizzera, questo non è considerato un indicatore indiretto di capacità contributiva e fiscale? Ma come? Volete andare verso il redditometro, come dice anche il rapporto recentemente rilasciato della Commissione bicamerale sull'anagrafe tributaria e l'evasione fiscale, presieduta dall'onorevole Leo, e poi non ritenete che l'emersione dei capitali detenuti all'estero debba essere considerata un indicatore quando meno indiretto di capacità fiscale per gli accertamenti dell'amministrazione fiscale? Ma insomma, vi state contraddicendo.
Questa non solo è una norma sbagliata come tutti i condoni, ma è sbagliata anche perché, dopo quello del 2001, sarà usata per i redditi e i capitali di più recente formazione, mentre quello del 2001 aveva almeno l'obiettivo di riportare in Italia cose molto antiche. Stiamo parlando di redditi e capitali formatisi negli ultimi anni, dal 2002 al 2003 in poi, e quindi si ridurrà il potenziale di accertamento futuro dall'amministrazione fiscale. Ma come? La Guardia di finanza qualche giorno fa ci ha detto di aver recuperato, nei soli cinque mesi tra gennaio e maggio 2009, 3,1 miliardi di evasione internazionale. Ma se queste persone «laveranno» i capitali detenuti all'estero con questo meccanismo, la Guardia di finanza non potrà più accertare niente, perché questi soldi non saranno più accertabili.
È sbagliato poi il condono perché non servirà a patrimonializzare le imprese. Ricordiamoci tutti che questa misura è rivolta solo alle persone fisiche e alle società semplici e non ha nulla a che fare con il mondo delle imprese strutturate: quindi altro che patrimonializzazione.
Insomma o eliminate l'anonimato, o prendete le schede dell'Internal Revenue Service e le traducete in italiano ed emendate così il testo, oppure, per favore, Pag. 95smettetela di paragonarvi ad Obama, perché con Obama e con Gordon Brown non c'entrate proprio nulla.
La seconda misura inaccettabile e fortemente criticabile è la richiesta di restituzione dei tributi alla gente dell'Abruzzo fin dal gennaio 2010. Poco fa ha parlato l'onorevole Lolli e non voglio aggiungere nulla.
La terza misura non accettabile è l'articolo 5 del decreto-legge in questione, che non avete voluto discutere in sede di Commissione per evitare di confrontarvi con noi e di votare la nostra proposta, che prevede di differenziare la detassazione degli utili reinvestiti a vantaggio del Mezzogiorno e delle regioni dell'obiettivo convergenza.
Si tratta di una misura non costosa perché nella nostra proposta il budget totale disponibile per le agevolazioni rimane uguale a livello nazionale. È una proposta coerente con le stesse linee-guida della legge 5 maggio 2009, n. 42, sul federalismo fiscale e quindi con la fiscalità di vantaggio ed è un segnale politico importante per il sud, dopo un anno di politiche fortemente e anche volutamente antimeridionaliste.
Ebbene, su nessuno di questi tre temi, signor Presidente - condono, Abruzzo, utili reinvestiti nel Mezzogiorno - si è potuto discutere o votare in sede di Commissione.
Il secondo capitolo è la mancata occasione per realizzare le riforme che servono a medio termine, concernenti innanzitutto gli ammortizzatori sociali. Sappiamo che il numero degli occupati in Italia si è ridotto di 426 mila unità, persone che nel primo trimestre 2009 hanno perso il posto di lavoro. Sappiamo anche che le ore di cassa integrazione sono aumentate dal giugno 2008 al giugno 2009 da 15 milioni a 80 milioni. È evidente che questa è la priorità e lo sostengono tutti sempre di più.
La cassa integrazione è uno strumento che gioca un ruolo molto positivo, perché tiene agganciato il lavoratore all'impresa.
È molto diverso per un lavoratore essere licenziato e passare a prendere il sussidio all'ufficio statale, piuttosto che invece andare una settimana o due settimane al lavoro e sapere che il cordone con l'impresa non è perso. Ma appunto per questo è assolutamente indispensabile prolungare, almeno in via temporanea e provvisoria, le settimane di cassa integrazione ordinaria dalle attuali 52 previste dalla legge a 104 perché rischiamo, con il proseguire della crisi, che questo cordone ombelicale non possa più essere mantenuto.
Da questo punto di vista, dato che la CIG è uno dei meccanismi che hanno ridotto l'impatto sociale della crisi (e che ci invidiano molti Paesi perché è meglio del sussidio di disoccupazione, per la condizione sociale e psicologica del lavoratore dell'azienda in crisi), occorre che riflettiate, perché la norma che avete messo per cui adesso si potrà richiamare il lavoratore pagandolo soltanto il 20 per cento, mentre il resto lo dà lo Stato se in formazione, ma comunque lavori e sia in catena produttiva, rischia di rompere quel meccanismo assicurativo solidaristico che riduce l'impatto sociale della crisi quando si usa la CIG.
Ma poi l'altra gamba che dobbiamo assolutamente introdurre è innalzare l'indennità introdotta con il decreto-legge n.185 del 2008 dal 20 al 60 per cento, per tutti gli altri lavoratori non coperti dalla CIG, rispetto all'ultima retribuzione percepita. La misura varata con tale decreto-legge è fallita (questo credo che lo possiate ammettere anche voi, Governo e maggioranza): soltanto 1.800 domande rispetto a una popolazione di potenziali beneficiari di 2 milioni di persone (800 mila parasubordinati, 400 mila collaboratori, 700 mila fra tempo determinato e indeterminato). Questa è la prima riforma che serve al Paese, ossia riformare gli ammortizzatori sociali, e ancora questo provvedimento non va avanti nella giusta direzione.
Quanto al credito alle piccole imprese, abbiamo poco fa detto qual è la forza dei nostri distretti, ma sappiamo anche come sono organizzati: ci sono poche imprese medie e medio-piccole che esportano e che vanno sui mercati e si sono internazionalizzate, e poi c'è una miriade di fornitori specializzati, industriali, artigianali e dei servizi di piccolissima dimensione, che Pag. 96soffrono in questo momento in modo strangolante le condizioni del credito. Gli interventi finora attuati non bastano. Noi abbiamo fatto una proposta. La nostra proposta è molto semplice: si faccia un fondo nazionale di garanzia, lo si apra presso il fondo cosiddetto Bersani del Ministero dello sviluppo economico, che agisca in via diretta con il sistema bancario e in via sussidiaria con i Confidi e le finanziarie regionali.
Gli interventi finora realizzati non sono sufficienti. Se davvero il Ministro Tremonti vuole chiedere una moratoria sui prestiti alle banche, che altro è una moratoria se non una rinegoziazione con allungamento di scadenza che va coperta da garanzia? E quindi questa è una seconda proposta di riforma strutturale su cui ancora non ci volete dare risposte. Neanche su questo abbiamo potuto discutere.
Sui progetti industriali del futuro, chiediamo al Governo e alla maggioranza più coraggio, meno galleggiamento, più medio termine. Ma perché non facciamo anche in Italia come ha fatto Sarkozy in Francia, istituendo un fondo strategico per investimenti presso la Cassa depositi e prestiti che finanzi i progetti industriali di ricerca, innovazione, sviluppo, prodotti e processi per il futuro, per la green economy, destinando il 50 per cento delle risorse ai progetti presentati da piccole e medie imprese e loro consorzi? Ci si preoccupa che questo possa politicizzare troppo e che ci sia troppa politica? Si faccia allora anche qui come in Francia, dove il Governo ha istituito una Commissione che seleziona i progetti composta in maggioranza non da funzionari governativi o da persone nominate dal Ministro dell'economia, ma da personalità indipendenti dal Governo.
Infine, velocemente, vorrei riferirmi alle tante cose fatte in fretta e male. Crediti pubblica amministrazione: va bene aver aperto i rubinetti, ma troppo poco ancora per comuni e per regioni. Nuove procedure che rischiano di bloccare gli investimenti e la spesa. Pensioni: non ho il tempo per discutere un argomento così complesso e non ne abbiamo discusso neanche in Commissione. Vi lascio soltanto con una considerazione: non vedo quale sia la necessità e l'urgenza di far passare come emendamento ad un decreto-legge (che deve avere i requisiti di necessità ed urgenza) l'innalzamento dell'età pensionabile nel 2015. Tutti siamo disposti a discuterne, ma questa è una riforma che non può essere fatta in fretta e male. Badanti: l'avevamo denunciato qui in quest'Aula.
Quando avete approvato il decreto-legge sicurezza, noi abbiamo ad alta voce denunciato l'impatto nefasto che il nuovo e orrendo reato di clandestinità avrebbe provocato. Ci avete messo 48 ore per capirlo, avete fatto marcia indietro velocemente e rovinosamente, ma in un modo discriminatorio rispetto ad altre categorie di lavoratori, confuso e incompleto. Gli esperti dicono che con la norma che è nel decreto-legge in esame si rischia che l'80 per cento delle attuali colf e badanti non potranno emergere.
Infine, vi sono i giochi. Questa riforma sembrerebbe un intervento - tra l'altro non si capisce neanche bene dalle relazioni tecniche fino ad ora ottenute dal Governo - che sembra portare e aprire la porta ad una sanatoria per rilevanti irregolarità appurate da apposite richieste avvenute tra il 2004 e 2007. Ma come, proprio mentre cerchiamo disperatamente risorse per il terremoto, per le famiglie, per la crisi, per gli ammortizzatori sociali, rinunciamo a quelle risorse? Ma questa non è soltanto una riforma fatta male, rischia di essere uno scandalo, se fossero vere le interpretazioni più negative. Potrebbe non esserlo, ma questo naturalmente dipenderà da un attento monitoraggio che il Parlamento dovrà fare circa la capacità dell'amministrazione fiscale di non evolvere in sanatoria quella partita, ma invece di sanzionarla e portare dei soldi a casa.
Infine, vi sono le norme sugli appalti pubblici. Durante la nottata di lunedì i colleghi delle Commissioni bilancio e finanze si sono trovati di fronte ad una mini-riforma delle procedure di appalto pubblico, nuove procedure per il massimo Pag. 97ribasso, nuove procedure per la valutazione delle offerte economicamente più vantaggiose. L'opposizione aveva chiesto che almeno una cosa così fosse valutata dalla Commissione di merito. È stata approvata così. Ritengo che possa avere impatti non banali.
Infine, vi sono le reti e gli impianti energetici. Oggi il vostro Ministro dell'ambiente si è arrabbiato con voi, perché non è d'accordo. Si tratta di un'altra riforma fatta in fretta e male.

PRESIDENTE. Onorevole Causi, la prego di concludere.

MARCO CAUSI. Concludo, signor Presidente. Qui il problema non è usare la matita rossa o blu per segnare gli errori della politica economica degli ultimi 14 mesi. Qui il problema è il Paese, ovvero le sue reali condizioni economiche e sociali.
La nostra posizione è e sarà netta e dura, ma altrettanto nette, forti e coerenti sono le nostre proposte, che legano interventi di emergenza ad exit strategy di medio termine, su riforme anche di tipo strutturale. Badate che sulle riforme il Partito Democratico sarà sempre in campo, come abbiamo fatto con la legge n. 42, e continuerà ad offrire al Paese una reale alternativa, una strada diversa, un contributo per una fase politica nuova, che speriamo il Paese e le sue istituzioni possano aprire al più presto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cuomo. Ne ha facoltà.

ANTONIO CUOMO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, intervengo su questo provvedimento perché lo considero inadeguato, per certi versi insufficiente, incapace di fronteggiare una crisi economica internazionale - o meglio planetaria - che nella portata è di per sé un momento straordinario. Quando questa crisi, come nel nostro caso, incontra o aggredisce un Paese come l'Italia, strutturalmente debole con grandi contraddizioni interne e con una serie di emergenze storiche, la crisi diventa devastante.
Penso che questo decreto-legge vada bocciato così com'è. Si tratta di un provvedimento senz'anima, senza una percezione di dare una svolta rispetto ad un Paese che vive momenti difficili. Su questo non vorrei ripetere gli spunti e gli interventi interessanti dei miei colleghi.
Vorrei però tentare di ragionare sulle cause che hanno portato il nostro Paese a vivere, anche a fronte di una crisi internazionale, a differenza degli altri Paesi, questa situazione in una condizione di disagio assoluto. Sulle cause vorrei spendere il tempo del mio intervento. Vedete, ci sono tre punti fondamentali che secondo me vanno analizzati fino in fondo, vanno sviscerati fino in fondo, perché è lì il motivo vero dell'incapacità di questo Paese di rialzarsi e di essere competitivo rispetto agli altri Paesi occidentali.
I primi due problemi veri che in questi anni si sono accentuati, soprattutto nell'ultimo Governo Berlusconi nel quinquennio 2001-2006, sono il debito pubblico e l'evasione fiscale. Cari colleghi, noi non siamo riusciti a mettere fine ad un problema che è diventato patologico. È vero, l'Italia degli anni del dopoguerra ha prodotto uno sviluppo al nord e al sud, ha cercato di dare benessere all'intero territorio del Paese, con gli errori di quel tempo. Il primo errore, la prima impostazione sbagliata che fu fatta dai politici degli anni Cinquanta e degli anni Sessanta è che mentre al nord vi era una forte industrializzazione e quindi una forte occupazione della popolazione nell'industria, avendo lì già delle grandi infrastrutture, al sud i politici anziché pensare di investire in infrastrutture cercarono di trovare una soluzione alternativa e gonfiarono in quegli anni le pubbliche amministrazione di occupati, facendo in quel momento un danno storico al Mezzogiorno d'Italia, perché quei soldi che hanno investito per gonfiare le piante organiche delle pubbliche amministrazioni, delle province, dei comuni e delle regioni, dovevano servire alle infrastrutture per recuperare il gap che già nel dopoguerra c'era tra il sud e il nord, e per non dare l'alibi a quelli della Pag. 98Lega definirci assistenzialistici, accusandoci di non essere adeguati ad un Paese moderno.
Lì c'è stato un primo errore storico della politica nazionale e lì bisognava intervenire. Però poi ci sono stati dei segnali importanti. Negli anni Settanta e Ottanta il Mezzogiorno ha tentato di crescere ed ha avuto uomini politici capaci di dare una svolta. Qualche infrastruttura è stata realizzata, però poi sono arrivati gli anni delicati di Tangentopoli ed è saltato il debito pubblico. A cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta il debito pubblico ha sforato, è saltato il tetto, è diventato una palla al piede dell'economia del nostro Paese. In quell'occasione bisognava mettere riparo e i Governi successivi a Tangentopoli hanno cercato di mettere riparo, soprattutto l'ultima esperienza del Governo Prodi: negli ultimi due anni alle nostre spalle si era invertita la rotta per tentare di far abbassare il debito pubblico.
I dati di oggi, di qualche mese fa, portano il debito pubblico a crescere nuovamente in modo galoppante con percentuali altissime: per il 2009 siamo al 115 per cento, per il 2010 si prevede addirittura il 121 per cento. I cinque anni del Governo Berlusconi hanno negativamente condotto il nostro Paese al disastro, perché allora con una stabilità del Governo e del Parlamento si doveva invertire la rotta.
Poi c'è l'altro aspetto strutturale, che è diventato anch'esso un problema patologico per il nostro Paese: l'evasione fiscale. Lessi qualche anno fa sul giornale: ma è mai possibile che nel nostro Paese un gioielliere medio di Trento o di Canicattì, di Catania o di Torino, possa dichiarare la stessa somma che dichiara un bidello di scuola elementare?
Lo hanno detto tutti, lo abbiamo ascoltato tutti, ma nessuno si è preoccupato di mettere in essere misure straordinarie per rimuovere quell'anomalia. Ed è mai possibile (pure qualche giorno fa è uscito sul giornale) che i ristoratori possano dichiarare quanto dichiarano gli impiegati o i dipendenti? Su questo, perché il Governo Berlusconi non mette in essere qualche strumento capace di rimuovere questa anomalia?

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE (ore 19)

ANTONIO CUOMO. Questo è un altro aspetto che ci mette in una condizione di grande debolezza. Qualche analista, qualche istituto economico ha simulato la possibilità che, se questo Paese avesse la capacità di arrivare in tutti i settori della nostra società, potremmo recuperare la bellezza di 200 miliardi di euro nell'arco di un anno finanziario rispetto all'evasione fiscale.
Cosa produce l'attuale decreto anticrisi rispetto a questa politica per tentare di recuperare tali somme? Immaginiamo, solo per un momento, se avessimo la possibilità non di recuperare 200 miliardi di euro, bensì 50 miliardi di euro, che capacità avrebbe lo Stato di poter investire nelle infrastrutture al sud come al nord; che capacità avrebbe lo Stato di investire nella ricerca, nella pubblica istruzione, a favore delle fasce più deboli.
Questa politica, però, non si fa; si continuano a proporre piccoli aggiustamenti, piccoli elementi capaci di soddisfare piccole categorie, perdendo il punto di riferimento che è il problema vero per questo Paese. Cari colleghi, senza l'abbattimento del debito pubblico e senza la rimozione dell'evasione fiscale in questo Paese, esso non sarà mai un Paese competitivo, non riusciremo mai ad essere come i Paesi occidentali. Negli anni Ottanta eravamo il quinto paese più industrializzato del mondo, poi siamo diventati il sesto, poi il settimo, oggi siamo all'ottavo posto. Qualcuno ci dice che dobbiamo uscire anche dall'ottavo posto, perché vi è la Spagna che è vicina, perché vi è la Spagna che bussa e vuole prendere il nostro posto.
Qual è il problema? Questo Governo vive sotto il ricatto della Lega. La Lega deve capire una cosa, i colleghi della Lega devono capire una cosa molto concreta e molto consapevole: io sono - l'ho detto in altre occasioni - un deputato del sud. Quando, l'anno scorso, ho avuto la notizia che Milano era candidata, e che poi era Pag. 99stata scelta, quale sede dell'Expo 2015, sono stato orgoglioso, per non dire fiero, perché una città italiana aveva questa possibilità. Non ho pensato che Milano stava al nord, ma ho pensato che Milano era una città del nostro Paese, perché quell'evento serve al nord e al sud, ma quando la Lega si nasconde dietro l'alibi di «Roma ladrona», del centralismo romano, e poi i finanziamenti delle infrastrutture vanno al nord, questo non funziona. Io personalmente non lo sopporto più: non reggo la possibilità che in questo Parlamento una forza politica possa dividere questo Paese, perché lo sta dividendo. Quando al sud si comincia a parlare del partito del sud, questa è la situazione che nasce da una politica sbagliata della Lega. Sono contro il partito del sud: sono per un grande partito nazionale qual è il Partito Democratico, sono per un grande Paese che promuova la solidarietà e abbatta l'intolleranza, non come quello che sta succedendo.
Rispetto a questo, invito i colleghi a riflettere, invito i colleghi della maggioranza a capire che il momento è difficile per l'Italia. Nel Governo Prodi del 1996 (o forse era il Governo D'Alema, non lo ricordo) fu inventato, fu inserito, perché la politica è anche creatività, il credito di imposta. Quello fu uno strumento essenziale per mettere in condizione gli imprenditori del sud di poter competere almeno rispetto a quelli del nord.
Funzionò quel provvedimento; funzionò quella misura. Poi arrivò Tremonti, e come sempre, lo ha esteso a tutto il Paese, rendendolo vano ed inefficiente. Non è infatti possibile (lo possiamo chiedere agli istituti di credito) che il denaro al sud abbia un costo, mentre al nord un altro, costando la metà; e non è possibile, in un Paese civile, che il reddito pro capite di una famiglia del nord sia il doppio di quello di una famiglia del sud. Sono questi elementi che rendono il nostro Paese instabile ed incapace di essere forte.
Sono convinto che anche questo momento di crisi passerà. Certo, passerà in maniera diversa rispetto a ciò che accadrà nei Paesi occidentali, ad esempio in Francia: saremo sempre in ritardo, saremo sempre dieci anni più lontani rispetto alla ripresa; però su ciò invito il Parlamento a riflettere. Dobbiamo spingere Berlusconi ad essere realista, a non nascondersi dietro a certe uscite sulla crisi dei rifiuti, ai suoi viaggi a Napoli, settimana dopo settimana, o alla vicenda del terremoto in Abruzzo o alle eventuali ferie che andrà a passare di qui a qualche giorno in Abruzzo.
Queste misure non risolveranno la stabilità del nostro Paese. Inviterei la maggioranza e Berlusconi a compiere gli atti per rimuovere finalmente e definitivamente quelli che sono gli elementi fondanti della non capacità di questo Paese: bisogna abbattere il debito pubblico, rimuovere l'evasione fiscale, riequilibrare il nord con il sud. Lo ha richiamato qualche giorno fa il Presidente della Repubblica, quando ha detto: ci vuole più concretezza, ci vuole più serenità, ci vuole un rapporto migliore tra il nord e il sud. Lo ha affermato niente di meno che il Presidente della Repubblica!
Vorrei allora vedere un Berlusconi forte, vorrei vedere un Berlusconi capace di interpretare queste esigenze, questi bisogni del Paese; però vedo che il nostro Presidente del Consiglio assomiglia sempre di più ad un principe triste, senza scettro e senza spada, e fra qualche tempo anche senza moneta, perché questo Paese, per come egli sta conducendo l'attività di Governo, avrà questi problemi.
Spero quindi di poter concorrere col Partito Democratico. È vero che in questo momento stiamo discutendo di un problema indispensabile ed importante, ma è altrettanto vero che a settembre inizierà una nuova fase. Più di una volta il nostro presidente di gruppo, i segretari, quanti intervengono, hanno auspicato che si possa aprire un confronto sulle riforme: c'è bisogno per il sud di assicurare regole e risorse, c'è bisogno per il nord di garantire una situazione di solidarietà. Non sono contrario alla legge approvata sulla sicurezza: non sono stato contrario, anche se ho votato in linea con il mio partito, perché capisco che al nord non hanno il Pag. 100problema della disoccupazione, non hanno il problema delle infrastrutture, non hanno il problema dei servizi, perché sono più avanti, perché loro hanno altri bisogni, che è quello della sicurezza sulle strade, che è quello della sicurezza delle abitazioni, che è quello della sicurezza nei locali pubblici. Ed è giusto che il Parlamento abbia provveduto ad approvare anche una legge; però bisogna capire che al sud vi sono altre esigenze, bisogna capire che il Mezzogiorno d'Italia, al di là di quanto si dice, resta una terra di grande proficuità, di grandi energie, di grande qualità, di grande capacità. C'è bisogno che il nord metta in condizione il sud di potere reagire, perché chi vi parla è un deputato di territorio, è un deputato che gira in lungo e in largo la propria provincia e la propria regione, e conosce direttamente le esigenze e le aspettative dei cittadini.
C'è bisogno di dare speranza e fiducia! Su questo mi sento di dire a tutti, di dire ai colleghi del centrodestra e del centrosinistra, che dobbiamo avere la consapevolezza di promuovere iniziative collegiali rispetto a certi punti.
C'è bisogno di porre in essere strumenti capaci di dare fiducia ai cittadini. Pensiamo alla Germania. Solo vent'anni fa la Germania era divisa fra est e ovest: in solo vent'anni il problema storico della forza dell'ovest e della debolezza dell'est è stato risolto; e così, oggi la Germania è la più grande potenza ed è il cuore dell'Europa. Su questo possiamo spingere perché questi esempi ci danno la forza e la consapevolezza che ce la possiamo fare anche noi. Qualche anno fa, dopo il franchismo, la Spagna era un paese da terzo mondo: oggi, dopo pochi anni, essa bussa per entrare al posto nostro nel G8.
Oggi abbiamo finalmente raggiunto una stabilità parlamentare che non era presente negli anni passati: ma bisogna raggiungere anche una stabilità strutturale, capace di indirizzare il Paese nella direzione giusta, che è quella di dare risposte ai cittadini. Perché l'episodio tutto interno al Partito Democratico della provocazione di Beppe Grillo, che pensa di potersi candidare a guidare un grande partito, è il segnale che nell'opinione pubblica continua a proliferare l'antipolitica. A questo noi dobbiamo stare attenti: c'è bisogno che in un momento come questo, la politica, quella buona e con la «p» maiuscola, quella con la capacità di costruire determinate condizioni per il popolo, prenda il sopravvento.
Mi avvio alle conclusioni, dicendo una cosa molto semplice. Sono convinto che questo decreto non avrà la portata che si propone di avere. Credo inoltre che il Governo sbagli nel porre su di esso la questione di fiducia. Il Governo anche in questa occasione doveva dare all'opposizione la possibilità di migliorare il provvedimento, ma non lo ha fatto. Spero che per il futuro questo possa essere un esempio per continuare a trovare una soluzione condivisa rispetto a questi temi. E spero anche che il Partito Democratico, alla ripresa dei lavori, dopo le ferie estive, possa proporre in Parlamento provvedimenti capaci di dare una svolta definitiva rispetto ai problemi che ho citato. Non sono entrato nel merito del 3 per cento degli sgravi fiscali o dello scudo fiscale, ma credo che la discussione fondamentale vada centrata su un aspetto generale, ossia sul fatto che occorre dare al Paese una nuova credibilità: questo i cittadini si aspettano dalla politica.
In conclusione, cari colleghi, la situazione generale del Paese, che nasce dalla gente, ci impone di porre attenzione su un altro aspetto: quello dell'etica pubblica. Dobbiamo avere la capacità di capire e fare in modo che, attraverso l'impegno parlamentare, l'etica pubblica, costituita dai doveri e dai diritti del cittadino, dalla responsabilità sociale di ognuno di noi, dalla libertà individuale, è la condizione, all'interno di un impegno politico, per far riprendere a camminare velocemente il nostro Paese, per renderlo più produttivo, più efficiente e per dare a noi tutti un futuro di speranza e di fiducia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e di deputati del gruppo Italia dei Valori).

