Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Cerca nel sito

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute >>

XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 138 di lunedì 23 febbraio 2009

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MAURIZIO LUPI

La seduta comincia alle 10,35.

ANGELO SALVATORE LOMBARDO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 20 febbraio 2009.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Biancofiore, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Buonfiglio, Carfagna, Casero, Cicchitto, Colucci, Cosentino, Cossiga, Cota, Craxi, Crimi, Crosetto, Fassino, Fitto, Frattini, Gelmini, Gibelli, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Miccichè, Narducci, Prestigiacomo, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Santelli, Soro, Stefani, Tremonti, Urso e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Trasmissione dal Senato di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissione in sede referente (ore 10,40).

PRESIDENTE. Il Presidente del Senato, con lettera in data 20 febbraio 2009, ha trasmesso alla Presidenza il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alla I Commissione (Affari costituzionali):

S. 1341 «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 gennaio 2009, n. 3, recante disposizioni urgenti per lo svolgimento nell'anno 2009 delle consultazioni elettorali e referendarie» (Approvato dal Senato) (2227) - Parere delle Commissioni II, III, IV, V, VII e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dall'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

Discussione del disegno di legge: Norme in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali. Modifica della disciplina in materia di astensione del giudice e degli atti di indagine. Integrazione della disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche (A.C. 1415-A); e delle abbinate proposte di legge: Jannone; Contento; Tenaglia ed altri; Vietti e Rao; Bernardini ed altri (A.C. 290-406-1510-1555-1977) (ore 10,41).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Norme in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali. Modifica della disciplina in materia di astensione del Pag. 2giudice e degli atti di indagine. Integrazione della disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche; e delle abbinate proposte di legge di iniziativa dei deputati Jannone; Contento; Tenaglia ed altri; Vietti e Rao; Bernardini ed altri.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Annunzio di questioni pregiudiziali - A.C. 1415-A)

PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate le questioni pregiudiziali di costituzionalità Di Pietro ed altri n. 1 e Ferranti ed altri n. 2, nonché la questione pregiudiziale di merito Di Pietro ed altri n. 1 (Vedi l'allegato A - A.C. 1415-A).
Tali questioni pregiudiziali, non essendo state preannunciate nella Conferenza dei presidenti di gruppo, saranno esaminate, dopo la discussione sulle linee generali, in altra seduta.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1415-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il tempo complessivo per i relatori di minoranza, pari a 20 minuti, è stato ripartito in parti uguali. Pertanto, i tempi a disposizione dei relatori di minoranza risultano i seguenti: onorevole Palomba, 10 minuti, e onorevole Ferranti 10 minuti.
Avverto, inoltre, che i presidenti dei gruppi parlamentari Partito Democratico e Italia dei Valori ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
La relatrice per la maggioranza, presidente della II Commissione, onorevole Bongiorno, ha facoltà di svolgere la relazione.

GIULIA BONGIORNO, Relatore per la maggioranza. Signor Presidente, il disegno di legge in esame interviene sulla disciplina delle intercettazioni telefoniche. Va subito precisato che l'esigenza di una riforma in questa materia è condivisa trasversalmente da tutte le forze politiche. Già infatti nella scorsa legislatura la Camera dei deputati ha approvato, pressoché all'unanimità, un disegno di legge del Governo che poi non è stato approvato dal Senato solo per la chiusura anticipata della legislatura.
In questa legislatura il disegno di legge del Governo è stato affiancato da proposte di riforma dei gruppi del Partito Democratico e dell'Unione di Centro. Il gruppo dell'Italia dei Valori ha oggi presentato un testo alternativo dimostrando che anche questa forza politica avverte la necessità di cambiare le norme che regolano le intercettazioni.
Il testo oggi all'esame dell'Assemblea è il risultato di un lungo lavoro di approfondimento condotto dalla Commissione giustizia a partire dal luglio scorso. Il dibattito in Commissione è stato arricchito da un ciclo di audizioni di rappresentanti della magistratura, dell'avvocatura, delle forze di polizia e dell'informazione, nonché del Garante della privacy.
Prima di passare all'illustrazione del provvedimento elaborato dalla Commissione vorrei fare una premessa. Va precisato che il lavoro in Commissione è stato molto approfondito, ma non ha assolutamente stravolto le linee e gli obiettivi del disegno di legge del Governo. In secondo luogo, va ricordato che tenendo conto del dibattito in Commissione e dei pareri pervenuti dalle altre Commissioni, l'esame di alcune questioni tecniche è stata rinviato all'Assemblea.
Proprio per questo ho annunciato in Commissione che prima dell'esame degli emendamenti da parte dell'Assemblea convocherò più volte il Comitato dei nove per Pag. 3affrontare tutte quelle questioni di natura tecnica rimaste aperte dopo l'esame della Commissione. Ad esempio, come dicevo prima, bisognerà esaminare attentamente i pareri trasmessi dalle tre Commissioni che, come sempre avviene, sono stati dati nel momento finale dell'iter, quando questo si deve concludere per rispettare il calendario dell'Assemblea.
Come risulta dalla presentazione di due relazioni di minoranza da parte del Partito Democratico e dell'Italia dei Valori, che saranno illustrate dopo, il testo non è stato approvato all'unanimità, bensì a maggioranza con l'astensione dell'UdC. Come presidente di Commissione voglio comunque dare atto di un atteggiamento costruttivo dei gruppi di opposizione che non ha mai lasciato spazio all'ostruzionismo; il dibattito in Commissione è stato serrato, su alcuni punti vi è stata una netta contrapposizione tra i gruppi, ma mai, ci tengo a dirlo, è stato abbandonato l'obiettivo comune: migliorare la vigente disciplina delle intercettazioni.
È infatti innegabile che, nonostante la legge già preveda presupposti rigorosi per autorizzare le intercettazioni, si registra - questo è giusto ribadirlo - un uso distorto ed eccessivo del mezzo di captazione che finisce di frequente per essere utilizzato anche in relazione a casi nei quali sarebbe possibile farne a meno. Spesso si sceglie la comodità rispetto al presupposto della indispensabilità; troppo spesso, quindi, gli inquirenti si avvalgono delle intercettazioni anche quando potrebbero utilizzare mezzi diversi di investigazione e troppo spesso le operazioni di intercettazione durano oltre un ragionevole termine.
Pur consapevole delle patologie del fenomeno, quale relatrice del provvedimento, sin dall'avvio dell'esame in Commissione ho ritenuto essenziale porre un punto fisso nel riformare la normativa delle intercettazioni, che non dobbiamo perdere di vista. Si tratta della mia radicata convinzione che le intercettazioni rappresentano uno strumento di indagine in molti casi insostituibile; pertanto, procedere alla riforma per limitare il ricorso alle intercettazioni non deve significare depotenziare questo strumento di indagine, ma eliminare gli eccessi e gli abusi.
Altra mia radicata convinzione è che alcuni reati, quali ad esempio i reati di mafia e di terrorismo nazionale e internazionale, necessitano di strumenti di ricerca della prova più duttili e snelli di quelli ordinari, sia pur sempre nel rispetto dei principi costituzionali. La riforma delle intercettazioni non deve tradursi in un passo indietro nella lotta alla mafia o al terrorismo. Il disegno di legge del Governo, in questa ottica, si ispira al principio del doppio binario, disciplinando in maniera diversa i reati di tale matrice, nonché i presupposti e i tempi delle intercettazioni; infatti, in presenza di quelle gravi ipotesi di reato, per disporre le intercettazioni sono richiesti i sufficienti indizi di reato, anziché i gravi indizi di colpevolezza richiesti per gli altri reati e non è fissato un limite temporale insuperabile come invece avviene per gli altri reati.
In questo contesto voglio ricordare che, anche facendo seguito all'audizione del dottor Piero Grasso, procuratore nazionale antimafia, si è ritenuto di modificare il disegno di legge approvando un subemendamento - presentato dagli onorevoli Contento, Napoli e Lo Presti, poi sottoscritto da altri deputati e votato anche da deputati dell'opposizione - ad un emendamento del Governo che, quale relatrice, avevo anch'io presentato come emendamento al disegno di legge. Si tratta di una proposta emendativa volta a confermare per le intercettazioni ambientali per reati gravissimi la normativa attuale.
Passando all'analisi del provvedimento al nostro esame va ricordato che questo incide sui tre piani della disciplina delle intercettazioni: genesi, conservazione e divulgazione. In relazione alla genesi, come anticipato, a fronte di una normativa che qualifica le intercettazioni come mezzo di ricerca della prova da utilizzare con estrema cautela - il vigente articolo 267 del codice di procedura penale, al 1o comma, pone come presupposto l'assoluta indispensabilità ai fini della prosecuzione delle indagini - si assiste ad un ricorso Pag. 4smodato a tale strumento. Quindi ci troviamo a regolare una materia che è già disciplinata con norme stringenti, ma che troppo spesso vengono eluse. Compito del legislatore è trovare, dunque, un punto di equilibrio tra i due interessi: quello della riservatezza e quello delle indagini. Il testo in esame interviene sulla genesi incidendo sui presupposti e senza ridurre il novero dei reati intercettabili, per quanto il testo originario del Governo limitava le intercettazioni ai reati ritenuti più gravi. Il Governo aveva scelto di ridurre tale ambito prevedendo delle deroghe per i reati di maggiore allarme sociale, rispetto alla norma vigente era stato raddoppiato il limite edittale di cinque anni di reclusione richiesto per assoggettare un reato al regime delle intercettazioni, altri reati potevano essere intercettati pur se non puniti con tale pena.
Questa scelta è stata rivista dal Governo a seguito di un lungo dibattito in Commissione, io stessa avevo presentato degli emendamenti diretti ad includere tra i reati intercettabili alcuni di grave allarme sociale che erano rimasti fuori dall'ambito applicativo. Il Governo ha quindi presentato un emendamento volto a modificare il disegno di legge al fine di confermare la lista dei reati intercettabili prevista dalla normativa vigente. L'emendamento è stato approvato per cui il testo in esame - va detto - non opera alcuna riduzione della platea dei reati intercettabili.
Rispetto alla normativa vigente è cambiato il regime di acquisizione dei tabulati, partendo dal presupposto che il tabulato rientra nella sfera di tutela del diritto costituzionale della riservatezza delle comunicazioni, e quindi lo stesso regime è stato ricondotto a quello delle intercettazioni.
Focalizzando l'attenzione sulle riprese visive, va precisato che il testo in esame modifica l'articolo 266 del codice di rito prevedendo espressamente che le riprese visive debbano sottostare alla stessa disciplina delle intercettazioni.
Sempre in ordine al regime generale delle intercettazioni è stata operata la scelta di ridurre la possibilità di effettuare le intercettazioni ambientali e, come ho avuto modo di ricordare, è stato comunque approvato in Commissione l'emendamento Contento.
Sempre in relazione alla genesi il testo interviene anche sui presupposti delle intercettazioni, nonché sui tempi delle operazioni. In primo luogo, vi è la modifica della competenza dell'autorizzazione delle intercettazioni che è affidata al tribunale in composizione collegiale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente. La previsione del giudice collegiale ha un obiettivo ben preciso essendo diretta a porre fine alla distorsione applicativa della disciplina vigente. Spesso i GIP tendono a ratificare l'operato del pubblico ministero e i decreti autorizzativi sono, quindi, redatti ricorrendo ad una motivazione per relationem, cioè un mero rinvio ad altri atti e, in particolare, alla richiesta del pubblico ministero. Affidare l'autorizzazione delle intercettazioni ad un organo collegiale, più distante dalle esigenze investigative e garante di maggiore imparzialità, è, pertanto, un modo per arginare tale prassi. La collegialità del giudice dovrebbe servire a garantire quel vaglio di ammissibilità che il giudice monocratico, sia pure inconsapevolmente, finisce per delegare al magistrato richiedente che meglio conosce le indagini.
Altro punto nodale della riforma riguarda la cosiddetta soggettivizzazione dei presupposti giustificativi delle intercettazioni. Va ribadito che la ratio dell'intervento è rinvenuta nell'esigenza di una maggiore soggettivizzazione dell'autorizzazione delle intercettazioni, intesa come esigenza che l'intercettazione sia uno strumento di indagine da utilizzare solo quando vi sia la reale necessità di essa in relazione al caso concreto in corso di indagine.
In definitiva, si intende evitare che siano disposte in modo indiscriminato intercettazioni per avviare un'indagine. L'indagine, infatti, deve essere stata avviata in quanto sussistono degli elementi che la rendono necessaria e in questa indagine si deve innestare l'intercettazione. Questa Pag. 5esigenza di soggettivizzare viene perseguita utilizzando come presupposto la colpevolezza del soggetto da intercettare. Ne deriva che solo se vi sono già degli elementi di colpevolezza a carico di un soggetto si può procedere alle intercettazioni.
Su questo tema in Commissione si è aperto un vivace dibattito e l'opposizione ha contestato la scelta della soggettivizzazione. Sul tema dei gravi indizi di colpevolezza anche all'interno della maggioranza sono state sollevate delle perplessità; si tratta di un dibattito fisiologico e di natura prettamente tecnica. Ovviamente ci si è chiesto qual è il livello di ipotesi accusatoria sufficiente per poter procedere alle intercettazioni, ovvero che grado di colpevolezza deve esistere. Per il testo in esame la risposta è che è necessario che gli indizi di colpevolezza abbiano un robusto fondamento. L'esame dell'Assemblea potrà servire a valutare ulteriormente questa scelta per verificare se possa essere sufficiente un minor grado di colpevolezza, prevedendo ad esempio che gli indizi di colpevolezza devono essere sufficienti. Si tratta di una questione tecnico-giuridica e non politica e come tale deve essere affrontata. A mio parere, il punto fermo è che il presupposto delle intercettazioni sia soggettivizzato, ovvero individualizzato sulla persona da intercettare.
Una questione connessa alla scelta di adottare la colpevolezza come presupposto per l'intercettazione è quella dei procedimenti contro ignoti per i quali ovviamente non può esistere il requisito della colpevolezza. Il testo in esame, quindi, in questi casi non si riferisce ad alcun presupposto prevedendo due ipotesi. La prima riguarda le intercettazioni e stabilisce che l'autorizzazione a disporle è data su richiesta della persona offesa, sulle utenze o nei luoghi nella disponibilità della stessa, al solo fine di identificare l'autore del reato. La seconda attiene ai tabulati e si prevede che la loro acquisizione sia possibile al solo fine di identificare le persone presenti sul luogo del reato o nelle immediate vicinanze di esso.
Una novità introdotta nel testo dalla Commissione è quella di prevedere, come avviene già oggi, per la richiesta di misure cautelari personali e reali, l'assenso scritto del procuratore della Repubblica, ovvero del procuratore aggiunto o del magistrato appositamente delegati in ordine alla richiesta di autorizzazione delle intercettazioni da parte del pubblico ministero. Questa scelta è strettamente collegata, anzi consequenziale ad un altra fatta dalla Commissione approvando un emendamento dell'UdC. Mi riferisco all'individuazione di un tetto di spesa per le intercettazioni. Questo è stabilito annualmente e ripartito per ciascun distretto della Corte di appello dal Ministro della giustizia, sentito il Consiglio superiore della magistratura. Di fondamentale importanza è che il limite di spesa può essere derogato su richiesta del procuratore capo al procuratore generale per comprovate e sopravvenute esigenze investigative.
Altra scelta innovativa è quella dei tempi delle intercettazioni. Anche sotto questo profilo è fuor di dubbio che attualmente vi sono intercettazioni che hanno durata eccessiva rispetto alle esigenze investigative, e ciò è inammissibile in uno Stato di diritto dove l'intercettazione deve esser effettuata solo se vi sono degli elementi che la rendono necessaria. Per porre rimedio a questa prassi è stato fissato un limite massimo oltre il quale l'intercettazione non può proseguire. Si stabilisce, quindi, che la durata massima delle operazioni è di trenta giorni anche se non continuativi. Su richiesta motivata del pubblico ministero, contenente l'indicazione dei risultati acquisiti, la durata delle operazioni può essere prorogata dal tribunale fino a quindici giorni, anche se non continuativi.
Un'ulteriore proroga delle operazioni, fino a quindici giorni anche non continuativi, può essere autorizzata qualora siano emersi nuovi elementi, specificamente indicati nel provvedimento di proroga, unitamente ai presupposti che abbiamo già indicato.
Il provvedimento non si limita ad innovare la fase della genesi delle intercettazioni, ma modifica le fasi dell'acquisizione e della conservazione delle medesime. Pag. 6Per quanto attiene al tema dell'esecuzione delle intercettazioni, si interviene sugli impianti da utilizzare e sul luogo di ascolto. Si stabilisce che le operazioni di intercettazione devono essere compiute per mezzo di impianti installati nei centri di intercettazione istituiti presso ogni distretto di corte d'appello, in modo da limitare il numero dei soggetti che hanno accesso alle intercettazioni e da garantire il miglior livello di sicurezza nell'acquisizione e nel trattamento dei dati. A ciò si aggiunga che tale modifica consentirà, inoltre, un elevato risparmio di spesa. Per assicurare maggiore segretezza, si stabilisce che le operazioni di ascolto delle conversazioni siano compiute mediante gli impianti installati presso la procura della Repubblica, ovvero, previa autorizzazione del pubblico ministero, presso i servizi di polizia giudiziaria delegati per le indagini.
Sotto il profilo della conservazione, punto qualificante dell'intera riforma, è la previsione che i verbali ed i supporti delle registrazioni siano custoditi in un archivio riservato tenuto presso l'ufficio del pubblico ministero che ha richiesto al tribunale l'autorizzazione a disporre l'intercettazione, con divieto di allegazione anche parziale al fascicolo di indagine. Al termine dell'operazione, il tribunale, in un'apposita udienza, provvede a selezionare le intercettazioni rilevanti utilizzabili nel procedimento. Rispetto a tale novità occorre tener conto che, in ordine all'organizzazione della gestione e custodia dei risultati dell'attività svolta, è necessario limitare il numero dei soggetti che possono avere accesso alle informazioni riservate e creare un apposito archivio riservato. In tal modo sarebbe possibile porre un serio sbarramento alla fuoriuscita di notizie.
Si interviene anche sul regime dell'utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni e si pone il principio generale che i risultati delle intercettazioni non possano essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali le operazioni sono state autorizzate e disposte. A questo principio è stata apportata una deroga, diversa da quella prevista dalla normativa vigente. Attualmente il principio è derogabile nel caso in cui le intercettazioni risultino indispensabili per l'accertamento dei delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in fragranza. Il disegno di legge del Governo consente l'utilizzazione dei risultati delle intercettazioni qualora essi servano come prova o indizio di un procedimento diverso contro lo stesso indagato o contro altre persone, quando essi risultino indispensabili per l'accertamento di delitti gravi, individuati attraverso il richiamo agli articoli 51, commi 3-bis e 3-quater, e 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, a condizione che esse non siano state dichiarate inutilizzabili nel procedimento in cui sono state disposte.
Il testo interviene anche sulla disciplina della redazione dell'ordinanza che dispone le misure cautelari. Oggi, troppo spesso, sono proprio tali atti ad essere il tramite attraverso il quale le intercettazioni diventano fatti di dominio pubblico, venendo le loro trascrizioni inserite integralmente in essi. In questi casi, peraltro, la pubblicazione delle stesse non violerebbe alcun segreto, in quanto proprio il loro inserimento nell'ordinanza comporta la discovery. Nel disegno di legge si prevede, quindi, che l'ordinanza con la quale il giudice applica la misura cautelare non possa contenere il testo delle conversazioni da intercettare, ma solo il loro contenuto. Il testo delle conversazioni integrali deve, invece, essere inserito in apposito fascicolo allegato agli atti. La Commissione, per tutelare il diritto di difesa, ha previsto che, in ogni caso, i difensori possono prendere visione del contenuto integrale dell'intercettazione richiamata per contenuto nell'ordinanza.
Sotto il profilo del segreto, va ricordato che è stata ampliata notevolmente la sfera del segreto, prevedendo che oggetto del segreto siano non soltanto gli atti, ma anche le attività di indagine. Resta invariata la ratio della norma, che consente di far venire meno il segreto su atti o parti di essi rientranti per lo più tra quelli ai quali il difensore non ha diritto ad assistere e, più in generale, permette eccezionalmente la pubblicazione non solo del Pag. 7contenuto, ma dello stesso testo degli atti, indipendentemente dal fatto che essi siano o no segreti.
Altro aspetto fondamentale è quello della disciplina della divulgazione delle intercettazioni che non sono coperte da segreto, ma che, per questo, non devono divenire di dominio pubblico. La diffusione di conversazioni irrilevanti per le indagini e persino relative a soggetti estranei alle stesse rappresenta solo la punta dell'iceberg di un fenomeno che spesso, con superficialità, viene definito come mera violazione del segreto istruttorio. In realtà, sulla base della normativa attualmente in vigore, il segreto riguarda soltanto gli atti di indagine del pubblico ministero e della polizia giudiziaria dei quali non possa avere conoscenza la difesa. Spesso, dunque, si parla impropriamente di illecita pubblicazione di atti di indagine. Tuttavia, è frequente anche la divulgazione di intercettazioni ancora coperte da segreto. Nei confronti di tale violazione è necessario maggiore rigore.
Il disegno di legge del Governo affronta questi aspetti incidendo sull'articolo 114 del codice di procedura penale, inerente ai divieti di pubblicazione, nonché sul codice penale per quanto attiene alla sanzione. L'esame in Commissione ha inciso sulla parte relativa alle sanzioni, confermando il regime di alternatività delle pene detentive e pecuniarie per la contravvenzione della violazione del divieto di pubblicazione di cui all'articolo 684 del codice penale.
Inoltre, a seguito dell'approvazione di un emendamento riformulato dell'onorevole Bergamini, è stata introdotta una nuova fattispecie penale nel caso in cui la pubblicazione riguardi intercettazioni irrilevanti delle quali sia stata disposta la distruzione.
Vorrei sul punto sottolineare l'ambito di operatività di questo emendamento: l'emendamento non si riferisce a intercettazioni che hanno rilievo per il processo, ma a quelle che dovevano essere distrutte. Nel caso in esame, la Commissione ha tenuto conto del fatto che, come previsto nel testo originario dell'emendamento presentato dall'onorevole Bergamini, il codice sulla privacy, all'articolo 167, già punisce con la pena della reclusione da uno a tre anni la condotta di chi, al fine di trarne per sé, o per altri, profitto, o di recare ad altri un danno, procede illecitamente al trattamento dei dati personali.
In Commissione vi è stata contrapposizione per la modifica del comma 2 dell'articolo 114 del codice di procedura penale, relativo al rapporto tra gli atti che non sono segreti e la pubblicazione dei medesimi (la normativa vigente prevede che questi non possano essere pubblicati neanche parzialmente fino alla conclusione delle indagini preliminari, mentre il testo del Governo estende il divieto di pubblicazione al contenuto degli atti). Il testo approvato dalla Camera nella scorsa legislatura vietava il riassunto dell'atto, ma non la pubblicazione del suo contenuto. Quindi, lo stesso centrosinistra ravvisa l'esigenza di porre delle limitazioni alla pubblicazione di notizie relative ad atti che comunque non sono più segreti, vietando la pubblicazione del loro riassunto. Sul punto voglio osservare che pubblicare il contenuto senza il riassunto di un atto, significa unicamente dare notizia di un arresto, di un fermo, di una perquisizione o di un avviso, senza spiegare le ragioni per le quali sono stati emanati i relativi atti (per cui la soluzione proposta dal centrosinistra mi sembra poco chiara).
Personalmente ritengo che se una fase delle indagini preliminari deve assolutamente essere coperta da segreto assoluto, è necessaria una riflessione, che voglio sottoporre all'Assemblea, sul diritto di cronaca. Voglio sottoporre all'Assemblea l'interrogativo se non si comprima eccessivamente il diritto di cronaca imponendo il divieto di pubblicare contenuto e riassunto per l'intera fase dell'indagine preliminare o fino alla fine dell'udienza preliminare (mi riferisco al contenuto e al riassunto, e non certamente al testo degli atti). Ripeto: una parte delle indagini deve assolutamente restare segreta, bisogna solo stabilire quanto estesa debba essere questa fase. È noto che le indagini possono essere molto dilatate nel tempo e questa dilatazione Pag. 8forse precluderebbe la possibilità di fornire informazioni di interesse per la collettività.
Il provvedimento apporta modifiche anche agli articoli 36 e 53 del codice di procedura penale, relativi rispettivamente all'astensione del giudice e alla sostituzione del pubblico ministero nel caso in cui il primo abbia reso pubblicamente dichiarazioni relative al processo affidato, o il secondo sia iscritto nel registro degli indagati per il reato di illecita rivelazione di segreti inerenti al procedimento penale di cui è titolare.

PRESIDENTE. Onorevole Bongiorno, la invito a concludere.

GIULIA BONGIORNO, Relatore per la maggioranza. Ovviamente ho dovuto sintetizzare in questi minuti a mia disposizione un provvedimento che è davvero complesso perché cerca di conciliare, dopo anni, due beni di interesse costituzionale, il diritto alla riservatezza e il diritto di svolgere le indagini in tutta la loro ampiezza. Per cui, nel concludere, auspico che si arrivi celermente a una riforma che aspettiamo da anni. Sono sicura che l'esame in Assemblea possa migliorare un testo che però già oggi costituisce sicuramente un importante passo avanti verso quello che è l'obiettivo essenziale della riforma: contemperare esigenze investigative e tutela della riservatezza dei cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore di minoranza, onorevole Palomba.

FEDERICO PALOMBA, Relatore di minoranza. Signor Presidente, la relazione e il testo alternativo sono già pubblicati agli atti della Camera. Perciò mi limiterò in questo intervento ad illustrare e a spiegare, soprattutto sotto il profilo politico, sia la relazione sia il testo alternativo.
L'Italia dei Valori ritiene che il testo sulle intercettazioni approvato dalla Commissione giustizia costituisca una resa dello Stato dinanzi alla criminalità e metta il silenzio sulle notizie inerenti all'attività giudiziaria. Complessivamente questo testo realizza, secondo l'Italia dei Valori, il buio della legalità e della democrazia. Ciò rappresenta un costo eccessivo ed ingiustificabile, dinanzi all'esigenza proclamata di evitare i pochi abusi.
L'Italia dei Valori è sensibile alla tutela della riservatezza, soprattutto per le persone estranee alle indagini. Ma il testo in esame, col pretesto di reprimere alcuni e pochi abusi, in realtà rendendole pressoché impossibili, sopprime le intercettazioni per tutti i reati anche gravi (ad esempio, la corruzione, la violenza sessuale, persino gli omicidi, se non collegati alla criminalità organizzata, diversi da quelli di cui all'articolo 51-bis del codice di procedura penale cioè quelli più gravi, che riguardano la criminalità organizzata). Pretestuosamente si dice che le indagini si possono svolgere in modo tradizionale facendo a meno delle intercettazioni; ma sarebbe come se la medicina, disponendo di sofisticati mezzi di indagine ed avendo scoperto gli antibiotici, ritornasse alle cure degli stregoni o alla semplice aspirina.
Noi abbiamo delle obiezioni di fondo rispetto a questo testo che deprime eccessivamente la difesa sociale. Sono obiezioni di fondo su un testo che è intriso di pesanti illegittimità costituzionali. Le elenco brevemente. La prima è quella che riguarda la facoltà dell'indagato di scansare la persona che indaga su di lui semplicemente denunciandola. Con l'iscrizione obbligatoria nel registro degli indagati si avrebbe, secondo questo testo, automaticamente anche la necessità di astensione del pubblico ministero e comunque la sua sostituzione. Noi non vediamo nessuna ragione di questa misura e ci meraviglia che una maggioranza che dice di volersi improntare alle esigenze del garantismo poi colleghi alla semplice denuncia della persona indagata la facoltà di eliminare dalla scena il magistrato che indaga su di lui (e così, di denuncia in denuncia, si potrebbe arrivare a non fare mai il processo o comunque a scegliersi in definitiva il magistrato inquirente che più va Pag. 9bene). Noi abbiamo specificato che questa norma viola almeno cinque precetti della Costituzione, tutti estremamente seri, e nella nostra relazione è possibile trovare la spiegazione di questo aspetto.
C'è poi il regime restrittivo della pubblicità, che fa calare sostanzialmente il buio su tutta l'attività di indagine fino alla conclusione delle indagini di polizia giudiziaria. Anche questa norma stride e contrasta gravemente con la normativa costituzionale: l'articolo 21 della Costituzione e l'articolo 10 in relazione alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che prevedono che anche la cronaca sull'attività giudiziaria non debba avere se non limiti estremamente ristretti, anche in maniera temporale. Noi crediamo che il segreto durante le indagini sia giusto, e sia però collegato ad un'esigenza di segreto interno. In altre parole il pubblico ministero deve indagare e deve svolgere delle attività che poi non sono utilizzabili o sono limitatamente utilizzabili nel procedimento; è quindi giusto che durante le indagini non si sappia di esse. Però ci sono dei passaggi, delle fasi e dei momenti dei quali è necessario dare notizia, anche nell'interesse della stessa giurisdizione e nell'interesse degli stessi indagati (così, ad esempio, quando si emette un'ordinanza di custodia cautelare). È giusto che la gente sappia, soprattutto se si tratta di persone pubblicamente esposte (come prevede una recente sentenza della Corte europea di giustizia), se quella persona è stata arrestata perché ha stuprato la cameriera o perché è imputata di corruzione o per altre ragioni. Quindi, vi è un problema anche di garanzia nei confronti della stessa persona.
La normativa sulle intercettazioni ambientali tende praticamente ad escluderle. Il Governo aveva tentato in un primo momento di rendere pressoché impossibili le intercettazioni, poi si è corretto, approvando un emendamento in Commissione, ma la correzione riguarda solo i reati relativi all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, e non tutti gli altri reati, per i quali rimarrebbe un regime estremamente penalizzante, nel senso che le intercettazioni ambientali non si potrebbero più fare. Si parla di luoghi dove si sta svolgendo l'attività criminosa; ma prima le intercettazioni si effettuavano nelle carceri, nei parlatori delle carceri, nelle caserme, nei commissariati, nei bar, nei luoghi pubblici, e anche sulle autovetture dei possibili indagati, cioè in luoghi dove evidentemente non si può presumere che si stia svolgendo un'attività criminosa.
Adesso tutto questo sarebbe assolutamente impossibile. Nella nostra proposta abbiamo introdotto una modifica radicale, nel senso dell'ampliamento della facoltà di disporre intercettazioni ambientali.
Abbiamo anche contestato duramente, con il nostro testo alternativo, il ricorso ad un organo collegiale, per ragioni funzionali. Abbiamo contestato la richiesta di gravi indizi di colpevolezza: ma come è possibile, quando gli stessi gravi indizi di colpevolezza possono legittimare l'emissione della custodia cautelare, ma per arrivare ai gravi indizi di colpevolezza è necessario utilizzare tutti gli strumenti di indagine, comprese le intercettazioni. Se le intercettazioni vengono precluse non si può arrivare ad avere gravi indizi di colpevolezza. Se si hanno già per altre vie gravi indizi di colpevolezza che senso ha dire che si possono fare le intercettazioni? Si tratta di un'incongruenza assolutamente ingiustificabile.
È inoltre prevista un'estrema limitazione del tempo delle indagini: al massimo sessanta giorni. Come ciò è possibile, anche se per reati di cui all'articolo 51, comma 3-bis (che costituiscono una foglia di fico attraverso la quale il Governo vuole coprire certe impudicizie, magari è previsto l'ampliamento? Ma vi sono moltissimi altri gravi reati, come le violenze sessuali, gli omicidi non legati alla criminalità organizzata, la corruzione, gravi reati contro la pubblica amministrazione, indagando sui quali, scaduti i sessanta giorni, magari si sente dire che forse il giorno successivo sarà fatto qualcosa per cui è opportuno e necessario continuare le intercettazioni, e invece bisogna terminarle. Ma dove va a finire la difesa sociale? Sessanta giorni significa dire alla criminalità organizzata Pag. 10che può stare zitta per questo tempo e che poi può dire tutto quello che vuole, può fare tutto quello che vuole, perché tanto non sarà scoperta.
Il regime dell'indagine in caso di ignoti lega addirittura alla richiesta della persona offesa la facoltà di disporre intercettazioni sull'utenza o nei luoghi nella disponibilità della stessa persona offesa. Ma vi sono casi, come nell'ipotesi di estorsioni, in cui la persona offesa è sottoposta a gravi pressioni, situazioni nelle quali è assolutamente impossibile pensare che vi sia addirittura una richiesta.
Viene posta, inoltre, una grave limitazione all'utilizzabilità delle intercettazioni in altri procedimenti. Come è possibile? Se sono legittimamente disposte in un procedimento e risulta una notizia di reato, non si vede per quale motivo questa, anche per un'esigenza di economia processuale, non possano essere utilizzate in altro procedimento.

PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Palomba.

FEDERICO PALOMBA. Relatore di minoranza. La ringrazio, signor Presidente, e mi avvio alla conclusione. Infine, ricordo la grande limitazione dei fondi attraverso la quale il Ministro della giustizia potrebbe anche negare i fondi stessi ad un ufficio giudiziario dove si stanno svolgendo gravi indagini contro potenti.
In conclusione, vorrei dire che il nostro testo alternativo si fonda su un giudizio positivo nei confronti della vigente disciplina e tende soltanto a integrarla, a rafforzare alcuni principi, rifiutando totalmente l'ottica del testo licenziato dalla Commissione che, invece, è totalmente demolitorio della possibilità di disporre di uno strumento di indagine così essenziale.

PRESIDENTE. La relatrice di minoranza, onorevole Ferranti, ha facoltà di svolgere la relazione.

DONATELLA FERRANTI, Relatore di minoranza. Signor Presidente, onorevoli colleghi, abbiamo ritenuto opportuno, in un'ottica concreta, di apporto costruttivo, secondo una linea che abbiamo sempre tenuto in Commissione e in questa Assemblea, di presentare un testo alternativo che detta il segno di ciò che per noi significa contemperare le esigenze di razionalizzazione del ricorso alle intercettazioni, di tutela delle parti dalla diffusione di propri dati non rilevanti, di assicurare il tempestivo intervento nell'immediatezza del reato o nella sua permanenza, riferita alla repressione penale, e di tutela del diritto ad informare e ad essere informati.
Nella presentazione del nostro articolato cercherò dunque, rinviando al testo scritto della relazione, di individuare i punti che fanno sì che il nostro testo si diversifichi dalla scelta del Governo. Noi riteniamo che le intercettazioni siano un strumento di indagine e di ricerca della prova insostituibile, alcune volte veramente indispensabile, efficacissimo, che comunque deve essere regolato dalla legge (in attuazione del principio di cui all'articolo 15 della Costituzione), così come è insostituibile il diritto-dovere della stampa di poter informare i cittadini sulle inchieste penali e sul modo in cui la giustizia viene concretamente amministrata, specie nei casi più sensibili.
La scelta del Governo (mi riferisco soprattutto alla protezione della libertà delle comunicazioni) ci è sembrata e ci sembra di eccessiva compressione del diritto di cronaca e del diritto ad essere informati. Mi pare che comunque in qualche modo ne abbia fatto cenno anche la relatrice di maggioranza, laddove ha individuato nel testo del Governo - non l'ha detto in maniera aperta, ma purtroppo è così - che vi sarà un black out informativo per tutta l'indagine preliminare, riferito non soltanto a quegli atti che devono essere coperti dal segreto di indagine. In questo senso va il nostro articolato, quindi sicuramente rimane il segreto di indagine con riferimento agli atti coperti da tale segreto, ma comunque, secondo la nostra linea, nel momento in cui quel segreto di indagine viene a cadere, perché vi è una discovery e quindi le parti conoscono gli atti, vi deve essere la possibilità di informare Pag. 11sul contenuto degli atti di indagine, stabilendo invece che per le intercettazioni il divieto cada nel momento in cui vi sia la fine delle indagini preliminari.
Questo è un aspetto da dover riaffermare pubblicamente in quest'Aula, perché alcune volte dagli interventi sembra che l'opposizione invece voglia far sì che tutti gli atti e tutto quello che vi è in un'indagine siano resi pubblici. Non è così: conosciamo la problematica che è derivata dalle pubblicazioni indiscriminate dei contenuti di verbali e di stralci di atti di indagine, ma non è questo il punto. Il punto è avere un momento di equilibrio e individuare questo momento di equilibrio, e riteniamo che nel nostro articolato vi sia quel giusto contemperamento di interessi che poteva e che può indirizzare un'attività equilibrata del Parlamento.
Allo stesso mondo, noi abbiamo specificatamente rimarcato il fatto che vi è il divieto di pubblicazione con riferimento alle intercettazioni irrilevanti, a quelle cioè non acquisite al procedimento, inserite nell'archivio riservato, e abbiamo con precisione individuato anche un articolo di riferimento, il 329-bis, che appunto impone l'obbligo del segreto per le intercettazioni e che, tra l'altro, proprio noi abbiamo proposto di inserire attraverso un emendamento al testo governativo.
Mentre il Governo ha individuato un approccio monodimensionale, noi abbiamo cercato - anche attraverso la disciplina particolare e peculiare dell'esecuzione delle operazioni, l'individuazione dell'archivio riservato, l'individuazione di quello che il pubblico ministero deve rappresentare al giudice - di individuare un percorso che sia efficace, efficiente e che sia effettivamente una garanzia in questo senso.
Nel nostro articolato si prevede proprio questo: le registrazioni devono essere effettuate presso le procure generali e distrettuali, i verbali e le registrazioni sono immediatamente inseriti in questo archivio riservato, al termine delle operazioni di intercettazione il pubblico ministero - è questa la differenza, anche rispetto al testo governativo - deve depositare i verbali delle registrazioni che ritiene rilevanti al giudice e, contestualmente, dare avviso al difensore affinché si rechi presso l'archivio riservato, faccia altrettanto, selezioni le conversazioni e dica al giudice, in quell'udienza stralcio, quali ritiene che comunque vadano acquisite.
Quindi, si inverte il meccanismo implicito nell'attuale disciplina.
Pertanto, nella nostra proposta non si ripete l'errore che, invece, riscontriamo nella proposta governativa. Con essa, infatti, da un lato, si vuole secretare, ma, dall'altro, si fa in modo che tutto il materiale, anche quello irrilevante, venga depositato di fronte al giudice, che, quindi, può venire a conoscenza, anche in maniera cartacea, attraverso i verbali ed i decreti, di una serie di soggetti. Vi sono, infatti, una serie di potenziali rischi, che possono consentire la fuoriuscita di conversazioni non rilevanti per il processo, che non devono poi, confluire, attraverso la trascrizione, nel fascicolo del dibattimento. Tutto il resto, invece (quello che non è acquisito perché non è rilevante, quello che è riservato, quello che è irrilevante perché personale), deve restare, sin dall'inizio, nell'archivio riservato, della cui gestione è responsabile il procuratore della Repubblica, anche attraverso l'individuazione di un funzionario, che dovrà essere anche il tutore degli accessi ad esso.
Pertanto, anche da parte dell'opposizione, vi è una volontà di realizzare un percorso razionale che, però, non costituisca un bavaglio per l'informazione, né un ostacolo per l'utilizzo di questo insostituibile mezzo di ricerca della prova. Tale mezzo si è detto abusato in Italia, ma sarebbe opportuno paragonare (anche se non è possibile farlo) i nostri dati con quelli di tutti i Paesi europei, dove le intercettazioni vengono fatte senza che confluiscano nel dibattimento né nel processo. Si tratta, quindi, di dati incontrollabili e non gestibili, mentre da noi, un Paese democratico fondato su principi di democrazia vera, vi è la possibilità di sapere se si è intercettati e, quindi, anche di controllare il motivo per il quale si è intercettati. Credo che, a fronte dei numeri Pag. 12che ci vengono sempre presentati per mostrare come è stato mal gestito l'utilizzo delle intercettazioni, forse, dovremmo riflettere: se vi sono dei numeri, è possibile, però, verificarli e cercare di razionalizzarli. Vi è, comunque, la possibilità di un controllo. In altri Paesi, questo controllo non c'è.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

DONATELLA FERRANTI, Relatore di minoranza. Signor Presidente, avrei bisogno di un tempo maggiore, che ricadrà, eventualmente, sul resto della discussione. Cercherò, comunque, di essere sintetica il più possibile.
Passiamo agli altri punti che qualificano la nostra proposta. Con riferimento ai presupposti, non condividiamo la linea del Governo, che ha individuato i gravi indizi di colpevolezza al posto dei gravi indizi di reato. Infatti, a nostro avviso (e lo spiegheremo, poi, nel corso della discussione in Aula, anche durante l'illustrazione degli emendamenti), per i reati cosiddetti comuni - in cui, però, rientrano gravissimi reati, come l'omicidio, la violenza sessuale, la pedofilia, il sequestro, l'estorsione, l'usura, lo spaccio di sostanze stupefacenti, e così via, oltre i reati contro la pubblica amministrazione, la criminalità economica - viene invertito, di fatto, il momento di accesso a questo strumento di ricerca della prova, laddove vi siano già gravi indizi di colpevolezza nei confronti di un soggetto. Pertanto, soprattutto, per quanto riguarda gli ignoti, viene individuato un sistema abnorme, che non consentirà, anzi impedirà, le indagini nel caso in cui gli autori del reato siano ignoti (fattispecie che rappresenta la maggior parte dei casi in questione).
Ho sentito sostenere dalla relatrice in maniera molto chiara - e anche comprensibile, per certi versi - che dobbiamo cercare di verificare che, con riferimento a un determinato filone od orientamento delle indagini, non vi sia un utilizzo delle intercettazioni a tutto campo che non risulti controllabile.
Secondo noi, la formula utilizzata dal Governo - quella che richiama i gravi indizi di colpevolezza - non risolve il problema, ma è in realtà una modalità che comprime l'uso del mezzo investigativo; la nostra formula, invece, ai sensi dell'articolo 4 del nostro testo alternativo, prevede che si controlli che le intercettazioni di talune utenze siano effettivamente utili alle investigazioni e che portino ad un ritorno processuale per quelle investigazioni; che non si tratti, cioè, di intercettazioni meramente esplorative a tutto campo. In tal senso, il Governo avrebbe dovuto focalizzare l'attenzione - noi lo abbiamo fatto nella nostra proposta e ne siamo particolarmente convinti - sulla richiesta di una specifica motivazione da parte del pubblico ministero, vale a dire sulla necessità di ancorare la sua richiesta alla specifica delle ragioni a sostegno dell'utilizzo di quella utenza nell'ambito di quella particolare inchiesta, prevedendo quindi che il giudice dia una motivazione per l'autorizzazione all'intercettazione di quella utenza.

PRESIDENTE. Onorevole Ferranti, deve concludere, può comunque lasciare agli atti il resto della sua relazione.

DONATELLA FERRANTI, Relatore di minoranza. Riteniamo che vi sia stata una grave compressione con riferimento alle conversazioni ambientali, così come con riferimento alla previsione - su questo punto vi è uno specifico articolato - di una equiparazione tra videoregistrazioni e intercettazioni telefoniche, tra acquisizione di tabulati e intercettazioni telefoniche. Con riferimento ai tabulati, avanziamo una specifica proposta nella quale chiediamo l'intervento di un giudice (ma non con i presupposti delle intercettazioni) ed individuiamo anche una modalità di sviluppo di quei dati che, a nostro avviso, consente di rimanere nell'ambito dell'utilizzo essenziale.
Con riferimento a tutti questi punti ed altri che abbiamo specificato nell'articolato, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia relazione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Pag. 13

PRESIDENTE. Onorevole Ferranti, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

GIACOMO CALIENDO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tidei. Ne ha facoltà.

