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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 165 di giovedì 23 aprile 2009

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MAURIZIO LUPI

La seduta comincia alle 9,30.

LORENA MILANATO, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Brugger, Buonfiglio, Cicchitto, Cota, De Biasi, Donadi, Gibelli, Giro, Jannone, Leo, Migliori, Pescante, Soro e Vitali sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente settantaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Assegnazione a Commissione in sede legislativa della proposta di legge n. 2389.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'assegnazione di una proposta di legge a Commissione in sede legislativa. A norma del comma 1 dell'articolo 92 del Regolamento propongo alla Camera che la seguente proposta di legge sia assegnata, in sede legislativa, alla sottoindicata Commissione:
I Commissione (Affari costituzionali):
CICCHITTO ed altri: «Disciplina transitoria per lo svolgimento dei referendum previsti dall'articolo 75 della Costituzione da tenersi nell'anno 2009» (2389) (Parere della V Commissione).

Ha chiesto di parlare contro il deputato Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, la decisione di assegnare in sede legislativa il progetto di legge con il quale di fatto si sposterà la data di svolgimento del referendum al 21 giugno prossimo rappresenta un'evidente forzatura (ieri l'ho definita un aggiramento) del Regolamento della Camera dei deputati e, purtroppo, anche della Costituzione. Si tratta di una forzatura che la maggioranza ha deciso di attuare dopo aver perso colpevolmente l'occasione di far svolgere il referendum nella data del 6 e 7 giugno, in accorpamento con le elezioni europee.
Al grave e colpevole spreco economico si aggiunge dunque ora anche questa inutile forzatura istituzionale che lascerà un segno, una traccia sui nostri lavori e nella prassi parlamentare. D'altra parte, della disinvoltura con la quale questa maggioranza si rapporta con la Costituzione eravamo già consapevoli, come eravamo e siamo consapevoli della confermata mancanza di rispetto di questa maggioranza per il Parlamento e per le sue procedure. Credo che non sia stato un caso che ieri sia venuto un alto monito dal Presidente della Repubblica rispetto alle esigenze di governabilità che non devono però sfociare in atteggiamenti autoritari. Pag. 2
Il procedimento in sede legislativa in Commissione è circondato nella Costituzione da una serie notevole di cautele di tipo oggettivo. In particolare, in sede legislativa non possono esaminarsi, ai sensi dell'articolo 72, quarto comma, della Costituzione, i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale, né quelli di delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali e di approvazione di bilanci e consuntivi. Che la maggioranza, e, purtroppo, stavolta anche la Presidenza della Camera, sostengano oggi che questo provvedimento non abbia come oggetto materia elettorale appare a dir poco curioso (e questa mattina voglio essere buono, e quindi usare un eufemismo). Siamo infatti davanti ad un negazione evidente della realtà, ad un sofisma regolamentare sostenuto per giustificare la dolosa e colpevole mancanza del Governo che - ripeto - avrebbe potuto e dovuto far svolgere il referendum nella data del 6 e 7 giugno. Dunque, per giustificare una colpa, come detto, se ne aggiunge un'altra.
Non è questione superflua, di poco conto. Siamo di nuovo di fronte ad una forzatura dei Regolamenti parlamentari e della stessa Costituzione. La richiesta che lei, signor Presidente, ha testé fatto, di assegnare in sede legislativa questa «leggina Cicchitto» (che permetterà, dunque, di far svolgere il referendum il 21 giugno) contrasta non soltanto con la Costituzione ma con la stessa norma del Regolamento in virtù della quale viene fatta la richiesta. In altre parole, proprio quel primo comma dell'articolo 92, cui si fa riferimento, specifica che...
Signor Presidente, capisco che non è molto interessante quello che sto dicendo... non voglio l'attenzione dei colleghi, ma se lei magari volesse cortesemente seguirmi...
Lei ha formulato la proposta di assegnazione in sede legislativa ai sensi del comma 1 dell'articolo 92 del Regolamento che, tuttavia, precisa che «quando un progetto di legge riguarda questioni che non hanno speciale rilevanza di ordine generale il Presidente può proporre alla Camera che il progetto sia assegnato ad una Commissione permanente o speciale, in sede legislativa, per l'esame e l'approvazione».
Quindi oggi si sostiene non soltanto che il provvedimento non ha come oggetto materia elettorale, ma anche che non ha una speciale rilevanza di ordine generale. Dunque, a suo avviso, signor Presidente, e secondo voi della maggioranza, la possibilità di decidere lo spostamento di un referendum che ha come obiettivo la modifica del sistema elettorale nazionale - questo ci state dicendo, questo state affermando - non avrebbe speciale rilevanza di ordine generale. Capite, dunque, che parliamo di «curiosità» ma dovremmo usare un altro termine.
Il provvedimento oggi al nostro esame, recante disciplina transitoria per lo svolgimento dei referendum previsti dall'articolo 75 della Costituzione da tenersi nell'anno 2009, è finalizzato a procrastinare la data rispetto alla scadenza naturale che sarebbe stata il 7 giugno. È incredibile: questo testo, secondo la maggioranza di Governo, ma, purtroppo, dobbiamo registrare anche secondo una parte dell'opposizione...

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Evangelisti.

FABIO EVANGELISTI. Concludo, signor Presidente. Questo testo non riguarderebbe dunque materia elettorale e non avrebbe rilevanza generale. Di questo passo sospenderete presto le elezioni politiche e si dirà che esse non hanno interesse né rilevanza generale, perché a voi basta il televoto.
Dunque, poiché il Governo è colpevole di non aver voluto tenere il referendum il 7 giugno, bruciando così diverse centinaia di milioni di euro per un capriccio padano, la maggioranza parlamentare che lo sostiene e parte dell'opposizione decidono non di sanare questa colpa, ma di aggiungerne un'altra. Ancora una volta siete sotto il ricatto della Lega, ve ne infischiate dell'interesse dei cittadini e del vostro stesso tornaconto elettorale.

Pag. 3

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Evangelisti.

FABIO EVANGELISTI. E così alla già lunga lista si somma un'ennesima forzatura nel confronti della Costituzione e del Parlamento. Sappiamo tutti che questa votazione ha un evidente effetto esterno, che il provvedimento ha carattere elettorale ed è sicuramente un provvedimento di grande...

PRESIDENTE. Mi dispiace, onorevole Evangelisti, ma devo invitarla a concludere.

FABIO EVANGELISTI. Si tratta, dunque, di un provvedimento di grande rilevanza generale. Se si vuole far fallire il referendum si abbia almeno il coraggio di sostenere lealmente l'astensione. Lo si dica con chiarezza. Dite agli elettori, come ebbe il coraggio di fare Craxi, di andare al mare, perché in questo modo, con questo escamotage, si mortificano il Parlamento e la Costituzione, non si permette alcun reale risparmio e si mette in serio dubbio la correttezza delle votazioni del referendum. È un furto di legalità, è un furto di democrazia, è un furto di risorse (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare a favore l'onorevole Zaccaria.

ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, sono a favore perché alcune delle considerazioni che ho ascoltato dall'onorevole Evangelisti mi paiono forzate per quanto riguarda la compatibilità costituzionale. Dico anzitutto che il Partito Democratico ha sostenuto da molto tempo, in particolare nella proposta sull'election day, la tesi del voto il giorno 7 giugno e, quindi, l'abbinamento con le elezioni europee ed amministrative. Questa era la nostra tesi ed è e rimane la tesi principale, per consentire un risparmio molto rilevante di risorse pubbliche.
Tale posizione non è passata. A questo punto, per effetto del meccanismo di attuazione delle norme costituzionali, il referendum potrebbe essere fissato il giorno 14 giugno, come alcune voci confermano. È la soluzione peggiore, perché è una data nella quale non c'è un'altra consultazione elettorale e gli italiani avrebbero sostanzialmente tre appuntamenti elettorali in tre fine settimana diversi. Dice l'onorevole Evangelisti, che ho ascoltato con attenzione, che in questo caso siamo fuori dalla Costituzione, approvando una leggina di questo tipo.
A parte il fatto che l'interpretazione dell'articolo 72, con riferimento alla materia elettorale, com'è noto vede una diversa valutazione in sede parlamentare e anche in sede scientifica, non ogni argomento che riguarda la materia elettorale non può essere trattato. Addirittura esaminiamo decreti-legge che toccano il perimetro esterno delle elezioni, l'organizzazione (abbiamo esaminato anche recentemente un decreto-legge su tale materia). Qui non si tratta di toccare il nucleo forte della materia elettorale, la trasformazione dei voti in seggi, ma di disciplinare un aspetto organizzativo del voto.
Tuttavia, la cosa più importante è quanto deriva dall'articolo 34 della legge n. 352 del 1970. Sull'articolo 34 vorrei citarvi, in modo che resti agli atti, quanto ebbe a dire uno dei più illustri costituzionalisti italiani, Livio Paladin: l'articolo 34, terzo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352, parrebbe richiedere lo spostamento di un solo anno, ma in realtà la consultazione referendaria può essere anche spostata di due anni, dal momento che non si deve in nessun caso oltrepassare la data del 15 giugno (a meno di un'espressa disposizione derogatoria, come quella contenuta nella legge 7 agosto 1987, n. 332, sulla base della quale alcune consultazioni sono state effettuate l'8 e il 9 novembre del medesimo anno). Dice Paladin - e credo che in questa materia ne sapesse più di tutti noi - che la struttura di tale articolo 34 sostanzialmente, lasciando solo una finestra per il voto (15 aprile-15 giugno), porta allo slittamento di un altro anno, se non si configura la possibilità di indire la consultazione in quel periodo. Pag. 4
Dunque, non si può dire che fare una leggina sia incostituzionale, perché già è stata fatta e alcun organo di controllo ha avuto nulla da ridire. Il pericolo potrebbe essere quello di un rinvio di due anni: è un pericolo che noi vogliamo evitare. Noi aderiamo a questa leggina semplicemente perché ci pare, dopo aver perso l'occasione del 7 giugno, molto più razionale svolgere il referendum il 21 giugno piuttosto che il 14. Credo che qualsiasi italiano di buonsenso preferisca, anziché votare tre volte, votare due volte soltanto. Non si risparmiano 460 milioni, ma almeno se ne risparmino 100. Questa è la ragione per la quale aderiamo a tale proposta, che ci pare riduttiva del danno (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È stato sollevato dall'onorevole Evangelisti il problema dell'ammissibilità dell'assegnazione in sede legislativa della proposta di legge n. 2389, quella di cui stiamo discutendo, in relazione al limite previsto dall'articolo 72, quarto comma, della Costituzione, che impone la procedura normale di approvazione in Assemblea per i progetti di legge in materia elettorale.
Preliminarmente ricordo che la proposta di legge in questione modifica, per il solo anno 2009, il periodo entro il quale è possibile lo svolgimento del referendum e detta disposizioni, sempre con riferimento ai referendum del 2009, per disciplinare aspetti pratici e organizzativi riguardanti l'eventuale accorpamento della consultazione referendaria con il secondo turno di votazione per le elezioni amministrative.
È evidente, dunque, che, come è già stato precisato anche in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo, a cui anche l'onorevole Evangelisti ha partecipato, tale progetto di legge non è riconducibile alla categoria dei progetti di legge in materia elettorale. Le norme del progetto di legge riguardano invece il procedimento relativo ai referendum, che costituiscono votazioni popolari deliberative, non a contenuto elettorale. Né vale l'obiezione secondo cui il provvedimento contiene anche norme per disciplinare l'eventuale svolgimento contestuale del referendum e del secondo turno delle elezioni amministrative: si tratta infatti di norme meramente organizzative, che non incidono sulla disciplina sostanziale delle elezioni. Né rileva, infine, in alcun modo il fatto che il referendum riguarderebbe la legge elettorale, dato che la norma prevista dall'articolo 72, quarto comma, della Costituzione non annovera tra le materie indicate quella del referendum, che pertanto è escluso dal suo ambito applicativo, qualunque ne sia l'oggetto.
In tale senso, può citarsi il precedente dell'VIII legislatura dell'assegnazione in sede legislativa del progetto di legge n. 1391, concernente aspetti organizzativi ed applicativi, anche qui riferiti alle consultazioni referendarie.
Per quanto riguarda le altre sue osservazioni, credo che queste considerazioni da me svolte valgano anche con riferimento alla questione della speciale rilevanza di ordine generale.
Passiamo ai voti.
Pongo in votazione la proposta di assegnazione a Commissione in sede legislativa della proposta di legge n. 2389.
È approvata.

FABIO EVANGELISTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, chiedo la controprova mediante votazione con il procedimento elettronico senza registrazione di nomi.

PRESIDENTE. Sta bene.

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 9,48).

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta avranno luogo votazioni mediante procedimento elettronico, senza registrazione di nomi, decorre da questo momento Pag. 5il termine di preavviso di cinque minuti previsto dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.
Per consentire il decorso del termine regolamentare di preavviso, sospendo la seduta.

La seduta, sospesa alle 9,50, è ripresa alle 9,55.

Si riprende la discussione.

PRESIDENTE. Chiedo ai colleghi di prendere posto.
Onorevole Evangelisti, le faccio presente - lei lo sa meglio di me - che non avrei dovuto consentire la controprova, in quanto avevo già proceduto alla proclamazione del risultato. Tuttavia, per un'assoluta esigenza di trasparenza, ai sensi dell'articolo 53, comma 1 del Regolamento, ho accolto la sua richiesta. Lo dico in modo che ciò non costituisca precedente.
Procediamo, quindi, alla controprova della votazione per alzata di mano cui si è proceduto prima della sospensione della seduta.
Passiamo ai voti.
Pongo in votazione, mediante procedimento elettronico senza registrazione di nomi, la proposta di assegnazione a Commissione in sede legislativa della proposta di legge n. 2389 all'ordine del giorno.
Colleghi, prendete pure posto. Non si preoccupi, onorevole Quartiani, abbiamo tutto il tempo. Onorevole Nicolais? L'onorevole Fiano oggi non riesce a votare. Onorevole Bergamini? Prego di attivare il terminale dell'onorevole Bergamini. L'onorevole Cicchitto sta votando. Bene. Onorevole Fiano? Nel momento in cui un collega ha chiesto di poter votare non posso non consentirlo. All'onorevole Fiano oggi difetta o il polpastrello o il dispositivo di voto. Ricordo che si tratta di una votazione senza registrazione di nomi. Onorevole Fiano, ci siamo? (Commenti) Colleghi, vi prego, più volte abbiamo discusso insieme di ciò: dal momento in cui un collega fa presente che non riesce a votare e l'ho constatato, devo dargli la possibilità di farlo. Onorevole Fiano? L'onorevole Fiano rinuncia e vota per alzata di mano. Alzi la mano che sommeremo anche il suo voto. Va bene.
(La Camera approva).

La Camera approva per 327 voti di differenza.

FABIO EVANGELISTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, intervengo per ringraziarla e dichiararmi soddisfatto di aver potuto constatare la larga maggioranza che ha accompagnato questa sua proposta. Tuttavia, mi consenta, signor Presidente, di dire che era difficile poter chiedere una controprova se prima ella non avesse dichiarato l'esito di quella votazione, il cui risultato, ai miei occhi, francamente, non risultava così schiacciante (Commenti dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Onorevole Evangelisti, mi scusi, ho compreso le sue osservazioni, mi preme tuttavia precisare quanto segue. L'articolo 53 del nostro Regolamento, al primo comma, afferma esplicitamente: «Il voto per alzata di mano in Assemblea è soggetto a controprova mediante procedimento elettronico senza registrazione di nomi, se ne viene fatta richiesta prima della proclamazione». Vale a dire che la controprova avviene dopo, ma la richiesta deve essere formulata prima della proclamazione. Detto questo, poiché non vi era alcun problema da parte della Presidenza a dar luogo ad una controprova, mi sembra che questa ci sia stata e che sia stata evidente.

RITA BERNARDINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

Pag. 6

RITA BERNARDINI. Signor Presidente, questa ennesima violazione della Costituzione italiana viene fatta con l'accordo di maggioranza ed opposizione. È un regime di sessant'anni che va avanti e lo diciamo al Partito Democratico: non è solo da oggi, ma da sessant'anni che si viola il diritto dei cittadini di votare sui referendum e voi avete fatto parte, per sessant'anni, di questo regime che oggi si perfeziona (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Bernardini, anche se non sembrava che il contenuto del suo intervento fosse attinente all'ordine dei lavori.

Votazione per l'elezione di quattro componenti effettivi e di quattro componenti supplenti della Commissione di vigilanza sulla Cassa depositi e prestiti (ore 10).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la votazione per schede per l'elezione di quattro componenti effettivi e di quattro componenti supplenti della Commissione di vigilanza sulla Cassa depositi e prestiti.
Ciascun deputato riceverà due schede che concernono, rispettivamente, i componenti effettivi (scheda di colore arancio) e i componenti supplenti (scheda di colore celeste) della Commissione di vigilanza sulla Cassa depositi e prestiti. Su ciascuna di tali schede, a norma dell'articolo 56, comma 1, del Regolamento, potranno essere indicati non più di tre nominativi.
Ricordo che la Camera, a norma dell'articolo 3 del regio decreto 2 gennaio 1913, n. 453, e dell'articolo 110 del regio decreto 28 aprile 1910, n. 204, può eleggere quali componenti della citata Commissione soltanto deputati.
Le schede recanti un numero di nominativi superiore a quello prescritto saranno dichiarate nulle.
L'invalidazione del voto riguardante uno dei nominativi indicati non comporterà automaticamente l'invalidazione del voto riguardante i restanti nominativi.
Le operazioni di scrutinio saranno effettuate dai deputati segretari, conformemente al parere reso dalla Giunta per il regolamento il 30 settembre 1998.
Avverto che la Presidenza, conformemente ai criteri definiti nella seduta della Giunta per il regolamento del 13 marzo 2007, ha accolto alcune richieste di anticipo del turno di votazione, trasmesse dai presidenti di gruppo.
Indico la votazione segreta per schede e invito i deputati segretari a dare inizio alla prima chiama, iniziando dai deputati che hanno chiesto di anticipare il turno di votazione.
(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Chiedo ai colleghi che hanno chiesto di anticipare il proprio voto di portarsi verso le urne e di essere preparati! Onorevole Bianconi, prego!

(Segue la votazione).

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE (ore 11,30)

(Segue la votazione).

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MAURIZIO LUPI (ore 11,35)

(Segue la votazione).

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE (ore 11,40)

(Segue la votazione).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la votazione e invito i deputati segretari a procedere, nella sala dei Ministri, allo spoglio delle schede. Sospendo la seduta che riprenderà alle 14 per la lettura del risultato delle votazioni, una volta ultimate le operazioni di scrutinio. Durante Pag. 7la sospensione potranno riunirsi le Commissioni permanenti per le riunioni programmate.

La seduta, sospesa alle 12,10, è ripresa alle 14,05.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MAURIZIO LUPI

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Alessandri, Brancher, Brugger, Caparini, Cicchitto, Colucci, Cosentino, Cota, Craxi, Gibelli, Giancarlo Giorgetti, Leone, Martini, Palumbo e Soro sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente settanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Risultato della votazione per l'elezione di quattro componenti effettivi e di quattro componenti supplenti della Commissione di vigilanza sulla Cassa depositi e prestiti.

PRESIDENTE. Comunico il risultato della votazione per l'elezione di quattro componenti effettivi della Commissione di vigilanza sulla Cassa depositi e prestiti:

Presenti e votanti 477

Hanno ottenuto voti i deputati: Tommaso Foti 217; Bitonci 212; Franzoso 202; Giovanelli 180.

Voti dispersi 21
Schede bianche 43
Schede nulle 14

Proclamo eletti componenti effettivi della Commissione di vigilanza sulla Cassa depositi e prestiti i deputati Tommaso Foti, Bitonci, Franzoso e Giovanelli (Applausi).
Onorevole Giovanelli, ha riscosso un'apoteosi, non ho mai sentito così tanti applausi per un'elezione! Complimenti e buon lavoro a lei e a tutti i suoi colleghi, l'onorevole Tommaso Foti, l'onorevole Bitonci e l'onorevole Franzoso.
Comunico, altresì, il risultato della votazione per l'elezione di quattro componenti supplenti della Commissione di vigilanza sulla Cassa depositi e prestiti:

Presenti e votanti 477

Hanno ottenuto voti i deputati: Fedriga 212; Proietti Cosimi 204; Ceroni 203; Galletti 176.

Voti dispersi 19
Schede bianche 53
Schede nulle 18.

Proclamo eletti componenti supplenti della Commissione di vigilanza sulla Cassa depositi e prestiti i deputati Fedriga, Proietti Cosimi, Ceroni e Galletti.

Hanno preso parte alla votazione:

Deputati:

Abelli Gian Carlo
Abrignani Ignazio
Agostini Luciano
Alessandri Angelo
Alfano Gioacchino
Allasia Stefano
Angeli Giuseppe
Aprea Valentina
Aracu Sabatino
Argentin Ileana
Armosino Maria Teresa
Ascierto Filippo
Baccini Mario
Baldelli Simone
Barani Lucio
Barbareschi Luca Giorgio
Barbaro Claudio
Barbato Francesco
Barbi Mario
Barbieri Emerenzio Pag. 8
Baretta Pier Paolo
Beccalossi Viviana
Belcastro Elio Vittorio
Bellanova Teresa
Bellotti Luca
Beltrandi Marco
Benamati Gianluca
Berardi Amato
Bergamini Deborah
Bernardini Rita
Bernardo Maurizio
Bernini Anna Maria
Berretta Giuseppe
Berruti Massimo Maria
Biancofiore Michaela
Bianconi Maurizio
Biasotti Sandro
Binetti Paola
Bitonci Massimo
Bobba Luigi
Bocchino Italo
Bocci Gianpiero
Boccia Francesco
Bocciardo Mariella
Boffa Costantino
Bonavitacola Fulvio
Bonciani Alessio
Boniver Margherita
Bordo Michele
Bosi Francesco
Bossa Luisa
Braga Chiara
Bragantini Matteo
Brancher Aldo
Brandolini Sandro
Bratti Alessandro
Brigandì Matteo
Briguglio Carmelo
Brugger Siegfried
Bruno Donato
Bucchino Gino
Buonanno Gianluca
Burtone Giovanni Mario Salvino
Buttiglione Rocco
Calabria Annagrazia
Calderisi Giuseppe
Caldoro Stefano
Calearo Ciman Massimo
Calgaro Marco
Callegari Corrado
Calvisi Giulio
Cambursano Renato
Capano Cinzia
Caparini Davide
Capitanio Santolini Luisa
Capodicasa Angelo
Cardinale Daniela
Carella Renzo
Carlucci Gabriella
Carra Enzo
Carra Marco
Casini Pier Ferdinando
Cassinelli Roberto
Castagnetti Pierluigi
Castellani Carla
Castiello Giuseppina
Catanoso Basilio
Catone Giampiero
Causi Marco
Cazzola Giuliano
Ceccacci Rubino Fiorella
Ceccuzzi Franco
Cenni Susanna
Centemero Elena
Ceroni Remigio
Cesa Lorenzo
Cesario Bruno
Cesaro Luigi
Chiappori Giacomo
Cicchitto Fabrizio
Ciccioli Carlo
Cicu Salvatore
Ciriello Pasquale
Codurelli Lucia
Colaninno Matteo
Colombo Furio
Colucci Francesco
Comaroli Silvana Andreina
Commercio Roberto Mario Sergio
Compagnon Angelo
Concia Anna Paola
Consiglio Nunziante
Consolo Giuseppe
Conte Gianfranco
Contento Manlio
Corsaro Massimo Enrico
Corsini Paolo
Coscia Maria
Cosentino Nicola
Cosenza Giulia
Costa Enrico
Cota Roberto
Craxi Stefania Gabriella Anastasia
Cristaldi Nicolò Pag. 9
Crosio Jonny
Cuomo Antonio
Cuperlo Giovanni
Dal Lago Manuela
Dal Moro Gian Pietro
Damiano Cesare
D'Amico Claudio
D'Antona Olga
D'Antoni Sergio Antonio
De Angelis Marcello
De Camillis Sabrina
De Corato Riccardo
De Girolamo Nunzia
Delfino Teresio
Della Vedova Benedetto
Dell'Elce Giovanni
Del Tenno Maurizio
De Luca Francesco
De Micheli Paola
De Nichilo Rizzoli Melania
De Pasquale Rosa
De Poli Antonio
De Torre Maria Letizia
Di Biagio Aldo
Di Caterina Marcello
Di Centa Manuela
Di Giuseppe Anita
Dionisi Armando
D'Ippolito Vitale Ida
Di Stanislao Augusto
Distaso Antonio
Di Virgilio Domenico
Dozzo Gianpaolo
Duilio Lino
Dussin Guido
Dussin Luciano
Esposito Stefano
Evangelisti Fabio
Fadda Paolo
Faenzi Monica
Fallica Giuseppe
Farina Gianni
Farina Renato
Farina Coscioni Maria Antonietta
Farinone Enrico
Fava Giovanni
Fedi Marco
Fedriga Massimiliano
Ferranti Donatella
Ferrari Pierangelo
Fiano Emanuele
Fiorio Massimo
Fluvi Alberto
Fogliardi Giampaolo
Fogliato Sebastiano
Follegot Fulvio
Fontana Vincenzo Antonio
Fontanelli Paolo
Forcolin Gianluca
Formichella Nicola
Formisano Aniello
Foti Antonino
Foti Tommaso
Franzoso Pietro
Frassinetti Paola
Froner Laura
Fucci Benedetto Francesco
Fugatti Maurizio
Galati Giuseppe
Garagnani Fabio
Garavini Laura
Garofalo Vincenzo
Garofani Francesco Saverio
Gasbarra Enrico
Gava Fabio
Genovese Francantonio
Gentiloni Silveri Paolo
Germanà Antonino Salvatore
Ghedini Niccolò
Ghiglia Agostino
Ghizzoni Manuela
Giachetti Roberto
Giacomoni Sestino
Giammanco Gabriella
Gibelli Andrea
Gibiino Vincenzo
Gidoni Franco
Ginefra Dario
Ginoble Tommaso
Giorgetti Giancarlo
Giovanelli Oriano
Giulietti Giuseppe
Gnecchi Marialuisa
Goisis Paola
Golfo Lella
Gottardo Isidoro
Gozi Sandro
Granata Benedetto Fabio
Graziano Stefano
Grimaldi Ugo Maria Gianfranco
Grimoldi Paolo
Guzzanti Paolo
Holzmann Giorgio
Iannaccone Arturo Pag. 10
Iannarilli Antonello
Iannuzzi Tino
Iapicca Maurizio
Laffranco Pietro
La Forgia Antonio
Laganà Fortugno Maria Grazia
Lainati Giorgio
La Loggia Enrico
La Malfa Giorgio
Lamorte Donato
Landolfi Mario
Lanzarin Manuela
Lanzillotta Linda
Laratta Francesco
Latteri Ferdinando
Lazzari Luigi
Lehner Giancarlo
Lenzi Donata
Leone Antonio
Letta Enrico
Levi Ricardo Franco
Lisi Ugo
Lo Moro Doris
Lo Presti Antonino
Lorenzin Beatrice
Losacco Alberto
Lovelli Mario
Lulli Andrea
Lunardi Pietro
Lupi Maurizio
Lusetti Renzo
Lussana Carolina
Maccanti Elena
Madia Maria Anna
Malgieri Gennaro
Mancuso Gianni
Mannucci Barbara
Mantini Pierluigi
Marantelli Daniele
Marchi Maino
Marchignoli Massimo
Marchioni Elisa
Margiotta Salvatore
Mariani Raffaella
Marinello Giuseppe Francesco Maria
Marini Cesare
Marini Giulio
Marrocu Siro
Marsilio Marco
Martini Francesca
Martino Antonio
Mastromauro Margherita Angela
Mattesini Donella
Mazzarella Eugenio
Mazzoni Riccardo
Mazzuca Giancarlo
Mecacci Matteo
Melis Guido
Merlo Giorgio
Merloni Maria Paola
Meta Michele Pompeo
Miglioli Ivano
Milanato Lorena
Milanese Marco Mario
Minardo Antonino
Minasso Eugenio
Miotto Anna Margherita
Misiani Antonio
Misiti Aurelio Salvatore
Mistrello Destro Giustina
Misuraca Dore
Moffa Silvano
Mogherini Rebesani Federica
Moles Giuseppe
Molteni Laura
Molteni Nicola
Monai Carlo
Montagnoli Alessandro
Morassut Roberto
Moroni Chiara
Mosca Alessia Maria
Mosella Donato Renato
Motta Carmen
Mottola Giovanni Carlo Francesco
Munerato Emanuela
Mura Silvana
Murer Delia
Murgia Bruno
Mussolini Alessandra
Nannicini Rolando
Napoli Angela
Narducci Franco
Naro Giuseppe
Nastri Gaetano
Negro Giovanna
Nicco Roberto Rolando
Nicolais Luigi
Nirenstein Fiamma
Nizzi Settimo
Nola Carlo
Nucara Francesco
Oliverio Nicodemo Nazzareno
Orlando Andrea
Orsini Andrea Pag. 11
Pagano Alessandro Saro Alfonso
Paglia Gianfranco
Palagiano Antonio
Palmieri Antonio
Palumbo Giuseppe
Paolini Luca Rodolfo
Papa Alfonso
Parisi Arturo Mario Luigi
Parisi Massimo
Paroli Adriano
Pastore Maria Piera
Patarino Carmine Santo
Pedoto Luciana
Pelino Paola
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido
Pepe Mario (Pd)
Pepe Mario (Pdl)
Perina Flavia
Pes Caterina
Pianetta Enrico
Piccolo Salvatore
Picierno Pina
Pili Mauro
Pini Gianluca
Pisicchio Pino
Piso Vincenzo
Pistelli Lapo
Pittelli Giancarlo
Pizzetti Luciano
Pizzolante Sergio
Poli Nedo Lorenzo
Polidori Catia
Pollastrini Barbara
Porcu Carmelo
Porfidia Americo
Porta Fabio
Portas Giacomo Antonio
Proietti Cosimi Francesco
Pugliese Marco
Quartiani Erminio Angelo
Rainieri Fabio
Raisi Enzo
Rampelli Fabio
Rampi Elisabetta
Rao Roberto
Ravetto Laura
Razzi Antonio
Realacci Ermete
Recchia Pier Fausto
Repetti Manuela
Ria Lorenzo
Rigoni Andrea
Rivolta Erica
Romano Francesco Saverio
Romele Giuseppe
Rondini Marco
Rosato Ettore
Rossa Sabina
Rossi Luciano
Rosso Roberto
Rossomando Anna
Ruben Alessandro
Rugghia Antonio
Russo Paolo
Ruvolo Giuseppe
Saglia Stefano
Salvini Matteo
Sammarco Gianfranco
Samperi Marilena
Sanga Giovanni
Sani Luca
Santagata Giulio
Santelli Jole
Sarubbi Andrea
Savino Elvira
Sbai Souad
Sbrollini Daniela
Scalera Giuseppe
Scalia Giuseppe
Scandroglio Michele
Scarpetti Lido
Scelli Maurizio
Schirru Amalia
Scilipoti Domenico
Sereni Marina
Simonetti Roberto
Siragusa Alessandra
Sisto Francesco Paolo
Soglia Gerardo
Soro Antonello
Speciale Roberto
Sposetti Ugo
Stagno d'Alcontres Francesco
Stasi Maria Elena
Stracquadanio Giorgio Clelio
Stradella Franco
Strizzolo Ivano
Stucchi Giacomo
Tabacci Bruno
Tassone Mario
Tempestini Francesco
Tenaglia Lanfranco
Testa Federico
Testa Nunzio Francesco Pag. 12
Testoni Piero
Toccafondi Gabriele
Tocci Walter
Togni Renato Walter
Torazzi Alberto
Torrisi Salvatore
Tortoli Roberto
Toto Daniele
Touadi Jean Leonard
Trappolino Carlo Emanuele
Tremaglia Mirko
Tullo Mario
Turco Livia
Turco Maurizio
Vaccaro Guglielmo
Valducci Mario
Valentini Valentino
Vanalli Pierguido
Vannucci Massimo
Vassallo Salvatore
Vegas Giuseppe
Vella Paolo
Velo Silvia
Ventucci Cosimo
Ventura Michele
Verini Walter
Versace Santo Domenico
Vico Ludovico
Vietti Michele Giuseppe
Vignali Raffaello
Villecco Calipari Rosa Maria
Viola Rodolfo Giuliano
Volpi Raffaele
Zaccaria Roberto
Zacchera Marco
Zampa Sandra
Zamparutti Elisabetta
Zeller Karl
Zorzato Marino
Zucchi Angelo
Zunino Massimo

Sono in missione:

Albonetti Gabriele
Alfano Angelino
Antonione Roberto
Balocchi Maurizio
Berlusconi Silvio
Bindi Rosy
Bonaiuti Paolo
Bongiorno Giulia
Bossi Umberto
Brambilla Michela Vittoria
Brunetta Renato
Buonfiglio Antonio
Carfagna Maria Rosaria
Casero Luigi
Cirielli Edmondo
Cossiga Giuseppe
Crimi Rocco
Crosetto Guido
De Biasi Emilia Grazia
Donadi Massimo
Fitto Raffaele
Fontana Gregorio
Gelmini Mariastella
Giorgetti Alberto
Giro Francesco Maria
Jannone Giorgio
La Russa Ignazio
Leo Maurizio
Lo Monte Carmelo
Lucà Mimmo
Mantovano Alfredo
Maran Alessandro
Maroni Roberto
Mazzocchi Antonio
Melchiorre Daniela
Meloni Giorgia
Menia Roberto
Miccichè Gianfranco
Migliavacca Maurizio
Migliori Riccardo
Molgora Daniele
Orlando Leoluca
Pecorella Gaetano
Pescante Mario
Prestigiacomo Stefania
Roccella Eugenia Maria
Romani Paolo
Ronchi Andrea
Rotondi Gianfranco
Scajola Claudio
Stefani Stefano
Tremonti Giulio
Urso Adolfo
Vitali Luigi
Vito Elio

Sull'ordine dei lavori (14,08)

SANDRA ZAMPA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

Pag. 13

SANDRA ZAMPA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, prendo la parola a nome dell'Intergruppo parlamentare di amicizia Italia-Armenia che si è costituito nelle scorse settimane, riprendendo peraltro un'iniziativa già avviata nella scorsa legislatura. Prendo la parola per ricordare che novantaquattro anni fa, nella notte del 24 aprile 1915, con l'arresto a Istanbul di duecento leader della comunità armena iniziò la persecuzione verso quel popolo, che poi si trasformò in genocidio degli armeni.
Tra il 1915 e il 1917 una gran parte dei 2 milioni di armeni che vivevano nell'attuale Turchia fu deportata in massa in un'opera di trasferimento della popolazione decisa dal movimento dei Giovani turchi che allora era al potere. Il numero delle vittime uccise dalla fame, dalla violenza, dagli stupri e dalle torture fu enorme. Il genocidio sarà ricordato domani in molti luoghi dalle comunità armene d'Italia. Sarà ricordato a Napoli, a Padova, a Venezia, a Firenze, a Milano. E anche qui a Roma, nella chiesa armena di san Nicola di Tolentino, dove sarà celebrata una messa solenne in rito armeno.
Numerose sono anche le iniziative commemorative di carattere storico e scientifico, che, ovviamente, aspirano a ridurre sempre più l'area di non conoscenza di quei fatti o addirittura di silenzio, laddove sono conosciuti, su quella grande tragedia della storia contemporanea. Su quei fatti, voglio ricordarlo con orgoglio, si è pronunciato senza incertezze il Parlamento italiano nel 2000, riconoscendo il genocidio degli armeni. Noi oggi, da quest'Aula, vogliamo dire agli armeni che nella giornata della memoria anche noi ricordiamo (Applausi).

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Zampa. La Presidenza non può che associarsi alle sue parole, espresse anche a nome dell'Intergruppo parlamentare di amicizia con il popolo armeno.

