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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 143 di martedì 10 marzo 2009

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE

La seduta comincia alle 10,30.

DONATO LAMORTE, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 25 febbraio 2009.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Alessandri, Balocchi, Barbi, Brancher, Brugger, Cirielli, Donadi, Gregorio Fontana, Galati, Gibelli, Giancarlo Giorgetti, Lo Monte, Mazzocchi, Melchiorre, Molgora, Pescante, Rigoni, Scajola, Stucchi, Volontè e Zacchera sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente sessantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del disegno di legge: S. 1341 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 gennaio 2009, n. 3, recante disposizioni urgenti per lo svolgimento nell'anno 2009 delle consultazioni elettorali e referendarie (Approvato dal Senato) (2227-A) (ore 10,35).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 gennaio 2009, n. 3, recante disposizioni urgenti per lo svolgimento nell'anno 2009 delle consultazioni elettorali e referendarie.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2227-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Partito Democratico e Italia dei Valori ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
La relatrice, onorevole Lorenzin, ha facoltà di svolgere la relazione.

BEATRICE LORENZIN, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento in esame, così come è giunto dal Senato, prevede alcune importanti innovazioni in materia di consultazioni elettorali (amministrative ed europee) per quanto riguarda l'anno 2009. Vi è stata la necessità di adottare un decreto-legge, così come già accaduto in numerosi casi precedenti, proprio per l'esigenza di dover varare in tempo utile le modifiche normative indispensabili per uno svolgimento contestuale delle elezioni amministrative ed europee, previste dall'agenda di quest'anno. La scelta di abbinare le elezioni amministrative con quelle europee si è resa necessaria non soltanto per evidenti motivi finanziari, conseguendo quindi un Pag. 2risparmio notevole per le casse pubbliche, ma anche per non chiamare troppe volte alle urne gli elettori. È stata un'esigenza a cui abbiamo ottemperato.
Era necessario, però, intervenire con una modifica normativa, perché in virtù della disciplina del nostro Paese le operazioni si sarebbero dovute svolgere nelle giornate della domenica e del lunedì, mentre la disciplina comunitaria prevede che le operazioni di voto si possano svolgere tra il giovedì e la domenica. Con questo provvedimento abbiamo deciso di far svolgere, solo per il 2009, le elezioni europee ed amministrative nelle giornate di sabato e di domenica.
L'elemento di novità emerso dalla discussione nella Commissione di merito è quello della soppressione dell'articolo 1-bis, introdotto dal Senato, che prevedeva relativamente al rimborso delle spese elettorali per le elezioni europee la possibilità di accedere al contributo per i partiti e i movimenti che avessero ottenuto il 2 per cento dei voti validi. In conseguenza di questa modifica, avranno diritto al rimborso elettorale solo i partiti e i movimenti che otterranno almeno un seggio e, quindi, supereranno la soglia del 4 per cento dei voti. Si tratta di una misura coerente con quanto approvato da questa stessa Camera in materia di legge elettorale. In questo modo crediamo e siamo convinti che ci sarà un'uniformità politica e non soltanto di principio per quanto riguarda la partecipazione e lo snellimento di quella che da più parti è stata chiamata la frantumazione partitica nel sistema Italia. È stato sicuramente un dibattito molto vivace, che ha portato a questa modifica.
Venendo al merito del provvedimento, l'articolo 1 è diretto a consentire lo svolgimento contemporaneo delle elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia e delle elezioni amministrative che si terranno nel corso dell'anno.
L'intervento legislativo si è reso necessario in quanto, come osservato precedentemente, in base alla disciplina vigente in materia le operazioni di voto terminano in Italia alle ore 15 del lunedì, mentre per quanto riguarda le elezioni europee si devono svolgere tra il giovedì e la domenica successiva. Quindi, l'articolo 1 disciplina dal punto di vista procedurale i tempi delle elezioni, e abbiamo ritenuto opportuno anticipare al pomeriggio del sabato l'inizio delle votazioni per tutte le consultazioni abbinate, per chiudere poi le votazioni alle ore 22 della domenica.
L'articolo 1-bis, come ho detto precedentemente, è stato introdotto dal Senato, e ne è stata prevista la soppressione.
L'articolo 1-ter apporta modifiche alle norme legislative che disciplinano le elezioni europee ed amministrative, allo scopo di precisare che i contrassegni delle liste da riprodurre sulle rispettive schede elettorali devono avere un diametro di almeno 3 centimetri.
L'articolo 2 determina e disciplina l'esercizio del voto per le elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo da parte dei cittadini italiani che si trovano temporaneamente fuori dal territorio dell'Unione europea per motivi di servizio o missioni internazionali. In particolare, la norma si rivolge alle seguenti categorie di cittadini che si trovano temporaneamente fuori dal territorio comunitario: il personale delle Forze armate e di polizia; i dipendenti di amministrazioni statali e regionali e i loro familiari conviventi, qualora la durata della permanenza sia superiore a tre mesi; i professori universitari, i ricercatori universitari e i professori aggregati in servizio all'estero per una durata complessiva di almeno sei mesi. L'articolo in esame prevede per tali cittadini, solo in occasione delle elezioni europee da tenersi nel 2009, la possibilità di votare per corrispondenza all'estero per le circoscrizioni del territorio nazionale.
L'articolo 3 regolamenta le modalità di voto per corrispondenza per queste stesse categorie di cittadini, così come previste dall'articolo 2, e per motivi di servizio o missioni internazionali in occasione delle consultazioni referendarie ex articolo 75 della Costituzione.
L'articolo 4 reca disposizioni dirette ad assicurare la funzionalità delle commissioni elettorali circondariali in vista delle prossime elezioni. A tal fine, prevede che Pag. 3il prefetto designi al presidente della corte d'appello funzionari statali da nominare quali componenti aggiunti delle commissioni e sottocommissioni elettorali circondariali, senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica.
L'articolo 4-bis consente, anche in occasione delle elezioni e dei referendum abrogativi da tenersi nel 2009, come è già avvenuto per le elezioni politiche del 2006 e del 2008, l'ammissione ai seggi elettorali di osservatori internazionali, in attuazione degli impegni assunti al riguardo dall'Italia nell'ambito dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa.
L'articolo 5 dispone che all'onere derivante dall'attuazione del decreto-legge si provveda mediante utilizzo del Fondo da ripartire per fronteggiare le spese derivanti dalle elezioni politiche, amministrative e del Parlamento europeo e dall'attuazione del referendum.
L'articolo 6 dispone sull'entrata in vigore del decreto-legge.
Dunque, il decreto-legge in esame permetterà un accorpamento tra le elezioni amministrative e le elezioni europee, con un sicuro snellimento delle procedure amministrative (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

MICHELINO DAVICO, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, non ho nulla da aggiungere all'intervento del relatore e mi riservo di intervenire successivamente.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vassallo. Ne ha facoltà.

SALVATORE VASSALLO. Signor Presidente, il provvedimento in esame riguarda, nella formulazione divulgativa, il cosiddetto election day, cioè l'accorpamento di più consultazioni elettorali in un'unica tornata, quindi in due giorni di voto, come è stato ricordato dalla relatrice.
Questa tendenza ad accorpare più tornante elettorali, che si va consolidando anche nel nostro Paese, è molto positiva, perché consegue due risultati importanti: riduce i costi della partecipazione, e quindi rende più agevole la partecipazione elettorale da parte dei cittadini, e riduce i costi finanziari ed organizzativi per la pubblica amministrazione, oltre che per le famiglie, dello svolgimento delle elezioni.
Sappiamo che la partecipazione elettorale è decrescente, ormai, da alcuni decenni. Si tratta di una tendenza di lungo periodo che si registra non solo nel nostro Paese, ma in tutti i Paesi a democrazia consolidata. Sappiamo, altresì, che in tutti i sistemi nei quali vengono introdotti meccanismi che tendono a facilitare la partecipazione, riducendone, quindi, i costi, questa tendenza - che, comunque, permane - tende a ridursi. Allo stesso modo, sappiamo - lo sostiene la ricerca comparativa, ma lo può capire anche ad occhio nudo qualsiasi osservatore - che, laddove le complicazioni poste all'esercizio del diritto di voto sono maggiori (il caso più emblematico è quello degli Stati Uniti, in cui, come è noto, per poter votare è necessario prima registrarsi), il tasso di partecipazione è più basso.
Quindi, è del tutto evidente che lavorare su questi aspetti, in apparenza puramente organizzativi, ha un effetto significativo su uno degli elementi qualificanti dei sistemi democratici, cioè la dimensione della partecipazione popolare a momenti così importanti nella vita delle democrazie, come le tornate elettorali di vario tipo. Pertanto, è molto opportuno che si vada in questa direzione, perché si riducono i costi della partecipazione e si aumentano le opportunità che i cittadini hanno di esprimere le loro opinioni. Inoltre, si riducono, in modo diretto, i costi finanziari delle elezioni e gli oneri che sono a carico del bilancio dello Stato.
Se si accorpano più elezioni, infatti, possono essere ridotti non solo i costi relativi all'organizzazione dei seggi elettorali, ma anche quelli che non vengono direttamente sopportati dal Ministero dell'interno. Si riducono, infatti, i costi per le amministrazioni pubbliche che devono fornire i locali, e si riducono i costi per le Pag. 4famiglie e per le imprese. Ad esempio, il fatto che si svolga un turno di voto in un giorno lavorativo costringe le famiglie ad organizzare in modo diverso la propria attività per partecipare al voto e costringe coloro i quali sono impegnati nelle attività di voto, come scrutatori o presidenti, a rinunciare alla propria attività ordinaria. Tutto ciò crea anche dei costi per le imprese.
Quindi, vi sono molte ed importanti buone ragioni per accorpare le tornate elettorali, e, d'altro canto, non vi sono delle controindicazioni. Talvolta, si argomenta che non sarebbe opportuno accorpare elezioni che hanno contenuto diverso, perché questo tenderebbe a confondere gli elettori. In realtà, questo argomento sottovaluta la capacità degli elettori di distinguere, capacità che, invece, hanno sempre dimostrato in molte occasioni, e ciò può essere verificato con i dati. Ricerche accademiche hanno evidenziato che gli elettori sono serenamente in grado di distinguere elezioni di livello diverso, tanto che, quando abbiamo sperimentato elezioni in cui si è votato per le amministrative, per le politiche o per altri livelli, abbiamo potuto riscontrare anche differenze significative nel risultato elettorale dei vari partiti, a seconda del livello elettorale considerato.
Abbiamo potuto verificare, altresì, che gli elettori sono abbastanza sofisticati da distinguere il contenuto di più referendum che si svolgono nella stessa giornata, anche con il medesimo oggetto. Abbiamo verificato che gli elettori sono in grado di distinguerne il contenuto ed eventualmente, se lo ritengono, anche di decidere di utilizzare quella facoltà che gli è data - e che ha un peso, come è noto, nel caso del referendum - di non esercitare il diritto di voto, pur essendo presenti nel seggio.
Vi è una sola controindicazione ad accorpare più tornate elettorali presente nel nostro ordinamento, quella stabilita dalla legge attuativa dell'articolo 75 della Costituzione in materia di referendum abrogativi.
Questa unica eccezione ha una sua ragion d'essere, e riguarda l'impossibilità di far coincidere nello stesso giorno il voto per una tornata referendaria e quello per l'elezione dei membri del Parlamento. Tale eccezione è facilmente comprensibile, perché in questo caso si tratta di evitare che due principi di rappresentanza, il principio della democrazia rappresentativa e il principio della democrazia diretta, possano entrare in collisione tra loro. Il referendum è uno dei pochi istituti di democrazia diretta presenti nel nostro ordinamento, e certamente è il più importante, ed è comprensibile che il legislatore, dando attuazione all'articolo 75 della Costituzione, abbia preferito non fare entrare in collisione questi due momenti, e ciò è anche testimoniato dalla previsione del rinvio di un anno del referendum che, eventualmente, dovesse coincidere con la tornata elettorale per il Parlamento; sostanzialmente, si concede al Parlamento il tempo di tenere conto dello stimolo ricevuto dall'elettorato attraverso la convocazione del referendum e quindi anche, eventualmente, di intervenire su quella materia, recependo lo stimolo dei cittadini, per evitare che il referendum si svolga. Al di là di questo caso specifico, però, non vi è alcuna altra controindicazione ad unificare tornate elettorali.
È bene che il Governo abbia assunto questa iniziativa, attraverso il decreto-legge, per rendere possibile l'accorpamento di tornate amministrative ed europee; non è, invece, affatto bene che si escluda il referendum da questo accorpamento, e su questo argomento dovrò brevemente tornare, ma lo farò dopo, perché vi è un altro aspetto rilevante del provvedimento che merita di essere discusso in questa fase di esame generale. Tale aspetto riguarda il finanziamento pubblico dei partiti. Uso questa espressione deliberatamente e non uso, invece, l'espressione, che, con un certo grado di ipocrisia, è contenuta nella nostra legislazione, «rimborso delle spese elettorali». Infatti, come sappiamo, nel nostro ordinamento, per aggirare un altro referendum tenuto su questa Pag. 5materia, il contributo pubblico alla vita dei partiti viene concesso sotto forma di rimborso delle spese elettorali.
Tutto ciò ci complica un po' la vita nella discussione in merito al provvedimento che stiamo esaminando; come dirò, questi problemi rivelano la distorsione che è attualmente presente nella nostra legislazione in merito al finanziamento pubblico dei partiti. Come è noto, infatti, poiché il rimborso elettorale è, in realtà, un cospicuo finanziamento pubblico ai partiti, il giorno delle elezioni i partiti sanno che sono in palio due poste, entrambe apprezzabili e rilevanti: i seggi disponibili (per il Parlamento nazionale, per il Parlamento europeo o per i consigli regionali), ma anche, al tempo stesso, uno spicchio, una fetta non irrilevante del finanziamento pubblico. Sarebbe come vanificare l'obiettivo che ci siamo dati come Parlamento di limitare la frammentazione se si tenesse la soglia per la seconda delle due poste - non meno rilevante della prima, cioè dell'acquisizione dei seggi parlamentari - troppo più in basso rispetto alla prima; infatti, non possiamo escludere che vi siano partiti che a certe condizioni decidano di stare nell'arena elettorale, pur essendo consapevoli di non poter raggiungere la prima soglia, ma cercando sostanzialmente di acquisire almeno la seconda. Tenere una soglia per il finanziamento pubblico troppo più bassa rispetto a quella per la rappresentanza parlamentare rappresenterebbe, a mio avviso, un modo per vanificare la prima soglia.
È però discutibile che la seconda soglia debba essere esattamente pari alla prima, cioè che non si possa concedere una forma di rimborso elettorale - è qui il problema - anche per quei partiti che dimostrino di avere abbastanza consenso, pur non raggiungendo la soglia della rappresentanza. Qui viene il problema, perché, naturalmente, dovendo fare questo tipo di ragionamento, siamo indotti ad attribuire il finanziamento pubblico anche a partiti che non svolgono l'attività di rappresentanza parlamentare, non potendo distinguere tra finanziamento pubblico e rimborso effettivo delle spese elettorali.
Però esiste, e pertanto noi proponiamo che, da questo punto di vista, la soglia sia abbassata al 3 per cento. La cosa che sicuramente possiamo fare è quella di evitare un'altra stortura dell'attuale sistema di finanziamento pubblico, ossia che il medesimo finanziamento venga, nel suo complesso, determinato sulla base del numero complessivo degli aventi diritto al voto e poi ripartito proporzionalmente tra coloro i quali, nel caso delle elezioni europee, abbiano ottenuto dei seggi. Possiamo, pertanto, evitare che coloro i quali raggiungono la soglia, godano delle risorse finanziarie che erano state concepite e messe a disposizione per tutti, facendo in modo che le risorse che sarebbero state attribuite a coloro i quali hanno, in qualche modo, ottenuto voti - anche una quantità di voti molto bassa che non supera la soglia - vengano mandate in economia. Sarebbe un bel segno, un primo segno importante da dare all'opinione pubblica, di trasparenza e anche di correttezza nell'uso dei soldi dei cittadini.
E, ancora, cosa più importante, un uso meno scriteriato del soldi dei cittadini lo si può fare accorpando nella stessa tornata anche il referendum. Non ci sono preclusioni, ci sono solo vantaggi per la partecipazione e per le casse dello Stato, come ho già spiegato.
È del tutto evidente qual è la ragione per la quale la maggioranza e il Governo si ostinano - adesso sembra che stiano rimeditando questa loro posizione - a negare l'accorpamento delle tornate elettorali. La ragione è molto semplice e ci richiama ad un altro vizio che dovremmo forse risolvere: questa potrebbe essere tra l'altro la soluzione nel nostro ordinamento che riguarda appunto la disciplina del referendum elettorale.
Come è noto l'articolo 75, quarto comma, della Costituzione prevede che, affinché i referendum siano validi, è necessario che si raggiunga una partecipazione superiore al 50 per cento degli aventi diritto al voto. È evidente che questo criterio fu stabilito quando i padri costituenti immaginavano un tasso di partecipazione ordinario alla vita politica più Pag. 6alto di quello che adesso stiamo registrando sulla base di un trend di lungo periodo. Sappiamo anche che questa disposizione è stata utilizzata strumentalmente, sempre più spesso, per vanificare i referendum; infatti, è chiaro che, in presenza di un tasso di astensionismo naturale che è almeno del 30 per cento, anche nel caso dei referendum più sentiti, basta sommare all'astensionismo naturale un astensionismo opportunistico o strategico di poco più del 20 per cento per ottenere quel risultato - ovvero di vanificare il referendum - che magari non si sarebbe in grado di raggiungere confrontandosi apertamente con i quesiti referendari.
È ovviamente questa l'unica ragione per la quale la maggioranza e il Governo non vogliono l'accorpamento, perché hanno dei problemi al loro interno. Infatti ci sono partiti che temono - secondo me anche erroneamente - il risultato positivo del referendum e, quindi, sacrificano a questo unico scopo, a questo unico vantaggio politico di breve termine, una cifra considerevole che è stata quantificata da più fonti come prossima (o superiore o, forse, un po' più bassa, ma si tratta comunque di una cifra significativa) ai 400 milioni di euro. Questa è la cifra di cui si parla, come è noto. Tali partiti sacrificano questi soldi, in un momento di crisi economica, al solo scopo di risolvere un problema contingente di carattere politico.
Peraltro, se posso dirlo incidentalmente, anche questo è un calcolo sbagliato perché, dopo tutto, è auspicabile che anche la maggioranza sia consapevole della necessità di cambiare la brutta legge elettorale con la quale abbiamo già votato per due volte. È, infatti, falso che i problemi di frammentazione del sistema politico siano stati risolti definitivamente con l'elezione del 2008 ed è certamente falso che quella legge possa essere considerata accettabile per quanto riguarda la selezione dei singoli parlamentari.
Dunque, poiché è chiaro che questo Parlamento, nel corso di questa legislatura, dovrà farsi carico di rivedere quella legge, è anche un calcolo sbagliato quello di voler mettere la testa sotto la sabbia e volere rimandare la decisione ad un momento successivo.
Sarebbe salutare, invece, che il referendum si facesse e che i cittadini dicessero se vogliono o no la legge attuale, in modo da dare al Parlamento l'opportunità di lavorare successivamente nel merito.
Dunque, vi sono nel provvedimento almeno due aspetti che devono essere certamente cambiati. Si tratta di un'attenuazione della soglia del 4 per cento per il finanziamento pubblico anche per i partiti che non raggiungono tale soglia; inoltre, cosa assai più importante, chiediamo che vengano mandati in economia i soldi che sarebbero stati attribuiti ai partiti sotto la soglia, che non vengano distribuiti tra i partiti che la superano e che si accorpi la data delle elezioni europee e del primo turno delle amministrative con quella del referendum, in modo che le risorse cospicue che in questo modo vengono risparmiate possano essere utilizzate per scopi certamente più rilevanti in questo momento e, in particolare, per sostenere finanziariamente l'azione degli organi di pubblica sicurezza nel nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Luciano Dussin. Ne ha facoltà.