PIETRO TIDEI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, facciamo sempre più fatica a comprendere la logica che anima l'azione di governo di questa maggioranza, anche se ormai a me sembra abbastanza chiaro l'obiettivo del Presidente Berlusconi, che si pone con cinismo unico e davvero preoccupante la difesa a oltranza della gestione del potere e la sua massima conservazione.
Il disegno di legge Alfano sulle intercettazioni è, secondo me, la più inequivocabile conferma di quanto affermo, poiché dimostra in quale modo ormai sfacciato questo Governo fomenti gli animi degli italiani, cavalcando campagne elettorali infarcite di proclami, annunci e promesse, salvo poi legiferare sotto banco l'esatto contrario di quanto predicato dai palchi dei comizi elettorali.
Nel caso di quanto la maggioranza si appresta a legiferare in merito alle intercettazioni, la sfacciataggine e l'ipocrisia raggiungono livelli che non si possono nemmeno più definire di guardia, perché, con questo disegno di legge, l'allarme per la democrazia in questo Paese, obiettivamente, è già scattato.
Desidero spiegare - dati e fatti alla mano - il perché di queste mie sicuramente forti considerazioni, non prima di avere ricordato, però, che la tensione sociale che il tema della sicurezza sta producendo nella popolazione del nostro Paese a causa di fatti di cronaca delittuosi che - purtroppo - riempiono ogni giorno le prime pagine dei nostri giornali (peraltro, a dimostrazione che nessun cambiamento è avvenuto in tema di sicurezza con questo Governo) andrebbe affrontata con estremo senso di responsabilità, quello che, a mio giudizio, manca nel disegno di legge di cui stiamo discutendo.
Diciamo chiaramente cosa è, paradossalmente, questo disegno di legge: un vero e proprio attacco a quella sicurezza dei cittadini tanto propagandata dal Governo. Si tratta, infatti, di norme che ammazzeranno nel vero senso della parola migliaia di indagini, ostacolando e in alcuni casi compromettendo il corso della giustizia, quella giustizia che tanto viene invocata dai banchi del centrodestra.
In sintesi, onorevoli colleghi di maggioranza, proponete di limitare, sia nell'uso che nella durata, uno dei principali strumenti della lotta alla criminalità.
Perché mai, noi ci chiediamo, si vuole testardamente partorire questo mostro giudiziario? La risposta cercherò ovviamente di darla alla fine, perché una risposta c'è ed è lampante, ma intanto vorrei analizzare le immediate conseguenze del disegno di legge.
Escludere dal ricorso alle intercettazioni i reati che prevedono pene inferiori a cinque anni significa, di fatto, non accertare la verità e non consegnare alla giustizia persone responsabili di reati gravi anche di profondo allarme sociale. Non voglio qui stilarne l'elenco lungo, ma qual è la logica di tutto questo? Si urla ai quattro venti agli italiani di voler far giustizia e poi cancellate gli strumenti per ottenere quella giustizia! Proclamate il pugno duro sui palchi, ma dietro le quinte affossate gli strumenti di giustizia perché nessuno di voi va con la stessa baldanza davanti alle telecamere a dire agli italiani che, con questo disegno di legge, accertare i responsabili degli stupri da oggi sarà più difficile.
Qualcuno avrà il coraggio di spiegare alle pacifiche ronde che volete disseminare per le strade italiane, oscurando lo Stato di diritto, perché di questo si tratta, che la loro vigilanza in stile squadrista potrà rivelarsi inutile, perché su scippi, furti e rapine sarà più difficile indagare senza le intercettazioni? Pag. 14
Avete il coraggio di fomentare gli animi e lanciare spot elettorali per ottenere consensi, ma qualcuno è in grado di spiegare agli italiani perché le indagini su questa lunga serie di reati che ho appena elencato, anzi che ho rinunciato ad elencare, non devono avvalersi delle intercettazioni? Qualcuno è in grado di quantificare quanti criminali resteranno impuniti?
Questo è il punto nodale: si tratta in questo caso non tanto di tutelare solo la privacy o di limitarla, che è pure giusto, perché il motivo principale, la priorità in questo momento per l'Italia, per il nostro Paese è assicurare alla giustizia i delinquenti e ciò sicuramente sarà più difficile una volta che questo provvedimento verrà approvato.
C'è veramente da rabbrividire davanti all'insensatezza di questo disegno di legge che crea sicuramente danni irreparabili anche per reati di maggiore gravità. È ovvio che noi riteniamo che il lavoro in Commissione abbia sicuramente migliorato, in parte, il testo, ma siamo ancora lontani anni luce dall'avere un testo che sia veramente degno di un Paese democratico.
Due passaggi del disegno di legge, in particolare, lasciano chiaramente intendere in che modo questo Governo ha confezionato l'impunità per tanti criminali. In primo luogo, la dicitura «gravi indizi di colpevolezza» al posto di «gravi indizi di reato» per consentire agli inquirenti di procedere alle intercettazioni. Un vero capolavoro di mostruosità giuridica, lo diceva adesso la nostra capogruppo, direttamente dal Presidente del Consiglio, che prima ha convertito di persona la dicitura «gravi indizi di reato» in «gravi indizi di colpevolezza» e poi, non pago o forse un po' preoccupato di non essere troppo al riparo di eventuali rischi giudiziari, aveva tentato addirittura di sostituire gli «indizi» con le «prove», come abbiamo tutti sentito dire a «Studio aperto» dal Presidente Berlusconi.
Innanzitutto per sottolineare l'assurdità di tale norma verrebbe da dire che, se vi fossero «gravi indizi», addirittura, come avrebbe voluto il Presidente del Consiglio, «prove» di colpevolezza, la persona indiziata di reato, essendoci già le prove, dovrebbe già essere tratta in arresto. In secondo luogo, appare evidente che, se si elimina il ricorso alle intercettazioni, non si capisce come gli inquirenti possano arrivare ai gravi indizi o addirittura alle prove di colpevolezza. Le prove, così come gli indizi, non piovono dal cielo né gli inquirenti dispongono della palla di vetro per indagare.
In secondo luogo, va assolutamente stigmatizzato il limite massimo di 60 giorni per l'operatività delle intercettazioni. Qui ci sono poche considerazioni da fare, in quanto a sottolineare l'obbrobrio giuridico di questa proposta basta soltanto un esempio: con un limite massimo di due mesi per le intercettazioni il boss Bernardo Provenzano non sarebbe mai stato arrestato, considerato che le intercettazioni sono state, nel suo caso, il principale strumento di indagine che ne ha consentito la cattura.
Sappiamo bene, e mi rivolgo ai colleghi deputati del centrodestra, che quando il Presidente del Consiglio comanda, nessuno spesso, purtroppo, ha mai il coraggio di dissentire. Vorrei però far notare che, su questi due passaggi del disegno di legge che ho appena contestato, oltre alle censure pervenute dai noti magistrati comunisti di tutte le procure italiane, si è espressa pochi giorni fa la VI Commissione del CSM, la quale ha formulato parere negativo rispetto alle proposte di riforma della disciplina delle intercettazioni.
La Commissione ha fatto garbatamente notare che i troppi limiti previsti (e non lo diciamo noi) dalla nuova norma produrranno un grave pregiudizio per le attività di indagine anche in settori particolarmente delicati e sensibili.
Questo non lo dicono i comunisti magistrati. Tanto per anticipare le prevedibili critiche della maggioranza, sempre tempestiva e cordiale nell'invocare dalle telecamere delle televisioni il dialogo quanto poi invece chiusa, ottusa e piegata ai capricci del Presidente del Consiglio nello sbattere la porta davanti a qualunque possibilità di confronto, e proprio per evitare questo il Pag. 15Partito Democratico, consapevole della necessità - il gruppo, il nostro gruppo - di riformare la giustizia e lo stesso ricorso alle intercettazioni, ha da tempo presentato le proprie proposte che tentiamo, anche in questa occasione, di portare alla vostra attenzione, avendo ben chiare, oltre alle critiche, le proposte alternative da avanzare. Si tratta di settanta emendamenti e di venti subemendamenti non ostruzionistici, non presentati per perdere tempo, ma per contribuire seriamente al miglioramento di un testo che riteniamo assolutamente pericoloso per la giustizia italiana.
Proponiamo, in primo luogo, l'eliminazione del presupposto dei gravi indizi di colpevolezza e la reintroduzione dei gravi indizi di reato per l'autorizzazione alle intercettazioni; il ritorno al giudice competente per le autorizzazioni e l'eliminazione dell'organo collegiale; l'eliminazione del termine complessivo di 60 giorni e la rimozione del limite massimo di proroghe alle intercettazioni; il ripristino della disciplina delle intercettazioni ambientali, previste dal codice di procedura penale; una disciplina delle video-riprese rispettosa dei diritti fondamentali; l'eliminazione della necessità della richiesta della persona offesa per poter effettuare intercettazioni nei procedimenti contro ignoti; l'estensione della sfera di operatività delle regole speciali destinate alla criminalità organizzata (a proposito dei cosiddetti reati satellite - omicidio, sequestro, estorsione, violenza sessuale, usura, corruzione e concussione - che sono la prima dimostrazione della presenza nel territorio di reti criminali organizzate).

PRESIDENTE. La prego di concludere.

PIETRO TIDEI. Mi accingo a concludere, signor Presidente. Quelle appena enunciate ci sembrano proposte di buonsenso che andrebbero seriamente prese in considerazione, così come quanto da noi proposto circa le misure carcerarie che il «decreto Alfano» prevede per quei giornalisti che pubblicano le intercettazioni. Siamo pienamente consapevoli, anche in questo caso, della necessità di prevenire e punire gli abusi della stampa e, più generale, di intervenire in ordine alla pubblicazione di notizie riservate sulle indagini svolte dagli inquirenti. Tuttavia, minacciare i giornalisti di carcere ci sembra una vera enormità penale, soprattutto se consideriamo che alcuni reati - ne cito uno a caso, come il falso in bilancio - sono stati addirittura depenalizzati.
Concludo chiedendo a me e ai colleghi: è più grave un'intercettazione pubblicata su un giornale o un bilancio falsificato? Ritengo che veramente si debba prestare attenzione, se ancora vi è la possibilità in quest'Aula, e chiedo di accogliere alcuni nostri emendamenti e alcune nostre proposte, se vogliamo veramente che la giustizia funzioni e se veramente vogliamo assicurare alla giustizia delinquenti che altrimenti rimarrebbero impuniti (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Saluto gli studenti della scuola elementare «Francesco Mengotti» di Roma, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
È iscritto a parlare l'onorevole Lo Presti. Ne ha facoltà.

ANTONINO LO PRESTI. Signor Presidente, sono stato preso alla sprovvista...

PRESIDENTE. Ma lei è bravissimo ed è pronto!

ANTONINO LO PRESTI. Certamente, signor Presidente. Stavo mettendo a posto i miei appunti e, ovviamente, spero di rimanere nei tempi assegnati.
Signor Presidente, credo che in un momento politico assai delicato come quello attuale, dove alle incertezze economiche e ai sempre latenti conflitti sociali si somma la debolezza e la confusione nella quale è piombata la principale forza di opposizione, sia dovere dei deputati della maggioranza parlare con chiarezza ai cittadini, al di fuori di metafore o di tecnicismi, con onestà intellettuale Pag. 16e senza mistificare la natura vera dei problemi che trattiamo nell'interesse della nazione.
È con questa predisposizione di animo e intellettuale che oggi affronterò, in questa discussione, il tema delle intercettazioni, che tanto spazio ha occupato nel dibattito di questi mesi. Si tratta di un dibattito che affonda le radici nella metà degli anni Novanta e periodicamente ha registrato impennate di virulenta polemica, in coincidenza con le eclatanti vicende giudiziarie che hanno colpito tanto a destra quanto a sinistra, ma anche e soprattutto singoli e semplici cittadini. Tra questi ultimi vi sono anche esponenti della politica, della cultura e della finanza. Si è trattato molto spesso di semplici cittadini gettati in pasto alla gogna mediatica, divoratrice di succulente e scandalose storie private, di nessuna rilevanza penale ma di elevatissimo indice di gradimento per la vulgata pettegolatrice, mai sazia di non farsi i fatti propri!
Il tema delle intercettazioni è assai problematico. Su tale tema non si è raggiunta, in Commissione, un'estesa condivisione nonostante un approfondito e intenso, ma mai aspro, dibattito e ha fatto bene il presidente Bongiorno a sottolineare il clima di civile confronto che si è registrato.
Questo perché l'argomento concentra e comprende almeno tre importanti principi cui il nostro ordinamento attribuisce valore e tutela costituzionale in pari misura, se così mi è consentito di dire: l'autonomia della magistratura, il diritto di libertà di stampa e di cronaca e il diritto alla riservatezza.
È accaduto, però, che i primi due non sono mai stati intaccati, messi in ombra o in discussione dall'utilizzazione di questo strumento di indagine di cui - almeno questo lo riconosce anche l'opposizione - si è abusato di pari passo con il perfezionamento delle apparecchiature adoperate dagli investigatori.
Del terzo, invece, ossia del diritto alla riservatezza, se n'è fatto strame. Sono state rovinate carriere, posizioni economiche, famiglie, si è rovinata la dignità personale di uomini e donne, comuni cittadini, professionisti, militari, politici, gente innocente, estranea alle indagini le cui conversazioni, captate occasionalmente e di nessuna rilevanza penale o, peggio, per nulla conducenti ai fini del procedimento o dei procedimenti nei quali erano state captate, venivano utilizzate - le così dette «intercettazioni a strascico» - e, lo ripeto, venivano pubblicate, senza controllo e senza sanzioni, dai giornali, per alimentare il gossip e il turpe circo mediatico di cui abbiamo detto.
Ogni volta che si è tentato di porre rimedio apriti cielo! Si è gridato all'attentato ai primi due principi costituzionali con acutezza delle grida delle vestali della democrazia rivolte soprattutto, al diritto di cronaca, sacro e inviolabile, e nel nome del quale si poteva anche sacrificare la dignità e l'onore della persona.
Così si è andati avanti nel corso di questi quindici anni. Oggi, però, è venuto finalmente il momento di arrestare questo imbarbarimento della vita politica e sociale del nostro Paese ed è dovere di questa maggioranza attuare con determinazione un punto preciso del programma sul quale gli elettori hanno espresso il loro consenso.
Piaccia o non piaccia, signori del Partito Democratico che avete abolito il vostro Governo ombra, ma che avete eletto un segretario ombra che si atteggia già a novello inquisitore, questa maggioranza manterrà l'impegno con i propri elettori e darà finalmente a questo Paese regole certe e non derogabili in materia di tutela del segreto istruttorio, del diritto alla riservatezza e dell'esercizio dell'azione penale.
Chissà se fra qualche tempo non dovrete pentirvi di non aver con noi condiviso questa riforma, così come vi siete già pentiti - le cronache di ieri lo dimostrano - di avere contrastato per anni la nostra legge sull'immigrazione dopo avere registrato l'ampia impopolarità della vostra posizione politica di accogliere tout court tutti, imponendo e sostenendo posizioni ideologiche che hanno prevalso sul buonsenso.
Noi però non ci facciamo intimidire...

Pag. 17

ROBERTO GIACHETTI. Calma, calma...

ANTONINO LO PRESTI. ...dalle vostre sceneggiate e dai giuramenti ad effetto sulla intangibilità della Costituzione.

ROBERTO GIACHETTI. Calma, le sceneggiate le fai tu!

ANTONINO LO PRESTI. Io parlo quanto mi pare e piace, caro collega, e tu non mi puoi impedire di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole Lo Presti, si rivolga alla Presidenza; certo che può esprimersi, ci mancherebbe altro.

ANTONINO LO PRESTI. Non è un termine offensivo...

ROBERTO GIACHETTI. Per voi non lo è!

ANTONINO LO PRESTI. Per me è una sceneggiata...

ROBERTO GIACHETTI. Voi le fate dalla mattina alla sera!

ANTONINO LO PRESTI. ...quella dei giuramenti ad effetto sulla Costituzione, che noi rispettiamo fino in fondo, quando difendiamo il benessere e i diritti dei nostri concittadini e che voi, invece, caro collega, avete stravolto e cambiato, unici ad esservi riusciti in sessant'anni, anticipando nei fatti la riforma federalista contro la quale oggi sollevate dubbi e perplessità.
Ma tutta la vostra storia politica è un trionfo di confusione e di incoerenza e il corto circuito che vi ha travolto in questi giorni lo dimostra. Ma, nello specifico del tema delle intercettazioni, avete superato voi stessi e ve lo dimostrerò con un esempio che è bene che rimanga agli atti, affinché chi ci leggerà in futuro abbia piena contezza di come sono andate le cose.
Per esempio avete sostenuto in malafede che questo testo non avrebbe più consentito le intercettazioni dei reati contro la pubblica amministrazione, quando voi stessi, nel corso della tredicesima legislatura, quando governava D'Alema, avete elaborato un testo - per fortuna mai giunto in Aula - che, modificando l'articolo 266 del codice di procedura penale, prevedeva l'ammissibilità delle intercettazioni per delitti non colposi per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel minimo a due anni e non superiore nel massimo a sei anni.
Venivano esclusi, pertanto, tutti - e dico tutti - i delitti contro la pubblica amministrazione, corruzione compresa, reati che noi, all'opposto, abbiamo sempre considerati inclusi fin dal primo momento come oggetto indiscutibile di questo strumento di indagine.
Chi dunque voleva proteggere i corrotti? Non certo noi. Ma procediamo per ordine: il testo che questo ramo del Parlamento si accinge a varare, compendia perfettamente l'esigenza di evitare o limitare la pubblicazione delle intercettazioni a tutela del diritto di riservatezza, con quella di consentire lo svolgimento delle indagini, che non subiscono limitazione alcuna con riferimento allo spettro dei reati per i quali è prevista l'utilizzazione di tale strumento e sia con riguardo alle procedure, che semmai sono state arricchite sotto il profilo dei controlli e della verifica dei presupposti.
Si tratta di procedure che oggi sono non più affidate ad un giudice monocratico, ma ad uno in composizione collegiale. E in virtù di questa nuova e più garantista procedura (che obbliga in ogni caso il tribunale alla verifica puntuale della motivazione sui presupposti e sulle condizioni per farsi luogo alle intercettazioni e non più al riportarsi de relato alla richiesta del PM), il PM medesimo vedrà ridimensionati il proprio potere e la propria capacità di ingerenza invasiva nei confronti del giudice e, quindi, il proprio ruolo di fiduciario del giudice, ci vorrà un po' di pazienza! È al giudice veramente terzo - e tre giudici offrono questa garanzia - che Pag. 18deve una volta per tutte essere attribuita la responsabilità della motivazione autonoma e contestuale ai fini dell'autorizzazione per tutti i reati elencati nel novellato articolo 266 del codice di procedura penale, quando vi sono gravi indizi di colpevolezza. Ed anche su questo inciso assai importante, contenuto nel testo novellato dell'articolo 267 del codice di procedura penale, la sinistra ha sciorinato giudizi negativi e contraddittori, infarciti da ipocrisia e malafede e chiarisco perché.
La norma dispone che nella valutazione dei fatti oggetto di reato, il giudizio debba essere sviluppato sul contenuto della condotta - gravi indizi di colpevolezza - e non più sul fatto reato di cui si ha sommaria notizia. Tale indicazione può permanere per i reati di mafia e di terrorismo. A tal proposito, ha fatto bene il presidente a ricordare l'emendamento proposto dal sottoscritto e dai deputati Contento e Angela Napoli, che ha chiarito questa parte, che era poco chiara. Su questo punto le critiche mosse dall'opposizione non hanno tanto riguardato quello che in un primo tempo era stato denunziato (ovvero la presunta difficoltà del giudice collegiale di individuare e giustificare la gravità degli indizi sulla diretta responsabilità dell'indagato nella commissione del reato per poter autorizzare le prestazioni), quanto, piuttosto, il pericolo che l'ampio potere discrezionale attribuito di fatto al tribunale e, quindi, all'elaborazione giurisprudenziale ampliasse a dismisura le ipotesi di intervento e, dunque, aprisse la porta ad abusi di natura inquisitoria.
La posizione della sinistra è paradossale. Ma come, mi rivolgo al vostro ex ministro ombra onorevole Tenaglia, dov'è finito il vostro rispetto per la magistratura (Commenti del deputato Giachetti)? Voi, al contrario di noi, temete che una previsione così stringente e/o ampia (dipende dai punti di vista) sul concetto di ammissibilità delle intercettazioni possa indurre i tribunali ad adottare decisioni invasive dei diritti dei cittadini. Con quale diritto vi permettete di dubitare dell'onestà e della responsabilità dei nostri giudici? Abbiamo sempre contestato gli eccessi di una parte della magistratura, quella inquirente (i PM), ma mai dei giudici e dei tribunali, che nella stragrande maggioranza dei casi amministrano la giustizia con grande senso di responsabilità e con onore. Noi non temiamo i tribunali, ma i PM politicizzati, i magistrati faziosi e persecutori, ma non il giudizio sereno di un giudice veramente terzo (Commenti del deputato Giachetti). Ben vengano, dunque, le elaborazioni giurisprudenziali sul tema, che peraltro hanno già formato un valido quadro di riferimento e di garanzia nel campo delle misure cautelari e di restrizione della libertà personale.
Ma c'è un altro aspetto della questione - e mi avvio rapidamente alla conclusione - che intendo trattare e che rappresenta anch'esso un nodo cruciale del provvedimento al nostro esame. Si tratta della questione delle intercettazioni cosiddette «spazzatura» o espunte, quelle per intenderci che il tribunale, nel corso del procedimento, ha valutato come estranee all'indagine, non necessarie e - come osservato dai più onesti analisti - assolutamente da distruggere, da cancellare dal mondo fisico cartaceo o cibernetico, da non poter nemmeno lontanamente essere utilizzate dal circo mediatico affidato al voyeurismo della stampa scandalistica.
Ho volutamente usato il termine stampa scandalistica, perché mi rifiuto di credere che la stampa rispettosa dei diritti altrui ed intransigente nella tutela dei principi di democrazia e di quelli deontologici, che presiedono alla missione informativa, possa mettere in discussione il principio che con tanta chiarezza abbiamo voluto esaltare e con tanta intransigenza abbiamo voluto sanzionare, richiamando peraltro un principio già previsto nel cosiddetto codice della privacy. Se qualcuno, nonostante la chiarezza del disposto normativo, gridasse ancora allo scandalo e all'attentato al diritto di cronaca, lo farebbe in palese malafede e solo per un scopo commerciale e non certo democratico-culturale.
Molti sono ancora gli aspetti innovativi di questo provvedimento da analizzare e Pag. 19da spiegare ai cittadini per evitare strumentalizzazioni e confusioni, ma il tempo a mia disposizione ovviamente non mi consente di approfondirli. Lo ha però già fatto sapientemente, con estrema chiarezza, il presidente Bongiorno. Mi riferisco, per esempio, alle ipotesi di incompatibilità del pubblico ministero, alla pubblicizzazione delle immagini del processo, all'archivio delle intercettazioni, all'autorizzazione delle stesse in procedimenti diversi da quelli per i quali sono state utilizzate. Con altrettanta saggezza, il presidente Bongiorno ha lasciato una porta aperta al dibattito in Assemblea sul tema del diritto di cronaca, non già sulle intercettazioni da espungere o da distruggere, ma sul contenuto e sul riassunto degli atti istruttori coperti da segreto. È stato detto che la norma, nella stesura proposta all'Aula, potrebbe limitarlo. Forse è così, ma io personalmente penso di no. Tuttavia, il confronto in Aula potrà portare un positivo contributo nel senso auspicato. In conclusione, con questa riforma collochiamo un altro tassello nel grande mosaico delle riforme che il centrodestra vuole offrire al Paese. È un mosaico che completeremo in questa legislatura con la riforma della giustizia, dell'assetto fiscale dello Stato, delle professioni e quant'altro abbiamo proposto in campagna elettorale.
Vorrà dire che le prossime due legislature - perché saranno almeno due le legislature nelle quali noi continueremo ad operare nell'interesse della nazione, visto lo stato in cui si trova la maggior forza di opposizione - opereremo per rendere sempre più civile e moderno il Paese, per superare i conflitti politici e ideologici, che ancora non siamo stati capaci di lasciarci alle spalle e che qualcuno vorrebbe riproporre non avendo idee e nulla altro da dire.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rao. Ne ha facoltà.

ROBERTO RAO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario Caliendo, che ha seguito sempre con grande costanza e attenzione i lavori in Commissione giustizia su questo complesso e controverso - come abbiamo sentito - provvedimento. La riforma della disciplina delle intercettazioni telefoniche è un'innovazione legislativa lungamente attesa, che, come tutti sappiamo, ha impegnato anche i Governi e le legislature precedenti a questa. Ne condividiamo quindi la necessità e auspichiamo che il passaggio parlamentare in cui ci stiamo impegnando possa essere parte di un iter finalmente risolutivo e pienamente rispondente alle motivazioni che sono alla base di questa riforma. Come per la lunghezza dei processi e la certezza della pena, anche sulle intercettazioni siamo partiti da un'analisi ampiamente condivisa da maggioranza e opposizione, ossia che il sistema così non va, perché resistenze corporative rallentano e condizionano un processo non solo necessario, ma ormai irreversibile. Dall'altra parte, la fretta e il clamore su alcuni fatti di cronaca rischiano di far leggere questo provvedimento come una stretta sulle facoltà di indagine dei magistrati, con un intento quasi punitivo verso i pubblici ministeri. Questo non può e non deve essere e le diverse sensibilità emerse trasversalmente in Commissione lo testimoniano. La grande sensibilità dei colleghi della maggioranza, a partire dal presidente Giulia Bongiorno, fino ai colleghi della Lega, lasciano ancora ampi spiragli di miglioramento del provvedimento, soprattutto sui due nodi principali, che ancora separano nettamente maggioranza e opposizione. Certo, a questi non posso ascrivere l'onorevole Lo Presti e il suo intervento di pochi minuti fa. Anzi, forse il suo intervento va in senso totalmente contrario rispetto alle nostre aspettative.
I gravi indizi di colpevolezza e il carcere per chi pubblica intercettazioni irrilevanti sono i due nodi principali che ancora separano nettamente maggioranza e opposizione; su quest'ultimo aspetto già la Commissione cultura si è espressa in una direzione diversa e più contenuta. Abbiamo quindi motivo di ritenere che il Governo, così come ha assicurato nel corso della discussione in Commissione, Pag. 20non si presenti in Aula con un testo blindato, ma terrà conto dell'atteggiamento costruttivo e attento, mai ostruzionistico, delle opposizioni (e non solo di quella dell'Unione di Centro, ma anche di quella del Partito Democratico e dell'Italia dei Valori), per migliorare ancora il testo e per renderlo funzionale anche rispetto ad alcuni rilievi espressi dal CSM e dall'Associazione nazionale magistrati.
Non siamo qui, infatti, per discutere di una riforma del regime delle intercettazioni finalizzata a limitare il loro utilizzo per impedire alla magistratura inquirente di svolgere efficacemente il proprio dovere costituzionale di perseguimento dei reati e di individuazione di imputati da sottoporre a procedimento penale. Le intercettazioni telefoniche sono - ne siamo convinti e abbiamo avuto testimonianze univoche nelle audizioni in Commissione - un prezioso strumento di indagine, in modo particolare per i reati più gravi, più complessi e più sofisticati. Sarebbe irresponsabile, quindi, da parte del legislatore sottrarre alla magistratura un simile strumento, che in innumerevoli occasioni ha consentito di arrivare all'identificazione degli autori di gravi fatti criminosi. Non a caso le intercettazioni per mafia e terrorismo resteranno tali e quali, ma è significativo che molti reati, in un primo tempo esclusi con troppa fretta da questa riforma, vi siano stati ricompresi, accogliendo da parte del Governo moltissimi emendamenti dell'opposizione.
La necessità della riforma è piuttosto quella di prevenire un uso distorto ed eccessivo delle intercettazioni, come ha detto bene l'onorevole Bongiorno nella relazione, che purtroppo abbiamo potuto vedere altrettante volte spianato sulle pagine dei quotidiani, dei settimanali, in televisione, magari interpretato anche da alcuni attori, bravi peraltro. Tutti ricordano - e non c'è bisogno di recitarne la casistica - intere pagine di giornali dedicate alla trascrizione indebita, in taluni casi scandalistica, di intercettazioni, talvolta coperte da segreto talaltra coinvolgenti persone estranee alle indagini, non di rado totalmente ininfluenti sulle indagini per cui erano state autorizzate. In tutte queste circostanze l'uso delle intercettazioni, quando anche fosse stato in origine pienamente legittimo e dunque costituzionalmente coperto dalla tutela della sicurezza pubblica e dalla obbligatorietà dell'azione penale, ha finito per scontrarsi con il diritto alla privacy, alla dignità, alla libertà personale dei malcapitati, i cosiddetti bersagli. In alcuni casi, dobbiamo dirlo, sono state utilizzate, viene il sospetto, per cercare clamore attorno ad un'inchiesta e sono molti i magistrati, con cui ho anche avuto modo di parlare in questi giorni, che riconoscono questo limite pur non condividendo la soluzione proposta dal disegno di legge Alfano.
Questa è la prima necessità della riforma: individuare modalità e strumenti idonei ad evitare la rotta di collisione tra utilizzo del mezzo investigativo e libertà della persona. Su questo e per questo ci siamo impegnati e ci impegneremo in Aula con emendamenti migliorativi che contemperino queste due esigenze. A questa prima necessità si è aggiunta in corso d'opera quella di correggere gli abusi che sono stati fatti dello strumento, a partire dalle intercettazioni cosiddette a strascico, disposte cioè sulla base di un presunto titolo di reato alla ricerca di altri solo eventuali.
Di tali abusi sembra essere testimonianza, perlomeno in termini quantitativi, la crescita esponenziale delle intercettazioni rispetto ad altri strumenti di indagine e la spesa ormai fuori controllo ad esse dedicata sul bilancio del Ministero della giustizia, senza poi dire delle vere e proprie degenerazioni venute alla luce con l'affaire Genchi e il suo archivio riservato. Ce ne è, colleghi, da metterci mano, seriamente e misuratamente, senza intenti punitivi verso la moltitudine di magistrati che con fatica applicano le leggi e lottano contro la criminalità, con i pochi mezzi e le sempre minori risorse che il Governo mette loro a disposizione a causa dei cosiddetti tagli lineari del Ministro dell'economia e delle finanze, su cui forse varrà la pena di tornare in un altro contesto. Pag. 21
Con questo spirito ci siamo confrontati in Commissione sul testo proposto dal Governo, uno spirito come sempre costruttivo e libero da ogni pregiudizio di schieramento, come è nostro costume e come è la nostra opposizione in Parlamento. Abbiamo apprezzato la disponibilità del Governo, che non ha chiuso la porta alla discussione parlamentare, ma viceversa ha accettato modifiche che sulle prime sembravano improponibili, come quelle che hanno sostanzialmente cancellato, come dicevo prima, la preclusione all'utilizzo delle intercettazioni per molte categorie di reati, da quelle di grave allarme sociale a quelle dei cosiddetti colletti bianchi.
Registriamo e apprezziamo, signor sottosegretario, che su nostra proposta si è deciso di regolamentare la distribuzione delle risorse necessarie alle intercettazioni - una proposta che le altre opposizioni non hanno condiviso - con il cosiddetto tetto al budget per il ricorso a questo strumento, avanzata senza alcun intento censorio, lo ribadisco, e senza che sia minimamente pregiudicato l'utilizzo dello strumento di indagine quando è assolutamente necessario. Tanto che i singoli uffici di procura potranno essere autorizzati a spese extra budget dal procuratore capo per sopravvenute esigenze investigative laddove, quindi, se ne ravvisi la necessità, non automaticamente. La definizione di un budget per le intercettazioni non è un limite alle possibilità investigativa, ma un elementare principio di responsabilizzazione nell'uso delle risorse pubbliche che - ne siamo certi - la magistratura vorrà e saprà condividere trovando il modo di utilizzare al meglio, senza sprechi e abusi, ma con eguale efficacia, le intercettazioni. Abbiamo bravissimi magistrati che sapranno indagare al meglio con gli strumenti dati, che sapranno riacquistare quella serenità che gli ultimi scontri interni hanno fatto perdere all'intera categoria.
Nel corso dell'esame in Commissione abbiamo presentato altri emendamenti seri, mirati, mai ostruzionistici. In qualche caso abbiamo acconsentito alle richieste di accantonamento e di ritiro, in qualche altro siamo arrivati fino al voto e li riproporremo all'attenzione dell'Aula, senza mai - sia chiaro - cedere alla tentazione della bandiera perché a noi non interessa fare battaglie contro qualcuno. Così come speriamo che il Governo non abbia intenzione di usare le proprie prerogative istituzionali sul procedimento legislativo su temi tanto delicati per farsi pubblicità a buon mercato. Auspichiamo, quindi, che il confronto in Assemblea possa svolgersi con la libertà necessaria e con la massima condivisione possibile su una riforma tanto importante quanto delicata.
Non mancano, infatti, nodi ulteriori da sciogliere nel testo approvato dalla Commissione giustizia e siamo certi che l'Aula possa prestarvi la giusta attenzione e trovare le necessarie soluzioni. Vale la pena di richiamarne, ancora una volta, in sede di discussione sulle linee generali, soprattutto due: la questione dei presupposti per l'adozione di provvedimenti di intercettazione e il bilanciamento tra il diritto alla privacy e il diritto all'informazione. Prevedere, infatti, che solo gravi indizi di colpevolezza possano giustificare il ricorso all'intercettazione telefonica rischia di pregiudicare l'utilizzo dello strumento di indagine come hanno anche ribadito con grande efficacia e serietà il collega Palomba e la collega Ferranti. Un conto è rifiutare quella pratica della pesca a strascico dei reati e dei presunti colpevoli che anche noi biasimiamo e di cui abbiamo detto tra le ragioni che muovono la riforma dell'istituto, un altro è fissare come parametri per l'adozione di misure investigative quegli stessi sufficienti alla richiesta di rinvio a giudizio. Il rischio è che le intercettazioni siano utilizzate solo per corroborare acquisizioni già maturate lasciando sguarnito il campo vasto che intercorre tra la notizia di reato, l'individuazione dei soggetti solo potenzialmente responsabili e la specificazione di una o più responsabilità penali personali suffragate appunto da gravi indizi di colpevolezza.
Come ha autorevolmente argomentato anche l'onorevole Pecorella nel corso Pag. 22dell'esame che la Commissione affari costituzionali ha dedicato al disegno di legge, nell'eventualità, tutt'altro che remota e infrequente, che si sappia con certezza che l'autore di un reato è all'interno di un determinato gruppo di persone o è uso frequentare una certa cerchia o un certo luogo, ma non se ne conosca l'identità, non sarà più possibile procedere ad intercettazioni finalizzate a consentirne l'identificazione; va da sé che sul punto occorre ritornare se non si vuole produrre un pasticcio di cui Governo e maggioranza sarebbero per primi vittime.
Pasticcio che, peraltro, è già stato prodotto con un emendamento - affronto la seconda questione - che limita gravemente la libertà di informazione laddove, com'è del tutto evidente, la responsabilità di una divulgazione di verbali di intercettazione non può certo essere imputata a chi, per mestiere, ha quello di informare i cittadini di fatti di rilevanza pubblica. Gli abusi e le distorsioni vanno giustamente perseguite e certo sarebbe necessaria anche una maggiore attenzione alle regole deontologiche - qui mi rivolgo alla categoria dei giornalisti - ma queste giuste preoccupazioni non possono rovesciarsi in un clima da caccia alle streghe che possa mettere a rischio il diritto all'informazione dei giornalisti che informano, così come dei cittadini che vogliono essere informati. Facciamo dunque attenzione, evitiamo tutti insieme di fare scivoloni propagandistici e correggiamo quel che è necessario correggere in relazione a questi delicati aspetti del disegno di legge nei quali, ancora una volta, vengono in gioco diritti costituzionalmente garantiti.
Su questo, lo ripeto, in conclusione, signor Presidente, in Commissione tra i colleghi parlamentari abbiamo registrato attenzione e condivisione e speriamo che in Aula, al di là dei toni eccessivamente polemici del collega Lo Presti (devo ribadirlo purtroppo), nessuno si nasconda nei ranghi del suo schieramento, ma trovi coraggio e saggezza per manifestare le sue idee perché si arrivi ad un testo maggiormente e trasversalmente condiviso. È questo il nostro obiettivo e sappiamo che non è solo il nostro.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nicola Molteni. Ne ha facoltà.