ROBERTO MORASSUT. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO MORASSUT. Signor Presidente, onorevoli colleghi, intervengo sull'ordine dei lavori per ricordare che in questi giorni ricorre il settantaduesimo anniversario della morte di Antonio Gramsci, deceduto dopo oltre dieci anni di detenzione nelle carceri fasciste il 27 aprile 1937. Antonio Gramsci, oltre ad essere ancora oggi una delle figure di maggiore spicco della cultura italiana del Novecento, fu per un breve periodo parlamentare italiano, deputato della Camera del Regno d'Italia e capo storico del Partito Comunista d'Italia. Eletto deputato in Parlamento, un Parlamento già fascistizzato, nel 1924, fu tratto in arresto nel 1926, a seguito dell'applicazione, da parte del regime, delle leggi speciali, dette leggi fascistissime, iniziando un lungo calvario che lo avrebbe condotto alla morte, dopo enormi sofferenze fisiche.
Le riflessioni avanzatissime sulla democrazia moderna e sulla complessità della società di massa pongono il suo pensiero ancora oggi tra le fonti più fertili per interpretare i nodi critici di ogni democrazia, delle sue possibili degenerazioni e dei suoi sviluppi in direzione di una maggiore giustizia sociale. Il pensiero di Gramsci si è misurato, in un frangente decisivo e drammatico della storia d'Italia, con il tema del rapporto fecondo tra socialismo e liberalismo e con il valore universale della democrazia, fino a condurre la tradizione rivoluzionaria e comunista del movimento operaio a fare i conti con la democrazia politica e con il parlamentarismo.
Fu Gramsci, con larghissimo anticipo, a prevedere, come possibile e naturale fuoriuscita dal giogo della dittatura, la necessità di un'Assemblea costituente, che ricostruisse le basi di una democrazia parlamentare moderna, ritenendo improponibile per le caratteristiche italiane una via rivoluzionaria guidata dalle rappresentanze politiche e sindacali del proletariato, così come dal suo pensiero il movimento socialista e democratico comprese il valore del dialogo con il mondo cattolico, che già dai primi anni del secolo aveva scelto di partecipare attivamente alla vita politica Pag. 14italiana. Gramsci combatté, pagando con la vita, su un doppio fronte: contro la dittatura fascista e contro la degenerazione burocratica e stalinista dell'utopia comunista. Forse per questo rimase in carcere e subì un duro isolamento, che fu per lui il tormento più grave.
Nella rilettura del pensiero di Machiavelli, un altro grande italiano, fatalmente un profeta disarmato, Gramsci solleva un altro tema attualissimo: la necessità di far convivere in un moderno partito di massa intellettuali e popolo. È un tema attualissimo, perché oggi è evidente un po' a tutti lo scadimento e l'avvilimento della vita interna dei partiti: da un lato il ruolo marginale della cultura italiana rispetto al dibattito politico ed un suo ritorno ad un'antica tradizione di piccolo cabotaggio, per citare un amico rivale di Machiavelli, l'altro grande, Guicciardini; dall'altro il prevalere spesso, nei partiti, di un popolo rapace, spesso incolto ed impreparato, ma capacissimo nelle tecniche più raffinate del carrierismo politico.
Un ultimo pensiero: nelle riflessioni e nelle analisi di Gramsci, che hanno arricchito le categorie e le chiavi di lettura del pensiero politico moderno e che ormai sono divenute, per usare una sua stessa espressione, senso comune, torna spesso il tema del cesarismo. Gramsci fu molto attento nel valutare, sulla scia di una grande cultura politica che va da Giambattista Vico a Benedetto Croce, gli elementi degenerativi e a volte autodistruttivi di ogni democrazia. Ebbe presenti i rischi del plebiscitarismo, della corrosione delle strutture culturali fondamentali di un Paese, delle tradizioni accumulate nell'esperienza di un popolo che possono dissolversi rapidamente in determinate condizioni socio-economiche e internazionali. Anche questo è un tema attualissimo, cioè come garantire al nostro Paese una stabilità politica, una capacità decisionale dei poteri esecutivi, ma senza compromettere l'impianto essenziale di una democrazia liberale, basata sulla separazione dei poteri e sull'esistenza di una libera e critica opinione pubblica.
Ecco perché credo sia giusto oggi, in quest'Aula, rendere omaggio ad un grande italiano, ad un parlamentare italiano la cui esperienza intellettuale e di vita è un patrimonio quanto mai vivo per questa Repubblica (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

Discussione del disegno di legge: Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato) (A.C. 1441-bis-C) (ore 14,15).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dalla Camera e modificato dal Senato: Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, nonché in materia di processo civile.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1441-bis-C)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Unione di Centro e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento, senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che le Commissioni I (Affari costituzionali) e V (Bilancio) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
La relatrice per la I Commissione, onorevole Bernini Bovicelli, ha facoltà di svolgere la relazione.

ANNA MARIA BERNINI BOVICELLI, Relatore per la I Commissione. Signor Presidente, il disegno di legge n. 1441-bis-C - lo anticipo per poi riprendere questi spunti in sede di conclusione della Pag. 15mia relazione - è un provvedimento tematicamente multiforme, che è stato esaminato dalla Camera dei deputati, in prima e in terza lettura, dalle Commissioni riunite I e V, proprio perché tratta temi di diversa matrice che, però, hanno un obiettivo comune: quello di dare una risposta pronta, certa e normativamente univoca ad un momento critico, un momento di crisi congiunturale che sta, purtroppo, volgendo allo strutturale e che lambisce settori economici, finanziari, sociali, e quindi anche giurisdizionali, che necessitano di risposte quanto possibile efficienti.
È questo il senso del provvedimento, che è stato licenziato dalla Camera dei deputati in prima lettura con un testo composto di 46 articoli, divisi in sette capi, e che è stato successivamente esaminato, discusso e licenziato dal Senato della Repubblica con modifiche significative al corpo del testo: gli articoli sono passati da 46 a 73, quindi vi sono state numerose aggiunte, modifiche, stralci e soppressioni, e i capi sono passati da 7 a 6.
I temi trattati, che corrispondono ai capi, attengono - in maniera molto sintetica - all'innovazione, alla semplificazione, al piano industriale della pubblica amministrazione e alle privatizzazioni; l'ultimo capo attiene ad una clausola di salvaguardia in materia di federalismo fiscale, che, peraltro, è già stato trattato e licenziato, come tema e come provvedimento legislativo, da entrambi i rami del Parlamento.
In questa sede mi limiterò a riportare, elencare e descrivere, pur se sinteticamente, solo il testo degli articoli che sono stati oggetto di modifica in Senato e solo di quelli che sono stati oggetto delle modifiche più significative e non residuali; in particolare, di quelli che hanno suscitato ampio dibattito in sede di Commissioni riunite.
L'articolo 1 del provvedimento concerne le attività di programmazione e pianificazione di interventi infrastrutturali per le aree sottoutilizzate volte a portare ad un rapido adeguamento delle reti di comunicazione pubbliche e private alle nuove evidenze tecnologiche.
L'articolo 2 disciplina le società di consulenza finanziaria, stabilendo che le stesse debbano esercitare attività in forma di società per azioni o società a responsabilità limitata, quindi come persone giuridiche che debbono soggiacere ai requisiti e ai presupposti previsti dalla legge.
L'articolo 3 novella il capo III della legge n. 400 del 1988 che regola l'attività normativa del Governo, in particolare valorizzando i temi della chiarezza e del riordino dei testi normativi.
L'articolo 4 rappresenta un'ulteriore evoluzione del meccanismo cosiddetto «taglia-leggi», che vuole effettuare una ripulitura tematica e mirata del nostro ordinamento giuridico dalle norme che risultassero obsolete, implicitamente abrogate o semplicemente contrarie ai principi contenuti nella Costituzione, in quanto precedenti alla promulgazione della Costituzione stessa. Questo meccanismo è stato avviato per la prima volta nel 2005 e, attraverso una serie di provvedimenti che sono stati licenziati dal Parlamento - come, ad esempio, da ultimo, il decreto legge n. 200 del 2008 - segue un suo percorso di riordino, risistemazione e riassetto dell'ordinamento giuridico italiano in un'ottica di riorganizzazione sistemica e di diminuzione del corpus normativo.
L'articolo 5 novella il capo III della legge n. 400 del 1988, con particolare riferimento all'attività di normazione secondaria del Governo e alla redazione di testi unici compilativi.
L'articolo 7 apporta modifiche alla legge 7 agosto 1990, n. 241, in tema di procedimento amministrativo, con particolare riferimento alla certezza e alla riduzione dei tempi di conclusione dei procedimenti amministrativi.
L'articolo 9 modifica gli articoli della medesima legge n. 241 del 1990, rispettivamente in materia di conferenza di servizi e dichiarazione di inizio di attività.
L'articolo 11 prevede e disciplina una delega al Governo per l'individuazione di nuovi servizi e funzioni per le farmacie pubbliche e private e identifica e riorganizza i criteri di identificazione dei requisiti di ruralità. Pag. 16
L'articolo 12 reca una delega al Governo in materia ambientale.
L'articolo 13 riguarda le procedure amministrative contrattuali attraverso le quali si attuano gli interventi di cooperazione internazionale.
L'articolo 15 reca modifiche e integrazioni a quanto disposto dal codice del consumo del 2005, relativamente, in particolare, al contratto di vendita dei pacchetti turistici a vantaggio e tutela del consumatore e al Fondo nazionale di garanzia per i consumatori dei servizi turistici.
L'articolo 17, in materia di partecipazione alle gare dei consorzi stabili, è stato oggetto di emendamento soppressivo del Governo in sede di esame congiunto in Commissione.
L'articolo 18 implementa la realizzazione di progetti di eccellenza per lo sviluppo e la promozione del sistema turistico nazionale.
L'articolo 19 modifica la disciplina relativa alla composizione e alle modalità di nomina del consiglio di amministrazione dell'Agenzia nazionale del turismo.
L'articolo 20 autorizza il Corpo forestale dello Stato, solo per l'anno 2009, ad assumere personale operaio a tempo determinato, entro il limite di spesa di 3 milioni di euro.
L'articolo 21 pone a carico delle pubbliche amministrazioni l'obbligo di pubblicare sui propri siti Internet le retribuzioni annuali, i curricula, gli indirizzi di posta elettronica e i numeri telefonici ad uso professionale dei dirigenti e di rendere, allo stesso modo, pubblici i tassi di assenza e di maggior presenza del personale.
L'articolo 22 dispone alcune modifiche in materia di lavoro presso le pubbliche amministrazioni.
L'articolo 23 promuove l'individuazione e la diffusione delle buone pratiche presso gli uffici delle pubbliche amministrazioni, introducendo, in particolare, l'obbligo per le stesse di pubblicare sempre sui propri siti web o con modalità consimili un indicatore dei tempi medi di pagamento dei beni, servizi e forniture corrisposto dalle amministrazioni stesse e, soprattutto, dei tempi medi di definizione dei procedimenti e di erogazione dei servizi resi all'utenza.
L'articolo 24 delega il Governo al riordino, alla trasformazione e alla fusione del Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione, del Formez e della Scuola superiore per la pubblica amministrazione.
L'articolo 25 prevede che il Centro per la documentazione e la valorizzazione delle arti contemporanee sia trasformato in fondazione di diritto privato.
L'articolo 26 dispone il trasferimento, a titolo gratuito, al Ministero per i beni e le attività culturali della partecipazioni azionarie detenute da Italia lavoro Spa in Ales Spa.
L'articolo 27 modifica il termine per l'esercizio della delega per il riordino degli enti di ricerca, trasferendolo al 31 dicembre 2009 (si tratta del meccanismo cosiddetto «taglia-enti», previsto nel primo collegato alla finanziaria), e modifica alcuni dei principi e criteri direttivi per l'esercizio della delega.
L'articolo 32 reca disposizioni finalizzate all'eliminazione degli sprechi cartacei.
Gli articoli da 33 a 36 valorizzano l'utilizzo dello strumento informatico nell'attività della pubblica amministrazione sia nei rapporti interni sia nelle relazioni esterne e nei servizi resi agli utenti.
L'articolo 37 reca disposizioni per il rilascio della Carta nazionale servizi e delle altre carte elettroniche, organizzando il cumulo con la titolarità di carta d'identità elettronica.
L'articolo 40 apporta alcune modifiche all'articolo 38 del decreto-legge n. 112 del 2008, primo collegato alla finanziaria, in materia di «impresa in un giorno».
L'articolo 41 dispone e ridefinisce l'immissione del personale non dirigenziale del ruolo speciale della Protezione civile per fascia retributiva.
L'articolo 42, in materia di Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa, è stato oggetto di emendamento soppressivo nell'esame da parte delle Commissioni riunite. Pag. 17
L'articolo 43 interviene sulla disciplina della funzione giurisdizionale della Corte dei conti, apportando alcune modifiche alla procedura che sovrintende al giudizio pensionistico.
L'articolo 44 reca disposizioni in materia di Avvocatura generale dello Stato, per l'allocazione percentuale delle competenze e la costituzione di fondi perequativi per l'Avvocatura medesima e il personale amministrativo.
L'articolo 45 delega il Governo al riassetto della disciplina del processo amministrativo per adeguare il procedimento stesso presso i TAR e il Consiglio di Stato alla giurisprudenza costituzionale e delle giurisdizioni superiori e, soprattutto, per coordinarlo con la sistematica del processo civile.
Per quanto riguarda, poi, la giustizia, tale tematica è trattata negli articoli dal 46 al 70 che sono stati oggetto di una significativa attività di novellazione, di cui vorrei, in questa sede, evidenziare i punti più rilevanti.
Il punto significativo, su cui certamente il provvedimento concentra una buona parte di aspettative in termini deflattivi del flusso di richiesta che accede alla giustizia civile, è l'utilizzo di filtri pregiudiziali, non avversariali e non aggiudicativi, come la conciliazione e la mediazione, che comportano, poiché si deflaziona il contenzioso e vi è un minore afflusso delle richieste di giustizia davanti alla giurisdizione togata, una diminuzione dei tempi, dei costi e della complessità nel processo civile.
Inoltre, il provvedimento prevede l'inserimento di un procedimento semplificato abbreviato, il cosiddetto procedimento sommario di cognizione, più snello, agile e alternativo al rito ordinario; una delega al Governo per la semplificazione dei riti attraverso la riconduzione di tutti i procedimenti a tre modelli processuali previsti dal codice di procedura civile (in particolare, il procedimento ordinario di cognizione, il procedimento sommario di cognizione e il rito del lavoro); la soppressione del rito societario e l'applicazione del rito ordinario per le cause in materia di sinistri stradali e l'introduzione di un filtro per l'ammissibilità dei ricorsi in Cassazione al fine di deflazionare il carico di lavoro del giudice di legittimità.
Vorrei, a questo proposito, tributare un particolare ringraziamento a tutti i colleghi di tutti i gruppi parlamentari delle Commissioni I, II e V, che hanno contribuito, con il loro lavoro, collaborazione e consenso unanimi, all'ottimizzazione del testo concernente il filtro per i ricorsi in Cassazione.
Il provvedimento introduce, inoltre, la previsione di uno strumento di coercizione nei confronti del debitore per ogni giorno di inadempienza rispetto ad alcune tipologie di obbligazioni, in particolare, l'obbligazione di fare infungibile e di non fare; l'inserimento di sanzioni processuali a carico di chi ritarda, con il proprio comportamento ostruzionistico, la conclusione del processo; la previsione di ulteriori misure per l'efficienza del processo civile, quale il calendario del processo, l'aumento delle competenze del giudice di pace, la semplificazione della fase di decisione delle controversie e la forte riduzione dei tempi per il compimento di singoli atti processuali nonché la prova testimoniale scritta, previo accordo tra le parti o a riscontro di documenti contabili già prodotti.
Nel corpus delle norme relative al titolo giustizia, vorrei segnalare, in particolare, l'articolo 67, finalizzato a semplificare le procedure per l'accesso al notariato, previsto per la prima volta al Senato e che ci è stato trasmesso in seconda lettura, il quale interviene sui requisiti per la partecipazione al concorso notarile, sopprimendo, in particolare, la prova preselettiva informatica ed inserendo il meccanismo delle tre idoneità ovvero richiedendo per la partecipazione al concorso l'assenza di dichiarazione di inidoneità in tre concorsi precedenti.
Le specifiche disposizioni applicabili esclusivamente ai candidati che hanno partecipato al concorso notarile, indetto con decreto del direttore generale della Pag. 18giustizia civile 1o settembre 2004, sono state oggetto di emendamento soppressivo nell'esame delle Commissioni riunite.
Inoltre, e siamo già giunti alla conclusione, l'articolo 72, nel capo V sulle privatizzazioni, modifica la disciplina relativa agli organi societari e alla costituzione e alla partecipazione al capitale di società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato e non quotate.
Per concludere, dagli articoli descritti emerge un obiettivo unificante che ha ispirato il provvedimento ovvero la drastica semplificazione di leggi, regole, apparati e procedure per una maggiore efficienza ed efficacia di servizi, tempi e costi essenziali per dare una vera e vigorosa spinta allo sviluppo economico del nostro Paese per un riposizionamento dello stesso in termini di reale competitività interna, comunitaria e quindi internazionale (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
È iscritto a parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, in primo luogo devo dare atto al relatore di avere svolto anche in questa sede una relazione estremamente chiara ed esaustiva, compiendo uno sforzo di sintesi encomiabile, visto e considerato che la materia è, nella sostanza, complessa, articolata e variegata, poiché questo maxi-provvedimento reca una serie di disposizioni.
Ci troviamo oggi di fronte alla terza lettura del provvedimento in esame: la prima si è svolta alla Camera e la seconda al Senato, il quale ci ha restituito il testo con ulteriori modifiche, trasferendo una serie di problemi da quello a questo ramo del Parlamento. Per tale motivo, non ho alcuna difficoltà nel dare atto alla relatrice, ma anche alla Commissione nel suo complesso, nonché ai presidenti della I e della V Commissione dello sforzo compiuto, per il modo con cui hanno condotto i lavori.
Non vi è dubbio che le critiche e le perplessità che abbiamo sollevato sono riportate per intero anche in questa occasione. Non mi scandalizzo che, all'interno di un provvedimento, vi possano essere più materie, ma il disegno di legge in esame certamente assume una fisionomia quasi patologica nel modo in cui tenta di affrontare e regolare tanti temi ed argomenti diversi.
Il relatore ha compiuto una sintesi articolo per articolo, ma ogni articolo avrebbe bisogno di una valutazione a sé stante. Viene affrontato anche il tema relativo alla semplificazione legislativa, ma credo che non sia questo un percorso agile affinché la semplificazione legislativa possa prendere corpo e realizzarsi.
Quante volte, su tanti temi, abbiamo immaginato di arrivare a testi unici leggibili e comprensibili? Credo che vi sia invece, in questo provvedimento, una serie di temi ed argomenti che, come dicevo poc'anzi, certamente avrebbero avuto bisogno di una valutazione a sé stante. Un altro aspetto è quello di aver voluto prevedere proprio un capitolo a parte per quanto riguarda il processo civile.
Non sollevo critiche oltremisura per quanto riguarda lo sforzo e l'intendimento da parte del Governo di dare una razionalità alle norme del processo civile e alla riforma del processo civile, come non mi scandalizza e non mi meraviglia il fatto che la semplificazione della normativa possa riferirsi anche allo sviluppo economico.
Non vi è dubbio che il fatto di favorire i rapporti intersociali, di prevedere misure di semplificazione e di limitare, anche nel campo della giustizia, l'appesantimento nelle procedure sia utile per un ritorno di carattere economico. Inoltre, non vi è dubbio che tutto ciò sia utile anche per una prospettiva economica e sociale che certamente va tesaurizzata, riproposta ed affermata giorno per giorno. Tuttavia, non vi è dubbio che il modo con cui abbiamo proceduto abbia qualcosa di anomalo.
Noi ci siamo interessati al provvedimento come Commissioni riunite e mi riferisco alla I e alla V; anche la II Commissione Pag. 19ha seguito i lavori attivamente, ma ha assunto semplicemente un ruolo consultivo, così com'è previsto dal Regolamento della Camera, mentre invece tutto l'apparato, per quanto riguarda il processo civile, avrebbe avuto bisogno di una valutazione e di un esame a sé stante.
Alcuni istituti e alcune semplificazioni vanno bene, ma alcuni interventi di riforma complessiva - lo ricordava oggi la relatrice - per quanto riguarda, ad esempio, il giudice di pace e in generale i giudici onorari, concernono problematiche che non si risolvono in modo elastico, ossia restringendo o allargando le competenze del giudice di pace. Dobbiamo considerare la figura del giudice di pace: cosa fa, qual è il rapporto tra il giudice togato e il giudice di pace rispetto ai grandi temi e alle grandi questioni che riguardano certamente la semplificazione, ma anche, ovviamente, il funzionamento della giustizia.
Potrei anche svolgere qualche considerazione in più, esprimendo dei giudizi o delle valutazioni sulla base di esperienze pregresse che ho vissuto nella mia responsabilità che ho maturato altrove, ma mi astengo; ovviamente, auspico una riforma complessiva del giudice di pace, perché, realizzata in questo modo, la materia è monca e poi andiamo a giocare rispetto alle sollecitazioni che provengono dal giudice di pace per avere più o meno competenze.
Vi è anche la figura del giudice monocratico, nonché tutta la problematica riguardante i riti, che è stata sintetizzata con molta puntualità dalla relatrice. Vi è dunque un'impostazione di carattere generale, ma non so se gli interventi che abbiamo previsto con questo provvedimento, se svincolati da altri istituti e da altre norme, possano essere funzionali, razionali, e quindi oggettivamente utili per il raggiungimento di un traguardo, di un obiettivo, ossia quello di abbattere il volume degli arretrati, lo scarso funzionamento degli uffici giudiziari. Tuttavia, in questa maniera certamente si affronta una parte del problema, ma non si affronta il tema della giustizia.
Perciò, visto e considerato che il Governo è rappresentato autorevolmente, sarei grato se poi nella replica vi fosse qualche parola di rassicurazione - qui non è che facciamo opposizione per l'opposizione o contestazione per la contestazione - per capire se questo provvedimento è esaustivo rispetto a tutto quello che è l'universo della giustizia all'interno del nostro Paese e il suo funzionamento.
Inoltre, credo sia importante ricordare alcuni aspetti, tra i quali, ad esempio, il notariato. Anche l'articolo sul notariato, collocato in questo provvedimento, veramente ha scarso senso, perché o c'è una riforma complessiva oppure tutto diventa difficile, ma così è anche per quanto concerne l'Avvocatura dello Stato.
Noi abbiamo presentato una serie di emendamenti nelle Commissioni riunite che poi sono stati bocciati e verranno ripresentati in Aula, ma perché viene fuori questo tipo di provvedimento, questo articolo sull'Avvocatura dello Stato? Quali sono gli interessi e quali sono le spinte? Onorevole Presidente, signori sottosegretari, signor relatore, colleghi, quando un provvedimento è complesso vi sono sempre dei percorsi e soprattutto degli interventi che si inseriscono negli interstizi dello stesso per la tutela di alcuni interessi che sono particolari e che certamente non coincidono con gli interessi complessivi e generali del Paese. Allora, il problema che noi avanziamo è estremamente serio e anche corretto.
In ordine ad un altro tema, la collega parlava dei partecipanti al concorso di notaio in riferimento all'anno 2004, ma vi sono stati anche quelli del 1999, del 2006 e nel 2009 si sta, mi pare, in fase di avvio. Ecco perché abbiamo assunto una posizione negativa rispetto all'emendamento soppressivo del testo di una previsione introdotta al Senato.
La norma che modifica il sistema del concorso, infatti, partiva dal rispetto del principio di carattere generale: chi è idoneo deve partecipare agli esami orali. Non ci può essere un'idoneità limitata semplicemente allo scritto: non se ne capisce il motivo. Non c'è, infatti, un rapporto e Pag. 20un'analogia con altri concorsi. L'idoneità si raggiunge per partecipare all'orale e qualcuno ha detto che, per i notai, visto e considerato la funzione importante e pubblica che svolgono, vi è bisogno di una preparazione di eccellenza. Allora, mi chiedo perché non si sia proposto, ai fini della partecipazione, il punteggio di 35 e di 105; si escludevano i 90 punti, senza prevedere l'idoneità di 30 punti per ogni elaborato (quindi i 90) al fine dell'idoneità. Quindi, quelli che possono partecipare sono coloro che hanno avuto come minimo un punteggio di 35 più 35 più 35.
Si faceva ovviamente una valutazione diversa rispetto ad una legge modificata. La modifica della legge nasce da questa ratio e vi sono stati l'incidente sollevato dal tribunale amministrativo (mi sembra) di Roma presso la Corte costituzionale e poi la remissione della Corte costituzionale al tribunale amministrativo, in quanto l'incidente non era ammissibile e forse aveva bisogno di una qualche interpretazione. Ecco perché poi al Senato si è intervenuti.
La Commissione si è determinata in un certo modo e noi in questo momento riproponiamo ovviamente una nostra posizione. Vi è tutta una problematica, quindi, che riguarda l'Avvocatura generale dello Stato, il notariato e tutti gli altri provvedimenti legati l'uno all'altro. Dall'esposizione della relatrice (ma abbiamo anche esaminato le norme) sono emerse le iniziative e gli impulsi nel campo turistico alberghiero. Quindi, in questo provvedimento abbiamo inserito il Corpo forestale dello Stato, i vigili del fuoco, la delega per l'ambiente: tutti fatti importanti e necessari. Tuttavia, manca un filo logico e razionale di coordinamento per cui la normativa - anche la più apprezzabile e la più sinceramente adeguata rispetto ad un'attesa diffusa nel Paese - rimane in bilico rispetto ai momenti di concretizzazione anche per quanto riguarda i servizi pubblici. Ciò riprende un vecchio discorso riportato in altre legislature e il provvedimento in esame non definisce il nucleo e la centralità di una problematica che rimane ancora in piedi rispetto al ruolo dei servizi pubblici e agli obiettivi che i cittadini si attendono anche rispetto ad alcuni percorsi, a traguardi e al raggiungimento di alcune vicende in termini positivi.
Queste perplessità non riguardano una singola normativa che, presa singolarmente, possiamo discuterla anche in termini positivi. Il fatto è che tutta l'impalcatura molte volte credo rimanga camuffata e soprattutto scarsamente gestibile rispetto alle esigenze di chiarezza e di trasparenza. Inoltre, vi è il problema delle innovazioni tecnologiche e della giustizia (tanto per tornare su questo argomento). Vi è sempre il problema telematico delle notifiche che deve essere affrontato e risolto, visto e considerato il momento pesante e bloccato nel processo civile e non solo in questo.
Un'altra questione, signor Presidente (approfitto della presenza del sottosegretario per l'economia e le finanze), riguarda l'articolo 1, che fa riferimento alla banda larga e al suo finanziamento attraverso il FAS, anche se poi ovviamente in conclusione si dice: fermo restando che per il Mezzogiorno rimane l'85 per cento. Vi sono situazioni infrastrutturali veramente drammatiche. Il FAS è stato un fondo che abbiamo fatto «girare» in tante vicende, anche di carattere legislativo, ha fatto «grandi percorsi», è stato un momento compensativo di tante situazioni normative, soprattutto quando c'era bisogno di risorse economiche, ma ritengo che questo ci ponga problemi grossi e di dubbia razionalità, perché la banda larga certamente è necessaria e fondamentale, ma credo che nel Mezzogiorno ci siano tanti problemi più importanti e più pregnanti della banda larga, tanto per svolgere una valutazione anche sul piano politico e individuare una gerarchia di interessi, soprattutto in ordine di importanza. Questo è un aspetto su cui, signor Presidente, voglio richiamare l'attenzione anche degli esimi rappresentanti del Governo.
Poi, c'è un dato che credo debba essere sottoposto all'attenzione in questa fase. All'articolo 38, abbiamo presentato un emendamento, a mio avviso importante, affinché le azioni positive di flessibilità, Pag. 21che creano migliori condizioni di lavoro, previste proprio dall'articolo 38, siano un po' ampliate per le persone disabili, non autosufficienti, e anche per le famiglie con persone disabili non autosufficienti. Credo che questo sia un aspetto e soprattutto un contributo che noi intendiamo dare in questo particolare momento, anche per recuperare profondamente il ruolo della famiglia.

PRESIDENTE. Onorevole Tassone, la prego di concludere.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, sto per concludere. Sono già passati venti minuti? Signor Presidente, mi consenta un'ultima battuta.

PRESIDENTE. Onorevole Tassone, lei sa che il tempo passa.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, lo so. Ovviamente, approfitto della sua pazienza, perché so che lei mi segue con molto interesse, così come segue con molta attenzione il tempo, che è tiranno, come si suol dire (Commenti del deputato Bruno).

PRESIDENTE. Onorevole Tassone, la prego di proseguire. Il presidente Bruno la distrae.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, il presidente Bruno mi distrae. Questa è la sua azione intelligente, anche per far avanzare rapidamente i provvedimenti, perché è un suo modo di essere.
Signor Presidente, c'è il problema delle farmacie, così come posto in questo articolo. Lo abbiamo detto anche in occasione della prima lettura: è mancato il collegamento con tutta la problematica delle farmacie rurali, rispetto al Servizio sanitario. Credo che anche questo sia un aspetto che dimostra ciò che dicevamo poc'anzi, ossia che ogni tema avrebbe bisogno di un provvedimento a parte. Ci sono provvedimenti smorzati, svincolati l'uno dall'altro per materia e la materia è incompiuta. Quando si completa la materia? Questo è l'interrogativo che noi poniamo in questo particolare momento.
Noi ci siamo astenuti sul conferimento del mandato ai relatori. Vogliamo seguire i lavori dell'Aula con i nostri emendamenti, e comprendere che tipo di apprezzamento verrà fatto del nostro contributo. Poi, ovviamente, adegueremo, rispetto alla tenuta e alla comprensione del Governo e della maggioranza, il nostro voto finale sul provvedimento stesso.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zaccaria. Ne ha facoltà.

ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, dall'introduzione della relatrice ed ora da questo primo intervento del collega Tassone, è facile capire che questo è un provvedimento non solo complesso, ma molto complesso, anzi, come dicevo ieri, troppo complesso.
Infatti, possiamo considerarlo un provvedimento in qualche modo fisiologico, che appartiene alla categoria delle leggi, anche di quelle particolari leggi collegate alla manovra finanziaria. Naturalmente, questo modo di legiferare determina dei problemi molto rilevanti, dei quali a volte non è facile neanche percepire lo spessore.
Da questa discussione sulle linee generali già capiamo come vi siano interventi che spaziano da un argomento a un altro totalmente diversificato; sì, certo, sono uniti da questa finalità collegata allo sviluppo economico, ma, evidentemente, è una finalità talmente generale che o ci sta dentro tutto oppure vi è il rischio di avere una sorta di testo normativo onnicomprensivo, che non consente, quindi, una riflessione vera.
Vorrei soffermarmi sulle premesse: esaminiamo questo testo per la terza volta, ma, in realtà, il Senato ha introdotto «a man bassa» parti intere, intere materie, e soprattutto ha introdotto una serie di nuove deleghe.
Ho fatto fare una ricerca sul numero delle deleghe (lo dico perché, ogni tanto, dovremmo essere, come Camera, informati sulla quantità di deleghe che stiamo varando). L'attenzione del Parlamento, della Pag. 22Camera in particolare, quando parliamo di queste cose, è dedicata al numero dei decreti-legge, in quanto atto che sembra sottrarre prerogative alla Camera. Abbiamo approvato una quarantina di decreti-legge. Ho detto che la cosa più rilevante di questi decreti-legge non è tanto il loro numero, ma la quantità enorme di materia normativa: non era mai successo che l'80 per cento della normazione fosse contenuta in decreti-legge.
Vorrei sapere se abbiamo ben chiaro che, al di là della legge comunitaria, che non è ancora arrivata e che arriverà nei prossimi giorni, che contiene «per statuto» una serie numerosa di deleghe, finora abbiamo, con leggi già entrate in vigore, deliberato sei deleghe. Di per sé non sarebbero molte, ma se guardiamo alle deleghe in corso di approvazione, alla Camera abbiamo praticamente ben quindici deleghe, che stiamo deliberando; in questo solo provvedimento ve ne sono nove. Se poi andiamo a vedere al Senato, in quel ramo del Parlamento vi è un numero più alto di deleghe, ventitré, e, chiaramente, quello che è al Senato arriverà tra poco qui.
Siamo a una previsione, al di là della legge comunitaria, che - ripeto - conterrà moltissime deleghe, di quarantaquattro deleghe in via di formazione. Ricordo che nella scorsa legislatura, di fronte a una ventina di deleghe proposte dal Governo Prodi, l'opposizione alzò le barricate, parlò di attentato alla democrazia e disse che era inaccettabile un numero così rilevante di deleghe.
Se mettiamo insieme quarantaquattro deleghe e circa quaranta decreti-legge, fate i conti su quello che rimane al Parlamento e credo che questi conti dobbiamo farli, perché, in molti casi, di alcune materie esaminiamo solo i titoli.
Vi faccio un solo esempio (poi ne farò un altro conclusivamente): la materia ambientale, che è una di quelle più tormentate. Da una delega iniziale dei primi anni Duemila è stata fatta una serie di decreti legislativi e decreti correttivi da parte di una maggioranza e poi di un'altra, modificando totalmente gli orientamenti politici collegati a quei testi.
Adesso, nel testo che stiamo esaminando, è inserito un nuovo decreto legislativo integrativo-correttivo. La Commissione ambiente vede ciò con somma preoccupazione, perché di fronte al disordine normativo che vi è oggi in materia ambientale, anche per effetto di interventi d'urgenza, vi sarebbe la necessità di una riflessione di carattere generale, mentre parte un ennesimo decreto integrativo e correttivo; questi decreti integrativi e correttivi sono totalmente fuori dall'articolo 76 della Costituzione: lo dico perché la Corte costituzionale non potrà fare a meno di non rilevare che è una prerogativa impropria, che il Parlamento non può prendersi in questo modo e non può dare soprattutto al Governo.
Vi segnalo, una per tutte, la delega in materia ambientale, che è l'ennesima delega che interviene in una materia estremamente frastagliata e complessa. Ci fosse stato detto che in essa sono previsti testi unici almeno compilativi: questa poteva essere la strada, ma essa non è stata percorsa.
Gli articoli iniziali di questo testo devono farci riflettere profondamente. Vi è una norma molto significativa - mi pare che l'abbia citata anche il collega Tassone - all'articolo 3: «Chiarezza dei testi normativi». È una specie di contraddizione in termini. Infatti, si dicono cose sacrosante, le si «agganciano» addirittura alla legge n. 400 del 1988, diventando quindi norme di contenuto ordinamentale, in cui si dice che le modifiche devono essere espresse, devono essere esplicite e tutto dev'essere estremamente chiaro, ma quando il provvedimento in esame sarà legge dello Stato non so come si potrà fare il decreto-legge cosiddetto milleproroghe: sarà impossibile, perché naturalmente esso smentisce tutta questa impostazione. E per larga parte delle cose che sono contenute nel testo, vorrei che nello stesso testo non prevedessimo da una parte una cosa, e dall'altra il suo contrario. Pag. 23
Così, con riferimento alla semplificazione normativa, si modifica per l'ennesima volta la legge cosiddetta Baccini del 2005: anche in questo caso abbiamo cercato di collaborare per fare in modo che tale semplificazione fosse la più chiara possibile, ma se uno guarda un elenco di provvedimenti normativi che vengono tenuti in piedi rispetto ad altri che vengono abrogati, si deve fidare di un'attività che non può controllare in alcun modo. E quindi abbiamo una semplificazione che non è tale per il modo in cui è fatta, e ancora una volta si parla della modifica della legge n. 400 del 1988, e si dice: si emanano i testi unici compilativi. Anche in questo caso, mi pare, riprendo un'osservazione del collega: ci stiamo rendendo conto che la produzione normativa di questo periodo, anche nei decreti-legge, assomiglia piuttosto che a temi monografici affrontati dal legislatore materia per materia, a una sorta di girone infernale, in cui percorriamo un itinerario e troviamo tutta una serie di argomenti totalmente diversi? Redigere così le leggi è contrastante nello spirito al principio democratico, perché il popolo italiano non sa quello che noi stiamo approvando, perché noi stiamo approvando tutto. Noi stessi non sappiamo quello che stiamo approvando!
E così anche con riferimento alla materia della modifica della legge n. 241 del 1990, una legge importante sull'azione amministrativa che viene ripetutamente modificata con interventi settoriali, senza una visione d'insieme. Capisco che probabilmente qualcuno questa visione d'insieme ce l'ha, ma perché non consentire al Parlamento, e quindi a chi è fuori dal Parlamento, di poter riflettere su queste cose?
Arrivo, in conclusione, al vero argomento che a me sta a cuore (altri colleghi parleranno di altre questioni): l'articolo 45, relativo alla riforma del processo amministrativo.
È un argomento che la Camera non ha esaminato in prima lettura e questa materia delicatissima ci giunge pari pari dal Senato. Il Servizio Studi fa notare - con il tradizionale garbo che gli è proprio - che in questa delega viene indicato l'oggetto, ma non sono indicati i criteri. Voglio leggervi una breve frase di uno studioso del diritto amministrativo, uno specialista di questa materia, una persona tra le più autorevoli in questo campo, il professor Aldo Travi. «L'articolo 45, al comma 2, introduce un oggetto (attenzione, perché la questione può sembrare tecnica, ma la materia è "carne viva"), il riordino della giurisdizione del giudice amministrativo, un oggetto di cui mancano i criteri direttivi per l'esercizio della delega, perché quelli fissati nel comma 1 dell'articolo 45 attengono ad altra cosa, alla riforma del processo.
Tra l'altro - si ricorda -, già tre volte negli ultimi dieci anni importanti provvedimenti legislativi in materia di riordino della giurisdizione amministrativa sono stati censurati dalla Corte costituzionale, e nel primo caso la bocciatura ha riguardato proprio la violazione dei principi costituzionali sulla delega: siamo ora nello stesso, identico caso».
Attualmente, tanto per renderci conto di ciò che succede, è in corso un dibattito acceso sui limiti della giurisdizione amministrativa e sui confini tra giurisdizione ordinaria, Corte di cassazione, e giurisdizione amministrativa, Consiglio di Stato, con posizioni contrastanti del Consiglio di Stato e della Suprema Corte di cassazione. Qualsiasi intervento legislativo sembra destinato a creare inevitabilmente polemiche e discussioni, a maggior ragione dunque va prestata attenzione. Ma cosa succede nel caso in esame?
Si deve stabilire questa linea di confine delicatissima in cui Consiglio di Stato e Corte di cassazione affermano cose diverse, ma guardate che cosa stiamo facendo: veramente credo che non abbiamo il senso della misura, perché viene attribuita la possibilità di far scrivere questo decreto legislativo al Consiglio di Stato! Vi sono cioè due parti in conflitto - la Cassazione e il Consiglio di Stato -, ma questo testo normativo prevede che sia il Consiglio di Stato a delimitare le proprie competenze e a stabilire nuovi confini. Pag. 24
Ma voi potete pensare che, una settimana, noi ascoltiamo il primo Presidente della Cassazione che ci viene a tirare la giacchetta perché facciamo una cosa che risponda alla sua visione e, la settimana successiva, facciamo una cosa che risponde agli interessi del Consiglio di Stato, e per di più diamo al Consiglio di Stato la possibilità di elaborare il testo? Di certo questo è un atto suicida perché nessuna possibilità esiste che questo provvedimento vada a buon fine, dal momento che interverrà la Corte costituzionale e lo farà cadere.

