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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 174 di lunedì 11 maggio 2009

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE

La seduta comincia alle 15,35.

LORENA MILANATO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 4 maggio 2009.
(È approvato).

Sull'ordine dei lavori (ore 15,37).

FABIO EVANGELISTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, preferisco riferirmi all'ordine del lavori perché non ho ancora pienamente contezza di ciò che possa essere accaduto la scorsa settimana a proposito di un verbale. Repubblica.it in queste ore mette in rete la notizia per la quale il gruppo dell'Italia dei Valori, insieme ai gruppi dell'Unione di Centro e del Popolo della Libertà, sosterrebbe l'aiuto e una certa primazia della scuola privata sulla scuola pubblica.
Per carità, non vi è niente di male: sono posizioni politiche del tutto legittime. Si può essere d'accordo o meno, però quello che ci fa specie è che non corrisponda al vero, perché si fa riferimento ad una mozione presentata in una prima istanza dal gruppo dell'Italia dei Valori, ma successivamente corredata da una nuova formulazione.
Nell'allegato A, con riferimento alla seduta del 6 maggio, a pagina 47, si cita appunto la prima mozione presentata a firma dell'onorevole Di Giuseppe e non la nuova formulazione, così come viene fatto, per esempio, per la mozione dell'onorevole Cicchitto o per il testo modificato nel corso della seduta con riferimento alla mozione di cui primo firmatario era l'onorevole Volontè.
A noi, come gruppo, risulta che la nuova formulazione sia stata correttamente consegnata. Può darsi che vi sia stato un misunderstanding, non so bene quale errore materiale, però la vorrei pregare, signor Presidente, di fare ogni verifica perché, per amor di verità, vorremmo che alla fine agli atti parlamentari risultasse esattamente il testo che è stato poi in ultimo depositato. La ringrazio.

PRESIDENTE. Onorevole Evangelisti, se mi dà il tempo di fare uno screening veloce, le potrò poi dare una risposta.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Angelino Alfano, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Carfagna, Casero, Cicchitto, Colucci, Cosentino, Cossiga, Cota, Craxi, Crimi, Crosetto, Farinone, Fitto, Formichella, Frattini, Gelmini, Gibelli, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Menia, Miccichè, Leoluca Orlando, Pini, Prestigiacomo, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Soro, Stefani, Tremonti, Urso, Vegas e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantanove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

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Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Annunzio di petizioni (ore 15,40).

PRESIDENTE. Invito l'onorevole segretario a dare lettura delle petizioni pervenute alla Presidenza, che saranno trasmesse alle sottoindicate Commissioni.

LORENA MILANATO, Segretario, legge:
MARIELLA CAPPAI, da Monserrato (Cagliari), chiede l'istituzione di una casa mandamentale dell'amministrazione penitenziaria a Muravera (Cagliari) (648) - alla II Commissione (Giustizia);
CARMINE GONNELLA, da Londra, chiede una modifica dell'articolo 77 della Costituzione, al fine di prevedere il controllo preventivo, da parte della Corte costituzionale, della sussistenza dei requisiti di necessità e urgenza dei decreti-legge (649) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
MATTEO LA CARA, da Vercelli, chiede:
agevolazioni fiscali per i piccoli commercianti e gli artigiani (650) - alla VI Commissione (Finanze);
che sia sempre consentita l'apertura domenicale degli esercizi commerciali (651) - alla X Commissione (Attività produttive);
l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui sistemi ispettivi e di controllo per i cementifici e i prodotti laterizi (652) - alla XI Commissione (Lavoro);
il riordino delle competenze delle regioni in materia agricola e forestale (653) - alla XIII Commissione (Agricoltura);
l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla struttura occulta denominata «Anello» (654)- alla I Commissione (Affari costituzionali);
MORENO SGARALLINO, da Terracina (Latina), chiede che gli enti destinatari di donazioni e contributi pubblici non possano utilizzare tali somme per attività promozionali, nonché la realizzazione di una banca dati telematica dei medesimi enti (655) - alla V Commissione (Bilancio).

Annunzio della nomina di un Ministro.

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente del Consiglio dei ministri ha inviato, in data 8 maggio 2009, la seguente lettera: «Onorevole Presidente, informo la Signoria Vostra che il Presidente della Repubblica, con proprio decreto in data odierna, adottato su mia proposta, ha nominato Ministro senza portafoglio l'onorevole Michela Vittoria Brambilla la quale cessa dalla carica di sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Cordialmente, Silvio Berlusconi».

Organizzazione dei tempi di discussione dei disegni di legge di ratifica.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione dei disegni di legge di ratifica nn. 2226, 2294, 2363 e 2362.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati all'esame dei disegni di legge di ratifica è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

Discussione del disegno di legge: S. 1302 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Federazione russa sulla cooperazione nella lotta alla criminalità, fatto a Roma il 5 novembre 2003 (Approvato dal Senato) (A.C. 2226).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Pag. 3Federazione russa sulla cooperazione nella lotta alla criminalità, fatto a Roma il 5 novembre 2003.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2226)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il vicepresidente della Commissione affari esteri, onorevole Narducci, ha facoltà di svolgere la relazione in sostituzione del relatore, presidente della Commissione affari esteri, onorevole Stefani.

FRANCO NARDUCCI, Vicepresidente della III Commissione. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'Accordo italo-russo concluso a Roma il 5 novembre 2003 prevede la reciproca collaborazione nella lotta alla criminalità in tutte le sue manifestazioni, ed è destinato, una volta entrato in vigore, a sostituire l'accordo del 1993 con il quale i due Stati si erano già impegnati a collaborare sul contrasto della criminalità organizzata e del traffico di stupefacenti e sostanze psicotrope.
L'intesa acquisisce un rilievo particolare nel contesto degli obiettivi che si pone la Presidenza italiana di turno del G8, e contribuisce ad arricchire ulteriormente il quadro delle relazioni italo-russe che in questi ultimi anni hanno raggiunto un livello di eccellenza.
Il convinto e spesso decisivo sostegno dato dall'Italia al percorso di avvicinamento russo alla comunità occidentale - Unione europea, NATO, OMC e OCSE - costituisce per il nostro Paese un capitale importante, che ha solide basi in un forte interscambio commerciale e nella nostra solida posizione nel settore energetico, e che si riflette puntualmente in numerosi incontri ad alto livello anche in ambito parlamentare. Mi preme ricordare, a questo proposito, le riunioni della Grande Commissione parlamentare italo-russa, l'ultima delle quali si è svolta nel novembre 2008.
L'Accordo consta di un preambolo e di 14 articoli. Nel preambolo, le parti contraenti, consapevoli del fatto che le diverse forme di criminalità rappresentano una seria minaccia per la sicurezza, il benessere e la salute dei propri cittadini, richiamano alcune Convenzioni internazionali in materia di lotta al traffico di stupefacenti, alla criminalità organizzata transnazionale e al terrorismo.
L'articolo 1 individua gli organi competenti per l'esecuzione dell'Accordo: in Italia, tale compito è stato conferito al dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, mentre nella Federazione russa è articolato fra diverse istituzioni. Gli organi competenti potranno, tra l'altro, firmare protocolli, creare gruppi di lavoro congiunto e organizzare incontri di esperti.
L'articolo 2 enuncia i numerosi settori in cui si articola la collaborazione, tra i quali risaltano la criminalità organizzata, il terrorismo, le sue fonti di finanziamento, il traffico di stupefacenti, il contrabbando, il traffico illecito di opere d'arte, il traffico di armi, il riciclaggio, l'immigrazione illegale, i reati informatici, la tratta e lo sfruttamento sessuale di esseri umani. Viene, peraltro, specificato che l'Accordo in esame non concerne l'assistenza giudiziaria penale o l'estradizione; si ricorda, a tale proposito, che entrambi i Paesi sono parti della Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957, nonché della Convenzione europea di mutua assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959, concluse nell'ambito del Consiglio d'Europa.
L'articolo 3 enuncia le forme che assume la collaborazione tra i due Stati, che vanno dallo scambio di informazioni operative e di esperienze degli specialisti fino alla ricerca dei soggetti sospettati di aver commesso reati ed alla reciproca assistenza nell'attività investigativa; l'articolo 4 prevede l'adozione della tecnica delle consegne controllate per l'individuazione dei soggetti che commettono il reato; l'articolo 5 individua il contenuto della richiesta di informazioni o di assistenza e prescrive che ad essa debba essere fornita tempestiva Pag. 4risposta; l'articolo 6 riguarda invece le informazioni e i dati personali oggetto di scambio tra i due Paesi, ai quali va anzitutto assicurata una protezione conforme alle rispettive legislazioni nazionali.
I dati personali potranno essere - nell'ambito di questo Accordo - ritrasmessi a terzi unicamente previa autorizzazione scritta dell'organo competente all'invio dei medesimi.
Gli articoli 7 e 9 contengono clausole di salvaguardia: il primo a tutela della sovranità nazionale, della sicurezza, di interessi fondamentali o del quadro normativo di ciascuna delle Parti, che può rifiutare in toto o in parte di soddisfare una richiesta di assistenza se ritiene che essa si ponga in contrasto con tali beni irrinunciabili; il secondo a tutela degli obblighi derivanti a ciascuna delle Parti da precedenti Trattati internazionali bilaterali o multilaterali, rispetto ai quali l'Accordo in esame non può essere pregiudizievole.

PRESIDENTE. Onorevole Narducci, deve concludere.

FRANCO NARDUCCI, Vicepresidente della III Commissione. Per quanto riguarda gli altri articoli si rimanda anche alla discussione avvenuta nella Commissione affari esteri.
Signor Presidente, durante appunto l'esame dell'Accordo tra Italia e Federazione russa nella III Commissione affari esteri sono emersi, sia da parte dell'opposizione sia della maggioranza, numerosi interrogativi sul rispetto dei diritti umani nella Federazione russa, e soprattutto la preoccupante catena di abusi a danno dei giornalisti attuati anche con l'assassinio di alcune importanti figure (come quello della giornalista Anna Politkovskaja, avvenuto il 7 ottobre 2006). Ciò ha richiesto un approfondimento sostanziatosi con l'audizione di rappresentanti di Amnesty International sulla situazione dei diritti umani nella Federazione russa.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della relazione.

PRESIDENTE. Onorevole Narducci, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, l'Accordo italo-russo oggi alla nostra attenzione siglato a Roma, come è stato ricordato, il 5 novembre 2003 riguarda, in sintesi, la prevenzione e la repressione dei reati, soprattutto di quelli in forma organizzata concernenti appunto la criminalità organizzata, il terrorismo, il traffico illecito di sostanze stupefacenti, il traffico illecito di armi, di sostanze esplosive e tossiche, di materiale radioattivo, infine il riciclaggio ed altre tipologie di reato, tra le quali anche i reati in ambito informatico.
Al fine di condurre tale azione di prevenzione viene stabilito tra i nostri due Paesi uno scambio di informazioni operative e di carattere giuridico, la ricerca e l'identificazione dei responsabili dei reati indicati, l'assistenza in attività investigative, lo scambio di esperienze di specialisti, l'addestramento. Insomma, se potessimo fare un paragone azzardato ed un tantino ardito si tratta di quello che avviene normalmente nell'ambito delle alleanze Europol ed Interpol.
L'intesa prevede che la cooperazione tra i nostri due Paesi si possa effettuare tramite i rispettivi organi competenti specificamente indicati, che potranno essere variati mediante comunicazioni per le vie diplomatiche.
C'è da dire e da sottolineare, però, che in questa azione di coordinamento e controllo, mentre la Federazione russa ha previsto il concorso di diversi soggetti (tra i quali il Ministero degli affari interni, il Ministero della giustizia, il Servizio federale di sicurezza, il Comitato statale per le dogane, il Comitato statale per il controllo del traffico di stupefacenti e di sostanze psicotrope, ed infine il Comitato per il monitoraggio finanziario), da parte nostra, Pag. 5cioè da parte italiana, chi si occuperà di applicare questo Accordo sarà soltanto il Ministero dell'interno.
Francamente è difficile capirne la ragione. Talvolta, si prevede l'accentramento in un'unica realtà per un risparmio di risorse, per non disperdere le competenze, ma in questo caso la mancata previsione di affidare la competenza ad una pluralità di soggetti e di attori potrebbe avere degli effetti negativi. Mi limito ad individuarne due.
Il primo, è che la mole di lavoro sarà caricata interamente sul solo Ministero dell'interno il quale, tramite i mezzi materiali e umani del dipartimento della pubblica sicurezza, dovrà farvi interamente fronte, con il rischio sostanziale che nella pratica la sua attività possa risultare inefficace o priva di mezzi.
L'altro aspetto che mi preme far rilevare come elemento di criticità è il rischio che vi sia una gestione senza controllo di questo Accordo. Infatti, facendo gestire lo scambio di informazioni sensibili e le attività investigative soltanto al Ministero dell'interno, senza che ne siano interessati pure il Ministero degli affari esteri, il Ministero della giustizia o una Commissione parlamentare, si rischia che vi sia una eccessiva personalizzazione e discrezionalità da parte del Ministero dell'interno. Ci sembra che una struttura così verticistica possa contrastare con la nostra architettura istituzionale che normalmente è basata su un principio di collegialità, nonché su pesi, contrappesi, freni e controlli dell'operato dei singoli Ministeri, dei singoli dipartimenti, dei singoli soggetti.
Atteso che il provvedimento che andiamo a ratificare contiene indubbiamente degli elementi positivi per l'avvio della collaborazione tra queste due Paesi (attraverso lo scambio di informazioni di polizia e l'approfondimento conoscitivo dei rispettivi fenomeni criminosi) e che, quindi, per questi motivi troverà anche un consenso e il voto favorevole del gruppo dell'Italia dei Valori, vorrei sottolineare però gli elementi di criticità presenti nel testo.
Ne aggiungo un altro ai due che ho appena esposto: quello relativo all'assenza di clausole per il rispetto dei diritti fondamentali. Non è casuale questo riferimento. In questi anni, nel difficile travaglio nel transito verso un approccio alla democrazia liberale che noi conosciamo da qualche anno in più, vi è rischio che la Russia reprima ancora chi si avvale dei mezzi di informazione per dare ai cittadini notizie circa l'operato del Governo (notizie che, se dovessero risultare contrarie all'immagine che si vuole costruire della Federazione russa, spesso diventano reati di diffamazione). Purtroppo, esistono degli esempi, e noi già troppe volte in quest'ultimo anno abbiamo derogato sulla questione del rispetto dei diritti umani fondamentali (penso al Trattato italo-libico, nonché a quello con l'Iraq che abbiamo ratificato nei mesi scorsi).
Anche in questo ennesimo Trattato con la Federazione russa forse si sarebbe dovuto fare più attenzione alle vicende interne di quel Paese (mi riferisco a quanto accaduto dal 1993 ad oggi, alla questione cecena, così come al clamoroso esito del processo per l'omicidio della giornalista Anna Politkovskaja) proprio per non commettere lo stesso errore.
Si può rilevare che la Russia, oggi, è un partner troppo importante, che può aprire o chiudere in qualsiasi momento il rubinetto del gas e che, quindi, non possumus. Tutto ciò non mi sembra sufficiente per non insistere su questo tema da parte del nostro Governo.
Nel passaggio di questo testo al Senato, da parte del Governo, ci si è limitati ad accogliere un ordine del giorno dei senatori Marcenaro e Perduca che impegnava il nostro Esecutivo, nel quadro delle relazioni tra l'Unione europea e la Federazione russa, a manifestare l'auspicio che le autorità russe possano concludere sollecitamente e positivamente le indagini sulla morte della giornalista Politkovskaja avvenuta alla fine del 2006 e sull'uccisione del 19 gennaio di questo anno dell'avvocato Stanislav Markelov e di Anastasia Baburova, collaboratrice del giornale presso cui lavorava Anna Politkovskaja. Pag. 6
Il timore - concludo, signor Presidente - è che vi possa essere l'ennesimo accordo più di facciata, più di forma che di sostanza.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fedi. Ne ha facoltà.

MARCO FEDI. Signor Presidente, sottosegretario, colleghi, la ratifica ed esecuzione in via definitiva dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Federazione russa sulla cooperazione nella lotta alla criminalità rappresenta un ulteriore importante traguardo nella cooperazione internazionale finalizzato alla lotta a tutte le forme di organizzazione criminale. I contenuti dell'Accordo, destinato a sostituire la precedente intesa del 1993 tra Italia e Federazione russa sulla lotta alla criminalità organizzata e al traffico di sostanze stupefacenti, tendono ad istituire un rapporto di costante collaborazione nel campo della lotta alla criminalità (questo è sicuramente un aspetto importantissimo). I contenuti dell'Accordo sono stati illustrati ampiamente dall'onorevole Narducci e quindi non li ripeterò.
Signor Presidente, l'approvazione in via definitiva da parte del Parlamento italiano del disegno di legge di ratifica di un importante Accordo sulla cooperazione nella lotta alla criminalità tra Italia e Federazione russa deve però costituire occasione per ricordare, non solo ai Paesi contraenti (in questo caso Italia e Federazione russa), ma a tutta la Comunità internazionale il fermo impegno per far avanzare in tutti i Paesi la democrazia, il rispetto del diritto internazionale e il rispetto dei diritti umani; contemporaneamente deve rappresentare l'impegno tangibile, in questo caso bilaterale, ma sempre più anche multilaterale e globale, per la lotta a tutte le forme di criminalità, a tutte le forme di criminalità organizzata, a tutte le mafie. Analoghi accordi bilaterali sono previsti per tutti i Paesi del G8 - è stato ricordato dall'onorevole Narducci - e l'accordo nasce dagli impegni assunti a seguito della Convenzione delle Nazioni unite sul crimine organizzato.
Il gruppo del Partito Democratico voterà a favore del disegno di legge di ratifica; tuttavia - come è avvenuto tra l'altro in Commissione Affari esteri, dove si è svolto un ampio dibattito ed un approfondimento - riteniamo doveroso osservare come in sede di esame dell'Accordo tra Italia e Federazione russa sulla cooperazione nella lotta alla criminalità sia necessario, in questo contesto ancor più che in altri contesti, fare riferimento ai gravi episodi recentemente avvenuti nella Federazione russa. I delitti che hanno colpito personalità impegnate sul fronte dei diritti civili destano enorme preoccupazione.
Per queste ragioni vi è stato - come dicevo - un approfondito dibattito ed un richiamo all'impegno del nostro Paese in tutte le sedi internazionali a sollecitare l'adozione da parte delle competenti autorità russe di tutte le misure possibili per prevenire il ripetersi di tali gravi atti di criminalità, per tutelare il rispetto dei diritti civili e l'incolumità di tutti i cittadini, e per arrivare alla verità e a far prevalere la giustizia. In tal senso alcuni atti di indirizzo hanno accompagnato l'iter di questo provvedimento sia al Senato, sia ora alla Camera.
Ho già rilevato come in Commissione Affari esteri siano stati chiesti alcuni approfondimenti e chiarimenti, svolti poi congiuntamente alla Commissione politiche comunitarie sul tema dei diritti umani. È stato posto l'accento sul fatto che nella Federazione russa stessa non sono mancati rilievi critici, tanto che lo stesso Presidente ha pubblicamente criticato l'esito giudiziario di processi su delitti commessi nella stessa Federazione. In sostanza, si tratta di un messaggio che parte dalla vigile criticità per confermare, in presenza di precise assunzioni di responsabilità, anche l'apertura delle forme di cooperazione internazionale come in questo caso. L'esigenza, rinnovata anche in sede di Convenzione delle Nazioni unite sul crimine organizzato, di dotarsi di strumenti internazionali bilaterali e multilaterali per combattere le attività criminali ci Pag. 7impone di esprimere un voto favorevole sul disegno di legge di ratifica di questo accordo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ruben. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO RUBEN. Signor Presidente, concordo con la relazione svolta dal vicepresidente della III Commissione e preannunzio che il gruppo Popolo della Libertà voterà a favore di questo provvedimento, come è già avvenuto naturalmente in Commissione.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 2226)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare l'onorevole Narducci, vicepresidente della Commissione Affari esteri.

FRANCO NARDUCCI, Vicepresidente della III Commissione. Signor Presidente, rinunzio alla replica.

PRESIDENTE. Sta bene. Prendo atto che il rappresentante del Governo rinunzia alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: S. 1317 - Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Belarus per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio e per prevenire le evasioni fiscali, con Protocollo aggiuntivo, fatta a Minsk l'11 agosto 2005 (Approvato dal Senato) (A.C. 2294) (ore 15,55).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge di ratifica, già approvato dal Senato: Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Belarus per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio e per prevenire le evasioni fiscali, con Protocollo aggiuntivo, fatta a Minsk l'11 agosto 2005.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2294)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Picchi, ha facoltà di svolgere la relazione.

GUGLIELMO PICCHI, Relatore. Signor Presidente, la Convenzione tra Italia e Bielorussia, firmata a Minsk, pone le basi per una proficua collaborazione economica tra Italia e Bielorussia, rendendo possibile finalmente una migliore distribuzione del prelievo fiscale tra lo Stato in cui viene prodotto il reddito e lo Stato di residenza dei beneficiari dello stesso. La Convenzione è composta di 31 articoli e ricalca il classico schema OCSE del 1963 in tema di doppie imposizioni.
In breve, in quanto il dibattito in Commissione è stato ampio e molto approfondito, gli articoli 1 e 2 delimitano l'ambito di applicazione della Convenzione in termini di soggetti residenti; gli articoli da 3 a 5 in particolare definiscono «residente di uno Stato contraente» colui che in base alla legislazione fiscale di tale Stato è considerato ivi residente; mentre l'espressione «stabile organizzazione» designa una sede fissa di affari in cui l'impresa esercita in tutto o in parte la sua attività, che fornisce servizi e relative attrezzature da utilizzare stabilmente nello Stato contraente.
Gli articoli da 6 a 22 trattano dell'imposizione sui redditi e, in particolare, è necessario far riferimento al fatto che i redditi considerati per la parte italiana Pag. 8sono l'IRPEF (quindi l'imposta sulle persone fisiche), l'IRES e l'IRAP; mentre per la parte bielorussa vengono considerate anche le imposte patrimoniali che attualmente non sono contenute nella legislazione italiana.
Proseguendo nell'articolato vengono definiti, all'articolo 10, i dividendi societari; all'articolo 11, il trattamento degli interessi; all'articolo 12, le royalties; i redditi da professione e da lavoro subordinato, agli articoli 14 e 15; all'articolo 17 i compensi per artisti e sportivi che sono tassabili nello Stato di prestazione effettiva dell'attività.
Infine, negli articoli 18 e 19 si definisce, da un lato, l'imposizione sul trattamento di fine rapporto e sulle pensioni e, dall'altro, sugli stipendi, sui salari e sulle altre remunerazioni nonché sulle pensioni che sono corrisposte da uno Stato a fronte di servizi ad esso resi e che sono imponibili soltanto nello Stato di residenza, salvo il caso che il beneficiario sia residente nell'altro Stato.
L'articolo 22 riguarda l'imposizione sui redditi diversi da tutti quelli definiti negli articoli precedenti.
L'articolo 23, invece, concerne la tassazione del patrimonio; l'articolo 24 definisce metodi per evitare le doppie imposizioni e la scelta cade sul credito di imposta in armonia con tutte le Convenzioni negoziate dall'Italia nella stessa materia.
Negli articoli da 25 a 28 viene stabilito il principio di non discriminazione nei confronti dei soggetti nazionali di uno Stato contraente, che non possono subire nell'altro Stato un'imposizione più onerosa di quella cui sarebbero sottoposti i soggetti nazionali di detto Stato.
L'articolo 29 definisce le procedure di rimborso delle imposte riscosse nello Stato contraente.
Gli articoli 30 e 31 contengono le disposizioni finali relative all'entrata in vigore, alla denuncia, alla cessazione degli effetti di questa Convenzione.
Bisogna sottolineare che questo accordo non comporta oneri a carico dello Stato sulla finanza pubblica (sono quantificati in circa 4.500 euro, quindi si tratta di una cifra trascurabile) e pertanto il disegno di legge di ratifica in esame (che, lo ricordo, consta di tre articoli) non reca alcuna norma di copertura finanziaria.
Prima di concludere ricordo che la convenzione in esame pone fine, nei rapporti Italia-Bielorussia, alla validità della convenzione italo-sovietica del 1985, che verteva su materia analoga e a cui la Bielorussia si era sempre attenuta, quale Stato successore dei rapporti giuridici internazionali, facendo capo all'Urss.
Come ho già detto in apertura del mio intervenuto, la rapida ratifica della convenzione è importante, perché, finalmente, potremo dare alle nostre imprese, che lentamente stanno facendo ingresso nel mercato bielorusso, un migliore strumento per poter fare affari nella Bielorussia stessa.