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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Messina. Ne ha facoltà.

IGNAZIO MESSINA. Signor Presidente, siamo chiamati ad esaminare non un decreto-legge né un decreto anticrisi, ma uno spot per la vendita di lavatrici, così come questo Governo spesso ci ha abituato a vedere. Anche il titolo di questo provvedimento va corretto: non provvedimento anticrisi, ma provvedimento anticrisi per imprese non in crisi. Nessuno strumento in favore delle imprese in crisi è infatti stato adottato dal Governo con questo decreto.
Sentire parlare Draghi e Tremonti ogni giorno è uno spettacolo pietoso, oserei dire indecente, è una grossa presa in giro per tutti gli italiani che fanno fatica ad arrivare a fine mese. Sembrano due personalità di mondi diversi, due personalità di due Paesi diversi che parlano lingue diverse.
È inutile andare indietro nel tempo, basta leggere le dichiarazioni di oggi (ma già ieri ve ne erano altre). Draghi afferma: il 2009 sarà un anno difficile, è previsto un peggioramento dei conti pubblici per la prima volta dopo diciotto anni. Aggiunge Draghi: la pressione fiscale è al 43,4 per cento ed è ampiamente sopra la media europea, che è intorno al 39 per cento, superata solo nel 1997 e nel 2007. Tremonti, dall'altra parte, afferma: le entrate fiscali reggono, nella loro totalità tengono e la caduta in qualche modo si sta fermando. L'andamento dei conti pubblici è in linea con i nostri impegni internazionali e con le aspettative estere.
Sostanzialmente forniscono una fotografia di due Paesi differenti: uno è in crisi, l'altro è a posto, uno ha i conti in difficoltà e l'altro li ha messi in regola, uno ha una normale imposizione fiscale, l'altro esagerata, uno ha un'evasione fiscale molto forte, l'altro praticamente non ce l'ha.
In sostanza, uno dei due dice il falso e - diciamolo francamente - sarebbe ora che si dimettesse; non vorrei peccare di presunzione, ma a sentire della crisi delle imprese e delle famiglie chi mente mi pare sia proprio il Ministro Tremonti.
Dall'esame di questa norma abbiamo la conferma di quello che stiamo dicendo. L'Italia dei Valori ci ha provato, come sempre ogni volta davanti ad un provvedimento di legge, ha presentato i suoi emendamenti e non è uscita dall'aula neanche nelle Commissioni, quando altri sono usciti, per sostenere le proprie ragioni ma anche le vere idee di riforma: non solo opposizione, dunque, ma anche proposizione!
Ma evidentemente questo Governo è sordo alle proposte perché l'unica proposta che ascolta è la propria o meglio quella che gli arriva da fuori, perché non ascolta nemmeno il Parlamento e i parlamentari dei propri gruppi; quindi non ne ha fatto assolutamente menzione ed ha ovviamente bocciato tutti gli emendamenti presentati dall'Italia dei Valori.
Ancora una volta, all'articolo 1 viene fuori che questa norma - ma tutto il contesto è analogo - è stata adottata contro il sud. Questo Governo da un anno a questa parte non fa altro che adottare provvedimenti che penalizzano il sud a vantaggio del nord, anche questa volta.
L'unico tesoro che il Governo riesce a depredare sono sempre i soliti fondi FAS, questa volta sotto falso nome, perché come sappiamo il Fondo sociale per l'occupazione è stato finanziato proprio con i fondi FAS. Non bastavano quelli dell'ICI e tutti gli altri provvedimenti, anche in questo caso la cassa integrazione viene finanziata sostanzialmente con i fondi FAS e, guarda caso, la maggiore spesa per la cassa integrazione si ha al nord e conseguentemente i fondi che dovevano essere spesi per le infrastrutture al sud e nelle regioni della Calabria e della Sicilia vengono, al contrario, restituiti o dati al nord: questo alla faccia di chi vuole parlare di sud!
Abbiamo proposto, per essere concreti, l'istituzione di un fondo di garanzia interbancario a sostegno del sistema produttivo meridionale istituito presso la gestione separata della Cassa depositi e prestiti, ma ovviamente - e mi pare evidente - è stato Pag. 102bocciato: si trattava infatti di un aiuto concreto al sud, figuriamoci se questo Governo ci stava a dare concretamente aiuto al sud! Come diremo poi, probabilmente dà aiuto a soggetti che vogliono male al sud, cioè a coloro i quali rappresentano la criminalità organizzata al sud (e questo è un altro tema del mio intervento).
Draghi all'assemblea dell'ABI aveva avvisato, ma figurarsi se il Governo ascoltava il Governatore della Banca d'Italia, nemmeno a parlarne! Aveva detto che c'è una differenza di accesso al credito tra la piccola e media impresa e la grande industria. L'Italia non è fatta di grande impresa, il tessuto italiano imprenditoriale è fatto di piccole e medie imprese, ma per queste imprese nessun intervento favorevole viene adottato all'interno di questo provvedimento.
Draghi nel suo intervento all'assemblea degli azionisti dell'ABI aveva parlato di differenza di condizioni di credito al sud: 1,7 per cento.
Un imprenditore del sud che produce esattamente la stessa merce di un imprenditore del nord, che ha una società solida tanto quanto un imprenditore del nord, se si presenta alla sua banca, che però si trova a Palermo anziché a Milano, ottiene delle condizioni di credito dell'1,7 per cento peggiori. Se andiamo a sommare pure i costi di trasporto ulteriori e tutto il resto, evidentemente l'impresa al sud non può certo sopravvivere, è destinata a morire, e questo Governo ovviamente non interviene assolutamente.
Vi ricordate i Tremonti-bond? Anche questa è stata una grande bugia e un grande bluff. I Tremonti-bond dovevano servire per dare soldi alle banche, che a loro volta dovevano favorire la piccola e media impresa; la realtà è stata che alla fine si favoriscono le banche a danno della piccola e media impresa. Sono arrivate le lettere a casa agli imprenditori, alle aziende, dove si invita al rientro, dove si restringono le linee di credito, dove si invita immediatamente a far fronte alle passività. Se questi sono aiuti, non capiamo quale debbano essere i danni che questo Governo vuole fare, speriamo che non vada avanti su questa strada. Anche questo emendamento è stato bocciato.
Ci fa specie, a proposito di sud, l'atteggiamento del MpA e di quei deputati del sud che parlano e straparlano di partito del sud. A questo punto, ci chiediamo se realmente, al di là dei proclami che sono stati fatti, mancheranno i voti a questo Governo, perché di parlamentari del sud in quest'Aula ne siedono tanti, compresi quelli del MpA. Verremo sapere se l'onorevole Miccichè verrà qui a dichiarare palesemente la sua sfiducia al Governo, così come ha dichiarato oggi sui giornali. Vogliamo sapere se al Senato, il senatore Dell'Utri, anche lui promotore di questo partito del sud - e vedi che partito del sud! -, farà mancare il suo voto al Governo nell'altra sede istituzionale. La realtà è che non mancherà nulla e che l'unica cosa certa di questo provvedimento è un ulteriore danno ai cittadini italiani.
All'articolo 2 si interviene sulle banche. Anche su questo, da un lato, si fa finta di dare qualcosa, dall'altro, si lasciano libere le banche di fare quello che vogliono. Abbiamo riaffermato il divieto di commissione sul massimo scoperto, ma si introduce uno strumento che dalla giurisprudenza italiana è stato messo al bando e dichiarato nullo nei contratti bancari: la capitalizzazione trimestrale. Bene, nella previsione di questo decreto anticrisi, nella determinazione della commissione unica sui fidi messi a disposizione, si prevede, comunque, la capitalizzazione trimestrale. Noi abbiamo proposto di ridurre dallo 0,5 allo 0,2 le commissioni onnicomprensive e di attuare una capitalizzazione annuale. Tale emendamento, non c'era da dirlo, è stato bocciato in Commissione.
All'articolo 5 vi è l'apoteosi dell'aiuto delle imprese: la detassazione degli utili reinvestiti. Io non faccio l'imprenditore, faccio l'avvocato, quindi, non ho una grande cultura di impresa, ma francamente non ci vuole molto a comprendere, in ordine alla detassazione degli utili, che chi fa utili, certamente non è in crisi, perché se fosse in crisi probabilmente non farebbe utili. Si dice che questi utili potranno Pag. 103comunque essere portati in detrazione negli anni successivi, ma se sono in difficoltà ne ho bisogno oggi; quando tra qualche anno questa detrazione avrà prodotto utili, magari non saprò nemmeno che farmene; oggi ne ho bisogno, e oggi nessuno mi aiuta. Anzi, a tale proposito la presidente Marcegaglia è stata chiara, ma anche lei è stata disattesa, perché alla fine non si ascolta più nessuno: Tremonti ha la sua linea di pensiero che continua ad applicare, alla faccia degli italiani. La Marcegaglia in audizione nelle Commissioni riunite finanze e bilancio ha affermato che la crisi c'è (al contrario di questo Governo che dice che non bisogna accentuare i problemi e bisogna essere ottimisti) ed è la peggiore dal dopoguerra, e che nei prossimi mesi le aziende più deboli usciranno dal mercato. Ovviamente, quali sono le aziende più deboli? È inutile domandarselo, sono le aziende del sud. Abbiamo fatto delle proposte anche su questo - chiaramente bocciate - come la detassazione degli investimenti e non degli utili, perché se vi sono delle imprese che hanno interesse ad investire in macchinari per essere competitive sul mercato, anche se non hanno utili da produrre, devono essere agevolate per prime, con una detrazione dei contributi da versare per i lavoratori. Una tale misura servirebbe anche per non far lavorare in nero, e per far mettere o mantenere i propri lavoratori in regola. È inutile aiutare chi sta bene e non chi ha delle difficoltà.
Abbiamo detto anche (è allucinante pensare a tale vicenda, e questo Governo, in particolare il Ministro Brunetta, dovrebbe fare i salti dalla sedia rispetto a un provvedimento del genere) che bisogna consentire la detassazione e la detrazione anche a chi investe in sicurezza sul lavoro. Dove stanno il Ministro Sacconi e tutti gli altri? Hanno guardato le carte prima di firmare e prima di proporre quello che il Governo ci viene a presentare in quest'Aula?
Ogni giorno sul lavoro c'è un bollettino di guerra: ebbene, questa norma non prevede che un imprenditore saggio e serio, che investe in sicurezza sul lavoro, possa ottenere alcun beneficio! Vale solo per chi investe in macchinari, e in quei macchinari della divisione 28 della tabella Ateco, che esclude espressamente, per esempio, l'informatizzazione. È come dire: non è importante che le imprese italiane si informatizzino, quindi si adeguino a un mercato internazionale che va avanti; è importante che comprino alcune categorie di beni, magari di raccomandati produttori, nel caso in cui siano italiani, o anche addirittura stranieri.
Ovviamente, anche questi emendamenti presentati dall'Italia dei Valori sono stati solennemente bocciati.
Per quanto riguarda la moratoria per le banche, si tratta veramente di un colpo di teatro del Ministro. Aveva detto che con questo provvedimento doveva aiutare le piccole e medie imprese e lo ha fatto con questa moratoria nei confronti delle banche. Credo che il commento sia difficile e che bisogna leggere la norma: alla fine della lettura - mi fa piacere che il sottosegretario, che stimo e che ha svolto attività piena in Commissione, sorrida - emerge come questa non dica assolutamente niente e lasci piena e indiscriminata facoltà alle banche di fare quello che vogliono.
Leggo soltanto per lasciare agli atti, perché spesso poi si dimentica: al fine di sostenere le piccole e medie imprese in difficoltà finanziaria il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato a stipulare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto un'apposita convenzione con l'Associazione bancaria italiana, per favorire l'adesione degli istituti di credito a pratiche finalizzate all'attenuazione degli oneri finanziari sulle citate piccole e medie imprese, anche in relazione ai tempi di pagamento degli importi dovuti tenendo conto delle specifiche caratteristiche dei soggetti coinvolti.
Credo che un imprenditore medio o piccolo, ascoltando questa norma, andrà in banca felice, sapendo che avrà tutte le agevolazioni, ma in realtà non ha avuto assolutamente niente tranne un'ulteriore grossa presa in giro. Pag. 104
Mi chiedo se vi fosse bisogno di una legge per dire che il Ministro dell'economia e delle finanze può andare a parlare con l'ABI per dire: facciamo una convenzione per vedere se è possibile aiutare la piccola e media impresa. Se per questo fosse necessaria una legge, allora in Italia faremmo leggi su tutto, su qualunque cosa, su qualunque stupidata che il Ministro pensa ogni giorno.
Forse il Ministro parlerà con le banche entro centoventi giorni. Può darsi, nessuna garanzia è data su questo. Ed è lasciata piena discrezionalità alle banche perché nell'ultimo passaggio della disposizione si dice: tenendo conto (ci si riferisce alla possibilità della banca) delle specifiche caratteristiche dei soggetti coinvolti. Rimane, quindi, nella piena discrezionalità della banca valutare le singole aziende che si presentano e stabilire se potranno o meno usufruire di queste attenuazioni delle pratiche finalizzate al recupero degli oneri finanziari. Sostanzialmente utilizzeranno l'alibi - ne cito uno per tutti così sveliamo l'arcano immediatamente, e purtroppo sarà possibile per gli imprenditori verificarlo il giorno dopo - di Basilea 2, in modo tale da poter dire: lei ha problemi con il credito, non è in linea con Basilea 2, altro che agevolazione sui pagamenti, anzi provveda a rientrare immediatamente per cortesia, perché altrimenti siamo costretti a chiudere i conti; altro che aiutarla ad andare avanti.
Mi riferisco ad un altro aiuto alle imprese di questo decreto-legge molto utile: l'agevolazione nella tempestività del pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni. È straordinario! Non sono previsti i fondi e si rinvia alla legge sull'assestamento di bilancio. Sostanzialmente stiamo dicendo: riorganizziamo gli uffici, vedremo di poter pagare prima con i soldi che metteremo al momento dell'assestamento del bilancio. Oggi non abbiamo soldi, quindi non agevoliamo assolutamente niente. Ma l'ulteriore elemento di grande importanza di questa agevolazione è che viene esclusa espressamente la sanità. La sanità costituisce il 90 per cento del debito pubblico nei confronti delle imprese ed è espressamente esclusa da questa norma. Quindi, in ogni caso, il 90 per cento dei debiti non verranno pagati né si agevolerà un'organizzazione migliore per pagarli.
Anche qui, mi chiedo se vi fosse bisogno di una legge per riorganizzare qualche ufficio e per dire: cortesemente accelerate un po' gli strumenti di pagamento.
Quindi, ovviamente, noi abbiamo avanzato la proposta chiedendo di estendere l'applicazione al settore della sanità, ma chiaramente è stata bocciata.
Per quanto riguarda lo scudo di fiscale, grazie al Ministro Tremonti e a questo Governo, l'Italia è diventata il più grande paradiso fiscale del mondo. Ha superato le Cayman, le Barbados e tutti gli altri paradisi fiscali. Infatti, se un imprenditore italiano prende i propri soldi e li porta in un paradiso fiscale, se viene colto, rischia di subire sanzioni civili e penali. Viceversa, un imprenditore che ha portato fondi all'estero illecitamente e illegittimamente, sia perché con provenienza illecita sia perché comunque ha evaso il fisco, pagando il 5 per cento oggi riporta indietro i capitali.
Parlavamo all'inizio di uno spot per la vendita delle lavatrici, per lavare il denaro sporco del quale tutti noi immaginiamo la provenienza. Infatti, chi doveva rientrare sarebbe rientrato con il precedente scudo fiscale: è chiaro che chi non è rientrato è perché qualche anno fa non poteva rientrare perché i proventi erano da illeciti di mafia, di camorra, di 'ndrangheta; e questi oggi possono rientrare, torneranno in Italia e pagheranno il 5 per cento, quando un pensionato sulla propria pensione paga il 20 per cento. Questi, con il 5 per cento, avranno ripulito il proprio denaro e lo riporteranno immediatamente indietro continuando a dormire sonni tranquilli.
È vero che altri Paesi hanno fatto qualcosa del genere, ma la Germania ha applicato un tasso del 9 per cento e ha, inoltre, previsto che sarebbero state pagate in Italia le imposte dovute. Negli Stati Uniti si è pagato addirittura il 35 per cento. Pag. 105
La verità è che questo scudo fiscale è un bell'avviso alla criminalità organizzata, un regalo agli evasori e un danno ovviamente ai pensionati che pagano il 20 per cento. La norma sullo scudo fiscale è una istigazione al reato che è sanzionata penalmente dal nostro codice se commessa da un privato. È drammatico che l'istigazione al reato provenga dallo Stato.
Ma questa linea viene perpetrata, perché anche sull'articolo 21, dove si parla di giochi, è intervenuto con un emendamento l'onorevole Ventucci del Popolo della Libertà, facendo un regalo da 90 miliardi di euro. Sono le sanzioni condonate ai gestori di slot machine. in Italia si sa che quella dei gestori di slot machine - ce ne siamo occupati nel decreto-legge in materia di giochi del quale sono stato relatore - è stata certamente una gestione illecita. Sono state commesse evasioni milionarie che non sono mai state pagate. Questo è un regalo che nella famiglia del Popolo della Libertà si usa fare: è un regalo fatto all'Atlantis World, una di queste società, di cui il responsabile italiano è il collega Laboccetta. Ma si sa che in famiglia ci si aiuta e, in questo caso, è venuto un bell'aiuto. La sanzione viene eliminata anche per chi è di fronte alla Corte dei conti per evasioni acclarate: infatti, non potrà più essere sottoposto all'accertamento della Corte dei conti, ma pagherà soltanto quanto viene previsto da questa sorta di condono anche per i giochi.
Anche su questo - diciamolo francamente - si parla di lotta all'evasione fiscale: è facile dettare ai giornali dei titoli, ma i giornali dovrebbero stare attenti anche ai contenuti. Infatti, leggere un titolo è fuorviante rispetto a quanto scritto nella norma. Serve alla lotta all'evasione creare uno scudo fiscale e i paradisi fiscali? Serve alla lotta all'evasione eliminare le sanzioni in materia di giochi? In realtà chiamiamo alla lotta agli impiegati, ai pensionati, ai più deboli.
Ritengo che questo Stato, che il Ministro Tremonti - glielo proponiamo noi, prima che lo faccia lui - potrebbe suggerire la devoluzione dell'otto per mille allo Stato. In questo modo, danneggeremo probabilmente - da cattolico me ne dolgo - la Chiesa cattolica ma, d'altra parte, faremmo in modo di abbattere il debito pubblico. Infatti, probabilmente l'unica possibilità che rimane a questo Governo è abbattere il debito pubblico attraverso i soldi che i cittadini mettono a disposizione, tuttavia vincolandoli perché, se pagano le tasse, questo Stato utilizza le tasse dei cittadini onesti e perbene per poter agevolare il rientro dei capitali dall'estero e per potere agevolare l'eliminazione delle sanzioni per chi ha evaso come nel decreto-legge in materia di giochi.
Ancora una volta, sottolineiamo i commenti ridicoli dei deputati del Movimento per le Autonomie in Commissione che hanno votato contro questo decreto-legge. Vogliamo vedere la coerenza che in quest'Aula porteranno avanti così come i promotori del Partito del sud. Vogliamo vedere se gli uomini di Lombardo, i vari Miccichè e Dell'Utri, al di là dei proclami, voteranno contro questo provvedimento o si accontenteranno dei risibili ordini del giorno.
È dall'inizio che ogni volta si dice: va bene, votiamo a favore, ma un ordine del giorno non si nega a nessuno. In questo modo si torna sul territorio creando confusione e dicendo che la legge andava male, ma con gli ordini del giorno abbiamo aggiustato la legge.
In realtà, l'ordine del giorno ovviamente non serve ad aggiustare la legge, ma solo a creare una grossa presa in giro.
Mi avvio alle conclusioni. Credo che questo sia un momento particolare: siamo vicini all'anniversario della strage di via D'Amelio, che va ricordata ed è stata ricordata in questi giorni. Il provvedimento in esame è il modo peggiore di ricordare e commemorare i nostri martiri Falcone, Borsellino e i martiri di mafia. È inutile l'apertura da parte della Commissione antimafia di ulteriori inchieste: siamo a 18 anni di distanza da quei tragici eventi ed oggi riapriamo tali inchieste solo perché dobbiamo sentire del «papello» di Ciancimino o le dichiarazioni di Totò Riina dal carcere, che in ogni altro Paese civile non avrebbero avuto nemmeno la Pag. 106dignità di essere messe sugli organi di stampa. Noi, invece, gestiamo una Commissione antimafia del Parlamento sulle dichiarazioni di Totò Riina o del figlio di Ciancimino!
Al contrario, io dico che bisogna far lavorare la magistratura, che sta svolgendo un lavoro egregio, perché in Italia tutte le Commissioni che sono state istituite non hanno portato ad alcun risultato tranne uno: impedire alla magistratura di andare avanti liberamente e portare ad una soluzione quelle che sono vergogne e stragi di Stato.
Mi avvio veramente alle conclusioni: credo che dalle parole di Ingroia dette stamattina si possa trarre una conclusione drammatica. Ingroia ha detto stamattina: È vero che vi era una trattativa tra Stato e mafia. È vero che Borsellino e Falcone lo sapevano. È vero che forse sono stati uccisi perché non tolleravano un accordo tra Stato e antistato, fra Stato e mafia.
Devo concludere amaramente e lo dico veramente con passione: questo Governo con il provvedimento in esame agevola questa strategia, agevola il crimine e lo favorisce economicamente ed è per questo che l'Italia dei Valori non potrà condividerlo, ma andrà avanti nel denunziare questo stato di cose, stampa permettendo (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Delfino. Ne ha facoltà.