LUCIANO DUSSIN. Signor Presidente, è chiaro che in questo decreto-legge si mette mano alla materia elettorale e si cerca di andare verso l'election day, come appena ricordato da altri colleghi. Ovviamente, il nostro movimento è concorde in ordine al contenuto di questo provvedimento perché si cerca di accorpare le consultazioni amministrative, che riguardano sindaco e presidente di provincia, con quelle europee.
In materia di elezioni europee è giusto ricordare che recentissimamente abbiamo modificato un aspetto molto rilevante della legge che le regolava, introducendo la famosa soglia di rappresentanza minima del 4 per cento. La stessa soglia determina anche la possibilità o meno di vedersi Pag. 7attribuire i famosi rimborsi per le conseguenti spese elettorali.
Si è trattato di una legge voluta anche dal nostro movimento, perché andava nella logica della semplificazione per avere una rappresentanza in una sede prestigiosa, come quella del Parlamento europeo, che vedeva il nostro Paese unico praticamente in Europa a non avere nessuna soglia. Difatti, per avere eletti in quel Parlamento bastava avere una percentuale quasi pari allo zero. Così, inventandosi, anche all'ultimo istante, delle liste che ho considerato «patacca» - e non ho problemi a ricordarlo o a riproporlo come motivo di riflessione - si riusciva benissimo nell'intento di superare quella soglia che era inesistente. Quindi, nascevano i partiti degli pseudo-pensionati, liste che si rifacevano a movimenti ambientalisti se non ecologisti e così via. In questo modo si raggranellavano 200 mila o 300 mila voti, magari confondendo l'elettorato, perché si escogitavano anche sigle e nomi simili a quelli che, invece, erano di pura appartenenza a movimenti storici, che da sempre combattono per proporre certi programmi al proprio corpo elettorale e che si vedono poi scimmiottati per atti di mera furbizia, con queste machiavelliche invenzioni, lasciando spazio ad una serie di interpretazioni e di contestazione. Ebbene, abbiamo messo mano in questo campo.
Cosa è successo?
In buona sostanza, abbiamo fatto questo passaggio: per avere europarlamentari bisogna superare il 4 per cento e per avere rimborsi elettorali bisogna superare il 4 per cento, quindi bisogna avere un eletto.
Il Senato, nell'approvare questo decreto-legge che, lo ripeto, accorpa le elezioni europee con le amministrative, aveva pensato bene di abbassare la soglia per potersi vedere attribuiti i rimborsi elettorali anche sotto il 4 per cento. Quindi, dapprima si era deliberato per il 4 per cento, e la Camera dei deputati, l'altro ramo del Parlamento, ha ritenuto di proporre - così si è votato in Commissione - di ritornare a quella soglia. Infatti, ciò è la logica conseguenza di quanto era stato approvato con la legge elettorale europea poche settimane fa e, quindi, non si vede motivo o urgenza per rimettere mano a tal riguardo. Quindi, rispondiamo alle obiezioni che abbiamo sentito poc'anzi, ma anche in Commissione, affermando che la soglia del 4 per cento rimane.
Inoltre, ci sono delle proposte per avere un election day ancora di più ampia portata. C'è chi lavora per introdurre nella stessa giornata anche la consultazione referendaria in materia elettorale.
Non è cosa di poco conto quanto viene chiesto con quel referendum perché, a memoria, ricordo che già dal 1996 in quest'Aula si è cercato di fare un passaggio di portata storica tentando di abolire anche quella piccola quota proporzionale che poteva consentire a partiti, seppur piccoli, ma presenti nel territorio - una certa soglia di sbarramento c'è sempre stata per le nostre elezioni politiche - di presentarsi anche da soli con il proprio programma di fronte all'elettorato costringendoli ad entrare nella famosa proposta del bipolarismo.
Dopo sono stati fatti altri tentativi: nel 1996 con la proposta di legge Rebuffa, che ricordo ancora benissimo, per fortuna naufragata all'interno di quest'Aula e, successivamente, con altre proposte ed altri referendum a tal riguardo che, in buona sostanza, hanno tentato di portare dal bipolarismo, conquistato in questo Paese, al bipartitismo. C'è stato un referendum a tal riguardo poco tempo fa: non ha raggiunto la soglia di partecipazione dei nostri concittadini e, quindi, è stato riproposto.
Si tratta di proposte tutte legittime, però voglio evidenziare il motivo per cui il nostro movimento è contrario ad «annacquare», insieme ad altre tre o quattro schede, un referendum di così vasta portata che andrebbe a scrivere una nuova pagina di storia della nostra Repubblica, almeno sulla vita democratica e la partecipazione politica dei nostri cittadini e della loro rappresentanza (che saremmo noi).
A nostro avviso, poiché già c'è l'election day e si vota per il sindaco, per la provincia e per le elezioni europee, aggiungere Pag. 8un'altra scheda nel primo turno di ballottaggio per decidere se si deve passare dal bipolarismo al bipartitismo (perché i premi di maggioranza andranno alla lista e non più alle coalizioni) ci sembra cosa estremamente delicata da affrontare.
Un tema di così grande importanza per noi richiederebbe una tornata elettorale a sé stante. Anche perché, per chi continua a chiedere tanto, è giusto ricordare che un cittadino si troverebbe a dover scegliere il sindaco, a dover esprimere la preferenza per il suo consigliere comunale, a dover scegliere il presidente della provincia (il candidato consigliere provinciale è eletto nel collegio uninominale), avrebbe una terza scheda per le elezioni europee (dove si possono esprimere fino a tre preferenze) ed infine anche quest'altra scheda dal contenuto importante, come dicevo prima, ossia quella del referendum proposto.
So che si sta dialogando ancora in queste ore, c'è chi propone di accorpare al ballottaggio eventualmente il referendum. Noi abbiamo la nostra posizione, poi ci adegueremo alle scelte e agli indirizzi che arriveranno con tutte le proposte dei vari partiti. Certo al secondo turno, al ballottaggio, la cosa si semplificherebbe un po' perché non ci sarebbero più le preferenze per i consiglieri comunali e per quelli provinciali, non ci sarebbe nemmeno la schede delle europee; non ci sarebbe, quindi, la necessità di scrivere le tre preferenze, perché alle elezioni europee si vota con il turno unico: sarebbe un po' più semplice.
La nostra posizione comunque è questa. Non siamo ancora entrati in campagna elettorale per il referendum, si sta però delineando forse il tentativo da parte dei promotori di crearsi un alibi in previsione che vada a finire male, come l'ultimo che aveva gli stessi contenuti, dicendo «cercano di spiazzarci e di non abbinarlo perché così la gente non va a votare».
Se chi propone il referendum è consapevole della portata della sua proposta, avrà anche tutti i mezzi per coinvolgere, anche emotivamente, il corpo elettorale su una scelta di questo genere. Poi, se i cittadini decidono di andare andranno, altrimenti hanno già dimostrato di essere molto maturi nelle loro scelte e di sapere anche cambiare orientamento quando è necessario farlo. Non abbiamo a che fare con un corpo elettorale immutabile che, scelto una volta un movimento o una linea politica, non cambia mai; hanno dimostrato di saper cambiare anche troppo spesso.
In buona sostanza questo è il motivo della discussione generale relativa a questo decreto-legge sul quale ribadisco un giudizio favorevole da parte del nostro movimento, con le criticità che vedremo se si risolveranno nel corso del pomeriggio relativamente ai punti sui quali si sta ancora discutendo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, ringrazio il Governo per l'attenzione che vorrà riporre a questi nostri interventi. Intanto credo che la relatrice abbia dato il segno, un segnale importante rispetto ad una problematica che io ritengo quanto meno delicata e soprattutto significativa. Qui abbiamo una valutazione d'assieme da fare: c'è stato, per dire la verità, uno sforzo intelligente da parte della maggioranza di quest'Aula (poi voglio capire quali sono i confini e le propaggini di questa maggioranza, questo cercherò di evidenziarlo nel corso del mio intervento). Come dicevo, signor Presidente, c'è stata da parte di questa maggioranza un'attività intelligente, quella di ridimensionare la portata del provvedimento; la relatrice per la verità, nelle valutazioni che ha svolto, sia in Commissione sia in Aula, si è sottratta da tutto questo.
Quando parlo di ridimensionamento intendo che si vuole ridurlo semplicemente ad un fatto procedurale e tecnico. Se fosse semplicemente un fatto procedurale e tecnico il nostro confronto potrebbe concludersi in termini affrettati, dovremo subito comprendere quali sono i passaggi per la conversione di questo decreto-legge.
Io ritengo, invece, che esso abbia una sua valenza sul piano politico perché attraverso Pag. 9queste indicazioni, ossia la normativa predisposta dal Governo ed il testo che ci perviene dal Senato, evidenzia due aspetti e due problemi che sono oggi di grande attualità. Mi riferisco, in primo luogo, al problema del ruolo delle formazioni politiche, e quindi del pluralismo, del sistema proporzionale, del passaggio dal bipolarismo al bipartitismo, nonché al secondo aspetto, che credo sia rilevante anche sul piano politico, del significato, soprattutto sulla base delle esperienze pregresse, del rapporto tra i referendum, e quindi tra gli atti di democrazia diretta, e gli atti di democrazia rappresentativa.
Signor Presidente, questi aspetti configurano una problematica estremamente delicata; qualche giorno fa già abbiamo avuto modo di affrontare temi legati alle elezioni, quando ci siamo occupati della riforma del sistema elettorale per l'elezione del Parlamento europeo, e anche lì si è verificata una situazione un po' schizofrenica. Tanto per capirci: la Commissione I ha affrontato l'esame di questo provvedimento, ne ha discusso, ma poi ad un certo momento c'è stato un blocco. Era stato presentato un testo predisposto dalla maggioranza (credo a firma dell'onorevole Bocchino) che prevedeva l'eliminazione delle preferenze e una soglia del 4 per cento per quanto riguarda il diritto di cittadinanza, tra virgolette, nel Parlamento europeo. Dopo alcuni mesi tutto questo è stato rivisto e riproposto in Aula con il mantenimento semplicemente della soglia del 4 per cento per accedere al Parlamento europeo, perciò anche in quel testo furono mantenute le preferenze.
Qui ci troviamo dunque a capire, per quanto riguarda il riferimento svolto dalla relatrice mentre illustrava il provvedimento al nostro esame così come ci è pervenuto dal Senato ed è stato modificato dalla Commissione I, che non si tratta semplicemente di un problema di accesso ai finanziamenti pubblici. Dal Senato è stato trasmesso il testo contenente l'indicazione del 2 per cento e poi l'onorevole Stracquadanio ha presentato un suo emendamento, che certamente non è nato semplicemente dalla intelligenza che noi gli riconosciamo, ma da un'immissione - diciamo così - di contributo politico che è provenuto dalla parte politica di cui egli fa parte. Di questo non c'è dubbio perché stravolgere il provvedimento esaminato dal Senato, a mio avviso, non significa limitare l'accesso ai contributi anche perché, come è stato detto chiaramente, chi profonde i contributi è noto e ovviamente bisogna capire qual è il tavolo in cui si spartiscono questo contributo e il lucro delle risorse.
Su questo aspetto c'è stata un'indicazione molto chiara da parte del PdL, ma vorrei capire qual è la discussione che sta avvenendo anche con il PD perché non vorrei che ci sia l'emendamento dell'onorevole Stracquadanio, quello del 4 per cento, e poi l'intervento dell'onorevole Vassallo - ovviamente il fatto è rassegnato, si dice così, in Commissione - che crea un problema. Egli infatti parla di disarmonizzazione, di disincronia tra la previsione della soglia del 4 per cento per l'elezione al Parlamento europeo e il suo abbandono, invece, al Senato a favore del 2 per cento che fa intravedere in tale norma (quella del 2 per cento) un allontanamento, una contraddizione, nonché una certa equivocità e ambiguità rispetto al testo approvato dal Senato.
Signor Presidente, ciò significa che si sta discutendo del problema del pluralismo, ma anche di un altro aspetto su cui vedo convergenti sia il PD, sia il PdL, ovvero il mantenimento di questo sistema bipolare. Si dice, infatti, che in queste ore stanno trattando, ad esempio, sull'eventuale contestualità dello svolgimento del referendum con le elezioni amministrative ed europee (qualcuno prevedrebbe anche il secondo turno). Tutto ciò crea ovviamente confusione, ma soprattutto qualche preoccupazione e qualche sospetto in più, in quanto è in gioco la soglia del 2 o del 4 per cento. Bisogna, inoltre, capire se in questo Paese c'è la possibilità che le piccole formazioni abbiano cittadinanza e possano concorrere, soprattutto per il Parlamento europeo, con le loro idee a programmare e a progettare un adeguamento dell'Europa. Tutti sanno, infatti, quanto è necessario un adeguamento di un'Europa, Pag. 10che manca e sta mancando tutti i suoi appuntamenti più significativi e più importanti.
Quindi, non vi è dubbio che il problema è questo bipolarismo. Vi è già il fallimento, in quanto non c'è il bipolarismo e figuriamoci se si arriverà al bipartitismo. Le crisi di alcune formazioni politiche stanno ad indicare non la loro crisi, ma la crisi di questo bipolarismo che certamente non ha senso, non ha significato e sta bloccando ogni possibilità rispetto ai percorsi di democrazia sia rappresentativa, sia diretta.
Non vi è dubbio, signor Presidente, che il problema è questo e non la questione della soglia al 2 o al 4 per cento. Vogliamo rivedere il rifinanziamento dei partiti? Rivediamolo. Si tratta di un problema di rifinanziamento dei partiti? Credo che ciò non sia in discussione e non vi è dubbio che il tema sia un altro. Mi dispiace che non siano presenti moltissimi colleghi del PD, in quanto vorremmo che il PD chiarisca questa situazione di ambiguità. Non vorremmo, infatti, che anche con il nuovo segretario del Partito Democratico ci fosse un'appendice e una coda all'accordo fatto nel periodo elettorale (o preelettorale) tra Berlusconi e Veltroni che certamente un po' ha annullato le piccole formazioni che oggi, anche attraverso un gioco delle parti, si cerca di annullare maggiormente.
Si tratta di una questione di carattere politico dove ognuno svolge il proprio dovere. Credo che il PdL sia stato coerente rispetto ad una posizione, ma bisognerebbe chiarire l'equivocità e l'ambiguità del PD. Infatti, come è stata perdente la linea di Veltroni, credo che sarà perdente anche la linea del giovane segretario del PD che il partito ha scelto con grande entusiasmo anche se misto a necessità e soprattutto all'esigenza di mantenere una propria vita (anche se non si sa fino a quando).
Non vi è dubbio che questo è il problema su cui bisogna discutere. Ripeto che noi siamo per la soglia al 2 per cento, anche se ho presentato insieme ai collegi un emendamento a scalare verso il 3 per cento. Tuttavia, la scelta della soglia al 2 per cento è una scelta di identità e di caratterizzazione del Parlamento europeo, di difesa del pluralismo e soprattutto di superamento di questo bipolarismo.
Anche nei dibattiti e nelle discussioni di questi giorni c'è sostanzialmente un accordo rispetto al mantenimento del sistema delle alternanze. Mi chiedo, tuttavia, cosa significhi il sistema delle alternanze, quando qualcuno diceva che bisogna finirla con i Governi che durano pochi mesi. Io sono certamente per il mantenimento e il rafforzamento dei poteri del Presidente del Consiglio dei ministri. L'altro giorno, in televisione ho sentito qualche sindaco del PD che parlava dell'intangibilità del voto maggioritario e diretto per l'elezione del sindaco e del presidente della provincia e della regione. Ma cosa porta questo discorso? Un restringimento dell'area della democrazia e di quella della partecipazione.
Il vero dato che il PD dovrebbe capire è che nel 2006 fu approvata una modifica costituzionale che un successivo referendum ha sbalzato fuori. Anche lì si prevedeva una differenziazione di ruolo tra la Camera e il Senato, una riduzione dei parlamentari e un aumento dei poteri del Presidente del Consiglio dei ministri.
Queste grandi contraddizioni, che ovviamente non credo determinino percorsi facili per nessuno (certamente non per coloro che li fanno), debbono porci una questione di fondo: in questo momento vi è una grande confusione. Prima al Senato, il Popolo della Libertà era d'accordo per il 2 per cento, poi in Commissione affari costituzionali l'onorevole Beatrice Lorenzin nella sua relazione non fa cenno - perché non ha una visione aggiornata degli accordi e delle intese all'interno del suo partito - né al 2 né al 4 per cento, ma si rimette al testo del Senato. In seguito, vi è lo scoop dell'onorevole Stracquadanio, con l'emendamento soppressivo dell'articolo 1-bis. Infine, vi è un'altra notizia di questa mattina, come accennavo poc'anzi, secondo la quale sembra che vi sia un tentativo di accordo, in queste ore, per ulteriori interventi in merito al referendum. Pag. 11
Per quanto riguarda i referendum, signor Presidente, sono d'accordo con il testo pervenuto dal Senato, che è stato difeso dalla relatrice, Beatrice Lorenzin, volto a mantenere disgiunte dal referendum l'elezione del Parlamento e le elezioni amministrative. Sono due fatti diversi, uno è espressione di democrazia rappresentativa, l'altro di democrazia diretta. Non riesco a capire perché alcuni colleghi si ostinino ad accorpare nell'election day questi tre momenti, che devono rimanere assolutamente diversificati. Il problema è capire cosa sia il referendum.
Non vi è dubbio che il riferimento, più volte fatto, all'articolo 75 della Costituzione ponga un problema grosso. Nel nostro Paese, vi sono sempre stati grandi problemi per quanto riguarda i referendum. Qualcuno oggi sta ricordando il referendum del 1987 sul nucleare, perché oggi è di attualità il ritorno al nucleare, mentre qualcun altro sta ricordando il referendum del 1974, forse l'unico referendum rispetto al quale il Paese ebbe contezza del quesito referendario. Infatti, gli altri referendum sono stati ambigui, come quelli del 1987, quello del 1991, che poi ha prodotto il nuovo sistema elettorale, con la limitazione ad una preferenza nel 1992. È stato ambiguo ed equivoco anche il referendum del 1993, che poi ha partorito il sistema elettorale con il 75 per cento di quota maggioritaria e il 25 per cento di proporzionale, ma sono stati ambigui tanti altri referendum (59 referendum). Vi è sempre un professionismo, un movimento professionista, sui referendum. La democrazia diretta, che sostituisce la democrazia rappresentativa, non può esser un fatto normale. Dovremmo regolare i referendum, che dovrebbero avere quesiti ben precisi e puntuali.
Signor Presidente, certamente la Corte costituzionale non è il vangelo, la cui validità e il cui messaggio salvifico nel mondo durano per millenni, ma vive le intemperie e soprattutto i sistemi meteorologici del momento e le contingenze rispetto a condizionamenti vari. Questa sacralità della Corte costituzionale non la vedo e non l'ho vista, soprattutto quando ha dato il via ad alcuni referendum.
Siccome molte volte non si ha il coraggio, perché non si può parlare male della mamma o del papà, ritengo che saremmo certamente poco espressivi e poco rappresentativi del nostro ruolo, se non dicessimo con molta chiarezza ciò che pensiamo anche di questa lunga linea di ambiguità, che vi è stata nel Paese, forse per qualche responsabilità del Parlamento, ma ritengo che anche le responsabilità di altri organi costituzionali non sono da meno, se non vogliamo parlare di «casta» per alcuni e di «virtù» per altri. Ritengo che questo manicheismo e questa visione un po' ancestrale e distorta che abbiamo, debba essere certamente abbandonata.
Allora, il problema riguarda il referendum. Non si possono presentare quesiti referendari che il cittadino non capisce, con microchirurgie, il piccolo spostamento, la piccola parola, la piccola strumentalizzazione. Che fine hanno fatto i referendum? Nel referendum sul nucleare non vi era una dicitura chiara, «sì» o «no» al nucleare, ma vi è stata un'operazione per cui la gente ha votato pensando di votare «sì» o «no» al nucleare, mentre la traduzione della politica è stata quella più nefasta, così com'è si è rilevato in questi giorni.
Vi è stato anche il fenomeno dell'astensionismo, sull'altro importante referendum sulla legge del 1987 che riguarda la procreazione assistita. Vassallo afferma che bisogna pur fare i tre referendum perché tanto chi non vuole partecipare può rifiutare la scheda e che con l'election day si possono risparmiare 300 o 400 milioni di euro (ancora non sappiamo l'importo e se il sottosegretario ci potesse dire a quanto ammonterebbe il risparmio ci darebbe anche la forza di argomentare in termini migliori, più opportuni, più adeguati). Come si fa ad affermare una cosa di questo genere? Se ci trovassimo, come è avvenuto con il referendum sulla procreazione assistita ed eterologa, dinnanzi al fenomeno dell'astensionismo, cosa succederebbe? Se il referendum sulla procreazione Pag. 12assistita fosse stato accorpato alle elezioni europee ed amministrative, tutta la gente che non voleva esprimere il proprio voto, perché voleva far mancare il quorum, avrebbe intasato questi seggi elettorali per tre o quattro giorni dato che per ognuno che rifiuta la scheda bisogna fare il verbale. Ma come si fa ad affermare queste cose?
Mi si dice che si sta lavorando per accorpare questo referendum con il secondo turno delle elezioni amministrative. Vorrei dire anche ai colleghi del Popolo della Libertà - per dire la verità, oltre alla relatrice, è rimasto soltanto il mio amico Giorgio Stracquadanio - come si fa a ragionare in questa maniera? Ragioniamo in termini politici, oppure vi è semplicemente un aspetto molto modesto e mediocre di un piccolo accordo. Lo dico anche agli amici del Partito Democratico: si tratterebbe di un piccolo e meschino accordo tra chi vuole realizzare una mediazione, una manovra come si suol dire all'italiana (non si può fare al primo turno, ma si può fare al secondo). Ma la ratio è sempre lo stessa o cambia? Se io dico «no» all'accorpamento lo dico per una motivazione politica, per non confondere, perché il referendum deve dare senso e significato ad un quesito importante e fondamentale, ed è un momento di democrazia diretta che non può essere confuso con la democrazia rappresentativa (abbiamo ampiamente illustrato l'esorbitanza di questa democrazia diretta rispetto a quella rappresentativa, la sua equivocità, la confusione, l'interconnessione, gli spazi che occupa).
Come si fa a pensare che vi possa essere una mediazione su questo piano? Allora, veramente, signor sottosegretario - so che il suo Ministro sta trattando per una soluzione -, ve lo dico con estrema chiarezza, non vi è nulla di politico, è tutto un fatto tattico. Questo è il bipolarismo che voi inseguite: sacrificare, nel nostro Paese, il momento della democrazia rappresentativa e di quella diretta. Tanto vale, allora, svolgere il referendum nell'election day, nello stesso giorno dell'elezione del Parlamento europeo e delle elezioni amministrative. Non vi è un problema di confusione dell'elettore; l'elettore è già confuso per tanti motivi. Vi è il problema di far capire, e di far prevalere quesiti referendari che dovrebbero essere più chiari. Capisco che questi comitati hanno una grande professionalità; in questo nostro Paese vi sono molti professionisti che vivono con l'antimafia e con i referendum.
C'è gente che vive su questo, e certamente molte volte non per realizzare provvedimenti o iniziative adeguati e nell'interesse del nostro Paese. Signor Presidente, annuncio che il nostro gruppo ha anche presentato alcuni emendamenti. Mi riferisco, in particolare, a una proposta che riguarda la soglia del 2 per cento, che ripristina il testo proveniente dal Senato (e, a scalare, ne abbiamo presentato una che prevede la soglia del 3 per cento). Inoltre, abbiamo presentato un emendamento relativo al voto per corrispondenza esteso agli studenti universitari, in aggiunta alle altre categorie in missione fuori dal territorio nazionale: e per gli studenti che si fa? Questa mattina la relatrice mi diceva, con sensibilità, che vi sono problemi di carattere tecnico. Vorrei sentire anche il Governo, perché la relatrice, non essendo nel Governo (e per il futuro glielo auguro veramente di cuore), presuppone che vi siano fatti tecnici. Però vorrei capire se questo nostro emendamento, questa nostra proposta ha un senso e un significato anche in fieri, anche per quanto riguarda altri appuntamenti. Lo vorremo capire, visto e considerato che noi non abbiamo fatto nulla di più di quanto ha fatto la Commissione cultura quando ha fatto pervenire alla Commissione di merito il proprio parere, esprimendo questo tipo di valutazione, di condizione e di indicazione. Anche per correttezza nei confronti dei colleghi membri delle altre Commissioni dobbiamo capire e comprendere se questa è una materia irricevibile o temporaneamente irricevibile, per motivi semplicemente tecnici, problematici, che potrebbero trovare una loro definizione e risoluzione nel prosieguo del tempo.
Questo è il dato che noi poniamo oggi all'attenzione. Come abbiamo visto, signor Pag. 13Presidente, non si tratta di un problema tecnico o semplicemente procedurale (non si tratta del 2 o del 3 per cento, di chi è interessato e di chi non è interessato). Avrei capito se, per consentire l'accesso ai contributi elettorali, vi fosse stata una rivisitazione della legge (non si hanno più contributi), anche perché la legge precedente, in vigore, prevede che per accedere ai contributi bisogna avere eletto un deputato. Questo serve anche per la raccolta delle firme (chi ha un deputato eletto è sollevato da questa incombenza).
Ritengo, signor Presidente, che abbiamo un dato molto importante in questo momento. Vedere indicato anche questo passaggio dell'election day, e del referendum insieme all'elezione del Parlamento europeo e alle amministrative, crea grande confusione. Anche per quanto riguarda il Parlamento europeo - lo dico a lei, Presidente, che è stato autorevole e prestigiosissimo Ministro per le politiche comunitarie - l'Europa meriterebbe una valutazione, un approfondimento e una campagna elettorale, che invece si basa semplicemente, si estrinseca e si traduce unicamente nell'interesse di chi va e chi non va al Parlamento europeo, e nel numero di sedie che ottiene quella o quell'altra formazione politica. Tutto ciò è importante, ma non credo che si tratti di un fatto esclusivo e fondamentale, perché il numero dovrebbe essere legato anche al dato e al disegno politico, e credo che di questa Europa si dovrebbe anche discutere nel confronto elettorale.
Se il referendum dovesse essere indetto nello stesso giorno del secondo turno elettorale ciò, ovviamente, sarebbe nell'interesse dei referendari, i quali sanno che per avere il quorum devono agganciare il referendum alle elezioni amministrative o a quelle per il Parlamento europeo, che suscitano interesse e richiamano gli elettori. Dobbiamo capire se del referendum si parlerà, in particolare se si parlerà del quesito referendario, perché con le elezioni nelle province e nei comuni non c'è spazio. Allora si sacrifica sia la democrazia diretta sia quella rappresentativa (la diretta certamente). A che serve poi tutto questo? A che serve la sceneggiata che farà qualche referendario dicendo che non ha spazio nelle televisioni? Poi ci va chi ha sempre avuto la volontà di andare in televisione, anche perché chi ci va spesso, poi deve mantenere il ritmo, altrimenti, se perde un passaggio, viene ad essere posto nell'oblio, per dir così, o nel dimenticatoio (o nel limbo, tanto per stare in una formazione culturale cristiano-giudaica, signor Presidente!).
Dunque, non vi è dubbio che il dato vero è che qui stiamo preparando un elemento tecnico, e soprattutto con questo tipo di valutazioni, o devianze, facciamo scadere un confronto elettorale, durante il quale si parlerà poco di Europa e molto di province e di comuni. L'Europa sta dimostrando limiti enormi: noi, quando abbiamo deliberato la legge comunitaria, in questa sede ne abbiamo evidenziato i percorsi un po' asfittici e soprattutto di breve e corto respiro, come dicevo, e avremmo dovuto coinvolgere l'elettorato. Poi ci lamentiamo che l'Italia è assente al dibattito europeo e che i cittadini vedono l'Europa distante, lontana. Ritengo che, invece, sarebbe molto serio avviare un dibattito e un confronto sull'Europa, collegato alla politica delle regioni e dei comuni, dove certamente va bene anche il voto diretto per il sindaco, per il presidente della provincia, per il presidente della regione, ma possiamo prevedere un controbilanciamento da parte dei consigli attraverso la sfiducia costruttiva, per far sì che questi consigli non siano semplicemente il consiglio del principe.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Tassone.

MARIO TASSONE. Concludo, signor Presidente. Anche questi consigli presentano limitazione di democrazia e, come si suol dire, di agibilità democratica. Dunque, signor Presidente, ritengo che tutto questo ci porta a dover registrare una grande confusione, soprattutto - lo dico ancora una volta - se dovesse passare il referendum agganciato al secondo turno. In questa grande confusione certamente si Pag. 14discuterà dal punto di vista tecnico, perché vi è una gran parte che tende a discutere dal punto di vista tecnico, per celare problemi e temi di carattere politico.
Mi dispiace, mi duole moltissimo se in tutto questo vedo un sistema compatto, un'alleanza compatta, formidabile, tra il Popolo della Libertà e il Partito Democratico. L'accordo Veltroni-Berlusconi continua, e anche l'erede di Veltroni si sta dando da fare affinché il suo predecessore non sia smentito. Ciò che viene smentita è la democrazia, l'essenza della democrazia. Rimane sicuramente nell'Unione di Centro la grande proposta per andare avanti. Abbiamo lottato per mantenere le preferenze per l'elezione al Parlamento europeo. Faremo ancora una battaglia con vigore perché siano introdotte le preferenze per l'elezione del Parlamento nazionale, sia per la Camera del deputati sia per il Senato della Repubblica. Ritengo che sia questo un segno dei tempi che noi vogliamo coltivare e valorizzare, in piena coerenza con la linea del nostro impegno, della nostra storia e della nostra azione politica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Piccolo. Ne ha facoltà.

SALVATORE PICCOLO. Signor Presidente, vorrei subito rassicurare l'onorevole Tassone - infatti credo che ve ne sia la necessità, avendo sentito alcune affermazioni nel dibattito - che nella posizione del Partito Democratico non vi è alcun margine di ambiguità, e non ve ne è soprattutto sulla questione dei meccanismi elettorali che devono caratterizzare l'efficienza e la funzionalità di un sistema democratico moderno e aggiornato. Non c'è nessuna coda velenosa di un presunto accordo fra Veltroni e Berlusconi, non c'è mai stato alcun accordo alle elezioni politiche.
Vi è stata una scelta coraggiosa dell'onorevole Veltroni e del Partito Democratico di scendere nella competizione elettorale senza ripetere l'infausta esperienza di una coalizione rissosa, cercando, attraverso un comportamento elettorale, attraverso la presentazione di poche liste, di rettificare di fatto un sistema elettorale che origina una frammentazione che sicuramente è stata nel nostro Paese e nel nostro sistema un male oscuro.
Anzi, oggi forse è un male abbastanza chiaro, che ha determinato una degenerazione complessiva del sistema politico, che ha causato - e questo non sfugge a nessuno, perché sarebbe ipocrita non ammetterlo - un'instabilità e un'inefficienza dei governi, sia a livello locale sia nazionale, che ha provocato un depauperamento della rappresentanza politica e istituzionale, perché non vi è un filtro selettivo della classe dirigente. Un Paese e una democrazia si reggono se riescono a selezionare con regole severe e selettive una classe dirigente al governo delle comunità.
Il Partito Democratico su questo ha una posizione chiara, netta e precisa, che non ammette eccezioni di ambiguità: noi siamo contrari alla frammentazione, siamo per la riduzione della frammentazione. Ovviamente, ciò tenendo conto che vi è un principio costituzionale che garantisce il pluralismo, ma il pluralismo, in un sistema moderno, dev'essere un pluralismo sobrio, severo, che sia effettivamente e autenticamente rappresentativo di posizioni e di opinioni largamente diffuse e consolidate nell'opinione pubblica, nell'animo e nella cultura di un popolo, e non sia rappresentativo di modeste ambizioni personali, di segmenti di interessi e di convenienze o di nicchie di consenso, guidate clientelarmente, e molto spesso con ambizioni esclusivamente personalistiche. Così non si costruisce una democrazia moderna, così non si costruisce una democrazia efficiente.
Il pluralismo è tale se è rappresentativo di porzioni di intelligenza dell'opinione pubblica, ma di porzioni consolidate, che si esprimono anche in un consenso elettorale adeguato. Non è possibile che il pluralismo possa significare la rappresentazione informe, diffusa, confusa e qualunquistica di tante piccole opinioni che, molto spesso, hanno riguardo essenzialmente alla convenienza personale o, tutt'al più, di una piccola parte del Paese. Pag. 15
Dunque, su ciò noi abbiamo assunto questa posizione chiara: abbiamo proposto una modifica della legge elettorale europea che sanciva una soglia di sbarramento del 3 per cento. Abbiamo accettato poi, come ipotesi di mediazione possibile, quella del 4 per cento, ma il principio era e resta fissare un argine all'alimentazione di una frammentazione degenerativa.
Chi non si accorge che nelle comunità locali, nei comuni e nelle province, i governi, sia di centrodestra sia di centrosinistra, sono molto spesso allo sbando, affidati ai capricci e condizionati dai capricci di tante piccole espressioni di liste civiche o di partiti, non conosce la realtà del nostro territorio e non rende un buon servizio all'efficienza e alla crescita della nostra democrazia.
Noi continuiamo a perseguire un modo di essere e di pensare che alimenta nell'opinione pubblica una legittima diffidenza, più aumentano i partiti e più aumentano le liste civiche. In questi mesi ancora - lo voglio dire, signor Presidente - continuano a sorgere partiti e movimenti: sono espressione di una larga idea politica, o sono piuttosto il sintomo di una volontà di collocarsi, di posizionarsi, in attesa di eventi politici che possono realizzare alcune aspirazioni personali?
Diciamolo francamente (al Paese bisogna parlare il linguaggio della verità): basta con questa mistificazione ipocrita che, secondo un principio di rappresentanza e di un finto pluralismo, non arricchisce il Paese di idee e di qualità di governo. Basta con questa ipocrisia che non tiene conto delle necessità e dei bisogni veri di un Paese che oggi, tra l'altro, attraverso una profonda crisi sociale ed economica.
Rispetto a questa crisi economica e sociale, anche questi provvedimenti meritano la giusta attenzione. Il disegno di legge di conversione che oggi è all'esame del Parlamento, al di là di alcune misure meramente tecniche e di aggiustamento della normativa in atto, presenta due aspetti essenziali (è stato detto da tutti, la posizione del Partito Democratico è stata in particolare spiegata dall'onorevole Vassallo).
Il primo aspetto, quello più serio, riguarda il referendum e l'accorpamento in un unico turno elettorale di diverse scadenze elettorali. L'election day - con lo spostamento del turno elettorale delle amministrative, comunali e provinciali, al mese di giugno rispetto al normale turno che annualmente cade quasi sempre a fine aprile o inizio maggio - è stato giustificato solennemente all'esterno ed è stato giustamente motivato con la necessità di evitare - nella difficile situazione economica che vive il Paese - lo sperpero di risorse. A questo proposito, vorrei dire a chi fa tante eccezioni sull'accorpamento del referendum che ci sarebbe da discutere se svolgere le elezioni amministrative insieme con quelle europee serve a valorizzare l'impegno europeo o invece lo confonde. Però c'è un'esigenza primaria, vale a dire che oggi il Paese ha bisogno di risparmiare risorse. Non possiamo gettare milioni di euro per tante scadenze elettorali. Ma voi immaginate cosa si sta preparando per gli italiani nel mese di giugno? Si vota un sabato e una domenica di giugno, cioè in una fase già feriale dell'anno, quasi estiva, poi si vota dopo quindici giorni e poi si voterà in un'altra domenica ancora. Si chiamano cioè in un mese tre volte i cittadini a votare. È una follia - questa sì - politica ed istituzionale! È ovvio quale è il fine che si intende perseguire, è molto chiaro: elettori stressati, già impegnati da due turni elettorali, sono sostanzialmente demotivati e spinti a disertare le urne. Mi pare abbastanza chiaro.
Quindi, c'è una grande contraddizione: da un lato si dice che si fa l'election day per risparmiare fondi e risorse e si abbinano le elezioni europee con quelle provinciali e comunali, e dall'altro poi si tiene separata la consultazione referendaria. Ciò comporta un aggravio di spesa che supera i 400 milioni di euro, anche perché si continua a votare in due giornate (ora il sabato e la domenica, per anni si è votato in un solo giorno e in questo Paese non è successo niente di traumatico, si sono solo Pag. 16risparmiate risorse). Voteremo di sabato, domenica e lunedì, per un totale di sei giorni in un mese dedicati allo svolgimento di consultazioni elettorali, con un dispendio di risorse superiore ai 400 milioni di euro, e non mi pare una piccola cifra di questi tempi.
Ha detto bene l'onorevole Franceschini, quando molto seriamente ha fatto una proposta di destinazione di queste risorse che vengono risparmiate. Il Governo e la maggioranza parlano tanto di sicurezza in questo Paese: molte parole e pochi fatti. Sicuramente non abbiamo avuto in questi mesi un'evoluzione positiva della sicurezza nel Paese, al di là delle declamazioni sussurrate e amplificate attraverso i mass media. Vorrei confrontare dato per dato, per vedere da un anno all'altro dal punto di vista della sicurezza che cosa è cambiato e che cosa è migliorato in questo Paese. Quindi, ci troviamo in un momento di difficoltà che tutti, anche l'Esecutivo, riconoscono, e che il Governo dichiara di porre tra i primi punti all'ordine del giorno.
Inoltre, si riduce il problema della sicurezza all'istituzione delle ronde: una grande invenzione fatta per soddisfare l'immagine di un partito della coalizione, come se le ronde potessero risolvere effettivamente il problema del Paese. Non sarebbe, invece, più utile immaginare che i circa 400 milioni di euro fossero destinati, come hanno proposto l'onorevole Franceschini e il Partito Democratico, alle forze dell'ordine, che mancano di mezzi adeguati e che hanno bisogno di tecnologie avanzate, di personale e di risorse? È una proposta così demagogica? Adesso è di moda definire tutte le proposte dell'opposizione come demagogiche. Quando erano poche, si diceva che non vi erano; quando vi sono, sono demagogiche. La verità è che si vorrebbe che l'opposizione si appiattisse sulle proposte del Governo.
Il Partito Democratico ha detto e ribadito in più occasioni che di fronte a proposte serie e concrete, che vanno nell'interesse del Paese e verso la risoluzione dei problemi, contribuirebbe a votarle in Parlamento. Ciò è stato affermato dall'onorevole Franceschini a proposito dell'indennità di sostegno ai precari e mi sembra che anche quella sia una proposta concreta. Ma torniamo al tema in discussione.
Perché non svolgere i referendum nella stessa giornata? Alcune obiezioni che ascolto mi sembrano assolutamente fragili e molto strumentali, secondo le quali l'elettore non è consapevole che, pur recandosi a votare, può non partecipare al referendum non ritirando la scheda. Se vi è una pratica che in questo Paese è stata diffusa ed abusata, oltre ogni limite, è il ricorso, per me eccessivo, ai referendum. Quanti referendum abbiamo svolto in questo Paese? Credo alcune decine. Vi sono state giornate in cui si è votato per sette o otto referendum: l'elettore era ormai così smaliziato e consapevole, che ha reso possibile, nella stessa tornata, che alcuni referendum raggiungessero il quorum e altri no, a dimostrazione concreta che, ormai la pratica e l'esercizio del voto al referendum è diffusa e conosciuta dall'elettore. Pertanto, ritengo che questa obiezione sia molto fragile e difficile da sostenere.
Non credo che in un sistema democratico lo Stato debba disincentivare o, addirittura, ostacolare la partecipazione al voto. Che concezione è questa della democrazia? Quella di uno Stato che si organizza, o mette in moto, meccanismi di svolgimento di una consultazione elettorale per tentare di arginare o di scoraggiare la partecipazione? Non mi si dica che non è così, perché è molto evidente.
Questo sistema, in questo contesto e in questo momento particolare del Paese, rappresenta, politicamente parlando, un vero furto di democrazia ai cittadini di questo Paese. Ad essi si impedisce un pronunciamento serio su una legge elettorale che, giustamente, è stata definita un «porcellum», una legge sciagurata, ignominiosa, che ha offeso l'animo degli italiani e che, peraltro, è stata usata maldestramente anche dai partiti. È necessario dirlo con grande consapevolezza.
Tuttavia, non basta dirlo e non basta che in Parlamento, o altrove, o in altre Pag. 17sedi, tutti recitino il «predicozzo» della legge che è un «porcellum»: è passato un anno e non si è fatta alcuna modifica, né è stata messa in cantiere da parte della maggioranza e del Governo, che è così celere in altri passaggi della vita istituzionale. Non si è fatto niente, sapendo che vi era un referendum alle porte.
Non si è fatto niente per modificare questa legge che tutti abbiamo giudicato obbrobriosa. È il paradosso in questo Paese: un Parlamento, che in tutte le sue espressioni politiche e in tutti i suoi rappresentanti giudica ignominiosa una legge (finanche il suo proponente l'ha giudicata un porcellum), poi la mantiene in piedi e non fa niente, anzi, fa una sola cosa: tenta di impedire il raggiungimento del quorum in un referendum che mira a modificare questa legge elettorale. Questa è l'ipocrisia massima nella quale possono precipitare la politica e i partiti.
Noi ci battiamo e ci batteremo fino in fondo, senza mediazioni, sul secondo turno; noi chiediamo - lo abbiamo detto espressamente, lo ha dichiarato Franceschini con un linguaggio chiaro che non ammette equivoci - che il referendum sia abbinato in un unico turno elettorale con le elezioni amministrative e le elezioni europee. Non siamo d'accordo a mediazioni di risulta che non servono a niente e che, tra l'altro, infrangono un principio di corretto svolgimento delle relazioni democratiche e istituzionali anche all'interno del Parlamento.
Il secondo aspetto, molto più problematico, che è stato affrontato efficacemente dall'onorevole Vassallo riguarda il finanziamento pubblico. Ha detto bene l'onorevole Vassallo, vige una legge che qualifica come contributo per il rimborso elettorale quello che è un vero e proprio finanziamento pubblico: anche questo è un infingimento e un'ipocrisia normativa.
Rispetto a questo problema si pone una riflessione che non può essere pregiudiziale (vorrei dire astratta), ma è una riflessione problematica. Attraverso la legge elettorale per le elezioni europee votata a larghissima maggioranza abbiamo fissato lo sbarramento al 4 per cento, rispetto alla nostra proposta (lo ripeto) del 3 per cento. Al Senato, poi, in corso di conversione del decreto-legge che abbinava le elezioni europee a quelle amministrative è stato introdotto l'articolo 1-bis che prevede una soglia del 2 per cento dei voti validi per accedere al contributo elettorale.
Appare una contraddizione, c'è poco da fare, su questo non ci può essere gioco dialettico o gioco politico: c'è una contraddizione che può avere anche una sua motivazione e una sua spiegazione plausibile, se però è ben posta e ben motivata. La spiegazione è che vogliamo ridurre la frammentazione, ma non vogliamo soffocare del tutto e assolutamente il pluralismo; vogliamo dare respiro ad un pluralismo serio, come ho affermato all'inizio del mio intervento, però sicuramente passare dal 4 per cento della soglia di accesso alla ripartizione dei seggi al 2 per cento (pari alla metà) della soglia di accesso al contributo ingenera certamente qualche perplessità. Infatti, non è vero che in un sistema democratico il pluralismo si garantisce con il finanziamento a carico dello Stato, anche se questa è una tesi molto diffusa soprattutto in questi tempi in cui la diffidenza dell'opinione pubblica nei confronti delle istituzioni è, purtroppo, molto diffusa; ciò richiederebbe che si lavorasse tutti insieme per ingenerare una speranza e una fiducia diversa nell'opinione pubblica.
Il problema però esiste. Qual è la soluzione? In Commissione la maggioranza, cancellando (direi) brutalmente la norma che al Senato era stata varata con largo consenso, ha soppresso la nuova norma che portava la soglia per il contributo al 2 per cento.
Rispetto al consenso che si era raggiunto al Senato, mi sembra una forzatura sicuramente eccessiva. Io non ho la ricetta miracolosa ed affronto problematicamente la questione, avendo alcune idee chiare sull'evoluzione moderna del nostro sistema politico. Credo che su tale aspetto occorra discutere pacatamente, tenendo conto di tutte le opinioni, di tutte le osservazioni e di tutte le eccezioni, Pag. 18rimuovendo dal campo solamente quelle eccezioni che a me appaiono, francamente, strumentali e bisognose soltanto di dare un messaggio di rassicurazione all'esterno, a qualche partito o partitino. Condivido anche l'ipotesi avanzata dall'onorevole Vassallo (non a caso ho sottoscritto in sede di Commissione il suo emendamento) ovvero quella relativa alla possibilità - rispetto alla soppressione totale proposta dalla Commissione in vista di ripristinare la soglia del 4 per cento per accedere al contributo e rispetto alla norma che era stata approvata dal Senato relativa alla limitazione della medesima soglia al 2 per cento - di trovare una via di mezzo. Non so neanche se questa sia la soluzione migliore; non ho le certezze dell'onorevole che mi ha preceduto, l'amico Tassone. Non ho tali certezze, ma so che si tratta di un problema molto serio che va affrontato con intelligenza anche rispetto ai problemi complessivi che coronano i sistemi elettorali.
Sono persuaso da tempo - l'ho detto anche in occasione della discussione del disegno di legge di riforma del sistema elettorale per le elezioni europee - che la frammentazione eccessiva non aiuti la crescita democratica del nostro Paese. Purtroppo, credo che i fatti, che oggi si verificano all'interno delle istituzioni, diano ragione a questa mia convinzione.
Concludo, signor Presidente, ribadendo la nostra linea: chiediamo con forza che il referendum sia abbinato al turno unico per le elezioni amministrative ed europee e chiediamo una riflessione sul problema dell'accesso al contributo elettorale. Credo che una posizione simile non si presti né ad ambiguità né ad equivoci, ma che si tratti di una posizione chiara e assolutamente trasparente.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Favia. Ne ha facoltà.