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Picchi.

GUGLIELMO PICCHI. Relatore. Aggiungo poi che anche politicamente è importante: essendo la Bielorussia un Paese confinante con l'Unione europea, un segno di apertura da parte nostra può darsi che sia un buon viatico al fine di un miglioramento anche della situazione democratica all'interno della Bielorussia.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, se lei me lo permette mi rifarei ai precedenti interventi svolti sulla stessa materia. Quelli in esame sono accordi ormai di prassi, ma la questione è delicata: quanto alle doppie imposizioni, ormai, abbiamo affrontato ben altri aspetti. Pertanto - lo dico per la ratifica in esame, ma anche per le successive - rinunzio ad intervenire, perché mi rifaccio ai precedenti interventi. Mi limito soltanto a Pag. 9preannunziare il voto favorevole del gruppo dell'Italia dei Valori sul disegno di legge di ratifica in esame.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fedi. Ne ha facoltà.

MARCO FEDI. Signor Presidente, la ratifica della convenzione sulle doppie imposizioni fiscali con la Bielorussia è diretta al miglioramento dei rapporti commerciali bilaterali ed a tutelare meglio gli interessi delle imprese. Siccome è stato ricordato molto bene dal relatore, non mi dilungherò oltre sui contenuti della convenzione, ma mi dilungherò qualche secondo in più su altre riflessioni. È un Paese ricco di risorse: è stato ricordato che è giustamente al centro dell'interesse delle piccole e medie imprese italiane, e presenta notevoli opportunità - è vero - per il nostro sistema economico. La convenzione contribuisce, come d'altronde tutti gli strumenti di reciprocità bilaterale e di politica internazionale, a formare quel quadro di regole giuridiche ed economiche per tutelare meglio gli interessi degli operatori economici italiani operanti in Bielorussia e viceversa.
Pone inoltre il nostro sistema economico ed imprenditoriale al pari di altri operatori stranieri, i cui Governi hanno già stipulato con il Paese analoghe convenzioni.
Signor Presidente, abbiamo davanti a noi un impegno di ratifica di una convenzione internazionale di reciprocità sulle doppie imposizioni fiscali che ci consente una riflessione opportuna ed urgente sui temi della doppia imposizione fiscale e della lotta all'evasione fiscale. Entrambi i temi sono oggetto di attenzione da parte del Governo, che dovrà dare applicazione alle norme, e del Parlamento, che è chiamato all'approvazione del disegno di legge di ratifica. Ho voluto ricordare l'aspetto della lotta all'evasione fiscale, poiché viene spesso giustamente ricordata la ragione principale che induce gli Stati a stipulare accordi internazionali volti ad evitare le doppie imposizioni, cioè evitare una duplicazione di imposizioni sugli stessi fenomeni economici e giuridici che, se non limitata, recherebbe un notevole aggravio e un danno a chi opera su un piano transnazionale.
È altrettanto evidente, però, che l'applicazione pratica delle norme dovrà comportare la verifica della condizione di soggetto d'imposta e quindi il riscontro, da parte degli enti fiscali dei due Paesi contraenti. Riteniamo che in questa seconda fase l'Italia (ma non solo il nostro Paese, quindi non è una giustificazione: esistono altre realtà che si comportano come noi) sia in forte ritardo per quanto concerne lo scambio di informazioni.
Un secondo elemento di valutazione riguarda la giusta attenzione ai Paesi emergenti, come la Bielorussia, dal punto vista economico, e la necessità che l'Italia, giustamente, orienti le priorità in una molteplicità di direzioni.
In questo contesto, non è certamente credibile un Paese che tarda a portare a definitivo compimento la ratifica di importanti convenzioni bilaterali o la loro revisione. Faccio riferimento al caso del Canada, con la Convenzione contro le doppie imposizioni fiscali, ratificata dal Parlamento canadese il 12 dicembre 2002, sulla quale il Governo sta accumulando un notevole ed imbarazzante ritardo; oppure, al caso della Convenzione di sicurezza sociale con il Cile, in attesa di ratifica, nonostante la firma risalga al 1988 e sia stata già ratificata dal Parlamento cileno.
Credo che sia opportuno ricordare in questo contesto, un secondo imbarazzante ritardo. È necessario applicare sempre le norme internazionali che approviamo e garantire che tutte le amministrazioni dello Stato (Ministero degli Affari esteri incluso) applichino le norme delle Convenzioni con il nostro Paese. Sottolineo questo aspetto, perché in materia di imposizione fiscale, sia per quanto concerne i redditi prodotti all'estero, sia per quanto riguarda i redditi prodotti da persone residenti all'estero, esistono, come ad esempio per il personale della nostra rete diplomatico-consolare di Canada e Stati Uniti, cattive interpretazioni e cattivi esempi da rettificare con urgenza. Pag. 10
Infine, non certo ultima in ordine di importanza, vi è la questione del rispetto dei diritti umani e della necessità - avvertita in modo particolare nell'iter di accordi internazionali, ma che dovrebbe costituire sempre motivo di riflessione - di una valutazione complessiva di interessi nazionali ed internazionali, che non possono mai prescindere, in un'autentica comunità internazionale, dal pieno del rispetto dei diritti umani.
Anche con riferimento alla Convenzione in oggetto, un ampio dibattito che si è svolto in Commissione Affari esteri su questi temi ci ha, comunque, portato ad esprimere un orientamento favorevole nei confronti del provvedimento di ratifica in esame.
Occorre superare ogni tendenza alla sottovalutazione degli elementi legati al rispetto dei diritti umani ed occorre farlo con coerenza in tutte le sedi multilaterali, a partire dall'Unione europea.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ruben. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO RUBEN. Signor Presidente, anche in questo caso, come per i prossimi due disegni di legge di ratifica, così come ha fatto in Commissione, il gruppo del Popolo della Libertà esprimerà voto favorevole.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 2294)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il rappresentante del Governo rinunziano alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge di ratifica: S. 1318 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di Croazia per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni fiscali, con Protocollo aggiuntivo, fatto a Roma il 29 ottobre 1999 e Scambio di Note correttivo effettuato a Zagabria il 28 febbraio 2003, il 7 marzo 2003 e il 10 marzo 2003 (Approvato dal Senato) (A.C. 2363) (ore 16,15).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di Croazia per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni fiscali, con Protocollo aggiuntivo, fatto a Roma il 29 ottobre 1999 e Scambio di Note correttivo effettuato a Zagabria il 28 febbraio 2003, il 7 marzo 2003 e il 10 marzo 2003.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2363)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di svolgere la relazione, in sostituzione della relatrice, onorevole Biancofiore, il vicepresidente della Commissione Affari esteri, l'onorevole Narducci.

FRANCO NARDUCCI, Vicepresidente della III Commissione. Signor Presidente, a partire dal primo dopoguerra si è andata affermando la necessità di evitare le doppie imposizioni, soprattutto nell'ambito della Società delle nazioni, che favorì la stipula dei primi importanti trattati.
Un ulteriore impulso alla stipulazione di tali convenzioni è stato dato negli anni Cinquanta, specialmente tra gli Stati appartenenti all'area occidentale.
A livello sovranazionale, l'OCSE ha redatto nel 1963 un modello di convenzione Pag. 11tipo, che è stato più volte aggiornato, mentre le Nazioni Unite, con il Manuale di negoziazione del 1979, hanno inteso favorire i Paesi in via di sviluppo ad accedere ad accordi equi con gli Stati economicamente più forti.
L'Accordo in oggetto, costituito da trenta articoli e da un Protocollo aggiuntivo, mantiene la struttura fondamentale del modello OCSE. Esso si applica esclusivamente all'imposizione sul reddito.
L'accordo è completato da uno scambio di note correttive effettuato a Zagabria nel febbraio e marzo 2003.
Rinuncio all'illustrazione di così tanti articoli (nella loro interezza potranno essere apprezzati nel testo scritto che consegnerò) ma vorrei, signor Presidente, richiamare la sua e la nostra attenzione su alcuni punti di questo accordo: la diversità, per esempio, rispetto ad analoghi casi recenti, dell'autorizzazione alla ratifica dell'Accordo italo-croato sulle doppie imposizioni che non comporta oneri a carico del bilancio dello Stato, giacché si presume, in base alla relazione tecnica che accompagna il disegno di legge di autorizzazione alla ratifica, che le disposizioni in essa contenute determinino effetti trascurabili sulla finanza pubblica italiana. Di conseguenza, il disegno di legge non reca alcuna norma di copertura finanziaria.
Mi preme anche sottolineare la rilevanza politica di questo accordo, nel quadro delle relazioni italo-croate, che sono particolarmente intense in ogni settore (l'Italia è anche il primo partner commerciale della Croazia), ma che riguardano anche una minoranza italiana autoctona che conta circa 30 mila persone, concentrate soprattutto in Istria e a Fiume. Nella regione istriana vige il bilinguismo amministrativo, mentre numerose municipalità istriane hanno adottato, nei propri statuti comunali, il bilinguismo integrale.
Nel complesso, va anche rimarcato che 4.600 imprese italiane sono presenti nel Paese. Occorre registrare che alcuni dei nostri imprenditori hanno segnalato la lentezza, la scarsa trasparenza, le difficoltà e le lungaggini giudiziarie ed una generale fatica nella realizzazione degli investimenti.
È necessario altresì sottolineare che il convinto sostegno dell'Italia al cammino di integrazione europea ed euro-atlantica di Zagabria rimane distinto dalla forte esigenza di affrontare le questioni bilaterali aperte in un'ottica europea condivisa.
L'esame parlamentare di questo importante accordo bilaterale mi consente di sollecitare conclusivamente alcuni aspetti e precisazioni da parte del Governo circa lo stato di avanzamento della questione dell'accesso al mercato immobiliare croato per i cittadini italiani, in particolare per quanto riguarda il nodo dell'acquisto di immobili da parte delle persone giuridiche italiane. Si tratta, in particolare, di immobili destinati alle sedi della nostra minoranza.
Un'analoga richiesta di chiarimenti attiene al problema dei beni degli esuli di Istria, Quarnero e Dalmazia, per sapere se è stato promosso un completo adeguamento dell'ordinamento giuridico croato alle norme e ai principi del diritto comunitario, con particolare riferimento al principio di non discriminazione sulla base della nazionalità.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Narducci, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo della seduta e che l'onorevole Evangelisti rinuncia ad intervenire.
È iscritto a parlare l'onorevole Tempestini. Ne ha facoltà.

FRANCESCO TEMPESTINI. Signor Presidente, il gruppo del Partito Democratico voterà favore a favore di questa ratifica. Il relatore ha detto bene, quindi mi limiterò a pochissime notazioni. L'accordo indubbiamente favorisce la collaborazione economica tra Italia e Croazia, che è oggettivamente molto intensa. Pag. 12
Come sappiamo, si tratta di una convenzione che ricalca nelle grandi linee l'impostazione delle convenzioni tipo dell'OCSE. Ritengo si possa osservare come questo accordo non si ponga in contrasto con l'ordinamento comunitario, perché da un lato l'inesistenza in esso di una clausola della nazione più favorita preclude l'indebita estensione a soggetti croati di privilegi accordati ai cittadini di Stati membri dell'Unione europea e, dall'altro, l'ispirazione sostanziale dall'accordo al modello dell'OCSE fa sì che esso sia conforme alla generalità delle convenzione bilaterali in materia e, quindi, anche a quelle stipulate tra Paesi della UE.
Lo dico perché, come ha giustamente ricordato il vicepresidente della III Commissione, l'onorevole Narducci, l'impostazione della politica estera del Paese nei confronti della Croazia si è mantenuta e si deve mantenere fedele alla separazione di due livelli: da una parte c'è lo sviluppo delle sempre più intense relazioni - lo auspico - tra lo Stato italiano e quello croato, con particolare attenzione a tutte le iniziative che possano aiutare - e questa è certamente una di esse - il miglioramento di tutti quei punti ancora non definiti cui l'onorevole Narducci ha fatto riferimento. Penso all'oggettiva necessità di superare le discriminazioni ancora esistenti per l'accesso al mercato immobiliare ed ad altre, che costituiscono certamente una spina ancora aperta e che, nello spirito di cordiale e mutua collaborazione, dobbiamo fare in modo che vengano superate e che questo accordo in qualche modo aiuterà a superare.
D'altra parte c'è anche il processo che riguarda l'ingresso di Zagabria nell'Unione europea ed in questo senso e con queste specificazioni il gruppo Partito Democratico esprimerà voto favorevole sulla ratifica di questa convenzione.

PRESIDENTE. Prendo atto che l'onorevole Ruben, iscritto a parlare, vi rinunzia, rimettendosi a quanto dichiarato in precedenza.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 2363)

PRESIDENTE. Prendo atto che il vicepresidente della III Commissione e il rappresentate del Governo rinunziano alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Sull'ordine dei lavori (ore 16,23).

PRESIDENTE. Prima di passare al successivo punto all'ordine del giorno, debbo una risposta all'onorevole Evangelisti sul problema sollevato in precedenza.
In riferimento alle osservazioni che lei ha mosso sulla mozione Di Giuseppe ed altri, le preciso che la nuova formulazione del testo è stata presentata nella mattinata di mercoledì 6 maggio, quando l'ordine del giorno era già stato pubblicato. Di tale presentazione è stato dato annuncio nel corso della stessa seduta, non appena si è passati al seguito dell'esame della mozione, laddove invece l'ordine del giorno predisposto al termine della seduta precedente conteneva il testo originario.
L'allegato A, secondo la prassi consolidata, non poteva che recare sia il testo originario della mozione, sia la nuova formulazione, che infatti figurano nelle pagine nn. 44 e 47 dello stampato.
La ringrazio comunque dell'evidente attenzione che presta ai lavori dell'Aula.

Discussione del disegno di legge di ratifica: S. 1316 - Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Slovenia per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte Pag. 13sul reddito e sul patrimonio e per prevenire le evasioni fiscali, con Protocollo aggiuntivo, fatta a Lubiana l'11 settembre 2001 (Approvato dal Senato) (A.C. 2362) (ore 16,25).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge di ratifica, già approvato dal Senato: Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Slovenia per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio e per prevenire le evasioni fiscali, con Protocollo aggiuntivo, fatta a Lubiana l'11 settembre 2001.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2362)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
L'onorevole Franco Narducci, vicepresidente della III Commissione, ha facoltà di svolgere la relazione in sostituzione della relatrice, onorevole Michaela Biancofiore.

FRANCO NARDUCCI, Vicepresidente della III Commissione. Signor Presidente, anche per questo provvedimento mi limiterò ad illustrare gli aspetti salienti e più importanti della relazione rimandando al testo scritto nella sua interezza.
Vorrei subito dire che, per quanto attiene alla ratio che ispira l'accordo ed al suo modello giuridico internazionale di riferimento, rappresentato dalla convenzione tipo elaborata nell'ambito dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) a partire dal 1963, mi richiamo alle considerazioni già svolte nei precedenti interventi.
Gli articoli 1 e 2 delimitano il campo di applicazione della Convenzione (che a me pare importante), vale a dire che i soggetti sono i residenti di uno o di entrambi gli Stati contraenti, mentre le imposte considerate per la Slovenia sono l'imposta sugli utili delle persone giuridiche, l'imposta sul reddito delle persone fisiche e l'imposta sul patrimonio. Per la parte italiana, invece, le imposte considerate sono quella sul reddito delle persone fisiche, quella sul reddito delle persone giuridiche (IRES) e l'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP).
Gli articoli da 6 a 22 trattano dell'imposizione sui redditi, in particolare i redditi che un residente di uno Stato contraente trae da beni immobili situati nell'altro Stato. Essi sono imponibili in quest'ultimo Stato, mentre gli utili d'impresa sono imponibili nello Stato di residenza dell'impresa, a meno che questa non svolga la sua attività nell'altro Stato contraente mediante una stabile organizzazione ivi situata, nel qual caso gli utili saranno imponibili in quest'ultimo, ma solo nella misura in cui derivino da detta stabile organizzazione.
I dividendi societari, previsti e disciplinati dall'articolo 10, sono imponibili in linea di principio solo nello Stato di residenza del beneficiario, anche se sono previste eccezioni in determinati casi, così come gli interessi e i canoni. Lo Stato in cui tali redditi sono prodotti potrà comunque prelevare sui dividendi un'imposta, rispettivamente non superiore al 5 per cento dell'ammontare lordo per partecipazioni societarie non inferiori al 25 per cento, e non superiore al 15 per cento nelle altre fattispecie.
A norma dell'articolo 17, i compensi per artisti e sportivi sono tassabili nello Stato di prestazione effettiva dell'attività. Le pensioni, le remunerazioni analoghe e gli eventuali trattamenti di fine rapporto sono invece imponibili solo nello Stato di residenza del beneficiario. Tuttavia, al fine di evitare pratiche di elusione dell'imposta, il comma 2 prevede che le indennità di fine rapporto siano imponibili solo nello Stato nel cui territorio si è svolta l'attività da cui traggono origine, anche qualora il beneficiario sia divenuto nel frattempo residente dell'altro Stato contraente. Pag. 14
L'articolo 23 concerne la tassazione del patrimonio che, per i beni immobiliari, avviene nello Stato in cui essi sono localizzati. Lo stesso dicasi per i beni mobili facenti parte della stabile organizzazione di un'impresa e della base fissa di un residente di uno Stato contraente, anch'essi imponibili nello Stato in cui sono situati. L'opposto si verifica per i beni immobiliari o mobiliari connessi all'esercizio del traffico internazionale aereo o marittimo.
Agli articoli da 25 a 29 viene innanzitutto stabilito il principio di non discriminazione nei confronti dei soggetti nazionali di uno Stato contraente, che non possono subire nell'altro Stato un'imposizione più onerosa di quella in cui sarebbero sottoposti i soggetti nazionali di detto Stato.
Il disegno di legge di ratifica, invece, consta di tre articoli recanti, il primo l'autorizzazione alla ratifica della Convenzione, il secondo l'ordine di esecuzione ed il terzo l'entrata in vigore della legge di autorizzazione alla ratifica, fissata per il giorno successivo la sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
Preme anche qui rilevare come l'accordo al nostro esame si inserisca in un quadro di rapporti bilaterali tradizionalmente assai intensi e anche in questo caso vorrei ricordare ed evidenziare che la presenza dell'imprenditoria italiana in Slovenia, pur presentando ampi margini di crescita, ha trovato alcuni ostacoli riguardanti la propensione da parte slovena ad aprire i settori dell'economia nazionale considerati strategici ad investitori esteri.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

FRANCO NARDUCCI, Vicepresidente della III Commissione. Su un piano più generale - concludo, signor Presidente - riterrei importante conoscere se da parte slovena vi sia stato un pieno adeguamento dell'ordinamento giuridico alle norme ed ai principi comunitari, con particolare riferimento alla non discriminazione sulla base della nazionalità al fine di affrontare le questioni bilaterali aperte in uno spirito costruttivo ed in un'ottica europea.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Narducci, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito e che l'Onorevole Evangelisti, iscritto a parlare, vi rinunzia.
È iscritto a parlare l'onorevole Tempestini. Ne ha facoltà.

FRANCESCO TEMPESTINI. Signor Presidente, il Partito Democratico voterà a favore di questo provvedimento di ratifica per quel che riguarda i contenuti. Infatti, in questo caso particolare, si tratta di contenuti che si rifanno ampiamente alle convenzioni tipo OCSE e di materia che è stata ampiamente verificata anche nel corso di questo dibattito. Mi limiterò soltanto ad osservare che - anche in questo caso facendo riferimento ad alcune considerazioni finali del relatore - naturalmente ciò aiuterà una competizione economica e produttiva, che è molto forte soprattutto nelle aree di confine tra Slovenia e Italia.
Siamo in settori nei quali da una parte e dall'altra esiste un'importante quantità di iniziative e naturalmente è chiaro che la Convenzione aiuterà questo processo. Tuttavia, il processo economico nelle aree di confine tra Italia e Slovenia merita una riflessione più ampia e naturalmente ci saranno sedi diverse nelle quali si potrà approfondire questa materia. All'interno di tale riflessione c'è anche il ragionamento che aveva sviluppato poco fa il vicepresidente Narducci, relativo alla necessità di un superamento di qualunque forma di discriminazione che sul campo si è potuto constatare si è realizzata e che dobbiamo superare.

PRESIDENTE. Prendo atto che l'onorevole Ruben, iscritto a parlare, vi rinunzia, rimettendosi a quanto dichiarato in precedenza. Pag. 15
Non vi sono altri iscritti a parlare e, pertanto, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 2362)

PRESIDENTE. Prendo atto che il vicepresidente della III Commissione e il rappresentante del Governo rinunziano alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta

Discussione della mozione Franceschini ed altri n. 1-00161 concernente iniziative volte a favorire l'inserimento dei giovani del Mezzogiorno nel mercato del lavoro (ore 16,35).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Franceschini ed altri n. 1-00161, concernente iniziative volte a favorire l'inserimento dei giovani del Mezzogiorno nel mercato del lavoro (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che in data odierna sono state altresì presentate le mozioni Iannaccone ed altri n. 1-00168, Vietti ed altri n. 1-00170, Cicchitto ed altri n. 1-00171 e Di Giuseppe ed altri n. 1-00172 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione (Vedi l'allegato A - Mozioni).