PRESIDENTE. Onorevole Zaccaria, deve concludere.

ROBERTO ZACCARIA. Per di più, il Consiglio di Stato non solo scrive il testo ma poi - non sicuro - esprime anche il parere (dicevo, scherzando, che se la suona e se la canta). Voi pensate che questo sia accettabile? Colleghi, ho chiesto almeno lo stralcio di questa norma, perché facciamo veramente del bene se la stralciamo ed elaboriamo una norma ad hoc su cui riflettere. Almeno eliminiamo le misure più scandalose, altrimenti vogliamo farci del male proprio con le nostre mani. Questi sono i motivi per i quali abbiamo già annunciato l'astensione, ma credo che se non avremo risposte positive su alcune delle questioni fondamentali che abbiamo posto il nostro voto potrà essere anche contrario (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Calabria. Ne ha facoltà.

ANNAGRAZIA CALABRIA. Signor Presidente, lo sviluppo economico dell'Italia non può prescindere da un efficace sistema giudiziario e dall'opportunità di una modernizzazione offerta dai nuovi strumenti presenti finanche all'interno di ordinamenti giuridici stranieri, nonché dalle nuove tecnologie.
Nel 2008, cinquantuno delle ottantadue condanne inflitte all'Italia dalla Corte dei diritti umani sono state causate dalla lentezza dei processi, e, sempre a causa di tali lungaggini, l'Italia è al centocinquantesimo posto su 181 Paesi presi in considerazione dalla Banca mondiale. L'intero sistema giustizia è appesantito da procedure bizantine, ed una decisione, una sentenza, che arriva in tempi troppo lunghi è di per sé stessa un'ingiustizia; è un diniego di giustizia, vuol dire frustrare le esigenze del cittadino ed aumentare la disillusione verso lo Stato. La scelta tempestiva del Governo di inserire la riforma della giustizia civile in un collegato alla legge finanziaria corrisponde alla necessitata esigenza di cambiamento che non poteva annoverare, tra le strade da seguire, quella più lunga ed istituzionale. I tempi lunghi sono un lusso che questo Paese non si può più permettere.
Il provvedimento oggi al nostro esame ridisegna ampiamente la procedura civile con innovazioni di grande impatto. Forse la vera riforma della giustizia passa proprio da qui: una pluralità di interventi sui processi incardinati su un denominatore comune, che è quello di ridurre i tempi delle controversie in giudizio. Il disegno di legge in questione, infatti, innova ampiamente il processo civile rispondendo ad una emergenza principale, quella costituita dall'inadeguatezza dei nostri tribunali a fornire una risposta in tempi ragionevoli alla domanda di giustizia. Si tratta di una situazione senza paragoni in Europa. Basti riflettere sui dati riportati nel corso delle varie cerimonie di inaugurazione dell'anno giudiziario del 2009 che individuano la somma delle pendenze degli uffici giudiziari (in questo si ricomprendono i procedimenti civili, penali, di lavoro ed amministrativi) in un numero pari a circa 10 milioni, e per quanto riguarda esclusivamente il processo civile, in una durata media in primo grado di 960 giorni e in appello di 1.509. È chiaro, ed evidente, che la lentezza delle cause civili e l'eccesso dei procedimenti pendenti, ancorché in presenza di sempre più crescenti istanze di giustizia da parte di cittadini, comporti un notevole ingolfamento ed una fatale inefficienza della macchina giudiziaria commisurata e modulata sui costi Pag. 25economici e su quelli sociali. In maniera più gravemente incisiva questo si riflette inevitabilmente e diviene così un diniego di giustizia da parte dello Stato e della pubblica amministrazione nei confronti della società civile e, quindi, della comunità dei cittadini. Se è vero, come è vero, che il grado di civiltà di un Paese moderno si misura, e trova la sua massima espressione, nella gestione del rapporto tra cittadino e giustizia, nel modo in cui lo Stato, per essere uno Stato di diritto, deve garantire il rispetto delle leggi, nell'eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, nell'azione in giudizio e nel giudice naturale precostituito per legge, allora siamo di fronte ad un'azione del Governo che attraverso questo provvedimento si dispiega e prontamente si mette al servizio del cittadino, esercitando un diritto-dovere che gli è proprio e che gli è dovuto. Il pacchetto di interventi al nostro esame si propone lo scopo - ed efficacemente lo raggiunge - di rispondere a tale emergenza attraverso misure volte a ridurre i tempi del processo e ad introdurre procedure abbreviate ed alternative a quelle del rito civile. Si tratta di una vittoria straordinaria che assicura una forte accelerazione dei giudizi, snellendone le varie fasi e garantendo una decisione più rapida delle controversie. In quest'ottica la riforma assicura, infatti, una migliore efficienza dell'attività giurisdizionale.
Senza soffermarsi sugli interventi principali, che peraltro sono stati testé sottolineati dalla relatrice, occorre porre l'attenzione su uno snodo sostanziale della novella, che è l'introduzione dello strumento della mediazione civile finalizzato ad una conciliazione stragiudiziale delle parti. L'articolo 61, infatti, delega il Governo ad adottare entro sei mesi dall'entrata di vigore della presente legge uno o più decreti legislativi in materie di mediazione e di conciliazione in ambito civile e commerciale. La conciliazione avente per oggetto diritti disponibili, e non preclusiva all'azione ordinaria, dovrà essere affidata ad organismi professionali e indipendenti iscritti ad un apposito registro tenuto presso il Ministero della giustizia. Analiticamente i principi e i criteri direttivi a cui dovrà attenersi Governo nell'esercizio della delega sono previsti dal comma terzo. In primo luogo, si prevede che nel disciplinare la mediazione il Governo possa estendere le disposizioni sulla conciliazione in materia societaria già previste dal decreto legislativo n. 5 del 2003. In particolare, si riprende l'attuale disciplina prevista per il rito societario considerando che non esiste una legislazione generale in materia, ma solo singole applicazioni di settore. L'articolo 61 risponde efficacemente, e prontamente, a quelle esigenze che sorgono in seno alla società contemporanea caratterizzata da un forte incremento della conflittualità che coinvolge sempre più spesso bisogni secondari e le aree dei cosiddetti nuovi diritti.
Si tratta di un fenomeno che, non lasciando prevedere nel medio periodo inversioni di tendenza, trova il suo ostacolo maggiore nella riscontrata incapacità del processo civile, nodo tradizionale e solenne per la risoluzione delle liti. In tale contesto la prospettiva profilata dal superamento del conflitto in quanto tale attraverso metodi di risoluzione delle controversie di tipo extragiudiziale appare la risposta migliore alla domanda di giustizia della società. La conciliazione stragiudiziale trova il più immediato modello di riferimento nella mediation anglosassone fra quei modelli di composizione dei conflitti alternativi al processo che l'esperienza conosce con l'acronimo ADR (alternative dispute resolution). Obiettivo primario dell'istituto è quello di una giustizia rapida, efficace e flessibile, inteso quest'ultimo termine nel senso di capacità di adattamento alle varie tipologie di controversie. È noto infatti che l'inadeguatezza dello Stato si riflette particolarmente sulle controverse di valore patrimoniale medio-basso, come accade in quelle avviate da un consumatore. In un caso simile i tempi medi di svolgimento del processo civile, congiunti ai costi immediati della difesa tecnica, non sono compensati dai benefici del provvedimento giurisdizionale in favore Pag. 26del consumatore, che pertanto è spesso indotto a rinunciare ai propri diritti.
Non è un caso infatti che la conciliazione sia un istituto affermatosi, negli Stati Uniti prima e in Europa poi, nell'ambito di controversie vertenti tra società e consumatore, prestandosi meglio la conciliazione a preservare le relazioni future tra le parti. Mi preme ricordare il grande supporto delle istituzioni europee circa tale istituto, manifestatosi attraverso la prima raccomandazione della Commissione europea adottata il 30 marzo 1999, la seconda il 19 aprile 2001, il Libro verde presentato nell'aprile del 2002, ed infine la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio del 2008, sulla mediazione civile e commerciale, avente lo scopo di garantire un migliore accesso alla giustizia. L'intento perseguito dal legislatore comunitario è il punto d'arrivo di un percorso volto a promuovere in materia civile procedure stragiudiziali di composizione delle controversie, e che ha avuto il suo avvio nell'invito che il Consiglio europeo, riunito a Tampere nel 1999, ha rivolto agli Stati membri nel senso di armonizzare le proprie legislazioni interne in materia di conciliazione, nell'ottica di un'Unione europea che davvero potesse costituire uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia. Il meccanismo di conciliazione ben si inserisce nel progetto di semplificazione e di elasticità del processo civile, e si presenta come un'alternativa non solo possibile, perfino intrinsecamente preferibile rispetto alla decisione tranchant, giudiziaria o privata che sia, della lite.
Infatti essa spesso offre alle parti un valore aggiunto che permette a ciascuna di esse di conseguire i migliori vantaggi rispetto alla pronuncia del giudice o dell'arbitro. Tali effetti sono generati da quelli che sono i tratti essenziali dell'istituto: la sua natura non decisoria, la volontarietà, la presenza di un soggetto terzo compositore privo di autonomo potere giudicante, la riservatezza, l'economicità e l'autonomia. La virtuosità e la forza della conciliazione risiedono, a mio avviso, nella sua totale flessibilità e nell'essere completamente svincolata da forme e da procedure. In tal senso la politica del Governo, volta al potenziamento di circuiti di conciliazione totalmente alternativi, in libera concorrenza di efficacia di risultati con i riti ordinari previsti dai codici di procedura, ed il parallelo e contestuale rilancio del processo civile dello Stato rispondono convincentemente a quell'opera coraggiosa di semplificazione attraverso interventi razionali sulle strutture, sugli operatori e sulla responsabilizzazione delle parti.
È proprio questa meritoria opera del Governo l'esemplificazione di quelle due virtù che si riferiscono all'atteggiamento di chi si propone grandi imprese, pur conoscendone le difficoltà, e alla capacità di perseverare negli obiettivi anche quando sembrano allontanarsi, quelle che gli antichi chiamavano magnanimità e longanimità (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cambursano. Ne ha facoltà.

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, il gruppo dell'Italia dei Valori non ha dato mandato ai relatori, ma non poteva che comportarsi così, visto che quello in esame è un provvedimento omnibus. C'è di tutto e il contrario di tutto, è un provvedimento confuso, complesso, con norme che sono state riprese, in modo anche critico, perché in contrasto tra di loro e in contrasto con leggi già in vigore, come ha evidenziato anche il Comitato per la legislazione (nel parere allegato, ce lo ha detto in modo chiaro).
La relatrice - uno dei due relatori, perché mi pare che l'altro sia assente - oggi non ha fatto altro che leggere un indice delle norme, un indice qualche volta un po' più commentato delle tante norme che sono contenute in questo provvedimento.
La relatrice ci ricordava anche che il titolo del provvedimento inizia con le parole: disposizioni per lo sviluppo economico. Per la verità, di disposizioni per lo sviluppo economico se ne vedono ben poche ma diremo poi. Pag. 27
Quest'Assemblea in prima lettura, rispetto al testo originario, nel licenziarlo per l'altro ramo del Parlamento, aveva stralciato ben venticinque articoli. Per non essere da meno, il Senato della Repubblica ha fatto di più: ne ha stralciati soltanto tre, anzi due, ne ha soppressi tre, ma in compenso sono stati inseriti trentadue nuovi articoli. Anche qui, per non essere da meno, sono state previste sette ulteriori deleghe che, come ci ricordava in modo preciso e dettagliato il collega Zaccaria, ormai stanno crescendo in numero e non soltanto in numero. Viaggiano di pari passo: c'è una leggera differenza a sfavore delle deleghe rispetto ai decreti legislativi dei provvedimenti sinora assunti.
Dunque, la lezione appresa è che il Governo usa - nel senso dato dal verbo usare - la maggioranza e i relatori, quando non provvede direttamente, per agganciare al treno del provvedimento originario vagoni su vagoni o vagoni dietro vagoni. E lo fa in particolare con provvedimenti come questo che è un collegato alla legge finanziaria il quale, come sappiamo, ha un percorso agevolato ed è sottoposto a procedure diverse dai provvedimenti cosiddetti normali.
L'ex presidente del Senato o se preferite il Presidente emerito del Senato della Repubblica, il senatore Marcello Pera, non più tardi di due mesi fa ebbe a dire in quell'altra Aula del Parlamento che il ruolo dei senatori - la qual cosa vale anche per i deputati - della maggioranza e, aggiungeva, soprattutto dell'opposizione, si limita allo schiacciamento di un pulsantino che si illumina di verde se il risultato è favorevole e di rosso se il risultato è contrario, tranne qualche volta in cui ci si può astenere. Egli definiva tale comportamento, questo risultato finale del ruolo dei deputati e dei senatori come l'anticamera del regime. Mi pare che lo stesso termine sia stato evidenziato non più tardi della serata di ieri in quel di Torino, al Teatro Regio, dal Presidente della Repubblica. Sì, siamo davvero alla vigilia di ciò quando il Parlamento viene utilizzato in questo modo.
A proposito dei provvedimenti adottati e approvati, la Corte dei conti nella sua recente relazione sulla tipologia delle coperture adottate relative ai provvedimenti assunti nel quadrimestre settembre-dicembre 2008 afferma testualmente che la totalità della legislazione di spesa è concentrata in undici decreti-legge, in parte destinati a fronteggiare la crisi economico-finanziaria. Se da un lato questa situazione ha ulteriormente posto in evidenza i vantaggi, sottosegretario Vegas, dell'anticipo della manovra di bilancio contestualmente alla presentazione del documento di programmazione economica, dall'altro non ha consentito di cogliere appieno i benefici da essa recati e su cui la Corte si è soffermata nella precedente relazione. Mi riferisco, soprattutto, alla possibilità di affrontare in tempi brevi il complesso disegno di riforma istituzionale ed organizzativa al quale è condizionata la stessa capacità di incidere attraverso correzioni permanenti sui grandi comparti di spesa.
La frequenza dell'adozione di provvedimenti d'urgenza e la ristrettezza dei tempi a disposizione per l'esame parlamentare determinano - afferma ancora la Corte dei conti - la totale mancanza o comunque l'insufficienza delle relazioni tecniche a corredo degli emendamenti e a corredo degli stessi provvedimenti.
Allora voi capite che il prodotto finale che ne deriva non può che essere quello che il Comitato per la legislazione ha evidenziato, anche a proposito di quello al nostro esame.
Con l'affievolimento della partecipazione parlamentare alle decisioni di spesa e al maggiore accentramento sostanziale delle decisioni stesse nella funzione di Governo - non è Renato Cambursano che lo dice, ma ancora la Corte dei conti - appare indubbio che all'approvazione delle leggi di spesa si pervenga a volte senza un adeguato approfondimento sulla congruità degli stanziamenti, rispetto alle esigenze che si intendono soddisfare.
Poi si dilunga - non lo faccio io, bensì la Corte dei conti - ad evidenziare in modo dettagliato da dove questo Governo va ad attingere le risorse finanziarie per Pag. 28far fronte ai provvedimenti: guarda caso sempre le stesse fonti, che non sono un pozzo senza fondo, prima o poi, anzi molto prima che poi, saranno prosciugate. E dice che sono per l'appunto il fondo per le aree sottoutilizzate. Ma no! Ma non è che per caso noi deputati, per quanto riguarda questo ramo del Parlamento e presumibilmente anche i senatori, non l'abbiamo detto più volte? E qualche volta anche con coraggio alcuni deputati della maggioranza? Dove prendere le risorse? Fin quando ce n'è, nei FAS. E adesso lo dice in modo ripetuto anche la Corte dei conti.
Il secondo fondo di finanziamento è quello degli interventi strutturali di politica economica. Poi, ma in termini minori, vi è la riduzione lineare delle autorizzazioni di spesa della famosa tabella C. Dunque, ecco che di fronte a cose di questo genere, quando il Governo e la maggioranza si vantavano di aver provveduto ad adottare una legge finanziaria leggera e di aver collegato ad essa una serie di provvedimenti, diventa un boomerang. Diventa un boomerang perché i tempi sono più dilatati nel tempo e perché i provvedimenti sono in contraddizione tra di loro. Infatti, credo abbiano perso il controllo loro medesimi e, nello stesso tempo, non si sa più quando e dove vadano a prendere le risorse. Allora, ecco che di fronte ad un simile comportamento politico, ma soprattutto - si fa per dire - di Governo, il risultato non può che essere quello che ha fotografato il Fondo monetario internazionale, non più tardi di due giorni fa. Il prodotto interno lordo sta viaggiando - si prevede per la fine dell'anno - ad un -4,4 per cento; la disoccupazione sta diminuendo; l'inflazione è praticamente tendente a 0 e questo non è sempre un buon risultato, perché guarda caso, come si dice negli Stati Uniti, si va addirittura verso la deflazione; il disavanzo (il deficit) è ormai al 5,4 per cento e nel 2010 si calcola raggiungerà molto facilmente il 6 per cento. Non parliamo del debito, che è quello che ci richiama maggiormente l'attenzione: sta galoppando verso il 115 per cento per quest'anno e oltre il 121 per cento per il 2010. Il Fondo monetario ci ha ricordato anche che è bene sperare che il peggio della crisi sia alle spalle, ma che è saggio prepararsi - dice testualmente il Fondo monetario - ad una crisi lunga e difficile. Negli Stati Uniti continuerà a lungo la riduzione della leva finanziaria, che in Europa è scattata, ma non così pesantemente, anche perché in effetti la situazione delle banche e del sistema creditizio era diversa, almeno per l'Europa occidentale, ma sta facendo sentire pesantemente i propri effetti negativi sul sistema europeo occidentale presente nell'Europa dell'est. E qui probabilmente arriveranno le conseguenze più negative, per l'appunto i titoli tossici presenti in questi Paesi. L'ottimismo quindi sparso a piene mani dal Ministro dell'economia è a nostro parere più uno scongiuro o un augurio di chi ha scelto di non scegliere, di non decidere.
Vorremmo tanto che il Ministro Tremonti avesse ragione quando sostiene che non è un problema trovare le risorse finanziarie, i soldi per la ricostruzione del dopo terremoto in Abruzzo e anche, aggiungeva lui stesso, per le misure urgenti di cui questo Paese ha bisogno.
Invece, ancora una volta, constatiamo che gran parte delle risorse finanziarie del dopo terremoto in Abruzzo - se sono vere le notizie che leggiamo sui giornali economici, sicuramente non di area di centrosinistra (ce lo dirà poi il sottosegretario Vegas) - vengano prese in parte consistente dal Fondo per le imprese e l'economia reale e, in minima parte, dal Fondo per le infrastrutture. Allora, delle due l'una: ecco dimostrato l'assioma.
Se tutto ciò è vero, è confermato per l'ennesima volta che si continua ad attingere, per diversi scopi, dalla stessa fonte, semplicemente spostando le risorse finanziarie. Non ci saranno più risorse per le imprese che boccheggiano e che, purtroppo, mettono in cassa integrazione o licenziano il personale, come sta avvenendo soprattutto al nord, dove è a rischio - lo dico con grande preoccupazione - la tenuta sociale e temo anche la tenuta democratica di ampie fasce di popolazione Pag. 29di lavoratori, che quando saranno costretti ad adottare altri strumenti - ci auguriamo proprio di no, ma la fame è una brutta cosa - potrebbero anche assumere atteggiamenti che non vorremmo mai vedere. Se finora ciò non è accaduto, probabilmente è anche perché certi eventi disastrosi che si sono verificati hanno fatto un po' da tampone, per fortuna, aggiungo io.
Ciononostante, le proiezioni del nostro debito pubblico - come ricordavo poco fa - per il 2010 vanno ben oltre il 121 per cento. Queste proiezioni stanno a testimoniare che le risorse non solo sono scarse, ma si stanno azzerando. Per questo il Ministro dell'economia e delle finanze, signor sottosegretario Vegas, ha il dovere di compiere ora, subito un'operazione di trasparenza sui nostri conti pubblici e comunicarci come intende rivedere le priorità delle proprie politiche economiche e finanziarie alla luce delle esigenze di ricostruzione delle aree colpite dal sisma in Abruzzo. Non è più rinviabile la pubblicazione della relazione unificata sulla economia e la finanza per il 2009 che avrebbe dovuto essere stilata - lei lo sa bene - e posta all'attenzione del Parlamento entro il mese di marzo, cioè oltre 20 giorni fa. Tale relazione non dovrà essere reticente, perché da una crisi di fiducia si esce soltanto con più trasparenza.
In questa «operazione verità», è importante che il Ministro dell'economia e delle finanze chiarisca come intende agire, per esempio, per combattere il contrasto all'evasione fiscale. Abbiamo al nostro esame 73 articoli e non vi è un minimo accenno su questo, non vi è assolutamente nulla, perché, evidentemente, le cose vanno bene così: va bene che egli evasori continuino ad evadere e che i lavoratori dipendenti e pensionati continuino a pagare per tutti. Questo Governo non fa assolutamente nulla e la riprova sta nel fatto che nei primi due mesi di quest'anno - non di anni fa - le entrate tributarie sono calate del 7,2 per cento, quasi il doppio di quanto ci si aspettava dalla crisi e dal calo dell'andamento dell'economia reale.
Siamo in recessione e non possiamo permetterci di abbassare la guardia nel contrasto all'evasione. Perché, allora, non fare come sta facendo Londra, per esempio, immaginando che chi più ha possa, in un periodo di difficoltà, dare di più. Invece voi, in questo provvedimento, cosa fate? Accatastate una serie di norme che non hanno il minimo collegamento tra di loro. Parlate di banda larga in alcune regioni del sud, come se tutto il resto del territorio diverso dal Meridione fosse già coperto da questo servizio, che è auspicabile che tutta la popolazione italiana possa utilizzare; ma dove andate a prendere le risorse? Credo che la risposta sia facile per tutti voi: ancora una volta, dal FAS.
Consentite a società di capitali, Spa e Srl, di esercitare l'attività di consulenza finanziaria. Ebbene, veniamo da un'esperienza, ahimè, tristissima, direi quasi (anzi, senza quasi) decisamente truffaldina, messa in campo da società che, è vero, hanno origini lontane e almeno geograficamente non sono di casa nostra, ma che hanno avuto anche da società di casa nostra l'avallo di assoluta non trasparenza. Ebbene, cosa consentiamo loro? Di fare consulenza e gli unici responsabili sono gli amministratori delle medesime società e non coloro che hanno un rapporto più diretto con gli investitori e i risparmiatori.
Un'altra bella chicca di questo provvedimento è che nella conferenza di servizi, strumento di semplificazione e accelerazione delle procedure, non inventato oggi, che condivido e sul quale concordo, cosa mettete? Che partecipino ai lavori della medesima conferenza i concessionari. Sì, consentirete di sedere allo stesso tavolo a personaggi che avranno, dalla pubblica amministrazione, il conferimento di incarico di appalti. Questo mi pare davvero intollerabile! Un amministratore pubblico, a livello nazionale, regionale o locale, deve poter decidere in piena libertà senza dover dar conto, nella stessa aula o sede a chi gli sta di fronte. Deve decidere in piena autonomia. Non sarà più così.
Un'altra bella chicca è che, volendo cambiare, nell'ambito del sistema dello spoil system, un consiglio di amministrazione, Pag. 30non avendo il coraggio di agire alla luce del sole, cosa fate? Dite di voler cambiare le regole che compongono un organismo, quale un consiglio di amministrazione - mi riferisco ovviamente a quello dell'ENI, ma è chiaro, ciò vale per tutti - e lo commissariate. Tuttavia, non si capisce bene se lo commissariate per cambiare le regole o se cambiate le regole per poterlo commissariare. Scegliete la strada che vi è più consona, credo di conoscerla a priori.
Una chicca è, ancora, quella costituita dalla delega in materia ambientale. Ebbene, sarebbe il momento meno opportuno di conferire a questo Governo, con quello che sta avvenendo su tutto il territorio nazionale, una delega per scrivere nuove norme a tutela dell'ambiente. Mi pare di poter dire che di deleghe ne abbia avute già, in parte proprio in materia di tutela ambientale e che ne abbia fatto uso a piene mani, ma ciò non basta, perché occorre snellire e alleggerire le procedure che danno garanzia di tutela dell'ambiente, così come si tentava di fare relativamente al Piano casa ovvero di alleggerire le norme - poi ci si è fermati, non so per quanto - che avrebbero dovuto, ce lo auguriamo, mettere al sicuro le costruzioni, pubbliche o private che siano, da eventi sismici come quelli cui abbiamo assistito.
Per quanto riguarda, poi, la parte relativa alla giustizia, l'Italia dei Valori ha sollevato e denunciato gravi problemi di metodo e di merito, come ha già fatto in occasione della prima lettura del provvedimento. Siamo stati i primi, in sede di Commissione giustizia, per bocca dei nostri componenti in quella sede, l'onorevole Palomba e il Presidente Di Pietro, a sollevare la questione dell'espropriazione dei compiti della medesima Commissione, in quanto una consistente parte del collegato economico surrettiziamente comprende una parte rilevante di norme che riguardano la riforma del processo civile. Non vogliamo riconoscere - come invece pomposamente il Governo e la destra affermano - che si tratti di una vera riforma del processo civile, poiché in realtà siamo di fronte a poca cosa. Ci vuole altro per una vera riforma del processo civile, che il Governo non ha ancora presentato e che dovrebbe servire a ridurre l'arretrato di oltre cinque milioni di cause pendenti.
Quindi il Governo da una parte è incapace di proporre vere riforme in materia di giustizia e, dall'altra, millanta piccole modifiche come tali. Per giunta, poi, le inserisce quasi di nascosto in un provvedimento normativo a carattere economico in modo tale da impedire un rigoroso vaglio di correttezza normativa e di efficienza operativa.
Gli stralci operati a favore di altre Commissioni, come la Commissione lavoro, per un numero di norme inferiore avrebbero potuto essere effettuati anche per la parte relativa alla giustizia. Il gruppo dell'Italia dei Valori chiese a suo tempo, inascoltato, lo stralcio degli articoli da 52 al 64 affinché fossero sottoposti, separatamente, all'esame della Commissione giustizia. Ciò anche in considerazione del fatto che essi recano interventi di dettaglio che avrebbero dovuto essere valutati in un quadro di insieme più vasto e nell'ambito della complessiva riforma della giustizia, cui il Governo dovrebbe attendere con assai maggiore celerità.
Ne è scaturito, quindi, un ibrido per eccesso di presunzione da parte del Governo, che ha visto il provvedimento uscire prima dalle Commissioni I e V, e dall'Aula poi, senza che venisse modificata neppure una virgola e ciò malgrado noi del gruppo dell'Italia dei valori avessimo presentato numerosi emendamenti volti, in uno spirito collaborativo, a migliorarne il testo ed a evitare errori talvolta anche clamorosi.
Due esempi saranno sufficienti: uno riguarda l'udienza di programma che noi intendevamo introdurre come strumento di accelerazione del processo in modo che venissero evitate tante lungaggini che purtroppo lo portano spesso a durare per tempi biblici. Il secondo riguarda la nostra dura contestazione dell'udienza di filtro in Cassazione che noi ritenevamo, per come era formulata, certamente incostituzionale e comunque poco efficace. Ebbene il testo è ritornato dal Senato con l'introduzione Pag. 31proprio dell'udienza di programma e, sul filtro in Cassazione, che noi ritenevamo necessario se fatto in maniera corretta ed efficace, dopo le successive dure contestazioni del gruppo dell'Italia dei valori e persino di componenti della stessa maggioranza con il consenso e anche l'apporto di altre forze politiche, è stato integralmente sostituito da un nuovo testo.
Tutto questo denota il pressappochismo del Governo e la propensione più allo spot che alla produzione legislativa rigorosa e corretta e questo solo perché il Governo testardamente si è rifiutato di vedere quanto di buono ci fosse nei nostri emendamenti.
Ma il Governo ha fatto di peggio: ha detto in prima lettura, qui alla Camera, di non voler modificare nulla nel testo e poi, al Senato, ha inserito una valanga di nuove disposizioni, come ricordavo in premessa, alcune delle quali molto penetranti, come le disposizioni in tema di delega al Governo in materia di giustizia amministrativa, Corte dei conti e notariato. Pertanto dobbiamo proprio ricavarne che il Governo si muove a tentoni prendendo i treni che passano e agganciando vagoncini a casaccio. È un'ennesima occasione persa, ancora una volta, la mancanza di coerenza e di sistematicità del Governo in materia di giustizia. Abbiamo presentato, come detto, numerosi emendamenti, li illustreremo se e quando ne avremo la possibilità, ci auguriamo naturalmente che il Governo e la maggioranza li prendano in considerazione e li possano fare propri.
Signor Presidente, concludo questo mio intervento evidenziando le ragioni per le quali nelle Commissioni affari costituzionali e bilancio il nostro atteggiamento è stato di rigidità e di opposizione dura: è proprio perché vogliamo da una parte far ripartire il ruolo che la Costituzione ha dato al Parlamento; dall'altra vogliamo un prodotto finito per il bene di questo Paese e non già, invece, soltanto per il bene di qualcuno (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vannucci. Ne ha facoltà.

MASSIMO VANNUCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signori del Governo, presidente Bruno, non posso salutare il mio presidente perché non c'è nessun rappresentante della Commissione bilancio, che pure, in questo momento, è in sede referente.
Siamo alla terza lettura di uno strano provvedimento che era partito con un'evidente ambizione; ricordo le parole della relatrice Bernini Bovicelli che disse testualmente, nel corso della prima lettura in questa Camera, che il provvedimento era animato dalla filosofia del fare, che avrebbe avuto grandi effetti ed avrebbe dato una spinta vigorosa verso una vera competitività. Lo abbiamo approvato il 2 ottobre, il Senato lo ha approvato il 4 marzo ed ora siamo qui a discuterlo. Quell'enfatico annuncio si scontra con i tempi e con le difficoltà che si incontrano, ma che soprattutto incontrate, sempre più pesanti, all'interno della maggioranza.
Signor Presidente, voglio citarle un paradosso: in questo provvedimento c'è un articolo che recita «impresa in un giorno». È cominciato ad agosto, siamo ancora qua, c'era già un provvedimento della precedente legislatura in itinere che davvero avrebbe permesso l'impresa in un giorno.
Il testo ci torna completamente stravolto dal Senato. Il Senato, infatti, ha modificato 26 articoli dei 46 originariamente previsti (25 li avevamo già tolti noi); ne ha soppressi interamente 3; ha proceduto a numerosi stralci; ha aggiunto infine ben 32 articoli nuovi. Se ci limitassimo allo stravolgimento avvenuto al Senato troveremmo conferma a quanto in prima lettura sostenemmo, e cioè che il provvedimento era inadeguato e insufficiente. Ma avevamo espresso anche un giudizio più pesante di parzialità e di improvvisazione che non appare risolto nemmeno con le aggiunte del Senato. Rimane, quindi, un provvedimento inadeguato rispetto alle necessità del Paese. È stato pensato come se niente fosse successo in questo periodo. Del resto, sottosegretario Vegas, anche davanti ad una crisi economica epocale, come stiamo vivendo, continuate a farvi Pag. 32vanto di aver mantenuto i nervi saldi, di aver prodotto limitati provvedimenti, di non aver stravolto la vostra politica economica e di non esservi fatti prendere dal panico.
Qualche toppa con i decreti «anticrisi» e niente più: muoversi troppo può far male, è questo il messaggio che avete mandato. Iniziaste dicendo che era solo una crisi finanziaria che non avrebbe inciso sulla economia reale se non marginalmente. Potremmo dirlo oggi alle migliaia di cassaintegrati e di disoccupati!
Non avete voluto usare la leva fiscale per favorire l'aumento di domanda e consumi interni ed assistiamo al crollo più pesante in Europa della produzione industriale. Non avete voluto rivedere i saldi di bilancio. Registriamo un calo della crescita tra i più consistenti in Europa ed registriamo un calo delle entrate senza precedenti causato anche e soprattutto dalle norme sbagliate che avete restaurato dopo l'azione del Governo Prodi che aveva avuto un qualche successo.
Non si assume, come si troverebbe, l'impegno della lotta all'evasione e all'elusione fiscale e contributiva e intanto si continua con un sistema fiscale che agisce come se la crisi non ci fosse. Vi chiedo: possono rimanere uguali gli studi di settore per gli artigiani (per fare un esempio) in tempo di crisi? I magazzini pieni dei commercianti possono avere oggi per gli operatori la stessa valutazione?
Abbiamo un'imposta, l'IRAP, e nessuno ne parla più. Era il vostro cavallo di battaglia e solo il Governo Prodi ne determinò una piccola riduzione che agisce, come lei sa, sul numero dei dipendenti e sull'esposizione bancaria. Ma oggi, che imploriamo alle aziende di non licenziare ed alle banche di finanziare correttamente le imprese e di rinegoziare i debiti, l'IRAP è una tassa da mantenere o produce molti più danni delle entrate che produce? Certo, se non si affronta seriamente il tema dell'evasione tutto questo è difficile da fare.
Signor Presidente, non le appaia fuori tema questo passaggio, ma voglio ricordare l'oggetto del provvedimento nel momento in cui è entrato per la prima volta in quest'Aula. Esso recava disposizioni per lo sviluppo economico, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria.
Ho già detto dello sviluppo economico.
Stabilizzazione e perequazione sono poi scomparsi dal titolo e non vi sono certo ritornati in Senato: quando li affrontiamo questi temi? Vedremo fra pochi giorni la trimestrale di cassa sulla stabilizzazione della finanza pubblica: aver prodotto l'azione sconsiderata di tagli lineari su tutto, sulla spesa buona e sulla spesa cattiva per il 17 per cento, senza il coraggio e la forza di scegliere, di selezionare la spesa produttiva e quella parassitaria, stabilizzerà i conti? Io credo di no perché alla spesa buona, riferita a scuola, sanità, sicurezza sociale, non possiamo rinunciare e quella parassitaria, purtroppo, continua imperterrita. Anche sulla perequazione fiscale ho già detto ed allora affrontiamo i temi nuovi, quelli del titolo: la semplificazione, la competitività, il processo civile.
La materia del processo civile è strettamente legata alla competitività ed è giusto ed opportuno affrontarla. I colleghi della Commissione giustizia ne parleranno dopo di me e vedremo se le norme introdotte saranno efficaci per abbattere i tempi, per una giustizia efficiente, perché le parti offese siano garantite, perché le regole economiche vengano fatte rispettare. A questo proposito, vorrei leggervi testualmente una parte del testo dell'audizione che il Primo Presidente della suprema Corte di cassazione, su invito del presidente Bruno, ha svolto alle Commissioni: «Nell'ultimo rapporto Doing Business 2009, in tema di processo civile, i Paesi europei sono tra i primi: Germania al 9o posto, Francia 10o, Belgio 22o, Regno Unito 24o, Svizzera 32o, solo la Spagna al 54o posto. Purtroppo l'Italia, priva di filtro e con una giustizia lumaca, è alla centocinquantaseiesima posizione su 181 Paesi esaminati, dopo Angola, Gabon, Guinea, São Tome e prima di Gibuti, Liberia, Sri Lanka, Trinidad». Ho letto testualmente. In base al citato rapporto, che compara Pag. 33181 sistemi economici, nel 2008 la durata stimata di un procedimento di recupero di un credito originato da una disputa di carattere commerciale in Italia è di 1.210 giorni, a fronte dei 331 in Francia, 394 in Germania, 316 in Giappone, 515 in Spagna. Nell'ultimo anno abbiamo sborsato 81 milioni di euro per i ritardi della giustizia. Ma che attrattiva può avere questo Paese?
Sarebbe stato veramente irresponsabile se questo ramo del Parlamento non avesse affrontato il tema centrale, che da tutti viene indicato, del ricorso automatico, di fatto, in Cassazione senza alcun filtro di ammissibilità. Conosciamo i limiti posti dalla nostra Costituzione, ma il tema non era rinviabile, sarebbe stato un fallimento di tutti, soprattutto di questa istituzione, della Camera, se ci fossimo limitati a sopprimere, come qualcuno suggeriva, l'articolo 48.
Mi auguro che la soluzione trovata unitariamente dalla Commissione serva davvero, che funzioni; il nostro contributo, quello dei colleghi della Commissione giustizia, soprattutto del Partito democratico, è stato fondamentale ed io li voglio ringraziare.
Infine, signor Presidente, voglio affrontare le problematiche riferite all'articolo 67: semplificazione delle procedure per l'accesso al notariato, argomento utile e opportuno da affrontare. Voglio fare una premessa sostanziale: personalmente considero la professione del notaio importante e fondamentale per il sistema economico e per la garanzia dei cittadini ed oggi, di fronte a questa crisi, che non è determinata dal mercato in sé, ma dalle scarse regole e dal mancato rispetto di quelle che ci sono, la funzione del notariato è importante, è essenziale. Il CNEL ha messo a confronto recentemente i vari sistemi ed è arrivato alla stessa conclusione e sarebbe bene che su questo si interrogassero i Paesi che hanno determinato il disastro, dai subprime in giù.
Del resto, il notaio è un terzo rispetto alle parti, a differenza ad esempio di un avvocato, di un commercialista, che è garante e difende una parte ed in Italia l'opinione diffusa, la gente, riconosce questo ruolo quando dice che l'atto lo ha fatto dal notaio e pertanto lo considera inappuntabile ed è più tranquilla anche rispetto ad una pratica che ha svolto in un'amministrazione pubblica.
Detto questo, però, non posso non rilevare che il notariato gode in Italia, di fatto, di una posizione di privilegio e di vantaggio, in quanto in base a un dato di novembre 2008 vi sono in servizio 4.723 notai, mentre la pianta organica ne prevede oltre 6.300. L'Italia è divisa in circa 6.300 circoscrizioni, ma i notai in servizio sono 4.723: 1.600 sono vacanti ed è compito nostro e di nessun altro coprirli. Ciò vuol dire che 4.723 fanno il lavoro di 6.300 e pertanto hanno un evidente privilegio, ovvero il 30 per cento in più dell'attività, data dalla nostra inefficienza di coprire tutti i posti. Alcune migliaia di giovani fra notai ed assistenti potrebbero lavorare senza nessun costo per lo Stato solo facendo i concorsi e i cittadini ne avrebbero i vantaggi: più concorrenza, servizi più vicini e più veloci.
Ho svolto questa lunga premessa perché considero che con il provvedimento in esame perdiamo, abbiamo perso un'occasione. Le norme previste, pur migliorando le procedure, non saranno in grado di colmare il gap che ho denunciato. Cosa facciamo, infatti, nell'articolo che nel provvedimento è contenuto per velocizzare i concorsi? Semplicemente sopprimiamo la preselezione informatica e aumentiamo da due a tre le sottocommissioni, disponendo infine il bando annuale.
Andava, invece, prevista una norma transitoria - come avevo proposto - che raddoppiasse la commissioni finché c'è questo vuoto che crea veri problemi anche alle comunità medio grandi, oltre che ai piccoli comuni. Dovevano essere aumentate le commissioni - raddoppiate dal tre a sei - e doveva essere fissato un numero di posti - ho proposto un incremento di 600 - per i primi anni, in modo da coprire nel giro di tre o quattro anni l'intera pianta organica, o avvicinarsi alla copertura totale. Così saremo sempre lontani, i notai in servizio manterranno i loro privilegi, i giovani aspiranti, dopo tanto studio Pag. 34e impegno, non troveranno sbocchi, infine ne risentirà la nostra economia.
Presidente, devo testimoniarle quindi la mia profonda delusione dopo il dibattito in sede di Commissioni nel non aver voluto affrontare il vero tema. Ci siamo, invece, accaniti dai relatori in giù compreso il Governo - e me ne dispiace - per sopprimere i due commi che il Senato aveva introdotto per ammettere 66 ragazzi - di fronte ad una carenza, ripeto, di 1.600 notai - all'orale dopo che nel 2006 abbiamo equiparato, con il decreto legislativo n. 166, il concetto tra sufficienza ed idoneità mentre il loro concorso era in atto. Si poteva sanare tranquillamente l'ingiustizia che era stata commessa senza che questa costruisse alcun precedente, essendoci da oggi una diversa legge in vigore.
Avete dimostrato ancora una volta di difendere corporazioni e di non guardare all'interesse generale. Non ne avevamo dubbi dopo che avete bloccato il processo di liberalizzazione, l'azione collettiva dei consumatori e potrei continuare, relatrice Bernini, fino ad arrivare alle quote latte. La vostra rivoluzione liberale dov'è finita? Ve lo dico io: è bloccata dai veti incrociati che, però, purtroppo paga il Paese. Per questo motivo il provvedimento in esame non corrisponde al titolo, è una norma manifesto, non aiuta lo sviluppo economico, non semplifica come sarebbe necessario e non ci rende più competitivi.
In ogni caso come sempre noi sosterremo le parti del provvedimento che condividiamo (e che ci sono), ma contrasteremo le parti dannose per il Paese e per i cittadini, le parti inique, ingiuste ed assumeremo la nostra posizione finale sul provvedimento a seconda di come vi atteggerete in quest'Aula sui nostri emendamenti, che sono contenutissimi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Saluto gli studenti e gli insegnanti dell'istituto Andrea Fantoni di Clusone (Bergamo) e dell'istituto tecnico industriale statale Pietro Paleocapa di Bergamo, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
È iscritta a parlare l'onorevole Ferranti. Ne ha facoltà.