NICOLA MOLTENI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, innanzitutto vorrei ringraziare il presidente della Commissione giustizia, onorevole Bongiorno, per l'ottimo e intenso lavoro svolto in Commissione sia in qualità di presidente, sia come relatore del provvedimento. Ritengo che il lavoro compiuto dalla Commissione di merito sia stato proficuo e utile al fine di un sensibile miglioramento del testo governativo, anche grazie al contributo non secondario apportato da tutti commissari ivi compresi quelli di opposizione che hanno comunque contribuito, pur con posizioni diverse rispetto a quelle della maggioranza, a dare ricchezza e vivacità politica e tecnica al dibattito e al confronto parlamentare su un tema tanto delicato quanto importante.
Porgo un ringraziamento ovviamente anche al sottosegretario Caliendo per la presenza costante in Commissione e per la sensibilità, più volte dimostrata, a garantire un dialogo tanto con la maggioranza quanto con l'opposizione, accogliendo infatti alcuni emendamenti migliorativi del testo iniziale avanzati sia dalla Commissione, sia dal suo relatore.
Evidenzio sin da subito che il gruppo della Lega Nord esprime inoltre stima e massimo rispetto, nonché condivisione nei confronti delle linee guida avanzate dal Ministro Alfano in materia di riforma della giustizia. Tale riforma è mirata, da un lato, alla necessità di restituire efficienza e funzionalità alla giustizia stessa e, dall'altro, a smaltire il carico di processi pendenti, a realizzare nuove carceri e a fare una riforma costituzionale per garantire un processo giusto e rapido. Noi riteniamo che la sfida lanciata dal Ministro, ovvero ridare fiducia ai cittadini oggi esasperati e sfiduciati da questo sistema giustizia gravemente malato, sia indubbiamente difficile, ma particolarmente ambiziosa Pag. 23e virtuosa, che noi sosterremo, anzi contribuiremo a rendere effettiva e concreta nella sua applicazione materiale e sostanziale.
La Lega è consapevole (in forza del mandato elettorale ricevuto che è particolarmente pregnante di aspettative da parte dei cittadini) delle priorità della nostra azione politica in Parlamento e al Governo. I cittadini si aspettano dalla Lega grande attenzione e sensibilità in particolare su due temi: il federalismo fiscale e la sicurezza in riferimento alla quale tornerò successivamente al fine di formulare alcune puntualizzazioni utili anche al dibattito oggi in corso sul tema delle intercettazioni.
Su entrambi questi temi, pur nelle difficoltà oggettive ereditate e riscontrate sul campo, credo che le risposte (anche quelle degli ultimi giorni) finora date dal Governo e, in particolare, dai Ministri leghisti siano particolarmente apprezzabili e soprattutto condivise dai cittadini. Ciò, però, non ci esime (in quanto forza politica di Governo seria e responsabile) ad affrontare, in condivisione con i nostri alleati, temi sicuramente importanti: temi per noi secondari rispetto a quelli sopra indicati, ma parimenti meritevoli di attenzione e di intervento.
Il provvedimento oggi in esame rappresenta sicuramente uno di questi temi; si tratta di una sfida difficile, complicata e forse anche particolarmente tortuosa, ma necessaria, opportuna e da affrontare. È una sfida che l'attuale opposizione (ieri maggioranza di Governo) tentò di affrontare nel passato mandato legislativo, ma che la vide perdente, dovendo abbandonare il progetto di riforma che naufragò miseramente al Senato. Vi fu, infatti, nella passata legislatura la possibilità di votare un testo (anche condiviso alla Camera dall'allora opposizione oggi maggioranza) che non trovò mai la luce, in quanto venne affossato al Senato per i noti problemi dell'allora maggioranza.
Il fatto che anche l'opposizione in passato ritenne necessario apportare delle modifiche e intervenire sull'attuale disciplina delle intercettazioni telefoniche è la dimostrazione che oggi, come allora, si sente un bisogno reale e oggettivo dettato anche da sollecitazioni dell'opinione pubblica per razionalizzare e riequilibrare l'utilizzo di questo strumento. È necessario intervenire per evitare, da un lato, i cosiddetti processi mediatici e, dall'altro, una disinvolta pubblicazione di fatti e atti riservati, soprattutto se relativi a soggetti terzi in gran parte estranei rispetto al procedimento penale.
La giustizia è bene che sia pubblica, ma non deve essere spettacolarizzazione dell'evento come purtroppo ci capita oggi di vedere troppo spesso. Nessuno, ripeto nessuno, in primis la Lega Nord vuole, o voleva, o vorrà eliminare l'uso delle intercettazioni telefoniche ed ambientali. La Lega condivide la ratio del provvedimento, che è quella di limitare gli eccessi e gli abusi. Anzi, per la Lega le intercettazioni sono uno strumento di ricerca della prova necessario, sicuramente utile e fondamentale al fine di assicurare alla giustizia colpevoli e delinquenti, ovviamente nel rispetto dei criteri, delle condizioni e dei limiti di ammissibilità previsti dalla legge.
Tanto per intenderci, si tratta di criteri e condizioni previsti nell'attuale codice di procedura penale. La dicitura «assoluta indispensabilità ai fini della prosecuzione delle indagini» solo occasionalmente è stata oggetto di corretta ed autentica interpretazione da parte della magistratura. La via maestra sarebbe la puntuale e rigorosa applicazione delle norme già esistenti. L'abuso, nel momento in cui vengono autorizzate le intercettazioni, deriva dal fatto che le norme attualmente in vigore, che prevedono che le intercettazioni siano disposte quando assolutamente indispensabili, vengono, anzi sono state, spesso e volentieri, eluse.
Da parte della Lega Nord, quindi, non vi è alcuna volontà politica di mettere un bavaglio all'uso delle intercettazioni telefoniche, ma semplicemente la chiara volontà di rendere questo mezzo investigativo eccezionale e complementare alle indagini o, quanto meno, parificato ad altri mezzi di indagine. Occorre, quindi, rendere le intercettazioni uno strumento non Pag. 24più routinario e di prassi - magari attraverso il meccanismo, anche prima citato e troppo spesso disinvoltamente utilizzato, della pratica della «pesca a strascico», oggi tristemente di moda e in uso presso alcune procure - bensì come un mezzo eccezionale, così come previsto dalla Carta costituzionale. Le intercettazioni, quindi, devono essere utili al mero riscontro e alla mera prosecuzione delle indagini e non come mezzo di creazione della prova.
Sin dal principio la Lega - come peraltro anche altri interlocutori all'interno della maggioranza - ha posto una condizione basilare, una condicio sine qua non affinché si potesse discutere di modifiche alle norme sulle intercettazioni telefoniche, ovvero mantenere in modo tassativo alcune particolari ipotesi di reato. Mi riferisco in particolare, ma non solo, ai reati contro la pubblica amministrazione e ciò a maggior ragione oggi, alla luce degli eventi che abbiamo visto verificarsi in alcune regioni del nostro Paese, come ad esempio in Campania. Mai - ripeto, mai - se ciò non si fosse verificato, la Lega avrebbe acconsentito ad una modifica dell'attuale disciplina normativa. Apprezziamo, quindi, lo sforzo e l'impegno del Ministro nel ripristinare, rispetto alla formulazione iniziale, tutti i reati, ivi compresi quelli nei confronti della pubblica amministrazione, verso i quali era possibile svolgere l'attività di intercettazione.
Abbiamo apprezzato, inoltre, lo sforzo orientato in tale direzione anche dal presidente della I Commissione, il relatore onorevole Bongiorno, che sin dall'inizio, anche alla luce di illuminate e utilissime audizioni avvenute in Commissione (cito una fra tutte, quella del procuratore nazionale antimafia, dottor Piero Grasso), ha ritenuto indispensabile allargare la platea dei reati intercettabili.
La Lega si era già prontamente attivata, se così non fosse stato, a presentare - come ha presentato, anche a mia firma - alcune proposte emendative finalizzate alla possibilità di rendere inaccettabili alcune fattispecie delittuose di particolare allarme ed interesse sociale e a sostenere altre proposte emendative in tal senso orientate, depositate da altri colleghi di maggioranza e dalla relatrice medesima del provvedimento.
Il ritorno alla formulazione attuale e ai limiti di ammissibilità di cui all'articolo 266 del codice di procedura penale sono sicuramente un'importante vittoria politica, di cui anche alla Lega vanno ascritti gli indubbi meriti, in particolare attraverso la concertazione con il Governo e con la maggioranza, effettuata tanto dal presidente del nostro gruppo in Commissione, onorevole Brigandì, quanto dal presidente del gruppo, onorevole Cota. In tal senso, il confronto aperto all'interno della maggioranza - ripeto, si è trattato di confronto e non di divergenze o di spaccature, né tanto meno di liti - ha contribuito a trovare soluzioni condivise, in alcuni casi ottimali (ne parlerò a breve) e in altri, forse, ancora migliorabili e rimodulabili attraverso il dibattito parlamentare o, successivamente, attraverso l'esame da parte dell'Aula del Senato.
Il provvedimento, come affermavo prima, è particolarmente complesso ed articolato e quindi è possibile, sebbene l'impianto complessivo sia sostanzialmente condivisibile e condiviso (così come la ratio generale che motiva il provvedimento), che vi si appongano ulteriori elementi migliorativi, attraverso il contributo di tutti coloro i quali ritengono che, accanto alle evidenti e indubbie necessità investigative delle intercettazioni telefoniche, sia basilare garantire il diritto dei cittadini a vedere tutelata la loro riservatezza e a vedersi riconosciuta un'adeguata protezione del diritto alla privacy, soprattutto se si tratta di terzi estranei rispetto al procedimento penale.
I diritti costituzionali espressamente sanciti dagli articoli 13 e 15 della Carta costituzionale, nonché i medesimi diritti regolamentati dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, inerenti all'inviolabilità della libertà personale e della libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, costituiscono fondamentali valori della persona. Ogni cittadino libero ed onesto Pag. 25ha il sacrosanto diritto di poter conversare tranquillamente al telefono senza il timore di vedere gli stralci delle sue conversazioni, irrilevanti ai fini di un giudizio penale, pubblicati sulle prime pagine dei quotidiani, con a volte - anzi, spesso - conseguenze disastrose per la persona ingiustamente coinvolta.
Si è voluto porre mano al fenomeno della pubblicazione illecita delle intercettazioni telefoniche, divenuto dilagante per alcune evidenti anomalie del sistema, per migliorare un meccanismo ormai distorto e dai più riconosciuto come tale. L'utilizzo delle intercettazioni è andato ben oltre il limite previsto dalla legge dell'assoluta indispensabilità ai fini della prosecuzione dell'indagini.
Le difficoltà delle inchieste portano, o hanno portato, spesso, i magistrati inquirenti a scegliere la strada più rapida, e comoda, anche quando il risultato poteva, e potrebbe, essere raggiunto con altri strumenti d'indagine. I risultati delle intercettazioni vengono gestiti e trattati, nonché custoditi, da un numero elevato, ed eccessivo, di soggetti; ne deriva che in caso di illecita divulgazione non è possibile quasi mai risalire al responsabile della violazione, con l'inevitabile conseguenza che le denunzie per la violazione del segreto, nella stragrande maggioranza dei casi, vengono sistematicamente archiviate.
A queste anomalie, si è provveduto con alcuni interventi ispirati unicamente al buonsenso pratico e giuridico. Per limitare la prassi di alcuni GIP che predispongono i decreti di autorizzazione ricorrendo alla motivazione per relationem, solitamente rinviando agli atti di richiesta del pubblico ministero, si è ritenuto opportuno affidare l'autorizzazione delle intercettazioni ad un organo collegiale, garante ovviamente di maggiore imparzialità e di più adeguata ponderazione di valutazione. In riferimento alla pura gestione ed organizzazione delle attività di intercettazione svolte, si è ritenuto necessario limitare il numero dei soggetti che hanno accesso alle informazioni riservate, creando un apposito archivio riservato, indicando un responsabile, e determinando una chiara tracciabilità di tutti gli eventuali accessi.
Per quanto riguarda le pubblicazioni, sia per quanto concerne gli atti, sia per quanto concerne le intercettazioni medesime (tema scottante, quanto mai di attualità, che ciclicamente e costantemente si ripropone), si è ritenuto opportuno porre un freno al dilagare, e alla proliferazione, di notizie riservate, soprattutto se relative a terzi estranei al procedimento penale, attraverso un rafforzamento dei divieti, con limiti chiari e precisi, nonché con sanzioni rigorose, alcune già previste per legge, altre introdotte ex novo a seguito di un approfondito dibattito.
In riferimento a potenziali aggiustamenti - tanto per intenderci: l'emendamento della collega Bergamini -, questi potranno eventualmente essere presi in considerazione, qualora il Governo dovesse ritenerli utili alla luce del dibattito, non solo parlamentare, e, quindi, fatti oggetto di ulteriore valutazione.
Tra gli aspetti rilevanti del provvedimento, e meritevoli di annotazione, ritengo opportuno segnalare un importante emendamento, approvato dalla Commissione, con il consenso del Governo, in materia di intercettazioni ambientali ovvero di comunicazione tra presenti di cui al comma 2 dell'articolo 266 del codice di procedura penale, con riferimento ai reati di mafia e di terrorismo. Tali reati rimangono assoggettati ad una disciplina rigidissima e rigorosissima, come è giusto e doveroso che sia, attraverso il doppio binario. In riferimento alle intercettazioni ambientali si prevede per i reati di terrorismo e di mafia, che le stesse non debbano essere necessariamente effettuate nei luoghi dove si sta compiendo un reato, ovvero l'intercettazione di comunicazioni tra presenti può essere consentita anche se non vi è motivo di ritenere che nei luoghi ove disposta si stia svolgendo l'attività criminosa. Nei confronti della mafia e del terrorismo, nessuno sconto, nessuna restrizione, è stata posta in essere, e mai verrà posta in essere, visto, tra l'altro, impegno del Governo in questi otto mesi, sia da parte del Ministro Maroni, sia da Pag. 26parte del Ministro Alfano, nella direzione di un maggior contrasto alla criminalità organizzata. I provvedimenti in tal senso sono evidenti, e sotto gli occhi di tutti, così come i numerosi provvedimenti in materia di sicurezza voluti dal Ministro Maroni. Il diritto alla libertà personale, all'informazione e alla sicurezza dei cittadini, richiamando a tal proposito un articolo, in merito alle tre libertà sottese all'utilizzo delle intercettazioni telefoniche, apparso sul quotidiano La Stampa, a firma di Luca Ricolfi, trovano, nel piano generale e complessivo dell'azione del Governo, un'attenta applicazione e soddisfacimento.
Infine, un'ultima considerazione sui costi e sulle spese delle intercettazioni telefoniche. Su questo tema - mi consenta, sottosegretario Caliendo - un richiamo all'impegno assunto dal Governo, attraverso il Ministro Alfano e la struttura del suo Ministero, che ottimamente si sta comportando, in riferimento a quelle aziende che ancora oggi risultano creditrici nei confronti dello Stato di decine di milioni di euro per il servizio di intercettazioni telefoniche svolte in passato, e in parte attualmente, e mai saldate dall'erario. L'impegno del Governo è sicuramente lodevole, e mi auguro che a breve - le notizie che mi giungono sono sicuramente positive e confortanti - si possa arrivare ad una definizione della vertenza, riconoscendo a soggetti altamente professionali, a società serie, a imprenditori impegnati, il quantum dovuto per prestazioni, e attività, già svolte e fornite, sicuramente fondamentali per il bene del nostro Paese.
L'unità di monitoraggio sull'andamento della spesa in materia di intercettazioni, attivata prontamente dal Ministro, rappresenta un segnale importante di attenzione al controllo della spesa, ormai fuori controllo ma al contempo particolarmente allarmante per i risultati fino ad oggi raccolti, e si sprecano a tal proposito i numerosi articoli apparsi su quotidiani e settimanali.
Cito la risposta del Ministero ad una mia interrogazione in materia presentata qualche settimana fa: i dati fino ad ora acquisiti hanno evidenziato i numerosi profili di irrazionalità nella gestione di tale spesa il cui andamento non è adeguatamente controllato dai capi degli uffici di procura. Alcuni uffici di procura hanno comunicato di aver acquisito il dato sul debito accumulato direttamente dalle imprese private che forniscono i servizi di intercettazione, altri uffici non hanno risposto alle richieste di dati avanzate dall'unità di monitoraggio, altri ancora hanno quantificato in modo approssimativo tale debito. Le procure che hanno risposto all'UMI hanno fornito dati del tutto incompleti, dai quali emergono debiti per oltre 200 milioni di euro riferiti all'ammontare dei soli crediti già liquidi e non ancora saldati, mentre nessuna notizia è stata trasmessa in ordine alle fatture presentate per il pagamento di prestazioni già rese e non ancora liquidate (somma che si dovrebbe aggirare attorno ad altri 200 milioni di euro). Dai dati acquisiti è comunque possibile rilevare che queste spese vengono gestite in modo assolutamente antieconomico; quanto alle intercettazioni telefoniche si va infatti dai 3,85 euro di Campobasso ai 23 euro di Barcellona Pozzo di Gotto, Cuneo, Messina e Urbino; su 210 milioni di euro di debito pregresso circa il 70 per cento dello stesso (pari a 138 milioni di euro) è assorbito soltanto da cinque procure, Napoli per 43 milioni, Milano e Palermo per 30 milioni ciascuna, Reggio Calabria per 27 milioni, Catanzaro per 13; inoltre, dodici uffici assorbono circa 172 milioni di euro, mentre le rimanenti sedi (ben 97) che hanno comunicato l'ammontare del loro debito pregresso assorbono il rimanente debito pari a circa 29 milioni di euro. Per quanto attiene alle intercettazioni ambientali e ai servizi di sorveglianza tecnologica il discorso è analogo se non addirittura peggiore, e così potrei continuare.
Per concludere, Presidente, questi pochi numeri sono quindi esemplificativi, anche per quanto concerne le spese e i costi, di una situazione ormai non più controllabile che necessita doverosamente di un'attenta razionalizzazione nonché ottimizzazione del servizio e delle risorse. Centro unico nazionale, tariffa unica del Pag. 27servizio, limiti di spesa presso ogni procura con possibilità di deroga per sopravvenute esigenze investigative, certificazione delle società con requisiti preventivamente stabiliti di professionalità e di idoneità per lo svolgimento dei servizi: sono soluzioni non solo auspicate ma - ci auguriamo - di pronta e immediata attivazione (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Rossomando. Ne ha facoltà.

ANNA ROSSOMANDO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, direi che in questo caso, come in molti altri casi ormai, ci troviamo di fronte ad un provvedimento che nasce da un approfondito dibattito, anche nella precedente legislatura, e che ha una sua ratio e un suo centro, ma che viene completamente capovolto nei metodi e nel contenuto. Nei metodi, perché ormai siamo abituati ad avere un interlocutore nella funzione legislativa non tanto nella maggioranza, per quanto ci riguarda, ma nel Governo, di conseguenza noi non abbiamo tanto un dialogo ma una tavola rotonda, ammesso che si possa parlare di dialogo (su questo tornerò tra breve). Infatti, abbiamo un Governo che esercita la funzione legislativa, pienamente e anche in modo autoritativo, e non sempre autorevolmente sotto il profilo politico, e abbiamo una maggioranza dalla quale vorremmo sentire, se non qualche dissenso per i provvedimenti stessi (non tanto e non solo in relazione al dibattito della precedente legislatura, ma in relazione agli altri progetti di legge, tutti quelli che sono stati presentati e che sono in Commissione, progetti che erano completamente diversi sotto il profilo dei presupposti, degli intenti e del fulcro), e se non qualche argomentazione, almeno un vagito.
Abbiamo sentito qualche sospiro dai pareri emersi nelle altre Commissioni sul provvedimento in questione. Dunque, tre sono le questioni che interessano il provvedimento: sicurezza, tutela della riservatezza e diritto di informazione, ma sottolineo sicurezza dei cittadini. Qui non stiamo discutendo, come più volte ci portate a fare, di prerogative dei magistrati o sui poteri della magistratura, ma di sicurezza dei cittadini. Noi avevamo affrontato non a caso - sottolineo: non a caso - nei progetti di legge che si confrontavano e che avevano un terreno ormai ampiamente condiviso l'esigenza di tenere presenti queste tre esigenze - sicurezza dei cittadini, tutela della riservatezza e tutela del diritto di informazione - e di fronteggiare gli eventuali abusi nell'uso di questo strumento.
Abbiamo completamente capovolto l'ottica e la prospettiva, perché noi oggi discutiamo di un provvedimento diverso. Non perdiamoci dietro la fuorviante questione del numero dei reati, che prima è stato ridotto poi ampliato, e quindi dobbiamo tutti essere molto lieti del fatto che il numero dei reati è stato nuovamente ampliato. No, la questione è che è stato introdotto il limite fortissimo dei gravi indizi di colpevolezza. In precedenza discutevamo di come tutelare la riservatezza, di come agire sugli eventuali abusi e di come intervenire: questi erano i temi affrontati nei testi che si confrontavano. Eliminando spazi di discrezionalità si tentava di delineare meglio la questione della motivazione e, soprattutto, la questione dell'autonomia nella decisione su come predisporre questo strumento, ciò che in termini meno eleganti più volte ci viene ricordato con l'immagine, certamente suggestiva, della cosiddetta «pesca a strascico» (vorrei anche dire, per rimanere sulla stessa immagine, che non possiamo tuttavia neanche ritornare ai tempi di Robinson Crusoe, che cerca di acchiappare il pesce con le mani).
Dunque, siamo completamente usciti dall'ambito di una maggiore motivazione ed è stata introdotta quella che voi chiamate «soggettivizzazione», ma per parlare ai cittadini dobbiamo semplicemente dire che lo strumento delle intercettazioni serve a rispondere ad una semplice domanda: chi? Dunque, introducendo la dizione completamente diversa dei gravi indizi di colpevolezza, non si risponde a Pag. 28questa domanda. Dunque, siamo noi che vi chiediamo come pensate di tutelare la sicurezza dei cittadini quando quello strumento serve essenzialmente e quasi esclusivamente a questo. A questa domanda non ci avete mai risposto. Neanche oggi ho trovato nelle argomentazioni dei colleghi di maggioranza una risposta a questa domanda. Quindi, «gravi indizi di colpevolezza» è una dizione che rende del tutto inutile lo strumento e, anzi, crea per davvero quasi un abuso dello strumento, perché se io so già «chi» e ho già un sospetto su «chi», non si capisce perché debba andare a limitare comunque la tutela della riservatezza e una libertà della persona con uno strumento così invasivo.
Altra questione che ci sembra molto rilevante è la seguente: nei procedimenti contro ignoti, dove sempre abbiamo la domanda «chi?», avete introdotto la previsione in base alla quale per poter intercettare è necessaria la richiesta della persona offesa. Quindi, nei procedimenti particolarmente delicati - mi riferisco ad esempio ai sequestri di persona o alle estorsioni, nei quali la persona offesa è particolarmente sotto pressione - lo Stato l'abbandona. Infatti, per poter accedere a questo strumento, sempre per individuare «chi», è necessaria la richiesta della persona offesa, che magari è minacciata o intimidita, la stessa persona offesa che, nei casi di sequestro di persona, si vede sequestrati i beni (giustamente, per avere uno strumento per poter fronteggiare questo tipo di reato). Quindi, le sequestriamo i beni ma non intercettiamo l'utenza e le chiediamo di esporsi personalmente, magari essendo minacciata.
La stessa questione si pone sulle cosiddette comunicazioni tra presenti, che, appunto, possono essere intercettate soltanto se vi è motivo di ritenere che lì si stia commettendo un reato. I più recenti fatti di cronaca ci hanno dimostrato che per gravi fatti di sangue è stato possibile individuare i colpevoli proprio soltanto grazie a questo strumento. Vi siete un po' vergognati, e quindi sui reati di terrorismo e mafia - unico emendamento dei pochissimi, anche da parte della maggioranza, al testo del Governo - avete fatto in modo almeno di rimediare alla stortura secondo cui neanche per fatti di terrorismo e di mafia era possibile l'intercettazione ambientale tra presenti.
Si dice che lo strumento rimane per i gravi reati di terrorismo e di mafia, ma anche per quel tipo di reati bisogna dire che vengono spesso o quasi sempre individuati e colpiti proprio attraverso l'individuazione dei cosiddetti «reati satellite», cioè reati minori che poi, andando ad indagare e verificare, portano a scoprire una rete terroristica oppure un'organizzazione criminale. Indipendentemente da ciò, non ritenete invece che debbano essere perseguiti e contrastati con mezzi efficaci gravi fatti di sangue quali stupri, sequestri di persona, estorsioni e una serie di altri fatti reato. I più recenti fatti di cronaca ci hanno dimostrato che proprio per reati di violenza sessuale contro le donne è stato possibile individuare i colpevoli proprio grazie alle intercettazioni.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

ANNA ROSSOMANDO. Concludo, signor Presidente. Avete eliminato la possibilità di procedere direttamente alla captazione di immagini in luoghi pubblici, che consentivano alle forze di polizia di poter anche presidiare il territorio. Avete introdotto una rigidità assolutamente eccessiva per quanto riguarda i tempi. Avete fatto sì che il pubblico ministero, con l'obbligo di astensione, si veda sottratta l'indagine per la sola iscrizione nel registro degli indagati.
Concludo, signor Presidente, dicendo che - e vorrei dirlo soprattutto alla Lega - abbiamo, a quanto pare dagli ultimi provvedimenti, molte ronde che vanno a spasso, mentre vengono completamente a mancare gli strumenti per contrastare il crimine. Quindi, cari colleghi della Lega, voi venite mandati a spasso a pattugliare, mentre la sicurezza dei cittadini non è assolutamente presidiata e viene a mancare qualsiasi mezzo moderno di contrasto al crimine, proprio quando la criminalità è estremamente organizzata e dispone Pag. 29di mezzi molto moderni ed efficaci (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Per dare ordine ai nostri lavori avverto che, dopo la conclusione dell'intervento dell'onorevole Ciriello, la Presidenza sospenderà la seduta, che riprenderà alle ore 15.
È iscritto a parlare l'onorevole Di Pietro. Ne ha facoltà.

ANTONIO DI PIETRO. Signor Presidente, discutiamo oggi della necessità di modificare il sistema delle intercettazioni in Italia per combattere meglio la criminalità (immagino che sia questa la ragione per cui si interviene sul sistema delle intercettazioni).
Le intercettazioni - ci hanno insegnato a scuola - sono uno strumento di indagine che serve per scoprire i criminali e per individuare le loro responsabilità quando commettono i reati. Quindi un Governo, un Parlamento e istituzioni che vogliano combattere la criminalità devono ricorrere ad ogni strumento utile e necessario per combatterla. A questo servono le intercettazioni. Altra cosa sono le pubblicazioni, specie quelle arbitrarie, delle intercettazioni.
Il bisturi serve al chirurgo per intervenire in sala operatoria e salvare il malato; altra cosa è se il chirurgo utilizza il bisturi per ammazzare la moglie. Ma a nessuno viene in mente di eliminare il bisturi dalla sala operatoria, solo perché vi è qualche chirurgo matto! Pertanto, non dobbiamo intervenire sull'eliminazione delle intercettazioni, ma è necessario fare in modo che, nel sistema delle pubblicazioni, si tenga in considerazione il diritto alla privacy dei singoli, specialmente di coloro che non c'entrano nulla.
Se questo è lo scopo delle intercettazioni, a cosa serve questa proposta che ci viene fatta in Aula? Serve a combattere la criminalità? Serve ad evitare la violazione della privacy? Ma proprio per niente! Già ora, infatti, è prevista, per legge, la necessità di non violare la privacy, di rispettare il segreto istruttorio e, nel caso in cui vi sia una violazione del segreto istruttorio, di punire. Il problema è che qualcuno non fa il suo dovere. Che sia sempre il magistrato è tutto da vedere, perché (lo si vedrà in seguito), nella maggior parte dei casi, ciò avviene quando gli atti subiscono una discovery, cioè quando gli atti vengono posti all'attenzione di tante altre parti processuali, a cominciare dagli avvocati.
Vediamo, in concreto, cosa prevede la proposta sulle intercettazioni telefoniche. In essa, in realtà, si professa una ratio, ma se ne insegue un'altra: si dice all'opinione pubblica e ai cittadini che con questo provvedimento si vuole restituire credibilità allo strumento delle intercettazioni. Invece, il vero scopo è quello di evitare le intercettazioni, per evitare che si possano scoprire dei reati (cosa che, magari, a qualcuno, anche qui dentro, anche a casa del Governo, non fa comodo).
Noi dell'Italia dei Valori sappiamo che, in questo Parlamento, tale provvedimento sarà approvato, perché sappiamo che, anche qui in Aula, accadrà quel che è accaduto in Commissione. Privatamente, tutti ci dicono che il provvedimento in discussione contiene molti aspetti che non vanno e che vi sono molte questioni non accettabili. Lo si dice privatamente, magari, anche in qualche intervista, ma, poi, come soldatini fedeli ad alzare la mano, faranno passare questo provvedimento. Noi dell'Italia dei Valori, ancora una volta, ricorreremo ai cittadini attraverso il referendum: questa estate, infatti, presenteremo, in blocco, un «grappolo» di referendum, affinché l'anno prossimo i cittadini possano essere chiamati a giudicare i comportamenti di questa maggioranza e di questo Governo.
Ebbene, le ragioni tecniche per cui non condividiamo il provvedimento in discussione (che abbiamo cercato in tutti i modi di contrastare in sede di Commissione) sono, quanto meno, le seguenti. In primo luogo, si prevede l'astensione obbligatoria, o altrimenti la sostituzione del pubblico ministero, ogni volta che egli risulti iscritto nel registro degli indagati per violazione del segreto istruttorio. Tradotto: qualsiasi imputato, quando sa che un pubblico Pag. 30ministero può arrivare a lui, lo denuncia e, obbligatoriamente, il pubblico ministero dovrà essere iscritto nel «modello 21», cioè nel registro delle notizie di reato. Vero o falso che sia, dovrà essere iscritto. L'imputato, quindi, avrà sempre la possibilità di scegliersi il suo pubblico ministero, fino a quando ne trova uno che gli conviene, e se non ne trova uno che gli conviene, fino a quando non arriverà la prescrizione. Tutti quanti dovremo correre dietro alla volontà dell'imputato! In questo modo, lo Stato abdica alla sua funzione di giudice naturale per rimetterla al suo imputato. Egli potrà scegliere il suo giudice e si sceglierà sempre e solo il giudice che gli darà ragione. Questa è anche una questione di costituzionalità, che intendiamo proporre in questa sede, come in tutte le sedi.
Riteniamo, altresì, del tutto irrazionale, illogico ed anche immorale, prevedere l'esclusione di qualsiasi pubblicazione di atti di indagine fino a quando le indagini non sono compiute. Riteniamo che anche questo sia incostituzionale ma, soprattutto, inopportuno ed immorale. Il cittadino ha il diritto di sapere se e perché accadono determinati fatti gravissimi che lo riguardano direttamente. Se intere giunte comunali, regionali e provinciali, uomini di Governo, parlamentari, sono sottoposti a processi delicatissimi, il cittadino ha il diritto di saperlo!
Se anche sono innocenti, egli ha diritto di saperlo, altrimenti non verrebbe mai informato, non potrebbe mai saperlo se non a cose fatte, quando non avrebbe più alcuna possibilità di scoprire come stanno le cose, di farsi un'idea di chi lo governa e di chi lo rappresenta nelle istituzioni. Lo stesso si può dire anche quando si prevede che i giornalisti pubblichino anche per riassunto e per estratto notizie di un processo, non coperte da segreto, perché il segreto istruttorio interno non c'è più, dal momento che gli atti sono depositati; non far sapere tutto questo al cittadino è irrazionale, illogico e immorale. Il cittadino non deve neanche più sapere chi viene arrestato e per quale motivo. Nemmeno in uno Stato di polizia questo è possibile: di nascosto dall'opinione pubblica si può arrestare chi si vuole e nessuno deve sapere, né perché e né chi.
La terza ragione per cui non condividiamo questo provvedimento è riferita alle modalità con cui vengono ammesse le operazioni di intercettazione. Ricordiamo che, secondo questo disegno di legge, non esiste più la sola intercettazione telefonica, ma ne esistono ben quattro tipi: l'intercettazione telefonica classica, l'intercettazione ambientale, i tabulati telefonici e l'intercettazione mediante ripresa visiva. Proprio su questa mi vorrei soffermare: che ci azzeccano le riprese visive con le intercettazioni telefoniche? Mi dovete spiegare per quale ragione un poliziotto può stare di fronte ad una banca per vedere se arriva un delinquente e non ci può stare una telecamera. Fino ad oggi le telecamere erano né più né meno delle prove documentali atipiche; oggi la telecamera riprende un rapinatore che entra in banca e, siccome non è stata prevista l'intercettazione preventiva, questa telecamera non serve a niente. A che cavolo serve tutto questo? Così si combatte la criminalità? Chi aiuta, a chi giova tutto questo? A che serve, cosa c'entra la riservatezza, la privacy, la tutela? Una persona che va in banca sa che ci si reca soltanto per ritirare dei soldi e non ha nulla da temere, ma, se ci va con il pistolone, è meglio che ci sia una telecamera che lo guarda. Che ci azzecca tutto questo con la necessità di disporre di intercettazioni telefoniche che servano?
E le intercettazioni ambientali? Le intercettazioni ambientali, secondo questo documento, servono - o dovrebbero servire - solo se vengono utilizzate nel momento in cui si compie l'atto illecito, cioè nel momento in cui si compie la rapina o lo stupro. Ma, se so che in quel momento sta avvenendo un reato, faccio l'intercettazione o metto le manette a chi lo sta compiendo? Ho bisogno di disporre un'intercettazione se so che in quel momento sta avvenendo il reato? Arresto quella persona, la blocco, la porto in caserma. Le intercettazioni servono per scoprire i reati, Pag. 31non quando li ho scoperti. Le intercettazioni ambientali devono servire solo nella flagranza del reato.
E i tabulati telefonici, come li accordiamo con l'articolo 132 del codice della privacy? Ve lo ha ricordato anche il Consiglio superiore della magistratura. Pochi mesi fa, in questa legislatura, avete modificato quella norma e adesso la modificate ancora: si applicano entrambe le disposizioni o una esclude l'altra? In questo caso, qual è quella che esclude l'altra?
Se i tabulati telefonici devono servire, devono essere acquisiti solo quando vi sono gravi indizi di colpevolezza. Come fa la parte offesa a difendersi se ad essa serve un tabulato telefonico per dimostrare che un certo giorno stava in un posto piuttosto che in un altro e che, quindi, per la stessa non vi sono indizi di colpevolezza: ha bisogno di poter disporre del tabulato (non del suo, di quello di altri).
Che dire poi della durata delle intercettazioni telefoniche, il sesto punto per cui noi non condividiamo questo provvedimento? Le intercettazioni telefoniche sono state previste per un tempo massimo di 60 giorni, ma - si dice - «salvo che per le associazione a delinquere e le associazioni terroristiche». Sfido qui dentro se vi è una sola persona che abbia un po' di cognizione di investigazione - un minimo di cognizione - che può dimostrarmi che si scopre prima l'associazione a delinquere e poi il reato presupposto.
È chiaro che l'associazione a delinquere è l'atto finale di un'indagine, attraverso la quale si trovano prima un numero di persone, poi un numero di reati ed infine un'identità di disegno criminoso. L'associazione a delinquere è l'atto finale con cui il magistrato riesce ad individuare l'organizzazione, l'impresa criminale all'esito di un insieme di attività sui singoli reati e sulle singole persone.
Dire che bastano i sufficienti indizi di reità quando abbiamo l'associazione a delinquere è come dire che non scoprirò mai l'associazione a delinquere perché non posso scoprire gli altri reati, pertanto si tratta di una doppia presa in giro.
Questa riforma, così come modificata dagli emendamenti del Governo dopo che l'opposizione si è fatta sentire, è peggiore di quella di prima, perché più sofisticata e più criminogena.
Che dire dei procedimenti contro ignoti dove è necessaria l'autorizzazione della persona offesa? Immaginate la persona sottoposta ad usura o ad estorsione che deve dare l'autorizzazione ad essere intercettato per scoprire chi fa l'usuraio o ha sequestrato la persona e vuole un riscatto? È chiaro che avrà interesse a liberare sua figlia, ha un interesse totalmente diverso!
Che dire di altre due «perle»: l'utilizzazione delle intercettazioni in altri procedimenti è prevista solo per i reati di criminalità organizzata, solo per quelli per i quali è previsto l'arresto obbligatorio di cui all'articolo 51 del codice di procedura penale. Perché? Abbiamo fatto tanto! Se mentre ascolto legittimamente una persona, che di mestiere fa il rapinatore, scopro che ha violentato la figlia cosa faccio? Faccio finta che non ho sentito! Ma che senso ha tutto questo? Come si combatte la criminalità? Ho fatto un'intercettazione telefonica lecita, legittima e scopro che uno, che di mestiere fa il delinquente, ha commesso un reato al posto di un altro e dico «no»: volevo intercettarti per rapina e invece hai commesso solo un'estorsione! Scusa, non lo faccio più! Naturalmente di tutti gli altri nessuno deve sapere nulla, neanche la moglie deve sapere se ha violentato la figlia! Ma fatemi il piacere!
Ancora, che dire del divieto di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni quando cambia il titolo del reato? Il mutamento del titolo del reato, per definizione è una valutazione ex post: quando procedo, lo faccio per un titolo di reato, all'esito del quale, a seguito di valutazioni, scopro che, piuttosto che sotto quel titolo, il reato rientra sotto un altro, ma gli elementi di fatto sono sempre gli stessi, il reato è stato commesso e l'acquisizione dell'intercettazione è lecita!
«No»: io volevo incriminarti per rapina e invece si tratta di un furto! E se poi è Pag. 32un furto invece che una rapina? Perché il furto «no»? Che senso ha tutto questo? Qual è la ratio rispetto a quella che andate a dire in giro? Voi dite in giro che volete le intercettazioni per combattere la criminalità organizzata. Ma questa è! Voi dite: «noi vogliamo che non ci siano incidenti stradali e togliamo i semafori». Ah ecco! È un modo: li fate fuori tutti così non ce ne sono più!
Inoltre, c'è la storia della proroga: posso prorogare le intercettazioni solo se esistono ulteriori elementi diversi da quelli che si scoprono attraverso le intercettazioni stesse. Che senso ha tutto questo? Quindi, attraverso le intercettazioni scopro che qualcuno sta per commettere un sequestro di persona e non posso chiedere la proroga perché non ho scoperto alcun elemento in più!
E ancora, il tempo delle intercettazioni è prefissato in massimo 60 giorni, sempre che si trovino ulteriori elementi e via dicendo. Non ho capito: ma se ho a che fare con un sequestro di persona o con reati gravissimi, come possono essere anche gli stupri e quant'altro, mi dovete spiegare, se ho a che fare con reati ad effetto permanente seppure immediati, per quale ragione, dopo un certo periodo di tempo, mi devo fermare, se non nel tempo prefissato dalle indagini preliminari.
Noi abbiamo un tempo che è indicato nel codice. Esso è il tempo delle indagini preliminari, che può essere di 6 mesi oppure anche di più. Durante questi 6 mesi il pubblico ministero deve poter svolgere tutte le indagini che gli sono consentite. Ma proprio sugli aspetti più importanti e delicati gli si dice che può occuparsene solo per 15 giorni. Non ho capito: se devo fare una cura per 6 mesi, perché devo limitarla a 15 giorni? È come se si andasse dal medico e quest'ultimo dicesse: «hai bisogno di 6 mesi di convalescenza ma non puoi fare più di 15 giorni». Che senso ha tutto questo?
E ancora, si prevede il tribunale distrettuale in funzione collegiale per decidere non solo sulle intercettazioni, ma anche sulle proroghe. Ma di tribunali distrettuali ve ne sono pochi, non sono tanti. La maggior parte dei tribunali sono quei piccoli tribunali sparsi per il territorio. Accentrare tutto a livello di tribunale distrettuale, in funzione collegiale, sapete cosa vuol dire? Significa ingolfare totalmente il lavoro dei magistrati. Vi è venuto in mente cosa comporterà tutto ciò sulla disciplina delle incompatibilità? Non avremo più magistrati in grado di poter giudicare o di poter fare intercettazioni, perché in pochissimo tempo, se solo vi è un'associazione a delinquere ben organizzata, ogni giudice è impedito a fare altre cose. E questa distonia tra il Gip, che può dare l'ergastolo ma che non può fare intercettazioni o una proroga, e tra il tribunale distrettuale non l'avete presa in considerazione? Che senso ha? Il Gip può condannare ma non può disporre un accertamento istruttorio. Ma che senso ha tutto questo?
E poi immaginate tecnicamente queste grandi inchieste, con un milione di fogli di carte. Le carte non passano attraverso Internet. Le carte devono andare con le carte! Immaginatevi un milione di fascicoli processuali, un milione di pagine. Ogni volta questi fogli devono andare dal territorio al tribunale distrettuale. Vanno e tornano, vanno e tornano! Ogni volta che si registra un'aggiunta, una proroga, un qualche atto in più o nel mentre che si decide questi quintali di carta, vanno e tornano! Il segreto istruttorio ve lo mando a dire io a che serve. Passiamo tutto direttamente all'ufficio stampa!
Inoltre, si deve ricordare la questione della misura della motivazione dell'ordine cautelare. Si può motivare ma solo per riassunto. Se un'intercettazione telefonica è utile e necessaria per capire il comportamento di qualcuno non vi è nulla di meglio che sentire esattamente ciò che ha detto. E invece «no»! Non si può scrivere nell'ordine di misura cautelare ma si deve scrivere per riassunto, secondo la propria interpretazione. Si deve fare di 4 righe e non di 40. Ma perché volete limitare anche il numero delle pagine? Ma vi vergognate che possa esservi qualcosa di troppo? Ma che senso ha tutto questo? Pag. 33
Sono proprio assurde queste motivazioni, sono proprio assurde. Tuttavia, esse evidenziano un elemento di fondo e con ciò mi avvio a concludere il mio intervento. L'elemento di fondo è capire cosa siano le intercettazioni e perché questo Governo e questa maggioranza le tema. Questo è il vero problema. Il vero problema è che, grazie ad un'informazione non sufficiente, anzi ormai non più in grado di poter informare, perché la volete anche mettere a tacere totalmente, voi non volete far sapere ai cittadini quel che accade, non volete far sapere ai cittadini quel che molte persone delle istituzioni sono, non volete far sapere che, con le intercettazioni, si possono scoprire i reati. La verità, allora, è una e una sola. Questa legge sulle intercettazioni non serve a combattere la criminalità né ad assicurare la privacy. Essa serve solo ad assicurare l'impunità a qualche persona che, per assicurarsi la propria impunità, mette a rischio l'incolumità dei cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori e di deputati del gruppo Partito Democratico - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zaccaria. Ne ha facoltà.

ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, anche io intervengo, insieme ad altri colleghi del Partito Democratico che hanno già parlato prima di me (mi riferisco agli onorevoli Ferranti, Tidei e Rossomando e agli altri che ancora parleranno dopo), per manifestare, con una serie di argomenti, la nostra forte contrarietà a questo provvedimento.
Si può certamente discutere, come è stato fatto ed ha cominciato a fare il presidente della Commissione, relatrice di questo provvedimento, sulle ragioni che ci hanno portato a rivedere la normativa in materia.
Io credo che queste ragioni siano state affermate in tanti modi e in una certa misura sono condivise anche da noi, però siamo consapevoli - l'hanno detto i miei colleghi e quasi tutti coloro che sono intervenuti - che, al centro della problematica delle intercettazioni, vi sono tre beni fondamentali. La relatrice ad un certo punto ha parlato di due, ma in realtà è chiaro che tutti siamo consapevoli che si parla di giustizia e sicurezza (ha detto l'onorevole Rossomando), di riservatezza (o privacy, che non sono esattamente la stessa cosa, ma vengono spesso impiegati insieme come sinonimi) ed informazione.
Noi dobbiamo giudicare se questo provvedimento realizza un appropriato bilanciamento di questi tre valori fondamentali della nostra Carta costituzionale. Ebbene, si parte dicendo e adducendo - già questo secondo me è un elemento un po' distorsivo - le violazioni e gli abusi, soprattutto quelli compiuti ad opera della stampa, ma - si fa capire - con una serie di connivenze nella struttura e nella filiera che presiede a questo tipo di provvedimenti.
Devo dire, per la verità, che quasi tutti coloro che parlano degli abusi raramente fanno riferimento a casi concreti. Quelli a cui si fa riferimento più frequentemente, devo dire con franchezza, sono collegati a certi processi recenti come le cosiddette «Vallettopoli» o ai messaggini tra Anna Falchi e Ricucci e non mi emozionano più di tanto. Certamente ci sono abusi, ce ne saranno stati anche di più significativi, ma tutti abbiamo detto che il fatto che una libertà sia frutto per alcuni interpreti di abusi non può giustificare la soppressione totale di quella libertà.
La sensazione è che si stia operando con il provvedimento nel suo complesso per ridurre l'utilizzazione dello strumento delle intercettazioni e questo lo hanno detto molto meglio di me coloro che si occupano di questi argomenti dal punto di vista processuale e giudiziario. Si tende anche a ridurre - attenzione, vorrei che anche fuori di qui fosse chiaro - la possibilità di conoscere quello che avviene attraverso questo strumento, cioè si toglie (questo è l'argomento di cui parlerò in questi pochi minuti) al cittadino la possibilità di conoscere ciò che i magistrati possono conoscere attraverso le intercettazioni.
Ci si fa carico, attenzione, di una sorta di indignazione popolare ed ho sentito nei Pag. 34primi interventi parlare dell'indignazione della pubblica opinione di fronte a questo uso delle intercettazioni. Domandiamoci: è indignazione della pubblica opinione o indignazione del Palazzo?

ANTONINO LO PRESTI. Confermo: pubblica opinione!

ROBERTO ZACCARIA. D'accordo, io parlo perché mi ascolti qualcuno di coloro che su Internet hanno costituito gruppi molto significativi dai quali si capisce che i cittadini hanno interesse di conoscere ciò che accade intorno al processo, e lo dirò tra un attimo.
Penso che in questo provvedimento il bilanciamento tra i tre beni (giustizia e sicurezza, riservatezza e informazione) avvenga certamente con la riduzione dello strumento in mano ai magistrati e con la riduzione - di questo parlerò - degli strumenti a disposizione della pubblica opinione dei cittadini.
Faccio quattro casi che sono contenuti in questo provvedimento, senza illustrarli perché non ho molto tempo. Il primo è la modifica dell'articolo 114 del codice di procedura penale dove praticamente si afferma molto chiaramente che, anche quando è finita la copertura del segreto investigativo, rimane il divieto di pubblicazione. Non voglio entrare adesso nel dettaglio del contenuto e ringrazio la relatrice perché ha manifestato una certa apertura da questo punto di vista, però il concetto è chiaro.
Finiti il segreto investigativo e l'esigenza di giustizia, permane il divieto di pubblicazione. Quindi, anche quando non ci sono più esigenze di giustizia, i cittadini non possono sapere; addirittura non si può sapere chi è il magistrato, la sua faccia, il suo nome, ma questo consideriamolo secondario. L'articolo 147 delle norme di attuazione del codice di procedura penale consentiva la ripresa del processo, anche nella contrarietà delle parti, quando c'era un interesse sociale a conoscere e, ad esempio, il processo di Catanzaro e quello sulle stragi sono stati fatti e ripresi proprio in virtù dell'interesse sociale all'informazione ed era il giudice che doveva valutare se vi fosse questo interesse.
È stato inserito un rafforzamento delle pene per la violazione di queste norme, non a carico di chi commette il reato, ma degli editori. È detto con una formula criptica; si parla degli «enti» e di «sanzioni». È una cosa comica: si applica all'ente la sanzione pecuniaria da 100 a 300 «quote». Ma chi capisce questa cosa? Si parla di 300, 400 mila euro; vuol dire che c'è una sorta di responsabilità oggettiva, perché non è chi ha commesso il reato che va eventualmente punito, ma il suo editore e così si porta l'editore in redazione. Poi, c'è una perla: si dà spazio alle rettifiche e si dice che la rettifica deve essere pubblicata senza commento, il che vuol dire senza diritto del giornalista di replicare in sintesi esponendo il suo punto di vista!
Allora, ciò significa non solo comprimere il diritto di cronaca che è un diritto fondamentale, perché - fate bene attenzione - la Corte costituzionale, a partire dalla sentenza n. 826 del 1988, ha detto che il diritto di cronaca tutela non solo il diritto del giornalista di scrivere, ma anche il diritto all'informazione dei cittadini. Questo è fondamentale! I cittadini debbono conoscere il processo ad un certo punto. L'articolo 101 della Costituzione afferma che la giustizia è amministrata in nome del popolo, quel popolo considerato nel secondo comma dell'articolo 1, lo stesso articolo che considera l'Italia una Repubblica democratica e il popolo ad un certo punto deve sapere quello che succede intorno al processo. Con queste norme limitative, il popolo non lo saprà più.
Milena Gabanelli, in un'intervista di qualche giorno fa a La Stampa, ha detto molto chiaramente che se andassero avanti queste norme i giornalisti e i cittadini non saprebbero più di casi clamorosi avvenuti nel nostro Paese. Voi non avete citato i motivi per i quali c'è stato l'abuso, io vi cito i motivi per i quali alcune cose non le conosceremo più. Milena Gabanelli dice che non avremmo saputo più niente della vicenda Parmalat e Pag. 35venirne a conoscenza durante il processo - finito il segreto - significa consentire a una serie di persone di portare contributi al processo, rivalersi e dolersi. Noi non avremmo saputo delle vicende collegate alla clinica Santa Rita di Milano, una vicenda terrificante di malasanità.

PRESIDENTE. Onorevole Zaccaria, la prego di concludere.

ROBERTO ZACCARIA. Non avremmo saputo dello stupro di Guidonia, di Antonveneta e della Banca d'Italia, del crack Cirio. Guardate che queste sono limitazioni gravissime, non solo del diritto dei giornalisti, ma del diritto di coloro che sono qui sulle tribune, a casa e che ci ascoltano alla radio di sapere che cosa succede in un processo. Questo diritto, in questa legge, non c'è più (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Melis. Ne ha facoltà.