DAVID FAVIA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il disegno di legge di conversione del decreto-legge di cui stiamo discutendo sarebbe null'altro che un'arida normativa atta a consentire il superamento della normativa europea che obbliga a limitare il voto alla domenica per intrecciarla con la normativa italiana che, invece, consente tale voto anche il lunedì e che, anzi, rende obbligatorio sviluppare il medesimo voto in due giornate. Si giunge, pertanto, al compromesso di votare in due giornate, a partire dal sabato, per concludere le operazioni di voto, in ossequio alla normativa europea, la domenica. Gli articoli successivi al primo consentono il voto ai cittadini italiani che si trovino all'estero per vari motivi. Dico subito che andrebbe esaminata un po' meglio la raccomandazione formulata dalla Commissione cultura che chiede siano ammessi a votare anche agli studenti italiani all'estero.
C'è un emendamento ad hoc presentato dall'onorevole Tassone che la maggioranza non sembra disposta ad accogliere se non sotto forma di ordine del giorno e ci sembra un problema di una certa rilevanza, ma che, come dicevamo prima, rimane confinato nell'ambito dei tecnicismi così come il consentire ai cittadini italiani residenti all'estero di votare anche per corrispondenza.
C'è poi l'articolo 4 che reca disposizioni volte ad assicurare la funzionalità delle commissioni e sottocommissioni elettorali circondariali in vista delle elezioni e, poi, si prevedono norme finanziarie, come si diceva, assolutamente tecniche.
Sennonché, irrompono nell'aridità dei tecnicismi due argomenti estremamente importanti di cui abbiamo parlato approfonditamente in Commissione e di cui si è sentito parlare anche questa mattina in Aula.
Si è voluto il cosiddetto election day ossia la votazione in un'unica giornata sia per le elezioni amministrative sia per quelle europee. Per quale motivo? Credo che la spiegazione sia banale: concentrare tutto in una giornata è positivo, non costringe i cittadini elettori ad andare alle urne più volte e consente soprattutto di risparmiare. Si tratta di una motivazione Pag. 19che ci è stata fatta presente e che abbiamo accolto con gioia, molto ben volentieri.
A seguito dell'approvazione da parte del Parlamento dello sbarramento al 4 per cento per le elezioni europee, che ha creato un dibattito sociale non indifferente in quanto il 4 per cento rappresenta più di un milione e mezzo di cittadini elettori, chiaramente c'è stata un po' una rivolta da parte di quei partiti che hanno il timore di non poter superare questa soglia.
Al fine di raggiungere una mediazione socio-politica, per così dire, al Senato era stata introdotta una norma che consentisse a quei partiti che raggiungessero una soglia del 2 per cento di avere il riconoscimento di una rappresentatività sociale attraverso la corresponsione del contributo anche senza avere una rappresentanza istituzionale. Con un emendamento votato in Commissione questa norma introdotta dal Senato è stata cassata.
Si badi che questa contribuzione non costava nulla di più alle casse dell'erario perché il fondo di rimborso è un fondo chiuso (in quanto attribuisce una certa somma x per ogni voto, quindi non può essere maggiore di tutti i voti espressi) e si badi che l'eventuale risparmio conseguente alla non erogazione del fondo a chi non raggiunga il quorum (ed ho visto begli emendamenti in proposito) non viene accantonato o devoluto ad altri investimenti che in questi momenti di crisi sarebbero i benvenuti, ma viene a sua volta ripartito tra i partiti che abbiano raggiunto il quorum. Quindi, questi danari praticamente vanno soprattutto a favore dei partiti maggiori.
Crediamo che questa norma non sia giusta perché se, da una parte, è corretto mettere ordine nella rappresentanza istituzionale, dall'altra, crediamo che comprimere la rappresentanza socio-politica, che è fatta anche di costi della politica, sia sbagliato.
L'altro elemento politico che irrompe nella discussione di questo provvedimento è il mancato accoglimento dell'istanza di accorpare anche i referendum, così come è stato fatto per le elezioni amministrative e quelle europee.
Abbiamo sentito una disquisizione in materia da parte del rappresentante della Lega che, francamente, mi lascia perplesso dal punto di vista dell'analisi giuridica.
I motivi per cui sussiste questa contrarietà da parte della maggioranza e da parte del centrodestra sono assolutamente noti. Ad una parte essenziale della maggioranza il premio concesso alla lista (ossia il cosiddetto premio di maggioranza) non garba, perché introdurrebbe il bipartitismo e non il bipolarismo (che peraltro nemmeno esiste allo stato) e, quindi, viene fatto di tutto per boicottare il risultato referendario. È ovvio che il traino che il referendum avrebbe, se fosse indetto nel giorno delle votazioni per le elezioni europee e per quelle amministrative, sarebbe tale da, come dire, far supporre che il quorum sarebbe raggiunto e, probabilmente, al raggiungimento del quorum si affiancherebbe anche il raggiungimento dello scopo che il comitato referendario si propone, cioè l'approvazione del referendum.
Ritengo che non sia in discussione - o comunque non è questa la sede - la sostanza, cioè la materia referendaria. Si può essere contrari, così come favorevoli. Quello che è estremamente grave è che si utilizzino strumenti discutibili e si dilapidi il denaro pubblico sull'altare di un interesse particolare. Questa è la realtà che stiamo vivendo in questi giorni.
Francamente, devo dire che a poco servirebbe - anche se, per carità, sarebbe da accogliere positivamente - il raggiungimento della mediazione di cui si sta parlando in queste ore, cioè di accorpare lo svolgimento del referendum che, tra l'altro, necessiterebbe l'approvazione di una legge ad hoc perché si andrebbe oltre il termine del 15 giugno, con il secondo turno delle elezioni amministrative. Chiaramente il secondo turno delle elezioni amministrative viene temuto di meno, in quanto andrebbero a votare soltanto gli elettori di quelle province e di quei comuni con popolazione superiore ai quindicimila abitanti coinvolti nel ballottaggio. Pertanto, in un certo senso sarebbe una sorta di male minore ma, come ho già Pag. 20detto, questa mediazione, che pure sarebbe apprezzabile, ci lascerebbe estremamente perplessi, perché si tratterebbe di mediare e di discutere su un interesse particolare, su un interesse di parte, quando invece il referendum, che è uno strumento costituzionale, andrebbe protetto nella sua forma e nel suo principio. Tale protezione potrebbe, in un certo senso, avvenire anche attraverso il non boicottaggio.
Ovviamente, questo appena indicato è l'elemento principale a tutela di un principio fondamentale, ma non vanno sottaciuti altre due importantissime considerazioni. Infatti, accorpare lo svolgimento del referendum con le elezioni europee e amministrative consentirebbe di risparmiare 300 o 400 milioni di euro e, in un momento come questo, francamente vedrei molto meglio che tali quattrini fossero dati alle imprese e alle famiglie in crisi, ai disoccupati già presenti o a quelli futuri, perché ormai la disoccupazione è come l'inflazione nella Repubblica di Weimar e, purtroppo, se ne conta il tasso giorno per giorno e non sarebbe male risparmiare queste centinaia di milioni.
Il secondo elemento che sottopongo alla vostra considerazione è che se, come sembra, lo svolgimento del referendum venisse compreso nella domenica intermedia tra il primo turno delle amministrative, abbinato con le europee, e il turno di ballottaggio, raggiungeremmo un doppio ulteriore effetto negativo.
Infatti, si tratterebbe di chiamare gli elettori a votare per tre domeniche di fila, facendo quale danno implicito? Quello di boicottare di fatto i ballottaggi poiché è del tutto presumibile che l'elettore che vada a votare la prima domenica e poi la seconda domenica per il referendum chiaramente sarebbe meno tentato il 21 giugno, quindi in estate, ad andare a votare per i ballottaggi che già sono poco frequentati per loro natura.
Credo che una riflessione su questa problematica da parte della maggioranza andrebbe fatta, così come sul discorso del recupero finanziario da parte di chi raggiungerà la soglia del 2 per cento, che sarebbe un bel gesto nei confronti della rappresentanza sociopolitica, così come lo è stato l'aver raggiunto il risultato del mantenimento delle preferenze che, francamente, vedremmo bene ripristinate anche alle elezioni politiche nazionali.
Infatti, un «Parlamento nominato» non è francamente un bel vedere, come purtroppo stiamo osservando quasi quotidianamente, in quanto in qualche modo, al di là della libertà di mandato costituzionalmente prevista, stiamo vedendo larghe fette di questo Parlamento essere troppo condizionate dai partiti che nominano, per l'appunto, le rappresentanze parlamentari.
Quindi, come dicevo, questo provvedimento, all'apparenza arido, ha in sé due argomentazioni di grande spessore e di grande valenza politica sulle quali so che in queste ore si sta trattando e ci auguriamo che le trattative extraparlamentari - lo dico in senso tecnico, senza nessuna negatività nella parola - diano frutti positivi per la democrazia, per la rappresentanza e per il risparmio del denaro pubblico, ma francamente saremmo più contenti che queste decisioni venissero prese alla luce del sole e dentro quest'Aula, anziché nell'ambito di consessi, come dicevo prima, extraparlamentari, peraltro, per carità, assolutamente legittimi.
Ci auguriamo che, quanto meno nell'ambito della discussione sugli emendamenti, che sono molti e sono centrati per modificare le negatività di questo provvedimento di cui ho testé parlato, ci possa essere la possibilità di un positivo recupero democratico (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Stracquadanio. Ne ha facoltà. Onorevole, ci illumini.

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO. Signor Presidente, ci vorrebbe un elettricista, come disse una volta il Presidente Berlusconi.
Trovo questa discussione particolarmente viziata dall'ideologia e dal pregiudizio e poco illuminata - approfitto del suo suggerimento - dai fatti. Allora, cominciamo Pag. 21ad esaminare i fatti: essi ci dicono che andremo al voto in un numero elevato di comuni (di cui 216 superiori ai quindicimila abitanti, che hanno un sistema elettorale a doppio turno) e in 61 province che portano un sistema elettorale a doppio turno e che, pertanto, costringono ad avere una forma di election day un po' anomala.
Trovo bizzarro, innanzitutto, che nel nostro Paese si propagandi l'election day, la cui origine essenzialmente è anglosassone e porta all'accorpamento negli Stati Uniti delle elezioni verso la data delle elezioni presidenziali ogni quattro anni. È quindi dall'elezione presidenziale che nasce l'election day, ma in un sistema elettorale, quello americano, che a tutti i livelli ha un solo turno di votazioni.
Invece noi abbiamo introdotto per le elezioni amministrative, e c'è chi lo propugna come sistema auspicabile per il voto politico, il doppio turno con voti ogni 15 giorni. Non ci si può lamentare se si ha un sistema a doppio turno tale che sia impossibile fare un election day, perché bisognerebbe fare almeno un bi-election day, votando almeno ogni 15 giorni. Se noi avessimo lamentato il fatto che un sistema elettorale a doppio turno ha un costo doppio e se, quindi, l'avessimo respinto per questa ragione, credo che saremmo stati accusati (io che sono favorevole in linea di massima ai turni unici e non ai doppi turni) di fare della demagogia e di usare un argomento estraneo alle regole della democrazia, per cui di quattrini non bisogna parlare quando si considera la libertà di espressione del voto da parte degli elettori. Non si può stare con il «doppio cervello», oltre che con il doppio turno. Se si è a favore del doppio turno, non si sollevi la questione dell'election day perché non regge sul piano teorico. Questo è il primo punto che vorrei fosse acquisito.
Il secondo punto da acquisire è che si sostiene che il costo del mancato accorpamento tra il voto referendario e il voto delle elezioni europee sarebbe di 400 milioni di euro. Come spesso succede nelle discussioni demagogiche in Italia una cifra la si butta sul mercato della comunicazione politica e nessuno la verifica. Sapete qual è la fonte di questa cifra, colleghi, signor Presidente e signor rappresentante del Governo? È il sito degli economisti lavoce.info, un sito di economisti del tutto rispettabili, ma del tutto orientati politicamente.
Ho appena riletto per fare una citazione adeguata quanto essi scrivono: si valutano i costi diretti dello Stato per un turno elettorale generale, come il referendum, in 200 milioni e si stimano in 200 ulteriori milioni i costi indiretti che sostengono i cittadini per un turno elettorale. Francamente questa è bella; non sapevo, andando a votare, di sostenere un costo indiretto, il sabato e la domenica. Abbiamo calcolato l'ammortamento delle scarpe per recarsi al seggio elettorale? Abbiamo calcolato il costo della benzina per coloro i quali non possono andare a piedi alla loro sezione? Cosa abbiamo calcolato, la rinuncia al weekend? Cosa ci sta dentro questi 200 milioni se non cattiva propaganda politica e falsa demagogia di tipo economicistico? Teniamo fuori questo dato dei 400 milioni, anzi chiedo al Governo di avere una ricognizione più precisa sul costo che sostiene la pubblica amministrazione per la convocazione di un turno elettorale.
Ma, anche qualora questo dato dei 400 milioni di euro fosse vero (e vero non è, come abbiamo dimostrato), potremmo dire un'altra cosa. C'è chi sostiene che siccome i referendum in genere sono andati in molti casi deserti - gli ultimi venti, Presidente, perché i numeri sono importanti: dal 1995 ad oggi gli ultimi venti sono andati deserti, qualunque materia essi riguardassero - siccome i referendum hanno un costo e i promotori, 500 mila almeno, sono loro a chiamare il corpo elettorale alle urne (perché questo è un referendum: il corpo elettorale che si autoconvoca attraverso una sua minoranza), c'è chi sostiene: il costo lo facciamo pagare a chi li convoca nel caso in cui non si raggiunga il quorum. Vale a dire, se fallisce il quorum e il referendum è stato inefficace, chi convoca lo paga. Pag. 22
Se ci avventuriamo lungo queste tesi, per cui il costo della democrazia va scaricato su qualche soggetto, o per ridurre i costi dobbiamo fare dei trucchi tra un'elezione e un'altra, accorpare quello che non è accorpabile, allora ho una modesta proposta: non votiamo per i prossimi venti o trent'anni, stabiliamo l'ultrattività di questo Parlamento (sono disponibile a ridurre o anche ad azzerare il vitalizio) e andiamo avanti in una democrazia pienamente compiuta, perché ha un voto popolare, e che risparmia per i prossimi vent'anni una cifra considerevole di 200 e passa milioni.
È ovvio che il mio è un paradosso insostenibile, ma è altrettanto ovvio che quando noi introduciamo l'argomento del costo della convocazione delle urne, quando ci inventiamo dei costi aggiuntivi e costruiamo intorno a questo una tesi politica, stiamo facendo esattamente un gioco inaccettabile. Ma vado oltre.
Dal 1974, anno in cui si è svolto il primo referendum sulla legge sul divorzio e anno successivo alla promulgazione della legge di attuazione dell'articolo 75 della Costituzione, al 2003 ci sono state 59 consultazioni referendarie con un andamento dei turni e delle affluenze vario, ma che mai è stato accorpato a un turno elettorale generale, quale che esso fosse. Possiamo avere numerosissimi esempi: voglio solo citare il fatto che, nel 2000, mentre erano pendenti un certo numero di referendum promossi dal Partito radicale, il Ministro dell'interno (che all'epoca era Enzo Bianco) prospettò, intorno a febbraio, l'ipotesi di accorpare le elezioni regionali, turno elettorale politico di carattere generale per le regioni a statuto ordinario, con i referendum che erano pendenti. Ebbene, in quell'occasione i promotori del referendum minacciarono addirittura di ricorrere alla Corte costituzionale sollevando conflitto di attribuzioni contro il Parlamento per quella decisione e contro il Governo perché sostenevano che, in realtà, fosse necessaria una campagna elettorale del tutto autonoma per il referendum e del tutto distinta da quella delle elezioni regionali, e che quindi vi fosse almeno uno spazio di non sovrapposizione (addirittura si diceva un mese tra una scadenza e l'altra) per poter votare.
Ora, dal momento che è noto che non disponiamo della data per le elezioni europee, ma solo di quella del referendum, non avevamo molte scelte per distinguere le due consultazioni che metterle a distanza di una settimana una dall'altra, considerato il doppio turno che è il vero impedimento all'election day perché, lo ripeto, è il doppio turno il vero impedimento all'election day. Quindi, quando il Governo ha ipotizzato tre domeniche consecutive lo ha fatto per cercare di massimizzare il rispetto delle consultazioni diverse che si andavano a determinare, cioè le elezioni europee e insieme le elezioni amministrative, che nei piccoli comuni sono molto ben distinguibili da quelle europee perché non si presentano le stesse liste e che nelle province e nei comuni più grandi sono centrate sui problemi amministrativi del territorio (mentre le elezioni europee sono elezione di carattere politico generale, anzi ancora più generale) e il referendum, che invece è di tutt'altra natura e dimensione perché inerisce alla legge elettorale, che è stato collocato in una domenica a sé in modo tale da distinguere in modo molto netto gli uni e gli altri.
Allora bisogna mettersi d'accordo su che cosa si vuol fare in questo Paese, perché non è possibile usare strumentalmente, di volta in volta, gli argomenti per sostenere una cosa o l'altra a seconda delle convenienze del momento. È questo quello che mi pare di ascoltare in tutti gli interventi dei colleghi dell'opposizione che hanno usato argomenti di natura ideologica e mai si sono rifatti ai numeri. Ritengo, invece, che i numeri diano ragione al Governo e a chi sostiene l'impostazione di questo decreto-legge per il quale le elezioni europee sono distinte dal referendum.
Trovo poi francamente contraddittorio l'atteggiamento di chi dà un giudizio sui nostri elettori. Da parte dei sostenitori di un accorpamento, non in un impossibile turno elettorale unico, reso tale dalla presenza Pag. 23del doppio turno, ma nel primo turno del doppio turno di più elementi elettorali, compreso il referendum, si è sostenuto che non c'è alcun problema perché l'elettore è consapevole, sa distinguere e quando si reca alle urne, anche in presenza di più referendum, sceglie se votarne uno e non votarne un altro e, quindi, che problema avete, se volete proporre l'astensione dal voto, a dire di rifiutare la scheda invece di prenderla?
Se l'elettore è così consapevole, non siamo in grado di portarlo consapevolmente alle urne anche in un'altra domenica? L'elettore è consapevole se va alle urne per le elezioni amministrative ed europee, e in quel momento è consapevole delle schede che ha. Tuttavia, una settimana dopo, nel momento in cui si vota su una cosa così importante (come dicono i colleghi) come il referendum elettorale, la consapevolezza si perde per strada nell'arco di una settimana e gli elettori non vanno a votare perché il tema su cui erano chiamati a votare non era importante.
Colleghi, io non mi riconosco nel disegno che voi fate dell'elettore: questo non è un elettore, ma uno schizofrenico che in neanche una settimana perde la sua consapevolezza e non va a votare! Forse non va a votare per il costo indiretto? Perché gli si consumano le scarpe, o perché deve rinunciare a un week end? Se è così importante quella scadenza referendaria, come si fa a dire che l'elettore se non si reca alle urne per le europee non ci va e che quello sarebbe un trucchetto per non farlo andare a votare?
Mi permetto di dire che il trucchetto sta nel non consentire la scelta della terza opzione. In ordine all'intenzione del costituente e al suo dato di partenza, l'onorevole Vassallo diceva che il costituente ragionava nei termini per cui si andava tutti a votare e non nei termini per cui si sceglie se andare a votare o meno. Quando si fanno le regole si ragiona sul loro presente, ma non si valutano tutti gli effetti sul loro futuro e l'intenzione non prevale sulla regola. È, infatti, la regola che prevale sull'intenzione in un Paese di diritto positivo, in quanto non siamo in common law, dove stabiliamo dei principi generali e li attuiamo di volta in volta in maniera diversa. Siamo in un Paese che sulle istituzioni è di stretto diritto positivo e che, quindi, scrive delle regole precise e richiede norme di pari rango per modificarle.
Allora, la norma sul quorum è di rango costituzionale. Ciò significa che il costituente ha pensato che l'autoconvocazione popolare è assolutamente sacrosanta e che il referendum dovesse avere un carattere esclusivamente abrogativo (gli ultimi referendum in materia elettorale purtroppo non hanno avuto questo carattere, anche per responsabilità di una giurisprudenza della Corte costituzionale, a mio avviso, inaccettabile sul piano costituzionale), ma ha previsto che ci debba essere un livello minimo di partecipazione per la validità del referendum, stabilendo così in modo implicito che ci siano almeno quattro forme di espressione del voto: il sì; il no; la scheda nulla o bianca depositata nell'urla; la mancata partecipazione. Ciascuna di queste espressioni di voto provoca effetti diversi sul risultato finale, come è normale che sia laddove si forma una regola complessa, che prevede un dato di partecipazione minima affinché la consultazione sia valida.
Il fatto che forze politiche, o comitati, o quant'altro si avvalgano della panoplia dei mezzi messi a disposizione dal costituente per determinare un certo tipo di effetto sulla scena politica non è un trucco, ma un libero esercizio degli strumenti democratici in base a cui si dice: se voi non andata a votare ottenete questo risultato, mentre se votate ottenete quest'altro effetto. E lo si dice in modo chiaro, perché è molto diverso dire «no» a un quesito referendario, o farlo fallire. Le due ipotesi, infatti, non hanno la stessa incidenza: se dico «no», per cinque anni non posso riproporre quel quesito; se lo faccio fallire, lo posso riproporre l'anno dopo. Quindi, in un certo momento ci si può riservare di far fallire un referendum per avere eventualmente lo spazio dal punto di vista politico di riproporlo magari dopo due anni. Non dobbiamo escludere nulla Pag. 24dalla libertà di azione dei soggetti politici, finché essi operano nell'ambito delle regole determinate in modo libero e consapevole e informano consapevolmente i cittadini delle scelte che vogliono orientare.
A questo punto trovo che ciò sia il contrario, ovvero un tentativo di manipolazione del voto. Signor Presidente, si dice che l'elettore è consapevole e sa scegliere. Allora, se viene chiamato una settimana dopo perde la consapevolezza, perché come è noto tra il 7 e il 14 giugno la consapevolezza tende ad obnubilarsi, evidentemente in funzione della temperatura ambientale che tende a salire?
Quell'elettore va al seggio, non vuole votare per il referendum e dice al presidente che non vuole prendere la scheda del referendum. Il presidente non è che si limita a dirgli che tanto la scheda è opzionale e la mette via, ma si ferma, rallenta le operazioni di voto, prende il verbale e scrive che l'elettore Giorgio Stracquadanio si è presentato al seggio, è stato identificato regolarmente secondo la procedura e, nel momento in cui gli sono state consegnate le schede, ha ritenuto di non prenderne una, come suo diritto. Questa scheda viene collocata in un'apposita busta e trasmessa al Ministero dell'interno, e via dicendo. Tutto questo comporta alcuni minuti. Io l'ho fatto in alcuni turni referendari, volendo votare su un quesito e non su un altro, e ci vuole qualche minuto. Ciò vuol dire che, in operazioni di voto complesse, in cui vi sono altre schede, è assolutamente naturale che il presidente di seggio, per evitare questa complessità, tenda, in modo anche un po' inconsapevole, a dire all'elettore che, se non vuole votare, può metterla bianca nell'urna. Solo che quando l'elettore la mette bianca nell'urna determina un effetto diverso, non è come non votare. Non sempre l'elettore sa che metterla bianca e non andare a votare non sono la stessa cosa per gli effetti giuridici, specie quando un presidente di seggio gli dice magari di metterla bianca se non vuole votare o quando, vedendo la complessità delle operazioni che deve produrre e la coda dietro le sue spalle, decide di votare ugualmente.
Queste sono manipolazioni possibili, non sicure, della volontà degli elettori, non quella di dire che si vota un giorno per una cosa, un altro giorno per un'altra e una terza volta per il ballottaggio del doppio turno, che invece è così virtuoso per i colleghi della sinistra. Infatti - lo ripeto - l'election day in Italia è reso impossibile dall'esistenza dei doppi turni, nelle elezioni che lo prevedono.
Aggiungo un'ulteriore considerazione: nel momento in cui si tende a parlare di quattrini o di altri aspetti, si dice che questo referendum fa paura, perché porta a due liste che si contrappongono, quindi gli altri devono essere costretti a scegliere se stare nelle liste o starne fuori, perché una lista vince e le altre perdono. Al tempo stesso, nel sostenere la necessità che venga raggiunto il quorum, che si produca questo effetto benefico e via dicendo, si dice che gli esponenti della maggioranza sono dei «cattivoni» contro la democrazia, perché vogliono togliere il rimborso elettorale a quelli che non raggiungono neanche la soglia di sbarramento.
Trovo una contraddizione spaventosa tra il sostegno al referendum, che porta tendenzialmente alla contrapposizione di due grandi liste, e il sostegno al rimborso elettorale a chi non raggiunge la soglia del 4 per cento. Colleghi della sinistra, volete un sistema dove ci siano tanti piccoli partiti con almeno il 2 per cento (o il 3 per cento, scegliete voi la soglia), che sopravvivono solo in virtù del fatto che hanno un rimborso elettorale? Infatti, quando la soglia è indipendente dal raggiungimento della soglia della rappresentanza è totalmente arbitraria, mentre quella della rappresentanza c'è ed ha una sua ragionevolezza, costituita da un livello minimo di rappresentanza. Tuttavia, al tempo stesso, nel sistema elettorale nazionale si vogliono delle liste grandi, per dire basta a questa marea di partiti.
Dunque, il sistema che si disegna nella testa dei colleghi che hanno parlato oggi, Pag. 25per i quali l'elettore è consapevole a domeniche alterne, è fatto in questo modo: ci sono due sole liste che partecipano al voto e ce ne sono una marea che pigliano i quattrini. Ma che razza di sistema politico abbiamo in testa? Abbiamo in testa la formazione di partiti familistico-patrimoniali: mi faccio un partito del 2 per cento e ci campo tutta la vita! Non va in Parlamento, ma lo faccio perché ci campo!
Questa è la filosofia che sta alla base dell'idea che il rimborso elettorale o il finanziamento pubblico siano sganciati dalla rappresentanza. Che razza di sistema politico è quello per cui vi sono due cerchi, quello dei soldi e quello degli eletti? Non ha senso alcuno. Le due cose - scusatemi, colleghi - non stanno insieme. Obiettivamente, non potete sostenere insieme il referendum ed il 2 per cento di rimborso alle elezioni europee.
Fatele almeno in due giorni diversi, una votazione una domenica, e l'altra due domeniche dopo; si avrebbe così un doppio turno di pensiero che mi pare sia la cifra principale del vostro approccio.
Quanto all'ipotesi di accorpare, o meglio di convocare il referendum elettorale nella domenica in cui è già previsto il ballottaggio, è una questione totalmente diversa, e non è paragonabile a quella dell'accorpamento con il turno delle elezioni europee. Quest'ultima ipotesi, infatti, preserva le elezioni europee dall'essere del tutto indipendenti dalla discussione sul referendum, e preserva l'indipendenza del referendum, perché grande parte del corpo elettorale, almeno metà, non va a votare per le elezioni amministrative, e quindi voterebbe solo per le elezioni europee e per il referendum.
Per quanto riguarda la discussione sulla scelta del candidato per la parte residua del corpo elettorale, quegli elettori delle circa 60 province, che dopo 15 giorni, in via di ipotesi, si troveranno a votare per il secondo turno (anche se sappiamo che in molti casi si decide al primo turno, perché una o più formazioni in campo otterranno oltre il 50 per cento dei voti, conquistando al primo turno la posta piena), questa rimane chiusa (si vota il candidato A o il candidato B) e la formazione della convinzione degli elettori è per larga parte del corpo elettorale già determinata (di solito quando si va al ballottaggio, l'80 per cento ha votato per i candidati in ballottaggio e il 20 per cento deve decidere se va a votare per l'uno, o per l'altro, o non va a votare affatto). In questo caso, la parte di corpo elettorale che riceve il messaggio relativo all'elezione rispetto a quello del referendum è sufficientemente piccola da non creare confusioni di tipo comunicativo. Mettendo insieme, invece, il non «mettibile» - lo ripeto: non si può avere l'election day in Italia per l'esistenza del doppio turno - si crea, non una confusione di messaggio, ma una confusione presso i seggi.
Voglio sottolineare che ci si è anche lamentati che si voterebbe per sei giorni invece che per tre. Ma scusate, onorevoli colleghi, ma è in quest'Aula che si è approvata la riduzione del numero delle sezioni elettorali per ragioni di economia. Convocare un numero di sezioni elettorali da 500 elettori vuole dire raddoppiare il numero dei rimborsi degli scrutatori e dei presidenti di seggi. Per questo, siccome il rimborso è di poco incrementato, raddoppiando il tempo di lavoro di questi cittadini che prestano la loro opera alla democrazia, si è deciso consapevolmente di avere sezioni da mille elettori che votano per due giorni di fila. Per garantire il secondo giorno e per rimanere in linea con gli altri Paesi europei, essendo la data delle elezioni europee di domenica, dobbiamo necessariamente votare di sabato.
Vogliamo votare un giorno solo? Non c'è problema: con 200 milioni di euro in più si può votare un giorno solo: raddoppiamo il numero delle sezioni. Il Governo ha già l'elenco dei 42 mila plessi scolastici abilitati; i comuni dispongono degli scrutatori e dei presidenti di seggio. Vogliamo farlo? Lo si dica! Ma si dica anche quali sono le conseguenze dell'una o dell'altra misura. La mia opinione personale, signor Presidente, è che la configurazione del voto su tre domeniche di fila non è una configurazione sbagliata, e che, quindi, la Pag. 26previsione contenuta nel decreto-legge, così com'è giunto in questa Aula, è eccellente. Ma, qualora ragioni di efficienza (ad esempio per non distrarre le Forze armate, che vengono dislocate nelle scuole, dai compiti operativi che possono avere presso gli obiettivi sensibili, o per altri problemi non di carattere economico, ma organizzativo) consiglino di prevedere due date, a distanza di 15 giorni l'una dall'altra (materia vincolata dell'esistenza del doppio turno), allora avrebbe un senso far svolgere il referendum dopo due settimane. In questo modo, come ho dimostrato in precedenza, numeri alla mano, il referendum potrebbe essere meglio mirato nella propaganda elettorale delle forze politiche, degli attori e dei promotori del referendum se previsto in una certa data.
L'ostacolo costituito dal fatto che la legge stabilisce che debba essere tenuto entro il 15 giugno è un ostacolo che, per esempio, nel 1987 è stato superato con una legge ad hoc che ha consentito di votare per il referendum nel mese di novembre. Abbiamo votato per un ampio numero di referendum nel novembre 1987, ritenendo in quel caso che era un'opzione politica conveniente per il Paese anticipare la data del referendum (che era successiva alle elezioni) piuttosto che attendere che trascorressero i 365 giorni previsti dalla legge sul referendum.
Dunque, noi non stiamo facendo trucchi o dilapidando denaro pubblico. Stiamo cercando, per approssimazioni successive, di rendere un servizio alla democrazia e di offrire la possibilità a ciascuno di operare rispetto al campo d'azione democratico che si propone, che vede in primo luogo la convocazione delle elezioni europee, la cui importanza - a me pare - venga molto sottovalutata dai colleghi dell'opposizione (forse per ragioni che non voglio descrivere, ma che sono tutte ed esclusivamente di natura politica).
Ritengo, inoltre, che si dia troppa enfasi a un referendum nell'illusione che questo possa contribuire a creare una presunta divisione nella maggioranza tra il partito più rilevante della stessa e i suoi partner di minore dimensione nazionale, ma che non sono - come abbiamo ben spiegato al momento delle elezioni - alleati in un'alleanza senza fondamento nella storia e nella cultura dei partiti. Infatti, la Lega Nord - il principale alleato del Popolo della Libertà - è un partito territoriale, ed è un'articolazione territoriale di uno schieramento delle libertà più ampio, nel quale la Lega Nord stessa si riconosce pienamente, Tant'è vero che l'alleanza è da alcuni anni, almeno dal 2000 ad oggi, assolutamente stabile e quasi omogenea in tutti i turni elettorali, tranne quelli strettamente proporzionali, dove l'accorpamento non è richiesto (per esempio le elezioni europee, dove ci presenteremo in concorrenza ma essendo in fortissima collaborazione nel Governo, nella maggioranza e in tutte le elezioni locali, come da accordi recenti). L'idea che si possa incuneare il referendum nel rapporto tra due alleati che hanno una visione strategica del Paese, e non una visione occasionale, è proprio di chi non ha oggi una visione strategica (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare, e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 2227-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il rappresentante del Governo rinunziano alle repliche.
Il seguito dell'esame del provvedimento, per lo svolgimento degli interventi sul complesso degli emendamenti, è rinviato alle ore 16. Avverto che comunque, secondo quanto stabilito in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo, le votazioni non avranno luogo prima delle ore 18. Sospendo la seduta, che riprenderà alle 16.

