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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 128 di lunedì 9 febbraio 2009

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE

La seduta comincia alle 14,05.

GREGORIO FONTANA, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 5 febbraio 2009.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Angelino Alfano, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Buonfiglio, Carfagna, Casero, Cicchitto, Colucci, Cossiga, Cota, Craxi, Crimi, Crosetto, Donadi, Dozzo, Fitto, Frattini, Galati, Gelmini, Gibelli, Alberto Giorgetti, Giro, La Russa, Leone, Lupi, Mantini, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Menia, Miccichè, Pini, Prestigiacomo, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Soro, Stefani, Stucchi, Tremonti, Urso, Vegas e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantanove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del disegno di legge: S. 847 - Delega al Governo finalizzata all'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni nonché disposizioni integrative delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e alla Corte dei conti (Approvato dal Senato) (A. C. 2031-A) (ore 14,08).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Delega al Governo finalizzata all'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni nonché disposizioni integrative delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e alla Corte dei conti.
Ricordo che, ai sensi del comma 3 dell'articolo 123-bis del Regolamento, la Conferenza dei presidenti di gruppo ha deliberato la fissazione del termine del 12 febbraio 2009 per la conclusione dell'esame del provvedimento da parte dell'Assemblea.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2031-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Unione di Centro, Partito Democratico e Italia dei Valori ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che le Commissioni I (Affari costituzionali) e XI (Lavoro) si intendono autorizzate a riferire oralmente.Pag. 2
Il relatore per la XI Commissione, onorevole Scandroglio, ha facoltà di svolgere la relazione.

MICHELE SCANDROGLIO, Relatore per la XI Commissione. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole rappresentante del Governo, le Commissioni riunite I e XI, al termine del lavoro istruttorio, propongono all'Assemblea l'approvazione del disegno di legge n. 2031, approvato dal Senato il 18 dicembre 2008, che reca un'ampia delega al Governo finalizzata all'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni, nonché disposizioni integrative delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e alla Corte dei conti.
Sottolineo che il provvedimento è stato modificato, e, a giudizio dei relatori, sicuramente migliorato, nel corso dell'esame in sede referente. In quella sede, abbiamo oggettivamente riscontrato talune difficoltà, e ritengo giusto dirlo in apertura di questa relazione, anche negli orientamenti dei diversi gruppi di opposizione che auspichiamo trovino soluzione nel momento in cui passiamo alla discussione dell'Aula, e dunque a quella nell'ambito del Comitato dei diciotto.
Ciò premesso, vorrei anche precisare che, d'intesa con il relatore per la I Commissione, abbiamo ritenuto utile ripartire l'illustrazione introduttiva distinguendo le disposizioni di più diretta competenza della XI Commissione rispetto a quelle di diretto interesse della stessa I Commissione. Al riguardo, nel rinviare a quanto già dettagliatamente esposto alle Commissioni, per quel che concerne l'articolato, mi permetto di ribadire, e spero che i colleghi non me ne vogliano per le ripetizioni, alcuni concetti che ho avuto modo di esprimere durante l'esame preliminare.
In primo luogo, vorrei ricordare che il provvedimento all'esame dell'Assemblea si inserisce nel solco di una strategia di riforma complessiva del settore, avviata e portata avanti con grande determinazione dal Governo, che ha visto già l'adozione di importanti provvedimenti di razionalizzazione e trasparenza delle strutture amministrative. Per tali ragioni, ho già potuto segnalare alle Commissioni riunite le numerose misure introdotte con la manovra di luglio 2008, ossia con il decreto-legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008, dalla cui applicazione deriveranno risparmi di spesa per circa 7 miliardi di euro.
Con la manovra di luglio, in particolare, è stata disposta la soppressione di una serie di enti inutili, la trasformazione delle università in fondazioni, la riduzione delle consulenze e delle collaborazioni nella pubblica amministrazione, il rafforzamento degli obblighi di trasparenza, la riduzione dei distacchi e dei permessi sindacali e, infine, una nuova disciplina dei permessi retribuiti. Inoltre, è stata introdotta una nuova normativa delle assenze per malattia dei dipendenti pubblici, che ha comportato una riduzione delle stesse di quasi il 50 per cento ed ha prodotto immediate ricadute in termini di efficienza e produttività. Il decreto-legge n. 112 ha poi introdotto misure volte a «tagliare» in modo drastico oneri burocratici a carico di cittadini e imprese.
Come già fatto presente alle Commissioni di merito, peraltro, nel quadro della strategia di rinnovamento del settore pubblico, si inseriscono anche le norme, attualmente all'esame del Senato, recate dal disegno di legge collegato alla manovra di bilancio per il 2009, che interviene in materia di reclutamento del personale nella pubblica amministrazione, procedure di mobilità collettiva, aspettativa dei dipendenti pubblici e trasparenza, con l'obbligo per le amministrazioni pubbliche di indicare nel proprio sito Internet le retribuzioni annuali, i curricula vitae, gli indirizzi di posta elettronica e i numeri telefonici dei dirigenti, nonché di rendere pubblici, con lo stesso mezzo, i tassi di assenza del personale distinti per uffici di livello dirigenziale di appartenenza.
Altri interventi in fase di realizzazione e sviluppo sono, inoltre: il Piano industriale per l'innovazione e l'istituzione dell'Agenzia Pag. 3nazionale per la diffusione delle tecnologie per l'innovazione, con l'obiettivo di giungere in tempi brevi alla digitalizzazione della pubblica amministrazione; l'ulteriore implementazione dell'iniziativa «Reti Amiche», che consentirà di avvicinare la pubblica amministrazione ai cittadini con l'apertura di oltre 100 mila nuovi sportelli nel 2009; la costituzione del Servizio anticorruzione e trasparenza, le cui funzioni sono state trasferite alle dipendenze del Dipartimento della funzione pubblica.
In questa sede, tengo a ripetere che all'interno di tale strategia complessiva si inseriscono ora le norme contenute nel disegno di legge in esame, volte a realizzare quella che è stata definita la «Fase 2» del processo di riorganizzazione e ammodernamento della pubblica amministrazione, avviato con la manovra di luglio. Peraltro, se allora l'obiettivo principale è stato quello di intervenire sui fenomeni di inefficienza e scarsa produttività, agendo con decisione sulle cause che tendono a determinarli, con il provvedimento in esame si apre un nuovo fronte, imperniato sulla centralità delle performance, individuali e collettive. Così, accanto a misure volte a sanzionare l'improduttività e l'inefficienza e a rafforzare i controlli, si collocano anche importanti interventi di «premialità», volti a promuovere il merito, l'efficienza e la produttività.
Non di rado il sistema dei mass media amplifica episodi di disservizio e inefficienza degli uffici pubblici. La pubblica amministrazione italiana, tuttavia, non è solo questo. Accanto a situazioni ove gli standard qualitativi e di produttività risultano ancora inaccettabili, vi sono, infatti, numerosi esempi di grande professionalità, efficienza e innovazione. Occorre, dunque, riconoscere i meriti e premiare i migliori, facendo emergere i tanti esempi positivi di buona amministrazione che ci sono nel Paese, nonché promuovere la valorizzazione e la diffusione delle migliori pratiche, avendo sempre di vista l'obiettivo finale, costituito dalla modernizzazione di una pubblica amministrazione che può e deve diventare il volano di una nuova fase di sviluppo del nostro Paese, sempre più al servizio e al fianco dei cittadini.
Veniamo, quindi, al dettaglio del provvedimento che proponiamo oggi all'Aula. In primo luogo, ricordo che le disposizioni recate dagli articoli 1, 2, 3, 4 e 6, tutti ampiamente modificati e integrati nel corso dell'esame presso l'altro ramo del Parlamento, non sono state radicalmente modificate dalle Commissioni riunite, anche perché il lungo lavoro svolto dai colleghi del Senato, molto approfondito, ha portato ad un significativo avvicinamento su molti aspetti tra maggioranza e opposizione. Tali articoli hanno, comunque, subito ritocchi e aggiustamenti, in linea con lo spirito di miglioramento del testo e di non alterazione della sua filosofia complessiva. Ovviamente, sintetizzo il loro contenuto.
L'articolo 1, concernente la riforma del rapporto di lavoro, reca una delega al Governo, da esercitarsi entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della legge, tesa all'adozione di uno o più decreti legislativi, volti a riformare la disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni e della relativa contrattazione collettiva, per il raggiungimento di specifici obiettivi, quali il miglioramento dell'efficienza e dell'efficacia della contrattazione collettiva, l'introduzione di sistemi, interni ed esterni, di valutazione, la valorizzazione del merito, attraverso determinati meccanismi premiali, la definizione di un sistema di responsabilità dei dipendenti pubblici, il rafforzamento del principio di concorsualità per l'accesso al pubblico impiego e per le progressioni di carriera, infine il miglioramento del sistema di formazione dei dipendenti pubblici.
L'articolo 2 reca una delega al Governo finalizzata a modificare la disciplina della contrattazione collettiva nel settore pubblico, al fine di conseguire una migliore organizzazione del lavoro e ad assicurare il rispetto della ripartizione tra le materie sottoposte alla legge, ad atti organizzativi Pag. 4e alla determinazione autonoma dei dirigenti e quelle sottoposte alla contrattazione collettiva.
L'articolo 3, concernente i criteri di valutazione, reca una delega al Governo finalizzata alla revisione della disciplina del sistema di valutazione delle prestazioni delle strutture pubbliche e del personale ivi dipendente. In particolare, si prevede l'obbligo di predisporre un sistema di indicatori di produttività in ordine alla valutazione del rendimento del personale, correlati agli obiettivi assegnati e alla pianificazione strategica.
Mi avvio alla conclusione. L'articolo 4 reca una delega al Governo per l'introduzione nell'organizzazione delle pubbliche amministrazioni di strumenti volti alla valorizzazione del merito e di metodi finalizzati all'incentivazione della produttività e della qualità della prestazione lavorativa.
L'articolo 6, infine, reca una delega al Governo in materia di sanzioni - ovviamente correlata al merito di cui parlavo prima - disciplinari e di responsabilità dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, con l'obiettivo di potenziare il livello di efficienza degli uffici pubblici e di contrastare i fenomeni di scarsa produttività e di assenteismo.
Come già accennato, le Commissioni hanno apportato modifiche migliorative a tali articoli. In tal senso, è stato, innanzitutto, inserito un nuovo articolo, l'articolo 01, che precisa i rapporti tra contrattazione e disposizioni di legge. La norma afferma con chiarezza che le disposizioni di legge possono essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi solo qualora ciò sia espressamente previsto dalla legge medesima.
È stata poi introdotta una nuova lettera h) al comma 1 dell'articolo 1, che rafforza il tema della permanenza nelle sedi di prima destinazione dei vincitori di concorsi pubblici ed è stato meglio ampliato, su esplicita richiesta del gruppo dell'UdC, in particolare dei colleghi Tassone e Delfino, il termine per l'espressione del parere parlamentare sui futuri decreti delegati, che passa ora a 60 giorni dall'assegnazione, anziché 45, come originariamente previsto.
Sono state, altresì, introdotte due importanti lettere conclusive al comma 2 dell'articolo 2, che consentono di articolare in modo efficace i processi di mobilità all'interno del settore pubblico, e sono stati modificati alcuni punti qualificanti del comma 1 dell'articolo 3, per poter meglio definire gli obiettivi dei dirigenti pubblici.
Sempre per quanto concerne gli articoli di più immediata competenza dell'XI Commissione, segnalo, infine, che è stata introdotta un'apposita previsione all'articolo 6, che dispone l'obbligo, per il personale a contatto con il pubblico, di indossare un cartellino identificativo ovvero di esporre sulla scrivania una targa indicante nome e cognome, norma già prevista da disposizioni regolamentari ed organizzative che, oltre a non essere sempre applicate, sono anche prive della forza di legge.
Un problema a parte, invece, è costituito dalla cosiddetta class action per il settore pubblico, oggetto di un'apposita modifica dell'articolo 3, commi 1 e 2, che ha dato anche vita ad una condizione del Comitato per la legislazione e ad un'osservazione della X Commissione. Su questo punto, sappiamo che il testo contiene alcune incongruenze, ma abbiamo stabilito nelle Commissioni di merito di dirimere la questione direttamente nel Comitato dei diciotto, ai fini dell'esame in Aula, perché vogliamo affrontare con il massimo scrupolo questa vicenda, che investe profili delicati molto sensibili.
Signor Presidente, mi consenta di dare rapidamente conto dei pareri espressi dalle Commissioni in sede consultiva. In primo luogo, vorrei dire che si sono pronunciate tutte le Commissioni e che tutti i pareri, a conferma della validità dell'impianto complessivo del provvedimento, sono stati favorevoli, sebbene talune Commissioni abbiano formulato rilievi tradotti in condizioni e osservazioni. Al riguardo, vorrei anzitutto precisare che le Commissioni riunite hanno deciso di accogliere Pag. 5integralmente le condizioni espresse nel parere della V Commissione, anche se su talune modifiche il Comitato dovrà effettuare ulteriori approfondimenti diretti a valutare il possibile miglioramento del testo.
Rispetto ad altri rilievi espressi nei pareri, le Commissioni riunite hanno ritenuto di accogliere solo taluni rilievi formali, restando inteso che vi è disponibilità a discutere delle osservazioni di merito in misura più approfondita anche nel corso dell'esame in Assemblea.
Passo, infine, al Comitato per la legislazione, che ha espresso quattro specifiche condizioni. Della prima ho già accennato in precedenza, spiegando che le norme sui concessionari di servizi pubblici dovranno essere riviste in Assemblea, non essendosi create le necessarie condizioni per effettuare una tale operazione direttamente nelle Commissioni. Per il resto, le Commissioni riunite hanno accolto due delle tre condizioni del Comitato, non giudicando opportuna quella riferita all'articolo 9, comma 5, che pone una questione di rapporti tra le fonti che, seppur legittima, non sembra necessariamente richiedere la soppressione di un periodo del comma in questione.
In conclusione, è evidente che anche nelle Commissioni si sono già registrate vicinanze di opinioni su talune tematiche. L'auspicio, ora, è che si possa comunque muovere verso un esito del voto simile a quello del Senato.
In particolare, vanno approfonditi i profili di interesse di questo testo, verificando possibili convergenze, nella consapevolezza della validità di un provvedimento che appare oggi diffusamente condiviso nel Paese.

PRESIDENTE. Il relatore per la I Commissione onorevole Stracquadanio, ha facoltà di svolgere la relazione.

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO, Relatore per la I Commissione, Signor Presidente, signor Ministro, colleghi, innanzitutto vorrei ringraziare il collega Scandroglio per avere compiuto la maggior parte della fatica di questa relazione in modo così puntuale e preciso; cercherò di essere parimenti all'altezza del compito.
A me residuano alcuni articoli che abbiamo convenuto di comune accordo essere più nella competenza della Commissione affari costituzionali piuttosto che nella competenza della Commissione lavoro, che sono in particolare l'articolo 5, l'articolo 7, gli articoli 8 e 8-bis e l'articolo 9. Mi riserverò il tempo necessario a illustrarli senza troppo tediarvi, cominciando dall'articolo 5 che riguarda i principi e i criteri direttivi per l'esercizio della delega in materia di dirigenza pubblica.
L'articolo in questione fissa obiettivi di una migliore organizzazione del lavoro, di un progressivo miglioramento della qualità delle prestazioni erogate nei confronti dei cittadini e delle imprese, della realizzazione di adeguati livelli di produttività del lavoro pubblico e dell'introduzione di criteri meritocratici nei confronti della dirigenza pubblica, e più generale dell'insieme della pubblica amministrazione. E, per ottenere questi obiettivi in materia di dirigenza, si propone innanzitutto di assicurare al dirigente la piena autonomia e la conseguente responsabilità nella gestione delle risorse umane che gli vengono assegnate, indicandolo e riconoscendogli la qualità di datore di lavoro pubblico. Risiedono quindi in capo al dirigente responsabilità in qualche misura di natura «quasi imprenditoriale», e a queste dovrebbe attenersi nello svolgimento della sua attività. E proprio per questo, gli viene posta in capo una specifica responsabilità per omessa vigilanza sulla capacità produttiva delle risorse umane e sull'eventuale conseguente inefficienza della struttura amministrativa, e ciò comporta inoltre una sanzione di natura economica sulla sua retribuzione: così come nel rapporto di lavoro privato il dirigente ha una retribuzione che è commisurata rispetto agli obiettivi, anche nel rapporto di lavoro pubblico si determina questo risultato, sia con sanzioni, come in questo caso, sia con premialità, come in altri.
Inoltre, è prevista la possibilità che l'azione disciplinare nei confronti di un Pag. 6dipendente che venga attivata dal dirigente non resti astratta; e perché non resti astratta risiede in capo sempre al dirigente anche una responsabilità qualora non attivi il provvedimento: e quindi ha la facoltà, ma anche il dovere, di promuovere la sanzione disciplinare laddove se ne ravvisi la necessità.
La delega poi prevede la revisione delle modalità di accesso alla prima fascia della dirigenza, riservando una quota percentuale, che i decreti delegati dovranno stabilire, per concorso pubblico; in questo modo si cerca di migliorare la qualità e l'efficienza della dirigenza pubblica, che già oggi (e il Ministro credo possa riconoscerlo) è elevata, ma mettiamo stimoli perché cresca ulteriormente.
Quanto al conferimento e alla revoca di incarichi dirigenziali, si stabilisce che dovranno essere ispirati a criteri di trasparenza e pubblicità, e si prevede comunque l'esclusione della conferma dell'incarico dirigenziale in caso di mancato raggiungimento dei risultati. Quindi un incarico dirigenziale, una volta raggiunto, non è a vita e non è una sinecura, ma è un obiettivo che il dirigente raggiunge, che dev'essere ogni volta confermato con la qualità ed efficacia della sua azione. Sono previste poi misure per rendere più stringente il rapporto tra la valutazione del dirigente e il raggiungimento degli obiettivi, e la corresponsione di un trattamento economico accessorio, precisando che la retribuzione (il Senato ha introdotto questa norma) legata al risultato non possa risultare inferiore per i dirigenti al 30 per cento della retribuzione complessiva, il che determina un forte incentivo meritocratico nel complesso della pubblica amministrazione.
Nel contempo, è previsto il divieto di corrispondere l'indennità di risultato ai dirigenti nel caso in cui le amministrazioni di appartenenza non abbiano adottato i sistemi di valutazione in un periodo transitorio che la delega stabilisce. Quindi, il criterio meritocratico è assunto con la previsione di un trattamento retributivo accessorio premiale e con l'introduzione di criteri trasparenti ed oggettivi di valutazione.
L'articolo 6 è già stato illustrato dal relatore Scandroglio mentre l'articolo 7 è di minore impatto, perché reca una norma di interpretazione autentica in materia di vicedirigenza.
Esso stabilisce che l'articolo 17-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 - che introduce la vicedirigenza - si interpreta nel senso che la vicedirigenza può essere istituita esclusivamente nell'ambito della contrattazione collettiva nazionale del comparto di riferimento, e che pertanto il personale in possesso dei requisiti previsti per l'accesso alla vicedirigenza può essere destinatario di quella disciplina soltanto a seguito della sua istituzione da parte della contrattazione collettiva.
In altre parole la vicedirigenza non è istituita ex lege, ma viene prevista la facoltà di istituirla nell'ambito della contrattazione.
L'articolo 8 introduce invece competenze del CNEL concernenti, in particolare, lo studio e la valutazione della qualità dei servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni.
In altre parole, affidiamo al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, che è organo costituzionalmente rilevante, una valutazione di carattere generale sull'efficienza della pubblica amministrazione e sui criteri di misurazione di questa efficienza, in modo da ottenere un risultato condiviso che possa essere poi trasferito sia al Governo, nell'opera di consulenza che il CNEL svolge, sia al Parlamento per eventuali valutazioni successive.

PRESIDENTE. Onorevole Stracquadanio, la invito a concludere.

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO, Relatore per la I Commissione. L'articolo 8-bis è stato inserito dalle Commissioni nel corso dell'esame e reca disposizioni volte a rafforzare l'autonomia e ad accrescere la capacità di analisi conoscitiva e valutativa dei servizi per il controllo interno, specificandoPag. 7 meglio il contenuto delle relazioni che i Ministeri sono tenuti a presentare al Parlamento in relazione all'attuazione delle direttive ministeriali ed in relazione anche alla diversa struttura del bilancio dello Stato, che ormai è per missioni e non più per capitoli.
L'articolo 9, l'ultimo, è di immediata attuazione ed incide sull'organizzazione e sul funzionamento della Corte dei conti (e su questo articolo si è incentrato molto il dibattito, con alcune controversie che spero possano risolversi nell'ambito del dibattito in Aula e nel Comitato dei diciotto).

PRESIDENTE. Onorevole Stracquadanio, deve concludere.

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO, Relatore per la I Commissione. Come interviene questo articolo sul funzionamento della Corte dei conti? Innanzitutto, esso introduce un criterio innovativo, quello per cui il controllo di gestione che ha che fare con le gestioni pubbliche possa attuarsi in corso d'opera e non solamente una volta che si è esaurito il procedimento (e questo con una serie di atti successivi che, una volta che la Corte abbia rilevato carenze o inefficienze di una pubblica amministrazione nel raggiungimento della missione che le viene affidata, possono essere corretti in corso d'opera in modo da non disperdere le risorse pubbliche).
Oggi, invece, la Corte interviene solo al termine del procedimento e non ci consente, come dire, di raddrizzare la nave mentre sta procedendo (nella relazione scritta che, signor Presidente, mi riservo poi di consegnare ciò è spiegato in dettaglio).
Tale articolo quindi aumenta il livello e la capacità di penetrazione dei controlli e modifica alcune disposizioni interne in ordine ai poteri, trasferendo alcuni poteri oggi in capo al Consiglio di presidenza della Corte ad un organo monocratico, che è il presidente, in particolare per quello che riguarda gli incarichi extragiudiziari dei magistrati della Corte in modo da meglio regolare questa materia, individuando un organo la cui responsabilità è più netta e più delineata che non quella di un organo di tipo più assembleare, laddove può determinarsi un gioco a somma negativa di compensazione di interessi diversi.

PRESIDENTE. Onorevole Stracquadanio, la ascolterei a lungo ma ha esaurito il tempo a sua disposizione.

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO, Relatore per la I Commissione. Signor Presidente, ho terminato ma la complessità della materia meriterebbe un migliore approfondimento e non vorrei che i colleghi se ne lamentassero.
Ricordo un ultimo aspetto: viene riordinato il numero dei componenti del consiglio della Corte; tale numero viene ridotto (dagli attuali diciassette si passa a undici) con modalità di nomina che sono analoghe a quelle vigenti (la componente togata viene ridotta da dieci eletti a quattro).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Stracquadanio, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

RENATO BRUNETTA, Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vanalli. Ne ha facoltà.

PIERGUIDO VANALLI. Signor Presidente, signor Ministro, i colleghi che mi hanno preceduto hanno già illustrato ampiamente la portata degli articoli di questo provvedimento. Tuttavia mi sembra corretto ripercorrere brevemente gli aspetti principali che per il nostro gruppo devono essere evidenziati.Pag. 8
Innanzitutto, questo provvedimento si inserisce in una riforma complessiva del settore. Il Ministro Brunetta sta portando avanti con determinazione questo impegno e, anche grazie ad una campagna pubblicitaria che ha trovato riscontro in tutti gli ambiti del nostro Paese, una parte dell'obiettivo fissato è stata già raggiunta, anche senza incidere su aspetti normativi. Infatti il solo sollevare la questione dell'inefficienza della pubblica amministrazione in questi mesi ha portato ad una riduzione delle assenze per malattia, ed ha portato ad un aumento della produttività nei vari uffici. Quindi, vi è ampio spazio per un miglioramento della pubblica amministrazione in questo settore, e l'intervento del Ministro e di tutto il Governo ne rappresenta l'esempio.
Il provvedimento in esame s'inserisce pertanto in un ambito più generale. A tal proposito il Governo ha previsto la soppressione di una serie di enti inutili, la riduzione delle consulenze nella pubblica amministrazione, l'aumento della trasparenza e, appunto, nuove norme che regolano il comportamento dei dipendenti nel rapporto con la pubblica amministrazione. In questo quadro si inseriscono pertanto le norme di questo disegno di legge, che hanno l'obiettivo principale di intervenire su fenomeni d'inefficienza e scarsa produttività. Inoltre, accanto a misure volte a sanzionare l'improduttività e l'inefficienza, si rafforzano i controlli e si collocano importanti interventi che vogliono premiare il merito di chi lavora e produce con buona volontà in questo importante ambito lavorativo del Paese.
L'articolo 1 - come dicevano i colleghi precedentemente - reca la delega al Governo ad adottare entro nove mesi i decreti diretti a riformare la disciplina del lavoro pubblico dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni.
Con l'articolo 2 si cerca di finalizzare queste modifiche alla contrattazione collettiva nel settore pubblico, per migliorare l'organizzazione del lavoro, in particolare riordinando le procedure della contrattazione collettiva in coerenza con il settore privato.
L'articolo 3 mira alla revisione della disciplina del sistema di valutazione delle prestazioni delle strutture pubbliche e del personale, correlata soprattutto agli obiettivi assegnati e alla pianificazione strategica, quindi prevedendo degli indicatori di produttività con i quali si possa veramente verificare l'attività svolta dai dipendenti.
Con l'articolo 4 si mira all'introduzione nelle pubbliche amministrazioni di strumenti diretti a valorizzare il merito e ad incentivare la produttività e la qualità della prestazione lavorativa, attraverso una valutazione positiva del dipendente in un arco temporale congruo e rilevante anche per la progressione nella sua carriera professionale. Un altro aspetto positivo del provvedimento è l'individuazione dei criteri premiali per il personale coinvolto in progetti innovativi all'interno della pubblica amministrazione.
L'articolo 5 tende di fatto alla revisione della disciplina della dirigenza pubblica - come ci ha testé illustrato il collega - mentre con l'articolo 6 il Governo chiede la delega per intervenire in materia di sanzioni disciplinari in caso di responsabilità dei dipendenti, con l'obiettivo di potenziare l'efficienza e contrastare la scarsa produttività.
L'articolo 7 reca norme in merito alla vicedirigenza. Con l'articolo 8 si prevedono conferimenti di ulteriori attribuzioni al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e l'articolo 9, oltre a prevedere che la Corte dei conti possa effettuare controlli su gestioni pubbliche statali in corso di svolgimento, con l'aspetto positivo, come si diceva precedentemente, di valutare in corso d'opera la produttività e il lavoro dei pubblici dipendenti, incide anche sul Consiglio di presidenza della Corte dei conti medesima.
Il testo in esame contiene già elementi che sono caratterizzanti del lavoro della Lega Nord in questi anni, come il riconoscimento che il luogo di residenza può costituire un titolo preferenziale per i concorsi pubblici, la previsione del potenziamento nella contrattazione collettiva delle rappresentanze delle regioni e degli enti locali, la possibilità di premiare i Pag. 9dipendenti virtuosi con le economie di gestione degli enti medesimi, la permanenza per cinque anni nella sede di prima destinazione dei vincitori di concorso, evitando così spostamenti di tutto il personale che di fatto entra nella pubblica amministrazione in un luogo e poi comincia a girovagare per tutto il Paese, lasciando chi ha assunto queste persone nella medesima situazione di poco prima, dovendo ricominciare di nuovo la ricerca di personale e non riuscendo ad offrire ai propri cittadini quei servizi per i quali quel personale era stato richiesto.
Manca nel testo un riferimento per noi importante: l'adeguamento retributivo territoriale che tenga conto del costo della vita nei luoghi di lavoro dove si svolgono le attività lavorative. L'istituto comunemente è conosciuto - forse suona un po' male - come «gabbie salariali». D'altra parte è del tutto evidente che vi sono zone diverse del nostro Paese che hanno redditività uguali ma costi della vita decisamente diversi. Pertanto cercare di prevedere anche questo aspetto in una riforma generale della pubblica amministrazione e dei contratti di lavoro pubblici potrebbe essere premiante per chi si trova a lavorare in zone con un più alto costo della vita. Su questo come su altri aspetti di dettaglio vorremmo avere la possibilità di confrontarci con il Governo in sede di esame degli emendamenti. A tale proposito non posso non ringraziare il Ministro Brunetta che, nell'ottica del miglioramento del testo, si è comunque detto disponibile a valutare le proposte dei vari gruppi parlamentari, esprimendosi in questo senso nella Commissione di competenza.
Merita naturalmente una menzione a parte, come è già stato accennato, l'articolo 9, riguardante la Corte dei conti, che ha generato diffusi malumori in tutti i gruppi parlamentari. È forse il caso di rivederlo in maniera più approfondita, e sarà sicuramente materia di discussione nel Comitato dei diciotto.
Più in generale riguardo a questo provvedimento potrei aggiungere considerazioni relative ad aspetti non propriamente tecnici, ma più politiche. In quest'ultimo periodo si è fatto un gran parlare della pubblica amministrazione sempre in senso negativo. Si è detto che i dipendenti pubblici sono improduttivi, si è detto da parte dell'opinione pubblica che sono perditempo, se non addirittura che sono persone incapaci e che, oltre a non far niente, magari scientificamente ostacolano il lavoro e la produttività di quella parte di Paese che generalmente viene ricondotta a quella che produce, e che quindi si sente penalizzata.
È chiaro che non si può generalizzare, tuttavia non si può neanche nascondere che l'inefficienza della pubblica amministrazione è evidente. Tuttavia tale stato di cose non dipende esclusivamente dalla «lazzaronite» dei dipendenti: questa scarsa efficienza di tutta l'amministrazione pubblica non può essere soltanto addebitata al dipendente pubblico. Probabilmente è da parte di tutti, a tutti i livelli, che non ci si confronta in modo costruttivo con questo aspetto. Si lasciano degenerare le cose per trovare soluzioni forse particolari, nel senso che risolvono il problema particolare ma non affrontano l'aspetto più generale.
Vi sono troppi dipendenti pubblici, hanno tanti privilegi, hanno pensioni particolari, permessi lavorativi particolari, hanno agevolazioni varie. Nessuno controlla, nessuno verifica, nessuno sanziona. È tutto vero, ma è vero per tutte le amministrazioni pubbliche? Tutte le pubbliche amministrazioni sono in questo stato di cose? Probabilmente no, anzi sicuramente non è così per tutte.
I comparti delle pubbliche amministrazioni hanno medesime produttività in zone diverse del Paese? Alcune volte sì e alcune volte no, anzi generalmente questo fatto non avviene. Di fatto si è già creata una sorta di federalismo della pubblica amministrazione.
D'altra parte, è un dato di fatto che generalmente le amministrazioni pubbliche del nord hanno meno personale rispetto alle strutture analoghe del sud; è un dato di fatto che le amministrazioni pubbliche del sud offrano generalmente servizi più scadenti ai propri cittadini; è Pag. 10anche un dato di fatto che spesso lo Stato, per garantire quel livello minimo di servizi, si sostituisca alle amministrazioni pubbliche del sud, utilizzando quindi anche risorse generate in altre zone del Paese, che quei servizi li hanno già pagati una volta.
Poi facciamo la media di questo stato di cose tra nord e sud e si scopre che l'Italia ha una pubblica amministrazione inefficiente, inefficace e costosa. Però, bisogna anche cercare di dare a Cesare quel che è di Cesare e al nord quel che è suo. Come in tanti altri settori del Paese, anche nella pubblica amministrazione l'Italia viaggia a due marce: al nord ci si ingegna per rendere i servizi ai cittadini con costi minori, al sud ci si ingegna magari per entrare a far parte della pubblica amministrazione e così campare di rendita, finché pensione non ci separi. Non è così dappertutto, però la sensazione è quella.
Dunque a tutti, però in particolare soprattutto a noi politici, tocca ridare autorevolezza alla pubblica amministrazione, tocca motivare i dipendenti pubblici, affinché comprendano che il loro è un lavoro a servizio della collettività. Però dobbiamo anche dare il buon esempio, dobbiamo dimostrare di avere la voglia di cambiare per primi questa mentalità assistenzialistica, che a volte fa dello scambio di favori il vero motivo di un impegno politico. Dobbiamo imparare anche a legiferare in modo più semplice, più coerente, più vicino alla capacità della gente di capire le norme. Occorrono leggi più chiare, non interpretabili, per togliere anche l'alibi della complessità e della burocrazia, che fa buon gioco anche a quei fannulloni che si nascondono dietro a questa farraginosità delle leggi, a questa selva di norme e circolari, che consentono loro di tirare magari fino alla fine del mese, giusto per pigliarsi lo stipendio solo per aver timbrato il cartellino - sempre che lo facciano tutti - senza però rendere quel servizio che è necessario ai cittadini e che dovrebbe essere il loro impegno quotidiano.
Signor Ministro, il suo è un lavoro apprezzabilissimo, e ora deve essere reso attuabile con l'emanazione di quegli atti che discendono dalla delega che si appresta a ricevere e che mi auguro rappresentino il primo passo verso una chiarezza e una semplicità normativa che può aiutare a risolvere i problemi e a ridare autorevolezza alla pubblica amministrazione.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lanzillotta. Ne ha facoltà.