Testo sostituito con errata corrige volante GUIDO MELIS. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, mi concederò una brevissima digressione storica. Presso l'Archivio centrale dello Stato in un vecchio fascicolo della serie «polizia politica» degli anni Trenta, si conservano pochi fogli dattiloscritti. Contengono quelle che, secondo la mia esperienza, sono forse le prime intercettazioni telefoniche disponibili negli archivi italiani.
Riguardano Alberto Beneduce, fondatore dell'IRI e ideatore per conto del regime di quello che fu lo Stato imprenditore in Italia. Siamo negli anni Trenta, le tecnologie sono ancora primitive, i telefoni pochi; il testo di queste intercettazioni, battute a macchina malamente da un copista forse ignorante, è francamente deludente: gossip di regime o poco più.
Da allora, però, la prassi di porre i telefoni dei cittadini sotto controllo si è enormemente sviluppata grazie alle tecnologie, con esiti, come ci ha illustrato in Commissione giustizia il Garante, professor Pizzetti, allarmanti per la privacy di tutti noi: l'esistenza di grandi archivi al di fuori di ogni controllo, come è emerso nell'inchiesta Telecom ed emerge da casi anche recenti, ci induce ad essere su questo tema particolarmente sensibili. Dico questo per assicurare davvero sinceramente che nessuno di noi, che sediamo da questa parte dell'Aula, ha alcun dubbio sul fatto che occorra porre un limite legale alle intercettazioni, anche forse a quelle messe in atto su autorizzazione giudiziaria, almeno per quanto riguarda la loro preparazione, in nome della tutela dei cittadini, in modo particolare a garanzia di quelli estranei ai fatti oggetto di indagine. Del resto, siamo stati noi ad aver proposto con più coerenza l'istituzione dell'archivio segreto delle intercettazioni, la sua custodia rigorosa, ad avere insistito sempre sulla distruzione di quanto non appaia pertinente all'indagine.
Non è questo dunque il punto sul quale non siamo d'accordo. Il punto è come sempre, come diceva bene il collega Zaccaria prima di me, la giusta misura, il ponderato bilanciamento degli interessi in gioco: sino a dove si deve spingere cioè questa limitazione? Dove essa non entra in conflitto, in nome del pur sacrosanto diritto alla privacy, con altri due diritti fondamentali, come è stato detto, costituzionalmente garantiti: la sicurezza dei cittadini ed il diritto di cronaca e di informazione.
Vorrei, per ragioni di brevità, concentrarmi su quest'ultimo aspetto. Il provvedimento che discutiamo si caratterizza infatti negativamente, oltre che per i motivi già illustrati da altri colleghi, per la cappa di silenzio e di opacità che intende far calare sui fatti giudiziari, quando in essi siano pure legittimamente utilizzate le intercettazioni. Intendo riferirmi, naturalmente, in primo luogo alla riforma dell'articolo 114 del codice di procedura penale, comma 2, laddove prevede che gli atti non più coperti da segreto vengano esclusi dalla pubblicazione sino all'udienza preliminare; ma, attenzione, con ampia estensione del loro contenuto, con l'aggiunta cioè, dove la norma vigente si limitava a dire «atti», ai riassunti e più in Pag. 36generale al contenuto degli atti stessi, ivi compreso quanto acquisito al fascicolo del pubblico ministero o del difensore. Formula ambigua, formula molto ambigua, si converrà: vorrei capire che differenza passa davvero tra riassunto e contenuto. E perciò formula doppiamente pericolosa: l'idea che vi presiede, e che circola per la verità in tutti gli articoli di questo pessimo provvedimento, è che l'indagine debba svolgersi al buio, nel buio più totale dell'informazione, in un improbabile anonimato al quale si provvederebbe vietando la divulgazione di nomi ed immagini dei magistrati prepostivi, nella genericità assoluta della cronaca. In una società, come quella nella quale siamo immersi, per di più dominata in modo inarrestabile dalla moltiplicazione delle notizie, dalla loro istantaneità, dall'invadenza perfino patologica della dimensione pubblica nel privato di ciascuno di noi; in questo tipo di società, che gli studiosi giustamente definiscono «società dell'informazione», vorremmo stendere una cortina di silenzio assoluto su fatti talvolta di grande impatto nell'opinione pubblica, e dei quali la stessa opinione pubblica, per elementari ragioni connesse alla vita stessa della democrazia, non può né dev'essere tenuta all'oscuro.
Gli esempi concreti del paradosso che verrebbe così a crearsi sono infiniti. Consentitemi di rinviare alle molte prese di posizione di giornalisti ed editori, anche acquisite negli atti della Camera. A Cagliari, dove ho preso parte ad una partecipata riunione dell'associazione della stampa sarda ospitata nel tribunale di quella città (era presente anche il collega Palomba, lo ricorderà), una brava cronista giudiziaria de L'Unione sarda - signor sottosegretario, un giornale di centrodestra, non un giornale dell'opposizione! - ci ha validamente mostrato, ricorrendo alla casistica giudiziaria più e meno recente, come nulla, nulla del suo lavoro, del suo buon lavoro sarebbe più possibile in presenza delle nuove norme: non la cronaca dei sequestri di persona, non le inchieste sulla corruzione pubblica, non il giornalismo specializzato in fatti di mafia e di camorra, e neppure i grandi eventi catastrofici a forte impatto emotivo sui cittadini, giacché interpretando alla lettera le nuove disposizioni, i procedimenti di indagine avviati dalla procura a carico dei responsabili, perfino l'informazione neutra dell'iscrizione nel registro delle notizie di reato, potrebbe essere ritenuto riassunto di atti di indagine.
Gran parte dei libri sulle malefatte della classe dirigente, compreso il bestseller La Casta del giornalista Stella, sarebbero forse impubblicabili perlomeno nei loro capitoli salienti, per la semplice ragione che i fatti oggetto di quelle ricostruzioni sarebbero, in quanto implicanti intercettazioni, non citabili. L'informazione nel campo della cronaca giudiziaria arriverebbe solo a cose concluse, come un chirurgo a cui si tenesse legata la mano sino alla completa morte del paziente, per poi consentirgli graziosamente l'uso del bisturi sul cadavere. Quando, dati i tempi lunghi dei nostri processi, il fatto è letteralmente passato di attualità, quando le persone che ne sono state protagoniste sono ormai ricordi soffocati, quando il contesto nel quale il fatto è maturato appartiene al passato, l'informazione non serve più a nulla: l'informazione che arriva in ritardo non è informazione, è merce scaduta, come sa chiunque abbia un minimo concetto di che cosa sia l'informazione in una società democratica.
È facile peraltro prevedere l'effetto innanzitutto deterrente di simili norme, la cui severità si estende fino a prevedere l'arresto dei giornalisti; noi siamo un Paese in cui siamo tanto sensibili alle garanzie dei parlamentari e poi mandiamo in galera i giornalisti per fatti di questo genere. In un contesto di per sé a rischio per l'invadenza dei grandi monopoli, per l'arroganza del potere politico, il singolo giornalista da solo e dietro di lui l'editore, che naturalmente eserciterà un ruolo censorio nei confronti del suo giornalista, saranno chiamati ad esercitarsi in una gimcana estenuante tra notizie rivelabili e notizie non rilevabili, tra fatti derivanti da intercettazioni e fatti documentabili con Pag. 37altre fonti, sotto la mannaia affilata di sanzioni pesantissime e dietro la minaccia sempre attuale dell'incriminazione.
Diciamo la verità, si introdurrebbe con questo provvedimento un vero e proprio armamentario repressivo quale non esiste nel nostro ordinamento, nell'intento di imbavagliare l'informazione, impedendo quel nesso fondamentale e salutare tra le inchieste giudiziarie, la cronaca e l'opinione pubblica che da sempre costituisce un presidio insostituibile di garanzia democratica, nel nostro Paese come negli altri di civiltà occidentale. Per questo, onorevole Lo Presti, avete contro tutte le rappresentanze del giornalismo e dell'editoria, senza eccezioni. È un fronte compatto che ci chiede di non approvare questo provvedimento.
Noi pensiamo, lo abbiamo scritto nella nostra proposta di legge, che se il dominus dell'indagine ritiene di non avere più bisogno del segreto non c'è motivo per cui debba essere limitata la conoscibilità dell'attività della magistratura, anche attraverso la stampa e i vari mezzi di informazione. I cittadini, signor sottosegretario, hanno non solo il diritto, hanno il dovere di conoscere quello che accade nei tribunali. C'è stato un tempo in questo Paese, un tempo che forse alcuni di voi - spero di no - si illudono possa ritornare, nel quale la magistratura sottoposta al potere politico esercitava il suo mandato nel chiuso di aule impenetrabili, mentre i giornali sotto la sferza di assillanti censure preventive erano tenuti a dare notizia solo dei successi della polizia, a truccare le statistiche giudiziarie e dei reati ed a spargere toni rassicuranti sui casi più eclatanti di cronaca nera.
La Costituzione e la lunga lotta per attuarne i principi - Costituzione che non è sovietica, non siamo noi ad averla definita sovietica, onorevole Lo Presti - ci hanno consentito di lasciarci alle spalle quel tempo nefasto per sempre. Vi assicuriamo che nonostante pensiate di poter approvare leggi pessime come questa, quel tempo non si riuscirà a resuscitarlo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
GUIDO MELIS. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, mi concederò una brevissima digressione storica. Presso l'Archivio centrale dello Stato in un vecchio fascicolo della serie «polizia politica» degli anni Trenta, si conservano pochi fogli dattiloscritti. Contengono quelle che, secondo la mia esperienza, sono forse le prime intercettazioni telefoniche disponibili negli archivi italiani.
Riguardano Alberto Beneduce, fondatore dell'IRI e ideatore per conto del regime di quello che fu lo Stato imprenditore in Italia. Siamo negli anni Trenta, le tecnologie sono ancora primitive, i telefoni pochi; il testo di queste intercettazioni, battute a macchina malamente da un copista forse ignorante, è francamente deludente: gossip di regime o poco più.
Da allora, però, la prassi di porre i telefoni dei cittadini sotto controllo si è enormemente sviluppata grazie alle tecnologie, con esiti, come ci ha illustrato in Commissione giustizia il Garante, professor Pizzetti, allarmanti per la privacy di tutti noi: l'esistenza di grandi archivi al di fuori di ogni controllo, come è emerso nell'inchiesta Telecom ed emerge da casi anche recenti, ci induce ad essere su questo tema particolarmente sensibili. Dico questo per assicurare davvero sinceramente che nessuno di noi, che sediamo da questa parte dell'Aula, ha alcun dubbio sul fatto che occorra porre un limite legale alle intercettazioni, anche forse a quelle messe in atto su autorizzazione giudiziaria, almeno per quanto riguarda la loro propalazione, in nome della tutela dei cittadini, in modo particolare a garanzia di quelli estranei ai fatti oggetto di indagine. Del resto, siamo stati noi ad aver proposto con più coerenza l'istituzione dell'archivio segreto delle intercettazioni, la sua custodia rigorosa, ad avere insistito sempre sulla distruzione di quanto non appaia pertinente all'indagine.
Non è questo dunque il punto sul quale non siamo d'accordo. Il punto è come sempre, come diceva bene il collega Zaccaria prima di me, la giusta misura, il ponderato bilanciamento degli interessi in gioco: sino a dove si deve spingere cioè questa limitazione? Dove essa non entra in conflitto, in nome del pur sacrosanto diritto alla privacy, con altri due diritti fondamentali, come è stato detto, costituzionalmente garantiti: la sicurezza dei cittadini ed il diritto di cronaca e di informazione.
Vorrei, per ragioni di brevità, concentrarmi su quest'ultimo aspetto. Il provvedimento che discutiamo si caratterizza infatti negativamente, oltre che per i motivi già illustrati da altri colleghi, per la cappa di silenzio e di opacità che intende far calare sui fatti giudiziari, quando in essi siano pure legittimamente utilizzate le intercettazioni. Intendo riferirmi, naturalmente, in primo luogo alla riforma dell'articolo 114 del codice di procedura penale, comma 2, laddove prevede che gli atti non più coperti da segreto vengano esclusi dalla pubblicazione sino all'udienza preliminare; ma, attenzione, con ampia estensione del loro contenuto, con l'aggiunta cioè, dove la norma vigente si limitava a dire «atti», dei riassunti e più in Pag. 36generale al contenuto degli atti stessi, ivi compreso quanto acquisito al fascicolo del pubblico ministero o del difensore. Formula ambigua, formula molto ambigua, si converrà: vorrei capire che differenza passa davvero tra riassunto e contenuto. E perciò formula doppiamente pericolosa: l'idea che vi presiede, e che circola per la verità in tutti gli articoli di questo pessimo provvedimento, è che l'indagine debba svolgersi al buio, nel buio più totale dell'informazione, in un improbabile anonimato al quale si provvederebbe vietando la divulgazione di nomi ed immagini dei magistrati prepostivi, nella genericità assoluta della cronaca. In una società, come quella nella quale siamo immersi, per di più dominata in modo inarrestabile dalla moltiplicazione delle notizie, dalla loro istantaneità, dall'invadenza perfino patologica della dimensione pubblica nel privato di ciascuno di noi; in questo tipo di società, che gli studiosi giustamente definiscono «società dell'informazione», vorremmo stendere una cortina di silenzio assoluto su fatti talvolta di grande impatto nell'opinione pubblica, e dei quali la stessa opinione pubblica, per elementari ragioni connesse alla vita stessa della democrazia, non può né dev'essere tenuta all'oscuro.
Gli esempi concreti del paradosso che verrebbe così a crearsi sono infiniti. Consentitemi di rinviare alle molte prese di posizione di giornalisti ed editori, anche acquisite negli atti della Camera. A Cagliari, dove ho preso parte ad una partecipata riunione dell'associazione della stampa sarda ospitata nel tribunale di quella città (era presente anche il collega Palomba, lo ricorderà), una brava cronista giudiziaria de L'Unione sarda - signor sottosegretario, un giornale di centrodestra, non un giornale dell'opposizione! - ci ha validamente mostrato, ricorrendo alla casistica giudiziaria più e meno recente, come nulla, nulla del suo lavoro, del suo buon lavoro sarebbe più possibile in presenza delle nuove norme: non la cronaca dei sequestri di persona, non le inchieste sulla corruzione pubblica, non il giornalismo specializzato in fatti di mafia e di camorra, e neppure i grandi eventi catastrofici a forte impatto emotivo sui cittadini, giacché interpretando alla lettera le nuove disposizioni, i procedimenti di indagine avviati dalla procura a carico dei responsabili, perfino l'informazione neutra dell'iscrizione nel registro delle notizie di reato, potrebbe essere ritenuto riassunto di atti di indagine.
Gran parte dei libri sulle malefatte della classe dirigente, compreso il bestseller La Casta del giornalista Stella, sarebbero forse impubblicabili perlomeno nei loro capitoli salienti, per la semplice ragione che i fatti oggetto di quelle ricostruzioni sarebbero, in quanto implicanti intercettazioni, non citabili. L'informazione nel campo della cronaca giudiziaria arriverebbe solo a cose concluse, come un chirurgo a cui si tenesse legata la mano sino alla completa morte del paziente, per poi consentirgli graziosamente l'uso del bisturi sul cadavere. Quando, dati i tempi lunghi dei nostri processi, il fatto è letteralmente passato di attualità, quando le persone che ne sono state protagoniste sono ormai ricordi sfocati, quando il contesto nel quale il fatto è maturato appartiene al passato, l'informazione non serve più a nulla: l'informazione che arriva in ritardo non è informazione, è merce scaduta, come sa chiunque abbia un minimo concetto di che cosa sia l'informazione in una società democratica.
È facile peraltro prevedere l'effetto innanzitutto deterrente di simili norme, la cui severità si estende fino a prevedere l'arresto dei giornalisti; noi siamo un Paese in cui siamo tanto sensibili alle garanzie dei parlamentari e poi mandiamo in galera i giornalisti per fatti di questo genere. In un contesto di per sé a rischio per l'invadenza dei grandi monopoli, per l'arroganza del potere politico, il singolo giornalista da solo e dietro di lui l'editore, che naturalmente eserciterà un ruolo censorio nei confronti del suo giornalista, saranno chiamati ad esercitarsi in una gimcana estenuante tra notizie rivelabili e notizie non rivelabili, tra fatti derivanti da intercettazioni e fatti documentabili con Pag. 37altre fonti, sotto la mannaia affilata di sanzioni pesantissime e dietro la minaccia sempre attuale dell'incriminazione.
Diciamo la verità, si introdurrebbe con questo provvedimento un vero e proprio armamentario repressivo quale non esiste nel nostro ordinamento, nell'intento di imbavagliare l'informazione, impedendo quel nesso fondamentale e salutare tra le inchieste giudiziarie, la cronaca e l'opinione pubblica che da sempre costituisce un presidio insostituibile di garanzia democratica, nel nostro Paese come negli altri di civiltà occidentale. Per questo, onorevole Lo Presti, avete contro tutte le rappresentanze del giornalismo e dell'editoria, senza eccezioni. È un fronte compatto che ci chiede di non approvare questo provvedimento.
Noi pensiamo, lo abbiamo scritto nella nostra proposta di legge, che se il dominus dell'indagine ritiene di non avere più bisogno del segreto non c'è motivo per cui debba essere limitata la conoscibilità dell'attività della magistratura, anche attraverso la stampa e i vari mezzi di informazione. I cittadini, signor sottosegretario, hanno non solo il diritto, hanno il dovere di conoscere quello che accade nei tribunali. C'è stato un tempo in questo Paese, un tempo che forse alcuni di voi - spero di no - si illudono possa ritornare, nel quale la magistratura sottoposta al potere politico esercitava il suo mandato nel chiuso di aule impenetrabili, mentre i giornali sotto la sferza di assillanti censure preventive erano tenuti a dare notizia solo dei successi della polizia, a truccare le statistiche giudiziarie e dei reati ed a spargere toni rassicuranti sui casi più eclatanti di cronaca nera.
La Costituzione e la lunga lotta per attuarne i principi - Costituzione che non è sovietica, non siamo noi ad averla definita sovietica, onorevole Lo Presti - ci hanno consentito di lasciarci alle spalle quel tempo nefasto per sempre. Vi assicuriamo che nonostante pensiate di poter approvare leggi pessime come questa, quel tempo non si riuscirà a resuscitarlo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ciriello. Ne ha facoltà.

PASQUALE CIRIELLO. Signor Presidente, non è facile richiamare, seppur sinteticamente, tutte le ragioni sia di ordine strettamente giuridico sia di carattere più generale, legate cioè alle politiche di contrasto alla criminalità, che militano contro l'approvazione del provvedimento in esame. Come spesso capita per gli interventi di questa maggioranza c'è anzitutto da fare la tara tra quello che viene detto e quello che realmente si fa: misurare cioè lo scarto tra l'annuncio enfatizzato di ciascun provvedimento e gli effetti concreti che invece ad esso possono ricondursi. Questo scarto può essere di volta in volta di carattere quantitativo, vale a dire relativo all'incidenza reale delle misure adottate, o qualitativo, chiamando cioè in ballo la congruità tra le misure stesse e le finalità proclamate a gran voce.
Nella specie è questo secondo profilo, quello qualitativo, che mi pare venga maggiormente in discussione.
Si è inteso fare leva sul sentimento legittimo di ripulsa che tanti cittadini hanno provato, e provano, nel vedere intere pagine di giornale riempite di conversazioni telefoniche spesso di assai dubbia attinenza all'indagine esperita e coinvolgenti talora persone estranee ai fatti di causa, per proporre norme che mirano a perseguire, come cercherò di esemplificare, obiettivi affatto diversi. Così si è fatto riferimento all'onere finanziario insostenibile per le casse dello Stato che l'eccessivo numero di intercettazioni comporterebbe a fronte di quanto accade in altri ordinamenti, omettendo di aggiungere che in altri Paesi l'attività di intercettazione viene svolta gratuitamente in favore dello Stato ad opera delle società di telefonia. Si sono poste a raffronto grandezze numeriche non omogenee per dimostrare, ad esempio, che il numero delle intercettazioni effettuate negli Stati Uniti d'America sarebbe di gran lunga inferiore a quello italiano, omettendo di precisare che quel numero censisce solo le intercettazioni disposte su provvedimento dell'autorità giudiziaria, Pag. 38trascurando quelle assai più numerose che in quel Paese sono realizzate direttamente dalle forze di polizia. Ciò che è più grave è che si è dichiarato di voler porre argine all'abuso dello strumento intercettativo mirando, invece, a colpirne in radice l'uso medesimo.
Lasciando all'analisi dei colleghi altri aspetti assai importanti del disegno di legge, vorrei soffermarmi su due o tre di essi per sottolinearne l'assoluta incongruità e la non attinenza al tema delle intercettazioni. C'è una norma del testo, cui mi pare anche i giornali non abbiano finora prestato la dovuta attenzione, quella contenuta nell'articolo 1, comma 2, che introduce una nuova ipotesi di sostituzione del PM quando questi risulti iscritto nel registro degli indagati per il reato previsto dall'articolo 379-bis del codice penale in relazione ad atti del procedimento assegnatogli. Questa norma, ove approvata, inserirebbe nel nostro sistema un meccanismo di scelta del PM secondo modalità «self service»; infatti, essendo a tutti noto come tale iscrizione sia obbligatoria in presenza di una qualsivoglia denuncia, non può sfuggire il rischio delle strumentalizzazioni cui la norma stessa presta il fianco attraverso la presentazione di denunce pretestuose sia ad opera delle parti private sia di terzi estranei al procedimento.
Le possibili ricadute negative in caso di indagini affidate a pool specializzati - penso, ad esempio, ai pool anticamorra e antimafia - e gli effetti a valere sulla consumazione dei termini di prescrizione sono anch'essi di palmare evidenza e ciascuno può giudicarli, né è chiaro quale valore, sia in termini di diritto che di fatto, debba essere attribuito nell'ambito del procedimento in questione alla interlocuzione con il capo dell'ufficio competente. Attiene tutto questo al tema delle intercettazioni? Francamente, dire proprio di no. Attiene invece al tema tanto strombazzato della sicurezza dei cittadini? Sicuramente sì, ma in funzione inversa, nel senso che certamente non farà che abbassare il livello di certezza della pena, a tutto danno della sicurezza comune. Davvero mi piacerebbe sapere come può una maggioranza che ha fatto del tema della sicurezza una delle sue principali bandiere lungo tutto l'arco della campagna elettorale e che ancora sventola questo vessillo, spingere per l'introduzione di questa norma.
Che dire dell'articolo 3, comma 2, che innovando l'articolo 266 del codice di procedura penale consente l'intercettazione di comunicazioni tra presenti solo se vi è fondato motivo di ritenere che nei luoghi ove l'intercettazione è disposta si stia svolgendo l'attività criminosa? O ancora del frequente ricorso alla figura del giudice collegiale, come è stato richiamato, di assai difficile realizzazione negli uffici giudiziari di più ridotte dimensioni e per di più inserito senza alcuna coerenza logica in un sistema che consente al giudice monocratico di irrogare pene anche di particolare rilevanza?
Potrei continuare a lungo, ma preferisco concludere anch'io dedicando qualche attenzione al regime di oscurantismo che si intenderebbe introdurre con il divieto di pubblicazione di atti, anche per riassunto, concernenti qualsiasi indagine fino all'eventuale espletamento dell'udienza preliminare e con la sostanziale equiparazione del regime relativo agli atti coperti da segreto a quello degli atti non più secretati.
L'obiettivo viene perseguito attraverso la previsione di pesanti sanzioni pecuniarie a carico degli editori, nonché dell'ammenda (o addirittura del carcere) per il giornalista reo. Viene davvero da chiedersi in che considerazione la maggioranza di Governo abbia il diritto di cronaca quale espressione del diritto-dovere all'informazione, caposaldo - è addirittura banale ricordarlo - di ogni regime democratico.
Concludo ricordando come lo strano gioco dalle parti, messo su dal Governo e da qualche parlamentare di maggioranza, sia stato platealmente sbugiardato da un giornale certamente non sospettabile di simpatie eversive. Il Sole 24 Ore del 21 febbraio scorso, riporta, infatti, che il problema vero non è quello di punire, anche severamente, chi pubblica conversazioni Pag. 39private di un quisque de popolo irrilevanti per il processo e destinati alla distruzione; il problema è il divieto di pubblicare non solo le intercettazioni, ma qualunque notizia, anche se non più segreta, sulle inchieste in corso. Nell'articolo si conclude, poi, osservando come questo furore censorio è tutto farina del sacco del Governo e come il grande silenzio non è che uno schiaffo al diritto di informare e di essere informati. Speriamo che almeno questo induca il Governo a fare macchina indietro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Come preannunciato, sospendo la seduta che riprenderà alle ore 15 con il seguito della discussione sulle linee generali del provvedimento in esame. Gli interventi, lo ricordo, riprenderanno dall'onorevole Evangelisti.

La seduta, sospesa alle 13,20, è ripresa alle 15,05.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Leone e Vegas sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione del disegno di legge n. 1415-A.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 1415-A)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, oggi ci troviamo ad affrontare una discussione estremamente delicata che, al di là della fattispecie specifica - la disciplina delle intercettazioni, già di per sé particolarmente complessa - inevitabilmente comporta una seria riflessione non solo sul modello di democrazia che vogliamo e che volete voi, colleghi della maggioranza, ma anche, e soprattutto, sulla concezione stessa di democrazia, alla quale ogni forza politica presente in questo Parlamento si richiama.
Signor Presidente, cercherò di svolgere un ragionamento più ampio piuttosto che entrare nell'argomento specifico, anche perché francamente, dopo la dotta disquisizione introdotta dall'onorevole Palomba (con la sua raffinata cultura giuridica) e dopo l'appassionato intervento dell'onorevole Di Pietro (con la competenza e la passione che tutti gli riconoscono), francamente sarebbe arduo, per me, cercare di aggiungere qualche considerazione ulteriore nel merito, nello specifico dell'articolato. Provo, quindi, ad invitare ad una riflessione di carattere più generale, perché davvero ciò di cui stiamo discutendo qui, in questi giorni, è anche il livello della cultura giuridica di questo Paese, che sta conoscendo un imbarbarimento. Cito soltanto due elementi: le ronde (ci avviamo verso una fase che presenta i nuovi sceriffi: si sta andando verso un far west) e la limitazione delle intercettazioni, che significa tagliare le unghie e togliere i denti non ai criminali, ma ai cani della polizia. Quando parlo di cani, mi riferisco ovviamente al pastore tedesco: individuo nei cani, quindi, ossia in questi animali fedeli preziosissimi per l'uomo, uno degli strumenti dell'azione investigativa. L'azione investigativa si può svolgere con il fiuto del poliziotto, con l'intuito del magistrato e con il fiuto del cane lupo, ma soprattutto mettendo in campo le moderne tecnologie. Oggi volete limitare l'utilizzo delle moderne tecnologie d'indagine.
Riprendo il tema di una riflessione più generale. Che cosa fa di un insieme di uomini una collettività e che cosa permette a quest'ultima di riconoscersi come tale? Cosa permette ad ogni suo singolo appartenente di considerarsi parte di un tutto? Pag. 40Quali sono i meccanismi che consentono di consolidare il senso di appartenenza di ogni singolo cittadino alla propria comunità? In definitiva, su cosa si fonda quel senso del «noi» che ci permette di essere una collettività, una comunità, un popolo? Ancora, cosa permette la convivenza civile quotidiana ed il riconoscimento della sovranità popolare nelle istituzioni che la rappresentano? Uno dei riferimenti fondamentali che permettono la socialità del cittadino è la legge, ovvero quell'insieme di norme, di usi e costumi che largamente condividiamo: la legge, però, intesa anche come manifestazione concreta del senso di giustizia comunemente accettato. Perché la legge possa fare e divenire giustizia deve però essere applicata e perché ciò avvenga si devono creare e garantire le condizioni di migliore possibile applicazione. Può, in questo senso, essere utilizzato il principio del princeps legibus solutus? Esperienze del passato affermavano tale possibilità, ma siamo nel terzo millennio! Noi dell'Italia dei Valori crediamo proprio di «no» ed anzi siamo fermamente convinti del contrario. Per noi, in una comunità moderna, che voglia davvero essere democratica (ossia costituita intorno alla sovranità popolare) e che possa definirsi appunto tale, il governante non può rivendicare di essere sciolto dal patto di osservanza della legge, come è avvenuto di recente con il lodo Alfano. Abbiamo in questo Paese un tribunale che condanna l'avvocato Mills per corruzione ma il corruttore, l'onorevole Silvio Berlusconi, non può essere processato e condannato perché fatto salvo dal lodo Alfano.
Ritorniamo al punto: siamo convinti che il governante, in una democrazia moderna, debba essere maggiormente legato all'osservanza della legge più di qualsiasi altro cittadino. In una concezione di moderna democrazia il potere deve essere prima di tutto responsabilità, ovvero ciascuno deve essere chiamato a rispondere delle proprie azioni, come sarebbe dovuto avvenire anche nel caso dell'avvocato Mills che prima ho ricordato. Nessuno, soprattutto chi governa, può considerare il potere come caratteristica personale e come strumento per consolidare e difendere i propri interessi. In una democrazia civile, il potere è strumento di servizio e rappresentanza. Per questo motivo, il governante è tenuto ad un'osservanza ancora più stringente della legge rispetto al comune cittadino.
Onorevoli colleghi, oggi abbiamo l'occasione di confrontarci in quest'Aula non soltanto sulle intercettazioni, ma sull'idea stessa di democrazia, alla quale le diverse forze politiche cui facciamo riferimento si richiamano.
Noi dell'Italia dei Valori siamo convinti che un confronto su questo punto sia utile e necessario, un confronto direttamente collegato al tema che stiamo trattando, cioè ad una questione che investe da vicino le libertà personali, il diritto alla privacy, ma anche il concreto funzionamento della giustizia e, dunque, l'applicazione della legge. In questo senso, diciamo subito che noi siamo assolutamente convinti che l'applicazione della legge e il funzionamento della giustizia non solo non si contrappongano alle libertà personali e non le vincolino affatto, ma al contrario siano proprio fonte di libertà civile e democratica.
L'applicazione della legge è la fonte principale delle libertà civili in un Paese democratico, così come la certezza della pena, o meglio dell'espiazione della pena, è il principio fondamentale di una cultura giuridica veramente garantista. Attenzione, però, deve esserci la certezza della pena e della sua espiazione per tutti, non soltanto per i delinquenti comuni. Per applicare la legge, chi è chiamato a farla rispettare deve essere messo nelle condizioni di farlo. Credo che valga la pena di sottolinearlo.
Prima di affrontare, quindi, nello specifico le varie disposizioni dei diversi testi presentati in quest'Aula, è bene ricordare che sono stati presentati, oltre alla relazione di maggioranza, come normalmente avviene, ben due testi alternativi. Su questo forse una riflessione in più è necessaria, sempre sull'idea di Paese e di democrazia che ognuno di noi porta con sé e vuole rappresentare. Pag. 41
Ebbene, noi dell'Italia dei Valori siamo convinti che una democrazia moderna sia una democrazia in cui sono alti i livelli di inclusione sociale, in cui cioè anche lo straniero, il diverso, l'estraneo possa inserirsi, integrarsi e contribuire alla crescita collettiva. Anche da questo punto di vista, la legge è uno strumento fondamentale. Il funzionamento della giustizia e la sua concreta applicazione sono punti cruciali irrinunciabili.
Il rispetto della legge di e per tutti è il principio fondamentale su cui costruire ogni politica di integrazione. Ciò che rende il diverso simile ed integrabile è la certezza che ci siano regole comuni, cui tutti siano soggetti in ugual misura.
In questo senso, l'esistenza di un apparato sanzionatorio efficace e di forze dell'ordine in grado di farlo rispettare sono elementi fondamentali. Ebbene, durante l'ultima campagna elettorale, la maggioranza che oggi ci governa ha continuamente rimarcato la necessità di garantire un adeguato livello di sicurezza per i nostri concittadini. Da quando questo Governo è in carica, però, si sono susseguiti reati pesantissimi e il clima di questo Paese è quanto mai peggiorato. Quando parlo di clima, ovviamente, signor Presidente, non mi riferisco a quello meteorologico, ma alla percezione dell'insicurezza così diffusa del nostro Paese, cui fanno seguito continui decreti-legge sicurezza, sempre urgentissimi, mai risolutivi e spesso in contraddizione tra loro.
Mentre si sollecitano gli animi sul pericolo della mancanza di sicurezza e si costruisce il consenso sulla paura, questo Governo sceglie di ridurre sistematicamente i fondi per le forze di polizia, arrivando addirittura a lasciare senza benzina le volanti della polizia. Così, mentre si succedono i decreti-legge sicurezza, si continua a ridurre le risorse per il funzionamento della giustizia. Oggi, alla gravità di tutto ciò, si aggiunge anche la volontà di depotenziare le possibilità di indagine, limitando le intercettazioni. Mentre in questi giorni nel nostro Paese si leva evidente la preoccupazione per l'aumento dei reati violenti, si decide quindi di limitare la possibilità di indagine e di contrasto al crimine, vincolando l'uso delle intercettazioni, uno strumento fondamentale per combatterlo. Mai si sarebbero trovati i componenti del branco che hanno colpito a Guidonia senza l'uso delle intercettazioni e delle moderne tecnologie. Ma di cosa state parlando quindi? In un Paese in cui continuano a dilagare fenomeni di crimine organizzato, in cui mafia, camorra e 'ndrangheta continuano a rafforzarsi, si propone di limitare le intercettazioni, ovvero lo strumento principe attraverso cui, in questi anni, la magistratura e le forze dell'ordine hanno combattuto il crimine.
Voi dite che per questo tipo di criminalità ciò è escluso, come per le grandi organizzazioni e gli attentati terroristici, ma non è vero. Infatti, spesso il crimine inizia in un modo e si organizza in un altro, diventando la struttura e l'organizzazione che fa da corollario al tutto.
Nonostante quindi i proclami dell'attuale maggioranza, la questione sicurezza in Italia non solo non è stata risolta dalle scelte di questo Governo, ma anzi appare evidentemente peggiorata. Ripeto: con le ronde avete toccato il fondo, dal punto di vista della cultura giuridica, dell'imbarbarimento giuridico di questo Paese.

ROBERTO GIACHETTI. Speriamo!

FABIO EVANGELISTI. Ha ragione forse l'onorevole Giachetti, che mi suggerisce il termine «speriamo». Speriamo, perché ha ragione: a volte al peggio non c'è proprio fine.
Il problema di garantire ai cittadini un adeguato livello di sicurezza sociale deve essere affrontato con serietà e moderazione, serietà e moderazione direttamente proporzionali alla determinazione. E invece abbiamo assistito e continuiamo ad assistere a continui richiami propagandistici e ad allarmi strumentali, che rispondono più a logiche partitiche e di schieramento che alla reale consapevolezza del problema. Strumentalizzare la paura a fini elettoralistici non è accettabile, giocare con la paura da parte di chi governa può essere estremamente pericoloso; e fate Pag. 42attenzione, perché queste contraddizioni prima o poi vi scoppieranno in mano. E noi non saremo certo a gioire: saremo lì ad assistere preoccupati ad un ulteriore elemento di peggioramento del nostro vivere civile.
Noi ovviamente non siamo d'accordo perché non crediamo affatto che un cittadino onesto possa temer nulla dall'attività investigativa della magistratura e delle forze dell'ordine, perché non crediamo che la difesa del principio della libertà personale possa giustificare il disarmo dello Stato nei confronti del crimine. Noi non siamo d'accordo perché crediamo che il crimine vada perseguito con forte decisione, e perché crediamo che il rispetto della legge sia il principio fondamentale delle libertà personali e civili di ogni cittadino, perché nello spirito delle leggi resiste lo spirito di un popolo che vi si riconosce.
Onorevoli colleghi e signor Presidente, noi siamo anche convinti che la Costituzione abbia un enorme valore e rappresenti per tutti un patrimonio collettivo da custodire e tutelare. Siamo convinti che se si pensa di volerla cambiare si debba agire con pacatezza e chiarezza, utilizzando gli strumenti necessari e i percorsi indicati dalla Carta stessa. Noi non possiamo accettare che si ignori la Costituzione: farlo significa svilire ed oltraggiare il patto comune che lega i cittadini alla propria comunità; non può ignorarla - lo sottolineiamo - in particolare chi è chiamato a governare il Paese. Eppure, evidentemente il Governo, proponendo di modificare la disciplina delle intercettazioni, come anche in altri casi, pare aver dimenticato proprio la Costituzione. Il disegno di legge proposto dal Governo e licenziato dalla Commissione...

PRESIDENTE. La invito a concludere.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, la pregherei, davvero, un minuto. Abbiamo chiesto di poter ampliare i tempi della discussione. È un tema rilevante...

PRESIDENTE. Prego.

FABIO EVANGELISTI. Il disegno di legge proposto dal Governo e nel testo licenziato dalla Commissione determina secondo noi la lesione di diversi principi costituzionali, a cominciare da quello della ragionevolezza. Appare ad esempio del tutto irragionevole considerare alla stregua di un'intercettazione telefonica ed ambientale la ripresa televisiva in pubblico e l'acquisizione di tabulati. Ma lo sapete che i due romeni che hanno violato quella ragazza alla Caffarella sono stati individuati grazie alle riprese televisive quando c'è stato lo sgombero del campo? Ma di che cosa stiamo parlando, di che cosa state parlando, di che cosa andate farfugliando? Queste due tecniche sono state usate ordinariamente dalla Polizia giudiziaria per le verifiche preliminari e per l'identificazione delle persone su cui svolgere indagini; in particolare, la nuova disciplina precluderebbe l'uso delle telecamere nelle banche e addirittura negli stadi per individuare i facinorosi. Poi magari andate a piangere a Catania sulla tomba del povero Raciti!
È altrettanto irragionevole, e anche contrastante con qualsiasi logica investigativa oltre che con il buonsenso, richiedere lo stesso requisito investigativo, cioè i gravi indizi di colpevolezza, sia per un mezzo di ricerca della prova - le intercettazioni - sia per l'atto che di quella ricerca dovrebbe essere l'esito, ovvero l'eventuale misura cautelare o il rinvio a giudizio! L'introduzione di questo assurdo principio porterebbe non solo a non poter più svolgere le intercettazioni, ma neanche ad emettere misure cautelari, quand'anche fossero palesemente necessarie per la sicurezza dei cittadini, o a disporre il rinvio a giudizio.
Il testo proposto dal Governo dunque è contrastante con lo spirito della Costituzione, dicevo, ma anche con l'obbligatorietà dell'azione penale.
Secondo quanto proposto, infatti, gli organi della pubblica accusa, e le forze di polizia, potrebbero solo svolgere indagini di stampo ottocentesco, mediante testimonianze, e raccolte di prove documentali, che, dinnanzi al livello anche tecnologico a Pag. 43disposizione della criminalità organizzata ed economica di oggi, significherebbe combattere con le pietre contro i carri armati. Lei mi invita a concludere, signor Presidente: io l'ascolto, sa quanta attenzione le presto, e il mio rispetto per il Regolamento, per cui le chiedo di farmi concludere un concetto, e di consegnare la parte restante del mio intervento.
Su un ultimo aspetto, quindi, credo che valga la pena di soffermarsi: quello della libertà di informazione. La disciplina proposta sugli obblighi di segretezza e di divieto di pubblicazione con le conseguenti sanzioni è, infatti, del tutto incostituzionale, perché limita in modo sproporzionato il diritto di cronaca e non consente il controllo della pubblica opinione né sui titolari di cariche pubbliche, eventualmente oggetto d'indagine, né sui pubblici ufficiali che conducono le indagini, con grave ed irreparabile danno per la trasparenza dell'esercizio delle pubbliche funzioni sia politiche, che amministrative. Tutto ciò è in evidente contrasto con l'articolo 21 della nostra Costituzione.
Per tutti questi motivi, e per altri che nel prosieguo del dibattito avrò occasione di andare ad illustrare, so per certa una cosa: il gruppo dell'Italia dei Valori voterà contro questo provvedimento, così come è stato preannunziato, e sosterrà con forza le relazioni dell'onorevole Palomba e dell'onorevole Ferranti (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Evangelisti, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritta a parlare l'onorevole Samperi. Ne ha facoltà.

MARILENA SAMPERI. Signor Presidente, anche il Partito Democratico è consapevole che negli ultimi anni si sono verificati abusi ed eccessi nell'uso delle intercettazioni e nella loro divulgazione. Fatti privati che non avevano alcuna attinenza con le indagini sono stati pubblicati, senza alcun rispetto per la tutela della riservatezza; conversazioni irrilevanti sono state diffuse liberamente, dando spesso la sensazione che il procedimento, invece di svolgersi dentro le aule giudiziarie, si svolgesse parallelamente dentro gli studi televisivi o sui giornali. Vi è, quindi, la necessità di intervenire alla ricerca di un bilanciamento tra valori costituzionalmente garantiti, come qui è stato affermato da tanti. Da una parte, vi sono le esigenze investigative, dall'altra, il diritto di informare e di essere informati, dall'altra ancora, la tutela della riservatezza. Ma il testo del Governo approvato dalla maggioranza in Commissione, in nome di una malintesa e comoda supremazia della riservatezza, assunta, più che a valore, ad alibi, ha gravi conseguenze concrete: compromette l'efficacia dell'azione investigativa, indebolisce l'azione dello Stato, mette a rischio la sicurezza dei cittadini e comprime, sino all'inverosimile, il diritto di cronaca.
Il diritto all'informazione viene mortificato con l'estensione del divieto di pubblicazione anche del contenuto di atti non più coperti dal segreto. Già l'onorevole Zaccaria ha citato una sentenza della Corte costituzionale, ma a quella ne fece seguito un'altra, la n. 235 del 1993,confermata da una giurisprudenza costante, in cui si afferma il principio della pubblicità del giudizio come cardine dell'ordinamento democratico, fondato sulla sovranità popolare su cui si basa l'amministrazione della giustizia, nonché la garanzia del controllo della pubblica opinione sullo svolgimento del procedimento.
Oscurare totalmente la fase delle indagini preliminare, che potrebbe essere molto lunga, anche dopo la desegretazione degli atti, non aiuta a trovare il giusto punto di equilibrio tra interessi che devono convivere e contemperarsi, senza annullarsi a vicenda. Si pensi, ad esempio, al crollo di una scuola che interessa l'opinione pubblica: in applicazione di questa normativa sarebbe impossibile dare l'informazione relativa al procedimento d'indagine Pag. 44avviato dalla procura a carico di qualcuno, perché questo configurerebbe il contenuto di un atto di indagine.
Inoltre per l'estensione del segreto istruttorio, che non riguarda più solo gli atti ma anche le attività, persino la mera annotazione giornalistica relativa ad una perquisizione sarebbe inibita. E di fronte ai rischi che i giornalisti e gli editori corrono potrebbe anche preferirsi non riferire la notizia giudiziaria per evitare la sanzione, senza pensare all'indebita interferenza che l'editore potrebbe avere nei confronti del direttore per quella sorta di responsabilità oggettiva che è stata delineata nella nuova normativa e che costringerà l'editore a intervenire su una linea che dovrebbe essere di assoluta autonomia e responsabilità del direttore. Ci sarà anche una più grave conseguenza: l'opinione pubblica, proprio per questo oscuramento, si potrebbe convincere che non esiste più un'azione pubblica efficace, una risposta collettiva a problemi individuali. Se qualcosa va fatta a livello normativo per arginare la tendenza a processare le persone in televisione o sui giornali non può che essere un intervento per accelerare i processi. Questo è responsabilità del Governo, questo è responsabilità del Parlamento: accelerare i processi e rendere efficiente la macchina della giustizia.
Anche l'estensione della disciplina delle intercettazioni ai tabulati telefonici e alle videoriprese, e la limitazione delle intercettazioni ambientali restringono e comprimono la capacità d'indagine, e sottraggono importanti strumenti finalizzati alla ricerca della prova. All'equiparazione proposta seguirebbero conseguenze del tutto irrazionali. Quale sarà il destino di tutte le telecamere installate dai comuni e dai privati per finalità preventive, a difesa dei monumenti pubblici, per la sicurezza dei cittadini? Potranno essere mantenute queste telecamere? Se la risposta è «no» dovremo andare a spiegare ai comuni e ai cittadini il perché di questo abbassamento del livello di guardia sulla prevenzione. In caso di risposta positiva invece si verificherà la strana vicenda che ciò che è consentito al privato non è consentito alla magistratura. I privati potranno mettere le telecamere, la magistratura no.
Prevedere poi che si possa procedere alle intercettazioni solo su richiesta della persona offesa per procedimenti contro ignoti trasforma la doverosa attività di indagine, di cui unico responsabile e unico titolare è lo Stato, in un'attività a discrezione della persona offesa, persona offesa già peraltro sensibilmente esposta e a cui non può esser affidata una scelta così rilevante. Questa è una abdicazione dello Stato di diritto che trova la sua corrispondenza nella recente istituzione delle ronde, una giustizia fai da te che muta la fisionomia del nostro Stato.
Ma la modifica più grave che il Governo ha operato riguarda l'emendamento che richiede come presupposto per le intercettazioni la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Non sarà più sufficiente, per poter richiedere l'autorizzazione all'intercettazione, che ci sia un cadavere, che una donna venga stuprata o che un minore sia sfruttato sessualmente. Occorrerà che sia stato già individuato il possibile autore su cui devono convergere indizi talmente gravi da dimostrarne la reità: insomma lo stesso quadro indiziario necessario perché si possa limitare la libertà personale. L'intercettazione cambia così natura: non più strumento investigativo che consente l'individuazione degli autori del reato, non più mezzo di ricerca della prova, ma modalità utile solo a reperire riscontri alla ricostruzione accusatoria già effettuata dal pubblico ministero. Noi ci chiediamo: è utile vanificare la finalità più congeniale delle intercettazioni, che è quella della scoperta dell'autore del reato? E con quali conseguenze?
In caso di estorsione, ad esempio, non potrà più essere messo sotto controllo il telefono della vittima per ricercarne i possibili responsabili ma sarà necessario prima avere individuato i probabili colpevoli. Si depotenzia in questo modo un mezzo di investigazione indispensabile che ha consentito tanti risultati alle forze dell'ordine e alla magistratura nella lotta alla criminalità. Possiamo sostenere che Pag. 45sia questo il punto di equilibrio tra diritti contrapposti? Certamente no. Inoltre, dal punto di vista sistematico, è estremamente grave che la soglia dei gravi indizi di colpevolezza richiesta per l'autorizzazione all'intercettazione sia la stessa richiesta per l'applicabilità delle misure cautelari che giustamente la dottrina considera un quid pluris persino rispetto al livello probatorio necessario per rinviare a giudizio. Nel parere del CSM si legge...

PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Samperi.

MARILENA SAMPERI. Mi avvio alla conclusione, signor Presidente. La soluzione proposta con riferimento ai gravi indizi di colpevolezza appare francamente eccentrica rispetto alla natura dello strumento di indagine, che resta un mezzo di ricerca della prova, e sproporzionata per eccesso rispetto alle esigenze di accertamento dei colpevoli di reati che destano grave allarme sociale, in quanto tali indagini non possono consentire un siffatto livello di individualizzazione delle responsabilità.
Il provvedimento appare superficiale almeno sotto due aspetti, che sintetizzo brevemente. Non è stata fatta nessuna valutazione di impatto per il passaggio delle competenze dal GIP al tribunale. In effetti, ci vorrebbe un organico di almeno sedici giudici. I tribunali provinciali con organico pari o inferiore a sedici giudici oggi sono trentadue. In ben diciotto si tratta dell'unico tribunale esistente. Non è stata prevista inoltre alcuna copertura finanziaria, eppure devono essere create le sale di intercettazione distrettuali, deve essere creata una rete telematica dedicata, devono essere installati strumenti di controllo automatizzati per conoscere accessi e presenze. Nessun finanziamento è previsto, né gli interventi possono essere realizzati con i falcidiati fondi destinati dalla legge finanziaria alla giustizia.
Noi abbiamo proposto un'alternativa: un provvedimento alternativo che noi riteniamo equilibrato, che raggiunge le finalità che tutti ci proponevamo. Eppure, ritengo che la maggioranza non dovrebbe essere soddisfatta per questo provvedimento, perché all'indomani della sua approvazione questa legge renderà più debole lo Stato di fronte alla criminalità, più fragile la democrazia e meno sicuri i cittadini (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, signor sottosegretario, ritengo che su questo provvedimento sia necessario sforzarsi tutti quanti di fare chiarezza, tentando di eliminare quelle che possono essere valutazioni a volte non aderenti alla realtà. Questo delle intercettazioni, signor Presidente, è un provvedimento che non deve riguardare semplicemente una parte consistente o meno di quest'Aula. Ma io, come molti altri colleghi, avvertiamo l'esigenza che questa materia debba investire complessivamente gran parte dell'Assemblea di Montecitorio e del Paese, altrimenti avremmo semplicemente un percorso molto stretto. Non avremmo a supporto del nostro ragionamento le esperienze pregresse e l'esigenza sempre più diffusa e avvertita di dare giustizia nel nostro Paese.
Una giustizia vera, che persegue ovviamente l'obiettivo di assicurare alla pena i colpevoli e i responsabili di reati.
Chi ha memoria ed esperienza, come credo tutti quanti, vede nel provvedimento in esame motivi di grande interesse, così come abbiamo evidenziato sia in Commissione di merito sia anche nelle Commissioni che hanno reso parere in sede consultiva (mi riferisco alla Commissione affari costituzionali).
A mio avviso non vi è, da parte nostra, alcun tipo di intenzione di alterare la realtà dei fatti e non vogliamo quindi percorrere una strada che porterebbe, come qualche collega ha detto poco fa, ad una situazione di impunità e di messa in crisi della giustizia. Certo, oggi si cerca, attraverso il provvedimento in esame, di razionalizzare il tutto.
Le intercettazioni nascevano come un fatto eccezionale, non come un fatto ordinario Pag. 46nelle investigazioni. Via via nel tempo sono diventate un fatto di assoluta normalità, attraverso un uso eccezionale ed eccessivo, attraverso una strumentalizzazione anche da parte di magistrati. Questo è un dato su cui dobbiamo certamente porre la nostra attenzione. In questo momento qual è il bene da salvaguardare e tutelare? Certamente il diritto della persona e la sua dignità. La persona umana non può essere difesa a fasi alterne, in situazioni articolate e molte volte sincopate, ma deve essere tutelata sempre, nella pienezza di una valutazione e di una considerazione, nel rispetto non soltanto del dettato costituzionale, ma anche di una cultura, non solo giuridica, che è forte e presente all'interno del nostro Paese.
Il diritto alla tutela ed il diritto alla giustizia sono due momenti importanti e fondamentali, ma dobbiamo capire dove finisce il diritto alla tutela della persona e dove inizia il dato della giustizia. Ritengo che non vi siano motivi di discontinuità: bisogna capire e comprendere che alcuni processi che sono andati avanti per quanto riguarda le investigazioni non hanno tutelato la persona e hanno visto disconosciuto il bene della giustizia.
Ricordiamo, signor Presidente, che sin dal 1992-1994, il pool antimafia poneva come strumento importante l'avviso di garanzia: già comparire su un avviso di garanzia era una condanna, una sentenza passata in giudicato. Così, molte volte anche notizie apparse su intercettazioni che si riferiscono a persone, in alcune regioni ma anche sul territorio nazionale, hanno il sapore di una condanna nel giudizio, nella valutazione e nell'accezione comune diffusa all'interno del nostro Paese.
Questo è un dato che ritorna continuamente attraverso questo abuso dello strumento, dove non vi è alcuna regola, dove non vi è alcuna razionalizzazione e dove non vi è alcun limite. Razionalizzare il limite in questo tipo di azione ritengo che sia un fatto doveroso da parte del Parlamento e del Paese nel suo complesso, per dare senso e per dare significato all'azione investigativa.
Ma a proposito dell'azione investigativa, qui nessuno mai si è posto - ad esempio quando richiamavo poc'anzi la questione dell'ordinarietà o dell'eccezionalità delle investigazioni e delle intercettazioni - il problema delle investigazioni della polizia giudiziaria, che non ci sono più e vengono ad essere sostituite ed assorbite dalle intercettazioni telefoniche o dalle intercettazioni ambientali.
Non è vero che la polizia giudiziaria non svolge investigazioni quando vi sono le condizioni. Non è vero - anche ultimamente, con riferimento agli atti di stupro - ad esempio, quello avvenuto a Roma - che non vi siano stati l'azione e l'impegno della polizia giudiziaria. È necessario comprendere che abbiamo accantonato il senso ed il significato della legge n. 121 del 1981, che dava alla polizia giudiziaria la possibilità, ma, soprattutto, la condizione, per attrezzarsi sempre di più a svolgere investigazioni (anche la previsione della qualifica di ispettore di pubblica sicurezza, doveva andare in questa direzione). Via via, nel tempo, le indagini sono state presidiate, e presiedute, dai pubblici ministeri, che si sono avvalsi soltanto degli strumenti investigativi attraverso le intercettazioni, con quello che, poi, ne è seguito.
Anche di recente - ne stiamo parlando e ne parla anche la stampa - vi è stata la cosiddetta vicenda Genchi. Nessuno vi fa riferimento, ma tale vicenda, anche per la complessità e la mole degli elementi che ha raccolto questo personaggio, fa ricordare il fenomeno SIFAR, che si determinò in Italia a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta, forse per altre motivazioni (si diceva che fossero coinvolti i servizi segreti). La citata banca dati, così grande e così ampia, fa ricordare quel fenomeno, che dava delle incertezze nell'equilibrio del nostro Paese, ma dava soprattutto, in termini preoccupanti, una prospettiva antidemocratica all'interno del Paese. Certo, abbiamo ben presente la costruzione e il rafforzamento di un modello di democrazia, in cui il cittadino venga tutelato, in cui non vi siano strumentalizzazioni di sorta e in cui non vi siano iniziative che, via via, Pag. 47sono sempre più seguite nel tempo e che hanno visto compartecipi e coinvolti magistrati ed anche organi di informazione.
Questo è un dato su cui è necessario porre un'attenzione particolare e rompere questo circuito perverso che non dà il senso ed il significato di un modello di una democrazia moderna, dove si vive in termini civili e con grande equilibrio, quanto piuttosto un luogo in cui vi sono lo sforzo e l'obiettivo di fare lo scoop, in cui il pubblico ministero aumenta di potere nella gestione, oppure, attraverso la stampa, viene ad essere supportato nelle indagini. Tutto questo, quindi, anche attraverso le intercettazioni telefoniche, in cui vengono coinvolte, molte volte, persone che non c'entrano nulla. Il provvedimento in discussione non taglia le intercettazioni: le razionalizza semplicemente, dà dei limiti, le governa ed evita quelli che possono essere gli abusi.
Certo, con riferimento a questo provvedimento, abbiamo svolto alcune valutazioni e vorrei svolgerle anch'io in questo momento, come ha fatto anche l'onorevole Pecorella presso la Commissione affari costituzionali per quanto riguarda i gravi indizi di colpevolezza. Per quanto ci riguarda, vi è qualche perplessità: quando si parla di gravi indizi di colpevolezza, si restringe il campo. Cosa significano i gravi indizi di colpevolezza? Le intercettazioni non si possono fare in un ambiente o in un gruppo di persone per individuare il responsabile? E poiché vi sono gravi indizi di colpevolezza, si desume, allora, che già vi è un colpevole e, pertanto, dovrebbero scattare le misure cautelari? Vi è tutta una problematica che deve avere riscontro anche nell'azione e nell'attività emendativa, che emergerà, anche fra qualche giorno, in quest'Aula.
Signor Presidente, ritengo che, in questo momento, vi sia un problema che dobbiamo portare avanti: quello della vicenda - come dicevo poc'anzi - della banca dati e della raccolta di intercettazioni.
L'onorevole Pezzotta ha presentato un emendamento (insieme a tanti altri colleghi, non soltanto del suo e del mio gruppo) che prevede l'agenzia per le comunicazioni e la sicurezza delle reti di Stato. Questo è un dato e un aspetto importante per tentare di mantenere e di creare ordine rispetto ad una situazione e ad una vicenda che certamente rimane sempre più complessa e sempre più importante per quanto ci riguarda.
Ci sono anche altri aspetti relativi alla stampa: anche noi riteniamo eccessivo questo ampliamento, questo rafforzamento della pena con la previsione della reclusione. Vi sarebbero due momenti diversi, ossia la sanzione della reclusione che si commina ai responsabili della stampa e la responsabilità del giudice e quelle che esistono anche all'interno degli uffici giudiziari. Chi non ricorda che di molte notizie e di avvisi di garanzia sono prima avvertiti gli organi di stampa e poi, successivamente, anche i destinatari degli avvisi di garanzia stessi? È un problema che riguarda certamente la cultura giuridica, ma anche la civiltà e un modello di democrazia e di salvaguardia dei cittadini e della loro dignità, senza che ciò possa significare una limitazione delle indagini nel perseguire i responsabili di reati; si tratta di attività che certamente vogliamo che sempre più proseguano, così come vogliamo che si perseguano le situazioni che devono essere combattute e contrastate con forza.
Poi c'è un altro aspetto che vorrei sottoporre all'attenzione dell'Aula quando parliamo di intercettazioni relative alla criminalità organizzata. Per la criminalità organizzata esiste il problema dei testimoni e dei collaboratori di giustizia e sappiamo che la legislazione sul tema è insufficiente. Mi riferisco soprattutto al racket e all'usura.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MARIO TASSONE. Infine, c'è un'altra considerazione - concludo, signor Presidente - per quanto riguarda le tecnologie avanzate utilizzate dalla criminalità organizzata per neutralizzare le intercettazioni telefoniche. Si tratta di un aspetto che certamente dobbiamo tenere ben presente: l'azione Pag. 48investigativa non può essere lasciata all'intercettazione ambientale o telefonica, ma ci devono essere ovviamente anche altri momenti di riferimento dell'azione investigativa stessa che diano senso e che assicurino alla giustizia i responsabili.
Signor Presidente, ritengo che questo provvedimento, al di là delle considerazioni che sono state fatte, non vada enfatizzato e che non debba essere caratterizzato come un provvedimento che va contro, ma come un provvedimento che dà giustizia e soprattutto risposte a questioni che ci siamo sempre poste fra di noi. Ritengo che sia un segnale importante.
Noi ci siamo impegnati con spirito di collaborazione e soprattutto di miglioramento del testo stesso attraverso una serie di emendamenti - alcuni sono stati accolti dalla Commissione, soprattutto quelli relativi all'articolo 3 - e ci auguriamo che anche nel prosieguo dell'attività emendativa possano avere qualche riscontro in più il nostro impegno e il nostro sforzo.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 1415-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore di minoranza, onorevole Palomba.

FEDERICO PALOMBA, Relatore di minoranza. Signor Presidente, vorrei fare alcune brevissime considerazioni solamente perché non ho trovato, negli interventi della maggioranza, in modo particolare nell'intervento del collega Lo Presti, la risposta ad alcuni interrogativi che ho posto nella mia relazione di minoranza.
Il collega Lo Presti ha affermato che in questo disegno di legge vi è un'apertura verso le intercettazioni e ha citato, esplicitamente, il fatto che la platea dei reati nei confronti dei quali l'intercettazione può essere disposta è stata ampliata. Questo è vero, ma noi valutiamo questa mossa soltanto come uno specchietto per le allodole. Infatti, da una parte, si amplia la platea dei reati ma, da un'altra parte, si erge un muro insormontabile di tali e tante difficoltà, di tali e tanti ostacoli all'effettiva operatività e possibilità di vedere in campo le intercettazioni che, praticamente, potremmo ampliarle a tutti i reati previsti dal codice penale e dalle leggi penali speciali ma, in realtà, è come se le avessimo escluse per qualunque reato se poi le rendiamo di fatto impossibili da autorizzare.
In effetti, dire che le intercettazioni hanno sostituito le indagini tradizionali è affermare qualcosa che non corrisponde assolutamente al vero perché, salvo che non vi siano reati scoperti in flagranza o non vi sia una confessione immediata o qualcuno che si presenta al commissariato o dai carabinieri per ammettere la propria colpevolezza, in effetti non appena si ha notizia di un reato si dà luogo ad alcune investigazioni tradizionali. Intanto si lavora sul movente, poi si lavora sulla base degli informatori (ogni polizia ha persone di proprio riferimento che hanno conoscenza degli ambienti criminali e che possono dare informazioni preziose) e poi, infine, sui tabulati. Facciamo l'esempio che uno stupro, una violenza o una rapina in una villa vengano commessi in un certo posto. Dopo che se ne ha notizia si prendono i tabulati, si va a cercare chi ha fatto telefonate in quella zona coperta dalla cella e così, man mano, si ha una platea di possibili destinatari sulla quale, successivamente, si orientano le indagini.
Pertanto, le intercettazioni servono per individuare o per escludere i possibili destinatari di un'indagine investigativa. Se pretendiamo di conoscere da subito chi è sospettato di gravi indizi di colpevolezza, non abbiamo bisogno di intercettazioni. Su questo punto non ci avete dato risposte, né la maggioranza né il Governo. Non ci è stata fornita risposta perché non può esservi, per il semplice fatto che le indagini - e anche le intercettazioni - servono a indirizzare verso possibili indagati e non possono né debbono intervenire, invece, Pag. 49una volta che su una persona determinata si siano già concentrati gravi indizi di colpevolezza.
Tutta una serie di domande che abbiamo posto si concludono, a nostro avviso, nella nostra affermazione per cui queste enormi difficoltà, questo percorso ad ostacoli insormontabili, in realtà deprime, in maniera molto grave, sia le difese dello Stato sia la difesa sociale.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

FEDERICO PALOMBA, Relatore di minoranza. Signor Presidente, mi accingo a concludere il mio intervento facendo una domanda retorica soprattutto agli amici, ai colleghi e ai politici di Alleanza Nazionale della Lega. Loro, che parlano sempre di sicurezza, come possono votare a favore di un provvedimento di questo genere che contraddice fortemente le attese e le promesse di sicurezza che hanno fatto nei confronti dei loro elettori? Credo che non riusciranno a giustificare l'approvazione di questo provvedimento.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice di minoranza, onorevole Ferranti.

DONATELLA FERRANTI, Relatore di minoranza. Signor Presidente, in realtà le nostre osservazioni sono state avanzate a fronte di interventi di membri della maggioranza che si sono ridotti a tre o quattro interventi. Stamattina mi sembra che vi siano stati solo due o tre interventi, a parte quello della relatrice. Pertanto, pochi deputati della maggioranza hanno ritenuto di dover intervenire, forse perché questo provvedimento non è molto sostenibile né fa onore alla maggioranza.
Abbiamo sentito questa mattina l'onorevole Lo Presti - anch'io lo cito perché ha usato parole che non doveva usare, soprattutto nei confronti dell'opposizione - accusarci, per l'appunto, di malafede e di ipocrisia per aver rappresentato le conseguenze che sarebbero derivate e che deriveranno ove si perseveri nella individuazione dei gravi indizi di colpevolezza come presupposto per le intercettazioni.
Ritengo che un attacco ingiustificato alla serietà, correttezza e coerenza delle proposte dell'opposizione, sia in Commissione, sia in Aula, attraverso un articolato riveli proprio la fragilità e l'incoerenza del progetto governativo, a prescindere dalle parole che sono state usate sul rispetto per i giudici collegiali. In realtà, questo provvedimento rivela tutta un'impostazione basata sulla sfiducia nei confronti della polizia giudiziaria, degli organi di investigazione, del pubblico ministero e anche del giudice. Infatti, si è voluta eliminare la previsione del giudice monocratico richiedendo tre giudici solo per un'autorizzazione all'utilizzo di un mezzo di prova, la stessa collegialità ora richiesta nella riforma che è stata effettuata e che sarà portata in Senato, e che comunque fa parte del pacchetto del Consiglio dei ministri, per le misure cautelari. Infatti, i presupposti sono i medesimi: si richiedono gravi indizi di colpevolezza.
Quindi, si chiede qualcosa che in realtà svuota di qualsiasi significato e contenuto un mezzo di ricerca della prova. Si va a ricercare una prova che già si ha e che è sufficiente per richiedere una misura cautelare (carcere, arresti domiciliari, obbligo di dimora o altra misura interdittiva). Quindi, a questo punto, veramente forse chi attacca ingiustificatamente vuol dire che sa di stare sulle sabbie mobili e sa che tutto questo riformismo, fatto apparentemente in nome della tutela della riservatezza, in realtà mira a bloccare le indagini.
Si faceva prima a dire che non si vogliono certe indagini, soprattutto nei confronti di alcuni reati. Si faceva prima a dirlo e a seguire l'impostazione che voleva il Presidente del Consiglio dei ministri quando più volte ha dichiarato di non volere intercettazioni per reati contro la pubblica amministrazione e che non sarebbero più state fatte.
Il Ministro è intervenuto più volte per dire all'opinione pubblica che era stata ripristinata tutta la lista dei reati, ma forse si è dimenticato di dire che per quei reati, tra cui vi sono anche i reati contro la Pag. 50pubblica amministrazione, contro il patrimonio e contro la libertà personale, non è più richiesto che vi siano gravi indizi di reato (cioè che il fatto sia compiuto), ma che vi sia un colpevole.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

DONATELLA FERRANTI, Relatore di minoranza. Quindi, si equiparano intercettazioni e videoregistrazioni, si impedisce l'uso delle intercettazioni in altri procedimenti, si trancia a sessanta giorni l'utilizzo delle intercettazioni e il proseguimento dell'azione, anche ove vi siano elementi emersi proprio al cinquantanovesimo giorno. Si pongono, pertanto, limiti alla comunicazione, all'investigazione, alla libertà anche del cittadino di vagliare e verificare l'esercizio della giurisdizione.
Questo non è un provvedimento da poco, come ha dichiarato l'onorevole Tassone poc'anzi, ma un provvedimento che, tutto insieme, costituisce un grave attacco a valori importanti della nostra Costituzione.

PRESIDENTE. Deve concludere.

DONATELLA FERRANTI, Relatore di minoranza. Eravamo partiti - concludo, signor Presidente - dalla necessità di preservare i soggetti estranei al procedimento dall'essere sbattuti in prima pagina e qui non si arriva a questo. Qui si arriva a comprimere l'investigazione, la sicurezza dei cittadini ed anche il controllo dei cittadini nei confronti di ciò che accade nei tribunali.

PRESIDENTE. Onorevole Ferranti, non ho voluto interromperla, tuttavia, essendo relatrice, il suo posto è al banco del Comitato dei nove ed è da quel luogo che deve svolgere il suo intervento.
Prendo atto che il presidente della Commissione giustizia, onorevole Bongiorno, relatrice per la maggioranza, rinuncia alla replica.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

GIACOMO CALIENDO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, credo che se questo provvedimento verrà esaminato nel corso del dibattito senza pregiudizi e senza preconcetti probabilmente alcune cose che sono state dette andranno corrette da parte di tutti. Mi riferisco alla necessità di predisporre un intervento da parte del Ministro Alfano che è condivisa dall'intero panorama politico: tutti condividono la necessità di intervenire sulla materia delle intercettazioni, al fine di contemperare le esigenze investigative con il diritto alla riservatezza e di coniugare e contemperare le esigenze di tutela della vita privata con il diritto all'informazione, valori fondamentali protetti dalla nostra Carta costituzionale e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.
Noi dobbiamo anche ricordare che il legislatore è già intervenuto in questa materia e l'attuale disciplina delle intercettazioni prevede, proprio a seguito di quella modifica legislativa, che le intercettazioni possano essere disposte quando sono «assolutamente indispensabili». È raro che il legislatore intervenga, nell'adottare un termine ci si pensa tre volte, quindi l'indispensabilità è stata ritenuta non sufficiente, e si è ritenuto necessario caricare il termine «indispensabile» con l'avverbio «assolutamente», per la prosecuzione dell'indagine: ciò presuppone che vi fosse già un'indagine avviata, qualcosa di serio.
Perché non noi di questa maggioranza, ma il Parlamento ha ritenuto già nella passata legislatura di dovere intervenire? Non solo per le intercettazioni cosiddette «a strascico», ma perché vi è stato un modo di interpretare la funzione inquirente errato da parte di alcuni pubblici ministeri, i quali hanno ritenuto comodo adagiarsi sull'attività di indagine attivata con le intercettazioni prima di qualsiasi altra attività di indagine. Tale valutazione non è di questo Governo, ma era già stata svolta nella passata legislatura, quando si pervenne ad una valutazione di tale necessità, approvando l'articolo 1 di quel Pag. 51provvedimento. Nella XV legislatura fu approvato l'articolo 1, lettera a), del disegno di legge governativo A.C. 1638: la norma approvata da quella maggioranza prevedeva il divieto di pubblicazione, anche parziale o riassuntiva, degli atti di indagine fino alla conclusione delle indagini preliminari, ovvero fino al termine dell'udienza preliminare. Questa norma fu votata nella passata legislatura.
Quindi, anziché scandalizzarci delle indicazioni date da questo provvedimento, andiamo a rivedere le norme già approvate e valutiamo se sono ancora attuali e quali correzioni apportare. In questo modo ci renderemo anche conto che è assurdo, quando si parla in relazione all'articolo 1, che occorre focalizzare e identificare la condotta. Non ci si rende conto che una cosa è stabilire una sanzione o una pena, per cui occorre identificare con precisione la condotta, un'altra intervenire in materia di astensione e ricusazione del giudice o del pubblico ministero, materia che attiene al buon andamento degli uffici giudiziari, una cosa ben diversa dalla sanzione che deve accompagnare l'identificazione di una condotta di violazione.
Qui non ci troviamo di fronte ad una condotta di violazione, ma ad una condotta che può essere oggettivamente tale da rendere nocumento all'amministrazione della giustizia, degli uffici giudiziari.
Per evitare che si concretizzasse quel pericolo, qui denunciato anche oggi, di una denuncia strumentale che avrebbe comportato l'iscrizione obbligatoria, si è prevista la necessaria interlocuzione tra due procuratori della Repubblica. Tale interlocuzione avrebbe consentito, e consentirà, di escludere la possibilità di un successo degli abusi perché serve proprio a verificare, in primo luogo, se vi è stata un'archiviazione, ma anche la serietà e la gravità della denuncia presentata.
Devo dire che mi meraviglia che il Consiglio superiore della magistratura critichi l'attuale scelta sulla disposizione che ho appena richiamato, quella del divieto di pubblicazione anche parziale o per riassunto, perché nel 2006, in relazione all'altra norma approvata nella passata legislatura, pur sollevando anche allora un rilievo critico, il Consiglio apprezzava l'intento del provvedimento e scriveva che era «certamente apprezzabile e giustificato dagli abusi che la cronaca giudiziaria ha ormai da tempo evidenziato, soprattutto con la pubblicazione di conversazioni intercettate spesso irrilevanti in relazione al merito delle indagini svolte, ma idonee a suscitare un morboso interesse dell'opinione pubblica per il loro contenuto e per la notorietà delle persone coinvolte». Questo affermava il Consiglio superiore della magistratura.
Per quanto concerne la questione dell'ammissibilità delle operazioni di intercettazione, ancora oggi anche l'onorevole Di Pietro ha sollevato la questione della parificazione dei tabulati alle intercettazioni o alle riprese televisive. A parte il fatto che nell'ambito dei lavori della Commissione lo abbiamo chiarito - meno male che l'onorevole Rao, oltre che l'onorevole Nicola Molteni, hanno ricordato come siano stati accolti alcuni emendamenti e sia stato modificato il testo originario del Governo - ma rispetto ad alcune riprese visive si è detto con chiarezza che in base alla giurisprudenza, non solo della Corte di cassazione, quando si parla di riprese visive da parificare alle intercettazioni si tratta soltanto di quelle riprese visive captative, e quindi l'esempio fatto dall'onorevole Di Pietro non rientra nella previsione di legge.
Nello stesso tempo, la parificazione del tabulato all'intercettazione non l'ha proposta il Governo, né la Commissione, ma l'ha disposta, e di essa dà conto, la giurisprudenza costante della Corte costituzionale fin dalla sentenza n. 81 del 1993, per non parlare della giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo che si colloca nella stessa linea della perfetta parificazione sotto il profilo dei presupposti delle autorizzazioni, tra tabulati e intercettazioni.
Per quanto concerne le critiche al presupposto dei gravi indizi di colpevolezza che ho ascoltato, qui si può discutere, ma a me dà fastidio che in materia di diritto si discuta partendo dal presupposto che vi sia una volontà prava di una parte di voler Pag. 52pervenire ad un risultato di non funzionamento della giustizia. Vi sono, invece, un minimo di attenzione e di rispetto reciproco che ci porterebbe a dire cose che probabilmente non corrispondono alla realtà.
Quando si parla di gravi indizi di colpevolezza non si vuol intendere gli indizi che servono per la condanna; finora vi è stata una giurisprudenza che conta ormai milioni di decisioni che riconoscono che vi è una differenza fondamentale rispetto ai gravi indizi di colpevolezza previsti dall'articolo 273 del codice di procedura penale e che specificamente spiegano che non corrispondono a quelli che sono previsti per i giudizi di colpevolezza nel processo indiziario.
Allora, per quale motivo non riconoscere che il presupposto che oggi legittima, in base a questo provvedimento, le intercettazioni significa che i gravi indizi di colpevolezza devono essere intesi come l'esistenza di una serie di ipotesi investigative in relazione tanto al fatto reato, quanto al possibile autore. Se vorrete, nel corso del dibattito eventualmente li elencherò: da uno studio effettuato ci sono almeno venti-venticinque casi che sulla base di interpretazioni giurisprudenziali consentirebbero l'attivazione delle intercettazioni.
Mi sono limitato a questi aspetti, in quanto non dobbiamo dimenticare che con il doppio binario creato dal disegno di legge per quanto concerne la criminalità organizzata, i reati di terrorismo e di mafia non c'è problema, in quanto tutto resta uguale. Così rispondo anche ad un'ulteriore obiezione secondo cui con la creazione del tribunale distrettuale che dispone l'autorizzazione alle intercettazioni si verificherebbe una impossibilità di funzionamento.
I limiti posti alle intercettazioni sono corretti e rendono le intercettazioni coerenti con i principi fissati dalla Corte costituzionale e dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. Rispetto a queste intercettazioni non avremo nessuna diminuzione del grande numero di intercettazioni già oggi esistenti e non vi saranno nessuna spesa e nessun problema, perché già per quel tipo di reati la competenza spetta al pubblico ministero distrettuale; quindi, non vi sarà nessun passaggio o trasferimento di fascicoli. Non voglio tener conto, per gli altri, del provvedimento appena approvato dal Consiglio dei ministri in materia di processo penale che ha introdotto la digitalizzazione che consentirà l'informatizzazione del fascicolo del pubblico ministero e del giudice.
Si è detto - credo da parte dell'onorevole Zaccaria - che l'informazione in ritardo è merce scaduta. Certo, dal punto di vista del diritto dell'informazione e del diritto di cronaca, se vi è stata già una fuga di notizie e l'atto è in ritardo, allora è merce scaduta. Se, invece, si parla di notizie non divulgate, allora si tratta di merce nuova. Tuttavia, non è questo il problema.
Avrei capito se vi fosse stata una scelta (anche dell'opposizione) in base alla quale, per i reati diversi da quelli di mafia e terrorismo, si condividesse lo spostamento dal dato oggettivo del reato a quello soggettivo della colpevolezza. Avrei capito se l'opposizione ci avesse rivolto un invito sotto il profilo della necessità di tutelare la segretezza degli atti anche non coperti dal segreto, limitatamente al loro contenuto o per riassunto. Per quanto mi riguarda non si tratta di una tesi di oggi, in quanto l'ho sostenuta a un convegno della Camera nel 1994 (all'indomani di «mani pulite») per gli effetti perversi che la pubblicazione di questo tipo di intercettazioni hanno avuto sulla stessa vita politica di questo Paese, in quanto è diventato uno strumento di lotta politica e non di ricerca della prova.
Allora, di fronte a queste situazioni avrei capito se mi si fosse proposto di stabilire un limite diverso (poiché nella XV legislatura era stato approvato lo stesso limite che oggi viene proposto dal disegno di legge). Invece, nel momento in cui si sollevano esclusivamente contestazioni, probabilmente non si giungerà ad un risultato condiviso e non riusciremo ad individuare la soluzione migliore per arrivare ad attuare gli obiettivi comuni di tutti.

Pag. 53

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: S. 1306 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 208, recante misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione dell'ambiente (Approvato dal Senato) (A.C. 2206) (16,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 208, recante misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione dell'ambiente.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2206)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Partito Democratico e Italia dei Valori ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che l'VIII Commissione (Ambiente) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Tortoli, ha facoltà di svolgere la relazione.

ROBERTO TORTOLI, Relatore. Signor Presidente, anche in questa circostanza la Camera dei deputati è chiamata ad esaminare in tempi ristrettissimi un decreto-legge il cui contenuto, pur ampliatosi notevolmente al Senato con l'ingresso di ulteriori quattordici articoli e numerose disposizioni inserite nei nove articoli originari, risulta complessivamente unificato dalla finalità di intervenire nella materia ambientale.
In particolare, l'articolo 1 novella le norme transitorie relative alle autorità di bacino contenute nell'articolo 170 del codice ambientale, al fine di prorogare le stesse autorità di bacino fino all'entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previsto dall'articolo 63, comma 2.
L'articolo 2 introduce una forma di risoluzione stragiudiziale del contenzioso relativo alle procedure di rimborso delle spese di bonifica e ripristino di aree contaminate ed al risarcimento del danno ambientale. Si tratta di una novità importante, che tende a migliorare l'attuale situazione, caratterizzata dal verificarsi di numerosi contenziosi riguardo alle procedure per il rimborso ed il ripristino. In tale ambito, il Senato ha approvato alcune modifiche, volte essenzialmente a conferire una maggiore precisione al dettato normativo, a valorizzare il ruolo dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e a disciplinare compiutamente l'utilizzazione del terreno o di singoli lotti o porzioni da parte del proprietario, nel rispetto della destinazione urbanistica e degli obiettivi di bonifica.
L'articolo 3 reca una serie di disposizioni in materia di personale, finalizzate ad assicurare la funzionalità dell'ISPRA, in considerazione del fatto che almeno un terzo delle sue attività istituzionali è attualmente assicurato attraverso l'impiego di personale non legato all'istituto da un corretto contratto di lavoro a tempo determinato.
Il comma 3-bis, introdotto dal Senato, prevede che il collegio dei revisori dei conti, già operante in seno all'APAT, eserciti le sue funzioni anche in luogo dei corrispondenti organi già operanti in seno all'ICRAM e all'Istituto nazionale per la fauna selvatica, anch'essi confluiti nell'ISPRA.
L'articolo 4 - modificato al Senato - reca disposizioni volte a permettere il funzionamento della commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale, attraverso la semplificazione dell'iter di utilizzazione dei fondi destinati a coprire le spese di funzionamento della commissione stessa, mentre l'articolo 4-bis - introdotto al Senato - estende le predette norme di Pag. 54semplificazione alla commissione istruttoria per l'autorizzazione ambientale integrata (IPPC).
L'articolo 5 reca alcune proroghe in materia di rifiuti: la prima riguarda la proroga dell'attuale regime di prelievo della TARSU, la seconda la disciplina transitoria per le discariche dei rifiuti, la terza i criteri per l'assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani. Inoltre, durante l'iter al Senato, sono state introdotte alcune norme sul consorzio nazionale imballaggi (Conai), sul modello unico di dichiarazione ambientale (MUD) e sulla tariffa di igiene ambientale (TIA).
L'articolo 6 proroga al 31 dicembre 2009 il termine dal quale decorre il divieto di conferimento in discarica dei rifiuti con potere calorifico inferiore (PCI) (il cosiddetto fluff di frantumazione degli autoveicoli), previsto dall'articolo 6, comma 1, lettera p), del decreto legislativo n. 36 del 2003.
Il comma 1-bis, introdotto anch'esso durante l'esame al Senato, reca una disposizione derogatoria transitoria finalizzata a consentire, per un periodo di dodici mesi, l'esclusione dal regime dei rifiuti per le materie, le sostanze e i prodotti secondari stoccati presso gli impianti autorizzati alla gestione dei rifiuti in base alle vigenti norme ambientali, che effettuano una o più delle operazioni di recupero dei rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata urbana o da raccolte dedicate di rifiuti speciali recuperabili in carta o cartone, vetro, plastica e legno.
L'articolo 6-bis, introdotto durante l'esame al Senato, novella il comma 1284-bis dell'articolo 1 della legge finanziaria per il 2007, al fine di aggiungere, alle finalità del Fondo a favore della potabilizzazione, microfiltrazione e dolcificazione delle acque di rubinetto istituito dal comma citato nello stato di previsione del Ministero dell'ambiente, anche la naturizzazione delle acque di rubinetto.
Gli articoli 6-ter e 6-quater, introdotti durante l'esame al Senato, recano rispettivamente norme in materia di inquinamento acustico e rifiuti contenenti idrocarburi. L'articolo 7 interviene sulla normativa che disciplina la gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche.
L'articolo 7-bis, introdotto durante l'iter al Senato, reca disposizioni volte ad ottenere una riduzione dell'utilizzo di carta presso le pubbliche amministrazioni. L'articolo 7-ter, anch'esso introdotto al Senato, attraverso una novella al comma 1-bis dell'articolo 4 del decreto-legge n. 314 del 2003, modifica le percentuali relative al contributo di compensazione territoriale previsto a favore dei siti che ospitano centrali nucleari e impianti del ciclo del combustibile nucleare. L'articolo 7-quater, introdotto nel corso dell'iter al Senato, destina 9 milioni di euro per la promozione di progetti ed iniziative ambientali, nonché per interventi di manutenzione degli immobili di pertinenza del Ministero dell'ambiente. L'articolo 7-quinquies, introdotto dal Governo nel corso dell'iter al Senato, prevede la promozione della sensibilità ambientale e dei comportamenti ecocompatibili nella scuola secondaria superiore e nell'università, attraverso la realizzazione di progetti e iniziative di interesse generale. L'articolo 7-sexies, introdotto anch'esso dal Governo nel corso dell'iter al Senato, è volto ad incentivare, con finalità ecologiche, il mercato dell'usato.
L'articolo 8 dispone un primo finanziamento di 100 milioni di euro per fronteggiare le situazioni di emergenza derivanti dai fenomeni alluvionali che si sono verificati nei mesi di novembre e dicembre 2008 ed un altro di 19 milioni di euro per la prosecuzione degli interventi conseguenti agli eventi sismici che hanno colpito le province di Parma, Reggio Emilia e Modena il 23 dicembre 2008. Infine, vengono introdotte norme di modifica delle modalità di rendicontazione dell'attività da parte dei Commissari all'emergenza e disposizioni per i volontari dell'Associazione italiana della Croce rossa italiana e del Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico.
L'articolo 8-bis novella il comma 167 dell'articolo 2 della legge finanziaria per il 2008, prevedendo che il Ministro dello Pag. 55sviluppo economico di concerto con il Ministro dell'ambiente, d'intesa con la Conferenza permanente Stato-regioni, definisca con uno o più decreti la ripartizione fra le regioni della quota minima di incremento dell'energia elettrica prodotta con fonti rinnovabili necessaria per raggiungere l'obiettivo del 17 per cento del consumo interno lordo entro il 2020, e dei successivi aggiornamenti proposti dall'Unione europea. Gli articoli 8-ter, 8-quater e 8-quinquies modificano il codice ambientale, rispettivamente in materia di rocce e terre da scavo e di residui di lavorazione della pietra e del marmo, accordi e contratti di programma per la gestione dei rifiuti, acqua di falda.
L'articolo 8-sexies, introdotto durante l'esame al Senato, è finalizzato a disciplinare il rapporto con l'utenza da parte dei gestori dei servizi di depurazione, anche al fine di dettare le necessarie norme per l'attuazione della sentenza della Corte costituzionale n. 335 del 2008.
Mi avvio alla conclusione, soffermandomi brevemente sui pareri espressi dalle Commissioni di settore e dal Comitato per la legislazione. Per quanto riguarda quest'ultimo, desidero precisare che, per la ristrettezza dei tempi a disposizione, in ragione dell'imminente scadenza del termine per la conversione del decreto-legge in esame, la Commissione ha ritenuto di non poter recepire le due condizioni segnalate dal Comitato, con riferimento all'articolo 6-ter e ai commi 5-bis e 5-ter dell'articolo 8. Quanto agli altri pareri parlamentari, faccio presente in primo luogo che, ad eccezione della V Commissione, la quale renderà il parere direttamente all'Assemblea, le Commissioni I, II, VI, X, XI, XII, XIII e XIV e la Commissione per le questioni regionali si sono pronunciate sul provvedimento in esame esprimendo un parere favorevole, sebbene talune di esse abbiano formulato delle osservazioni sul contenuto di alcune specifiche disposizioni, che si è ritenuto opportuno non recepire per il solito motivo legato alla ristrettezza dei tempi e alla scadenza di questo provvedimento.
Infine mi sia consentito di esprimere un forte auspicio: che la decisione assunta dalla Commissione con il contributo costruttivo, ciascuno nel proprio ruolo, dei gruppi di maggioranza e di quelli di opposizione, di sacrificare a beneficio della discussione in Assemblea l'esiguo tempo a disposizione di questo ramo del Parlamento per approfondire i temi e i problemi affrontati dal decreto-legge in esame, possa trovare un giusto riconoscimento nella qualità del dibattito e nella bontà delle scelte che l'Assemblea si appresta a compiere nell'esame del provvedimento. Per quanto tuttavia concerne il mio specifico ruolo di relatore, mi corre l'obbligo, signor Presidente, di riferire all'Aula l'unanime giudizio emerso nel dibattito in Commissione sulla necessità che siano garantiti in futuro ad entrambe le Camere tempi adeguati di discussione e di approfondimento dei provvedimenti in esame.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, intervengo semplicemente perché vorrei stigmatizzare, lasciare agli atti, e affidare alla sua nota sensibilità il fatto che ci troviamo ad affrontare un dibattito su un decreto-legge, sull'ennesimo provvedimento durante il cui esame è assente il presidente della Commissione. Ovviamente ringraziamo molto il collega Tortoli, che è stato relatore e che adesso, immagino, si spoglierà dei panni di relatore e farà il «presidente rappresentante» in quanto vicepresidente, e che contemporaneamente riesce anche nel salto mortale di rappresentare la maggioranza, che non è presente con alcun componente in Aula. Vorrei anche dire che...

RENATO WALTER TOGNI. Ci sono io!

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo scusa, non avevo notato. Chiedo scusa, ha ragione Pag. 56il collega a correggermi: su trecento e passa deputati ce n'è uno, e quindi gli va reso onore, è bene menzionarlo.
Vorrei anche aggiungere, signor Presidente, che a proposito della serietà con la quale si affrontano questi argomenti, abbiamo presente per il Governo (anzi, non lo abbiamo neanche più presente, lo avevamo presente fino a qualche istante fa) il sottosegretario Caliendo, che notoriamente ha dedicato tutta la propria vita professionale a occuparsi dei problemi legati all'ambiente e alle risorse idriche, e che quindi sicuramente sarà in grado di recepire le considerazioni che verranno svolte in Aula e trasformarle in un'azione di merito sul provvedimento, che possa accogliere modifiche ad esso.
Aggiungerei che il collega Tortoli ci ha reso noto che vi è una nuova giurisprudenza che si manifesta in Aula e nel processo legislativo, ed è quella del «solito motivo»: giustamente il collega Tortoli ci ricordava che vi è il solito motivo, cioè quello dell'esiguità dei tempi, della scarsezza di tempi per la quale non si possono considerare proposte alternative e migliorie da apportare. Diciamo che questo ancora, ringraziando Iddio, non fa parte né della giurisprudenza né della consuetudine, né di nulla che possa giustificare il fatto che per l'ennesima volta ci troviamo ad affrontare un provvedimento sul quale già, come lei sa perfettamente, signor Presidente, si ventila l'ipotesi dell'apposizione della questione di fiducia; ciò restringe ulteriormente quelle possibilità, che auspicava il collega relatore, di una partecipazione al dibattito da parte di tutti, in particolare dell'opposizione con le proprie proposte emendative. Anzi, porterà in ipotesi a inserire alcuni emendamenti, che erano stati considerati inammissibili al Senato e che si vorranno introdurre alla Camera con l'apposizione della fiducia, in maniera che così tutto torni, tutto torni a posto.
Il contesto nel quale agiamo, il contesto nel quale ci troviamo ad operare è però quello che è sotto gli occhi di tutti: se ci fosse una telecamera che potesse trasmettere a milioni di persone non soltanto l'inquadratura dell'oratore, ma anche il desolante panorama dell'Aula probabilmente ci renderemmo conto di quali sono le condizioni nelle quali ci troviamo lavorare.

PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, come lei ben sa non è obbligatoria la presenza del presidente della Commissione, ed è evidente che il suo è un richiamo di altro genere, più di tipo prettamente politico.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
È iscritto a parlare l'onorevole Piffari. Ne ha facoltà.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Signor Presidente, anche io vorrei svolgere una lamentela, perché in Commissione avevamo dato tutta la disponibilità a svolgere il dibattito in Aula; però, in Commissione non abbiamo avuto la possibilità di discutere le questioni di carattere generale previste nel provvedimento con la parte del Governo interessata a questa materia.
Mi interessa, prima di entrare nel dettaglio del decreto-legge, sottolineare alcuni aspetti. Spesso dal Presidente del Consiglio viene richiamata, come unica modalità operativa, l'utilizzo dei decreti-legge. Chiedo scusa al Presidente, ma faccio fatica a trovare la differenza, nella precarietà e nell'impulsività con cui vengono presi questi provvedimenti, tra l'operare della giunta del piccolo comune di Valbondione, di mille abitanti, e questo Governo. In una lettera pubblicata oggi su un quotidiano vi è scritto: caro direttore, l'ENEL ha raccolto in un codice tutte le disposizioni che disciplinano le sole energie rinnovabili; si tratta di un volume di 1.900 pagine, oltre 250 provvedimenti. La società Autostrade ha calcolato che negli ultimi otto anni, dal 2001 al 2008 - quindi, non solo durante il Governo Prodi, ma anche durante il precedente Governo Berlusconi - sono intervenute nel solo settore di sua competenza ben trentotto diverse leggi nazionali e regionali.
Con questo provvedimento, di fatto, si interviene nuovamente in un ambito di Pag. 57materie - rifiuti, difesa idrogeologica e, specialmente, ambiente - la cui disciplina, in questi pochi mesi di legislatura, è stata già più volte modificata. Il codice ambientale, che non ha molti anni (è stato varato in pompa magna un paio di anni fa) ancora adesso fa fatica, arranca, perché continuiamo a modificarlo, a rivederlo, a sovrapporgli altri provvedimenti; non riusciamo più a capire se sia vigente il codice ambientale o i decreti-legge emanati successivamente. Tutto ciò rappresenta una difficoltà anche per l'operatore, non solo per il legislatore.
Spesso, anche in questo provvedimento, viene inserita la classica frase: con nessun onere aggiuntivo a carico dello Stato, ma non pensiamo mai agli oneri aggiuntivi a carico dei cittadini. Continuiamo a prorogare, come in questo caso, con altri sette o otto provvedimenti, l'avvio di un quadro chiaro che viene enunciato con una legge, ovvero con un provvedimento più approfondito rispetto a un decreto e più corposo. Ad esempio - vedremo in quale articolo è previsto ciò - si dichiara di non poter applicare il decreto-legge n. 112 del 2008 considerato dal Ministro Tremonti come un provvedimento innovativo, come un quadro invalicabile nelle sue cornici di spesa. In pratica, non teniamo conto di un decreto-legge che doveva essere lapidario, che doveva rappresentare un confine ben preciso per la tenuta dei conti e dei comportamenti di spesa annua dello Stato, dei suoi apparati, dei suoi organi periferici. Questa pietra miliare prevista dal Ministro Tremonti viene presa come semplice riferimento, come uno dei tanti ordini del giorno, come una raccomandazione, presentata dai deputati in Aula.
Già dall'iter di questo decreto durante la lettura al Senato, si capisce la precarietà e la necessità di prevedere l'emergenza in un documento, un'emergenza che non ha più un peso e una misura. Non c'è l'importanza. Ognuno dei settori del Governo, con la giusta pressione o con l'autorità che ha, ci mette il suo pezzettino. Tant'è vero che da otto articoli, durante l'esame al Senato, siamo passati a oltre venti (circa ventidue-ventitre), e il provvedimento è stato fatto oggetto di ampliamento non per la materia considerata dal decreto originario ma per l'aggiunta di altre questioni che in alcuni casi segnano passi avanti e in altri passi indietro rispetto alla legislatura corrente.
Abbiamo discusso e quest'Aula ha già approvato il disegno di legge del Ministro Calderoli diretto a «tagliare» migliaia di leggi e che enunciava altre migliaia di legge inutili, ma noi siamo bravissimi perché manteniamo un ritmo forte nel modificare le norme e quindi nell'apprestare pezzettini di altre leggi rendendo inutili altre disposizioni, e senza sapere il perché.
Per quanto riguarda l'articolo 1, in materia di autorità di bacino, vi sono due questioni di fondo che non possiamo lasciare all'emergenza e allo strumento del decreto-legge. Mi riferisco in primo luogo alla necessità di recepire e attivare (non si tratta dunque solo di trasporre le norme perché occorre anche una loro attivazione) talune direttive europee del 2000 (per la precisione della fine del 2000). Siamo all'inizio del 2009 e noi siamo ancora in grado di prorogare l'applicazione di quelle direttive fino alla fine del 2009, e solo dalla fine del 2009 avremo quindici anni per applicare i provvedimenti di legge da noi prodotti. Di fatto non riusciamo a far partire quegli otto distretti idrogeologici che sostituiscono strutture che ormai sono obsolete e che - ce ne siamo accorti - hanno creato solo centri di spesa e, molto spesso, difficoltà dal punto di vista burocratico.
Oggi noi diciamo che siccome c'è un'emergenza idrogeologica abbiamo necessità di prorogare ancora le strutture di gestione di questi bacini idrogeologici. Allora dobbiamo garantire anche le relative risorse, le risorse umane, quindi il personale, in barba a quanto definito nel decreto-legge n. 112 del 2008. Ma tutti gli anni abbiamo degli eventi alluvionali. Dobbiamo pensare che questa è la normalità per il territorio italiano e dovremmo avere strumenti per affrontare questa normalità, e non invece rincorrerla con la disperazione del pianto, rendersi conto che non abbiamo le risorse e che, purtuttavia, si Pag. 58deve intervenire con urgenza. Cosa facciamo? Stabiliamo una proroga ulteriore. Poi, entreremo nel dettaglio, durante la discussione sugli emendamenti, se il Governo ce lo permetterà, e se un altro voto di fiducia invece non impedirà tale dibattito. C'è una questione sull'articolo 2, relativa al danno ambientale, anche in questo caso. Ci dimentichiamo del codice ambientale e affrontiamo la materia con provvedimenti d'urgenza o d'emergenza. Non pensiamo che abbiamo un quadro generale, su tutto il territorio italiano, di siti contaminati che devono essere affrontati e i cui problemi devono quindi essere risolti in modo definitivo, sia per riqualificare le aree di degrado, sia per garantire a chi vive in quelle località una prospettiva migliore rispetto a quella che purtroppo, nel frattempo, le statistiche delle ASL locali fanno emergere, visto che in certi luoghi c'è un aumento di mortalità per tumori e quant'altro, e arriveremo - come in alcuni casi siamo già arrivati - a dover pagare danni pesanti, sia dal punto di vista delle vite umane sia da quello delle risorse.
Invece, che cosa facciamo? Prevediamo norme di deroga che ci permettono di accelerare in alcuni siti, eventualmente attraverso accordi di programmi, patti tra le parti, peraltro già previsti anche dal codice civile, deroghe che ci permettano di affrontare quei casi - uno, due o tre, su un centinaio e più che ne abbiamo -, non sappiamo bene perché così urgenti, attraverso lo strumento della conferenza di servizi che è vincolante indipendentemente da chi esprime eventuali pareri contrari o anche dall'assenza di alcune parti. Noi di fatto deleghiamo una materia strettamente di competenza dello Stato a conferenze di servizi dove troveremo, probabilmente, attori sul territorio che sono soltanto gli enti locali o altri e non lo Stato.
Forse lo Stato per una serie di circostanze (mancanza di risorse, tempi ristretti nella convocazione) non sarà presente e, quindi, impossibilitato ad esprimere quei pareri vincolanti che salvaguardino le popolazioni in quelle aree interessate. Insomma, anche in questo strumento di valutazione sul danno ambientale, trascuriamo l'aspetto principale di tutela della salute dei cittadini che lì vivono. Lo trascuriamo, tant'è vero che gli accordi presi all'interno di questi patti escludono qualsiasi tipo di ulteriore rivalsa, anche nel caso in cui si vengano a scoprire dopo, con il passare degli anni, i danni causati nel frattempo da quegli inquinamenti.
Si tratta di una materia molto regolamentata dal codice ambientale eppure, a distanza di due anni, pur non essendo ancora avviata l'applicazione di quella materia e di quella legge, noi riteniamo di intervenire urgentemente attraverso queste norme che, di fatto, autorizzeranno uno, due o tre lotti, sparpagliati un po' al nord, un po' al centro e un po' al sud. Sono disposizioni che richiamano più la necessità di qualche imprenditore locale piuttosto che la necessità di affrontare, in un quadro generale, il problema dei siti inquinati.
Nel provvedimento in esame è contenuto anche un intervento in materia di personale che, stranamente, viene affrontato in modi diversi. Come avevamo già stabilito con i decreti-legge concernenti i rifiuti, nel caso dei dipendenti dell'ISPRA vengono comunque confermati i contratti in essere a giugno 2009 per i Cococo, ma non si fa cenno ai contratti a tempo determinato che dovrebbero essere stabilizzati da normative precedenti oppure immessi in ruolo, se vincitori di concorsi o quant'altro, né si fa riferimento alla materia in termini di titoli o quant'altro bisogna avere per partecipare a questi concorsi. Ma la cosa più strana è che facciamo un articolo ad hoc in materia di personale della commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale. Si tratta di una commissione tecnica che per questioni di bilancio abbiamo ridotto da sessanta a cinquanta membri, con l'applicazione di fatto dello spoil system, e il cambio di tutti questi cinquanta, definiamoli scienziati, professionisti in grado di prendere in mano fascicoli importanti per il Paese per quanto dipende dalle osservazioni da essi effettuate. Cosa andiamo a garantire a questi cinquanta? Prima di Pag. 59tutto una deroga rispetto all'altra normativa, vale a dire che avranno garantito il posto che nel frattempo lasciano per assumere questo incarico. Come se il comandante dei vigili avesse il diritto di garantirsi per altre tre o sei anni quel posto quando torna, e come lui chiunque abbia assunto la direzione di quel settore dell'amministrazione pubblica o dell'università, perché spesso provengono anche da questi ambienti, avranno garanzie per la ricollocazione in quel ruolo.
Insomma quando i dipendenti dello Stato decidono di fare carriera, la facciano ma non pretendano di sacrificare altri che dopo di loro hanno diritto a fare carriera e a far funzionare l'apparato della pubblica amministrazione.
Ma non soltanto: abbiamo garantito, rispetto a tutti i creditori dell'amministrazione pubblica, il pagamento del 50 per cento della parcella all'avvio della procedura e il saldo alla conclusione della procedura, indipendentemente dal fatto che venga accolta o bocciata in materia ambientale e non diciamo nulla a quelle imprese che aspettano, per situazioni legate al patto di stabilità, i soldi delle province e dei comuni, o a quelle imprese che aspettano i soldi dalle amministrazioni pubbliche come ANAS o Ferrovie e, sei o otto mesi dopo aver terminato i lavori, non sanno quando avranno il saldo e sono fuori dagli affidamenti bancari in un momento in cui le banche tolgono loro gli affidamenti. A quei lavoratori - perché mi risulta che ve ne siano, purtroppo, che lavorano anche per questa Camera -, che magari sono dipendenti di cooperative e non hanno ancora percepito gli stipendi di gennaio (siamo alla fine di febbraio) non diciamo niente? Per questi cinquanta, che comunque si trovano in posizioni quasi tutte privilegiate, di dirigenza dello Stato e quant'altro, facciamo un'ulteriore «leggina», solo per loro, non per tutti coloro che lavorano nel mondo dell'amministrazione pubblica o privata. Sembrano forzature di un sistema.
Personalmente mi fa piacere che nel decreto-legge in esame compaia una norma in materia di disturbo da rumore e inquinamento acustico, perché sono uno dei firmatari del progetto di legge che chiariva quale norma dovesse essere di riferimento, se il codice civile oppure una legge specifica, che già c'è e che obbliga i comuni o le province o le autorità aeroportuali a fare dei progetti e dei piani di impatto acustico.
Pensate alle piccole imprese o alle attività commerciali nelle città (i bar, i ristoranti) che devono sottoporsi ad una certa normativa di rispetto per quanto concerne il rumore e il danno acustico e che trovano - per fortuna raramente - qualche magistrato che applica il codice civile, secondo il quale il rumore non viene stabilito da norme ben precise, ma da quanto può essere sostenibile da chi sta attorno e quindi variabile, a seconda se uno è studente, ammalato, se ha bambini piccoli, se è una signora incinta e quindi il rumore le fa più danno rispetto a quanto stabilito dalla norma e così via. Qui si interviene.
È vero, dietro alla norma abbiamo un'esigenza e un interesse molto più ampio (in questo caso l'autodromo di Monza, dove c'è il rischio che alcune attività non possano più essere svolte in funzione di questa interpretazione) e mi fa piacere che ciò venga inserito nel provvedimento in esame, ma non dovremmo affrontarlo attraverso decreti-legge, con i quali si proroga di nuovo una materia, come ad esempio quella attinente alla TARSU, su cui continuiamo a dire che bisogna incrementare la raccolta differenziata, arrivare a far pagare i servizi in funzione di quanto se ne usufruisce e, quindi, di quanto rifiuto viene prodotto. Invece, diciamo che va bene, andiamo avanti ancora fino alla fine del 2009 con i vecchi sistemi, la TARSU e via dicendo, e non applichiamo per adesso la tariffa integrata.
Così mettiamo dei dubbi negli enti, perché c'è chi si sforza, dibatte, si confronta con i propri cittadini, compie delle scelte, poi però vede il comune a fianco che fa scelte totalmente opposte e così si crea confusione nelle comunità.
Che dire dell'altra parte del provvedimento sul ciclo integrato delle acque, riguardo Pag. 60a cui prendiamo atto che vi è una sentenza della Cassazione secondo cui non possiamo applicare nella tariffa del servizio integrato idrica anche la depurazione, qualora non si eroghi il servizio di depurazione? Prendiamo atto, dopo dieci o undici anni, che il dovere di pagare tariffe affinché vengano accantonate risorse per realizzare i grandi impianti della depurazione non è un principio corretto, finché non eroghiamo quel servizio. Tuttavia, per evitare di restituire le somme, si dice che è necessario rivedere i calcoli degli ultimi cinque anni e, comunque, di quanto è stato speso in progettazione o in lotti funzionali.
È possibile anche dire ai comuni che, intanto, spetta a loro o alle aziende (o ad altri soggetti) decidere l'ammontare della somma da restituire, senza alcun contraddittorio. Inoltre, si decide che è possibile restituire questi soldi ai cittadini in cinque anni senza riconoscere nemmeno gli interessi legali. Quando, invece, si tratta di un ente pubblico, se si chiede la rateizzazione di una sanzione amministrativa, per un divieto di sosta o di un altro tipo di sanzione, quantomeno gli interessi legali vengono sempre applicati. Pertanto, all'interno di questa normativa, non si usano sempre gli stessi strumenti di valutazione.
Vi sono tanti altri aspetti. In questo momento, tralascio di ricordare all'Assemblea che, con riferimento alle singole proposte emendative (come l'ultima che ho citato), vorremmo - lo ripeto - un minimo di ragionevolezza: accettarle non cambia né stravolge il documento. Certo, oltre alla questione concernente il danno ambientale acustico, vi sono dei chiarimenti necessari da fare sulla gestione delle discariche e sulla questione, ad esempio, dell'utilizzo delle rocce di scavo e dei materiali inerti, che, quindi, possono essere benissimo riutilizzati per ripristini ambientali. Con un territorio che per due terzi è montagnoso, credo che questo aspetto sia importante: parecchi di questi materiali, infatti, in base alle interpretazioni territoriali, dovevano essere trasferiti a centinaia di chilometri. Quindi, oltre ai costi, vi sarebbe stato anche un ulteriore inquinamento per il loro trasporto.
Pertanto, all'interno del provvedimento in discussione, riscontriamo degli aspetti interessanti ed urgenti, ma, probabilmente, sarebbe bastata una circolare per spiegarli. Invece, continuiamo a normarli e a inserirli in leggi o decreti-legge. Mi sembra che sia uno sforzo inutile da parte del Parlamento inseguire, ogni volta, un decreto-legge come questo con i tempi che abbiamo: il provvedimento, infatti, è arrivato in questo ramo del Parlamento, solo giovedì on line e venerdì in forma cartacea, e già oggi siamo qui a discuterne. Vorremmo avere almeno un giorno o due in più in Aula per affrontare gli emendamenti: ve ne sono tanti che non stravolgono la natura del documento e che ci permetterebbero di evitare di essere qui, ancora fra due o tre mesi, ad esaminare un ulteriore decreto-legge per rivedere alcune di queste norme.
Solo con riferimento all'emergenza rifiuti in Campania, abbiamo esaminato - e questa è la quarta volta - provvedimenti che tendono a modificare la materia in oggetto. È un'assurdità per il cittadino che deve, poi, prendere in mano e affrontare la materia. Anche solo in rapporto alla questione del servizio integrato della TARSU, immaginate i problemi dato che alcuni comuni hanno già emesso i ruoli, altri sono in ritardo di un anno, altri, invece, hanno già svolto gli accertamenti sulle violazioni. Si crea una disfunzione e un trattamento diverso dei cittadini, da territorio a territorio, non per colpa di chi amministra il territorio, ma per colpa nostra.
Credo, quindi, che sia necessaria una maggiore attenzione e concretezza nell'affrontare tali questioni con i decreti-legge. Spero che il Governo, al di là delle «stupidate» che ritiene che raccontiamo, quanto meno ci ascolti e risponda alle nostre osservazioni (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

Pag. 61

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mariani. Ne ha facoltà.

RAFFAELLA MARIANI. Signor Presidente, il decreto-legge n. 208 del 2008, recante misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione dell'ambiente, reca un contenuto che si è ampliato notevolmente nella discussione al Senato, con l'ingresso di quattordici articoli e molte altre disposizioni rispetto ai nove articoli originali.
Dall'analisi generale, appare evidente, che nel provvedimento - così come segnalato anche dal Comitato per la legislazione - sono state inserite alcune disposizioni che non appaiono nel contesto normativo appropriato. Valga, ad esempio, la scelta di intervenire in materia di danno ambientale: più opportunamente, si sarebbe dovuti intervenire nel decreto legislativo n. 152 del 2006, o codice ambientale.
Solo nell'ultimo anno almeno tre decreti-legge hanno preso in esame argomenti che oggi questo decreto-legge, di nuovo, chiama in causa: mi riferisco al decreto-legge n. 90 del 2008, al decreto-legge n. 112 del 2008 e al decreto-legge n. 172 del 2008, a sottolineare ancora una volta quanto frammentaria e deleteria sia la decretazione in materie che richiedono chiarezza negli obiettivi, nei tempi e nelle modalità di applicazione.
Non a caso, oggi più che mai, tutti riaffermiamo la necessità di giungere alla semplificazione normativa di provvedimenti che riconducano a testi unici in materie delicate che molto hanno a che vedere, oltre che con la protezione e la tutela dell'ambiente, con la salute dei cittadini e con l'operatività di molte imprese e di istituzioni.
Alcuni degli articoli che tratteremo, invece, oltre a definire ulteriori proroghe (che forse in quel caso potevano essere collocate nel provvedimento precedente a questo, il cosiddetto milleproroghe) rimandano ancora l'emanazione di linee guida a decreti del Ministro ed a decreti interministeriali.
Si avverte una difficoltà nel riconoscere il ruolo costituzionalmente definito per quanto riguarda materie di competenza concorrente tra lo Stato e le regioni, in riferimento alla protezione civile, alla questione del danno ambientale, alle questioni che riguardano i piani di gestione dell'autorità di bacino e altri temi sui quali le competenze regionali non sono trascurabili.
Vi è infine un tema che giudico molto trascurato fino ad oggi e che riguarda la compatibilità con la normativa comunitaria sia per quanto riguarda normative inerenti alle discariche dei rifiuti e al tema dell'emergenza rifiuti in Campania, ma anche in riferimento a provvedimenti da esaminare nel futuro prossimo come la carenza idrica. La Commissione europea auspica, infatti, l'adozione di piani di gestione delle zone idrografiche e di programmi entro il 2009 al fine di consentire un'analisi più approfondita delle misure progettate a livello nazionale cui seguiranno misure risolutive anche attraverso strumenti economici. Tutto questo a sottolineare quanto sia irrimandabile un quadro organico, un quadro di insieme che del resto viene sottolineato ogni volta dai soggetti che nel settore operano e che, nel serio lavoro della Commissione ambiente, abbiamo potuto constatare durante audizioni e confronti.
Signori rappresentanti del Governo (e mi dispiace che non vi sia nessuno del Ministero dell'ambiente) abbiamo più volte fatto appello alla necessità di approfondire e lavorare sulla materia che oggi trattiamo in maniera parziale e direi umiliante per questo ramo del Parlamento. Non dobbiamo dimenticare infatti che, come sottolineava chi mi ha preceduto, questo decreto-legge inviatoci dal Senato la settimana scorsa, dovrà essere convertito entro il 1o marzo pena la sua decadenza. C'è stato quindi fatto capire quanto sia blindata la stesura del Senato ed irricevibile ogni tentativo di modifica.
Dicevo umiliante perché nelle nostre intenzioni, seppure dall'opposizione, c'è stata la determinazione di contribuire a migliorare molte parti di questo decreto-legge Pag. 62e soprattutto a indurre il Governo a tener conto di osservazioni che tante istituzioni e molti operatori ci hanno fatto pervenire.
Passiamo ora ai principali argomenti che vorremmo segnalare, degni di particolare attenzione, sui quali il gruppo Partito Democratico ha elaborato degli emendamenti.
Partendo dall'articolo 1 che fa riferimento all'autorità di bacino di rilievo nazionale si applica una proroga all'autorità di bacino sia all'entrata in vigore del Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previsto dall'articolo 63 del codice ambientale. Su questo tema, consapevoli dell'impatto significativo dell'applicazione della direttiva quadro sulle acque che ha introdotto distretti idrografici e riconoscendo che la scadenza dei termini per decreti correttivi al decreto legislativo n. 152 del 2006 non avrebbe permesso ulteriori ritocchi, abbiamo più volte sollecitato la Commissione ambiente ad individuare con il Governo un percorso efficace che permettesse un quadro meno provvisorio e più sintetico del sistema normativo che, a partire dalle funzioni delle nuove autorità di bacino distrettuali, mettesse in chiaro molte delle questioni che oggi confliggono con la pianificazione, la difesa del suolo e la tutela delle risorse idriche.
Ridurre a mere questioni burocratico-amministrative attinenti alla funzionalità dell'attuale autorità di bacino le modifiche e le proroghe inserite nel provvedimento che stiamo esaminando toglie spessore all'analisi molto attenta che su competenze e sovrapposizioni di istituzioni esiste in questo campo. Lo dico richiamando il ruolo delle regioni nella pianificazione e nel Governo del territorio avendo ben presente la necessità di coordinare i piani di gestione di bacini idrografici dell'autorità con le misure e le norme regionali esistenti.
La scadenza per le adozioni dei piani di gestione entro il 22 dicembre 2009 - lo ripeto, 22 dicembre 2009 - richiede un cronoprogramma condiviso con i territori e la definizione di modalità oggettive per l'individuazione delle risorse che saranno erogate nell'applicazione delle misure previste, quali il miglioramento e il ripristino delle condizioni dei corpi idrici superficiali, la riduzione dell'inquinamento dovuto agli scarichi e a molti altri temi. In realtà, si tratta del tema cui fa riferimento il comma 3, riferito al riparto dei fondi per la difesa del suolo, che a noi sembra cercare una flessibilità in questa materia che desta qualche preoccupazione, anche alla luce delle esperienze di questi ultimi anni. In questo caso occorrerebbe, forse, rimandare l'esito dei lavori della Commissione parlamentare consultiva concernente l'autorizzazione di spese per l'esecuzione di opere di sistemazione e di difesa del suolo.
L'articolo 2 fa riferimento al danno ambientale. All'articolo 2, infatti, vengono individuate forme di risoluzione stragiudiziale del contenzioso che sorge con riferimento alle procedure di rimborso per le spese di bonifica, di ripristino e risarcimento del danno. È forte l'impostazione centralistica, che seppure giustificata dall'articolo 117 della Costituzione, che affida allo Stato la competenza in materia ambientale, trascura il ruolo delle regioni che, invece, si trovano a legiferare su materie che si sovrappongono nel ruolo di altri enti che possono essere esclusi, anche se danneggiati dalla definizione dei termini di transazione con le imprese chiamate a risarcire il danno attraverso la conferenza di servizi.
Il Ministero, infatti, nel sistema del contratto transattivo, ponendo fine ad un contenzioso pendente, potrebbe - sottolineo «potrebbe» - escludere enti coinvolti dalla reale partecipazione alle determinazioni che li riguardano e, per ipotesi, enti che non hanno aderito al contratto sarebbero oggetto della fine del contenzioso pur non avendolo condiviso.
Il tema richiama il diritto alla difesa di cui all'articolo 24 della Costituzione. Siamo preoccupati di questa leggerezza. Quindi, pur condividendo l'intento di dare soluzione alle problematiche derivanti dalle lungaggini dei contenziosi in corso e al fine di potere avviare, in tempi certi, il Pag. 63ripristino ambientale dei luoghi gravemente danneggiati dall'inquinamento, temiamo che la norma, così articolata, si presenti lesiva dei principi costituzionalmente garantiti e non contribuisca alla risoluzione dei temi. Abbiamo più volte richiesto al Governo, attraverso interrogazioni rivolte al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la definizione dello stato di fatto di alcuni siti contaminati di interesse nazionale. Abbiamo chiesto delucidazioni in merito alle risorse spese, ai benefici attesi, all'utilizzo improprio, dal nostro punto di vista, di Sogesid Spa e su questo punto sarebbe necessario approfondire ancora di più.
All'articolo 3 sono messe in campo disposizioni per attivare i percorsi di stabilizzazione Ispra. Rimangono aperti i temi che fanno riferimento ai precari, di cui si è fatto carico il sindacato con una protesta, ma ci domandiamo anche rispetto a Ispra perché si attenda ancora di definire lo statuto e la missione, con la concorrenza, sempre più evidente, di un organismo, come Sogesid Spa, architettato dal Ministero quasi a voler sottrarre alla definizione e alla missione di Ispra alcune competenze, per rendere più agile il percorso di questioni molto delicate dal punto di vista ambientale.
All'articolo 5 si disciplina, invece, tutto il tema che fa riferimento alle tariffe per lo smaltimento dei rifiuti urbani. Nelle more del regolamento che disciplini i criteri generali per la definizione dei costi e la determinazione del prelievo di cui all'articolo 238 del codice ambientale, si ritiene che sarebbe utile e necessario intervenire consentendo nel 2009 i passaggi tra la TARSU e la TIA, cioè tra la tariffa e, appunto, la tassa, in via sperimentale e su base volontaria, in attesa di un nuovo regime tariffario molto spesso richiamato al quale si sta lavorando da troppo tempo e del quale non si ha ancora chiarezza. Vi sono decreti attuativi e regolamenti che dovevano essere appunto licenziati entro sei mesi dalla definizione del codice ambientale e che dopo tre anni non hanno ancora visto la luce.
Inoltre, vi sono regolamenti e decreti di cui vorremmo conoscere meglio il testo. Dobbiamo anche fare riferimento all'altra questione molto delicata che attribuisce una più corretta definizione dei servizi contemplati nel servizio idrico integrato alla luce del principio «chi inquina paga» e anche una definizione più chiara delle componenti della tariffa che sono state richiamate, con nettezza, da una sentenza della Corte costituzionale, rispetto alla quale sarebbe utile e anche necessario che le ripercussioni, oltre che sulle passate gestioni che sono economicamente rilevanti e che pure hanno destato grande preoccupazione, fossero analizzate anche per il futuro.
Occorre, infatti, scegliere una linea di convincente partecipazione dei cittadini senza penalizzare, ma anche senza far arricchire quei gestori che nulla investono nel settore della depurazione.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE (ore 17,10)

RAFFAELLA MARIANI. Per le regioni meridionali il recupero del tempo perduto - lo abbiamo sempre detto - nella realizzazione di efficienti impianti di depurazione potrebbe essere collocato nel più ampio contesto del ragionevole utilizzo dei fondi europei e di una ragionevole visione della pluralità di percorsi e di tempi in relazione alle diversità organizzative attuali.
Insomma, in quell'articolo sono contenute questioni molto delicate sulle quali avremmo preferito discutere e approfondire in altra sede e non in un articolo blindato di un decreto-legge discusso in così poche ore.
Vi è poi una cosa molto rilevante che viene richiamata all'articolo 8, che riguarda i fondi della protezione civile. Nonostante che la situazione di dissesto idrogeologico sia peggiorata notevolmente a causa del succedersi di eventi meteorologici eccezionali, che dal novembre 2008 hanno prodotto frane, dissesti, allagamenti e danni rilevantissimi in molte regioni del Pag. 64nostro Paese, e nonostante che a questi fenomeni meteorologici si siano aggiunti anche gli eventi del sisma che ha colpito le province di Parma, Modena e Reggio Emilia nella regione Emilia Romagna, non si sono individuati meccanismi per ripristinare l'indispensabile, dal nostro punto di vista, fondo Stato-regioni della protezione civile, rispetto al quale nella nostra Commissione, in una discussione attenta e con l'approvazione anche del Governo, avevamo approvato all'unanimità una risoluzione.
Il Governo ha deciso, invece, di organizzare quelle risorse soltanto per novembre e dicembre in relazione alle emergenze di quei mesi. Rimangono fuori ancora le questioni gravissime del Mezzogiorno, rispetto alle quali ancora dobbiamo conoscere quali saranno gli intendimenti e le risorse da destinare.
Avevamo detto più volte su questo tema, già durante la discussione del disegno di legge finanziaria, quanto fosse grave la riduzione del 50 per cento delle risorse del fondo di protezione civile, tagliato da 540 milioni di euro a 270. Ci rendiamo conto, nella discussione di questo decreto-legge in riferimento all'articolo 8, quanto sia necessario invece rientrare in quell'argomento per segnalare la necessità per una fase emergenziale, ma non solo, su quel tema e di individuare risorse e modalità che comportino anche investimenti per il futuro.
Riteniamo che in quel settore molte delle misure che potrebbero essere adottate rappresentino anche una forte risposta alla crisi, in quanto è possibile erogare, attraverso destinazioni da condividere con le regioni e con il territorio, fondi utili, oltre che al riequilibrio dal punto di vista idrogeologico, anche all'occupazione e al lavoro di molte imprese che nel settore operano.
Un ultimo appunto vorrei farlo in merito agli emendamenti proposti dal relatore e che ripresentano in quest'Aula le parti dichiarate inammissibili dalla Presidenza del Senato e che riguardano lo scioglimento del Coviri e dell'Osservatorio nazionale dei rifiuti, modificando il testo unico (decreto legislativo n. 152 del 2006), intento del Governo in cui leggiamo la necessità in questo caso, come era accaduto anche per Ispra e poi anche per le Commissioni di VIA, un'unica necessità: quella di cambiare i vertici degli organismi ed attribuirsi così la ancor più delicata predisposizione del metodo tariffario per le tariffe idriche, una competenza che spetta, dati gli obiettivi di massima, alle regioni e rispetto alle quali sarebbe necessario riflettere ancora una volta.
Si introduce, inoltre, un coordinamento dei piani regionali degli impianti di incenerimento. È difficile, anche in questo caso, comprendere fino in fondo la ratio di un articolo che vuole il coordinamento del piano per la gestione degli inceneritori in capo al Ministero dell'ambiente. Avremmo avuto poco da dire se vi fosse stata l'intenzione da parte del Ministero dell'ambiente di predisporre un piano di coordinamento per la gestione integrata dei rifiuti. Da quel punto di vista, avremmo colto anche il desiderio di verificare quello che sta accadendo nel nostro Paese, nel momento in cui molte regioni, soprattutto del centro-sud, richiedono lo stato di emergenza per territori parziali o per l'intero territorio che compete loro. In quel senso avremmo trovato giusto che fosse stato fatto un punto della situazione e svolto un approfondimento da parte del Governo rispetto al ciclo integrato dei rifiuti.
Ci desta qualche preoccupazione, qualche sospetto e anche qualche malevolenza il fatto che ci si occupi solo del piano degli inceneritori. Abbiamo assistito, anche nell'ultimo provvedimento che riguardava l'emergenza dei rifiuti in Campania, ad una sperticata organizzazione del piano degli inceneritori per la regione Sicilia. Stiamo attendendo - lo dico molto polemicamente - che il presidente della regione Sicilia - come tutti gli altri presidenti delle regioni che sono stati chiamati e che prontamente hanno dato risposta alla Commissione ambiente - voglia venire a riferire su quale sia la soluzione per la situazione della sua regione, essendo venuti Pag. 65a conoscenza che, per esempio, per la provincia di Palermo è stato chiesto lo stato di emergenza nazionale.
Tutto ciò rientra in una discussione che riterremmo utile fare in modo trasparente insieme a tutto il Parlamento. Invece, l'avvicendarsi di queste richieste di stato di emergenza richiede che vi siano degli atti più chiari e sicuramente la condivisione di molte delle questioni che, invece, vediamo passare solo attraverso la decretazione d'urgenza.
Un altro tema che abbiamo sottolineato e che oggi sta in questo decreto-legge riguarda - anche in quel caso, dal nostro punto di vista, in maniera poco appropriata - l'individuazione di una revisione delle misure di compensazione per le aree che hanno siti nucleari. Riteniamo che in quel senso si sia approvato un decreto-legge non appropriato, dal momento che è ancora in corso la discussione nell'altra Camera che fa riferimento al piano energetico. Ci domandiamo per quale ragione in questo decreto-legge si sia voluta introdurre anche quella variazione rispetto ad una impostazione data in un altro testo normativo.
Facciamo ora appello al vaglio di ammissibilità a cui la Presidenza della Camera è chiamata. In questa rincorsa ai tempi, abbiamo deciso in Commissione di rimettere i nostri emendamenti all'Assemblea e, per questo motivo, di determinare anche che l'ammissibilità degli emendamenti dipendesse dalla Presidenza. Ci auguriamo che oggi la Presidenza voglia mantenere il rigore che le è riconosciuto e anche la coerenza con le decisioni assunte dall'altro ramo del Parlamento. È circolata la possibilità che in questa Camera si reintroducessero, come ho detto prima, alcuni emendamenti non ammessi dalla Presidenza del Senato. Lo troveremmo difficile da spiegare, qualora non vi fosse poi l'accoglimento invece del contributo dei parlamentari, ma soltanto quello che il Governo non è riuscito ad inserire al Senato.
Infine, appellandoci alla maggioranza, facciamo tutti il tentativo di migliorare quelle disposizioni di legge per gli effetti che produrranno e soprattutto per il timore che, invece che effetti positivi, producano inefficienze su un sistema che coinvolge regioni, istituzioni locali e molte imprese. Speriamo che si possano ancora produrre quei miglioramenti e quelle semplificazioni che tutti auspichiamo e di cui tutti parliamo quando incontriamo i soggetti che di queste norme e di queste leggi debbono essere gli attori principali.
Questo è il nostro appello, sottolineando ancora una volta che, nel lavoro che abbiamo svolto da posizioni diverse tra parlamentari anche nella nostra Commissione, c'è stata sempre la condivisione dell'idea che questo metodo dovesse prima o poi cambiare, che si potessero dare contributi costruttivi e che si potesse avere anche un dialogo con il Governo e soprattutto con il Ministro competente. Invece, tale dialogo oggi ci viene negato solo dimostrando ancora una volta, con l'assenza, il disinteresse completo al contributo che proviene da questi banchi. Nonostante questo, ci impegneremo affinché si possa dare un segnale agli operatori e, attraverso i nostri emendamenti, si possa essere partecipi di un miglioramento del provvedimento che arriva dal Senato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Togni. Ne ha facoltà.

RENATO WALTER TOGNI. Signor Presidente, colleghi, il decreto-legge in esame contiene, fra le altre, rilevanti disposizioni per il funzionamento delle autorità di bacino a rilevanza nazionale e per la soluzione transattiva del contenzioso pendente sul risarcimento del danno ambientale; contiene anche una serie di importanti disposizioni di modifica del codice dell'ambiente e, inoltre, disposizioni per il finanziamento dei danni subiti dal Paese in occasione delle ultime calamità naturali.
Gran parte del territorio nazionale è a rischio di dissesto idrogeologico e sono evidenti i disastri provocati ogni anno dalle alluvioni che mettono in ginocchio le Pag. 66valli del nord, le aree più produttive del Paese, e creano disastri ciclici, allagamenti, inondazioni, frane e dissesti di varia natura su tutto il territorio nazionale.
L'articolo 8 del decreto-legge autorizza la spesa di 100 milioni di euro per far fronte agli eventi alluvionali che negli ultimi mesi hanno interessato gran parte delle regioni del territorio nazionale, causando gravi e diffusi danni e purtroppo il decesso di otto persone. Senz'altro abbiamo un efficiente servizio di protezione civile, che più volte ha dimostrato la propria validità di pronto intervento: gran parte dei disastri sono stati evitati o attutiti grazie all'azione efficace e repentina della nostra Protezione civile.
Volendo evidenziare in un'efficace sintesi le debolezze e le eccellenze del nostro sistema di prevenzione delle calamità e del relativo settore di contrasto e di pronto intervento, possiamo ritenere che, a fronte di un quadro della prevenzione dei rischi idrogeologici e della difesa del suolo seriamente deficitario, possediamo anche un sistema di previsione delle calamità naturali all'avanguardia, le cui eccellenza sono rappresentate da una banca dati e da sistemi informatici di primissimo livello, cui è associato un sistema di pronto intervento e di soccorso altrettanto efficiente.
Ma l'intervento di emergenza non deve diventare la prassi, come è avvenuto negli ultimi tempi. Occorre una progressiva maturazione di diffuse sensibilità che portino al generarsi di nuovi equilibri tra azioni sul territorio, stili di vita, strategie efficaci di sviluppo sostenibile ed utilizzazione razionale delle risorse naturali. La scarsità di risorse finanziarie, da una parte, l'attuazione del Patto di stabilità, dall'altra, il quale impedisce agli enti locali di escludere dal patto stesso le risorse finalizzate alla prevenzione del rischio idrogeologico (fatto salvo solo per i casi dell'avvenuta dichiarazione di stato di calamità naturale), rendono assai esigue le risorse ordinarie destinate all'azione della prevenzione del rischio idrogeologico.
A ciò si aggiunge la cattiva gestione dei bacini idrografici e la sovrapposizione di competenze fra varie autorità, centrali e locali, che mettono in pericolo il corretto ed efficace svolgimento della salvaguardia del territorio, perché le autorità di bacino, così come concepite oggi, non funzionano. La garanzia della permanenza dei poteri fino alla riforma, come proposto dal presente decreto-legge, è un atto dovuto per evitare mali peggiori; come un atto dovuto è anche l'emendamento del relatore al Senato, che agevola il coordinamento per l'adozione dei piani di gestione, come previsto dalle direttive comunitarie.
Il nostro gruppo, la Lega Nord, ha presentato un emendamento con l'obiettivo di ottimizzare l'azione complessiva della pubblica amministrazione, evitando sovrapposizioni ed azioni non coordinate. La nostra proposta prevede che le agenzie regionali e l'AIPO, per quanto riguarda il fiume Po, diventino parte integrata della struttura di distretto pur rimanendo controllate e gestite dalle regioni. L'articolazione individuata porta alla creazione di un unico soggetto competente per ciascun bacino idrografico in materia di difesa del suolo, dalla programmazione all'attuazione e gestione degli interventi, con incremento di efficienza, efficacia ed economicità nelle varie azioni da porre in atto. Purtroppo, l'emendamento non è stato approvato dal Senato. La Lega Nord presenterà in altra occasione la proposta emendativa che individua una soluzione radicale al problema delle sovrapposizioni di competenze nell'ambito dello stesso bacino idrografico.
Il nostro gruppo esprime comunque soddisfazione per l'approvazione al Senato di un altro nostro emendamento che destina agli interventi di difesa del suolo i finanziamenti pari al 10 per cento delle risorse complessive, che attualmente vengono destinati all'attività di studi e progettazioni, per la predisposizione dei piani di bacino e dei relativi piani stralcio.
Considerato che le Autorità di bacino e le regioni hanno già praticamente tutte approvato il PAI, ossia il Piano di assetto idrogeologico, non si ritiene utile destinare ancora risorse per progetti e studi, volendo piuttosto favorire la realizzazione di opere Pag. 67di difesa del suolo, ciò anche in considerazione delle carenze emergenti ai fini della prevenzione del rischio idrogeologico stesso.
Di grandissimo rilievo per l'ambiente, per il mondo imprenditoriale e per lo sviluppo socio-economico del nostro territorio, è l'articolo 2 del decreto-legge che interviene nella materia delle bonifiche dei siti inquinati di interesse nazionale (i cosiddetti SIN) attraverso una nuova disciplina sul danno ambientale.
Il testo intende risolvere l'inconcludente contenzioso pendente sul risarcimento del danno ambientale con un unico contratto transattivo; si tratta di un obiettivo condivisibile per dare certezza agli imprenditori e permettere il riutilizzo dei siti contaminati. Infatti, attualmente numerosi progetti di investimento che interessano i siti di interesse nazionale sono bloccati sia per il contenzioso pendente sia per la mancanza di autorizzazioni nonché a causa delle prescrizioni per le procedure di bonifica impartite dal Ministero dell'ambiente che spesso chiedono modifiche di progetti di bonifica già approvati o già in parte realizzati. Il presente testo compie un primo passo per risolvere tali problematiche iniziando dalla risoluzione in via transattiva, con un provvedimento unico, del contenzioso sul danno ambientale.
Peraltro, il testo è stato molto migliorato nel corso dell'esame nella Commissione XIII del Senato anche a seguito dell'approvazione di emendamenti del nostro gruppo, ma la regolamentazione legislativa della materia avrà senz'altro bisogno di ulteriori aggiustamenti.
Vorrei esprimere, inoltre, la soddisfazione del nostro gruppo su una disposizione fondamentale approvata dalla Commissione XIII del Senato, in relazione a un emendamento della Lega Nord riformulato poi dal relatore. Finalmente si fa chiarezza sull'applicazione delle norme che regolano le immissioni di rumore in una proprietà privata. Il caso dell'autodromo di Monza è la dimostrazione più eclatante della situazione contraddittoria che si è venuta a creare fino ad oggi, a causa dell'applicazione indiscriminata dell'articolo 844 del codice civile, che dimostra come un gruppo di minoranza di appena otto persone su 1.700 residenti nelle vicinanze, che intervistati hanno escluso qualsiasi fastidio, sia riuscito a mettere a rischio l'attività dell'autodromo basandosi su principi di natura esclusivamente soggettiva e in contrasto con le norme e i regolamenti che disciplinano l'inquinamento acustico che impongono norme severe, ma eque, per tutelare i cittadini dal rumore anche tenendo conto delle zone territoriali d'insediamento delle sorgenti sonore.
È nota a tutti la storia dell'autodromo costruito nel 1922, ben prima che i citati ricorrenti si insediassero nelle zone limitrofe allo stesso ed è sotto gli occhi di tutti l'importanza mondiale di tale circuito italiano sia per il Gran premio d'Italia di Formula uno sia per le diverse manifestazioni sportive e le prove di autovetture e moto.
Con l'approvazione del nostro emendamento il mero principio giurisdizionale dell'identificazione del concetto di normale tollerabilità con la soglia dei tre decibel, che non tiene conto dell'insonorizzazione acustica comunale, delle caratteristiche della zona, delle attività prevalenti nella zona e del valore del rumore di fondo, non può prevalere sulle leggi dello Stato che, puntualmente, negli ultimi anni, hanno definito la disciplina della materia dell'inquinamento acustico a tutela della salute dei cittadini.
Infine, un'altra disposizione importantissima approvata con un emendamento del gruppo della Lega Nord stanzia 19 milioni di euro per i danni post terremoto che ha colpito le province di Parma e Reggio Emilia il 23 dicembre scorso. Tali risorse si aggiungono ai 15 milioni di euro promessi dal Ministero dell'economia e delle finanze alla Protezione civile e sono destinati a far fronte ai primi interventi emergenziali del post terremoto e prioritariamente al ripristino dei fabbricati dichiarati inagibili.
Confermando l'auspicio del relatore affinché vi siano per il futuro pari opportunità per i due rami del Parlamento sia Pag. 68per tempi, sia per considerazioni sugli argomenti, chiudo con una piccola riflessione. Il collega Giachetti come sempre ha puntualmente individuato le assenze tra i banchi della maggioranza, ma penso che questo problema valga sia per la maggioranza, sia per l'opposizione. Non mi risulta che per i colleghi di opposizione si siano chiuse le porte perché erano esauriti i posti a sedere.
Quindi, ritengo che sia ora di cambiare e di eliminare i bizantinismi che regolano i nostri lavori, in quanto sono regole inadeguate non più attuali nel terzo millennio. Essere presenti in dodici o quattordici parlamentari a «parlarci addosso» non è edificante per la nostra istituzione. Pertanto, è necessario e vitale mettere concretamente mano al Regolamento dei lavori e la Lega Nord, come sempre, non farà mancare il suo contributo di idee in merito.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 2206)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il rappresentante del Governo rinunciano alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Organizzazione dei tempi di discussione dei disegni di legge di ratifica.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione dei disegni di legge di ratifica nn. 2037-A, 2013 e 2014.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati all'esame dei disegni di legge di ratifica all'ordine del giorno è pubblicato in calce al resoconto della seduta del 19 febbraio 2009.