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni presentate.
È iscritto a parlare l'onorevole D'Antoni, che illustrerà anche la mozione Franceschini ed altri n. 1-00161, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

SERGIO ANTONIO D'ANTONI. Signor Presidente, la mozione di cui ci occupiamo riguarda in particolare l'inserimento dei giovani nel mercato del lavoro delle aree deboli del Paese a partire dal Mezzogiorno. Si tratta di un tema forte, importante ed essenziale. Come è noto, viviamo in una fase di crisi, che colpisce tutto il mondo e tutto il nostro Paese. Al contrario di altre volte in cui le crisi che si sono susseguite hanno colpito maggiormente le zone forti del Paese, risparmiando - proprio per la loro debolezza, le zone meno sviluppate - questo tipo di crisi finisce per colpire in maniera molto più forte proprio le parti e i ceti deboli del Paese laddove essi sono concentrati.
Se guardiamo la composizione di una previsione di mancata crescita dell'Italia nel 2009 - finalmente il Governo si è deciso ad ammettere che la crisi è seria e che essa è consistente - e consideriamo appunto la previsione, che anche il Governo ha fatto, di una mancata crescita pari al 4,2 per cento della ricchezza del Paese nel 2009, questo dato non è uniforme, ma finisce per essere una media che vede le zone forti del Paese decrescere del 2-2,5 per cento, mentre le zone deboli del Paese decrescono del 6 per cento; quindi siamo in presenza di una condizione di ulteriore degrado, di ulteriore spaccatura, di aumento della disuguaglianza. Credo che questo sia l'elemento da cui partire se vogliamo dare una risposta alla crisi; in questo caso il Partito Democratico vuole dare una risposta proprio alla consistenza di questa crisi, e quindi sfida il Governo, presenta proposte concrete per affrontarla nella maniera più adeguata.
I più attenti osservatori attribuiscono le cause della crisi a tanti fattori, ma soprattutto indicano nelle disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza la causa principale della crisi che stiamo soffrendo. Recentemente Fitoussi, che è un grande Pag. 16studioso, un grande economista, ha affermato che bisogna partire proprio da qui, da questa disuguaglianza che si è creata nella distribuzione della ricchezza tra le zone ricche e quelle povere del mondo, tra i Paesi ricchi e quelli poveri, e all'interno di uno stesso Paese, tra le zone ricche e quelle povere, tra i ceti forti e quelli deboli. Fitoussi dice che se vogliamo dare una risposta e uscire in avanti dalla crisi occorre affrontare esattamente alla radice la causa che l'ha prodotta, così usciremo dalla crisi combattendola e, contemporaneamente, se riusciremo a mettere in moto un processo virtuoso, la supereremo in positivo, quindi con un Paese più giusto, più uguale, in cui la ricchezza sia distribuita in maniera più equa. Questo è il problema da cui partire, questa è la questione che abbiamo davanti.
Se guardiamo, invece, il nostro Paese, esso è spaccato proprio in due; non occorre essere grandi artisti, grandi economisti, grandi scienziati per capire che abbiamo un Paese che si divarica sempre di più sul reddito, sull'occupazione, sulle questioni riguardanti i servizi. Ad esempio, riguardo alla pubblica amministrazione, viviamo nello stesso Paese, con le stesse regole, ma basta guardare oggi la prima pagina de Il Sole 24 Ore, l'analisi compiuta dal Ministero della funzione pubblica (quindi sono dati del Governo) per capire che a fronte di un'imposizione fiscale che è spesso superiore nelle zone deboli del Paese, si offrono servizi in cui le regioni del Mezzogiorno sono sempre agli ultimi posti e ciò riguarda l'assistenza, la sanità, la scuola, in generale l'insieme dei servizi che lo Stato fornisce.
Quindi abbiamo un Paese che essendo così spaccato ha molte più difficoltà ad affrontare la crisi proprio perché non è in grado di capire o spesso non è in grado di essere profondamente inserito dentro questo processo che avviene sotto i nostri occhi. Allora, proprio perché siamo in queste condizioni, se vogliamo uscire dalla crisi ed insieme compiere una grande opera positiva per le zone deboli - ma io dico per tutto il Paese - bisogna proprio partire, anzi ripartire, da lì, dai ceti deboli e dalle zone deboli perché, come abbiamo detto, si tratta delle fasce più colpite dalla crisi e perché contemporaneamente se diamo una via positiva possiamo fornire un contributo decisivo affinché l'Italia tutta esca dalla crisi. Recentemente il Governatore della Banca d'Italia ha dichiarato che se l'Italia vuole decollare deve ripartire dal Mezzogiorno, dalle zone deboli.
Questa è la sfida e il confronto che si chiede alle forze parlamentari di maggioranza e di opposizione; confronto che si chiede anche tra il Governo e i ceti intellettuali, industriali e sindacali del nostro Paese. Questo dovrebbe essere il terreno su cui ci si misura, su cui ci si confronta e su cui si trovano le soluzioni migliori per dare a questa sfida del Paese una vera risposta. Ciò, tuttavia, è esattamente quello che il Paese non fa in termini di dibattito politico e intellettuale ed in termini complessivi. In particolare, ciò non lo fa il Governo che finora, in questo anno di vita, ha fatto esattamente l'esatto opposto, ovvero il contrario di quello che avrebbe dovuto fare secondo queste considerazioni e questi dati oggettivi che ho cercato di fornire.
Il Governo, infatti, ha utilizzato tutte le risorse destinate allo sviluppo delle aree deboli del Paese per finanziare di tutto e di più. Non faccio l'elenco per ragioni di brevità del mio ragionamento, ma riporto solo i due esempi più clamorosi - ma se ne potrebbero portare diversi altri - che danno l'idea di quello che intendo dire. Il primo esempio è che abbiamo finanziato con i soldi delle aree deboli del Paese l'abolizione dell'ICI sulle case di lusso, ovvero a favore dei ceti più abbienti, che potevano continuare a pagare. Comunque abbiamo usato risorse destinate alle zone deboli del Paese e con queste risorse, inoltre, abbiamo addirittura pagato le multe delle quote latte che la Commissione europea aveva inflitto agli agricoltori del nord che non avevano rispettato la legge. Siamo di fronte ad un caso clamoroso di utilizzo di risorse che servono per lo sviluppo delle zone deboli e che, invece, sono usate per sanare e per condonare le Pag. 17multe di quegli agricoltori che non avevano rispettato la legge. Quindi, altro che Robin Hood: siamo in presenza di un incredibile trasferimento secco di ricchezza tra chi non ha e chi non rispetta la legge. Ciò rappresenta nella massima misura il contrario di ciò che bisognerebbe fare.
Tutto ciò ha prodotto in un anno un trasferimento pari a 20 miliardi di euro dalle zone deboli del Paese a quelle forti. Tutto ciò è contrassegnato con la sigla FAS, che significava originariamente Fondo aree sottoutilizzate proprio perché serviva alle aree sottoutilizzate o alle zone deboli. Tuttavia, più correttamente ora bisognerebbe chiamarlo Fondo aiuto settentrione, perché è esattamente ciò che è stato fatto di questi fondi nell'ultimo anno. Ricordo ciò perché sarebbe anche giusto dargli la giusta etichettatura ed evitare questa ipocrisia che si continua a fare.
Questo ragionamento è oggettivo e privo di toni polemici, comizieschi o da campagna elettorale, in quanto ho cercato di riportare fatti. Se poi guardiamo in particolare alla questione occupazionale, ci rendiamo conto della gravità della condizione che si viveva sia prima della crisi, sia, a maggior ragione, ora dopo la crisi. Secondo i dati ISTAT, nell'ultimo trimestre del 2008 il sud ha perso 126 mila posti di lavoro e nel primo trimestre del 2009 ne ha persi altri 65 mila. Ciò che impressiona maggiormente non è il tasso di disoccupazione, che ormai è un dato falso e non corrispondente a quello che avviene. Infatti, molti scoraggiati nel cercare lavoro non si iscrivono e, quindi, non sono registrati. Ciò riguarda soprattutto le donne e i giovani del Mezzogiorno che, scoraggiati, non si registrano più. Ormai ciò che conta veramente è il tasso di occupazione, ovvero il tasso di attività.
Se guardiamo questo tasso di occupazione - non c'è bisogno di fare molti commenti - abbiamo un livello nazionale pari al 59 per cento, che è ancora lontano dall'obiettivo di Lisbona, che è del 70 per cento, come sappiamo - però è un obiettivo che, anche con la crisi, reggiamo - e abbiamo un dislivello enorme tra le regioni forti e quelle deboli. Abbiamo le regioni forti che si collocano ormai intorno al 70 per cento, cioè vicino e, in qualche caso, oltre l'obiettivo di Lisbona, e abbiamo, invece, le regioni del Mezzogiorno tutte molto più basse: la Campania al 42,5 per cento, la Sicilia al 44,1 per cento, la Calabria al 44 per cento, la Puglia al 45 per cento. Siamo ben sotto, cioè, non solo la media, ma qualunque tollerabile tasso di occupazione possibile.
Siamo partiti da questi ragionamenti, da questa condizione, per farvi una proposta, per fare una proposta al Governo, alla maggioranza, che, nel suo buonsenso, speriamo venga accolta proprio perché ha queste caratteristiche: parte da una situazione, che è quella descritta, e che vuole ribaltare ed avviare una nuova fase. Perché? Perché in questi anni, nel frattempo, è venuta avanti una nuova emigrazione di massa nelle aree del Mezzogiorno che riguarda giovani diplomati e laureati, che hanno abbandonato, proprio per le condizioni che ho descritto, le loro terre e i loro affetti e hanno cercato una via al lavoro dove potevano trovarlo. Questa nuova emigrazione, essendo un'emigrazione intellettuale, di giovani diplomati e laureati, ha delle caratteristiche profondamente diverse dall'emigrazione che abbiamo conosciuto prima nel corso dei primi anni del Novecento e poi negli anni Cinquanta. Quell'emigrazione, amarissima e di grande disagio sociale, aveva due caratteristiche diverse, una soprattutto: aveva la caratteristica, pur pagando un prezzo altissimo, di ridare poi alle zone da cui si partiva, alle zone che si lasciavano, le rimesse; ridava, cioè, una condizione di ritorno, perché l'emigrante di allora aveva il pensiero alla zona che aveva lasciato: si voleva costruire una casa e mandava tutto quello che guadagnava esattamente lì.
Questi giovani che oggi vanno via dal sud, giovani diplomati e laureati, non solo sono esattamente quelli che non dovrebbero andar via, perché nella società della conoscenza e dello sviluppo, basata sulla conoscenza, se vanno via loro, diventa difficile ogni sviluppo, ma per giunta, siccome vanno a trovare lavori non sempre Pag. 18pienamente soddisfacenti, questo finisce per creare un ulteriore squilibrio impressionante. Normalmente un giovane va a guadagnare 1.000-1.100 euro e ne deve pagare 700 di affitto. A questo punto non è più lui che manda qualcosa alla famiglia da cui proviene, ma è esattamente la famiglia da cui proviene che gli manda il resto perché lui possa vivere in condizioni dignitose nella zona dove va a lavorare. Abbiamo, cioè, un trasferimento di ricchezza umana, perché vi è l'emigrazione, ed un trasferimento di ricchezza materiale, perché vi è questo versamento continuo che le famiglie meridionali fanno per mantenere i loro figli al lavoro in questo caso, non allo studio.
Se le cose stanno così, e stanno così, ecco perché vi facciamo una proposta precisa: fermiamo questa condizione e nel momento della crisi diamo una risposta parziale, ma importante, cioè quella di puntare su 100 mila nuovi occupati, giovani diplomati e laureati, da mandare in aziende e in imprese del Mezzogiorno. Niente programma di assistenza, niente elementi che non siano assolutamente di lavoro produttivo. La proposta vuole avere questo significato: non c'è nessun fine assistenziale, ma vi è solo un fine produttivo per uscire da questa condizione. Avviamo questi 100 mila giovani diplomati e laureati in imprese produttive, dando ai giovani, attraverso un tirocinio di sei mesi, 400 euro al mese per poter fare questo periodo di formazione e di tirocinio, e poi diamo un bonus di 3 mila euro alle imprese che trattengono questi giovani al lavoro a tempo indeterminato.
Noi riteniamo che così il cerchio si chiude: da piccole esperienze che sono state svolte in alcune zone del Paese vi è un buon riscontro, e le imprese normalmente, per il 70 per cento, tengono i giovani che hanno effettuato percorsi formativi presso di loro. Con un'impostazione che abbia questo scopo (periodo di formazione, trattenimento al lavoro), potremmo avviare migliaia di giovani diplomati e laureati al lavoro, e quindi dare un segnale importante e fondamentale nella crisi, proprio perché riguarda un segmento talmente significativo della popolazione, che affronta e soffre questo passaggio fondamentale e pesante che la crisi gli procura.
Per fare questo non servono grandi risorse: noi abbiamo calcolato che, se la misura riguarda 100 mila persone, bastano 450 milioni di euro. Considerato che dal Fondo che vi ho prima citato sono stati presi 20 miliardi, ci sembra che restituire 450 milioni non è chiedere al Governo chissà quale sacrificio, se - vi ho detto prima - tutto, dalle spese correnti, all'abolizione dell'ICI, alle multe, è stato finanziato con quel Fondo. Non ci si dica quindi - ecco quello vi chiedemmo, lo dico al Ministro che ci ha raggiunti - che non si può fare perché mancano i soldi, perché c'è il problema del debito pubblico: ci si dica o «sì» o «no», perché non lo si condivide; ma non ci si dica questo, perché ci si direbbe una cosa inaccettabile. Come ho detto prima, con i soldi che dovevano finanziare opere e dare sviluppo alle aree deboli del Paese si è finanziato di tutto, quindi si prendono 450 milioni di euro da quei Fondi e si può fare. Diteci «sì» o «no» per altre ragioni, è legittimo questo, ci mancherebbe, non pretendiamo di avere la verità; ma non ci date quel tipo di risposta, perché ciò offenderebbe la nostra intelligenza, quindi non ci meritiamo tale risposta.
Infine, penso che se si fa una riflessione attenta, non solo su questa proposta ma complessivamente su tutto quello che sta avvenendo, allora ci si accorgerà che abbiamo bisogno di unire questo Paese. Proprio nel momento in cui è spaccato, e lo si vede da tutto quanto vi ho detto, abbiamo bisogno di unire; e per unirlo abbiamo bisogno di un'operazione forte di sviluppo, che si può fare nella grave crisi proprio perché essa ci indica la sfida della equa distribuzione della ricchezza. Se uniamo questo Paese, facciamo in modo che l'Italia esca in avanti nella crisi, esca migliore e quindi più forte, più competitiva, in Europa e nel mondo; se lo continuiamo a dividere, se mettiamo in moto un processo di ulteriore divisione, ciò creerà invece un Paese complessivamente Pag. 19più debole. È illusorio, è un'illusione forte che chiudendosi in loro stessi, abbandonando i deboli, i forti si salvano: non è così! È solo se integrano i deboli nel loro sviluppo - è la storia del mondo che lo dimostra - essi hanno una possibilità concreta di futuro, anche per loro; quindi la sfida è proprio qui!
E in questo sentimento, che dovrebbe appartenere a tutti, al di là delle polemiche tra maggioranza e opposizione, tra Governo e opposizione, penso che sia giusto accettare tale sfida come la grande sfida della modernizzazione del Paese, come una sfida del futuro: se ripartiamo dalle zone deboli, dai ceti deboli, diamo un segnale forte a tutto il Paese, che ce la può fare a battere la crisi, proprio perché, prendendo lezione da questa, comincia ad operare esattamente nella via positiva che essa merita. Da qui la proposta concreta che vi facciamo, da qui la sfida che vi muoviamo; da qui la risposta che riteniamo possa venire da voi, noi speriamo positiva, perché la nostra è una proposta di buonsenso; da qui l'esigenza che tutto questo inneschi nel Paese un sentimento di vera unità, di vera solidarietà, come abbiamo visto recentemente esprimersi per vicende drammatiche come quella del terremoto. L'Italia è quella, è quella della solidarietà. Inneschiamo dunque da parte nostra ogni misura, ogni azione, ogni sentimento che ci porti a risultati in quella direzione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Stracquadanio, che illustrerà anche la mozione Cicchitto ed altri n. 1-00171, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO. Signor Presidente, illustro la mozione che il gruppo del Popolo della Libertà ha presentato perché abbiamo ritenuto fosse necessaria una presenza attiva in questo dibattito, ma devo dire a lei, signor Presidente, al Governo ed ai colleghi dell'opposizione presenti in Aula, che da parte nostra non avremmo ritenuto necessario presentare alcuna mozione, perché gli indirizzi che il Governo sta seguendo in termini di politica economica sono ampiamente soddisfacenti dei programmi e degli impegni che il Governo ha assunto con gli elettori e con i cittadini (d'altronde, il consenso che il Governo ottiene in ogni sede, laddove sia possibile riscontrarlo, lo dimostra ancor più di quello che possono dimostrare le mie parole o alcuni dati).
Siamo qui però per intervenire ed interloquire anche con i colleghi dell'opposizione, che hanno preso l'abitudine di presentare una mozione a settimana illustrando le loro proposte; ma vorrei che da parte loro illustrassero di più le loro proposte anche all'opinione pubblica, dicendole in televisione e raccontandole in giro, invece di fare - come sono soliti fare, e in particolare il segretario del Partito Democratico - polemiche sterili su questioni accessorie o che non riguardano i problemi di cui poi dicono di voler parlare. Se avessero illustrato le cose che oggi ci ha illustrato qui l'onorevole D'Antoni si sarebbero infatti, per così dire, illustrati da sé, e forse avrebbero colto qual è la loro frattura straordinaria con il Paese.
Voglio raccogliere alcune suggestioni e alcune provocazioni, intellettualmente intese, dell'onorevole D'Antoni, il quale dice - e sa benissimo che non è vero - che noi abbiamo sottratto soldi allo sviluppo del sud per assegnarli ad altre destinazioni. Dico che egli sa bene che ciò non è vero, perché sa bene che la regolamentazione di quei fondi, secondo quanto disposto dalle norme europee, ci impediva di utilizzarli per quelle finalità e ce li faceva lasciare in cassaforte fermi ed inutilizzati, quando potevano servire, e servivano molto, e 9 di quei miliardi servono a creare quegli ammortizzatori sociali nei confronti del lavoro precario in tutta Italia che il Governo che ci ha preceduto e la maggioranza di sinistra che per quattro anni ha fatto propaganda sul precariato nel lavoro non hanno saputo neanche per un minuto ideare, pensare e concepire.
Sarebbe anche suggestiva la tesi - e supponiamo che sia buona - per la quale la crisi del Mezzogiorno e la crisi di sviluppo del sud Italia, nonché la più elevata disoccupazione delle loro giovani Pag. 20generazioni rispetto a quelle del nord Italia, siano il frutto dei 17 presunti miliardi mancanti dal Fondo per le aree sottoutilizzate.
Signor presidente, sono sessant'anni che l'occupazione al sud risulta inferiore e che il Mezzogiorno d'Italia non è competitivo con il resto d'Europa, e sono sessant'anni almeno - parlo della storia della Repubblica - che la ricetta proposta dal collega D'Antoni (il quale è stato parte attiva nel creare questa ricetta quando è stato leader sindacale e uomo di Governo con deleghe specifiche in materia) ha riversato nel Mezzogiorno l'equivalente di una decina di grandi e pesanti leggi finanziarie. Si parla di 450 miliardi di euro, e cioè di 900 mila miliardi di lire, riversati sul Mezzogiorno tra forme ordinarie e straordinarie di sussidio allo sviluppo nel corso di sessant'anni.

SERGIO ANTONIO D'ANTONI. Ma chi glieli ha forniti questi dati?

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO. Fai i conti, D'Antoni, e lo saprai. Hanno prodotto semplicemente un'economia di sussidio e un'economia assistita che non ha saputo crescere e svilupparsi, mentre i nodi strutturali veri del Mezzogiorno non sono mai stati affrontati. L'onorevole D'Antoni afferma che dobbiamo unire il nord al sud, ma la prima cosa che mi viene in mente per unire il nord al sud è quella di realizzare le strade, le ferrovie, i ponti ed unire le terre che sono separate dalla natura. Noi abbiamo proposto una delle più straordinarie opere che potrebbero dare sviluppo al Mezzogiorno, il ponte sullo Stretto, che rientra in una dinamica di unione del Mezzogiorno all'Europa, perché per costruire il ponte sullo Stretto occorre realizzare anche l'autostrada che arriva al ponte e l'autostrada che parte dal ponte, la ferrovia che attraversa il ponte e l'alta velocità per il Mezzogiorno (ossia realizzare tutta quella infrastrutturazione che rende interessante per le imprese andare ad investire).
Eppure è stata proprio l'opposizione, quando è stata al Governo, a tagliare il ponte sullo Stretto dai programmi, e a dire che non bisognava realizzarlo. Allora di che parliamo: di chi ha politiche e di chi non le ha? Il collega D'Antoni, da questo punto di vista, ha una lunga storia di fallimenti

SERGIO ANTONIO D'ANTONI. Guardati allo specchio!

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO. Dovrebbe, per cortesia, lasciare spazio a qualcun altro, anche nel campo dell'opposizione, per essere credibile. Loro sono quelli che hanno inventato i lavori socialmente utili, che sono stati un massacro. Loro sono quelli che quando vi erano i rifiuti che invadevano Napoli raccontavano che il problema era quello di tenere aperte le scuole e non quello di togliere i rifiuti. Sono quelli che hanno gestito il terremoto dell'Irpinia, non quello dell'Abruzzo. La storia non può essere ignorata, non si può venire a raccontare in Parlamento, come se si fosse arrivati da Marte, che le vecchie politiche, le vecchie ricette, sono buone, e che bisogna continuare con quelle. Noi abbiamo detto basta a quello spreco di denaro che ha condannato generazioni di giovani del sud a doversi spostare al nord per studiare e impiegarsi in attività produttive vere. Voi ci riproponete oggi di dare uno stipendio per almeno sei mesi per fare e ricoprire delle buche, senza preoccuparvi se qualcuno di questi centomila giovani a cui abbiamo dato in questi mesi uno stipendio socialmente utile (è la stessa identica dinamica) verrà assunto da qualcuno!

SERGIO ANTONIO D'ANTONI. Ma quando mai, leggetele le cose!

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO. D'Antoni, ma se era così innovativa questa idea, perché non l'hai realizzata quando hai avuto la delega, ed eri al Governo?

SERGIO ANTONIO D'ANTONI. Ce l'avete cancellata la delega!

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PRESIDENTE. Onorevole Stracquadanio, si rivolga alla Presidenza.

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO. Signor Presidente, ho ricevuto delle interruzioni, e alle interruzioni replico, perché credo che siano stimolanti, con gli argomenti che mi appaiono più credibili, ovvero quelli per cui non si deve dimostrare di essere bravi a parole quando si è dimostrato di essere incapaci nei fatti; questo è il tema del confronto in politica.
Tornando alla nostra mozione, noi non avevamo bisogno di fornire al Governo delle indicazioni e degli indirizzi su quello che sta facendo perché tutti i dati ci confortano sul fatto che l'Italia è il Paese in Europa che meglio ha affrontato la crisi. In realtà, abbiamo avuto alcuni dati che durante una crisi rappresentano delle opportunità: abbiamo avuto i prezzi più bassi dal 1959 ad oggi, e questo per le famiglie italiane, in particolare per quelle del sud, è in larga parte un beneficio; abbiamo avuto il più vertiginoso calo dei mutui, grazie al calo del costo del denaro, che abbiamo guidato, assistito e governato; il crollo finanziario si è ripercosso sulle famiglie in maniera assolutamente inferiore a quanto avvenuto in Gran Bretagna, in Germania o altrove (si tratta di un altro dato che ha garantito la coesione sociale nel sud); in relazione a quei pochi, in rapporto alla grande forza lavoro, che hanno perso il posto di lavoro, abbiamo previsto quel sistema di ammortizzatori sociali che mancava, e stiamo consentendo che la coesione sociale in Italia non sia garantita solo dalle famiglie, ma anche da un sistema attivo di solidarietà sociale che sta prendendo luogo.
Inoltre, stiamo realizzando riforme in tutto il comparto della pubblica amministrazione per rendere la pubblica amministrazione non più un falso impiego o un ammortizzatore sociale, ma un'occasione di sviluppo e di creazione di posti di lavoro veri. Stiamo ristrutturando la scuola e l'università, perché ridiano competitività al Paese. Stiamo realizzando tutto ciò che dalla strategia di Lisbona in poi si voleva realizzare e che anche i Governi di centrosinistra avevano dichiarato di voler realizzare (ricordo che il Governo D'Alema disse che avrebbe fatto propria la strategia di Lisbona), ma che non sono riusciti a fare per il concerto con un certo sindacalismo, certe politiche, con un falso meridionalismo che vuole che i meridionali siano sempre più asserviti al denaro pubblico, perché per la cattiva politica è meglio poter stabilire se ti do o meno il sussidio in funzione del voto che mi garantisci. In questo modo si fanno crescere le forze politiche: l'esempio della Campania è stato illuminante.

SERGIO ANTONIO D'ANTONI. Anche della Sicilia!

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO. Abbiamo avuto in Campania o in Calabria, grazie alle gestioni del centrosinistra, un asservimento totale dei più poveri ai ceti politici dominanti, che si sono permessi di portarli verso una crescente situazione di degrado sociale e al tempo stesso li hanno tenuti sotto il giogo del danaro pubblico. Ora questo Governo ha detto basta a tutto ciò e ha detto sì a un programma di sviluppo che va nella direzione opposta. Noi dobbiamo creare impresa, creare opportunità di impresa, creare le condizioni: le infrastrutture, in primo luogo; l'università che funzioni, in secondo luogo.
Per quanto riguarda l'Abruzzo e L'Aquila stiamo realizzando un grande piano per far di quella regione e di quel capoluogo la prima Harvard italiana, un grande campus per i 13 mila studenti fuori sede, e perché quelle università siano università di eccellenza, con il ponte dell'innovazione, con l'ENI e con le altre imprese che vorranno partecipare a programmi di sviluppo hi-tech innovativi. Questo è un boost, una spinta, che si dà al sud, non il sussidio per sei mesi ed eventualmente un premio se qualcuno resta impigliato nelle maglie del lavoro, per cui chi aveva già intenzione di assumere si trova un benefit di 3 mila euro che non c'era proprio bisogno di dare e che preleveremo, caro D'Antoni, dalle tasche di chi lavora, non li preleviamo dalle tasche di qualcun altro, per girarli facendo finta occupazione...