LINDA LANZILLOTTA. Signor Presidente, signor Ministro, colleghi, il Partito Democratico ha più volte ribadito la propria convinzione in ordine al fatto che l'efficienza delle pubbliche amministrazioni sia un fattore fondamentale della competitività del Paese e della qualità della vita dei cittadini e per questo motivo, com'è noto, il centrosinistra nell'azione di Governo - ma ancor prima, nell'elaborazione culturale - è stato protagonista del processo riformatore che nel corso dell'ultimo quindicennio ha innovato e trasformato le amministrazioni pubbliche italiane, introducendo la cultura del risultato, della valutazione, della trasparenza, della distinzione dei ruoli e della reciproca autonomia tra politica e amministrazione.
Certo, concordiamo sulla considerazione che è alla base del disegno di legge oggi in discussione, e cioè che non sempre e non dappertutto la concreta attuazione delle riforme abbia prodotto i risultati attesi, e dunque condividiamo l'esigenza di intervenire laddove, alla prova dei fatti, le riforme degli anni Novanta hanno fatto emergere criticità o prassi diverse, e talvolta addirittura opposte, rispetto agli obiettivi che le riforme stesse si erano proposte. Ma condividiamo soprattutto l'altro presupposto che è alla base del provvedimento in esame, e cioè che la direzione di marcia di quelle riforme, gli obiettivi e gli strumenti introdotti allora vadano nella direzione giusta e debbano essere dunque ribaditi, anche se gli strumenti per perseguirli possono e devono essere migliorati, attualizzati e, ove necessario, corretti.
È, dunque, partendo da questi presupposti che il Partito Democratico ha affrontato Pag. 11la discussione del disegno di legge al Senato con atteggiamento positivo e con spirito di attiva collaborazione, dando un contributo decisivo all'elaborazione del testo licenziato dall'altro ramo del Parlamento.
Ciò è avvenuto, in particolare, nella parte riguardante gli strumenti e le procedure per la valutazione della qualità delle performance delle pubbliche amministrazioni e per rendere trasparente il funzionamento delle amministrazioni stesse. Riteniamo, infatti, che la trasparenza possa essere una leva formidabile, capace di innescare il cambiamento, per superare l'autoreferenzialità dell'azione amministrativa e per realizzare l'effettività dei diritti dei cittadini nel rapporto con i pubblici poteri.
È con questo stesso spirito che abbiamo affrontato l'esame del provvedimento alla Camera, anche se, purtroppo, abbiamo dovuto riscontrare, fino ad ora, da parte del Governo, un atteggiamento di assoluta chiusura.
Il testo licenziato dal Senato, non solo necessita, a nostro avviso, di alcune indispensabili correzioni su talune questioni centrali (i limiti della contrattazione, la valutazione, l'autonomia della dirigenza), ma, a nostro avviso, deve anche essere ripulito da una serie di superfetazioni, introdotte nell'altro ramo del Parlamento, che nulla hanno a che fare con la materia oggetto dell'originario disegno di legge del Governo. Esse sono state chiaramente il frutto della pressione lobbistica, di interessi, di poteri e di istituzioni e dovrebbero mettere in guardia chi ritiene che tornare al predominio della legge possa portare solo effetti benefici e non, invece, ricacciarci negli anni Ottanta, quando leggi e leggine si facevano interpreti dei più vari e perversi microinteressi corporativi.
Così, in questo disegno di legge, vediamo spuntare le norme sul pensionamento dei primari ospedalieri (ora corretti parzialmente dalle Commissioni, anche perché i primari ospedalieri non esistono più), oppure l'attribuzione al CNEL di compiti in materia di contrattazione di servizi pubblici, che duplicano funzioni proprie dell'ARAN o dell'istituenda struttura di valutazione; ovvero norme (sulle quali, nel merito, si soffermeranno altri colleghi), che alterano gravemente il ruolo dell'organo di autogoverno della Corte dei conti, oltre ad attribuire, alla medesima Corte, compiti invasivi dell'azione amministrativa, per i quali la Corte dei conti non solo non è attrezzata, ma che, soprattutto, rischiano di costituire un ulteriore fattore di rallentamento e di confusione nell'attività delle amministrazioni pubbliche e nella realizzazione degli investimenti pubblici.
Tuttavia, il provvedimento affronta, innanzitutto - è una questione centrale - il tema del rapporto tra legge e contratto nella disciplina del lavoro pubblico. La privatizzazione e la contrattualizzazione del rapporto di lavoro sono risultati, credo, irreversibili, e questo mi sembra ribadito dal testo del provvedimento. Lo sono, perché - come si è detto - sottraggono la materia all'arbitrio della legge e delle pressioni corporative e perché solo rapporti di lavoro che trovano il proprio fondamento nel diritto civile garantiscono un'unitarietà che, altrimenti, verrebbe messa in discussione dal Titolo V della Costituzione. Una disciplina pubblicistica, infatti, rimetterebbe l'intera materia alla potestà esclusiva delle regioni e limiterebbe drasticamente l'ambito di applicazione di questo provvedimento. Forse è un esito che la Lega Nord gradirebbe, ma che noi, invece, non apprezziamo.
Vorrei, invece, segnalare ai colleghi, che in precedenza richiamavano l'esigenza di differenziazioni retributive, che proprio la contrattazione integrativa dovrebbe poter portare a questo risultato che, certo, è un risultato in parte auspicabile.
È innegabile, che nella contrattazione e nella privatizzazione del rapporto di lavoro non tutto ha funzionato per il verso giusto e che la contrattazione ha, talvolta, riguardato, specie a livello decentrato, ambiti impropri.
Ciò è accaduto non solo e non tanto, come il Ministro e la maggioranza ritengono, a causa dell'invasività dei sindacati, ma piuttosto, e soprattutto, perché l'amministrazionePag. 12 pubblica non ha fatto fino in fondo il suo mestiere di datore di lavoro pubblico. Infatti, per quanto si voglia assimilare pubblico e privato, è necessario prendere atto che la pubblica amministrazione non è un'impresa e che in essa - non potrebbe essere diversamente - giocano vincoli e dinamiche molto diverse.
Pertanto, non basta mostrare i muscoli della legge per ripristinare una sana dialettica negoziale, ma occorre responsabilizzare gli attori e, in particolare la dirigenza, e obbligarla ad esercitare i suoi poteri in materia di organizzazione, di gestione degli incentivi, di gestione delle risorse e di gestione della premialità.
Questi aspetti, a nostro avviso, non sono affrontati in modo adeguato. Il rischio è di imboccare una strada - quella della rilegificazione - che porterebbe all'effetto di deresponsabilizzare il datore di lavoro pubblico e la dirigenza, con risultati opposti rispetto a quelli desiderati.
Signor Ministro, siamo convinti che per cambiare la pubblica amministrazione occorra un grande sforzo collettivo e occorra orientare verso l'innovazione, verso la responsabilità e verso lo spirito di servizio l'intero corpo dei dipendenti pubblici, a cominciare dai suoi dirigenti; a tal fine, bisogna dare motivazioni, incentivi, formazione, cultura e dignità sociale.
Per queste ragioni, al di là della polemica politica, siamo sinceramente convinti che la sua campagna sui fannulloni, anche se così popolare, non produrrà effetti positivi nel lungo periodo, perché rischia di far ripiegare verso forme di disaffezione e di deresponsabilizzazione soprattutto coloro che nella pubblica amministrazione si impegnano e si sentono, dunque, offesi e misconosciuti dalle sue parole.
Per queste stesse ragioni riteniamo che si debba rafforzare, invece, l'autonomia della struttura preposta alla valutazione. Ciò di cui, soprattutto, questa struttura dovrà occuparsi sarà di verificare che nelle amministrazioni sia effettuata la valutazione degli operatori e delle performance secondo metodologie e standard affidabili e che tutto questo sia trasparente, verificabile e comparabile.
Allo stesso modo, va ribadita, sviluppata e migliorata la separazione tra politica e amministrazione, perfezionando i meccanismi attraverso i quali essa si concretizza sia nella fase di nomina e preposizione dei dirigenti nei singoli incarichi (fase in cui vanno ripristinate la trasparenza dei criteri e la comparazione della professionalità e dei meriti), sia anche nella fase di valutazione dei risultati.
Si tratta di un punto delicatissimo da cui, però, dipende l'effettivo ed efficace funzionamento di tutto il sistema. Qui non basta la legge, perché ci vogliono meccanismi complessi, ma soprattutto ci vuole una forte e determinata volontà politica, che molto spesso, invece, preferisce delegare ai dirigenti ciò che spetterebbe ad essa fare. Sono compiti difficili, talvolta sgradevoli, che i responsabili politici, più interessati ai risultati esterni, a quelli spendibili nel breve periodo, sono restii ad assumere come propri, e spesso amano sottrarsi e delegare ad altri.
Siamo, inoltre, molto preoccupati per come è stata costruita la class action, innanzitutto perché, se non si appostano le risorse necessarie, si susciteranno aspettative che verranno puntualmente disattese e l'operazione si tradurrà in un boomerang; ma, soprattutto, perché, se non si chiarisce chi è tenuto a pagare, il rischio è che l'esito della class action si scarichi sulle spalle del singolo dipendente. Il risultato sarebbe la definitiva paralisi dell'amministrazione che, per sottrarsi a qualsiasi rischio, metterebbe regolarmente le mani avanti denunciando la mancanza di mezzi e di risorse e rifiuterebbe di assumere la responsabilità dei propri compiti.
Bisogna essere molto cauti nel mettere in moto meccanismi che possono alla lunga (o anche nel breve periodo) rivelarsi diabolici.
Su questi ed altri punti il Partito Democratico ha presentato proposte emendative che affrontano il merito dei problemi senza alcuna contrapposizione ideologica, nella convinzione che la pubblica amministrazione è patrimonio della Repubblica e che ha bisogno di continuità, di Pag. 13coesione e di unità di intenti per rinnovarsi al servizio della crescita economica e civile del nostro Paese.
Per questo ci auguriamo che il Governo colga il nostro atteggiamento e che nella discussione in Aula si confronti sui problemi che abbiamo posto: noi valuteremo senza posizioni preconcette l'esito di questo confronto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, innanzitutto vorrei esprimere sinceramente ai colleghi che si sono assunti l'onere e il compito di svolgere la relazione la mia considerazione e anche il mio apprezzamento per il lavoro compiuto; lo stesso desidero fare in merito alla conduzione dei lavori delle Commissioni congiunte da parte del presidente della I Commissione e del presidente della XI Commissione.
Ci troviamo ad affrontare una materia complessa. Non ho nessuna difficoltà a dar atto al Ministro di aver tentato, con questo provvedimento, un aggiustamento e una razionalizzazione del sistema. Si parla da moltissimi anni della pubblica amministrazione, di ridarle efficienza attraverso un'azione che dia senso e significato al ruolo che, in un Paese civile e moderno, ha la pubblica amministrazione. Ritengo... Forse, dovrei spostarmi. Voi potete continuare a parlare tranquillamente...

PRESIDENTE. Colleghi, per favore. Prosegua, onorevole Tassone.

MARIO TASSONE. Ma non era un richiamo, assolutamente. Desidero essere molto cortese e riservato nei confronti dei colleghi...

PRESIDENTE. Invito i colleghi a prestare la dovuta attenzione.

MARIO TASSONE. Chi deve parlare può farlo tranquillamente. Io mi sposto.

PRESIDENTE. La invito a proseguire, onorevole Tassone.

MARIO TASSONE. Detto questo, signor Presidente, in un Paese come il nostro, ritengo che parlare della pubblica amministrazione ci riporti anche a una valutazione molto più ampia e più complessa, quella, appunto, del ruolo della pubblica amministrazione.
Bisogna tener conto delle innovazioni che si sono verificate, nel tempo, anche nel nostro Paese, dell'avvento delle regioni e, quindi, di una nuova realtà burocratica. C'è stato, per alcuni versi, anche lo spostamento dei centri decisionali, dal centro alla periferia, dal centro alle regioni e, quindi, una rivisitazione e un riammodernamento - se vogliamo dir così - del ruolo della pubblica amministrazione, e quindi dei ministeri, rispetto ad altri poteri decentrati all'interno del nostro Paese.
Per molto tempo si è parlato di centralismo burocratico, ma abbiamo altri centralismi che si sono poi determinati progressivamente all'interno del nostro Paese. Abbiamo oggi dei sistemi e dei regimi diversificati: quello del centro, quello delle regioni e quello delle autonomie locali. Quanto forse manca in questo provvedimento, oltre ad una visione complessiva, è uno sforzo per dare univocità all'impegno di chi ha la responsabilità di gestire, per conto del Paese, servizi che devono essere, ovviamente, aderenti alle attese dei cittadini.
Si tratta di un'assoluta economicità e razionalità sulle quali mancano, a volte, dati di certezza e di trasparenza. Non farei nessun tipo di esaltazione per quanto riguarda la vicenda della trasparenza e non vorrei marcare troppo l'attenzione su questo termine. Forse trasparenza non c'è stata, ma le generalizzazioni non sono mai utili a nessuno nel momento in cui si discute e ci si confronta, se noi non sappiamo quali siano state le genesi.
Certamente, dobbiamo dire che, con il decentramento istituzionale nel nostro Paese, la centralità della pubblica amministrazione ha perso molte volte di slancio e di quelli che erano, certamente, momenti Pag. 14di autoreferenzialità, se di questo possiamo parlare. Certamente, ha perso quella che era, in fondo, una capacità decisionale a lungo raggio che, invece, è stata reclamata e poi determinata e dislocata a livello periferico.
Questa visione di carattere generale certamente dobbiamo tenerla presente e questa delega, signor Presidente - voglio dirlo tranquillamente anche al Governo - è un azzardo, ma soprattutto una sfida. Non siamo contro questo sforzo che il Governo sta compiendo, ma la materia è complessa e certamente non si risolve con gli slogan: dobbiamo capire cosa vogliamo fare con la pubblica amministrazione, con i dirigenti, ad esempio.
Vi è stato un momento in cui dicevamo che i dirigenti dovevano essere dei manager, come se la pubblica amministrazione fosse semplicemente un sistema da gestire come un'impresa che eroga servizi ai cittadini. Anche questo è vero, ma vi è qualcosa di più che dobbiamo tener presente. Non ho mai creduto che il dirigente possa essere solo e unicamente un manager da omologare e da definire in analogia al dirigente dell'impresa.
Inoltre, dobbiamo rivedere anche il sistema della contrattazione e i suoi limiti. Infatti, non tutto può essere demandato alla contrattazione, anche perché alcune vicende e alcuni avvenimenti occorsi nella pubblica amministrazione hanno mostrato alcune zone d'ombra proprio nei rapporti tra la pubblica amministrazione - all'interno della pubblica amministrazione - e il movimento sindacale. Questo lo dobbiamo affermare con estrema tranquillità. Ad esempio, quando parliamo di sanzioni e, soprattutto, diamo ai dirigenti una potestà sanzionatoria molto più stringente, come è previsto anche in questo provvedimento, dobbiamo conoscere anche la storia, perché alcune sanzioni e alcuni poteri sanzionatori non sono stati portati a compimento perché vi sono state delle controspinte all'interno della stessa pubblica amministrazione. Certamente è importante dare questa impostazione nella misura in cui sappiamo e vogliamo capire cosa vogliamo fare.
In sede di discussione in Commissione ho voluto anche fare riferimento, proprio in termini di esempio, a quello che succede nelle ASL, oggi ASP, con la figura dei direttori generali, che furono introdotti dalla legge nazionale e che sono considerati dei manager. Allora si fece di tutto e si disse che questi direttori generali dovevano sottrarre la gestione della sanità locale al condizionamento politico. Certamente questi direttori generali non hanno dato un grande esempio di gestione, ma soprattutto abbiamo dovuto registrare di nuovo una subordinazione alla politica. Prima erano i partiti (o più partiti) mentre oggi, invece, vi è la subordinazione del responsabile all'esponente politico di turno che all'interno dei partiti aiuta, sollecita o determina la nomina del direttore generale.
La figura dei direttori generali è determinata sul piano anche di una rivisitazione del potere di nomina da parte del Governo. Su questo punto dobbiamo anche capire, sopratutto alla luce dell'esperienza del passato, se lo spoil system ha dato qualche significativa e apprezzabile soluzione ai grandi interrogativi e ai grandi quesiti che ci siamo posti nel passato.
Oltre a questa impostazione del dirigente, che risponde al politico, vi è anche tutta la grande problematica sull'autonomia dei dirigenti e della pubblica amministrazione e le responsabilità della politica e della pubblica amministrazione. Ma su tale punto il confine è molto labile e diventa estremamente arduo definire chi è tenuto alla gestione della responsabilità della politica e chi alla responsabilità della pubblica amministrazione. Ritengo che dobbiamo fare anche questo sforzo di assoluto chiarimento per evitare che vi siano margini di equivocità, in una situazione certamente molto complessa e molto complicata.
Allo stesso modo abbiamo più volte affermato, con molta chiarezza, che quando si parla di produttività dobbiamo definirne il contenuto e anche gli obiettivi. Molti aspetti sono avvolti in una genericità, Pag. 15molte volte ampia, che certamente non aiuta ad avere un quadro definito e soprattutto ben chiaro.
Inoltre, vi è anche la questione della vicedirigenza, che abbiamo più volte denunciato. La vicedirigenza era stata introdotta in un provvedimento qualche anno fa e oggi viene ad essere messa in discussione e condizionata dalla contrattazione collettiva. Su questo credo che qualche cosa in più la dovremmo dire, anche in sede di presentazione di proposte emendative. Noi lo abbiamo fatto e abbiamo dato un contributo.
O vi è la vice dirigenza e diamo senso e significato a questa figura, oppure se si lascia nell'ambito della contrattazione collettiva sarebbe una valutazione o quanto meno un impegno che viene assunto in termini molto generici senza credere al ruolo della vice dirigenza.
O vi è la pubblica amministrazione nella sua autorevolezza con le sue figure cogenti, oppure lasciamo tutto in mano alla contrattazione. In questo caso, vi è molta genericità e molta materia viene lasciata alla contrattazione. Al riguardo, ritengo che questo dato debba essere definito per evitare serie incongruenze e difficoltà per quanto riguarda il futuro.
Per questo abbiamo presentato un emendamento, che è stato respinto dal Governo e dalla maggioranza, volto ad eliminare l'articolo 7. Adesso vediamo se riusciamo ad avere qualche risposta in più.
Per quanto riguarda l'articolo 9 sulla Corte dei conti, si pone un grande problema, ossia quello dei controlli. Non vi sono più i controlli in questo Paese: avevamo iniziato con la GPA, per quanto riguarda le autonomie locali, ma non esiste più; vi era il controllo del Coreco, ma ora non c'è più. Vi sono i controlli all'interno dei Ministeri (chi vi è stato sa che non funzionano) e adesso si trasforma la Corte dei conti in un organo monocratico che non sappiamo cosa deve controllare, in cui si prevede soltanto un potere molto forte, espanso, cogente ed assorbente da parte del presidente, ove votano anche il capo gabinetto ed il segretario generale. A meno che non si dice chiaramente che non si vuole più la Corte dei conti perché in questo caso la discussione torna.
Più volte si è fatto cenno alla soppressione della Corte dei conti anche con alcune proposte di legge. Allora lo si dica chiaramente! Invece, in questo modo la Corte dei conti è un organo appendice dell'Esecutivo che serve a poco per avere controlli oggettivi. Già tutta la materia è rarefatta; se ci mettiamo anche questo articolo, si completa il quadro e si eliminano i controlli che certamente non hanno aiutato la pubblica amministrazione a crescere, anche con riferimento all'interesse generale del Paese che deve essere garantito.
Questi sono aspetti che voglio richiamare alla sua attenzione come, lo ripeto, quello che ho sollevato poc'anzi sulle autonomie locali.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MARIO TASSONE. Sto terminando, signor Presidente.
Come si può affrontare una problematica di questo genere, bypassando tutto il tema delle autonomie locali e dei dipendenti pubblici? Inoltre, la class action per quanto riguarda anche le aziende municipalizzate è un tema che mi auguro possa trovare una certa collocazione e una certa risposta nella nostra attività emendativa.
Non abbiamo alcuna posizione preconcetta o pregiudiziale. Vediamo che fine faranno alcuni nostri contributi ed alcune nostre proposte; sulla base della disponibilità adegueremo il nostro comportamento e la nostra scelta definitiva (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pelino. Ne ha facoltà.

PAOLA PELINO. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, non posso che esprimere apprezzamento per questo provvedimento collegato alla manovra finanziaria 2009 che ci ha tenuti impegnati in un proficuo dibattito sulla Pag. 16coraggiosa riforma attuata dal nostro Governo che segnerà una nuova epoca nella struttura e nel funzionamento della macchina della pubblica amministrazione.
Vorrei premettere un accenno ai precedenti, ma non esaurienti interventi, di avvicinamento al tipo privatistico del lavoro. Cito il primo: la legge n. 93 del 1983, legge quadro sul pubblico impiego, che non fu un sistema attuato compiutamente. Successivamente, intervenne il decreto legislativo n. 29 del 1993 che determinò la contrattualizzazione del rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, ma anche questo rimase incompiuto con alcune eccezioni di settori rimasti in regime di diritto pubblico.
Si pervenne poi al conferimento di una nuova delega contenuta nella legge n. 59 del 1997 (legge Bassanini) in virtù della quale furono adottati alcuni decreti legislativi che completarono la prima fase della riforma del lavoro pubblico.
Si aprì così la seconda fase che culminò con l'attuale Testo unico sul pubblico impiego (decreto legislativo n. 165 del 2001), su delega volta al riordino delle norme diverse da quelle del codice civile e delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa che regolano i rapporti di lavoro subordinato dei dipendenti pubblici. Eccoci, quindi, alla fase più chiaramente privatistica introdotta dal nostro Governo, preceduta - voglio precisare - nell'attuale legislatura da numerose misure già introdotte e vigenti.
Innanzitutto cito le numerose misure introdotte con la manovra del luglio 2008 (ossia con il decreto-legge n. 112 del 2008), dalla cui applicazione deriveranno risparmi di spesa per circa 7 miliardi di euro. Per la prima volta, ora si parla di lavoro pubblico: il termine non era mai stato espressamente utilizzato in precedenza. Il provvedimento al nostro esame è già stato dibattuto ampiamente e modificato in Senato, sia in Commissione che in Assemblea. Ora è stato lievemente modificato sotto il profilo delle coperture finanziarie.
Rimangono fermi perciò i principi ed i criteri direttivi relativi all'innovazione della disciplina in tema di valutazioni sulle strutture e sul personale della pubblica amministrazione, al fine di innalzare gli standard qualitativi ed economici dell'attività amministrativa, con l'introduzione di strumenti di valorizzazione del merito e di incentivazione della produttività e della qualità della prestazione lavorativa. Inoltre, è stata revisionata la normativa sulla dirigenza pubblica (sempre verso obiettivi di premialità, produttività e innalzamento dei livelli qualitativi dell'attività amministrativa), al fine di contrastare fenomeni di bassa produttività e assenteismo, definendo un più rigoroso sistema di responsabilità dei dipendenti pubblici.
Viene affermato il principio della concorsualità per l'accesso al lavoro pubblico e per le progressioni di carriera, anche su base territoriale (introdotto in Commissione) e di permanenza per almeno un quinquennio nella sede di prima destinazione per i vincitori delle procedure di progressione verticale con titolo preferenziale nella permanenza nelle sedi carenti di organico.
A fondamento del provvedimento, c'è l'idea che l'incremento della qualità e quantità dei servizi prodotti dalle pubbliche amministrazioni sia possibile solo se si riesce a stabilire il necessario nesso tra la trasparenza e la pratica dei controlli. Il confronto politico di condivisione è perciò importante. È, inoltre, evidente un comune orientamento, pur nella differenza di impostazioni, ad individuare nella pubblica amministrazione moderna ed efficiente una delle scelte qualificanti dell'azione di Governo. Efficaci sono i mezzi di tutela giurisdizionale degli interessati nei confronti delle amministrazioni che si discostino dagli standard qualitativi ed economici fissati.
Si stabilisce che le amministrazioni predispongano in via preventiva gli obiettivi annuali e si introducono modalità per verificare se gli obiettivi siano stati effettivamente raggiunti. Tra i criteri direttivi si nota la previsione di confronti pubblici sul funzionamento e sugli obiettivi di miglioramento di ciascuna amministrazione, nonché la promozione della confrontabilitàPag. 17 tra le prestazioni omogenee delle pubbliche amministrazioni. Si tratta di un ottimo incentivo al miglioramento, di un ottimo coinvolgimento degli utenti e dei consumatori, delle organizzazioni sindacali, di studiosi ed organi di informazione, mediante forme di pubblicità anche telematica. Un dato rilevante è il concetto che la trasparenza costituisce il livello essenziale delle prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche.
Evidenzio, infine, anche le efficaci disposizioni relative all'organizzazione e al funzionamento della Corte dei conti. Le principali innovazioni riguardano tre aspetti specifici: i controlli, il presidente della Corte e il consiglio di presidenza, organo di autogoverno della Corte. In particolare, viene prevista l'introduzione di una nuova tipologia di controllo di gestione (cioè gestioni pubbliche statali in corso di svolgimento con poteri di individuazione e segnalazioni di gravi irregolarità gestionali o gravi deviazioni da obiettivi con rafforzamento dei poteri del presidente). L'intervento in esame si inserisce perciò come tassello perfetto in una strategia complessiva di rinnovamento del settore pubblico, con revisione della dirigenza e vicedirigenza pubblica e della sanzionabilità disciplinare per tutti.
Ciò è stato attuato anche in relazione alle norme al Senato sempre collegate alla manovra di bilancio 2009 in materia di reclutamento del personale nella pubblica amministrazione, di procedure di mobilità collettiva, di aspettativa dei dipendenti pubblici e di trasparenza, come sopra specificato, con l'obbligo di rendere pubblici via Internet i dati relativi ai dirigenti, in evidente deroga al trattamento dei dati privacy, cioè curriculum vitae, retribuzione annuali, numeri telefonici, tassi di assenza eccetera.
Trasparenza, evoluzione tecnologica, digitalizzazione della pubblica amministrazione, iniziative «reti amiche», costituzione del servizio trasparenza ed anticorruzione, rinnovamento, garanzia di imparzialità e di efficienza della macchina pubblica: sono gli obiettivi concretamente prefissati e raggiunti dal nostro Governo. Beneficiari: i cittadini italiani (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zaccaria. Ne ha facoltà.

ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, faccio seguito all'intervento dell'onorevole Lanzillotta, che ha dato una visione più generale delle valutazioni relative a questo provvedimento da parte del Partito Democratico, soprattutto per quanto riguarda alcuni profili che hanno rilevanza per la I Commissione affari costituzionali. Io interverrò su una questione particolare sulla quale già sono intervenuti alcuni colleghi; si tratta di una questione particolare, ma non secondaria, signor Presidente, quella che si riferisce all'intervento sulla Corte dei conti: l'articolo 9 del provvedimento in esame.
Vorrei sinteticamente definirla una norma estemporanea, che compare ad un certo punto del procedimento legislativo in maniera non chiaramente coordinabile con il testo nel suo complesso; disordinata, perché si deve sottoporre ad una pluralità di letture per poterne capire il significato nel contesto generale della normativa; confusa e contraddittoria. È contraddittoria perché, da un lato, l'esordio della norma sembra costituire un'eccezione ai principi dettati nel disegno di legge con riferimento alla Corte dei conti, però se, per un verso, si dice che in qualche modo i principi di questo provvedimento non toccano la Corte dei conti, poi in realtà si va giù pesantemente e si prevedono una serie di interventi che snaturano in maniera abbastanza significativa il funzionamento di questo organismo.
Vi sono una serie di aspetti, sui quali già alcuni colleghi si sono soffermati, che riguardano alcune nuove forme di controllo, chiamiamole così. Ho provato a far leggere questo testo ad alcuni colleghi che si occupano da molti anni del controllo della Corte dei conti e questo secondo comma, dove si dice che «può effettuare controlli su gestioni pubbliche statali in corso di svolgimento», desta un certo disorientamento.Pag. 18
La collega Lanzillotta ha parlato di controlli invasivi, mi pare che sia un'espressione garbata. Certamente per coloro che erano indotti a confrontare i tradizionali controlli preventivi con quelli successivi (con il superamento che si è via via determinato proprio dai principi in questa materia) scoprire questa norma, anche se qualche tentativo era stato fatto in precedenza, suscita una certa meraviglia.
Si tratta di un meccanismo di controllo in corso d'opera: mentre l'amministrazione sta lavorando su un certo tema e sta ponendo in essere degli interventi, ad un certo punto scatta questo meccanismo di controllo. È un controllo dai confini abbastanza indeterminati, perché non sempre è facilissimo capire se vi è un ritardo, se è un ritardo colpevole, se quel ritardo causa un'inefficienza.
Addirittura si era pensato, ad un certo punto, che, di fronte a questo ventilato ritardo, l'amministrazione potesse agire, anche attraverso l'intervento della Corte, in maniera tale da sottrarre le risorse e gli investimenti destinati a quel settore e qualcuno aveva ipotizzato di trasferirli su un altro capitolo di bilancio. Su tale aspetto qualcuno ha detto giustamente che esiste una riserva di legge nell'articolo 81 della Costituzione e che quindi ciò non è possibile, ma è proprio l'incertezza di questo tipo di controllo che determina delle preoccupazioni gravi rispetto al sistema che si è andato consolidando.
Credo che queste considerazioni siano ancora più preoccupanti perché non vi sono certezze e si introduce un elemento di discrezionalità che, finché è in capo all'amministrazione, lo si può anche capire in quanto è assunto sotto una generale forma di responsabilità, ma quando lo si sposta su un organo di controllo, diventa pericolosissimo. Penso a quanto possa essere dirompente introdurre un meccanismo di questo tipo anche con riferimento agli enti locali e al concetto di autonomia degli stessi dopo che anni e anni di battaglie politico-istituzionali avevano portato a dare un assetto diverso a questa materia.
Quindi, vorrei invitare a svolgere una riflessione sul fatto che, con questa disposizione che, lo ripeto, è estemporanea e, quindi, scollegata da un disegno complessivo, si introduce una norma che può apparire efficientistica - forse questo è il motivo per cui pur non avendola proposta, il Ministro Brunetta l'ha in qualche modo sposata - ma che però toglie ogni elemento di certezza a coloro che devono operare nella loro responsabilità e che introduce, anziché un elemento di efficienza, un elemento di potenziale confusione nelle responsabilità di gestione e di controllo.
L'altro elemento che è senz'altro preoccupante è che, partendo dal principio giusto - mi riferisco proprio ai principi contenuti in questa disposizione - dell'introdurre un maggiore equilibrio nella distribuzione nel consiglio di presidenza, ossia nell'organo di autogoverno della Corte dei conti (così come esiste per il Consiglio di Stato e per la giustizia militare), prevedendo un diverso equilibrio tra laici e togati, si introduce un principio che può avere senso e che naturalmente nel contesto appropriato si potrebbe discutere. Tuttavia, quello che rimane un po' difficile da capire è come si possa, da un lato, affermare di riequilibrare la presenza dei laici e dei togati nell'organismo di autogoverno e, dall'altro, nel momento stesso in cui si compie questa operazione, depotenziare l'organo di governo di tutti i poteri significativi che questo avrebbe; è come dire: promuoviamo un organismo più equilibrato e poi gli togliamo i poteri. Quindi, diventa sostanzialmente una dama di compagnia del presidente della Corte, con funzioni tutto sommato inappropriate e incomprensibili.
Ciò che però è decisamente grave è che, attraverso alcuni commi dell'articolo 9, si incida profondamente sull'indipendenza della stessa Corte dei conti che la Costituzione definisce, negli articoli 100 e 108, come organo che deve godere di indipendenza e autonomia. Nell'articolo 100, dopo aver parlato del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, la Costituzione stabilisce che: «La legge assicura l'indipendenza dei Pag. 19due Istituti e dei loro componenti di fronte al Governo». Colleghi, la Costituzione usa le parole con grande cautela, quindi nell'articolo 100 dice chiaramente che ci deve essere indipendenza degli istituti, cioè della Corte dei conti e del Consiglio di Stato, e dei loro componenti di fronte al Governo, quindi è chiaro il disegno costituzionale. L'articolo 108 a distanza di poche disposizioni, ribadisce questo concetto e stabilisce che: «La legge assicura l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del pubblico ministero presso di esse, e degli estranei che partecipino all'amministrazione della giustizia». Più chiaro di così il costituente non poteva essere.
Mi rendo conto che in questo periodo si discuta dell'ideologia del costituente, però voglio dire, per coloro che ancora conservano in profondità il valore della Costituzione, che non vedo tracce di questi riferimenti nelle Costituzioni di quei Paesi, cui si faceva riferimento in questi giorni. Si tratta di una garanzia di indipendenza e di autogoverno.
La Corte costituzionale (per capire che quelle norme non sono frutto di un'estemporanea volontà del costituente del 1948), in almeno un paio di sentenze (voglio citare le sentenze n. 67 del 1984 e n. 266 del 1988), ha ribadito, in maniera estremamente chiara, che la legge istitutiva dell'organo di autogoverno ha il suo fondamento nell'articolo 108, secondo comma, della Costituzione. Quindi, le norme richiamate, che riguardano il Consiglio di Stato, la Corte dei conti e la magistratura militare, hanno una particolare capacità di resistenza nell'ordinamento, perché si qualificano come norme di attuazione costituzionale.
Potremmo arrivare a dire - questo naturalmente è un elemento di interpretazione, che però credo sia importante - che l'organo di autogoverno assicura la sua indipendenza attraverso (almeno questo è il diritto vigente) un organo collegiale, la cui nomina non dipende...

PRESIDENTE. Onorevole Zaccaria, la prego di concludere.

ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, ero preoccupato perché vedevo che lei scampanellava senza produrre suoni, però ciò vuol dire che, evidentemente, il campanello voleva ascoltarmi ancora un attimo.