TERESIO DELFINO. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli relatori e onorevoli colleghi, è molto triste per chi ha vissuto e partecipato a dibattiti molto intensi su provvedimenti di analoga importanza, come quello oggi in discussione, vivere il dibattito odierno, un dibattito alla presenza di pochi parlamentari, un dibattito che, per qualche verso, viene trascinato da una condizione sempre più frequente, signor Presidente, di annunci e di preannunci di fiducia, che impediscono al Parlamento, ai parlamentari, alle forze politiche e ai gruppi qui presenti di poter dare un contributo non soltanto per lasciare una testimonianza della condivisione, del dissenso e delle motivazioni che inducono l'orientamento della propria forza politica o del proprio gruppo parlamentare a votare contro o a favore del provvedimento medesimo.
Credo che questo dato debba preoccupare fortemente l'Assemblea. Credo che sia necessario cercare quella composizione e quella intesa che nella vera distinzione di ruoli danno, però, un riconoscimento forte all'opposizione, danno la possibilità all'opposizione di offrire un contributo concreto all'attività del Parlamento non per una sterile azione di polemica, ma per migliorare costruttivamente i provvedimenti che il Governo propone alla sua attenzione.
Ancora una volta, invece, abbiamo davanti un decreto-legge composito, ricco di molti temi, con norme articolate in tanti settori, che rappresenta, già di per sé, la fotografia di un'azione di Governo disarticolata, di una non capacità complessiva di questa maggioranza di affrontare la crisi che, oramai, da un anno e più ci coinvolge con un approccio e con una prospettiva che ci porti a risolvere concretamente, in modo strutturale, tutti gli elementi di difficoltà che oggi, come sistema Paese, dobbiamo affrontare.
Sul piano generale, credo che il provvedimento in discussione confermi, se ancora ve ne fosse bisogno, che il Governo si trova in affanno. Per recuperare il suo ritardo, viola prassi e procedure di esame parlamentare su misure economiche che, in passato, erano affrontate nel rigoroso rispetto delle regole parlamentari, sia in sede di Commissione, sia in quest'Aula.
Avanziamo questa ulteriore denuncia con grande forza, perché, al di là delle difficoltà della maggioranza, che questo provvedimento copre, a far fronte ai problemi urgenti del sistema Paese, riteniamo che il ricorso alla questione di fiducia, in concreto, si trasformi in un'ulteriore mortificazione del ruolo del Parlamento.
Certamente, il voto di fiducia copre le divisioni, i contrasti e le difficoltà crescenti nella maggioranza che, più vengono negate, più stanno emergendo, tuttavia Pag. 107ritenevamo - e come Unione di Centro l'avevamo largamente preannunciato - che su questo provvedimento vi fosse la possibilità di andare ad un confronto serio, per dargli un respiro più ampio, per far sì che, con modifiche ed integrazioni, si sarebbero potute registrare possibili convergenze che, tra l'altro, avrebbero anche qualificato, a nostro avviso, l'azione del Governo.
Sul piano dei contenuti, signor Presidente, rileviamo gravi carenze ma, soprattutto, rileviamo l'inadeguatezza del provvedimento in discussione a sviluppare un'azione organica, programmata, ampia ed ancorata ai molteplici problemi concreti e reali che il Paese esprime.
L'Unione di Centro, fin dall'inizio dell'attuale legislatura, ha richiesto, con grande determinazione, un programma economico-sociale e che, a partire - dicevamo allora - dalla legge finanziaria per il 2009 e, poi, nei successivi provvedimenti che a «spizzichi e bocconi» il Governo ha portato avanti in questo, ormai lungo, anno di difficoltà, vi fosse un'azione più corale, capace di puntare, come elemento di uscita dalla crisi, su tre temi fondamentali: la difesa e la crescita dell'occupazione, la centralità della famiglia e la valorizzazione della piccola e media impresa.
Con gli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto, abbiamo già enunciato tanti problemi. In questo mio intervento, vorrei prendere in esame alcune misure concernenti i tre elementi che ho enucleato da questo provvedimento, così largo, così ampio e così complesso in più direzioni.
Vorrei dire subito che l'esame complessivo del provvedimento ha dimostrato come le misure ivi previste, pur contenendo anche aspetti di approcci condivisibili, non danno comunque la garanzia di un vero riconoscimento, di un vero sostegno alle tre priorità del lavoro, della famiglia e della piccola e media impresa.
Limitandomi ad alcune osservazioni e considerazioni, vorrei partire dall'articolo 1, che prevede misure a favore dell'occupazione e per il potenziamento di specifici ammortizzatori. Noi riteniamo che non siano tutelati i lavoratori precari, tutti i lavoratori precari, anche quelli con contratto a tempo determinato e anche quelli interessati da altre tipologie di rapporto di lavoro comunque denominato.
Le nostre proposte emendative miravano a promuovere l'estensione delle differenti tipologie di ammortizzatori sociali oggi esistenti ai lavoratori che non rientravano nel campo di applicazione dell'attuale normativa in materia di cassa integrazione guadagni. Questo non è stato fatto, o meglio, non è stato fatto in maniera esaustiva per garantire il pari diritto dei lavoratori di avere comunque una qualche tutela davanti a una crisi così drammatica che incide nel tessuto quotidiano della loro vita.
Per questo motivo, riteniamo che quanto previsto nel provvedimento non è sufficiente. In particolare, sugli ammortizzatori sociali il Governo ha scelto degli interventi che noi giudichiamo frammentari, orientati ad esigenze emergenziali o settoriali, senza sviluppare una scelta più ampia e strategicamente finalizzata a due obiettivi, che noi consideriamo, invece, indispensabili. Il primo è quello di garantire a tutti i lavoratori, anche a quelli ora non tutelati, l'estensione degli ammortizzatori sociali; il secondo è quello di assicurare il trattamento di cassa integrazione guadagni per un tempo adeguato a recuperare la difficoltà della crisi. Una decisione così articolata avrebbe dato anche una garanzia vera alle imprese, preoccupate della eventuale dispersione del loro patrimonio professionale. Anche riguardo a questi temi abbiamo avanzato delle proposte specifiche, ma non vi è stato alcun ascolto in sede di Commissioni.
Allo stesso modo, abbiamo avanzato proposte puntuali per quanto riguarda i precari della pubblica amministrazione. A suo tempo avevamo contrastato duramente le norme previste dal decreto-legge n. 112 del 2008 finalizzate a bloccare indiscriminatamente il processo di stabilizzazione dei precari. Nel provvedimento odierno c'è un passo in avanti, ma da noi giudicato insufficiente e contraddittorio. Pag. 108Non si possono allentare i vincoli del decreto-legge n. 112 del 2008 e poi intervenire pesantemente sulle assunzioni delle società a partecipazione pubblica, interferendo anche laddove liberi accordi tra le parti sociali avevano definito un percorso di stabilizzazione dei lavoratori precari interessati.
Un altro tema, un'altra riflessione riguarda l'innalzamento dell'età pensionabile delle donne. A nostro giudizio, si interviene anche qui in modo episodico, al di là - lo voglio dire con forza - dell'uso strumentale della sentenza della Corte di giustizia europea, anche perché abbiamo altre procedure di infrazione nei confronti dell'Italia e non c'è stata, su altri temi meno delicati di questo, una procedura d'urgenza con un decreto-legge come, invece, avviene in questa occasione, a proposito dell'età pensionabile delle donne.
Da tempo noi rivendichiamo un'iniziativa forte di riforma del sistema previdenziale, che realizzi un nuovo patto previdenziale, che ripari agli effetti sperequati derivanti dalla riforma Dini, soprattutto verso i giovani, e che affronti in quel quadro la questione pensionistica femminile, nel più ampio contesto della condizione lavorativa delle donne, della loro reale esigenza di flessibilità del lavoro, della primaria funzione sociale della maternità eccetera.
Questa riflessione mi introduce poi alla seconda tematica che desidero sviluppare, che è quella relativa alla centralità della famiglia e al riconoscimento della sua insostituibile funzione. Anche gli interventi vantati a favore della famiglia da parte del Governo e della maggioranza risentono di un approccio episodico, di piccoli passi, sovente inconsistenti o farraginosi, con una caratterizzazione a volte assistenziale.
Voglio ricordare che le misure sull'ICI per la prima casa, la social card, il bonus per le famiglie, l'intervento sulle tariffe non hanno mai fatto riferimento alla famiglia, alla sua composizione di nucleo familiare, ma a livelli reddituali del tutto irrealistici. Anche in questo provvedimento legare la possibilità di regolarizzare la colf o la badante al limite reddituale di 20 mila euro vuol dire disconoscere quella solidarietà familiare che invece regge un patto generazionale tra genitori e figli, ben al di là delle misure del welfare pubblico, e che offre, in questa situazione di crisi, certamente un contributo non solo sussidiario, ma fondamentale, al superamento della difficoltà odierne.
Abbiamo avanzato anche qui proposte chiare per valorizzare il lavoro degli immigrati nel nostro Paese. La maggioranza e il Governo hanno fatto un passo avanti e due indietro, come capita sovente, rendendo visibile un profondo dissidio al loro interno sull'interpretazione e sulla valorizzazione del lavoro degli immigrati, tenuto conto che il concetto ispiratore dell'allora legge Bossi-Fini prendeva su questo tema un'iniziativa che avevamo condiviso, ma che l'attuale Governo e maggioranza hanno abbandonato.
Siamo lontani, signor Presidente, dalle promesse elettorali sul quoziente familiare, dalle solenni dichiarazioni sulla centralità della famiglia. Siamo davanti ad una politica che predica bene e razzola male. Continueremo con tenacia, con insistenza, a volte petulante ma forte, a proporre provvedimenti per la famiglia, convinti che solo dalla famiglia verrà la rinascita morale, economica e sociale del nostro Paese.
Infine, per quanto concerne la piccola e media impresa, abbiamo anche qui assistito in diverse occasioni agli incontri delle organizzazioni rappresentative di questo grande mondo dell'impresa e del lavoro. Abbiamo sentito dichiarazioni autorevoli del Presidente del Consiglio, del Ministro dell'economia e delle finanze, del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali circa una volontà di perseguire politiche capaci non soltanto di eliminare lacci e lacciuoli, ma anche di liberare questa grande capacità imprenditoriale, questa grande forza di lavoro, di creatività e di impresa che c'è nel nostro Paese e in queste circa 4 milioni e oltre di piccole e medie imprese.
Ebbene, cosa abbiamo visto in questo anno e cosa vediamo in questo provvedimento? Pag. 109Su alcune questioni fondamentali - la prima, come già detto da altri colleghi, relativa al credito da parte delle banche in un momento in cui queste imprese si sentono in difficoltà e strozzate - non c'è uno Stato, una decisione coerente.
Anche in questo caso, proponevamo di legare l'intervento a favore delle banche a una loro immediata capacità di intervento e di sostegno alla piccola e media impresa. Vediamo che anche sulla questione dei pagamenti, anche mediante compensazione degli importi dovuti dall'amministrazione alle imprese e dalle imprese alla pubblica amministrazione, c'è un rifiuto totale.
Sappiamo che tante nostre piccole e medie imprese soffrono perché la pubblica amministrazione (dallo Stato agli enti locali) non fa fronte con tempestività al pagamento; non vi è soltanto quindi la questione più volte affrontata in Parlamento dal Governo per quanto riguarda i rapporti tra piccole e medie imprese e grandi imprese, ma anche quella relativa al fatto che la pubblica amministrazione nel suo complesso è incapace di dare puntualità e tempestività ai pagamenti e quindi fa fare a queste piccole imprese ulteriori debiti presso le banche e fa fare da banche al sistema pubblico. Mi pare una cosa vergognosa e insostenibile sulla quale vorremmo che il Governo intervenisse con maggiore decisione.
Allo stesso modo, vogliamo ribadire che le misure contenute nel provvedimento (misure agevolative del credito di imposte e l'intervento sulla detassazione degli investimenti) sono a nostro giudizio - ed è per questo che c'erano emendamenti estensivi - inadeguate per fare fronte alle esigenze delle piccole e medie imprese.
Non neghiamo che ci sia una consapevolezza da parte del Governo su questo tema - come sugli altri che ho richiamato - ma poi quello che conta è quanto previsto nella legge e non quello che c'è nel libro delle buone intenzioni. Quello non basta. Abbiamo fatto proposte molto concrete sia di carattere generale, sia di carattere settoriale e con una grande attenzione - con questo voglio concludere il mio intervento - al sistema agricolo nazionale.
Per concludere, mi faccio interprete di alcuni elementi che costituivano una riflessione che è stata fatta più volte da un altro esponente del Governo (il Ministro delle politiche agricole e forestali Zaia), il quale ha sempre affermato che la crisi finanziaria mondiale e il crollo dei prezzi delle materie prime agricole hanno significativamente cambiato lo scenario di riferimento per la politica agricola nazionale.
Dicevo che bisognava aumentare la competitività e la tutela delle imprese italiane, rafforzando la strategia della qualità e della sicurezza alimentare, con una politica quindi di settore che tenga conto delle peculiarità proprie del nostro mondo agricolo ed agroalimentare, che passi attraverso alcune misure indicate, anche in questo caso, negli emendamenti che abbiamo portato dalla Commissione competente alle Commissioni bilancio e finanze. Tali emendamenti prevedevano la stabilizzazione della pensione previdenziale anche nelle aree svantaggiate, la prospettiva pluriennale del finanziamento degli strumenti assicurativi, il rilancio del sostegno agli investimenti, la crescita dimensionale delle imprese e la diffusione di nuovi strumenti finanziari per il rafforzamento delle strutture dedicate alla commercializzazione e alla tutela delle produzioni.
Ebbene, tutte queste proposte non sono state recepite minimamente nel provvedimento in esame. Abbiamo una carenza forte sul fondo di solidarietà nazionale e abbiamo la scadenza al 31 dicembre 2009 delle agevolazioni previdenziali.
Abbiamo la necessità di stabilizzare e di mettere a regime anche l'accisa del gasolio impiegato per coltivazioni sotto serra, così come riteniamo che una grande questione nazionale sia rappresentata dal tema dell'irrigazione e che qui ci voglia un finanziamento aggiuntivo capace di dare una risposta forte.
Ebbene, occorre rilanciare tutte queste iniziative. Noi abbiamo tentato di farlo con le nostre proposte emendative, davanti Pag. 110ad un Governo e ad una maggioranza che non perdono occasione di dire che le opposizioni parlano molto, ma sono incapaci di fare delle proposte. Noi siamo lieti in questa occasione di avere ricordato alcune proposte oggetto della stessa azione di diversi ministri nei vari settori. Quindi, se c'è una condivisione di principio su questi temi così fondamentali per lo sviluppo e il consolidamento della nostra piccola e media impresa, non ci spieghiamo per quale motivo il Governo, anziché affrontare in Parlamento un confronto che vada nella direzione che tutti auspichiamo, faccia invece largamente - e troppo spesso a nostro giudizio - ricorso alla posizione della questione di fiducia.
Si tratta evidentemente di questioni sulle quali ritorneremo nella prossima legge finanziaria. Già abbiamo discusso nelle diverse Commissioni il DPEF. Riteniamo però che ci debba essere un salto di qualità da parte del Governo, che non può continuare a fare da un lato grandi proclami, ma poi fa orecchie da mercante quando si trova nelle sedi opportune, su decisioni, come quelle parlamentari. Infatti, senza un'inversione di rotta temiamo che non vi sarà l'uscita dalla crisi, ripetutamente annunciata dal Presidente del Consiglio, che ha uno spirito vocato ad un ottimismo planetario, che però non trova riscontro nella difficoltà reale che noi constatiamo ogni giorno percorrendo la nostra bella Italia.
Per cui l'augurio - e concludo, signor Presidente - è che ci sia meno propaganda e più attenzione anche alle voci dell'opposizione e alle proposte dell'Unione di Centro.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nannicini. Ne ha facoltà.

ROLANDO NANNICINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, membri del Governo, il dibattito sulla crisi economica e il tema anche di come i provvedimenti si fanno nel Parlamento da parte del Governo soffrono secondo me di una premessa: qualcuno ci dice che la crisi non c'è stata e qualcuno ci dice che oggi ne siamo usciti. Cerco di riportare un po' di ordine, anche nell'imbarazzo della stampa e dei mezzi radiotelevisivi che non mettono il titolo «la scelta del ristorante e la crisi». Se si discute di vacanza è la crisi, se si discute di acquisti, è la crisi. Quindi, la crisi c'è, ma non ne vogliamo parlare.
L'altro giorno mi sono trovato in un colloquio con un gruppo di adolescenti, che mi hanno detto che si sente parlare della crisi e volevano sapere se c'è e come se ne esce. Gli ho portato un esempio con una tabella. Vi risparmierò la lavagna, presidente Giorgetti.

GIANCARLO GIORGETTI. Data l'ora!