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SERGIO ANTONIO D'ANTONI. Dagli allevatori! Dalle multe del latte! Dalle quote latte!

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO. Avete fallito per cinquant'anni. Il meridione vi ha abbandonato, perché, se nel meridione la nostra politica è stata premiata con un consenso per il Popolo della Libertà - ho l'orgoglio di dirlo - al 46 per cento, lo si deve al fatto che sta offrendo una speranza rispetto alle parole vuote e alle finte promesse che per sessant'anni avete dispensato e che hanno distrutto - se si poteva distruggere di più - quello che avevate già abbondantemente rovinato con le vostre politiche (Commenti del deputato Evangelisti).
Per questo, signor Presidente, la nostra mozione conferma al Governo la fiducia per quello che sta facendo, gli dice di andare avanti, di procedere con i programmi di investimento (ponte sullo stretto, ferrovie, autostrade, reti), perché da questo nascerà un nuovo Mezzogiorno capace di competere in Europa e nel mondo.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Di Giuseppe, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00172. Ne ha facoltà.

ANITA DI GIUSEPPE. Signor Presidente, fra le dodici regioni europee con il più alto tasso di disoccupazione giovanile sei sono del sud d'Italia, e secondo l'ufficio europeo di statistica sono la Sicilia, la Campania, la Sardegna, la Puglia, la Calabria e la Basilicata. Questi sono dati veritieri, non di certo dovuti ad un sorta di meridionalismo e non di certo dovuti ad una sorta di campagna elettorale.
Questo non è tutto. Nel nostro meridione un giovane su tre risulta disoccupato, e per le giovani donne, signor Ministro, le possibilità di trovare un lavoro sono minime. La situazione per loro risulta ancora più grave: infatti, in Sicilia una ragazza su due è disoccupata, mentre in Sardegna, Campania e Puglia è addirittura molto peggio. Si sta verificando, inoltre, un nuovo flusso di emigrazione che allontana ogni anno i giovani dalla propria terra, giovani che non hanno poi alcuna possibilità di rientro.
Da questa situazione, che è veramente poco felice, si evince che la disoccupazione nel sud non riflette solamente il momento negativo che sicuramente stiamo vivendo, ma appare come una disoccupazione che è di lunga durata. Dove vanno ricercate le motivazioni del problema? Si tratta di una limitatezza del sud, o forse di una politica nazionale economica non adatta a risolvere la situazione? Il dato certo è che, oltre a persistere una questione meridionale, a nostro avviso oggi si evidenzia anche un questione giovanile (questo è ancora più grave).
Il problema meridionale è diventato particolarmente allarmante negli ultimi cinquant'anni, dopo la fine della seconda guerra mondiale. Da allora si è discusso molto del problema del Mezzogiorno, sono state messe in atto delle politiche che però non sono risultate adeguate.
Alcuni hanno sostenuto che quelle politiche hanno dato l'avvio a qualcosa che deve ancora realizzarsi. Ci chiediamo, dunque, oggi, se non sarebbe ora di realizzare interventi nel Mezzogiorno che siano proficui e, soprattutto, adatti ad assicurare un futuro ai giovani del sud. Non vi è dubbio che il superamento del divario tra disoccupazione giovanile del nord e del sud del Paese sia un compito del Governo centrale. Infatti, signor Presidente, la disoccupazione è un problema che incide molto sulla vita delle persone, sulle famiglie e sull'intera società. In qualsiasi modo siano andate le cose dalla fine della seconda guerra mondiale, la forbice nord-sud non si è ristretta e al sud le categorie più deboli, i giovani e le donne, stanno vivendo una vera e propria situazione di emergenza.
In questa situazione generale si accresce il fenomeno del lavoro nero. Tale situazione, oltre ad opprimere il nostro Mezzogiorno, comporta anche un numero elevato di ragazzi sottratti alla scuola dell'obbligo (sono dati di fatto e situazioni vere e preoccupanti). La scuola si trova Pag. 23molte volte a far fronte da sola a queste forme di evasione scolastica, dovuta anche all'aumento del lavoro minorile. Tali questioni, l'evasione scolastica e il lavoro minorile, sono veramente serie, e devono essere risolte con l'azione sinergica delle forze istituzionali e sociali. Si tratta di problemi che non possono essere lasciati soltanto alla scuola. Oggi resta ancora difficile una reale rilevazione dell'effettiva evasione scolastica. Sono ancora molte le province del sud che non hanno un sistema valido per individuare i minori in obbligo di istruzione e non esiste ancora un progetto valido e forte che possa combattere la dispersione scolastica.
Nello stesso tempo, tuttavia, nel Mezzogiorno aumenta il numero dei laureati, ma questi hanno ugualmente forti difficoltà a trovare un'occupazione. Noi dell'Italia dei Valori siamo convinti che occorra un sistema scolastico migliore, un sistema scolastico ed universitario molto più vicino al mondo reale del lavoro. Infatti, oggi scuola e università non preparano adeguatamente i giovani all'inserimento nel mondo del lavoro. In Italia queste due realtà appaiono divise e non lavorano in sintonia. Bisogna fare in modo che la formazione sia legata alla prassi lavorativa.
Secondo alcune valutazioni, i corsi di formazione professionale nella maggioranza dei casi sono poco efficaci. Il problema di tali corsi è che sembrano adatti più a parcheggiare i nostri giovani che attendono che si aprano delle prospettive piuttosto che a rafforzare le loro capacità professionali. Ciò dipende da molte circostanze, ma soprattutto dalla difficoltà e dalla debolezza amministrativa delle regioni che li gestiscono.
Quindi, riteniamo che conoscenza, innovazione e ricerca siano le basi sulle quali costruire, se vogliamo rilanciare l'economia per fare in modo che il futuro dei nostri giovani, soprattutto dei giovani del sud, non sia quello della disoccupazione e della precarietà. Per questo è importante la qualità della formazione, dalla scuola dell'infanzia sino all'università. È una straordinaria risorsa per uscire dalla crisi, perché risolleva il sistema economico, produce imparzialità e offre pari opportunità a tutti i giovani e giustizia sociale.
Bisogna rimuovere l'evidente disparità di competenze che sussiste tra i giovani del sud e i loro coetanei europei. Quindi, istruzione e formazione sono i propulsori dello sviluppo. Di questo siamo fortemente convinti, perché alti livelli di scolarità e competenze adeguate sono i requisiti essenziali per il lavoro e la crescita dell'impresa. Per tale ragione è necessario intervenire per migliorare il sistema formativo e per promuovere qualità e innovazione nel sistema economico e sociale.
Inoltre, il Mezzogiorno soffre anche di una carenza diffusa di dotazioni infrastrutturali nei trasporti, nelle reti energetiche, nella sanità, nel turismo.
A dire il vero gli ostacoli strutturali dell'Italia (questa insufficienza delle infrastrutture e l'inadeguatezza dei servizi pubblici) sono più consistenti nelle regioni del sud. La spesa pubblica ordinaria per investimenti è diminuita e quella aggiuntiva, nazionale e comunitaria, non ha raggiunto gli obiettivi che si proponeva. Il risultato è che l'attuale crisi economica colpisce quindi in maniera pesante il nostro Mezzogiorno: diverse industrie versano in gravi difficoltà, come ad esempio la FIAT di Pomigliano D'Arco, le industrie tessili del Molise e del Salento, per le quali abbiamo anche presentato un'interrogazione a questo Governo, le industrie del mobile della Murgia, per non parlare poi delle industrie della Campania e del comparto delle costruzioni. Di fronte a questa grande difficoltà e, purtroppo, costante situazione cosa avviene? Avviene che il Governo, in meno di un anno, ha sottratto circa 19 miliardi di euro al Mezzogiorno. Infatti, lo stesso accordo sugli ammortizzatori sociali sottoscritto dalle regioni e dal Governo è stato in larga parte finanziato con risorse destinate al sud: ben 4 miliardi sugli 8 miliardi previsti sono a carico del fondo per le aree sottosviluppate (circa l'85 per cento dovrebbe essere Pag. 24utilizzato e destinato al Mezzogiorno), mentre 2 miliardi provengono dal fondo sociale europeo.
I fondi FAS stornati o ridotti dall'inizio della legislatura sono stati pari a più di 16 miliardi di euro per il periodo 2008-2011 e questi sono dati. I fondi sono stati utilizzati per la crisi dei rifiuti in Campania, per il taglio dell'ICI per le abitazioni di lusso, per il contenimento della spesa pubblica nell'ambito della manovra di bilancio per il 2009, per il finanziamento del servizio sanitario nazionale, per il comune di Roma, per coprire il deficit del comune di Catania, per le spese relative al G8, e via dicendo.
Ancora: altri tre miliardi sono stati sottratti al Mezzogiorno, fondi destinati allo sviluppo delle isole minori, alla sicurezza dei trasporti nello stretto di Messina, alle strade calabresi e siciliane, agli incentivi a sostegno delle imprese. Tutto ciò è stato tolto al nostro Mezzogiorno.
Bisogna poi considerare che il fondo per le aree sottosviluppate costituisce dal 2003 lo strumento generale di Governo della nuova politica regionale per la realizzazione di interventi in aree particolari del Paese quali - badate - proprio la Basilicata, la Campania, la Calabria, la Puglia, la Sardegna, la Sicilia, la regione Abruzzo, la regione Molise, oltre alle aree del centro-nord ricadenti nell'obiettivo 2.
Dunque, buona parte delle risorse finanziarie necessarie alla manovra politica di questo Governo sono state sottratte alla dotazione del FAS, compromettendo così la capacità di sviluppo e quindi di occupazione del nostro Mezzogiorno e disattendendo l'obiettivo dell'Unione europea, che è quello di indirizzare i fondi strutturali comunitari alla coesione sociale e agli obiettivi di Lisbona. Per questo, con la mozione presentata da noi dell'Italia dei Valori vogliamo impegnare il Governo a realizzare un efficace rapporto tra i servizi provinciali per l'impiego, le regioni e le strutture locali e private che operano sul mercato del lavoro, con un'attenzione forte alle persone più svantaggiate e alle aree interne del sud e con la promozione di servizi di assistenza tecnica in grado di consentire ad ogni territorio di avere strutture di qualità e soprattutto funzionanti; ad attuare servizi pubblici che sappiano creare sinergie con la scuola (noi teniamo molto al discorso della scuola), le strutture private ed i servizi delle organizzazioni di impresa e sindacali, nella promozione del nuovo apprendistato ed utilizzando anche lo strumento degli stages; ad individuare in sede locale nuovi strumenti formativi di incontro scuola-lavoro, premiando con forti detrazioni di imposta, ad esempio, le organizzazioni di impresa, le università e gli istituti tecnici che consentano ai ragazzi di svolgere un'esperienza di tirocinio formativo in un'impresa.
Vogliamo, inoltre, impegnare il Governo a ripristinare il credito di imposta per le imprese che assumono nel Mezzogiorno; a sostenere con una forfettizzazione di imposte e contributi per i primi tre anni di attività le iniziative di autoimprenditorialità dei giovani meridionali, dando priorità a progetti innovativi basati sulle tecnologie informatiche e sul risparmio energetico; a promuovere - e qui, ancora, si tratta di scuola - le opportune intese, anche internazionali, per creare nel nostro meridione, mettendo in rete anche le nostre università, una «Università del Mediterraneo», per una maggiore comprensione tra le culture, per la formazione delle classi dirigenti e dei quadri tecnici dei Paesi rivieraschi e per creare un grande incubatore di imprese innovative.
Come vede, signor Ministro, di idee ne abbiamo e ve le abbiamo presentate. Questo chiediamo a chi governa oggi il Paese, perché il lavoro si crea soprattutto con il sostegno di un Governo sempre attento e sempre vigile. È questo che vogliamo, signor Presidente: una concreta attenzione da parte del Governo. Al di là di quelle che, poi, saranno le scelte e le decisioni politiche, è necessario volgere lo sguardo al sud, perché sta morendo e se il sud sta morendo, vuol dire che anche i giovani andranno via da questa parte dell'Italia. Affinché questo Mezzogiorno non muoia, occorre rendere i giovani sempre più protagonisti Pag. 25del loro futuro, un futuro che sicuramente rappresenterà quello del Mezzogiorno del nostro Paese.
Pertanto, volgete lo sguardo a questa parte dell'Italia, perché volgere lo sguardo al meridione significa non emarginare i giovani che vivono in questa parte dell'Italia (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Mancuso ed altri n. 1-00136 e Farina Coscioni ed altri n. 1-00133 concernenti iniziative per la prevenzione e la cura dell'AIDS (ore 17,25).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Mancuso ed altri n. 1-00136 Farina Coscioni ed altri n. 1-00133, concernenti iniziative per la prevenzione e la cura dell'AIDS (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state, altresì, presentate le mozioni Livia Turco ed altri n. 1-00166, Nunzio Francesco Testa ed altri n. 1-00167 e Palagiano ed altri n. 1-00173 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente (Vedi l'allegato A - Mozioni). I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Mancuso, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00136. Ne ha facoltà.

GIANNI MANCUSO. Signor Presidente, insieme agli altri colleghi firmatari della mozione in oggetto abbiamo ritenuto di riportare l'attenzione del Parlamento su un tema che è sanitario e sociale, ma che è letteralmente scomparso dai media nazionali, pur rappresentando ancora una grave minaccia per la salute pubblica: parlo, ovviamente, dell'infezione da virus HIV. Si può fare un'eccezione, una breve parentesi, qualche settimana fa, durante il viaggio del Santo Padre nell'Africa meridionale durante il quale se ne è parlato un pochino di più, ma perché quella è una zona del mondo tra le più martoriate da questo flagello.
Dobbiamo essere grati agli organizzatori dell'HIV Summit del 2009, che si è tenuto a Roma nei giorni scorsi, per aver portato l'attenzione di tutti su questo problema epocale. È stata l'occasione per conoscere lo stato dell'arte dell'infezione da HIV in Italia e in Europa. Si sono confrontati studiosi della materia, società scientifiche, le istituzioni nazionali (erano presenti anche rappresentanti di Camera e Senato e del Governo) e le associazioni di volontariato del settore, quali il network «Persone sieropositive» e l'associazione nazionale per Lotta all'AIDS.
Questi i dati principali emersi: 40 milioni di persone affette da HIV nel mondo; persone infettate dal virus HIV in Italia: 130 mila; casi di AIDS dall'inizio dell'epidemia: 59 mila; decessi per AIDS dall'inizio dell'epidemia: 36 mila; percentuale di donne colpite: tra il 20 e il 25 per cento. Con riferimento ai nuovi casi di AIDS, facendo un confronto tra i dati del 1995 e del 2006, risulta che i casi di AIDS nel 1995 erano 5.653 e che la principale fonte di trasmissione era l'uso di droghe per via endovenosa.
Nel 2007 i nuovi casi di AIDS, pari a 1.200, sono oggettivamente diminuiti ma la principale fonte di trasmissione è stata individuata nei rapporti sessuali tra persone eterosessuali. La diagnosi dei nuovi Pag. 26casi viene effettuata tendenzialmente in differenti classi di età tra uomini e donne: infatti si vede aumentare l'età nel genere maschile e diminuire nel genere femminile. Tra il 1986 ed il 1996 c'è stato un picco dei decessi di pazienti positivi per HIV mentre dal 1997 al 2007, quindi nell'ultimo decennio, c'è stato un calo importante dei decessi, che trova spiegazione nella terapia antiretrovirale, che consente la cronicizzazione dell'infezione e la sopravvivenza a lungo termine dei pazienti. Da tutto questo discende che la prevenzione è l'unico argine alla diffusione della patologia, che la miniera inesauribile dell'infezione risiede nei rapporti sessuali tra eterosessuali non protetti e che la priorità per l'autorità sanitaria è la maggior diffusione possibile del test sierologico che - è bene ricordarlo - è gratuito, anonimo ed anche facilmente accessibile nell'ambito del sistema sanitario nazionale presso i principali ospedali di tutto il territorio nazionale.
Alla luce di quanto detto sopra e considerato che le persone si spostano dal sud al nord del mondo e dall'est all'ovest con maggior facilità rispetto ai decenni passati, emergono dati epidemiologici che devono essere valutati attentamente, senza allarmismi da un lato, ma anche senza sottovalutazioni. A questo proposito, il Parlamento europeo, il 24 aprile 2007, ha adottato una risoluzione sulla lotta all'HIV/AIDS all'interno dell'Unione europea e nei Paesi vicini per il triennio 2007-2009. Sempre il Parlamento europeo, il 21 novembre 2008, ha adottato la risoluzione sull'HIV/AIDS dal titolo: «Diagnosi precoce e cure tempestive».
In occasione della giornata internazionale della lotta all'HIV/AIDS 2008, la Commissione europea e il Consiglio dell'Unione europea hanno sottolineato l'importanza della diagnosi precoce attraverso la facilitazione dell'accesso al test ed hanno invitato tutti gli Stati membri a portare i loro risultati nel campo alla conferenza di Vienna che si terrà nel 2010. La conferenza «2008 HIV diagnosis HIV summit», tenuta a Parigi nel novembre 2008, ha stigmatizzato il ritardo nella diagnosi dell'HIV/AIDS, invitando gli Stati membri a mettere in atto, con urgenza, tutte le azioni possibili per migliorare l'accesso al test. In base ad alcune recenti ricerche, si stima che nel nostro Paese siano circa 130.000 mila le persone - come riportavo poc'anzi - sieropositive: poiché i casi accertati sono soltanto 65.000, circa il 50 per cento dei sieropositivi in Italia risultano attualmente non identificati e quindi rappresentano altrettante bombe ad orologeria che esploderanno non sappiamo quando. In Italia, il numero di nuovi contagi continua a crescere e nel 2008, in base agli ultimi dati del COA (Centro operativo dell'AIDS dell'Istituto superiore della sanità), oltre 4.000 persone si sono infettate con l'HIV. Una larga percentuale di infezioni da HIV non vengono diagnosticate e molte di queste persone, che non sanno di essere infette, scopriranno di esserlo soltanto quando saranno afflitte dalle patologie correlate. È quasi superfluo ricordarlo ma l'HIV/AIDS è una malattia trasmissibile ed esiste, quindi, il rischio di contagio da parte delle persone infette che non sanno ancora di esserlo. L'introduzione di misure efficaci e realistiche di salute pubblica per facilitare la diagnosi precoce dell'infezione da HIV è indispensabile per evitare un'inconsapevole diffusione della malattia e dare al sieropositivo maggiore possibilità di tutela dei propri diritti.
La lotta all'HIV/AIDS è una sfida complessa, che comprende un numero infinito di fattori in campo: il punto essenziale per affrontare la diffusione della malattia appare il raggiungimento della consapevolezza dello stato di sieropositività, attraverso la diagnosi precoce e l'accesso ai test per l'HIV.
Con questa mozione chiediamo un impegno al Governo sui seguenti punti: adottare strategie necessarie per combattere in modo efficace l'HIV/AIDS attraverso prevenzione, educazione sanitaria, assistenza e cure, favorendo il ricorso a farmaci più avanzati; promuovere campagne di informazione e prevenzione dell'HIV in collaborazione con i medici sia di base che specializzati, coinvolgendo i docenti delle Pag. 27scuole secondarie, tenendo anche in considerazione il fatto dell'aumento importante delle malattie sessualmente trasmissibili e quindi un motivo ulteriore per svolgere tali campagne informative proprio nelle scuole.
La mozione impegna altresì il Governo a promuovere campagne di informazione, affidando anche alle associazioni ONLUS le campagne della promozione del test HIV nei confronti delle persone con comportamento a rischio, includendo nelle campagne di informazione anche i cittadini extracomunitari, i nomadi e le persone detenute nelle carceri.
Inoltre, con tale mozione si impegna il Governo ad affidare alla Commissione nazionale per la lotta contro l'AIDS, organo tecnico del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, il compito di elaborare le linee guida nazionali per garantire, indurre e facilitare l'accesso al test, affinché tali linee guida individuino i gruppi di fragilità sociale verso le quali indirizzare le azioni strategiche di informazione, prevenzione e cura.
Si intende altresì impegnare il Governo ad avviare procedure standard di test informato all'interno delle strutture carcerarie, nel momento dell'accoglienza delle persone immigrate in situazione di conclamato disagio sociale o, ad esempio, in presenza di patologie psichiatriche.
Ancora si impegna il Governo a migliorare la prevenzione e l'informazione sulle malattie sessualmente trasmesse e, in particolare, sull'HIV/AIDS e sulle epatiti, sottolineando la necessità di sottoporsi al test per permettere una diagnosi precoce ed, infine, a presentare una relazione annuale al Parlamento sulla diffusione e sulle campagne di prevenzione adottate.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Farina Coscioni, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00133. Ne ha facoltà.