PRESIDENTE. Onorevole Zaccaria, le ho dato un segnale, sulla base delle indicazioni del suo gruppo, ma per me può continuare a parlare fino alla fine dei trenta minuti, che come da Regolamento le spettano.

ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, non ci penso neppure, perché sottrarrei tempo agli altri miei colleghi.
Volevo esprimere questo concetto: l'attuazione nell'ordinamento vigente è realizzata con questo modello, ossia attraverso un organo collegiale indipendente dal Governo, che è un elemento consolidato. Vi è un parallelismo tra Consiglio di Stato, giustizia militare e Corte dei conti. Intervenire con un atto che, in qualche modo, è unilaterale e scoordinato dagli altri, a mio modo di vedere, è estremamente pericoloso.
Tutto sommato, devono farci riflettere le preoccupazioni che leggo su alcuni giornali autorevoli: «i controllori finirono sotto il controllo del Governo» (è il Corriere della sera, che non è un giornale di provincia e si occupa di questi temi con una certa autorevolezza).
Infatti, si spostano - su questo aspetto non mi soffermo, ma altri colleghi ne hanno parlato e ne parleranno - le competenze dall'organo collegiale, che diventa l'organo amministrativo del personale (anche nella definizione c'è una certa irrisione dell'organismo stesso, che diventa quindi quell'ancella del presidente, di cui si parlava), al presidente, che è nominato dal Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di presidenza, e quindi si tratta comunque di una nomina che formalmente risale al Governo. Assegnare ad un organismo di nomina governativa il compito di assicurare l'indipendenza dell'organo stesso, come dice l'articolo 100, nei confronti del Governo, sinceramente mi parePag. 20 un tentativo del tutto maldestro e un po' goffo di addomesticare la Corte dei conti. Naturalmente, lo posso dire perché non è opera del Ministro Brunetta, che non l'aveva proposto nel suo testo, ma ha una origine diversa, che determina un certo grado di confusione.
Insisto che, se si voleva intervenire in maniera ordinata, bastava una delega e raccordarsi al testo unico con delle novelle. Ciò, eventualmente si poteva anche fare. In questo modo, invece, credo che abbiate dato vita ad una disposizione che pesta i piedi in maniera preoccupante al principio costituzionale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Paladini. Ne ha facoltà.

GIOVANNI PALADINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor Ministro, si parla da molti anni di dare efficienza alla pubblica amministrazione e di elevarla; oggi vorrei ripercorrere gli aspetti essenziali di questa rivisitazione, che doveva essere una riforma.
Devo dire che questo provvedimento presenta un'unica caratterizzazione, cioè quella della politicizzazione della pubblica amministrazione. Lei, Ministro, mi chiederà perché: da parte sua, questo provvedimento nasce contro i fannulloni, ma è un provvedimento che, di fatto, serve a lei per avere un controllo sulla pubblica amministrazione. Lo ha dimostrato nei fatti, a cominciare dalla Corte dei conti, che credo sia l'unico esempio a livello europeo, ma penso anche mondiale, di ciò che volete fare.
In questo provvedimento si parla molto di produttività, che è un criterio economico, mentre si parla poco di efficienza, innovazione e formazione. Noi pensiamo che i dipendenti pubblici debbano essere innanzitutto motivati, ma non come volete farlo voi, ossia ponendoli davanti alla pubblica opinione. Noi siamo per il miglioramento della pubblica amministrazione e volevamo, con lei e con la maggioranza, partecipare attivamente a questa riforma, perché la ritenevamo anche noi necessaria. Ma ciò non significa che la pubblica amministrazione debba essere paragonata al mercato, che può essere inteso in diversi modi.
Al Senato avevamo deciso di assumere un atteggiamento collaborativo e devo dire che lo spirito che è stato attuato al Senato non può naturalmente essere seguito qui alla Camera, proprio perché riteniamo, signor Ministro, che - al di là della sua politicizzazione, e, molte volte, della spettacolarizzazione esterna, attraversamento i media, della sua figura - la gente debba sapere che questo provvedimento ha i suoi interessi lobbistici e corporativi (ne riparleremo, naturalmente); non parliamo, poi, di quello che è stato combinato con la disciplina del lavoro pubblico.
Si è parlato molto del rapporto di lavoro, dell'innovazione, del rapporto di efficienza, della concorsualità del pubblico impiego, della contrattazione collettiva, dell'autonomia di determinazione che i dirigenti dovrebbero avere, anche inserendo indicatori di produttività, e della valorizzazione del merito (almeno così si dice, secondo gli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto).
Ma quando parliamo di produzione, cosa intendiamo? Mi auguro che lei, in sede di replica ce lo dirà, perché vi sono anche dei settori che poco hanno a che fare con la produzione, come, ad esempio, la sicurezza; è chiaro, infatti, che l'elemento essenziale di quel settore è molto diverso.
Ritorniamo, quindi, all'esempio del mercato: anche le responsabilità dei dipendenti per assenteismo e scarsa produttività devono avere una logica all'interno del provvedimento. Avete introdotto un nuovo articolo sui rapporti e le disposizioni della contrattazione; avete considerato il dirigente come un datore di lavoro pubblico, quasi come se fosse un privato, ma gli avete dato una responsabilità astratta (a parole, siete molto bravi, ma nei fatti tale responsabilità è astratta).
Trattate il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali, le sanzioni di natura economica, ma poi non si capiscono i sistemi di valutazione e manca la Pag. 21previsione di un criterio meritocratico, perché se sono i dirigenti che dovranno praticamente fare tutto ciò, bisognerà stabilire dei criteri essenziali per questi provvedimenti.
Ciò anche perché, caro signor Ministro, lei si è lavato le mani della vicedirigenza, mentre si è impegnato molto sul suo tema, tanto noto al Paese, quello del risparmio; ed è stato bravissimo, e lo ha dimostrato nel momento in cui ha introdotto la norma sui primari, che altro non sono che dirigenti di struttura complessa: ciò per far capire al Paese quanto sia significativo il tema del risparmio.
Noi siamo contrari anche alla regionalizzazione del concorso pubblico: l'introduzione di strumenti che assicurano una più efficace organizzazione delle procedure concorsuali su base territoriale deriva dall'approvazione di un emendamento presentato in Commissione affari costituzionali dalla Lega, che sembra anticipare il principio della regionalizzazione del concorso pubblico tanto caro a quella parte politica e duramente contestato durante lo svolgimento della discussione del collegato naturalmente presso la Camera dei deputati e dell'atto Senato n. 1167. Si ricorda infatti che la nuova formulazione presentata dalla Lega prevedeva che nella formazione delle graduatorie dei concorsi non si tenesse conto del voto del titolo di studio. Noi avevamo ribattezzato tale norma «salva asini» perché, oltre a mettere in discussione il valore legale che lo Stato riserva ai titoli accademici a seguito degli esami di Stato, si afferma un principio di preferenza nei confronti di chi appartiene ad un determinato territorio. Ciò nonostante è stata approvata una norma con la quale si stabilisce che il principio di parità di condizioni per l'accesso ai pubblici servizi sia garantito mediante specifiche disposizioni del bando con riferimento al luogo di residenza.
Noi avevamo anche pensato, signor Ministro - e abbiamo presentato degli emendamenti in tal senso, di cui mi auguro che nel seguito della discussione in Aula si possa tener conto - a una commissione indipendente per la valutazione dei risultati della qualità dell'azione delle amministrazioni pubbliche, e non alla totale politicizzazione della pubblica amministrazione. L'istituzione di una commissione indipendente era stata già prevista all'interno del cosiddetto disegno di legge Nicolais, a seguito di un ampio dibattito iniziato con la presentazione di una proposta di legge bipartisan che vedeva firmatari 47 deputati di maggioranza e di opposizione, tra cui esponenti del nostro gruppo. Abbinata a questo disegno di legge governativo, si ipotizzava l'istituzione di una vera e propria authority di controllo del personale e dell'attività della pubblica amministrazione.
La polemica in realtà era stata già avviata nell'estate del 2006, quando sul Corriere della sera il professor Ichino, ispiratore della proposta di legge sull'authority di controllo della pubblica amministrazione e oggi senatore del Partito Democratico, parlò di «nullafacenti» della pubblica amministrazione. Con l'espressione «nullafacenti» non si intendeva però solo la categoria di alcuni fannulloni, che pure esistono - per carità - ma che certamente non rappresentano quote decisive della pubblica amministrazione: si faceva riferimento anche a quella parte di pubblici dipendenti, caro signor Ministro, che a differenza di altri vengono utilizzati in strutture inutili, doppioni di altre strutture prive di funzioni effettive, che a tutt'oggi esistono, ci sono e «funzionano». Oppure si faceva riferimento a quei dipendenti lasciati soli per l'inefficienza e l'incapacità della pubblica amministrazione, per la mancanza di confronto che esiste nella pubblica amministrazione, e soprattutto per una grande e importante problematica, quella degli organici e delle piante organiche della pubblica amministrazione, che i cittadini non conoscono.
Quella polemica ebbe una larga eco nell'opinione pubblica e provocò immediatamente anche un risentimento da parte dei sindacati. Una parte del mondo sindacale reagì pesantemente a quella campagna di stampa, sostenendo che si trattavaPag. 22 di una criminalizzazione indiscriminata dei dipendenti pubblici, di un fatto inammissibile ed inaccettabile.
In verità, non si trattava solo di una campagna tesa a criminalizzare in quanto tali i dipendenti pubblici, ma addirittura proponeva i temi per una valorizzazione del merito dei dipendenti pubblici, per applicare finalmente nella pubblica amministrazione criteri di merito. Si tratta di un metodo che ogni giorno viene evocato nei nostri discorsi, sulla stampa, nei saggi dei ricercatori e nelle ricerche universitarie, ma che non trova concreta applicazione in nessuna branca della pubblica amministrazione: né in quella amministrativa in senso stretto, né in quella della scuola, dell'università, della sanità e neanche in quella della giustizia (salvo pochi comparti della pubblica amministrazione).
Non parliamo poi del settore della pubblica sicurezza. In questa sede, voi promuovete infatti una norma di efficienza e di professionalità ma, da una parte, approvate una norma e, dall'altra, tagliate i fondi per quella funzionalità cui tanto tenete. All'esterno fate capire di tenerci, ma nella realtà vi comportate diversamente, tagliando le risorse.
Alle forze dell'ordine avete tagliato ben 3 miliardi di euro e non si potranno assumere 6 mila persone. Fate un'altra politica, quella dei soldati, laddove affermate che i soldati, a parità di lavoro, hanno un'efficienza superiore addirittura a quella delle forze dell'ordine (che fanno quindici giorni di corso, a differenza di personale che parte da un minimo di dodici mesi ad un massimo di quattro anni).
Create diverse indennità: ai soldati date ventisei euro al giorno, alle forze dell'ordine non riuscite neanche a pagare le nove ore di straordinario all'interno di un percorso della pubblica amministrazione e ricorrete ai riposi compensativi per evitare che il personale delle forze dell'ordine faccia straordinari, permettendo quindi alla criminalità di essere più avanzata delle stesse forze dell'ordine e trasferendo poi i soldi alle associazioni che dovrebbero impegnarsi al posto delle forze dell'ordine (dal momento che i sindaci potranno dare soldi per la sicurezza pubblica anche ad associazioni). Guardate quindi quanto siete contorti e quale è il vostro problema di sicurezza, e soprattutto, di professionalità della pubblica amministrazione!
Non parliamo poi dei concorsi pubblici. Voi dite di odiare i «fannulloni», ma ci sono centinaia se non migliaia di ragazzi volontari in ferma breve che hanno vinto concorsi, sono idonei o vincitori di un pubblico concorso, ma non riescono ad entrare nella pubblica amministrazione per mancanza di quei fondi che voi destinate ad altre parti.
Questi ragazzi dunque non riescono ad entrare a far parte delle forze dell'ordine. Ritengo che questo sia un tema non semplice. Non parliamo poi di tutti i concorsi pubblici e di tutti gli idonei non ammessi che giornalmente vincono i concorsi e che assolutamente non faranno mai parte della pubblica amministrazione sempre per il semplice motivo che non ci sono i fondi! La vostra efficienza, la vostra capacità, la vostra professionalità, dove vanno allora a finire in riferimento ai temi che ho appena esposto?
In verità, dalla campagna estiva contro i nullafacenti, si è passati poi ad una proposta di legge (naturalmente sempre nel testo del vecchio provvedimento) tesa ad istituire una authority che in qualche modo si assumesse l'onere di diffondere la pratica della valutazione e dell'operatività delle strutture pubbliche e dei dirigenti (non solo dei dipendenti, ma prima di tutto dei dirigenti, signor Ministro) all'insieme dei dipendenti, e del grado di soddisfazione degli utenti della pubblica amministrazione. A tal fine si proponeva l'istituzione appunto di una authority, che è stata però contrastata.
Si è detto, infatti, che tutto ciò voleva creare il «grande fratello», una specie di occhio onnipotente capace di controllare i tre milioni di dipendenti pubblici. Ebbene, in molti Paesi europei - soprattutto nel nord d'Europa - si ricorre invece alla pratica di quella che viene chiamata la public review: attualmente, annualmente e periodicamente, ogni comparto della pubblicaPag. 23 amministrazione rende conto dei risultati della sua attività e li confronta con i portatori di interessi, con i rappresentanti dell'opinione pubblica, con i ricercatori esperti di tali temi, per procedere ad un confronto con l'autovalutazione, che è quello che state introducendo voi, perché non inserendo i criteri il dirigente porterà avanti il lavoro in autovalutazione è vero, ma un conto è che accada nel privato, un altro conto nel pubblico. Nel pubblico l'autovalutazione che state introducendo rappresenterà un problema serio, ma in Italia prima si fanno le riforme e poi si vedono i guai che hanno prodotto (è un sistema tutto italiano questo).
L'autovalutazione che la pubblica amministrazione fornisce di sé è la valutazione che le danno i cittadini e gli utenti, e non il singolo e assoluto dirigente. Tuttavia, l'ostilità riscontrata in alcuni gruppi dell'allora maggioranza e in alcune componenti sindacali che avevano avanzato l'obiezione di invasione dell'autonomia contrattuale portò all'allontanamento dal testo originale, a parte la previsione di un organismo più blando rispetto all'authority, una commissione in seno al CNEL che avesse diversi compiti di valutazione dei risultati e della qualità di azione amministrativa.
Nella presente legislatura il disegno di legge delega di sua iniziativa, signor Ministro, all'esame della Camera dei deputati ha inserito, nell'ambito dei principi e dei criteri direttivi in materia di struttura e valutazione del personale della pubblica amministrazione, la previsione - nell'ambito del riordino dell'Aran - dell'istituzione in posizione autonoma e indipendente di un organismo centrale (ecco perché parlo di politicizzazione della pubblica amministrazione) con il compito di indirizzare, coordinare e sovrintendere all'esercizio indipendente della funzione di valutazione, di garantire trasparenza e di assicurare l'esercizio indipendente della funzione di valutazione, di garantire trasparenza e di assicurare la comparabilità, la visibilità degli indici di andamento gestionale. Tale organismo dovrà essere composto da cinque componenti nominati solo dal Governo, previo parere favorevole del Parlamento, con una maggioranza di due terzi.
Credo vi siano molteplici problemi, ed è qui che i cittadini italiani devono capire che cosa sono i fannulloni, a che cosa serviva la riforma, a chi doveva dare conto e per che cosa è stata fatta questa riforma. Altro che per i fannulloni, signor Ministro! Altro che per la pubblica amministrazione, signor Ministro! Altro che preoccuparsi delle casse dello Stato! Questa è una lobby e sono cose completamente diverse.
Inoltre, il potere di nomina a cura del solo Governo pone il problema dell'ambito nel quale l'organismo agirà; manca qualsiasi relazione con il sistema delle regioni e delle autonomie, ma non solo. L'operatività sarà solo verso le amministrazioni centrali. Il costo dell'organismo (4 milioni 800 mila euro nel 2010) è spropositato anche alla luce del fatto che i cinque componenti non hanno esclusività di rapporto, ma vi è solo un richiamo generico al fatto che non abbiano interessi di qualsiasi natura in conflitto con le funzioni dell'organismo. La finanza pubblica paga il doppio lavoro dei cinque componenti, i quali, alla luce dei compiti definiti, svolgono una mera attività di studio e di coordinamento dell'attività di valutazione svolta da organismi che, ai sensi del comma 2 lettera e), dovranno prima essere riordinati senza alcun indirizzo noto. Questo devono sapere gli italiani, che è molto importante: la durata dell'organismo, sei anni (poteva fare dodici ma perché non quindici o venti o magari assicurargli la pensione), l'assoluta mancanza di relazione tra le spese di funzionamento, che certamente comprendono anche i compensi per i cinque componenti dell'organismo non vincolati da alcun criterio e sottoposti anch'essi al tetto delle retribuzioni.
La definizione della trasparenza come livello essenziale delle prestazioni non può essere certo definita con uno strumento di delega ma credo che di trasparenza qui ce ne sia moltissima.Pag. 24
Riproporre il progetto della commissione indipendente per la valutazione dei risultati e della qualità dell'azione delle amministrazioni pubbliche segue lo schema di quanto approvato nel 2007, ma rendendo più incisive le competenze della stessa secondo quanto proposto dal nostro gruppo nella scorsa legislatura. La commissione da noi proposta è sicuramente un organismo più indipendente: anzitutto è collocata presso il CNEL e non presso l'Aran, cosa che non garantirebbe indipendenza dalla pubblica amministrazione. I membri sono quattro e tutti designati da organi diversi: uno dalla Conferenza dei presidenti delle regioni, uno dalla delegazione degli enti locali presente in seno alla Conferenza Stato-città e autonomie locali, uno dal CNEL, uno dal consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti, che devono partecipare attivamente all'attività della pubblica amministrazione, ma devono essere coloro che controllano la pubblica amministrazione.
Tra le competenze spicca anche quella relativa all'elaborazione dei modelli di valutazione del personale compresi i dirigenti: per questi la commissione dovrà predisporre un sistema di valutazione chiaro e obiettivo per quanto riguarda il raggiungimento degli obiettivi da cui dipende l'indennità di risultato. Attualmente, infatti, il sistema di valutazione dei dirigenti è assegnato ai dirigenti stessi. Quindi è autoreferenziato, signor Ministro: altro che trasparenza della pubblica amministrazione, altro che professionalità nella pubblica amministrazione, altro che innovazione della pubblica amministrazione! Comunque è affidato ad organi interni della pubblica amministrazione un sistema poco chiaro e sicuramente non indipendente. Nelle ipotesi in cui rileva casi di inefficienza vi sono il mancato rispetto degli standard di qualità delle amministrazioni pubbliche e dei livelli essenziali delle prestazioni. Effettua specifiche segnalazioni al Ministero per la pubblica amministrazione e l'innovazione e richiede anche ispezioni specifiche da parte dei servizi ispettivi della pubbliche amministrazioni nonché dell'ispettorato della funzione pubblica che può addirittura avvalersi del Corpo della guardia di finanza.
Signor Ministro, signor Presidente, ritengo che il provvedimento in esame, che si caratterizza fortemente per la politicizzazione della pubblica amministrazione, arriva al suo culmine ed è veramente interessante (dire che è eufemistico potrebbe essere offensivo) nell'articolo 9, nel quale si interviene in maniera significativa sulle funzioni della Corte dei conti. Su questo si potrebbe parlare tutta la giornata ma il nostro gruppo ha soltanto mezz'ora di tempo a disposizione.
Chi mi ha preceduto ha parlato di norma estemporanea, disordinata, confusa e contraddittoria. È stato elegante e gentile, perché credo che siano pochi i termini usati ma ciò che rileva è soprattutto quello che si vuol fare con l'organo che dovrebbe controllare la pubblica amministrazione e, quindi, dovrebbe essere organo terzo. Nel provvedimento e nell'articolo 9 gli autorevoli relatori che mi hanno preceduto hanno addirittura vantato l'importanza di questa norma all'interno della pubblica amministrazione.
Quindi chi è parlamentare, che come tale tiene allo Stato ed alle sue norme, alla divisione dei poteri ed alla terzietà, ritiene che la Corte dei conti vada praticamente inserita non più in un contesto di terzietà, ma in un contesto politico, dove si possa controllare e dove si possa usare contro uno o contro l'altro. Credo che questo sia un tema veramente importante, un tema da non sottovalutare, perché nell'articolo 9 si interviene in maniera significativa sulla funzione dell'organo terzo più importante, la Corte dei conti.
Anche nelle autorevoli relazioni degli illustri membri della stessa Corte, e anche dell'Avvocatura, vi sono osservazioni - non le avete lette? - che mi sembrano veramente molto pesanti, estremamente pesanti: muovono critiche importantissime e pure loro si meravigliano e chiedono cosa avete fatto. Nel nostro Paese vi era bisogno di una rivisitazione, per carità, ma a questi livelli credo che nessun Paese democratico possa arrivare.Pag. 25
Nell'articolo 9 si interviene e si prevedono nuovi e incisivi poteri di controllo sulla gestione pubblica statale. Adesso tutti gli italiani e noi parlamentari abbiamo capito a cosa si riferiva quando parlava di fannulloni, qual era il suo progetto politico, dove lei voleva arrivare, quali erano i progetti del Governo e quali erano gli interessi reali di questo Paese: non combattere i fannulloni, non adeguare la pubblica amministrazione, non presentare innovazione, non preoccuparsi della professionalità, non preoccuparsi della formazione dei pubblici dipendenti, ma colpire la Corte dei conti e, ancor prima, rinnovare in questo Paese il processo della giustizia.
Infatti, se si cambierà dall'Esecutivo intervenendo sulla figura del pubblico ministero e sulla indipendenza della magistratura, si arriverà poi ad un unico, lineare e chiaro disegno: annullare l'autorità giudiziaria e l'autorità amministrativa in questo Paese, per essere messi esclusivamente e solamente sotto un'unica corporazione, quella della politica.
Credo che questo sia un tema molto importante: altro che fannulloni, signor Ministro, qua i fannulloni non c'entrano niente. Infatti, si riesce ad inserire l'articolo 9 e si rileva al riguardo che tale articolo, oltre che essere stato introdotto senza reale coinvolgimento del corpo magistratuale - e questo è un altro fatto grave -, è in grado, qualora dovesse essere approvato definitivamente dal Parlamento, di stravolgere completamente la funzione attualmente esercitata dalla Corte dei conti.
Quanto tempo ho ancora, signor Presidente?

PRESIDENTE. Poco più di un minuto.

GIOVANNI PALADINI. Concluderò in un minuto, cercando di essere breve.
In particolare, si prevede che la Corte dei conti, su richiesta dal Governo, possa effettuare controlli su gestioni pubbliche e statali in corso di svolgimento e dove accerti gravi irregolarità gestionali ovvero gravi deviazioni da obiettivi, procedure o tempi di attuazione stabiliti da norme nazionali e comunitarie ovvero da direttive del Governo, la Corte ne individua in contraddittorio con l'amministrazione le cause e provvede con decreto motivato dal presidente, su proposta delle competenti sezioni, a darne comunicazione, anche con strumenti telematici idonei allo scopo, al Ministro competente.
In buona sostanza, i magistrati della Corte dei conti diventano veri e propri 007 del Governo, senza contare che la previsione di un controllo servente del Governo snatura la neutralità della posizione della Corte dei conti, quale organo ausiliario del Parlamento.
Per tutte le questioni da me esposte, signor Ministro, il nostro gruppo, che voleva cercare di portare avanti quella che doveva essere una riforma e, soprattutto, un'opportunità di miglioramento della pubblica amministrazione, voterà contro questo provvedimento.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Calderisi. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE CALDERISI. Signor Presidente, colleghi, signor Ministro, il provvedimento al nostro esame segna un grande passo in avanti nel processo di riforma della pubblica amministrazione ed ha una portata fortemente innovativa.
Ormai, è diffusa la consapevolezza che una pubblica amministrazione efficiente è condizione indispensabile, perché l'economia italiana sia competitiva sui mercati internazionali (l'OCSE lo sostiene almeno dal 1995). Dal 2001, l'Unione europea, attraverso l'Agenda di Lisbona, sollecita i Paesi aderenti a migliorare l'efficienza della pubblica amministrazione, se si vuole perseguire un obiettivo di crescita dell'economia. Tuttavia, se è diffusa questa consapevolezza, è altrettanto, e ancor più diffusa, la percezione, da parte delle imprese e dei cittadini, della grave inefficienza di cui soffre, ancora oggi, la pubblica amministrazione italiana, nonostante le riforme degli anni Novanta, che, evidentemente, non hanno dato i risultati sperati.Pag. 26
Prima di affrontare e riflettere sulle cause dell'insuccesso delle riforme passate, credo che sia opportuno svolgere una premessa di natura politica, un po'metodologica, come ho già fatto intervenendo durante il dibattito che si è svolto nelle Commissioni congiunte. Vorrei sottolineare alcuni fatti politici positivi che sono accaduti al Senato. Abbiamo assistito, infatti, ad un contributo dato dal Partito Democratico, volto a modificare il testo inizialmente presentato dal Governo, che ha portato il Partito Democratico (che è stato condotto su questa strada, in particolare, dai senatori Ichino, Treu e da altri), a votare a favore dei primi quattro articoli del provvedimento (ai quali aveva collaborato fortemente con una propria proposta) e, poi, ad astenersi nel voto finale del provvedimento, date le riserve e perplessità rimaste su determinati aspetti.
Credo, comunque, che con questo comportamento unitario, di tutto il gruppo, il Partito Democratico abbia voluto dare un segnale preciso circa un giudizio, in qualche modo, positivo della riforma che questo Governo ha presentato, una riforma discussa, esaminata e modificata al Senato, attraverso un incontro della cultura riformistica del nostro Governo con il meglio della cultura riformistica del Partito Democratico. Credo che sia un fatto molto positivo.
Se questo è avvenuto al Senato, ho notato, invece - e durante il dibattito nelle Commissioni congiunte ne ho avuto conferma, ora vedremo se sarà così anche qui in Aula, o se sarà diverso - alla Camera una situazione diversa, un atteggiamento negativo da parte del gruppo del Partito Democratico, che, tra l'altro, è diviso su due posizioni contrapposte: vi è chi è contrario al provvedimento sulla base di posizioni che coincidono con quelle del sindacato della CGIL e, quindi, con riserve di natura conservatrice rispetto alle innovazioni portate dalla riforma, e chi, invece, critica il provvedimento e dà un giudizio negativo, perché sarebbe troppo timido nella direzione, invece, riformistica delle innovazioni che sarebbero necessarie per riformare la pubblica amministrazione.
Ripeto quanto ho detto nelle Commissioni congiunte: questo Paese ha bisogno di una posizione unitaria e di una capacità riformatrice del maggiore partito di opposizione anche qui alla Camera. Mi auguro che il Partito Democratico voglia portare un contributo volto a migliorare il testo nella direzione positiva.
Se questo avverrà, con una conseguente disponibilità ad assumersi delle responsabilità nel momento del voto, così come è avvenuto al Senato, mi auguro che il Governo dimostri piena disponibilità ad accogliere modifiche che vadano a migliorare ulteriormente il testo del provvedimento, che comunque è già stato migliorato nelle Commissioni qui alla Camera (come sottolineerò io stesso). Qualora, invece, non ci si vorrà assumere tale responsabilità o si chiederanno modifiche in senso peggiorativo, credo che abbia fatto bene, già dal suo primo intervento nelle Commissioni, l'onorevole Cassola a sostenere che, evidentemente, è bene non modificare il testo in direzione negativa ed erigere una barriera per evitare di retrocedere anziché andare avanti. Mi auguro che si possa avviare un confronto positivo e che il Partito Democratico sappia assumersi una responsabilità positiva anche qui alla Camera, al pari di quanto è successo al Senato, perché sarebbe importante ottenere una riforma condivisa in questo campo fondamentale del nostro quadro istituzionale.
Venendo al merito del provvedimento e venendo, quindi, a svolgere qualche considerazione e riflessione sulle cause dell'insuccesso delle riforme passate, credo che non si possano pronunciare migliori parole se non ripetendo quanto affermato dal senatore Ichino durante il suo intervento al Senato. Egli ha dichiarato: «nell'affrontare il problema dell'efficienza e della produttività delle nostre amministrazioni pubbliche dobbiamo porci una domanda cruciale: che cosa è mancato nelle riforme Cassese e Bassanini degli anni Novanta? Abbiamo privatizzato il rapporto di lavoro, omologando l'organizzazione e la struttura del rapporto di impiego pubblico a quelli delle aziende private,Pag. 27 ma non abbiamo introdotto nel settore pubblico, perché non era possibile farlo in tutti i suoi comparti, quella grande «molla» che muove l'impresa privata e la costringe all'efficienza: la «molla» del mercato. Quando la struttura produttiva opera nel mercato, la sua inefficienza è punita da un'opzione che è data ai suoi interlocutori, ai suoi clienti e agli utenti, quella che Albert Hirschman chiama l'opzione exit, cioè la possibilità di andarsene con i propri piedi. Ma lo stesso Hirschman ci avverte che, laddove non è possibile dare all'utente e all'interlocutore della grande organizzazione l'opzione exit, è indispensabile che gli si dia almeno l'opzione voice, cioè la facoltà di protestare, interloquire e interferire con le decisioni dell'amministrazione, dell'organizzazione, dell'azienda in relazione ai suoi difetti».
Condivido pienamente questa valutazione che ha portato il Partito Democratico al Senato a proporre una serie di modifiche in questa direzione che poi sono state accolte nel testo che è giunto in questa Camera. Da parte mia, oltre a condividere le affermazioni del senatore Ichino, credo di fornire un ulteriore contributo citando Von Mises dal suo libro sulla burocrazia. Egli sosteneva che: «È un'illusione diffusa che l'efficienza degli uffici governativi possa essere migliorata da esperti di management e dai loro metodi di gestione scientifica. Come qualsiasi tipo di progettazione, anche la progettazione manageriale è condizionata dalla disponibilità di un metodo di calcolo. Questo metodo esiste nell'impresa che cerca il profitto: qui il calcolo dei profitti e delle perdite è sovrano. Il problema della gestione burocratica è precisamente la mancanza di un tale metodo di calcolo». Von Mises era molto pessimista, quasi nichilista sulle possibilità di riforma della burocrazia. Io forse lo sono un po' meno (spero di esserlo meno), sebbene un po' di pessimismo ce l'abbia anch'io, perché si tratta di un'impresa ardua e difficile, anche se ci stiamo incamminando verso una direzione molto positiva. Cosa voglio dire con queste citazioni? Non c'è dubbio che la pubblica amministrazione per sua stessa natura è un datore di lavoro debole nei confronti del sindacato.
Ecco perché occorre, nel rapporto tra le fonti del diritto, un significativo riequilibrio a favore della legge, allo scopo di introdurre meccanismi capaci di creare incentivi per i comportamenti virtuosi e disincentivi per quelli viziosi. Lo dico all'onorevole Lanzillotta e agli altri che su questo argomento sono intervenuti sia in Commissione sia qui, in Aula e che sono molto sensibili su questo aspetto. Desidero sottolineare al riguardo che sono già state introdotte, in sede di Commissioni riunite, delle significative novità, ulteriori e positive rispetto al testo che ci è giunto dal Senato. In particolare, è stato introdotto un nuovo articolo, che è ora l'articolo premissivo 01, il primo del testo che è al nostro esame, frutto proprio di un emendamento da me presentato, che il rappresentante del Governo ha accettato e di ciò sono molto grato. Ritengo sia un articolo molto significativo: si tratta di invertire quel criterio che fu introdotto nel nostro ordinamento nel 1993, quando si intendeva passare alla privatizzazione della pubblica amministrazione. Quella norma, che doveva essere transitoria, prevedeva che le disposizioni di legge potessero essere derogate dai contratti, salvo che la legge non lo vietasse esplicitamente. Tale criterio, che avrebbe dovuto essere applicato soltanto in quel periodo di transizione, è invece rimasto nell'ordinamento e ha prodotto risultati molto negativi anche per il nostro ordinamento democratico. Basti pensare, ad esempio, alla riforma della scuola voluta dal Ministro Moratti. Al di là del giudizio di merito che si può formulare, si tratta di una riforma realizzata dal Parlamento, che è stata vanificata in sede di contrattazione.
È una questione democratica, oltre che un problema di rapporti tra fonti del diritto, perché se si vuole modificare una riforma realizzata dal Parlamento occorre tornare in Parlamento e modificarla in quella sede. Pensare di vanificarla attraverso lo strumento contrattuale credo rappresenti, lo ripeto, un problema di democraziaPag. 28 che, in generale, vale per tutti, per qualunque Governo e per qualunque Parlamento. Credo, quindi, che avere invertito il criterio contenuto in questa norma e aver previsto che le norme di legge possano essere derogate dai contratti solo laddove la legge preveda la derogabilità, sia un fatto di grande importanza.
Sono stati apportati anche altri miglioramenti nel testo elaborato dalle Commissioni. Si tratta di modifiche relative all'articolo 2, volte a favorire i processi di mobilità all'interno della pubblica amministrazione nonché a ridurre il ricorso alle consulenze, alle collaborazioni e ai contratti di lavoro a termine.
Credo che nella stessa direzione di porre presidi nell'ambito della legge possano, forse, essere realizzati altri miglioramenti. Mi auguro che in questa direzione di riforma e di ulteriore miglioramento del testo voglia porsi il Partito Democratico e che a tali richieste sia disponibile. Ho riproposto soltanto alcuni, pochi, emendamenti che erano già stati discussi in Commissione perché in questa sede non possiamo presentare emendamenti che non siano stati già discussi: di essi, un emendamento tende ulteriormente a precisare la disposizione transitoria di cui all'articolo 1 (lo vedremo poi, quando ne discuteremo); un altro tende a precisare ulteriormente e a migliorare il testo della lettera a), comma 2, dell'articolo 2 (si tratta di un emendamento firmato anche dal collega Cazzola, sempre relativo a questo problema del rapporto tra legge e contratto); un altro è relativo alla contrattazione integrativa, per ricondurla alle sue finalità che sono, evidentemente, quella di favorire il merito e la virtuosità sia delle pubbliche amministrazioni sia dei dipendenti; un altro, relativo ai distacchi e alle incompatibilità, tende a garantire trasparenza nei rapporti tra pubblica amministrazione e sindacato e, tramite le incompatibilità previste per l'organismo di valutazione, ad evitare interferenze sindacali nei rapporti con l'organismo medesimo. Si tratta di questioni che, mi auguro, possano essere tutte recepite nel testo di legge o, eventualmente, se non vi sia spazio per ulteriori modifiche, quanto meno possano essere accolte come ordini giorno, allo scopo di indirizzare il Governo, nell'esercizio della delega, verso un cammino di tipo riformatore.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, termino il mio intervento. Questi sono soltanto, dicevo, alcuni aspetti del nostro provvedimento. Mi auguro che vi sia questa intenzione da parte dell'opposizione, di trovare questa direzione di marcia con un'assunzione, lo ripeto, di responsabilità che riguarda anche il voto del provvedimento, quantomeno con un'astensione, come è avvenuto al Senato. Credo che in questo quadro potrebbero, a mio avviso, essere apportati ulteriori miglioramenti al testo. Se, invece, questo non accadrà credo che sia bene mantenere quello che si è conquistato perché mi sembra, veramente, un risultato assolutamente molto positivo difenderlo, perché non possiamo certamente consentire che vi siano arretramenti rispetto alla qualità del provvedimento che è già, lo ripeto, fortemente innovativo e positivo al fine di dare efficienza alla nostra pubblica amministrazione (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Damiano. Ne ha facoltà.