DONATELLA FERRANTI. Signor Presidente, i colleghi che mi hanno preceduto hanno già tracciato sostanzialmente la linea del Partito Democratico con riferimento al provvedimento legislativo in esame. Mi limiterò ad esaminare la parte che attiene più strettamente alla competenza della Commissione giustizia.
È un provvedimento che torna alla Camera in seconda lettura, di cui abbiamo in più sedi - in Aula, in prima lettura, in Commissione giustizia anche di recente e nelle Commissioni che ci hanno ospitato dandoci spazio adeguato - contestato il fatto che, nell'ambito di un provvedimento collegato alla finanziaria, si sia pensato di fare una riforma del processo civile. Anzi, questo disegno di legge ritorna con il titolo: «Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, nonché in materia di processo civile». Sappiamo bene che quest'ultima aggiunta è stata fatta con un emendamento presentato in Aula dal Ministro Alfano.
Purtroppo, noi riteniamo che si sia persa l'occasione per una riforma organica del processo civile, una riforma che questo Governo aveva trovato già delineata in una proposta dell'ufficio legislativo, coordinata - lo voglio qui ricordare - dal capo dello stesso ufficio legislativo, dottor Manzo, deceduto molto prematuramente, cui avevano lavorato tante persone, che avevano raccolto una serie di esigenze, che sento qui rimarcare non solo da noi dell'opposizione, ma dalla maggioranza, che però non possono essere e rimanere soltanto affermazioni.
Nemmeno questa volta si è intervenuti in quella maniera organica e completa che ci si aspetta da quando vi è un grido di allarme e di dolore così forte da parte della giustizia. Ma si è intervenuti quasi come se quello della giustizia fosse un cantiere sempre aperto (ora si sta parlando della giustizia civile), nel quale si opera con interventi episodici, altre volte più complessi e articolati, che però non sembrano dare la giusta importanza e Pag. 35trasparenza ad una visione strategica degli obiettivi da conseguire e ad un disegno organico da realizzare, con la conseguenza che l'interprete, quel giudice che tante volte viene criticato per l'applicazione della legge, è costretto a rincorrere le mutevoli scelte legislative, per tentare di ridare unità a questo sistema.
Questo è un compito che deve svolgere il legislatore. Non si può parlare di un intervento di riforma del processo civile, quando si sono innestati, invece, alcuni momenti che sicuramente - mi dirà chi ha proposto queste norme - stavano in quel disegno complessivo, più organico. Ma quando si tolgono delle parti da un disegno più ampio, non vuol dire che quelle parti portino poi a un funzionamento più celere; è un modo di rincorrere un obiettivo, senza però raggiungerlo realmente.
Questo è stato un modo di operare che noi avevamo segnalato qui alla Camera, ma le nostre critiche sono rimaste inascoltate, perché al Senato, come è stato rimarcato poc'anzi, mi riporto anche all'intervento dell'onorevole Zaccaria, in realtà si sono aggiunti altri tronconi.
Si è aggiunta una delega per la riforma del processo amministrativo e una per la riforma del processo civile. Ma era questa la sede per realizzare una delega per la semplificazione dei riti civili (articolo 55)? È stata considerata la critica venuta da tutto il mondo forense, che in realtà, quando ha visto un altro rito, quello della cognizione sommaria, ha gridato all'allarme per l'ulteriore istituzione di un altro rito.
Dunque, a questo punto, anziché parlare di un disegno organico separato, di fronte alla Commissione competente, si inserisce al Senato, in un provvedimento legislativo assegnato alla competenza delle Commissioni affari costituzionali e giustizia, una delega per la semplificazione dei riti civili. Si tratta, però, di una delega che, anche in questo caso, rende palese l'assoluta genericità dei principi e dei criteri direttivi, tale da impedire che la delega possa esplicarsi con significativa efficacia. Le lacune che caratterizzano la norma sotto questo profilo sono, infatti, tali da restringere l'opera del legislatore delegato in modo non coerente con le esigenze che pur la norma si propone di soddisfare.
In ogni caso ciò accada il provvedimento è tale da esporre le norme delegate a censure di legittimità costituzionale. Ma è giusto, è istituzionale, vale la pena di farlo, disseminare, cioè, il processo di queste mine a tempo, le pronunce della Corte costituzionale, come è avvenuto per il processo societario, per le disposizioni riguardanti le sezioni specializzate per la proprietà industriale e intellettuale? Ma esporre il processo a queste mine a tempo vuol dire rallentare i processi e non dare quella certezza che, invece, è il bene primario che il legislatore ordinario deve garantire alla disciplina del processo.
Prima di parlare dell'articolo 48, che è poi uno dei temi centrali della nostra discussione, volevo fare un accenno a una norma. Spero che da parte del Governo e della relatrice per la I Commissione vi sia un'attenzione speciale e specifica su questo articolo 46, che è stato introdotto al Senato.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE (ore 16,05)

DONATELLA FERRANTI. Si parla tanto di competitività, di un momento anche finanziariamente particolare per questo Stato italiano, che ha risorse limitate e tante finalità importanti da affrontare, e poi si pensa di attribuire alla competenza del giudice del pace le domande aventi ad oggetto la richiesta di condanna dell'INPS, dell'INAIL e di altri enti previdenziali o assistenziali per il pagamento di interessi e rivalutazioni sulle prestazioni pagate in ritardo.
Potrebbe apparire una misura razionale, ma non lo è; si tratta di controverse seriali, estremamente semplici e «bagatellari», che non danno nulla di più al cittadino - perché, in realtà, è importante che il cittadino abbia la pensione, e che questa sia rivalutata e riqualificata dall'INPS e dall'INAIL - e che metteranno a terra le finanze dell'INPS. Pag. 36
Il Governo dovrebbe tener conto di questo, perché si tratta di cause che, per la loro stragrande maggioranza, non corrispondono ad alcun reale bisogno di giustizia dei cittadini. I cittadini, infatti, se ricevono la pensione o l'indennizzo con qualche mese di ritardo, a tutto pensano fuorché a pretendere la piccola somma ad essi dovuta per interessi e rivalutazione.
Invece, facciamo sì che si affidi a un giudice di pace, senza aver fatto alcuna riforma, peraltro, di tale giudice, un'ulteriore competenza (si tratta di giudici che, peraltro, sono pagati a sentenza); svincoliamo, quindi, quella causa dalla causa principale, che è presso il giudice del lavoro, e aumentiamo il contenzioso per una cosa che poi non risolve e non è certamente in linea con questa finalità che sempre tengo presente: sviluppo economico, semplificazione e competitività.
Ma arriviamo, poi, al tanto famigerato articolo 48: il Senato ha approvato con poche modificazioni il testo contenuto nel disegno di legge già varato dalla Camera. Siamo riusciti a far presenziare a una seduta delle Commissioni riunite una serie di interlocutori, che si erano poi espressi in più documenti, a cui, peraltro, il Senato era stato sordo. Devo dare atto alla relatrice per la I Commissione, ad entrambi i relatori, ai presidenti delle Commissioni di aver fatto ciò, sia pure in un provvedimento che dava poco spazio alla giustizia (la previsione nel titolo di disposizioni in materia di processo civile è stata soltanto inserita all'ultimo momento); in realtà, conteneva tante norme.
Siamo finalmente riusciti a dar voce a quegli organismi, tanti organismi, che avevano tutti rappresentato e manifestato una motivata preoccupazione per lo stravolgimento delle funzioni della corte di legittimità che la riforma provocava, che quell'articolo provocava, per i suoi riflessi ordinamentali e per i suoi aspetti di legittimità costituzionale. Il problema nasceva dalla formulazione di quell'articolo e da tutto quello che di discrezionale e di arbitrario vi era dietro quella dichiarazione di inammissibilità. Addirittura, un ricorso proposto in conformità alle forme e ai termini stabiliti dalla legge, che denunziava una violazione di legge, poteva essere dichiarato inammissibile, in contrasto con l'articolo 111 della Costituzione.
È vero infatti (mi riferisco al comma 7) quello che diceva poc'anzi l'onorevole Vannucci: tutti conosciamo la splendida e accurata relazione svolta dal primo Presidente della Corte di cassazione, ma per arrivare a raggiungere un obiettivo bisogna anche stare attenti a non eliminare quelle garanzie di uno Stato democratico che tanto faticosamente sono state poste alla base della Carta costituzionale, che ancora è vigente e che ha dei valori da preservare.
Tra l'altro, poi, il sistema che veniva descritto dall'articolo 48 (parlo al passato, perché attualmente l'articolo 48 è stato sostanzialmente soppresso attraverso un emendamento del relatore, votato all'unanimità nelle Commissioni riunite) si è provato, si è documentato e si è detto in queste audizioni che non avrebbe portato i risultati positivi in termini di deflazione del lavoro della Corte che si auspicavano. La decisione sull'ammissibilità del ricorso e sul fatto che la Corte debba o meno decidere il ricorso (dietro ogni ricorso vi è una persona e, quindi, bisogna pensare che vi sono degli interessi, che non sono nel campo penale, ma sono comunque interessi nel campo delle controversie civili, che sono di pari dignità) era rimessa alla valutazione di un collegio formato da tre magistrati, senza che si fosse precisato come gli stessi venissero nominati; per tale valutazione quel testo di legge non dettava alcuna direttiva né alcun criterio, perché si trattava di una decisione arbitraria: la formula legislativa che è stata usata era la seguente: «questione sulla quale la Corte (quel collegio di tre giudici) ritiene di pronunciarsi per confermare o mutare il proprio orientamento». In base a che cosa? In base a quali parametri e a quali riferimenti oggettivi verificabili? Noi ci fidiamo dei giudici, ma i giudici devono poter essere controllati attraverso le loro decisioni: non criticati e basta, ma verificati. La giurisdizione deve essere verificata Pag. 37attraverso la produzione delle sentenze, che devono essere motivate per dare conto delle ragioni dei giudici.
È quindi vero che nella relazione di inaugurazione dell'anno giudiziario il primo Presidente si era espresso nel senso che l'introduzione di quel filtro doveva mantenersi secondo il testo che era stato previsto dal Governo, senza alcuna modifica; e ciò aveva fatto il Senato, perché, secondo quella relazione, a questo punto la Corte non sarebbe stata oberata più di questioni bagatellari per l'intero sistema giustizia e avrebbe potuto svolgere così più «da dentro» il suo ruolo di indirizzo, migliorando i tempi dei processi e dando certezza degli indirizzi. Ritengo che queste parole mirassero alla finalità, ma non era questo lo strumento, perché non era legato ad un sistema dove un rilevantissimo beneficio fosse ricollegabile a strumenti rimessi ad una piena discrezionalità.
Tra l'altro, perché si parlava di quel filtro di limitazione delle cause bagatellari? In realtà, a differenza di quanto viene effettuato in altri ordinamenti, nel sistema previsto dall'articolo 48 non c'era alcun riferimento né al valore né alla materia della controversia relativamente al quale potesse essere proposto il ricorso; e quindi che cosa si intende per «bagatellare»?

PRESIDENTE. La invito a concludere.

DONATELLA FERRANTI. «Bagatellare» è qualcosa che è contrario alle pronunce della Corte di cassazione, alcune pronunce o che la Corte non vuole mutare?
Occorreva allora evitare ad ogni costo il rischio di confondere i mezzi con il fine, e in questo caso il fine non è quello di introdurre un filtro purchessia all'accesso in Cassazione, ma di trovare il modo di farla funzionare al meglio, senza ledere le garanzie costituzionali.
In quest'ottica, abbiamo colto la sensibilità e l'intelligenza politica di alcuni esponenti della maggioranza, ovviamente in primis della relatrice, che si sono resi conto che ci si stava mettendo sulla una via che era senza ritorno. Accorgersi che perseverare su un errore diventa diabolico è sintomo di maturità e di senso istituzionale.

PRESIDENTE. La invito nuovamente a concludere.

DONATELLA FERRANTI. Questo filtro - e concludo, signor Presidente - sicuramente non è il massimo di quello che si poteva avere e non è il testo migliore che potevamo avere, perché per elaborare un testo ottimo bisogna disporre di una proposta legislativa autonoma, che venga approfondita con i dovuti tempi. Sicuramente non si possono fare miracoli, ma sicuramente si è cercato di individuare uno strumento oggettivo e dei criteri oggettivi attraverso cui la Corte possa operare tramite una sezione composta mediante meccanismi ugualmente ben individuabili. Questo significa avviare un percorso di semplificazione e di razionalizzazione e cercare di liberare la Corte da pesi inutili, senza violare le regole costituzionali e senza disattendere le domande di giustizia dei cittadini.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Ferranti, deve concludere, il suo pensiero è chiarissimo.

DONATELLA FERRANTI. Ci auguriamo, però, che questo modo di intervenire sulla giustizia a pezzi, a frammenti, a segmenti si fermi qui e che si faccia finalmente un discorso completo e adeguato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sarubbi. Ne ha facoltà.

ANDREA SARUBBI. Signor Presidente, in alcuni quotidiani - penso, ad esempio, a La Sicilia, il giornale di Catania, con il quale ho collaborato a lungo - esiste ancora la pagina omnibus: normalmente è la penultima, spesso mette insieme tutti i pezzi che non sono entrati altrove e non Pag. 38è raro che, tra un articolo ed una pubblicità, vi siano pure i necrologi con i nomi dei defunti.
Oggi davanti a noi abbiamo un disegno di legge, non un articolo di giornale, ma la logica è la stessa: un pezzo di questa norma, un pezzo di quella, e nei provvedimenti omnibus generalmente c'è pure il defunto, la Costituzione. Basta rileggere la lettera che il Presidente della Repubblica ha inviato nei giorni scorsi al Capo del Governo ed ai Presidenti delle Camere.
Prima di Pasqua avevamo assistito a notevoli performance di costituzionalismo creativo: le quote latte inserite in un decreto-legge che parlava di aziende in crisi, le pene per le molestie sessuali accorpate con i tempi di permanenza degli immigrati negli ex CPT.
Oggi, però, il Governo si è superato, sottoponendo all'esame del Parlamento un disegno di legge che mette insieme la banda larga, lo spreco di carta negli enti pubblici, le rappresentanze diplomatiche, le norme sul processo civile, il Corpo forestale, la Croce Rossa e molti altri temi, signor Presidente, tra i quali l'arte contemporanea (che sarà poi l'oggetto del mio intervento, nella speranza che i rappresentanti del Governo presenti in Aula siano più sensibili a questo argomento di quanto lo sia stato, finora, il Ministro della cultura).
Faccio fatica a trovare segni di bellezza nell'arte contemporanea; quando vado ad una mostra, faccio finta di capire: così dichiarò il Ministro Bondi a un settimanale femminile, lo scorso agosto, ed io ci avevo riso sopra, considerandola una dichiarazione anche simpatica e onesta (molti altri, al posto suo, avrebbero continuato a far finta di capirci qualcosa, per evitare figuracce). Ma oggi, otto mesi dopo, quella confessione del Ministro mi fa molto meno ridere, perché a leggere l'articolo 25 di questo disegno di legge - che istituisce la Fondazione Maxxi, per gestire il grande museo di arte contemporanea che dovrebbe essere inaugurato a Roma in autunno - mi viene l'impressione che il gusto artistico del Ministro abbia fatto scuola: anche lo Stato, come Sandro Bondi, di fronte all'arte contemporanea fa un passo indietro, affidandosi ai privati prima ancora che il museo stesso prenda forma.
Intendiamoci, signor Presidente, io non ho nulla di ideologico contro le fondazioni - ci mancherebbe -, visto che l'arte italiana deve la sua fama nel mondo anche ai tanti mecenati che l'hanno sostenuta nei secoli. Molti di loro, però, ricoprivano allo stesso tempo ruoli politici: penso ai Medici, signori di Firenze, che fecero sbocciare il Rinascimento; a Cangrande della Scala, al quale Dante dedica la terza cantica della Divina Commedia, che governava buona parte del Veneto, fino a Brescia, Lucca e Parma. E potrei citare mille altri esempi: da Federico da Montefeltro che cambiò il volto di Urbino, agli Sforza che chiamarono Leonardo a Milano, fino ai Gonzaga di Mantova ed agli Estensi di Ferrara. In ognuno di questi casi, il denominatore è comune: la promozione dell'arte ed il suo sviluppo sono percepiti come un dovere naturale dei governanti verso i cittadini.
Vorrei che fosse così anche oggi, nonostante siano passati molti secoli, e tutto sommato mi pare di ricordare che l'operazione Maxxi fosse nata in questa cornice: come un atto dovuto del Governo italiano - il Governo Prodi, ad essere precisi - nei confronti dei suoi cittadini, tra i pochi in Europa a non avere un museo importante di arte contemporanea.
Non vorrei fare qui tutto l'elenco delle collezioni straniere. Ma a Londra c'è la Tate, a Parigi Beaubourg, a Bilbao il Guggenheim. Tutti nomi che parlano da soli.
A Roma, con 35 anni di ritardo, è finalmente arrivato il Maxxi; l'idea, che girava da anni, ha preso corpo con il Ministro Rutelli, che lo ha indicato tra le priorità del suo Ministero. Un'opera non indolore per le casse dello Stato - è evidente -, ma i mecenati del passato ci hanno insegnato che l'arte costa e lo Stato, giustamente, ci ha investito parecchio e continuerà a tirar fuori soldi anche nei prossimi anni.
Allora - con tutto il rispetto per le fondazioni, lo ripeto, e senza nessuna Pag. 39preclusione ideologica - viene da farsi almeno una domanda ingenua: le fondazioni (e chiedo scusa per il linguaggio poco diplomatico) hanno un senso quando portano finanziamenti privati; a cosa servono, invece, se - come stabilisce questo disegno di legge - lo Stato deve tirare fuori più di 1 milione e 600 mila euro l'anno (poco meno di 5 mila euro al giorno) per farle funzionare? Un milione e 637 mila euro nel 2009, 1 milione e 833 mila euro nel 2010, 1 milione e 406 mila euro dal 2011 in poi. Ai giornalisti (ripeto: ai giornalisti, non in Parlamento, visto che nel dibattito in Commissione non abbiamo avuto il piacere di ascoltare la sua voce) il sottosegretario Giro ha dichiarato che al museo serve un'architettura giuridica ed ha ragione; ma non vorremmo (visto che siamo noi ad avere in mano il bilancio dello Stato e che le spese si pagano con le tasse dei cittadini) che la Fondazione Maxxi diventasse un «poltronificio», un costo in più per i conti pubblici anziché un'opportunità di finanziare l'attività del museo.
Certo, in Italia ci sono esempi molto diversi di fondazioni (alcune funzionano bene, altre meno) e non abbiamo nessuna intenzione di fare una guerra preventiva proprio su questo progetto che ci sta così a cuore. Ma c'è una cosa che non capiamo: nessuno, a tutt'oggi, è stato in grado di farci conoscere la missione del museo e - se mi permette una malignità, signor Presidente - neppure la sua struttura architettonica, visto che si vocifera di cubature ancora edificabili ma non inserite nel progetto attuale. Eppure, si ha già in mente quanti soldi finiranno alla Fondazione Maxxi: è come preoccuparsi dell'amministratore del condominio prima ancora di aver finito il palazzo!
Voglio fare un esempio positivo, quello della Fondazione Museo delle antichità egizie di Torino, il primo esperimento italiano di costituzione, da parte dello Stato, di uno strumento di gestione museale a partecipazione privata. Nacque il 6 ottobre 2004, ma ci tengo a precisare che il Museo egizio è del 1824, esisteva da 180 anni! Ora, io non dico che per la Fondazione Maxxi sia necessario aspettare l'anno 2189, però potremo almeno pazientare fino a quando si saprà qualcosa di più sul museo!
Avremmo preferito arrivare al punto in cui ci troviamo - a ridosso, cioè, della votazione sul disegno di legge - senza tutti questi dubbi: sarebbe stato sufficiente discuterne prima, anziché infilare un argomento importante come la nascita del Maxxi in un disegno di legge omnibus che parla di tutt'altro. Avremmo voluto discuterne seriamente in Commissione, e - ripeto - non abbiamo avuto l'onore di sentire l'opinione del Governo. Ai colleghi senatori, poi, è andata anche peggio, perché questo articolo del disegno di legge è stato presentato direttamente in Aula, senza neppure passare per la Commissione. Il Parlamento, insomma, non sa ancora quale sarà la competenza del Ministero in merito alla gestione del museo: le uniche certezze, scritte in questo disegno di legge, sono che il Ministero vigilerà «su livelli adeguati di pubblica fruizione delle opere d'arte» e che, come dicevamo, aprirà il portafoglio (già vuoto, per la verità, come testimoniano le difficoltà economiche della Sovrintendenza di Ostia, tanto per fare un esempio) per tenere in vita la Fondazione.
Ecco perché, signor Presidente, chiediamo la soppressione dell'articolo sul Maxxi o, per lo meno, il suo stralcio, in modo da poter affrontare la questione in maniera serena - e non pregiudiziale, lo ripeto - con l'attenzione che merita. Stiamo parlando del primo Museo di arte contemporanea in Italia, di un investimento che darà uno slancio nuovo al settore e che, ci auguriamo, porterà turismo, e di un'opera da mettere in vetrina, come Londra ha fatto con la Tate, Parigi con Beaubourg e Bilbao con il Guggenheim. Liquidare il discorso in fretta, fra un articolo sul codice della navigazione ed un altro sulle farmacie nei piccoli comuni, onestamente, mi sembra un'occasione persa per la cultura italiana e per lo stesso Ministro Bondi, che magari - se fosse presente al dibattito in Aula - potrebbe scoprire qualche motivo in più per Pag. 40appassionarsi all'arte contemporanea (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ghizzoni. Ne ha facoltà.

MANUELA GHIZZONI. Signor Presidente, limiterò il mio intervento all'analisi dell'articolo 27 del provvedimento in esame, uno tra i molti introdotti durante l'esame al Senato e che dovrebbe riguardare la modifica della legge delega n. 165 del 2007 in materia di riordino degli enti di ricerca. Ho usato intenzionalmente il condizionale, perché in realtà c'è molto di più di una modifica della citata legge delega. L'articolo 27 contiene infatti l'evidente volontà di far prevalere la politica sulla libertà della ricerca, e di mortificare ab initio la costituenda autonomia statutaria degli gli enti vigilati dal MIUR.
C'è infine l'inserimento dei medesimi enti nella disciplina cosiddetta «taglia enti», a cui faceva riferimento anche la relatrice nella sua introduzione, prevista dalla famigerata legge finanziaria estiva di Tremonti, dalla quale fino ad ora gli enti erano stati esclusi.
Nel settembre 2007 fu approvata la legge delega di riordino degli enti pubblici nazionali di ricerca, che ha rappresentato un successo del Governo Prodi, che fu conseguito grazie anche all'apporto di molti contributi migliorativi dell'allora opposizione, tanto che nel voto finale alla Camera i gruppi UdC e AN si astennero. Grazie a quel lavoro di condivisione è stata data finalmente attuazione all'autonomia statutaria degli enti di ricerca, così come è sancito dall'articolo 33 della Costituzione, e sono stati recepiti nella legislazione nazionale i principi enunciati nella Carta europea dei ricercatori. Con la legge delega n. 165 anche agli enti di ricerca è stata quindi riconosciuta la responsabilità di definire autonomamente i loro statuti, cioè le regole più efficaci al loro funzionamento al fine di - come recita l'articolo 1 della stessa legge - salvaguardare l'indipendenza e la libera attività di ricerca volta all'avanzamento della conoscenza, ferma restando la responsabilità del Governo nell'indicazione della missione e di specifici obiettivi di ricerca per ciascun ente.
Si è quindi provveduto ad estendere l'autonomia, già garantita alle università da una legge approvata vent'anni fa, all'intero sistema della ricerca pubblica in attuazione della medesima norma costituzionale. Non posso dilungarmi in questa sede sullo spirito della legge delega, ma credo valga la pena ricordare all'Assemblea che essa traduce in norma il principio secondo il quale la ricerca si nutre di libertà, prevedendo che l'organizzazione della ricerca pubblica sia affidata dallo Stato alla responsabilità degli stessi ricercatori e sottragga incongrue e dannose intromissioni del potere politico.
Dopo il Governo Prodi la delega è passata all'Esecutivo Berlusconi, che già nell'estate scorsa - con il disegno di legge recante misure urgenti su scuola, università e ricerca, presentato dal Ministro Gelmini e approvato dal Consiglio dei Ministri il 1o agosto - ha manifestato una diversa interpretazione dell'autonomia degli enti di ricerca. Si tratta ovviamente di una scelta legittima, tuttavia non così scontata in considerazione del lavoro di condivisione che aveva caratterizzato la discussione dell'iter di approvazione della legge n. 165 del 2007, tanto alla Camera quanto al Senato. In particolare l'articolo 12 di questo disegno di legge «Gelmini» prevede modifiche così incisive della legge n. 165 tanto da alterarne lo spirito. Ma dallo scorso agosto il disegno di legge è atteso invano di essere approvato dal Parlamento perché il Governo non ha mai chiesto l'avvio dell'iter, non per disattenzione. Al contrario il Governo ha atteso un vettore normativo in grado di assorbire la norma di modifica della legge delega riducendo ai minimi termini lo spazio di discussione parlamentare. Quale migliore occasione, allora, di un collegato alla finanziaria dal contenuto eterogeneo, già approvato alla Camera e in corso d'esame al Senato?
La scelta è così caduta sul provvedimento in parola (l'ennesimo disegno di Pag. 41legge omnibus) che al Senato ha acquisito ben trentadue nuovi articoli, tra i quali se ne annovera uno - quello di cui sto parlando - presentato dal relatore, senatore Malan, proprio in scorcio di esame in Commissione, e fortemente ispirato all'articolo 12 del disegno di legge «Gelmini». Nonostante i nobili natali, per l'emendamento del relatore Malan la strada non è stata spianata, poiché in V Commissione (Bilancio) ha ricevuto un parere contrario sul testo originario, mentre sulla seconda formulazione il sottosegretario Vegas - lo ricorderà - ha espresso un parere di semplice contrarietà. Del parere della Commissione di merito invece non c'è traccia, perché l'emendamento non è mai approdato alla discussione della VII Commissione del Senato competente per materia.
La proposta di Malan approda comunque al voto in Aula senza essere accompagnata da alcuna presentazione che ne giustifichi almeno la motivazione e frettolosamente viene approvata. In questo modo attraverso un emendamento non discusso nel merito e inserito in un provvedimento di tutt'altra natura, la delega in materia di riordino degli enti di ricerca è stata prorogata e la legge profondamente snaturata.
Sin qui ho raccontato il metodo seguito, certamente discutibile. Ora mi soffermerò brevemente sul merito. Nell'articolo 27 si assestano un paio di colpi all'autonomia degli enti di ricerca che la delega dovrebbe, al contrario, sancire. Si prevede, infatti, che non soltanto gli statuti ma anche i regolamenti di amministrazione, di finanza e contabilità e del personale, formulati e deliberati dagli enti dovranno essere sottoposti al controllo non solo di legittimità ma persino di merito da parte di ben tre Ministeri.
Lo traduco con parole più esplicite, signor Presidente. Poiché il Governo non si fida degli enti e della loro capacità di organizzazione e di gestione, allora si estende incongruamente e ossessivamente il controllo anche ai regolamenti tecnici interni di funzionamento degli enti.
Poiché il Governo non si fida neppure del Parlamento, la norma cancella - e questo è gravissimo - anche il previsto parere delle Commissioni parlamentari competenti tanto per palesare la sintonia con il Premier che recrimina, ahimè troppo spesso, sul tempo perso alle Camere. Tale parere delle Commissioni fu inserito nella legge delega 27 settembre 2007, n. 165, durante l'esame della Camera con un emendamento approvato da tutta la Commissione che accolse l'istanza avanzata allora da maggioranza e opposizione finché fosse previsto il parere parlamentare su temi così delicati come gli statuti degli enti pubblici nazionali di ricerca.
La volontà del Governo Berlusconi di snaturare la legge delega viene poi conclamata con la previsione che gli statuti in sede di prima attuazione siano formulati e deliberati dai consigli di amministrazione che sono composti da persone di nomina governativa, una scelta che sancisce una inopportuna intromissione della politica nella definizione della governance degli enti di ricerca.
La legge delega n. 165 ancora vigente ovviamente prevede, invece, che gli statuti in sede di prima attuazione siano formulati e deliberati dai consigli scientifici, cioè da organi che sono espressione democratica dei ricercatori integrati da cinque esperti di alto profilo scientifico nominati dal Ministero dell'università e della ricerca.
Al contrario, la nuova norma affida loro un ruolo residuale perché potranno esprimere un semplice parere al consiglio di amministrazione. Il progetto del Ministro Gelmini contenuto nel citato disegno di legge del 1o agosto rischia quindi di attuarsi senza approfondimenti, senza discussioni, senza alcun confronto. Sono passati soltanto diciotto mesi da quando esaminammo con spirito di condivisione la legge delega nella precedente legislatura eppure pare trascorso un tempo lunghissimo durante il quale sono state colpite e mortificate le prerogative parlamentari.
Tuttavia, l'articolo 27 del provvedimento in parola presenta anche un'altra Pag. 42misura, apparentemente non ispirata dal disegno di legge del Ministro Gelmini, anche se non si può certamente escludere un suggerimento da parte del Tesoro per i presunti effetti di risparmio che dovrebbe conseguire. In estrema sintesi, la norma prevede che gli enti di ricerca - qualora al 31 dicembre 2009 siano adottati i decreti legislativi attuativi della delega prevista dalla più volte citata legge n. 165 - vengano esonerati dalla disciplina del taglia-enti prevista dall'articolo 26 del decreto-legge n. 112 del luglio scorso.
È bene ricordare, tuttavia, che questa norma non ha mai - sottolineo: mai - incluso gli enti di ricerca tra quelli passibili di soppressione, anzi se ne esplicita espressamente l'esclusione senza alcuna ulteriore condizione.
Così come ha rilevato il Comitato per la legislazione, questa disposizione sotto il profilo della tecnica normativa fa davvero acqua da tutte le parti poiché il legislatore, invece di novellare l'articolo 26 del decreto-legge n. 112, come logica avrebbe preteso......

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Ghizzoni.

MANUELA GHIZZONI. ...ha invece predisposto una nuova norma. Ho quasi concluso, signor Presidente.
Certamente più grave è il profilo politico della scelta compiuta tesa ad includere gli enti di ricerca nella possibile soppressione degli enti pubblici non economici con dotazione organica inferiore alle cinquanta unità.
Il Governo e la maggioranza dovrebbero il coraggio di ammettere apertamente che rispetto a luglio hanno cambiato idea e che ritengono la ricerca scientifica pubblica non il motore dell'innovazione e della crescita del Paese bensì un ambito della spesa pubblica su cui intervenire per conseguire significativi risparmi.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Ghizzoni.

MANUELA GHIZZONI. Sì, signor Presidente, ho veramente terminato. Per concludere, la genesi e il contenuto dell'articolo 27 raccontano che per questo Governo l'invocazione di provvedimenti bipartisan sui temi cruciali per il futuro del Paese come la ricerca non sono che vuoti proclami e denunciano che l'Esecutivo vive con palese fastidio i tempi e i modi previsti dall'esercizio della democrazia.
Se nel corso della discussione in Aula la maggioranza ed il Governo si limiteranno ad esprimere un parere negativo sulle nostre proposte emendative, così com'è avvenuto nelle Commissioni, non potremo che confermare con amarezza e preoccupazione questo severo giudizio (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 1441-bis-C)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la I Commissione, onorevole Bernini Bovicelli.

ANNA MARIA BERNINI BOVICELLI, Relatore per la I Commissione. Signor Presidente, rinuncio alla replica.

PRESIDENTE. Si intende che il relatore per la V Commissione rinunzi alla replica.
Ha facoltà di replicare il sottosegretario di Stato per la giustizia.