La seduta, sospesa alle 12,55, è ripresa alle 16,05.

Pag. 27

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Caparini, Lombardo, Lucà, Migliavacca, Mura e Palumbo sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente settantatré, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione del disegno di legge di conversione n. 2227-A.

PRESIDENTE. Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta si è conclusa la discussione sulle linee generali e che il relatore e il rappresentante del Governo hanno rinunciato ad intervenire in sede di replica.

(Esame dell'articolo unico - A.C. 2227-A)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione (Vedi l'allegato A - A.C. 2227-A), approvato dal Senato (Vedi l'allegato A - A.C. 2227-A), nel testo recante le modificazioni apportate dalla Commissione (Vedi l'allegato A - A.C. 2227-A).
Avverto che le proposte emendative presentate si intendono riferite agli articoli del decreto-legge nel testo recante le modificazioni apportate dalla Commissione (Vedi l'allegato A - A.C. 2227-A).
Avverto che la Presidenza non ritiene ammissibili, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 7, del Regolamento, le seguenti proposte emendative, già presentate in Commissione ed in tale sede dichiarate inammissibili, in quanto non strettamente attinenti alla materia oggetto del decreto-legge: Zaccaria 1.01, concernente le modalità di presentazione delle liste per le elezioni dei membri spettanti all'Italia nel Parlamento europeo; Brugger 4.01 e 4.02, volte a differire i termini per la presentazione della richiesta di rimborso delle spese per le consultazioni elettorali per il rinnovo del consiglio regionale del Trentino-Alto Adige e della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
Avverto, inoltre, che la Presidenza non ritiene ammissibili, ai sensi degli articoli 86, comma 1, e 96-bis, comma 7, del Regolamento le seguenti proposte emendative non previamente presentate in Commissione, che introducono argomenti nuovi, non strettamente attinenti alla materia oggetto del decreto-legge: Franceschini 1.28, limitatamente alla parte consequenziale riferita all'articolo 5, che destina al Ministero dell'interno, per finalità di ordine pubblico e sicurezza, le disponibilità del Fondo da ripartire per fronteggiare le spese elettorali; Giachetti 1.028, limitatamente alla lettera c), nella parte in cui si destina quota parte del Fondo relativa ai rimborsi elettorali al Fondo per gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica (FIRST).
Tali proposte emendative sono volte a destinare a finalità differenti rispetto alle specifiche problematiche affrontate dal decreto-legge risorse finanziarie previste, nel primo caso, da un fondo richiamato dalla norma di copertura del provvedimento in esame e, nel secondo caso, risultanti da una diversa ripartizione di un altro fondo istituito dalla legge n. 515 del 1993.
In tal modo, le predette proposte emendative introducono - direttamente in Assemblea - materie nuove, non strettamente attinenti al contenuto del provvedimento in esame, senza che le stesse siano state previamente vagliate in sede referente.
Tale valutazione è del tutto conforme a numerosi e specifici precedenti di questa e di precedenti legislature. In particolare: gli emendamenti Messina 1-bis.12 e Occhiuto 1-bis.13 e 1-bis.14, dichiarati inammissibili nella seduta del 6 novembre 2008, in occasione dell'esame del decreto-legge recante Pag. 28adempimenti comunitari in materia di giochi (A.C. 1707); gli emendamenti Evangelisti 4.2 e 4.6, dichiarati inammissibili nella seduta del 3 ottobre 2008, in occasione dell'esame del decreto-legge in materia di istruzione e università (A.C. 1634); l'emendamento Rubinato 4-sexies.30, dichiarato parzialmente inammissibile nella seduta del 29 luglio 2008, in occasione dell'esame del decreto-legge recante proroghe fiscali (A.C. 1496); l'emendamento Tolotti 2.9 dichiarato inammissibile nella seduta del 24 gennaio 2007, in occasione dell'esame del decreto-legge recante proroga di termini (A.C. 2114); l'emendamento Burtone 1-ter.027, dichiarato inammissibile nella seduta del 5 marzo 2003, in occasione dell'esame del decreto-legge in materia di calamità naturale (A.C. 3664).
Sono altresì da ritenere inammissibili le seguenti ulteriori proposte emendative: Maurizio Turco 1.0131, volta a modificare la disciplina dei rimborsi elettorali dettati dalla legge n. 157 del 1999, riferita, oltre che alle spese sostenute per le campagne per il rinnovo del Parlamento europeo, anche alle spese connesse al rinnovo del Senato della Repubblica, della Camera dei deputati e dei consigli regionali; Lo Monte 1.021, 1.018, 1.019 e 1.020, che, novellando la legge n. 459 del 2001, sono volte a modificare la disciplina per l'esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani residenti all'estero, laddove invece gli articoli 2 e 3 del provvedimento in esame regolano le modalità di voto dei cittadini temporaneamente fuori del territorio dell'Unione europea per motivi di servizio o missioni internazionali;
Sereni 1.029, volta a definire, mediante una novella al testo unico sugli enti locali, di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, i criteri di calcolo della popolazione delle circoscrizioni di decentramento comunale; Braga 1.030, che è finalizzata a consentire ai sindaci dei comuni con popolazione pari o inferiore a cinquemila abitanti lo svolgimento di un terzo mandato consecutivo, all'uopo modificando il testo unico sugli enti locali, di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000; Amici 1.032, volta ad escludere la possibilità di inserire simboli di lista nello spazio posto mediatamente alla destra del nominativo del candidato sindaco, ove questi sia collegato a più di una lista, laddove invece l'articolo 1-ter si limita a disporre in ordine alla dimensione dei contrassegni sulle schede elettorali; Lo Monte 2.010, 2.011, 2.012, 2.013, 2.014, 2.015, 2.016 e 2.017, volte a modificare la legge n. 470 del 1988, in materia di iscrizione alle anagrafi dei cittadini residenti all'estero; Lo Monte 3.012, 3.016, 3.015, 3.011, 3.010, 3.014, 3.013 e 3.017, volte a modificare il decreto-legge 3 gennaio 2006, n. 1, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 27 gennaio 2006, n. 22, in materia di voto domiciliare.
Informo l'Assemblea che, in relazione al numero di emendamenti presentati, la Presidenza applicherà l'articolo 85-bis del Regolamento, procedendo in particolare a votazioni per principi o riassuntive, ai sensi dell'articolo 85, comma 8, ultimo periodo, ferma restando l'applicazione dell'ordinario regime delle preclusioni e delle votazioni a scalare.
A tal fine il gruppo Misto (per la componente politica - MpA - Movimento per l'Autonomia) è stato invitato a segnalare gli emendamenti da porre comunque in votazione. La Presidenza porrà dunque in votazione per ciascun articolo gli emendamenti presentati dai deputati appartenenti alla citata componente politica che siano stati oggetto di segnalazione.

GIANCLAUDIO BRESSA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, in maniera specifica intervengo sull'emendamento Franceschini 1.28: lei, signor Presidente, ha dichiarato inammissibile tale emendamento nella parte relativa alla destinazione del risparmio che si determinerebbe se l'emendamento venisse approvato.
Le faccio presente che con l'emendamento in esame si tende a svolgere nella Pag. 29stessa giornata l'elezione del Parlamento europeo, delle amministrazioni comunali e provinciali e del referendum sulla legge elettorale. È del tutto evidente che, trattandosi di un'operazione del tutto connessa all'argomento e alla materia trattata dal decreto-legge, cioè la celebrazione in un'unica giornata di elezioni europee, amministrative e referendarie, per effetto di questa scelta si attua un risparmio di spesa.
Nelle intenzioni del Governo, il referendum dovrebbe celebrarsi nella domenica a cavallo tra il primo e il secondo turno delle elezioni amministrative, con un'evidente maggiorazione di spesa. Se venisse approvato l'emendamento in esame, è del tutto evidente che la spesa che è stata prevista dal Ministero dell'interno per la celebrazione del referendum nella domenica successiva alla data delle elezioni sarebbe eliminata, garantendo al bilancio dello Stato un'economia ed è credo nella facoltà e nella possibilità di questa Assemblea decidere come disporre di queste risorse.
Non viene introdotto un argomento nuovo: è una conseguenza della votazione dell'emendamento in esame. Se lei avesse dichiarato non ammissibile l'emendamento per estraneità di materia, i ragionamenti che lei ha fatto relativamente alla destinazione del risparmio sarebbero congruenti, mentre così facendo vi è un salto logico.
In ogni caso, trattandosi di un argomento così delicato, come quello della destinazione di alcune centinaia di milioni di euro a favore della sicurezza e dell'ordine pubblico del nostro Paese, le chiederei di fare ricorso all'ultimo capoverso del comma 7 dell'articolo da lei richiamato, laddove si dice: «Qualora ritenga opportuno consultare l'Assemblea, questa decide senza discussione per alzata di mano».
Chiederei a lei che la decisione relativa all'ammissibilità o meno di questa parte dell'emendamento venisse rimessa all'Assemblea (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, anche io vorrei sottoporre alla sua cortese attenzione la possibilità di rivedere l'inammissibilità con riferimento alla mia proposta emendativa.
Signor Presidente, ho presentato un articolo aggiuntivo che ha un doppio scopo: uno principale, che è quello di far risparmiare soldi allo Stato, e uno secondario, che è quello di individuare un settore che, a mio avviso, esige maggiori fondi, cioè la ricerca scientifica. Quindi, attraverso un articolo aggiuntivo, ho cercato di ottenere un doppio risultato.
Tuttavia, signor Presidente, la dichiarazione di inammissibilità in relazione alla destinazione che ho inserito nella mia proposta emendativa, non solo produce un effetto negativo rispetto alla seconda parte, ma - ed è questa la questione che vorrei sottoporre alla sua attenzione, per capire se lo spirito dell'articolo aggiuntivo può essere salvaguardato - paradossalmente, ribalta e peggiora la situazione sulla quale vorrei intervenire. Eliminare l'ultima parte, infatti, comporta che non solo non vi è un risparmio da parte dello Stato, ma che quei soldi che dovrebbero essere stanziati per i partiti che non raggiungono la soglia del 4 per cento, anziché essere destinati in un fondo (quello per la ricerca, e via dicendo), verrebbero redistribuiti tra i partiti che raggiungono il 4 per cento. Quindi, non solo non vi è un risparmio, ma vi è un aggravio di spesa rispetto ai miei obiettivi.
Signor Presidente, poiché comprendo che vi sono delle ragioni relative anche ai precedenti sull'estraneità di materia, vorrei chiederle, salvaguardando lo spirito e la sostanza del mio articolo aggiuntivo, se fosse possibile, di riconsiderarne l'ammissibilità, nel senso di cassare la parte che viene dichiarata inammissibile e di lasciare una frase, che potrebbe essere - ovviamente lo stabilirà la Presidenza - quella secondo cui la quota di denaro Pag. 30costituisce economia di bilancio. In questo modo, si salvaguarderebbe il senso e lo spirito dell'articolo aggiuntivo e non si incorrerebbe nell'inammissibilità che è stata dichiarata dalla Presidenza.
Lo ripeto: si tratta di un caso particolare perché, altrimenti, il contenuto di una proposta emendativa che vuole ottenere un risultato, a causa dell'inammissibilità di una sua parte, rischia di ribaltarsi completamente, creando non solo un risultato opposto, ma peggiore (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Onorevole Bressa, onorevole Giachetti, sono state sollevate da loro obiezioni circa la dichiarazione di inammissibilità sull'emendamento Franceschini 1.28 e sull'articolo aggiuntivo Giachetti 1.028, non previamente presentati nel corso dell'esame in sede referente.
Com'è noto, in base al Regolamento, per gli emendamenti riferiti ai decreti-legge, oltre al criterio generale in materia di ammissibilità, stabilito dall'articolo 86, comma 1, del Regolamento, ai sensi del quale non possono essere presentate in Assemblea nuove proposte emendative che non siano ricomprese nell'ambito degli argomenti già considerati nel testo o negli emendamenti presentati e giudicati ammissibili in Commissione, si applica anche la regola più rigorosa dell'articolo 96-bis, comma 7, del Regolamento, secondo cui sono dichiarati inammissibili gli emendamenti e gli articoli aggiuntivi che non siano strettamente attinenti alla materia del decreto-legge.
In proposito, la circolare del Presidente della Camera del 10 gennaio 1997 sull'istruttoria legislativa nelle Commissioni ha precisato che la materia deve essere valutata con riferimento ai singoli oggetti della specifica problematica affrontata dall'intervento normativo.
Con riferimento all'emendamento Franceschini 1.28, mi richiamo alle considerazioni già svolte in sede di dichiarazione di inammissibilità e ai numerosi precedenti in quella sede richiamati. Non vale, peraltro, l'argomento secondo cui si tratta di una mera, diversa finalizzazione di risorse, che già sono oggetto del provvedimento. Ove si accedesse, infatti, a tale argomento, sarebbe possibile introdurre in ciascun decreto-legge una pluralità di finalità del tutto estranea, con ciò, evidentemente, alterando il criterio della stretta attinenza previsto dal Regolamento, anche a garanzia del corretto equilibrio dei rapporti tra Parlamento e Governo.
Circa poi la richiesta di sottoporre la questione ad un eventuale voto dell'Assemblea, in base a una prassi consolidata la Presidenza non si avvale di questa facoltà nel caso di decisioni aventi ad oggetto richiami al Regolamento, sia a salvaguardia dell'univocità e costanza degli indirizzi interpretativi presidenziali (nella specie relativi all'ammissibilità degli emendamenti), sia perché non appare opportuno che l'interpretazione della norma regolamentare venga rimessa a decisioni assunte a maggioranza.
Per quanto concerne, invece, l'articolo aggiuntivo Giachetti 1.028, ricordo che l'onorevole Giachetti ha chiesto di poterlo riformulare in ragione del fatto che lo stesso, privo della lettera c) testè dichiarata inammissibile dalla Presidenza, assume una portata normativa di contenuto sostanzialmente opposto rispetto alla proposta originaria. In particolare, l'onorevole Giachetti chiede che, a fronte dell'espunzione per motivi di inammissibilità dal testo dell'articolo aggiuntivo della destinazione al fondo per gli investimenti per la ricerca scientifica e tecnologica delle somme relative ai partiti e movimenti che non hanno raggiunto la soglia di sbarramento, l'articolo aggiuntivo di cui è firmatario sia riformulato prevedendo che tali somme costituiscano economie di bilancio. Sul punto mi riservo di investire della questione la Presidenza della Camera.
Ha chiesto di parlare sul complesso delle proposte emendative l'onorevole Bressa. Ne ha facoltà.

GIANCLAUDIO BRESSA. Signor Presidente, in maniera molto pomposa la stampa ha cominciato a chiamare tutti i provvedimenti legislativi che si pongono Pag. 31quale finalità l'accorpamento di più elezioni «election day», mutuando un concetto che è proprio della tradizione democratica anglosassone e statunitense in particolare.
Come lei sicuramente saprà, signor Presidente, nei sistemi anglosassoni e in quello statunitense in particolare, il giorno delle elezioni assume un significato peculiare nel sistema democratico, tanto è vero che le elezioni si celebrano sempre a date fisse, stabilendo anche nella definizione della data di celebrazione dell'evento elettorale una sorta di ritualità e di sacralità. Si riconosce che quello è il tempo della decisione e che per quel tempo la Nazione deve prepararsi.
In maniera del tutto provinciale, ma non banale, da qualche anno a questa parte anche nella nostra Repubblica si è addivenuti alla decisione - laddove sia possibile - di riunire in un'unica data celebrazioni di eventi elettorali diversi tra loro, superando quello che era stato un tabù che per molto tempo aveva caratterizzato il progredire della democrazia nel nostro Paese e che tendeva a mantenere distinte le elezioni, in quanto si procedeva da una evidente sottovalutazione della maturità dell'elettorato italiano, immaginando che gli elettori italiani potessero essere chiamati a esprimere voti diversi nello stesso giorno e per ciò stesso ad essere confusi nel momento dell'espressione della loro libera scelta.
Superata questa fase e addivenuti a una stagione più matura - quella della concentrazione senza tanti patemi d'animo e senza tanti problemi di un voto unificato nella stessa giornata - assistiamo alla vicenda che caratterizza il decreto-legge in esame quest'oggi.
In maniera del tutto condivisibile, il Ministro dell'interno decide e propone al Parlamento che, poiché due competizioni elettorali molto importanti caratterizzano l'anno 2009, queste non debbano essere distinte nel tempo, ma possano e debbano celebrarsi in un'unica giornata: lo ripeto, è una decisione assolutamente condivisibile, che dimostra la volontà di razionalizzare il sistema politico, anche attraverso la semplice scelta della data delle tornate elettorali.
Ciò che però diventa improvvisamente incomprensibile è perché, se nello stesso giorno si può essere chiamati a votare per il consiglio di circoscrizione, il consiglio comunale, il consiglio provinciale e l'elezione del Parlamento europeo, diventi assolutamente impossibile votare anche per l'altro grande appuntamento elettorale che il 2009 riserva ovvero il referendum in materia elettorale. È del tutto incomprensibile sondare le ragioni che hanno portato ad una decisione così singolare. Tali ragioni diventano addirittura imperscrutabili se, nel proposito del Governo, le elezioni per il referendum elettorale vengono fissate nella domenica a cavallo tra il primo ed il secondo turno delle elezioni amministrative, in qualche modo prefigurando un lungo mese di votazioni che caratterizzerebbe, per tre domeniche successive, l'impegno dei nostri concittadini.
Quale sia la motivazione che ha portato a diversificare la scelta delle date per la celebrazione di questi eventi elettorali è davvero difficile comprendere, a meno che non si voglia pensar male. A pensar male si fa peccato ma talvolta ci si indovina. Ritengo che, sotto questa decisione, vi sia la non esprimibile volontà di creare difficoltà rispetto al fatto che questo referendum elettorale possa essere celebrato in un clima di normalità e regolarità.
Si ha forse paura di quale possa essere l'esito di questo referendum elettorale e, in prospettiva, delle prossime elezioni politiche? Se così fosse, vi sarebbe una sorta di dichiarazione preventiva di impotenza del Governo e della maggioranza. Non siamo neanche ad un anno dall'insediamento delle nuove Camere - e quindi a più di quattro anni dall'evento delle prossime elezioni politiche - e questo Parlamento e questo Governo hanno paura di un referendum elettorale che potrebbe modificare la legge per le elezioni politiche, in qualche modo, implicitamente, ammettendo che nei prossimi futuri quattro anni questo Parlamento non sarebbe in grado di votare una nuova legge elettorale, se la Pag. 32legge elettorale prodotta dal referendum non fosse condivisa dalle forze politiche di maggioranza che, in questo momento, reggono il Paese.
Si tratta quindi di una dichiarazione preventiva di impotenza e sfiducia nella capacità di mettere insieme la maggioranza che regge il Governo su un tema così delicato qual è la legge elettorale? Non so se questa sia la motivazione, ma, se così fosse, è bene che lo si dica, affinché gli italiani sappiano che questo è un Governo che finge di governare la crisi economica e non si pone neppure il problema di modificare la legge elettorale che, come tutti sappiamo, è la legge che regola i fondamenti della democrazia di una Repubblica. Se la motivazione non è questa, ma è altra, sarebbe bene che il Governo venisse a spiegarlo. Infatti, la dichiarazione che questa mattina è stata resa durante i lavori della Commissione - ossia che il Governo accederebbe all'ipotesi di unificare la celebrazione del voto per il referendum elettorale con il secondo turno delle elezioni amministrative - ha, diciamo così, un elemento molto grottesco che rasenta il ridicolo assoluto. Perché? Innanzitutto è del tutto evidente immaginare che il secondo turno delle elezioni amministrative non porterà a votare l'intero corpo elettorale perché si presume che andranno a votare solo quei comuni e quelle province nei quali, in prima battuta, non è stato eletto il presidente o il sindaco. Per il referendum, al contrario, non vanno a votare solo i cittadini interessati al secondo turno amministrativo, ma l'intero corpo elettorale. Dovremmo quindi tenere in piedi l'intero sistema di seggi e non procedere - così come se si decidesse di votare la prima domenica - a smobilitare i seggi elettorali (misura che consentirebbe di risparmiare in base a stime effettuate oltre 400 milioni di euro). Immaginare di unificare il voto per il referendum elettorale con il secondo turno, lo ripeto, è grottesco e rasenta il ridicolo, perché non c'è alcuna forma di risparmio. I risparmi sarebbero molto contenuti, nei limiti in cui si possono ipotizzare risparmi perché, lo ripeto, il numero dei seggi dovrebbe restare inalterato rispetto alla prima domenica di voto.
Pertanto, l'unica motivazione è forse che questo Governo e questa maggioranza vogliono che vada a votare per il referendum il minor numero di persone possibile.
Non ho una particolare predilezione per il quesito referendario e trovo che sia un tentativo maldestro di modificare una ancora più maldestra legge elettorale. La mia opinione è che, anche se dovesse passare la proposta soggetta a referendum, la situazione di fatto non cambierebbe nel nostro Paese: resteremmo sempre prigionieri di una legge elettorale che ha segregato la scelta dei parlamentari ed impedisce ai cittadini una loro libera espressione ed una loro libera scelta.
Non ho però paura del voto referendario: credo che i referendum vengano indetti proprio perché su temi delicati e importanti anche l'intero corpo elettorale abbia la possibilità di esprimersi; starà poi ai cittadini decidere se quel giorno vorranno votare anche per il referendum oppure si limiteranno a votare per il proprio sindaco o per i propri rappresentanti nel Parlamento europeo.
Prevedere delle modalità di voto che complichino la possibilità per i cittadini di votare, che rendano più difficile un voto su un referendum elettorale, quando c'è la possibilità di concentrare tutto nello stesso giorno, mi sembra veramente paradossale.
Poiché non è stato in alcun modo possibile comprendere le ragioni vere dell'atteggiamento del Governo e della maggioranza, proponiamo di nuovo con forza gli emendamenti che abbiamo presentato in Commissione e che sono stati bocciati e cioè la possibilità di accorpare in un solo giorno le elezioni per il Parlamento europeo, quelle per i consigli comunali e provinciali, l'elezione del sindaco e del presidente della provincia, con la votazione per il referendum elettorale, dando così prova di grande e reale democrazia nel nostro Paese.
Certo, così facendo, vi sarebbe anche un risparmio importante: quei 400 milioni che lei signor Presidente qualche istante fa Pag. 33non ha consentito alla Camera di finalizzare a favore dell'ordine pubblico e del sistema della sicurezza del nostro Paese. Quand'anche, però, non li volessimo finalizzare, sono sempre 400 milioni che lo Stato risparmierebbe con un'operazione di elementare buonsenso. Infatti, non c'è alcun retro pensiero politico che consiglia di muoversi in questa direzione; c'è un semplicemente una regola di elementare buonsenso. Opporsi ad una regola di elementare buon senso, senza alcuna motivazione comprensibile, non è degno di una maggioranza e di un Governo che pretendono di essere rappresentativi della qualità democratica di questo Paese.
Si tratta di un episodio imbarazzante sia per il Governo, sia per la maggioranza, ma mi consenta, signor Presidente, anche per il Parlamento perché noi, anche se contrari a ciò, in qualche modo saremmo complici di questa lezione di mancanza di buonsenso che è quanto di più disperante si possa chiedere al Parlamento nazionale.
Già le istituzioni parlamentari non godono del favore della pubblica opinione (cosa che mi dispiace, ma non mi fa disperare); se poi alimentiamo tale situazione con decisioni come queste, assolutamente al di fuori di qualsiasi regola di buon senso, non facciamo altro che gettare benzina sul fuoco.
Non c'è una motivazione che sia utilizzabile per spiegare il perché di questo «accattonaggio di date» che il Governo, con pessima prova di se stesso, sta presentando prima al Parlamento e poi al Paese.
Chiedo che l'Assemblea, nel momento in cui si troverà a votare gli emendamenti a nostra firma che propongono l'accorpamento delle elezioni e del referendum elettorale con l'elezione nei consigli comunali e provinciali e per il Parlamento europeo, abbia un sussulto di dignità che impedisca a questo Paese di fare l'ennesima figuraccia, che impedisca agli italiani di giudicare questo Parlamento come teleguidato.
Quanto più i nostri comportamenti saranno di questo tipo, tanto più l'attacco alla legge elettorale di cui lo stesso artefice, il Ministro Calderoli, definì una «porcata» (da cui il soprannome stesso di «porcellum») sta a significare che è una legge assolutamente inadeguata a rappresentare gli interessi della collettività nazionale. Si tratta di una legge che consente ad alcune persone qui dentro di muoversi a loro volta teleguidate da maggioranze sempre più ristrette e tutto ciò non depone né a favore della dignità del Parlamento né a favore della qualità della nostra democrazia.
Credo che, con un sussulto di dignità, nel momento in cui verranno presentati i nostri emendamenti, questo Parlamento possa ritrovare se stesso e votare l'accorpamento che rappresenterebbe, in questo caso, non solo un risparmio per i conti dello Stato, ma un guadagno per la qualità della democrazia e dei rapporti tra istituzioni e cittadini che sicuramente hanno bisogno di avere uno scatto, in questo tempo così triste e gramo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Saluto gli studenti della scuola media Perotto di Manfredonia in provincia di Foggia, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
Ha chiesto di parlare l'onorevole Quartiani. Ne ha facoltà.

ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Signor Presidente, discutiamo oggi un decreto-legge, il quale contiene alcune indicazioni importanti per quanto riguarda le date di svolgimento delle elezioni europee e delle elezioni amministrative che si terranno nella medesima data, ma che contiene, invece, una non-decisione; mi riferisco al fatto che si possa, visto che la Costituzione e le norme vigenti lo consentono, fare in modo che, nella stessa giornata, si svolga anche il referendum che riguarda la modifica dell'attuale legge elettorale riguardante la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica.
È una legge elettorale che, come sappiamo, ha prodotto una difficoltà di rapporti con i territori ed un'ulteriore difficoltà nel rendere chiaro ed esplicito il rapporto tra elettori ed eletti, in quanto ha Pag. 34sottratto agli elettori italiani la possibilità di decidere, come era contenuto nella legge elettorale precedente, insieme alla maggioranza che governa il Paese, anche chi debba rappresentare gli italiani e gli elettori.
Infatti, signor Presidente, quando si votava nei collegi uninominali, cioè quando accanto al simbolo di un partito o di una formazione politica o di una lista anche pluripartitica (che però rappresenta un momento di alleanza che si traduce in una disponibilità di concordia attorno ad un programma e ad un progetto comune e che quindi trova il modo di determinarsi a livello elettorale con una simbologia comune ed un simbolo unico) c'è anche un unico candidato che compete con altri candidati, posti accanto ad un simbolo di altre formazioni politiche o di altre liste in un territorio limitato, come erano i collegi uninominali della Camera e del Senato che sostanzialmente contenevano al loro interno 120 mila elettori per la Camera e 240 mila elettori per il Senato, si consentiva agli elettori di decidere insieme alla maggioranza che avrebbe dovuto governare il Paese anche chi avrebbe dovuto rappresentare quel territorio e quegli elettori nel Parlamento italiano.
Visto che non è secondario fare in modo che sia sempre presente, sia a chi governa come a chi ha la responsabilità di controllare e di fare le norme, che esiste una Costituzione di una Repubblica che, fino a quando è una Repubblica parlamentare, non può essere considerata alla stregua di una Repubblica presidenziale, nella quale intercorrono rapporti diversi, anche in termine gerarchico, tra l'Esecutivo e il Parlamento, tra chi fa le leggi e chi ha la responsabilità di governare, siamo di fronte, signor Presidente, ad una proposta referendaria che, nel merito, tende a ridurre il danno di una legge elettorale che ha sottratto ai cittadini la possibilità di scegliere direttamente chi li deve rappresentare.
Inoltre, tende anche a ridurre il danno di una sostanziale forzatura della norma e della Costituzione. Infatti, persino la prima legge elettorale (approvata dal Costituente immediatamente dopo la formazione della Repubblica e dopo l'entrata in vigore della Costituzione) contemplava anche le preferenze e, tuttavia, aveva ben chiaro che non si poteva avere a disposizione da parte di ciascun candidato l'intero perimetro di tutti i collegi o di tutte le circoscrizioni elettorali nelle quali potersi candidare.
Una volta le circoscrizioni elettorali erano 32, poi diventarono 26 con la legge cosiddetta Mattarellum, ma nessuna norma elettorale nazionale, né nella cosiddetta Prima Repubblica, né nella cosiddetta Seconda Repubblica, consentiva di candidarsi in più di tre circoscrizioni. Addirittura, il candidato con il Mattarellum poteva presentarsi in un solo collegio e, quindi, la competizione era chiara, esplicita e precisa. I candidati avevano e dovevano sostanzialmente anche per legge, di fatto e oggettivamente avere un rapporto con il territorio. Questa legge elettorale nuova non lo consente perché ogni candidato (mi riferisco soprattutto ai capilista ed ai candidati più conosciuti, che, quindi, si avvalgono non di una facoltà di accesso alla competizione elettorale, ma di una sostanziale presenza, che è quasi di onnipotenza di presenza) costringe di fatto l'elettore a votare una lista e poi, in realtà, quel candidato si dimette dalle 24 o 25 circoscrizioni in cui risulta eletto perché opta per una. Quindi, con il sistema delle modalità con le quali si opta, il cittadino ha un'ulteriore truffa attraverso le modalità con le quali questa legge elettorale si presenta.
Quindi, siccome il referendum interviene su questo aspetto e delimita il numero di circoscrizioni in cui presentarsi, aiuta in qualche modo gli italiani a decidere meglio, leggendo le liste, su chi sono i candidati che sottostanno ai simboli, visto che nelle schede elettorali non sono riportati i nominativi di coloro i quali si presentano (sono riportati solamente sui manifesti). Questo è il merito dei referendum e poi c'è una questione sostanziale in un periodo di crisi.
Signor Presidente, è possibile che un Governo della Repubblica, che ci viene a Pag. 35raccontare che non vi sono soldi per i precari, per i disoccupati, per le piccole e medie imprese non sia in grado di assumere responsabilmente la decisione di accorpare il referendum alle elezioni amministrative ed europee e di disporre così un risparmio di oltre 400 milioni che possono essere utilmente utilizzati in un periodo di crisi per alleviare le sofferenze di questo Paese, dei suoi cittadini, dei suoi lavoratori, delle sue donne, dei suoi precari e dei suoi giovani (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori)?

ANTONIO DI PIETRO. Bravo!

ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Credo, signor Presidente, che di fronte a tutto ciò gli italiani sapranno e cominceranno a capire che hanno di fronte un Governo che, non solo è sordo alle proposte dell'opposizione, ma anche irresponsabile di fronte agli stessi cittadini, rispetto ai quali ha invece la necessità di coglierne principalmente le sofferenze, i problemi e le domande che emergono in un momento di crisi come questo. Ecco perché, signor Presidente, credo che sia stata sbagliata la decisione, dopodiché la Presidenza ha la facoltà e il potere di deciderlo. Ma non avere ammesso la seconda parte dell'emendamento, a prima firma dell'onorevole Franceschini, è sostanzialmente un errore, anche per quanto riguarda l'interpretazione del nostro Regolamento.
È del tutto evidente, infatti, che un'Assemblea dispone di propri poteri di autodeterminazione e di fronte alla decisione (seppur adottata con un decreto-legge) di accorpare le date del referendum a quelle delle elezioni amministrative ed europee si determina un risparmio. Di conseguenza, un'Assemblea seria non può lasciare che questo risparmio discrezionalmente ed eventualmente sia utilizzato dal Governo per coprire buchi o iniziative che nulla hanno a che fare con l'origine fondamentale della proposta dell'accorpamento, ovvero di produrre risparmio in un periodo di crisi.
Signor Presidente, credo che il problema dell'inammissibilità debba pertanto essere posto in modo nuovo anche alla Giunta per il Regolamento e debba essere posto in maniera chiara anche quando (e se sarà) disponibile in modo bipartisan uno strumento che consentirà a questo Parlamento di cominciare a ragionare su una riforma dei Regolamenti che non conculchino i diritti dell'opposizione. Quest'ultima, infatti, si trova già da tempo a dover subire un'iniziativa del Governo caratterizzata da un abuso della decretazione d'urgenza. Signor Presidente, è del tutto evidente che quando vi sono oltre trentacinque decreti-legge e la dodicesima fiducia in questo ramo del Parlamento non è possibile negare all'opposizione, attraverso l'utilizzo di interpretazioni regolamentari, la possibilità di emendare parti importanti di una norma d'iniziativa del Governo ritenuta urgente e portata con urgenza in Aula come quella sulle consultazioni elettorali oggi in esame. Dunque, signor Presidente, credo che anche dal punto di vista regolamentare dobbiamo fare chiarezza.
Prima di concludere voglio spezzare una lancia su un altro problema. Alcuni emendamenti ripropongono il testo licenziato dal Senato in materia di rimborsi elettorali per le elezioni europee. Signor Presidente, questo Parlamento ha deciso di andare incontro alla necessità di semplificare il quadro politico e dei partiti in Italia, ovvero di fare in modo che anche le norme elettorali accompagnino un quadro di non frammentazione della proposta politica. Inoltre, la domanda politica dei cittadini non è quella di avere a disposizione (così come avveniva nelle scorse legislature) 30, 40, 50 partiti e non è quella di vedere scritto sulle schede elettorali un'enorme numero di simboli e di liste che producono schede elettorali enormi che non si riescono neanche a leggere, per cui qualche volta si è costretti anche a «tirare alla buschetta» per votare. Credo che ciò non rappresenti un sistema.
Naturalmente per le elezioni europee si è compiuta una scelta precisa che il Partito Democratico ha appoggiato e che ha ritenuto giusta, ovvero quella della semplificazione del quadro dei partiti e delle Pag. 36forze politiche. Di conseguenza, vi è la norma che assegna almeno un eletto al Parlamento europeo solo quando si raggiunge la soglia del 4 per cento dei voti: è una norma giusta. Tuttavia, questa norma non può essere aggirata in nome di un generico accesso democraticistico alle elezioni europee (neanche, quindi, a quelle nazionali). In seno alle istituzioni europee abbiamo bisogno di grandi partiti - non, quindi, di piccoli, medi o piccolissimi partiti - e di grandi formazioni politiche che possano rappresentare una competizione tra grandi ipotesi volte a ricondurre l'Europa all'interno di un'importante fase nella quale questa può e deve svolgere un ruolo (così come le istituzioni e gli eletti europei) importante di mediazione e di intervento per far fronte alla crisi.
Signor Presidente, quando diciamo che ci si può presentare alle elezioni e che, anche se non si ottiene un eletto, è sufficiente il 2 per cento per potere recuperare i soldi utilizzati per la campagna elettorale, allora non si ha un accesso politico.
Ciò vale soprattutto quando parliamo di elezioni europee, non di elezioni comunali, per le quali si può comprendere che magari una lista di pescatori possa ottenere un numero minimo per poter accedere. Comunque lì occorre il 4 per cento, ma per le comunali non è previsto alcun rimborso. Noi prevediamo già il rimborso, ma non vorrei che venisse considerato come finanziamento pubblico. Non è finanziamento pubblico, ma rimborso a quelle formazioni politiche che ottengano il 4 per cento. Perché aggirare la norma, dicendo che anche quelli che ottengono il 2 per cento dei voti possono accedere al rimborso elettorale? Perché mai? Vi è un rischio di impresa politica anche nelle elezioni e non vi è nessuno che possa avvalersi della richiesta che lo Stato e i cittadini, dalle loro tasche, diano soldi a coloro che, presentandosi, non sono in grado, neanche per l'Europa, di avere una proposta politica ed elettorale che ottenga più del 4 per cento. Signor Presidente, anche su tale questione bisogna fare chiarezza (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Amici. Ne ha facoltà.

SESA AMICI. Signor Presidente, questa mattina nella discussione sulle linee generali, ma anche negli interventi sul complesso degli emendamenti che si sono appena svolti, i colleghi del Partito Democratico hanno sottolineato, con dovizia di particolari e anche con ragionamenti politici, il fatto che questo decreto-legge, che perviene oggi alla Camera, contenga due nodi politici, sui quali diventa difficile non esprimersi, non solo dai banchi dell'opposizione, ma in maniera ancora più difficile da parte della maggioranza e del Governo.
Sono due nodi politici che intersecano il dibattito attuale: la profonda crisi economica di questo Paese, l'insieme della sofferenza di interi settori, ai quali bisogna dare delle risposte, con un'assunzione di responsabilità tipica di chi assume i ruoli dell'esercizio di Governo.
In Commissione, entrambe queste due questioni hanno, invece, ricevuto un totale silenzio. Ed è su questo silenzio che mi vorrei soffermare, perché, colleghi, gli emendamenti che noi abbiamo predisposto, oltre alla questione che abbiamo sollevato sulla parte inammissibile dell'emendamento a prima firma Dario Franceschini, contengono un elemento di riflessione politica molto seria, non solo perché siamo di fronte ad un'operazione condivisibile di tenere insieme più elezioni, non solo sul piano del risparmio, ma anche per dare il senso di un momento importante, in cui le persone, i cittadini, gli uomini e le donne di questo Paese, sono chiamati a decidere.
La cosa veramente singolare è che non si capisce perché, - anzi forse potremmo dire, come ha detto il collega Bressa, che a pensare mal si può fare peccato, ma a volte ci si azzecca - questo Governo abbia deciso, di fronte a quel momento di accorpamento, di escludere una competizione, quella referendaria. La questione Pag. 37non è solo relativa ad uno strumento previsto dalla Costituzione, che ha mobilitato centinaia di persone nella raccolta delle firme e che diventa l'espressione di un rapporto positivo fra le istituzioni e i cittadini. Ciò al di là del merito di quel referendum, ma se la questione è di merito, allora questa diventa l'occasione di un confronto molto chiaro e netto di posizioni politiche a favore o contrarie. Voi volete escludere entrambe, relegandolo nella condizione di stare in mezzo a due competizioni elettorali, tenendolo separato, forse perché l'obiettivo vero è quello del non raggiungimento del quorum.
Quando si ragiona così, anche quando si hanno funzioni di Governo, la lesione che ne viene alla qualità della democrazia è di una gravità inaudita, perché è come se si fosse impotenti nell'argomentare le proprie posizioni, rifugiandosi nella mancanza del quorum proprio per evitare di indebolire uno strumento previsto dalla nostra Costituzione.
L'altro elemento da sottolineare è che questo disegno di legge, di conversione di un decreto-legge, approvato dal Senato il 27 gennaio, contiene una grave omissione da parte del Governo e dalla maggioranza. Colleghi, noi abbiamo assunto un atteggiamento di grande responsabilità, frutto anche di una nostra indicazione e di una scelta politica molto chiara e netta, quando abbiamo contribuito, insieme alla maggioranza, ad approvare una sola modifica al testo della legge elettorale europea, prevedendo, per aiutare una situazione di minore frammentazione del quadro politico, solo la norma che poneva lo sbarramento per la rappresentanza al 4 per cento.
Lo abbiamo fatto, nonostante quel provvedimento; se avesse avuto un altro percorso, avremmo dovuto discutere dell'abolizione delle candidature plurime e di un disegno diverso delle circoscrizioni, mettendo mano sul serio alla legge elettorale europea. Abbiamo concordato che quello, intanto, poteva essere un punto molto importante, ma credo che la differenza tra la soglia della rappresentanza e la capacità di cosa intendiamo per democrazia non possano continuare ad essere un terreno di furbizie e di tatticismi.
Lo dico perché il Governo, come ha già fatto in Commissione, e credo farà di nuovo in quest'Aula, sull'emendamento relativo al contributo elettorale si rimetterà all'Aula. Questo perché, in un ramo di questo Parlamento, al Senato, il Governo ha dato parere favorevole su un emendamento che ha modificato la legge sui rimborsi elettorali. Il collega Quartiani poc'anzi ha teso a mettere in evidenza come, in qualche modo, siamo di fronte ad un'ennesima stortura: non si tratta di finanziamento pubblico, ma di rimborso elettorale; di fatto, però, diventa un finanziamento pubblico.
Credo che alla maggioranza non competa il silenzio, perché è possibile dire tutto, ma non si può, di fronte ad un dato che attiene anche alla qualità della democrazia e della partecipazione di movimenti e di soggetti politici, far finta che il problema non esista.
Abbiamo presentato una serie di emendamenti, ma vogliamo sapere da questa maggioranza il perché del cambiamento di opinione; ve ne dovete assumere la responsabilità, che non è solo politica, ma anche e soprattutto etica, quando si tratta di ragionare di fronte a due Camere di questo livello. Il secondo aspetto è che vi dovete assumere un'ulteriore responsabilità: superando i tatticismi e le furbizie, siccome non vi è alcuna intenzione ostruzionistica, ma quella di omologare sempre più il dato della rappresentanza e anche la capacità di contribuire con il rimborso elettorale ad una partecipazione attiva, siamo disposti a ragionare su una soglia che può essere anche diversa da quella del 2 per cento promossa dal Senato.
Perché, su questo, il silenzio diventa assordante? È un silenzio non solo preoccupante, ma che testimonia che, nonostante i numeri che avete dalla vostra parte, assumete atteggiamenti veramente bizzarri nell'affrontare le questioni. Ma la cosa più grave credo che sia il tema che in qualche modo i colleghi hanno sottolineato: Pag. 38la vicenda della non decisione di accorpare il referendum diventa un'offesa a questo Paese.
Mentre esso è in sofferenza, la proposta che vi facciamo è fortemente legata non solo ad un'idea di risparmio di spesa, ma anche ad una finalizzazione di quel risparmio verso uno dei settori più in sofferenza e sul quale forse era ora ed è bene che in quest'Aula si discuta (lo faremo ancora nella fase di illustrazione degli emendamenti). La sicurezza, infatti, non è una bandiera, né un tema di campagna elettorale. La proposta di finalizzare il risparmio che verrebbe dall'accorpamento è legata sul serio ad una proposta concreta.
Questi silenzi, queste vostre perplessità ci portano a dire che, anche di fronte a decreti-legge che vengono «discussi», impedendo spesso anche i tempi del ragionamento e della riflessione, non potete pretendere di avere, anche su queste questioni, un atteggiamento di una maggioranza che si fa forte dei numeri, ma è talmente debole nei suoi argomenti che, di fronte ai nodi politici, l'unica risposta che dà è un silenzio imbarazzante (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Franceschini. Ne ha facoltà.

DARIO FRANCESCHINI. Signor Presidente, sarò brevissimo, perché i parlamentari del Partito Democratico che hanno parlato prima di me hanno già esposto le nostre posizioni sia sul provvedimento all'attenzione dei lavori dell'Aula sia sul punto specifico, che abbiamo chiesto venga introdotto nel testo, relativo al cosiddetto election day, cioè l'accorpamento nell'unica giornata del 7 giugno delle elezioni europee e amministrative, come già previsto, insieme al referendum sulla legge elettorale.
Credo che i banchi vuoti, così compattamente vuoti della maggioranza, siano un po' la metafora di quello che il Governo e i partiti del centrodestra stanno cercando di fare in queste settimane: nascondere, occultare, coprire con altro tutto ciò che può creare problemi, coprire la crisi economica, negarne addirittura l'esistenza, come fa con una certa frequenza il Presidente del Consiglio, impedire che da un fatto di percezione individuale si trasformi in un dato sociale, in un dato di percezione collettiva, cercare di coprire con temi anche importanti dell'agenda politica tutto ciò che può creare problemi in casa propria. E così esattamente avviene su questo tema dell'election day.
Credo invece che si debba avere, ognuno di noi, ogni forza politica, il coraggio delle proprie scelte politiche, anche se impopolari, anche se faticose da spiegare, come questa del rifiuto allo svolgimento in un unico giorno delle elezioni del 7 giugno, e non invece inventare ipocrisie, arrampicarsi su funzioni giuridiche più o meno improbabili, cercando di coprire invece il merito; e in questo caso il merito è molto chiaro: perché la maggioranza possa stare assieme deve pagare alla Lega il prezzo di un'operazione che attraverso i tempi di svolgimento del referendum ne impediscano, diano la certezza di impedirne l'approvazione, impedire cioè che vincano i «sì». E voglio dirlo, al di là del merito, perché sul merito ci sarà modo di parlarne: noi l'abbiamo detto in più occasioni nei mesi scorsi, ci saranno molte opportunità di tornare sul fatto che questa legge elettorale è una legge che noi abbiamo contrastato, che è stata definita con un aggettivo qualificativo che da solo risponde a tutto, è inadeguata, ha il meccanismo delle liste bloccate, sottrae agli elettori di centrodestra e di centrosinistra la possibilità di scegliersi gli eletti, tutte cose che abbiamo detto nei mesi passati. Abbiamo anche detto che il referendum non risolve questi problemi; è sicuramente un'operazione politica di contrasto all'attuale legge elettorale, ma non risolve soprattutto il meccanismo delle liste bloccate.
Quello che fa veramente riflettere, e su cui dovrebbe riflettere l'opinione pubblica, è che dietro questa operazione di costruire attraverso un percorso forzato, giuridico, il modo di non raggiungere il quorum, copre Pag. 39invece le scelte politiche fatte in passato. Sta per nascere tra i festeggiamenti generali il Partito delle libertà: vorrei sapere come mai i parlamentari di Alleanza Nazionale, a cominciare dall'attuale Presidente della Camera, che hanno promosso quel referendum, che hanno raccolto le firme per quel referendum nelle piazze e nelle strade, oggi tentano addirittura di dimenticarlo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). O tentano di fare un'operazione politica, evidentemente avendo un qualche timore ad ammetterlo, che attraverso lo strumento del mancato accorpamento sostanzialmente ostacoli il raggiungimento del quorum.
Esiste la possibilità - lo chiedo al Governo, lo chiedo alla maggioranza - di accorpare in un'unica giornata, il 7 giugno, il voto delle amministrative, delle europee e del referendum? Sì, la risposta evidentemente è «sì»: esiste giuridicamente questa possibilità che non ha alcun ostacolo, è soltanto una scelta politica. È vero che l'accorpamento di queste tre elezioni nella stessa giornata porterebbe ad un risparmio di 460 milioni di euro? Ciò in un momento in cui tutti noi, per presentare proposte che risolvano i problemi gravi degli italiani, delle famiglie, ci preoccupiamo di trovare coperture alle proposte che facciamo, come deve coerentemente e coscienziosamente fare una forza riformista, ma anche da parte della maggioranza c'è una ricerca ossessiva di trovare risorse che consentano di coprire finanziariamente i vari interventi che vengono proposti. È vero che il mancato accorpamento e lo svolgimento in una domenica successiva porterebbe ad una spesa di 460 miliardi di euro? Sì, è vero! È vero che il ripiego di cui stiamo leggendo (vedremo se verrà formalizzato o meno in un emendamento, ma le dichiarazioni sembrano far pensare di «sì»), per salvare un po' la faccia quando non è salvabile, di andare a far votare il 21 giugno per il referendum, comporterebbe la modifica della norma di carattere generale, cioè della legge vigente che prevede che i referendum si debbano svolgere dal 15 aprile al 15 giugno? Tutto ciò pur di non far svolgere il referendum nella data logica.
È vero che questa operazione comporterebbe comunque enormi disagi ai cittadini e la riapertura dei seggi, considerato che il 21 giugno si voterà non sappiamo in quanta parte d'Italia, ma si voterà in una parte d'Italia piccola rispetto all'intero territorio nazionale per lo svolgimento dei soli ballottaggi, e quindi nei soli comuni e province in cui si svolgerà il secondo turno. Ciò comporterà, forse, di non spendere tutti i 460 milioni di euro, ma sicuramente comporterà di spenderne - è difficile fare un conto esatto - almeno, ci dicono, 300 milioni di euro.
È, la vostra, la scelta di impedire il raggiungimento del quorum e penso che questa operazione non la farete soltanto quest'anno, ma penso starete già pensando di farla l'anno prossimo, perché l'anno prossimo sarà, anche in questo caso, al di là del merito, l'anno di svolgimento del referendum sulla legge Alfano ed immagino che, essendoci le regionali l'anno prossimo, la prima vostra preoccupazione sarà di impedirne l'abbinamento; quindi è chiaro che, seguendo questa linea, proporrete agli italiani, anche nel 2010, di spendere altri 460 milioni di euro per evitare ed avere la certezza che nemmeno sul lodo Alfano verrà raggiunto il quorum per la validità del referendum!
E ciò, lo ripeto, al di là del merito, su cui vi sarà modo di confrontarsi, al di là del fatto che l'idea di astenersi, la scelta di un cittadino di astenersi al referendum, è uno strumento costituzionalmente previsto. Anche il tentativo di non fare raggiungere il quorum attraverso l'astensione e quindi di non far raggiungere il referendum è uno degli strumenti costituzionalmente previsti, ma come scelta individuale, non fatta strumentalmente per tenere insieme la maggioranza, facendo votare tre volte - il 7, il 14 e il 21 giugno - o due volte in una parte d'Italia, semplicemente per avere la certezza che il quorum non venga raggiunto. Allora, lo diciamo con chiarezza: è una vergogna! È una vergogna che, per un calcolo politico, Pag. 40buttiate dalla finestra 460 milioni di euro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)!
Vi abbiamo proposto - e continueremo a farlo - di utilizzare da subito quelle risorse, quei 460 milioni di euro da spendere in giugno, per la sicurezza, per la sicurezza nelle strade e per la sicurezza nelle città (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), di utilizzarli per riparare e per mettere la benzina nelle centinaia di volanti della polizia e di gazzelle carabinieri che restano ferme ogni giorno nelle grandi città e nelle zone in cui c'è la massima criminalità, dal momento che non hanno i soldi per essere riparate o per fare il pieno di benzina.
Vi abbiamo detto: assumiamo 5 mila agenti (poliziotti, carabinieri, finanzieri) che già attraverso l'abbinamento potrebbero avere una copertura sia nel 2009, sia nel 2010. Voi risponderete di «no» e pensate che contemporaneamente, mentre negate l'utilizzo di queste risorse, date una risposta alla sicurezza dei cittadini attraverso il meccanismo delle ronde.
La settimana scorsa abbiamo incontrato tutti i sindacati di polizia, dei carabinieri e della guardia di finanza e sono venuti a raccontarci loro davanti ai giornalisti, perché un conto è quando queste cose si sentono dire dai politici (e c'è sempre il sospetto di una strumentalizzazione). Abbiamo voluto che lo raccontassero loro davanti ai mezzi di comunicazione; abbiamo voluto che raccontassero il fatto che la giornata precedente a Roma in circolazione c'erano sei volanti su centoquindici, che a Padova sono arrivati dodici agenti delle forze dell'ordine da dodici città italiane, a ognuno dei quali è stata pagata la trasferta permanente perché hanno la funzione di scortare i soldati che sono lì simbolicamente; ci hanno raccontato gli episodi che abbiamo letto sui giornali, gli episodi in base ai quali la polizia e gli agenti di pubblica sicurezza devono seguire le ronde per evitare che, tra di loro o rispetto alle comunità in cui operano, creino ulteriori problemi.
La proposta che vi abbiamo fatto è molto chiara e molto precisa: utilizziamo le risorse che facilmente sarebbero disponibili da subito con l'election day per il comparto delle forze dell'ordine. Fate ancora in tempo! Volete proporre un utilizzo diverso di queste risorse? Proponete un utilizzo diverso di altre risorse, ma non può essere certo l'ammissibilità tecnica o meno di un emendamento a bloccare questo. È una scelta politica: dite di «sì» all'election day il 7 giugno.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANFRANCO FINI (ore 17.07)

DARIO FRANCESCHINI. Non si buttano centinaia di milioni di euro dalla finestra semplicemente per mantenere un patto di potere con la Lega. Questo è contro le migliaia di italiani che ogni giorno temono di entrare nella fame, nella miseria e nella disperazione (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Favia. Ne ha facoltà.

DAVID FAVIA. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, non è facile intervenire dopo il segretario del Partito Democratico, ma, con forza, faccio presente che l'Italia dei Valori ha presentato degli emendamenti atti ad accorpare la giornata referendaria con quelle delle votazioni delle elezioni europee e amministrative. L'election day è stato creato proprio per risparmiare; chi ha pensato a questa normativa, l'ha giustificata proprio in virtù del discorso del risparmio. Nel momento in cui noi abbiamo chiesto di aumentare questo risparmio, ovvero di accorpare anche il referendum alla giornata elettorale del 6 e del 7 giugno, c'è stato risposto di «no» con motivazioni francamente non accettabili. Questa mattina le abbiamo ascoltate durante la discussione sulle linee generali, soprattutto da parte del rappresentante della Lega; non possiamo essere d'accordo. Credo che si può essere contrari ai contenuti di un referendum, ma che non si Pag. 41possa boicottarlo per paura che raggiunga il quorum. Si può svolgere, giustamente, un'attività socio-politica affinché il cittadino non vada a votare, e quindi il referendum non raggiunga il quorum, ma svolgere questa attività di ostruzionismo, di boicottaggio a livello istituzionale, perché una parte della maggioranza non è d'accordo con il risultato che il referendum raggiungerebbe, ci sembra un qualcosa di veramente estraneo alle funzioni istituzionali di una legge. Non accogliendo la nostra richiesta di accorpamento del referendum, i cittadini saranno chiamati a votare per tre elezioni consecutivamente, con un effetto di cui non ho sentito parlare, ma che credo sia importante rilevare. Si verrebbe a verificare una sorta di boicottaggio implicito del ballottaggio del 21 giugno, la terza giornata in cui i cittadini sarebbero chiamati a votare, perché sappiamo che i ballottaggi non sono elezioni che appassionano come le elezioni politiche, europee, o come è per i primi turni delle elezioni amministrative. Mi sia consentito di dire, nel difendere la portata dei nostri emendamenti volti ad accorpare la giornata referendaria, che l'intervento dell'onorevole Stracquadanio, svolto oggi in sede di discussione sulle linee generali, mi ha lasciato estremamente perplesso (lo cito proprio perché è aprioristicamente contrario ai nostri emendamenti). Afferma il collega che l'accorpamento rallenterebbe le operazioni di voto, come se non avessimo più volte visto sezioni chiudere le operazioni di voto con ore e ore di ritardo. Si reputa, quindi, che l'espressione di un fatto democratico, come il rifiuto della scheda del referendum da parte di chi voglia esercitare questo diritto per non far raggiungere il quorum al referendum, possa essere un ostacolo all'accorpamento.
Come se la velocità delle operazioni elettorali fosse un valore superiore a quello del risparmio di centinaia di milioni di euro, pur nella legittima espressione del voto. Ma c'è di peggio. L'onorevole Stracquadanio ha detto oggi che non si può accorpare il referendum perché c'è il timore che i presidenti di seggio, pur di non rallentare le operazioni di voto, farebbero in modo e (tra virgolette, dico io) istigherebbero l'elettore a votare scheda bianca, il che porterebbe a favorire il raggiungimento del quorum. Io credo che dire questo in un'Aula parlamentare sia terribilmente drammatico, cioè presupporre che i nostri presidenti di seggio, sotto la sorveglianza delle nostre prefetture, possono fare un qualcosa di assolutamente illegittimo ed illecito. Non credo che possa essere giustificato da un'importante esponente politico un comportamento volto a tenere insieme le incongruenze e i rischi di non tenuta della maggioranza con queste argomentazioni, che veramente consideriamo poco degne di nota. Non so se le trattative, di cui si diceva fossero in corso, per giungere all'accorpamento con il secondo turno siano andate o andranno a buon fine. Sebbene saremmo favorevoli anche a questa subordinata, non credo che sarebbe un buon segnale, anche perché bisognerebbe fare una legge per sforare la data del 15 giugno. Perché accontentarsi di questo quid minus o quam minus quando l'accorpamento potrebbe avvenire con le due giornate principali del 6 e del 7 giugno? In tal caso vi sarebbe il risparmio, di cui si diceva, che - per carità - può essere anche assegnato al comparto della sicurezza, ma questo risparmio potrebbe forse meglio essere assegnato alle nostre imprese in crisi, ai nostri lavoratori in crisi, ai nostri disoccupati.
Io mi auguro quindi che questo e altri significativi emendamenti di altri gruppi politici possano, al momento della specifica loro discussione e del voto, essere accolti, perché francamente piegare le istituzioni e le leggi alle esigenze di tenuta della maggioranza e alle esigenze di boicottaggio di uno strumento costituzionale come il referendum sarebbe l'ennesimo cattivo esempio che verrebbe dalla politica di questa maggioranza (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare sul complesso delle proposte emendative, invito la relatrice ad esprimere il parere della Commissione.

Pag. 42

BEATRICE LORENZIN, Relatore. Signor Presidente, la Commissione esprime parere contrario sugli emendamenti Lo Monte 1.10 e 1.11, nonché sull'emendamento Di Pietro 1.27. Ricordo che l'emendamento Franceschini 1.28 è stato dichiarato inammissibile...