CESARE DAMIANO. Signor Presidente, signor Ministro, colleghi, ringrazio l'onorevole Calderisi per l'attenzione che ci ha dedicato in questo suo intervento, quando si è riferito al fatto positivo della discussione avvenuta al Senato e insistito molto sulla diversa situazione che si è determinata in questa Camera. Ma credo che si tratti di aggiungere il fatto che da parte della maggioranza vi è stata, fin dall'inizio, quasi una pretesa di una replica in questa Camera, quasi un'idea di monocameralismo che, ovviamente, non è lecito immaginare. A parte questa pretesa, credo che vada anche qui sottolineato il fatto che ci siamo sforzati di dare un contributo migliorativo al provvedimento. Tuttavia, niente è perfetto né concluso e questo tentativo è stato sostanzialmente respinto, Pag. 29perché gli emendamenti che abbiamo presentato, quelli significativi, non sono stati presi in considerazione. Inoltre, nell'intervento dell'onorevole Calderisi vi è persino la pretesa di giudicare gli interventi migliorativi o peggiorativi come atto di disponibilità da parte della maggioranza, quasi a voler negare che le nostre proposte non vadano in una direzione che credo sia condivisa da tutti - da noi e dal Paese - ossia quella di una modernizzazione e di una maggiore efficienza della pubblica amministrazione.
In sostanza, credo che come valutazione generale questo Governo sembra procedere su temi delicati e di grande interesse per il Paese con l'approccio tipico di chi ritiene che il sistema dei contrappesi, la coesistenza di poteri indipendenti, del limite nell'azione di Governo e del riconoscimento dell'autonomia e dell'autodeterminazione delle parti e dei singoli siano tutti formalismi, forse inutili orpelli di un'epoca ormai superata.
Non vorremmo che si scambiasse il Governo per un consiglio di amministrazione in cui il Presidente dirama direttive, i Ministri diventano manager esecutivi, mentre il Parlamento viene relegato a mera sede di ratifica. Il Governo, anche in queste ore, sta producendo un contrasto istituzionale inedito e foriero di gravi conseguenze per la democrazia e la stabilità del Paese, in una fase in cui sarebbe, invece, necessaria - questo è un punto su cui mi permetto di insistere - la massima collaborazione delle forze politiche per affrontare la grave crisi economica che investe tutte le economie avanzate e, in particolar modo, l'Italia.
Pertanto, noi vediamo questo, mentre in campo sociale e nella disciplina del lavoro vengono purtroppo portati avanti continui attacchi all'autonomia delle parte e ai diritti soggettivi dei lavoratori. Inoltre, si annunciano provvedimenti che, come in questo caso, rimettono in capo alla politica e alla legislazione materie e ambiti che la dottrina più evoluta e una prassi consolidata hanno riconosciuto alla contrattazione.
Il tema fondamentale del disegno di legge è la riforma della disciplina del rapporto di lavoro e della contrattazione. Questo è il punto. Obiettivo dichiarato della proposta è quello di limitare fortemente l'area di estensione della contrattazione collettiva a vantaggio dell'area legislativa.
Mi domando poi, onorevole Calderisi, se questo impianto sia stato ulteriormente aggravato dall'approvazione nelle Commissioni di un suo emendamento che ha aggiunto un ulteriore articolo al provvedimento che restringe ancor di più l'area di competenza della contrattazione. È nota al riguardo la volontà del ministro Brunetta, che ha esternato in più occasioni, di voler appunto limitare fortemente il ruolo delle organizzazioni sindacali e non in modo astratto e velleitario, ma in quanto si attribuisce la responsabilità dell'inefficienza della pubblica amministrazione al ruolo svolto dalla contrattazione e segnatamente dalle organizzazioni sindacali stesse. È una filosofia che mi permetto di non condividere. Se l'obiettivo è quello di equiparare il pubblico al privato, allora dobbiamo pensare che anche nel settore privato l'obiettivo sarà quello di ridurre il sistema contrattuale. Le disposizioni della delega sono estremamente generiche e il Parlamento dovrà vigilare sui contenuti dei decreti legislativi delegati.
Ancora una volta si introduce, all'articolo 1, comma 1, lettera g), il tentativo di territorializzare su base regionale l'accesso ai pubblici concorsi, un pericolo che avevamo già denunciato nel corso dell'esame dell'atto Camera 1441-quater, sui lavori usuranti. Sempre all'articolo 1, lettera h) si prevede il rafforzamento dell'indipendenza dell'Aran dalle organizzazioni sindacali.
Come si vede, le parole sono pietre; sono affermazioni che dicono qual è la lettura del Governo e questa indipendenza sarebbe rafforzata anche attraverso la revisione dei requisiti soggettivi e delle incompatibilità dei componenti dei relativi organi, con particolare riferimento ai periodi antecedenti e successivi allo svolgimento dell'incarico di cui peraltro non si Pag. 30specifica la durata temporale. Sull'indipendenza siamo d'accordo, però il rafforzamento dell'indipendenza dalle organizzazioni sindacali riguarderebbe anche il personale dell'Agenzia. Si tratta di una incompatibilità eccessiva, che forse sfiora l'incostituzionalità.
L'articolo 2 detta specifici principi e criteri direttivi per l'esercizio della delega di cui all'articolo 1. Tra i punti cruciali il comma 2, lettera a) ridisegna gli ambiti della disciplina del rapporto di lavoro riservati rispettivamente alla contrattazione collettiva e alla legge del tutto a vantaggio di quest'ultima. Tutto ciò allo scopo di ridimensionare il ruolo del sindacato e della contrattazione.
In questo quadro, la formulazione che prevede la riserva alla contrattazione della sola determinazione dei diritti delle obbligazioni direttamente pertinenti ai rapporti di lavoro è assolutamente ambigua e limitativa dell'attuale assetto della disciplina del rapporto di lavoro, in base al quale i rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni sono disciplinati dalle disposizioni del capo primo, titolo II, libro V, del codice civile (articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001).
In sostanza, si può affermare che con la delega il sistema della contrattazione torna a collocarsi tra la legge quadro sul pubblico impiego - articoli 2 e 3 relativamente al rapporto tra legge e contratto - e il decreto legislativo n. 29 del 1993 nella sua prima versione. A questo vanno aggiunti i recenti interventi del Governo, da ultimo la legge finanziaria per l'anno 2009 - articolo 2, comma 35 - che sancisce la residualità del contratto collettivo e la possibilità per il datore di lavoro pubblico di distribuire delle risorse presenti nella finanziaria per il rinnovo dei contratti pubblici salvo conguaglio all'atto della stipulazione dei contratti collettivi.
Nel recente accordo quadro, che non vede la firma di tutte le organizzazioni sindacali, si rimanda il recupero dello scostamento tra inflazione previsionale e inflazione effettiva addirittura al triennio successivo, sancendo in questo modo una disparità di livello di contrattazione tra il settore pubblico e il settore privato. Il nostro intendimento è comunque quello di determinare all'interno della pubblica amministrazione dei criteri di trasparenza, valutazione del personale, efficienza, coinvolgimento della dirigenza e delle organizzazioni sindacali, ma l'organismo centrale, così come predisposto dal provvedimento in esame, non può trovare la nostra adesione.
Si prevede che le nomine, veniva già ricordato, avvengano esclusivamente su indicazione del Governo e questo limita qualsiasi reale autonomia dell'organo stesso. Non sono coinvolte le regioni, né alcun altro organo istituzionale.
Non sono le associazioni di utenti e consumatori. Si tratta di un organo deciso dal Governo. Le nomine vengono effettuate su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. L'organismo opera in collaborazione col Ministro dell'economia e delle finanze. Quale margine di autonomia può avere in questa situazione? I principi di delega sull'organismo richiamato non specificano, inoltre, alcun criterio di competenza circa l'individuazione dei comportamenti e, dunque, questo lascia il Governo libero di nominare persone anche prive di alcuna competenza specifica.
Eccessive poi, a nostro parere, erano le risorse inizialmente stanziate. Infatti, si trattava di 4 milioni di euro nel 2009, che passano a 8 milioni nel 2010 e che la stessa Commissione bilancio della Camera ha indotto a modificare.
Da segnalare, poi, la norma prevista dall'articolo 6, comma 2, lettera d), sui medici: più che concorrere alla diminuzione delle assenze per malattia, si vuole trovare un responsabile che funga da capro espiatorio. L'ostilità già richiamata nei confronti dei sindacati si indirizza anche contro i medici, altra categoria sicuramente poco apprezzata.
Concludendo, non vorremmo confondere - questo è il punto dal quale noi partiamo - il giusto e condiviso obiettivo dell'innalzamento della produttività della Pag. 31pubblica amministrazione, con una scelta di ritorno alla legificazione e alla centralizzazione come soluzione ai problemi che sono alla base dell'inefficienza del lavoro pubblico. Secondo noi questo è l'errore di ottica e di valutazione.
Quindi, la nostra disponibilità al confronto di merito in Commissione è stata gravemente compromessa dall'atteggiamento da voi tenuto. L'abbandono della Commissione da parte della nostra delegazione non è stato né un atto assolutamente gratuito né estetico...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

CESARE DAMIANO. ...ma è stata la consapevolezza che, nel corso del confronto, non c'è stato lo spazio per arrivare a quei miglioramenti che avremmo auspicato, perché - questa è l'oggettività della situazione - avete ricusato la sostanza dei nostri emendamenti migliorativi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Delfino. Ne ha facoltà.

TERESIO DELFINO. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli relatori, onorevoli colleghi, partecipiamo con grande attenzione a questo dibattito. Fin dalla nostra posizione molto critica assunta al Senato, abbiamo manifestato una serie di critiche rilevanti sul provvedimento. Tuttavia - lei lo sa, signor Ministro - in questi otto-nove mesi di Governo, noi abbiamo più volte detto in questa sede che condividiamo pienamente l'esigenza di modernizzazione della pubblica amministrazione e avevamo anche espresso sul piano industriale della pubblica amministrazione (redatto dal Ministro e rappresentato in sede di audizione) una disponibilità ad un confronto vero e forte.
Riteniamo che, al di là delle posizioni positive che ci sono in tante realtà amministrative e in tante migliaia di lavoratori, ci sia comunque un quadro necessario di ammodernamento sul quale andare avanti. Quindi, prendiamo molto sul serio questo confronto. Abbiamo sentito il collega Calderisi ipotizzare in quest'Aula quasi una pretesa bipartitica, quasi che il miglioramento dei provvedimenti spettasse solo al Popolo della Libertà o al Partito Democratico. Noi rivendichiamo la nostra autonomia, la nostra tradizione, la nostra attenzione nei confronti di questo tema, che è essenziale per lo sviluppo del Paese, ma anche per una migliore amministrazione che si rapporti con i cittadini. Quindi, su questo aspetto non rinunciamo a incalzare il Governo per migliorare il provvedimento.
Non abbiamo posizioni pregiudizialmente negative, anzi dopo il passaggio al Senato questo provvedimento contiene certamente un insieme di innovazioni sulle quali possiamo convenire. Noi riteniamo che il recupero di efficienza degli uffici e del personale con la meritocrazia, quindi con la valutazione del merito, sia un dato positivo; riteniamo che ci debba essere più chiarezza sul tema della contrattazione collettiva; riteniamo che l'autonomia e la responsabilità dei dirigenti siano un dato sul quale andare avanti; riteniamo che indubbiamente anche il tema delle sanzioni disciplinari e dell'effettività delle procedure abbia forti margini di miglioramento. Pertanto, questo testo affronta una serie di questioni sulle quali intendiamo non essere assenti, ma far sentire la nostra voce e la nostra opinione.
Noi condividiamo quindi queste finalità positive, questi principi - come ha già detto bene, e non voglio ripetere, il collega Tassone - e ci esercitiamo non da oggi. Anche lui come altri colleghi ha richiamato il lungo cammino di riforme, di modifiche, di tentativi più o meno riusciti per arrivare alla possibilità di avere un'amministrazione - vorrei dire un'alta amministrazione - efficace ed efficiente nell'erogazione dei servizi.
Detto questo però, con molta franchezza non ci sembra comprensibile né coerente una volontà di procedere ad una nuova ripartizione fra materie riservate alla competenza regolatoria della legge e a quella della contrattazione collettiva. Ci dobbiamo capire: il decreto legislativo Pag. 32n. 165 del 2001 fin dalla sua emanazione (chi era in Parlamento ricorda molto bene il dibattito) venne visto come un punto di svolta, come un nuovo e reale testo unico per la materia legislativa in tema di lavoro pubblico. Ora, su questo decreto legislativo c'era un approccio organico di tutti i temi e dell'articolazione delle materie che dovevano afferire alla contrattazione collettiva e delle materie che dovevano essere regolate dalla legge.
Nel corso delle riunioni tenute nelle Commissioni abbiamo proposto degli emendamenti, partendo da quella base, che dessero un più efficace sviluppo della linea prevista dal decreto legislativo n. 165 e che tenessero anche conto della recentissima sottoscrizione della riforma del sistema contrattuale. Credo infatti che una riforma del sistema contrattuale, così come sottoscritta dalle parti sociali e dal Governo, abbia l'esigenza di tradursi in un atto legislativo, in una delega al Governo che sia complessivamente coerente.
Dunque su questo punto insistiamo: nel nostro pacchetto di emendamenti vi sono alcune proposte e speriamo che ci sia l'attenzione, in sede di Comitato dei diciotto e in sede di esame in Aula, per vedere riconosciuta questa nostra iniziativa.
Molte materie che si vogliono riformare possono essere meglio regolate, secondo noi, attraverso lo strumento della contrattazione collettiva nazionale e decentrata.
Esso ha già dimostrato di essere adeguato per poter garantire quella flessibilità negli interventi che meglio si adatta alle diverse realtà della pubblica amministrazione italiana, pur nel rispetto di criteri e principi definiti dalla legge.
Il nostro timore è che, cercando di disciplinare tutto con la legge, si corra il rischio di ingessare inevitabilmente il sistema e di provocare un effetto esattamente contrario a quello che si dichiara di voler perseguire. Ciò vale in particolare per la dirigenza e per la necessità di accrescere l'efficienza e l'efficacia delle prestazioni dei pubblici dipendenti.
A nostro giudizio, vi è un'altra contraddizione nel provvedimento, per la quale abbiamo già sviluppato una battaglia non tanto perché i ventiquattro mesi costituiscano un tempo lungo o lunghissimo, ma perché, da un lato, il Governo e la maggioranza dicono che occorre intervenire con assoluta determinazione, puntualità e urgenza, però, dall'altro, assumono di fatto una delega di ventiquattro mesi per poter intervenire con decreti delegati correttivi. Ritengo che sotto questo profilo una sperimentazione certamente sia necessaria, ma non vorrei che ci fosse un tempo che permettesse di assumere decreti delegati, che sono connotati da una certa rigidità e impostazione, per ottenere determinati risultati, e che poi si andasse a modificarli, con una posizione quindi molto strumentale. Abbiamo questo sospetto, non sappiamo se sia vero ma, come diceva un politico italiano, a pensar male si fa peccato, ma tante volte si indovina.
Un'altra questione che voglio sollevare è quella della migliore e maggiore efficacia e trasparenza delle amministrazioni pubbliche. Credo che ciò - ho espresso la mia condivisione del punto all'inizio di questo mio intervento - sia certamente nella responsabilità, nella definizione del ruolo della dirigenza pubblica, libera da giochi e condizionamenti politici, che sovente impediscono un'azione adeguata alla dirigenza stessa.
Riteniamo certamente che il nostro Paese abbia bisogno di dirigenti motivati, ben formati, con ampie possibilità decisionali e che rispondano dei risultati ottenuti nell'ambito di indicazioni di massima con i soli limiti della legge e dei contratti. Quindi, abbiamo guardato con qualche preoccupazione, signor Ministro, a una delega, che poi nelle Commissioni è stata stoppata e sulla quale lei stesso ha detto di voler riflettere, volta a sottoporre la valutazione del dirigente direttamente al sindaco o al capo dell'amministrazione.
Per quanto riguarda la dirigenza, la delega prevista nel provvedimento in materia di modifica della disciplina della dirigenza pubblica, a nostro avviso, presenta forti limiti. È molto dettagliata la parte che rafforza il ruolo del dirigente nella gestione delle risorse umane, prevedendoPag. 33 sanzioni e decurtazioni della retribuzione e dei risultati in mancanza di precisi adempimenti, mentre nulla viene detto sul suo compito strategico di gestione ed attuazione dell'azione amministrativa, sul necessario rafforzamento dell'indipendenza e dell'autonomia dalla politica e sul potere di gestione economico-finanziaria per il miglior raggiungimento dei compiti ad esso assegnati. Quindi, noi qui vediamo una carenza di indicazioni nella delega che, sotto questo aspetto, dovrebbe riconoscere il potere di indirizzo alle amministrazioni, una puntuale verifica su questo potere di indirizzo e direi anche la responsabilità del dirigente di attuare e di definire questi indirizzi in termini operativi.
Perplessità desta la norma che prefigura la realizzazione di un sistema di indicatori di produttività, di qualità e di rendimento del personale correlato al rendimento individuale e al risultato conseguito dalla struttura.
Riteniamo che tale previsione non solo sia in controtendenza rispetto a tutta l'evoluzione a livello internazionale, che distingue nettamente tra valutazione delle performance e valutazione personale, ma prefiguri, a nostro giudizio, un'impossibilità tecnica, dal momento che non esiste, almeno per quanto è a mia conoscenza, alcun sistema di indicatori in grado di rispondere ai predetti requisiti. Quindi, su questo tema, è necessario approfondire e arrivare a modifiche che garantiscano il raggiungimento dell'obiettivo che il disegno di legge si propone.
In merito ad un'altra questione, concernente le sanzioni per i dipendenti pubblici, le innovazioni proposte, anche secondo alcune audizioni di cui abbiamo letto i resoconti, risultano ridondanti, perché già ampiamente e da tempo previste ed operative, e sono lesive dell'autonomia contrattuale. Il settore pubblico già prevede norme anche più cogenti rispetto al rapporto di lavoro privato, quindi prevedere, come fa l'articolo 1, l'inserimento di disposizioni inderogabili nel contratto collettivo è inaccettabile. A noi pare, come altri hanno rilevato, che, se vogliamo percorrere la strada dell'armonizzazione tra la normativa del lavoro pubblico e quella del lavoro privato e aumentare la flessibilità contrattuale, nell'ambito di alcuni forti indirizzi, sia assolutamente condivisibile, ma escludere, oggi e per domani, tutta una serie di materie dalla contrattazione, ci porta a dire che l'area del pubblico impiego è quindi un'area assolutamente peculiare. Dunque, dobbiamo chiarire questa prospettiva di armonizzazione e di omogeneizzazione tra lavoro pubblico e privato. Sentivo prima un collega che esaltava tutta una serie di meccanismi di mercato che si dovrebbero introdurre nella pubblica amministrazione, quando poi questi meccanismi del mercato troverebbero il datore pubblico, la molteplicità dei datori pubblici, nell'impossibilità di applicare certe misure, perché certe aree, per alcune materie, non possono essere inderogabilmente (principio rinforzato ulteriormente dall'emendamento Calderisi, approvato in Commissione) oggetto della contrattazione. Dunque, ci dobbiamo chiarire rispetto al percorso che in questa direzione intendiamo fare.
Vi sono due ultimi elementi che vorremmo richiamare. Uno riguarda il passo indietro - lo ha detto bene il collega Tassone...

PRESIDENTE. Onorevole Delfino, la prego di concludere.

TERESIO DELFINO. Signor Presidente, gli uffici mi hanno detto che avevo ventidue minuti ed ho parlato soltanto per quindici.

PRESIDENTE. Onorevole Delfino, il suo gruppo mi ha chiesto di segnalarle il passaggio dei quindici minuti. Il gruppo ha a sua disposizione altri sette minuti, quindi, se nessun altro è iscritto a parlare, può proseguire il suo intervento.

TERESIO DELFINO. Signor Presidente, poiché nessun altro deputato del mio gruppo deve parlare, la ringrazio.Pag. 34
Dunque, richiamando l'articolo sulla vicedirigenza, riteniamo che sia un passo indietro, perché contraddice una faticosa, ma secondo noi valida, maturazione che si era venuta a creare e a normare, per quanto riguarda l'esercizio di funzioni di elevata responsabilità e di compiti di direzione affidati ai quadri intermedi e ai funzionari vicedirigenti.
Riteniamo che su questo punto debba essere condotta un'azione coerente con quel lungo processo di cambiamento e che debba essere riconosciuto che l'attribuzione di incarichi e di una fascia retributiva più alta a personale non sempre in possesso dei requisiti culturali, così come già avvenuto in passato, debba essere superata. Quindi, occorre attuare la norma previgente, mentre l'articolo 7, così come introdotto, dovrebbe, a nostro parere, essere soppresso.
L'ultima questione, signor Ministro, riguarda un tema che il disegno di legge del Governo non prevedeva, ossia quello relativo alla Corte dei conti.
Conveniamo, come diceva il collega Tassone, sulla delicatezza e sulla complessità di questo organo di rilievo costituzionale e riteniamo, quindi, che sia più opportuna su tale questione una riflessione in altra sede da condurre attraverso un importante confronto e discussione su un provvedimento, e non possa entrare in questo disegno di legge delega, come è stato previsto.
Per cui, anche su questo, chiediamo un momento di confronto. Non so quanto il Governo abbia sollecitato l'introduzione al Senato di questa norma, però, stante l'arduo dibattito che essa ha suscitato e stante anche il risultato delle audizioni, che hanno fatto emergere moltissime criticità sulla norma, credo che non sarebbe disdicevole, anzi, rappresenterebbe una riflessione e un'indicazione da parte del Governo che condivideremmo pienamente, se si potesse superare la delega per l'articolo 9 sulla Corte dei conti, se si potesse stralciarlo e discuterne con maggiore attenzione in un'altra sede legislativa.
Concludendo, auspichiamo continui l'atteggiamento, che mi pare di aver riscontrato nelle parole dei relatori nell'ambito del confronto che abbiamo sviluppato nelle Commissioni, non preclusivo a miglioramenti, perché non abbiamo assolutamente - lo ribadisco, avviandomi a concludere - un approccio contrario a questo provvedimento.
Abbiamo un approccio critico, perché preoccupati che alcune norme non vadano nella direzione per cui vengono proposte, ma riescano, invece, in qualche misura, a complicare ancora di più il tema di un rapporto amicale tra pubblica amministrazione e cittadino-utente.
Se queste parole, in particolare dei relatori, corrispondono ad un atteggiamento della maggioranza e del Governo, auspichiamo che si possa sviluppare un confronto importante sulle proposte emendative e che su di esse si possano individuare dei punti e delle convergenze comuni, per arrivare ad una migliore definizione di questo importante provvedimento per i pubblici dipendenti, ma soprattutto per la modernizzazione del Paese (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Schirru. Ne ha facoltà.

AMALIA SCHIRRU. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è vero, i senatori del Partito Democratico al Senato hanno contribuito a modificare e migliorare il primo impianto del provvedimento presentato dal Governo.
Permane, però, nei parlamentari del gruppo del Partito Democratico, come evidenziato dai colleghi, una forma di insoddisfazione, oltre che per il modo in cui è stato condotto l'esame nelle Commissioni riunite, improntato più alla rapidità di approvazione che all'analisi e allo studio condiviso, anche e soprattutto per il metodo attraverso cui ci si approccia all'auspicato miglioramento dell'amministrazione.
Il testo avrebbe richiesto un maggiore confronto e riflessione, per evitare un ritorno ad un rigido e burocratico accentramento, che rischia di intaccare l'autonomiaPag. 35 degli enti pubblici, regioni, enti locali, già riconosciuta dalla Costituzione.
Non convince il ricorso continuo a nuove leggi per materie già regolate, e soprattutto ci pare pericoloso il volere assumere a tutti i costi un approccio ideologico verso la pubblica amministrazione come problema da risolvere e peso da sopportare, senza mai valorizzare il bagaglio di buone pratiche già presenti nel comparto pubblico. L'obiettivo di rafforzare la figura del datore di lavoro e della semplificazione delle procedure di contrattazione è condivisibile, ma può essere conseguito a nostro parere, anziché con la predisposizione di nuove leggi e minuzie di procedimenti, per esempio per le sanzioni disciplinari, oltre il dimensionamento dell'Aran, mediante l'applicazione di strumenti normativi già esistenti, come il decreto legislativo n. 165 del 2001, e della contrattazione collettiva, in particolare per le parti tese a responsabilizzare la classe dirigente, con un maggiore coinvolgimento delle organizzazioni sindacali e delle associazioni delle autonomie locali, che hanno, ripeto, potestà regolamentare statutaria.
Il quadro legislativo richiamato, piuttosto ampio, completo, sebbene non adeguatamente applicato, è certamente migliorabile, senza però sottovalutare le difficoltà applicative che si incontrano e che ancora incontrerà l'amministrazione statale, nel contesto di un'organizzazione amministrativa di personale profondamente diversa per competenze.
Il piano programmatico illustrato dal Ministro alle Commissioni competenti all'inizio della legislatura sembrava cogliere le diversità e le difficoltà concrete, e sembrava orientarsi verso la direzione dell'innovazione e semplificazione di nuovi sistemi di gestione, di servizi informativi, per rendere più spedite le procedure della contrattazione collettiva integrativa, il rispetto dei termini per la loro sottoscrizione, e garantire con criteri oggettivi gli incentivi sulla base del merito, nel rispetto dei poteri regolamentari dei diversi soggetti istituzionali. Oggi però leggiamo una nuova versione, che pare svelare in pieno il vero obiettivo del Governo, che è quello di irrigidire la gestione dei rapporti di lavoro; e lo dimostra in particolare il «no» posto ad uno degli emendamenti presentati dal Partito Democratico, che tendeva ad una valorizzazione della contrattazione collettiva e ad una reale responsabilizzazione della dirigenza.
Con il provvedimento in discussione si delega al Governo, senza definire chiaramente e dettagliatamente direzioni e obiettivi né sulla valutazione né sul merito. Si vuole l'abbandono, a mio parere, di quei progressi compiuti con la privatizzazione del pubblico impiego, e si minaccia di provocare, attraverso la legificazione di molti degli aspetti lasciati oggi alla contrattazione, situazioni poco trasparenti, che possono anche trovare sponde accondiscendenti nella politica, sempre più oggi impossibilitata a svolgere da sola un'azione di controllo e di indirizzo per l'organizzazione degli uffici e servizi da offrire al cittadino. Invece, è necessario favorire una contrattazione responsabile e trasparente, libera, tesa a trovare soluzioni, più efficiente nell'ambito dei tetti di spesa prefissati, ed il cui rispetto sia certificato dalla Corte dei conti, che, come organo di autogoverno - lo ricordo -, non deve essere certo riformata attraverso una legge delega come quella oggi in esame, come si prevede all'articolo 9: data la sua rilevanza costituzionale, è più opportuno che sia oggetto di una riflessione separata e più approfondita.
Con il provvedimento in esame rischiamo di frustrare ulteriormente il valore attuale del quadro normativo, ledendo gli interessi di un soggetto di diritto finora riconosciuto alle associazioni sindacali, che svolgono da sempre un importante ruolo nel pubblico impiego e nello sviluppo dell'organizzazione dell'attività della pubblica amministrazione. A partire dagli anni Novanta, i provvedimenti tesi alla cosiddetta privatizzazione del pubblico impiego ne hanno da tempo già fatto perdere la sua specialità e diversità - così come vuole oggi il testo che ci propone - rispetto al settore privato, impegnando le pubbliche amministrazioni nella gestione Pag. 36dei diversi rami dell'organizzazione degli uffici con capacità e poteri del privato. Oggi si vogliono quindi introdurre altri poteri, come quello disciplinare, con la relativa adeguata sanzione, secondo le procedure del codice civile, anziché quella scritta dai contratti collettivi e nei regolamenti disciplinari propri dell'amministrazione.
Se questi poteri servono all'esatto adempimento della prestazione dovuta, penso si possa raggiungere lo stesso risultato - ripeto - responsabilizzando le parti attraverso un accordo con le organizzazioni sindacali per formalizzare le norme regolamentari, le procedure ed inserire tutti quei contenuti e modifiche nel contratto collettivo nazionale e nella contrattazione integrativa. Occorreva inoltre precisare gli ambiti della disciplina riservati alla legge e agli atti di organizzazione rispetto a quelli demandati all'autonoma determinazione dei dirigenti e alla contrattazione collettiva.
Nel dibattito presso le Commissioni abbiamo più volte tentato in tutti i modi di esplicitare l'esigenza di chiarire e definire gli ambiti di intervento, ma ci è stato impedito. Abbiamo evidenziato il bisogno di norme specifiche per evitare il crearsi di un conflitto di interessi tra la posizione dell'alta dirigenza, chiamata a svolgere sia le funzioni di datore di lavoro pubblico che di parte in causa nella contrattazione, riguardo alla propria posizione lavorativa, e sarebbero occorse norme di tutela giurisdizionale per il personale dirigente e per le amministrazioni che devono predisporre in via preventiva gli obiettivi annuali ed introdurre modalità per verificare se gli obiettivi dati siano stati effettivamente raggiunti.
Ma è evidente che il Governo si ispira ad altri criteri, incompatibili con le norme che finora hanno regolato il rapporto di lavoro nel pubblico impiego. Questi criteri, del tutto strumentali, vanno verso una riduzione ed un ridimensionamento della funzione della partecipazione, altrimenti come interpretare il cosiddetto rafforzamento dell'indipendenza dell'Aran dalle organizzazioni sindacali?
Riteniamo inoltre sbagliato scaricare la responsabilità amministrativa, penale, pecuniaria (addirittura, risarcitoria) sul personale dirigente, senza che vengano messi a regime nuovi sistemi di gestione del personale e di gestione dei processi amministrativi sia per l'amministrazione statale, sia per quella locale.
A proposito di trasparenza, penso che al cittadino non interessi sapere quanto guadagna il personale o quale sia la specifica produttività oraria, ma avere servizi che funzionano, che trovano soluzione ai problemi, che diano certezza dei tempi e che possano verificare il progresso dell'iter delle proprie pratiche.
Per questo scopo abbiamo chiesto con alcuni emendamenti l'abrogazione di quelle norme che tendono a limitare l'autonomia gestionale ed organizzativa del dirigente, ad attivare un procedimento disciplinare e l'applicazione di sanzioni che non si hanno neppure nel settore privato (come il recupero del danno erariale a carico del singolo, e non in capo alla responsabilità dell'amministrazione).
La valutazione è necessaria, ma non deve degenerare in azioni di controllo o giudizio aprioristico rivolto agli operatori per creare timori e sanzioni, bensì deve servire per riflettere sull'utilità del proprio lavoro e sull'efficacia degli interventi, per apportare modifiche al servizio e ottenere i risultati desiderati, così da favorire efficacemente la crescita professionale.

PRESIDENTE. Onorevole Schirru...

AMALIA SCHIRRU. Posso concludere?

PRESIDENTE. Il suo gruppo ha 42 minuti ed ancora tre iscritti a parlare. Mi avete segnalato questo tempo ed io ve lo ricordo, poi vedete voi come intendete regolarvi; la mia è una pura segnalazione di cortesia, non un richiamo regolamentare.