MARIA ELISABETTA ALBERTI CASELLATI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, vorrei svolgere alcune brevi precisazioni ed osservazioni, per la parte di competenza del Ministero della giustizia.
Per il processo civile non si tratta di un approccio volto ad utilizzare la tecnica del provvedimento contenitore, né del provvedimento normativo omnibus, come è stato variamente sostenuto dagli onorevoli Tassone, Zaccaria, Cambursano, Sarubbi: si Pag. 43tratta della consapevolezza, onorevole Ferranti, non certo solo del Governo, ma ben diffusa tra tutti i cittadini, del fatto che il lavoro, l'imprenditoria, la libera iniziativa, ma più in generale i rapporti economici, sociali e perfino i rapporti familiari non possono svolgersi serenamente e dare i loro frutti in termini di benessere, di ricchezza e di sviluppo, se sullo sfondo l'apparato giudiziario non dà le necessarie garanzie di tutela rispetto al danno, al sopruso, all'inadempimento, ma genera esso stesso ulteriore danno, sopruso e inadempimento.
La sostanza dispositiva delle norme sul processo civile è nota agli onorevoli deputati ed è stata illustrata egregiamente nella relazione. Vi sono provvedimenti dal lato della domanda di giustizia (penso, in particolare, al principio di lealtà processuale) e soprattutto dal lato dell'offerta, un impianto vasto e articolato che comprende la riduzione dei tempi processuali, la riduzione dei riti, la mediazione civile, il processo di cognizione sommaria, la prova testimoniale scritta e così via: sono tutti provvedimenti finalizzati soprattutto a deflazionare il terribile carico di arretrato (sono 5.450.000 i processi civili pendenti) che grava su ogni tentativo di scossa del sistema giudiziario. Sono provvedimenti finalizzati a ridurre i tempi del processo civile, sono provvedimenti che intendono perseguire un sistema giudiziario all'altezza di un sistema di sviluppo economico.
Gli interventi predisposti sono provvedimenti se si vuole, onorevole Tassone, chirurgici, ma di primo intervento e soprattutto mirati selettivamente a ridare mobilità e respiro ad un sistema gravemente compromesso, che non si può più lasciare in queste condizioni.
Infatti, oggi il quadro che ci si presenta è tale - e lo ha detto molto bene l'onorevole Calabria - che di fronte alla deprecabile eventualità di un qualsivoglia profilo di lite e contrasto tra i privati, ciò che lo Stato oggi appresta non è una sede di risoluzione rapida ed attenta, ma è il vero e proprio inizio di un calvario, dove la complicazione prevale sulla complessità e dove costi e tempi si moltiplicano di tanto in quanto si riducono prima le certezze e poi le speranze.
La giustizia civile italiana deve essere portata a livelli di efficienza degni di un grande paese industrializzato, specie in un contesto generale dove l'ampiezza e la portata - che è stata sottolineata da tutti - della crisi richiedono risposte veloci, efficaci, capaci nel loro complesso di rafforzare le condizioni di operatività dell'economia.
Per tutto questo, auspico l'approvazione del disegno di legge in discussione. Nel frattempo vorrei, però, congratularmi, per i momenti di grande sinergia e di approfondimento costruttivo, con i presidenti Bruno e Giancarlo Giorgetti, con i relatori Bernini Bovicelli e Corsaro e con i deputati tutti, sia di maggioranza, sia di opposizione, e lo faccio in modo convinto a nome del Governo (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze.

GIUSEPPE VEGAS, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, onorevoli colleghi, intervengo molto brevemente solo per svolgere due considerazioni di carattere generale, in risposta a tutti coloro che sono intervenuti e che per questo ringrazio. Si tratta di due considerazioni di carattere generale relative alla questione finanziaria e alla questione - diciamo così - di diritto costituzionale e parlamentare.
Per quanto riguarda la questione finanziaria, qualcuno ha lamentato uno scarso interventismo del Governo in questo periodo di crisi. Devo dire, invece, che il provvedimento che abbiamo all'esame è la dimostrazione dell'esatto contrario. Tutti sappiamo come sia difficile, anzi rischioso, intervenire con un aumento della spesa pubblica, come da molte parti si invoca, perché ogni euro in più di spesa pubblica significa un euro (o qualcosa in più) di tasse domani, pertanto ciò è estremamente rischioso anche per uscire dalla crisi. Pag. 44
Allo stesso tempo, è stato da molti correttamente auspicato - ed è una buona prassi - di approfittare di questa occasione per varare delle riforme strutturali. Mi domando, allora: quali più importanti riforme strutturali se non quelle sul complesso della pubblica amministrazione e della giustizia? La giustizia - come bene hanno detto sia coloro che sono intervenuti, sia, da ultimo, la collega Casellati - è una delle questioni fondamentali, perché la giustizia civile è una scriminante ancora più importante del livello della tassazione sull'attrattività del nostro Paese nei confronti degli investimenti interni ed esteri. Se la domanda di giustizia non è corrisposta in tempi rapidi ed efficienti, gli investitori scappano e noi non vogliamo che in questo periodo ciò accada, e vogliamo fare tutto il possibile per cercare di attrarli. La riforma del processo civile, quindi, è una riforma di struttura fondamentale.
Lo stesso può dirsi a proposito della riforma dell'amministrazione. Anche in questo caso, ricordiamo che tra i fattori di disincentivo agli investimenti vi è certamente il livello della tassazione, ma ancor di più vi è il cosiddetto red tape, ciò quel nastro, quel vincolo che lega le mani a chi vuole operare e che disincentiva e fa scappare, anche in questo caso, gli investitori dal nostro Paese.
Queste sono delle riforme indispensabili se vogliamo consentire che, una volta concluso questo periodo di crisi, il nostro Paese possa ripartire, come tutti auspichiamo. Si tratta di approfittare di questo momento per risolvere queste drammatiche situazioni di difficoltà.
Tra l'altro, il meccanismo del provvedimento collegato dimostra - checché se ne dica - che lo strumento della finanziaria snella è efficace dal punto di vista della definizione delle quantità delle manovre finanziarie e non espropria il Parlamento, perché poi nei collegati vi è un ampio dibattito parlamentare e vi è la possibilità di ampie modifiche. Non entrerei in questa sede nella discussione un po' stucchevole se il Senato abbia apportato più modifiche rispetto alla Camera, perché in fondo poco ci interessa, ma il fatto stesso che ci troviamo nella fase della terza lettura di questo provvedimento significa che Camera e Senato hanno avuto una libertà di azione come mai negli ultimi anni vi è stata su una materia che riguarda la finanza pubblica.
Un'ultima considerazione riguarda i rilievi che sono stati avanzati circa una scarsa costituzionalità del provvedimento per via delle materie eterogenee che esso contiene. È ovvio che vi debba essere una certa eterogeneità quando si affrontano problemi così vasti; inoltre, francamente, ha poco senso emanare tanti provvedimenti puntuali o un provvedimento più ampio quando l'importante è arrivare a modifiche normative che incidano effettivamente sulla vita di tutti i cittadini con la tempestività che le esigenze del ciclo economico richiedono e questo è un punto fondamentale.
Nel dibattito si è obiettato che questo Governo avrebbe adottato troppi decreti-legge e troppe norme di delega. Premesso che le norme delega non sono un'espropriazione del Parlamento, perché il Parlamento interviene nella norma di delega e interviene successivamente nel decreto delegato e il parere parlamentare ha rilevantissimo valore; premesso, inoltre, che le deleghe consentono perlopiù un approccio tecnico nei confronti di materie molto tecniche (avrebbe poco senso intervenire con normativa di dettaglio direttamente in sede parlamentare e, tutto sommato, le deleghe fanno sì che il Governo riconosca la prevalenza del Parlamento in questa materia) è certo che di decreti-legge ve ne sono stati, su questo non vi è dubbio.
Questo, però, dipende anche dal fatto che si è dovuto intervenire in una situazione molto mobile e mi riferisco soprattutto alla parte finanziaria. Il paragone che si fa con il precedente biennio è leggermente improprio, perché tutti ci ricordiamo che, nel medesimo biennio, la quantità della legislazione registrò un record storico bassissimo. Ciò per un ovvio motivo: il precedente Governo non aveva i numeri, soprattutto nell'altro ramo del Parlamento, e quindi evitava di andare in Pag. 45Parlamento per fare esaminare le proprie norme. Ci ricordiamo come al Senato si passasse il tempo tra mozioni e inseguimenti di farfalle sotto l'arco di Tito, come altri avrebbero detto, pur di non far votare quel ramo del Parlamento.
D'altronde, quanto si votava, non è che il Parlamento avesse questo grande ruolo, perché è ancora nella memoria storica - e verrà citata nei libri di testo dei prossimi decenni - la finanziaria per il 2008, che conteneva 1364 commi: quello sì che era un esproprio del Parlamento e mi meraviglio che coloro che ci hanno dato lezioni in questa sede si siano sollevati oggi e non quando sarebbe stato ben più necessario.
Detto questo, non resta, da parte mia, che ringraziare tutti gli intervenuti e auspicare che la sollecita approvazione non solo di questo disegno di legge ma anche dei decreti delegati che lo renderanno operativo, possa consentire quel superamento della crisi, di cui si inizia a intravedere qualche segnale, ma ancora troppo pallidamente. Esso necessiterà ancora di un'implementazione normativa vigorosa, allo scopo di portare il nostro Paese fuori da questi momenti di difficoltà, che auspichiamo finiscano nel più breve tempo possibile (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Sull'ordine dei lavori (ore 16,45).

ALDO DI BIAGIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ALDO DI BIAGIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, desidero condividere con voi lo sconcerto e la preoccupazione per quanto è accaduto nella giornata odierna, a Parigi, e che ha coinvolto il sindaco della capitale francese, Delanoë, resosi protagonista di dichiarazioni ingiuriose e false sul sindaco di Roma, Gianni Alemanno. A ciò si aggiunge che le dichiarazioni del sindaco francese sono state proferite in una cornice internazionale, davanti a sostenitori del Partito Democratico italiano, guidati dai referenti stessi e alla presenza dell'ex Presidente della Commissione europea, Jacques Delors.
Questa cornice rende ancora più critiche ed insopportabili le parole del sindaco francese e su questo punto è necessario che noi tutti, qui, rappresentanti del popolo italiano, siamo informati su quanto accaduto, anche perché, in quella sede, erano presenti i referenti di questo Parlamento.
A tal riguardo, intendo formulare una richiesta ai rappresentanti del Governo, affinché rispondano in Aula su questo increscioso atto consumatosi tra le pieghe delle relazioni che intercorrono tra Italia e Parigi e che rappresenta un'offesa per la città di Roma, per il suo primo cittadino, per l'intero Paese, senza dimenticare i nostri connazionali all'estero che si sentono coinvolti in prima persona e quei cittadini francesi dotati di buon senso e che hanno contribuito a rendere fiorenti, sotto il profilo culturale, politico e sociale le relazioni tra le due bellissime e storiche città d'Europa.
Chiedo, pertanto, al Governo, di informarci su quali misure adeguate di intervento intenda predisporre, al fine di chiarire quanto si è verificato, questa mattina, nella capitale francese.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, sono stupito per le parole dell'onorevole Di Biagio. Capisco che c'è una tendenza del Governo, della maggioranza e dei suoi rappresentanti a reprimere qualunque tipo di giudizio e valutazione politica vengano formulati e che questo lo si voglia portare oltralpe.
Il sindaco di Parigi ha detto una cosa che risponde, evidentemente, alla sua opinione e, credo, non soltanto ad essa, e cioè che ha difficoltà a intraprendere relazioni con un sindaco che - non lo ha inventato Pag. 46il sindaco di Parigi - in occasione della sua elezione è stato accompagnato da un tripudio di saluti romani che hanno sancito, come dire, la vicinanza e un ritorno, probabilmente, alle origini del pensiero e dell'azione del sindaco Alemanno il quale, del resto, non lo ha evitato.
Abbiamo un esempio di chi ha rinnegato, anzi ha rivisto il suo passato e si è comportato in modo coerente e credo che il Presidente della Camera rappresenti in questo senso sicuramente un punto di riferimento. Non si può dire lo stesso per Alemanno, il sindaco di Roma, che negli ultimi tempi, invece di fare quello che dovrebbe fare, cioè il sindaco di Roma, e cercare di risolvere i problemi della nostra città si è impegnato in alcune attività che, se non sono direttamente riferibili a quello che comporta il «saluto romano», però lasciano intendere come immagina il suo modo di agire e il suo modo democratico di intervenire.
Soltanto ieri il sindaco Alemanno ha vietato la proiezione di un film, di un documentario, signor Presidente, che ricostruiva, per quanto di parte - ma siamo in democrazia e credo che ognuno possa farlo - la vicenda e gli scontri del G8 di Genova. Lo ha fatto vietandolo dopo che il Partito Democratico aveva affittato regolarmente una sala a Roma e si accingeva a svolgere questa iniziativa. Il sindaco Alemanno, evento senza precedenti nella nostra città, ha deciso di vietare la proiezione, benché lo stesso sindaco sia incorso in un piccolo incidente di percorso consentendo, assieme alla sua giunta, la proiezione, qualche giorno fa, di un video concernente la storia di Mussolini ai fori imperiali.
Allora non ci si dovrebbe scandalizzare per il fatto che, anche a livello internazionale, alcune decisioni e alcune scelte del sindaco Alemanno e anche alcuni contorni che hanno fatto riferimento alla sua elezione, lasciano quanto meno perplessi e fanno fare al sindaco di Parigi un'affermazione che probabilmente è assolutamente naturale, ossia che aveva migliori rapporti con i sindaci precedenti e qualche imbarazzo in meno. Invece di chiedere alla Farnesina di intervenire, di esprimere imbarazzo, e di chiedere al Governo sul da farsi, il sindaco Alemanno farebbe bene, ad un anno dalla sua elezione, ad occuparsi di Roma, cosa che pare faccia poco e male.

CLAUDIO BARBARO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CLAUDIO BARBARO. Signor Presidente, a supporto dell'intervento svolto dall'onorevole Di Biagio vorrei aggiungere, in maniera breve ma incisiva in ordine all'accaduto, che si fa riferimento a fatti che non posso esimermi dal definire gravissimi e che, a mio avviso, sono figli di pregiudizi alimentati ad arte e guarda caso sono stati alimentati ad arte in prossimità di una scadenza: il 25 aprile. Come se qualcuno avesse tutto l'interesse a invelenire ulteriormente il clima di questa che, così com'è stato detto a più riprese, è una celebrazione di tutti gli italiani.
Da questa considerazione, a mio avviso, ne discendono altre due altrettanto importanti e, credo, incisive. La prima è che l'onorevole Alemanno non deve essere sottoposto ad alcun ulteriore esame. Credo che in questo anno trascorso dalla sua elezione a sindaco di Roma abbia dato, sotto il profilo della democraticità, esempi di tutti tipi, sia per quello che riguarda tutto ciò che ha ispirato la sua azione sotto il profilo politico che sotto il profilo amministrativo. Pertanto non è proprio possibile pensare che un giudizio così severo e così alimentato da pregiudizi possa, in qualche modo, permettere al sindaco di Parigi, il sindaco di una importante capitale europea di incrinare, perché è questo il rischio che possiamo correre, i rapporti tra la nostra nazione e quella francese.
Per questo credo che la seconda considerazione, altrettanto importante, sia quella di richiedere con forza un intervento del Ministro Frattini affinché, in sede diplomatica, possa essere affrontato questo problema (Applausi del deputato Di Biagio).

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MATTEO BRIGANDÌ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MATTEO BRIGANDÌ. Signor Presidente, vorrei far rilevare che queste interessantissime e dottissime questioni di diritto internazionale andrebbero trattate a fine seduta, anche se ormai abbiamo risolto il problema.

PRESIDENTE. Condivido la sua osservazione, ma avendo dato la parola ad uno, non potevo non darla anche agli altri per ragioni di equità. Se avessi saputo quale era il carattere dell'intervento probabilmente avrei dato la parola alla fine della seduta.

Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 16,50).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.

(Elementi in ordine ai costi dei servizi di intercettazione e iniziative di competenza in merito alle modalità di affidamento e al pagamento dei medesimi servizi - n. 2-00348)

PRESIDENTE. L'onorevole Brigandì ha facoltà di illustrare l'interpellanza Comaroli n. 2-00348, concernente elementi in ordine ai costi dei servizi di intercettazione e iniziative di competenza in merito alle modalità di affidamento ed al pagamento dei medesimi servizi (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti), di cui è cofirmatario.

MATTEO BRIGANDÌ. Signor Presidente, quello delle intercettazioni è un problema estremamente serio che ho inteso sottoporre al Governo. Parliamo dei costi delle intercettazioni. Si tratta di un problema serio da diversi punti di vista, non solo giurisdizionale, ma anche economico.
Abbiamo sentito nell'illustrazione del commento di chi ci ha preceduto che i meccanismi dei costi della giustizia incidono notevolmente in riferimento all'assetto economico di questo Paese. Dobbiamo cominciare, intanto, dal merito. Le intercettazioni - non entro nei dettagli giuridici sui quali ci sarebbe molto da dire, ma che credo emergeranno tra un paio di settimane durante l'esame del disegno di legge apposito sulle intercettazioni - quanto piuttosto nel dato economico.
Le intercettazioni hanno un costo che corrisponde a cinque volte quello della Francia, dove il costo delle intercettazioni è il più alto d'Europa. Abbiamo un costo delle intercettazioni che è superiore a quello di tutti gli Stati Uniti messi insieme.
Quindi, non c'è dubbio, signor Presidente e onorevole sottosegretario, che delle intercettazioni in questo Paese non se ne fa solo un uso, ma un abuso. Questa è una notazione in parte di merito: non solo se ne fa un abuso dal punto di vista del largheggiare nell'uso delle intercettazioni per seguire un'indagine, ma se ne fa un abuso quando vengono usate come una sorta di pesca a strascico. Si sottopone, cioè, sotto intercettazione Tizio e non importa se da questa intercettazione non viene fuori un reato, perché magari ne verrà fuori un altro. Quindi, ci troviamo davanti ad un abuso costituzionale di dimensioni gigantesche.
Non è questo il merito specifico di questa interpellanza, ma il metodo. Cosa vuol dire? Vuol dire che oggi siamo in una situazione incredibile. La Costituzione, quando parla dei Ministri, indica esclusivamente il Ministro della giustizia. Gli altri vengono indicati per genus (i Ministri), ma non si indica quale lavoro debba fare un Ministro piuttosto che un altro.
Parlando del Ministro della giustizia dice specificamente che ad egli spetta organizzare la magistratura che, ovviamente, è improntata al criterio della più ampia indipendenza nel momento giurisdizionale, e non certo in quello organizzativo. È inutile dire che se decidiamo di prendere un cancelliere da Roma e lo trasferiamo a Napoli avrà un programma Pag. 48su cui lavorare a Roma che sarà diverso da quello di Napoli e quindi dovrà ricominciare da capo.
Il meccanismo delle intercettazioni è visto dai magistrati come un potere assoluto, e ve ne sono tanti che si comportano come «Dio che atterra e suscita, che affanna e che consola». Che fanno? Alcune procure bandiscono dei concorsi ed offrono i servizi di intercettazione ai soggetti che sul mercato evidentemente offrono dei prezzi migliori; altre procure, invece, non fanno che affidarle a persone di propria conoscenza.
Se un politico facesse una cosa di questo tipo lo metterebbero in galera dopo un quarto d'ora, ma vi è di più: loro metterebbero il politico in galera dopo un quarto d'ora perché noterebbero che lo stesso servizio da una parte costa 1 mentre dall'altra parte costa 6, poi però siccome lo fanno i giudici in galera non ci vanno. Quindi, noi abbiamo lo stesso servizio che da una parte costa 1 e dall'altra costa 6, da una parte viene svolto con regolare base di gara d'appalto, dall'altra, invece, mediante affidamento in base ad una conoscenza propria, personale, non si capisce come e in che termini, mentre, lo ripeto, se lo facesse un politico lo arresterebbero.
In questa situazione c'è un aspetto ancora peggiore che è dato dal fatto che i magistrati quando chiamano le aziende che forniscono servizi di intercettazioni dicono loro di svolgere questo servizio perché poi verranno pagate, ma lo fanno nella più completa e totale autonomia senza andare a vedere e a capire se lo Stato è poi in grado o meno di pagarle. Il risultato è che oggi c'è un nucleo di aziende non da poco che sono presenti sul mercato e vantano dei crediti che lo Stato non è in grado di pagare. Se i magistrati non fossero magistrati, ma fossero dei politici, probabilmente si arresterebbero perché un fatto del genere configura l'articolo 640 del codice penale in base al quale chiunque con artifici o raggiri induce in errore e con altrui danno guadagna è punito. «Chiunque» sono i magistrati, «artifici o raggiri» stanno nel fatto che costoro dicono all'azienda di stare tranquilla perché verrà pagata e non è vero, l'altro crede che verrà pagato, fornisce il servizio «e ciccia».
Questo è lo stato dell'arte in questo momento ed è preoccupante: a parte l'evidente tragicità della situazione di uno Stato che chiede dei servizi a delle società e poi non le paga, è un discorso estremamente serio perché la gente che lavora e svolge questo servizio ha un'azienda, ha dei costi e dei dipendenti, alla fine deve pagare delle tasse, probabilmente deve pagare l'IVA sulle fatture che ha emesso nei confronti dello Stato e che lo Stato non gli paga, probabilmente, anzi certamente, pagherà i contributi lavorativi allo Stato che lo Stato non gli paga; a Napoli direbbero: «cornuti e mazziati».
Questa è in buona sostanza il problema che è di una gravità estrema in una situazione di crisi economica come quella di oggi che non è da poco. Possiamo veramente pensare che ci siano aziende a cui mancano 30, 40, 50 milioni di liquidità perché lo Stato non paga e che nel frattempo devono mantenere l'occupazione per decine se non centinaia di dipendenti addetti a svolgere questi servizi?
Facendo ancora un ulteriore passo, perché voglio sperare che lo Stato cominci a pagare in qualche modo, chiedo, e vorrei che fossero chiari, quali siano i criteri per effettuare i pagamenti perché credo che coloro che hanno ottenuto gli incarichi dai magistrati in base a criteri diversi dagli appalti, che quindi li hanno avuti mediante trattativa privata, probabilmente hanno dei costi, che come ho detto prima sono stati rilevati da 1 a 5, di 5. Quindi, ove il 5 venisse pagato, ad esempio, al 30 per cento, avrebbero un incasso di 2, mentre qualcun altro presenta lo stesso conto a 1. Non so se sono stato chiaro nel rendere un discorso matematico, ma è evidente che i pagamenti non possono non tenere conto della differenziazione oggettiva che vi è fra chi ha ottenuto gli incarichi con concorso e chi li ha ottenuti, invece, con trattativa privata.
Concludo, onorevole sottosegretario, chiedendo al Ministero se forse non sia Pag. 49opportuno che in attuazione di quell'articolo della Costituzione si crei il meccanismo che per qualsiasi imprenditore, qualsiasi pubblica amministrazione e qualsiasi politico è necessario, cioè quello di evitare di usare due pesi e due misure perché quando i politici usano due pesi e due misure vengono inevitabilmente arrestati.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Rocco Crimi, ha facoltà di rispondere.

ROCCO CRIMI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, nel rispondere all'onorevole Brigandì, ritengo doveroso rammentare quanto già chiarito, sempre in tema di intercettazioni, in altre recenti risposte ad atti di sindacato ispettivo di analogo contenuto. In tali occasioni, si è avuto modo di evidenziare che l'attività posta in essere dal Ministro della giustizia è stata sino ad ora tesa a realizzare una migliore razionalizzazione dell'uso delle intercettazioni nell'ambito investigativo. Infatti, il dato con il quale oggi siamo chiamati a confrontarci e dal quale non possiamo prescindere è costituito dal livello di spesa - assolutamente insostenibile - raggiunto dalle intercettazioni. È questo dato che ad ottobre ha spinto le società interessate a minacciare il blocco del servizio ed ha indotto il Ministro a disporre l'istituzione dell'UMI (unità di monitoraggio sull'andamento della spesa in materia di intercettazioni) per verificare l'effettivo ammontare del debito in tema di intercettazioni e per scongiurare ogni possibile blocco delle attività investigative.
Si è voluto così procedere sia all'elaborazione delle iniziative necessarie per quantificare il debito pregresso e, conseguentemente, ripianarlo, sia alla previsione di una strategia di controllo per il monitoraggio costante e la conseguente razionalizzazione di tale rilevante voce delle spese di giustizia. L'unità di monitoraggio ha, infatti, istituito un tavolo tecnico con i rappresentanti delle aziende al fine di verificare ogni possibile soluzione, anche di tipo transattivo, per il definitivo pagamento. In ogni caso, i dati sino ad ora acquisiti dall'unità di monitoraggio hanno evidenziato numerosi profili di irrazionalità nella gestione di tale spesa ed è proprio per tale motivo che il Governo intende intervenire per ottimizzare tutte le risorse disponibili.
Basti pensare che, per le sole intercettazioni telefoniche, si va dai 3,85 euro di Campobasso ai 23 euro di Barcellona Pozzo di Gotto, Cuneo, Messina e Urbino, passando per una serie davvero impressionante di dati eterogenei che non appare giustificabile.
Come riferito nel dettaglio nella risposta all'interrogazione n. 5-00820 dell'onorevole Nicola Molteni è, inoltre, emerso che poche procure assorbono una considerevole parte di tale debito. Si pensi, infatti, che su 201 milioni di euro di debito pregresso, circa il 70 per cento dello stesso, pari a circa 138 milioni di euro, è assorbito soltanto da cinque procure (Napoli per 40 milioni, Milano e Palermo per 30 milioni ciascuna, Reggio Calabria per 27 milioni e Catanzaro per 13).
Inoltre, dodici uffici assorbono circa 172 milioni di euro (con una media di 14 milioni e 300 mila euro per ufficio) mentre le rimanenti sedi (97) che hanno comunicato l'ammontare del loro debito pregresso assorbono il rimanente debito, pari a circa 29 milioni di euro (con una media di 298.623 euro per ufficio).
Il valore medio del debito per ciascun ufficio corrisponde, quindi, a circa un milione e novecentomila euro.
Per quanto attiene ai costi relativi alle intercettazioni ambientali e servizi di sorveglianza tecnologica, si riscontrano differenze ancora più marcate ed irrazionali che dipendono anche da due fattori che generano confusione, parcellizzazione ed equivocità del dato. Essi sono costituiti dalla variabilità della tipologia delle prestazioni richieste (dalla semplice microspia al sofisticato apparato di sorveglianza e tracciamento satellitare assistito anche da videocamere e quant'altro); dal numero talvolta impressionante di aziende da cui le procure acquistano tali servizi (ad Pag. 50esempio 214 aziende nella procura di Palermo; 41 nella procura di Napoli). Nel rispondere all'onorevole Brigandì, ritengo doveroso rammentare quanto già chiarito, sempre in tema di intercettazioni, in altre recenti risposte ad atti di sindacato ispettivo di analogo contenuto. In tali occasioni, si è avuto modo di evidenziare che l'attività posta in essere dal Ministro della giustizia è stata sino ad ora tesa a realizzare una migliore razionalizzazione dell'uso delle intercettazioni nell'ambito investigativo: infatti il dato con il quale oggi siamo chiamati a confrontarci e dal quale non possiamo prescindere, è costituito dal livello di spesa - assolutamente insostenibile - raggiunto dalle intercettazioni. È questo dato che, ad ottobre, ha spinto le società interessate a minacciare il blocco del servizio ed ha indotto il Ministro a disporre l'istituzione dell'UMI (Unità di monitoraggio sull'andamento della spesa in materia di intercettazioni) per verificare l'effettivo ammontare del debito in tema di intercettazioni e per scongiurare ogni possibile blocco delle attività investigative.
Si è voluto così procedere sia all'elaborazione delle iniziative necessarie per quantificare il debito pregresso e, conseguentemente, ripianarlo, sia alla previsione di una strategia di controllo per il monitoraggio costante e la conseguente razionalizzazione di tale rilevante voce delle spese di giustizia.
L'Unità di Monitoraggio ha, infatti, istituito un tavolo tecnico con i rappresentanti delle aziende al fine di verificare ogni possibile soluzione, anche di tipo transattivo, per il definitivo pagamento. In ogni caso, i dati sino ad ora acquisiti dall'Unità di monitoraggio hanno evidenziato numerosi profili di irrazionalità nella gestione di tale spesa ed è proprio per tale motivo che il Governo intende intervenire per ottimizzare tutte le risorse disponibili.
Basti pensare che, per le sole intercettazioni telefoniche, si va dai 3 euro e 85 centesimi di Campobasso ai 23 euro di Barcellona Pozzo di Gotto, Cuneo, Messina e Urbino, passando per una serie davvero impressionante di dati eterogenei che non appare giustificabile.
Come riferito nel dettaglio nella risposta all'interrogazione n. 5-00820 dell'onorevole Molteni è, inoltre, emerso che poche procure assorbono una considerevole parte di tale debito.
Si pensi, infatti, che su 201 milioni di euro di debito pregresso, circa il 70 per cento dello stesso, pari a circa 138 milioni di euro, è assorbito soltanto da 5 Procure (Napoli per 40 milioni, Milano e Palermo per 30 milioni ciascuna, Reggio Calabria per 27 milioni e Catanzaro per 13). Inoltre, 12 uffici assorbono circa 172 milioni di euro (con una media di 14 milioni 300 mila euro per ufficio) mentre le rimanenti sedi (97) che hanno comunicato l'ammontare del loro debito pregresso assorbono il rimanente debito, pari a circa 29 milioni di euro (con una media di 298.623 euro per ufficio). Il valore medio del debito per ciascun ufficio corrisponde, quindi, a circa un milione novecentomila euro.
Per quanto attiene ai costi relativi alle intercettazioni ambientali e ai servizi di sorveglianza tecnologica, si riscontrano differenze ancora più marcate ed irrazionali che dipendono anche da due fattori che generano confusione, parcellizzazione ed equivocità del dato. Essi sono costituiti: dalla variabilità della tipologia delle prestazioni richieste (dalla semplice microspia al sofisticato apparato di sorveglianza e tracciamento satellitare assistito anche da videocamere, e così via); dal numero, talvolta impressionante, di aziende da cui le procure acquistano tali servizi (ad esempio 214 aziende nella procura di Palermo; 41 nella Procura di Napoli, e così via).
Per fare un semplice esempio, la procura di Roma corrisponde, giornalmente, 19,50 euro per una microspia, 44 euro per una videocamera fissa e 79 euro per una telecamera con ottica mobile, mentre la procura di Palermo corrisponde, per diversi tipi di microspie, da un minimo di 55 euro ad un massimo di 150 euro nonché, per le varie tipologie di telecamere, da 55 a 150 euro al giorno.
Ciò chiarito, si deve segnalare che sulla base dei dati emersi, il Ministero della giustizia si è fatto carico di rappresentare al competente Dicastero dell'economia e Pag. 51delle finanze le esigenze connesse al pagamento dei crediti delle imprese che prestano i loro servizi di supporto in materia di intercettazioni telefoniche ed ambientali, soprattutto nell'intento di salvaguardare il buon diritto delle aziende ad ottenere in tempi ragionevoli la corresponsione di quanto loro dovuto. Ciò anche al fine di garantire, sia pure indirettamente, i numerosi lavoratori che da tali aziende dipendono, secondo azioni condivise dalle stesse imprese.
A seguito di tali interventi il Ministero dell'economia e delle finanze ha riconosciuto, con proprio decreto, l'esistenza di un debito - maturato fino al 31 dicembre 2007 - di 80 milioni di euro che, in vista dell'erogazione della predetta somma, andranno pressoché a ripianare integralmente il debito esistente. È stato, inoltre, previsto, per il restante debito riferito agli anni 2008 e 2009 - in aggiunta allo stanziamento per il 2009, pari a 474 milioni di euro - lo stanziamento di ulteriori 100 milioni di euro mediante una variazione in bilancio con ricorso al fondo risorse per le spese obbligatorie, da destinare anche al pagamento dei debiti di cui si è detto.
Quanto, poi, alle iniziative di carattere ispettivo sollecitate dagli interroganti, si ricorda che le spese per le intercettazioni sfuggono ad ogni tipo di contrattazione essendo originate da un decreto emesso dal pubblico ministero, insuscettibile - di regola - di un preventivo inquadramento convenzionale. Pertanto, sulla base di tale considerazione, non sembra possa esservi margine per iniziative di carattere amministrativo, da parte del Ministro della giustizia «con particolare riguardo alle modalità di attribuzione dei servizi...ed ai relativi costi».
Peraltro, si ribadisce ancora che, proprio perché non vi è motivo di mantenere un sistema fuori controllo, l'UMI (Unità di monitoraggio sulle spese di intercettazioni) ha intrapreso il monitoraggio delle spese di cui sopra ed ha avviato le procedure per fissare, quanto più possibile, criteri di sostanziale omogeneità.
Con riferimento, infine, all'adozione di misure dirette alla razionalizzazione della spesa delle intercettazioni, si rammenta che con l'articolo 2, commi 82 e 83, della legge n. 244 del 2007 - legge finanziaria per l'anno 2008 - è stato previsto che il Ministero della giustizia provveda alla «realizzazione di un sistema unico nazionale, articolato su base distrettuale di corte d'appello, delle intercettazioni telefoniche, ambientali e altre forme di comunicazione informatica o telematica disposte o autorizzate dall'autorità giudiziaria, anche attraverso la razionalizzazione delle attività attualmente svolte dagli uffici dell'amministrazione della giustizia...».
Con l'adozione di un sistema unico nazionale sarà possibile conseguire, a breve, una riduzione dei costi di struttura - riguardanti gli apparati di intercettazione - e del traffico telefonico assicurando, nel contempo, un importante strumento a disposizione degli uffici inquirenti per lo svolgimento di complesse e delicate attività di indagine.

PRESIDENTE. L'onorevole Brigandì ha facoltà di replicare.

MATTEO BRIGANDÌ. Signor Presidente, sono soddisfatto se considero il fatto che il guardasigilli è un Ministro che ha una porzione gestionale limitata, perché si trova con una casta che, evidentemente, difende i propri interessi, al di sopra e al di fuori del dettato costituzionale. Quindi, mi rendo conto che il Ministro, poverino, fa ciò che può. Tuttavia, con riferimento a quanto espresso dall'onorevole sottosegretario, non posso non rilevare un paio di cose. In primo luogo, c'è la procura di Bolzano, che ormai rappresenta il buon esempio che tutti conosciamo, che, negli ultimi anni, ha avuto una diminuzione dei costi del 77 per cento. Come ha fatto? Non ha diminuito il lavoro o non ha lavorato.
Molto semplicemente, ha lavorato con maggiore attenzione o con un'idea imprenditoriale. Per cui bisogna capire: se i magistrati vogliono fare i giudici, lo facciano e non occupino le posizioni di management, Pag. 52oppure, se decidono nella loro carriera di andare ad occupare delle posizioni, come si usa dire, direttive superiori, lo facciano ed amministrino, ma amministrino bene. Bolzano ne è l'esempio, perché possiamo andare in tutta una serie di procure: l'onorevole sottosegretario citava, fra l'altro, Torino, dove vi sono procuratori della Repubblica che non ho mai visto in udienza, perché dovevano amministrare la loro procura.
Come hanno fatto ad ottenere questa diminuzione? Molto semplicemente, hanno curato, ad esempio, che, se uno ha dieci linee intestate a sé e dopo due giorni ce ne sono otto che sono totalmente mute, queste ultime sono state buttate via. È inutile mantenere l'indagine su queste linee mute; si mantiene su quelle in cui si parla, perché l'interesse dal punto di vista investigativo è per le chiacchiere, non per il silenzio. Vi sono accorgimenti che questi debbono fare e, se non li fanno, evidentemente, bisognerà trovare una soluzione, un colloquio con il Consiglio superiore della magistratura, un meccanismo che trovi degli sbocchi a una situazione che è, sotto gli occhi di tutti, inaccettabile.
Ho sentito parlare, onorevole sottosegretario, di transazioni. Ma che vuol dire? Che noi, tramite i magistrati, ci carichiamo di debiti, le aziende sono in debito e hanno il fiato corto perché non paghiamo e, a questo punto, gli mettiamo il coltello alla gola e gli diciamo «o pochi o niente»? Altro che repubblica delle banane! Uno che fa una cosa del genere, insisto, compie quella che nel diritto penale si chiama truffa: artifizi e raggiri, induzione in errore, danno e guadagno; solo che, essendo giudici che lo fanno, non si mettono in galera da soli. Ma ci rendiamo conto? Diciamo di fare una transazione con uno a cui ho detto «se mi dai x, ti prometto tot euro»; quello ci dà il servizio e noi non paghiamo. Questo è un qualcosa veramente fuori dalla grazia di ogni Paese civile, fuori non solo della legge, ma dell'etica, onorevole sottosegretario.
Se abbiamo assunto degli impegni, questi impegni devono essere pagati e devono essere pagati, a mio parere, a tutti, con maggiore riguardo a quello che ha chiesto tre (lei ha fatto un esempio: io dicevo 1 a 5; mi sono sbagliato perché era 3 a 23). Quello che ha chiesto tre, infatti, ha certamente un margine di guadagno che sarà di 2,99, ammesso che il servizio costi 1 centesimo, rispetto a uno che paga lo stesso servizio 23 e, a meno che non sia idiota, ha un vantaggio che va da 20 e 1 centesimo a 22 e 99 centesimi.
Non si può pensare di fare di tutta l'erba un fascio: uno Stato normale deve pagare i propri debiti e pagarli in termini corretti. Discutiamo con il CSM per evitare che vi siano dei decreti da parte dei magistrati al di fuori della grazia di Dio e, siccome siamo politici, onorevole sottosegretario, agiamo da tali. Spieghiamo a tutti gli italiani quale sia la situazione, in modo che chi intende offrire il proprio servizio a dei giudici, che emettono decreti ben sapendo che questi decreti non possono essere pagati, perché spendono su queste cose al di sopra e al di fuori di qualsiasi tipo di razionalità (ripeto, cinque volte la Francia), sappia che, come si suole dire, se fanno un contratto con questi signori, evidentemente i soldi corrispettivi alla prestazione fornita verranno dati «a babbo morto».
Gli imprenditori sapranno come regolarsi; l'unica cosa certa è che codesto Governo - anche «questo» va bene, perché siamo nella maggioranza - si deve comportare in un modo eticamente accettabile: se prende degli impegni, li onori, e lo faccia non dico in tempo reale, ma in un tempo ragionevole, onde evitare di mettere in crisi aziende sane e una parte di economia, che non è poco, specie oggi che nessuno ha bisogno di mettere in ginocchio l'economia.