ROLANDO NANNICINI. Data l'ora mi risparmierò la lavagna, come lei aveva proposto in Commissione bilancio. Ho preso i dati che già nella stampa figuravano. Tengo il prodotto interno lordo del nostro Paese fermo al 2007. Si sente dire che nel 2008 è diminuito (è certificato) dell'1 per cento, mentre nel 2009 è previsto un -5,2 per cento. Ora vado al DPEF ove leggo che nel 2010 vi sarà +0,5 per cento (ipotetico), nel 2011 +2 per cento, nel 2012 +2 per cento, nel 2013 +2 per cento.
Nella discussione con questi giovani approfittai anche di dare dei rudimenti del calcolo, perché questi dati ci dicono che noi avremo lo stesso prodotto interno lordo del 2007 nel 2014.
Quindi nel 2014 in base a tutti i dati del Documento di programmazione economico-finanziaria troveremo lo stesso reddito, lo stesso prodotto interno lordo, del 2007. Ma uno dice: ma questo è il prodotto interno lordo, ma che succederà alla mia famiglia, quali sono i dati? È chiaro che di fronte ai dati che abbiamo in questa fase, con una diminuzione degli ordini già iniziata con molta forza nella produzione industriale, con la diminuzione dell'export, troveremo questa tabella: al 2014 avremmo lo stesso prodotto interno lordo del 2007. Ma chi si salva? Ovviamente chi paga meno la crisi. E come si può uscire dalla crisi? Se ne prendiamo atto e incentiviamo alcuni aspetti di conservazione Pag. 111dell'apparato produttivo, con l'introduzione di alcuni elementi di riduzione della spesa pubblica fatti sul serio per dare risorse ad altri, e se andiamo a prendere i denari dove esistono (poi citerò ad esempio alcuni dati sbagliati del decreto) per poter ridare finalmente fiato alla domanda interna del Paese.
Andiamo per titoli: finanza pubblica. Tremonti ieri ci richiamava ad una cosa interessante: l'Italia è di tutti, non della maggioranza o della minoranza, è un Paese fatto da 8.000 comuni, da 8 milioni di partite IVA, un Paese che resiste e che ha nelle famiglie e nelle imprese minor debito e maggior risparmio rispetto ad altri Paesi. Ci richiamava quindi al fatto che non c'è solo il debito dello Stato, ma ci si sta salvando per questo tessuto. Io condivido, però credo che ci siano delle preoccupazioni sul tema della tenuta e della coesione sociale, perché si può continuare ad annunciare, ma si deve intervenire.
Porto un esempio classico: l'articolo 1. Abbiamo il decreto-legge n. 185 del 2008. Anche allora nella discussione in Commissione parlamentare abbiamo detto: finalmente la cassa integrazione guadagni non è solo per gli occupati tradizionali nell'organizzazione del nostro welfare, ma anche per i lavori a tempo determinato. Abbiamo denunciato che era poco il 20 per cento. Su una potenzialità di 350 mila-400 mila cittadini che possono richiedere questo, i dati INPS ci dicono che la domanda l'hanno fatta in 7.500. Noi abbiamo detto: portiamo questa copertura dal 20 per cento dell'ultimo stipendio percepito, almeno al 60; c'è stato detto di no. Abbiamo fatto un'altra proposta sulla proroga della cassa integrazione speciale, perché abbiamo difficoltà a conservare quell'impresa e quel tessuto di 8.000 comuni, di 8 milioni di partite IVA, con tutti i dati che ci ricordava il Ministro dell'economia ieri nell'audizione al Senato. È chiaro che se non interveniamo su questo tema con soldi e con interventi precisi non abbiamo risultati.
Nel provvedimento cosa c'è scritto? C'è una sperimentazione. Vi ricordate a inizio anno la detassazione degli straordinari, una perla di elemento anticrisi e anticiclo? Ritorno sempre a quel reddito del 2007 che raggiungeremo nel 2014, come riflessione e come dato elementare. Riportare alla produzione per addestramento - senza precisare i tempi, non si dice chi, non si dice quando, se in cassa integrazione, se i nuovi, se gli occupati, non c'è alcuna norma di salvaguardia - pagati dall'INPS all'80 per cento (dallo Stato all'80 per cento) e dall'impresa al 20: questa è la soluzione di un tema di crisi? Questa è la soluzione di un tema di crisi, mettendo risorse qui: è un'altra idea che può essere bella se perfezionata, ma è un'idea che sicuramente non funzionerà.
Avviciniamoci al cuore del provvedimento: l'articolo 5. Mi fa tanto piacere leggere di un bonus di 75 mila euro per le aziende su questo tema della detassazione al 3 per cento, e leggo, sul Corriere della Sera, 75 mila. Ma non erano 15 mila? Sì, si moltiplica per cinque anni per le imprese che resisteranno. Ho visto oggi un articolo su Il Messaggero di Romano Prodi che ci ricorda che le insolvenze delle imprese sono aumentate del 125 per cento. Si sa che rimarranno quelle, si moltiplica un elemento di 15 mila, che è per cinque anni, e si scrive 75.
Ma l'altra perla è quella dell'oro: si inserisce l'articolo 14 in cui si dice che ci sarà un miliardo di entrate per lo Stato. Sempre nella stessa pagina leggo: l'oro: 6 per cento, aliquota di imposta sulle plusvalenze realizzate dalla Banca d'Italia sull'oro, 300 milioni il tetto che non può essere superato dal prelievo complessivo. Se leggo l'emendamento e leggo successivamente, se non arriva a 300 milioni, si fanno tagli lineari dalla tabella C. Perché non c'è scritto che ci sono tagli lineari dalla tabella C e perché non c'è scritto che siamo partiti da un miliardo?
Staremo qui fino in fondo, faremo ordini del giorno, perché la verità del provvedimento sia letta dai cittadini attraverso la nostra azione. Un'altra perla è l'articolo 10: non si mettono mai le mani nelle tasche alle imprese o agli italiani. Vi è una compensazione con il Pag. 112modello F24. Mi ricordo tanta rabbia su questi crediti IVA: le imprese che esportano sono a credito IVA; finalmente, la battaglia dell'opposizione ha portato da 10 mila a 15 mila il tetto su cui si può andare in detrazione senza ricorrere all'attestato di conformità. Il decreto entra subito in vigore, ma vi è un comunicato stampa dell'Agenzia delle entrate del 2 luglio che dice che entrerà in vigore il 1o gennaio. Si poteva correggere nei lavori parlamentari: no, ci fidiamo di un comunicato stampa che dice che entrerà in vigore il 1o gennaio, perché non ce la facciamo a mettere in moto il modello F24 per avere l'attestato di conformità, che non è altro che un adempimento burocratico aggiuntivo sul tema, fatto da commercialisti e con dei costi per le imprese. Tra l'altro, l'attestato di conformità scatterà dal 16 marzo. Con queste difficoltà del credito nei confronti delle imprese, il rimborso IVA andrà al 16 marzo, invece che al 1o gennaio. Complimenti, perché questo è veramente un articolo che assomiglia molto al meccanismo «tre scontrini e ti faccio chiudere», perché questa è la stessa cosa nella mentalità e nella forma di impostazione dell'articolo 10.
Un altro elemento che ci rivendicherà e ci chiederà di fare un lavoro parlamentare duro, anche con ordini del giorno, è l'articolo 13. Sento dire: è un condono, non è un condono. È un condono, sul tema penale, dell'evasione fiscale, perché qualunque cittadino o impresa che porta un capitale all'estero deve riempire un modello, anche se lo porta a livello europeo, e si dichiara e si conosce il suo reddito. Siccome nessuno ha dichiarato questo, altrimenti non erano depositati all'estero, si salva da interventi penali l'eventuale evasione fiscale che si fa attraverso questa azione. Chiaro, se è il provento del rapimento di un bambino o di meccanismi illeciti, non si inviterà certamente il giudice a non procedere in questo senso. Il penale esiste, ma sul fiscale il penale non esiste con la dichiarazione. Preciseremo con gli ordini del giorno.
Lo scuotimento di testa del Governo non ci preoccupa (sappiamo essere precisi). L'altra perla è però il 5 per cento. Cito il Corriere della sera di oggi, in prima pagina: «Scudo fiscale. Sanatoria per chi ha portato capitali all'estero. Si mette in regola pagando un'aliquota del 5 per cento». Ma ho fatto la notte, ho perso tempo, e non ho letto il provvedimento. Leggo il provvedimento, e dice: può essere fatta anno per anno, con una redditività del 2, e quindi è l'1 per cento l'anno. Ma anche in questo caso proporremo un ordine del giorno, perché accettiamo la visione che ci viene presentata sempre, anche dalle smentite di Vegas: normalmente il 5 per cento. Si vede che se ne intendono: hanno calcolato cinque anni, perché se hanno calcolato un anno è l'1 per cento.
Su questi capitali però vorrei approfondire un concetto semplice: abbiamo ricevuto, e abbiamo anche il piacere di leggervi, di leggere e di ringraziare veramente gli uffici della Camera per il lavoro duro che svolgono, le schede di lettura, che chiarificano con una grande esperienza, perché in questo caos è molto difficile districarsi, quanto è scritto sull'articolo 12, sulla redditività. Si tratta sempre dell'articolo 12, l'articolo 13-bis è un aggiuntivo, l'articolo 12 trattava la stessa materia in un modo diverso. Leggo che l'ammontare dei redditi delle entrate nell'ambito di applicazione della predetta direttiva - una direttiva europea molto seria, molto attenta - limitatamente ai Paesi sopra richiamati risulta pari - e salto la cifra - dal quale, applicando il rendimento annuale del 9 per cento...; cioè nei Paesi extra-UE, almeno da questa nota, c'è il rendimento del 9 per cento. Vi doveva quindi essere una relazione tecnica che mi diceva che il rendimento è al 9 per cento; siccome si vuol tassare il 50 per cento di quel rendimento, per lo meno era il 4,5 per cento l'anno.
È scritto qui, a pagina 76, come commento all'articolo 12; e poi nell'emendamento notturno (per questo si era chiesto il ritiro) si è detto che la redditività è il 2 per cento, e non il 9. Può essere anche vero nei Paesi europei, nei Paesi UE il Pag. 113rendimento non è il 9; quindi andava vista qual era la percentuale del capitale che è nella UE e del capitale che è nei paradisi fiscali: Lussemburgo, Isola di Man, Andorra, Principato di Monaco, Svizzera, San Marino, l'elenco è fatto da una direttiva comunitaria. No: si dice 2 per cento, si dice il 50 per cento, quindi l'1 per cento ogni anno, e poi leggiamo dappertutto che è il 5 per cento. Presenterò un ordine del giorno, che chiedo venga accettato dal Governo, affinché sia il 5 per cento sempre e comunque, perché non si devono fare regali di questo tipo ai cittadini.
Poi vado a vedere la destinazione: dove va l'articolo 13? Va un euro. Quant'era interessante fare una riflessione. Ritorno sempre alla domanda degli adolescenti, com'è la crisi? Per aiutare chi non ce la fa, potevamo destinare quei fondi, calcolati con serietà, preservati i reati, levati i reati, non condonando niente, ma destinandoli perlomeno a sostenere il reddito delle famiglie, dei pensionati e del lavoro dipendente, perché da anni si dice che si vogliono aumentare le detrazioni fiscali di queste categorie, e non si è mai fatto, e non si è mai visto. Si tratta però di risorse che sono ovviamente previste per un euro, perché non si vuole aprire una discussione su questi elementi.
Come si può allora dare un giudizio positivo, rispetto ad un decreto-legge che fa degli annunci, e non arriva mai alla sostanza del problema, su come può esserci un'organizzazione più seria?
Un'altra perla è l'articolo 9, nonché l'articolo 9-bis, in cui si parla di presente, di passato e di futuro, si esclude la sanità e si parla di risorse che vengono dall'assestamento. Noi abbiamo avuto chiarificazioni su questo argomento (il nostro lavoro non è stato inutile) e ci è stato detto che dall'assestamento di bilancio deriveranno 18 miliardi di competenza per i Ministeri: dunque, giustamente si prevede una modifica e si fa l'assestamento per il bilancio dello Stato. Quanto alla cassa, che è essenzialmente quella che blocca i comuni, si è detto che - grazie all'iniziativa dell'opposizione - vi saranno due miliardi per le spese di investimento per gli enti locali. Però, l'articolo 9 rimane nel suo testo originario. Ora: come si può conciliare un articolo 9 che non prevede risorse, con un articolo 9-bis che ha aggiunto alcune questioni?
Chiudo con una riflessione semplice prima di dare un giudizio finale. Voglio soffermarmi a lungo sull'articolo 21, poiché quella dei giochi è una materia importante, ma che viene trattata con volgarità. Vi do un dato: la spesa sanitaria pubblica italiana è di 106 miliardi; gli italiani nei giochi investono 115-120 miliardi l'anno, con una redditività per lo Stato sui 15-16 miliardi. Dunque, è bene che non pochi colleghi, ma molti colleghi si interessino del problema, sempre nella linea per cui se vi sono risorse è necessario fare scelte coerenti su dove le possiamo mettere e dove le possiamo prendere.
Per il maggio 2010 vi è una scadenza del Gratta e vinci. Vi è un unico titolare per la gestione della concessione. Quello che volgarmente si chiama Gratta e vinci - lo ricordo a tutti noi - fa una raccolta di 12 miliardi l'anno. Vi è una trattenuta da parte dello Stato del 12 per cento del giocato. La concessione è unica. L'Europa ci dice invece che dobbiamo fare una gara. L'articolo 21 originario giustamente fa la gara, chiede corrispettivi e soldi a chi vi partecipa (poiché si parla di un fatturato di 12 miliardi), e restringe molto, con 15 mila punti vendita (perché ogni concessionaria ha dei punti vendita già abilitati, e questo limite fa sì che la gara sia abbastanza ristretta). Si precisa inoltre di distribuire ai consumatori il 75 per cento, ma si dice «non superiore al 75»: dunque, se la gara è sbagliata vi può essere una redditività ridotta per i risultati di gioco e più produzione per chi partecipa alla gara. Di questo si doveva discutere, e invece non se ne è discusso.
Vi è un articolo aggiuntivo e talune altre proposte presentate dai colleghi, ma la perla è questa. Ed essa andrà nel maxiemendamento, che precisa che per il prelievo unico, il Preu, che è il prelievo del 12 per cento che esiste sul gioco delle slot machines, si può applicare la legge n. 472 Pag. 114del 1997, articolo 13, comma 1: cioè, si può applicare il ravvedimento operoso. Insomma, anche di fronte ad accertamenti della finanza e della Corte dei conti già effettuati, i gestori del settore possono ricorrere al ravvedimento operoso.
Se si va a leggere attentamente che cosa è il ravvedimento operoso, si vedrà che si paga un dodicesimo della pena minima. Avete detto che i 90 miliardi della finanza e della Corte dei conti non c'entrano niente, lo avete detto, risulta dal resoconto e lo avete affermato con precisione. Bastava scrivere in quell'emendamento che rimaneva il danno erariale, le multe, e si andava a fare il ravvedimento operoso, anche se noi non eravamo d'accordo, per la quota fiscale e per quella tributaria limitatamente al PREU e al prelievo unico.
Avete voluto dare il segnale che alcuni organi dello Stato hanno lavorato male; si è scoperto che su 250 mila macchine ve ne solo 60 mila agganciate e si è applicata giustamente la multa prevista dalla convenzione con l'intervento di Sogei, della Corte dei conti e della finanza; avete dato al settore il segnale che è possibile sanare tutto, senza parlare più delle multe di 31 miliardi per Atlantis, di 9 per un'altra e di 6 per un'altra ancora fino ad arrivare a 90.
Questo è un elemento estremamente negativo ma, secondo l'auspicio del Presidente della Camera, il maxiemendamento deve essere uguale ed identico al testo licenziato dalle Commissioni; spero, pertanto, che il Presidente della Camera dia il consenso a modificare l'articolo 21 per questa parte, perché è un elemento grave che turba realmente l'elemento di rapporto tra concessioni dello Stato e gestione da parte del Ministero competente in questo settore; spero proprio che, nel maxiemendamento, non vi sia l'articolo 21 sanato con un'altra sanatoria come per l'articolo 13, senza sapere quali sono le risorse e senza una destinazione delle risorse che potevamo avere, trattando veramente con superficialità alcuni temi che meritano molta altra attenzione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 21,30.

La seduta, sospesa alle 20,30, è ripresa alle 21,35.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione alla ripresa notturna della seduta.
I deputati già in missione sono sessantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 2561-A)

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Zampa. Ne ha facoltà.

SANDRA ZAMPA. Signor Presidente, quando parliamo di questo decreto-legge, credo che dobbiamo dire, come ha fatto in modo molto felice un collega del mio partito, Antonio Misiani, che si tratta di un'ennesima aspirina somministrata ad un malato di polmonite. Questa immagine vale più di mille parole, per dire di cosa stiamo parlando quando discutiamo (come stiamo facendo da ore in quest'Aula, inascoltati come avviene da oltre un anno), del decreto-legge n. 78.
Si tratta di un decreto-legge noto come decreto anticrisi. Questo è un singolare titolo, visto che il Governo insiste, in una prima fase, nel negare l'esistenza di una grande crisi economica e, poi, ora, nel dire che questa crisi è sostanzialmente finita, esaurita; siamo passati dal non esistere al già concluso. È dalla negazione di questa crisi che cominciano i guai, perché non si può curare bene una malattia se non la si riconosce nella sua portata, se non si capisce che cosa è e quanto eventualmente Pag. 115è grave. Si rischia, appunto, di usare l'aspirina che può funzionare per un raffreddore, ma che non va bene se si è ammalati di polmonite. Questa crisi, l'hanno detto molto bene colleghi esperti ed autorevoli del mio partito, è la più grave e la più estesa dal punto di vista geopolitico dal 1929 ad oggi, e il Governo l'ha semplicemente esorcizzata: in una prima fase, negandola, in una seconda fase, proclamandola già conclusa. Come è stato notato autorevolmente, il Governo Berlusconi da questo punto di vista si è distinto, anche in questo caso, sul piano internazionale.
L'Italia è l'unico Paese occidentale, il cui Governo abbia minimizzato in modo così grande la portata della crisi della quale stiamo parlando. Il decreto-legge n. 78 non fa eccezione a questo atteggiamento, non si discosta affatto da questa impostazione di fondo; possiamo ben dire che da questo punto di vista la coerenza del Governo non è stata messa in discussione.
Le cifre sono note, ma vale la pena di richiamarle per capire. Nel primo quadrimestre del 2009, la produzione industriale è diminuita del 21 per cento rispetto ai primi quattro mesi del 2008; gli ordinativi sono diminuiti del 30 per cento, e l'export, che ha sempre rappresentato, e rappresenta, il principale sostegno della domanda interna, è crollato del 24 per cento.
Quanto al PIL le previsioni del Documento di programmazione economica e finanziaria lo collocano a meno 5,1 per cento. Prima della sospensione, questo dato è stato evocato con molta preoccupazione, ma altre fonti attendibili, come ricordava un autorevole giornalista due giorni fa, lo collocano addirittura a meno 6 per cento.
A rendere il quadro complessivo più preoccupante per noi, per gli italiani, per il nostro Paese, per le loro tasche oggi e per quelle dei loro figli domani, ci sono altri numeri. C'è l'aumento della spesa corrente, la diminuzione delle entrate, l'aumento della pressione fiscale e l'aumento del debito pubblico. Ancora una volta con questo Governo torna in scena un fantasma che ha turbato i sonni degli italiani e che i due Governi di centrosinistra avevano allontanato da noi. Questi fenomeni confermano il quadro di preoccupazione e - ahimè - dicono che ad avere ragione erano quelli che il Premier avrebbe voluto ridotti al silenzio, quelli che si preoccupavano, come il Governatore della Banca d'Italia, o i vertici di Confindustria, o gli istituti internazionali come l'FMI, l'OCSE e la Banca centrale europea.
Sta intanto facendosi concreta sotto i nostri occhi la temuta crisi occupazionale. L'emorragia di posti di lavoro è iniziata e continuerà fino alla primavera del 2010, e ha - come gli esperti denunciano - carattere strutturale, non congiunturale. Per capirci, si tratta di posti di lavoro che vengono distrutti e che per molti anni non verranno compensati. Vi sono altri numeri e altre cifre che inchiodano il Governo alla propria responsabilità di aver sottovalutato, e di continuare a farlo, la crisi economico-finanziaria. Poco fa un collega evocava la defiscalizzazione degli straordinari, una misura veramente profetica, visto quello che sta accadendo.
Secondo l'OCSE, il Governo italiano ha stanziato in funzione anticrisi risorse nette pari allo 0 nel triennio 2008-2010 contro una media ponderata dei Paesi OCSE pari al 3,9 per cento del PIL.
Nel complesso l'impostazione della politica economica sembrerebbe (il condizionale è d'obbligo vista la dinamica negativa delle entrate e delle spese) essere rimasta restrittiva. Sempre secondo le previsioni OCSE, nel 2009 il rapporto tra indebitamento netto, aggiustato per il ciclo e al netto della una tantum, ed il PIL potenziale in Italia dovrebbe ridursi di 0,4 punti, a fronte di un'espansione di 0,7 punti nella zona euro e di 1,7 punti nella media OCSE.
Le risorse stanziate in funzione anticrisi sono pari a 85 milioni nel 2009, 2.012 milioni nel 2010, 2.469 nel 2011. In termini di PIL sono cifre davvero modeste: 0 nell'anno in corso, 0,14 nel 2010, 0,15 nel 2011. Ma se la quantità di queste misure è modestissima molto scarsa è anche la qualità degli interventi. Il decreto - com'è Pag. 116noto - contiene di tutto: misure sulla previdenza, condoni fiscali, sanatoria per le badanti, chi più ne ha più ne metta. Non è un modo di fare rispettoso del Parlamento, ma non è neppure un modo rispettoso nei confronti degli italiani, ai quali questo Governo consegnerà al termine della legislatura un Paese dai conti nuovamente fuori controllo.
Quello di cui stiamo parlando è un provvedimento che lascia irrisolti i nodi economici e sociali della crisi. Nulla di nuovo è previsto nel decreto-legge per le politiche sociali. I consumi non sono sostenuti; le famiglie, delle quali vi siete tanto riempiti la bocca in campagna elettorale, sono state lasciate sole, più sole, poiché i tagli annunciati alle politiche sociali previsti dal decreto n. 112 del 2008, e confermati in finanziaria restano tali e quali. Le famiglie sono lasciate sole e gli enti locali sono lasciati con meno strumenti per rispondere alla crisi che si fa sentire sui territori.
Tutti noi sappiamo che in questo momento è agli enti locali che tutti i cittadini italiani si rivolgono per trovare aiuto e ai sindaci che viene dato sempre meno possibilità di intervenire. Si tratta di un vulnus al principio stesso da cui muove il federalismo che assegna agli enti locali maggiori responsabilità proprio in ragione della loro vicinanza ai problemi della gente e delle economie dei territori. Ma che proprio in ragione di queste nuove maggiori responsabilità dovrebbe consegnare loro gli strumenti per esercitarle in modo corretto. Questo decreto-legge mette in difficoltà i comuni e gli enti territoriali che già ora sono il luogo cui indirizzano le proprie ansie i disoccupati e i cassintegrati e dai quali si pretendono risposte.
Ma in questa sede vorrei soffermarmi in particolare su uno dei punti più discussi del decreto-legge, laddove si torna a proporre ciò che in campagna elettorale, al momento del patto con gli italiani, si è negato che si sarebbe fatto. Mi riferisco al condono fiscale, perché lo scudo fiscale non è altro che un condono. Questo scudo fiscale non è un altro che un condono. Basta sfogliare le pagine dei giornali per rispolverare le promesse che oggi vengono tradite. Io l'ho fatto e ho potuto rileggere ciò che il Ministro Tremonti assicurava in occasione di un videoforum con un quotidiano nazionale. Era il 3 marzo 2008: «Farete nuovi condoni?» chiedeva il giornalista al Ministro in pectore? «Oggi non ci sono più le condizioni per farli» assicurava Tremonti che intanto accusava il Governo Prodi di avere fatto regali alle banche. Vediamo dunque oggi a distanza di quindici mesi cosa sta accadendo a partire da questo decreto-legge che con l'articolo 12 alza il livello del confronto con i contribuenti per poi ammansirli, concedendo imposte sostitutive, copertura e impunità, per capitali detenuti all'estero illecitamente e che ora vengono fatti rimpatriare.
Si tratta di trattamenti di privilegio assoluto che premiano comportamenti illeciti e dai quali sono esclusi tutti coloro che pagano le imposte alla fonte, vale a dire i lavoratori dipendenti, i pensionati e tutti i cittadini e le cittadine onesti. Loro dovranno accettare che chi ha avuto comportamenti illeciti sul piano fiscale veda condonata la propria colpa con la corresponsione non del 5 per cento, come è stato più volte ribadito oggi, ma dell'1 per cento di quanto avrebbero dovuto. Come si potrebbe non chiamare questo condono?
Ma c'è dell'altro: lo scudo fiscale è stato definito una manna per gli istituti bancari poiché la gran parte delle risorse che hanno illegalmente soggiornato all'estero, dai 50 ai 70 miliardi dei 100-150 del rientro, sarà investito in fondi e le banche si troveranno ovviamente nuovi clienti. Lo dico soltanto per ricordare che il Ministro Tremonti si era proposto come paladino delle ragioni dei cittadini versus le banche, come se fossero uno dei suoi principali nemici. Infine, poiché tra le promesse della campagna e le accuse al Governo Prodi c'era pure il tema delle tasse, voglio ricordare due cifre: da un confronto svolto dagli esperti sulla pressione fiscale prodotta dal Governo Prodi e quella del Governo Berlusconi emerge che le misure discrezionali assunte dal primo hanno prodotto una riduzione delle imposte a Pag. 117carico delle famiglie e delle imprese di 4 miliardi e 653 milioni nel 2007; di 12 miliardi nel 2008 e, proiettati nel 2009-2010, ancora rispettivamente di 10,6 e 10,1 miliardi, riduzioni che non sono state realizzate per il cambio di Governo.
A fronte di queste riduzioni tra il 2007 e il 2008 si è verificato un rilevante incremento di gettito fiscale, determinato, come noto, da un recupero di evasione, un'enorme evasione fiscale che ahimè caratterizza questo Paese.
Il contrario sta accadendo ora: l'aggravio del prelievo fiscale è stimato in 4 miliardi. Un modesto miglioramento è previsto nel 2010 e un alleggerimento più consistente solo nel 2011.
È noto, a fronte di ciò, il clamoroso crollo delle entrate, solo in parte imputabile alla crisi produttiva. Voi pensate che sia questo il Paese nel quale vogliamo vivere e nel quale gli italiani vogliono vivere? Una società di diseguaglianze sempre più grandi, una società ingiusta, dove viene premiato chi fa cose illecite sottraendo alla comunità le risorse destinate a finanziare le infrastrutture di tutti, il sistema di protezione collettivo, quel welfare State che è il nostro vero patrimonio? Voi pensate che il fatto che chi fa questo venga premiato sia una cosa che piace agli italiani? Una società fatta così, come la vogliono il Premier Berlusconi e la sua maggioranza, non potrà tenere e non può tenere.
Non lo diciamo solo noi, lo dicono, per esempio, i vescovi italiani, che nella loro nota alla chiusura dell'ultimo incontro della Conferenza episcopale si sono pronunciati a questo riguardo: vi hanno ricordato che saranno i più poveri a pagare di più anche in questo caso.
Ma ve lo diranno presto anche gli italiani, quelli che resteranno purtroppo senza lavoro, quelli che, per esempio, saranno penalizzati e avranno difficoltà ad assicurare ai loro figli molto ma molto meno rispetto a quello che hanno i figli di coloro che hanno portato i capitali all'estero. Non credo che sia un bel Paese quello che voi ci preparate (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Damiano. Ne ha facoltà.