PRESIDENTE. Scusi onorevole, l'emendamento Franceschini 1.28 è stato dichiarato inammissibile per la seconda parte. Le chiedo il parere della Commissione sulla prima parte dell'emendamento Franceschini 1.28.

BEATRICE LORENZIN, Relatore. Signor Presidente, il parere sulla prima parte dell'emendamento Franceschini 1.28 è contrario.
La Commissione inoltre esprime parere contrario sugli emendamenti Lo Monte 1.21, 1.12, 1.13, 1.14, 1.23, 1.15, 1.24, 1.25, 1.16, 1.17, 1.26, 1.18 e 1.19. Ricordo che la lettera c) dell'articolo aggiuntivo Giachetti 1.028 è stata dichiarata inammissibile, mentre per la restante parte di tale articolo aggiuntivo il parere della Commissione è contrario. Il parere è altresì contrario sull'articolo aggiuntivo Lo Monte 1.033.
La Commissione esprime parere contrario sugli articoli aggiuntivi Lo Monte 1.034, 1.035, 1.036, 1.037, 1.038, 1.039, 1.041, 1.042, 1.043 e 1.044. Signor Presidente, la Commissione esprime parere contrario su tutte le restanti proposte emendative, ad eccezione dell'emendamento Tassone 2.10, riportato a pagina 65 del fascicolo degli emendamenti, sul quale la Commissione esprime un invito al ritiro, chiedendo di trasfonderne il contenuto in un ordine del giorno, come raccomandazione al Governo.

PRESIDENTE. Onorevole Lorenzin, la Commissione dunque esprime parere contrario su tutte le restanti proposte emendative?

BEATRICE LORENZIN, Relatore. Sì, signor Presidente.

PRESIDENTE. Prima di ascoltare il parere del Governo, onorevole relatrice, le ricordo che, per quanto riguarda l'articolo aggiuntivo Giachetti 1.028, la Presidenza ritiene ammissibile la riformulazione proposta dall'onorevole Giachetti e, quindi, le chiederei di ripetere il parere della Commissione.

BEATRICE LORENZIN, Relatore. La Commissione esprime parere contrario sull'emendamento Giachetti 1.028, come riformulato.

PRESIDENTE. Il Governo?

MICHELINO DAVICO, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, il parere del Governo è conforme a quello espresso dalla relatrice.
Approfitto della facoltà di parlare, per esprimere alcune considerazioni relative agli emendamenti e al dibattito che si è svolto questa mattina durante la discussione sulle linee generali. Non si è proceduto all'abbinamento dei referendum con le elezioni europee e con il primo turno delle elezioni amministrative per le difficoltà connesse alle molteplici e differenti schede che sarebbero state consegnate agli elettori: una per le elezioni europee, sino a tre per le elezioni amministrative, che sino ad oggi vanno a riguardare 4.321 amministrazioni comunali, 63 amministrazioni provinciali per un totale di 42.300 seggi su 61.210, più le schede del referendum. Né va trascurata la concomitanza delle varie modalità di voto peculiari per ciascun tipo di elezione.
Il provvedimento, inoltre, scaturisce dalla necessità di dover semplificare alcune procedure elettorali, tenuto conto che in Italia ciascun tipo di votazione ha una propria e distinta procedura e, al contempo, di assicurare la partecipazione al voto di alcune categorie di elettori temporaneamente all'estero per motivi di servizio o impegnati in missioni internazionali. C'è la novità dei funzionari delle regioni, dei docenti universitari e di tutti i familiari di queste categorie di persone. Si tratta di categorie di cittadini ben identificate Pag. 43le cui amministrazioni di appartenenza forniscono tutta la necessaria collaborazione per facilitare l'esercizio del voto.
Per tali ragioni e per i ristretti margini di tempo a disposizione non è possibile prevedere altre fattispecie di elettori, a cominciare dagli studenti universitari impegnati in studi in università straniere: è l'oggetto di un emendamento presentato dall'onorevole Tassone, peraltro citato dalla relatrice. In questo senso, riteniamo che stia veramente maturando il momento di rimettere ordine alle procedure elettorali e, in particolare, al voto all'estero. Quindi, accoglieremo volentieri come raccomandazione l'ordine del giorno in cui l'onorevole Tassone vorrà trasfondere il suo emendamento.
Desidero anche fornire qualche delucidazione in merito all'ipotizzato risparmio che sarebbe derivato dall'abbinamento dei referendum alle consultazioni europee ed amministrative. Debbo ritenere che il dato che viene pubblicizzato di 400 milioni o, oggi, di 460 milioni derivi dallo stanziamento per le elezioni svoltesi nell'anno 2008, che è stato di 401 milioni di euro. In particolare, tuttavia, occorre precisare che le spese per le consultazioni sono interamente a carico dello Stato per le elezioni europee, le elezioni politiche e i referendum e sono percentualmente ripartite tra Stato ed enti locali nel caso di contemporaneo svolgimento di elezioni amministrative. Per lo svolgimento di referendum la spesa diretta, che riguarda le spese tecniche e le spese per le stampe tipografiche, le spese postali e le agevolazioni di viaggio per gli elettori è stimata in 241 milioni di euro a cui vanno aggiunti i costi indiretti del lavoro che si svolge: il lavoro straordinario dei dipendenti degli enti locali e delle forze dell'ordine e di polizia, dei militari, l'allestimento e lo smontaggio dei centri, ed altro. Sono tutte spese che saranno note a consuntivo dell'avvenuto momento elettorale ed è chiaro che in particolare su questa parte potrebbero eventualmente determinarsi i risparmi citati.

PRESIDENTE. Sospendiamo ora l'esame del provvedimento.
La seduta riprenderà alle ore 18, con il seguito della discussione della mozione concernente iniziative per il rispetto dei diritti umani e delle libertà democratiche in Tibet.
Ricordo agli onorevoli colleghi che avranno luogo votazioni e che a partire dall'odierna seduta sarà in funzione il nuovo sistema di voto, per il cui utilizzo è necessario dotarsi delle nuove tessere di votazione, senza le quali non è possibile procedere alla votazione.
Sospendo la seduta.

La seduta, sospesa alle 17,25, è ripresa alle 18,05.

Preavviso di votazioni elettroniche.

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.
Ricordo ancora una volta che, a partire dall'odierna seduta, sarà in funzione il nuovo sistema di voto, per il cui utilizzo è necessario dotarsi delle nuove tessere di votazione, senza le quali non è possibile procedere alla votazione.

Seguito della discussione della mozione Mecacci e altri n. 1-00089 concernente iniziative per il rispetto dei diritti umani e delle libertà democratiche in Tibet (ore 18,07).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione della mozione Mecacci e altri n. 1-00089 (Nuova formulazione), concernente iniziative per il rispetto dei diritti umani e delle libertà democratiche in Tibet (Vedi l'allegato A - Mozione). Pag. 44
Ricordo che nella seduta di lunedì 9 marzo 2009 si è conclusa la discussione sulle linee generali ed è intervenuto il rappresentante del Governo.

(Parere del Governo)

PRESIDENTE. Invito il rappresentante del Governo ad esprimere il parere sulla mozione all'ordine del giorno.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, ho già anticipato ieri un assenso alla mozione in oggetto. Vorrei pregare...

PRESIDENTE. Mi scusi, sottosegretario Scotti. Pregherei i colleghi di prestare attenzione e di consentire al sottosegretario di svolgere il suo intervento.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, come dicevo, ho già espresso ieri un generale assenso alla mozione in oggetto. Vorrei pregare l'onorevole Mecacci di sostituire, al termine del primo capoverso del dispositivo, le parole: «in modo da poter contribuire ad accertare quanto avvenuto in quella regione», con le seguenti: «in modo da poter contribuire anche ad "osservare" quanto avvenuto, e avviene, in quella regione». La modifica riguarda una più puntuale formulazione tecnica ed una più estesa area di intervento degli osservatori.

PIERGUIDO VANALLI. Bravo Scotti!

PRESIDENTE. Onorevole Mecacci, accetta la riformulazione proposta?

MATTEO MECACCI. Sì, signor Presidente, accetto la riformulazione.

(Dichiarazioni di voto)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto.
Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Laratta. Ne ha facoltà.

FRANCESCO LARATTA. Signor Presidente, questa nostra mozione impegna il Governo a reiterare al Governo cinese le richieste del Parlamento europeo di aprire, in via stabile e permanente, il Tibet alla stampa e ai diplomatici e di restituire, quindi, un minimo di tranquillità e serenità a questa parte del mondo.
Il Tibet è diventato un inferno in terra. Centinaia di migliaia di tibetani sono stati uccisi: con queste parole, poco fa, il Dalai Lama ha aperto un suo intervento. Questi ultimi cinquant'anni sono stati anni di sofferenza e di distruzione per il territorio e il popolo del Tibet. La loro religione, la cultura, il linguaggio e l'identità sono prossimi a scomparire. I tibetani sono considerati criminali meritevoli solo della morte. Fino a quando accadrà questo nel mondo non si potranno mai spegnere i sentimenti di solidarietà e pieno sostegno alla lotta pacifica della popolazione tibetana e del Dalai Lama.
I tibetani sono alla ricerca di un'autonomia legittima e significativa, che permetta di vivere nell'ambito della Repubblica popolare cinese. È questo che il nostro Paese, l'Europa e il mondo intero devono condividere e sostenere ed è questo che chiediamo al nostro Governo. I tibetani in Tibet vivono con una paura costante e, sempre di più, nel terrore. Oggi la religione, la cultura, la lingua e l'identità, che generazioni di tibetani hanno considerato più preziosa delle loro stesse vite, sono a rischio di estinzione.
Il popolo tibetano viene considerato come un popolo criminale e vi è chi intende isolarlo e cancellarlo per sempre. I tibetani hanno bisogno di guardare al futuro e lavorare in pace. Il Tibet chiede pace, libertà e rispetto. Non è un pericolo per la Cina, né potrebbe mai esserlo, ma la Cina non potrà mai essere considerato un Paese fino in fondo civile, fino a quando terrà il Tibet sotto una fortissima oppressione, fino a quando non finiranno persecuzioni e violenza, fino a quando non saranno rispettati i diritti di un popolo Pag. 45pacifico, che ama vivere in pace, che vuole essere se stesso e che chiede che siano rispettati la propria cultura, la tradizione e la storia.
Fino a quando il Tibet sarà così oppresso nel mondo ci sarà sempre qualcuno che griderà ad alta voce «libertà per quel popolo», perché nessuno può far finta di non sapere e di non vedere. Il Tibet in pace, il Tibet libero e autonomo sono e saranno sempre il grido di libertà del mondo civile, sono e saranno sempre il grido di libertà anche del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, saluto con piacere la presenza - finalmente - in Aula del Ministro Frattini, perché già in altre occasioni abbiamo evidenziato questa esigenza. Il Parlamento si esprime anche attraverso le Commissioni, ovviamente, ed in Commissione il Ministro è stato più presente, però certamente la solennità dell'Aula e di questa giornata meritavano una tale presenza e lo sottolineo con piacere.
Prima di parlare nel merito della mozione, sulla quale preannuncio il voto favorevole del gruppo dell'Italia dei Valori, la presenza del Ministro ci dà anche l'occasione per ragionare più in generale della politica estera del nostro Paese, che noi vorremmo fosse un tantino più incisiva, ma - mi si consenta di dire in questo momento - almeno un tantino meno ondivaga.
Riporto un esempio preciso per essere compreso e sarei grato se in qualche occasione il Ministro avesse voglia di replicare e di rispondere che le mie affermazioni non sono fondate; mi riferisco in particolare alla vicenda dell'Iran. Fino a qualche settimana fa, fino a qualche mese fa non si poteva neanche immaginare di stabilire una qualche relazione con quel Paese e con quel Governo, fino a quando negli Stati Uniti non è arrivata l'elezione di Barack Obama.
Le aperture di Barack Obama e la mano tesa del segretario di Stato Hillary Rodham hanno immediatamente cambiato il tono e l'atteggiamento anche del nostro Governo che prima ha preannunciato una visita a Teheran raccogliendo un invito in tal senso, poi ha smentito questa visita. C'è una curiosa coincidenza: ci siamo resi disponibili ad andare in Iran all'indomani della visita in Italia del portavoce del Congresso americano Nancy Pelosi; abbiamo deciso di non andare in Iran all'indomani di un contatto fra il Ministro degli esteri italiano e il Ministro degli esteri israeliano Tzipi Livni. Può darsi che non vi sia alcuna correlazione fra i due fatti, ma vorrei che su questo il Ministro desse una risposta, perché eliminerebbe un elemento di preoccupazione.
So bene che è difficile parlare con un regime dove, ad esempio, il potente ayatollah Khamenei ribadisce la natura cancerosa dello Stato di Israele, ma anche di fronte a queste difficoltà non si può non cercare di parlare, anche perché diversamente non si capirebbe come il Ministro degli esteri italiano, il Ministro di quel Paese, che è Presidente di turno del G8, inviti la delegazione iraniana a Trieste in occasione del vertice chiamato a discutere e ad affrontare la complessa situazione afgana.
Perché mi preoccupa e ci preoccupa questo atteggiamento ondivago del Governo italiano? Mi preoccupa perché questo stesso atteggiamento lo si ritrova poi anche in altre relazioni internazionali, ad esempio nei confronti della Cina quando abbiamo discusso e dibattuto se andare o meno all'inaugurazione dei giochi olimpici e su quale tipo di atteggiamento tenere. Oggi vorremmo sapere qual è l'atteggiamento che il Governo italiano assume nei confronti della Cina, responsabile della pesante situazione in Tibet.
Certo, oggi, 10 marzo, come direbbero gli inglesi no news, good news, vale a dire che il fatto stesso che sino ad ora, dalle poche notizie che arrivano dalla Cina, sembra che non si siano verificati gravi scontri in Tibet in occasione della doppia Pag. 46ricorrenza legata al 10 marzo è già di per sé motivo di soddisfazione e, soprattutto, di sollievo.
Dall'inviato dell'ANSA si viene a sapere che Presidente Hu Jintao si è dichiarato particolarmente soddisfatto per il fatto che la grande muraglia (come lui stesso l'ha definita) che le forze di sicurezza hanno eretto intorno al Tibet abbia retto, mentre l'agenzia del Governo cinese Nuova Cina, unico mezzo di comunicazione presente in questi giorni a Lhasa, parla di una città tranquilla e pacifica. Ma il clima resta pesante.
Ai monaci del monastero di Rongwo, raggiunti telefonicamente da alcuni giornalisti stranieri, è stato imposto di non lasciare il luogo dove vivono dal 6 al 16 marzo. Nelle zone a forte presenza tibetana, i pochi che hanno tentato di rompere il pesante assedio di quella muraglia cinese, orgoglio del Presidente Hu Jintao, sono stati bloccati dalla polizia armata del popolo e non sappiamo ancora con quali risultati. Il club dei corrispondenti stranieri dalla Cina, ha denunciato almeno sei casi di detenzione di giornalisti per presunte violazioni della legge cinese sulla stampa. Nel contempo, manifestazioni di esuli e simpatizzanti tibetani si sono svolte in tutto il mondo e anche qui, poche ore fa e in questo momento davanti a piazza Montecitorio. Ma in Cina la paura instillata da un anno di isolamento e da una settimana di legge marziale non dichiarata ha prevalso.
È legittimo sentirsi dunque più sollevati in questo momento proprio perché non si ha notizia di eventi tragici, ma rimane intatta tutta la tensione che si percepisce molto potente anche da noi che ne siamo così lontani. I motivi di soddisfazione, signor Presidente, anche se precari, terminano però qui. Resta in piedi tutta la protervia e l'arroganza di un Governo responsabile di aver ucciso, in questi cinquant'anni, migliaia di tibetani e di aver trasformato il tormentato Tibet, sono le parole del Dalai Lama, in «un inferno in terra», condotto una serie continua di campagne violente e repressive, imposto più volte la legge marziale e introdotto programmi di rieducazione che hanno causato profonde sofferenze nella popolazione tibetana.
Nell'atteso discorso in occasione della commemorazione del Giorno della sollevazione nazionale tibetana, il capo spirituale tibetano, Tenzin Gyatso, ha rimarcato la paura costante e le sofferenze cui sono sottoposti gli abitanti e sottolineato con preoccupazione che la loro religione, cultura, linguaggio, identità sono prossimi a scomparire. Le autorità cinesi, che ovviamente continuano ad accusare il Dalai Lama di incoraggiare spinte separatiste, noncuranti delle richieste più volte ribadite di autonomia legittima e significativa e non dunque di indipendenza dalla Cina, hanno per tutta risposta chiesto al Congresso americano - che, come noi, in questo momento sta esaminando un progetto di risoluzione per manifestare il sostegno al Tibet - di non procedere nell'approvazione di alcun documento. In questo momento non sappiamo ancora quali saranno le reazioni dei membri del Congresso o del Governo degli Stati Uniti, ma si può realisticamente ipotizzare che la richiesta cinese verrà respinta al mittente.
Come ha dichiarato anche il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, intervenuto in difesa di un cittadino onorario di questa città qual è, da qualche settimana, il Dalai Lama, qui non si tratta certamente di avanzare richieste di atti ostili al popolo cinese o al suo Governo, qui è in gioco il peso politico dell'Occidente, e non solo quello commerciale, si spera. La crescente importanza economica della Cina, destinata a diventare con il tempo, probabilmente, la prima potenza mondiale, non può e non deve comportare una tacita acquiescenza da parte della comunità internazionale di fronte alla violazione dei diritti umani - sto per concludere, signor Presidente - fatte salve iniziative come quella di oggi, pur con i limiti oggettivi, mentre anche il Parlamento europeo sarà presto chiamato a discutere e ad adottare una nuova risoluzione sul Tibet. A nostro avviso, occorrono, nel frattempo, azioni diplomatiche forti e pressioni politiche per impegnare il Governo cinese ad avviare un Pag. 47reale negoziato con il Dalai Lama e i legittimi rappresentanti del popolo tibetano. Non si può più tacere in nome del rispetto dei diritti fondamentali così a lungo repressi.
Per tali motivi e con queste indicazioni e queste speranze, il gruppo dell'Italia dei Valori esprimerà un voto convinto e partecipe a questa mozione.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Quartiani. Ne ha facoltà.

ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Signor Presidente, ho chiesto di parlare perché vorrei, se possibile, motivare a lei, all'intera Aula e anche agli amici e colleghi del mio gruppo, la sofferenza con la quale mi accingo ad esprimere un voto di astensione sulla mozione.
Lo faccio a livello personale e vorrei motivarlo molto brevemente, perché credo che non si sia fatto tutto ciò che era possibile fare e si siano precipitati i tempi per arrivare a definire una mozione su cui si poteva lavorare con maggiore attenzione, con maggiore cautela e con maggiore interessamento anche dell'Aula e dei gruppi, in modo tale che vi fosse un'effettiva condivisione da parte di tutto il Parlamento italiano e di tutti i gruppi politici che siedono nel Parlamento italiano.
Devo dire che non mi convince la parte motiva della quale non condivido il giudizio e le modalità con le quali è trattata la questione dell'autonomia della regione tibetana che è già definita regione autonoma dalla Costituzione della Repubblica popolare cinese, né condivido l'eccesso di sottolineatura del ruolo del Governo tibetano in esilio che, spesso, percorre la parte motiva della mozione anziché, come credo si doveva fare, il richiamo al ruolo delle istituzioni internazionali e all'ONU per la garanzia dei diritti civili e umani nel Tibet.
Ritengo improprio il riferimento all'azione del Presidente della Repubblica francese Sarkozy, come ritengo strumentale il riferimento al partenariato strategico con la Cina da parte dell'Unione europea, partenariato che non può esser oggetto di scambio né di strumentalizzazione, ma va percorso con impegno.
Apprezzo, invece, il riferimento, nella parte finale del dispositivo, al rispetto dell'integrità territoriale della Cina insieme all'assicurazione del massimo impegno per garantire la tutela e l'autonomia, la preservazione della cultura, delle tradizioni e delle religioni tibetane.
È anche per questo motivo che la mia dichiarazione di voto personale mi consente non di esprimere, come si vorrebbe se solo dovessimo riferirci alla parte motiva, un voto contrario, ma una posizione di astensione in sede di votazione finale.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Adornato. Ne ha facoltà.

FERDINANDO ADORNATO. Signor Presidente, mi consenta di iniziare questo intervento con le parole del Dalai Lama: oggi, dice il Dalai Lama, è il cinquantesimo anniversario della pacifica rivolta del popolo tibetano contro la repressione della nostra regione operata dai comunisti cinesi; sin dallo scorso marzo, una moltitudine di manifestazioni pacifiche è fiorita in tutto il Tibet; la maggior parte di coloro che vi ha preso parte è giovane, cresciuta dopo il 1959. Non hanno mai visto il Tibet libero; eppure, è per me motivo di orgoglio vedere che questi giovani sono mossi verso la causa tibetana che è stata tramandata loro di generazione in generazione. Questo fatto deve essere motivo di ispirazione anche per coloro che, nella comunità internazionale, guardano con interesse ai fatti del Tibet. Noi onoriamo e preghiamo per coloro che sono morti, sono stati torturati ed hanno subito tremende privazioni per la causa del Tibet.
Ebbene, signor Presidente, anche il nostro gruppo onora e prega per coloro che sono morti nel Tibet, ma se ho citato il Dalai Lama non è solo per questa doverosa e commossa riconoscenza verso il suo operato, ma anche perché vorremmo sottoporre all'Aula un preciso problema politico. Pag. 48
A differenza di quest'Aula, che rumoreggia quando si parla di cose importanti (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro), siamo risolutamente a favore dei diritti umani e li mettiamo al primo posto, ma vorremmo sforzarci in questo intervento, come gruppo dell'Unione di Centro, di svolgere, signor Ministro, un ragionamento di realpolitik non idealistico, non solo a favore dei diritti umani, ma di realpolitik.
Vorrei esprimere due riflessioni, soprattutto, di carattere politico e non ideologico. La prima è che l'operazione che la Cina sta cercando di effettuare è quella della distruzione politica e morale della figura del Dalai Lama e questo per un motivo molto preciso: le generazioni, cui fa riferimento il Dalai Lama nel suo messaggio, cominciano a non capire più la sua politica; cominciano a vedere che non vi sono frutti dalla politica del Dalai Lama.
Allora, poiché la politica del Dalai Lama è stata quella non di una secessione e di un'indipendenza, ma di un'autonomia culturale e religiosa, è evidente che, essendo questa una linea in cui crediamo, o la comunità internazionale fa da sponda a questa linea del Dalai Lama oppure, se il Dalai Lama perde prestigio ed autorità presso queste generazioni del Tibet, sarà il caos in quella regione e sarà la violenza.
Quindi, è un motivo di realpolitik che ci deve spingere ad offrire, come comunità internazionale, come Occidente e come Italia, una sponda alla linea del Dalai Lama. Se, invece, ci vergogniamo di riceverlo, quando si reca in Italia o appoggiamo timidamente la sua causa, è evidente che lavoriamo per il caos e non a favore della Cina, a favore del caos e della violenza.
Signor Ministro, lei conosce benissimo i dati offerti dalla Campaign For Tibet. Ebbene, in questo anno, dopo le Olimpiadi - ricorderà le discussioni che ci hanno coinvolto - cosa è successo, dopo che i cinesi avevano promesso che sarebbero intervenuti sui diritti umani? È successo che 600 prigionieri politici sono stati arrestati nel corso del tempo che va dalle Olimpiadi ad oggi; è successo che 130 pacifiche proteste condotte in quella regione nel corso dell'ultimo anno si sono concluse con l'arresto di centinaia di monaci nei monasteri di Sera, Drepung, Ganden; inoltre, 1.200 tibetani sono scomparsi in questo periodo; le forze di sicurezza hanno sparato il 26 febbraio ad un monaco che si era dato fuoco; il primo marzo un centinaio di monaci ha protestato contro il divieto di pregare nel loro monastero.
La situazione è incandescente. Ebbene, cosa fanno la comunità internazionale e il nostro Governo? Signor Ministro, lei oggi ha detto che in questa vicenda non si può agire solo puntando il dito contro la Cina. Pensiamo che lei abbia ragione e conosce la nostra stima per la sua capacità di equilibrio e di mediazione, ma se il dito non lo puntiamo contro la Cina, ma la Cina punta il dito nel mitragliatore, che spara contro i tibetani, è evidente che un intervento della comunità internazionale ci vuole, come anche un intervento del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).
La seconda riflessione è legata alla prima. Infatti, se il Primo Ministro della Cina definisce il Dalai Lama (si badi, un Nobel per la pace), come ha fatto l'anno scorso, ossia un essere mostruoso che ha il cuore di lupo e la testa di un uomo, se dunque il primo ministro di un Paese come la Cina definisce il Dalai Lama in questo modo, una reazione la comunità internazionale dovrà pur averla.
Ma c'è un secondo motivo, sempre di realpolitik: il Dalai Lama in questi giorni è costretto ad alzare il tiro, passando da una posizione di autonomia religiosa e civile ad un'altra: vuole un'autonomia piena e legittima, perché sente che gli può mancare il consenso dei tibetani ed è un motivo di più per appoggiarlo.
Ma dobbiamo pensare di avere rapporti normali con la Cina, rapporti economici e commerciali e guai a noi se vi rinunciassimo; guai a noi se mettessimo, come lei dice, il dito sempre puntato contro la Cina. Però, la riflessione che tutta la comunità internazionale deve fare e che invitiamo il suo Governo a fare è la seguente: in che misura ed in che relazione stanno la difesa Pag. 49dei diritti umani e la volontà di tenere rapporti commerciali ed economici con la Cina? Questo è il punto.
Crediamo che possa esistere un doppio binario e che possano esservi rapporti economici e commerciali che non mettano in discussione la nostra capacità e la nostra volontà di segnalare ogni violazione dei diritti umani che avvenga in Cina o da parte dei cinesi contro il Tibet. Ma ciò che non possiamo accettare, signor Ministro, è che, in nome dei rapporti economici e commerciali, sia messa in atto dai dirigenti di Pechino una sorta di intimidazione presso la comunità occidentale o la comunità internazionale.
Oggi i cinesi hanno chiesto al Congresso americano (non al Parlamento italiano) di ritirare una risoluzione che è in votazione sui diritti umani violati in Tibet. Ebbene, gli Stati Uniti sono il primo Paese che ha interessi economici e commerciali, visto che il loro debito pubblico è in gran parte dipendente dalla Cina, ma l'Occidente può accettare che, in nome di questi rapporti economici, si giunga anche ad un'intimidazione nei confronti della nostra licenza politica, della nostra abilità politica e della nostra legittimità politica nel porre delle questioni alla Repubblica cinese e, soprattutto, in questo caso, nelle sue relazioni con il Tibet?
Questo è il punto, perché siccome già il Nepal, l'India e la Corea del sud stanno cedendo alle intimidazioni di quel grande Paese, l'Occidente deve trovare la via per intessere rapporti normali con la Cina, ma, al tempo stesso, senza rinunciare apertamente a porre la questione della violazione dei diritti umani e dell'appoggio al Dalai Lama. Altrimenti, signor Ministro, è evidente che viene meno uno dei pilastri fondamentali della nostra civiltà.
E che motivo avrebbe del resto la Cina di dire che quelle che il Dalai Lama pronuncia sono menzogne rispetto alla situazione del Tibet, per poi avere, oggi, ieri come nei giorni scorsi, intorno al Tibet, carri armati (quella grande muraglia citata dal presidente cinese), giornalisti che non possono raccontare, frontiere chiuse, posti di blocco o centomila militari che controllano strade e monasteri? Che bisogno vi sarebbe di questa iniziativa cinese se il Dalai Lama raccontasse menzogne? È evidente che la propaganda di Pechino si ferma di fronte ai suoi stessi atti, perché se impediscono che venga raccontato - a questo proposito, vogliamo mandare la nostra solidarietà ai reporter italiani dell'Ansa e di Sky TG24, che sono stati fermati ingiustamente ed immotivatamente dall'autorità cinesi (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro) - e se non vogliono che si racconti quello che succede, allora che considerazioni dobbiamo trarne? Che il Dalai Lama non dice assolutamente menzogne e che le autorità cinesi non vogliono che si sappia ciò che accade.
Signor Ministro, un intervento immediato del nostro Governo e dell'Unione europea è necessario, intanto perché il mondo sappia quello che succede nel Tibet. Guai a noi se teniamo gli occhi chiusi; guai a noi se, in nome di rapporti economici e commerciali (che ci debbono essere), stabiliamo di chiudere gli occhi sui diritti umani. È una tentazione che c'è anche nelle file della sua maggioranza, così come nelle file dell'opposizione del Partito Democratico. È una tentazione, in questo senso credo minoritaria, ma bipartisan, che questo Parlamento deve combattere e contrastare perché - ripeto - non contrastarla significa far venire meno uno degli elementi fondanti della nostra civiltà.
Signor Ministro, sono passati cinquant'anni dalla sollevazione del Tibet; sono passati vent'anni dal massacro di Tienanmen. Il partito comunista è al potere da sessant'anni e in questo lungo periodo sono morti 50 milioni di cinesi e un milione di tibetani per colpa di quel regime. Signor Ministro, possiamo chiudere gli occhi, può il nostro Governo non intervenire con determinazione rispetto a questo scenario?

PRESIDENTE. Onorevole Adornato, la prego di concludere.

FERDINANDO ADORNATO. L'Unione di Centro pensa di «no» e la invita a fare Pag. 50sue le grandi tradizioni di questo Paese per il rispetto dei diritti umani e per la pace nella comunità internazionale (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Mecacci. Ne ha facoltà.