(Costi della manifestazione organizzata dal CONI a Roma dal 16 al 18 dicembre 2008 - n. 2-00363)

PRESIDENTE. L'onorevole Brigandì ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00363, concernente costi della manifestazione organizzata dal CONI a Roma Pag. 53dal 16 al 18 dicembre 2008 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti).

MATTEO BRIGANDÌ. Signor Presidente, prendo la parola brevissimamente. Intendo sottolineare al signor sottosegretario una situazione che è veramente strana, e lo è in riferimento all'atteggiamento che il CONI ha relativamente alla propria conduzione economica.
Intanto, per far chiarezza, dobbiamo dire che ci sono due CONI: un CONI è quello che assiste le attività sportive vere e proprie, e l'altro è un CONI che si occupa del denaro. Non entro nel merito di quello che si occupa delle attività sportive vere e proprie, anche se, se uno volesse fare qualche battuta, potrebbe dire che il CONI potrebbe agevolmente essere sostituito, in riferimento ai risultati, dai carabinieri e dalla polizia e da ogni quant'altro, che fanno vanto delle medaglie che prendono nelle varie competizioni.
Non entriamo nel merito di questo argomento, ma veniamo ai costi. Cosa vuol dire? Vuol dire che il CONI Spa è una società interamente partecipata dallo Stato, quindi sono soldi che tutti quanti vanno a mettere; tanto per usare un'argomentazione che in questi giorni è tristemente di moda, sono soldi che togliamo all'Abruzzo per darli a questa gente, per gestire questo ente. Abbiamo notato che vi è una gestione - mi si passi il termine anacronistico, ma ho una certa età; oggi non sarebbe più così - «all'americana»: quando ero piccolo si diceva all'americana, cioè in una situazione di dispendio assoluto, perché gli americani sono notoriamente ricchi e noi eravamo notoriamente poveri. Questo è quanto è successo.
Ho citato nella mia interrogazione tutta una serie di atti (che do per letti, così risparmiamo tempo sia lei, onorevole sottosegretario, sia io) relativi a palesi sperperi: cose senza senso, soldi che sono stati presi e buttati al vento, quando di buttare soldi al vento credo che l'Italia in questo momento non abbia bisogno. Si è trattato di una gestione non solo criticabile, di più; è questo che vengo a chiedere a lei, signor sottosegretario: se ritiene che andare a chiamare tutti a Roma per distribuire il collare d'oro, e spendere in alberghi, eccetera, sia una cosa normale quando si poteva fare tutto nell'ambito di una giornata, e si potevano spendere delle cifre inferiori.
La seconda questione che è meno appariscente, ma certamente più grave, signor sottosegretario, è che si sono fatti i Giochi di Pechino. Sarebbe stato interessante per tutti, per il Parlamento, che tutto sommato ha il dovere di vigilare sul Governo, e per il Governo, cioè il Ministero dell'economia e delle finanze, che è quello che tira fuori i soldi, che vi fosse stata una riunione del CONI Spa, questa volta, con all'ordine del giorno un resoconto, in cui gli amministratori della Spa, e quindi il Parlamento, e quindi i cittadini tramite i parlamentari, perché siamo qui come rappresentanti della nazione, avessero contezza dei soldi che si sono spesi e come.
Non è pensabile cioè che oggi, a considerevole distanza di tempo dagli eventi, noi non si sappia e che non vi sia stato un Cda che ci abbia messo nella situazione di poter non dico verificare, ma quanto meno conoscere quanti soldi e come sono stati spesi per un evento tanto importante come la vicenda di Pechino. Le pongo dunque queste domande, ovviamente riservandomi di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Rocco Crimi, ha facoltà di rispondere.

ROCCO CRIMI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, con riferimento all'interpellanza in oggetto si è provveduto ad acquisire elementi informativi presso il CONI, ente vigilato del settore sportivo.
L'ente ha rappresentato che i «collari d'oro» ed «i diplomi d'onore» costituiscono la più alta onorificenza sportiva e sono attribuiti ai vincitori delle medaglie d'oro ai Giochi olimpici, a coloro che hanno conquistato il titolo di campione del mondo ed alle società sportive centenarie, nell'ambito di una cerimonia di consegna Pag. 54che ha cadenza annuale. Poiché nel 2007 tale cerimonia non si è tenuta, nella manifestazione del 17 dicembre 2008, cui l'interpellante si riferisce, sono state consegnate le onorificenze relative ad entrambi gli anni, con evidente riduzione dei costi relativi.
La manifestazione ha visto la partecipazione, com'è tradizione, di esponenti del Governo, dei membri della giunta e del consiglio nazionale del CONI, dei presidenti dei comitati regionali e provinciali. Nel giorno successivo alla manifestazione, al fine di realizzare un'economia della spesa di trasferimento e permanenza dei 79 membri del consiglio, già presenti a Roma, è stata convocata una riunione del consiglio nazionale per l'approvazione del bilancio preventivo e per altri adempimenti improrogabili, in conformità a quanto previsto dall'articolo 6, comma 6, dello statuto, che prevede almeno due convocazioni nell'anno di tale organo (riunitosi in precedenza il 25 giugno 2008). Come evidenziato dall'ente, nei giorni 17-18 dicembre 2008 si sono tenute anche riunioni di lavoro informali degli organi del CONI (consiglio nazionale, giunta nazionale, presidenti regionali e provinciali) per la presenza a Roma dei componenti degli organi stessi, che ha reso opportuno concentrare i diversi impegni, al fine precipuo di realizzare un contenimento dei costi.
In ordine ai costi sostenuti per la cerimonia di consegna delle onorificenze, questi sono stati dall'ente illustrati in apposito prospetto riepilogativo, allegato alla nota di comunicazione degli elementi richiesti. Con riguardo alla mancata presentazione alla riunione del consiglio nazionale del 18 dicembre 2008 del rendiconto finanziario relativo alla partecipazione dell'Italia ai Giochi olimpici di Pechino dell'agosto 2008, il CONI ha ricordato che, ai sensi del decreto-legge n. 138 del 2002, convertito nella legge n. 178 del 2002, per l'espletamento dei suoi compiti si avvale della CONI Servizi Spa, la quale - sulla base del contratto di servizio annuale che intercorre tra loro - si è assunta i costi della partecipazione italiana ai Giochi. Il rendiconto di tali costi sarà, pertanto, puntualmente rilevabile in sede di approvazione del bilancio consuntivo del CONI e della CONI Servizi Spa. Una descrizione di tali costi è stata peraltro data nel prospetto «stima preconsuntivo 2008» inviato, nel quale sono altresì indicate specifiche voci di entrata, a parziale compensazione dei costi medesimi.

PRESIDENTE. L'onorevole Brigandì ha facoltà di replicare.

MATTEO BRIGANDÌ. Signor Presidente, mi spiace per il collega, onorevole sottosegretario, ma mentre prima - voglio dire - la mia insoddisfazione era dettata dal ruolo del Ministro della giustizia, che certamente non ha alcun potere nei confronti dell'ordine giudiziario, questa volta siamo di fronte ad un sottosegretario che di questo potere dispone.
Resto, allora, un po' perplesso perché ho rivolto delle domande specifiche a cui non è stata data una risposta. Ho chiesto se il CONI ha pagato settanta o ottanta alberghi nella notte tra il 16 e il 17 dicembre 2008. Mi è stato risposto che vi è stata una manifestazione per la consegna dei «collari d'oro» il 17 e il 18 dicembre, ma la mia domanda era riferita al giorno 16; sarebbe stato simpatico conoscere come sono andate le cose.
È proprio necessario invitare una pletora di gente così vasta in un momento come questo, in cui siamo davanti ad un baratro economico? Onorevole sottosegretario, lei è in grado di dirmi qui e adesso quanto ci è costata una medaglia d'oro? Qual è stato il suo costo economico? Forse no, anzi oserei dire che sono sicuro di no: se è in grado di dircelo ce lo dica ora.
È veramente pensabile che, se il CONI (che ricordo vuol dire Comitato olimpico nazionale) partecipa ad un evento ogni quattro anni, dobbiamo aspettare ancora un anno per leggerne il bilancio, rispetto al quale probabilmente, una volta venuti a conoscenza, avremo delle idee piuttosto vaghe dei singoli capitoli? Veramente oggi non siamo in grado di conoscere quanto ci è costato un'olimpiade perché solo l'anno Pag. 55prossimo redigeremo un bilancio? Onorevole sottosegretario, questo è il tipo di attività che facciamo. Se io vado da un medico specialista, so quanto ho pagato, tanto che la dichiarazione dei redditi e la deduzione la compilerò entro sei mesi. Avere adesso una risposta in termini economici reali sarebbe stato necessario. Per quale motivo, finita questa gestione, si indice una riunione sui preventivi senza spendere una parola sui soldi che sono stati impiegati? Io veramente ho un sospetto: credo che siano stati spesi dei soldi fuori misura, che ne siano stati spesi tanti e che forse rivelarli in pubblico oggi sarebbe stato disdicevole a causa di questioni elettive degli interna corporis del CONI; non leggo la situazione in altro modo.
Onorevole sottosegretario, nell'ambito sportivo, si è voluto separare la gestione economica da quella non economica, si partecipa alle manifestazioni con lo spirito olimpico, ma non si hanno dei risultati economici. Non stiamo parlando di alta alchimia politica, stiamo parlando di un ente composto da gente che volontariamente si occupa di sport, che è la cosa più sana che posso immaginare. Malgrado ciò, non conosciamo i bilanci economici. Lo sport deve essere come la moglie di Cesare: non è sufficiente che sia fedele a Cesare, ma deve apparire integerrima nei propri costumi a tutti i cittadini romani. Il CONI deve essere in questo modo: non è sufficiente che si comporti in maniera cristallina dal punto di vista economico, ma deve apparire a tutti gli italiani (in prima battuta al possessore del CONI, ovvero al Ministero dell'economia e delle finanze, poi al Parlamento a cui il Ministero dell'economie e delle finanze risponde, ed infine al popolo italiano che ciascun componente di questo Parlamento rappresenta) in maniera cristallina e rappresentare ciò che è successo. I Giochi olimpici sono terminati nell'agosto dello scorso anno, è passato quasi un anno e ancora non sappiamo - glielo chiedo adesso per sapere se è in grado di dircelo - quanto ci è costata una medaglia.

(Iniziative per l'eventuale promozione di un'azione disciplinare con riferimento a dichiarazioni del procuratore capo di Vicenza in merito a procedure di concordato fallimentare in corso - n. 2-00361)

PRESIDENTE. L'onorevole Brigandì ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00361, concernente iniziative per l'eventuale promozione di un'azione disciplinare con riferimento a dichiarazioni del procuratore capo di Vicenza in merito a procedure di concordato fallimentare in corso (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti).

MATTEO BRIGANDÌ. Signor Presidente, oggi ella non mi può accusare di non essermi guadagnato lo stipendio...

PRESIDENTE. Non mi permetterei mai, onorevole Brigandì.

MATTEO BRIGANDÌ. Io preferisco radunare le interpellanze tutte insieme, così uno fa meno fatica.
La terza interpellanza è abbastanza curiosa. Siamo alle solite. Si tratta, a mio parere, di mala giustizia, nel senso che - come al solito - chi supera il concorso in magistratura pensa di aver superato un concorso da onnipotente e diventa il Dio che atterra e suscita, che affanna e che consola. Ma la tragedia non è che resta il Dio che atterra e suscita, che affanna e che consola all'interno delle proprie attribuzioni, cioè non è che loro si limitano a decidere quello che vogliono nei processi a loro carico, a vedere reati dove non ci sono e di non vederli dove ci sono. Succede di peggio. Ormai noi abbiamo la «magistratura show», cioè tutto un insieme di soggetti che si rivolge - io credo ingiustamente, ma non ha importanza - ai media per poter pubblicizzare i risultati del proprio lavoro. Oggi se uno vuole fare carriera non deve - come era una volta - far parte della I sezione civile che, essendo la prima ed essendo civile, era quella più giuridica che vi fosse, ma deve fare il pubblico ministero, dove si irrogano le Pag. 56pene e il processo serve esclusivamente a vedere se le pene già scontate siano già scontate bene o male. Si tratta di questo, perché si andrà davanti ai giornali e magari nel frattempo qualcuno degli indagati si suiciderà, però con veemenza si sarà conosciuti dalla gente e alla fine magari si entra in politica, e magari si fa il Ministro dei lavori pubblici (absit iniura verbis).
Questo è il discorso, onorevole Presidente, signor sottosegretario. Dopodiché l'unica cosa che si sa fare è criticare il mondo, non produrre nulla, non scrivere sentenze, perché è totalmente inutile. Per i più grandi pubblici ministeri che abbiamo, si va alla prima udienza dei processi importanti e all'ultima, perché ci sono i giornalisti, e alle altre non si va; si promuovono azioni per qualsiasi motivo, salve le elusioni palesi che ci sono e che nessuno vede. Faccio un esempio tra tutti, a caso: la legge dispone che bisogna cambiare le carriere per evitare che un soggetto si «radicalizzi» all'interno del proprio mandato, quindi evidentemente dopo che tu hai fatto il procuratore della Repubblica, dopo un certo numeri di anni, cambiare mestiere; a Torino - tanto ormai mi hanno messo in galera e in Italia la pena di morte non c'è - il procuratore generale è diventato procuratore della Repubblica e il procuratore della Repubblica è diventato procuratore generale. Se un soggetto normale facesse una cosa così verrebbe sottoposto a processo penale per elusione della legge, se lo facesse un politico verrebbe arrestato. Invece è tutto normale. Siamo nella situazione in cui, tranquillamente, in barba alla legge e al suo spirito - è evidente - lo fanno.
Entrando nel merito della questione che ci interessa, onorevole Presidente, onorevole sottosegretario, a Vicenza c'è un procuratore della Repubblica che ha deciso «a modo suo» di prendere sul serio la legge fallimentare. Quindi che cosa fa?
Si inserisce all'interno delle questioni fallimentari in un modo pesante, che è dettagliato nell'interpellanza, ossia a gamba tesa, rallentando in sostanza un procedimento che dovrebbe essere più spedito. Ma ciò che è peggio, onorevole Presidente, illustre sottosegretario, è che quel magistrato dice alla gente ciò che fa. Ho riportato tutto l'insieme lunghissimo di articoli di giornale: dice che questa azienda è buona, che questa non è salvabile, quell'altra la salveremo e così via.
Vi sono dei casi - li ho riportati, onorevole sottosegretario, all'interno della mia interpellanza - dove addirittura dice «tanto non ce la faranno». Ma è mai possibile che, se c'è un'azienda che sta fallendo, che ha dei dipendenti, un avviamento, un percorso di lavoro che corrisponde a posti di lavoro, con soggetti che tirano fuori soldi dalle tasche per tenerla in vita, il procuratore della Repubblica di Vicenza dica: tanto non ce la fate? Se gli altri imprenditori non ce la fanno, o tirano fuori più soldi oppure il discorso viene chiuso in termini di tempi più lunghi, offrendo una maggiore occupazione.
Le chiedo, onorevole sottosegretario, da quando in qua un giudice che dovrebbe parlare con sentenze, ordinanze e decreti emette pareri che vanno sui giornali e che determinano implicazioni di carattere economico sulla società vicentina. Le sembra logico? A mio avviso questo episodio è da verificare.
Per favore, i giudici parlino con sentenze e ordinanze e prevediamo un meccanismo per il quale chi emette più sentenze è più bravo rispetto a chi ne emette di meno e chi emette più sentenze che vengono confermate è sicuramente più bravo rispetto a chi ne emette di meno. Dobbiamo smetterla di pensare che, al momento dei trasferimenti, che in «giuridichese» significa al momento delle promozioni, le valutazioni siano fatte in base a criteri che non si conoscono.
Abbiamo detto nella discussione che ci ha preceduto - l'ha detto la sua collega, già mia collega dal 1994, che stimo e ammiro - che uno dei problemi principali di questo Paese è che gli stranieri non compiono atti di carattere economico in Italia perché la giustizia civile non esiste. Questo è il problema.
Per quale motivo devo mandare materiale per 3 milioni di euro? Quando la Pag. 57controparte non mi paga, cosa faccio? Questo è il pensiero che nasce. Ho un amico che commercia in gomme per autovetture, ne compra a milioni e gliele mandano quando i soldi sono arrivati in America. Perché? Perché la giustizia non funziona e questo meccanismo viene poi pagato da tutti.
I giudici rientrino allora nell'ambito di un'assoluta indipendenza, perché non devono dipendere dai politici, non devono dipendere dalla gente (infatti, i giudici non devono avere amici, ma devono applicare la legge) e non devono dipendere dalle correnti interna corporis della magistratura. Così facendo, oggettivizzando un meccanismo e un percorso di carriera, si fa sì che questo non sia vincolato dalla posizione che i media assumono sui singoli giudici.
Lei si informi, onorevole sottosegretario: se conosce qualche magistrato anziano, le dirà che un tempo i posti di prestigio erano le sezioni civili, mentre oggi purtroppo sono quelli del pubblico ministero; quando il pubblico ministero fa le cose che ha fatto il procuratore della Repubblica di Vicenza, farebbe meglio a cambiare mestiere.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Rocco Crimi, ha facoltà di rispondere.

ROCCO CRIMI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, in risposta all'interpellanza urgente dell'onorevole Brigandì, si fa presente di aver tempestivamente richiesto i necessari elementi informativi alle competenti articolazioni ministeriali. Data la molteplicità dei fatti dedotti nell'atto di sindacato ispettivo e la gravità delle censure sollevate sull'operato dell'autorità giudiziaria vicentina in materia fallimentare, è stata prontamente avviata una capillare attività istruttoria, la cui complessità tuttavia mal si concilia con i tempi ristretti previsti per dare risposta alla presente interpellanza urgente.
L'attenzione dimostrata dalla stampa per le vicende segnalate, ma soprattutto la delicatezza delle questioni evidenziate, che a detta degli onorevoli interpellanti sarebbero state propalate dal procuratore capo di Vicenza in maniera anomala e fuorviante, rendono indispensabile un maggiore e ponderato approfondimento. In tale ottica, il Ministro della giustizia, in data 21 aprile 2004, ha disposto, per il tramite dell'ispettorato generale, accertamenti preliminari diretti a verificare la sussistenza di possibili condotte disciplinarmente rilevanti. Soltanto all'esito di detti accertamenti potrà essere vagliata ogni ulteriore iniziativa di competenza ministeriale.

PRESIDENTE. L'onorevole Brigandì ha facoltà di replicare.

MATTEO BRIGANDÌ. Mi ritengo perfettamente soddisfatto, grazie.

(Iniziative conseguenti alla recente sentenza della Corte di cassazione relativa al riconoscimento della cittadinanza italiana anche ai figli nati da donne italiane coniugate con cittadini stranieri prima dell'entrata in vigore della Costituzione - n. 2-00333)

PRESIDENTE. L'onorevole Bucchino ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00333, concernente iniziative conseguenti alla recente sentenza della Corte di cassazione relativa al riconoscimento della cittadinanza italiana anche ai figli nati da donne italiane coniugate con cittadini stranieri prima dell'entrata in vigore della Costituzione (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti).

GINO BUCCHINO. Signor Presidente, signor sottosegretario, il 26 febbraio di quest'anno la Corte di cassazione ha riconosciuto alle donne italiane coniugate con cittadini stranieri prima dell'entrata in vigore della nostra Carta costituzionale il diritto di trasmettere la cittadinanza ai propri discendenti.
La sentenza rappresenta un evento di grandissimo rilievo sia in termini di principio Pag. 58sia per le conseguenze di ordine pratico che comporta. Per questo i colleghi di diverso schieramento che hanno sottoscritto l'interpellanza urgente in esame, oltre a sollecitare il Governo a preparare le condizioni per la concreta applicabilità della sentenza, hanno inteso richiamare l'attenzione di tutti i parlamentari sul valore del pronunciamento. Esso infatti fa cadere l'ultimo diaframma opposto al riconoscimento della donna italiana come un soggetto di pieno diritto, anche quando le vicissitudini della vita l'hanno portata a realizzare la sua esistenza al di fuori dei confini nazionali.
Forse tra noi solo pochi sanno che la facoltà di trasmettere la cittadinanza ai propri figli o discendenti nel nostro ordinamento è stata riconosciuta alle donne che l'avessero perduta, come la legge del 1912 disponeva, per il solo fatto di aver sposato un cittadino straniero, solo a partire dall'entrata in vigore della Costituzione repubblicana. Questa situazione non solo ha costituito per oltre sessant'anni una lesione profonda del principio di parità fra i cittadini, ma ha anche prodotto l'aberrante conseguenza che, in un numero non limitato di casi nella stessa famiglia, i figli di una stessa madre sono l'uno cittadino italiano se nato dopo il primo gennaio 1948, l'altro straniero se nato prima di quella data.
Purtroppo, la memoria di questa esperienza storica tende ad essere rimossa o addirittura travolta dalla cieca reazione contro le conseguenze delle attuali migrazioni a livello planetario, in particolare contro il crescente ingresso di stranieri a casa nostra. Nella migliore delle ipotesi, si guarda ancora a queste vicende sulla base di vecchi stereotipi, che portano a vedere nell'emigrato e nel suo discendente i custodi di modelli di vita anacronistici e marginali, ignorando il fatto che ormai siamo di fronte a persone profondamente integrate, che concorrono incisivamente alle dinamiche dei Paesi di residenza.
In questo modo, soprattutto, si trascurano le potenzialità di relazione e di irradiazione internazionale che all'Italia si offrono, per la presenza in tanti crocevia del mondo di alcuni milioni di cittadini italiani e di comunità d'origine articolate e riconosciute. Non vi è dubbio che la cittadinanza non possa essere l'unica chiave nei rapporti con queste realtà e forse nemmeno quella prevalente, ma sarebbe banale pensare che essa non sia più un elemento di radicamento della nostra diaspora nei confronti del Paese di origine.
Per questo, la sentenza della Corte di cassazione, oltre ad affermare finalmente con pienezza un principio di parità, rafforza la prospettiva di un più ampio e diretto riferimento alla platea degli italiani all'estero, in un momento in cui la crisi mondiale sembra spingere in senso opposto, cioè a rinchiudersi nel proprio orticello, mentre sarebbe il caso di cercare, in un orizzonte più ampio, tutte le opportunità di proiezione internazionale che siano praticabili.
All'esito dell'atto della suprema Corte si è giunti non all'improvviso, ma a seguito di un complesso e articolato cammino che si è snodato in diverse tappe. La legge del 1912 cancellava la cittadinanza alle donne che avessero sposato cittadini stranieri - caso peraltro diffusissimo in una popolazione di storica emigrazione come quella italiana - norma palesemente incostituzionale dopo l'entrata in vigore della Carta, perché fortemente discriminatoria e contrastante con il principio della parità dei sessi e dell'uguaglianza giuridica e morale dei coniugi.
La Corte costituzionale, in una duplice occasione - con le sentenze n. 87 del 1975 e n. 30 del 1983 - è ritornata su di essa affermandone, senza equivoci, l'incostituzionalità.
Il recente pronunciamento della Cassazione ha finalmente e definitivamente consentito di togliere di mezzo gli effetti lesivi di una legge ingiusta, riconoscendo che la cittadinanza è uno status permanente e imprescrittibile, affermando che, a decorrere dal 1o gennaio 1948, la cittadinanza deve ritenersi automaticamente recuperata per coloro che l'hanno perduta o non l'hanno riacquistata.
Gli aspetti giuridici ci sembrano, dunque, chiari. Per questo ci auguriamo che il Pag. 59Ministero dell'interno, che ha avuto parte attiva nel pronunciamento negativo in occasione dei primi due gradi di giudizio, questa volta prenda atto con linearità e immediatezza della situazione, impegnandosi a trasferire sul piano amministrativo quello che, ormai, è sancito sul piano giurisdizionale.
Se posso essere più esplicito, mi attendo - e con me i cofirmatari di questa interpellanza urgente - che il Governo non dia la sensazione di subire la soluzione configurata dalla sentenza della Cassazione, ma si dimostri capace di gestire in termini operativi una grande conquista di principio, consentendo di sanare ferite del passato che spesso hanno creato insopportabili contraddizioni all'interno di una stessa famiglia e di affrontare positivamente le situazioni che nasceranno su un terreno sempre delicato come quello della richiesta di cittadinanza.
Mi permetto di fare questo richiamo perché i segnali che sono venuti da qualche esponente della maggioranza sono equivoci, se non inquietanti.
L'onorevole Zacchera, ad esempio, che pure ha la delicata responsabilità di presiedere il Comitato della Camera per gli italiani nel mondo, forse avrebbe fatto bene, anche in ragione del suo ruolo particolare, ad usare maggior controllo e prudenza quando si è lasciato andare ad una dichiarazione - se sono vere le parole diffuse da una agenzia di informazione specializzata - nella quale giudica la sentenza della Cassazione come il preannuncio di una specie di tsunami che si abbatterebbe sulle nostre esangui strutture consolari.
Vorrei ricordare a tutti, peraltro, che la Cassazione, nelle motivazioni della sentenza, ha già messo le mani avanti, rispondendo anticipatamente a questo tipo di obiezione con queste testuali parole: «di certo non può costituire criterio ermeneutico in senso opposto degli effetti delle sentenze di incostituzionalità delle leggi la diffidenza della prassi amministrativa verso un'eccessiva espansione della retroattività che potrebbe dar luogo ad una moltiplicazione di richieste di cittadinanza dai discendenti dei cittadini italiani emigrati in altri Stati».
Non vi è dubbio, infatti che la sentenza può attivare un numero di richieste imprecisato, forse importante, anche se è mia convinzione che l'onda più alta delle domande, soprattutto in America latina, sospinta spesso da ragioni che poco hanno a che fare con la questione della cittadinanza in senso stretto, si sia già abbattuta sui nostri consolati. Le pratiche già giacenti da anni, in particolare in America latina, si aggirano intorno al milione e questo a prescindere dal recente pronunciamento della Cassazione.
Per rispondere ad una situazione che stava producendo situazioni drammatiche, il precedente Governo ha impegnato somme importanti per affrontare la questione delle giacenze e per costituire apposite task force che sono già entrate in funzione con risultati apprezzabili, anche se non risolutivi.
La cosa più sensata da fare, a noi sembra, è che il Ministero dell'interno, dopo aver al più presto emanato le disposizioni che traducono in termini amministrativi il contenuto della sentenza della Corte di cassazione, prenda immediatamente contatto con il Ministero degli affari esteri per individuare le azioni di rafforzamento strutturale ed operativo dei consolati, in modo che possano assolvere sufficientemente a questo e agli altri compiti istituzionali.
Per arrivare a tale risultato - è inutile girarci intorno - è necessario individuare risorse aggiuntive, sia pure in dimensioni molto ragionevoli, che possano consentire di invertire la tendenza allo svuotamento dei consolati.
Anche per questa strada, insomma, si ripresenta il problema del recupero di risorse volte a reintegrare gli interventi per le nostre comunità all'estero, prima che un sistema di relazioni consolidate e potenziali sia frantumato da scelte poco lucide e poco selettive, sostanzialmente punitive rispetto alle attese degli italiani all'estero e autolesionistiche rispetto agli stessi interessi dell'Italia in questo momento di crisi. Pag. 60
La questione della cittadinanza, in realtà, sta diventando la cartina di tornasole di molte delle contraddizioni e talvolta delle lacerazioni che si legano alla grande e attuale vicenda dell'emigrazione e, pur non potendo affrontare, in questa circostanza, in modo esaustivo, i complessi profili del tema della cittadinanza, non vorrei esimermi dal richiamare almeno gli aspetti che fanno più diretto riferimento al nostro lavoro parlamentare.
Il nostro sistema di cittadinanza, come è noto, è basato sul principio dello ius sanguinis, diversamente da quello di altre importanti democrazie, anche europee, fondate invece sullo ius soli. Esso è messo ormai quotidianamente alla prova dell'arrivo, nel nostro Paese, di stranieri che scelgono l'Italia come società di insediamento e come contesto di lavoro e di integrazione. Nello stesso tempo, la profondità della prospettiva storica dell'emigrazione degli italiani nel mondo, ci pone di fronte ad una sedimentazione di generazioni che, pur offrendo molte suggestioni sul piano storico e culturale, non può continuare a scaricarsi meccanicamente sulla dimensione della cittadinanza. Nessun Paese al mondo può pensare di sostenere un processo così lungo e complesso né tantomeno di poterlo governare, sia pure in un'ottica di ampio riconoscimento di diritti, senza inquadrarlo in regole e ambiti precisi.
Anche fermandosi ad una riflessione di semplice buonsenso, si evidenziano due esigenze alle quali ormai non è più possibile sfuggire: la prima è quella di ricercare un equilibrio tra l'impostazione ispirata allo ius sanguinis e quella sorretta dal principio dello ius soli, temperando le interpretazioni ideologiche più estreme e cercando forme di sperimentazione e di integrazione delle due dimensioni che consentano di corrispondere al retroterra di esperienza e di vissuto in cui ciascuna di queste sensibilità prende forma e si alimenta; la seconda - e mi avvio alla conclusione, signor Presidente - è quella di ricercare, con senso di responsabilità, regole che consentano di affrontare il problema del riconoscimento della cittadinanza per le persone di origine italiana, in modo realistico e vero, sapendo di non poter saltare un passaggio obbligato come quello di un rapporto convincente con la società italiana di oggi.
In sostanza, dunque, le questioni nodali intrecciate all'emigrazione potranno trovare risposte e una qualche efficacia e organicità, solo se affrontate in un'ottica riformatrice che abbracci i due fondamentali versanti in cui essa si sviluppa.
Non si tratta solo di volenterose intenzioni e di generici auspici: nella scorsa legislatura - diversi colleghi lo ricorderanno - su queste tematiche, proprio alla Camera, era stato intrapreso un proficuo lavoro che aveva raggiunto un buon grado di maturazione. Sulla proposta del Governo volta a stabilire regole più chiare e moderne per la concessione della cittadinanza agli stranieri che vivono in Italia, a partire da quelli che vi sono nati, si era innestata la vivace iniziativa di un certo numero di parlamentari, diretta a superare limiti e contraddizioni della normativa inerente la cittadinanza degli italiani all'estero.
In quella occasione si era pensato di affrontare anche le questioni di parità tra uomo e donna che oggi la sentenza della Cassazione ha risolto. Si era manifestato un trasversale orientamento per consentire il recupero della cittadinanza a chi, nato in Italia, l'aveva perduta per necessità di lavoro e si era arrivati anche ad ipotizzare il riconoscimento entro un limite definito di generazioni, non per negare il diritto a qualcuno ma per sottolineare l'esigenza di un legame ancora vivo e presente con il Paese di origine.
Come si vede, in forza di un atteggiamento di comune responsabilità e dialogo, si incominciavano a intravedere soluzioni concrete ed equilibrate, capaci di collocare la questione della cittadinanza oltre i confini della continua emergenza in cui essa, da anni, è racchiusa.
In questa legislatura alcune di quelle proposte sono state ripresentate ad opera di parlamentari di diversi gruppi e orientamento politico. Esse attendono di essere calendarizzate e discusse. Pag. 61
La sollecitazione che questa interpellanza ha voluto rivolgere al Governo, ma anche a tutti noi, è anche questa, anzi è soprattutto questa: se almeno intorno a questo impegno si riuscirà ricreare il clima di responsabilità e dialogo che non molti mesi fa si è avuto modo di verificare, forse si potrà trovare una risposta di reale riforma e innovazione a richieste tanto sentite e diffuse.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'interno, Nitto Francesco Palma, ha facoltà di rispondere.

NITTO FRANCESCO PALMA, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, onorevoli deputati, la questione sollevata dagli interpellanti trae origine, come è noto, da una innovativa e recente sentenza della Corte suprema di cassazione in materia di cittadinanza.
La Corte suprema di cassazione, con pronuncia n. 4466 del 25 febbraio 2009, ha affermato che, per effetto delle sentenze della Corte costituzionale n. 87 del 1975 e n. 30 del 1983, deve essere riconosciuto lo status di cittadino italiano anche ai figli di donne che hanno perso la cittadinanza, secondo la normativa all'epoca vigente (legge 13 giugno 1912, n. 555), in conseguenza del matrimonio con cittadini stranieri, prima del 1o gennaio 1948.
La Corte di cassazione, con tale decisione, ha riconosciuto efficacia retroattiva ai principi dettati dalla giurisprudenza costituzionale.
In particolare, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 87, aveva dichiarato l'illegittimità dell'articolo 10, terzo comma, della citata legge del 1912, nella parte in cui prevedeva, per la donna italiana, la perdita della cittadinanza, indipendentemente dalla sua volontà, a seguito di matrimonio con uno straniero.
Successivamente, con la sentenza n. 30, la stessa Corte costituzionale aveva dichiarato l'illegittimità dell'articolo 1 della stessa legge del 1912, nella parte in cui non prevedeva l'acquisto della cittadinanza italiana da parte del figlio di madre cittadina.
Come ho richiamato in apertura, la Corte di cassazione relativamente agli effetti di tali sentenze, aveva affermato che l'illegittimità costituzionale di norme precedenti l'entrata in vigore della Costituzione non poteva avere effetti anteriormente al 1o gennaio 1948. Di conseguenza, la piena applicazione del principio di parità tra uomo e donna, per quanto riguarda la trasmissibilità della cittadinanza italiana ai figli da parte materna, aveva trovato attuazione solo a decorrere dall'entrata in vigore della Costituzione.
Con la sentenza del febbraio 2009, la Corte di cassazione ha dato compiuta attuazione ai principi contenuti nella Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York il 18 dicembre 1979, secondo cui alle donne spettano «diritti uguali a quelli degli uomini in materia di acquisto, mutamento e conservazione della cittadinanza».
Per la donna che, per effetto del matrimonio con uno straniero aveva perso la cittadinanza italiana, la sentenza individua un percorso giudiziale per un pieno e completo riconoscimento anche nei confronti dei figli e dei discendenti.
Le sezioni unite hanno precisato che in sede giudiziale il riconoscimento della cittadinanza non incontra vincoli particolari: è sufficiente dimostrare di essere nato da cittadina italiana che abbia perso la cittadinanza per effetto dell'articolo 10 della legge n. 555 del 1912 e che il Ministero non eccepisca e documenti l'esistenza di una rinuncia alla cittadinanza.
Le formalità previste dal legislatore (tra cui la dichiarazione finalizzata al riacquisto della cittadinanza, prevista dall'articolo 219 della legge n. 151 del 1975) non sarebbero necessarie per il riconoscimento giurisdizionale.
Al contrario, secondo la suprema Corte, la richiesta in via amministrativa incontra i vincoli procedimentali che, a legislazione vigente, sono rappresentati in primis dalla necessità della dichiarazione della donna (ascendente) ai sensi dell'articolo 219 citato. Pag. 62
La Corte, in tal modo, ha stabilito il seguente principio di diritto: «La titolarità della cittadinanza va riconosciuta in sede giudiziaria indipendentemente dalla dichiarazione resa dall'interessata ai sensi della legge n. 151 del 1975, articolo 219, alla donna che l'ha perduta per essere coniugata con un cittadino straniero anteriormente al 1o gennaio 1948 (...) ».
Per esaminare con maggiore compiutezza alcuni passaggi della sentenza il Ministero dell'interno e il Ministero degli affari esteri stanno collaborando anche per valutare ed individuare le soluzioni più adeguate per l'attuazione della pronuncia. Ciò anche in considerazione dell'impatto complessivo della sentenza indipendentemente dalla via scelta, giudiziale o amministrativa, su tutti gli uffici, non solo quelli consolari, ma anche quelli di stato civile dei comuni, le prefetture e gli uffici ministeriali.
La decisione, lo ribadisco, seppure presenti aspetti di rilevante complessità, costituisce in ogni caso un nuovo e importante traguardo per l'individuazione di un percorso che porti alla soluzione di situazioni di difformità di status per i figli della stessa madre.
In ogni caso, il Governo ribadisce la propria attenzione al problema, anche in occasione dell'esame congiunto delle proposte di legge in materia di cittadinanza da parte della I Commissione della Camera, i cui lavori sono iniziati il 16 dicembre 2008.

PRESIDENTE. L'onorevole Fedi, cofirmatario dell'interpellanza, ha facoltà di replicare.