CESARE DAMIANO. Signor Presidente, noi abbiamo avuto modo di esprimere anche in Commissione lavoro la nostra opinione sul documento di programmazione economico-finanziaria, un'opinione fortemente negativa. Ma naturalmente, come è nostro costume, intendiamo motivare, esporre contenuti, proporre alternative, portare analisi che ci auguriamo possano almeno convincere il Paese, vista la sordità della maggioranza e l'impossibilità di una discussione.
Il primo punto che vorrei affrontare è molto semplice: noi pensiamo come Partito Democratico che questa manovra che voi impostate sia profondamente insoddisfacente, non adeguata al livello della crisi in atto.
Di questa crisi si è parlato molto, ma credo che si tratti di chiarire tra di noi se ci troviamo semplicemente di fronte ad una crisi di competitività del sistema, che adesso ha una caratteristica di globalizzazione, visto l'andamento globale dell'economia, crisi che abbiamo vissuto nei decenni passati. Sicuramente chi ha la mia età ed è della mia generazione ha vissuto ormai da adulto gli anni Settanta, Ottanta e Novanta ed ha incontrato crisi importanti (penso, in particolare, alla crisi degli anni Settanta, al cosiddetto shock petrolifero). Però, mi permetto di dire che queste crisi hanno una caratteristica diversa rispetto alla crisi che stiamo vivendo in questo momento.
A mio avviso, siamo di fronte ad una crisi di modello: viene meno la forza di una forma di capitalismo, che ha imperato con un pensiero unico globale nell'ultimo trentennio, a partire dagli anni Ottanta, dagli anni del reaganismo e del tatcherismo, gli anni nei quali la finanza è assurta a punto di riferimento fondamentale ed esclusivo per lo sviluppo e il mercato è diventato anch'esso una sorta di Dio a cui dare risposte, che ha mercificato esso stesso il lavoro e le relazioni umane, quel capitale umano che è così indispensabile allo sviluppo di qualità. Pag. 118
Crediamo che questo modello sia arrivato a conclusione, ma non lo diciamo solamente noi. Stiamo vedendo come, di fronte a questa crisi, sicuramente epocale, vi siano reazioni profondamente diverse a livello planetario, come gli altri Paesi industrializzati, i principali Paesi del mondo, abbiano risposto in modo differente, divergente e diverso dal modo con il quale il nostro Governo ha risposto a questa crisi. Parlo non soltanto degli Stati Uniti, penso alla Cina e ai principali Paesi europei. Poc'anzi, veniva detto che, in fondo, i dati rilevano la scarsa capacità di investimento, una scelta di non investire da parte del nostro Governo, rispetto ad una media di investimento per superare la crisi da parte degli altri Paesi, di quasi il 4 per cento del prodotto interno lordo.
Questa disparità di comportamento ci preoccupa fortemente e la domanda che mi pongo è molto semplice: se vi è questa disparità, se gli altri Paesi stanno investendo risorse ingenti - e quando parlo di risorse ingenti, penso a migliaia di miliardi di euro o di dollari, se si fa riferimento agli Stati Uniti - mentre noi ci limitiamo, con la cosiddetta dottrina Tremonti, ad essere i guardiani dei saldi di bilancio, quando questa crisi sarà finita (mi auguro che finisca al più presto, come tutti noi pensiamo che debba essere), quali saranno le condizioni del nostro Paese? Sarà un Paese più competitivo? Sarà un Paese più eguale? Sarà un Paese che avrà salvaguardato i fondamentali sociali, dello Stato sociale e delle tutele, oppure ci troveremo in una profonda condizione di svantaggio?
Quindi, quando parliamo di crisi, non soltanto dobbiamo avere la capacità, nella nostra analisi, di far capire quale sia la diversità fra la situazione attuale e le situazioni che si sono riprodotte nel corso dei decenni - e, quindi, cosa significhi la differenza fra crisi di competitività e crisi di modello - ma dobbiamo anche sapere che il modo con il quale adesso si interviene nella crisi, determinerà la forza o la debolezza del nostro Paese quando questa crisi sarà finita.
Sentiamo tutti i giorni, da parte del Presidente del Consiglio e di autorevoli Ministri di questo Governo, recitare la solita canzone: la crisi è alle nostre spalle, la crisi è passata, la crisi non c'è più, bisogna avere ottimismo.
Noi non siamo dei pessimisti, non siamo dei catastrofisti, noi siamo dei riformisti seri e vogliamo esaminare i dati. Non ci permettiamo di mettere alla berlina chi si permette di contraddire il Presidente del Consiglio, perché stimiamo le persone e l'autorevolezza delle fonti, quando hanno un chiaro riscontro.
Nella giornata di oggi, per parlare del momento in cui stiamo discutendo, si è aggiunto ad un coro piuttosto robusto di voci autorevoli, anche il CNEL. Come dimenticare ciò che ha detto il CNEL oggi? Se in un Paese come il nostro, si parla, ad esempio, di una perdita di occupazione, che si stima intorno a mezzo milione di posti di lavoro per il 2009, ai quali aggiungere altri 400 mila posti di lavoro già persi (penso, soprattutto, al lavoro precario delle giovani generazioni ed anche di chi, non più giovane, purtroppo, si trova a lavorare in modo precario), possiamo rimanere indifferenti? Possiamo pensare che il peggio sia alle nostre spalle?
Credo di no, credo che questa sia un'operazione che chiaramente offende la nostra intelligenza, ma, soprattutto - ecco la nostra preoccupazione -, è un'operazione che esorcizza i problemi reali e non mette il Paese di fronte alla possibilità di reagire adeguatamente ora, di fronte alla situazione che si è determinata.
Confrontando dei dati molto semplici, mi chiedo: ci ricordiamo la crisi degli anni 1974- 1975? Bene, durante quella crisi si è registrato un calo del prodotto interno lordo su base annua del 3,8 per cento. In seguito, abbiamo avuto le crisi del 1992-1993, due crisi molto forti, dove si ebbe un calo dell'1,9 per cento del PIL.
Adesso le stime che lo stesso Governo ha dovuto raccogliere, dopo settimane, mesi di scetticismo, di ironia e di demonizzazione, ci dicono che in Italia, se va bene, ci avvicineremmo quasi al 6 per cento. Pag. 119
Si tratta della crisi più grave dal dopoguerra e pensiamo di affrontarla con strumenti ordinari? Possiamo pensare di affrontare questa crisi con delle categorie di classificazione che siano quelle tradizionali? Sapete qual è la mia preoccupazione fondamentale? La mia preoccupazione per il Paese è vedere come questo Governo proceda nelle sue azioni, nelle sue scelte e nella sua politica economica - per quanto riguarda gli investimenti, per quanto riguarda le tutele, per quanto riguarda lo Stato sociale e per quanto riguarda le politiche del lavoro e della tutela della salute e sicurezza nei luoghi del lavoro - come se il trentennio precedente, il trentennio del neo liberismo, della finanza e del mercatismo, che ha portato il mondo e l'economia globale in una situazione di crisi, la più grave dal dopoguerra, fosse passato invano, perché, in fondo, le politiche di questo Governo non sono nient'altro che la prosecuzione delle politiche che abbiamo visto nel trentennio passato.
Credo che tutto questo, sulla base di un'analisi fondata, debba provocare in noi una grande preoccupazione per le sorti del Paese. Non c'è soltanto un problema di confronto democratico tra maggioranza e opposizione; qui c'è un problema di destino del Paese e se il Paese non avrà le risposte adeguate alla profondità della crisi che abbiamo di fronte, correremo dei rischi molto seri.
C'è un'altra questione che ritengo debba essere ricordata. Posso anche capire che la dottrina Tremonti si basi su un assunto. In sostanza, il Ministro afferma di voler spendere poco per tenere i conti in ordine e, sulla base di questo assunto, è evidente che non privilegia nessuna politica di investimento, né sul piano sociale, né sul piano dell'innovazione, né sul piano della tecnologia. Da questo punto di vista, basta vedere come è stata trattata la questione di un settore fondamentale come quello dell'automobile.
Vorrei comprendere se pensiamo che l'azione del Governo, dello stesso Presidente del Consiglio e dei Ministri interessati sia stata un'azione adeguata, quando negli Stati Uniti, per un'alleanza che dovrebbe avere come capofila l'azienda FIAT (quindi una grande azienda italiana) si è mosso il Presidente degli Stati Uniti, che ha imposto dei vincoli per un accordo piuttosto restrittivi, nel senso della tutela dell'occupazione, del mantenimento dell'apertura degli stabilimenti, della capacità di innovazione e persino nell'indicazione dei nuovi modelli da produrre per andare verso la nuova frontiera della green economy, che deve rappresentare un punto di svolta qualitativo nello sviluppo futuro del pianeta.
Abbiamo mancato, purtroppo, l'obiettivo dell'acquisizione della Opel. Se, però, la FIAT fosse stata in grado di diventare - lo diventerà - un player planetario, con sei milioni di vetture prodotte all'anno - unica cifra in grado di far rimanere aperta e competitiva una grande azienda globale, perché altrimenti c'è il rischio di scomparire dentro la sfida internazionale -, il nostro Governo, nel momento in cui il Presidente del Consiglio, di fronte a questi fatti dichiara di essere contento che la FIAT stipuli questi accordi, chiamerebbe questa una politica industriale? La chiamerebbe capacità di sostenere i settori più innovativi? La chiamerebbe capacità di prevedere, anche con risorse del Governo, il sostegno all'innovazione del prodotto, ad un'economia che si diversifica e si qualifica nei settori fondamentali?
Ecco, queste sono le differenze che ci preoccupano in modo molto forte. Tuttavia, come dicevo, se queste differenze si basassero sull'assunto che noi non ci impegniamo, che, come al solito nella più classica e vieta politica del liberismo, stiamo a guardare quello che fa il mercato e se avessimo almeno ottenuto dei conti in ordine, si potrebbe fare un ragionamento molto semplice: i conti tornano, i bilanci quadrano, non abbiamo investito ma per lo meno non abbiamo portato il Paese in una situazione difficile e disastrosa. Si può dire così?
Credo che dai dati del DPEF emerga invece il contrario, un grave deterioramento dei conti pubblici: l'obiettivo di indebitamento netto viene aggiornato al Pag. 120ribasso e fissato al 5,3 per cento del prodotto interno lordo per il 2009 rispetto al 4,6 per cento indicato dal Governo soltanto ad aprile nella relazione unificata per l'economia e la finanza pubblica; il valore dell'indebitamento netto stimato per il 2009 risulta anche da un peggioramento del saldo primario che scende ad un valore negativo di 0,4 per cento del prodotto interno lordo; la spesa per interessi, nonostante il sensibile calo dei tassi che non va dimenticato, si mantiene sostanzialmente stabile, pari al 5,0 per cento in relazione al consistente incremento dello stock del debito; in merito al rapporto debito pubblico-prodotto interno lordo, la previsione del DPEF per il 2009 è fissata al 115,3 per cento, con un incremento di quasi 10 punti percentuali rispetto al 2008.
Il quadro tendenziale, infine, delineato dal DPEF evidenzia un indebitamento netto ampiamente al di sopra del livello del 3 per cento per il periodo 2010-2013, anche a fronte del peso crescente della spesa per interessi la cui incidenza passa dal 5,1 per cento del PIL del 2010 al 6,0 per cento del PIL nel 2013. In questo DPEF il Governo prevede poi di intervenire a correzione degli andamenti tendenziali di finanza pubblica soltanto a partire dal 2011, in attesa di un netto miglioramento del quadro economico.
Ecco, questa la situazione, la grave contraddizione, il deterioramento dei conti pubblici. La politica dei saldi di bilancio è miseramente fallita e noi patiamo una doppia contraddizione: non si fanno investimenti per far quadrare i conti, la mancanza di investimenti non stimola né l'economia né l'innovazione, né i consumi e i conti a loro volta non quadrano perché, non stimolando l'economia, il calo del prodotto interno lordo provoca inevitabilmente, a spesa costante, un aumento percentuale dell'indebitamento, con un conseguente deterioramento di tutti i conti di riferimento.
Oltre a ciò, credo che non possiamo dimenticare che questo Governo, nel Documento di programmazione economico-finanziaria, ha previsto tutta una serie di misure che colpiscono pesantemente le questioni relative allo Stato sociale e che io ritengo vadano anch'esse sottolineate. Penso alla questione delle pensioni in particolare.
Si è discusso molto sul motivo per il quale si è arrivati ad un intervento del Governo. Vorrei soltanto ricordare, anche in questo caso, l'atteggiamento estremamente contraddittorio dell'Esecutivo. In sede di Commissione lavoro, qualche giorno fa, di fronte ad un emendamento presentato dall'onorevole Cazzola della maggioranza, che prevedeva l'innalzamento dell'età pensionistica, il Governo ha invitato lo stesso onorevole a ritirarlo, il che è stato fatto al mattino. Il presidente della Commissione ha promesso una discussione approfondita su un tema così delicato come quello della riforma delle pensioni.
Nel pomeriggio, dopo qualche ora, l'emendamento è stato presentato dal Governo. Non mi pare un atteggiamento coerente, né rispettoso. Per quello che ne so, per i miei quasi quarant'anni di attività politica e sociale, prima nel sindacato e poi nel Partito Democratico, non ho mai visto, dal 1968 ad oggi (sono passati quarant'anni), una riforma delle pensioni fatta attraverso un emendamento. Questo è un colpo di mano, sicuramente.
Una riforma pensionistica fatta con un emendamento senza la conclusione di un confronto con le parti sociali, senza la possibilità da parte del Parlamento di fare una discussione, neanche nelle Commissioni apposite, credo dia la misura del modo con il quale questo Governo si muove. Riguardo all'argomento della sentenza della Corte di giustizia, vogliamo dirla tutta, anche se purtroppo i media non ci aiutano a far arrivare al Paese, come si dice, una parola di verità su questo? La Corte di giustizia non ha chiesto all'Italia di portare l'età pensionabile delle donne a 65 anni, ma ha posto un altro quesito. Ha chiesto come in Italia siamo in grado di garantire un risultato equo sotto il profilo pensionistico e salariale per uomini e donne, stante il fatto che le pensioni certificate di vecchiaia nel Pag. 1212008 indicano che per quanto riguarda gli uomini c'è un assegno mensile mediamente di 1.200-1.300 euro e per le donne di esattamente la metà. Questo è il quesito.
Questo è il quesito, che non necessariamente porta all'innalzamento automatico a 65 anni. Si potevano trovare anche delle misure intermedie, si potevano trovare - come noi abbiamo indicato - altre soluzioni. Non si venga a dire che questa misura rimarrà ancorata e chiusa dentro il sistema pensionistico pubblico e non sarà adottata dal sistema pensionistico privato.
Mi domando: allora quello che è stato fatto dal 1995 ad oggi è una questione ormai archiviata? Ricordo che la riforma Dini del 1995 ha portato nel nostro Paese una grande rivoluzione. Tutti ricorderanno la differenza di sistema previdenziale tra lavoratori pubblici e privati: i lavoratori pubblici che andavano in pensione con 19 anni, sei mesi e un giorno; la persistenza delle pensioni di anzianità che consentivano, se si cominciava a lavorare a 15 anni, dopo 35 anni di contributi, a cinquant'anni di età di andare in pensione.
Tutto questo non c'è più; da quel tempo e fino al 2013, quando entrerà pienamente in vigore la riforma che ho contribuito a fare con il Governo Prodi sul sistema pensionistico, per le pensioni di vecchiaia sarà richiesta come minimo un'età anagrafica di 61-62 anni. In questi diciotto anni (fino al 2013 dal 1995) abbiamo un innalzamento dell'uscita verso la pensione da 50 di età a 62 anni di età, con un salto di 12 anni.
Ciò vuol dire che il sistema non solo non è fermo e non è statico, ma ha colto pienamente le esigenze richieste dalla stessa Europa di adeguamento ed innalzamento corrispondente all'innalzamento dell'età anagrafica delle persone che, per fortuna, vivono più a lungo.
Allora, di fronte a tutto questo, abbiamo anche sentito richiamare il venir meno nella riforma Dini di quegli elementi di solidarietà che l'avevano caratterizzata fin dall'inizio. Tuttavia, su questo voglio chiedere come sia possibile dimenticare il fatto che nel corso della discussione del protocollo del 2007 con il Governo Prodi siamo intervenuti in modo preciso, in modo coerente e in modo concreto per sostenere le pensioni delle giovani generazioni.
Abbiamo dimenticato di aver migliorato la totalizzazione dei contributi per evitare che anche un solo euro di contributo per chi fa lavori discontinui e versa i suoi contributi a casse diverse vada disperso? Abbiamo dimenticato l'innalzamento delle aliquote contributive che si avvicina alle aliquote contributive del lavoro dipendente anche per chi è parasubordinato? Abbiamo dimenticato il riscatto più favorevole della laurea a vantaggio dei giovani e delle loro famiglie?
Abbiamo dimenticato che il Governo Prodi ha adottato la contribuzione figurativa piena nel momento della disoccupazione se hai un lavoro precario e, quando dico piena, voglio dire correlata alla retribuzione effettivamente corrisposta e non a tabelle di carattere simbolico? Tutto questo è stato fatto nella previsione, che noi avevamo messo in cantiere, di consentire anche alle nuove generazioni di arrivare ad un obiettivo calcolato, non come per la mia generazione sul famoso rapporto ultimo stipendio/pensione, ma sul rapporto ultimo periodo/pensione, che si avvicinasse dall'attuale previsione del 40 per cento ad una nuova del 60 per cento.
Queste sono le riforme che avevamo messo in cantiere. Queste riforme vengono cancellate a partire dalla Dini, se si mette in discussione con questa uscita nuovamente rigida verso la pensione la logica che sta alla base del sistema contributivo, che è esso stesso un elemento di equilibrio fra contributi versati e pensione che viene retribuita mensilmente al pensionato e alla pensionata.
Tutto questo ci deve fare fortemente riflettere. Non c'erano alternative? Non c'erano altre strade? Noi crediamo che altre strade ci siano e ci sarebbero state se fosse stato possibile fare una discussione. Oggi l'onorevole Cazzola ha richiamato Turati e ha detto che la politica dei piccoli passi paga. Sono sicuramente convinto della buona opinione di Turati, del resto Pag. 122arrivo da quello scuola, come l'onorevole Cazzola. Però, mi domando che cosa c'entrano i piccoli passi di Turati con le scorciatoie che Turati condannò, quando si fa con un emendamento una riforma pensionistica non consentendo non i piccoli passi, ma neanche una minima discussione.
Quindi, noi abbiamo indicato certamente le alternative, abbiamo parlato invano di stipulare un nuovo contratto sociale non solo per le dipendenti del settore pubblico, ma per tutte le lavoratrici e i lavoratori. Abbiamo indicato l'esigenza di fondare la definizione delle età pensionabili sulla flessibilità recuperando la legge Dini del 1995. Lo voglio dire con forza: bisogna recuperare la logica della flessibilità, perché un moderno sistema pensionistico non può più basarsi sulla logica degli scalini, degli scaloni o delle scalette, dell'uscita rigida e precostituita ovvero dell'uscita obbligatoria. Deve fondarsi, da un certo momento in poi, sulla logica della flessibilità, che consenta al lavoratore e alla lavoratrice di valutare la sua condizione in quel momento sotto il profilo economico, familiare, sociale, della condizione della famiglia, dei redditi percepiti dalla famiglia per fare una scelta libera e consapevole.
Noi abbiamo proposto un'età pensionabile inserita in un arco, in un range compreso fra i 60 (come minimo) e i 70 anni, all'interno del quale i lavoratori e le lavoratrici possono esercitare una scelta individuale e volontaria. Abbiamo anche detto di utilizzare i risparmi che possono derivare da questo nuovo regime per disegnare un nuovo sistema di welfare basato sull'effettiva eguaglianza di opportunità tra uomini e donne che concili il lavoro familiare e la vita professionale per uomini e donne.
Questa era la nostra proposta di discussione, che ovviamente non è stata presa in considerazione perché il Governo ha scelto le scorciatoie piuttosto che il confronto, e vorrei anche domandarmi: ma tutta questa fretta nell'applicare la normativa che la Corte di giustizia europea chiede (non nel senso voluto dal Governo) non c'è stata quando si è trattato anche di affrontare il tema dell'orario di lavoro notturno per le donne, anch'esso soggetto ad una procedura di infrazione? Non c'è tutta questa fretta quando si dimentica, da parte di questo Governo, di applicare la normativa che era già prevista in un decreto attuativo del Governo Prodi sui lavori usuranti?
Ditemi: se introdurrete, come introdurrete, l'innalzamento obbligatorio a 65 anni nell'impiego pubblico non parliamo (lo sapete) soltanto di amministrativi, ma anche di infermiere. Quindi, forse - questo è il mio suggerimento - sarebbe giusto nel lavoro pubblico estendere il concetto di lavoro usurante, perché chi cura i malati, gli handicappati e determinate persone nell'ambito del settore pubblico, anch'esso sarà soggetto ad un'usura incompatibile con l'uscita a 65 anni.
Allora queste ricette sbrigative che hanno più il sapore di interventi, come si suol dire, volti a far quadrare i conti, con uno scippo di risorse che difficilmente ritornerà allo Stato sociale, devono farci pensare.
Concludo sulla questione sociale dicendo semplicemente questo: credo che non possiamo dimenticare che in questo decreto-legge ci sono stati interventi anche per quanto riguarda il lavoro precario. Bene, che dire dei concorsi nella pubblica amministrazione? Ho apprezzato quello che ha fatto il Ministro Brunetta, ha fatto retromarcia. Il Ministro Brunetta dimentica di essere stato il Ministro che aveva imposto inizialmente una tagliola, con la decadenza dei precari della pubblica amministrazione entro il 30 giugno di quest'anno. Lo abbiamo fermato, ha cancellato anche la scadenza del 31 dicembre e ha pensato ai concorsi del 2010, 2011 e 2012.
Noi chiediamo due cose che non sono state prese in considerazione: se un lavoratore decade dal lavoro perché precario prima di quella data, come gli garantiamo di fare quel concorso? Se non si sblocca il turnover nella pubblica amministrazione, nelle piccole amministrazioni non sarà possibile, nonostante i concorsi, assumere Pag. 123nessuno. Allora è inutile fare propagandisticamente delle proposte se non vengono corredate da azioni conseguenti.
La seconda questione: com'è possibile estendere alle aziende partecipate, che si chiamano Ferrovie dello Stato o Poste Italiane o RAI, le modalità di assunzione vigenti nella pubblica amministrazione? Lo sapete o no che alle Poste Italiane è stato stipulato un accordo per la stabilizzazione dei precari fra l'ente Poste e le organizzazioni sindacali unitarie per la stabilizzazione di 15 mila persone? Vi sono 15 mila famiglie interessate a questo problema e queste persone non saranno più stabilizzate, persone che hanno rinunciato all'azione legale a fronte, come sempre si fa, di una protezione sindacale attraverso un accordo. Verrà tutto messo in discussione, questo varrà anche per tutti gli altri enti, a partire dalla RAI, dove si sa abbiamo una quantità di precari piuttosto significativa.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

CESARE DAMIANO. Come non considerare - e ho concluso - ad esempio il fatto che la norma che introduce il 20 per cento di tutela sociale insoddisfacente è stata utilizzata a fronte di circa 400 mila lavoratori precari che hanno perso il lavoro nel corso del 2008 da soltanto 1.800 lavoratori precari. Questo non vuol dire che non c'è bisogno di questa norma e di questa protezione, vuol dire che i criteri di accesso sono stati talmente stretti da non consentire neanche l'utilizzo di questa piccolissima protezione del 20 per cento.
In conclusione, noi abbiamo fatto anche altre proposte di consenso. La prima, il raddoppio della durata della cassa integrazione ordinaria da 12 a 24 mesi...

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Damiano.

CESARE DAMIANO. Sto controllando anch'io l'orario e ho ancora un paio di minuti.

PRESIDENTE. Lei è sei secondi oltre il suo tempo, evidentemente deve cambiare l'orologio. È il mio orologio quello che conta. Ha finito il tempo, la invito a concludere.

CESARE DAMIANO. Il mio orologio è normale, ma ho concluso. Il raddoppio della cassa integrazione perché in questo modo la cassa integrazione ordinaria consente di tutelare i lavoratori nel periodo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). ..