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione fra la Repubblica italiana e la Repubblica dell'Iraq, fatto a Roma il 23 gennaio 2007 (A.C. 2037-A) (ore 17,30).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione fra la Repubblica italiana e la Repubblica dell'Iraq, fatto a Roma il 23 gennaio 2007.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2037-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Boniver, ha facoltà di svolgere la relazione.

MARGHERITA BONIVER, Relatore. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, colleghi, il disegno di legge di ratifica del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra l'Italia e la Repubblica dell'Iraq è di straordinaria importanza, perché vede dopo appena sei anni una mutazione importante della situazione generale in Iraq. Il provvedimento, inoltre, esalta l'importantissimo ruolo che il nostro Paese, grazie alla nostra parte politica, ha avuto non soltanto per la liberazione e la ricostruzione di quel Paese, ma per un suo consolidamento e un suo ritorno nel consesso delle nazioni libere.
Per brevità alla Presidenza consegnerò la scheda tecnica che entra nello specifico dell'articolato di questo disegno di legge di ratifica. Comunque, vorrei sottolineare alcuni dei punti salienti di questo Trattato firmato dall'allora Ministro degli esteri D'Alema il 23 gennaio 2007.
Il Trattato ha l'obiettivo di dare un quadro giuridico a nuove forme di collaborazione sul piano bilaterale e si compone di 17 articoli preceduti da un preambolo che delinea i principi generali a cui esso si ispira, innanzitutto il rispetto della legalità internazionale. Pag. 69
È enunciato, inoltre, il principio della cooperazione per la crescita socio economica in base alla quale l'Italia metterà a disposizione esperti e militari per ridurre il divario di sviluppo.
Il provvedimento tratta della cooperazione economico-finanziaria (agli articoli 2, 3 e 4), attribuendo un particolare interesse al settore delle fonti energetiche.
L'articolo 5 tratta della cooperazione nel campo della sicurezza e prevede scambi fra personale delle Forze armate e di polizia e corsi di formazione e di addestramento e così via. L'articolo 6 promuove la cooperazione per la crescita socio-economica, mirata particolarmente allo sviluppo della condizione delle donne, dei bambini e delle fasce più deboli della popolazione, mentre alla cooperazione in campo culturale, all'istruzione ed alla cooperazione nel campo scientifico sono dedicati gli articoli 7, 8 e 9.
Tra l'altro, oggi è una giornata di significativa coincidenza, perché riapre, dopo vent'anni di chiusura, il museo nazionale a Baghdad, soprattutto grazie ai fondi ed al know how di personale italiano. Si tratta di una storia bellissima: ricorderete anche le immagini terribili dopo l'intervento americano nel 2003, allorché questo meraviglioso museo venne saccheggiato e depredato di molte delle sue straordinarie opere. Si scoprì poi che, in realtà, molte di tali opere erano state accuratamente nascoste dai custodi di questo museo e, comunque, la riapertura che avviene oggi è un passo estremamente significativo e la dice lunga anche sulla qualità della sicurezza della città di Baghdad, che ha visto anche il passaggio della cosiddetta «zona verde» dalla tutela delle truppe americane che ancora sono di stanza in quel Paese alla protezione delle forze di sicurezza irachene.
Il disegno di legge si inoltra nella questione della cooperazione nel settore medico-sanitario, stabilita all'articolo 11, che prevede sostanzialmente il potenziamento dell'offerta di servizi sanitari iracheni attraverso l'adeguamento degli ospedali e così via.
Il provvedimento si conclude con articoli che parlano del rafforzamento delle azioni consolari e della cooperazione nel settore legale, giudiziario e amministrativo. Per configurare questa attuazione viene istituita la commissione mista, con riunioni periodiche.
Esprimo ancora qualche considerazione sull'evoluzione del quadro politico in Iraq, che fortunatamente è uscito dalla cronaca violenta che sembrava inarrestabile fino a qualche mese fa.
Vorrei ricordare che nel novembre 2008 l'amministrazione statunitense ed il Governo di Baghdad hanno firmato due accordi bilaterali, destinati a regolare i rapporti di sicurezza tra i due Paesi già a partire dall'inizio di quest'anno e, come tutti sanno, vi sarà il ripristino della piena sovranità irachena, con il ritiro completo delle Forze armate statunitensi entro il 2011. Entro il mese di giugno di quest'anno, però, è previsto il ritiro delle forze statunitensi da tutti i centri abitati all'interno delle proprie basi nel territorio iracheno.
Naturalmente, il raggiungimento dell'accordo sul ritiro delle forze statunitensi è stato possibile per il netto ed inequivocabile miglioramento della situazione della sicurezza in Iraq nel 2008, tant'è vero che attualmente tredici delle diciotto province sono ritornate formalmente sotto l'esclusivo controllo delle forze di sicurezza irachene.
Più in generale, la definizione del calendario per il ritiro statunitense sembra presupporre il pieno ritorno dell'Iraq nel seno della comunità internazionale, molto più velocemente di quanto i critici accaniti di questa operazione davano per intendere. Vi sono, naturalmente, ancora diverse contraddizioni.
La più importante è quella che riguarda un vero e proprio nodo politico ed economico, cioè la prevista approvazione di una regolamentazione sulla gestione delle risorse petrolifere del Paese. Questa è una questione cruciale, perché sappiamo che l'immenso giacimento petrolifero si trova soprattutto nel nord curdo e nel sud sciita, tagliando fuori, in qualche modo, il centro abitato dall'etnia dei sunniti. Pag. 70
Infine, credo che valga anche la pena di ricordare che il 31 gennaio di quest'anno si sono svolte in Iraq le elezioni provinciali, con la partecipazione di oltre 14 mila candidati, tra cui anche migliaia di candidati donne, e che il risultato ha premiato il partito che fa capo al Premier Al-Maliki, che ha prevalso in nove delle quattordici province in cui queste elezioni si sono svolte.
Vorrei, quindi, concludere questa mia breve relazione, ricordando che il ruolo dell'Italia è stato cruciale sin dal 2004 e continuerà, grazie a questo disegno di legge di ratifica del Trattato di amicizia, ad essere un ruolo di assoluta e totale preminenza.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Boniver, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Come avrete notato, siamo andati un po' oltre i tempi previsti, ma l'importanza della relazione e l'autorevolezza del relatore mi hanno indotto a fare questo strappo.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione con l'Iraq, che stiamo discutendo, è nato sulla base di impegni assunti nel 2006 dell'allora Ministro degli esteri, Massimo D'Alema. È un'intesa siglata dopo la partecipazione dell'Italia alla missione militare in Iraq, che aveva il compito di garantire la sicurezza necessaria per consentire l'arrivo degli aiuti e per il ripristino più immediato delle infrastrutture e dei servizi. Quindi, si tratta di un'intesa siglata all'indomani del ritiro dei nostri militari dall'Iraq. Tutto ciò su un piano che inizialmente, come sappiamo, era multilaterale, con iniziative congiunte con il Governo iracheno e le Nazioni Unite. Il tentativo era volto a fissare gli obiettivi di sviluppo e di riforma economica nel Paese arabo.
In seguito, si è resa necessaria una forma di collaborazione sul piano bilaterale, che è quella che ci apprestiamo a ratificare, anche perché l'Italia è uno dei principali partner per la stabilizzazione e la ricostruzione in Iraq.
Il Consiglio di presidenza iracheno, il 18 agosto scorso, ha già ratificato questo Trattato, confermando la volontà di rafforzare la cooperazione di amicizia tra Roma e Baghdad, per sviluppare nuovi ambiti di collaborazione sulla base di interessi reciproci.
L'Italia, però, come esplicitato nell'articolato del disegno di legge di ratifica, sarà impegnata anche a dare un contributo importante in altri settori della vita pubblica, amministrativa e culturale in quel Paese.
In particolare, mi vorrei soffermare sull'articolo 16, che garantisce la disponibilità di 400 milioni di euro in crediti di aiuto per il triennio conseguente all'entrata in vigore del Trattato, rinnovabile per un identico periodo. L'importo, come si sa, sarà a carico delle risorse disponibili del fondo rotativo di cui all'articolo 6 della legge sulla cooperazione ai Paesi in via di sviluppo.
Su questo argomento la V Commissione, in sede consultiva, ha svolto una serie di rilievi sui profili finanziari del provvedimento, in ordine ai quali il Governo ha poi precisato che gli oneri previsti da questo articolo hanno natura eventuale, in quanto l'effettiva attivazione dei crediti di aiuto è subordinata alla presentazione di specifici progetti e alla successiva valutazione positiva degli stessi e che vi si provvederà nell'ambito delle effettive disponibilità del fondo in questione.
Tutto questo per quanto riguarda il primo triennio 2009-2011. Infatti, attraverso l'aggiunta dell'articolo 2-bis da parte Pag. 71della V Commissione, nel presupposto dell'eventuale onere derivante dal rinnovo dei prestiti e dei crediti di aiuto per gli anni successivi al 2011, si dovrà provvedere con apposito provvedimento legislativo.
Quand'anche si tratti di finanziamenti a tasso agevolato, le perplessità rispetto alla concretizzazione di tale impegno finanziario, già avanzate da chi parla in sede di dibattito in III Commissione, non possono che essere confermate in questa sede, e a maggior ragione considerando i rimarchevoli tagli ai fondi destinati alla cooperazione internazionale; tagli che - lo voglio ricordare ancora una volta - hanno riguardato per il 2009 il 56 per cento dei fondi stanziati l'anno precedente.
Qualcuno potrà osservare che da qualche tempo mi trovo ad insistere su questo argomento, ma è fuor di dubbio che ogni qual volta affrontiamo il tema di un impegno economico del nostro Paese afferente alla legge sulla cooperazione allo sviluppo, non posso che chiedermi da dove si possano tirare fuori gli euro per mantenere, questi pur nobili impegni.
In tal senso, l'ultima occasione in ordine di tempo - lo voglio ricordare - è stata l'approvazione di una mozione la scorsa settimana sulla drammatica situazione dei diritti umani in Birmania, se non ricordo male a prima firma dell'onorevole Boniver, oggi relatrice sul provvedimento in esame. In quella mozione, tra le altre cose, ci si impegnava a sostenere l'organizzazione democratica in esilio attraverso lo strumento della cooperazione allo sviluppo, ben sapendo che non si dispone di fondi sufficienti, o meglio di fondi realistici.
Quanto quindi voglio sottolineare, anche in base all'esame dell'articolato, è che si comprendono bene gli interessi economici che pervadono questo Trattato, e nello stesso tempo che altrettanto adeguato spazio non è stato dato, se non all'interno del preambolo, in tema di garanzie democratiche sullo stato dei diritti umani e che si è proceduto con troppa genericità. Insomma, non vorremmo davvero che anche in questa occasione, come temo, ci si trovi di fronte ad uno scambio tacito, silenzio in cambio di favori economici, ovvero: business is business.
Concludo quindi che ovviamente non ci sfugge l'importanza della presenza e della garanzia che offre l'Italia come principale partner per la stabilizzazione e la crescita dell'Iraq, ma non è certo un mistero che siamo di fronte ad un grande banchetto, quello della ricostruzione, che vedrà protagoniste molte imprese italiane. Si parla di grandi cifre, di vantaggi economici impressionanti: alla presenza in Iraq sono infatti più che mai interessate aziende come la Turbocare di Torino, la Selex e la Ansaldo della Finmeccanica, impegnate nella realizzazione di progetti nei settori di produzione di elettricità, di estrazione petrolifera, dello sfruttamento del gas naturale.
Dal 2003 sono già stati stanziati in Italia complessivamente 290 milioni di euro per la ricostruzione civile. Ma l'Italia ha anche condonato l'80 per cento del debito sovrano iracheno, per un ammontare di circa 2,4 miliardi di euro; cito la fonte: il sito www.businessonline.it. L'Italia dei Valori quindi posso anticipare che ovviamente voterà a favore sul provvedimento in esame, per la finalità nobile che contiene, ma non può non rinnovare qui l'espressione di tutte le perplessità che ho cercato di richiamare, senza dimenticare quanto noi stessi abbiamo contribuito a fare con la missione in Iraq. Una missione militare in Iraq tesa a togliere di mezzo il crudele Saddam Hussein con la scusa, con il pretesto delle armi di distruzione di massa; sappiamo bene, invece, quale era la verità: persino gli agenti segreti americani avevano individuato le bugie enormi che erano messe a base di questo intervento, che serviva a tutt'altro che non a colpire Al Quaeda e il fondamentalismo e a perseguire gli autori del crimine dell'11 settembre (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tempestini. Ne ha facoltà.

FRANCESCO TEMPESTINI. Signor Presidente, il gruppo del Partito Democratico Pag. 72preannuncia il suo voto favorevole, e vuole con questo intervento sottolineare alcuni punti.
Questo Trattato ben si colloca in quel cambio di clima e di situazione generale che oggi vive l'Iraq e a cui ha contribuito il comportamento responsabile dei Governi italiani (faccio riferimento anche al lavoro del Governo Prodi e del Ministro degli affari esteri D'Alema) attraverso un'azione sempre più caratterizzata - anche se successivamente ha avuto un passaggio di diversa accentuazione - dalla volontà di spingere la presenza italiana in Iraq verso una cornice multilaterale, un terreno di cooperazione.
In questo nuovo contesto generale, il Trattato si colloca come uno di quei classici esempi su cui lavorare per dare senso, e corpo, alla presenza italiana in zone come l'Iraq. Si tratta di un buon accordo - concordo con le affermazioni svolte dal relatore e non voglio entrare nel merito - e sottolineo anch'io che è forse un caso, ma certo un caso tutto particolare, che proprio oggi riapra quel famoso museo archeologico di Baghdad - famoso per generazioni e generazioni di studiosi -, la cui riapertura è stata possibile anche grazie al lavoro, e alla presenza delle professionalità italiane. Questa riapertura emblematizza questo cambio di situazione che è dato dai fatti: si è tenuto un nuovo passaggio elettorale, con le elezioni provinciali svolte poche settimane fa, che rappresenta una vittoria della democrazia. Si tratta di un passaggio che consolida il nuovo contesto della sicurezza del Paese, che sta migliorando al punto da consentire al Presidente degli Stati Uniti di annunciare un più rapido disengagement (pur rimanendo ferma la data del 2011, gli americani accelereranno la propria fuoriuscita).
Naturalmente, questo cambio di clima e di situazione si colloca nel contesto molto fluido della situazione mediorientale. Se questo risultato di stabilizzazione democratica che si sta conseguendo in Iraq è un dato positivo, non possiamo non constatare che l'iniziativa militare ha determinato forti e pesanti condizioni di instabilità in quell'area (non è certo questa la sede per parlare di Iran, ma sappiamo tutti a cosa faccio riferimento). In questo contesto la nostra iniziativa politica, il nostro approccio, sono giusti e positivi. Dobbiamo da questo punto di vista far sì che il Trattato, una volta approvato, si possa implementare nella sua applicazione e possa contribuire alla crescita economica di quel Paese tenendo conto di alcuni aspetti, come quelli di garanzia democratica a tutela dei diritti umani, di cui ci dobbiamo fare carico (si tratta di un tema molto importante che è anche richiamato nel preambolo del Trattato). Noi ci dobbiamo ispirare nei confronti di questi Paesi del Medio Oriente, e dei Paesi arabi in generale, a una doppia considerazione. Da una parte la considerazione degli interessi reciproci che deve rappresentare il punto basilare nello stabilimento dei rapporti; una vera parità di interlocuzione, una vera capacità di comprensione, e di dialogo, deve essere posta in primo piano. Questa è la filosofia che sta alle spalle del Trattato e che rappresenta un punto assai qualificante.
D'altra parte, però, questa considerazione degli interessi reciproci e della parità dei rapporti deve anche sapersi accompagnare ad uno sforzo costante che io non credo debba essere necessariamente solo declamato; mi riferisco al lavoro che si deve fare perché la tutela dei diritti umani in queste aree rimanga un punto di riferimento costante della nostra iniziativa, del Governo e delle nostre rappresentanze diplomatiche in quell'area.
L'altro aspetto naturalmente - senza farsene inutilmente velo - è quello che riguarda gli aspetti economici della cooperazione tra l'Italia e l'Iraq. Si tratta di aspetti potenzialmente molto rilevanti, come è ben evidente a tutti, e naturalmente la questione richiama alcuni passaggi che sono sul tappeto e costituiscono elementi centrali della polemica politica di quel Paese. Faccio riferimento in particolare a questa nuova legge sul petrolio che dovrebbe in qualche modo rappresentare il punto di snodo di una riflessione su tutti quei comportamenti e quelle politiche che Pag. 73hanno ruotato, in questi anni di occupazione, intorno a questa grande risorsa per le sue implicazioni interne. L'onorevole Boniver dianzi faceva riferimento alla collocazione geografica della gran parte dei giacimenti, ma naturalmente la questione richiama anche il problema del rapporto tra Governo e multinazionali petrolifere. In quel Paese esiste ancora una questione da risolvere da questo punto di vista, molto seria e molto sentita, e ovviamente in questo contesto vi sono opportunità e spazi per l'industria italiana che anche in questo caso vanno naturalmente sostenuti, avendo sempre chiaro quel rapporto di reciproco interesse paritario tra i nostri due Paesi e anche tra le nostre due economie.
Insomma, in questo contesto generale, il Trattato in esame può costituire certamente una buona occasione per far procedere nella direzione che tutti auspichiamo, cioè dello sviluppo e della pace, quel Paese e più in generale quell'area, ed è da questo punto di vista che noi confermiamo il nostro voto favorevole sulla ratifica in esame (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 2037-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, onorevole Boniver.

MARGHERITA BONIVER, Relatore. Signor Presidente, rinuncio alla replica.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, la puntuale relazione dell'onorevole Boniver mi esime dall'entrare nel merito delle questioni che riguardano l'attuale situazione in Iraq e nel merito del contenuto del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione in esame. Voglio soltanto precisare un dato. L'impegno a sostenere la ricostruzione e la stabilizzazione dell'Iraq, che ha visto l'Italia in un ruolo di primario piano fino ad oggi, trova nel Trattato un fondamentale strumento di attuazione e rafforzamento. L'Italia infatti - mi rivolgo all'onorevole Evangelisti - ha già stanziato un finanziamento di 400 milioni di euro sotto forma di credito di aiuto in favore dell'Iraq, e già nelle more della ratifica del Trattato ha erogato la prima tranche di tali finanziamenti, pari a 100 milioni. Il Trattato permetterà di utilizzare al meglio il finanziamento in parola, offrendo un quadro giuridico e politico di riferimento ben consolidato. In questo contesto sarà per esempio possibile proporre agli iracheni di far ricorso alla seconda tranche del credito d'aiuto per finanziare progetti di ricostruzione industriale preventivamente esaminati dalla Commissione mista che il Trattato istituisce.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione relativo ad un sistema globale di navigazione satellitare civile (GNSS) tra la Comunità europea e i suoi Stati membri e l'Ucraina, fatto a Kiev il 1o dicembre 2005 (A.C. 2013) (ore 17,50).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge di ratifica: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione relativo ad un sistema globale di navigazione satellitare civile (GNSS) tra la Comunità europea e i suoi Stati membri e l'Ucraina, fatto a Kiev il 1o dicembre 2005 (A.C. 2013).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2013)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali. Pag. 74
Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Tempestini, ha facoltà di svolgere la relazione.

FRANCESCO TEMPESTINI, Relatore. Signor Presidente, il provvedimento in esame dispone l'autorizzazione alla ratifica dell'Accordo relativo ad un sistema globale di navigazione satellitare civile (la sigla è GNSS) stipulato a Kiev nel dicembre 2005 tra Comunità europea e Stati membri. Si tratta di un accordo misto perché è un accordo concluso nel settore delle competenze concorrenti della Comunità e degli Stati membri. La politica europea di navigazione satellitare è finalizzata a mettere a disposizione dell'Unione europea due sistemi di navigazione realizzati rispettivamente dai programmi EGNOS, il quale punta a migliorare la qualità dei segnali del sistema americano GPS, e Galileo. Il sistema Galileo è la prima infrastruttura mondiale di navigazione e posizionamento via satellite concepita espressamente per scopi civili e assolutamente indipendente dagli altri sistemi già realizzati, quello americano, il GPS, e quello russo. Queste infrastrutture comprendono satelliti e stazioni terrestri. Dall'inizio del 2007 si sono registrate molteplici difficoltà nello svolgimento del programma Galileo, principalmente dovute a disaccordi verificatisi all'interno dell'industria e alla difficoltà di trasferire il rischio al settore privato a condizioni ragionevoli.
Considerata la necessità che la fase costitutiva del sistema fosse realizzata direttamente e interamente da parte dell'Unione europea, l'impegno finanziario per il periodo 2007-2013 è risultato superiore rispetto a quello previsto inizialmente dalla proposta. Ora la materia è regolata da un regolamento emanato il 9 luglio 2008 che consente il proseguimento dell'attuazione dei programmi e prevede anche un ulteriore rifinanziamento.
La nuova normativa pone la Commissione di Bruxelles nelle condizioni di poter realizzare sistemi GNSS europei. Occorre tuttavia sottolineare che, se non verranno rispettati i tempi previsti, il possibile aumento dei costi di realizzazione potrebbe portare a nuove difficili situazioni di tensione tra i Paesi membri che in passato si sono dimostrati contrari a rivedere i budget comunitari in aumento.
Nel corso della discussione in Commissione abbiamo reputato utile sentire in particolare l'Azienda spaziale italiana, che è parte italiana dell'ESA. Ebbene, da questa audizione abbiamo potuto apprendere che vengono già messi in cantiere, sono previsti extracosti non coperti per la fase che si è da poco avviata, cioè la fase di validazione del progetto (non voglio entrare in particolari tecnici). Ed è addirittura in corso una valutazione di congruità da parte dell'advisor. Nel caso in cui queste valutazioni del rischio di extracosti venissero confermate va segnalato che ci troveremmo di fronte alla necessità di ulteriori finanziamenti da parte nazionale.
La seconda considerazione che questa audizione ci consente di esporre è che è emerso che sono possibili anche ritardi per quanto riguarda l'approntamento operativo della cosiddetta costellazione, cioè del lancio e del posizionamento in orbita dei trenta satelliti e, quindi, che i fondi allocati non sono sufficienti (sto facendo riferimento all'audizione dell'ASI). Non solo i fondi non sono sufficienti a completare la costellazione ma anche, in questo caso, sarebbe necessario prevedere ulteriori fondi a carico nazionale.
Insomma, si tratta di una serie di indicazioni che ci fa pensare che da parte del Governo occorra un approfondimento e mettere un po' sotto osservazione questa rilevante iniziativa di carattere comunitario industriale, che credo debba essere considerata attentamente.
L'altro tema che ritengo vada sollevato è quello che riguarda la governance: la Commissione europea è responsabile della governance e molti osservatori si chiedono se al suo interno abbia le competenze e le professionalità necessarie per portare a termine i programmi GNSS, controllando l'attività della GSA e dell'agenzia spaziale europea. Pag. 75
Sarebbe utile che il Governo acquisisse tutti gli elementi informativi circa gli oneri effettivi e lo stato di avanzamento del progetto Galileo. Naturalmente ciò non comporta nessun rilievo critico rispetto al disegno di legge in esame e alla ratifica del Trattato con l'Ucraina. Il Trattato con l'Ucraina è importante perché consente al progetto Galileo di allargare la sua base commerciale e la sua base di Paesi. Si tratta di uno dei Paesi lanciatori più importanti, e comunque è un Paese rilevante nel quadro di un'azione di allargamento dell'area di influenza di Galileo ad est e per quello che riguarda il Mediterraneo.
Naturalmente è un Accordo che punta soprattutto ad una cooperazione nel settore della navigazione satellitare e della generazione di segnali orari. Si tratta quindi della ricerca scientifica, della produzione industriale, della formazione, dello sviluppo di servizi e del mercato, del commercio, di aspetti legati allo spettro radio, nonché della normalizzazione, certificazione e regolamentazione del sistema e del recupero dei costi.
Quindi, si tratta di un articolato che impegna la Comunità e l'Ucraina, attraverso le proprie rispettive realtà nel settore, a portare a sinergia, nell'ambito del progetto Galileo, le attività di controllo e di navigazione satellitare. È la ratifica di un Accordo da cui non derivano nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato. Naturalmente l'approvazione del testo in esame comporta comunque il richiamo ad una considerazione di carattere più generale sullo stato e sull'avanzamento nei fatti del progetto Galileo e con particolare riferimento a questo aspetto ci rivolgiamo al Governo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, per quanto riguarda la ratifica dell'Accordo credo non vi sia alcun problema. Vi è solo da sottolineare che la Commissione europea, ancora di recente, ha sollecitato la ratifica da parte dell'Italia.
Per quanto riguarda il problema più generale del progetto Galileo, credo che le osservazioni del relatore e il lavoro della Commissione debbano formare oggetto di attenzione da parte dei due Ministeri interessati: il Ministero della ricerca e il Ministero dello sviluppo economico.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, il processo di internazionalizzazione del sistema europeo di navigazione satellitare, ampiamente dibattuto ed approvato in sede comunitaria, ha reso possibile, ma anche necessaria, la stipula dell'Accordo oggi all'esame di quest'Aula. Si tratta di un Accordo che ha sicuramente l'intento di facilitare e migliorare la cooperazione tra i contraenti e di rendere più efficaci i contributi, europeo ed ucraino, a questo sistema globale autonomo di navigazione satellitare civile. La strategia di allargamento delle alleanze in ambito mondiale e la necessità di trovare mercato in tutti i Paesi del mondo in competizione con i sistemi di navigazione già esistenti e con quelli di nuova generazione, fa da sfondo a questa ratifica.
L'Accordo con l'Ucraina, che ci apprestiamo a portare a conclusione, è il terzo ad essere approvato in questo settore, dopo quelli con la Cina nel 2003 e con Israele nel 2004; altri sono già stati siglati con la Corea del Sud e con il Marocco, entrambi nel 2006. Sappiamo che a favorire la rapida approvazione dell'Accordo in discussione con l'Ucraina è anche l'ampia considerazione internazionale di cui gode questo Paese, leader mondiale nella progettazione e produzione di sistemi di veicoli di lancio e componenti dei sistemi GNSS. L'Ucraina figura anche fra gli otto Paesi più importanti in materia di programmi spaziali e per le sue attività molto avanzate nel campo della navigazione satellitare ed ha espresso l'auspicio di pervenire ad un accordo per poter partecipare, come è stato ricordato, al progetto Galileo.
Galileo, infatti, è il sistema europeo di navigazione satellitare, a copertura globale, Pag. 76concepito espressamente per scopi civili e consentirà la collaborazione tra l'Unione europea e l'Ucraina in settori quali la scienza, la tecnologia, l'industria, i servizi, lo sviluppo dei mercati e le frequenze.
Vorrei sottolineare positivamente i rilievi espressi, in sede consultiva, nella XIV Commissione, inseriti, poi, nel parere finale favorevole, in relazione alla fase operativa del programma Galileo e ai relativi oneri finanziari, ovvero la richiesta di una valutazione più precisa di quali siano i soggetti ucraini interessati al progetto, che gli stessi siano dotati di adeguati requisiti di professionalità e competenza tecnica e come saranno regolati i contratti di concessione di servizi e appalti pubblici e con il settore privato.
Alla luce dell'importanza della ratifica in oggetto per il consolidamento delle infrastrutture strategiche in Europa, l'Italia dei Valori non farà mancare il voto favorevole a questo testo (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mecacci. Ne ha facoltà.

MATTEO MECACCI. Signor Presidente, intervengo per annunciare il voto favorevole del gruppo del Partito Democratico alla ratifica del Trattato internazionale in discussione. Non entrerò nel merito delle molte considerazioni condivisibili, già svolte dal collega Tempestini nella relazione ed anche dal collega Evangelisti. Vorrei svolgere solo alcune annotazioni, per sottolineare l'importanza, anche geopolitica, di questo Trattato.
Il Trattato in oggetto viene stipulato con l'Ucraina e, cioè, con un Paese che si trova nel mezzo di una transizione, anche politica, sicuramente difficile, un Paese che ha solidi rapporti commerciali anche con il nostro Paese. Credo che l'Italia sia il secondo partner commerciale europeo, naturalmente al di fuori della Russia: dopo la Germania, l'Italia è sicuramente un importante partner commerciale dell'Ucraina. Il fatto di inserire in un sistema satellitare per scopi civili, commerciali e di ricerca scientifica, un Paese come l'Ucraina che, in questo settore, è sicuramente leader, non solo a livello europeo, ma a livello mondiale, ha una valenza rilevante non solo di tipo commerciale ed economico, ma anche di tipo politico, perché integra, anche dal punto di vista delle relazioni in campo aerospaziale, questo Paese nell'ambito dell'Europa. Credo che, in un momento in cui questo Paese si è trovato, in particolare nel corso degli ultimi anni, ad essere sotto minacce di tipo commerciale e politico anche da parte della Russia, il fatto che, in questo settore, si rafforzino e si approfondiscano i legami con i Paesi membri e le istituzioni europee, sia rilevante. Quindi, credo che sia il tempo di arrivare alla ratifica rapida di questo Trattato, per far sì che, a fronte dell'aumento delle relazioni commerciali, si possa sperare di avere un consolidamento anche dei rapporti democratici, che questo Paese ha con le istituzioni europee, anche in vista di quanto auspicato da Kiev e, cioè, una piena integrazione politica, in ambito europeo, di questo importante Paese, che adesso si trova ai nostri confini ad est (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 2013)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il rappresentante del Governo rinunciano alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dei seguenti atti internazionali: a) Strumento così come contemplato dall'articolo 3(2) dell'Accordo di estradizione tra gli Stati Uniti d'America e l'Unione europea firmato il 25 giugno 2003, in relazione all'applicazione del Trattato di estradizione tra il Governo degli Stati Uniti d'America e il Governo della Repubblica italiana firmato il 13 ottobre 1983, fatto a Roma il 3 maggio 2006; b) Strumento così come contemplato dall'articolo 3(2) dell'Accordo sulla mutua assistenza giudiziaria tra gli Stati Uniti d'America e l'Unione europea firmato il 25 giugno 2003, in relazione all'applicazione del Trattato tra gli Stati Uniti d'America e la Repubblica italiana sulla mutua assistenza in materia penale firmato il 9 novembre 1982, fatto a Roma il 3 maggio 2006 (A.C. 2014) (ore 18,16).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge di Pag. 77Ratifica ed esecuzione dei seguenti atti internazionali:
a) Strumento così come contemplato dall'articolo 3(2) dell'Accordo di estradizione tra gli Stati Uniti d'America e l'Unione europea firmato il 25 giugno 2003, in relazione all'applicazione del Trattato di estradizione tra il Governo degli Stati Uniti d'America e il Governo della Repubblica italiana firmato il 13 ottobre 1983, fatto a Roma il 3 maggio 2006;
b) Strumento così come contemplato dall'articolo 3(2) dell'Accordo sulla mutua assistenza giudiziaria tra gli Stati Uniti d'America e l'Unione europea firmato il 25 giugno 2003, in relazione all'applicazione del Trattato tra gli Stati Uniti d'America e la Repubblica italiana sulla mutua assistenza in materia penale firmato il 9 novembre 1982, fatto a Roma il 3 maggio 2006.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2014)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Ruben, ha facoltà di svolgere la relazione.

ALESSANDRO RUBEN, Relatore. Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Ruben, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, preannunciando il voto favorevole del gruppo Italia dei Valori alla ratifica di questo atto chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Evangelisti, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Mecacci. Ne ha facoltà.

MATTEO MECACCI. Signor Presidente, i colleghi mi perdoneranno, ma vorrei fare qualche osservazione a nome del gruppo Partito Democratico rispetto alla ratifica di queste modifiche all'Accordo di estradizione tra l'Italia e gli Stati Uniti e tra gli Stati Uniti e l'Unione europea. Infatti vi è in particolare una norma molto importante che viene modificata in questo Trattato di estradizione ossia quella che attiene alla questione dell'applicazione della pena di morte negli Stati Uniti.
Questo Trattato di modifica del precedente che stiamo discutendo e ci apprestiamo a votare fa seguito proprio ad una decisione che è stata presa dalla Corte costituzionale nel 1996 rispetto ad una vicenda che all'epoca ebbe l'onore della cronaca e anche del dibattito politico. Mi Pag. 78riferisco al caso di Pietro Venezia, un cittadino italiano accusato di aver commesso dei crimini negli Stati Uniti e per questo sottoposto ad un procedimento di estradizione che si bloccò, lo voglio ricordare, proprio per un ricorso presentato alla Corte costituzionale, la quale rilevò l'incostituzionalità delle norme del codice penale del nostro ordinamento che consentivano l'estradizione anche in un Paese che poteva applicare la pena di morte.
Questa pratica non è consentita secondo le norme della nostra Costituzione e devo dire che dal 1996 ad oggi abbiamo proceduto ad eliminare qualsiasi riferimento, nel nostro ordinamento anche costituzionale, persino relativo allo stato di guerra, di applicazione della pena di morte.
Va sottolineato che, dopo l'approvazione da parte dell'Assemblea generale nel dicembre del 2007 della risoluzione per la moratoria universale della pena di morte, ed è importante ribadirlo, le norme che vincolano il nostro Paese sia a livello nazionale che a livello internazionale non consentono in nessun caso l'applicazione della pena di morte.
Il testo che è stato negoziato e che è stato inserito come modifica di questo Trattato sicuramente offre maggiori garanzie rispetto al passato in ordine alla non applicabilità della pena di morte da parte degli Stati Uniti. Tuttavia, occorre sottolineare che non siamo, a mio avviso, ancora in presenza di una garanzia assoluta di non applicabilità e non comminabilità della pena di morte da parte degli Stati Uniti.
Mi soffermo brevemente per leggere il testo dell'articolo che viene introdotto, a modifica completa e complessiva dell'articolo IX. Esso recita: «Quando il reato per il quale si richiede l'estradizione è punibile con la pena di morte secondo le leggi della parte richiedente» - quindi in questo caso gli Stati Uniti - «ma non è punibile con la pena di morte secondo le leggi della parte richiesta» - cioè il nostro Paese - «la parte richiesta può concedere l'estradizione a condizione che la pena di morte non venga imposta alla persona richiesta, o nel caso in cui per motivi procedurali la parte richiedente non potesse ottemperare a tale condizione, a condizione che la pena di morte se imposta non venga eseguita».
In questa parte dell'articolo si affronta un problema presente negli Stati Uniti. Gli Stati Uniti hanno un sistema di applicazione della pena di morte che viene attuata anche a livello dei singoli Stati federali. Pertanto, non vi è una competenza diretta e assoluta di controllo da parte dello Stato federale sull'applicazione della pena di morte. Quindi, si consente anche al Governo degli Stati Uniti di non dare una certezza assoluta riguardo all'applicabilità della pena di morte, ma vogliamo avere delle garanzie riguardo poi alla sua esecuzione. Tuttavia, l'articolo continua stabilendo che «se la parte richiedente accetta l'estradizione alle condizioni del presente articolo, essa dovrà ottemperarvi». Si impone un obbligo internazionale da parte degli Stati Uniti all'applicazione di questa norma.
Per quanto riguarda, invece, il nostro Paese, cioè il Paese che deve concedere l'estradizione, l'articolo conclude stabilendo che «se la parte richiedente non accetta tali condizioni, la richiesta di estradizione può essere respinta». In questo caso si prevede la facoltà, la possibilità per il Paese di non concedere l'estradizione nel caso in cui gli Stati Uniti non accettino le condizioni di non comminazione ed esecuzione della pena di morte.
Poiché è evidente che in questa fase non si può modificare questa norma, tuttavia deve esservi, da parte del Governo, un impegno politico preciso che nel caso in cui gli Stati Uniti non dovessero accedere alle condizioni che sono previste in questo Trattato il Governo non si riservi la facoltà di non concedere l'estradizione ma si impegni, in modo chiaro e definitivo, con un impegno politico non contestabile né controvertibile, all'applicazione di questa norma e quindi, eventualmente, anche alla non concessione dell'estradizione.
Questo lo dico perché, se si dovesse procedere nella direzione opposta, cioè Pag. 79concedere l'estradizione anche in assenza delle condizioni previste da questo Trattato, probabilmente ci troveremmo di nuovo di fronte a un caso di incostituzionalità e nella possibilità di richiedere, da parte di chi è soggetto alla procedura di estradizione, di nuovo alla Corte costituzionale di esprimersi.
È evidente che non vi è una garanzia assoluta, neanche in questo caso, di non concessione dell'estradizione verso gli Stati Uniti in assenza di assicurazioni sulla non applicazione della pena di morte, però credo che potrebbe aiutare se dal Governo venisse, sia in questa fase, ma anche nell'esame degli articoli che avverrà nei prossimi giorni, un impegno, magari dando parere favorevole ad un ordine del giorno che intendo presentare in questo senso, affinché il Governo non si riservi la facoltà di non concedere l'estradizione in caso di assenza di garanzia, ma si impegni in modo chiaro a non farlo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 2014)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore, onorevole Ruben, rinuncia alla replica.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

ENZO SCOTTI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor Presidente, quando avremo modo di leggere il testo dell'ordine del giorno preannunciato credo certamente che il Governo non potrà che mantenere una posizione coerente con il dettato costituzionale.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 24 febbraio 2009, alle 11:

1. - Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 1305 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni finanziarie urgenti (Approvato dal Senato) (2198).
- Relatori: Volpi, per la I Commissione e Toccafondi, per la V Commissione.

2. - Seguito della discussione delle mozioni Realacci ed altri n. 1-00110, Piffari ed altri n. 1-00117, Ghiglia ed altri n. 1-00118 e Libè ed altri n. 1-00119 concernenti iniziative per favorire uno sviluppo ambientale sostenibile.

3. - Seguito della discussione dei disegni di legge:
S. 1073 - Ratifica ed esecuzione del II Protocollo relativo alla Convenzione dell'Aja del 1954 per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, fatto a L'Aja il 26 marzo 1999, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno (Approvato dal Senato) (1929-A).
- Relatori: Lo Presti, per la II Commissione e Leoluca Orlando, per la III Commissione.

S. 1279 - Ratifica ed esecuzione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, con Protocollo opzionale, fatta a New York il 13 dicembre 2006 e istituzione dell'Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità (Approvato dal Senato) (2121)

Pag. 80

e dell'abbinata proposta di legge: FARINA COSCIONI ed altri (1311).
- Relatori: Biancofiore, per la III Commissione e Baccini, per la XII Commissione.

Ratifica ed esecuzione del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione fra la Repubblica italiana e la Repubblica dell'Iraq, fatto a Roma il 23 gennaio 2007 (2037-A).
- Relatore: Boniver.

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione relativo ad un sistema globale di navigazione satellitare civile (GNSS) tra la Comunità europea e i suoi Stati membri e l'Ucraina, fatto a Kiev il 1o dicembre 2005 (2013).
- Relatore: Tempestini.

Ratifica ed esecuzione dei seguenti atti internazionali:
a) Strumento così come contemplato dall'articolo 3(2) dell'Accordo di estradizione tra gli Stati Uniti d'America e l'Unione europea firmato il 25 giugno 2003, in relazione all'applicazione del Trattato di estradizione tra il Governo degli Stati Uniti d'America e il Governo della Repubblica italiana firmato il 13 ottobre 1983, fatto a Roma il 3 maggio 2006;
b) Strumento così come contemplato dall'articolo 3(2) dell'Accordo sulla mutua assistenza giudiziaria tra gli Stati Uniti d'America e l'Unione europea firmato il 25 giugno 2003, in relazione all'applicazione del Trattato tra gli Stati Uniti d'America e la Repubblica italiana sulla mutua assistenza in materia penale firmato il 9 novembre 1982, fatto a Roma il 3 maggio 2006 (2014).
- Relatore: Ruben.