MATTEO MECACCI. Signor Presidente, voglio esordire ringraziando davvero tutti i colleghi (e sono molti) che hanno sostenuto la presentazione di questa mozione. Si tratta di iniziativa che abbiamo assunto all'interno dell'intergruppo parlamentare per il Tibet, che è composto da rappresentanti parlamentari di tutti i gruppi politici e voglio ringraziare in particolare la Conferenza dei presidenti di gruppo per aver scelto la data del 10 marzo, che è molto importante per il popolo tibetano, per svolgere finalmente il dibattito in aula sulla questione sino-tibetana e sui nostri rapporti nelle relazioni con la Cina.
Devo dare atto anche a lei, signor Presidente, di aver ieri sottolineato l'importanza di questo pronunciamento della Camera, ma non solo, anche di aver dato la disponibilità - primo rappresentate delle nostre istituzioni a farlo in questa legislatura - ad incontrare ufficialmente il Dalai Lama nel prossimo futuro. Credo che sia un gesto importante (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico) fatto in una giornata importante. Spero che, a tale gesto, facciano seguito altre prese di posizione, anche da parte di esponenti del Governo, che possano trovare in un pronunciamento pressoché unanime di questo Parlamento anche la forza politica per andare in Europa a sostenere queste posizioni, affinché siano posizioni comuni di tutta l'Europa e non solo di alcuni governi, come abbiamo visto nelle scorse settimane (a tal riguardo, è stata ricordata la vicenda dell'incontro del Presidente Sarkozy con il Dalai Lama) e affinché vi sia una politica comune fondata sulla legalità, sul rispetto delle norme internazionali, tra le quali rientra il rispetto dei diritti umani.
Ma questa è una giornata - lo dicevo - particolarmente importante per il popolo tibetano. È stato detto che sono trascorsi cinquant'anni da questo tentativo disperato del popolo tibetano di ribellarsi all'oppressione del regime maoista e sono anche cinquant'anni dall'inizio dell'esilio del Dalai Lama, un leader politico e religioso che ha dimostrato, nel corso di questi anni, di avere una grandissima integrità morale e lucidità politica, che lo ha portato nel corso degli ultimi venti anni a scegliere non la secessione e la sovranità nazionale assoluta del Tibet, ma l'autonomia, per garantire il rispetto della cultura, delle tradizioni, della lingua e della religione tibetana all'interno della Repubblica popolare cinese.
La questione del Tibet pone in causa il futuro della Cina, un Paese di 1 miliardo e 300 milioni di persone che, secondo la propria Costituzione, riconosce 55 minoranze nazionali. Sulla questione del Tibet, degli uiguri, della Mongolia inferiore e su tante altre popolazioni e nazionalità che la compongono la Cina si troverà a dover scegliere tra la via del pugno di ferro e quella della democrazia, del federalismo e della collaborazione. Questa è la sfida che il Dalai Lama sta ponendo non solo per i tibetani, ma anche per una Cina democratica e per il futuro delle relazioni che il mondo occidentale e le istituzioni internazionali vorranno avere con questo Paese.
Quest'anno, questa ricorrenza è particolarmente difficile per il popolo tibetano, in quanto il 2008 era stato anche un anno di speranza che la comunità internazionale aveva riposto nella possibilità che la Cina, con l'assegnazione dei giochi olimpici di Pechino e con le promesse di garantire la libertà di circolazione e di espressione a tutti i propri cittadini (quindi anche a quelli tibetani), potesse avviare anche un dialogo proficuo sul Tibet. Sappiamo che non è così e lo scorso marzo, proprio in questa data, iniziarono delle manifestazioni violentemente represse dalle autorità cinesi con centinaia e centinaia di morti nelle strade di Lhasa, Pag. 51con migliaia e migliaia di feriti e con migliaia di arrestati di cui non sappiamo quale sia la sorte.
Quello che è accaduto nel corso di quest'anno, dopo le Olimpiadi, con la decisione del Governo cinese di porre fine ai negoziati con le autorità tibetane - definendo il memorandum proposto dai rappresentanti del Dalai Lama per garantire un'effettiva autonomia al popolo tibetano come una macchinazione per portare alla secessione - ci deve preoccupare tutti. Ciò, infatti, indica che la direzione scelta dal Governo cinese è di consolidare il proprio potere interno sulla base di un'impostazione nazionalista, rigida, che non riconosce le diversità e che una volta, temo, fatta fuori la questione tibetana si porrà altri nemici e altri demoni da stigmatizzare e da combattere, tra cui vi saranno anche la democrazia ed i Paesi retti da sistemi liberaldemocratici.
Per questo motivo, la questione tibetana è centrale nella comunità internazionale, in quanto ci deve fare interrogare su quale debba essere lo sviluppo di questo grande Paese.
È notizia di questi giorni, purtroppo, che quanto avvenuto lo scorso anno sta continuando ad accadere. Vi sono ancora violazioni dei diritti umani e tentativi disperati di tibetani di richiamare l'attenzione della comunità internazionale. Abbiamo visto anche delle scene che ci rimandano a tragedie del passato, come quel monaco tibetano che, nei giorni scorsi, davanti al proprio tempio, ha innalzato la foto del Dalai Lama e si è immolato, dandosi fuoco per cercare di fare luce nelle tenebre in cui è avvolto il proprio popolo.
Vi chiedo e chiedo al Governo ed a tutti i rappresentanti dei partiti quanti monaci tibetani dovremmo ancora vedere bruciare vivi, quante tragedie, quante torture e quanti assassini, prima di alzare la voce. Dobbiamo aspettare che vi sia il genocidio del popolo tibetano per protestare e far sentire la nostra voce? Credo che ciò sia davvero inaccettabile. Con questa iniziativa non ci poniamo degli obiettivi irraggiungibili; rivolgiamo al Governo, che ringrazio per aver espresso parere favorevole sulla mozione in esame, delle richieste concrete e verificabili. Innanzitutto, l'apertura del Tibet alle attività di monitoraggio della comunità internazionale, delle organizzazioni non governative, degli organismi delle Nazioni Unite che si occupano di monitorare i diritti umani e dei giornalisti. Mi riferisco a quei giornalisti italiani che, quasi per caso, nella giornata di ieri, hanno scoperto che alcuni giorni fa 109 monaci tibetani erano stati arrestati per il solo motivo di essersi rifiutati di partecipare alle celebrazioni convocate dal partito comunista cinese per il capodanno tibetano, quando l'autorità spirituale del Tibet, il Dalai Lama, aveva detto di non celebrare ma di commemorare i morti dello scorso anno.
Quindi, questa è una richiesta legittima per un Paese come la Cina, che fa parte della comunità internazionale e del Consiglio di sicurezza, che vuole giustamente giocare un ruolo sempre più importante nella gestione delle crisi e dei dossier internazionali. Vi sono alcune regole internazionali sulle quali non si può soprassedere. Alcuni documenti fondanti delle Nazioni Unite occorre che siano rispettati anche dalla Cina.
La seconda richiesta mira a costruire, anche all'interno dell'Unione europea, un'iniziativa politica che possa portare ad una soluzione della questione tibetana. Questo dossier va avanti ormai da cinquant'anni. La repressione, l'occupazione e le deportazioni di tibetani continuano. L'arrivo di immigrati cinesi in quella zona ormai ha portato i tibetani ad essere minoranza nella propria terra. Perché questo possa aver fine, occorre che ci sia una soluzione negoziata e concordata tra le parti. Ora, è evidente che qualsiasi dossier e crisi internazionale, dal Medio Oriente, al Sudan, allo Sri Lanka, ha bisogno, per trovare una soluzione politica, di avere il reciproco riconoscimento di legittimità di entrambe le parti.
Per questo motivo, è importante che il Governo italiano, all'interno dell'Unione europea, assuma un'iniziativa, perché ripartano i negoziati tra le autorità tibetane Pag. 52e il Governo cinese. Le autorità tibetane sono interlocutori essenziali per riuscire ad ottenere un risultato. Se non ci sarà questo, l'unica alternativa sarà il pugno di ferro e la disperazione di un popolo che magari, in assenza di alternative politiche, sarà costretto a ricorrere a manifestazioni di violenza.

PRESIDENTE. Onorevole Mecacci, la prego di concludere.

MATTEO MECACCI. Signor Presidente, concludo davvero, chiedendo a tutti colleghi, per quanto possibile, di dare il massimo sostegno a questa mozione. Al Governo diciamo che abbiamo assunto questa iniziativa con obiettivi verificabili e verificheremo in Parlamento e anche in Commissione che gli impegni che oggi ci assumiamo diventino realtà nella politica estera del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Dozzo. Ne ha facoltà.

GIANPAOLO DOZZO. Signor Presidente, oggi ricorrono i cinquant'anni della rivolta tibetana all'occupazione cinese, conclusasi purtroppo con la partenza e l'esilio del Dalai Lama. Pochi giorni fa, il 25 febbraio, i monaci del monastero tibetano di An Tuo sono stati arrestati, dopo una manifestazione tenutasi in occasione del capodanno tibetano, mentre il Presidente cinese ha esortato i funzionari tibetani ad erigere una nuova grande muraglia contro il separatismo. Gli arresti sono stati 109 su circa 300 monaci che vivono abitualmente in quel monastero.
La Cina ha reso noto di avere inviato ulteriori truppe in Tibet, per proteggere la stabilità delle regioni di frontiera. In Tibet oggi, signor Presidente, vi sono circa 7 milioni di tibetani, che vivono accanto a 7 milioni di cinesi. L'occupazione cinese presenta le caratteristiche dello sfruttamento coloniale e della censura culturale, oltre a determinare severe violazioni dei diritti umani. Dal 1950, oltre un milione di tibetani sono morti a causa dell'occupazione. Il 90 per cento del patrimonio artistico e architettonico tibetano, inclusi circa seimila monumenti, tra templi e monasteri, sono stati distrutti. La Cina ha depredato il Tibet delle sue enormi ricchezze naturali. Lo scarico di rifiuti nucleari e la massiccia deforestazione hanno danneggiato in modo irreversibile l'ambiente e il fragile ecosistema del Paese. In Tibet, signor Presidente, ci sono circa 500 mila soldati di stanza della Repubblica popolare cinese. Migliaia di tibetani sono ancora imprigionati, torturati e condannati senza processo. Le condizioni carcerarie sono disumane. Il massiccio afflusso di immigrati cinesi sta minacciando la sopravvivenza dell'identità tibetana e ha ridotto la popolazione autoctona ad una minoranza all'interno del proprio Paese, mentre prosegue la pratica della sterilizzazione e degli aborti forzati alle donne tibetane.
La sistematica politica di discriminazione attuata dalle autorità cinesi ha emarginato la popolazione tibetana in tutti i settori, da quello scolastico a quello religioso a quello lavorativo. I tibetani sono perseguitati anche per il proprio credo religioso: monaci e monache sono costretti a sottostare a sessioni di rieducazione patriottica, a denunciare il Dalai Lama e a dichiarare obbedienza al Partito Comunista. Questa è la situazione in Tibet, in spregio a tutti i diritti umani.
Vi sono state varie risoluzioni delle Nazioni Unite, nel 1959, nel 1961, nel 1965, e, a partire dal 1986, numerose altre risoluzioni del Parlamento europeo; tuttavia, l'ultimo viaggio in Europa, compiuto dal Dalai Lama, è stato avvolto da numerose polemiche. Dopo il pubblico ricatto delle autorità cinesi, che hanno minacciato di boicottare commercialmente tutti i Paesi che avessero ricevuto il Dalai Lama, il comportamento delle autorità italiane è stato penoso (non vorrei sollevare polemiche, allora c'era il Governo Prodi). Da un lato, gli è stata, in quel periodo, assegnata la medaglia d'oro del Congresso da parte del Presidente americano e il Dalai Lama è stato ricevuto con tutti gli onori dal Pag. 53Cancelliere, Merkel, mentre, qui da noi, sono stati fatti incontri privati di basso profilo (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania). Questa è la situazione, al di là di questa mozione.
All'inizio del 2008, cinque movimenti politici in esilio hanno dato vita al Tibetan People's Uprising Movement, nome drammatico che ben fotografa lo stato di frustrazione dei tibetani per le condizioni terribili cui sono sottoposti. Costretti a prendere atto che le autorità di Pechino non hanno alcuna intenzione di avviare seriamente alcuna trattativa sullo stato del Tibet (lo stesso Dalai Lama ha dovuto ammettere che per i cinesi non esiste alcuna questione tibetana di cui dover parlare), i rappresentanti delle cinque organizzazioni chiedono che siano rimossi gli ostacoli per il ritorno senza alcuna condizione del Dalai Lama nel Tibet, che tutti i prigionieri politici siano rilasciati e che si inizi effettivamente una decolonizzazione del «Paese delle nevi» da parte della Cina popolare. Si tratta, purtroppo, di un disperato tentativo di uscire dall'attuale fase di stallo, dovuta anche al sostanziale fallimento del dialogo tra gli emissari del Dalai Lama e i gerarchi cinesi, e di dare un segnale di speranza ai tibetani dentro e fuori i confini del Tibet.
Per questo motivo, signor Presidente, il gruppo della Lega Nord voterà a favore di questa mozione, tenendo presente che questo può essere un inizio. Sappiamo benissimo quali siano le difficoltà, ma comunque questa mozione, a prima firma dell'onorevole Mecacci, dovrà, in qualche modo, fare da sprone anche al Governo italiano, e non solo, ma a tutte le autorità internazionali, affinché la questione del Tibet sia una buona volta presa in seria considerazione e, quindi, portata ad attualità.
Chiediamo questo a cinquant'anni dall'invasione del Tibet da parte della Repubblica Popolare Cinese (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Maran. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO MARAN. Signor Presidente, onorevoli colleghi, intervengo per dichiarare il voto favorevole del gruppo del Partito Democratico. Le grandi potenze democratiche, sia pure occasionalmente, hanno sempre mantenuto partnership strategiche con Stati illiberali, ritenuti responsabili di aver violato norme relative ai diritti umani.
Il Regno Unito mise fine alla protezione dell'impero ottomano e del Portogallo alla fine del XIX secolo; gli Stati Uniti cancellarono l'assistenza economica e militare, mantenuta durante i picchi della guerra fredda, con partner (quelli di allora) come l'Argentina, il Cile, il Sudafrica, la Turchia. In ciascun caso, gli incentivi di realpolitik per mantenere legami di sicurezza hanno avuto la meglio su vaste preoccupazioni pubbliche circa gli abusi umanitari.
Richiamo questi episodi perché costituiscono lo sfondo di un racconto su come di norma gli Stati democratici-guida regolano i conflitti tra calcoli strategici e norme liberaldemocratiche umanitarie. E va detto che è proprio nei corpi legislativi, come il Parlamento, degli Stati democratici che è concentrato il fermento e l'attenzione, la spinta sui diritti umani; ciò per un motivo molto semplice: perché negli Esecutivi, tra le burocrazie, anche quanti simpatizzano con le aspirazioni liberali e idealistiche tendono poi ad abbracciare un orientamento realista più tradizionale. Per questo il ruolo del Parlamento è importante; ed è più probabile che un rapporto di partnership strategica, un rapporto di convenienza venga messo in discussione, ci si rifletta quando attivisti di gruppi non governativi e coalizioni parlamentari molto determinate, com'è capitato oggi, manifestano insieme di fronte a comportamenti illiberali particolarmente offensivi.
Una riforma della politica cinese sul Tibet o una più ampia disponibilità cinese ad abbracciare riforme interne è improbabile che avvenga nel breve termine. Ciò nonostante, la pressione internazionale e l'attenzione politica possono produrre risultati positivi nel lungo periodo. Le recenti tribolazioni cinesi sulle Olimpiadi (lo Pag. 54ricorderete) possono provocare un ripensamento tra i leader cinesi e dimostrare loro che la stessa stabilità interna e la crescita del Paese dipendono anche da una maggiore trasparenza, da una maggiore accountability, da un più ampio impegno sui diritti umani. Già oggi alcuni blogger, alcuni intellettuali, alcuni giornalisti cinesi come Wang Lixiong, Chang Ping, hanno invocato meno retorica nazionalistica e più impegno e riflessione circa le critiche che vengono dall'esterno, e molti di loro hanno usato le Olimpiadi come un'occasione per discutere il significato della democrazia di Taiwan per lo stesso futuro del continente cinese, della necessità di ripensare l'approccio della Cina al Tibet, della desiderabilità di una stampa libera. Per quanto le implicazioni delle Olimpiadi del 2008, le pressioni politiche in corso saranno a lungo termine, finora quel che ne è uscito non assomiglia ai sogni di gloria olimpica per Pechino; anzi, piuttosto che con l'ammirazione del mondo la Cina ha dovuto fare i conti con la protesta interna, ha dovuto fare i conti con la condanna internazionale.
Il mondo si chiede oggi se Pechino sarà in grado di riformarsi politicamente e diventare un responsabile attore globale. Le Olimpiadi dovevano addormentare queste questioni, invece le hanno sollevate all'attenzione di tutti. Noi scommettiamo ancora una volta sulla forza del diritto internazionale, sull'avanzare della società civile internazionale, sull'integrazione economica come leva di questa avanzata. Per gli anni avvenire le preoccupazioni cinesi si concentreranno anzitutto sui problemi interni, che sono ancora tanti, ma la Cina gradualmente è sempre più coinvolta nelle relazioni internazionali, negli sforzi di integrazione internazionale; ed è un processo che non dobbiamo temere, è un processo che dobbiamo incoraggiare, invitandola con determinazione a condividere con noi gli stessi standard, gli stessi valori e le stesse responsabilità globali (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boniver. Ne ha facoltà.

MARGHERITA BONIVER. Signor Presidente, onorevole Ministro e colleghi, la questione tibetana (e lo sappiamo tutti), come altre situazioni di crisi - e cito solo quelle più longeve: vedi il Kashmir, la irrisolta disputa israelo-palestinese, addirittura gli accordi di pace nell'Irlanda del Nord, che in questi giorni sembrano essere messi in discussione - appartiene a quel novero di problemi cosiddetti intrattabili. In queste ore, esattamente come avveniva un anno fa, a Lhasa, capitale di quello che i cinesi chiamano «regione autonoma del Tibet», peraltro off-limits e sigillata agli stranieri e ai giornalisti, è in atto una durissima repressione per sedare ogni focolaio di protesta e ogni commemorazione della perduta indipendenza, avvenuta esattamente mezzo secolo.
Mao Tse Tung invade il Tibet essenzialmente per motivi geostrategici; i suoi successori hanno cercato invece di cancellare il passato, il presente e il futuro di questa antichissima etnia attraverso imponenti investimenti economici ed il trasferimento di popolazione (oggi i tibetani sul loro territorio sono minoranza rispetto all'etnia degli Han), ma senza riuscire mai a conquistare i cuori di quelle popolazioni che ancora oggi battono per il carisma e per la straordinaria battaglia non violenta e moderata del loro leader spirituale e politico, Sua Santità il Dalai Lama, il quale vuole per il suo popolo l'autonomia reale a lungo promessa e mai realizzata e non l'indipendenza.
Il celebre motto di Mao - creare il nuovo distruggendo il vecchio - sembra essere fallito, anche se per la verità gli appelli del Dalai Lama sono rimasti lettera morta e le democrazie occidentali troppo spesso, anzi quasi sempre, hanno perseguito una politica di rispetto per le sensibilità cinesi e di accettazione dello status quo.
Pechino continua a definire la questione tibetana come una questione interna; l'Occidente continua a protestare Pag. 55per la mano pesante, gli arresti, le torture, i morti, i desaparecidos e l'umiliazione sistematica inflitta all'antichissima cultura dei monasteri, nonché la quotidiana denigrazione della cricca separatista - come dicono loro - del quattordicesimo Dalai Lama, Tenzin Gyatso, di cui è severamente proibito in Tibet esporre il ritratto.
A nulla sono valsi sino ad oggi i tentativi di migliorare, da un punto di vista economico, la qualità della vita degli abitanti del «tetto del mondo», i quali continuano a sopravvivere in condizioni miserrime. La rapida crescita economica della regione autonoma, a seguito dei massicci trasferimenti di risorse dal centro prima dell'attuale crisi finanziaria (negli ultimi sette anni la crescita del PIL toccava il 12 per cento), ha paradossalmente allargato l'ineguaglianza sociale sia all'interno della regione, sia ai suoi confini, tra le popolazioni pastorali ed agricole.
Hu Jintao, oggi Presidente della Repubblica Popolare Cinese, comincia la sua spettacolare scalata ai vertici del Partito comunista proprio a Lhasa negli anni Ottanta, quando viene nominato commissario della regione autonoma, imponendo una durissima legge marziale.
Oggi è sotto gli occhi di tutti il fallimento sostanziale di questa politica che ha tentato di inglobare e cancellare l'etnia tibetana con metodi che il Dalai Lama ha definito un genocidio culturale; una politica incapace di trovare altra soluzione che il perpetuarsi di una repressione che determina la più grave crisi di immagine per Pechino dal massacro di piazza Tienanmen.
Le promesse di Mao del 1951 per una sorta di Governo autonomo guidato dal Dalai Lama non sono mai state mantenute; la conseguenza è che oggi la linea moderata e non violenta della massima autorità spirituale tibetana comincia ad essere contestata dalle nuove generazioni di tibetani, che non possono accettare le durissime condizioni di vita imposte dal soffocante controllo del Governo cinese e sognano, sbagliando, di recuperare l'indipendenza perduta.
C'è comunque un modo per attenuare questo conflitto strisciante: dobbiamo ricordare alla Cina che ella non è il solo Paese che ha dovuto affrontare problematiche connesse ad una grande regione con chiare differenze etniche, linguistiche e religiose. Altri Paesi le hanno risolte positivamente; è stato così per la Catalogna in Spagna, è stato così per l'Alto Adige e per le innumerevoli altre situazioni dove sono stati riconosciuti e rispettati i diritti delle minoranze.
La soluzione si trova in un maggior grado di libertà sostanziali, nella possibilità di mantenere la propria lingua, le proprie istanze e, soprattutto, la propria religione; la soluzione, ovviamente, è nel metodo democratico. L'autonomia non può essere una semplice formula priva di contenuti, ma al contrario deve spingersi fino ai limiti concessi dalla stessa apposita legge cinese del 1984 che riconosce alcuni diritti delle minoranze (legge peraltro mai applicata) e che poteva essere una parziale apertura. Ma soprattutto, la soluzione si trova attraverso una politica forte che non teme separazioni territoriali, del tutto inattuabili, e non rivendicate, ma, al contrario, tuteli la libertà di espressione e di sviluppo culturale.
Non ci stancheremo mai di ribadire che attorno alla questione tibetana sono in gioco i fondamentali diritti umani, e che per difendere questi inalienabili diritti, la voce di questo Parlamento deve alzarsi univoca, forte e chiara. Preannunciando il voto favorevole del mio gruppo, concludo dicendo che è solo parlando un linguaggio franco ed amichevole nei confronti di Pechino, che gioca anche un ruolo fondamentale, e spesso positivo, su altri scacchieri internazionali, che potremmo forse evitare quella soluzione finale paventata dal Dalai Lama che, in queste ore buie, tutto sembra far presagire (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto.

Pag. 56

Nel quarto anniversario della scomparsa di Nicola Calipari (ore 19,03).

PRESIDENTE. (Si leva in piedi e, con lui, l'intera Assemblea e i membri del Governo). Onorevoli colleghi, desidero rivolgere un pensiero deferente, e commosso, alla memoria di Nicola Calipari, a quattro anni dalla sua tragica scomparsa, avvenuta in Iraq il 4 marzo 2005. Ai familiari, in particolare alla moglie Rosa, che onora questa istituzione con la sua dedizione e il suo senso dello Stato, desidero esprimere la vicinanza affettuosa di tutti colleghi della Camera dei deputati e mia personale. Nicola Calipari rimarrà nella memoria del nostro popolo come esempio di abnegazione, e di spirito di sacrificio, al servizio dell'Italia, della causa della pace e della democrazia, per un mondo migliore affrancato dalla violenza, dal fanatismo e dal terrorismo. Non dobbiamo dimenticare che la sua morte avvenne a conclusione di una missione di carattere umanitario. Una missione nella quale egli aveva fornito l'ennesima prova del suo amore per il prossimo, del suo ammirevole coraggio, e della sua alta professionalità. La sua scomparsa, di certo, ha rappresentato una perdita incolmabile per la sua famiglia, per i suoi amici, per tutti coloro, a partire dai colleghi, e dagli altri uomini delle istituzioni, che hanno avuto modo di apprezzarne le grandi doti umane e professionali. Dobbiamo essere, altresì, consapevoli che la scomparsa di Calipari ha anche arrecato un notevole pregiudizio allo Stato italiano, al quale è stato strappato, non per dolo, ma certamente per colpa, un uomo che ha sempre fornito, e che avrebbe certamente continuato a fornire, un contributo prezioso per la sicurezza del nostro Paese.
A quattro anni dal tragico evento, abbiamo il dovere di non dimenticare e di rinnovare il senso del nostro impegno per l'accertamento della completa verità e per l'affermazione della giustizia. Invito l'Assemblea ad osservare un minuto di silenzio (L'Assemblea osserva un minuto di silenzio - Generali applausi a cui si associano i membri del Governo).

Si riprende la discussione della mozione.

(Votazione)

PRESIDENTE. Avverto che è stata chiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico. Passiamo ai voti. Avverto che da parte del gruppo del Partito Democratico è stata chiesta la votazione della mozione per parti separate.

ROBERTO GIACHETTI. No, signor Presidente...

PRESIDENTE. Prendo atto che tale richiesta è stata ritirata.
Prima di procedere ai voti, intendo richiamare sinteticamente le modalità operative di utilizzo del nuovo sistema di voto. Avverto che è necessario innanzitutto inserire la tessera di voto nell'apposito spazio del terminale: il verso corretto di inserimento è quello con il microchip posizionato in basso e rivolto verso la Presidenza. Se la tessera è inserita correttamente compare, oltre ad altre informazioni, il messaggio «tessera con verifica» e l'indicazione del dito utilizzabile per la verifica. Quando la Presidenza dichiarerà aperta la votazione il display segnalerà il messaggio «effettuare verifica» e si dovrà procedere alle seguenti operazioni: 1. abilitazione del terminale di voto, ponendo il dito sul rilevatore posto alla sinistra del terminale di voto (sul display apparirà il messaggio «abilitato a votare »; una volta apparso tale messaggio è possibile sollevare il dito dal rilevatore); 2. espressione del voto: non appena il terminale risulterà abilitato si potrà procedere secondo le modalità consuete. Ricordo che nella riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo dello scorso 5 marzo si è convenuto di consentire ai componenti del Comitato dei nove che siedono nell'apposito banco dell'emiciclo, Pag. 57nonché a un delegato d'Aula per ciascun gruppo, di poter votare senza attivare il terminale di voto tramite il sistema delle minuzie; ciò per consentire ai colleghi di prendere diretta visione delle indicazioni che i gruppi danno in ordine alle varie votazioni. La Presidenza ha inoltre autorizzato la votazione senza il sistema delle minuzie per tredici deputati in ragione di particolarissime difficoltà tecniche di natura soggettiva riscontrate nella rilevazione delle minuzie. Si tratta di colleghi che hanno delle minuzie che non vengono considerate dallo strumento sufficienti per garantire il funzionamento del meccanismo di voto (è una questione tecnica, si tratta unicamente di questo).

ANDREA ORSINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Siamo in votazione e la parola sull'ordine dei lavori - come sa, onorevole Orsini - è concessa dopo che si sono concluse le dichiarazioni di voto.

ANDREA ORSINI. Appunto, dopo le dichiarazione di voto...

PRESIDENTE. Passiamo quindi ai voti. Chiedo a tutti di verificare che la tessera di votazione sia inserita regolarmente nell'apposito spazio del terminale. Chiedo scusa per l'atteggiamento pedagogico e didattico, ma è la prima volta e poi sarà tutto molto più agevole.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulla mozione Mecacci ed altri n. 1-00089 (Ulteriore nuova formulazione), accettata dal Governo.
Dichiaro aperta la votazione.
(Segue la votazione).

Invito tutti i deputati ad attivare il terminale di voto, ponendo il dito sull'apposito rilevatore. Se tutti i terminali di voto... (Commenti) Senza urlare: è sufficiente porre il dito sul terminale. Onorevoli colleghi, se non ponete il dito sul terminale, è del tutto inutile che vi sbracciate! Onorevole Vignali, è riuscito a votare?
Dunque, tutti i terminali sono abilitati al voto (Commenti). Onorevoli colleghi, non c'è fretta, quindi con calma ponete il dito sull'apposito rilevatore. Tutti i terminali dunque sono abilitati... (Commenti). Onorevole Raisi, non riesce a votare? Si impegni... ecco, ha visto che adesso è riuscito. Onorevole Berardi, anche lei ha delle difficoltà?
Tutti i terminali sono abilitati, invito... (Commenti). Onorevoli colleghi, prego. Chi non ha ancora votato? Onorevole Paladini, prego.
A questo punto invito i deputati ad esprimere il voto. Tutti i deputati hanno votato.

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: (Vedi votazioni).
Presenti 541
Votanti 538
Astenuti 3
Maggioranza 270
Hanno votato sì 538.

(La Camera approva - Applausi).

Prendo atto che i deputati Margiotta e Valentini hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto favorevole.

Sull'ordine dei lavori e per la risposta ad uno strumento del sindacato ispettivo (ore 19,15).