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Damiano.
È iscritto a parlare l'onorevole Misiti. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, sono veramente preoccupato per una questione che non viene più nemmeno citata.
Siamo qui a discutere di un ulteriore decreto-legge, ma nessuno più protesta perché si va avanti con un ulteriore decreto-legge e ciò vuol dire che ci siamo assuefatti. Si tratta di una normativa che poteva benissimo rientrare in un disegno di legge ordinario, c'era tutto il tempo, fa parte di una serie di altri decreti-legge che abbiamo convertito in legge; praticamente costituisce un pezzo di finanziaria, che purtroppo non dura più da settembre a dicembre, ma dura tutto l'anno.
È evidente che si tratta di un decreto-legge, su cui, per di più, si pone la fiducia. Ci troviamo alla ventitreesima fiducia; forse, se ci fossimo trovati alla terza fiducia, avremmo sollevato enormi proteste. Oggi, invece, tutti tranquilli e nessuno accenna a questa modalità di formazione delle leggi, che, secondo me, è quasi un'abdicazione rispetto al nuovo uso di fare le leggi a Palazzo Chigi, e non più in quest'Aula e nell'Aula del Senato.
È chiaro che qui facciamo una discussione che potrebbe sembrare inutile, eppure è necessaria, perché dobbiamo mandare anche il messaggio al Paese che non tutto è perduto in questa Italia, che è necessario che il Parlamento funzioni e che, in qualche modo, anche le opposizioni possono dare un contributo al miglioramento della vita dei cittadini. Pag. 124
In altre parole, oggi ci troviamo di fronte ad un ulteriore decreto-legge, che esprime una condizione della nostra classe dirigente di Governo, che è quella del governare alla giornata.
Ricordo un anno fa, in quest'Aula - anzi, meno di un anno fa, perché era verso la fine di luglio - quando si è presentato il Ministro dell'economia e delle finanze: era venuto con una scimitarra contro le banche, dicendo che erano loro che dovevano pagare, perché avevano guadagnato troppo e guadagnavano troppo. Non aveva intuito minimamente che stava per crollare il mondo; addirittura, si era inventato la famosa Robin tax.
Ebbene, man mano si è andati avanti con collegati alla finanziaria, con nuove finanziarie, con mini finanziarie; è passato un anno e abbiamo continuato a lavorare alla giornata, a modificare leggi che erano state approvate il mese precedente, scegliendo veramente un lavoro non di prospettiva e senza avere la barra dritta verso il superamento della crisi economica, che pure, già allora, si cominciava a intravedere dal punto di vista finanziario.
Come si è affrontato tutto questo? Si è affrontato con un susseguirsi di «norme annuncio». A cosa portano queste «norme annuncio»? I cittadini, certamente, sono indotti a credere che tutto sarà risolto; per esempio, è tutto risolto nella politica della casa.
Eppure, questo annuncio delle 100 mila abitazioni è un semplice annuncio, perché si dice contemporaneamente - lo ha dichiarato questa mattina il sottosegretario Mantovani - che adesso ci attendono 90 giorni per trovare le persone che costituiranno un gruppo di lavoro che dovrà stabilire le regole. Signori miei, possibile che, prima di annunciare un Piano casa, non facciamo le regole, non abbiamo le regole? Il Piano casa deve scattare domani, perché i cantieri si devono aprire dopodomani, non fra un anno o un anno e mezzo.
Come si fa a superare la crisi? Come si fa a uscire dal pantano di 5 o 6 punti percentuali sotto il livello dell'anno scorso e ad andare sopra lo zero, se si affronta la crisi nel settore delle costruzioni con questi tempi?
Forse qualcuno pensa di affrontarla con le grandi opere: ancora peggio, perché le grandi opere hanno dei tempi di attuazione molto più lunghi. E allora evidentemente si inventano degli effetti-annuncio, che accontentano la popolazione; ma ritengo che, purtroppo, l'Italia è fatta di piccole e medie aziende, ma è fatta anche da partite IVA, che si sveglieranno a settembre, ritorneranno dalle vacanze e non avranno più un lavoro. È questo il dramma del nostro Paese.
E allora bisognerebbe intervenire solo in questa direzione, e non nel senso indicato dall'ulteriore decreto-legge in esame. Questo metodo è a mio avviso esecrabile, è un andare in barca senza nocchiere, è qualche cosa che ogni giorno dobbiamo cambiare, dobbiamo mutare. La proposta alla nostra attenzione presenta degli aspetti estremamente negativi di carattere generale, che sono stati messi in luce da numerosi interventi dell'opposizione, sono stati messi in luce nelle Commissioni riunite V e VI, e sono stati messi in luce dai colleghi di Italia dei Valori, del PD e dell'UdC.
Non mi soffermo quindi sulle questioni generali. Vorrei soltanto soffermarmi e puntare l'obiettivo su alcuni aspetti particolari che mi sembrano proprio essere omogenei a questo vivere alla giornata. Non è che sono cose poco importanti: sono aspetti che definisco particolari, ma particolari con la «p» maiuscola. Si tratta dell'energia, degli impianti energetici, si tratta delle infrastrutture, si tratta dei trasporti, e si tratta delle regole degli appalti pubblici.
È vero che sono state annunziate molte iniziative: adesso abbiamo avuto il DPEF infrastrutture, che è un'ennesima ripetizione dei DPEF infrastrutture degli anni passati, senza quasi nessuna novità; però alcune decisioni vengono prese, e sono effettivamente decisioni un po' assurde. Noi vorremo contribuire invece al miglioramento dei testi delle leggi, vorremmo contribuire alla semplificazione delle leggi Pag. 125stesse, ma la nostra buona volontà viene frustrata proprio da queste modalità occasionali di affrontare questioni di carattere generale.
Signor Presidente, sono convinto che le semplificazioni normative vadano fatte. Voi immaginate che nel decreto-legge anticrisi viene inserita una rilevante modifica al codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, il cosiddetto codice degli appalti; ma non si è pensato piuttosto di andare incontro alle esigenze, per esempio, dei comuni, delle piccole stazioni appaltanti, i quali si trovano già di fronte ad un codice di 257 articoli, con un regolamento che ancora non è stato definito, composto da oltre 300 articoli, che insieme ai già tre decreti correttivi del codice supereranno la soglia di mille articoli?
Colleghi, si pensi a un comune di 5 o 10 mila abitanti come stazione appaltante: il tecnico di questo piccolo o medio comune - che fra l'altro si è visto levare da voi gli incentivi a impegnarsi e a far impegnare i suoi colleghi - ma anche gli amministratori e i sindaci, sia pure con responsabilità solo politiche, come possono lavorare con una bibbia di oltre mille articoli? Era su questo che bisognava intervenire. E invece no: stiamo complicando anche questo. Dobbiamo invece ridurre e semplificare drasticamente questi aspetti, eliminando i lacci dalla pubblica amministrazione. Tra l'altro, questo induce, per le grandi opere, a nominare commissari, poiché i commissari derogano a tutto e tutto va a posto (citerò qualcosa in proposito), mentre, per le piccole opere, induce comuni o province a richiedere consulenze e dunque a sprecare i soldi pubblici. Ma evidentemente questi sprechi sono omogenei con l'indirizzo generale di questa maggioranza di Governo. Spesso questo tipo di impostazione, questa mancanza di capacità di semplificazione, porta all'illegalità diffusa. Ecco perché sarebbe stato più giusto intervenire per semplificare che non complicare, come invece si sta facendo.
Per quanto riguarda, ad esempio, la riduzione dei tempi, in questo decreto vi sono norme che si concentrano sulla riduzione dei tempi di presentazione dei progetti. Anche a tralasciare gli errori che si fanno (ad esempio, si prevedono trenta giorni per un progetto esecutivo e quarantacinque per un definitivo, senza considerare che il progetto definitivo sta all'interno dell'esecutivo, viene prima), non si comprende che se il progetto è fatto bene l'opera si realizza in un tempo enormemente più breve, senza sprechi e senza possibilità di costituire quei fondi neri che probabilmente sono lo scopo finale.
Pensate ad esempio che per agevolare il tutto - magari in buona fede - si prevede che le offerte anomale non si devono più trattare come prima (prima si trattavano separatamente: si esaminava la prima, si valutavano le giustificazioni e se erano valide si procedeva con l'assegnazione); adesso si arrivano ad esaminare comparativamente fino a cinque offerte anomale. Ma perché? In questo modo non semplificate e non risparmiate niente, anzi, così si può soltanto incentivare l'accordo fra le imprese. Che cosa dice l'Antitrust? È chiaro che vi saranno accordi intorno al tavolo delle imprese che gestiscono i vari appalti nello stesso territorio. Questo è veramente un errore. È veramente un errore credere a questa riduzione dei tempi imposta per legge: la riduzione dei tempi imposta per legge è impossibile. Ecco perché sarebbe necessario invertire questa rotta.
Per quanto riguarda l'energia - cito la questione energetica perché ha prodotto anche polemiche interne al Governo - la semplificazione consisterebbe nella nomina di commissari straordinari di Governo per la realizzazione degli impianti. Ciò quindi vuol dire che il Ministero dell'ambiente non avrà niente a che fare con la valutazione di impatto ambientale di quegli impianti e che si realizzeranno gli impianti senza un'adeguata valutazione da parte delle strutture dalla legge messe a disposizione del Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare. E credo bene, dunque, che il Ministro dell'ambiente abbia protestato duramente e riponga speranze nel maxiemendamento, Pag. 126ma vorrei tranquillizzare il Ministro Prestigiacomo: non potrà essere accolto, perché questa è una scelta precisa.
In Italia abbiamo il commissariamento di tutto, qualunque grande opera è commissariata: per l'Expo 2015 a Milano già da adesso hanno pensato al commissario, per l'avvenimento delle Olimpiadi invernali c'è il commissario ad acta, così come c'è il commissario per le Universiadi. Vengono fatti con anni ed anni di anticipo, perché questo significa eliminare la normativa o derogare alla stessa e fare gli appalti senza l'evidenza pubblica: questo è il gioco. Ma non è vero che si risparmia il tempo nemmeno così, perché restano in vigore tante altre norme, soprattutto nel diritto penale, che poi bloccano le realizzazioni stesse, con effetti anche sulle persone che spesso si assumono questi carichi.
Ciò che ora vi dico riguarda un caso molto importante: quando il progetto, l'appalto e i lavori sono fatti bene il costruito resiste anche all'azione sismica. A L'Aquila due sono le strutture che hanno resistito: quella della scuola della Guardia di finanza (che è stata progettata, diretta, costruita e collaudata bene) e l'ospedale (che è stato progettato bene ed ha resistito in base ad un progetto ottimo, anche se quello della scuola della Guardia di finanza era ancora migliore). Tutte le altre opere, che sono state eseguite con sistemi per così dire arronzati, non hanno resistito e quindi hanno provocato ciò che hanno provocato (basti pensare alla casa dello studente). Tali questioni sembrerebbero secondarie ma non lo sono, perché riguardano la vita dei cittadini e, se volete, l'eliminazione degli sprechi.
Come sappiamo, noi interveniamo sempre dopo gli effetti di un disastro naturale e mai prima. Quanto sarebbe stato utile in questo momento investire sull'adeguamento sismico di tutti gli edifici strategici: questo sarebbe stato un investimento che avrebbe provocato un'enorme quantità di occupazione nuova ed immediata, ma non si ha la cultura di interventi di questo tipo. È chiaro quindi che tutto ciò non può essere fatto perché si pensa ad altro, si pensa al giorno per giorno e non si ha una politica di prevenzione.
Anche per ciò che concerne le scelte relative all'ENAC e all'ENAV, che hanno due tipi di organizzazione, si tolgono soldi all'ENAC per passarli all'ENAV.
Signori, stiamo attenti: il presidente Riggio e il direttore generale Manera, durante un'audizione nella IX Commissione, ci hanno detto che all'ENAC vi sarebbe bisogno di ulteriori risorse, per poter affrontare adeguatamente il problema dei controlli, che non possono esser fatti secondo gli standard, per mancanza di ingegneri esperti. Ebbene, noi togliamo i fondi all'ENAC per passarli all'ENAV; tappiamo un buco scoprendone un altro. Inoltre, con quei fondi si deve badare alla sicurezza degli aeroporti e anche a quella delle stazioni ferroviarie, che non c'entra veramente nulla con la prima. Questa scelta è veramente assurda. Ci rendiamo conto di quanto sia sbagliata questa linea? Di quanto non regga? Queste misure hanno anche effetti sulla sicurezza delle costruzioni e dei cittadini che si muovono, che vanno in aereo e in treno.
Noi abbiamo cercato in tutti i modi, con i nostri emendamenti, di migliorare questo testo. Ci è stato assolutamente impedito da una posizione aprioristica che non avremmo voluto vi fosse. I tempi ci sarebbero stati per una discussione ampia e per un contributo maggiore, come quello che abbiamo fornito in quei pochi casi nei quali abbiamo potuto discutere nelle Commissioni riunite. Avremmo potuto dare un contributo maggiore. Avremmo potuto migliorare un testo, soprattutto se fosse stato di iniziativa parlamentare, un progetto di legge della maggioranza, così come abbiamo fatto brillantemente nella Commissione trasporti in cui, in sede legislativa, abbiamo approvato una riforma del codice della strada che, sebbene parziale, è importantissima.
Tutto ciò si poteva realizzare anche su questo provvedimento, perché in fondo ci troviamo su un terreno analogo, relativo alla sicurezza dei cittadini. Probabilmente ce l'ho con i commissari, che non ritengo Pag. 127idonei a risolvere alcun problema: abbiamo visto che i commissariamenti, ad esempio sull'ambiente, sulla sanità, non risolvono alcun problema. Da queste norme è previsto, addirittura, il commissariamento per sessanta giorni dello Stretto di Messina. L'amministratore delegato della società diventa commissario per derogare alle leggi, per non applicare le leggi sugli appalti (è per questo che si nomina il commissario, altrimenti che bisogno c'era di un commissario?). Voi credete che un commissariamento di questo genere non venga poi contestato dalle aziende, dall'ATI, dal general contractor, allorché si tratterà di stabilire quanti soldi devono dare per aver superato così poco brillantemente le norme vigenti? Attenzione, dopo sessanta giorni il commissario non avrà applicato le leggi, ma avrà deciso lui, come se la controparte fosse formata da personale che non capisce, riferendo solamente al Ministero e al CIPE. Siamo impazziti? L'Antitrust si dovrebbe mobilitare.
C'è una norma sulle aziende pubbliche locali di trasporto da brividi: addirittura impone che almeno il 10 per cento dei servizi devono essere affidati a terzi, mentre il 90 per cento può essere affidato in house, senza evidenza pubblica. Signori, queste sono cose che evidentemente solo un Paese africano o sudamericano può portare avanti. Non possiamo certo portarle avanti noi, in un Paese in cui esiste l'Antitrust, dove si parla ogni giorni di concorrenza da sviluppare. Abbiamo veramente toccato il fondo. Ecco perché ho voluto ricordare questi argomenti che sembrano secondari e che nessuno ha citato, e pochi riflettono sugli effetti che i suddetti possono avere sulla vita di ogni giorno e anche sull'economia. Infatti, ne discuteremo proprio quando esamineremo il Documento di programmazione economico-finanziaria, visto che c'è questo Allegato infrastrutture che dobbiamo vagliare fino in fondo, perché vorremmo in qualche modo contribuire a realizzare qualcosa e non annunciare che realizzeremo qualcosa (lo ripeto: noi vorremmo invece realizzare qualcosa).
Se la maggioranza e il Governo intendono fare questo, allora accettino anche il contributo dell'opposizione e probabilmente il contributo sostanziale anche degli enti locali, delle regioni e dei grandi comuni soprattutto, che sono quelli più interessati a che la crisi non travolga l'Italia. Non si arrivi ad un milione di disoccupati. Ma gli enti locali, i piccoli comuni, l'industria delle costruzioni possono assolutamente intervenire per ridurre al minimo e per accendere i motori della ripresa. È successo sempre così nel mondo e succederebbe così anche in Italia se la nostra classe dirigente governativa avesse una concezione diversa, più aperta, della situazione italiana, più prospettica, e se avesse un obiettivo da raggiungere. Ma non mi pare che con questi decreti-legge, scritti giorno per giorno e senza una strategia, e con la tattica di Tremonti si possa andare molto lontano (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vannucci. Ne ha facoltà.

MASSIMO VANNUCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario Giorgetti, vorrei partire da qualche dato di contesto perché questo provvedimento - come ha ricordato l'onorevole Ventura - è stato impropriamente collegato dal Governo al DPEF, e a giorni avremo l'arrivo dell'assestamento di bilancio. I dati li ricavo dal Documento di programmazione economico-finanziaria e dall'audizione del Governatore della Banca d'Italia, che abbiamo avuto ieri sera.
Il primo è quello della crescita: il calo del PIL previsto per quest'anno equivale a meno 5,2; solo nel 2013 torneremo ai dati del 2007; per quanto riguarda i conti pubblici, dopo due anni di risanamento, il 2008 è stato un anno horribilis, l'indebitamento netto è tornato a crescere (l'1,5 del PIL nel 2007, e oggi siamo già al 2,7); il rapporto debito/PIL è cresciuto di 2 punti (siamo al 105,7), e il Documento prevede un ulteriore forte deterioramento dei conti pubblici; l'indebitamento netto aumenterà di 2,6 punti, arrivando al 5,3; il Pag. 128debito pubblico vedrà un aumento di 10 punti percentuali (arriverà al 115,3 del PIL); per la prima volta, Presidente, dopo 18 anni (lo ripeto: 18 anni, ovvero nell'orribile 1991), si ritorna al disavanzo primario (0,4 per cento), cioè al rapporto tra le entrate e le uscite in negativo senza il calcolo degli interessi. Se volete, c'è un record storico, il massimo storico, il record di tutti i tempi (sempre dalla relazione del Governatore Draghi): si tratta della spesa primaria corrente che passa da 40,4 a 43,4 del PIL.
Se il paragone che ho fatto prima è stato con l'orribile anno 1991, siamo a sei punti in più di spesa primaria corrente. Le entrate sono in forte contrazione perché c'è la crisi; imposte indirette: meno 3,8 per cento; le dirette: meno 1,5 per cento. La pressione fiscale aumenta dello 0,6 per cento; il tetto è al 43,4 per cento del PIL. Certo, la crisi nessuno la disconosce; la sfortuna, il terremoto che non ci voleva, le difficoltà di manovra che abbiamo, l'indebitamento.
Ieri abbiamo sentito anche il Ministro Tremonti che ci ha riproposto un'analisi che noi consideriamo parziale, per alcuni versi superficiale e anche pericolosa. Mi riferisco al rigore dei conti pubblici: la sua analisi è sempre quella. Se guardiamo ai fondamentali del Paese e sommiamo al debito pubblico il debito delle famiglie vediamo che dalla sommatoria di questi due dati siamo in linea con gli altri Paesi. Vorrebbe dire che noi diamo più servizi, meglio di altri, così che si indebita lo Stato e non le famiglie. Sull'efficacia di questo nostro sistema di welfare potremmo aprire un ragionamento se è vero che si tratta oggi di un efficace meccanismo di redistribuzione. Il problema - direi al Ministro Tremonti - è che crescono sia il debito dello Stato sia quello delle famiglie e, anzi, per le famiglie e per le imprese non vi è spesso la possibilità nemmeno di ricorrere al debito perché nessuno glielo assicura.
La verità è che sempre più persone stanno scendendo sotto la soglia di povertà e la classe media del nostro Paese si sta sempre più proletarizzando. La fascia alta rimane sempre al suo posto; la crisi è pagata da chi sta in mezzo e chi sta in basso. I dati dicono questo. La via maestra che non avete voluto percorrere sarebbe stata quella di agire sul potere di acquisto delle famiglie. Siamo al ventisettesimo posto nella graduatoria internazionale, pur sedendo tra gli otto più grandi Paesi. Avremmo dovuto assolutamente detassare i redditi bassi, dando alla busta paga e alle pensioni riduzioni fiscali di 100 euro al mese. Si sarebbero immediatamente riversate sui consumi. Segnalo che i consumi calano nel nostro Paese da ormai due anni e anche quest'anno - lo dice sempre il Documento di programmazione economica e finanziaria - saremmo a meno 1,5. Non è prevista alcuna ripresa nel 2010. Le minori entrate dell'IVA sono lì a testimoniarlo. Solo così avremmo potuto agire sulla domanda interna, sostenere le imprese e anche salvaguardare le entrate. Altri Paesi sono partiti da qui: Francia e Germania sono stati i primi. Voi avete preso un'altra strada, quella sbagliata: questa è una ginkana, una strada contorta e infinita che non ci porterà fuori dalla crisi ma che rischia di farci cappottare.
Siamo al settimo decreto-legge economico; il quarto anticrisi e non vi sono ancora segnali di uscita. Voglio tornare per un attimo al contesto. Quali margini di manovra abbiamo? Come possiamo uscire dalla crisi? Dove possiamo reperire le risorse? Ho già detto della pressione fiscale. Non possiamo certamente agire su questa leva: siamo al 43,4 per cento, anzi ne ho chiesto la riduzione. È necessaria la riduzione per i redditi medio-bassi. Dovremmo quindi agire sulla spesa, su quella impropria, su quella improduttiva. L'assestamento, a cui ho fatto riferimento, segnala il fallimento della vostra politica. I dati lo dicono: più 7 per cento di spesa corrente. Ma vogliamo cominciare a interrogarci se questa manovra triennale funziona; se questi tagli lineari fatti indiscriminatamente su tutte le voci di spesa, il 17 per cento, per i quali ogni Ministero si deve fare la sua legge finanziaria funzionano? Ci interroghiamo sul fatto che abbiamo tagliato sia la spesa buona sia la Pag. 129spesa cattiva. E poi la spesa cattiva rimane lì e sulla spesa buona bisogna ritornare. È questo il problema. Certo per voi era più complicato e ci voleva più coraggio a praticare politiche di revisione della spesa: le politiche di spending review, quelle che avevamo iniziato.
Infatti per fare questo bisogna scegliere, bisogna scontrarsi, bisogna scontentare qualcuno, occorrono maggioranze omogenee. Ma per chi come voi governa alla giornata, ha scelto di navigare a vista, è ossessionato dal consenso, sceglie sulla base dei sondaggi, ha una favolosa centrale comunicativa, che però è ossessionata solo dallo spot giornaliero, certo è difficile seguire questa strada. Sulla spesa ritengo che vi dobbiate fermare: fermatevi, verifichiamo se funzionano le norme che avete introdotto, affrontiamo soprattutto le riforme strutturali, le uniche che ci possono far uscire da questa spirale.
L'altro margine di manovra il Paese lo ha sul versante dell'evasione fiscale. L'OCSE, a seguito del G20 di Londra, vi ha obbligato finalmente ad adottare norme stringenti sui paradisi fiscali. Le avete trascritte nel disegno di legge in esame (articolo 12 e articolo 13), così come ve le hanno fornite. La nostra raccomandazione (che è anche una sfida, se volete) è quella di non vanificarle, di farle funzionare. Dopo che avete abbandonato la tracciabilità e fornito altre occasioni agli evasori nazionali, almeno concentratevi su questo. Peraltro, qui sta la polpa, la polpa vera: un vero contrasto all'evasione fiscale, non quella del piccolo cabotaggio nazionale, che a volte è autodifesa, risposta alla concorrenza sleale e ai controlli che non fate. Qui c'è la polpa per chi fa nero: bloccare i paradisi fiscali, fermare i caroselli, le esterovestizioni. Se farete sul serio - io qualche dubbio c'è l'ho, questo me lo dovete concedere, visti i precedenti - noi vi sosterremo e in questo vi sfidiamo.
La spesa e l'evasione fiscale sì, ma la madre di tutte le sfide è la crescita. Solo tornando a crescere, lo sappiamo, si potrà uscire dalla crisi, vista la pressione fiscale e visto il nostro debito, sui quali ho già detto. Sappiamo anche che questa crisi ha forti risvolti internazionali, ma noi su ogni provvedimento che produciamo in questa Aula ci dobbiamo chiedere: «Ma questo provvedimento risponde a tale necessità, alla necessità di crescere? Ha finalmente una funzione anticiclica?» La mia risposta purtroppo è ancora «no», questa è un'altra occasione persa. Vi sono alcune misure, ma timide, insufficienti, parziali, con dubbi di funzionamento e di efficacia. Fino ad ora abbiamo tamponato, abbiamo attutito, abbiamo ammortizzato, ma allo sviluppo quando ci pensiamo? E alla crescita? Con un sistema bancario impaurito, bloccato, rigido, spaventato, che si fa scudo di Basilea 2 e scarica sulle piccole e medie imprese e sulle famiglie, chiedendo rientri.
Vi è un articolo, l'articolo 7 del provvedimento in esame (svalutazione dei crediti in sofferenza), che ci costa 250 milioni di benefici alle banche. Volevamo accompagnarlo con qualche impegno in più sulla moratoria annunciata, volevamo che la si facesse in Parlamento e non nei tavoli a tre, volevamo affrontare il tema del riscadenzamento dei crediti delle piccole e medie imprese ma non ci è stato possibile.
Ripartiremo? Io voglio dirlo ancora al Ministro Tremonti, che ha fatto il paragone della macchina ferma sul passaggio a livello e della sinistra che tiferebbe per la locomotiva. «No», noi abbiamo una preoccupazione: è vero che la crisi può essere paragonata ad un passaggio a livello, ma questo passaggio a livello si alzerà e io mi interrogo e noi ci interroghiamo se a quel punto saremo in grado di partire o se rimarremo fermi, se noi stiamo attrezzando il Paese per ripartire dopo che il passaggio a livello si sarà riaperto. Poche misure, come dicevo: l'unica, la più importante, è quella degli investimenti.
Si chiamava detassazione degli utili reinvestiti al 50 per cento. Si tratta dell'articolo 5 del provvedimento in discussione. Non siamo del tutto sicuri che la tabella funzioni, è confusa; abbiamo cercato di chiarire che riguarda tutte le macchine utensili, anche quelle non citate. Ma perché non ampliarla a tutti i beni Pag. 130strumentali? Perché in un Paese, che deve affrontare la sfida della ricerca e dell'innovazione, ci si dimentica di un settore importante come quello dei computer? Perché non usare la leva degli investimenti attraverso gli utili per rinnovare la nostra offerta turistica? Perché non comprendere anche il rinnovamento degli alberghi, degli esercizi commerciali e di tutta la parte degli arredi, che abbiamo sostenuto con forza, come ci hanno richiesto tutte le associazioni? Certo, abbiamo criticato le leggi cosiddette Tremonti e Tremonti-bis, perché erano troppo ampie, ma questa, veramente, è molto, molto stretta.
Vorrei analizzare lo scudo fiscale da un'altra prospettiva. Concordo con tutto ciò che hanno detto i nostri colleghi, ma vorrei esaminarlo dalla prospettiva della crescita. Sarà efficace per la crescita? Abbiamo rivolto ieri sera questa domanda al Governatore Draghi, che ci ha risposto: dipende, non basta da solo. Dipende, se i capitali che rientrano dall'estero andranno veramente verso lo sviluppo e verranno impiegati nelle imprese. Se si fosse discusso, avremmo criticato l'aliquota: non abbiamo nemmeno capito se è pari al 5 per cento, all'1 per cento all'anno, o se è pari al 2 per cento. Se, ad esempio, avessimo differenziato i tassi, mantenendo la piccola aliquota per chi patrimonializza le aziende, per chi investe quei soldi nelle aziende e crede in esse - in un Paese dove, spesso, si dice che vi sono imprenditori ricchi e imprese povere - prevedendo un'altra aliquota per chi vuole fare altre cose, avremmo usato veramente questo strumento in una funzione di sviluppo.
Potrei continuare ancora con la capitalizzazione. Le norme che avete inserito prevedono uno sconto del 3 per cento per aumenti di capitale di 500 mila euro: è una cifra importante, che, però, è rivolta solo alle medie e grandi imprese. Ci scordiamo spesso qual è la forza dell'Italia riconosciuta da tutto il mondo, che qui vengono a studiare: è la rete delle piccole e medie imprese, dei distretti, dell'imprenditoria diffusa, che qui sono penalizzati con le norme sull'IVA e sull'energia.
Potrei continuare con la disamina degli articoli del provvedimento in oggetto. Vorrei citarne uno, perché ho paura che venga dimenticato in quest'Aula. È l'articolo 14, che riguarda l'imposta sulle plusvalenze su oro non industriale. Voglio che rimanga traccia, in questo dibattito, di come questo Paese si sia esposto al ridicolo. Vi è stato un intervento della Banca centrale europea, che ha bloccato la proposta contenuta nel decreto-legge del Governo, affermando che non si possono tassare. Cosa ha fatto il Governo per una questione di principio? Ha riproposto un articolo burla: sarà la Banca d'Italia a dire quanto del suo oro sarà tassabile a plusvalenza e quanto rimarrà a riserva. La risposta, Presidente Leone, potrebbe darla subito. Vedremo in quel cassetto tassabile quanto oro vi sarà: credo ben poco. Tuttavia, per un principio, si è voluto mantenere un articolo che ci rende ridicoli.
L'articolo 21 riguarda i giochi, il collega Nannicini ne ha già parlato. Con un colpo di mano notturno, si tolgono le sanzioni e le si portano a un dodicesimo del minimo, consentendo il ravvedimento operoso.
Vi è una norma che grida vendetta: l'articolo 23 del provvedimento cosiddetto milleproroghe. È la proroga ulteriore di un anno della riorganizzazione della ex società Sviluppo Italia. L'ex società Sviluppo Italia è stata oggetto di un nostro provvedimento, la legge finanziaria per il 2006. Quando ci insediammo, trovammo una società che contava 32 società controllate, 25 società subcontrollate, 124 partecipazioni di minoranza, il totale dei membri degli organi societari assommava a 492, per un costo annuo di 6 milioni di euro.
Nella legge finanziaria per il 2006 abbiamo stabilito che quei 492 membri diventassero 25, che quelle 200 società si riducessero a tre, che tutte le partecipazioni di minoranza venissero dismesse e che, al massimo, ci fossero tre società controllate. È la terza volta che prorogate questa norma e con il provvedimento in discussione riportate il Consiglio di amministrazione a cinque membri, quando noi lo avevamo portato a tre. Pag. 131
Ho concluso nel merito, signor Presidente. Non riesco ad appassionarmi alle questioni di procedura, di metodi, di fiducie o di non fiducie. Ritengo che neanche la gente si appassioni, ma vuole che si decida, questo è vero. Purtroppo, è disposta anche a rinunciare a quote di sovranità, tanto è preoccupata e impaurita: poi ci si accorgerà del valore della democrazia. Voi vi state facendo scudo di questo, ma quel che mi preoccupa è la qualità della decisione, sono i rapporti interni alla maggioranza che bloccano le decisioni vere.
Il Presidente Fini difende le prerogative del Parlamento e chiede il rispetto del testo licenziato dalle Commissioni nel probabile maxiemendamento del Governo. Io non mi associo, non ci credo: tanto lo cambierete e lo farete perché un partito della coalizione vi ha votato contro in Commissione, il Movimento per le Autonomie. Se lo cambierete, ho una raccomandazione: togliete questa enormità che avete fatto con i giochi e rispettate gli impegni per il terremoto.
Bisognerebbe informare il Presidente Fini - Presidente Leone, lo faccia - che quel testo non è riconosciuto dalle intere Commissioni, ma lo si informi anche che il Governo il maxiemendamento, ormai, lo scrive in Commissione. Mi dispiace dover vedere subire spesso i relatori e i presidenti di Commissione.
Prima la Commissione non discute di niente, fa un coordinamento formale del testo, modifiche ridicole; poi viene votato il mandato al relatore con un pacco di emendamenti - il cuore del provvedimento, mai discussi in Commissione -, pacco di emendamenti voluto e imposto dal Governo. Infatti, non è che quel pacco sia almeno il frutto del dibattito tra i colleghi di maggioranza.
Abbiamo visto le delusioni, avevamo apprezzato molti emendamenti tesi a migliorare, a fare sul serio, ma non sono stati valutati. Non vi è dialettica tra Governo e Parlamento, è questo il problema. La responsabilità ricade anche sui parlamentari di maggioranza, una maggioranza prona. Le prerogative dei parlamentari sono ignorate, le mediazioni avvengono a Palazzo Chigi; qui i colleghi di maggioranza sono chiamati a ratificare e noi a protestare. Così, alla lunga, non funziona: fermatevi, restituiamo il giusto ruolo ai tre poteri sui quali si fonda la nostra Repubblica.
Dopo l'appello del Presidente Napolitano, dopo la tregua chiesta in occasione del G8, il Presidente è tornato a insistere su un confronto civile, su una convergenza, almeno sui grandi temi. Ci aspettavamo che l'avvio della sessione di bilancio, con l'esame del DPEF, del provvedimento sull'assestamento di bilancio e del presente decreto-legge, fosse la prima occasione, fosse il banco di prova.
Dove sta l'inefficacia dei vostri provvedimenti? Sta nella mancanza di aver aperto un tavolo di crisi che guardasse più lontano rispetto a quello cui riuscite a guardare voi. Se questo Paese, che incontra più difficoltà degli altri, avesse avuto la capacità di fare questo, pensate con che forza e che messaggio si sarebbe mandato al Paese stesso, che ha bisogno di ricevere segnali per rimboccarsi le maniche.
Noi eravamo qui, siamo ancora qui e lo diciamo da mesi, ma siamo giunti ormai alla convinzione che, alla fine, sarete voi che ci costringerete a prendere un'altra strada, quella dello scontro vero, affinché il Paese sappia dove lo state portando (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Melis. Ne ha facoltà.