La seduta termina alle 18,25.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DI MINORANZA DEL DEPUTATO DONATELLA FERRANTI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE N. 1415-A

DONATELLA FERRANTI, Relatore di minoranza. Abbiamo ritenuto necessario presentare una nostra proposta, un nostro articolato che rappresenta una linea coerente di contemperamento delle esigenze di razionalizzazione del ricorso alle intercettazioni e la tutela delle parti da improprie diffusioni di dati non rilevanti per il procedimento con quelle di non compressione delle esigenze di garantire efficaci e tempestivi interventi di repressione nell'immediatezza della commissione dei reati o nella permanenza dell'azione criminosa o dei suoi effetti; il tutto senza pregiudizio nei confronti di intere categorie di operatori della giustizia, senza voler attuare interventi punitivi, senza lesioni irreparabili del principio costituzionale di informare e essere informati, ribadito di recente nella sentenza del 2007 della Corte Europea dei diritti umani (affaire Depuis).
L'esigenza di rivedere il sistema delle intercettazioni parte da alcuni episodi gravi - che hanno originato veri e propri scandali - di pubblicazione indiscriminata del contenuto delle conversazioni ed intercettazioni, nell'ambito di procedimenti penali ancora in corso di indagine; dall'osservazione delle statistiche secondo le quali l'Italia sarebbe il paese - almeno in Europa - con il maggior numero di intercettazioni effettuate; dal lievitare dei costi per le captazioni, sempre più insostenibili, soprattutto in un paese che riduce annualmente i fondi per l'amministrazione della giustizia.
Anche se nel valutare questi ultimi dati sarebbe forse opportuno tenere a mente alcune specificità del nostro paese: come per esempio il fatto che da noi non è consentito all'Esecutivo intercettare in via autonoma, sicché anche le intercettazioni preventive richiedono pur sempre l'autorizzazione della magistratura. Il che fra Pag. 81l'altro comporta che tutte le intercettazioni vengano alla luce e possano essere registrate, mentre nei numeri delle intercettazioni di altri Paesi (l'Inghilterra ne è l'esempio più eclatante) si sconta un numero «occulto» di intercettazioni, compiute all'insaputa delle statistiche ufficiali e della conoscenza della collettività.
Le intercettazioni telefoniche sono sicuramente uno strumento d'indagine insidioso, particolarmente invasivo, ma proprio per questo a volte efficacissimo e insostituibile.
Le intercettazioni proprio perché implicano una lesione della libertà degli individui alla segretezza delle comunicazioni, una libertà direttamente e rigorosamente tutelata dall'articolo 15 della Costituzione, che ne subordina la restrizione sia alla riserva di legge quanto alla riserva di giurisdizione, in termini ancora più rigidi di quanto stabilito per la libertà personale, sono comunque uno strumento d'indagine insostituibile e questo è un dato che troppo spesso sembra non essere sufficientemente valorizzato; così come è insostituibile il diritto-dovere della stampa di poter informare sulle inchieste penali, sul modo in cui la giustizia viene concretamente amministrata, specie nei casi più sensibili.
Sennonché l'impressione è che la proposta del Governo abbia ecceduto proprio nella protezione della libertà delle comunicazioni, quasi ignorando che vi sono interessi con essa confliggenti, interessi degni di valore, anche costituzionale, che non possono essere del tutto sacrificati.
L'articolo 2, infatti, modifica gli articoli 114 e 115 del codice di procedura penale, relativi al divieto di pubblicazione di atti di indagine; in particolare il comma 1 sostituisce il comma 2 dell'articolo 114 del codice di procedura penale relativo al divieto di pubblicazione, anche parziale degli atti di indagine, anche se non più coperti dal segreto, fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino all'udienza preliminare. Un black out informativo, si è sostenuto in più occasioni, nel dibattito in Commissione che costituisce un ritorno al passato: l'articolo 164 del codice di procedura penale del 1930 vietava infatti di pubblicare gli atti di istruzione fino alla chiusura della stessa.
A differenza di quanto previsto dalla normativa vigente prima della conclusione delle indagini preliminari secondo la proposta del Governo non sarà più possibile conoscere del contenuto degli atti di indagine e tanto meno del contenuto di conversazioni telefoniche oggetto di intercettazioni, siano o meno rilevanti per le indagini.
La norma in sostanza ha eliminato la distinzione tra atto e contenuto dello stesso, con una conseguenza assai pesante sull'esercizio del diritto fondamentale quale è il diritto di cronaca, che viene ad essere in modo sproporzionato compresso sia sotto il profilo temporale che sostanziale, riguardando anche gli atti non più coperti da segreto istruttorio.
Gli emendamenti presentati dal gruppo di opposizione del PD, respinti in Commissione Giustizia, e ripresentati in aula così come la nostra proposta di minoranza, sono tutti volti a consentire che una volta caduto il segreto di indagine sia possibile la pubblicazione del contenuto dell'atto di indagine, stabilendo invece che per le intercettazioni il divieto cada al momento in cui si sia proceduto allo stralcio e cioè quando il giudice abbia nel contraddittorio delle parti, provveduto alla selezione delle conversazioni rilevanti per il procedimento; mentre è stato ribadito con forza il divieto di pubblicazione con riferimento alle intercettazioni irrilevanti.
Si è cercato cioè un approccio non monodimensionale come quello che invece caratterizza la proposta del Governo in tutti i suoi aspetti, sia nella versione originaria che in quella successiva all'emendamento presentato alla Commissione giustizia, che ha inciso significativamente sui presupposti delle intercettazioni, realizzando in nome della protezione della libertà della segretezza un'eccessiva compressione della concorrente esigenza di repressione del reato. Pag. 82
Una riflessione specifica meritano infatti i ripensamenti della maggioranza in tema di presupposti per l'intercettazione.
Nella proposta iniziale si prevedeva che le intercettazioni fossero consentite per un novero di reati molto ridotto rispetto a quanto non sia previsto oggi. Rimaneva la possibilità di intercettare i delitti dolosi contro la pubblica amministrazione puniti con cinque o più anni di reclusione - pur con i molti dubbi pubblicamente esternati - ma si innalzava significativamente la soglia generale di intercettabilità - delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a dieci anni di reclusione . In pratica, una significativa riduzione dei reati intercettabili, che è stata immediatamente criticata - che abbiamo immediatamente criticato - perché alcuni gravi reati contro la libertà personale e contro il patrimonio, puniti con la reclusione superiore ai cinque anni restavano esclusi, come il sequestro di persona, come l'usura, la ricettazione, oltre ad altri gravi reati: lo sfruttamento della prostituzione, l'associazione per delinquere, eccetera.
Ma, soprattutto, si operava una selezione dei reati senza tenere conto delle loro caratteristiche strutturali e dell'utilità e necessità dell'intercettazione rispetto ad alcuni di essi; ci sono reati infatti per i quali l'intercettazione è un mezzo praticamente insostituibile: basti pensare a tutti i reati che si concretano in una societas o in un pactum sceleris.
Era una soluzione priva di ragionevolezza che deprimeva in modo ingiustificato l'esigenza di prevenire e contrastare i reati gravi, che è pure una esigenza di rilievo costituzionale (che mi pare trovi emersione soprattutto nell'articolo 112 della Costituzione) in nome di un generico richiamo ai principi della tutela del cittadino a vedere « tutelata la loro riservatezza soprattutto quando estranei al procedimento», che troviamo espressa nella relazione illustrativa al disegno di legge governativo.
Con il testo oggi in aula il Governo ha fatto un'altra marcia indietro sui reati intercettabili, si è tornati alla formulazione del codice attuale contenuta nell'articolo 266, comma 1, ma in compenso si è stabilito che le intercettazioni sono consentite solo quando vi siano gravi indizi di colpevolezza e non - come accade invece oggi - in presenza di gravi indizi di reato: cioè, mentre stando al codice odierno per intercettare basta che vi sia una prova certa che un reato grave è stato commesso, se il disegno di legge governativo diventerà legge sarà necessario che il pubblico ministero abbia raccolto non solo prove dell'esistenza del reato (cosiddetta prova generica), ma anche prove che quel reato sia stato commesso da una certa persona.
Questa soluzione però non muta la sostanza del problema, anzi forse la aggrava. Perché non si comprende che senso abbia consentire al pubblico ministero di intercettare quando ormai la sua indagine ha raggiunto un tale livello di avanzamento da essere prossima alla conclusione. Che bisogno ha di intercettare un pubblico ministero che abbia già raccolto numerose ed incisive prove a carico di una persona? Quale finalità processuale può avere in mente un pubblico ministero che chieda di intercettare quando può già sostenere l'accusa in giudizio? Che ragione può avere per intercettare un pubblico ministero che abbia già in mano gli elementi per chiedere ed ottenere la custodia cautelare nei confronti di una persona?
La sostanza mi pare sia chiara: dietro l'innalzamento del requisito dei gravi indizi - da indizi di reato ad indizi soggettivati di colpevolezza - si cela una sorta di veto all'intercettazione. Togliere questo mezzo di ricerca della prova al pubblico ministero proprio nelle circostanze in cui sarebbe più utile, cioè per scoprire i colpevoli ignoti di un reato, e viceversa concederlo quando ormai l'indagine ha fatto il suo corso, quando si sono già raccolte prove che attestano la colpevolezza di una persona, significa in sostanza escludere che si possa intercettare.
Vi è poi il problema del cosiddetto doppio binario: per i delitti previsti dall'articolo 51, comma 3-bis e 3-quater del codice di procedura penale. Pag. 83
Il presupposto per l'intercettazione è che vi siano sufficienti indizi di reato e vi è la possibilità di effettuare le intercettazioni cosiddette ambientali anche se non vi sono motivi per ritenere che si stia svolgendo l'attività criminosa nel luogo in cui si realizza la captazione. Non si tratta in realtà di una grande conquista, come invece è stata sbandierato dalla maggioranza, in quanto il regime che oggi è in vigore, previsto dall'articolo 13 del decreto-legge 13 maggio 1991 n. 152 convertito in legge 12 luglio 1991, n. 203, in vigore, già lo prevede ed è stato abrogato dall'articolo 16 del disegno di legge n. 1415 (cosiddetto Alfano).
A questo punto ritengo sia evidente come la proposta formulata dalla maggioranza di introdurre il requisito dei gravi indizi di colpevolezza sembra incorrere in un grave equivoco, perché confonde i presupposti necessari per intercettare con la quantità di bersagli intercettabili, con la quantità di utenze e luoghi che possono essere posti sotto captazione. Si continua ad avere l'impressione che si continui a sovrapporre il problema dei presupposti delle intercettazioni con quello delle utenze intercettabili.
Ma un conto è determinare il momento dell'indagine in cui ci si possa servire del mezzo captativo, le condizioni al cui ricorrere le intercettazioni possano essere disposte. Altro conto è invece cercare di limitare il numero dei bersagli, l'ambito dei soggetti intercettabili, per impedire la cosiddetta intercettazione generale o a strascico.
Resta il fatto che, se l'obiettivo è quello di ridurre le lesioni della segretezza e della privacy che non siano compensate dal «ritorno» di una qualche utilità processuale, mi pare illogico alzare la soglia dei presupposti; limitare l'ambito degli apparecchi o dei luoghi intercettabili, richiedendo uno stretto collegamento funzionale con l'indagine e una rigorosa ed autonoma motivazione del giudice - senza incidere sui presupposti (e quindi mantenendo i gravi indizi di reato) - è la soluzione più ragionevole ed adeguata a garantire quel contemperamento di interessi di rilevanza costituzionale - esigenze della riservatezza ed efficacia della risposta repressiva ed esigenze del processo - che sembravano dover costituire la motivazione dell'intervento riformatore.
In questo senso va la nostra proposta e in particolare l'articolo 4 dell'articolato di minoranza del Partito Democratico. Eguale discorso vale per le intercettazioni ambientali. Anche qui la disciplina proposta si spinge, per tutelare la libertà delle comunicazioni, sino a rendere più arduo il compimento di intercettazioni ambientali. Si prevede infatti che il presupposto legato al fondato motivo che, nel luogo intercettato, si stia compiendo l'attività criminosa valga per tutte le operazioni e non solo per quelle compiute nel domicilio, con l'eccezione riferita ai delitti di cui all'articolo 51 del codice di procedura penale di cui ho già parlato per i quali vi è stato un intervento riparatore, dell'ultima ora.
Ma anche qui la protezione della libertà di comunicazione è gratuitamente estremizzata: perché il requisito del fondato motivo che nel luogo intercettato si stia svolgendo l'attività criminosa era stato pensato dal legislatore del 1988 non tanto per proteggere le comunicazioni, quanto per proteggere in modo specifico il domicilio. La ratio era questa: se faccio un'intercettazione, telefonica o ambientale, ho bisogno dei presupposti previsti dall'articolo 267 (titolo di reato, gravi indizi, indispensabilità); se però nell'intercettare violo anche la libertà di domicilio allora è necessario che ricorra un presupposto aggiuntivo, concepito proprio - ed in via esclusiva - per proteggere il domicilio, il requisito del fondato motivo che sul luogo si stia svolgendo l'attività criminosa.
La proposta della maggioranza in pratica estende una garanzia che era stata pensata in via esclusiva per il domicilio a tutte le ipotesi di intercettazioni ambientali per reati non di mafia e terrorismo; ed anche qui si stenta a comprenderne la ragione, ma il risultato è un ispessimento delle garanzie richieste per tutte le intercettazioni ambientali. Per quale ragione per intercettare con una microspia in un ristorante dovrebbero essere richieste più Pag. 84cautele di quando si intercetta il telefono di una persona? In che modo un'intercettazione ambientale compiuta in luogo pubblico è da considerare più pericolosa di un'intercettazione telefonica o telematica?
Si prendano poi le regole sulla proroga. Il testo del Governo prevedeva originariamente una durata delle intercettazioni di quindici giorni, prorogabile sino ad un termine massimo di tre mesi. L'emendamento del Governo ha innovato sul punto: ora la durata è di 30 giorni, prorogabile di quindici giorni per non più di due volte. Dunque, adesso il termine massimo, inderogabile, per intercettare sarebbe di sessanta giorni. Qui la protezione della segretezza delle comunicazioni ha partorito un limite rigido, incomprimibile, un argine invalicabile dinnanzi a cui le esigenze d'indagine devono sempre e comunque arrestarsi. In qualche ipotesi potrà essere ragionevole, in altri casi rappresenterà un grosso freno alle investigazioni, perché due mesi potrebbero essere un tempo troppo esiguo per raccogliere gli elementi utili, specie quando le inchieste siano complesse ed articolate, con molti indagati.
La previsione di un limite rigido, non derogabile, rischia di sacrificare troppo le esigenze di repressione dei reati. Infatti, su questo punto nella nostra proposta, pur tenendo conto dell'importanza di evitare intercettazioni infinite, sine die, abbiamo previsto che le proroghe siano possibili solo a condizioni molto rigorose, solo qualora siano emersi elementi nuovi rispetto a quelli in forza dei quali l'autorizzazione era stata concessa.
Inoltre, nella proposta del Governo si equiparano alle intercettazioni operazioni che non ledono direttamente la libertà costituzionale ex articolo 15 della Costituzione: l'acquisizione di tabulati e tutte le operazioni di videoripresa sono equiparate infatti ad un'intercettazione. Anche qui, nell'ottica di proteggere la segretezza delle comunicazioni si fa di tutta l'erba un fascio. Non c'è una profonda differenza fra captare un dialogo e acquisire lo stampato delle telefonate in uscita e in entrata da un'utenza? Nel primo caso ascolto esattamente quello che due persone si comunicano riservatamente, penetro nel profondo della loro intimità. Nel secondo caso, invece, non si lede direttamente la segretezza delle comunicazioni, per il semplice fatto che il contenuto delle comunicazioni non viene affatto carpito e la conversazione resta di esclusiva conoscenza dei dialoganti. Che poi si sia talora abusato del ricorso ai tabulati, questo non elide la sostanza del problema: l'acquisizione di tabulati non incrina la libertà tutelata dall'articolo 15 della Costituzione, semmai i problemi scaturiscono dall'uso distorto, non legittimo, che in ogni caso riguarda altri piani di valutazione dei soggetti cui sono attribuibili tali comportamenti.
Tra l'altro solo pochi mesi fa il Governo ha innovato la disciplina relativa all'acquisizione dei tabulati, riscrivendo in gran parte l'articolo 132 del codice della privacy (decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196) e attribuendo al pubblico ministero il potere di acquisire per mezzo del suo decreto i dati di traffico telefonico e telematico.
La proposta del Partito Democratico prevede che durante le indagini preliminari, i dati di traffico siano acquisiti con decreto motivato del giudice, salvo i casi di urgenza dal pubblico ministero (comma 1), che il difensore possa richiederne l'acquisizione direttamente al fornitore del servizio ai sensi dell'articolo 391-quater (comma 2), senza però intervenire sull'innalzamento dei presupposti.
Discorso simile per le videoriprese. Sappiamo che nel nostro ordinamento processuale c'è una lacuna, perché non è prevista una disciplina ad hoc di questo mezzo di ricerca della prova. Questo ha dato origine ad una serie di interventi giurisprudenziali che hanno cercato di fissare le coordinate di base della materia. Così, possiamo ormai dire di disporre di qualche punto fermo. Che una videoripresa, se non cattura comportamenti comunicativi, non equivalga ad un'intercettazione è stato autorevolmente affermato dalla Corte costituzionale (Corte costituzionale n. 135 del 2002): per quale ragione Pag. 85allora per compierla dovrebbero sussistere tutte le garanzie delle intercettazioni?
Questa equiparazione alle intercettazioni di operazioni (tabulati e videoriprese) che non hanno una diretta incidenza sulla libertà costituzionale di segretezza delle comunicazioni, comporta un innalzamento di garanzie non giustificato dal tipo di attività che si compie e, contemporaneamente, rende più ardue le investigazioni, le ostacola in barba a tutti i principi sbandierati di sicurezza per i cittadini.
Sul piano dell'esecuzione delle operazioni, tre sono gli snodi principali presi di mira dalle proposte di riforma legislativa: la disciplina degli impianti predisposti alla registrazione e all'ascolto delle intercettazioni; la istituzione di un archivio riservato; la disciplina dello stralcio delle comunicazioni irrilevanti.
La disciplina del progetto di legge del Partito Democratico è quella che unisce più organicamente i tre punti.
Si prevede infatti che le operazioni di registrazione delle intercettazioni avvengano per mezzo di impianti installati presso le procure generali o distrettuali (articolo 268, comma 3), con possibile dislocazione aliunde dell'ascolto. A questo punto i verbali e le registrazioni sono immediatamente inseriti nell'archivio riservato (articolo 268, comma 3-ter). Dall'archivio riservato, cui hanno accesso esclusivo i soggetti del procedimento, le intercettazioni potranno uscire solo se giudicate rilevanti da una delle parti (pubblico ministero o difensori) o dal giudice.
In particolare si stabilisce che, al termine delle operazioni di intercettazione, il pubblico ministero debba depositare i verbali e le registrazioni delle intercettazioni che ritiene rilevanti e, contestualmente, inviare avviso al difensore affinché si rechi presso l'archivio riservato e faccia altrettanto, ossia, selezioni le conversazioni che reputa rilevanti dal suo punto di vista (articolo 268-bis, commi 1-4): all'esito di queste attività si terrà l'udienza di stralcio, in cui il giudice disporrà l'acquisizione delle conversazioni che ritenga rilevanti (articolo 268-bis, comma 5) e che saranno poi trascritte da un perito (articolo 268-ter).
Anche nel corso delle indagini preliminari, quando ancora le operazioni siano in corso (e quindi prima del deposito ai sensi dell'articolo 268-bis), il pubblico ministero e il giudice possono servirsi processualmente delle conversazioni già captate, ma solo di quelle strettamente rilevanti (articolo 268-quater).
Dunque, si inverte il meccanismo implicito nell'attuale disciplina: in linea di principio, solo le intercettazioni rilevanti dovrebbero essere inserite fra le «carte» del procedimento, mentre quelle irrilevanti resterebbero «al sicuro» nell'archivio riservato (articolo 268-bis, comma 6), così assicurandosi in partenza una forte tutela alla riservatezza dei terzi coinvolti.
Il progetto del Governo è alquanto simile su molti aspetti, ma complessivamente meno coerente. Anch'esso istituisce l'archivio riservato (articolo 268, comma 1). Anche qui si prevede che la registrazione delle conversazioni venga compiuta con impianti situati presso le procure generali (non anche distrettuali), con possibile dislocazione dell'ascolto presso gli uffici di polizia giudiziaria delegati (articolo 268, comma 3). Si mantiene, però, la regola per cui, al termine delle operazioni (salvo proroghe autorizzate), il pubblico ministero deve depositare i verbali e le registrazioni di tutte le conversazioni in segreteria, dando avviso al difensore che può prenderne visione (articolo 268, commi 4-6). Dunque, passano dalla segreteria del pubblico ministero tutte le intercettazioni, come già accade ora. Dopo che il difensore ha preso cognizione (senza diritto di prendere copia) delle intercettazioni, si tiene l'udienza di stralcio, che nel progetto del Governo viene resa indefettibile e rafforzata sul piano delle garanzie partecipative rispetto alle norme attuali (articolo 268, commi 6-bis, 6-ter). Le conversazioni selezionate in sede di stralcio saranno poi trascritte, sempre che il giudice lo ritenga necessario ai fini della decisione da assumere (articolo 268 comma 7). Pag. 86
Sebbene istituisca l'archivio riservato, il progetto del Governo non fonde questa creazione con il meccanismo di stralcio: lo stralcio resta ispirato alle regole odierne, salvo - come si diceva - un irrobustimento sul piano dell'udienza. Pertanto: le intercettazioni escono tutte dall'archivio riservato per transitare nella segreteria del pubblico ministero (a prescindere dalla loro rilevanza, che ancora deve essere giudicata); le intercettazioni saranno acquisite al procedimento, salvo che non siano espressamente escluse per manifesta irrilevanza o per essere vietate dalla legge.
Qual è insomma la differenza fra la prospettiva della maggioranza e quella dell'opposizione?
Il testo della maggioranza è animato da una sorta di esasperata protezione della segretezza delle comunicazioni, e finisce così per appiattirsi unicamente sulla protezione di quella libertà, estremizzandola irragionevolmente, sino al punto da ignorare ogni istanza confliggente, comprimendola in un angolo.
Il progetto presentato dall'opposizione, così come gli emendamenti che abbiamo avanzato, si fanno invece carico di una visione, per così dire, più complessa, più ampia: l'idea è quella di proiettare la tutela della libertà della segretezza delle comunicazioni all'interno di un articolato sistema costituzionale di valori e di farsi carico del bilanciamento di interesse.
Insomma, proteggere la libertà di segretezza delle comunicazioni, ma senza atteggiamenti punitivi nei confronti di altri valori eventualmente confliggenti: il valore della repressione dei reati, il valore della libertà di stampa e del diritto di essere informati.
È su questa linea che abbiamo incalzato e continueremo a incalzare il Governo perché ripieghi su soluzioni più ragionevoli, nell'interesse di tutti i cittadini.
Il punto di partenza è l'idea che il numero delle intercettazioni sia da ridurre. La risposta è restringere i presupposti.

CONSIDERAZIONI INTEGRATIVE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO FABIO EVANGELISTI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE N. 1415-A

FABIO EVANGELISTI. Si avrebbe, in buona sostanza, la privazione di ogni effettività del precetto sulla obbligatorietà dell'azione penale. Ma, onorevoli colleghi, se viene svuotato il significato di quel principio, è svilito anche il diritto della vittima a chiedere giustizia che invece le assicura l'articolo 24 della Costituzione, che risulterebbe perciò conseguentemente violato se il disegno di legge proposto dalla Commissione fosse approvato.
Ed ancora l'articolo 1, comma 2, del testo proposto dalla maggioranza afferma che «se il magistrato risulta iscritto nel registro degli indagati» il capo dell'ufficio provvede alla sua sostituzione ai sensi dell'articolo 53, comma 2, del codice di procedura penale«. In questo modo l'indagato può denunciare, anche in maniera del tutto strumentale, il pubblico ministero che indaga su di lui e, per l'obbligatorietà dell'immediata iscrizione nel registro degli indagati, ai sensi dell'articolo 335 dello stesso codice, automaticamente ottenerne la rimozione dall'incarico.
Onorevoli colleghi, siamo sinceramente all'assurdo! Ogni indagato potrebbe bloccare i processi a vita!
Questi sono solo alcuni degli aspetti di incostituzionalità presenti nel disegno proposto dal Governo. Ve ne sono molti altri, tutti bene esplicitati nella relazione alternativa presentata dall'onorevole Palomba e ci fa piacere che questa iniziativa sia stata seguita anche dai colleghi del Partito Democratico con l'augurio che sia il segnale di una volontà di opposizione comune più forte e concreta!
Prima di concludere un'ultima riflessione credo sia doverosa. Se anche l'amministrazione della giustizia e la lotta alla criminalità dovessero costare economicamente molto, sono spese che devono essere sostenute. Limitare le intercettazioni perché costano troppo è un'impostazione di Pag. 87una brutalità inaccettabile; la sicurezza dei cittadini non ha prezzo. Al di là di questo principio generale, riteniamo che rimettere alla discrezionalità del Ministro della giustizia la distribuzione delle risorse per ogni singola procura significa di fatto piegare l'indipendenza e l'autonomia della magistratura.
L'indipendenza perché inevitabilmente le procure sarebbero dipendenti economicamente dal potere politico per poter compiere il proprio dovere. L'autonomia perché la dipendenza economica non può che portare ad una inevitabile diminuzione del grado di autonomia dei magistrati.
È dunque su questo che in fondo, onorevoli colleghi, dobbiamo riflettere. Al di là degli schieramenti politici di oggi è davvero questo che vogliamo? Una democrazia fondata non più sul principio della separazione dei poteri, ma in cui al contrario il potere giudiziario, il potere neutro, sia dipendente da quello politico; un potere politico senza freni e contrappesi, svincolato anche dal dovere di rispettare la legge!

CONSIDERAZIONI INTEGRATIVE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO MARGHERITA BONIVER IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI RATIFICA N. 2037-A

MARGHERITA BONIVER, Relatore. Onorevoli colleghi, il Trattato in esame è stato firmato a Roma il 23 gennaio 2007 sulla base degli impegni assunti nel corso di una visita compiuta in Iraq nel giugno 2006 dall'allora Ministro degli affari esteri D'Alema.
L'intesa è stata siglata subito dopo la conclusione della partecipazione italiana alla missione militare in Iraq (dicembre 2006), dove le truppe italiane avevano il compito di garantire la cornice di sicurezza essenziale per consentire l'arrivo degli aiuti e di contribuire alle attività più urgenti di ripristino delle infrastrutture e dei servizi essenziali. Alcune forme di collaborazione erano già in atto - per lo più in sede multilaterale - prima del raggiungimento dell'accordo, e, tra queste, le attività per la formazione del personale militare iracheno e per la configurazione del nuovo sistema giudiziario.
Il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione ha quindi l'obiettivo di lanciare e dare un quadro giuridico a nuove forme di collaborazione sul piano bilaterale, in alcuni importanti settori, e di strutturare la partecipazione italiana alla ricostruzione.
Il Consiglio di Presidenza iracheno ha approvato il 18 agosto 2008 la legge che ratifica il trattato con l'Italia.
L'Italia, che è uno dei principali partner per la stabilizzazione in Iraq, partecipa all'International Compact with Iraq, un'iniziativa congiunta del Governo iracheno e delle Nazioni Unite, che fissa gli obiettivi di sviluppo e riforma economica dell'Iraq. Il nostro Paese contribuisce inoltre all'IRFFI (International Reconstruction Fund Facility for Iraq), uno strumento finanziario multilaterale per la ricostruzione dell'Iraq che opera attraverso due fondi fiduciari amministrati dalle Nazioni Unite e dalla Banca Mondiale.
Il Trattato si compone di 17 articoli, preceduti da un Preambolo che delinea i principi generali cui esso si ispira: innanzitutto il rispetto della legalità internazionale, nel quadro della comune visione della centralità dell'ONU e dell'adesione alla Carta delle Nazioni Unite e alle altre Convenzioni in ambito di relazioni internazionali.
Vengono poi affermati i principi del rispetto dell'uguaglianza sovrana degli Stati, del non ricorso alla minaccia o all'impiego della forza contro l'integrità territoriale o l'indipendenza dell'altra Parte e della non ingerenza - diretta o indiretta - negli affari interni della controparte.
Viene enunciato il principio della cooperazione per la crescita socio-economica, in base al quale l'Italia metterà a disposizione esperti e militari per ridurre il divario di sviluppo. Viene affermato l'impegno al rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, nonché quello alla soluzione pacifica delle eventuali controversie. Le Parti si impegnano inoltre ad adottare iniziative atte alla creazione di uno spazio culturale comune all'interno Pag. 88del quale si possa sviluppare il dialogo tra le due culture.
Per realizzare la cooperazione, l'articolo 1 prevede riunioni periodiche, da tenersi alternativamente nei due Paesi, sia tra Capi di Governo sia tra Ministri degli affari esteri, sia tra viceministri o funzionari.
Gli articoli 2, 3 e 4 disciplinano la cooperazione economica e finanziaria attribuendo un particolare interesse ai settori delle fonti energetiche, della generazione elettrica, dei trasporti, delle comunicazioni, della tutela dell'ambiente, della lotta all'inquinamento, delle opere idrauliche e dei poli tecnologici. Le Parti favoriscono l'attuazione di Piani di Azione a favore delle PMI.
La cooperazione nel campo della sicurezza prevede scambi fra personale delle Forze armate e di polizia, corsi di formazione, addestramento ed esercitazioni congiunte. Tali attività saranno condotte a livello multilaterale oltre che bilaterale. La cooperazione investirà anche il settore industriale della sicurezza (articolo 5).
L'articolo 6 promuove la cooperazione per la crescita socio-economica mirata particolarmente allo sviluppo della condizione delle donne, dei bambini e delle fasce più deboli della popolazione. A tal fine, l'articolo menziona una lunga serie di settori ai quali verrà attribuita grande attenzione (ad esempio risorse umane, ambiente, energia, eccetera) sui quali le Parti si impegnano a scambiare informazioni ed esperti. Inoltre, le Parti riconoscono l'importanza della cooperazione decentrata che sarà attuata attraverso l'azione della società civile.
Alla cooperazione in campo culturale, dell'istruzione, scientifico e tecnologico sono dedicati gli articoli 7, 8 e 9. È previsto che la cooperazione in questi campi avvenga attraverso l'insegnamento (anche delle due lingue) e lo scambio di studenti, professori, formatori, ricercatori e artisti. Saranno favoriti i rapporti tra Università e istituti culturali dei due paesi, anche attraverso la concessione di borse di studio, ed è previsto un rafforzamento della collaborazione già esistente nel settore media-audiovisivo.
L'articolo 10 promuove la cooperazione per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale materiale e immateriale. Sono previsti, tra l'altro, il potenziamento del Sistema nazionale iracheno per la tutela del patrimonio e la creazione del Sistema nazionale iracheno per il catalogo dei beni culturali materiali e immateriali. La cooperazione si svolgerà nel settore museale, archeologico, architettonico, delle biblioteche, della musica e dello spettacolo.
La cooperazione nel settore medico-sanitario stabilita all'articolo 11, prevede sostanzialmente il potenziamento dell'offerta di servizi sanitari iracheni, attraverso l'adeguamento degli ospedali, sia generali che specializzati, nonché di tutte le altre strutture del sistema sanitario.
Il Trattato prevede anche un rafforzamento delle relazioni consolari (articolo 12) e la cooperazione nel settore legale, giudiziario e amministrativo (articolo 13).
Per conseguire l'attuazione del Trattato, viene istituita una Commissione mista ad alto livello, copresieduta dai Ministri degli esteri dei due Paesi, che si riunirà almeno una volta l'anno alternativamente in Italia e in Iraq (articolo 14).
Infine, viene prevista una cooperazione finanziaria in base alla quale l'Italia si impegna a fornire strumenti creditizi ed assicurativi alle imprese italiane che intendano realizzare progetti di sviluppo in Iraq, mentre l'Iraq concederà alle stesse imprese le facilitazioni possibili per eseguire tali progetti (articolo 15).
Con l'articolo 16, l'Italia si impegna a rendere disponibili un massimo di 400 milioni di euro in crediti di aiuto entro il triennio che seguirà l'entrata in vigore del Trattato. Tale importo sarà rinnovabile per identico periodo.
L'articolo 17 contiene le disposizioni finali. II Trattato è di durata illimitata, salvo la denuncia di una delle due Parti, che avrà effetto sei mesi dopo la ricezione della notifica dall'altra Parte, ed entrerà in vigore alla ricezione della seconda comunicazione Pag. 89circa l'avvenuto espletamento delle procedure di ratifica.
Il disegno di legge in esame è composto di tre articoli che recano, rispettivamente, l'autorizzazione alla ratifica e l'ordine di esecuzione del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione con l'Iraq, e l'entrata in vigore della legge di ratifica.
Nella relazione introduttiva al provvedimento si sottolinea che l'applicazione del Trattato non comporterà nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato.
In particolare: la cooperazione nel campo della sicurezza (articolo 5), che comporta attività svolte in via ordinaria, verrà attuata dal Ministero della difesa con l'utilizzo delle disponibilità ad esse finalizzate; le attività previste agli articoli 6, 7 e 10 (cooperazione in campo socio-economico, culturale, scientifico, tecnologico e per la tutela del patrimonio culturale) saranno realizzate nell'ambito delle competenze della Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo e della Direzione generale per la promozione e la cooperazione culturale del Ministero degli affari esteri; le riunioni della Commissione mista di cooperazione ad alto livello (articolo 14) saranno svolte con le risorse ordinarie del Cerimoniale diplomatico. L'attività del Segretariato esecutivo della suddetta Commissione sarà invece sostenuta dalle ordinarie risorse del Ministero degli affari esteri; l'impegno finanziario dell'Italia, che metterà a disposizione dell'Iraq fino a 400 milioni di euro a titolo di crediti di aiuto (articolo 16) sarà a carico delle risorse disponibili del Fondo rotativo di cui all'articolo 6 della legge n. 49 del 1987 (Fondo rotativo istituito presso il Mediocredito centrale che concede crediti finanziari agevolati a Stati, banche centrali o enti di Stato di Paesi in via di sviluppo).

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO ALESSANDRO RUBEN IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI RATIFICA N. 2014

ALESSANDRO RUBEN, Relatore. Onorevoli colleghi, i due atti bilaterali italo-statunitensi al nostro esame - conclusi a Roma il 3 maggio 2006 - si sono resi necessari a seguito della sigla tra Unione europea e Stati Uniti di due accordi, rispettivamente in materia di estradizione e di mutua assistenza penale, firmati entrambi il 25 giugno 2003.
Come ricorda la relazione introduttiva al disegno di legge, vi si riflette «una rinnovata spinta collaborativa al fine di migliorare e di rendere più efficace la cooperazione in materia penale, soprattutto con riferimento alla lotta alla criminalità organizzata e al terrorismo transnazionale» tra l'Europa e gli Stati Uniti.
Si rammenta che gli accordi stessi non sono sottoposti a ratifica da parte degli Stati membri dell'Unione: ratione materiae essi rientrano tra gli strumenti previsti nel «terzo pilastro» dell'Unione europea («cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale»). Al riguardo l'articolo 38 del Trattato UE rimanda espressamente agli analoghi accordi che possono essere conclusi nel settore della politica estera e di sicurezza comune, in base all'articolo 24 del medesimo Trattato.
Pur tuttavia, dal momento che essi intervengono in materie già disciplinate sul piano bilaterale almeno per buona parte degli Stati membri dell'UE, tra i quali l'Italia, l'articolo 3, paragrafo 2 di ciascun accordo ha previsto un meccanismo di coordinamento con i previgenti trattati bilaterali.
Ciascuno Stato membro è pertanto autorizzato a stipulare con gli Stati Uniti nuove intese volte ad integrare gli accordi intercorsi a livello comunitario, modificando quelli previgenti.
Lo Strumento a) in materia di estradizione è stato quindi siglato per coordinare l'accordo UE-USA con il trattato bilaterale del 13 ottobre 1983. L'articolo 1 elenca le modificazioni recate al trattato previgente il cui testo risultante è pubblicato in allegato.
La più importante innovazione nelle disposizioni del Trattato bilaterale italo-statunitense sull'estradizione riguarda anzitutto l'articolo IX, relativo alle richieste di estradizione per reati punibili con la pena capitale. Pag. 90
La nuova formulazione dell'articolo IX del Trattato bilaterale tra Italia e Stati Uniti mira a porre rimedio al vuoto normativo creato dalla sentenza n. 223 del giugno 1996 della Corte costituzionale, con la previsione di un più stringente quadro di condizionalità.
Pertanto, gli Stati Uniti potranno conseguire l'estradizione soltanto accettando esplicitamente la condizione di non irrogare ovvero di non eseguire la pena capitale. In mancanza di tale impegno, l'Italia potrà respingere la richiesta di estradizione.
Al riguardo si richiama la nota vicenda concernente la richiesta di estradizione del cittadino italiano Pietro Venezia, accusato negli Stati Uniti di avere ucciso nel dicembre 1993 un esattore del fisco a Miami. La Corte costituzionale italiana bloccò l'iter dell'istanza di estradizione, dichiarando incostituzionale l'articolo IX del Trattato, nella sua formulazione originaria. Attualmente Pietro Venezia, condannato dalla corte d'assise di Taranto a 22 anni di reclusione, gode di un regime di semilibertà e dovrebbe finire di scontare la pena nel maggio 2010.
Appare altresì rilevante l'integrale nuova formulazione dell'articolo XV, volto a disciplinare l'eventualità di richieste di estradizione riguardanti la stessa persona, ma presentate da Stati diversi. Ferma restando la discrezionalità dello Stato ricevente le richieste di estradizione a preferire l'una o le altre, anche in presenza di un mandato di arresto europeo, i criteri di riferimento per l'effettuazione della scelta sono integrati dai seguenti: la vigenza o meno di un trattato di estradizione, la considerazione dei rispettivi interessi degli Stati richiedenti, la cittadinanza della vittima.
Le modificazioni degli articoli X e XI introducono talune facilitazioni procedurali per l'esecuzione delle richieste di estradizione e la loro certificazione. In particolare, nel caso in cui la persona destinataria della richiesta di estradizione sia già in stato di arresto provvisorio, il termine di 45 giorni di detenzione - di cui all'articolo XII del trattato stesso - decorre dalla data di ricezione della domanda da parte dell'Ambasciata della parte destinataria della richiesta.
Il nuovo articolo XI-bis, infine, prevede il caso che la parte richiedente, intenzionata a trasmettere, a sostegno della domanda di estradizione, informazioni ritenute sensibili, possa procedere a consultazioni con la parte richiesta al fine della loro migliore protezione.
Analoghe finalità di adeguamento della normativa pattizia bilaterale alle norme concordate tra Unione Europea e Stati Uniti ispirano lo Strumento b) che condivide la medesima articolazione interna dello strumento dianzi illustrato ed è finalizzato a coordinare l'accordo UE-USA sulla mutua assistenza giudiziaria con il trattato italo-statunitense sulla mutua assistenza in materia penale del 9 novembre 1982.
Anche in questo caso l'articolo 1 elenca le modificazioni recate al trattato previgente il cui testo risultante è pubblicato in allegato.
Le più rilevanti innovazioni nelle disposizioni del trattato bilaterale riguardano anzitutto l'articolo 18, sul sequestro e confisca di beni provenienti da reato: l'articolo prevede una disposizione sul congelamento e sulla confisca di beni, inteso a colmare il vuoto determinatosi, secondo la relazione illustrativa, con la mancata applicazione dell'articolo 18 del Trattato di mutua assistenza giudiziaria del 1982.
L'articolo 18-bis, di nuova formulazione, potenzia le capacità di identificazione dei conti bancari e delle transazioni finanziarie nel territorio dello Stato richiesto, in rapporto a persone fisiche o giuridiche imputate o sospettate di reato dalla parte richiedente. Le parti contraenti estenderanno altresì la reciproca assistenza alle indagini e azioni giudiziarie connesse con attività terroristiche o di riciclaggio.
L'articolo 18-ter, anch'esso di nuova formulazione, recepisce una delle condizioni poste dal trattato UE-USA, e segnatamente quella relativa alla costituzione di squadre investigative comuni, le quali, previo Pag. 91accordo di entrambe le parti - ossia l'Italia e gli Stati Uniti - possono essere costituite ed operare nel territorio di ciascuna delle due parti allo scopo di facilitare indagini o azioni penali che coinvolgano gli Stati Uniti d'America e uno o più Stati membri dell'Unione europea.
Il rafforzamento dell'attività di mutua assistenza è garantito anche attraverso l'introduzione delle moderne tecnologie nell'indagine penale: rilevano a questo fine le disposizioni di cui all'articolo 18-quater che prevede il ricorso allo strumento del collegamento in videoconferenza tra le autorità statunitensi e quelle italiane impegnate in procedimenti penali per i quali sia stata concordata l'assistenza giudiziaria, ai fini dell'acquisizione di deposizioni da parte di testimoni o periti.
Altre modificazioni riguardano la possibilità di uso dei mezzi veloci di comunicazione, l'ampliamento della cooperazione anche alle autorità amministrative nazionali che svolgono indagini nell'ambito dei poteri loro assegnati, la tutela del segreto e dell'uso riservato delle prove e delle informazioni scambiate.
Sono comuni ad entrambi gli strumenti all'esame, sia che si tratti di richieste di estradizione ovvero di cooperazione giudiziaria, le seguenti clausole: l'applicazione è estesa anche ai reati commessi prima della loro entrata in vigore; l'applicazione è invece esclusa alle richieste presentate prima della loro entrata in vigore; l'entrata in vigore degli strumenti sarà contestuale a quella dell'Accordo UE-USA che, come ricordato all'inizio, ancora non è intervenuta; ove fosse estinto il predetto Accordo UE-USA, anche gli strumenti derivati si estinguerebbero e tornerebbero in vigore i trattati bilaterali nella loro versione originaria.
II disegno di legge in esame consta di tre articoli, il primo dei quali autorizza il Presidente della Repubblica alla ratifica dei due Strumenti appena illustrati, mentre il secondo contiene il relativo ordine di esecuzione. L'articolo 3, infine, prevede l'entrata in vigore della legge per il giorno successivo a quello della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Rilevo conclusivamente, secondo quanto riportato nella relazione illustrativa del provvedimento, che dall'attuazione dei due strumenti al nostro esame non derivano nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO FABIO EVANGELISTI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI RATIFICA N. 2014

FABIO EVANGELISTI. Colleghi, nel 2003, a Washington, l'Unione Europea e gli Stati Uniti hanno siglato due importanti Accordi (non ancora entrati in vigore per mancanza di completamento delle procedure interne necessarie da parte delle Parti contraenti), rispettivamente di estradizione e di mutua assistenza penale a seguito dei quali si è poi resa necessaria un'intesa bilaterale italo-statunitense su ciascuno degli atti, firmata nel 2006, oggetto, appunto, dell'attuale ratifica. La necessità di approvare questi due strumenti nasce dalla volontà di migliorare e rendere più efficace la cooperazione in materia penale, con un'attenzione particolare alla lotta alla criminalità organizzata e al terrorismo, con gli Stati Uniti.
Nell'ambito di materie già disciplinate sul piano bilaterale, una parte consistente degli Stati membri dell'UE, tra i quali l'Italia, in base all'articolo 3, paragrafo 2 di ciascun accordo, viene previsto un meccanismo di coordinamento con trattati bilaterali già vigenti e quindi ciascun Stato membro può stipulare con gli Stati Uniti intese nuove che possano consentire eventuali integrazioni di accordi approvati in sede comunitaria.
In tal senso il primo strumento consente di coordinare in materia di estradizione quanto già siglato nell'accordo tra Unione europea e USA nel 1983 e in particolare merita di essere sottolineato, tra gli altri, il fatto che la nuova formulazione dell'articolo IX, relativo alle richieste di estradizione per i reati punibili con la pena di morte, non consente agli Stati Pag. 92Uniti di conseguire l'estradizione qualora questa contempli l'irrogazione della pena capitale, ovvero che l'Italia potrà respingere la richiesta in mancanza di tale impegno.
Il secondo strumento intende finalizzare il coordinamento dell'accordo tra Unione europea e USA sulla mutua assistenza giudiziaria con il già vigente trattato italo-statunitense sulla mutua assistenza in materia penale del 1982. Anche qui, in particolare occorre rilevare positivamente la nuova formulazione dell'articolo 18 (disposizioni su sequestro e confisca di beni provenienti da reato) che potenzia la capacità di identificazione dei conti bancari e delle transazioni finanziarie nel territorio dello Stato richiesto e inserisce una disposizione riguardante il congelamento dei beni stessi.
È importante sottolineare che l'entrata in vigore di questi due strumenti che ci accingiamo a ratificare sarà contestuale a quella degli accordi UE-USA accennati sopra e, appunto, non ancora in vigore.
Esprimiamo quindi un parere favorevole a questa ratifica.