AMALIA SCHIRRU. Essa va attuata secondo standard precisi sempre salvaguardando, però, la dignità del personale e del dipendente pubblico ed il diritto alla Pag. 37riservatezza, in specie di coloro per i quali, per disabilità, si rendano necessari criteri e strumenti diversificati, utili ad esplicitarne il rendimento (una valutazione giusta in modo che tutti lavorino, ma che solo chi è responsabile di inadempienze accertate venga sanzionato, distinguendo in questo il dipendente pubblico impossibilitato ad adempiere produttivamente ai propri compiti a causa di una cattiva organizzazione a monte). Perché vi sia una corretta valutazione deve necessariamente esserci trasparenza.
Infatti, siamo d'accordo sulla necessità di rendere il più possibile facile e aperto il rapporto tra pubblica amministrazione e cittadini, quindi occorre più innovazione tecnologica, e dobbiamo dare alle amministrazioni la possibilità di farsi conoscere, di rendersi visibili e trasparenti, davvero pubbliche, attraverso siti Internet, portali aggiornati, dove il cittadino possa orientarsi e informarsi grazie ad una comunicazione snella, rapida, chiara ed efficace. Solo così trasparenza e valutazione si trovano legate, la pubblica amministrazione quindi è valutabile, misurabile, interagendo proficuamente con il cittadino.
La valutazione del rendimento e del merito di cui - lo ripeto - condivido principi e criteri, servirà di conseguenza da buon metro per dispensare le indennità premio, da non corrispondersi - badate - in modo generalizzato e indifferenziato. Noi ci siamo preoccupati anche di garantire la trasparenza e la valutazione, però ci siamo chiesti: perché istituire all'interno dell'Aran un nuovo organismo centrale? Qual è il vero obiettivo finale? Come dovrebbe operare l'organismo, considerata la natura complessa ed articolata dell'organizzazione amministrativa, che varia - ripeto - considerevolmente a seconda del livello di Governo su cui si viene ad incidere?
Anche su questo il gruppo Partito Democratico ha proposto, con alcune proposte emendative, l'istituzione di un'autorità, però con una struttura tecnica di lavoro autonomo, che possa operare in collaborazione con l'Aran e altri soggetti per la valutazioni dei risultati e della qualità dell'azione delle amministrazioni pubbliche, con indipendenza di giudizio. Ad essa può essere affidata l'organizzazione di un archivio delle direttive per la connessione delle banche dati e delle modalità di svolgimento, coordinamento, e gestione delle attività informative delle amministrazioni pubbliche, con la necessità di definire regole comuni di garanzia per la tutela della riservatezza e della trasparenza che può limitare ancora il privato del cittadino.
Questo può essere il percorso di una riforma sana della pubblica amministrazione, sempre e in ogni caso comunque in sinergia con la via amministrativa contrattuale, fornendo precisi indirizzi, perché in tale direzione è sempre in raccordo con le organizzazioni sindacali che io credo siano fortemente interessate, come noi, al cambiamento, al miglioramento, alla trasparenza e alla giustizia sociale. Quindi, preoccupiamoci di affidare la certezza di prestazioni e di risorse finanziarie e umane individuando la strada per risolvere la questione del precariato - com'è stato qui richiamato - con la stabilizzazione del personale, per riuscire a organizzare quei servizi essenziali per i cittadini, da troppo tempo esternalizzati e offerti ancora come progetti obiettivi (penso a tutto il campo dei servizi sociali).
Eliminiamo, per esempio, quella norma che limita la permanenza in servizio dei dirigenti che hanno maturato quarant'anni di contributi assicurativi, che crea disparità tra le professioni e danni al sistema della previdenza pubblica. Garantiamo la validità dei concorsi pubblici delle graduatorie già in essere, dando la certezza del diritto di chi si è impegnato.
Per concludere, il provvedimento delega il Governo ad emanare disposizioni che prevedono un sistema di meccanismi rigorosi per l'esercizio dei controlli medici durante il periodo di assenza per malattia, con responsabilità disciplinari, licenziamento per il medico consenziente, o l'obbligo a carico del dipendente del risarcimento del danno patrimoniale. Non condividiamo - ripeto - questa impostazione di sospetto e denigratoria. Un fatto è Pag. 38richiamare alla responsabilità i dipendenti pubblici nell'esercizio delle proprie funzioni, altra cosa è dare sempre l'idea di una pubblica amministrazione dove vi sia solo disfunzione o corruzione. Riteniamo, invece, necessario esercitare il delicato compito e dovere del datore di lavoro, che è il giusto controllo, rivolgendosi anche per questo ai servizi ispettivi in essere, rafforzando, riorganizzando unificando e valorizzando il ruolo della medicina fiscale e legale delle aziende ASL o dell'INPS, per la verifica dello stato di salute del lavoratore. Ecco, solo così possiamo mettere fine a questa campagna sui falsi invalidi e sui malati, considerati sempre come fannulloni.
Non servono misure persecutorie nei confronti dei dipendenti come la penalizzazione economica. Ovviamente, vanno colpiti duramente tutti coloro che si assentano senza essere malati, come pure i medici che certificano il falso, ma quando la malattia è reale non si può penalizzare ulteriormente chi soffre. Per questi motivi continuiamo ad esprimere la nostra perplessità e non condivisione all'impianto complessivo del provvedimento finale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, vorrei iniziare questo intervento, che credibilmente sarà un po' più breve di quelli che mi hanno preceduto anche a causa di altri impegni relativi alla Conferenza dei presidenti di gruppo, con un ringraziamento al Ministro Brunetta perché se oggi siamo qui e possiamo discutere di pubblico impiego e di efficienza della pubblica amministrazione è perché il Ministro Brunetta, il Governo Berlusconi e la maggioranza hanno avuto un coraggio che, nella scorsa legislatura, la maggioranza di centrosinistra non ha avuto nel portare avanti una battaglia così forte. Parlare di pubblico impiego e di pubbliche amministrazioni, del loro buon funzionamento non è soltanto una scelta normativa di date, di tempi, di ricorsi o di tutto quanto attiene a questo genere di materia. Parlare di efficienza della pubblica amministrazione significa parlare dell'efficienza delle persone che nella pubblica amministrazione lavorano.
Per tale ragione un'analisi generale ci ha permesso di individuare alcuni aspetti, specie da parte di chi, come me, tiene dietro a questa materia da tempo e ha seguito nel corso della scorsa legislatura tutte le vicende legate al protocollo di intesa che Nicolais stilò con i sindacati per la vicenda «carsica» e permanente in Italia del rinnovo contrattuale del pubblico impiego. Ripeto che chi ha seguito da vicino questa vicenda ha formulato un'analisi di un quadro generale in cui qualcosa nel pubblico impiego, nei rapporti industriali del pubblico impiego, nella contrattazione del pubblico impiego non ha funzionato in tutti questi anni e continua a non funzionare.
Per tale ragione evidentemente da parte del Governo in questa sede e già al Senato in questa circostanza, in questo disegno di legge collegato, è stata fatta una scelta molto chiara: un'inversione di tendenza, un'inversione di rapporti, e finalmente cominciano a concretizzarsi quelle che fino a qualche anno fa sono state spesso parole vuote: meritocrazia, lotta al fannullismo, lotta all'assenteismo, già innescate da un semplice atteggiamento non tanto normativo quanto politico portato in campo dal Ministro Brunetta sin dall'inizio del suo mandato di Ministro della funzione pubblica come una volta si chiamava questo Ministero: Ministero della funzione pubblica, vale a dire della pubblica amministrazione. Riteniamo che sia la strada giusta nel corso dell'iter che questo provvedimento ha seguito nelle Commissioni.
Chi ha avuto modo di intervenire ha sottolineato alcune parti importanti e vi sono stati interventi anche normativi - lo sottolineava il collega Calderisi - su alcune parti sostanziali che riguardano appunto il rapporto tra contratto e norma in relazione alla derogabilità della norma da parte dei contratti nazionali. Riteniamo Pag. 39che sia semplicemente qualcosa di molto chiaro, che i cittadini capiscono bene: nel pubblico impiego fare una grande rivoluzione significa fare ciò che in tutti i Paesi normali, civili, democratici è giusto, normale e corretto fare, cioè riuscire a pagare di più coloro che lavorano di più e riuscire a pagare di meno coloro che lavorano di meno. Riuscire a poter licenziare chi si comporta male, con danno nel sistema pubblico, e chi a lavorare non ci va assolutamente in maniera sistematica. Non è né più né meno che questo lo spirito di fondo che sottintende a questa norma. È uno spirito che solo in un Paese come l'Italia viene considerato rivoluzionario e che solo in un Paese come l'Italia trova di fronte a sé resistenze forti, in larga parte sindacali, di forze conservatrici che stanno perdendo il senso di questa sfida.
La riforma della pubblica amministrazione deve essere - lo abbiamo proposto molte volte nel corso della scorsa legislatura e lo rilanciamo in questa legislatura - un terreno di confronto fondamentale tra maggioranza e opposizione. Sulla riforma della pubblica amministrazione e sull'efficienza della pubblica amministrazione si gioca una partita fondamentale per il welfare, per la stessa vita democratica del Paese e per il sostegno ai più deboli.
Sappiamo che la pubblica amministrazione è un servizio che deve corrispondere efficienza ai cittadini e deve dare garanzie. I cittadini pagano le tasse e hanno diritto di ricevere in cambio servizi puntuali, efficienti e certi. Quando la pubblica amministrazione - a fronte della quale i cittadini pagano tasse, molte e in maniera anche abbastanza complessa - non corrisponde ai cittadini questi servizi, si interrompe il contratto sociale ed a maggior ragione i servizi della pubblica amministrazione devono essere certi ed efficaci per i cittadini che non possono permettersi di comprare questi servizi in forma privata e dietro compenso altrove, perché sono proprio i cittadini più deboli.
È per questo che la pubblica amministrazione è anche espressione di solidarietà nei confronti dei più deboli, è per questo che la pubblica amministrazione deve funzionare e per questo far funzionare la pubblica amministrazione non è solo una battaglia che, volendosi richiamare a vecchie categorie, è di centrodestra, ma è anche una battaglia di sinistra, è una battaglia di solidarietà. Per questo deve esserci un terreno di confronto importante sui punti che sono stati toccati e che vengono toccati dal provvedimento in esame.
Penso ad esempio all'indipendenza dell'Aran: alcuni di noi si sono domandati se per caso, visto come era stata gestita e vista la lunga odissea dei contratti nazionali, l'Aran non si fosse trasformata in uno degli altri e dei tanti enti inutili da inserire in qualche lista di proscrizione; penso al rafforzamento del ruolo del CNEL in attuazione alla Costituzione, alle sanzioni disciplinari, alla responsabilità dei dipendenti pubblici, alle norme in materia di dirigenza, al merito, alla premialità, alla mobilità - risposta, essa sì, al precariato - alla concorsualità. È una battaglia che abbiamo fatto in tanti, la citava prima il collega Paladini, la concorsualità del pubblico impiego, anche se una grossa parte - lo ricorda spesso qualcuno - nel settore della scuola non è legata alla concorsualità, ma alla battaglia per i vincitori di concorso, per gli idonei. Chi da sponde diverse in quest'Aula da tanti anni si occupa di tale battaglia, sa quanto sia importante ribadire questa norma nel provvedimento in esame, anche perché abbiamo 70 mila vincitori di concorsi e 70 mila idonei che sono stati abbandonati dallo Stato, dopo essere stati chiamati dallo Stato stesso a prepararsi ed a studiare, aver vinto un concorso ed essere stati inseriti in graduatoria.
La territorializzazione dei concorsi, la derogabilità dei contratti e via dicendo sono tanti elementi importanti e forti, che contraddistinguono una norma forte e rivoluzionaria che abbiamo il coraggio, la consapevolezza e la coscienza di sostenere in pieno.
Crediamo che la pubblica amministrazione debba essere qualcosa che funzioni e non un ammortizzatore sociale. Crediamo Pag. 40che far funzionare la pubblica amministrazione sia un dovere per tutti e crediamo a questo punto che, a differenza di coloro che hanno spesso imputato alla dirigenza la colpa di tutti i mali della pubblica amministrazione, forse la dirigenza sia uno degli strumenti per poter uscire da questa crisi e sia uno degli strumenti per poter responsabilizzare i dipendenti, a maggior ragione nel sistema pubblico, dove i poteri datoriali non vengono esercitati nella loro pienezza. Quindi, premialità e dirigenza significa investire sulla dirigenza, controllare i dirigenti per primi, ma dare ai dirigenti medesimi poteri datoriali, perché nella grande battaglia di tutto il sistema pubblico ciò che è venuto meno è stata la facoltà del sistema pubblico di esercitare i poteri datoriali nella pubblica amministrazione. Per questo lo faranno i dirigenti, per questo lo farà il Governo, da datore di lavoro e da controllore dei propri dipendenti, nei confronti di un servizio che va reso, nei confronti di coloro che pagano le tasse e che sono i nostri principali datori di lavoro, cioè i cittadini.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Madia. Ne ha facoltà.

MARIA ANNA MADIA. Signor Presidente, è dagli anni Ottanta - perché i risultati della cosiddetta commissione Giannini sono del 1979 - che in Italia si parla della riforma della pubblica amministrazione. Questo tema, al pari delle riforme istituzionali, è qualcosa di cui tutti sentono l'esigenza, ma che non è mai riuscito ad arrivare a compimento.
Oggi, gran parte delle forze politiche - quasi tutte, se non tutte - chiedono il completamento delle riforme già avviate in precedenza: penso alle riforme dell'inizio degli anni Novanta e alle riforme dei Governi di centrosinistra. Credo che sia innegabile che, in quel decennio, vi sia stata un'importante e positiva trasformazione, se non altro una prima applicazione di principi positivi dai quali non possiamo tornare indietro. Mi riferisco alla privatizzazione del pubblico impiego del 1993 e, poi, con le cosiddette leggi Bassanini, ai principi della delegificazione, anche nella materia dell'organizzazione del lavoro pubblico e della separazione tra politica e amministrazione.
Oggi ci troviamo qui a discutere di riforma della pubblica amministrazione e credo che, nell'auspicare questa riforma, ci troviamo con un patrimonio condiviso ed importante, che è rappresentato dagli obiettivi ai quali dobbiamo tendere. Non starò qui ad elencarli tutti. Mi basta ricordare la maggiore efficienza, la produttività, la responsabilità dei dirigenti, la premialità del merito, la vicinanza ai cittadini, tutti obiettivi che, tanto la maggioranza quanto l'opposizione, vogliono raggiungere nell'auspicare questa riforma.
È anche chiaro, che oggi la riforma della pubblica amministrazione va di pari passo con una crisi economica e sociale e, però - qui, forse, vi è una differenza tra noi del Partito Democratico ed il Governo - con la necessità, a parere del Governo, di diminuire e razionalizzare gli impegni finanziari dello Stato come un'urgenza. Noi pensiamo che, invece, i principali difetti di questo provvedimento siano proprio la fretta, la frenesia e - mi perdonerà il Ministro - la volontà arrabbiata - perché questo arriva a noi del Partito Democratico da parte sua - di concludere in fretta e a tutti costi una riforma, senza ascoltare profondamente il Paese, ma solo in superficie, e senza ascoltare profondamente il Parlamento.
Con riferimento alla riforma della pubblica amministrazione, sono giovane, non sono un'esperta di questo tema, ma basta cimentarsi per poco tempo e leggere un provvedimento come questo, per rendersi conto di quanto sia un tema delicato e complesso e che, per quanto possano essere comuni e comprensibili i principi verso cui tutti - e ribadisco tutti, signor Ministro - tendiamo (efficienza, merito, responsabilità: credo che queste siano parole che oggi, in quest'Aula, sono state pronunciate da tutti i banchi e da tutte le forze politiche), sono altrettanto complicati i mezzi da adottare per prevenire a tali principi. Pag. 41
Pertanto, credo che fare in fretta ci metta davanti ad un doppio rischio e sono contenta che oggi, signor Ministro, lei sia qui ad ascoltare questo dibattito. Nella migliore delle ipotesi, il rischio è che questo provvedimento così frettoloso non incida sostanzialmente nelle dinamiche della pubblica amministrazione. Questo nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore delle ipotesi, invece, il rischio è che generi ulteriore confusione, in una struttura già molto disorientata.
Signor Ministro, in sede di Commissioni riunite, quando tutte le proposte emendative del Partito Democratico, e non solo, hanno avuto parere negativo, lei ha commentato con la frase: «il meglio è nemico del bene». È una frase che, devo dirle, mi ha fatto riflettere, mi ha colpito e credo che abbia in sé tutto l'atteggiamento sbagliato e di chiusura del quale parlavo poc'anzi. Come se l'approvazione di questa riforma fosse un'emergenza, anzi, ancora peggio: come se questa riforma fosse già legge e l'iter parlamentare alla Camera, dopo quanto già avvenuto al Senato, fosse un fastidioso impedimento burocratico e non, invece, un'opportunità.
Vorrei rispondere proprio all'onorevole Calderisi, che chiedeva e auspicava un confronto positivo: da parte nostra c'è stata tutta la disponibilità a confrontarci in modo positivo e nel merito, ma è lei, signor Ministro, che ci ha risposto che il meglio è nemico del bene. Credo che il nostro parere negativo nasca innanzitutto proprio dalla rigidità estrema del Governo, che ha adottato una sorta di ostruzionismo, impedendoci qui alla Camera di contribuire a sanare alcune importanti criticità del disegno di legge in discussione. Tra queste vi è certamente il principio della rilegificazione che è alla base dell'articolo 2, sul riordino delle attribuzioni della legge e della contrattazione collettiva, perché noi crediamo che una fase in cui nei contratti del settore privato - proprio per tendere a efficienza e a produttività - vengono eliminate e derogate le rigidità sia molto rischioso, invece, introdurre nel settore pubblico un'impostazione dirigistica, con una prevalenza della legge sulla contrattazione. È chiaro, infatti, che la contrattazione non deve invadere gli ambiti della legge, ma non deve avvenire neanche il contrario. Che si tratti di rilegificazione del contratto dei lavoratori pubblici lo ha ammesso nelle Commissioni lo stesso collega Cazzola, della maggioranza, parlando proprio di questo provvedimento.
Signor Ministro, vorrei fare un'ultima considerazione. A noi sembra che rischi di tornare il primato, ahimè negativo, della politica sulla pubblica amministrazione. Su questo punto è già intervenuto nelle Commissioni riunite il collega Santagata; trovo molto pericoloso l'atteggiamento possibilista del Governo sulla proposta emendativa 3.7 della Lega Nord, ovvero sul fatto che siano i vertici politici locali, i sindaci, i presidenti di provincia e di regione ad essere responsabili della valutazione dei propri dirigenti. È un'impostazione preoccupante, che delinea una visione patrimoniale della pubblica amministrazione con un politico czar che decide della vita o della morte e che decide di far progredire o arretrare, magari - questo ci viene da pensare - secondo la sua convenienza politica; tutto questo sarebbe, è inquietante.
Lo stesso può dirsi circa la parte che riguarda la magistratura contabile: non starò qui a dilungarmi, lo ha già fatto il collega Zaccaria, entrando nel merito dell'articolo riferito alla Corte dei conti, un articolo che rischia - e non lo diciamo solo noi del Partito Democratico, lo hanno sostenuto anche molti esperti apolitici - di ledere indipendenza ed efficienza della magistratura contabile.
Insomma, signor Ministro, concludo proprio rivolgendomi a lei: a noi questo provvedimento sembra una grande e bella occasione ma, purtroppo, una grande e bella occasione sprecata (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Santagata. Ne ha facoltà.

GIULIO SANTAGATA. Signor Presidente, signori colleghi, in questi mesi tutti ci siamo ripetuti più volte l'idea che ciò Pag. 42che davvero manca alla pubblica amministrazione, per farla funzionare, è il datore di lavoro. Mi sembra questo il centro da cui è partito il Ministro Brunetta e da cui eravamo partiti anche noi durante il precedente Governo, nei nostri tentativi - mai giunti a conclusione - di intervenire su un terreno così difficile come la riorganizzazione della pubblica amministrazione.
Condivido l'idea che questo sia il punto centrale; non condivido, invece, l'idea che aleggia in questa delega - da sola, non accompagnata da altro - che per datore di lavoro si debba intendere forzatamente la controparte, cioè la capacità dello Stato di essere controparte dei propri dipendenti e collaboratori; l'idea, cioè, per cui lo Stato debba comportarsi - si potrebbe dire in una parola - come il «padrone».
Mi chiedo se, oggi, a determinare l'efficienza, la competitività e il successo nella cultura più moderna delle organizzazioni, nelle nostre imprese (comprese le nostre piccole e medie imprese), sia la forza del comando espressa dal padrone o il livello di conflitto tra le parti - che piacerebbe anche a parti politiche dell'estrema sinistra, che lo hanno predicato in questi banchi nella scorsa legislatura - o se a definire questo successo non sia piuttosto la capacità dell'imprenditore di elaborare strategie e innovazione e di valorizzare tutte le risorse dell'impresa, a partire dal capitale umano.
Allora, manca - non è per benaltrismo o perché cerchiamo sempre il meglio a discapito del bene, signor Ministro - a mio avviso, in questa delega, l'unica scelta possibile per definire il ruolo di datore di lavoro, che non è quella che leggiamo in questi articoli. Andava rafforzata - può ancora, io mi auguro, essere rafforzata - una visione dello Stato e dell'amministrazione in cui c'è una maggiore capacità di definire obiettivi strategici da parte della politica e di tradurli in obiettivi operativi, misurabili e trasparenti, assegnandoli alla struttura e chiedendo alla medesima di essere responsabile delle procedure e delle pratiche per metterli in atto.
Manca, ad esempio, un lavoro di collegamento con altre parti della riorganizzazione dell'amministrazione, che avevamo avviato e che, ritengo, debba essere portata avanti. Penso a una nuova modalità di costruire il bilancio e di legare maggiormente non solo le risorse umane, ma anche quelle finanziarie agli obiettivi; penso a una maggiore capacità di rendere leggibile l'azione della politica da parte dei nostri cittadini, il che è innanzitutto trasparenza ma è anche modalità di costruire proprio il bilancio dello Stato, collegando ad esso gli obiettivi e le risorse umane e professionali necessarie.
Non vedo questo sforzo, anzi, vedo il contrario. Si dice: noi vogliamo avvicinare ulteriormente il pubblico impiego alle modalità del privato. Si racconta che abbiamo le difficoltà di non aver un mercato ma ne vediamo le difficoltà in questi giorni. Credo ci sia, in tutto il mondo, uno sforzo per definire modalità di misurazione dell'output delle amministrazioni, ma il privato, ad esempio, in questi giorni, ci fa vedere uno sforzo molto forte, benché non condiviso da tutti nelle forme e nei modi, ma condiviso, comunque, negli obiettivi. C'è l'esigenza di una maggiore flessibilità e di una maggiore aderenza della contrattazione alle diverse situazioni aziendali e territoriali. Questo non può che significare anche un maggior coinvolgimento e un maggior ruolo attivo dei dipendenti in questa struttura e cioè nella strategia complessiva dell'impresa. Invece, con questa delega, tendiamo a fare il contrario: irrigidiamo e centralizziamo la contrattazione e c'è un tentativo di cercare nella legge la forza del comando che oggi diciamo essere insufficiente.
Non possiamo contemporaneamente togliere autonomia all'amministrazione e predicarne la responsabilità. Una responsabilità priva di autonomia è una responsabilità vuota e solamente formale, torniamo ad un formalismo.
Ho già avuto modo di dirlo al Ministro Brunetta che, tuttavia, non condivide questo punto. Lo sostengo non per fare accademia - mi creda, signor Ministro - ma perché siamo veramente interessati a trovare una soluzione che funzioni davvero e che faccia veramente migliorare la nostra Pag. 43amministrazione. Tuttavia, mi sembra che la visione che sta dietro a questo provvedimento, o almeno la parziale visione, riduca o abbia l'idea di poter ridurre la pubblica amministrazione ad una sorta di ultimo baluardo dell'organizzazione fordista. Infatti, la logica della valutazione, che in mancanza di una chiarezza di determinazione degli obiettivi, che spetta in primo luogo alla politica e che va, come dicevo, tradotta man mano a cascata in strumenti di misurazione di obiettivi misurabili, è una logica quantitativa e disciplinare, perché valutiamo non il raggiungimento di determinati output, ma le modalità e i tempi. Mi verrebbe da dire che i dirigenti, invece di essere chiamati a svolgere un ruolo, appunto, di maggiore corresponsabilità nel potere percorrere l'idea di un'amministrazione che, in un qualche modo, fa sistema e riesce a generare obiettivi condivisi, sono ridotti ad essere quelli che una volta, nella catena di montaggio, erano i quadri che prendevano i tempi. Non vi è, in questo disegno di legge di delega, sufficiente attenzione alla qualità del prodotto dell'amministrazione, al rapporto che deve esserci fra i risultati e le risorse messe a disposizione e, a quel punto, diventa difficile dare responsabilità e valutare obiettivi.
Ed è per questa strada - anche e non solo per la strada istituzionale cui faceva riferimento, ad esempio, il collega Zaccaria - che si rischia di far perdere autonomia all'amministrazione e si rischia che la politica torni a pretendere pesantemente di governare i processi, e non di fissare gli obiettivi che, invece, è il suo sacrosanto diritto e dovrebbe essere un dovere anche maggiormente perseguito, ma a governare i processi di formazione dell'output dell'amministrazione. È un percorso che ci porta indietro nel tempo e, a mio avviso, come ho già avuto modo di dire, gravido di rischi. Penso, ad esempio, alla potenzialità corruttiva di una perdita di responsabilità da parte della struttura, che può sempre, in ogni momento e al di là della forma, trincerarsi dietro la politica. Ma penso anche alla situazione inversa, cioè ad una politica che trova sempre giustificazione formale in una responsabilità dei dirigenti che, però, è priva e vuota di reale capacità operativa.
Comunque noi - lo ribadisco ancora una volta, poiché sono l'ultimo a prendere la parola per il gruppo del Partito Democratico - abbiamo affrontato l'esame di questo provvedimento con l'idea di poter concorrere a migliorarlo. Al Senato abbiamo fornito un contributo operativo e devo dare atto al Ministro Brunetta che, in quell'occasione, una parte delle nostre idee sono entrate nel disegno di legge delega. Paradossalmente, alla Camera quel confronto è rimasto vuoto e non abbiamo potuto continuare quell'operazione. Eppure, non siamo stati i soli a presentare emendamenti, ma anche altri gruppi e persino gruppi e colleghi della maggioranza hanno presentato emendamenti, non tutti da me condivisibili, ma che comunque segnalavano l'esigenza di continuare a migliorare un provvedimento così importante.
Le audizioni, pur nella ristrettezza dei tempi che abbiamo avuto, hanno segnalato problemi e, al contempo, vi sono stati accenti critici su alcuni temi. Temo che la muscolarità che leggo nelle norme di questo provvedimento abbia finito per riverberarsi anche sull'iter di approvazione e quest'ansia decisionista di consegnare al Paese un risultato rischia di essere - questo sì - meglio o peggio del bene, nemico del meglio o viceversa. In altre parole, rischiamo di dare maggior valore all'idea di andare in giro a sostenere che abbiamo risolto i problemi dell'amministrazione, piuttosto che varare una buona legge.
Dobbiamo ancora svolgere il dibattito in Aula e abbiamo ancora la possibilità di migliorare questo provvedimento. Abbiamo presentato emendamenti tutti volti in quel senso. Mi auguro che, alla fine dell'iter alla Camera, avremo potuto dare un contributo e, conseguentemente, giudicare il provvedimento in quel modo attraverso il nostro voto finale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

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PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cazzola. Ne ha facoltà.

GIULIANO CAZZOLA. Signor Presidente, ringrazio il Ministro Brunetta che ha voluto seguire i lavori del disegno di legge n. 2031 sia in Commissione, sia in Aula, ed il dibattito e che è intervenuto più volte nella discussione. Essendo l'ultimo a parlare della maggioranza, credo sia mio dovere anche cercare di esprimere alcune valutazioni conclusive su questa prima fase di discussione alla Camera di un disegno di legge tanto importante.
La maggioranza, nella discussione del disegno di legge n. 2031, aveva un compito difficile e delicato, quello di salvaguardare nello stesso tempo il profilo di una riforma importante, su cui il Governo e il Ministro Brunetta avevano investito molto impegno, e nello stesso tempo quello di mantenere, e se possibile allargare, la base di consenso o almeno di non dissenso riscontrata nel lavoro e nel voto del Senato.
Perché ambedue le esigenze trovassero una risposta positiva, la maggioranza aveva davanti a sé una via da percorrere - e credo che l'abbia fatto abbastanza bene e che continuerà a farlo perché su questa via, tra l'altro, è incoraggiata dal Governo e dal Ministro Brunetta -, ossia di non arroccarsi in una difesa ad oltranza del testo del Senato, senza ascoltare le argomentazioni dell'opposizione, ma di aprirsi al dialogo e al confronto lungo una linea di evoluzione positiva del testo approvato dal Senato.
In caso contrario, non solo sarebbe risultato svilito il ruolo della Camera, ma avremmo anche perduto un'occasione per migliorare ulteriormente una riforma di grande importanza e prospettiva.
Ha ragione l'onorevole Santagata: il meglio infatti non è sempre nemico del bene, però sinceramente faccio fatica a vedere una muscolarità della maggioranza nella discussione di questo provvedimento. Infatti, alla maggioranza deve essere riconosciuto il fatto che poteva avvalersi (o essere tentata di farlo) non solo di un voto al Senato che aveva riscontrato, nei limiti di questa situazione politica e dell'attuale dibattito politico, una convergenza importante, ma anche di approfittarsi di tale convergenza, aprendo o cercando di aprire una contraddizione tra l'atteggiamento che una parte importante dell'opposizione ha avuto al Senato, su quel medesimo testo, rispetto alla posizione che il Partito Democratico, tanto per fare dei nomi, aveva avuto alla Camera.
La maggioranza poteva dire di avere una serie di dichiarazioni positive di illustri esponenti del Partito Democratico che hanno votato a favore o si sono astenuti. Ricordo, ad esempio, che importanti articoli del disegno di legge sono stati votati dal Partito Democratico al Senato. Non c'è stato solo il voto di astensione finale. Ho avuto anche la possibilità di citare, nel mio intervento in Commissione, importanti dichiarazioni nell'Assemblea del Senato e nel Paese da parte di illustri esponenti dell'opposizione.
La maggioranza alla Camera poteva avvalersi di questa contraddizione, ma non l'ha voluto fare, non l'ha fatto e ha fatto bene a non farlo. Infatti, il Governo ha scelto di raccogliere la sfida, non si è chiuso a riccio e, soprattutto, credo non sia intenzionato a farlo neanche nel prosieguo della discussione.
Siamo quindi in grado, signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, di trarre qualche considerazione sul lavoro delle Commissioni referenti. La linea del confronto, sollecitata anche dal Ministro Brunetta e portata avanti con sapienza dai relatori, ci consente di dire oggi che il testo arrivato in Aula è sicuramente migliore di quello consegnatoci dal Senato.
Credo che un grande contributo a migliorare il testo lo abbiano dato anche i pareri delle Commissioni e ciò potrà avvenire anche nel lavoro che abbiamo davanti. In particolare, credo che siano state positive le condizioni vincolanti poste dalla Commissione bilancio. Forse non è una consuetudine che un membro di una Commissione di merito renda un omaggio pubblico alla Commissione bilancio. Credo però che tale Commissione abbia fatto un buon lavoro soprattutto su due punti. Chi Pag. 45ha seguito i lavori sa a cosa mi riferisco. Per chi invece non si occupa del problema direttamente, ricordo in particolare la questione del finanziamento delle authority per la valutazione e quella che prevede una maggiore gradualità e flessibilità - insieme ad un'invarianza della spesa - per ricondurre la retribuzione di risultato al 30 cento di quella totale.
Che fare adesso? Dal momento che il provvedimento deve tornare al Senato, credo che sarebbe opportuno affrontare l'altro corno del problema, sul quale sono convinto che il Governo e il Ministro Brunetta siano sensibili. Il primo corno del problema - credo di averlo spiegato con questo intervento sommario - è stato indubbiamente quello di conservare la qualità del provvedimento uscito dal Senato, nella sua capacità di innovazione e di guardare al futuro di una pubblica amministrazione al servizio del Paese.
L'altro corno del problema si riferisce alla possibilità di mantenere (e se possibile allargare) la base di una convergenza parlamentare sul testo il disegno di legge e quindi difendere quell'operazione di consenso - o quanto meno di non dissenso - uscita dal Senato e probabilmente anche migliorarla nel dibattito alla Camera.
I termini da esplorare sono noti. A me pare di averne individuati soprattutto due. Il primo è quello del rapporto tra legge e contratto nella regolazione del rapporto di impiego. La maggioranza non pensa di rilegificare il rapporto di lavoro. Essa intende, però, ripristinare, attraverso l'attuazione concertata delle norme di delega (sottolineo l'aggettivo «concertata» per i tanti impegni tante volte assunti dal Ministro Brunetta di svolgere un ruolo di stretto collegamento con le Commissioni competenti al momento del varo dei decreti legislativi), un perimetro normativo all'interno del quale sviluppare la contrattazione collettiva. Per chi avesse dei dubbi rispetto all'intenzione del Governo di voler abolire la contrattazione collettiva o limitarne la capacità di flessibilità e innovazione sarebbe sufficiente leggere il comma 2 dell'articolo 2 per fugare ogni dubbio. Si tratta, infatti, di una norma molto chiara ed esplicita, che riconosce il diritto di contrattazione per tutte le obbligazioni e le questioni che riguardano il rapporto di lavoro.
Non siamo nostalgici di un modello di pubblico impiego devastato da leggine particolari, ma crediamo nello stesso tempo che - come avviene nel mondo del lavoro privato - la contrattazione debba misurarsi e muoversi partendo da punti fermi fissati dalla legge e attraverso di essa. Bisognerà pure, cari colleghi, porsi il problema del perché le riforme degli anni Novanta, assolutamente innovative sulla carta, non sono servite a rendere efficiente la pubblica amministrazione, nonostante la privatizzazione e l'eccessiva contrattualizzazione del rapporto di lavoro.
Infatti, se è indubbiamente vero che non può piacere - e non è senza dubbio un'esperienza ripetibile - quella di avere un Parlamento prigioniero delle lobby che legifica su settori particolari, credo che non possa nemmeno piacere una pubblica amministrazione completamente nelle mani delle organizzazioni sindacali, dove anche per spostare un usciere da un piano all'altro, ci si debba accingere a faticosi negoziati.
Voglio richiamare i colleghi dell'opposizione a rileggere - io lo faccio spesso perché credo ci sia una continuità tra quel Libro verde e l'azione del Ministro Brunetta - le indicazioni redatte a settembre del 2007 nel Libro verde sulla spesa pubblica del Ministro Tommaso Padoa-Schioppa, laddove si afferma che l'85 per cento del personale pubblico non ha mai fatto un passo in direzione della mobilità, neppure all'intero dello stesso Ministero. Voglio richiamare anche un protocollo stipulato con le organizzazioni sindacali che, proprio sul terreno della mobilità, venne smentito all'indomani della firma da parte delle organizzazioni sindacali stesse, laddove vi fu una controversia addirittura sull'esigenza che la mobilità fosse volontaria, anche a valle di un processo di contrattazione intervenuto nell'ambito provinciale. Se così stanno le cose, credo Pag. 46che con saggezza e con moderazione saremo in grado di capirci e anche di fare ulteriori passi in avanti.
L'altra questione è quella della Corte dei conti. A questo problema, di cui all'articolo 9, una risposta è stata data in sede di Commissioni riunite anche dal Ministro Brunetta, del quale ripeto soltanto le parole del suo ultimo intervento su questo punto (tra l'altro, nella sua sapienza nella conduzione dei lavori della Commissione, il presidente Bruno aveva addirittura considerato nell'ordine del giorno del Comitato dei diciotto l'esigenza di affrontare l'argomento con tutta la serietà e il dibattito del caso, tanto che il Comitato dei diciotto era convocato per un tempo necessario, proprio in ragione della delicatezza della disciplina delle questioni trattate nell'articolo 9). Il Governo non intende affatto depotenziare il ruolo della magistratura contabile nella sua funzione specifica di controllo dell'attività della pubblica amministrazione, ma intende valorizzarlo. Si potrà legittimamente dissentire dall'articolo 9, ma non possiamo non riconoscere che in esso nessuno dei poteri della Corte dei conti viene ridotto o modificato. Nell'articolo 9 non c'è l'intenzione del Governo di attutire la funzione della magistratura che vigila sulla correttezza della pubblica amministrazione. I cambiamenti attengono a problemi di governance e sono finalizzati a migliorare il lavoro e la funzione della Corte.
Sarà quindi sicuramente consentito ad una maggioranza che non si è chiusa a riccio e che è stata rispettosa delle prerogative della Camera rivolgere all'opposizione una domanda, una domanda specifica su questa vicenda della Corte dei conti tanto delicata e tanto sottolineata: è possibile che al Senato non si siano accorti di uno strappo tanto lacerante del tessuto istituzionale, tanto da non ritenere quell'articolo così importante nella formulazione che viene qui criticata e da consentire l'espressione di un voto di astensione?
Ecco io credo che con buona volontà e con rispetto delle posizioni reciproche, con il riconoscimento anche dell'onestà intellettuale delle intenzioni di ciascuno di noi, potremmo portare avanti un pezzo importante di riformismo condiviso qual è, e quale può essere, la delega per la riforma del pubblico impiego (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 2031-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la Commissione lavoro, onorevole Scandroglio.