MARIA ANTONIETTA FARINA COSCIONI. Signor Presidente, desidero ringraziare le colleghe e i colleghi che hanno accolto la richiesta dei deputati radicali di discutere questa importante questione che riguarda la salute e la vita di un numero molto elevato di persone anche nel nostro Paese.
Abbiamo presentato la nostra mozione a mia prima firma lo scorso 11 marzo in vista dell'appuntamento romano del 19 marzo dell'HIV summit Italia. Non è stato possibile discuterlo allora, ma riteniamo importante l'azione di quei gruppi che hanno voluto presentare un testo che impegni il Governo a fare di più per la prevenzione e la cura della HIV/AIDS. Infatti ci sono segnali precisi che ci portano a valutare che è in costante aumento il numero delle persone contagiate, il numero di sieropositivi inconsapevoli di esserlo e le diagnosi tardive.
La mozione a mia prima firma recepisce e si collega alle risoluzioni sull'HIV/AIDS approvate dal Parlamento europeo nel periodo 2006-2008 ed in particolare alla risoluzione del Parlamento europeo dal nome: «Diagnosi e trattamento precoce» approvata il 20 novembre nel corso della plenaria di Strasburgo.
La risoluzione del novembre 2008 chiede una strategia volta a promuovere la diagnosi precoce ed il tempestivo trattamento dell'HIV, garantendo l'accesso ai test ed un accurato monitoraggio; sollecita, inoltre, una strategia di riduzione dell'infezione e campagne di informazione e di educazione sulla prevenzione.
Tale risoluzione auspica, poi, raccomandazioni sull'attuazione delle sperimentazioni e chiede ai Governi di dichiarare illegali le discriminazioni contro le persone affette dal virus come le restrizioni alla libera circolazione.
Chiediamo, dunque, al Governo un impegno per una strategia sull'HIV al fine di promuovere la diagnosi precoce e la riduzione degli ostacoli alla sperimentazione, nonché di garantire un tempestivo trattamento e la comunicazione dei relativi benefici.
La mozione sottolinea che l'HIV/AIDS è una malattia trasmissibile e vi è, quindi, un rischio di contagio provocato dalle persone infette non diagnosticate. Chiediamo ancora, quindi, la garanzia all'accesso Pag. 28al test che deve restare libero e anonimo ed anche un accurato, lo ripeto, monitoraggio ed una stretta sorveglianza per la prevenzione ed il controllo delle malattie.
Si dovrebbero anche impegnare non solo risorse politiche, ma anche umane e finanziarie per sostenere, appunto, tale strategia.
Chiediamo che questa strategia di riduzione del rischio sia anche incentrata sui gruppi vulnerabili e ad alto rischio e anche attraverso il rafforzamento delle campagne di informazione ed educazione sulla prevenzione, la sperimentazione e il trattamento del virus HIV/AIDS.
È tempo che le posizioni che contrastano l'adeguata strategia di politica sanitaria della contraccezione siano combattute con la responsabilità che il Governo deve assumere per impedire il rischio del contagio e della trasmissione del virus HIV, considerando che l'infettività dell'HIV aumenta notevolmente in presenza di altre malattie a trasmissione sessuale, quali ad esempio la gonorrea, la clamidia, l'herpes e la sifilide. Quindi, informazione, prevenzione e diagnosi precoce sono alla base della sfida e della lotta all'HIV.
Chiediamo, pertanto, l'impegno del Governo a richiedere con urgenza alla Commissione nazionale per la lotta contro l'AIDS (che è l'organo tecnico-scientifico del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali) di definire le linee guida nazionali per indirizzare, indurre e garantire l'accesso al test dell'HIV, tali da indicare anche i gruppi socialmente vulnerabili sui quali orientare le prime azioni, gli strumenti e le procedure consigliabili per la garanzia dell'accesso informato.
Tra queste vi sono, ad esempio, l'introduzione di innovative procedure standard nell'accettazione per il ricovero ospedaliero, un piano di azione per la richiesta di standard di test informato all'interno delle strutture carcerarie, nel momento dell'accoglienza delle persone immigrate e nelle aree di evidente disagio sociale, test i cui risultati, oltre che migliorare la prevenzione dell'HIV-AIDS, permetteranno anche di raccogliere dati scientifici importanti per l'identificazione da parte dell'Istituto superiore della sanità di ceppi e sottoceppi dei virus presenti in Italia.
Inoltre, chiediamo l'impegno del Governo a richiedere alla Commissione nazionale per la lotta contro l'AIDS di completare tali linee guida entro sei mesi. Chiediamo ancora l'impegno del Governo a provvedere all'applicazione delle linee guida da parte delle istituzioni preposte, a monitorare la puntuale applicazione delle linee guida su tutto il territorio nazionale da parte delle istituzioni preposte e a redigere una relazione annuale sull'applicazione delle stesse al test dell'HIV in Italia da presentare alla Camera dei deputati.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giachetti, che illustrerà anche la mozione Livia Turco ed altri n. 1-00166, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, credo che le considerazioni svolte dai colleghi segnino il contesto generale nel quale ci dobbiamo muovere e credo possano risparmiarmi, per lo meno rispetto all'esigenza di fornire dati, molte parole che sono state già dette. È chiaro che stiamo parlando, signor Presidente, onorevoli colleghi, di una malattia, quella dell'AIDS, che ha segnato l'ultimo ventennio e che purtroppo si mantiene in qualche modo stabile nei suoi livelli di incidenza mortale se non addirittura in costante aumento.
Sappiamo che molte energie e molti fondi sono stati impiegati per studi sulla diffusione dell'HIV e sulle terapie che ad esso in qualche modo sono collegate. Certo, questi fondi e queste energie che sono stati impiegati non sono esigui e certamente hanno in qualche modo consentito un miglioramento della qualità della vita di chi ha contratto il virus, ma allo stesso tempo sappiamo che i tanti sforzi fatti in questo senso non riescono ancora ad oggi ad arrestare una tendenza che invece segna costantemente un incremento. Pag. 29
Non torno sui dati che sono stati citati a nostra disposizione, ma occorre ricordare che in questo ventennio le persone decedute a causa dell'AIDS sono quasi 30 milioni (27 milioni) e sappiamo perfettamente che gran parte di questi riguarda i Paesi del cosiddetto Sud del globo, ma non c'è dubbio che anche per quanto riguarda l'Europa e il nostro Paese il tasso di incidenza nella mortalità a causa di questa malattia e delle sue conseguenze sono grandi se si pensa che, soltanto stando ai dati riferiti al 2007 per quanto riguarda l'Italia, i malati di AIDS arrivano a quasi 60 mila unità.
Ovviamente parliamo dei danni più gravi, quelli che portano alla morte di queste persone. Sappiamo benissimo però che non è quantificabile, soprattutto dal punto di vista umano, nella vita delle famiglie e delle comunità, il costo sociale di questa malattia, della sua trasmissione e degli effetti sulle tante persone che condividono tale esperienza e che sono vicine alle persone malate. Probabilmente vi è un'incapacità di sostenere tali soggetti nel modo giusto - tornerò su questo punto - anche a livello comunicativo e di stare vicino a quelle famiglie e alle comunità investite da questa malattia e da questa tragedia e si necessita di uno sforzo maggiore, che - lo hanno detto tanti colleghi che mi hanno preceduto - non può essere relativo esclusivamente all'intervento nel momento in cui la malattia è conclamata.
C'è un altro dato che è già stato ricordato, ma che è utile ribadirlo nuovamente proprio perché rappresenta - secondo me - un salto di qualità necessario da parte dello Stato (non solo di quello italiano, ma anche di quelli europei e, in generale, mondiali) sull'analisi che compete a coloro che sono in qualche modo investiti in modo prioritario del problema. Sappiamo perfettamente che all'inizio, forse una tendenza a rimuovere determinate cose ci portava a pensare che questa malattia fosse più frequente in fasce di popolazione legate alla possibilità di rapporti omosessuali e a trasmissioni che potevano avvenire in un determinato modo. Sappiamo che questo dato è stato superato, che non c'è più e che la realtà è molto più drammatica e viva, anche nel nostro Paese. Questa malattia oggi colpisce soprattutto eterosessuali, soprattutto per trasmissione attraverso rapporti sessuali e soprattutto - lo ricordava anche il collega che mi ha preceduto di Alleanza Nazionale - si tratta di una malattia che inizia ad avere un'incidenza su fasce d'età alte, non solo sugli uomini sui quarant'anni ma, da quel che ci risulta, anche sulle donne.
Si tratta, quindi, di un tema che si sta allargando e che certamente mette in evidenza ovviamente non la responsabilità di questo o di quel Governo, ma l'esigenza che ci sia effettivamente un salto di qualità nelle politiche sanitarie per cercare di contrastare l'AIDS. Ovviamente il tema riguarda la ricerca e la medicina, che devono fare la loro parte, ma sappiamo perfettamente che il primo campo sul quale intervenire è la prevenzione, attraverso una campagna informativa che sia la più diffusa e capillare possibile. Infatti, mentre dobbiamo essere in grado di fare ovviamente passi in avanti nella ricerca non solo di cure che possano allungare il più possibile la vita, ma anche di un vaccino, sappiamo che il compito più importante dello Stato in questo momento - così come da tutti viene detto e ci viene richiamato anche dall'Unione europea - è di intervenire con campagne ad hoc per informare sui modi attraverso i quali evitare di rischiare il contagio.
In questo senso, seppure in un clima di condivisione che credo esista in tutte le mozioni presentate in questa occasione, debbo dire, signor Presidente, che siamo un po' preoccupati dal fatto che da queste analisi emerge che, in particolare nel nostro Paese, nell'ultimo anno, oltre il 20 per cento dei casi registrati si riferisce a cittadini non italiani. Su questo, a proposito anche di altri provvedimenti che ci troviamo a discutere in questi giorni, che hanno anche una forte attinenza e una ragione per noi di grande preoccupazione rispetto a come procediamo - lo dico anche al Ministro qui presente - non vorremmo che l'eventuale approvazione di alcune norme volute dal Governo, che Pag. 30pongono delle barriere all'accesso alle strutture del Servizio sanitario nazionale per chi legalmente o meno si trova sul nostro territorio, contribuisca ad aumentare considerevolmente queste percentuali.
La linea sulla quale il Governo si sta muovendo separa e crea una divisione tra immigrati regolari e clandestini su alcune questioni cruciali. Lo abbiamo visto in un dibattito che si è sviluppato la scorsa settimana sui temi riguardanti l'educazione scolastica, ma adesso sappiamo che è in corso un dibattito sull'accesso alla sanità pubblica e credo che vada dato atto al Presidente Fini anche di prese di posizione importanti in questo senso. Tutto ciò, signor Presidente, ci preoccupa.
Questo è un caso classico nel quale sappiamo che la prevenzione è fondamentale, così come il monitoraggio; se non creiamo le condizioni per cui coloro che non sono regolari, ma che vivono nel nostro Paese, possono utilizzare la sanità pubblica, magari per arginare il fenomeno della trasmissione, rischiamo di determinare un problema non di poco conto.
Signor Presidente, vorrei semplicemente ricordare cosa intendiamo proporre al Governo. Mi auguro che, una volta tanto, sia possibile da parte del Governo esprimere un parere favorevole su questa nostra mozione, che non si discosta molto dagli impegni delle mozioni presentate dagli altri gruppi, e che non accada, come è successo in tante altre occasioni, che solo per un presupposto e un pregiudizio politico, poiché una mozione viene presentata dall'opposizione, sulla stessa viene espresso un parere contrario. Ovviamente il tempo di agire è quello che ci indica l'Europa attraverso i suoi deliberati e le decisioni assunte dalla Commissione europea e dal Consiglio dell'UE e a questo punto credo che esso riguardi anche l'Italia.
A nostro avviso, in primo luogo riteniamo urgente che la Commissione nazionale per la lotta contro l'AIDS elabori un piano che detti le linee guida nazionali e che ciò si realizzi entro sei mesi dall'approvazione di questo provvedimento. C'è un secondo aspetto, che è anche un impegno, che richiamiamo nella nostra mozione: è indispensabile, in due parole, focalizzare e semplificare. Occorre individuare, dunque, i gruppi socialmente più fragili e più a rischio sui quali operare e mettere in campo un sistema di facilitazione e di garanzia per l'accesso informato al test, introducendo procedure standard al momento del ricovero ospedaliero all'interno delle carceri e nella fase di accoglienza degli immigrati. Non a caso ritorniamo su un tema che riguarda i cittadini non italiani e che incide, ovviamente, su una popolazione, come quella carceraria, nella quale sappiamo perfettamente quanto sia alto il livello e l'incidenza dell'AIDS, dei malati e anche della contrazione della malattia.
A questo proposito, anche per quel che dicevo poc'anzi, riteniamo fondamentale che si avvii un sistema di diagnosi precoce per tutti gli stranieri, a prescindere, signor Presidente, signor Ministro - lo ripeto - a prescindere dalla condizione di regolarità del loro soggiorno in Italia. Riteniamo che questo punto sia determinante e non prevederlo - mi dispiace che sia andato via il collega del Popolo della Libertà - come avviene nella mozione a prima firma Mancuso, che si riferisce semplicemente alla possibilità di includere anche i cittadini extracomunitari, i nomadi e le persone detenuti nelle carceri, significa perdere di vista l'obiettivo di focalizzazione reale delle aree sociali di maggior rischio e dunque anche un disimpegno negli strumenti pratici che il Governo dovrebbe adottare. La sensibilizzazione, infatti, magari affidata alle ONLUS, dovrebbe accompagnarsi a una serie di misure di garanzia delle diagnosi precoci, nell'ottica di quell'azione immediata e decisa che è richiesta anche dall'Europa.
Ecco perché oltre al monitoraggio, sul quale siamo pienamente d'accordo, e alle campagne informative, che anche noi chiediamo al Governo, magari introducendo già dalle scuole secondarie degli insegnamenti che spieghino l'importanza della prevenzione, c'è bisogno di nuove risorse che favoriscano la ricerca scientifica e la sperimentazione di nuovi trattamenti delle Pag. 31patologie sessualmente trasmissibili: AIDS, in primis, ma sappiamo che non è solo questa.
Sappiamo che questo Governo ha già tolto moltissimo alla ricerca e che non ha sin qui dimostrato di considerarla una priorità, come accade in tutto il mondo, compresi i Paesi emergenti: penso, per esempio, alla Cina e all'India, che puntano proprio sul progresso scientifico e che per questo sono destinate a diventare gli «Stati Uniti» di domani. Di fronte ad un danno generale per la salute di tutti, di fronte ad un morbo che aumenta anche a causa dell'ignoranza nella prevenzione e nell'adozione di strumenti idonei, è necessario che il Governo si impegni in maniera decisiva non solo delegando ad altri le campagne informative, ma sostenendo in prima linea e concretamente la ricerca specializzata.
Inoltre - e non è un caso che la risoluzione del Parlamento europeo al dispositivo 8 lo preveda esplicitamente - è sempre più importante battersi per contrastare comportamenti discriminatori nei confronti dei soggetti affetti dalla malattia.
Per questo motivo chiediamo al Governo di mettere in campo tutte le misure necessarie affinché le vittime del virus non diventino anche vittime della differenza e dell'emarginazione sociale.
In conclusione, la mozione che abbiamo presentato a prima firma dell'onorevole Livia Turco e firmata da tanti altri deputati, compresa la collega Pedoto che è seduta vicino a me, ha il merito a nostro avviso di recepire gli indirizzi tracciati dall'Europa. La mozione, inoltre, è anche frutto di un'analisi complessiva di un problema di enorme portata su una malattia che purtroppo continua ad uccidere e su cui è quanto mai urgente, oltre che necessario, ottenere risposte tempestive ed efficaci da parte del Governo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palagiano, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00173. Ne ha facoltà.

ANTONIO PALAGIANO. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, il problema è già stato abbastanza esposto: i numeri sono quelli, sono evidenti e ci ritorneremo. Mi auguro che con le mozioni presentate dalla delegazione del partito radicale all'interno del Partito Democratico, ma anche dal Popolo della Libertà, si possa avere una convergenza di programma e su queste mozioni. Mi auguro, inoltre, che la XVI legislatura possa essere ricordata come una legislatura che ha fatto tanto per combattere l'AIDS.
È dalla fine degli anni Ottanta che l'Unione europea ha considerato l'AIDS e ha programmato la soluzione dei problemi legati all'infezione dell'AIDS come uno degli aspetti più importanti da affrontare e da tentare di risolvere. È dal 1988 che la Comunità europea si è impegnata e si è concentrata nell'aumentare la sensibilizzazione nei confronti di questa malattia, la prevenzione e la sorveglianza della malattia e nel costituire una vera e propria rete tra enti, società e persone che combattono la malattia e nel metterle in collegamento tra di loro.
L'Unione europea si è impegnata anche a diffondere delle buone pratiche mediche (ma non solo) sempre allo scopo di contrastare la malattia. Dobbiamo anche ricordare che l'Unione europea contribuisce al Fondo mondiale per la lotta all'AIDS, che ha come fine la riduzione dell'epidemia.
Che cosa accade in Italia? I dati sono quelli che avete già sentito: abbiamo 120 mila sieropositivi, ovvero 120 mila persone fra malati (in cui la malattia è conclamata) e quelli che hanno la sieropositività. Inoltre, la metà di questi 120 mila italiani non sanno di avere il virus dell'AIDS e, quindi, non fanno nessuna terapia che possa bloccare l'andamento della viremia. Queste persone hanno contatti sessuali e di relazioni normali, perché stanno bene, non hanno sintomi e, quindi, pensano di essere sani. Oggi solo il tossicodipendente si sente una persona a rischio.
La persona che ha avuto un contatto sessuale (non parliamo di omosessuali, ma di eterosessuali) con una donna di cui non si conosce lo stato sierologico si intende indenne dalla malattia. Vi è una ignoranza Pag. 32di base, di conseguenza vi è l'importanza di diffondere conoscenze sulla malattia; tutti dovremmo sentirci a rischio di AIDS se si ha una promiscuità nei rapporti sessuali e se non si conosce lo stato sierologico della malattia. È importante, dunque, diffondere la cultura per poter poi prevenire. Il nocciolo relativo all'AIDS è che in Italia la metà delle persone che hanno la malattia e che sono sieropositive sono dei potenziali diffusori della stessa perché avranno dei comportamenti chiaramente a rischio.
In Italia il fenomeno dell'AIDS si presenta in una condizione un po' particolare, in quanto abbiamo dei lati positivi e negativi. Tra i primi, abbiamo una diminuzione, come ricordava prima l'onorevole Giachetti: nel 1995 vi erano 5.500 malati, che nel 2007 sono scesi a 1.200. Il totale di persone infettate complessivamente è stato poco più di sessantamila.
Questi numeri sono abbastanza confortanti; dico abbastanza perché, in realtà, adesso l'andamento della diffusione della malattia è diventato un po' stazionario, cioè non si riesce a scendere al di sotto di questo migliaio di casi all'anno. È aumentata la sopravvivenza grazie a queste cure che sono state ricordate, gli antiretrovirali, che hanno aumentato la sopravvivenza, e quindi il problema è che le persone che hanno ancora l'AIDS possono diffonderlo, perché, certe volte, non vengono prese tutte le precauzioni che possono impedire la trasmissione del virus. La terapia antiretrovirale ha quindi, da un lato, rallentato l'infezione e ridotto il numero dei morti, ma ha aumentato il numero dei vivi che continuano, invece, ad avere la malattia.
L'aspetto negativo che interessa non soltanto l'Italia, ma anche gli altri Paesi dell'Europa occidentale, è che è aumentato il numero degli inconsapevoli. Abbiamo dei dati: i malati inconsapevoli di AIDS nel 1996 erano soltanto il 21 per cento, mentre con gli attuali dati, quelli dell'anno scorso e dell'inizio del 2009, si arriva al 57 e al 60 per cento di persone inconsapevoli.
Anche l'età è cambiata per l'AIDS: nel 1998 l'età media era rispettivamente di 29 anni per gli uomini e di 27 anni per le donne, mentre nel 2008 è di 43 anni per gli uomini e 40 anni per le donne. Cambiano, quindi, i fattori di rischio, cambia l'età, ma cambia anche il fattore di rischio della tossicodipendenza, come dicevo prima: nel 1997 i tossicodipendenti erano il 66 per cento, mentre nel 2008 sono solo il 15 per cento, così come i rapporti a rischio non sono più quelli omosessuali, ma abbiamo il 15 per cento dei rapporti eterosessuali nel 1997 e il 45 per cento nel 2008. Diciamo che la metà dei rapporti a rischio sono omosessuali e un'altra metà sono eterosessuali; questo non è più un fattore discriminante.
Possiamo quindi dire che l'epidemia non diminuisce, ma, piuttosto, si modifica; cambia la modalità di espressione sul territorio nazionale. Cosa fare? Sicuramente è importante, come prima dicevo, la cultura e la diffusione del profilattico, che rappresenta sicuramente il sistema per impedire la trasmissione, almeno quella sessuale. In Italia, inoltre, non è stata presentata la relazione sullo stato di attuazione delle strategie per fronteggiare l'infezione da HIV. Ricordo che questa relazione è prevista da una legge: l'articolo 8, comma 3, della legge n. 135 del 1990 rende obbligatoria questa relazione.
Ricordo che secondo la precedente relazione, quella dello scorso Governo, che fu presentata dall'allora Ministro, l'onorevole Livia Turco, il 28 febbraio 2008, gli investimenti per il programma di ricerca nazionale sull'AIDS erano caratterizzati da versamenti costanti, annuali. Tutto questo è andato bene fino alla fine degli anni Novanta, dopodiché questi investimenti si sono ridotti e si sono anche diradati nel tempo. Cosa ha comportato questo? La ricerca sull'AIDS in Italia è diventata, purtroppo, ahimè, non più soddisfacente, quindi di qualità piuttosto insufficiente, e nessuno o pochi lavori italiani sono stati inseriti nelle riviste scientifiche o nei protocolli di ricerca internazionali.

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI (ore 18)

ANTONIO PALAGIANO. Ma se questo è il problema in Italia, con i numeri che ho appena detto, il problema è sicuramente drammatico e disastroso nel resto del mondo, dove sono presenti il 90 per cento - 95 per cento, secondo altre fonti - di malati di AIDS. Mi riferisco ai Paesi in via di sviluppo, ai Paesi sottosviluppati, mi riferisco prevalentemente all'Africa, dove l'AIDS rappresenta un problema sanitario e sociale gravissimo. Secondo il rapporto dell'UNAIDS, esisterebbero circa 40 milioni di persone infettate, di cui soltanto 30 milioni in Africa.
Per quanto riguarda i bambini, il problema è veramente gravissimo: abbiamo 15 milioni di bambini orfani perché hanno perso uno dei due genitori per l'AIDS; per ogni minuto che passa un bambino muore di AIDS, e quattro si infettano col virus. Vi è quindi tutta la problematica legata anche alla maternità, al parto, alla somministrazione di farmaci nei confronti delle donne gravide, di cui si conosce più o meno l'innocuità in quanto sperimentati sul mondo animale, e sembrerebbe che i feti non hanno avuto particolari problemi dopo queste terapie. Il problema della trasmissione, poi, per questi bambini e feti è legato fondamentalmente alla carica virale, per cui è necessario innanzitutto riconoscere la malattia, è importante fare la terapia e partorire attraverso il taglio cesareo, evitare l'allattamento successivamente, quindi verificare che il bambino nato non sia affetto dall'AIDS; vi ricordo che tutti i bambini che nascono da madre portatrice di AIDS risultano sieropositivi, non perché siano portatori dell'infezione ma perché hanno ovviamente gli anticorpi materni, gli anticorpi che la madre ha prodotto durante la gravidanza, e che sono passati in circolo al feto durante la gravidanza, e che quindi danno una positività: essi restano per 16-18 mesi, certe volte un anno, e occorre quindi che vi sia la cultura necessaria, e diffondere l'informazione sui rischi, ma anche sulle possibilità di sopravvivenza, sani, di questi bambini nati da genitori malati, però trattati.
Uno strumento fondamentale di cooperazione ed aiuto internazionale è costituito dal Fondo globale per la lotta all'AIDS, alla tubercolosi e alla malaria: si tratta di un Fondo che fu istituito in una sessione speciale delle Nazioni Unite a New York nel 2001, che raccoglie ed eroga risorse o contributi per contrastare l'AIDS. Esso consiste in una partnership pubblico-privata, composta da Stati, di cui l'Italia è parte, da associazioni private, da organismi internazionali; e tale Fondo finanzia attività di prevenzione e cura dell'AIDS, specialmente in Africa.
Che cosa ha fatto il Fondo? Innanzi tutto ha approvato 600 progetti di finanziamento per un totale di 10 miliardi di dollari, qualcosa di più, non in meno: attraverso questi investimenti - perché si tratta di veri e propri investimenti - sono state salvate circa due milioni e mezzo di vite umane; e quindi è qualcosa che ha prodotto vita, è qualcosa che davvero ha contrastato l'AIDS. Il Governo italiano si è impegnato nella scorsa legislatura, ma anche in questo caso siamo un po' in ritardo: nella scorsa legislatura l'Italia ha sovvenzionato il Fondo Globale con 260 milioni prima, e con 130 milioni di euro poi, attraverso due decreti-legge, il n. 81 del 2007 e il n. 159 del 2007; ed abbiamo, come Stato italiano, un impegno di 2,5 miliardi in cinque anni. Sono previsti tutti i punti di cui ho parlato prima, cioè la prevenzione della trasmissione, la prevenzione e cura per l'AIDS in età pediatrica, come sviluppare i vaccini, la promozione del personale sanitario e la prevenzione della mortalità materna.
Tutti questi impegni devono essere mantenuti dall'Italia. Noi vorremmo che questo Governo continuasse l'opera iniziata dal Governo precedente, perché il fine è molto nobile, perché abbiamo dei bambini che muoiono, e perché il nostro Paese è interessato non poco dalla malattia: parlavo prima di 120 mila sieropositivi. Attualmente il Fondo globale per la lotta all'AIDS ha un bilancio negativo di 5 miliardi Pag. 34di dollari, per cui non potrà far fronte a tutti gli impegni cui è preposto. È evidente che in assenza di adeguate risorse risulterà più difficile garantire interventi sanitari per le popolazione più vulnerabili, per l'Africa ma anche per i bambini.
Per tutte queste ragioni, vogliamo impegnare il Governo a favorire l'accesso ai servizi sanitari e lo sviluppo qualificato di reti tra le varie istituzioni per la prevenzione del fenomeno, con il pieno coinvolgimento delle associazioni impegnate nella lotta all'AIDS e alle malattie sessualmente trasmissibili; a prevedere adeguate risorse per il programma nazionale di ricerche dell'AIDS; ad assicurare il test diagnostico gratuito, anonimo e volontario a tutti i cittadini presenti sul territorio italiano, senza discriminazione di razza, di cittadinanza, provenienza, regolarità o irregolarità, per la tutela di tutti i cittadini, ma anche per il controllo dell'epidemia e per evitarne la diffusione.
Vogliamo altresì impegnare il Governo a presentare al Parlamento questa famosa relazione sullo stato di attuazione delle strategie attivate per fronteggiare l'infezione da HIV (come prevede l'articolo 8, comma 3, della legge n. 135 del 1990); a riprendere specifiche campagne informative, a diffondere cultura anche attraverso la stampa e le televisioni e ad evitare la discriminazione delle persone sieropositive; a promuove specifici progetti di prevenzione primaria nelle scuole per coinvolgere gli studenti in percorsi educativi e formativi sull'AIDS, la prevenzione, l'educazione sessuale, con particolare riferimento alle azioni individuali utili a ridurre il rischio di trasmissione del virus, a cominciare dall'uso consapevole del profilattico come principale strumento di contrasto al rischio di contagio, specie di quello sessuale; a sostenere programmi di intervento e di aiuto alla lotta contro l'AIDS, attraverso l'incentivazione di progetti bilaterali tra l'Italia ed i Paesi in via di sviluppo finanziati e coordinati dal Ministero degli affari esteri e dello strumento della cooperazione internazionale; infine, ad assicurare le risorse promosse dal Fondo globale per la lotta all'HIV/AIDS, tubercolosi e malaria e a non coprire tali stanziamenti attingendoli dai fondi, già insufficienti, destinati alla cooperazione allo sviluppo (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito. Il seguito del dibattito è pertanto rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Cota ed altri n. 1-00076 concernente una moratoria per la costruzione di nuove moschee e centri culturali islamici (ore 18,10).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Cota ed altri n. 1-00076 concernente una moratoria per la costruzione di nuove moschee e centri culturali islamici (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Ricordo che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che in data odierna è stata presentata la mozione Evangelisti ed altri n. 1-00169 (Vedi l'allegato A - Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Gibelli, che illustrerà anche la mozione Cota ed altri n. 1-00076, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