MARCO FEDI. Signor Presidente, sottosegretario, la ringrazio per la sua risposta che contiene degli elementi di analisi e valutazione che erano presenti anche nell'illustrazione della nostra stessa interpellanza urgente.
Non possiamo dichiararci soddisfatti perché dai contenuti della sua risposta desumiamo che, ancora una volta, viene allontanata nel tempo la soluzione di un problema che, prima di arrivare nelle aule dei tribunali e quasi di costringere la politica a prendere atto di una palese discriminazione nei confronti delle donne che ancora oggi si perpetua (anche nei confronti dei figli e dei discendenti), avrebbe potuto essere individuata, come lei stesso ha citato, in una riforma organica di tutta la materia riguardante la cittadinanza.
Tuttavia, siamo moderatamente soddisfatti per l'impegno che lei ha assunto di accelerare, in sede di intesa tra Ministero degli interni e Ministero degli affari esteri, la soluzione a questo tema.
Sulla riforma le cose non sono andate così nella trascorsa legislatura come è stato ricordato. E ci impegneremo e dovremo impegnarci tutti per fare in modo che nella I Commissione (Affari costituzionali) la riforma della cittadinanza riprenda a camminare.
La sua risposta conferma la distanza su alcuni temi con il modo di sentire di questo Governo, quando parliamo di diritti di cittadinanza, di italiani all'estero, di lotta ad ogni forma di discriminazione e delle ragioni, oggi confermate anche dal diritto, dei più deboli, delle donne che ancora oggi aspirano ad una parità piena riconosciuta in tutte le sedi. Il sentire di questo Governo su alcune questioni allontana le certezze in materia di cittadinanza e allontana anche le riforme.
Credo che, a livello di maggioranza, un confronto su questi temi sia necessario perché in Commissione affari costituzionali il percorso sulle riforme non è così semplice come a volte il Governo vorrebbe far credere.
Nella trascorsa legislatura avevamo lavorato insieme (maggioranza e opposizione) verso questo obbiettivo con senso di responsabilità, convinti che la questione cittadinanza meritasse attenzione e dovesse essere posta tra le priorità di legislatura.
Oggi non è più così. Vorrei ricordarlo perché è utile farlo in un momento in cui in Commissione affari costituzionali si discutono proposte che vanno nella direzione di un definitivo superamento della discriminazione nei confronti delle donne Pag. 63italiane coniugate con cittadini stranieri che, come è stato ricordato dal collega Bucchino, prima dell'entrata in vigore della Costituzione, non hanno potuto trasmettere la cittadinanza ai figli e quindi ai propri discendenti.
In quelle proposte, sottosegretario, si cela un altro importante aspetto: non vi è, quindi, unicamente - glielo diciamo visto che lei è qui - il superamento di questi aspetti discriminanti, ma anche il riconoscimento del valore storico dell'emigrazione italiana nel mondo, delle opportunità che apre ancora oggi, come ad esempio il consentire il riacquisto a coloro che, per ragioni contingenti di allora e al di sopra della loro volontà, si trovarono a non essere più cittadini italiani e successivamente, dopo l'entrata in vigore della legge n. 91 del 1992 non poterono, per mancanza di tempo, utilizzare la norma transitoria per il riacquisto.
Tra quelle proposte quindi, signor sottosegretario, si cela un valore aggiunto per il nostro Paese: riconoscere una italianità modernamente ancorata alla richiesta di cittadinanza ed ai diritti e doveri di cittadinanza che ne derivano sia con il riconoscimento che con il riacquisto.
Riconoscere analoga aspirazione a una italianità solo vissuta nel quotidiano, ma fatta anche di cittadinanza (di diritti e di doveri) per gli immigrati che in questo Paese vivono e lavorano regolarmente rispettando le leggi della Repubblica.
Quale migliore spot pubblicitario, contro ogni forma di razzismo e xenofobia, del riconoscere che esiste una legittima aspirazione di chi emigra e di chi arriva in questo Paese a vivere l'esperienza dell'integrazione anche attraverso la cittadinanza e del favorire, anziché ostacolare, questi processi?
Riteniamo soddisfacente, in conclusione, il suo impegno per arrivare ad una applicazione in tempi brevi della sentenza; meno soddisfacente - lo diciamo con chiarezza - è l'impegno politico del Governo rispetto alla riforma della legge 5 febbraio 1992, n. 91, nella direzione dello ius soli, venendo meno alla necessità di una moderna concezione della cittadinanza legata ad un periodo di residenza ragionevole alla cittadinanza per chi nasce in Italia da genitori regolarmente residenti in questo Paese.
Si tratta di materia parlamentare, è vero, alla maggioranza chiediamo attenzione a questo tema affinché vi sia la calendarizzazione e la discussione su tale riforma con l'impegno, però, del Governo in questa importante e urgente riforma.

(Misure per garantire l'ordine pubblico e la sicurezza nella città di Catanzaro, con particolare riferimento alla piena operatività del programma operativo nazionale sicurezza - n. 2-00347)

PRESIDENTE. L'onorevole Tassone ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00347, concernente misure per garantire l'ordine pubblico e la sicurezza nella città di Catanzaro, con particolare riferimento alla piena operatività del programma operativo nazionale sicurezza (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti).

MARIO TASSONE. Signor Presidente, tenterò di commentare l'interpellanza, che alcuni colleghi del mio gruppo ed io abbiamo presentato, che fa riferimento, come ricorda il titolo, ad una situazione veramente complicata e preoccupante che si sta determinando nella città di Catanzaro.
Signor Presidente, Catanzaro era ritenuta un'oasi nella regione calabrese, una realtà relativamente tranquilla, lontana, o comunque se non in termini generali, lambita da alcuni fenomeni di criminalità organizzata, dunque una città quasi unica nella realtà di quella regione. Oggi ci troviamo a dover registrare una situazione di grande pericolosità per le vicende che l'hanno interessata e la stanno interessando, ma che credo che non sono di oggi, si stanno trascinando da qualche tempo e hanno avuto epiloghi drammatici, come l'uccisione del giovane Massimiliano Citriniti e quella della signora Antonia Critelli, madre del presidente della Confcommercio di Catanzaro, appartenente ad una Pag. 64famiglia molto conosciuta. Certamente questi due delitti hanno lasciato il segno ed hanno ovviamente determinato delle ripercussioni di sbandamento sul piano della preoccupazione in quella città.
Il consiglio comunale di Catanzaro si è interessato alle vicende, ha assunto delle posizioni, ha fatto riferimento soprattutto al PON lamentando come il prefetto di Catanzaro non abbia dato corso al finanziamento del PON sicurezza finalizzato ad una sperimentazione di interventi per quanto riguarda la devianza, l'integrazione sociale, la garanzia della sicurezza e della legalità nei quartieri a rischio delle zone sud della città. Si è preferito, invece, agire sulle scuole: senza dubbio è importante questa cultura della legalità, la formazione e l'educazione alla legalità, ma fino ad oggi tali interventi non hanno dato grandi risultati se svolti in modi non coordinati e non armonizzati.
Signor Presidente, quando parliamo del sud della città di Catanzaro facciamo riferimento a delle situazioni che non sono più sopportabili: c'è un circuito di droga quasi alla luce del sole, un racket fiorente e il fenomeno dell'estorsione attecchisce sempre di più nel territorio della città di Catanzaro.
Certamente vi è l'abnegazione delle forze dell'ordine ai cui uomini debbo dare atto. Tuttavia, devo dire con estrema tranquillità, signor Presidente e sottosegretario per l'interno, che all'impegno e soprattutto alla volontà delle forze dell'ordine non corrisponde un coordinamento, una direzione e una strategia da parte di chi ha la responsabilità della guida e della pubblica sicurezza all'interno di quella città e di quella provincia. Non vi è dubbio che ci sono problemi da affrontare e da risolvere.
Nelle Commissioni stiamo discutendo e discuteremo di nuovo anche in Aula i provvedimenti che riguardano la sicurezza, ma non si tratta semplicemente di aggravare le pene o le sanzioni. Ciò, infatti, ci può tranquillizzare al momento, in quanto abbiamo moltiplicato le sanzioni. Il problema è dell'effettività della pena, della prevenzione e dell'efficacia dell'intervento e del controllo del territorio. Parliamo, ad esempio, del commissariato di Catanzaro Lido o di altri commissariati che certamente nel momento in cui nascevano hanno costituito un fatto importante e una grande attesa. Tuttavia, in quelle realtà vi è una situazione incredibile perché sono sotto organico, sono insufficienti, non hanno mezzi e strumenti.
Dobbiamo dire ciò non perché la responsabilità è di questo Governo, in quanto non ho mai avuto la miopia di considerare le responsabilità legate ad un tempo e ad una maggioranza e quant'altro. Ma certamente è una situazione oggettiva che non può essere disconosciuta. Allora, credo che questi aspetti e questi dati devono essere compresi e capiti soprattutto nel quadro complessivo della regione calabrese, in quanto il problema non è della provincia o della città capoluogo di regione. Non ho inserito nell'interpellanza le notizie che si hanno continuamente, ma vi è ormai una presenza che sfrutta certe manovalanze di immigrati, ma anche quelle dei rom presenti nella città di Catanzaro. Vi è, infatti, l'intromissione delle organizzazioni criminali della vicina provincia di Crotone e della vicina provincia di Vibo Valentia.
Allora il dato del contrasto è importate e fondamentale. Il PON a cui facevo riferimento riguarda un aspetto di carattere sociale, importante per cogliere un fenomeno, ma aver rinunciato e rifiutato questo tipo di progetto fa capire quali sono le insufficienze da parte di chi ha la responsabilità di cogliere questo passaggio, a mio avviso, delicato e importante. Non lo potevo inserire nell'interpellanza, perché risale a qualche giorno fa, ma nei giorni scorsi nel comune di Girifalco è stata incendiata la macchina privata del comandante della compagnia dei carabinieri parcheggiata vicino alla caserma. I carabinieri sono stimati e stimo anche chi li guida a livello regionale e provinciale. I carabinieri sono presenti per come possono. Il fatto che è stata incendiata la macchina all'ufficiale comandante della compagnia significa certamente che c'è una situazione di insopportabilità e rappresenta un affronto verso le forze all'ordine. Dopo la vicenda Pag. 65della macchina non vi è stata una grande mobilitazione, eppure il consiglio comunale di Catanzaro si è attivato, così come il nostro capogruppo al consiglio comunale, Renda, si sono attivate anche altre forze politiche nonché il sindaco. Tutte le forze politiche si sono attivate, ma manca una corrispondenza.
Perché, signor Presidente, si presenta l'interpellanza? Per avere una risposta. Non perché la risposta del sottosegretario Nitto Palma, che sa quanto io lo stimi e apprezzi, veramente senza nessun infingimento, possa essere esaustiva, ma perché vorremmo capire se c'è un interlocutore e se ci sono delle volontà.
C'è un malessere - lo dico con estrema chiarezza - nella questura di Catanzaro, dove ci sono stati documenti dei sindacati, signor sottosegretario, che sono gravissimi, di accuse nei confronti del questore. Io le lascerò questi documenti, ma lei certamente avrà gli strumenti per acquisirli. Lo sto dicendo formalmente e ufficialmente nell'Aula di Montecitorio: è una situazione intollerabile, perché le scelte del Governo riguardanti i responsabili delle forze dell'ordine, in particolare i responsabili della questura di Catanzaro, sono stata errate. Io attribuisco una responsabilità al Governo (il sottosegretario ovviamente non ha una diretta responsabilità in questo), perché c'è stata una miopia, in quanto bastava considerare le vicende del passato, del pregresso, di questi elementi, che avrebbero consigliato che una città come Catanzaro non meritava questo insulto e questo affronto, che certamente mortifica le coscienze di tutti.
Signor Presidente, come dicevo poc'anzi, il problema dell'ordine pubblico non è una questione da risolvere qui, nel nostro dibattito e nel nostro confronto, soprattutto quando c'è un'inattività, un'inadeguatezza ed una responsabilità. Con chi ce la prendiamo? Sappiamo che esiste la mafia, che ci sono gli strumenti e che devono esserci gli strumenti per il contrasto alla criminalità, però, se non ci sono gli strumenti o gli operatori non funzionano, oppure ci sono le volontà degli uomini, ma mancano di una guida e di una strategia complessiva, ritengo che questo attenga direttamente alla responsabilità di questo Governo.
Il Parlamento oggi è chiamato, attraverso un atto di sindacato ispettivo, a dare un proprio contributo e soprattutto una propria sollecitazione. Se anche questa sollecitazione dovesse cadere, ognuno, signor Presidente, si assuma le proprie responsabilità, per quello che potrebbe succedere, per i morti ammazzati che potrebbero venir fuori e soprattutto perché c'è la droga davanti alle scuole, che non c'era mai stata prima con questa intensità e con questa forza di penetrazione. Lo ripeto ancora una volta: ci sono zone della città di Catanzaro letteralmente sequestrate e appannaggio della criminalità organizzata.
Mi auguro che il sottosegretario Palma opererà non soltanto attraverso la risposta di oggi, visto e considerato che è anche stato eletto in Calabria. Conosco - lo ripeto senza nessun tipo di infingimento - la sua sensibilità. Bisogna mandare subito gli ispettori per verificare se tutto è coordinato. Non bisogna dire che non ci sono responsabili, perché tutto va bene e tutti fanno il proprio dovere. Allora, di chi è la responsabilità? Vogliamo capire poi se ci sono gli strumenti, perché se le forze dell'ordine fanno il loro dovere (e lo fanno certamente), se chi le guida fa il proprio dovere (io ho i miei dubbi e li ho espressi ufficialmente), se ci sono pure le leggi, allora di chi è la responsabilità? Vuol dire che uno Stato si arrende, perché se tutto va bene, se ognuno di noi ha fatto quello che doveva e che poteva fare, allora vuol dire che non ci sono più gli strumenti per frenare questa occupazione del territorio di una città come Catanzaro, che era una città - lo ripeto ancora una volta e concludo la mia illustrazione - esente da alcuni fenomeni e da alcune vicende, che oggi la stanno mortificando e piegando nel suo decoro e nella sua dignità.

PRESIDENTE. Onorevole Tassone, la sua accusa è appassionata ed esplicita. Speriamo di poter essere rassicurati dal sottosegretario. Pag. 66
Il sottosegretario di Stato per l'interno, Nitto Francesco Palma, ha facoltà di rispondere.

NITTO FRANCESCO PALMA, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, onorevoli colleghi, come è noto, il programma operativo nazionale PON sicurezza prevede la realizzazione di mirati interventi in ambito locale, cofinanziati al 50 per cento della spesa dall'Unione europea.
L'approvazione di tali progetti deve seguire le rigorose procedure del Sistema di Gestione e Controllo del PON Sicurezza 2007-2013, che prevedono, in particolare, un primo parere del prefetto competente per territorio - nella fattispecie quello di Catanzaro - sulla corrispondenza della proposta progettuale alle esigenze di sicurezza e legalità dell'intera provincia.
Successivamente, il progetto viene trasmesso al prefetto coordinatore del capoluogo di regione - nella fattispecie quello di Reggio Calabria - ai fini dell'esame della coerenza dello stesso rispetto al più ampio contesto regionale. In questa fase, viene anche formulato un parere a cura dell'apposito Tavolo consultivo territoriale, cui partecipano i prefetti delle altre province, i rappresentanti della regione e delle parti economico-sociali interessate. Solo ultimate tali fasi in ambito locale, l'iniziativa potrà essere sottoposta al vaglio dell'Autorità di Gestione del PON, che ne valuterà l'ammissibilità e provvederà all'approvazione nell'ambito dell'apposito Comitato di valutazione.
Nel caso di specie, il comune di Catanzaro, in data 3 dicembre 2007, ha proposto un progetto relativo ai quartieri interessati da particolari condizioni di degrado socio-ambientale, corrispondenti a quelli della zona sud della città, per ottenere un finanziamento di 700 mila euro a valere sui fondi PON, che è stato inoltrato, il successivo 11 dicembre 2007, al prefetto di Reggio Calabria nella sua qualità di prefetto coordinatore. Successivamente, l'amministrazione comunale ha rielaborato il progetto, sulla scorta delle nuove linee guida, nell'ambito dell'Asse 2 - Diffusione della cultura della legalità - Obiettivo Operativo 8 - Recupero aree urbane - Programmazione 2007/2013, per un costo complessivo di 1.980.000 euro. In considerazione dei numerosi reati che vengono commessi nei quartieri in argomento, la locale prefettura, nell'inoltrare la proposta al prefetto coordinatore, ha espresso parere favorevole sul merito della stessa, attribuendo all'iniziativa una priorità elevata.
Successivamente, la prefettura di Reggio Calabria, nell'esaminare l'elaborato, consistente non solo nella ristrutturazione di un immobile di proprietà comunale al fine di realizzarvi un centro di aggregazione sociale e giovanile, ma anche nello svolgimento di altre attività immateriali, ha formulato delle osservazioni sul medesimo, poiché proprio tali ultime attività non possono essere sovvenzionate nell'ambito del suddetto Obiettivo Operativo 8, che riguarda esclusivamente gli interventi di recupero di aree urbane.
Va sottolineato, peraltro, che il progetto in argomento, unitamente ad altri analoghi, verrà sottoposto ad un nuovo esame in una riunione, già prevista per i primi giorni della prossima settimana, alla quale parteciperà direttamente l'Autorità di Gestione del PON. In tale occasione, potranno essere valutate le modifiche che il comune di Catanzaro, proprio al fine di rimuovere gli elementi ostativi all'approvazione, ha preannunciato di aver apportato.
Quanto alle situazioni di degrado e disagio sociale avvertite in diverse zone della città di Catanzaro, comunico che si sono susseguite numerose riunioni del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, alla presenza, fra gli altri, del sindaco di Catanzaro e del rappresentante dell'amministrazione provinciale. Nel corso degli incontri si è preso atto delle varie iniziative per il recupero del degrado nelle zone a rischio avviate dal comune di Catanzaro, ma è stata anche sottolineata l'esigenza di svolgere ulteriori interventi mirati ad un più efficace sviluppo socio-economico del territorio. Pag. 67
In tali particolari zone della città, peraltro, non sono mancati, proprio di recente, interventi diretti delle forze dell'ordine volti a ripristinare le condizioni di legalità, violate da occupazioni abusive di immobili e da danneggiamenti delle proprietà altrui. Infatti, ad un'operazione di sgombero di 26 alloggi pubblici avvenuta il 26 febbraio scorso, che ha portato alla denuncia di 14 persone responsabili, hanno fatto seguito specifiche intese tra le forze dell'ordine e la locale azienda territoriale per l'edilizia residenziale pubblica per un costante monitoraggio ed una tempestiva repressione di tali fenomeni.
Quanto ai due gravi fatti di cronaca menzionati nell'atto di sindacato ispettivo in esame, risulta che l'autorità giudiziaria ha delegato la Polizia di Stato alle indagini per la ricerca dei responsabili. In particolare, le investigazioni per l'individuazione degli autori dell'omicidio, avvenuto lo scorso 23 marzo, della madre del presidente della Confcommercio del capoluogo proseguono alacremente e risultano coperte, allo stato, da segreto istruttorio. Sono, invece, destinatari di un provvedimento di fermo di indiziato di delitto due minori di etnia rom, ritenuti responsabili dell'omicidio di un giovane, avvenuto lo scorso 22 febbraio, che risulta non maturato in un contesto di criminalità organizzata, bensì per futili motivi.
Per quanto riguarda l'incremento dell'azione di prevenzione e di contrasto alla piccola e grande criminalità nelle aree più a rischio, ricordo che a partire dal mese di settembre 2008 sono stati pianificati servizi straordinari di controllo dell'area, con il supporto operativo e logistico di personale del reparto prevenzione crimine Calabria, del reparto mobile di Reggio Calabria, di unità cinofile e di velivoli del reparto volo di Reggio Calabria. Anche il dispositivo di prevenzione generale assicurato dall'Arma dei carabinieri viene quotidianamente supportato da aliquote appartenenti alla compagnia intervento operativo del 12o Battaglione «Sicilia».
La presenza dinamica delle forze dell'ordine nell'area urbana ha permesso, alla sola Polizia di Stato, di espletare, negli ultimi sei mesi, ripetute e mirate perquisizioni, che hanno portato al sequestro di sostanze stupefacenti, di numerose armi e munizioni anche da guerra, di varia refurtiva, nonché all'accertamento di casi di illecita sottrazione di energia elettrica e di esercizio abusivo di giochi d'azzardo, alla chiusura di un locale pubblico e di un circolo privato per violazioni amministrative, con la conseguente denuncia di 13 persone per tutti i reati accertati.
Quanto alla lamentata carenza degli operatori di polizia in forza presso i presidi delle forze dell'ordine in Catanzaro Lido, informo che il Comando generale dell'Arma dei carabinieri, a decorrere dal lo settembre 2008, ha incrementato la dotazione della locale stazione dei carabinieri di 4 militari, portando il numero degli effettivi a 14 unità rispetto alle 10 previste, quindi con un incremento del 40 per cento. Anche il commissariato sezionale di pubblica sicurezza è stato recentemente potenziato, con l'assegnazione di 7 unità di rinforzo, per consentire la presenza, nell'arco delle ventiquattro ore, di un ulteriore turno di volante. Pertanto, il dispositivo delle forze territoriali di polizia di Catanzaro Lido risulta complessivamente di 40 unità (26 operatori della Polizia di Stato e 14 militari dell'Arma dei carabinieri).
Del resto, la situazione di carenza di organici delle forze dell'ordine dispiegate nell'intera provincia di Catanzaro non si discosta da quella di molte altre province italiane e, più in generale, dal dato nazionale che vede le forze di Polizia mediamente sotto organico del 10 per cento.
Tuttavia, al fine di un graduale e progressivo ripianamento degli organici, dal 2008 è stata avviata la procedura di assunzione di 1.906 unità, e - per effetto di quanto previsto dall'articolo 6, comma 1, del decreto-legge n. 11 del 23 febbraio scorso, ieri definitivamente approvato, recante «Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori» - lo scorso 9 aprile il Consiglio dei ministri ha autorizzato l'assunzione, a Pag. 68tempo indeterminato, di 2.875 unità di personale nelle forze di Polizia e nel Corpo dei vigili del fuoco.
Alla luce di quanto sopra rappresentato, ne consegue che le esigenze di potenziamento degli uffici e dei reparti delle forze di Polizia ubicati nella provincia di Catanzaro potranno essere valutate contestualmente alle nuove immissioni in servizio, compatibilmente, da un lato, con le esigenze e le priorità di altre aree del territorio nazionale, e, dall'altro, ad un più razionale impiego delle risorse disponibili.
Per quanto, infine, riguarda i fenomeni di dispersione scolastica e di bullismo, per la parte di competenza del Ministero dell'interno, comunico che la Polizia di Stato ed i carabinieri hanno intrapreso, in sinergia con le autorità scolastiche provinciali, iniziative tese a diffondere la cultura della legalità in ambito didattico, e ad intensificare i servizi volti sia a reprimere episodi di dispersione scolastica (nel 2008 sono stati denunciati 25 genitori), sia a prevenire fenomeni di devianza minorile, con particolare riferimento alle zone più degradate, ove risiedono minori di etnia rom.
La locale prefettura e le amministrazioni comunali interessate, segnatamente Catanzaro e Lamezia Terme, stanno organizzando, con il coinvolgimento anche della curia locale, una serie di iniziative di penetrazione di quegli ambienti allo scopo di recuperare alla legalità, anche scolastica, i nuclei familiari interessati.

PRESIDENTE. Salutiamo l'Istituto comprensivo «Giovanni Pascoli» di Acierno, in provincia di Salerno, che oggi è venuto a farci visita. Grazie della visita (Applausi).
L'onorevole Tassone ha facoltà di replicare.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, anch'io desidero ringraziare il senatore Nitto Palma per la sua risposta ed ovviamente anche per le notizie che ci ha voluto dare (alcune le conoscevamo, altre riguardano i nuovi impegni a livello nazionale), più volte comunicate anche in queste ore, in questi giorni e qualche tempo fa e che sono, a mio avviso, importanti.
Certo, puntare sulla quantità è un dato significativo, ma non estremamente esaustivo. Signor Presidente e signor sottosegretario, ho detto poco fa nelle Commissioni riunite I e II dove stiamo discutendo sul provvedimento riguardante la sicurezza che non basta, non è sufficiente - come ricordavo anche prima - prevedere aggravanti nelle norme, nelle pene e nelle sanzioni; bisogna capire, piuttosto, come ci si mobilita e come ci si debba indirizzare.
Ritengo che Catanzaro abbia bisogno - come tutte le realtà del nostro Paese, ma oggi stiamo parlando di Catanzaro - di strumenti qualificati di intervento, e quando parlo di strumenti qualificati di intervento mi riferisco certamente al coordinamento tra le forze di polizia ed alla presenza di questi reparti, che ovviamente sono impiegati per un controllo a presidio del territorio, però in termini intermittenti che non hanno una loro continuità.
Proprio sulla scorta ed in riferimento ad una normativa che purtroppo, per alcuni versi, è caduta in desuetudine (mi riferisco alla legge n. 121 del 1981, che riguarda le forze di polizia), quello che manca ovviamente è la possibilità e le potenzialità inespresse, che pure ci sono, per contrastare le organizzazioni criminali e la microcriminalità attraverso un'azione di intelligence e soprattutto di investigazione. Il presidio del territorio è importante, ed anche l'episodio del sequestro di armi e di quantità di droga che lei ricordava e a cui faceva riferimento fa capire e comprendere quanto sono veritiere le cose che abbiamo detto e quanto è ben riposta la preoccupazione - non mia soltanto, signor Presidente, ma diffusa nella città di Catanzaro - circa un fenomeno che si sta sempre più diffondendo.
La mia domanda è: perché quando ci sono fatti così drammatici si interviene e si riesce anche ad ottenere qualche risultato (il sequestro di armi e di droga), tuttavia ne stiamo parlando da tempo? Si dice comunemente, secondo un'accezione un po' abusata: bisogna che ci sia il morto per mobilitare la gente. Questo, signor Pag. 69Presidente, non è possibile: lo dico con molta chiarezza e con molta affettuosità al sottosegretario, perché anche la vicenda che lui riportava sta a dimostrare che non c'è stato nessun coordinamento e nessuna strategia di prevenzione.
Stiamo parlando oggi di prevenzione rispetto alle calamità naturali e c'è ovviamente una grande mobilitazione in Abruzzo per andare a ricercare ed individuare le responsabilità di chi ha costruito sulla sabbia e sulla plastica palazzi, la casa dello studente e quant'altro, ma ogni volta denunciamo l'assenza di una cultura della prevenzione. Ma la Polizia di Stato e le forze dell'ordine devono essere impiegate nella prevenzione! Non è possibile lasciar correre e non capire, signor sottosegretario, che ci sono quartieri che per mesi interi sono stati lasciati abbandonati e come sequestrati alla criminalità organizzata.
Le vicende di quel povero ragazzo che è stato ucciso e di quella povera signora che è stata colpita, aggredita in casa, e morta d'infarto, hanno mobilitato la gente. Ma non vi è bisogno di morti ammazzati per conoscere il problema: ne parlano anche i bambini della droga che c'è in giro. La cultura della legalità è importante così come i protocolli operativi. Ho fatto riferimento anche nel mio atto di sindacato ispettivo ai protocolli operativi nazionali non perché siano esaustivi, ma perché attraverso essi ci si pone il problema della devianza minorile dei quartieri in degrado. Conosco qual è la trafila del programma operativo nazionale, perché sono stato tempo fa partecipe di un programma operativo nazionale avviato in termini positivi dall'attuale prefetto di Reggio Calabria. Non ce l'ho con la prefettura di Catanzaro, non ce lo con nessuno, anche perché alcune vicende ormai sono concluse anche grazie all'ultima circolare del Ministro Maroni che prevede la fine della permanenza in servizio oltre 65 anni per i dirigenti generali dello Stato. Finiamola con questo finzione. Non ce l'ho con la prefettura, ma finanziando altre misure ha dimostrato disattenzione verso la scuola, che non è meno importante. Ci sono dirigenti scolastici, insegnanti, che fanno per intero il loro dovere e che hanno vissuto fortemente tutto il tema della cultura della legalità e dell'educazione alla legalità. Non vi è dubbio che il contrasto alla criminalità avviene attraverso la formazione; non è che una misura esclude l'altra. Ma pensiamo di poter abbattere la criminalità organizzata senza puntare sulle famiglie, sulla scuola, sulle formazioni sociali e sul volontariato? Non vi è bisogno delle ronde, delle associazioni di volontari come previsto all'articolo 52 del nuovo testo del provvedimento in discussione che modifica l'impostazione del testo originario, ma che mantiene questa previsione.
Oggi esiste un clima di abbandono. Non sono sufficienti feste e ricevimenti. Le feste e i ricevimenti sono proprie dei regimi, fanno parte della storia, della cultura di quei regimi che non affrontavano i veri problemi e cercavano di ingannare l'opinione pubblica, e il cittadino. Si informi, signor sottosegretario, lei è un parlamentare della Calabria. La invito formalmente a ritrovarci ancora una volte in quest'Aula perché abbiamo fiato ed esperienza per poter esplicare la nostra battaglia. Devono essere mandati degli ispettori da parte Ministero dell'interno. Cosa ci sta a fare il Ministero dell'interno? Perché diamo le responsabilità a chi è inadeguato? Signor sottosegretario, perché un Governo deve fare una brutta figura? Quando ero al Governo se un mio direttore generale mi faceva fare una brutta figura, e la faceva fare al Governo, prendevo le contromisure. Perché questo Governo non vuole prendere le contromisure? Adesso scindo la responsabilità del Ministro Maroni dalla sua, ma un domani sarete tutti corresponsabili. Con estrema chiarezza dico che possiamo anche avere torto...

PRESIDENTE. La invito a concludere.

MARIO TASSONE. Concludo, signor Presidente. È vero che esiste questa documentazione, ma questo clima di abbandono non va. Perché passate le misure Pag. 70contingenti, dovrà rimanere la cultura della prevenzione, e si continuerà ad andare avanti: chi aspetterà la pensione e chi una collocazione diversa. Tutto ciò non rappresenta la forza di uno Stato democratico, che attraverso i suoi strumenti, i suoi istituti, deve garantire l'ordine come supremo valore della convivenza civile per il progresso umano della nostra collettività (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Italia dei Valori).

(Rinvio dell'interpellanza urgente Laratta n. 2-00335)

PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta dei presentatori e con il consenso del Governo, lo svolgimento dell'interpellanza urgente Laratta n.2-00335 è rinviato ad altra seduta.

(Iniziative per assicurare il generale godimento dei diritti delle organizzazioni sindacali del comparto scuola - n. 2-00356)

PRESIDENTE. L'onorevole Di Giuseppe ha facoltà di illustrare l'interpellanza Di Pietro n. 2-00356, concernente iniziative per assicurare il generale godimento dei diritti delle organizzazioni sindacali del comparto scuola (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti), di cui è cofirmataria.

ANITA DI GIUSEPPE. Signor Presidente, sottosegretario, è riconosciuto che da alcuni anni i dirigenti scolastici di diverse scuola italiana continuino, anche se siano intervenute innumerevoli sentenze al riguardo, a porre in essere comportamenti antisindacali nei confronti del sindacato Unicobas scuola, così negando il diritto previsto dall'articolo 20 della legge n. 300 del 1970. Questo articolo prevede che i lavoratori hanno diritto di riunirsi nell'unità produttiva in cui prestano la loro opera, fuori dall'orario di lavoro, ma anche durante l'orario di lavoro, nei limiti di dieci ore annue per le quali verrà corrisposta la normale retribuzione. Le riunioni - detta sempre questo articolo 20 - che possono riguardare la generalità dei lavoratori o gruppi di essi sono indette singolarmente o congiuntamente dalle rappresentanze sindacali aziendali nell'unità produttiva con ordine del giorno su materie di interesse sindacale e del lavoro, e secondo l'ordine di precedenza delle convocazioni comunicate al datore di lavoro. Alle riunioni possono partecipare, previo preavviso al datore di lavoro, dirigenti esterni del sindacato che ha costituito la rappresentanza sindacale aziendale. Quindi, sottosegretario, vi è il diritto a riunirsi nell'unità produttiva in cui prestano la loro opera durante l'orario di lavoro (parliamo di diritto). I dirigenti scolastici però giustificano questo comportamento - antisindacale a nostro avviso - attribuendolo alle note inviate loro dagli uffici scolastici regionali.
In verità oggi la situazione vede l'amministrazione dello Stato vietare ai lavoratori iscritti al sindacato Unicobas la possibilità di riunirsi sul luogo di lavoro, e inoltre non concede agli stessi lavoratori la possibilità di usufruire di permessi retribuiti per partecipare alle assemblee che eventualmente si tengano in luoghi diversi da quelli di lavoro, nonostante siano indette dalla maggioranza delle RSU. A nostro avviso quindi, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca non attribuisce il giusto unificato alle disposizioni dettate dalla legge n. 300 del 1970. Sostiene quindi il Ministero che in base all'articolo 8 del contratto collettivo nazionale dei lavoratori del 2007, relativo proprio al comparto scuola, solo le organizzazioni sindacali ammesse alla trattativa nazionale possano indire assemblee. Noi francamente riteniamo alquanto opinabile l'interpretazione di questo articolo 8, ma va anche ricordato che la contrattazione collettiva, in quanto espressione di autonomia negoziale, non può operare deroghe in oltraggio ai diritti attribuiti da norme di rango legislativo. Riteniamo che non si possano assolutamente sopprimere i diritti previsti e disciplinati dal titolo III dello Statuto dei lavoratori del 1970. Se così fosse, seguendo la linea dell'ufficio Pag. 71regionale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, la conseguenza più logica - se mai ci fosse qualcosa di logico poi in questa interpretazione - porterebbe la pubblica amministrazione a poter scegliere solo e soltanto alcuni sindacati per la contrattazione collettiva, e cioè le organizzazioni che possono beneficiare delle prerogative sindacali normativamente attribuite.
C'è da considerare, oltre al resto, che il legislatore del 1970 attraverso le disposizioni di cui all'articolo 19, con il quale aveva previsto la creazione delle RSA, e all'articolo 20 della legge n. 300, ha voluto riconoscere il diritto di ogni associazione sindacale costituita in RSA, vale a dire le rappresentanze sindacali aziendali, ad indire assemblee singolarmente o congiuntamente. Anche a seguito dell'avvicendamento delle RSU, ovvero il comitato che raccoglie i lavoratori rappresentanti appartenenti a tutti i sindacati, alle RSA, nell'anno 1993 non è intervenuta alcuna norma di legge che abbia escluso il passaggio alle RSU di tutte le prerogative previste dallo statuto in favore delle RSA. Quindi il diritto di indire assemblee a nostro avviso deve essere riconosciuto non soltanto alle RSU nel loro complesso, ma anche al singolo membro eletto in seno alle suddette RSU.
Inoltre, in linea con le disposizioni normative, il contratto collettivo nazionale quadro del 7 agosto del 1998, relativo alle modalità di utilizzo dei distacchi, alle aspettative e ai permessi, ha previsto all'articolo 2, esattamente al comma 2, che le assemblee che riguardano la generalità dei dipendenti o gruppi di essi possano essere indette singolarmente o congiuntamente su materie di interesse sindacale e del lavoro dai soggetti indicati nell'articolo 10. Tale articolo a sua volta prevede che i dirigenti sindacali che hanno diritto ad usufruire nei luoghi di lavoro dei permessi sindacali retribuiti, giornalieri od orari, sono i componenti delle RSU.
Se si dovesse ritenere che per l'esercizio dei diritti sindacali le RSU debbano agire all'unanimità, verrebbero abbattuti inevitabilmente i diritti delle minoranze, in aperta violazione dell'articolo 3 della Costituzione. Quest'ultimo articolo recita - voglio anche ricordarlo, onorevole sottosegretario - che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge e che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Ora, noi dell'Italia dei Valori desideriamo conoscere se il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ritenga legittimo che una disposizione contrattuale possa sopprimere i diritti democratici previsti da una norma di legge e soprattutto quali siano le ragioni che hanno motivato le direttive impartite dal Ministro dell'istruzione ai vari direttori scolastici.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, Giuseppe Pizza, ha facoltà di rispondere.