MICHELE SCANDROGLIO, Relatore per la XI Commissione. Signor Presidente, rinuncio alla replica.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la Commissione affari costituzionali, onorevole Stracquadanio.

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO, Relatore per la I Commissione. Signor Presidente, anch'io rinuncio alla replica.

PRESIDENTE. Avevate in ogni caso esaurito i vostri tempi, ma vi avrei lasciato parlare brevemente.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

RENATO BRUNETTA, Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. Signor Presidente, miei cari non numerosissimi colleghi, alcuni di voi mi hanno ringraziato per essere stato qui per tutto il tempo del dibattito. Sinceramente nessun ringraziamento, per favore, perché la mia presenza in Aula è solo un dovere di ascolto, lo stesso dovere di ascolto che dovrebbe avere il Parlamento nei confronti del Paese, se vuole assolvere alla sua funzione.
Il nostro è un Paese che da troppo tempo soffre per una pubblica amministrazione inefficiente, rigida, sorda, prodotto di una cattiva politica, di un cattivo Pag. 47sindacato e di una cattiva regolazione; una pubblica amministrazione autoreferenziale, che finisce per produrre regole per se stessa, non per il Paese, che pensa più a se stessa che alla soddisfazione di 60 milioni di italiani che stanno al di fuori di essa; una pubblica amministrazione estremamente costosa, o costosa, pro capite, quanto, se non di più, di ciò che avviene in Europa: 190 miliardi di euro di massa salariale, lo ricordo, quasi 300 miliardi di euro l'anno con i costi intermedi; una pubblica amministrazione tanto costosa, autoreferenziale, rigida, assolutamente sorda - non a caso uso il termine «sorda» citando Hirschman - alle proteste, alle voci degli italiani. Ma perché tutto questo? Perché è successo tutto questo?
Colleghi, nella produzione di beni e servizi pubblici - i miei giovani e meno giovani colleghi lo dovrebbero sapere - ci sono i costi, ma non ci sono i prezzi; c'è la funzione di produzione ma ad essa non corrisponde un mercato che giudica con una sua soddisfazione o insoddisfazione, come diceva Hirschman, con i piedi, con il suo exit. Quindi, una pubblica amministrazione proprio per questo dovrebbe avere regole forti ed efficienti, valide per tutti, senza indulgere nella linea di un mercato perché il mercato non c'è, o senza far finta che ci sia un mercato, come è stato fatto, purtroppo, con l'abortita riforma del 1992-1993, quando si parlò di privatizzazione laddove la privatizzazione si trasformò solo in contrattualizzazione senza controlli.
Non voglio andare troppo lontano, voglio solo dire che questa riforma, questa delega, è stata approvata dal Consiglio dei ministri a giugno dello scorso anno - lo dico alla collega Madia -, è stata portata in Parlamento a luglio, come collegato alla legge finanziaria, quindi come provvedimento avente una valenza forte di collegamento con una manovra finanziaria, ed è stata discussa con estrema attenzione al Senato. Ricordo ai colleghi del Partito Democratico che al Senato abbiamo accolto pressoché tutti gli emendamenti costruttivi e propositivi utilizzando molto la proposta di legge Ichino che in quella sede era stata presentata.
Ora io non vedo frettolosità in questa seconda Camera, ma solo una necessità di far presto e fare bene. Vedo però anche una difficoltà di atteggiamento da parte dell'opposizione, che ha gli accenti della collega Lanzillotta, che richiama alla legge per quanto riguarda l'ordine e l'ordinamento del dopo 1993, ma anche quelli di altri che vorrebbero diluire tutta la regolazione nella contrattazione. Ebbene, mettetevi d'accordo, colleghi del Partito Democratico: l'una cosa e l'altra non sono possibili, non stanno insieme.
Il meglio è nemico del bene, anche perché il Paese sta già attuando questa riforma, dando il suo consenso alle iniziative sporadiche che si sono già prese, quelle sull'assenteismo, sulla trasparenza, sulla contrattazione, sulla customer satisfaction. Il Paese sta facendo sentire la sua voce e sarebbe una cosa gravissima, se questo Parlamento si attardasse nuovamente nell'autoreferenzialità, nell'ascolto dei pochi portatori di interesse, qui molto rappresentati, e non ascoltasse il Paese, che non dà un consenso superficiale, ma pieno, a cose difficili, come le sanzioni pecuniarie per chi si comporta opportunisticamente nella sua presenza nei posti di lavoro o il controllo fiscale fin dal primo giorno per chi rimane opportunisticamente a casa, senza fare il proprio dovere, o per quella norma che allarga la fascia oraria di reperibilità, sempre per quanto riguarda i comportamenti opportunistici nei confronti della sedicente malattia da parte dei pubblici dipendenti.
Il Paese su questi punti dà un consenso pieno. Come a dire: è finita. Sono finiti il lassismo, l'opportunismo e il non controllo. Il Paese dà il suo consenso pieno sull'operazione trasparenza, attraverso la quale abbiamo pubblicato informazioni varie dai distacchi sindacali a tutte le consulenze. Tra l'altro, tantissime volte, l'operazione trasparenza richiesta dal sindacato non è stata mai realizzata da alcuno. È stata voluta dal mio predecessore, ma da lui non utilizzata.Pag. 48
Il Paese dà il proprio consenso alla realizzazione dei contratti, al fare i contratti presto e bene, anche se con pochi soldi, alla volontà di fare trasparenza sui propri bisogni, a quella che si chiama soddisfazione dei clienti. Il Paese chiede tutto questo ed il disegno di legge delega cerca di darlo, in maniera certamente perfettibile e migliorabile, ma cerca di dare tutto questo presto e bene.
Quando avremo approvato (con un'ampia opera di consultazione, come già ho avuto modo di accennare nelle Commissioni, anche questa innovativa, coinvolgendo on line tutti i portatori di interesse, dentro e fuori della pubblica amministrazione) anche i decreti delegati sarà passato un anno dall'inizio dell'iter parlamentare. Di questi tempi, un anno, per fare una riforma così sentita e così voluta da 60 milioni di italiani, non è poco.
Ma poi non avremo finito. Si continuerà a lavorare, a migliorare ed a monitorare, in una sorta di work in progress, che porrà rimedio anche ad eventuali carenze, deficienze e completamenti. Non ci fermiamo certamente qui. La storia certamente non è finita nel mettere mano alla pubblica amministrazione. Abbiamo tutto il lato enorme della semplificazione, che è compito mio e di un altro valoroso collega. Avremo tutta la linea parallela, in coincidenza del federalismo e del federalismo fiscale, che ha elementi fondanti e fondamentali, per quanto riguarda la accountability, il federalismo contrattuale e la mobilità. In quel disegno di legge delega si dice che non ci sarà alcun trasferimento di funzione tra i livelli centrali e periferici, se non ci sarà pari trasferimento di personale. Come vedete, c'è ampio margine di collegamento tra riforme.
Per questo dico che il meglio è nemico del bene, perché bisogna rompere la connivenza con una politica che finora è stata solo politica che non si è assunta responsabilità, politica che non ha voluto esercitare fino in fondo il proprio ruolo di datore di lavoro, politica che ha accettato un ruolo esorbitante ed esondante del sindacato, politica che fatto cattive regole, politica che non ha ascoltato i bisogni della gente.
Lo affermava il collega Baldelli: questa riforma - lo dico in maniera brutale - non è fatta per i ricchi. Questa riforma è fatta per la gente normale, per i più deboli, per chi ha solo i beni pubblici prodotti dalla pubblica amministrazione per vivere, per vivere bene o per cercare di farcela a vivere.
Chi ha redditi medi e medio alti può sfuggire alla cattiva pubblica amministrazione comprandosela nel mercato privato; si può comprare la burocrazia, nel mercato privato si può comprare la regolazione dei tanti bravi professionisti paralleli, si può comprare la giustizia con gli arbitrati, si può comprare la salute, la scuola. I ricchi possono comprare nel mercato privato beni e servizi che dovrebbe fornire la pubblica amministrazione, producendo, certo, un'inefficienza, pagando due volte, ma, di fatto, risolvendo il proprio problema. La gente normale no, le imprese normali no, le famiglie normali no.
Questa riforma, che vorrei fosse approvata presto e bene, è fatta per 60 milioni di italiani normali, per 60 milioni di italiani che non ce la fanno più e che non sopportano più tanta rigidità, tanta sordità, tanta autoreferenzialità.
Siamo in ritardo, tutti siamo in ritardo, ed è utile, ma anche inutile, citare le tante riforme dalla fine degli anni Settanta ad oggi. Collega Madia, le conosco come lei e meglio di lei, perché in parte le ho fatte anch'io. Ho messo mano anch'io al decreto legislativo n. 29 del 1993. Quel decreto ha anche la mia mano e anch'io speravo che potesse risolvere la questione con la contrattualizzazione e la privatizzazione. Non ce l'abbiamo fatta allora, come non ce l'ha fatta l'amico e collega Bassanini.
Se c'è - e finisco - una novità in questo testo è che per la prima volta, anche brutalmente, cerchiamo di dare voce ai cittadini, cerchiamo di dare voice ai cittadini, se i cittadini non possono avere l'exit, cioè scegliere o non scegliere (come abbiamo visto, cosa non possibile).Pag. 49
Per questo dico: andiamo avanti, andiamo avanti presto, andiamo avanti bene; il mio compito sarà poi quello non solo di continuare ad ascoltare, ma di realizzare, come ho già detto (questo è l'impegno che prendo davanti a voi), i decreti delegati con un'amplissima consultazione, con i mezzi che la tecnologia moderna offre, mandando le bozze, le griglie, i quesiti dei decreti legislativi ad una vastissima platea di stakeholder, dentro e fuori la pubblica amministrazione, consultando il Paese, per sentire cosa ne pensa il Paese, come il Paese vuole che si realizzino i principi propri di questa delega. Anche questo farà parte del processo legislativo, oltre ovviamente il passaggio parlamentare previsto dalla Costituzione.
E poi - e finisco - una volta approvata la legge, una volta approvati i decreti legislativi, continuare a dar conto maniacalmente dei risultati ottenuti: dare conto! Dare conto è quello che dovremo fare, anche dei fallimenti; ed a questo mi impegno fin d'ora, anche se non tenuto, a dar conto dell'implementazione della legge, dei decreti legislativi e dei loro risultati, dar conto in questa sede, perché questo ci consentirà, non solo di verificare il lavoro fatto, ma anche di correggere eventuali errori (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Sospendo la seduta per dieci minuti.

La seduta, sospesa alle 18,10, è ripresa alle 18,20.

Modifica del vigente calendario dei lavori dell'Assemblea e conseguente aggiornamento del programma.

PRESIDENTE. Comunico che, a seguito dell'odierna riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, si è convenuto all'unanimità che domani, martedì 10 febbraio, a partire dalle ore 17, con prosecuzione notturna, avrà luogo la discussione sulle linee generali del disegno di legge S. 1369 - Disposizioni in materia di alimentazione ed idratazione, attualmente in corso d'esame al Senato.
Il seguito dell'esame del provvedimento, con tempi contingentati ai sensi dell'articolo 24, comma 12, del Regolamento, avrà luogo nella giornata di mercoledì 11 febbraio, a partire dalle ore 9.
Dopo la votazione finale, si procederà con il seguito dell'esame degli argomenti già previsti nel calendario.
L'organizzazione dei tempia per la discussione del disegno di legge sarà pubblicata in calce al resoconto stenografico della seduta odierna.
Il programma si intende conseguentemente aggiornato.

Discussione della mozione La Loggia ed altri n. 1-00061 in materia di compartecipazione della regione Sicilia al gettito d'imposta su redditi prodotti nel proprio territorio (ore 18,22).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione La Loggia ed altri n. 1-00061 in materia di compartecipazione della regione Sicilia al gettito d'imposta su redditi prodotti nel proprio territorio (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Capodicasa ed altri n. 1-00114, Romano ed altri n. 1-00115 e Messina ed altri n. 1-00116 (Vedi l'allegato A - Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.Pag. 50
È iscritto a parlare l'onorevole La Loggia, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00061. Ne ha facoltà.

ENRICO LA LOGGIA. Grazie Presidente, e grazie - devo dire - anche al Ministro Vito per aver avvertito la sensibilità di partecipare a questo incontro per dare modo alla Camera di avere un interlocutore da parte del Governo, in maniera tale da poter riferire e valutare personalmente - riferire, naturalmente, al Ministro dell'economia e delle finanze - in ordine ad un argomento di particolarissima rilevanza che riguarda un'intera regione, la regione Sicilia, e che riguarda la regione Sicilia sin dalla sua nascita, dal 15 maggio del 1948.
Mi permetterò di fare un brevissimo excursus storico su questo argomento. Signor Presidente, signor Ministro, proprio in quest'Aula sono riportate alcune iscrizioni - che sono sotto gli occhi di ciascuno di noi ogni giorno che passiamo qui - con le quali vengono riportati i risultati del plebiscito che diede vita al Regno d'Italia nel 1861.
Anche la Sicilia partecipò, come si legge proprio qui accanto alla mia postazione, con soli 667 voti contrari e quasi mezzo milione di voti positivi (questi erano i cittadini che potevano votare secondo il sistema elettorale dell'epoca, e questi votarono).
Quello che forse non è completamente noto - o comunque non è sempre ricordato - è che quando si svolse quel plebiscito nella realtà i quesiti erano due. Non vi era soltanto il quesito se il popolo siciliano volesse partecipare, aderire al Regno d'Italia unificato; ma vi era anche un altro quesito, che recitava: volete l'autonomia speciale per la vostra regione?
Ovviamente - è inutile nasconderlo - questo secondo quesito indusse con maggior forza a votare positivamente anche rispetto al primo quesito, sulla scorta di un impegno formale, ufficiale assunto dall'allora Presidente del Consiglio, Camillo Benso conte di Cavour.
Purtroppo, il Presidente del Consiglio di lì a breve venne a mancare, fu sostituito da altro Presidente del Consiglio e il Governo - e i Governi che si succedettero in quel periodo - tralasciarono di dare attuazione a questa espressa e chiara volontà del popolo siciliano con riferimento alla concessione da parte dello Stato dell'autonomia.
Faccio un salto di ben ottantacinque anni. Arriviamo al 1946, siamo in epoca postbellica, si svolge un ampio dibattito nell'ambito della regione siciliana. Vi era allora un fortissimo movimento indipendentista che cercava di spingere i siciliani a non aderire alla costituenda repubblica - di lì a breve costituenda repubblica - ma a creare uno Stato autonomo e indipendente rispetto al resto dell'Italia. Vi fu un amplissimo dibattito politico, anche piuttosto acceso, dove si confrontarono gli autonomisti, cioè quelli che invece ritenevano di dover mantenere la Sicilia all'interno della struttura statuale unificata dal nostro Paese, ma riprendendo il vecchio progetto di autonomia che ottantacinque anni prima era stato purtroppo disatteso. Vi furono evidentemente una serie di confronti piuttosto aspri e alla fine prevalsero gli autonomisti rispetto agli indipendentisti, e si diede forma ad uno statuto di autonomia particolarissimamente avanzato per quell'epoca, quasi profetico rispetto al dibattito politico sul federalismo fiscale che ci appassiona tanto in questi tempi.
Difatti lo statuto siciliano fu approvato, e all'interno dello statuto siciliano vi erano in particolare tre norme che riguardavano i rapporti finanziari e il sistema tributario da adottare in Sicilia rispetto al sistema tributario e finanziario del nostro Paese, e in particolare di quei tre articoli, 36, 37 e 38, ci occupiamo oggi, ancora una volta, dell'articolo 37. Cosa dice l'articolo 37? Dice che per quanto riguarda i redditi prodotti in Sicilia da imprese, aziende e quant'altro, queste ultime anche se hanno una sede legale fuori dalla Sicilia, per la parte di reddito prodotta in Sicilia debbono essere tassate in Sicilia, e i relativi tributi devono essere riscossi dalla regione siciliana. Questa norma, con alterne vicende, ebbe modo di essere in qualche Pag. 51modo attuata sino alla riforma tributaria del 1971, riforma che penso tutti ricordiamo, di cui hanno sicuramente sentito parlare i più giovani, i quali l'hanno ben valutata nei lati positivi e, per quanto riguarda noi siciliani in particolare, in quelli negativi.
Cosa accadde nel 1971? La riforma tributaria, sostanzialmente cambiando il regime tributario del nostro Paese, determinò che non fosse più frazionabile, in base alle componenti della produzione del reddito, il reddito stesso e quindi si ritenne di non poter più procedere all'applicazione dell'articolo 37 dello statuto. Ma nel frattempo - come è ovvio - l'ammontare potenziale dei redditi da sottoporre a tassazione da essere riscossi da parte della regione siciliana sono lievitati, e sono lievitati di molto. Nessuno può ovviamente e ragionevolmente paragonare i redditi del 1971 con quelli del 2009 (ça va sans dire).
Ma si riprende finalmente a discutere di questo e su mia iniziativa, nell'ambito del secondo Governo Berlusconi, tra il 2001 e il 2005, si sviluppa un amplissimo e molto serrato dibattito al quale partecipa per norma statutaria, secondo lo statuto della regione siciliana, la commissione paritetica per i rapporti tra Stato e regione. Ricordo che le norme di attuazione, secondo quanto previsto dal nostro statuto, possono esser emanate con una decisione unanime di questa commissione della quale fanno parte due rappresentanti della regione e due rappresentanti dello Stato. Finalmente si trova un testo condiviso che viene fatto proprio dal Governo e diventa decreto legislativo. Questa è la procedura: le norme approvate dalla commissione paritetica vengono trasfuse nel nostro ordinamento giuridico attraverso l'adozione di un decreto legislativo da parte del Governo. Il Governo emana il decreto legislativo 3 novembre 2005, n. 241 che recita testualmente: viene data attuazione all'articolo 37 dello statuto e simmetricamente - voglio soffermarmi un momento su questa espressione: simmetricamente - vengono trasferite alla regione siciliana funzioni e competenze. A noi sembra estremamente chiaro cosa voglia dire quel decreto legislativo. Si sviluppa anche un dibattito di seconda fila in cui si dice che se lo Stato trasferisce altre funzioni e competenze, ciò che la regione potrebbe incassare con questi tributi forse non sarà sufficiente a far fronte alle spese conseguenti al trasferimento di queste altre funzioni e competenze simmetricamente attribuite dallo Stato alla Sicilia. Si sviluppa un ampio dibattito sul quale ritornerò tra un momento anche per meglio precisare i dati e le date.
Una sentenza della Corte Costituzionale del 2008 dice che quel «simmetricamente» non può che essere riferito alla riscossione dei tributi, cioè alla competenza relativa alla riscossione dei tributi alla quale si fa riferimento da parte della regione siciliana né può essere diversamente, afferma la Corte costituzionale. Se si trasferisce un reddito, se si trasferisce la facoltà di incassare dei tributi è ovvio che la competenza ad incassare quei tributi non può che essere della regione siciliana. Per la verità, niente di nuovo perché è lo stesso articolo 37 dello statuto che già dice esattamente questa cosa. Ma qualcuno si potrà chiedere per quale ragione lo Stato deve essere ossequiente rispetto ad una norma statutaria. La risposta è tanto banale quanto semplice: lo statuto è legge costituzionale dello Stato. È stato introdotto nel nostro ordinamento costituzionale con la legge 26 febbraio 1948, n. 2. È una legge costituzionale che non può essere in alcun modo messa in discussione attraverso una legge ordinaria. Va da sé: dovrebbe essere nella conoscenza di tutti, forse giova talvolta ricordarlo. Difatti, tornando alla sentenza della Corte costituzionale quest'ultima - correttissimamente - non fa altro che confermare ciò che già era e ancora oggi è nell'articolo 37 dello statuto.
È ovvio che dal 3 novembre del 2005 ad oggi si è svolta tutta una serie di incontri, di riunioni, di conferenze di servizio, si è svolta una serie di sollecitazioni, un carteggio infinito tra la regione siciliana e il Governo nazionale. Perché? Perché il secondo comma dell'articolo 1 del già citato Pag. 52decreto legislativo n. 241 del 2005 che recepisce la delibera della commissione paritetica, prevede che l'attuazione pratica di questa riscossione debba avvenire attraverso un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze - quindi non più altre leggi da fare, nessun'altra formalità - d'intesa con l'assessore regionale al bilancio della regione siciliana.
Diverse sollecitazioni, dicevo, che mi permetto di citare in ordine cronologico: già nel dicembre del 2005 la regione siciliana richiama l'attenzione a questo adempimento e nuovamente nel febbraio del 2006; ancora la stessa commissione paritetica (lo ripeto: composta da due membri nominati dallo Stato e due nominati dalla regione) sollecita ulteriormente nel marzo del 2006; ed ancora nel maggio del 2006 lo Stato comunica - finalmente, quindi, dopo molte sollecitazioni - che da parte statale si è esaminata l'opportunità di individuare meccanismi di calcolo che consentano di rendere ragionevolmente stabile nel tempo - cito letteralmente - il gettito da attribuire alla regione, e via dicendo (non vi voglio annoiare con la lettura per intero di questa nota).
Da parte della regione si ribadisce una cosa peraltro assolutamente incontrovertibile, e cioè che è proprio l'amministrazione dello Stato che deve chiedere l'intesa alla regione, e non viceversa, e che quindi è compito dello Stato proporre un decreto sul quale l'assessore al bilancio, per conto della regione siciliana, possa esprimere la propria intesa.
Ovviamente non accade nulla ed arriviamo al gennaio del 2007, con un ulteriore sollecito da parte della regione. Ed ancora nell'ottobre del 2007, ed ancora nel febbraio del 2008, ed ancora nel giugno del 2008, sino a quando risponde finalmente il Ministero dell'economia, che invita il dipartimento regionale finanza e credito e gli altri uffici statali competenti nella materia a partecipare ad una riunione. Si svolge una prima riunione il 16 luglio - finalmente, dopo quasi tre anni - presso la direzione del federalismo fiscale del Ministero dell'economia e delle finanze, e ovviamente non si raggiunge alcun accordo (se non per una parte meramente tecnica, che non incide rispetto al ragionamento che sto sviluppando) e si fissa una nuova riunione per il 24 luglio 2008.
Qui accade l'imprevedibile, signor Presidente, signor Ministro: nel corso di tale riunione altissimi dirigenti (ho i nomi, ma non mi sembra opportuno riferirli, seppure sono ufficialmente noti) del Ministero dell'economia, nonché altissimi dirigenti della Ragioneria generale dello Stato, dinanzi ai rappresentanti della regione, che evidenziavano il portato e l'importanza della sentenza della Corte costituzionale con riferimento al trasferimento simmetrico di funzioni (che non poteva che essere legato - lo ripeto ancora una volta - alla funzione di riscossione di quei tributi) affermano che non condividono quanto ha detto la Corte costituzionale.
Io non voglio neanche insistere su ciò, signor Presidente, ma credo che questa debba essere sottolineata e segnata come una cosa inaccettabile in uno stato di diritto e nel rapporto corretto e di leale collaborazione tra qualsiasi Governo e qualsiasi regione, nei confronti della stessa Corte costituzionale.
Il Ministero dice: non condivido. È come se - mi si consenta il paragone - un imputato condannato all'ergastolo con sentenza passata in giudicato, dopo la sentenza della Corte di cassazione dicesse: non condivido la sentenza della Corte di cassazione, pertanto non intendo andare in galera.
È esattamente la stessa cosa. Come si fa a sostenere in un verbale ufficiale, da parte di eminentissimi dirigenti del Ministero dell'economia e delle finanze e della Ragioneria generale dello Stato, che non si condivide la sentenza della Corte costituzionale, peraltro declassata quasi fosse un parere espresso da un valente legale di uno dei tanti fori professionali del nostro Paese? Non condividono la sentenza della Corte costituzionale!
Mi si consenta, invece, di dire, che non vi è altro rimedio che applicare le sentenze della Corte costituzionale. Con altrettanta franchezza, vorrei dire che, dopo avere Pag. 53atteso, per un verso, dal 1861, ma quanto meno, restando al nostro ordinamento, dal 1946, sei milioni di cittadini italiani che vivono in una regione hanno diritto ad una risposta definitiva e chiara.
Se il Governo, con la massima lealtà, in quel caso, avesse detto: avete ragione, non possiamo che prendere atto di questo, ma vi è un problema di contabilità e di compatibilità finanziaria, vediamo in quale modo può essere risolto, sarebbe stato un atteggiamento costruttivo e leale nei rapporti, che non possono non esservi, tra un Governo ed una regione. Ma non si dica che non si condivide la decisione della Corte costituzionale, perché non è consentito a nessuno, neanche al più alto dirigente di un Ministero.
Non posso neanche lontanamente immaginare che il Ministro dell'economia e delle finanze sia al corrente che qualcuno, per conto suo, abbia assunto questa posizione, assolutamente irricevibile in uno stato di diritto e in un Paese democratico come il nostro. È assolutamente irricevibile: lo voglio sottolineare, perché non può esserci dubbio, e non dovrà esserci mai più, sul fatto che sia assolutamente irricevibile.
Pertanto, la preghiera che rivolgo, anche approfittando della sua cortesia, al Ministro Elio Vito, è quella di riferire al Ministro dell'economia e delle finanze (avrei voluto rivolgermi a lui, se si fosse degnato di essere presente, ma sicuramente è occupato in ben altri e più importanti impegni ministeriali) di andare a fondo di questa vicenda e di richiamare alla correttezza chi si è esposto con delle affermazioni che, come ho detto, sono irricevibili.
Su questo stesso identico argomento, cronologicamente - mi avvio alla conclusione - questa Camera si è già espressa in sede di approvazione della legge finanziaria. Su mia iniziativa, e a firma di numerosissimi parlamentari del mio gruppo, fu presentato un ordine del giorno, che è stato accolto formalmente dal Governo. Non credo che il Governo voglia entrare in contraddizione con se stesso, per cui su un ordine del giorno dà un assenso e su una mozione voglia esprimere un dissenso (anche perché non vi sarebbe motivazione alcuna per farlo). Tuttavia, vi prego di mettere nella vostra memoria, e nella memoria degli atti di questa Camera, l'indignazione per come sono state trattate queste ragioni. Non è più possibile tollerare ciò, non vi è più alcuna possibilità di questo.
Stiamo discutendo di federalismo fiscale. Il Senato ha già adottato un provvedimento. In questa Camera, stiamo iniziando ad esaminarlo e in esso si parla anche di questo, della possibilità della redistribuzione dei tributi e del sistema fiscale del nostro Paese (non segue l'articolo 119 della Costituzione nella definizione di che cosa debba intendersi per fondo perequativo). Dopo tutto quello che stiamo costruendo su questo tema, non credo che possiamo essere federalisti con la mano destra e negare un principio federalista ante litteram, profetico, come ho affermato all'inizio, scritto nel 1946, che ancora attende di essere pienamente attuato.
Ma c'è di più, signor Presidente, signor Ministro. Non mi si venga a dire che lo Statuto siciliano abbia sempre portato - forse anche (perché non dirlo, con un pizzico di autocritica) per una non sempre eccellente gestione sia politica, sia finanziaria delle prerogative di quello Statuto - un reale vantaggio al popolo siciliano: non sempre.
La storia della Sicilia si può dividere in tre grandi fasi: il primo decennio, in cui venne compiuta un'enorme quantità di passi avanti e mi piace ricordare i primi presidenti della regione, da Alessi a La Loggia (mio padre) a Restivo; un secondo periodo, nato nella culla del tradimento con il milazzismo, in cui si trovarono insieme esponenti dell'estrema destra ed esponenti dell'estrema sinistra, dalla mafia agraria agli speculatori industriali che volevano far proprie le risorse della nostra isola, periodo nel quale si diede vita ad un Governo presieduto dall'onorevole Milazzo, che fu forse la stagione peggiore nella storia della Sicilia (e i siciliani questo lo ricordano bene); infine, vi è una terza Pag. 54fase, quella che stiamo vivendo, in cui si sta cercando con forza e con molto sforzo di recuperare alla credibilità e alla dignità delle istituzioni la regione siciliana nei suoi rapporti con il Governo nazionale.
Questa, però, è la prova: senza questa prova, senza l'attuazione piena dell'articolo 37 dello Statuto, ogni altra considerazione cade e cade anche lo stesso spirito federalista al quale pure ci rifacciamo con profondo convincimento nel sostenere quella riforma, ma verrebbe a cadere se cadesse dall'inizio la possibilità del riconoscimento di un diritto che già esiste, non di un diritto che deve essere ancora conquistato per le popolazioni lombarde, piemontesi, venete, per il centro-nord o per altre realtà del nostro Paese. Questo è quanto propugniamo affinché accada, ma mentre attendiamo che ciò accada non possiamo certamente immaginare che ciò che già è norma costituzionale di questo Stato non venga attuato.
Tutto questo si aggiunge ad altre gravissime mancanze che si sono riscontrate nel corso del tempo: voglio ricordarne soltanto una, per non farla troppo lunga, quella che riguarda le accise sui prodotti petroliferi. Forse vale la pena di ricordare anche in quest'Aula (non solo ai presenti, ma a chi vorrà leggere gli atti, adesso o in futuro) che ben il 42 per cento della produzione nazionale di idrocarburi viene prodotto e raffinato in Sicilia, con gravissimi danni dal punto di vista ambientale ed ecologico: onorevole Tortoli, lei è stato sottosegretario all'ambiente e sa bene di cosa sto parlando.
Ancora siamo in attesa di una definitiva valutazione di queste accise al ristoro della salute del popolo siciliano. C'è un lungo contenzioso che non voglio ricordare adesso, ci saranno sicuramente altri momenti e altre occasioni per farlo.
Concludo da dove sono partito: l'Assemblea regionale siciliana nella sua autonoma sovranità ha già votato questa stessa identica mozione all'unanimità dei suoi componenti, pertanto non vi può essere più alcun dubbio sulla volontà politica, formale e sostanziale.
In questa sede, una mozione pressoché identica rispetto a quella presentata da me e da oltre centro altri firmatari è stata presentata dal Partito Democratico, un'altra dall'Unione di Centro e un'altra ancora dall'Italia dei Valori. Ringrazio i colleghi per aver avuto altrettanta sensibilità quanta io ho voluto esporre e mi auguro che anche da parte della Lega Nord possa esservi un atteggiamento positivo: pacta sunt servanda e sunt servanda sia per quello che riguarda il passato, sia per quanto riguarda il presente, sia per quanto riguarda il futuro, altrimenti non sunt pacta.
Se è così (e non può essere che così), non ho difficoltà a prevedere una larghissima maggioranza, se non l'unanimità, da parte di quest'Aula, così come vi è stata nell'Assemblea regionale siciliana su questo documento.
Sappiamo bene, però, Ministro Vito, che questi documenti possono anche lasciare il tempo che trovano. Non si nega un ordine del giorno a nessuno e, talvolta, non si nega neanche una mozione a qualcuno. Ma questa non è una mozione come tante altre, perciò mi sono permesso di insistere: qui c'è un pezzo di storia che va conclamato, concluso e proiettato verso il futuro. Siamo nella situazione di essere impossibilitati a fare qualunque altro passo diverso da questo. Ovviamente, siamo molto fiduciosi che lei, signor Ministro, sia talmente bravo, come avvocato, da poter rappresentare le nostre ragioni al Presidente del Consiglio e al Ministro dell'economia affinché, quando sarà votata, nei prossimi giorni, questa mozione, vi sia un parere favorevole e un impegno formale da parte del Governo a fare ossequio alla sentenza della Corte costituzionale e a una mozione che proviene da tutta la Camera dei deputati (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Capodicasa, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00114. Ne ha facoltà