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ANDREA GIBELLI. Signor Presidente, questa mozione in realtà introduce un tema che la Camera ha affrontato in diverse occasioni, in ragione di alcune proposte di legge che sono depositate in Parlamento da anni e che riguardano genericamente le cosiddette libertà religiosa, l'abolizione dei culti ammessi e quant'altro.
Una moratoria per la costruzione di nuove moschee rappresenta un titolo molto forte che non lascia spazio a commenti, però - al di là della titolazione - vorrei con la presenza del Governo, di lei, Vicepresidente Bindi, e dei colleghi svolgere alcune considerazioni di sostanza rispetto all'applicazione costituzionale del principio della libertà religiosa.
La Costituzione, in realtà, all'articolo 3 recita in maniera molto chiara che ogni cittadino ha libertà senza distinzione di sesso, di razza, di lingua e di religione, di poter esprimere le proprie opinioni, rafforzato dall'articolo 19 della Costituzione, che in realtà stabilisce che tutti i cittadini hanno la libertà di professare liberamente la propria fede religiosa in qualunque forma. Tra l'articolo 3 e l'articolo 19 della Costituzione vi è un elemento in più. In genere chi critica le iniziative della Lega fa riferimento all'articolo 3 e all'articolo 19 riempiendosi la bocca della libertà, della democrazia, del libero pensiero e di tutta una serie di questioni che conosciamo, però in concreto, dato che nella sua prima parte tutti ci riconosciamo ed anche la Lega Nord vi si riconosce, è giusto fare un bilancio della Costituzione e di cosa è accaduto al terzo capoverso dell'articolo 8 della Costituzione, il quale stabilisce che i rapporti tra le confessioni e lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze. Questo è quello che ci dice la Costituzione.
La Costituzione prevede che la libertà religiosa sia un diritto, ma il rapporto tra lo Stato e le confessioni religiose va normato attraverso delle intese. Una tale previsione ha portato in questi anni alla sottoscrizione da parte dello Stato di numerose intese, tranne per una sola confessione religiosa, che non ha mai sottoscritto un'intesa con lo Stato italiano. Abbiamo la presenza del Governo che lo può testimoniare: le comunità musulmane che si riconoscono nella religione dell'Islam, dopo cinquant'anni, non hanno mai siglato un'intesa con lo Stato italiano. Ciò è avvenuto semplicemente perché il perimetro della prima parte della Costituzione, laddove si definiscono i diritti, non coincide con la cultura islamica. Nel 1994 più di cinquanta Paesi a maggioranza musulmana hanno sottoscritto al Cairo la Carta araba dei diritti dell'uomo perché ritenevano la Carta dei diritti dell'uomo, firmata da più di 170 Paesi, troppo occidentale. Ad esempio, nella Carta araba dei diritti dell'uomo non si cita la libertà religiosa come principio di libertà individuale. La possibilità di cambio di religione è prevista solo per un non musulmano che voglia diventare musulmano e non viceversa; si tratta di una questione che si scontra con il nostro principio di libertà. Anche il concetto di famiglia in quella Carta è diverso dal principio di parità tra uomo e donna sancito dalla nostra Costituzione, perché la traduzione in arabo di quel principio fa coincidere il termine famiglia con capofamiglia, individuando, quindi, il principio coranico di subalternità della donna rispetto all'uomo in termini di pratica quotidiana del diritto e non come principio generale. La sinistra vuole dare cittadinanza alla subalternità della donna nei confronti dell'uomo nel nostro ordinamento giuridico? Non credo.
Tutto questo avviene all'interno di una religione in cui la forma di Stato e la politica coincidono con la religione, non si distinguono. L'Islam non possiede la distinzione tra la sfera laica di Governo dello Stato e quella religiosa; le due sfere, pur con tante sfaccettature diverse, sono molto compenetrate. Infatti gli Ulema, i cosiddetti padri del diritto, hanno corretto la prima stesura della Costituzione egiziana, molto filo-occidentale, fatta prima da Nasser e poi corretta da Sadat, che prevedeva che l'Islam era una delle fonti del diritto (negli anni Ottanta fu previsto che l'Islam era la fonte del diritto costituzionale egiziano). In questo modo si Pag. 36sono ristretti quegli spazi all'interno dei quali, dopo la seconda guerra mondiale, alcuni Paesi tentavano di modernizzare il mondo arabo e l'Islam in generale (l'esperienza più clamorosa è quella dell'Iran con vicende che tutti conosciamo). Parlo di questo contesto internazionale perché il nostro Paese vive l'assenza della sottoscrizione di un'intesa proprio da parte di quella cultura islamica che, nelle sue diverse determinazioni, viene a convivere con la nostra, ma che non ha trovato un punto di equilibrio sulle questioni fondamentali. Non sottoscrivendo le intese, oggi, si sovrappone il principio generale di libertà religiosa alla possibilità di estendere la normazione con le confessioni religiose (come è avvenuto con la Chiesa cattolica e con le altre confessioni religiose di stampo occidentale che hanno sottoscritto le intese). L'Islam non ha mai sottoscritto un'intesa e manca, quindi, un punto di riferimento e soprattutto un contesto di confronto sulle questioni fondamentali, sui principi fondamentali.
Quindi oggi chi chiede di costruire una moschea nel nostro Paese non lo chiede in ragione della libertà religiosa, ma lo chiede per autoghettizzare una cultura che non si confronta con il resto del mondo, e ciò non è legato alla povertà o al problema relativo alle differenze tra primo, secondo e terzo mondo. Infatti, basta guardare la storia del Libano, dell'ex Svizzera del Medio Oriente, per capire cosa è accaduto in quel Paese, vale a dire che, al di là delle questioni economiche, strategiche e di interessi internazionali, vi era proprio la non volontà di confrontarsi con una cultura diversa. E le moschee - mi dispiace - sono un luogo del non confronto con l'Occidente, un luogo per mantenere una cultura storicamente anti-occidentale all'interno dei nostri confini democratici.
Infatti, per quanto riguarda il dibattito politico di questi giorni su che cosa si deve intendere in questo Paese per fenomeno dell'immigrazione regolata - quella irregolare l'abbiamo già risolta, almeno in termini di chiarezza politica - e per rapporto con l'immigrazione regolare, ritengo che questo Paese non può essere un Paese multiculturale, intendendo che ogni cultura rispetta la distanza e l'equilibrio con le culture vicine, quando manca in definizione il principio di reciprocità.
Questo è un Paese che ha una cultura di riferimento, e la cultura di riferimento non deve scandalizzare nessuno: è la democrazia, i diritti umani, la parità tra uomo e donna, tutte questioni che - basta guardare la sharia in termini generali - vengono assolutamente meno. C'è qualche buontempone, che io chiamo cattocomunista, che pensa di educare gli altri al rispetto dei propri principi, pensando di essere un po' migliore: invece questo non è vero. La cultura di riferimento invece dice a qualcun altro che se vuole venire nel mio Paese, nel nostro Paese, deve capire esattamente il contesto in cui questo Paese si è costruito in termini storici e democratici.
Alla domanda posta all'imam di Londra dopo gli attentati del 2005, domanda onesta di un giornalista britannico che gli chiedeva quale dei due diritti, in caso di contrasto, dovesse prevalere tra quello britannico e quello della comunità islamica, l'imam di Londra non ha avuto dubbi a rispondere alla BBC: tra i due diritti prevale quello coranico, non quello britannico. Allora io a questo Paese, da padano, non ho voglia di far correre lo stesso medesimo rischio.
In molti casi la magistratura e il Ministero dell'interno, con la Polizia e i Carabinieri, hanno dimostrato che il luogo del proselitismo culturale rappresentava anche il luogo dove c'era la presenza di pericolosi terroristi internazionali, che naturalmente andavano e venivano (non se ne è accorto mai nessuno e non c'è mai stata una denuncia, però questo è un altro capitolo). Mi riferisco altresì all'integralismo culturale, quello che fa sottrarre i bambini alle scuole pubbliche (come è accaduto a Cremona), ovverosia figli di regolari, non di irregolari, di cittadini regolari che dopo aver portato i loro figli a scuola si rendevano conto che venivano contaminati dall'Occidente, e quindi li facevano Pag. 37partecipare ad una scuola coranica clandestina dove si insegnava l'Islam radicale.
Allora, se dobbiamo avere sul nostro territorio persone che rifiutano la nostra cultura, noi dobbiamo regolare, attraverso delle intese, il rapporto in maniera che sia chiaro. Siccome questo non avverrà, noi chiediamo che venga fermata, attraverso delle apposite norme sia di iniziativa del Governo sia di iniziativa parlamentare, la costruzione di edifici di culto che vengono definiti moschee ma che in realtà non sono edifici di culto. Infatti, chi dice che una moschea è un luogo per pregare dice il falso. La moschea non è l'omologo della chiesa. La moschea è altro. Quindi, in maniera molto semplice bisogna spiegare a chi guarda tramite la televisione (e ancora a qualche collega) i musulmani pregare in moschea, che quello non è un luogo destinato alla preghiera.
Esiste un precetto coranico secondo il quale tutto il mondo è una moschea e, quindi, ogni musulmano, rivolgendosi a La Mecca, può usare qualunque metro quadrato che trova per pregare. La moschea è un'altra cosa: è un luogo dove si prega, ma significa segnare la presenza della cultura islamica in un determinato posto soprattutto in termini politici; è un luogo dove si fa politica. Infatti lo spazio destinato esclusivamente alla preghiera, dal momento che non è un luogo consacrato (infatti, non essendoci clero nell'Islam, non vi è la necessità di una consacrazione), non ha nemmeno il nome di moschea ma il nome di musalla, per chi non lo sa. Non vi è, dunque, questo rapporto speculare rispetto al nostro modo di intendere le pratiche di tipo religioso e, quindi, la preghiera.
In maniera molto semplice, vogliamo porre all'attenzione dell'opinione pubblica e del Parlamento il fatto che l'Islam non ha sottoscritto intese e che fino a quel momento la costruzione delle moschee dovrà essere negata per le ragioni che ho sottolineato. Qualora la proposta di legge che la Lega Nord Padania ha presentato in Parlamento avesse un esito positivo nei contenuti che abbiamo indicato, nel caso di mancata sottoscrizione di un'intesa e considerato che il principio di libertà esiste comunque, a prescindere, perché lo garantisce la Costituzione, sui termini di questo vulnus del rapporto tra l'Islam e lo Stato chiediamo che sia il popolo ad esprimersi, che sia la comunità locale a decidere attraverso un referendum - e in questo modo ci misuriamo con l'idem sentire del Paese e non con l'idem sentire del palazzo - quanta gente vuole la moschea o non la vuole alle condizioni date.
Poiché purtroppo un grande sacerdote conoscitore dell'Islam, padre Samir Khalil Samir, da egiziano cattolico si sentiva cittadino di serie B a casa sua, da lui abbiamo mutuato il concetto di cultura di riferimento in alternativa alla società multiculturale, considerando che conosceva bene la questione e non la guardava in televisione. Un tempo avevamo a che fare con i musulmani quando l'immigrazione era molto flebile, adesso abbiamo a che fare con l'Islam. In Inghilterra - voglio citare un leader laburista e non conservatore - Tony Blair dichiarò: se noi abbiamo dato la nostra libertà e i nostri diritti a gente che li accetta, bene, se loro non cambiano, allora cambiamo anche noi. Ma questa è la cultura britannica cui ogni tanto dovremmo fare riferimento.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00169. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, prima di tutto vorrei ringraziare l'onorevole Gibelli che nel suo intervento è stato estremamente chiarificatore di una cultura di riferimento: la cultura leghista. Infatti, questo suo intervento dice molto di più di quanto abbiamo registrato in questi giorni e molto di più di quanto scritto nella mozione Cota ed altri n. 1-00076. E dice anche delle contraddizioni culturali, oltre che linguistiche. Quando il collega e poco fa ha parlato di democrazia, forse qualcuno anche appartenente alla sua stessa cultura di riferimento potrebbe ricordargli che anzitutto la democrazia è Pag. 38tutela delle minoranze e che se così non fosse, guai per la Lega, che fino ad oggi è stata ed è minoranza in questo Paese!
Quando parla del nostro Paese - dice «da padano» - anche qui dovremmo intenderci: sta parlando dell'Italia, o di un ectoplasma o di un Paese di fantasia quale la Padania? Inoltre vi sono le contraddizioni interne, quando dice che quei bambini a scuola si contaminavano con la cultura cattolica e poi venivano portati nei centri clandestini. Favoriamo la clandestinità anche dei luoghi religiosi e così siamo a posto! Neanche si interroga su cosa è stata la storia del mondo e la storia del nostro Paese: è la storia della cultura e della civiltà cattolica.
Abbiamo riempito il mondo di chiese senza mai chiedere il permesso a nessuno e nemmeno gli viene un dubbio di cosa siano stati i Cortés e i Pizarro, ad esempio, nell'America latina, senza andare a cercare altre realtà. Cita la Costituzione italiana: bene, un riconoscimento; dice che la Lega si riconosce nella prima parte della Costituzione, nei principi della Carta costituzionale; cita l'articolo 8 della Costituzione, perché afferma che non vi è soltanto l'articolo 3, né soltanto l'articolo 19, che difende la libertà di religione e la libertà di culto, ma cita l'articolo 8 perché sostiene che siccome gli islamici non hanno sottoscritto alcuna intesa con il Governo, allora noi non facciamo loro costruire le moschee.
Invece di presentare quindi una mozione che impegni il Governo a favorire, in una logica di integrazione, la sottoscrizione di un'intesa con le rappresentanze islamiche, vi è la ritorsione: non avete sottoscritto gli accordi, non avete sottoscritto le intese e noi non vi facciamo più costruire moschee. Eppure vi è un altro articolo ancora, oltre a quelli citati: vi è l'articolo 20 della Costituzione, dove si afferma che il carattere ecclesiastico ed il fine di religione o di culto di un'associazione o istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica od ogni altra forma di attività. Quindi, la mozione presentata dalla Lega si pone fuori dai principi della Carta costituzionale italiana: l'idea è quella di rincorrere la sharia per proporre una legge cattolica, principi cattolici, che verrebbero prima della legge dello Stato.
Riprendo il filo del mio intervento per cercare invece, in positivo, di illustrare e spiegare quali sono i contenuti della mozione di cui sono primo firmatario a nome del gruppo dell'Italia dei Valori. Signor Presidente, onorevoli colleghi e rappresentante del Governo, affermo che per noi si tratta di partire prima di tutto dall'affermazione di un principio: il principio di libertà religiosa. È un principio che è scaturito da un processo che non è stato né semplice né lineare nella storia e tuttavia si è affermato nel corso di secoli anche attraverso la necessità di ridefinire continuamente i rapporti tra le diverse confessioni religiose e le loro molteplici autorità di Governo, ma anche fra queste e le autorità civili. È stato un processo che, come sappiamo, ha segnato la storia dell'Europa e non solo. Nel processo di sviluppo e di modernizzazione che però ha contraddistinto nello specifico la storia dell'Europa e quella dell'Occidente, l'affermazione dei margini di libertà, tra cui quella religiosa, da riconoscere al singolo individuo, è stata una costante di progresso e sviluppo.
Si è qui poi affermato il principio laico del riconoscimento della reciproca libertà religiosa e questo non può valere solo per alcune religioni. Non può infatti essere un Governo a decidere quali religioni abbiano diritto alla libertà d'espressione e a quali tale diritto debba essere negato. Oggi probabilmente il grande filosofo e matematico arabo Averroè avrebbe corso il rischio di essere respinto alla frontiera, eppure il suo contributo allo sviluppo del pensiero occidentale è stato rilevante (è riconosciuto anche da Dante, che lo aveva collocato nel limbo, in compagnia dei sapienti e dei patriarchi).
Vi è quindi ragione di credere che poco importi a questa maggioranza, e in particolare alla componente leghista. Il riferimento al valore che altre culture hanno Pag. 39dato all'arricchimento culturale e al progresso del Paese. Nel nostro Paese, a più riprese, si è manifestata e si sta manifestando invece un'insofferenza, un imbarbarimento dei rapporti umani nei confronti delle diverse etnie presenti sul nostro territorio. Si stanno adottando provvedimenti che cominciano ad avere una connotazione sempre più escludente. Si sta procedendo ad alzare mura sempre più alte alle nostre frontiere, per difenderci da quella che viene descritta come la minaccia dei flussi migratori, identificando così l'immigrazione come una minaccia sociale.
Tuttavia, un conto è il contrasto all'immigrazione clandestina e il rispetto delle regole, che comprende anche il legittimo respingimento dei clandestini alla frontiera, altra cosa è, invece, quello che è accaduto nei giorni scorsi e ancora ieri: una sorta di deportazione di massa con piena violazione dei diritti fondamentali della persona, accompagnata dall'esultanza del nostro Ministro dell'interno. Voglio ricordare che il Governo Prodi e il Ministro D'Alema avevano affrontato ben diversamente il fenomeno dell'immigrazione clandestina dall'Albania, quando i gommoni solcavano il braccio di mare fra Otranto e Valona: nel rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale, con un sistema che garantiva i diritti delle persone e non li esponeva a rappresaglie e torture.
L'allontanamento di immigrati deve, dunque, avvenire nel pieno rispetto della normativa internazionale, che impone il non respingimento dei richiedenti asilo per motivi politici o di altra natura. Per questo motivo, invece, di esultare inneggiando alla «svolta storica», il Governo farebbe meglio ad ascoltare i richiami dell'ONU, del Consiglio d'Europa (proprio di oggi), del Vaticano o anche - vi faccio riferimento, perché si tratta di un'agenzia di stampa uscita alle 18,24 di oggi - i richiami del portavoce dell'UNHCR, Laura Boldrini, pronunciati a Radio Vaticana. Boldrini ricorda come l'Alto commissario Gutierrez avesse incontrato il Ministro Maroni e avesse ricevuto ampie rassicurazioni che il cosiddetto modello Lampedusa, cioè quello del sistema di soccorso, accoglienza e informazione, non fosse minimamente in discussione. Invece, oggi tutto questo viene spazzato via - dice Boldrini - e ciò che viene proposto è un modello che non rispetta il principio del non respingimento, che è valido anche nelle acque internazionali.
Viene davvero da chiedersi: ma è in questo modo che vi professate cristiani? È questa la carità cristiana di cui siete capaci in termini di accoglienza? E ancora: è in questo solco di «coltura» della paura - lo sottolineo, affinché resti agli atti: «coltura», non «cultura», coltura nel senso di coltivazione della paura - che va inserita l'iniziativa dei deputati leghisti, che oggi chiedono al Governo di bloccare la costruzione dei luoghi di culto dedicati alla religione islamica e che ieri hanno proposto vagoni separati nella metropolitana milanese per gli extracomunitari.
L'idea è quella di mettere sotto tutela tutto ciò che è diverso da noi, persino quella libertà religiosa che è un principio cardine di modernità e di progresso, a cui prima facevo riferimento. Questa è un'impostazione pericolosa, perché dà mandato al Governo di riconoscere e accordare la legittimità di una confessione religiosa, concedendo a discrezione la possibilità di professarla. Un balzo indietro nella storia dell'Europa, non soltanto del nostro Paese.
Il processo di secolarizzazione che ha caratterizzato la nostra storia, anche quella più recente, è ancora largamente estraneo ad altre civiltà, con cui, però, necessariamente ci dobbiamo confrontare. Proprio per questo, dobbiamo essere in grado di governare tale cambiamento, non alzando barriere, non adottando politiche di solo contenimento o di sola difesa, ma avviando e sviluppando politiche di integrazione seria e rigorosa.
In tal senso, affermo che l'immigrazione non può essere considerata come un fenomeno eccezionale o contingente, come una minaccia da limitare o contenere, magari con la nuova categoria giuridica della cattiveria, bensì come una condizione strutturale che può e deve diventare elemento di crescita e di sviluppo, come è Pag. 40stato per gli Stati Uniti d'America. Si tratta di una grande opportunità sociale, economica e culturale. Una società multietnica è necessariamente fondata sul riconoscimento delle differenze interne e sulla sua capacità di armonizzarle.
Pensare di non volere - come ha dichiarato il Premier, concedendo un assist elettorale all'alleato della Lega Nord - una società multietnica significa comportarsi in maniera antistorica. Anche in questo caso, vorrei citare un'intervista di qualcuno che se ne intende: parlo del professor Giancarlo Blangiardo, docente di demografia all'università di Milano della «Bicocca» e responsabile di statistica della Fondazione ISMU. In tale intervista, si sottolinea che quella che vive l'Italia è una situazione da record europeo, con la presenza di 150 fra etnie e nazionalità diverse sul territorio. Il fatto positivo - sottolinea il professor Blangiardo - è che esiste da parte di un'immigrazione così composita, la tendenza ad integrarsi e a non formare nuclei compatti.
Rinvio a questa intervista pubblicata da La Stampa di Torino chi avesse voglia di chiarirsi le idee, soprattutto nella maggioranza. La multietnicità quindi è già qui, piaccia o meno. L'Europa di oggi è una realtà multietnica e multireligiosa, in progressiva espansione. L'idea di un Paese monoetnico non regge la sfida della modernizzazione, tanto meno nei confronti della sicurezza e, in Europa, chi ha la politica di integrazione più forte diventa vincente, con buona pace di quanti rifiutano di accettarlo o solo vederlo. Il dato rilevante è che oggi in Italia ci sono 3,7 milioni di immigrati legali, che non possiamo certamente considerare cittadini di serie B. Si sta arrivando invece a negare che, come ci dicono i dati relativi a quanti hanno fatto la coda per l'ultima applicazione della legge Bossi-Fini, di 740 mila ne sono stati legalizzati 140 mila, costringendo però ad essere illegali gli altri 600 mila.
Tornando quindi al tema della mozione, il fenomeno migratorio italiano, ormai pluridecennale, dai Paesi arabo-islamici, ha portato con sé tematiche culturali e giuridiche che meritano alcune osservazioni. L'Islam è divenuta la seconda religione del nostro Paese, con più di un milione di fedeli, ma è anche forse, come è stato ricordato strumentalmente, l'unica comunità di credenti a non avere una rappresentanza ufficiale riconosciuta, né ad aver sottoscritto un accordo di intesa con lo Stato italiano tale da garantirle diritti e doveri costituzionali e impegni giuridici nonché consolidarne i rapporti con le istituzioni e la presenza pubblica.
È quindi necessario rifiutare con forza l'idea che l'Islam e i musulmani rappresentino un pericolo sociale. Non è accettabile identificare nelle moschee soltanto centri di raccolta di estremisti islamici e luoghi destinati al terrorismo. Li abbiamo già conosciuti i ghetti, anche nel nostro Paese, nella nostra storia, e li abbiamo chiusi. Non è pensabile immaginare di costruirne di nuovi. Non appare sinceramente conciliabile che il Governo italiano da una parte prema a favore dell'ingresso della Turchia in Europa e dall'altra si impegni contemporaneamente a favore di una moratoria per impedire la costruzione delle moschee sul proprio territorio. Ciò mentre il Presidente del Consiglio vanta, a suo dire, ottimi rapporti con il Premier turco Erdogan (di questo passo chiederemo che venga chiusa anche qualche moschea ad Istanbul!).
È vero che a Berlusconi - mi sia permesso questo passaggio - molti valori della nostra Costituzione non piacciono, ma la libertà religiosa è garantita - lo dicevo in apertura - dall'articolo 19, che stabilisce il diritto per tutti di professare liberamente la propria fede religiosa, e dall'articolo 20, che vieta l'introduzione di speciali limitazioni legislative e fiscali per le associazioni religiose.
È dunque necessario riaffermare senza tentennamenti il principio laico del rispetto della legge dello Stato come fondamento della convivenza civile tra gli uomini, come riferimento di uguaglianza, e a tale principio non possono essere permesse deroghe in nome di dettami religiosi; sarebbe il contrappasso della sharia. La costruzione delle moschee per le comunità Pag. 41islamiche può rivestire un'importanza cruciale, perché può riflettere lo sviluppo delle medesime comunità su temi come la gestione del potere, i diritti delle donne e, soprattutto, il ruolo dell'Islam nelle società occidentali. È necessario, certo, intensificare le azioni di intelligence e di controllo investigativo su elementi che hanno un potenziale di tipo terroristico, ma questo dappertutto, non soltanto nelle moschee. È altresì fondamentale stabilire relazioni e un sano e civile rapporto di convivenza con la comunità islamica presente nel nostro Paese, innescando processi di integrazione che dovrebbero essere alla base di ogni società democratica. I processi di integrazione richiedono tempo e strumenti adeguati e, in quest'ottica, la costruzione di nuove moschee potrebbe finanche rilevarsi elemento utile. L'integrazione sostenibile è l'unica strada percorribile per pensare ad un'Europa del futuro più ricca e competitiva e con un elevato grado di coesione e sicurezza interna.
Pertanto, nel presentare la nostra mozione, abbiamo teso ad impegnare il Governo su alcuni punti che rapidamente mi accingo ad elencare: in primo luogo, un costante impegno di contrasto al terrorismo internazionale, anche attraverso una politica estera mirata allo sviluppo della cooperazione con i Paesi dell'area mediorientale e con quelli in cui siamo stati chiamati ad interventi militari di carattere umanitario, a partire dall'Afghanistan.
Intendiamo impegnare il Governo, in secondo luogo, a sostenere in quest'ottica anche gli sforzi che la nuova amministrazione statunitense ha messo in campo nel processo di distinzione e attivato con diversi Stati mediorientali e con lo stesso Iran. In terzo luogo, a promuovere gli accordi necessari con la comunità islamica in Italia in modo da riaffermare diritti e doveri costituzionali e giuridici e consolidarne i rapporti con le istituzioni e la presenza pubblica. In quarto luogo, a promuovere le necessarie azioni di integrazione dei cittadini musulmani nel nostro Paese affinché possano condividere lo spirito della nostra Costituzione nel pieno rispetto della libertà religiosa. In quinto luogo, a conciliare in maniera coerente la propria politica estera con gli impegni e le scelte che si assumono sul territorio nazionale per evitare contraddizioni che esporrebbero il nostro Paese ad un inevitabile contraccolpo sullo scenario internazionale. Infine, intendiamo impegnare il Governo ad investire le necessarie risorse per attivare politiche attive di carattere culturale e non solo, con lo scopo di sviluppare una sempre maggiore coesione sociale e identificazione collettiva anche dei cittadini non comunitari residenti nel nostro Paese, nelle istituzioni rappresentative e nei processi democratici che danno corpo, nel nostro Paese, alla sovranità popolare (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zaccaria. Ne ha facoltà.

ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, anch'io come l'onorevole Evangelisti, sono stato prima addolorato e poi preoccupato per le raccapriccianti parole pronunciate in quest'aula dall'onorevole Gibelli nel corso dell'illustrazione della mozione a prima firma dell'onorevole Cota sulla cosiddetta moratoria nella costruzione di edifici di culto della religione islamica.
È una fortuna che abbia ascoltato quanto affermato dall'onorevole Evangelisti, perché in qualche modo siamo ritornati ad una dimensione più comprensibile; tuttavia, devo subito premettere che l'onorevole Gibelli, che nella prima parte del suo intervento, a sostegno della mozione Cota che ha illustrato, ha sviluppato alcune considerazioni di natura costituzionale (e mi dispiace che l'onorevole Gibelli sia andato via, perché avrei preferito riferirgli direttamente queste valutazioni), dimostra di avere una nozione estremamente approssimativa del nostro testo costituzionale.
Infatti, ne ha dato una lettura superficiale e assolutamente inaccettabile, perché chi conosce la Costituzione, anche in Pag. 42maniera rudimentale, sa che la libertà religiosa è la libertà, tra tutte le libertà ed i diritti fondamentali, che ha nella Costituzione la maggiore considerazione quantitativa.
Le libertà non si misurano a peso, ma non c'è dubbio che aver dedicato in maniera esplicita a questo argomento gli articoli 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione è significativo: non c'è nessuna altra libertà che abbia avuto tale trattazione. Dobbiamo poi, ricordare l'articolo 2 della Costituzione che, pur non menzionando espressamente la libertà religiosa, evidentemente ne costituisce il fondamento.
Pertanto, vorrei, seppure rapidamente (ma credo che sia bene che, dopo le parole testé ascoltate, abbiano spazio alcuni riferimenti un pochino più precisi su questi temi), ricordare che, in attuazione di questi numerosi principi che ho ricordato, la Corte costituzionale è intervenuta più volte su questo argomento. Dico ciò soltanto perché rimangano i fondamentali in questa materia.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 59 del 1958, ha affermato che la libertà di aprire un luogo di culto è stata riconosciuta come mezzo per un'autonoma professione della fede religiosa.
Esiste, pertanto, una concatenazione immediata: il luogo di culto, l'edificio di culto è lo strumento per la libertà religiosa. La realizzazione di tali edifici ha, infatti, per effetto quello di renderla concretamente possibile; possibile nell'idea che ne hanno gli appartenenti a quella religione, non nell'idea che ne hanno gli appartenenti ad un'altra religione.
Chi decide che un determinato luogo di culto sia giusto per la propria religione è evidentemente chi professa quella religione; chi decide se un luogo di culto si chiami Moschea o in un altro modo non è certo un soggetto qualsiasi, ma l'appartenente a quella religione.
Quindi, questo ha detto la Corte nel 1993, con la sentenza n. 195, e lo ripeto: la realizzazione di tali edifici ha per effetto quello di rendere concretamente possibile e comunque di facilitare le attività di culto che rappresentano un'estrinsecazione del diritto fondamentale e inviolabile della libertà religiosa espressamente enunciata nell'articolo 19 della Costituzione. Prosegue la Corte, sempre nella stessa sentenza, specificando - questo è importante saperlo, ma naturalmente è un elemento che deve guidare il legislatore - che un diverso trattamento, possibile alla luce dell'articolo 8 della Costituzione, delle diverse confessioni può scaturire soltanto dalla entità della presenza nel territorio dell'una o dell'altra religione.
Quindi, voglio dire che è logico che quando si deve programmare la costruzione di un edificio di culto si può tener conto, alla luce di questa giurisprudenza, della dimensione organizzativa di un certo fenomeno religioso. Questo va da sé. Ma tutti questi principi la Corte li ha ribaditi ripetutamente e anche nella famosa sentenza n. 203 del 1989, quando ha parlato del principio di laicità - che qui mi pare venga abbondantemente bypassato - il quale si centra sulla salvaguardia della libertà di religione in regime di pluralismo confessionale e culturale. Pluralismo cosa vuol dire? Che esistono diverse religioni sullo stesso territorio e nella stessa realtà. Inoltre, è ben nota la sentenza che aveva dichiarato illegittima una legge regionale della Lombardia che poneva come condizione per edificare edifici di culto il fatto di avere un'intesa stipulata con lo Stato, poiché quest'ultima è una facoltà in più, ma da essa non nasce la libertà di religione. La libertà di religione nasce chiaramente dalla Costituzione.
Voglio citare anche, seppure rapidamente, oltre alla Costituzione, la Dichiarazione sulla eliminazione di tutte le forme di intolleranza e di discriminazione fondate sulla religione contenuta nella risoluzione ONU del 1981 (la A/RES/36/55, datata 25 novembre 1981) dove si dice chiaramente che la libertà di religione implica - e questo a livello internazionale - la libertà di praticare un culto, di tenere delle riunioni collegate a una religione o a una convinzione, stabilire o intrattenere dei luoghi a questo fine.
Questo è l'articolo 6 (ribadito ancora nell'articolo 7), così come una sentenza Pag. 43della Corte europea dei diritti dell'uomo del 1996 ha escluso qualsiasi potere discrezionale da parte dello Stato di determinare se le credenze religiose o i mezzi usati per esprimere tali scadenze siano legittimi. Questi, in rapidi cenni, sono i riferimenti alla nostra cultura costituzionale, estremamente chiara e naturalmente consolidata, ai principi internazionali e anche alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo.
Però c'è un'altra parte che vorrei provare a ricordare. La mozione Cota ed altri n. 1-00076 parte dalla solita equiparazione per cui l'immigrazione è uguale a criminalità e naturalmente poi che tutto l'Islam è uguale a criminalità. Abbiamo sentito che tutta la parte motiva di tale mozione è orientata su questa impostazione. Questo è strano - mi pare che anche l'onorevole Evangelisti lo abbia in qualche modo ricordato - poiché stiamo discutendo questi principi negli stessi giorni in cui il Papa è in Terra Santa.
Il Papa in Terra Santa è così titolato su Avvenire: Un'alleanza di civiltà tra Occidente e Islam; il Papa in Giordania; rispetto per la comunità musulmana; libertà religiosa fondamentale. Dice il Papa che il fatto che la comunità cattolica in Giordania possa edificare pubblici luoghi di culto è un segno del rispetto di questo Paese per la religione e, a nome di cattolici, rileva quanto sia apprezzata questa apertura.
Poi precisa (e ciò estende il concetto): «La libertà religiosa è certamente un diritto umano fondamentale», affermandolo in quella terra e rivolgendosi anche ad altre religioni con le quali si apre, si mantiene e si vuole stabilire un dialogo significa qualcosa, «ed è mia fervida speranza e preghiera che il rispetto per i diritti inalienabili e la dignità di ogni uomo e di ogni donna giunga ad essere sempre più affermato e difeso non solo nel Medio Oriente, ma in ogni parte del mondo». Mi sembrerebbe poi strano se, in qualche modo, il Papa potesse dimenticarsi dell'Italia o pensare che in Italia non valga il principio per cui questo stesso credo, questo stesso principio universale possa avere delle eccezioni, proprio con riferimento all'Islam del quale parla. «Il Papa propone all'Islam - dice ancora Il Corriere della Sera in riferimento al viaggio in Terra santa - un'alleanza di civiltà». Vi sono ancora altri titoli simili, come quello dell'Avvenire: «Pace in Terra santa e nel mondo dal dialogo tra i tre monoteismi» e naturalmente questo è un altro riferimento.
Dico questo perché sostanzialmente vi era un'impostazione che, almeno nei tempi recenti, sembrava, invece, radicare nella parola della Chiesa le famose radici della Costituzione europea con una particolare caratura. Penso che non si possa essere più realisti del Papa. Se il Papa ritiene che questo tipo di aperture siano fondamentali, credo che sia difficile richiamarsi a quelle parole e stravolgerle.
Comunque voglio proseguire, dicendo che non solo è dimenticata la Costituzione, non solo sono dimenticati i documenti internazionali delle Nazioni Unite e dell'Unione europea, ma mi pare che si trascuri in maniera clamorosa un dato che proviene da tutte le relazioni, comprese quelle ufficiali che parlano di oltre un milione di musulmani e di oltre 775 moschee nel nostro Paese, almeno secondo i dati più recenti.
Di fronte a tutto ciò, vi è il problema della moratoria. Mi meraviglia anche che sostanzialmente si sia ritenuta ammissibile una mozione che, nella pratica letterale, è come se affermasse di sospendere un diritto costituzionale. Infatti, se costruire edifici di culto è parte integrante e strumentale della libertà religiosa, se sosteniamo in una mozione indirizzata al Governo, nelle more dell'entrata in vigore di una legge altrettanto aberrante come le parole del suo presentatore, che si possa incidere sulla libertà costituzionale (questo lo abbiamo sentito perché la Corte lo ha detto in maniera chiara), con una mozione proponiamo la sospensione di un diritto costituzionale.
Se presentassi questa mozione, mi direbbero che non è ammissibile, perché evidentemente non si può. Occorre formularla in un altro modo. Non si può pensare una cosa di questo genere. Poi ci sono Pag. 44anche altri dettagli. C'è il riferimento alla proposta di legge che abbiamo in I Commissione, che mi pare rechi, come primo firmatario, la firma dell'onorevole Gibelli, in cui si aggira la sentenza della Corte costituzionale. Siccome la Consulta ha dichiarato incostituzionale una legge della regione Lombardia che attribuiva contributi solo per la costruzione di edifici di culto delle religioni che avessero regolato i loro rapporti con lo Stato mediante intese, allora si fa una cosa molto semplice. Si stabilisce che l'atto autorizzatorio, anziché statale, sia regionale. Nel provvedimento legislativo si prevede che la costruzione di edifici di culto possa essere subordinata ad un atto regionale.
Ne discuteremo quando parleremo di quel disegno di legge. Però, siccome la mozione in esame è finalizzata all'entrata in vigore di quella legge, allora ritengo che siamo in presenza di una sorta di incostituzionalità al quadrato, perché, a mio modo di vedere, è incostituzionale la moratoria di un diritto costituzionale ed è incostituzionale prevedere che le regioni possano esprimere un atto discrezionale - ho citato prima un provvedimento in questo campo - in materia di attuazione di un diritto fondamentale.
Allora, mi soffermo brevemente sulla mozione che il Partito Democratico presenterà, riassumendola in tre punti fondamentali. Prima di tutto è chiaro che lo sfondo del tema di cui stiamo parlando è affrontare la questione che in Italia manca una legge sulla libertà religiosa: questo è il problema scandaloso sul quale si sono misurati Governi e Parlamenti con maggioranze di centrodestra e di centrosinistra. Ricordo, infatti, che la legge sulla libertà religiosa era stata proposta sia dal Governo Prodi sia poi dal Governo Berlusconi e che aveva incontrato difficoltà ad andare avanti sempre per le opposizioni della Lega. Tuttavia, la legge sulla libertà religiosa è oggi una necessità costituzionale di fondo; è inutile che affrontiamo il problema del registro degli imam o che poniamo altre questioni di carattere secondario: la strada maestra è la legge sulla libertà religiosa anche per evitare che continui a restare in vigore la pessima legge del 1929 che qualifica le altre religioni come «culti ammessi». Questa è chiaramente un'espressione da abolire e pensavo che quando alla fine dell'anno scorso hanno abrogato «all'ingrosso» tutte le leggi si fosse abrogata anche quella del 1929 perché è profondamente contrastante con la realtà costituzionale.
Allora, innanzitutto occorre dare effettività a diritti che sono enunciati nella Costituzione, anche perché vi sono problemi di eguale trattamento: non va letto soltanto il comma terzo dell'articolo 8 (magari anche male), ma anche il primo comma sull'eguale libertà delle varie religioni. Inoltre, occorre favorire - mi pare che anche il collega Evangelisti ragioni con questo tipo di logica - con tutti gli strumenti la convivenza tra i diversi che vivono in un territorio nel quadro delle tradizioni storiche, delle specificità che caratterizzano la società italiana.
Certo, adesso sentiamo dei nuovi vocaboli che si affacciano nella comunità italiana: dopo quarant'anni in cui abbiamo esteso i diritti dei cittadini agli stranieri, con i provvedimenti più recenti, invece, togliamo i diritti non solo agli stranieri, ma anche ai cittadini italiani poveri perché questa era la logica di alcune norme contenute nel cosiddetto disegno di legge sulla sicurezza. Naturalmente questo è ancora più pericoloso perché in alcuni casi, per eliminare il problema, come diceva Evangelisti, si respingono in blocco persone che sono arrivate ormai o nelle nostre acque territoriali o addirittura sulle nostre navi, che sono a tutti gli effetti territorio dello Stato, senza valutare in alcun modo neppure le caratteristiche minime per la richiesta di asilo. Quindi, al centro della nostra mozione c'è la legge sulla libertà religiosa, c'è la questione dell'integrazione, che è l'unico processo che consente di distinguere le persone perbene - che sono innumerevoli in questo Paese - dai delinquenti, che vanno perseguiti in maniera efficace con gli strumenti di cui si parlava.
È necessario operare affinché - è il quarto punto della mozione - l'edilizia di Pag. 45culto delle confessioni minoritarie non sia artatamente ostacolata e si collochi nel contesto di una ordinata e non discriminatoria programmazione urbanistica. Anche in relazione a questo aspetto bisogna sapere che ci sono alcuni comuni che possono avere ignorato il fatto che ci sono delle confessioni religiose che operano sul loro territorio e posto dei limiti ingiustificati alla costruzione di edifici di culto, con la conseguenza che queste persone devono andare a pregare nei luoghi pubblici. Non trovo scandaloso che queste persone preghino nei luoghi pubblici, ma dobbiamo in qualche modo assicurare, laddove ci sono comunità rilevanti, di dare i luoghi di culto della loro religione e quelli che loro richiedono. Quindi, come dicevo poc'anzi, occorre una programmazione ordinata e non discriminatoria in materia urbanistica.
Infine - il problema c'è, lo riconosco - occorre vigilare perché sia garantito il rispetto dei diritti fondamentali in tutti gli ordinamenti, non solo nello Stato, ma anche nelle comunità intermedie, perché sappiamo che una religione deve rispettare la compatibilità con i principi dell'ordinamento italiano. Tuttavia, inseguire i terroristi è una cosa che già può essere realizzata con gli strumenti che ci sono, ma pensare, attraverso una norma impropria, di limitare per tutti la libertà religiosa mi pare una totale aberrazione.
Queste sono le ragioni per le quali il Partito Democratico voterà i principi di questa mozione che ho richiamato in sintesi e che verrà presentata nei prossimi giorni. Naturalmente dialogherà con i colleghi dell'Italia dei Valori che ora ho sentito illustrare la loro mozione e si opporrà in maniera radicale all'impostazione che abbiamo sentito e che evoca toni, linguaggi e modelli culturali che non ci appartengono.

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Zaccaria. Per quanto riguarda l'ammissibilità della mozione, farò presente le sue osservazioni; tuttavia posso assicurarle che anche in questo caso è stata seguita l'ordinaria valutazione che viene svolta dalla Presidenza per l'ammissibilità delle mozioni.
Non vi sono altri iscritti a parlare e, pertanto, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per l'interno.

NITTO FRANCESCO PALMA, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, il Governo si riserva di rispondere, anche alla luce del fatto che la mozione dell'onorevole Evangelisti è stata presentata in data odierna e conseguentemente necessita di ulteriori approfondimenti. Il Governo si riserva anche alla luce dell'intervento dell'onorevole Zaccaria il quale, se non ho capito male, ha preannunciato una mozione del Partito Democratico con riferimento allo stesso oggetto. Quindi, mi sembrerebbe, al momento, opportuno rispondere in un unica soluzione quando verrà fissato all'ordine del giorno il seguito della discussione delle mozioni.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Sull'ordine dei lavori (ore 19,04).

SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, la scorsa settimana si è spento Don Gianni Baget Bozzo e questa mattina si sono celebrati a Genova i suoi funerali. Don Giovanni Baget Bozzo era un uomo di fede, un mistico, un politologo, uno studioso, un uomo di cultura e dalla vivace ed entusiasta passione politica. Un uomo che ha avuto un percorso anche nelle istituzioni, in quanto è stato deputato non in quest'Aula, ma al Parlamento europeo. È stato consigliere politico di Craxi prima e di Silvio Berlusconi poi, e anche per chi lo ha conosciuto da vicino, in qualche modo, con le debite proporzioni, anche per ciascuno Pag. 46di noi che ha condiviso con lui un percorso umano e politico in questi ultimi anni della sua vicenda e della sua storia politica.
Don Gianni per noi è stato un punto di riferimento. Egli seguiva con sguardo benevolo ed appassionato i nostri percorsi politici ed era sempre disponibile ad un buon consiglio, ad una riflessione politica lucida, a considerazioni di natura politica, organizzativa e istituzionale perché la passione politica aveva sempre dettato le sue azioni insieme alla fede che lo aveva sempre accompagnato in tutta la sua vita. Don Gianni era un uomo libero e coraggioso, disinteressato alle poltrone, agli onori, alle prebende di quella che oggi, a torto o a ragione, viene definita «la casta».
Don Gianni Baget Bozzo era entusiasmo ed energia contagiosi per tanti giovani. Don Gianni negli ultimi anni della sua vita aveva fondato una rivista di formazione politica online e ciò dava in qualche modo anche la misure della sua attenzione verso le evoluzioni della comunicazione, delle nuove tecnologie e dei sistemi di coinvolgimento delle persone, in particolare dei giovani, alla politica. Aveva fondato questa rivista e aveva ceduto una parte della sua casa per la costituzione della redazione e ciò dava anche la misura della sua disponibilità verso i giovani e verso le nuove generazioni, convinto come era che si dovessero cercare tra i giovani i talenti che potessero costruire una nuova classe dirigente politica da consegnare al Paese.
La sua disponibilità, il suo affetto, il suo essere disponibile al dibattito e al dialogo con tutti dava la cifra della sua vicinanza ai giovani.
Per questo chi, come me, ha guidato i giovani di Forza Italia ed è stato vicino personalmente e politicamente a Don Gianni, oggi, insieme a tante altre persone, lo ricorda con grande affetto, con il debito che si deve a un maestro politico e con il bene che si è voluto a un caro amico (Applausi).

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 12 maggio 2009, alle 9,30:
Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 733 - Disposizioni in materia di sicurezza pubblica (Approvato dal Senato) (2180-A).
Relatori: Santelli, per la I Commissione; Sisto, per la II Commissione.