GIUSEPPE PIZZA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Signor Presidente, in merito all'interpellanza in discussione è necessario premettere che l'assimilazione delle rappresentanze sindacali unitarie (RSU) alle rappresentanze sindacali aziendali (RSA) non appare sostenibile.
Ricordo che le RSU sono state istituite dall'articolo 47 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, modificato ed integrato dall'articolo 42 del decreto legislativo n. 165 del 2001 che, dopo aver individuato nelle organizzazioni sindacali rappresentative e non, soggetti legittimati a promuoverne la costituzione, individua al comma 4 i requisiti minimi a garanzia della democraticità di tale organismo (voto segreto, metodo proporzionale, certezza del periodico rinnovo) e demanda ad appositi accordi tra l'ARAN, confederazioni ed organizzazioni sindacali la definizione della Pag. 72disciplina delle elezioni, la composizione e le modalità di funzionamento.
La regolamentazione pattizia introdotta dal contratto collettivo nazionale quadro sottoscritto il 7 agosto 1998 prevede, all'articolo 8, che le decisioni relative alle attività delle RSU sono assunte a maggioranza dei componenti, configurando in tal modo le RSU come un organismo unitario, quindi come un collegio, con la conseguenza che non può che avere rilevanza esterna alla volontà del collegio, determinata a maggioranza e distinta dalla volontà dei singoli componenti. Diversamente, si riconoscerebbe ai rappresentanti delle organizzazioni non rappresentative - in quanto eletti in ambito RSU - il godimento di particolari diritti sindacali, quali partecipazione alle trattative, affissioni, indizione delle assemblee, disponibilità di locali nell'ambito delle strutture delle amministrazioni, fruizione di permessi e distacchi, che l'ordinamento invece, ai sensi dell'articolo 43 del decreto legislativo n. 165 del 2001, riserva ai soli rappresentanti delle organizzazioni rappresentative.
Nel contesto suddetto, un'eventuale assimilazione tra le RSU e RSA viene superata dalla disciplina intervenuta successivamente. Ricordo al riguardo che le RSA sono costituite da ogni singola organizzazione rappresentativa e che, pertanto, i rispettivi rappresentanti sono destinatari degli stessi diritti dell'organizzazione di appartenenza (articolo 19 della legge n. 300 del 1970). In particolare, le organizzazioni promotrici delle elezioni delle RSU, sia rappresentative che non, si impegnano a non costituire RSA nelle pubbliche amministrazioni, come si evince dall'articolo 10, comma 1, del contratto collettivo nazionale quadro del 7 agosto 1998. L'articolo 42 del decreto legislativo n. 165 del 2001, al comma 1, stabilisce che, fino a quando non vengano emanate norme di carattere generale sulla rappresentatività sindacale che sostituiscano o modifichino tali disposizioni (legge n. 300 del 1970), le pubbliche amministrazioni osservano le disposizioni contenute nello stesso decreto legislativo in materia di rappresentatività sindacali ai fini dell'attribuzione dei diritti e delle prerogative sindacali nei luoghi di lavoro e dell'esercizio della contraffazione collettiva.
L'articolo 37 della legge n. 300 del 1970 statuisce che «le previsioni della presente legge si applicano altresì ai rapporti di impiego dei dipendenti degli altri enti pubblici, salvo che la materia sia diversamente regolata da norme speciali» e l'articolo 1, comma 3, del contratto collettivo nazionale quadro più volte menzionato, prevede, per quel che riguarda le modalità di utilizzo dei distacchi, aspettative e permessi sindacali, che «ove il presente contratto o i contratti collettivi nazionali di comparto non dispongano una specifica disciplina nelle materie relative alla libertà e dignità del lavoratore ed alla libertà e attività sindacali, si intendono richiamate le norme di minima prevista dalla legge n. 300 del 1970».
Faccio presente, inoltre, che la disciplina del diritto di assemblea è dettata dalle disposizioni contenute nel più volte citato contratto collettivo nazionale quadro e nei contratti nazionali del comparto scuola che si sono succeduti (l'ultimo è del 29 novembre 2007), che regolano l'esercizio di tale diritto in modo uniforme sul territorio nazionale e prescrivono che le assemblee possono essere indette da una o più organizzazioni sindacali rappresentative del comparto e dalla RSU nel suo complesso e non dai singoli componenti. Tali disposizioni hanno carattere cogente, anche alla luce delle direttive impartite dall'ARAN al riguardo.
Sulla materia si è espressa anche la Corte di cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 3072 del 16 febbraio 2005, che al punto 7.2 così recita: «L'articolo 2, comma 2, del contratto collettivo nazionale quadro sulle modalità di utilizzo dei distacchi, aspettative e permessi e delle altre prerogative sindacali per il personale dei comparti delle pubbliche amministrazioni, stipulato il 7 agosto 1998, in relazione a quanto stabilito dall'articolo 10 dello stesso contratto e dagli articoli 5 e 8 dell'accordo collettivo quadro per la costituzione delle rappresentanze sindacali Pag. 73unitarie per il personale dei comparti delle pubbliche amministrazioni e per la definizione del relativo regolamento elettorale stipulato in pari data, si interpreta nel senso che il diritto di indire assemblee dei dipendenti spetta alla RSU quale organismo collettivo unitariamente inteso e a struttura collegiale, che assume ogni decisione secondo il regolamento eventualmente adottato o, in mancanza, a maggioranza dei componenti, non ai singoli componenti della stessa RSU».
Da quanto sopra esposto, si evince che essendo la materia disciplinata da norme legislative e contrattuali, all'amministrazione scolastica non è riservata alcuna discrezionalità e che eventuali modifiche potranno essere oggetto di future contrattazioni.

PRESIDENTE. L'onorevole Di Giuseppe ha facoltà di replicare.

ANITA DI GIUSEPPE. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario, ma noi dell'Italia dei Valori non possiamo essere soddisfatti, non lo siamo assolutamente, e così dicendo riporto l'opinione del mio gruppo.
Lei, in fondo, signor sottosegretario, nel rileggere quegli articoli e nell'enunciarli, non ha fatto altro che riconfermare quanto noi, in fondo riteniamo ingiusto, cioè che solo le organizzazioni sindacali ammesse alla trattativa nazionale possano indire delle assemblee.
C'è un grande disorientamento nel mondo sindacale e ci sono anche molti malumori. Cosa accade? Accade che i sindacati meno rappresentati, come l'Unicobas, siano costretti ad alzare la percentuale dei voti per compensare la carenza di iscritti, mentre quelli che sono ormai maggiormente rappresentativi, raggiungendo il 10 per cento sul totale dei sindacalizzati, hanno il 5 per cento garantito, anche a voti pari a zero - occorre, infatti, ottenere il 5 per cento per essere riconosciuti -, tanto più che è necessario presentare una lista per ogni scuola. Infatti, chi non ottiene la media nazionale è escluso da tutto: è come se i partiti che non raggiungessero sul territorio nazionale una media calcolata fra voti ed iscritti non avessero neanche la possibilità di acquisire seggi, né a livello provinciale, né tantomeno regionale, pur avendo - magari - vinto le elezioni locali. Questa è la situazione che si viene a creare.
È un dato di fatto che i sindacati confederali e autonomi abbiano molti distaccati nel pubblico impiego, mentre ad altri non vengono concessi neppure permessi orari per partecipare alle assemblee: questo è il problema, signor sottosegretario.
Le elezioni per la RSU sono e rimangono uno strumento forte nelle mani della categoria. Noi siamo soprattutto per un sindacato che sappia interpretare le istanze di una società in continua evoluzione e che possa difendere tutte le professionalità esistenti all'interno della scuola, affinché si riconoscano adeguatamente la dignità professionale nella responsabilità e nelle funzioni di ciascuno. Per questo, reputiamo che il diritto di rappresentanza non possa essere negato, altrimenti la nostra Costituzione non avrebbe senso, soprattutto non avrebbe senso l'articolo 3 della Costituzione che prima ho citato.
Per questi motivi, noi dell'Italia dei Valori rivendichiamo la funzione di autonomia, di rappresentanza e di rappresentatività.
Riteniamo necessario che ci si stacchi poi dalla ritualità e dal percorrere sempre la stessa strada. Occorre soprattutto trovare il modo di rispondere alle esigenze di tutti i lavoratori. Bisogna iniziare a porre rimedio attivamente alle carenze e alle discrepanze che esistono nella scuola italiana e lo si deve fare ascoltando anche e soprattutto le diverse componenti sindacali, e quindi anche l'Unicobas.
Va da sé, però, che la maggiore rappresentatività sia irraggiungibile per i sindacati di recente istituzione, che non possono neppure presentare il proprio programma agli elettori. Con le procedure esistenti, quindi, si rende praticamente impossibile alle organizzazioni di nuova istituzione, che adottano una differente Pag. 74filosofia associativa e alle quali è negato, a priori, ogni strumento di sostegno, la competizione con le altre strutture confederali esistenti.
Si tratta di parametri che sono altissimi, perché c'è da considerare che la somma delle firme richieste per validare le liste raggiunge numeri strabilianti: nella scuola occorrerebbero 65 mila presentatori. Sono parametri molto elevati e i sindacati che non possono raggiungerli vengono privati di ogni diritto e non vengono presi in considerazione neanche ai fini del piano decentrato, anche se - mi riferisco al caso specifico dell'Unicobas scuola - conseguono il 10 per cento dei voti nelle elezioni per il consiglio scolastico provinciale e il 5 per cento delle deleghe nell'ambito di molte province italiane.
Persino nelle scuole nelle quali abbia presentato una lista, il sindacato di nuova istituzione non può avere più o meno RSU elette. Secondo noi tutto ciò avviene nella piena violazione di quello che stabilisce lo Statuto dei lavoratori del 1970, il quale riconosce la facoltà di indire assemblee in orario di servizio alle rappresentanze, singolarmente o disgiuntamente. Come vede, signor sottosegretario, si tratta di un diverso modo di interpretare gli articoli della medesima legge n. 300 del 1970. Si tratta, a nostro parere, di una vera e propria operazione di dittatura, perché si elimina ogni diritto dei sindacati di nuova istituzione. Sebbene tale operazione sia stata sanzionata dalla magistratura con più di quattordici sentenze di condanna per comportamento antisindacale, a causa del diniego apposto all'Unicobas relativamente all'indizione di un'assemblea in orario di servizio, essa viene sempre reiterata.
Signor Presidente, con i se e con i ma non si risolvono le questioni e non si fa molta strada. Il mondo della scuola sta ancora aspettando delle risposte concrete. Le domande giungono anche dai lavoratori dei sindacati ritenuti minori, che tali non sono perché rappresentano pur sempre una parte dei lavoratori della scuola: è questo che occorre prendere in considerazione e tener presente. I provvedimenti che finora sono stati adottati per la scuola hanno creato soltanto scompiglio a nostro avviso. È come se per ordinare una stanza se ne fosse messa a soqquadro un'altra: immaginate che ordine c'è nella scuola italiana! Allora diamo ascolto, per favore - è un consiglio da parte nostra - a tutti coloro che vivono questa realtà.
Noi dell'Italia dei valori presenteremo, signor sottosegretario, un disegno di legge che preveda il calcolo della rappresentatività per il tramite di elezioni alle quali si concorrerebbe mediante liste nazionali, regionali, provinciali e di singolo istituto, unità produttiva o funzionale. Chiediamo naturalmente che il calcolo della rappresentatività sia effettuato solo sulla base del dato elettorale puro.
Un altro elemento inaccettabile è rappresentato dalla disparità di trattamento tra il sistema pubblico e quello privato, come, per esempio, nel caso delle aspettative sindacali a favore delle organizzazione sindacali, che dalla legge n. 300 del 1970 sono concesse a chiunque, ma che oggi sono riservate (persino queste!) nel settore pubblico, dalla legge vigente in materia di rappresentanza sindacale, solo ai sindacati maggiormente rappresentativi. Ci risiamo.
Va poi segnalato, ad esempio, che i pensionati italiani possono iscriversi unicamente alle organizzazioni sindacali interne al CNEL, il Consiglio nazionale dell'economia del lavoro. Vale a dire che persino il segretario nazionale di una sigla non presente nel CNEL, quando andrà in pensione, dovrà decidere di iscriversi ad un altro sindacato poiché, contro la sua volontà, con il sistema attuale, potrà scegliere solamente una delle organizzazioni alle quali lo Stato assegna il monopolio dei pensionamenti.
Si tratta, a questo punto, di una paese violazione della libertà associativa sancita dalla Costituzione. Quindi, secondo noi, l'elemento principe per la determinazione della rappresentanza è, in uno Stato democratico e di diritto, il meccanismo elettorale: solo questo e nient'altro! La titolarità a trattare e a godere delle libertà sindacali costituzionalmente tutelate...

Pag. 75

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ANITA DI GIUSEPPE... trattandosi della rappresentanza di tesi, obiettivi e bisogni dei lavoratori, va intesa in termini di espressione plurale e pluralistica.
Noi vogliamo soltanto dire, signor sottosegretario, che la strada per riformare la scuola è lunga, ma occorre che si inizi a pensare ad una riforma vera e propria che soddisfi tutti, dai dirigenti ai docenti, dai genitori agli alunni, dal personale ATA ai collaboratori scolastici.
È una strada lunga, però auspichiamo che la si voglia percorrere un metro alla volta e bene, ma soprattutto con la collaborazione degli operatori della scuola...

PRESIDENTE. Deve concludere.

ANITA DI GIUSEPPE... dei portatori di interessi e di tutte le componenti sindacali senza ledere i diritti di nessuno.

(Intendimenti in relazione alle dotazioni organiche del personale docente e amministrativo, tecnico e ausiliario presso le istituzioni scolastiche autonome statali della provincia di Monza e della Brianza - n. 2-00357)

PRESIDENTE. L'onorevole Farinone ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00357, concernente intendimenti in relazione alle dotazioni organiche del personale docente e amministrativo, tecnico e ausiliario presso le istituzioni scolastiche autonome statali della provincia di Monza e della Brianza (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti).

ENRICO FARINONE. Signor Presidente, tra qualche settimana, come tutti sappiamo, i cittadini di varie province italiane andranno al voto. Per quanto riguarda noi cittadini della provincia nuova di Monza e di Brianza sarà la prima volta.
Contestualmente a questo evento, quando si decise di istituire la provincia, il Ministero della pubblica istruzione decretò - era l'11 aprile 2008 - la riorganizzazione dell'ufficio scolastico regionale per la Lombardia istituendo l'ufficio scolastico provinciale di Monza al quale, come il sottosegretario senz'altro sa, sono affidate ben 107 istituzioni scolastiche statali e 171 scuole paritarie ubicate in cinquanta comuni.
La provincia di Monza, (visto che si parla molto di province in questo periodo) è una provincia nuova con più di settecentomila abitanti ed è la ventunesima o ventiduesima tra le province italiane, quindi non si tratta di una provincia piccola, ma importante.
Sappiamo che proprio in questo periodo sono in via di definizione le dotazioni organiche del personale docente e amministrativo, tecnico e ausiliario per l'anno scolastico a venire 2009-2010. Infatti l'ufficio scolastico provinciale di Milano ha avviato le procedure per la ricognizione dei fabbisogni organici delle scuole primarie e dell'infanzia facenti riferimento anche alle istituzioni scolastiche autonome ubicate nel territorio della nuova provincia.
Nel frattempo c'è stata tutta la vicenda della cosiddetta riforma Gelmini per cui, come sappiamo, i genitori possono esprimere la propria preferenza per il tempo scuola ordinario o prolungato. Come sappiamo il servizio scolastico nella scuola primaria è svolto secondo il modello dell'insegnante unico che supera il precedente assetto del modulo e delle compresenze e secondo le differenti articolazioni dell'orario scolastico settimanale a ventiquattro, ventisette e sino a trenta ore. È previsto, altresì, il modello delle quaranta ore corrispondente al cosiddetto tempo pieno.
Lo abbiamo già ribadito in diverse circostanze e anche tramite il partito in altre interrogazioni: i dati dimostrano senza ombra di dubbio che la grande maggioranza delle famiglie italiane ha optato per il modulo a trenta ore e molte altre anche per il tempo pieno con orario a quaranta ore.
In questo contesto di fatto sono iniziate le operazioni di mobilità del personale della scuola. Infatti il Ministero, signor Pag. 76sottosegretario, ha trasmesso l'integrazione del contratto sulla mobilità relativo ai provvedimenti di modifica dell'assetto territoriale delle province.
Con questa nostra interpellanza chiediamo molto semplicemente se questi ultimi provvedimenti debbano considerarsi riferiti alla consistenza dell'organico del personale scolastico previsto per l'intero territorio attualmente di competenza dell'ufficio scolastico provinciale di Milano o al contrario, come preferiremmo, se si intende individuare una dotazione organica del solo territorio della provincia di Monza dotando quel territorio di una completa dotazione di personale per tutte le istituzioni scolastiche autonome e statali già a partire dal prossimo anno scolastico 2009-2010.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, Giuseppe Pizza, ha facoltà di rispondere.

GIUSEPPE PIZZA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Signor Presidente, vorrei precisare preliminarmente che le assegnazioni delle dotazioni organiche del personale docente, educativo e amministrativo tecnico ed ausiliario della scuola sono definite in base a criteri e parametri indicati nel decreto interministeriale sugli organici, emanato per ogni anno scolastico.
Il Ministero provvede a ripartire a livello regionale dette dotazioni; compete poi ai direttori degli uffici scolastici regionali, dopo confronti con le regioni e gli enti locali e dopo aver informato le organizzazioni sindacali, ripartire le risorse assegnate a livello territoriale. La ripartizione viene quindi effettuata con riguardo alle specifiche esigenze e alle diverse tipologie e condizioni di funzionamento delle istituzioni scolastiche.
Con riguardo alla provincia di Monza e Brianza la legge 11 giugno 2004, n. 146, che ha istituito detta provincia, ne ha previsto un processo di formazione graduale, che si perfeziona solo all'atto dell'insediamento degli organi elettivi; le prime elezioni del consiglio provinciale sono previste per il mese di giugno 2009. Quindi, il perfezionamento dell'iter istitutivo avverrà dopo le prossime elezioni del 6-7 giugno 2009; di fatto, pertanto, i comuni che ne fanno parte dipendono amministrativamente ancora dalla provincia di Milano.
Stante che non è possibile, quindi, prendere in considerazione province del territorio nazionale il cui iter istitutivo non è ancora giunto a compimento, il processo di sdoppiamento degli organici provinciali può essere avviato soltanto dopo il completamento dell'iter stesso.
Di conseguenza, tutte le procedure amministrative in corso in materia di organici (mobilità, graduatorie ad esaurimento, eccetera) fanno riferimento alla sola provincia di Milano, comprensiva anche dei comuni assegnati alla nuova provincia di Monza e Brianza; solo successivamente alla definizione del procedimento istitutivo, il gestore del sistema informativo del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca potrà procedere alla generazione dei codici di scuola specifici per la nuova provincia, contestualmente a tutti gli altri adempimenti amministrativi in materia di organici che si renderanno necessari.
Giova anche ricordare che, a seguito del decreto-legge n. 85 del 16 maggio 2008, convertito dalla legge n. 121 del 2008, che ha costituito il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, è stato adottato, in data 20 gennaio 2009, il nuovo regolamento di riorganizzazione del Ministero, che prevede il superamento del concetto di ufficio scolastico provinciale in vista di una migliore articolazione sul territorio dei servizi offerti dall'ufficio scolastico regionale.
Comunque, un ufficio scolastico in Monza è operante fin dal 2002, dapprima istituito come sportello decentrato del centro servizi amministrativi di Milano, poi definito centro servizi amministrativi di Monza dal decreto ministeriale del 28 luglio 2004, e infine istituito come ufficio scolastico provinciale di Monza per effetto del decreto ministeriale dell'11 aprile 2008 Pag. 77e del conseguente decreto del direttore generale dell'ufficio scolastico regionale per la Lombardia del 4 agosto 2008, n. 758.
Allo stato svolge funzioni di informazione all'utenza, di istruttoria, di supporto alle scuole, di rapporto con le realtà locali, di raccordo tra il territorio e l'ufficio scolastico provinciale di Milano, ivi compresa la trattazione di alcune pratiche di stato giuridico e le operazioni di convalida delle domande di movimento, nonché attività di volta in volta delegate dall'ufficio scolastico regionale o dall'ufficio scolastico provinciale di Milano in relazione a particolari esigenze, scadenze o manifestazioni.

PRESIDENTE. L'onorevole Farinone ha facoltà di replicare.

ENRICO FARINONE. Signor Presidente, credo che il nostro sia un Paese ben strano: si istituiscono province nuove e poi si decide che su un tema importante come questo - che ha a che fare con migliaia di famiglie e con migliaia di studenti - sostanzialmente è come se non ci fossero perché sappiamo benissimo che si organizza adesso l'anno scolastico 2009-2010, cioè il prossimo, e si organizza come se la provincia di Monza non ci fosse.
Sostanzialmente, quindi, ovviamente ringrazio il sottosegretario per la sua cortese risposta, ma non posso assolutamente ritenermi soddisfatto perché di fatto il Governo ci informa che l'ufficio scolastico provinciale non sarà istituito per adesso, non avrà a che fare con il prossimo anno scolastico e, dunque, tutti gli organici e tutte le graduatorie del personale scolastico saranno ancora gestiti dalla provincia di Milano.
Non ho intenzione, considerata l'ora e l'Aula sostanzialmente vuota, di sfruttare tutti i minuti che ho a disposizione, come taluni colleghi fanno, perché credo in una dimensione tra virgolette europea del modo di fare politica dentro quest'Aula. Mi limiterò, quindi, a questa riflessione che svolgeremo inevitabilmente a Monza, in Brianza, durante la campagna elettorale.
Su questo argomento ho l'impressione che l'inizio sia assolutamente negativo, a conferma forse di quello che ha detto a Monza qualche settimana fa il Ministro La Russa e che hanno scritto in una proposta di legge numerosi deputati del Popolo della Libertà, compresa la deputata locale, cioè che la provincia verrà abolita, durerà una sola stagione: questo è realmente ciò che ha in mente l'attuale Esecutivo. Benissimo, lo registriamo, vedremo di farlo sapere durante la campagna elettorale ai cittadini brianzoli.

(Orientamenti e iniziative in merito all'insegnamento della seconda lingua comunitaria - n. 2-00358)

PRESIDENTE. L'onorevole Sarubbi ha facoltà di illustrare l'interpellanza De Pasquale n. 2-00358, concernente orientamenti e iniziative in merito all'insegnamento della seconda lingua comunitaria (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti), di cui è cofirmatario.

ANDREA SARUBBI. Signor Presidente, l'oggetto di questa nostra interpellanza è il futuro dei nostri figli. Può sembrare un'espressione retorica, ma mai come stavolta va presa alla lettera: stiamo infatti chiedendo al Governo, e in particolare al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che purtroppo non vedo in Aula (ma comunque ringrazio il sottosegretario Pizza), che tipo di scuola abbia in mente. Certamente sarà una scuola più povera - questo lo abbiamo capito, purtroppo - ma fino a che punto? Vale la pena, nel nome delle esigenze di cassa, tagliare anche i rami verdi?
Non parlo a caso di taglio di rami verdi. Non trovo una metafora migliore per definire la decisione del Ministero di far fuori lo studio della seconda lingua comunitaria nella scuola secondaria di primo grado, quella che fino a qualche anno fa si chiamava scuola media inferiore. L'inglese, naturalmente, si studia già, mediamente per tre ore a settimana, ma fu proprio il centrodestra, con la riforma Pag. 78Moratti del 2003, ad introdurre la possibilità di due ore a settimana di francese, tedesco o spagnolo: una decisione saggia - non abbiamo nessuna difficoltà a riconoscerlo - nell'ottica di un'Italia sempre più europea.
A cosa ci servono le norme di Schengen sulla libera circolazione dei cittadini europei (e dei lavoratori) se, una volta all'estero, dobbiamo parlare come Totò davanti al vigile urbano milanese di piazza Duomo? Se la ricorda, signor Presidente, quella scenetta di «Totò, Peppino e la malafemmina»? «Noio vulevan savuar l'indriss...» eccetera eccetera. Ecco, sarebbe grave che i nostri figli facessero la stessa fine di Totò, una volta arrivati a Parigi, a Berlino o a Madrid.
Mi permetto una breve parentesi sulla mia generazione, quelli nati negli anni Settanta. I nostri nonni, o almeno la grande maggioranza di loro, parlavano in dialetto e avevano imparato a scuola l'italiano. I nostri genitori, che parlavano italiano, hanno dovuto imparare l'inglese con fatica. Noi, che abbiamo imparato l'inglese a scuola, abbiamo appreso con fatica una seconda lingua, perché sappiamo bene - lo ha detto anche il commissario europeo per il multilinguismo, Leonard Orban - che l'inglese non basta più. Io, personalmente, ho appreso lo spagnolo solo all'università e con il francese non ho ancora finito, ma ho paura che sia un po' tardi per parlarlo davvero bene. Non è un mistero che una lingua si impari facilmente da piccoli: se comincio a studiare il francese ad undici anni, nell'orario scolastico, magari riesco pure ad impararlo. Se devo organizzarmi da grande, quando ho lasciato la scuola già da un pezzo, è tutto più difficile.
Ma torniamo all'oggetto dell'interpellanza, signor Presidente. La riforma Moratti - dicevamo - è del 2003. Nel 2004 inizia a trovare applicazione, nel 2006 entra a regime. Nel 2007 cambia il Governo, ma il Ministro Fioroni - pur emanando nuove indicazioni per il curriculo delle scuole dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione - non tocca lo studio delle due lingue europee: l'inglese già dalla scuola primaria (le vecchie elementari) e dalla secondaria di primo grado anche la seconda lingua. Nel 2008 cambia ancora il Governo e a gennaio di quest'anno, 2009, il Ministro Gelmini spiega in una circolare che dal prossimo anno scolastico la seconda lingua diventa facoltativa. Le due ore di francese, di spagnolo o di tedesco possono essere destinate ad altro: al potenziamento dell'inglese, che sarebbe in contrasto con gli impegni presi dall'Italia in ambito europeo sulla pari dignità di tutte le lingue dell'Unione, oppure per gli alunni stranieri allo studio supplementare dell'italiano.
Se volessi aprire il capitolo degli impegni presi con l'Europa, ho paura che non mi basterebbe il tempo a disposizione. Potrei citare decisioni del Parlamento europeo, risoluzioni del Consiglio europeo, comunicazioni della Commissione, dichiarazioni pubbliche dei Capi di Stato e di Governo, trattati internazionali: in tutti questi casi si ribadisce il criterio delle due lingue comunitarie, più la lingua materna. Il loro apprendimento è importante - e mi limito a questa citazione, dal preambolo del testo che istituì l'anno europeo delle lingue nel 2001 - «in quanto rafforza la consapevolezza della diversità culturale e contribuisce a sradicare la xenofobia, il razzismo, l'antisemitismo, l'intolleranza e costituisce altresì un notevole potenziale economico».
A proposito di economia, in chiusura del mio intervento vorrei invitare il rappresentante del Governo a mettersi nei panni di quei 5.616 insegnanti di francese, spagnolo o tedesco che, grazie a questa circolare del Ministero, non vedranno rinnovato il loro contratto: tutti docenti che hanno sostenuto esami specifici, tra i quali anche l'esame di Stato, per avere sbocchi lavorativi in questo senso. Avevano investito sulla seconda lingua, sapendo che con l'obbligatorietà dell'insegnamento lo Stato prima o poi avrebbe dovuto assumere personale adeguato. Nessuno di loro è di ruolo, tutti rischiano di restare precari a vita o addirittura di perdere il lavoro.
Con questa interpellanza, signor Presidente, noi vorremmo sapere (pardon: noioPag. 79vulevan savuar) se il Governo non intenda cambiare idea prima che sia troppo tardi.

PRESIDENTE. La ringrazio onorevole Sarubbi, si ricordi però che in quest'Aula si parla solo italiano...
Il sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca, Giuseppe Pizza, ha facoltà di rispondere.

GIUSEPPE PIZZA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Signor Presidente, con l'interpellanza parlamentare in discussione l'onorevole interpellante chiede iniziative affinché venga salvaguardato l'insegnamento di due lingue comunitarie, al fine di consentire un pluralismo dell'offerta formativa nel rispetto delle direttive comunitarie.
Al riguardo vorrei far presente che le esigenze che scaturiscono dalla costante estensione delle relazioni fra i cittadini dei vari Stati stanno evidenziando la necessità di una lingua veicolare che consenta di rendere realmente possibile l'interazione fra culture e lingue diverse. In tale quadro non vi è dubbio che l'inglese sia ormai da tutti individuato come il mezzo di comunicazione adottato con assoluta prevalenza.
Al fine di rendere l'assetto ordinamentale coerente con il quadro esterno di riferimento, nel regolamento concernente la revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione, ai sensi dell'articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008, definitivamente approvato dal Consiglio dei ministri e in via di pubblicazione, è previsto che dall'anno scolastico 2009-2010 a richiesta delle famiglie e compatibilmente con le disponibilità di organico e l'assenza di esubero dei docenti della seconda lingua comunitaria, è introdotto l'insegnamento dell'inglese potenziato, anche utilizzando le ore d'insegnamento della seconda lingua comunitaria o i margini di autonomia previsti, cioè la quota a disposizione delle singole autonomie scolastiche al fine di caratterizzare la propria offerta formativa.
L'opzione che prevede l'insegnamento dell'inglese potenziato può, pertanto, essere assolta anche in presenza di una seconda lingua comunitaria. Quindi, a partire dalle prime classi che saranno attivate dall'anno scolastico 2009-2010, le famiglie potranno scegliere se far seguire ai propri figli l'insegnamento della sola lingua inglese o dell'inglese e di una seconda lingua comunitaria, tenendo conto dei vincoli esplicitati dal regolamento.
Occorre infatti considerare che concentrare le ore dedicate allo studio della seconda lingua sull'inglese non è un obbligo, ma soltanto una facoltà, sicché coloro che ritengano più utile una preparazione di bilinguismo per loro prospettive di vita possono tranquillamente continuare a farlo.
Le direttive europee non sono contraddette, in quanto l'articolazione sopra descritta non elimina alcuna delle opportunità formative sostenute in sede comunitaria. Per converso, accentua il carattere di una riforma degli ordinamenti che vuole essere attenta alle istanze e alle esigenze degli alunni, basandosi su principi di flessibilità che consentono ampi margini per una loro presenza attiva nella costruzione di un percorso formativo personalizzato. È evidente che si tratta dell'aspetto primario da prendere in considerazione in qualsiasi progetto di riforma.
Vorrei anche precisare che la suddetta disposizione è confermata dalla circolare n. 38 del 2 aprile 2009 con la quale è stato trasmesso lo schema del decreto interministeriale concernente la definizione degli organici per l'anno scolastico 2009-2010.
Detto schema di decreto, comunque, diversamente da quanto previsto per la determinazione degli organici degli anni precedenti, computa nell'organico di diritto anche i posti di insegnamento della seconda lingua comunitaria, garantendo una maggiore stabilizzazione del personale docente interessato.

PRESIDENTE. L'onorevole De Torre, cofirmataria dell'interpellanza, ha facoltà di replicare.
Onorevole De Torre, «noio vulevan savuar» se sia soddisfatta oppure no...

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MARIA LETIZIA DE TORRE. Signor Presidente, spiace davvero che questo Governo agisca sempre con così tanta superficialità. Cerco di dirlo in alcuni punti. Prima di tutto ho qui la sentenza del TAR del Lazio, che esattamente il giorno 7 di questo mese, ha accolto l'istanza di sospensiva di questa circolare, proprio riguardo al punto dell'insegnamento dell'inglese, poiché questa circolare è stata emanata mentre il regolamento era ancora in corso, pertanto non era legittimo prendere questa decisione. A parte questo, che è anche molto rilevante dal punto di vista procedurale, bene aveva fatto, come ha ricordato il collega e come ricorda la nostra interpellanza, il Ministro Moratti ad introdurre una seconda lingua comunitaria. Male fa, a nostro avviso, questo Governo a spingere verso un'unica e determinata lingua comunitaria, cioè l'inglese, portando l'altra lingua ad essere opzionale, perché questa scelta va contro la realtà in cui oggi viviamo e soprattutto contro la realtà in cui vivranno in futuro i nostri ragazzi. Ormai siamo di fatto, non solo perché è scritto sul passaporto, cittadini europei. Per noi italiani è più importante che per altri parlare non soltanto la lingua inglese, ma anche una seconda lingua comunitaria, perché l'italiano non lo apprende quasi nessuno in Europa e non lo parla quasi nessuno, nemmeno i turisti o chi viene per lavoro nel nostro Paese.
Ma vi è un'altra dimensione: spiace che questo Governo, che il nostro Paese, non comprenda che non è solo l'inglese la lingua del mondo, che non conosca che, ad esempio, nei consessi internazionali non si può tradurre solo in inglese, perché c'è una larghissima parte del mondo - facciamo l'esempio dell'America latina - che parla un'altra lingua e che è istintivamente portata a non volere le traduzioni degli atti solo in inglese. Forse adesso, per l'apertura di Barack Obama, qualcosa cambierà, ma fino adesso è così. Spiace che questo Governo non conosca che tutte le direttive che il collega ha ricordato nell'apprendimento di più lingue non sono fatte solo strumentalmente per riuscire a comunicare con una lingua veicolare, ma proprio per apprendere, anche attraverso il saper parlare una lingua, che la nostra Europa è plurale, fatta di molte tradizioni, di molte lingue e di molte minoranze.
Non mi si dica che i ragazzi non possono imparare insieme più lingue, perché vengo da una regione in cui i ragazzi delle valli ladine, a dieci anni, parlano correntemente e scrivono tre lingue, che hanno appreso contemporaneamente. Ho visto, alle volte, dei loro sketch in cui passano, durante la stessa scenetta, da una lingua all'altra senza alcun problema.
Piuttosto, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca dovrebbe occuparsi di anticipare l'età in cui si imparano le lingue, perché sappiamo benissimo che più sono piccoli i bambini, prima le imparano. Piuttosto, questo Governo dovrebbe occuparsi del fatto che una lingua la si insegni bene, perché quando giriamo il mondo siamo gli unici che non sappiamo neppure parlare inglese dopo tanti anni che lo apprendiamo a scuola e ci si chiede sempre perché.
Piuttosto, questo Governo dovrebbe occuparsi di come si deve insegnare la lingua in immersione, di come si possono scambiare gli insegnanti. Faccio un esempio: nella mia scuola di Trento, che è un istituto comprensivo, una nostra maestra è andata a Innsbruck a insegnare l'italiano e una maestra di Innsbruck è venuta a Trento ad insegnare il tedesco. Apprendere una lingua, per esempio per noi apprendere il tedesco, non è solo una cosa veicolare, ma è un'attenzione verso un popolo di una lingua diversa che vive accanto a noi.
Ricordo bene quando avevo 17 anni e sono andata per la prima volta in Inghilterra: non ho imparato l'inglese, ma ho conosciuto gli inglesi; ho imparato ad amare l'Inghilterra, non l'inglese.
Piuttosto, questo Governo dovrebbe occuparsi di come formare insieme in sede europea i docenti, o almeno i dirigenti scolastici, ma qui, ahimè, anche in questa particolare cosa, si conferma che sulla scuola questo Governo non ha un progetto. Pag. 81
È un po', come ha scritto nel suo recente libro il nostro collega Enrico Letta, come quella storiella degli operai che stanno accatastando mattoni. Uno gli chiede cosa stanno facendo: il primo risponde che sta mettendo uno sopra l'altro i mattoni, mentre l'altro risponde che sta edificando una cattedrale. Questo Governo, nelle scelte che fa, accatasta mattoni (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze all'ordine del giorno.

Approvazione in Commissione.

PRESIDENTE. Comunico che nella seduta di oggi, giovedì 23 aprile 2009, la I Commissione (Affari costituzionali) ha approvato, in sede legislativa, la seguente proposta di legge: Cicchitto ed altri: «Disciplina transitoria per lo svolgimento dei referendum previsti dall'articolo 75 della Costituzione da tenersi nell'anno 2009» (2389).

Modifica nella denominazione di una componente politica del gruppo parlamentare Misto.

PRESIDENTE. Comunico che il vicepresidente del gruppo parlamentare Misto, in rappresentanza della componente politica Liberal Democratici-Repubblicani, con lettera in data 22 aprile 2009, ha reso noto che la nuova denominazione della componente è: «Liberal Democratici-MAIE» (Movimento associativo italiani all'estero).

Sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che su richiesta del presidente della Commissione giustizia, anche a nome del presidente della Commissione affari costituzionali, lo svolgimento delle discussioni sulle linee generali del disegno di legge n. 2180, recante disposizioni in materia di sicurezza pubblica, e del disegno di legge n. 2042, recante la ratifica del Trattato di Prum, già previsto per la seduta di lunedì 27 aprile, non avrà luogo.
Avverto, altresì, che l'organizzazione dei tempi per l'esame della mozione concernente iniziative in materia di parità scolastica è pubblicata in calce al resoconto della seduta odierna.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Lunedì 27 aprile 2009, alle 17:

1. - Discussione della mozione Franceschini ed altri n. 1-00148 concernente iniziative per il contrasto della povertà e dell'emarginazione.

2. - Discussione della mozione Volontè ed altri n. 1-00152 concernente iniziative in materia di parità scolastica.

La seduta termina alle 19,35.

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ORGANIZZAZIONE DEI TEMPI DI ESAME DELLA MOZIONE N. 1-00152

Mozione n. 1-00152 - Iniziative in materia di parità scolastica

Tempo complessivo, comprese le dichiarazioni di voto: 6 ore (*).

Governo 25 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti
Tempi tecnici 5 minuti
Interventi a titolo personale 1 ora e 1 minuto (con il limite massimo di 8 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 4 ore 19 minuti
Popolo della Libertà 1 ora e 19 minuti
Partito Democratico 1 ora e 8 minuti
Lega Nord Padania 36 minuti
Unione di Centro 31 minuti
Italia dei Valori 29 minuti
Misto: 16 minuti
Movimento per l'Autonomia 9 minuti
Liberal Democratici - MAIE 4 minuti
Minoranze linguistiche 3 minuti

(*) Al tempo sopra indicato si aggiungono 5 minuti per l'illustrazione della mozione.