ANGELO CAPODICASA. Signor Presidente, poco meno di tre mesi fa quest'Aula Pag. 55si è occupata dell'argomento che oggi viene trattato dalle mozioni presentate - quindi anche da quella a mia firma - attraverso l'ordine del giorno che l'onorevole La Loggia ha testé richiamato, presentato nell'ambito della discussione sulla legge finanziaria per il 2009. Quell'ordine del giorno si esprimeva esattamente nei termini in cui si esprime la mozione che l'onorevole La Loggia ed altri - mi pare - ottantadue parlamentari hanno sottoscritto: non c'è alcuna variazione, neanche di tipo lessicale.
Se dopo poco meno di tre mesi torniamo ancora a discutere in Aula di questo argomento, attraverso un diverso strumento, che è quello delle mozioni, è segno che non c'è, oggi, come probabilmente non c'era ieri, la dovuta sensibilità, da parte dell'attuale Governo, nell'affrontare e risolvere questa vicenda. Si tratta di una vicenda che ha degli antecedenti e che fa parte di un annoso contenzioso finanziario tra la regione siciliana e lo Stato e che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale, a noi sembrava si fosse definitivamente chiarita.
Meno ottimista di noi è stato l'onorevole La Loggia il quale, all'indomani dell'approvazione del suo ordine del giorno, con relativo accoglimento da parte del Governo, ha presentato, sotto forma di mozione, il contenuto dell'ordine del giorno approvato il giorno prima: il 13 novembre dell'anno scorso è stato approvato l'ordine del giorno, il 14 novembre è stata presentata la mozione con contenuto analogo all'ordine del giorno.
Cosa dobbiamo dedurne, signor Presidente, onorevoli colleghi? Dobbiamo dedurre che l'onorevole La Loggia è meno ottimista di noi circa l'orientamento del Governo su questa materia: io, essendo un parlamentare dell'opposizione, non avrei immaginato - ove un mio ordine del giorno dello stesso tenore fosse stato approvato il 13 novembre - di non dare a questo Governo un mese o due di tempo per verificarne la reale volontà. Se già l'indomani l'onorevole La Loggia ha presentato una mozione, devo dedurre che egli - e mi pare che trasparisse anche dall'ultima parte del suo intervento e ciò gli fa onore - non aveva grande fiducia che quell'ordine del giorno fosse rispettato da parte del Governo e del Ministro Tremonti.
La vicenda è stata ricostruita per le linee generali dall'onorevole La Loggia e, quindi, evito di ritornarci anche se quella ricostruzione, guardata dal punto di vista di chi oggi è all'opposizione ma anche dal punto di vista di chi all'Assemblea regionale si occupò, per tanto tempo, di questa materia, presenta alcune lacune e, soprattutto, non individua, per carità di patria, alcuni responsabili di quella sorta di imbroglio che è all'origine del decreto legislativo n. 241 del 2005.
Bisogna ricordare, come ha fatto l'onorevole La Loggia, che per i tributi derivanti da attività svolte da imprese e aziende che operano in Sicilia, ma che hanno sede legale al di fuori della regione, fin dal decreto del Presidente della Repubblica n. 1074 del luglio 1965 - si tratta del provvedimento che contiene le norme di attuazione in materia finanziaria per la regione siciliana - era sempre stato applicato in modo letterale trasferendo alla Sicilia i proventi derivanti da tale tributo, fino alla riforma tributaria del 1971, quando l'assetto giuridico configurato dalle norme di attuazione dello Statuto in materia finanziaria, emanate nel 1965, subisce una radicale trasformazione, con la riforma tributaria stessa, che modifica alcuni principi tributari spostandoli dal luogo in cui si trovano collocati i beni o le attività economiche e produttive assoggettate al tributo, al domicilio fiscale del contribuente.
La regione siciliana reagì a questa interpretazione della riforma. Dal 1971 al decreto legislativo n. 241 del 2005 non c'è stato un vuoto. Vi è stata una reazione che vide la regione sollevare un primo contenzioso costituzionale ricorrendo alla Corte costituzionale. Quest'ultima, con la sentenza n. 299 del 1974, riconosce il diritto della regione siciliana e ripristina quel diritto, che con la riforma tributaria del 1971 era stato cancellato. Dopo il 1974 la Corte costituzionale si pronuncia altre Pag. 56volte, in modo diretto o indiretto, con proprie sentenze che hanno ribadito la titolarità di quel diritto della Sicilia. Ne ricordo qualcuna: la n. 111 e la n. 138 del 1999, la n. 66 del 2001 e la n. 306 del 2004.
A seguito di tali sentenze, quel tributo venne riconosciuto dalla Corte costituzionale come spettante alla regione siciliana, ma lo Stato in oltre trent'anni non ha ritenuto di dover ottemperare a tali sentenze, trincerandosi dietro la necessità di regolare il trasferimento del tributo attraverso una nuova norma di attuazione che armonizzasse la riforma tributaria del 1971 con le norme di attuazione del 1965. Questo, dunque, è stato il pretesto dietro cui si è nascosta la volontà di non corrispondere alla regione siciliana quanto ad essa spettante.
Un tentativo di composizione del contenzioso finanziario che si era sedimentato negli anni tra lo Stato e la regione siciliana, venne attuato nel 1997, quando venne istituita la commissione mista presieduta dal dottor Brancasi allo scopo di addivenire ad una composizione finale di tale contenzioso giuridico e finanziario.
Le conclusioni in esito al lavoro di quella commissione diedero luogo poi, nel maggio del 2003, ad un protocollo di intesa firmato dalla regione e dallo Stato che riconobbe, alla fine, un avere da parte della regione Sicilia di circa 800 milioni di euro che furono poi regolarmente somministrati. Rimase fuori dalla definizione di questo contenzioso la norma di attuazione sull'articolo 37 dello Statuto.
La commissione paritetica Stato-regione ex articolo 43 dello Statuto autonomistico si occupò della vicenda esaminando un testo di norma di attuazione dell'articolo 37 che disciplinava in modo limpido, senza «asimmetrie» e senza «trasferimento di funzioni», le modalità attuative del disposto statutario, riconoscendo senza ambiguità l'attribuzione alla regione siciliana di quel tributo.
Per volontà di chi? Questa è la domanda. La commissione paritetica ha dovuto modificare il testo e ha approvato in tutta fretta un nuovo testo, che è quello poi contenuto nel decreto legislativo n. 241 del 2005. Se oggi siamo qui a difendere un buon diritto della regione siciliana è perché all'origine di questo «inghippo» vi è quella norma, nella sua ambiguità ed indeterminatezza, che ha dato luogo ad una sorta di controversia liparitana che non finisce mai, persino in presenza di un'ulteriore sentenza della Corte costituzionale.
Non discuto della buona fede dei parlamentari siciliani ed anche del governo regionale siciliano di allora - verso il quale non nutrivo alcuna simpatia - nell'accettare questa formulazione. Erano convinti forse che, alla fine, pur ingoiando l'avverbio «simmetricamente», tutto avrebbe potuto essere ricondotto alle sue debite proporzioni, convinti che nessuno mai avrebbe potuto contestare nel merito il diritto della regione siciliana e sottrarle risorse previste da una legge costituzionale, quale è lo Statuto di autonomia per la Sicilia.
Quella norma venne approvata con grande giubilo e con grandi festeggiamenti. Ho ancora davanti agli occhi le pagine intere dei giornali siciliani che parlavano di una grande e storica vittoria. Forse è stata questa la ragione che ha indotto il governo regionale, i parlamentari e gli uomini di Governo nazionali ad accettare quella ipotesi, ossia incassare, sia pure con ampi margini di ambiguità, un risultato che sarebbe stato storico (ove tutto fosse andato per il verso giusto per la regione Sicilia), senza accorgersi invece che quell'avverbio «simmetricamente» celava un imbroglio, celava un tranello, le cui impronte digitali credo che riconducano direttamente all'onorevole Tremonti, Ministro oggi come allora dell'economia, il quale non pago di avere teso questo «trappolone» e di averlo portato a segno, si precipitò in Sicilia quarantott'ore dopo, ospite non atteso, ad una manifestazione dei quadri dei partiti del centrodestra riuniti a Taormina, ad annunciare con grande dispendio di mezzi e di esposizione mediatica il grande risultato portato in dono alla Sicilia: timeo danaos ed dona ferentes, sarebbe il caso di dire, temo i greci e i doni che portano.Pag. 57
Infatti si è visto che quel grande risultato altro non era che un tentativo di imbroglio. Non è passato molto tempo da quella data e dai festeggiamenti per accorgersi delle reali intenzioni del Ministero dell'economia. Nel novembre viene approvata la norma di attuazione e viene emesso il decreto del Presidente della Repubblica. Dicono le carte che abbiamo consultato, a cui faceva riferimento anche l'onorevole La Loggia, che subito dopo il Governo nazionale, cominciò a «cavillare» sulla interpretazione di quel «simmetricamente», con una serie di interpretazioni che ci hanno accompagnato fino a qualche mese fa. Sulla base di tale interpretazione, bisognava trasferire «simmetricamente» le funzioni attribuite, ma non esercitate, dalla regione siciliana in misura pari all'introito derivante dal tributo da trasferire. Occorreva, quindi, come dicono i funzionari del Ministero e come riportato nei tanti verbali degli incontri con la regione siciliana, garantire l'attuazione dell'articolo 37 dello Statuto in condizioni di neutralità finanziaria.
Secondo l'interpretazione ministeriale, allo Stato quella norma non può e non deve costare un euro. Inoltre, ove comportasse un costo per il bilancio dello Stato, si determinerebbe una violazione dell'articolo 81 della Costituzione. L'interpretazione appare capziosa. Avrebbe un senso se quel tributo, tresferito alla regione, configurasse un trasferimento di risorse proprie del bilancio dello Stato. Qui invece, si tratta di un riconoscimento di sostanze finanziarie già appartenenti alla regione. Quindi, non c'è un costo per lo Stato, ma soltanto il riconoscimento che lo Stato ha incassato illegittimamente fino ad oggi il tributo che era di pertinenza della Sicilia.
L'infondatezza di questa interpretazione è stata sancita dalla sentenza della Corte costituzionale richiamata poc'anzi, la n. 145 del maggio del 2008.
La Corte costituzionale, sia pure incidentalmente, (perché stava giudicando un contenzioso costituzionale a seguito dell'impugnativa da parte della regione siciliana del comma 661 dell'articolo 1 della legge finanziaria 2008), nel dichiarare infondato il ricorso della regione siciliana precisava che quel «simmetricamente» è da riferirsi non ad altre competenze che sono attribuite alla regione siciliana e da essa ancora non esercitate, «ma alle competenze in ordine alla riscossione di tale imposta». Quindi ad un'interpretazione interna all'articolo 37. Alla luce di questa sentenza non ci sarebbero piú elementi ulteriori per ritardare l'emanazione del decreto attuativo. Invece, nonostante la sentenza sia del maggio del 2008, in ulteriori due incontri del luglio del 2008 i dirigenti del Ministero continuano a disconoscere la fondatezza di quella pronuncia.
L'onorevole La Loggia è troppo generoso quando afferma (capisco l'imbarazzo) che sono i funzionari a non condividere quella sentenza. Ma siamo sicuri che si tratta dei funzionari e che non ci sia il Ministro, il Governo, che ispira i funzionari, i quali ovviamente non hanno un margine di autonomia talmente ampio da contestare una sentenza della Corte costituzionale e da negare ad una grande regione un diritto storico che le deriva dalla sua autonomia sancita da uno statuto speciale?
Il fatto che a seguire il nostro dibattito sia l'onorevole Elio Vito e non il Ministro Tremonti, onorevole La Loggia e onorevoli colleghi, non è un buon segnale, non tanto per l'esito finale del voto sulle mozioni (esse hanno già i numeri in quest'Aula per essere approvate, a prescindere da ciò che pensa il Governo), quanto per la loro effettiva applicazione. Stiamo discutendo e adottando decisioni in Parlamento, per perdere tempo o avremo effettivamente un seguito operativo delle decisioni che saranno adottate? Se giudichiamo dagli atteggiamenti tenuti, dalle carte prodotte e dai segnali che provengono dal Governo, dobbiamo essere molto pessimisti.
Tuttavia noi siamo qui perché vogliamo che con il nostro contributo si sancisca e si ribadisca in quest'Aula parlamentare il diritto della regione siciliana. Ma nello stesso tempo - e questa è la differenza che ci divide dall'onorevole La Loggia e che ci Pag. 58ha indotto a presentare autonomamente una nostra mozione - contestiamo il cedimento di parte siciliana che è intervenuto, allorquando è stata approvata la norma di attuazione nella commissione paritetica Stato-regioni, e dall'altro lato la malafede con cui il Governo nazionale trattò l'argomento. Sta lì l'origine e la causa dell'aggrovigliarsi del contenzioso e dei ritardi che si sono successivamente accumulati.
Oggi però alla luce del buon senso, alla luce della norma, alla luce della sentenza, non ci possa essere contestazione alcuna intorno a questo diritto. Ciò che mi preoccupa è la pratica attuazione e il modo di operare di questo Governo che nel corso di questi mesi ci ha abituati a continui salassi di risorse finanziarie destinate con legge alla regione siciliana.
Ci ha abituato a interventi e incursioni nel buon diritto di quella regione, pur essendo evidente e del tutto pacifico che si trattava di diritti che, attraverso le leggi, erano maturati in capo a singole categorie o alla regione, o alle province siciliane.
Credo che non si possa consentire che questo atteggiamento che è stato inaugurato con il decreto-legge n. 93 del 2008, il primo decreto-legge emanato da questo Governo non appena insediatosi, possa ulteriormente trovare spazio: ricordiamo i fondi che sono stati sottratti alla viabilità secondaria, la sottrazione dei fondi ex Fintecna, che sono stati destinati ad altre infrastrutture, nonché la sottrazione dei fondi per il Belice, per la realizzazione del campus universitario dell'università Kore di Enna e per le aziende agricole colpite dalla peronospera. Potremmo fare un lungo elenco. Fino ad arrivare al fondo FAS, falcidiato nell'arco degli otto mesi di vita di questo Governo, fino a decurtarlo di oltre 17 miliardi di euro su una posta iniziale di ben 64 miliardi. In piú occasioni sono stati disattesi e calpestati i diritti della Sicilia.
Approfitto di questa occasione per contestare al presidente della regione siciliana di non essere andato fino in fondo allorquando il Governo nazionale ha violato il nostro Statuto, quando in Consiglio dei ministri ha approvato quelle norme che cancellavano disposizioni di legge che prevedevano risorse destinate in modo specifico e diretto alla regione siciliana.
Signor Presidente, c'è un articolo dello statuto autonomistico che prevede che ogni qual volta tratta argomenti che riguardano la Sicilia, il presidente della regione partecipa a quella riunione del Consiglio dei ministri, con rango di Ministro, per dire la propria parola. Ebbene, il presidente della regione non è stato invitato a partecipare al Consiglio dei ministri riunitosi a Napoli quando è stato varato il decreto-legge n. 93 del 2008, quello famoso sull'ICI, che destinava ad altre finalità fondi che erano già stati destinati alla Sicilia con norme di legge, così come non è stato invitato in altre riunioni del Consiglio dei ministri che trattavano argomenti riguardanti la nostra regione in modo specifico e diretto che hanno adottato decisioni contrarie agli interessi della Sicilia e del suo sviluppo.
Il presidente della regione, che si ispira all'autonomia, anzi egli stesso è a capo di un movimento che si definisce Movimento per l'Autonomia, e che tappezza i muri di tutte le città siciliane con lo slogan: «Nati per difendere il Mezzogiorno, nati per difendere il sud» nell'occasione topica, quando il ruolo di presidente della regione avrebbe dovuto richiamarlo a un dovere istituzionale di difesa dei diritti della nostra regione, ha visto tremare le sue gambe e non è riuscito a compiere il passo che sarebbe stato necessario. Anche nel caso in esame si è stati troppo timidi. Questa sentenza della Corte costituzionale arriva in modo obliquo incidentalmente e non per una diretta iniziativa della regione. Ma perchè la regione siciliana non ha cercato altre vie per vedersi riconosciuto il proprio diritto? Perché non l'ha fatto? Forse per ossequio ad una maggioranza di Governo di cui lo stesso presidente, con il suo movimento, fanno parte? Non possono essere i calcoli politici contingenti ad orientare l'azione dei governi, gli interessi del popolo siciliano vanno messi al di sopra dell'interesse politico immediato Pag. 59perché su questo c'è un giudizio della storia a cui non possiamo ovviamente sfuggire.
Per quanto riguarda poi il ricorso, vi è una tesi, sempre del Ministero dell'economia e delle finanze, secondo cui - ne parlo per anticipare un eventuale intervento in questo senso da parte del Governo - tutto si potrà comporre quando il federalismo fiscale sarà legge nel nostro Paese, per trovare una composizione equilibrata tra risorse finanziarie e competenze trasferite. Credo che qui vada ribadito un principio. Tutto ciò poteva valere prima che fosse emanata la pronuncia della Corte costituzionale, cioè prima del maggio 2008. Nel momento in cui è intervenuta la sentenza, bisogna dare ad essa attuazione. Quando sarà vigente il federalismo fiscale, sarà possibile compensare, discutere e affrontare il tema del trasferimento delle altre competenze attribuite alla regione e non ancora esercitate, ma oggi è necessario sanare un ritardo che dura da ormai molti anni.
Signor Presidente, concludo dicendo che non dare attuazione a questa sentenza significa già inficiare le norme contenute nel disegno di legge sul federalismo fiscale, che è stato trasmesso dal Senato. Questo diritto, previsto per la regione siciliana all'articolo 37, in quel testo viene riconosciuto a tutte le regioni italiane. È diventato cioè, o presto lo diventerà, un principio di carattere generale: non riconoscerlo oggi alla regione siciliana significa infliggere un doppio vulnus di cui ovviamente dovrete rispondere (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Messina, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00116. Ne ha facoltà.

IGNAZIO MESSINA. Signor Presidente, dopo l'illustrazione dei colleghi onorevoli La Loggia e Capodicasa, credo sia superfluo un excursus storico, che è stato fatto in maniera puntuale. Citare le norme, però, credo sia comunque essenziale, in particolare l'articolo 37 dello statuto della regione siciliana, che è chiarissimo ed afferma con molta semplicità - sembra veramente strano che ci sia voluta una sentenza della Corte costituzionale per interpretarlo, perché è di una chiarezza straordinaria - che, per quanto riguarda la quota di reddito da attribuire agli impianti, l'imposta di detta quota compete alla regione ed è riscossa dagli organi di riscossione della medesima. Credo che sia di una chiarezza esasperata. Vi è, poi, il decreto legislativo 3 novembre 2005 n. 241, che sostanzialmente ribadisce questo diritto della regione siciliana.
Ricordo, così come ricordava correttamente l'onorevole La Loggia, che lo statuto siciliano è norma di rango costituzionale, per cui non c'era nemmeno bisogno di ribadirlo. Tuttavia, vi è una norma, un decreto legislativo del 2005, quindi a distanza di oltre cinquant'anni, che ha ribadito che le relative quote di competenza fiscale dello Stato sono trasferite alla regione simmetricamente alle competenze previste dallo statuto, finora esercitate dallo Stato.
Sin qui vi è il decreto legislativo. Vi è un altro elemento che viene espressamente previsto: si dice, con molta chiarezza, come fare ad attuare tutto ciò, anche in questo caso in modo sicuramente semplice e comprensibile. Il citato decreto legislativo prevede, inoltre, che, con decreto dirigenziale del Ministero dell'economia e delle finanze, di intesa con l'assessorato regionale del bilancio e delle finanze, si provveda alla definizione delle modalità applicative.
Sembrerebbe proprio che non vi sia bisogno di alcun tipo di commento, che sia una norma sicuramente chiara, tanto che stupisce come abbia avuto bisogno di 60 anni di storia della Repubblica italiana, 60 anni di storia della martoriata Sicilia, per poter arrivare a una conclusione; ma anche questo non è stato sufficiente, anche questo è stato inutile, tanto che, davanti a una sentenza della Corte costituzionale, questo Governo si è rifiutato di dare attuazione a questa norma.
Con questa mozione, riteniamo di denunziare, onorevole La Loggia, la mancata Pag. 60colpevole disapplicazione di una norma, lo statuto della regione siciliana, che ha penalizzato, di fatto, la Sicilia.
L'onorevole La Loggia, nell'intervenire, diceva, forse un po' bonariamente, anche se con una certa vis polemica nei confronti dell'assenza del Ministro dell'economia e delle finanze - adesso credo che manchi anche il Ministro Vito; c'è il sottosegretario, ma non vedo il Ministro Vito in Aula, sarà da qualche parte, ma non è per polemizzare - che non poteva immaginare che il Ministro sapesse qualcosa.
Non so se per lei questa affermazione fosse una battuta, perché credo che, francamente, il Ministro la sappia molto lunga sulla vicenda. Così come diceva l'onorevole Capodicasa, se dei dirigenti del Ministero dell'economia e delle finanze si permettono di mettere in discussione o disattendere una sentenza della Corte costituzionale, evidentemente, diciamocelo con franchezza, hanno una grande, autorevole copertura politica.
Credo che la copertura politica a questi dirigenti del Ministero dell'economia e delle finanze provenga solo ed esclusivamente dal Ministro dell'economia e delle finanze, che quindi è colpevole tanto quanto i dirigenti, anzi, di più, perché ha il dovere di vigilare sulla loro attività e di applicare la legge e le sentenze della Corte costituzionale.
Diciamo stop ai luoghi comuni, perché il Ministro sta costruendo tutta la sua esperienza governativa di questo ultimo Governo con una politica antimeridionalista, che viene affermata, giorno dopo giorno, minuto dopo minuto, e che punta oggi alla Sicilia, perché parliamo della Sicilia, ma che ha mirato ad eliminare le risorse previste già del bilancio dello Stato per finanziare il sud ed il Meridione d'Italia.
Vogliamo dirlo con chiarezza: teniamo fuori i luoghi comuni, che vedono un sud sprecone ed un nord laborioso, un sud che tira al nord e il nord che, malauguratamente, deve sopportare questo sud. Che bisogno ha questo nord di sottrarre fondi al sud? Che motivo ha di distrarre fondi che la legge destina al sud? Lo citava l'onorevole Capodicasa prima: i fondi sono stati distratti, perché vi è una legge che prevede che quei fondi siano della Sicilia, piaccia o non piaccia. Si possono cambiare le norme, si può cambiare la Costituzione, così come minaccia quotidianamente, giorno dopo giorno, il Presidente del Consiglio.
La cosa divertente è leggere i giornali e ascoltare le dichiarazioni: quando Di Pietro si appella al Capo dello Stato, diventa oggetto di scandalo; quando il Presidente del Consiglio disattende la Costituzione e afferma, se non conviene, se il Presidente della Repubblica non firma, di voler cambiare la Costituzione, questo è assolutamente normale in questo Paese.
Questa politica antimeridionalista l'abbiamo vissuta giorno dopo giorno con la distrazione degli stanziamenti del FAS, del Fondo per le aree sottoutilizzate. Questo Governo non è nuovo a prestazioni simili: ha un atteggiamento conclamato contro il sud.
Il Ministro Tremonti, tanto intento a creare slogan - vi ricordate Robin Hood e il resto? - si è ridotto, visto che il sud è povero, a rubare dalla cassetta dell'elemosina e ha ridotto il FAS. Altro che favorire i deboli, perché il FAS era costituito da risorse espressamente destinate, che sono state quasi totalmente sottratte. Non credo che siamo fuori tema, ma che abbia un senso dire e citare quali sono state le sottrazioni, perché non se ne ha contezza.
Devo dire che anche Ministri meridionali giocano a creare confusione per giustificare le inadempienze del Governo. E allora basti dire, soltanto per citare qualche cifra, che le risorse per il Fondo per le aree sottoutilizzate disponibili al 1o gennaio 2008 erano 8 miliardi e 900 milioni; si sono ridotti nella legge di bilancio 2009-2011 a circa 6 miliardi, e fin qui d'accordo. Ma cosa accade dopo la legge di bilancio? Che il Ministro Tremonti comincia a sottrarre dal Fondo per le aree sottoutilizzate, anche mettendo in discussione lo stesso progetto del Popolo della Libertà, che parlava di ponti, che parlava di grandi infrastrutture nella nostra Sicilia. Noi eravamo contrari al ponte Pag. 61perché volevamo le altre infrastrutture e poi il ponte, ma si facesse anche il ponte! In realtà sono stati sottratti tutti i fondi; e allora c'è un elenco infinito di sottrazioni che col FAS non hanno niente a che vedere, che con i fondi al sud non hanno niente a che vedere, e che hanno portato ad una riduzione del FAS per il 2009 da una cifra di 6 miliardi ad una di un miliardo e mezzo.
E allora di cosa parliamo? Un Ministro che sottrae senza colpo ferire i fondi legittimamente riconosciuti dal bilancio dello Stato al sud per realizzare infrastrutture; tra l'altro, sarebbero venute sicuramente a lavorare imprese del nord: non era quello il tema, perché le più grandi imprese probabilmente stanno al nord, ma avremmo creato le infrastrutture.
Dicevo della compiacenza anche di alcuni ministri; ci sono le dichiarazioni di questi giorni del Ministro per i rapporti con le regioni, il Ministro Fitto, che giustifica questa operazione. Se un Ministro (per i rapporti con le regioni) del sud giustifica queste operazioni, francamente speriamo di non essere tutelati dal Ministro Fitto! Mi auguro che ogni regione prenda le distanze dal Ministro per i rapporti con le regioni! Risponde testualmente Fitto in un'intervista, chiamato a rispondere sui Fondi destinati al sud: «Si tratta di una parte limitatissima delle risorse»; testuali parole da La Gazzetta del Mezzogiorno del 7 febbraio 2009. Allora, i casi sono due: o il Ministro Fitto non ha ben chiaro qual è il suo mandato, e non ha capito i bilanci dello Stato, non comprende quali sono le risorse e come le hanno utilizzate, o evidentemente anche lui - e mi dispiace da parte di un uomo del sud, da parte di chi ha fatto anche il presidente di regione - è in malafede, nel giustificare un'azione di Governo che è mirata solo a danneggiare il sud; e questo noi non lo possiamo consentire.
Così come non possiamo francamente approvare il comportamento degli amici dell'MpA, che lottano per la nostra terra, o fanno finta di lottare per questa nostra Sicilia, ma alla fine accanto alle urla, alle grida, poi si inginocchiano davanti a chi invece gli impone di approvare certe cose. Non fanno altro che minacciare: francamente, a cosa serve tutto questo? Non fanno altro che dire: non votiamo la fiducia a questo Governo, litigano anche sul territorio siciliano; poi alla fine si fanno abbindolare dalle parole rassicuranti, anche queste di qualche giorno fa, quando il Presidente del Consiglio diceva chiaro: non utilizzeremo più i fondi del Meridione e li destineremo per ciò che erano destinati ad essere. Cioè sostanzialmente un altro impegno disatteso, quello di evitare che al sud vengano sottratti fondi. Dopodiché c'è stata la protesta univoca dell'ANCI, dei comuni, delle province, delle regioni; non succede assolutamente niente: in realtà si continua a sottrarre al sud, sempre a vantaggio di altre regioni. Anche qui, noi non possiamo assolutamente consentirlo.
Si contraddice questo Governo, nel momento in cui si approva una norma sul federalismo fiscale, che ha alcuni principi fondanti. Noi abbiamo ascoltato, anche in un convegno organizzato dall'Italia dei Valori, che è attenta a questo problema del federalismo, il Ministro Calderoli, che ci è venuto a parlare di redditi prodotti nelle regioni, di utilizzo nelle regioni del reddito prodotto, di tracciabilità delle imposte per sapere dove vengono prodotte e come vengono utilizzate.
Dall'altra parte, un diritto attuativo del federalismo che esiste già da quarant'anni e che prevede per la regione siciliana la possibilità o meglio il diritto di ricevere le imposte relative a redditi prodotti nella regione da aziende che non hanno sede principale nella regione, viene palesemente disatteso.
Evidentemente, a che serve discutere con un Governo che è sordo rispetto non alle esigenze di un territorio, bensì all'applicazione di una legge (dal momento che di questo stiamo parlando)?
Noi lo avevamo già detto in maniera chiara in una risoluzione dell'8 luglio 2008, presentata dall'Italia dei Valori e a prima firma dell'onorevole Di Pietro, tra l'altro esaminata dall'Aula, ma dall'8 luglio Pag. 622008 ad oggi sono passati parecchi mesi senza che ciò abbia portato ad alcuna variazione. Già allora sostenevamo che i soldi delle tasse devono rimanere sul territorio, ma non c'è stata nessuna risposta da parte del Governo e, rispetto alla vicenda siciliana, nessuna soluzione.
La realtà è che - ed anche questo dicevamo in quella risoluzione - il Ministro Tremonti insieme al Ministro Scajola, con la regia del Presidente del Consiglio, intendono gestire nella loro completa autonomia i fondi che invece dalla legge sono destinati ad altri, anche perché la disposizione di queste somme nel caso della Sicilia andava fatta di concerto con la regione siciliana, nel caso dei fondi FAS di concerto con il CIPE e, ancora una volta, con le regioni (ma anche a questo proposito c'è stato un nulla di fatto).
A questo punto, cosa rimane quindi rispetto a questa norma che tanto abbiamo invocato? La sola cosa da fare, credo, è di garantire al governo siciliano, o meglio alla Sicilia, il rispetto di questa legge.
In effetti - ma questo per la verità veniva citato con onestà dall'onorevole La Loggia - per la Sicilia l'autonomia non è stata soltanto positiva; probabilmente se la Sicilia è in difficoltà, è anche perché quell'autonomia che ci è stata attribuita è stata male interpretata.
Ancora di più oggi, per ciò che ho detto prima, credo che il governo regionale siciliano, che conta su una maggioranza schiacciante, è ancora di più schiacciato: litiga su tutto (come vediamo quotidianamente sui giornali e sulla stampa); litiga sulla sanità e non si mette d'accordo; litiga sulle poltrone e non si mette d'accordo, sulle scelte di politica economica, sull'utilizzo delle risorse. Litiga su tutto e probabilmente questo governo non merita che queste somme vengano poste nella sua disponibilità. Però certo, non è che per un governo che non funziona possiamo penalizzare il popolo siciliano che ha un diritto, quello di avere queste somme e di poterle utilizzare nell'interesse e per la crescita della regione: sicuramente, non può essere penalizzato da un governo regionale appiattito su un Governo nazionale che è, in modo conclamato, antimeridionalista.
L'Italia dei Valori si batte per la tutela dei diritti dei siciliani e per il sud, salvaguardando le risorse e vigilando sulla gestione delle stesse.
Signor Presidente (e mi appello a lei), una cosa però va detta sul valore delle mozioni. Ne ho citate alcune e cito anche - perché ho il piacere di averlo qui in Aula - un ordine del giorno del 23 luglio 2008 (parlavamo sempre di FAS) dell'onorevole Misiti, un esperto in materia.
Quell'ordine del giorno fu naturalmente approvato e cercava di riconoscere quei diritti che riguardavano proprio la destinazione di quelle somme che il Governo doveva stanziare per le aree sottoutilizzate.
Ci siamo battuti in Commissione finanze con il decreto-legge n. 112 del 2008 per fare in modo che l'85 per cento delle risorse rimanesse alle regioni del sud; abbiamo fatto una guerra e, signor Presidente, abbiamo fatto nottate in Commissione nel tentativo di salvare questa percentuale elevata per il sud rispetto a tali somme.
Ci siamo riusciti, abbiamo condotto una battaglia straordinaria, ma il risultato che abbiamo ottenuto è stato equivalente al nulla, perché il Ministro Tremonti, dopo avere acconsentito ad approvare quell'ordine del giorno sull'85 per cento e l'Aula lo ha fatto, ha via via sottratto queste somme riducendo praticamente al nulla l'85 per cento che era destinato al sud.
Citavo l'ordine del giorno presentato dal collega Misiti per citare tanti altri atti di indirizzo che quest'Aula ha approvato. Non mi è ancora ben chiaro quale sia il valore delle mozioni e degli ordini del giorno. Non mi è chiaro. Sono contentini per l'opposizione, che così ogni tanto si alza e riesce a vedere qualcosa di approvato e ci mette anche l'applauso finale? Ma, alla fine, questi atti rimangono lettera morta, producono qualche articolo sul giornale, qualche trafiletto o servono realmente a qualcosa? Forse sono contentini per qualche irrequieto della maggioranza, Pag. 63che magari non è concorde rispetto alla posizione del Governo, e allora gli facciamo passare una mozione, un ordine del giorno e un articolo sul giornale: tanto poi non servono assolutamente a niente.
Signor Presidente - mi appello a lei -, a questo punto ritengo che ci sia un grande spreco di denaro pubblico, perché è inutile perdere tempo in Aula, intrattenendo anche tutti coloro i quali devono garantire l'attività dell'Assemblea, se poi tutto ciò che viene approvato viene totalmente ignorato. Io chiedo (e sfido il Governo, anche se il Ministro Vito sarà nascosto da qualche parte, considerato che non lo vedo, mi spiace ma non riesco a vederlo) e vorrei sapere dal Governo, di tutti gli ordini del giorno, mozioni e tutto il resto, quanto ha avuto seguito, indipendentemente dalla provenienza (maggioranza o opposizione), e quanto alla fine è stato portato a compimento dal Governo. Mi riferisco anche a piccole cose, ma anche queste non sono state fatte.
Allora - lo ripeto - mi appello a lei, signor Presidente, perché se l'attività parlamentare deve avere un senso, quest'ultimo sussiste nel momento in cui c'è il rispetto da parte del Governo (e non mi sembra francamente che fino a oggi vi sia stato) per la volontà dell'Assemblea, quindi con l'assunzione di impegni rispetto a situazioni di grande importanza.
Mi avvio alla conclusione. È inutile dilungarsi. Si parla - c'era qui prima il Ministro Brunetta - di efficienza della pubblica amministrazione quando per emanare un decreto di concerto tra il Ministro dell'economia e delle finanze e l'assessore regionale alle finanze ci vogliono quattro anni, considerato che la legge è del 2005 (lasciamo perdere il 1946 o i periodi precedenti) e quindi dal 2005 ad oggi sono passati quattro anni e ancora aspettiamo un decreto del Ministro, il quale invece è velocissimo per quanto riguarda tanti altri decreti che ha emesso, in meno di poche ore, decreti che servivano molto spesso a sottrarre i fondi che noi oggi vogliamo cercare di ripristinare.
Inoltre, signor Presidente, al di là della valenza di questa mozione (per quello che il Governo ne vorrà fare, ma staremo più attenti e vigileremo), non c'era bisogno di questo atto. Non c'era bisogno della mozione dell'onorevole La Loggia, che autorevolmente ha iniziato a porre il problema, e non adesso, già da tempo. Lo stesso vale per la mozione presentata dall'onorevole Capodicasa e per la mia; non ce n'era bisogno, perché non ci si può rivolgere ad un Governo con una mozione per chiedere e invitare il Governo al rispetto di una legge. Si tratta di una contraddizione in termini il fatto che un Parlamento si appelli al Governo affinché lo stesso rispetti la legge. Allora, come governa chi oggi guida questo Paese? Probabilmente non guardando alla legge, o guardando alla legge come fatto secondario: se la legge mi conviene è legge, se non mi conviene non so cosa sia. Mi riferisco alla Corte costituzionale e in altre situazioni alla Corte di giustizia dell'Unione europea. Quante ne abbiamo viste in quest'Aula in questo breve lasso di tempo di questa ultima legislatura? Diritti violati, frequenze occupate, eppure nessuno interviene. Questo è il tema. Mi chiedo se, trattandosi, nella vicenda che ci occupa, di altre regioni, il Ministro Tremonti avrebbe avuto un'attenzione maggiore e maggiore velocità di intervento, oppure se invece avrebbe continuato a comportarsi in questo modo.
Noi siamo stati costretti a presentare questa mozione insieme a chi prima di noi lo ha fatto proprio per ribadire tutto questo. Non l'abbiamo mai fatto e lo faremo ribadendolo: noi vigileremo costantemente e quotidianamente affinché il Governo dia corso a questa mozione.
Vogliamo sperare che il Parlamento sia sufficiente per convincere qualche funzionario a rispettare la legge: infatti, se non riesce un Ministro a far rispettare la legge ai suoi funzionari, ritengo che almeno un dirigente debba piegarsi alla volontà del Parlamento, oltre che alla Corte costituzionale e alla legge, nel rispetto delle sue funzioni. Altrimenti, appellandoci al Ministro Brunetta, quel dirigente che non rispetta la legge, oltre che perseguibile Pag. 64penalmente, di sicuro è da rimuovere, perché non è fannullone, ma è in malafede.
Ci auguriamo anche che una volta per tutte - concludo - il Ministro intenda rispettare la legge non ad personam ma nell'interesse di tutta l'Italia. (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vincenzo Antonio Fontana. Ne ha facoltà.