La seduta termina alle 19,05.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO FRANCO NARDUCCI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI RATIFICA N. 2226

FRANCO NARDUCCI, Vicepresidente della III Commissione. Signor Presidente, onorevoli colleghi, l'Accordo italo-russo concluso a Roma il 5 novembre 2003 prevede la reciproca collaborazione nella lotta alla criminalità in tutte le sue manifestazioni ed è destinato, una volta entrato in vigore, a sostituire l'accordo del 1993 con il quale i due Stati si erano già impegnati a collaborare sul contrasto della criminalità organizzata e del traffico di stupefacenti e sostanze psicotrope.
L'intesa acquisisce un rilievo particolare nel contesto degli obiettivi che si pone la Presidenza italiana di turno del G8 e contribuisce ad arricchire ulteriormente il quadro delle relazioni italo-russe che in questi ultimi anni ha raggiunto un livello di assoluta eccellenza. Il convinto e spesso decisivo sostegno dato dall'Italia al percorso di avvicinamento russo alla «comunità occidentale» (UE, NATO, OMC, Pag. 47OCSE) costituisce per il nostro Paese un capitale importante, che ha solide basi in un forte interscambio commerciale e nella nostra solida posizione nel settore energetico e che si riflette puntualmente in numerosi incontri ad alto livello anche in ambito parlamentare: mi preme ricordare, a questo proposito le riunioni della Grande Commissione parlamentare italo-russa, l'ultima delle quali si è svolta nel novembre 2008. L'Accordo consta di un Preambolo e di 14 articoli.
Nel Preambolo le Parti contraenti, consapevoli del fatto che le diverse forme di criminalità rappresentano una seria minaccia per la sicurezza, il benessere e la salute dei propri cittadini, richiamano alcune convenzioni internazionali in materia di lotta al traffico di stupefacenti, alla criminalità organizzata transnazionale e al terrorismo.
L'articolo 1 individua gli organi competenti per l'esecuzione dell'Accordo.
In Italia tale compito è stato conferito al Dipartimento della Pubblica sicurezza del Ministero dell'Interno, mentre nella Federazione russa è articolato fra diverse istituzioni. Gli organi competenti potranno, tra l'altro, firmare protocolli, creare gruppi di lavoro congiunti e organizzare incontri di esperti.
L'articolo 2 enuncia i numerosi settori in cui si articola la collaborazione, tra i quali risaltano la criminalità organizzata, il terrorismo le sue fonti di finanziamento, il traffico di stupefacenti, il contrabbando, il traffico illecito di opere d'arte, il traffico di armi, il riciclaggio, l'immigrazione illegale, i reati informatici, la tratta e lo sfruttamento sessuale di esseri umani.
Viene peraltro specificato che l'Accordo in esame non concerne l'assistenza giudiziaria penale o l'estradizione: si ricorda a tale proposito che entrambi i Paesi sono Parti della Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957, nonché della Convenzione europea di mutua assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959, concluse nell'ambito del Consiglio d'Europa.
L'articolo 3 enuncia le forme che assume la collaborazione tra i due Stati, che vanno dallo scambio di informazioni operative e di esperienze degli specialisti, alla ricerca di soggetti sospettati di aver commesso reati, alla reciproca assistenza nell'attività investigativa.
L'articolo 4 prevede l'adozione della tecnica delle consegne controllate per l'individuazione dei soggetti che commettono il reato.
L'articolo 5 individua il contenuto della richiesta di informazioni o di assistenza e prescrive che ad essa debba essere fornita tempestiva risposta.
L'articolo 6 riguarda le informazioni e i dati personali oggetto di scambio tra i due Paesi, ai quali va anzitutto assicurata una protezione conforme alle rispettive legislazioni nazionali. I dati personali potranno essere ritrasmessi ai terzi unicamente previa autorizzazione scritta dell'Organo competente di invio dei medesimi.
Gli articoli 7 e 9 contengono clausole di salvaguardia, il primo della sovranità nazionale, della sicurezza, di interessi fondamentali o del quadro normativo di ciascuna delle Parti, che può rifiutare - in toto o in parte - di soddisfare una richiesta di assistenza se ritiene che essa si ponga in contrasto a tali beni irrinunciabili ; il secondo degli obblighi derivanti a ciascuna delle Parti da precedenti trattati internazionali bilaterali o multilaterali, rispetto ai quali l'Accordo in esame non può essere pregiudizievole.
Il monitoraggio dell'attuazione dell'Accordo in esame sarà compito (articolo 8) di rappresentanti degli Organi competenti, che si riuniranno alternativamente a Roma e a Mosca.
L'articolo 10 prevede la consultazione delle Parti prima dell'adozione, in sede internazionale, di posizioni o di azioni comuni riguardanti le materie oggetto dell'Accordo.
Gli articoli 12 e 13 contengono le clausole finali relative alla modifica ed all'entrata in vigore dell'Accordo, che avrà Pag. 48durata illimitata salvo denuncia con effetto a sei mesi dalla notifica alla controparte.
L'articolo 14, infine, dispone - come accennato - l'abrogazione dell'Accordo tra Italia e Russia firmato a Mosca 1'11 settembre 1993, concernente la lotta alla criminalità organizzata ed il traffico di stupefacenti e di sostanze psicotrope.
Il disegno di legge in esame consta di quattro articoli, i primi due recanti, rispettivamente, l'autorizzazione alla ratifica dell'Accordo italo-russo del 5 novembre 2003 sulla cooperazione nella lotta alla criminalità, e il relativo ordine di esecuzione.
L'articolo 3 reca invece la norma di copertura degli oneri finanziari derivanti dall'attuazione dell'Accordo: è autorizzata la spesa di 47.990 euro per il 2009, e di 53.530 euro annui a decorrere dal 2010.
Signor Presidente, durante l'esame dell'Accordo tra Italia e Russia nella III Commissione affari esteri sono emersi, sia da parte dell'opposizione che della maggioranza, numerosi interrogativi sul rispetto dei diritti umani in Russia.
Soprattutto la preoccupante catena di abusi a danno dei giornalisti, attuati anche con l'assassinio di alcune importanti figure come la giornalista Anna Politkovskaya, avvenuta il 7 ottobre 2006, ha richiesto un approfondimento sostanziatosi con l'audizione di rappresentanti di Amnesty International sulla situazione dei diritti umani nella Federazione russa.
Pur ricordando che la Russia è vincolata, al pari del nostro Paese, alla sottoscrizione di molte convenzioni internazionali delle Nazioni Unite in materia di cooperazione per la lotta al crimine organizzato, occorre ribadire che la questione dei diritti umani riveste carattere di grande importanza. L'audizione sopra menzionata unitamente alla recente missione della Commissione affari esteri in Russia hanno messo in risalto che vi sono le condizioni per accertare, in via processuale, le responsabilità sugli assassini sopra citati.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO FRANCO NARDUCCI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI RATIFICA N. 2363

FRANCO NARDUCCI, Vicepresidente della III Commissione. Onorevoli colleghi, a partire dal primo dopoguerra si è andata affermando la necessità di evitare le doppie imposizioni, soprattutto nell'ambito della Società delle Nazioni, che favorì la stipula dei primi importanti trattati (ad esempio quello italo-tedesco del 1925).
Un ulteriore impulso alla stipulazione di tali convenzioni è stato dato negli anni Cinquanta, specialmente tra gli Stati appartenenti all'area occidentale.
A livello sovranazionale l'OCSE ha redatto, nel 1963, un modello di convenzione-tipo, che è stato più volte aggiornato, mentre le Nazioni Unite - con il Manuale di negoziazione del 1979 - hanno inteso favorire i paesi in via di sviluppo ad accedere ad accordi equi con gli Stati economicamente più forti.
La convenzione-tipo elaborata in sede OCSE costituisce il modello di riferimento per l'accordo al nostro esame firmato a Roma il 29 ottobre 1999, con l'intento di realizzare una più proficua collaborazione economica tra Italia e Croazia, rendendo possibile un'equa distribuzione del prelievo fiscale tra lo Stato in cui viene prodotto un reddito e lo Stato di residenza dei beneficiari dello stesso.
L'Accordo, costituito da trenta articoli e da un Protocollo aggiuntivo, mantiene la struttura fondamentale del modello dell'OCSE; esso si applica esclusivamente all'imposizione sul reddito. L'Accordo è completato da uno Scambio di Note correttivo effettuato a Zagabria nel febbraio-marzo 2003.
Gli articoli 1 e 2 delimitano il campo d'applicazione dell'Accordo: i soggetti sono i residenti di uno o di entrambi gli Stati contraenti, mentre le imposte considerate per la Croazia sono l'imposta sugli utili, l'imposta sul reddito e l'imposta locale sul Pag. 49reddito. Per l'Italia le imposte considerate sono quella sul reddito delle persone fisiche, quella sul reddito delle persone giuridiche (attualmente IRES, imposta sui redditi delle società) e l'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP). È peraltro prevista l'applicazione dell'Accordo in esame anche a future imposte di natura analoga a quelle sopra contemplate, che dovessero aggiungersi o sostituire le medesime.
Gli articoli da 3 a 5 recano le definizioni dei termini impiegati nel testo normativo stesso: è «residente di uno Stato contraente» colui che in base alla legislazione fiscale di tale Stato è considerato ivi residente, mentre l'espressione «stabile organizzazione» designa una sede fissa di affari in cui l'impresa esercita in tutto o in parte la sua attività, che fornisce servizi o relative attrezzature da utilizzare stabilmente nello Stato contraente.
Gli articoli da 6 a 22 trattano dell'imposizione sui redditi: in particolare, i redditi che un residente di uno Stato contraente ritrae da beni immobili situati nell'altro Stato sono imponibili in quest'ultimo Stato (articolo 6), mentre gli utili di imprese sono imponibili nello Stato di residenza dell'impresa (articolo 7) a meno che questa non svolga la sua attività nell'altro Stato contraente mediante una stabile organizzazione ivi situata, nel qual caso gli utili saranno imponibili in quest'ultimo, ma solo nella misura in cui derivino da detta stabile organizzazione.
A norma dell'articolo 8, gli utili da esercizio della navigazione aerea o marittima internazionale sono imponibili solo nel Paese cui fa capo l'effettiva direzione dell'impresa.
I dividendi societari (articolo 10) sono imponibili in linea di principio solo nello Stato di residenza del beneficiario (ma sono previste eccezioni in casi determinati), così come gli interessi (articolo 11) e le royalties (articolo 12): lo Stato in cui tali redditi sono prodotti potrà comunque prelevare sui dividendi un'imposta non superiore al 15 per cento dell'ammontare lordo.
Tali soglie - che nel caso degli interessi non possono invece oltrepassare il 10 per cento, e nel caso delle royalties il 5 per cento - si applicano però solo se chi percepisce i dividendi ne è l'effettivo beneficiario. Inoltre, in tutti e tre i casi, se il beneficiario dei cespiti li ha ottenuti esercitando le proprie attività mediante una stabile organizzazione o una base fissa situate nell'altro Stato, essi ricadranno nella normale tassabilità da parte di detto Stato in accordo alla propria legislazione fiscale.
Anche per ciò che concerne i redditi da professione indipendente (articolo 14) o da lavoro subordinato (articolo 15), il criterio per l'imputazione della loro tassazione sta nella prevalente esplicazione dell'attività in oggetto, se nello Stato di residenza o nell'altro Stato i redditi di cui all'articolo 14 saranno imponibili nello Stato di produzione degli stessi se il beneficiario dispone in tale Stato di una «base fissa», e solo nella misura in cui siano ad essa imputabili. I redditi di cui all'articolo 15, invece, saranno imponibili nello Stato in cui vengono prodotti, a meno che il lavoratore, tra l'altro, non soggiorni in tale Stato per un periodo complessivo non eccedente 183 giorni in un anno.
A norma dell'articolo 17, poi, i compensi per artisti e sportivi sono tassabili nello Stato di prestazione effettiva dell'attività.
Le pensioni, le remunerazioni analoghe e gli eventuali trattamenti di fine rapporto sono invece imponibili solo nello Stato di residenza del beneficiario (articolo 18). Si prevede altresì, per contrastare l'elusione delle imposte, che le indennità di fine rapporto o analoghe remunerazioni siano imponibili solo nello Stato nel cui territorio si è svolta l'attività da cui traggono origine, anche qualora il beneficiario sia, o sia nel frattempo divenuto, residente dell'altro Stato contraente.
Gli stipendi, i salari o altre analoghe remunerazioni, nonché le pensioni, corrisposte da uno Stato contraente a fronte di servizi ad esso resi sono imponibili solo in detto Stato, salvo il caso che il beneficiario sia residente nell'altro Stato o addirittura Pag. 50ne abbia la nazionalità, poiché allora i cespiti divengono imponibili nello Stato di residenza (articolo 19).
L'articolo 22 riguarda l'imposizione su redditi diversi da quelli trattati agli articoli precedenti, e stabilisce che di norma gli elementi di reddito di un residente di uno dei due Stati contraenti siano imponibili solo nello Stato di residenza: tuttavia fanno eccezione i redditi provenienti da fonti varie situate nell'altro Stato contraente.
All'articolo 23 vengono definiti i metodi per evitare le doppie imposizioni: la scelta cade sul credito d'imposta, in accordo con tutte le altre Convenzioni negoziate dall'Italia nella stessa materia.
Agli articoli da 24 a 28 viene anzitutto stabilito il principio di non discriminazione nei confronti dei soggetti nazionali di uno Stato contraente, che non possono subire nell'altro Stato un'imposizione più onerosa di quella cui sarebbero sottoposti i soggetti nazionali di detto Stato. Si prevede lo scambio di informazioni tra le rispettive Autorità, per facilitare l'applicazione dell'accordo, nel rispetto tuttavia delle proprie legislazioni interne, dei limiti da queste posti alla diffusione di tali informazioni, del segreto industriale, commerciale o professionale, nonché del fondamentale interesse del mantenimento dell'ordine pubblico nei due paesi.
L'articolo 28 definisce le procedure di rimborso delle imposte riscosse mediante ritenuta alla fonte in uno Stato contraente.
Gli articoli 29 e 30 contengono disposizioni finali relative all'entrata in vigore, alla denuncia e alla cessazione degli effetti dell'Accordo, la cui durata è illimitata: è prevista tuttavia la facoltà di denuncia dell'accordo - ma solo dopo cinque anni dall'entrata in vigore - da parte di uno Stato contraente, mediante preavviso inoltrato per via diplomatica almeno sei mesi prima della fine dell'anno solare.
II disegno di legge di ratifica consta di tre articoli, recanti, il primo, l'autorizzazione alla ratifica dell'Accordo italo-croato sulle doppie imposizioni, il secondo l'ordine di esecuzione ed il terzo l'entrata in vigore della legge di autorizzazione alla ratifica, fissata per il giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
Diversamente da alcuni analoghi casi recenti, l'autorizzazione alla ratifica dell'Accordo italo-croato sulle doppie imposizioni non comporta oneri a carico del bilancio dello Stato, giacché si presume - in base alla relazione tecnica che accompagna il disegno di legge di autorizzazione alla ratifica (atto Senato 1318) - che le disposizioni di essa determinino effetti trascurabili sulla finanza pubblica italiana. Di conseguenza, il disegno di legge non reca alcuna norma di copertura finanziaria.
Mi preme sottolineare la rilevanza politica di questo accordo nel quadro delle relazioni italo-croate che sono particolarmente intense in ogni settore (l'Italia è anche primo partner commerciale della Croazia), anche in forme di una minoranza italiana autoctona che conta circa trentamila persone, concentrate soprattutto in Istria e a Fiume. Nella Regione Istriana vige il bilinguismo amministrativo, mentre numerose municipalità istriane hanno adottato nei propri statuti comunali il bilinguismo integrale (diciotto complessivamente, tra cui Pola, Rovigno, Buie, Umago, Cittanova, Dignano, Parenzo).
Nel complesso, 4.600 imprese italiane sono presenti nel Paese. Occorre registrare che alcuni dei nostri imprenditori segnalano lentezza, scarsa trasparenza, difficoltà e lungaggini giudiziarie ed una generale «fatica» nella realizzazione degli investimenti.
È necessario altresì sottolineare che il convinto sostegno dell'Italia al cammino di integrazione europea ed euro-atlantica di Zagabria rimane distinto dalla forte esigenza di affrontare le questioni bilaterali aperte in un'ottica europea condivisa.
L'esame parlamentare di questo importante accordo bilaterale mi consente di sollecitare conclusivamente alcune precisazioni, da parte del Governo, circa lo stato di avanzamento della questione dell'accesso al mercato immobiliare croato per i cittadini italiani, in particolare per quanto riguarda il nodo dell'acquisto di immobili da parte delle «persone giuridiche» Pag. 51italiane: si tratta in particolare di immobili destinati alle sedi della nostra minoranza. Un'analoga richiesta di chiarimenti attiene al problema dei beni degli Esuli d'Istria, Quarnero e Dalmazia, per sapere se è stato promosso un completo adeguamento dell'adeguamento dell'ordinamento giuridico croato alle norme ed ai principi del diritto comunitario, con particolare riferimento alla non-discriminazione su base della nazionalità.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO FRANCO NARDUCCI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI RATIFICA N. 2362

FRANCO NARDUCCI, Vicepresidente della III Commissione. Onorevoli colleghi, per quanto attiene alla ratio che ispira l'accordo ed al suo modello giuridico-internazionale di riferimento, rappresentato dalla convenzione-tipo elaborata nell'ambito dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) a partire dal 1963, mi richiamo alle considerazioni svolte nella relazione sul disegno di legge atto Camera 2363, riguardante la ratifica dell'accordo tra Italia e Croazia sulle doppie imposizioni.
La Convenzione al nostro esame firmata a Lubiana 1'11 settembre 2001 mantiene la struttura fondamentale del modello dell'OCSE; essa si applica tanto all'imposizione sul reddito quanto a quella sul patrimonio, profilo quest'ultimo presente oggi solo nella legislazione fiscale slovena.
Gli articoli 1 e 2 delimitano il campo d'applicazione della Convenzione: i soggetti sono i residenti di uno o di entrambi gli Stati contraenti, mentre le imposte considerate per la Slovenia sono l'imposta sugli utili delle persone giuridiche, l'imposta sul reddito delle persone fisiche e l'imposta sul patrimonio. Per l'Italia le imposte considerate sono quella sul reddito delle persone fisiche, quella sul reddito delle persone giuridiche (IRES) e l'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP).
Agli articoli da 3 a 5 si procede alle definizioni: in particolare, è «residente di uno Stato contraente» colui che in base alla legislazione fiscale di tale Stato è considerato ivi residente, mentre l'espressione «stabile organizzazione» designa una sede fissa di affari in cui l'impresa esercita in tutto o in parte la sua attività.
Gli articoli da 6 a 22 trattano dell'imposizione sui redditi: in particolare, i redditi che un residente di uno Stato contraente ritrae da beni immobili situati nell'altro Stato sono imponibili in quest'ultimo Stato (articolo 6), mentre gli utili di imprese sono imponibili nello Stato di residenza dell'impresa (articolo 7) a meno che questa non svolga la sua attività nell'altro Stato contraente mediante una stabile organizzazione ivi situata, nel qual caso gli utili saranno imponibili in quest'ultimo, ma solo nella misura in cui derivino da detta stabile organizzazione.
A norma dell'articolo 8, gli utili da esercizio della navigazione aerea o marittima internazionale sono imponibili solo nel Paese cui fa capo l'effettiva direzione dell'impresa.
I dividendi societari (articolo 10) sono imponibili in linea di principio solo nello Stato di residenza del beneficiario (ma sono previste eccezioni in casi determinati), così come gli interessi (articolo 11) e i canoni (articolo 12): lo Stato in cui tali redditi sono prodotti potrà comunque prelevare sui dividendi un'imposta, rispettivamente non superiore al 5 per cento dell'ammontare lordo per partecipazioni societarie non inferiori al 25 per cento, e non superiore al 15 per cento nelle altre fattispecie. Tali soglie si applicano però solo se chi percepisce i dividendi ne è l'effettivo beneficiario.
Anche per ciò che concerne i redditi da professione indipendente (articolo 14) o da lavoro subordinato (articolo 15), il criterio per l'imputazione della loro tassazione sta nella prevalente esplicazione dell'attività in oggetto, se nello Stato di residenza o nell'altro Stato: i redditi di cui all'articolo 14 saranno imponibili nello Stato di produzione degli stessi se il beneficiario dispone in tale Stato di una «base fissa», e Pag. 52solo nella misura in cui siano ad essa imputabili. I redditi di cui all'articolo 15, invece, saranno imponibili nello Stato in cui vengono prodotti, a meno che il lavoratore, tra l'altro, non soggiorni in tale Stato per un periodo complessivo non eccedente 183 giorni in un anno.
A norma dell'articolo 17, poi, i compensi per artisti e sportivi sono tassabili nello Stato di prestazione effettiva dell'attività.
Le pensioni, le remunerazioni analoghe e gli eventuali trattamenti di fine rapporto sono invece imponibili solo nello Stato di residenza del beneficiario (articolo 18). Tuttavia, al fine di evitare pratiche di elusione delle imposte, il comma 2 prevede che le indennità di fine rapporto siano imponibili solo nello Stato nel cui territorio si è svolta l'attività da cui traggono origine, anche qualora il beneficiario sia nel frattempo divenuto residente dell'altro Stato contraente.
Gli stipendi, i salari o altre analoghe remunerazioni, nonché le pensioni, corrisposte da uno Stato contraente a fronte di servizi ad esso resi sono imponibili solo in detto Stato, salvo il caso che il beneficiario sia residente nell'altro Stato o addirittura ne abbia la nazionalità, poiché allora i cespiti divengono imponibili nello Stato di residenza (articolo 19).
L'articolo 22 riguarda l'imposizione su redditi diversi da quelli trattati agli articoli precedenti, e stabilisce che di norma gli elementi di reddito di un residente di uno dei due Stati contraenti siano imponibili solo nello Stato di residenza.
L'articolo 23 concerne la tassazione del patrimonio che, per i beni immobiliari, avviene nello Stato in cui essi sono localizzati; lo stesso dicasi per i beni mobili facenti parte della stabile organizzazione di un'impresa o della base fissa di un residente di uno Stato contraente, anch'essi imponibili nello Stato ove sono situati. L'opposto si verifica per i beni immobiliari o mobiliari connessi all'esercizio del traffico internazionale aereo o marittimo.
All'articolo 24 vengono definiti i metodi per evitare le doppie imposizioni: la scelta cade sul credito d'imposta, in accordo con tutte le altre Convenzioni negoziate dall'Italia nella stessa materia.
Agli articoli da 25 a 29 viene anzitutto stabilito il principio di non discriminazione nei confronti dei soggetti nazionali di uno Stato contraente, che non possono subire nell'altro Stato un'imposizione più onerosa di quella cui sarebbero sottoposti i soggetti nazionali di detto Stato. Gli articoli 30 e 31 contengono disposizioni finali relative all'entrata in vigore, alla denuncia e alla cessazione degli effetti della Convenzione, la cui durata è illimitata: è prevista tuttavia la facoltà di denuncia dell'accordo - ma solo dopo cinque anni dall'entrata in vigore - da parte di uno Stato contraente, mediante preavviso inoltrato per via diplomatica almeno sei mesi prima della fine dell'anno solare.
Il disegno di legge di ratifica consta di tre articoli, recanti, il primo, l'autorizzazione alla ratifica della Convenzione italo-slovena sulle doppie imposizioni, il secondo l'ordine di esecuzione ed il terzo l'entrata in vigore della legge di autorizzazione alla ratifica, fissata per il giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
Il provvedimento non prevede una quantificazione di oneri: come viene precisato nella relazione tecnica allegata al disegno di legge di autorizzazione alla ratifica presentato al Senato (atto Senato 1316) l'applicazione della Convenzione comporterà effetti sul gettito fiscale di scarsa entità, che non avranno incidenza sul bilancio dello Stato.
Mi preme rilevare come l'accordo al nostro esame si inserisca in un quadro di rapporti bilaterali tradizionalmente assai intensi. L'Italia è stabilmente il secondo partner commerciale della Slovenia, dopo la Germania (con una quota di mercato che si aggira intorno al 19 per cento), il secondo mercato di sbocco per i prodotti sloveni ed il secondo Paese fornitore.
Sul punto occorre evidenziare che la presenza dell'imprenditoria italiana in Slovenia, pur presentando ampi margini di crescita, ha trovato alcuni ostacoli riguardanti la propensione da parte slovena ad Pag. 53aprire settori dell'economia nazionale considerati strategici ad investitori esteri. Al fine di adeguarsi al sistema ed alle opportunità, la forma oggi più utilizzata dalle imprese italiane per investire nel Paese è l'acquisizione di quote all'interno di società slovene, spesso costituite ad hoc. Di conseguenza, essendo le quote facilmente alienabili, la presenza di capitale italiano all'interno di esse è mutevole.
Al contempo, come ho già sottolineato nell'illustrare il disegno di legge di ratifica della convenzione italo-croata sulle doppie imposizioni, vorrei cogliere questa occasione per chiedere alcune precisazioni al Governo circa lo status della nostra minoranza nel paese controparte di questo accordo bilaterale.
Attualmente la minoranza italiana autoctona in Slovenia conta circa 3-4.000 componenti nel litorale sloveno; tre municipalità slovene hanno adottato nei propri statuti comunali il bilinguismo integrale (Capodistria, Isola e Pirano).
In particolare vorrei sapere se vi è stato un monitoraggio sulla corretta, effettiva applicazione della legge sull'uso pubblico della lingua slovena, che riconosce l'utilizzo della lingua italiana (e ungherese) nei comuni in cui vivono le rispettive Comunità nazionali (in linea con quanto realizzato nei confronti della minoranza slovena in Italia) ed in relazione all'attuazione della legge di riforma della Radio Televisione slovena che ha portato al rischio di limitazioni all'autonomia dei programmi in lingua italiana di Radio-Tele Capodistria, anche in termini di possibili riduzioni di finanziamenti e di personale.
Su un piano più generale, riterrei importante conoscere se da parte slovena vi sia stato un pieno adeguamento dell'ordinamento giuridico alle norme ed ai principi comunitari, con particolare riferimento alla non discriminazione sulla base della nazionalità, al fine di affrontare le questioni bilaterali aperte in uno spirito costruttivo ed in un'ottica europea.