ANDREA ORSINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANDREA ORSINI. Signor Presidente, mi spiace che lei non abbia visto che io avevo alzato la mano molto prima che lei desse le istruzioni per votare e aprisse la votazione, anzi addirittura prima che lei commemorasse la tragica vicenda di Calipari. Pag. 58
Vorrei aggiungere soltanto due parole per commentare il nuovo sistema di votazione che abbiamo appena introdotto, precisando che quanto sto per dire coinvolge soltanto la mia responsabilità personale e non quella del gruppo cui appartengo e che quanto sto per dire non mette in discussione la mia stima per lei, signor Presidente, né sul piano istituzionale riguardante il suo modo di condurre l'Assemblea né sul piano politico per un percorso politico che peraltro ci accomuna, ma il mio è un dissenso specifico. Ritengo che oggi abbiamo vissuto una giornata da questo punto di vista molto triste per il Parlamento (Commenti dei deputati del gruppo Partito Democratico - Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania) perché abbiamo sancito che il Parlamento è fatto di sospetti ai quali bisogna prendere le impronte digitali per impedire loro di commettere scorrettezze o di delinquere o di truffare lo Stato. La cosa grave è che a dire questo siamo noi stessi e l'Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati.
Questo è il messaggio che viene dato al Paese.
A qualche collega in quest'Aula era caro dire che il sospetto è l'anticamera della verità. Io credo invece che il sospetto sia l'anticamera della menzogna, del discredito sulle istituzioni, del discredito su noi stessi (Applausi di deputati del gruppo Lega Nord Padania).
Il discredito su noi stessi avrebbe poca importanza, se noi non fossimo i rappresentanti del popolo e se noi non fossimo in questa sede non a titolo personale o per la nostra onorabilità personale, ma perché così funziona la democrazia rappresentativa. Ogni volta che si irride - ed è facile irridere in nome dell'antipolitica o dell'anticasta - la democrazia rappresentativa, si rafforzano altri poteri, che sono meno trasparenti, meno verificabili e in definitiva meno democratici.
Ma oggi si sancisce anche un'altra cosa: si sancisce che va bene così. Oggi abbiamo discusso un problema importantissimo, che è quello del Tibet e l'abbiamo discusso, come purtroppo troppo spesso avviene, nel disinteresse generale, fra il brusio e nella confusione generale, salvo votare in base all'indicazione di un capogruppo o di un rappresentante del gruppo che alza il pollice dritto o propone il pollice verso e in base a questo i deputati esprimono il loro voto.
Questo è il modo in cui funziona il Parlamento. Chiunque siede in quest'Aula lo sa benissimo: se non si modificano profondamente i Regolamenti parlamentari, in modo da ridare un senso al lavoro di Aula e al lavoro in Commissione e si fa finta che il problema del Parlamento siano i «pianisti» (categoria trasversale, della quale io stesso ho fatto parte, ma come me ne hanno fatto parte colleghi di tutti i gruppi in quest'Aula), se si fa finta che i problemi del Parlamento siano questi, non si affronteranno mai quelli veri e non si renderà un buon servizio né alle istituzioni né alla democrazia, né a noi stessi (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, io invece intervengo per ringraziarla e ringraziare attraverso lei l'Ufficio di Presidenza che, occorre ricordarlo, all'unanimità ha preso questa decisione, dopo che questo tipo di intervento era stato richiesto nel corso di molte legislature per risolvere non un sospetto, vorrei dire al collega Orsini, ma una certezza.
Noi introduciamo una certezza e interrompiamo una certezza: introduciamo la certezza che purtroppo, caro collega Orsini, siamo costretti a votare attraverso le impronte digitali. Certo, se ciascuno votasse e avesse sempre votato per sé probabilmente non sarebbe stato necessario. Per quanto mi riguarda mi sento molto meno offeso dal dare un'impronta digitale e molto più onorato di poter garantire che questa Camera voti in modo corretto e attraverso una procedura che è legittima (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Pag. 59
Vorrei aggiungere, collega Orsini, che non so cosa accade nel vostro gruppo: ho visto che il Presidente del Consiglio ci dà ottimi suggerimenti su come sviluppare la democrazia all'interno dei gruppi. Immagino che lei si senta così preso dalle indicazioni che dà il suo capogruppo da sentire limitata la sua libertà personale. Basta fare riferimento al precedente voto, caro collega Orsini: da noi le cose funzionano in modo diverso, da noi chi la pensa diversamente ha anche la libertà di esprimere il proprio voto in modo diverso.
Quindi, mi rendo conto che questo sia un problema che appartiene tutto alla sua parte: cerchi di risolverlo, perché non vi è dubbio che quando noi veniamo qui dentro veniamo senza vincolo di mandato. Dovrebbe essere la regola che ciascuno vota secondo coscienza.
Se lei non si sente di farlo, non è colpa della macchina che rileva le impronte digitali, ma magari dell'esigenza che lei faccia chiarezza col suo gruppo e anche rispetto alla sua permanenza all'interno del gruppo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO. Signor Presidente, come le è noto, sono tra coloro i quali non hanno aderito alla rilevazione delle proprie minuzie. L'ho argomentato pubblicamente e vorrei argomentarlo qui, perché ho motivi diversi, anche se simili, da quelli del collega Orsini. Vorrei pregare però innanzitutto il collega Giachetti di portare rispetto ad un parlamentare di uno schieramento a lui avverso, ma anche al gruppo a cui questo parlamentare appartiene.
Non esiste nel nostro gruppo alcun vincolo di mandato che venga dal gruppo, salvo il vincolo che tutti noi avvertiamo rispetto agli impegni elettorali che abbiamo contratto con gli elettori e che sempre, in questi 15 anni - sempre, lo sottolineo perché io lo sono da poco - tutti i nostri rappresentanti in Parlamento e coloro che sono stati eletti sotto le bandiere dei nostri partiti hanno rispettato gli impegni presi con i loro elettori.
Altri, invece, non lo hanno fatto in altri settori del Parlamento, anzi, hanno teorizzato che quegli impegni fossero carta straccia.
Signor Presidente, la mia contrarietà all'adozione di questo sistema, nasce dal fatto che ho tale e tanta considerazione della Presidenza della Camera, che avrei voluto che non si affidasse ad una macchina per evitare una pratica che possiamo serenamente considerare non commendevole. Signor Presidente, sarebbe bastato che il Presidente di turno, esercitando legittimamente i suoi poteri, nel corso di una qualunque delle sedute, nel momento in cui avesse scorto un parlamentare non votare per sé, ma per altri, lo avesse prima richiamato, successivamente richiamato per una seconda volta e, qualora egli o ella avessero insistito, lo avesse espulso dall'Aula, per poi assumere sanzioni precise.
Signor Presidente, in quest'Aula, abbiamo votato che a scuola vi sia il 5 in condotta, non la catena al banco. Abbiamo votato che l'autorità si esercita, non la si delega ad un apparecchio. Abbiamo votato che la serietà e il rigore di un'istituzione sono il frutto della gerarchia che viene fatta applicare. Signor Presidente, io l'ho votata e lo rifarei domani, se mi si ripresentasse l'occasione: la critica, infatti, non è rivolta a lei, ma alla degenerazione dei ruoli e delle responsabilità anche del Parlamento. L'ho votata perché lei esercitasse, innanzitutto nei miei confronti, con rigore, il rispetto del Regolamento e mi sanzionasse qualora io lo violassi. Lei, invece, ha scelto un'altra strada, legittima, ma non è quella di una democrazia rappresentativa e liberale. Lei si è spogliato di un potere, per affidarlo ad un apparecchio e ritiene che i problemi del Parlamento siano risolvibili attraverso un apparecchio.
Signor Presidente, mi auguro che nella sua risposta mi dirà che tutto questo è transitorio e che guarda ad una riforma dei Regolamenti parlamentari in cui il Pag. 60voto dell'Assemblea riprenda ad avere quella serietà e quella solennità tali, per cui si vota su questioni serie, in modo serio, essendo seriamente presenti, perché ogni voto del Parlamento e dell'Assemblea è solenne; mi auguro che mi dirà che maggiore è il lavoro che dovremo svolgere nelle Commissioni, magari, attivando quelle procedure che il nostro Regolamento già prevede, che sono la sede legislativa e la sede redigente, che mai e mai ancora, abbiamo utilizzato in questa legislatura.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO. Dunque, signor Presidente - e concludo -, il mio rifiuto non è assoluto: sono pronto ad addivenire a questo nuovo sistema di voto, ma credo che il problema del funzionamento di questa Camera vada posto e non risolto con un automatismo.

SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, al netto delle posizioni a titolo personale che diversi colleghi legittimamente possono manifestare in quest'Aula, vorrei ringraziarla a nome del gruppo del Popolo della Libertà per questo momento importante. Ritengo, infatti, che se è vero che vi possano essere colleghi che considerano poco dignitoso dover dare le minuzie delle impronte digitali, ritengo altrettanto poco dignitoso che cada su quest'Assemblea e su coloro che ne fanno parte il sospetto o l'accusa di assenteismo o di «fannullismo».
Pertanto, ritengo che questa sia stata una scelta importante da parte sua, signor Presidente, e da parte dell'Ufficio di Presidenza: è una scelta che ha riguardato il fenomeno dei doppi voti, dei cosiddetti pianisti - che qualcuno ha anche salutato come figura in estinzione - ossia un fenomeno trasversale, che ha tenuto in piedi, per decine di anni, Governi di ogni schieramento.
Ebbene, mai nessuno ha avuto il coraggio di portare alle estreme conseguenze una posizione come questa. Questo, evidentemente, impone alla maggioranza un senso di responsabilità e di presenza forte, perché contro i pianisti ogni opposizione si è battuta: lo facemmo noi nella scorsa legislatura, lo hanno fatto tutte le opposizioni in passato e mai nessun Presidente della Camera ha avuto il coraggio di porre in essere provvedimenti del genere, tutti hanno fatto spallucce e hanno annuito.
In questo senso, signor Presidente, il nostro ringraziamento va a lei in particolare e a coloro che hanno deciso di aderire a questa scelta, perché si tratta di un'adesione che esprime dignità, consapevolezza e responsabilità per il ruolo che ciascuno di noi ricopre in quest'Aula, un ruolo che risponde al mandato di sovranità nazionale che questo Parlamento ha il diritto e il dovere di rappresentare.

MICHELE GIUSEPPE VIETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MICHELE GIUSEPPE VIETTI. Signor Presidente, colleghi, anche il gruppo dell'Unione di Centro desidera esprimere l'apprezzamento per l'iniziativa che lei e l'Ufficio di Presidenza avete assunto e che questa sera abbiamo sperimentato. Ci pare che garantire la corrispondenza tra voto e votante sia una misura ovvia, rispetto alla quale alcuni ragionamenti ipocriti che abbiamo sentito svolgere ci sembrano francamente fuori luogo.
Nell'esprimerle questo apprezzamento, signor Presidente, mi permetta di aggiungere che il fatto che alcuni colleghi del Popolo della Libertà questa sera abbiano qui rivendicato, con grande orgoglio, il proprio protagonismo nell'Aula parlamentare, polemizzando con la macchina «contavoti», ci sembra alquanto contraddittorio rispetto alle dichiarazioni che oggi abbiamo sentito da parte del Presidente del Consiglio, il quale ha proposto modifiche al Regolamento con cui si conceda il voto solo ai capigruppo. Da questo punto Pag. 61di vista, credo che i colleghi e gli amici del Popolo della Libertà si debbano riconciliare tra loro e con il proprio leader, il quale - se dovessimo adottare il suo approccio macchiettistico e barzellettistico - ha dato voce al qualunquismo secondo il quale qui dentro si perde soltanto tempo; se, invece, vogliamo leggere tale approccio in modo più serio, egli ha manifestato quella preoccupante tendenza, che tante volte abbiamo già dovuto denunciare in questa legislatura, che valuta le istituzioni con un criterio da società commerciale, per la quale il Consiglio dei ministri equivale al consiglio di amministrazione e quest'Aula, questo ramo del Parlamento è una sorta di assemblea pianificata nella quale chi cerca di parlare e di intervenire è considerato un disturbatore.
Ebbene, signor Presidente, rispetto a questa visione noi ci opponiamo radicalmente e le chiediamo anche, nella sua alta funzione di rappresentante di questa istituzione, di intervenire con una parola di chiarezza e di verità a difesa dell'istituzione parlamentare, del ruolo dei singoli parlamentari, del sistema parlamentare e, in ultima istanza, della nostra democrazia (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

GIUSEPPE CONSOLO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE CONSOLO. Signor Presidente, rimango abbastanza perplesso rispetto a dichiarazioni che non mi trovano assolutamente d'accordo.
Vedete colleghi, se oggi siamo arrivati al sistema delle minuzie, lo dobbiamo al nostro comportamento - e ho detto il nostro, non il vostro -, che ha abusato della possibilità di votare per altri, costringendo chi presiede quest'Aula ad avere il coraggio di adottare gli opportuni rimedi. Non dobbiamo prendercela con chi ha rilevato i nostri errori e ha adottato comportamenti conseguenti, ma con noi medesimi, che tali errori abbiamo commesso.
Se fossimo nella House of Representatives, quindi nella Camera dei deputati americani, e al posto del Presidente Fini ci fosse il Presidente Nancy Pelosi, noi dovremmo dire: people who live in a glass house shouldn't throw stones (la gente che vive nella casa di vetro eviti di tirare i sassi). Questi sassi li abbiamo tirati noi, siamo stati noi a costringere la Presidenza a non poter far finta di niente e adesso, perché no, dobbiamo essere noi ad adottare comportamenti conseguenti, essendo lieti e felici che si sia chiusa una pagina triste quale era quella dei «pianisti».

MARINA SERENI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARINA SERENI. Signor Presidente, noi abbiamo letto una sua risposta a una dichiarazione del Presidente Berlusconi che ci risulta essere stata espressa in un'assemblea di parlamentari. La sua risposta contiene un auspicio che condividiamo, ovvero che la proposta del Presidente del Consiglio, secondo la quale ai presidenti di gruppo dovrebbe essere assegnato il potere di voto unico per tutto il loro gruppo parlamentare, cada nel vuoto, come è successo in altre occasioni. Questo sistema di votazione è stato assunto, per le ragioni che tutti conosciamo, all'unanimità nell'Ufficio di Presidenza da lei coordinato e diretto. Questo sistema di votazione non toglie nulla alla dignità del singolo parlamentare e vorrei che fosse chiaro a tutti noi che, sia che il Presidente del Consiglio abbia avanzato questa proposta semplicemente per distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica dalle questioni che questa sera abbiamo posto in questa sede, con il segretario Franceschini, circa l'election day, sia che lo abbia fatto per distogliere l'attenzione dei cittadini da una crisi economica e sociale così grave che nemmeno la sua capacità comunicativa riesce a negare, noi non sappiamo perché lo abbia fatto ma sappiamo una cosa: che la Costituzione si cambia secondo le regole previste dalla Costituzione, che i Regolamenti parlamentari si cambiano nel Parlamento Pag. 62con il concorso di maggioranza e opposizione, che il presidenzialismo strisciante che ha in mente il Presidente Berlusconi non è nelle corde del Paese e che la dignità di questo Parlamento dovrebbe stare a cuore non solo ai parlamentari dell'opposizione o al Presidente della Camera, ma a tutti i parlamentari, compresi quelli eletti nelle liste del PdL. Mi auguro che ci sia qualcuno che batta un colpo anche da quel versante (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

MATTEO BRIGANDÌ. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MATTEO BRIGANDÌ. Signor Presidente, mi limiterò ad alcune precisazioni perché chi, prima di me, ha difeso la dignità del singolo parlamentare nella scelta di non dare le impronte, lo ha fatto in maniera compiuta. Ritengo che la necessità di creare un meccanismo umiliante come quello di dare le impronte - dico umiliante per la mia esperienza personale, perché le ho date quando mi hanno arrestato, nonostante poi mi abbiano dichiarato completamente innocente - è una brutta esperienza, signor Presidente. Desidero formulare soltanto un'osservazione: i deputati dell'Italia dei Valori, già da qualche mese, non hanno mai dato voti doppi. Se lo dico io c'è da crederci, perché li ho sempre controllati uno per uno. Questo significa che era dovere dei singoli presidenti di gruppo vietare questa attività - che non è certamente encomiabile - e soprattutto che il divieto ben poteva essere rispettato, tant'è che i deputati del gruppo dell'Italia dei Valori lo hanno rispettato. Questo è un fatto che deve essere rapportato ai presidenti di gruppo e non certo ai singoli parlamentari.
La seconda cosa, signor Presidente, che desidero far notare è che quando presiedeva l'onorevole Buttiglione i voti doppi non c'erano perché, purtroppo, affrontava con un maggior rigore questo suo rapporto, quindi lasciava accese le luci individuando tutte le persone che davano un doppio voto.
È chiaro che la seconda o terza volta che i deputati venivano individuati non potevano continuare in quel gioco.
Ancora, signor Presidente ricordo che abbiamo quattro segretari di Presidenza che hanno come compito specifico quello di controllare questa attività. Ancora un'altra osservazione, signor Presidente: quando due postazioni contigue sono abilitate è sufficiente abilitarle perché uno voti anche per il soggetto che gli sta a fianco.
Un'ultima osservazione, signor Presidente, io mi occupavo per professione di diritto penale del lavoro e la prima regola in ordine alle presse era quella di prevedere una doppia pulsantiera che impediva che il soggetto mettesse le mani sotto la pressa. Una doppia pulsantiera è presente sui banchi di tutti i deputati quindi sarebbe bastato realizzare, senza spendere una marea di soldi, una deviazione la quale avrebbe impedito, tenendo entrambe le mani occupate per votare, che si potesse votare per un altro collega.
Si tratta di un ragionamento numerico, forse di sprechi che abbiamo fatto, ma il discorso essenziale, signor Presidente...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MATTEO BRIGANDÌ.... e concludo, è che forse dover umiliare il Parlamento al punto di dover presentare le proprie impronte per votare mi pare un po' eccessivo (Applausi di deputati del gruppo Lega Nord Padania).

SABATINO ARACU. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SABATINO ARACU. Signor Presidente, oggi è iniziato un dibattito naturale che ci aspettavamo. C'è un cambio epocale, ad alcuni piace ad altri no, ma non voglio entrare nel merito. Va benissimo che ognuno esprima la sua opinione però non Pag. 63credo sia consentito deviare da questo per tirar fuori veleni e bugie. Ciò non è consentito!
Il collega Giachetti che stimo tantissimo, ad esempio, ha avuto una caduta di stile decisamente riprovevole. Il problema vero è che lui ha detto - probabilmente non è stato attento - una bugia riguardo al Presidente Berlusconi il quale a suo dire oggi avrebbe comunicato di non voler dare più la possibilità di esprimere il voto, addirittura che non è possibile esprimere il dissenso. In realtà, ha detto esattamente il contrario, quindi invito il collega Giachetti a chiedere scusa. Infatti, il Presidente Berlusconi ha detto che là dove esiste un'omogeneità di pensiero un deputato potrebbe anche delegare per il voto il proprio capogruppo. Quindi, ad esempio, visto che oggi abbiamo votato tutti a favore, non sarebbe cambiato nulla.

ANGELO COMPAGNON. Ma cosa dici!

SABATINO ARACU. Il deputato, qualora in dissenso, quindi qualora disapprovi quella linea, vota ed esprime le sue opinioni normalmente, anzi si vedrebbe ancora meglio. Ha spiegato una questione totalmente tecnica che non ha nulla di politico, non è consentito a nessuno di dire bugie per denigrare personaggi di questo Parlamento ed, in particolare, in questo caso, il Presidente del Consiglio dei Ministri (Applausi di deputati del gruppo Popolo della Libertà)

RITA BERNARDINI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

RITA BERNARDINI. Signor Presidente, desidero semplicemente che rimanga agli atti della Camera dei deputati il fatto che tutti i deputati della delegazione dei radicali, all'interno del gruppo Partito Democratico, la ringraziano perché lei è riuscito a risolvere un problema che nessun Presidente in precedenza era riuscito a risolvere, anche perché questa storia dei cosiddetti pianisti si trascina ormai da molte legislature.
Devo dire che lei ha fatto anche di tutto per convincere i deputati che se si fossero attenuti ad un comportamento onesto non si sarebbe arrivati al prelievo delle minuzie; le ha tentate tutte.
Credo che oggi sia una giornata importante e mi interrogo su altre istituzioni quali, per esempio, il consiglio comunale di Roma. Ci sono stata pochi mesi durante la precedente legislatura, quella di Veltroni, e lì i pianisti andavano a tutto spiano.
Non so cosa accada oggi, ma mi auguro che questa pratica, se c'è ancora, presto finisca anche lì. Quindi grazie a nome della delegazione radicale (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

ANGELO COMPAGNON. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANGELO COMPAGNON. Signor Presidente, spero di non offendere l'Aula se mi permetto, intervenendo sull'ordine dei lavori, di parlare di altro.

PRESIDENTE. Non offende l'Aula, anche l'onorevole Cazzola deve intervenire sull'ordine dei lavori ma non sulla questione sollevata sin qui da numerosi colleghi; quindi, se non ci sono altri colleghi che chiedono di intervenire sulle modalità di voto, do la parola all'onorevole Iannaccone, a seguire all'onorevole Cazzola, e poi all'onorevole Compagnon. Prego, onorevole Iannaccone.

ARTURO IANNACCONE. Signor Presidente, volevo esprimere l'apprezzamento del Movimento per l'Autonomia per le nuove modalità di voto. Riteniamo che questo strumento possa servire a contribuire a dare credibilità alle istituzioni e a ridurre anche quella litigiosità che in quest'Aula molto spesso si è registrata proprio sulle modalità di voto e che ha ritardato e reso farraginosi i nostri lavori.
È evidente che se si è proceduto ad una modifica, che da alcuni colleghi è stata definita epocale, è giusto, noi riteniamo, Pag. 64che si metta mano al tempo stesso anche alla riforma dei Regolamenti parlamentari per garantire il giusto equilibrio tra le esigenze del Governo e della maggioranza di vedere approvati i propri provvedimenti e il ruolo dell'opposizione di svolgere un attento e rigoroso controllo.
Purtroppo, se da un lato abbiamo dovuto registrare, anche all'inizio di questa legislatura, che continuava la pratica poco commendevole del voto non personale, dall'altro dobbiamo denunciare che in questi mesi troppe volte si è fatto ricorso, da parte dell'opposizione, ad un ostruzionismo che non è servito a migliorare i provvedimenti, né ad alimentare il dialogo, né a rendere più utile il confronto parlamentare.
Il nostro auspicio, nell'interesse dell'autorevolezza di questa Camera, del bene del nostro Paese e della credibilità dell'intera classe politica, è che con questo sistema di voto si possa registrare anche in quest'Aula anche un diverso clima che porti ad un confronto più sereno e più costruttivo tra gli schieramenti.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola all'onorevole Cazzola sull'ordine dei lavori per altre questioni e, a seguire, all'onorevole Compagnon e all'onorevole Margiotta, permettetemi di ringraziare tutti i colleghi che hanno chiesto la parola per esprimere la loro legittima opinione in ordine alle nuove modalità di voto che l'Ufficio di Presidenza ha adottato all'unanimità, come ho avuto modo di dire in altre occasioni.
Ringrazio sia coloro che hanno espresso parole di apprezzamento, sia coloro che hanno formulato critiche, ovviamente non da me condivise, ma certamente più che legittime e per certi aspetti prevedibili nell'ambito di una discussione che, come è stato osservato, verte sulla necessità di garantire il rispetto che si deve a quest'Aula e, a mio modo di vedere, anche il rispetto che si deve da parte dei deputati nei confronti dei propri elettori.
Tutti sanno che la nostra Costituzione è esplicita nel dire, all'articolo 67, che ogni membro del Parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato. È, altresì, evidente che nessuno tra coloro che siedono qui oggi è stato in qualche modo obbligato ad essere deputato della Repubblica.
È evidente che servire la Nazione deve essere un onore, più che un onere. Questo comporta la necessità di essere presenti e di votare unicamente per se stessi.
Altre considerazioni le considero più che legittime, ma certamente non da me condivise. Dico soltanto, col sorriso sulle labbra - se me lo consente - all'onorevole Stracquadanio, rinnovandogli la stima, che mi ha molto colpito l'argomentazione con la quale ha sostenuto, se ho ben compreso, che l'autorità si esercita e non si affida ad una macchina. Mi auguro che, alla luce di questa considerazione, non chieda all'Ufficio di Presidenza di esercitare l'autorità - di convocare la Camera e i parlamentari, di avvisarli di eventuali modifiche all'ordine del giorno - attraverso strumenti che non siano quelli tecnologici. Glielo dico col sorriso sulle labbra, ma se fosse vero che l'autorità si esercita direttamente e non si delega ad una macchina, saremmo ancora alla convocazione del Parlamento attraverso un messo, anziché un SMS o un telegramma.

GIULIANO CAZZOLA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIULIANO CAZZOLA. Signor Presidente ho chiesto di parlare per fatto personale: ieri pomeriggio ero iscritto a parlare sulla mozione Cicchitto ed altri n. 1-00131. Tuttavia, ho avuto una serie di inconvenienti e imprevisti e sono arrivato quando la seduta era già stata tolta. La mozione della maggioranza è stata illustrata degnamente dall'onorevole Della Vedova. Avevo avuto sentore di un intervento molto duro nei miei confronti dell'onorevole Giachetti; questa mattina mi sono preso il resoconto e do lettura delle parole che - me assente - l'onorevole Giachetti mi ha rivolto: «Non a caso è stata poi presentata una mozione il cui primo firmatario Pag. 65non è neanche in grado di venire ad illustrarla». Tra l'altro, non ero nemmeno il primo firmatario, che invece era appunto l'onorevole Cicchitto. «Immagino, considerata l'eleganza del collega, che l'onorevole Cazzola casualmente non fosse in aula ad illustrare la mozione a sua prima firma forse perché ha avuto un rigurgito di dignità». Trovo sinceramente queste parole offensive. Ho simpatia e stima per l'onorevole Giachetti, credo che avrà avuto le sue ragioni (probabilmente ieri sera era arrabbiato), ma credo anche che queste sue parole nei miei confronti rasentino e presentino una gratuita caduta di stile (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

ANGELO COMPAGNON. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MAURIZIO LUPI (ore 19,50).

ANGELO COMPAGNON. Signor Presidente, ho apprezzato la tranquillità, della quale peraltro non avevo dubbi, con la quale ha risposto agli interventi in merito al nuovo sistema di voto.
Il mio invece è il secondo intervento di sollecito perché - al di là del voto e della presenza - è importante anche il lavoro che ogni parlamentare svolge nelle Commissioni, cercando di presentare interrogazioni e interpellanze in Assemblea e in Commissione, non tanto e non solo per finire agli atti, ma per cercare veramente di capire come affrontare determinati problemi. Nonostante questo, c'è una difficoltà evidente ad avere risposte dal Governo.
So che già lei in prima persona è intervenuto in questo senso. Tuttavia, credo che partendo da settembre dell'anno scorso a fronte di 8 o 9 interrogazioni su problemi seri e delicati del nostro Paese e non localistici e campanilistici, questo Governo avrebbe il dovere di darsi dei tempi più stretti possibile e non lunghi come quelli che stanno avvenendo per dare delle risposte. Pertanto, credo che - mi rivolgo a questa Presidenza e anche alla sensibilità del vicepresidente Lupi, che conosco bene e che ha sostituito adesso il Presidente - questa Presidenza debba assolutamente richiamare il Governo all'ottemperanza del suo impegno nei confronti dei parlamentari che hanno presentato delle interrogazioni.
Non faccio elenco delle mie, dico solo che, se serio è rispettare il voto del singolo parlamentare, serio è anche permettere al singolo parlamentare di dare senso alle iniziative che fa in nome e per conto di chi l'ha eletto.
Quindi, questa è la sollecitazione che rivolgo alla Presidenza.

SALVATORE MARGIOTTA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SALVATORE MARGIOTTA. Signor Presidente, come il collega che ha parlato in precedenza, devo sollecitare la risposta ad una particolare interrogazione che ho presentato in Commissione trasporti, che non ha avuto fin qui alcuna risposta. L'interrogazione riguarda un tema molto sentito dalle popolazioni lucane, ovvero la chiusura a giorni alterni di una serie di uffici postali effettuata in comuni come Bella, Lauria, Filiano, contravvenendo così l'accordo di programma tra Ministero e la società Poste. Quest'ultima, nonostante le siano stati richiesti i dati di produttività dei singoli uffici nei singoli comuni, ha assunto una decisione non solo ingiustificata, ma molto grave e che danneggia molto la qualità della vita in questi piccoli comuni.
La scorsa settimana a Potenza si è svolta un'assemblea partecipatissima, con decine di sindaci, organizzata dall'ANCI nella quale è stato fortemente stigmatizzato anche l'atteggiamento della società che, peraltro, non interloquisce in maniera corretta ed esaustiva con il presidente dell'ANCI regionale. Di questa interrogazione ho chiesto conto già da un mese al Pag. 66Governo e chiedo, dunque, anche a lei, Presidente, che faccia presente agli uffici della Commissione - affinché questi lo facciano presente a loro volta al Governo - che per un tema così importante, delicato e vitale per la comunità lucana credo sia doveroso addivenire ad una risposta nei tempi più brevi possibili.

PRESIDENTE. Sarà cura della Presidenza attivarsi in merito.

ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ERMINIO ANGELO QUARTIANI. Signor Presidente, ho chiesto di parlare perché, come lei avrà potuto ascoltare, l'onorevole Cazzola ha voluto precisare alcune questioni relative ai lavori della giornata di ieri, riferendosi anche ad un intervento del mio collega, onorevole Giachetti. Signor Presidente, posso confermare personalmente - per averlo più volte sentito - che l'onorevole Giachetti nutre stima e alta considerazione per il comportamento parlamentare e per la persona dell'onorevole Cazzola. Probabilmente sarà l'onorevole Giachetti personalmente, quando sarà presente, a rispondere e a interloquire, ove lo ritenga necessario, con l'onorevole Cazzola e con la Presidenza per garantire che le sue parole di ieri non erano in senso offensivo nei confronti dell'onorevole Cazzola e di chiunque altro avesse o intendesse esprimere la posizione contenuta nel preciso orientamento di una mozione.
Tuttavia, se posso esprimermi così, oggi l'onorevole Cazzola ha restituito la cortesia all'onorevole Giachetti, in quanto quest'ultimo, essendo assente, non è in grado di farlo personalmente, né io intendo farlo in luogo suo. Quindi, sarà l'onorevole Giachetti a chiarire meglio il senso del suo intervento di ieri anche all'onorevole Cazzola.

SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, intervengo intanto per esprimere solidarietà all'onorevole Cazzola. L'onorevole Quartiani svolge molto bene il suo mestiere ed anche quello di avvocato dell'onorevole Giachetti. Tuttavia, come l'onorevole Quartiani sa bene, su fatto personale si interviene a fine seduta, quindi evidentemente la circostanza che l'onorevole Giachetti non sia presente è credibilmente non voluta neanche dall'onorevole Cazzola. Alla stessa maniera, potrei intervenire io per fatto personale, essendo stato attaccato allo stesso modo dall'onorevole Giachetti, pur avendo svolto ieri un intervento molto critico nei confronti delle posizioni dell'opposizione, essendomi sentito rimproverare dall'onorevole Giachetti di aver mancato di onestà intellettuale, di bon ton e di diverse altre cose.
Ritengo che questo faccia parte della dinamica parlamentare. Credibilmente, ieri l'onorevole Giachetti era un po' nervoso e ciò può accadere. Dispiace per l'onorevole Cazzola, ma credo che, con grande serenità, sarà opportuno procedere oltre, perché credo che l'onorevole Giachetti sia un deputato capace, consapevole e responsabile. Dal punto di vista umano, prima ancora che politico, non credo personalmente di dover dar corso a nessuna questione né di natura personale, né di natura politica, anche a fronte di eventi che posso giudicare antipatici dal punto di vista personale.

PRESIDENTE. Per quanto riguarda il seguito della discussione del disegno di legge di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 gennaio 2009, n. 3, recante disposizioni urgenti per lo svolgimento nell'anno 2009 delle consultazioni elettorali e referendarie, avverto che la Commissione bilancio non ha ancora espresso il prescritto parere, adempimento al quale procederà nella seduta antimeridiana di domani.
Pertanto, dobbiamo rinviare il seguito dell'esame del suddetto provvedimento alla seduta di domani, a partire dalle ore 10.

Pag. 67

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Mercoledì 11 marzo 2009, alle 10:
(ore 10 e ore 16).

1. - Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 1341 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 gennaio 2009, n. 3, recante disposizioni urgenti per lo svolgimento nell'anno 2009 delle consultazioni elettorali e referendarie (Approvato dal Senato) (2227-A).
Relatore: Lorenzin.

2. - Discussione del disegno di legge (per l'esame e la votazione della questione pregiudiziale presentata):
Conversione in legge del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori (2232).

3. - Seguito della discussione del disegno di legge (previo esame e votazione delle questioni pregiudiziali di costituzionalità e della questione pregiudiziale di merito presentate):
Norme in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali. Modifica della disciplina in materia di astensione del giudice e degli atti di indagine. Integrazione della disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche (1415-A);
e delle abbinate proposte di legge JANNONE; CONTENTO; TENAGLIA ed altri; VIETTI e RAO; BERNARDINI ed altri (290-406-1510-1555-1977).
Relatori: Bongiorno, per la maggioranza; Palomba e Ferranti, di minoranza.

4. - Seguito della discussione delle mozioni Casini ed altri n. 1-00093, Cirielli ed altri n. 1-00126, Donadi ed altri n. 1-00127 e Fava ed altri n. 1-00128 concernenti misure a favore dell'efficienza e della funzionalità delle Forze armate.

5. - Seguito della discussione delle mozioni Franceschini ed altri n. 1-00125, Di Pietro ed altri n. 1-00129, Vietti ed altri n. 1-00130 e Cicchitto, Cota, Lo Monte ed altri n. 1-00131 concernenti misure di sostegno al reddito attraverso l'istituzione di un assegno mensile di disoccupazione e iniziative per un'organica riforma del sistema degli ammortizzatori sociali.

(ore 15).

6. - Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

La seduta termina alle 20.

VOTAZIONI QUALIFICATE
EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO

INDICE ELENCO N. 1 DI 1 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 1)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
1 Nom. Moz. Mecacci ed a. n. 1-89 541 538 3 270 538 49 Appr.

F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M = Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui è mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi è premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.