GUIDO MELIS. Signor Presidente, vista l'ora tarda potrei forse cavarmela anch'io, citando le autorevolissime espressioni di dissenso nei confronti di questo provvedimento e della linea economica che esso esprime, sia pure temperate da self control istituzionale, da parte del Governatore della Banca d'Italia, eloquenti e chiarissime, e anche da parte dello stesso presidente del CNEL, Marzano, che, sia pure con garbo, non ha lesinato le sue riserve. Del resto, il CNEL, nel documento approvato dalla I Commissione, ha messo in rilievo già da qualche giorno come il provvedimento in esame si limiti a finalizzare Pag. 132diversamente risorse disponibili che erano state sin qui non utilizzate e ha rilevato come manchino nel decreto in esame misure effettivamente idonee a sostenere la domanda interna, soprattutto per i consumi delle famiglie e ciò malgrado dai dati contenuti nel rapporto sul mercato del lavoro in corso di predisposizione nello stesso CNEL emerga una prospettiva certa di caduta dell'occupazione, almeno sino al primo semestre del 2010 e una dinamica piatta delle retribuzioni, di fatto inferiore a quella sia pur bassa del tasso di inflazione.
La critica si può riassumere a buon diritto in una battuta: se si vuole davvero rilanciare la domanda interna sono indispensabili interventi seri di sostegno dei redditi con un'utilizzazione mirata della leva fiscale. Ci vuole, insomma, una strategia precisa ed è questo che manca perché è palese l'insufficienza e direi la pochezza del provvedimento in esame, tanto più in un quadro di progressivo peggioramento della situazione economica, attestato ormai da tutte le fonti e gli indicatori, pubblici e privati, a cominciare da quegli indici ISTAT che, a seconda della convenienza, il Governo cita quando gli conviene o contesta come irrilevanti quando lo disturbano.
Non solo la crisi c'è, persiste e si aggrava ad onta dei segnali di artificiale ottimismo che le si vogliono vanamente opporre ma tutto lascia presagire che il peggio, soprattutto sul fronte dell'occupazione, debba ancora venire. Sinora, lo riconosce anche il CNEL, la caduta della produzione non ha avuto che riflessi marginali sull'andamento dell'occupazione dipendente. Nei prossimi mesi, però, l'aggiustamento degli indici di produttività delle aziende non potrà non determinare una brusca caduta dell'occupazione, con il rischio di perdere, entro la metà del 2010, almeno un milione di posti di lavoro. Succede come nelle alluvioni: l'ondata di piena del fiume deve ancora arrivare a valle e sarà certamente molto più drammatica e devastante di quanto non siano state sinora le pur allarmanti avvisaglie che abbiamo già registrato.
Tutto questo, signor Presidente, accade in un Paese nel quale la previsione di evoluzione del PIL reale è passata da -4,2 per cento a -5 per cento (qualcuno dice -6 per cento), smentendo clamorosamente tutte le precedenti e rassicuranti previsioni governative. Come scrivono i giornali in questi giorni - e sarebbe bene che gli Italiani lo memorizzassero - sulle previsioni dunque aveva ragione il governatore Draghi e aveva torto il Ministro Tremonti: in un Paese nel quale le entrate fiscali, se si proiettano i dati derivanti dagli accertamenti dei primi cinque mesi dell'anno, faranno registrare una flessione pari a - 7,24 per cento, dato in peggioramento anche rispetto a quello reso noto nel mese di aprile che era pari a -6,49 per cento, a fronte di questa flessione, tornerò poi sul tema, il Governo non trova di meglio che ricorrere a questo che si chiama «scudo fiscale» ma che io vorrei chiamare con il suo nome, «condono tombale». Del resto, lo dico per inciso, se l'evasione è così alta, se la fuga dei capitali all'estero ha toccato negli ultimi cinque anni livelli da record, ciò non può essere certo disgiunto da quei messaggi più o meno subliminali ma spesso espliciti, diffusi da fonti autorevolissime, in primis il Presidente del Consiglio in persona, che si sono voluti dare al Paese, istigando in qualche modo allo sciopero fiscale.
A fronte di una situazione che non esiterei a definire gravissima c'è questo provvedimento che è poco incisivo e tanto frammentario da apparire perfino contraddittorio. È poco incisivo perché non sceglie di fatto alcun punto di attacco alla crisi e non influisce in alcun modo su quel rilancio della domanda interna che della strategia anticrisi dovrebbe essere il fulcro (e di fatto ne è fulcro nei Paesi vicini, il volano fondamentale di questa strategia); si limita ad intervenire qua e là rapsodicamente, utilizzando una tecnica da restauro conservativo, mentre occorrerebbe una radicale terapia anche chirurgica di ricostruzione e ridefinizione su nuove basi del nostro stesso apparato produttivo.
A me sembra che vi sia dietro questo, come in altri provvedimenti da voi assunti, Pag. 133una carenza di visione di lungo periodo, una irresponsabile ignoranza delle debolezze strutturali del nostro sistema, una incapacità totale di porvi rimedio.
Le politiche coraggiose messe in atto altrove attraverso la leva fiscale, attraverso l'intervento dei poteri pubblici nell'economia - come le scelte, ad esempio, della Presidenza Obama negli Stati Uniti d'America, se vogliamo citare il caso più importante di queste politiche, ma che si riscontra anche in molti altri Paesi - non si confanno ad un Governo al quale il riferimento elettoralistico ai ceti più parassitari e alle componenti più corporative della società italiana impedisce di fatto qualunque politica seriamente e coraggiosamente riformatrice.
Questo è il punto. Da questa crisi, che è sta descritta così bene dai miei colleghi, si esce solo ripensando l'intero disegno del sistema economico, superando i limiti ormai evidenti di una vocazione pressoché esclusiva all'esportazione del made in Italy, individuando gli assi portanti dell'economia del futuro, investendo in ricerca, in conoscenza, in istruzione superiore, in università, in scuola, e non vivacchiando la giornata in attesa che passi la nottata, come si fa.
È anche frammentario questo provvedimento. Mi si consenta di dire - riprendendo una critica espressa autorevolmente dal Presidente della Repubblica sul pacchetto sicurezza - che anche qui vi è la solita contraddittoria «ammucchiata» in un unico testo contenitore di misure, le più varie, relative a materie le più differenziate.
Ho provato a scorrere tutto il testo con attenzione, registrando gli argomenti; alla fine mi sono stancato, c'è di tutto. Si va dalle semplici proroghe di termini in scadenza di precedenti norme al tema importantissimo delle missioni internazionali, che forse richiedeva un intervento specifico e che appare ultroneo al contenuto economico del provvedimento.
Ci sono le norme sulla composizione del Consiglio della magistratura militare, sulle quali forse tornerò in chiusura, norme sul funzionamento della Corte dei conti, norme introdotte da un emendamento clandestino e dell'ultimo minuto sul danno erariale che andrebbero discusse a sé, norme sul concorso delle Forze armate nel controllo del territorio, sull'ENAC (l'Ente nazionale per l'aviazione civile), norme sulla tutela amministrativa del segreto di Stato, sulle classifiche di sicurezza in relazione alle missioni militari e sulle frodi in tema di invalidità civile. Di tutto un po'.
Forse ho dimenticato qualche tema o qualche sotto-tema. Alcuni, del resto, sono stati aggiunti in Commissione quasi fuori tempo, secondo una prassi di legislazione frenetica e improvvisata che non trova precedenti nella recente storia legislativa in Italia, o perlomeno non trova precedenti di queste proporzioni.
Il mal vezzo è sempre lo stesso: il decreto-legge, di approssimativa titolazione, diventa come il traino per un microintervento normativo che si ingerisce in complessi legislativi esistenti, ne modifica senza logica unitaria parti talvolta anche molto periferiche, contribuisce al difetto fondamentale della nostra produzione normativa recente, che è quello della sua occasionalità, della sua scarsa coerenza, della sua scarsa organicità interna.
Vi sono poi alcuni snodi sui quali non si può non intervenire. Uno, il primo, ha costituito oggetto del dibattito di questa giornata e lo riprendo anch'io ed è quello relativo al cosiddetto scudo fiscale. Dite di voler far rientrare, con questa specifica norma, i capitali illecitamente portati all'estero. Facendovi forti della situazione eccezionale ci proponete in pratica niente più che un condono, l'ennesimo condono dopo i giuramenti solenni di non ricorrere più a questo tipo di provvedimenti. E che condono! Vi ricordiamo che le condizioni stabilite dai principali Paesi europei per realizzare questo stesso obiettivo oscillano tra una tassazione integrale dei capitali esportati con l'agevolazione rappresentata dalla sola eliminazione delle sanzioni, come nel caso della Gran Bretagna, e la fissazione di una trattenuta fiscale pari a Pag. 134quella prevista per la tassazione delle rendite finanziarie che in Germania, ad esempio, è del 25 per cento.
Nessuno - dico nessuno - dei grandi Paesi nostri competitori in Europa prevede l'anonimato degli evasori. Stiamo parlando - vorrei che fosse chiaro a tutti - di una cifra che si aggira tra i 70 e i 150 miliardi di euro portati all'estero dal 2003, l'anno del precedente condono, e quindi accumulatisi in cinque anni. Per questa cifra, se ragionassimo come dovremmo sulla base del fatto che si tratta di reddito illecitamente trattenuto all'estero, dovremmo applicare per lo meno una quota pari al 12,5 per cento, senza contare la mancata restituzione del fiscal drag che porterebbe l'aliquota al 23 per cento.
Voi ci proponete un'imposta straordinaria pari al 50 per cento, il che porta alla conclusione - notava anche Il Sole 24 Ore di avantieri - che il costo dello scudo oscillerà tra l'1 e il 5 per cento del valore delle attività emerse. Aggiungete che sarebbe garantito l'anonimato, che vi sarebbe l'impegno dello Stato a non considerare i capitali così condonati in occasione di futuri accertamenti. Quindi, c'è una colossale una tantum per chiudere il contenzioso. In definitiva, si tratta di un condono tombale.
Lasciamo da parte il fatto, pure gravissimo, che così facendo non vi interessate per nulla dell'origine di questi capitali esportati illegalmente, né vi domandate, come sarebbe opportuno, oltre che doveroso, se per caso non derivino da attività illecite, criminose, magari anche mafiose. Lasciamo da parte questo punto, sebbene vorrei rimarcare la contraddizione clamorosa di una politica della sicurezza che fa la faccia feroce verso l'immigrazione e poi costruisce ponti d'oro ai grandi evasori e ai criminali finanziari.
Atteniamoci alla norma che proponete. Il CNEL, che non è l'ufficio studi del Partito Democratico, né dell'opposizione, ma è un organo costituzionale, parla apertamente di trattamento di favore sul terreno quantitativo che riduce notevolmente l'entità del gettito acquisibile. Osserva, inoltre, che il fatto che in soli cinque anni sia stato possibile costituire un così ingente patrimonio all'estero, senza considerare l'ipotesi che derivi da attività malavitose, pone l'esigenza di dare segnali di rigore, ricostruendone le origini e utilizzando il quadro così delineato per contrastare le successive attività di evasione fiscale.
Una volta fatta questa colossale sanatoria a prezzi da svendita sarà ben difficile respingere la pressione volta ad ottenere misure analoghe di agevolazione per evasioni ed elusioni fiscali di minore entità. Insomma, se privilegiate i grandi evasori, come potete poi deludere le speranze di sanatoria dei piccoli e come sarà possibile con queste credenziali essere credibili in Europa nella lotta, che pure proclamate di voler fare, ai paradisi fiscali? È un regalo di proporzioni tali a chi ha violato consapevolmente la legge che avrebbe potuto limitarsi almeno alla non applicazione delle sanzioni penali previste, ma voi volete aggiungere un premio - e che premio! - costituendo un precedente che non potrà non esercitare influssi negativi sul complesso della politica fiscale futura dello Stato.
C'è un punto che vorrei affrontare in coda, quasi una parentesi minore che deriva dal fatto che appartengo alla Commissione giustizia e questo punto mi ha toccato da vicino. Mi riferisco all'intervento sulla disciplina del Consiglio della magistratura militare con proroga di due mesi dell'attuale composizione del Consiglio medesimo, che avrebbe dovuto essere rinnovata secondo regola a settembre e che viene invece rinviata a novembre con riduzione dei membri stessi del Consiglio da nove (sette secondo la riduzione già introdotta con la legge finanziaria) a cinque, dei quali solo due togati. Nel precedente assetto i togati erano in numero di cinque. Si tratta di una piccola riforma, forse apparentemente anche apprezzabile se la riportiamo a meri criteri di risparmio. Ma, attenzione, si tratta di un segnale importante se la si guarda come la prima avvisaglia di un ciclo di intervento in tema di organi di autogoverno della magistratura non solo più militare, ma anche civile, Pag. 135in futuro, ispirato, come abbiamo capito da qualche accenno, alla medesima filosofia: ridurre nel numero questi organi di autogoverno, tagliare al loro interno la componente togata a vantaggio di quella politica, mortificare la magistratura, ridurre implicitamente il ruolo e l'indipendenza pur costituzionalmente garantita di questi organismi. Anche la proroga, prevista dal testo, di questo Consiglio appare francamente inspiegabile, a meno che non si voglia partendo da qui preparare la strada per un ciclo di controriforme della giustizia più volte annunciato in Commissione e in Assemblea.
Concludo. Il nostro giudizio sul complesso del provvedimento è dunque fortemente negativo, sia per molti dei suoi contenuti, sia soprattutto per la logica che lo domina, per l'affastellamento di materie che vi è stato concentrato, per l'incapacità di questo provvedimento di aggredire la crisi economica nella sua reale portata. Dobbiamo ancora una volta esprimere una preoccupazione di fondo per l'incapacità dimostrata da questo Esecutivo nell'affrontare i nodi della crisi economica e finanziaria in atto. Questa crisi sarà un momento di passaggio molto importante, come scrivono ormai tutti gli economisti. C'è una letteratura su questo. Quando finalmente la tempesta sarà passata - perché noi ci auguriamo naturalmente che passi, e presto - anche in virtù delle politiche coraggiose che altri Governi al mondo stanno mettendo in atto in questo momento, temo che l'Italia dovrà scontare amaramente la cecità dei suoi attuali gruppi dirigenti e l'insufficienza della sua classe politica e di Governo, che non ha saputo prevedere la portata della crisi, né opporle una strategia che fosse capace veramente di contrastarla.
Capiremo allora con amarezza quanto terreno abbiamo perduto in questi mesi ed è possibile che usciremo da quel gruppo di testa dei Paesi capitalistici in cui siamo stati da parecchi decenni a questa parte (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giovanelli. Ne ha facoltà.

ORIANO GIOVANELLI. Signor Presidente, ancora una volta abbiamo perso un'occasione per fare un dibattito sulla crisi che sta coinvolgendo il nostro Paese e sulle sue ricadute sociali, un dibattito nel quale il Paese e il popolo italiano si potesse specchiare, un dibattito per il quale si potesse dire una volta tanto: «si stanno preoccupando di noi», da parte dei nostri cittadini. Non può essere infatti considerato un dibattito serio quello che c'è stato in Commissione, che di fronte a provvedimenti come questi assume più l'aspetto di un suk arabo, senza averne né i colori né gli odori. Tanto meno questo, perché un dibattito serio comporta che ci si ascolti, che ci si comprenda, che le opinioni concorrano tutte ad una decisione.
Sono questi i frangenti gravi in cui la politica e le istituzioni acquistano un senso; sono questi i frangenti in cui il rapporto tra i cittadini e le istituzioni si può rafforzare oppure ulteriormente logorare. Questo è un punto rilevante poiché un Paese serio di fronte ad una crisi così profonda richiama tutte le sue forze, istituzionali e sociali, ad uno sforzo comune: il Governo, il Parlamento, le regioni, gli enti locali, gli imprenditori, i sindacati. Niente di tutto questo è stato fatto, tanto meno in questa occasione.
Eppure la forza morale di un Paese - ormai lo riconoscono anche gli economisti premi Nobel - è uno dei fattori più potenti per creare le condizioni di crescita e per uscire da situazioni di difficoltà. Quale avrebbe dovuto essere il bandolo della matassa, oggettivamente complessa e complicata, da tenere saldamente in mano? Lo voglio dire con parole non mie, che cito con un certo timore reverenziale: «Rispetto a quanto accadeva nella società industriale del passato, oggi la disoccupazione provoca aspetti nuovi di irrilevanza economica e l'attuale crisi può solo peggiorare tale situazione. L'estromissione dal lavoro per lungo tempo oppure la dipendenza prolungata dall'assistenza pubblica o privata minano la libertà e la creatività Pag. 136della persona, i suoi rapporti familiari e sociali, con forti sofferenze sul piano psicologico e spirituale. Desidererei ricordare a tutti, soprattutto ai governanti impegnati a dare un profilo rinnovato agli assetti economici e sociali del mondo, che il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l'uomo, la persona nella sua integrità. L'uomo infatti è l'autore, il centro e il fine di tutta la vita economica e sociale». Sono parole di Benedetto XVI nell'enciclica Caritas in veritate.
Questa è l'etica che dovrebbe ispirare le misure di un Governo, se solo sapesse il senso delle parole «etica della responsabilità». C'è qualcosa di tutto questo in questo decreto-legge? C'è qualcosa di questo nel decreto-legge su cui vi apprestate per l'ennesima volta a porre la fiducia? Decisamente no.
Sapete qual è stata un'affermazione che mi ha fatto un imprenditore del mio territorio? Mi ha detto: vedi, se metto al minimo la mia impresa e utilizzo gli ammortizzatori sociali, se prima guadagnavo dieci, credimi, alla fine guadagnerò uno, ma guadagnerò uno. Se poi mi fanno anche la Tremonti-ter, comprerò anche un macchinario nuovo. Sono i lavoratori a cui dovete pensare: queste sono parole responsabili, di chi sa che il capitale umano nel lavoro, nelle nostre piccole e medie imprese, è una questione fondamentale; voi, invece, nella gestione di tutta questa vicenda, di tutta questa crisi, avete scelto scientemente di scaricare la crisi sui più deboli.
Di fronte ai dati della disoccupazione, che rischia di tornare a due cifre, e all'esaurirsi della copertura degli ammortizzatori sociali, questa era un'occasione in cui dovevate prendervi la responsabilità di rafforzare l'intervento sociale e porgere la mano alle migliaia di lavoratori che stanno rischiando di perdere il lavoro, di coloro che sono in cassa integrazione e vedono esaurirsi questa copertura.
Voi li abbandonate a loro stessi, come abbandonate a loro stesse migliaia e migliaia di piccole aziende, che si reggono solo sulla caparbietà, la proverbiale caparbietà dell'imprenditore italiano, senza sapere se questa volta basterà.
Questo provvedimento ha una natura che ha poco a che vedere con il titolo di un decreto finalizzato ad affrontare la crisi. A me sembra, francamente, che abbia più l'aspetto dei decreti omnibus, cosiddetti milleproroghe, su cui si scatenano le lobby. Alcuni interventi hanno già messo in evidenza quanto abbiano operato alcune lobby, anche durante il lavoro di implementazione, diciamo così, fatto in Commissione su questo decreto.
Magari a voi queste lobby sono care, ma non potete illudere gli italiani che è così, con questo tipo di provvedimenti, che inciderete e incideremo sugli effetti della crisi, né - e questa è la questione che angoscia anche di più - che creerete le condizioni perché il Paese possa ripartire, non dico con slancio, ma con un minimo di grinta e di fiducia e soprattutto avendo messo a posto alcune delle sue debolezze strutturali, quando la crisi volgerà al termine.
Ma non è tutto qui: per alcuni aspetti rilevanti, il decreto è anche uno sberleffo e non vi è niente di più dannoso, appunto, per la coesione e per la tenuta di un Paese in un momento di difficoltà, che percepire che chi lo governa lo prende anche in giro.
È così sulla questione del rientro dei capitali dall'estero, che, sostanzialmente, continuerà a premiare i soliti furbi e a penalizzare le imprese serie e i cittadini che pagano le tasse; è così, come è stato giustamente e ripetutamente ricordato nel dibattito di oggi, sulla questione della restituzione dei tributi non versati da parte delle popolazioni dell'Abruzzo colpite dal terremoto. Questi sono veri e propri schiaffi dati in faccia alle persone serie e alle persone che hanno sofferto e stanno soffrendo.
Infine, anche in considerazione del ruolo che rivesto come componente della Commissione affari costituzionali, non posso non dire che ci troviamo di fronte all'ennesimo decreto-legge che dà un ennesimo colpo alla cultura costituzionale e alla correttezza costituzionale. Pag. 137
Credo che non ci si debba mai stancare di richiamare l'attenzione di tutti i cittadini sul processo di logoramento incessante che da mesi e mesi ormai si porta avanti sul tema della correttezza costituzionale, della democrazia nel nostro Paese. Il Governo presenta un decreto-legge, lo sottopone alla firma del Presidente della Repubblica, esso arriva in Parlamento per essere convertito in legge, e non solo si cambiano alcuni aspetti: viene completamente snaturato! Un decreto-legge diventa tre, quattro decreti-legge! Si fanno riforme con emendamenti. E tutto ciò ovviamente viola non soltanto le prerogative del Parlamento, ma rappresenta anche un elemento di grave scorrettezza nel rapporto fra il Governo e la Presidenza della Repubblica.
Abbiamo il dovere di richiamare gli italiani all'attenzione su questi aspetti, alla sensibilità rispetto a questi temi: perché è senz'altro vero che abbiamo una difficoltà nel processo decisionale, ma potremmo rimpiangere di non aver difeso fino in fondo gli istituti democratici che sono alla base della nostra convivenza civile, che sono alla base di un corretto rapporto fra i poteri dello Stato, che sono alla base di un'idea che ci fa dire Paese democratico (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lo Moro. Ne ha facoltà.

DORIS LO MORO. Signor Presidente, è la prima volta che partecipo ad una seduta notturna, e avere il privilegio di essere l'ultima mi mette nelle condizioni di approfittare anche della vostra stanchezza, oltre che della mia. Anche per questo entrerò subito nel merito del problema che vorrei segnalare al Governo, all'Aula e al relatore, oltre che al Comitato dei diciotto nel suo complesso.
Mi sarebbe piaciuto utilizzare qualche minuto per parlare del Meridione, ma lo hanno fatto altri. Ne approfitto soltanto per dire una cosa sul Meridione: nel decreto-legge in esame, che dovrebbe essere un decreto-legge anticrisi, non si coglie nessuna strategia di contrasto della crisi in atto, e tanto meno di contrasto di una crisi che per quanto riguarda le regioni meridionali, proprio per il deficit strutturale, che non è certo un deficit nato in questi ultimi mesi, in questi ultimi anni, avrebbe bisogno di terapie d'urto, che peraltro sono state anche sollecitate di recente in maniera molto autorevole. E l'occasione di questa sollecitazione, che proviene dal Presidente Napolitano, che è stato molto citato in Aula in questa lunga giornata di lavoro, è stato un rapporto dello Svimez che è stato presentato, del quale vorrei soltanto sottolineare un aspetto: spesso si parla di fuga dei cervelli, di fuga dal Sud dei giovani. Vorrei dirvi solo questo: come meridionale, come donna del Sud, e quindi come madre del Sud, non sono d'accordo che si continui a parlare di fuga dei cervelli, perché i cervelli calabresi sono validi, sia quelli che vanno via, quelli dei giovani laureati spesso con 110 e lode che lasciano la Calabria, sia quelli che invece, magari sempre laureati con 110 e lode, rimangono faticosamente in una terra che sembra non avere fortuna, e che sembra non trovare la strada anche per avere quella classe dirigente responsabile, che tutti noi auspichiamo che abbia.
Il problema del Meridione è quindi quello di invertire la tendenza, non soltanto con investimenti infrastrutturali, che non possono essere quelli di cui si è data notizia oggi pomeriggio in una dichiarazione ANSA che ho stampato, il solito ponte sullo Stretto che si agita ogni tanto, ma con interventi che diano una risposta in termini di lavoro e in termini di prospettiva ai giovani, perché non si continui a parlare di fuga, e perché non si continuino a registrare assenze ed emigrazione da una terra che ha già dato validi ed enormi contributi alle altre regioni, e soprattutto alle regioni settentrionali.
Proprio perché devo rimanere nei tempi, non mi dilungherò sul meridione. Desidero però trattare due argomenti, uno brevemente e uno più diffusamente, che Pag. 138riguardano le competenze della Commissione cui appartengo, la Commissione affari costituzionali.
Uno di tali argomenti è stato già trattato e lo affronterò dunque rapidamente: è quello della sanatoria di badanti e colf. Non lo dico per spirito polemico, ma anche su questo fronte, desidero cogliere l'occasione per dire che il Parlamento dovrebbe aver un sussulto di dignità e ribellarsi a questa logica per cui, a ogni seduta, ci troviamo a ritornare immotivatamente (o meglio, con motivazioni che non sono esprimibili e che comunque non si colgono nel dibattito) su provvedimenti che abbiamo già discusso. Il nostro gruppo parlamentare si è opposto in maniera molto forte al reato di clandestinità: vi è stata una lacerazione profonda, che probabilmente ha riguardato non solo il Parlamento ma anche il Paese, sia su questo fronte, sia su quello delle ronde, innestando un dibattito ancora tutto aperto, che fra l'altro ha avuto anche riflessi fuori dall'Italia, come tutti sappiamo, tant'è che dobbiamo fare i conti anche con i rilievi critici che ci sono stati mossi.
Ma l'aspetto che rileva in questo momento è che, con questo decreto, si coglie l'occasione di far passare una vera e propria sanatoria che comporta una nuova e ulteriore discriminazione. Oggi ho ascoltato la giovane relatrice, l'onorevole Moroni, parlare di «buona immigrazione». Ebbene, è impressionante che, al fine di giustificare la scelta di questa sanatoria, non si torna sull'argomento in maniera autocritica, non si trova la soluzione magari ammettendo di aver sbagliato e cancellando il reato di clandestinità (cogliendo così lo spirito delle osservazioni critiche che emergono a piene mani dalla lettera con cui Napolitano ha promulgato la legge): no, se ne parla utilizzando nuovi concetti. Così, oggi abbiamo appreso che esiste una «buona immigrazione» e una «cattiva immigrazione», e che guarda caso la buona immigrazione - mi pare di capire - è quella che ci serve, mentre la cattiva immigrazione è quella di soggetti che hanno le stesse caratteristiche umane e personali, ma che evidentemente non ci servono. Credo che anche questo sia un brutto momento.
Anziché risolvere i problemi di costituzionalità che erano stati sollevati, questo modo di procedere li sta aggravando, poiché stiamo discriminando all'interno del mondo dell'immigrazione, e stiamo arrogandoci noi il diritto di definire ciò che ci serve e ciò che non ci serve e di definire conseguentemente buono ciò che ci serve e cattivo ciò che non ci serve. Il Parlamento, insomma, si sta arrogando il diritto di non rispettare i diritti degli altri e di non lavorare con quello spirito di solidarietà che non solo è stato sempre lo spirito del popolo italiano, ma è anche il valore della nostra Costituzione. Mi sarebbe piaciuto dirlo alla giovane relatrice: questo non è certamente un bel modo di procedere quando si parla di diritti e di valori che riguardano le persone, persone come noi.
Il secondo argomento che desidero trattare, poiché non è stato fin qui trattato e dunque il senso di responsabilità mi induce a portarlo alla vostra attenzione, è l'articolo 22. In questa lunga giornata, mi sono domandata per quale ragione non si è parlato di questo articolo. Il decreto anticrisi - vicino a me è seduto il Presidente del Comitato per la legislazione, che molto si sforza di sollecitare in questo senso - sin dal suo stesso titolo non presenta nulla che faccia pensare che esso possa contenere anche qualcosa che non ha niente a che fare con la crisi, qualcosa che ha che fare con un problema importante e probabilmente difficile da risolvere: quello cioè della sanità calabrese, e della sanità in generale.
Abbiamo dunque un articolo che è sganciato dal resto del contesto - del resto, non è l'unico che presenta queste caratteristiche - ma che riguarda il settore sanitario. Esso presenta aspetti che sono stati discussi e sollevati nella Commissione affari costituzionali e di cui è giusto che resti traccia nel resoconto della nostra seduta.
Sono due i commi incriminati (e non è solo una discussione di merito ma di Pag. 139costituzionalità, quella che sto ponendo): i commi secondo e quarto dell'articolo 22. Non è una novità che se ne discuta perché anche nello stampato vediamo che il primo parere che viene allegato è proprio quello della Commissione affari costituzionali; quello che sto per dire non lo afferma l'opposizione o il gruppo del Partito Democratico, ma lo dice appunto - anche se in maniera debole e concludendo poi con l'espressione di un parere favorevole con osservazioni - il parere che poi è stato approvato a maggioranza dalla Commissione affari costituzionali con un voto contrario motivato in maniera anche molto appassionata ed articolata del gruppo del Partito Democratico.
Sono due i commi, come dicevo. Il primo è il comma 2 con il quale si istituisce un fondo con dotazione pari a 800 milioni di euro a decorrere dall'anno 2010 e si prevede che per quello che riguarda la finalizzazione di questo importo debba essere «sentita» la Conferenza Stato-regioni.
In questo articolo, in questo innocuo riferimento alla Conferenza Stato-regioni che dovrebbe essere «sentita» e dunque dovrebbe esprimere semplicemente un parere, vi è un capovolgimento di quelli che sono i rapporti attuali tra lo Stato e le regioni e di quello che è il senso ed anche il valore costituzionale che viene riconosciuto a quel luogo fisico ed ideale che è costituito dalla Conferenza Stato-regioni.
Ci sono sentenze che vengono citate nel parere - scritto, ribadisco, con la collaborazione degli uffici ed approvato appunto dalla maggioranza di Governo - e che ribadiscono che quando si tratta di argomenti di questo genere (stiamo parlando di fondo sanitario, di sanità ed ovviamente di un settore in cui le regioni hanno un potere ed una responsabilità enormi, pur rimanendo in capo allo Stato il potere-dovere di controllare il rispetto dei LEA su tutto il territorio nazionale) non è sufficiente un parere della Conferenza Stato-regioni, ma è necessaria un'intesa, che è cosa completamente diversa dal parere perché l'intesa va raggiunta e quindi richiede uno sforzo anche di rapporti, una mediazione alta che comporta e che sottende anche un rispetto tra le istituzioni.
In Commissione - lo dico adesso, ma ciò vale anche per l'altro comma - il relatore di maggioranza ha detto che vi è difficoltà nei rapporti all'interno della Conferenza Stato-regioni, che vi è immobilismo e che ci dobbiamo liberare - volgarizzo io - di questo legaccio, di questo impedimento.
Allora con una legge che viene votata dal Parlamento si fa in modo che questi che sono rapporti consolidati - quelli dell'intesa e della leale collaborazione tra lo Stato e le regioni, che vengono considerati anche dalla giurisprudenza della Corte costituzionale oramai una necessità di rango e di ordine costituzionale - vengano cancellati con una innocua norma in cui sembra che non si decida nulla ed invece quel «sentita» significa che non vi è più un luogo importante, faticoso, duro nel quale vi è un confronto leale tra lo Stato e le regioni, ma vi è invece un luogo dove, se vogliono, le regioni si esprimono, altrimenti se ne fa a meno.
Ma dove poi le cose peggiorano - e guarda caso ciò riguarda proprio la mia regione - è nel comma 4.
Mi sono chiesta: quante persone ci hanno fatto caso? Non vi è dubbio infatti che la sanità calabrese è stata oggetto di tante discussioni e non vi è dubbio che vi è una tendenza ed un atteggiamento oggi sfavorevoli al Meridione. Dobbiamo dircela tutta, ma quando si parla di Calabria - lo sto vivendo sulla mia pelle - è difficile a volte anche essere ascoltati, soprattutto quando si parla di una regione che ha grossi problemi (e ve lo dice una persona che fino a poco tempo fa era proprio l'assessore regionale alla sanità di questa regione).
Io stessa potrei dirvi di quanto sofferta è la mia posizione mentre parlo, perché io stessa sono molto critica nei confronti della sanità calabrese.
Ma qui non stiamo discutendo del merito del problema e nessuno si sta scandalizzando davanti alla prospettiva che una qualsiasi regione, a partire dalla Calabria Pag. 140che è stata citata espressamente, possa essere commissariata. Qui stiamo dicendo un'altra cosa: questo comma lede, ancora una volta, i principi costituzionali, laddove stabilisce che i presupposti per il commissariamento non sono quei paletti e quelle motivazioni richiesti dalla sentenza della Corte costituzionale citata nel parere (per non appesantire il discorso, non faccio riferimenti molto tecnici, che allungherebbero la discussione, che si avvicina al termine della mezzanotte). Si prevede un'altra cosa: si dice che la regione è costretta ad un piano di rientro che deve elaborare e depositare entro settanta giorni, e si prevedono le misure se questo non viene depositato, o non appare congruo. Ma a chi dovrebbe apparire congruo? Qui avviene qualcosa che trovo scandaloso. Io, che sono così critica della sanità calabrese, che ho lasciato la Calabria in maniera critica nei confronti della sanità calabrese, trovo del tutto inopportuno un discorso di questo genere, oltre che incostituzionale. Si stabilisce che la congruità del piano non la stabilisca un organo tecnico, un luogo terzo, la Conferenza Stato-regioni, il famoso e famigerato tavolo Massicci (famoso per la serietà del suo comportamento), ma i Ministeri, il Governo.
Assistiamo al fatto che su una qualsiasi regione, a partire dalla mia Calabria, penderebbe, da questo momento in poi, una spada di Damocle, per cui se piace il piano, se conviene, se politicamente sembra opportuno...se, tanti se, le motivazioni mettetele voi. Se il Governo decide che la Calabria vada commissariata può esserlo senza quelle motivazioni e procedure che sono di rilevanza costituzionale. Non si può procedere così nemmeno nei confronti di una regione che sicuramente non brilla da tanti punti di vista, soprattutto nel settore della sanità.
Ma vi è di più, lo dico per completezza (ho già detto di essere stata per lunghi, faticosi e straordinari anni assessore alla sanità): sia nel provvedimento, che nella relazione di accompagnamento, che nella relazione che ha presentato alla Commissione per gli errori sanitari di cui faccio parte, il Viceministro Fazio, ha omesso di dire - trovo che tutto questo sia gravissimo - che la Calabria è già commissariata. Il Governo Prodi, su richiesta del presidente della giunta regionale, ha già emesso un'ordinanza di protezione civile, ha già dichiarato l'emergenza economico-sanitaria nel dicembre 2007, ha già nominato un commissario. Quei numeri che vengono fatti soprattutto da Fazio, quando parla di 1.700 euro di debito da risanare, sono numeri che ha fornito proprio un commissario.

PRESIDENTE. Onorevole Lo Moro, lei non è Cenerentola, né tanto meno io sono il principe azzurro, ma sta per scoccare la mezzanotte...

DORIS LO MORO. È un commissario di nomina governativa, così come l'advisor a suo supporto. È, ritornando alla solidarietà per l'Abruzzo, un commissario che in questi momenti, in questi giorni, si aggira per l'Abruzzo, che non ha costruito nessuno dei quattro ospedali che gli erano stati affidati e che non ha affatto risolto i problemi della Calabria. Mi chiedo se il Governo aveva altri strumenti prima di commissariare la Calabria, prima di parlare in termini politici così scadenti, e se non sarebbe più giusto e più corretto cominciare a pensare a cosa sta facendo questo commissario che oggi, da quello che si vede nelle riprese televisive, è in supporto a Bertolaso e si aggira a L'Aquila non so con quali risultati: se sono quelli che ha ottenuto in Calabria sono preoccupata anche per l'Abruzzo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Comunico che, per un errore tipografico, nello stampato dell'Atto Camera 2561-A, relativo al disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 78 del 2009, all'esame dell'Assemblea, nella sola parte concernente l'allegato recante le modificazioni apportate in sede di conversione, all'articolo 1-ter, comma 4, lettera d), è stato erroneamente riportato un riferimento alla lettera f) del comma 1 - che peraltro non esiste - invece che alla Pag. 141lettera b) del medesimo comma 1. La disposizione è invece correttamente riportata nel testo a fronte del citato Atto Camera 2561-A.
Inoltre, alle pagine 74, trentasettesima riga, e 255, ventiduesima riga, del medesimo stampato, nel testo dell'articolo 19, comma 9-bis, del decreto-legge, comprendente le modificazioni apportate dalle Commissioni, le parole: «non soggetta» devono intendersi sostituite dalle seguenti: «non soggetto».
Alle correzioni si provvederà con apposito errata corrige, già preannunziato stamattina.
Il prosieguo dello svolgimento della discussione sulle linee generali è rinviato alla seduta di domani, con inizio alle ore 9.

Proposta di trasferimento a Commissioni in sede legislativa di progetti di legge (ore 23,58).

PRESIDENTE. Comunico che sarà iscritta all'ordine del giorno della seduta di domani l'assegnazione, in sede legislativa, dei seguenti progetti di legge, dei quali le sotto indicate Commissioni permanenti, cui erano stati assegnati in sede referente, hanno chiesto, con le prescritte condizioni, il trasferimento alla sede legislativa, che proporrò alla Camera a norma del comma 6 dell'articolo 92 del Regolamento:

alla IV Commissione (Difesa):
ASCIERTO: «Disposizioni per l'ammissione dei soggetti fabici all'impiego nelle Forze armate» (141);
OPPI ed altri: «Disposizioni per l'ammissione dei soggetti fabici all'impiego nelle Forze armate e di polizia» (1444);
SCHIRRU: «Disposizioni per l'ammissione dei soggetti fabici all'impiego nelle Forze armate e nelle Forze di polizia» (2357);
(La Commissione ha elaborato un testo unificato).

alla VII Commissione (Cultura):

DISEGNO DI LEGGE DI INIZIATIVA DEL GOVERNO: «Riconoscimento della personalità giuridica alla Scuola per l'Europa di Parma» (2434).
(La Commissione ha elaborato un nuovo testo).

Modifica nella composizione del Comitato per la legislazione.

PRESIDENTE. Comunico che a norma dell'articolo 16-bis, comma 1, del Regolamento, il Presidente della Camera ha chiamato a far parte del Comitato per la legislazione l'onorevole Anna Maria Bernini Bovicelli in sostituzione dell'onorevole Franco Stradella, dimissionario.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Giovedì 23 luglio 2009, alle 9:

1. - Assegnazione a Commissioni in sede legislativa delle proposte di legge nn. 141, 1444 e 2357 e del disegno di legge n. 2434.

2. - Seguito della discussione del disegno di legge (per il seguito della discussione sulle linee generali e il seguito dell'esame):
Conversione in legge del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, recante provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali (2561-A).
- Relatori: Moroni, per la V Commissione; Fugatti, per la VI Commissione.

Pag. 142

PROPOSTA DI LEGGE DI CUI SI PROPONE L'ASSEGNAZIONE A COMMISSIONI IN SEDE LEGISLATIVA

alla IV Commissione (Difesa):
ASCIERTO: «Disposizioni per l'ammissione dei soggetti fabici all'impiego nelle Forze armate» (141);
OPPI ed altri: «Disposizioni per l'ammissione dei soggetti fabici all'impiego nelle Forze armate e di polizia» (1444);
SCHIRRU: «Disposizioni per l'ammissione dei soggetti fabici all'impiego nelle Forze armate e nelle Forze di polizia» (2357);

(La Commissione ha elaborato un testo unificato) alla VII Commissione (Cultura):
DISEGNO DI LEGGE DI INIZIATIVA DEL GOVERNO: «Riconoscimento della personalità giuridica alla Scuola per l'Europa di Parma» (2434).

(La Commissione ha elaborato un nuovo testo)

La seduta termina alle 24.