VINCENZO ANTONIO FONTANA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, da parlamentare siciliano e cofirmatario della mozione La Loggia ed altri n. 1-00061 ho sentito il bisogno e la necessità di intervenire, nonostante l'onorevole La Loggia sia stato assolutamente esaustivo nella sua relazione, che è stata molto ampia e ha ripercorso la storia dell'articolo 37 dello Statuto dal 1946 ad oggi: lo ha fatto da parlamentare, ma lo ha fatto anche avendo una competenza specifica da costituzionalista. Pertanto, il mio intervento sembrerebbe superfluo, ma intervengo per l'attaccamento che ho alla mia terra e perché ho seguito da anni questa vicenda, da presidente della mia provincia, che ho governato per lunghi dieci anni e adesso da parlamentare di questa nazione. Peraltro, si tratta di risorse che non sono indifferenti, perché parliamo di 6-8 miliardi all'anno e, quindi, sono notevolissime risorse che andrebbero nelle casse della nostra regione siciliana, che proprio in questo momento vive un periodo particolarmente difficile.
È proprio di questi giorni, in perfetta sintonia con quanto sta accadendo a livello nazionale, l'iniziativa del capogruppo del Popolo della Libertà, l'onorevole Innocenzo Leontini, che all'Assemblea regionale siciliana ha depositato un atto di indirizzo che impegna il Governo della regione ad attuare tutte le azioni possibili nei confronti del Governo nazionale, in particolare del Ministero dell'economia e delle finanze, affinché in tempi brevissimi si proceda alla definizione e alle modalità applicative dell'articolo 37.
Del resto, non voglio dilungarmi e parlare di quanto già detto, ma volevo semplicemente fare una riflessione, insieme a voi, sui costi dell'istruzione di un cittadino siciliano, che sono assolutamente inferiori rispetto a quelli di un ragazzo, di un giovane che vive a Milano, a Roma e in altre regioni. Ebbene, la Sicilia spende quasi la metà pro capite rispetto ad altre realtà, cosa che accade anche nel settore della sanità, nonostante oggi la regione siciliana viva un momento di particolare difficoltà anche in questo settore e si parli di tagli alla sanità. Ebbene, noi siamo al di sotto della media nazionale, perché la nostra media è da 200 a 400 euro pro capite. Spendiamo meno di quanto spendono altre regioni e quindi tutto questo ci consentirebbe di poter recuperare qualcosa.
Il complesso scenario del sistema di riforme in cui il dibattito sul federalismo fiscale si inserisce pone proprio l'accento sulla contestualità dell'autonomia istituzionale e finanziaria, che presuppone un rilancio delle autonomie locali e regionali in termini di competenza generale di governo di un territorio. Nelle riforme in senso più federale del nostro Paese vi sono inoltre grandi opportunità per lo sviluppo economico, tenuto conto che siamo in presenza di una società e di un'economia profondamente differenziate da area ad area e dove sono direttamente i territori a reggere la competitività internazionale, che non è neppure nazionale, ma va aldilà del territorio nazionale.
Tutto ciò significa che attribuire ai territori maggiori poteri e responsabilità per decidere sul proprio futuro economico può produrre appunto effetti positivi e può consentire di diversificare in modo graduale e al meglio le politiche di sviluppo di un'area molto vasta, qual è appunto il territorio siciliano.
Ciò vale per tutti e soprattutto per le aree più deboli, che possono potenzialmente trarre il massimo vantaggio dal ridisegno delle competenze ed è proprio in virtù di questa nuova logica, che si basa sui concetti di responsabilità ed efficienza, che il federalismo fiscale apre l'occasione Pag. 65storica per il riscatto del nostro Mezzogiorno. In questo senso, se la riforma federalista agirà tanto in profondità da offrire un contributo determinante per colmare lo storico divario che esiste tra nord e sud, se riuscirà a garantire pari condizioni di sviluppo tra specificità territoriali assolutamente diverse, se accompagnerà questo percorso con un progetto di revisione costituzionale, capace di individuare adeguati strumenti di controllo e compensazione degli interessi, allora si scriverà veramente una pagina significativa della storia del nostro Paese.
Ma tutto ciò accadrà, se prima saremo capaci di rispettare quegli impegni che le norme costituzionali hanno sancito e che ancora oggi sono disattesi. Siamo di fronte - lo diceva benissimo l'onorevole La Loggia - ad una sentenza costituzionale che viene non solo disattesa, ma addirittura interpretata in maniera assolutamente opposta.
Tornando all'articolo 37, esso come è noto e come viene opportunamente ricordato dalla mozione trova già conforto nella norma costituzionale e prevede e calcola una quota del reddito per le imprese che hanno la sede centrale fuori dall'isola, ma con stabilimenti in Sicilia. Si tratta di una quota in base alla quale viene calcolata l'imposta che le stesse imprese, industriali o commerciali, dovranno versare non più nelle casse dello Stato, ma in quelle della regione siciliana.
È il caso anche dell'ENI e delle raffinerie che producono il 42 per cento del prodotto nazionale (lo dicevano poco fa ed io lo voglio ribadire). Quindi, il 42 per cento viene prodotto in Sicilia, con tutti i danni ambientali che conosciamo (vedi Gela, Priolo) e non abbiamo neppure il ritorno delle tasse nelle casse della nostra regione siciliana.
Inoltre, è maturo il tempo per superare l'attuale dissociazione tra responsabilità impositiva e responsabilità della spesa, per cui il Governo, accogliendo la mozione che oggi illustriamo, deve mettere la prima tessera di quel mosaico virtuoso che è il federalismo fiscale, riconoscendo le legittime aspettative di una regione a statuto speciale qual è appunto la Sicilia.
Purtroppo ad oggi sono stati considerati lettera morta sia il decreto, da oltre tre anni, sia lo stesso articolo 37, da ben 61 anni. La giunta regionale siciliana, da parte sua, ha già compiuto tutti i passi che erano di propria competenza affinché si potesse arrivare allo sblocco della situazione, mentre da parte del Governo nazionale mancano ancora gli ultimi fondamentali atti amministrativi. Mi auguro che dopo la mozione in esame anche il nostro Ministro dell'economia rifletta e dia veramente l'input per chiudere questa pagina storica per il nostro Paese.
A differenza del passato, credo che oggi l'obiettivo che vogliamo raggiungere con la mozione La Loggia ed altri n. 1-00061 sia a portata di mano per una serie di contingenze politiche favorevoli, ma soprattutto perché la classe politica siciliana si mostra unita e convinta, al di là anche dei colori politici, come abbiamo visto testé negli interventi che si sono succeduti, sia da parte del Partito Democratico sia da parte dell'Italia dei Valori. Quindi, in questo siamo assolutamente tutti uniti e tutti consideriamo il tema dell'applicazione dell'articolo 37 un atto dovuto ed una fondamentale leva affinché la Sicilia possa finalmente alzare la testa e quindi il Mezzogiorno possa allinearsi agli standard del resto del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Realacci ed altri n. 1-00110 concernente iniziative per favorire uno sviluppo ambientale sostenibile (ore 20).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Realacci ed Pag. 66altri n. 1-00110, concernente iniziative per favorire uno sviluppo ambientale sostenibile (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Ricordo che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 5 febbraio 2009 (vedi resoconto).
Avverto che in data odierna sono state altresì presentate le mozioni Piffari ed altri n. 1-00117, Ghiglia, Guido Dussin, Iannaccone ed altri n. 1-00118 e Libè ed altri n. 1-00119 (Vedi l'allegato A - Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Margiotta, che illustrerà anche la mozione Realacci ed altri n. 1-00110, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

SALVATORE MARGIOTTA. Signor Presidente, colleghi deputati, vado ad illustrare la mozione a prima firma Realacci, Ministro del Governo ombra per l'ambiente per il Partito Democratico, firmata dal capogruppo Mariani in Commissione, oltre che da tutti i colleghi del gruppo del Partito Democratico dell'VIII Commissione.
Questa mozione è animata da quello spirito di ambientalismo del fare, che è da sempre la bussola a cui si ispira ogni azione in politica ambientale del nostro partito e del nostro gruppo. Nessun pregiudizio ideologico, nessun attacco al Governo, nessuna volontà di distinguo. La mozione sta al merito delle questioni e propone misure concrete e condivisibili, improntate all'idea che, attraverso la new economy, il new deal ecologico, si possa dare risposta contemporaneamente alle due grandi sfide di questo inizio millennio: da un lato, la crisi economica più dura di quanto mai avremmo immaginato, anche in Italia, e dall'altro lato, la lotta ai mutamenti climatici.
Nella mozione in discussione avanziamo proposte concrete e idee relative a misure efficaci ed efficienti. È una mozione priva di ogni pregiudizio e, per questo, chiediamo al Ministro Prestigiacomo, cui riconosciamo sensibilità ambientale su questi temi, di poter pervenire, anche attraverso un parere favorevole del Governo, ad un voto unitario.
La crisi economica è gravissima, alcuni dati lo evidenziano in maniera chiara e netta, per certi versi, dovrei dire drammatica. Le previsioni sul PIL 2009, come riconosciuto di recente dallo stesso Ministro Tremonti, confermando, peraltro, le previsioni della Banca d'Italia, sono di una variazione del meno 2 per cento. È la prima volta, dal dopoguerra ad oggi, che si riscontra un dato simile, registrato solo negli anni Trenta. Il Fondo monetario internazionale stima in negativo anche il dato 2010, dando, quindi, poche possibilità e poche speranze di una pronta ripresa immediata già per il prossimo anno.
Altri dati sono altrettanto e chiaramente negativi: il tasso di disoccupazione è del 6,1 per cento, 500 mila lavoratori sono in cassa integrazione, la Confindustria ritiene che la crisi distruggerà 600 mila posti di lavoro.
Altrettanto drammatica è la crisi climatica: la temperatura media si è innalzata di oltre 0,7 gradi nel secolo scorso e crescerà tra 1,8 e 4 gradi entro il 2100. L'innalzamento del livello del mare è di circa venti centimetri negli ultimi centoventi anni. Gli eventi alluvionali, negli ultimi anni - si pensi all'uragano Katrina nel 2005 o alle alluvioni nel Bangladesh - sono sempre più frequenti ed hanno effetti disastrosi.
C'è un pericoloso pensiero che vediamo aleggiare in alcuni ragionamenti secondo il quale la crisi economica è troppo forte, grave e drammatica per potersi occupare anche della questione dei mutamenti climatici, avendo quindi altre priorità; in Pag. 67realtà, è vero esattamente il contrario. Meglio di tutti lo ha dichiarato Al Gore, il premio Nobel, che su The New York Times del 9 novembre 2008 ha tracciato sinteticamente la filosofia del new deal ecologico a cui dovremmo tutti ispirarci. Egli dice testualmente: «le iniziative temerarie e di grossa portata necessarie a porre rimedio alla crisi del clima sono esattamente le stesse che occorre intraprendere per risolvere la crisi economica e la crisi della sicurezza energetica». D'altra parte, già John Kennedy in un celebre discorso a Indianapolis del 1959 evidenziava che la parola crisi in cinese, wei ji, è rappresentata attraverso due ideogrammi, uno raffigura il pericolo e l'altro raffigura l'opportunità.
L'Italia, come gli altri grandi Paesi occidentali stanno già facendo, deve saper cogliere le opportunità rilanciando l'economia attraverso un new deal ecologico o, se si preferisce, attraverso una rivoluzione ambientale.
Cinquant'anni dopo il discorso di Indianapolis di John Kennedy, Barack Obama, questo Presidente degli Stati Uniti cui tutto il mondo guarda con grande speranza e grande fiducia, nel mezzo di una drammatica crisi economica ha dettato il suo programma affermando, tra l'altro, che occorrerà rifare l'America (il che significa anche rifare il mondo) attraverso, tra l'altro, la green economy. Cito alcune delle proposte concrete di Obama: 150 miliardi di dollari in dieci anni da investire per le rinnovabili ed efficacia energetica con la creazione di 5 milioni di posti di lavoro; entro il 2015 produrre un milione di auto ibride in grado di percorrere 50 chilometri con un litro; entro il 2025 portare la quota di energia elettrica rinnovabile al 25 per cento e con una rete elettrica intelligente; un fondo per l'efficienza energetica degli edifici pubblici e sconti fiscali per quella degli edifici privati; 30 miliardi di dollari in mezzi collettivi ad energia rinnovabile; l'adozione di 25 nuovi standard di efficienza energetica.
Fin qui il Presidente degli Stati Uniti, ma i grandi Paesi europei non sono da meno, anzi, in questo campo la vecchia Europa è stata all'avanguardia: ha innalzato il vessillo della lotta ai mutamenti climatici e il vessillo di Kyoto anche quando gli Stati Uniti non firmavano il protocollo di Kyoto e guardavano a questi temi con scetticismo e con poca convinzione.
Per fare solo alcuni esempi, di recente il Governo inglese ha istituito il Ministero per l'energia e i cambiamenti climatici, adottando l'obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra dell'80 per cento entro il 2050; investirà l'1 per cento del prodotto interno lordo entro il 2020 per l'efficienza energetica in edilizia e per la decarbonizzazione dei trasporti, dell'industria e delle centrali elettriche; infine, ha avviato un piano strategico di sviluppo delle energie rinnovabili.
Il Governo francese ha presentato una legge quadro per l'ambiente che prevede, tra l'altro: misure per la certificazione e l'efficienza energetica degli edifici e semplificazioni per le rinnovabili; ogni regione dovrà, con propria legge, varare un piano per contribuire alla riduzione nazionale del 75 per cento delle emissioni di anidride carbonica entro il 2050; misure per lo sviluppo delle rinnovabili e per l'adeguamento della rete elettrica.
Nel gennaio 2009 il Governo tedesco ha annunciato che gli occupati in Germania nei settori delle energie rinnovabili, dell'efficienza energetica e dei prodotti per la protezione ambientale sono 1,8 milioni di lavoratori; ha varato un secondo pacchetto integrato formato da sette leggi per il clima e l'energia; ha investito 3,3 miliardi di euro nel 2008 per politiche e misure tese a ridurre l'emissione di gas serra in vari settori.
Insomma, il green new deal non divide moderati e riformisti. Vi sono grandi leader moderati e grandi leader progressisti che la pensano esattamente allo stesso modo. Pensate ai politici progressisti Obama, Gordon Brown, Zapatero e a quelli moderati Sarkozy, Merkel, Barroso. È proprio da questa consapevolezza che nasce questa mozione, dalla convinzione, cioè che, su questi argomenti, al di là dell'inevitabile dinamica maggioranza-opPag. 68posizione e delle inevitabili contrapposizioni e dei distinguo che pure ci sono stati, in Italia, nell'anno di Copenhagen, si può trovare un'unità di fondo nel perseguire politiche virtuose in questo settore.
Certo, abbiamo criticato, nei mesi scorsi, le titubanze che, a partire dalla pur giusta e legittima volontà di tutelare l'industria italiana, contraddistinguevano l'azione del nostro Paese in ambito europeo, in relazione agli impegni sul «20-20-20». C'è stato, poi, un voto unanime che deve spingere l'Italia a un impegno più concreto e fattivo, necessario contemporaneamente per la lotta ai cambiamenti climatici e per dare risposta alla crisi economica. Insomma, si richiede una rivoluzione ambientale attraverso la green economy, nel solco del global green new deal tracciato dal programma UNEP del 22 ottobre 2008, per rivitalizzare l'economia globale, per affrontare la crisi climatica ed ecologica e per creare posti di lavoro attraverso investimenti per lo sviluppo di tecnologie pulite e di infrastrutture ecologiche, energie rinnovabili, efficienza energetica e risparmio di risorse naturali.
Sulla scorta di questi principi e alla ricerca del conseguimento di questi obiettivi, la mozione elenca alcune misure concrete sulle quali si chiede l'impegno del Governo. Ovviamente rimando al testo scritto per l'analisi di dettaglio, completa delle nostre proposte. Mi limito a un'esposizione sintetica di quelli che sono, a nostro avviso, i temi principali.
In primo luogo, le fonti rinnovabili: l'Italia dovrebbe almeno raddoppiare l'energia elettrica prodotta con fonti rinnovabili entro il 2020. I dati del 2007 mostrano che il nostro Paese, benché possa contare su uno zoccolo duro di geotermia idroelettrica, è fortemente distanziato da altri Paesi europei - Germania, Svezia, Francia e Spagna - nei settori dell'eolico e ancor di più del solare termico e del fotovoltaico. La Germania e la Svezia producono, in questi settori, molto di più dell'Italia, paese del sole: è quasi un paradosso. Proponiamo, al riguardo, di introdurre uno sconto sull'addizionale A3 della tariffa elettrica per i residenti nei comuni che permettono l'installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili, ma soprattutto proponiamo di rendere più semplice l'iter procedurale e autorizzativo che precede la realizzazione degli impianti, anche rendendo omogenei e coerenti gli indirizzi regionali con quelli nazionali. In tal modo, in Italia si potrà costruire, come avviene in Germania, una forte industria nazionale del settore, con nascita di nuove imprese. Ricordo che il dato di occupati in Germania nell'industria ambientale in genere è pari a 1,8 posti di lavoro.
Quanto alle politiche per la mobilità, è necessario: avviare un piano per i treni pendolari, con investimenti seri, concreti ed evidenti; incentivare il trasporto pubblico in generale, rinnovando il parco mezzi nonché le reti per il trasporto fluviale di merci; prevedere ecoincentivi per la rottamazione, vincolati ad auto a basse emissioni e bassi consumi.
C'è poi l'edilizia, un altro grande capitolo da affrontare in questo contesto. In proposito, occorrerebbe: aumentare l'efficienza energetica degli edifici pubblici; intervenire nell'edilizia privata favorendo le manutenzioni straordinarie degli edifici esistenti, anche attraverso strumenti fiscali quali quelli del 55 per cento; ripristinare la certificazione energetica degli edilizi nella compravendita degli immobili che, purtroppo, questo Governo ha azzerato.
Quanto all'efficienza energetica, sarebbe opportuno introdurre ecoincentivi per l'acquisto di frigoriferi e congelatori a basso consumo - il Governo, in parte, lo ha fatto nell'ultimo Consiglio dei ministri e leggeremo meglio il testo in seguito - e una riduzione dei consumi della pubblica illuminazione.
Inoltre, è necessaria una politica concreta nel campo dei rifiuti. Occorre poi incentivare il riciclo dei rifiuti e l'industria ad esso collegata, superando le ormai inaccettabili disomogeneità territoriali. A tal riguardo, faccio presente che l'indagine conoscitiva compiuta dalla Commissione ambiente, nella precedente legislatura, ha dimostrato che in questo campo le differenzaPag. 69 tra nord, centro e sud sono davvero abissali, purtroppo come in altri ambiti.
Sul piano dello sviluppo sostenibile occorre agire sulle risorse idriche prevedendo, per esempio, un piano straordinario per la salvaguardia della risorsa idrica mediante rifacimento delle reti. È di quindici giorni fa un'audizione presso la X Commissione, cui abbiamo partecipato anche noi dell'VIII Commissione, nella quale sono venuti fuori i dati sufficientemente noti, ma sempre eclatanti quando li si sente illustrare. Ebbene, in Italia il 48 per cento dell'acqua immessa nelle reti si perde.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

SALVATORE MARGIOTTA. Mi accingo a concludere, signor Presidente. In agricoltura occorre tutelare e salvaguardare le aree agricole; per prevenire il dissesto idrogeologico occorre investire adeguate risorse, ripristinando almeno i fondi per la difesa del suolo; nell'ambito della ricerca occorre incentivare l'innovazione, la conoscenza e la qualità legate all'ambiente e proseguire il lavoro avviato con Industria 2015.
In conclusione, la crisi economica richiede un indispensabile impiego di risorse pubbliche. Esso va indirizzato principalmente verso formazione, ricerca, innovazione, economia della conoscenza, efficienza energetica, uso delle risorse, elevata qualità ecologica di beni e servizi e infrastrutture per un forte servizio delle energie rinnovabili e per una mobilità sostenibile. Questo è il senso della mozione Realacci ed altri n. 1-00110 in esame. Noi riteniamo tale mozione condivisibile e pensiamo che possa essere condivisa da questo Governo, come ho affermato in apertura del mio intervento. Sarebbe un bel segnale per il Paese, signor Ministro, se su questi temi la Camera dei deputati potesse trovare modo di evidenziare un'unità di fondo e d'indirizzo nonché un'identica volontà politica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Piffari, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00117. Ne ha facoltà.

SERGIO MICHELE PIFFARI. Signor Presidente, signor Ministro, con la mozione a mia prima firma vogliamo sollevare alcune attenzioni su un settore che molto spesso viene considerato marginale, perlomeno da una buona parte. Inizio citando un esempio concreto e di questi giorni, relativo all'emergenza valanghe al nord. Alcuni miei colleghi, appartenenti ai gruppi di maggioranza, si sono presentati in questi paesi e davanti alla stampa - e quindi alla pubblica opinione - hanno sostenuto che non è vero che l'ambiente si sta surriscaldando e che ci sono grossi problemi di desertificazione. Inoltre, hanno affermato che queste grandi nevicate sono la conferma che si tratta di sirene sbagliate e che tutto va bene.
Non è così. È vero che è nevicato tanto, ma nevicava tanto anche dieci e forse venti o trent'anni fa e, anzi, questo si può affermare senza dire alcun «forse», perché abbiamo i dati degli ultimi cento anni e con le ricerche compiute al polo nord credo che possiamo andare indietro persino di centinaia o migliaia di anni. Non è un fenomeno da trascurare. Oggi vi è questa emergenza ma poi, quando in estate in Puglia bruciano i boschi, diciamo che non ci sono gli elicotteri per spegnerli. Il clima sta cambiando.
In un momento in cui in queste aree vi è una situazione così difficile dobbiamo fronteggiare un'altra questione di forte impatto sociale: la crisi economica, che sta toccando centinaia di migliaia di posti di lavoro, questione che abbiamo già affrontato in Aula. Tuttavia, solo i dati recenti - parlo di dicembre dello scorso anno - ci dicono che si è verificato un calo di produzione di quasi il 9 per cento. Si tratta di numeri mai visti nelle regioni e nelle province del nord. Questi sono numeri che, per adesso, grazie agli ammortizzatori sociali, non hanno ancora un impatto forte e non solo la diocesi di Milano, ma anche molte parrocchie in terra bergamasca e in terra bresciana stanno raccogliendo i fondi per affrontare le emergenze sociali che questa crisi economica ci porta e ci porterà.Pag. 70
Eppure noi facciamo fatica a vedere cosa sta succedendo. se dovessimo rispettare i parametri e le direttive europee dovremmo chiudere la circolazione alle automobili, in parecchie città della pianura padana, per 60, 70 o 80 giorni.
Facciamo finta di niente, ce la prendiamo con i sindaci che emettono ordinanze e che cercano di regolamentare questo carico di inquinamento, ma solo con provvedimenti di emergenza, come hanno fatto i sindaci che hanno chiuso le strade ed evacuato qualche paese in attesa che il bel tempo torni e porti tranquillità in questi paesi di montagna.
Cosi è successo, ma se dobbiamo pensare a qualcosa per il futuro dobbiamo pensare anche alla prevenzione, nel caso dei paesi di montagna con il dissesto idrogeologico, con interventi - magari il paravalanghe - rassicuranti, fatti però non comparto per comparto, perché in quelle province ricche del nord gli interventi sono stati fatti con i soldi pubblici. Magari la provincia decideva di farsi i suoi paravalanghe per proteggere la strada; con gli stessi soldi potevano esser fatti in cima alla montagna e proteggere il paese. Abbiamo tanti casi di questo tipo ed è uno spreco di risorse.
Detto questo - scusatemi, ma era una questione di emergenza degli ultimi due o tre giorni - credo sia importante, invece, cogliere le opportunità che questa crisi ci sta dando, le opportunità di un coraggio, di uno scatto, proprio in quelle terre ricche di ingegneria e di industrie, che può essere portato anche in settori diversi, perché purtroppo non solo il settore della mobilità ed in particolare delle automobili, ma anche quello dell'edilizia sta dando segnali di scricchiolamento.
Non è un problema di mercato o di caricamento da parte di investitori o di operatori nel settore edilizio di prezzi per cui tutto si ferma; non si tratta di questo. Oggi bisogna avere il coraggio di rilanciare un'industria comunque sana - tranne qualche piccola eccezione - di un settore trainante per l'economia italiana, tanto è vero che è stato oggetto per anni di agevolazioni dal punto di vista fiscale (sull'IVA, sulla prima casa e sul recupero energetico).
Con molta attenzione dovremo riprendere questi argomenti anche alla luce di alcuni eventi. Si parlava prima di appuntamenti importanti che l'Italia deve affrontare come leader in campo internazionale, a partire dal G8 dove l'Italia, oltre a coordinare il lavoro di questi grandi Stati e quindi di queste grandi economie, dovrà anche dare delle indicazioni di indirizzo. Credo che questa sia la strada che dovremo scegliere, quella che anche gli americani hanno scelto attraverso la valorizzazione dei programmi di Obama di partire dalla questione ambientale.
Lo stesso consesso che elargisce i premi Nobel ha dato riconoscimenti nel 2007 a un'organizzazione scientifica - quella famosa task force dell'ONU - che dal 1988 studia sia gli effetti, sia le cause, sia quali azioni intraprendere per combattere questa sciagura che potrebbe arrivare. Ci sono scenari veramente di sciagura, altri meno dannosi.
Credo che però non si trovano scenari in positivo nell'aumento di carbonio nell'aria. Se in questi ultimi cento anni abbiamo aumentato il carico di carbonio ogni anno immesso nell'ambiente di quasi il cento per cento, sappiamo che invece purtroppo nei prossimi anni avremo un sovraccarico perché altre nazioni emergenti come la Cina, l'India, tutti i Paesi dell'Asia e il Sudafrica stanno emergendo dal punto di vista industriale e quindi hanno bisogno di energia.
Energia vuol dire produzione di CO2. Noi, invece, che avremo il coraggio, la risorsa e l'intelligenza di poter fare questo scatto, dovremo mettere in campo le nostre aziende in grado di produrre, nel rispetto anche dei parametri di Kyoto, energia pulita senza paura di dire che questo costa alle nostre aziende e alle nostre industrie e quindi è meglio lasciar perdere. Bisogna, invece, arrivare con coraggio a quel 20 per cento in una terra, come si diceva prima, che ha il sole e risorse idriche mal sfruttate che potrebbero essere valorizzate.Pag. 71
Infatti, dopo i primi anni del secolo trascorso, con grandi investimenti, sui bacini idrici abbiamo quasi lasciato a sé questo tipo di industria. Siamo andati a costruire dighe in tutto il mondo e ci siamo dimenticati di questo patrimonio sul territorio italiano.
Che dire invece dell'eolico? Abbiamo, dalle Alpi al mare, zone di costa dove il vento è un nostro amico e coabitante, eppure in queste aree non riusciamo a valorizzare. Dobbiamo fare norme capaci di valorizzare questo settore sia dal punto di vista della produzione che dell'ingegneristica e, quindi, della valorizzazione in materia industriale.
Potremo diventare i produttori di queste materie, di queste macchine e venderle a tutto il mondo perché anche gli Stati emergenti oggi hanno bisogno di energia e, quindi, utilizzano carbone, petrolio e gas. Tuttavia, anche loro fra qualche anno saranno costretti a rivedere, realizzare e costruire energia a bassa produzione di CO2.
Dovremmo essere pronti in questi momenti, dobbiamo partire e avere il coraggio di investire in questi settori, così come è necessario investire su un'edilizia intelligente. Possiamo farla - ne abbiamo le capacità - col rinnovo delle strutture e in particolare con un intervento nell'edilizia pubblica scolastica. Abbiamo parlato e abbiamo letto di interventi di monitoraggio su tutte le scuole pubbliche in termini di sicurezza. Facciamolo magari anche con qualche risorsa perché ci sono parecchi edifici pubblici che hanno superfici per i pannelli solari, spazi all'aperto per la geotermia e per realizzare questo sistema di energia a costo zero, che non ci costa niente perché la troviamo nell'ambiente e non produce carbonio.
Se non parte l'ente pubblico che ha le strutture con il massimo consumo, non possiamo pretendere che lo facciano i singoli condomini o le singole case sparpagliate per il territorio italiano. C'è un grosso problema di rispetto di alcune indicazioni anche dal mondo economico, oppure questi nostri scienziati, a partire dall'inglese Stern, sono balordi. Allora, dovremmo dirlo anche attraverso i nostri. Anche il governo delle banche mondiali, da Draghi ad altri, dovrebbe dire allo stesso Ministro dell'economia e delle finanze che sta dicendo delle «porcherie». Ma ci dicono che mantenendo questo sistema energifero e che produce carbonio a tutto spiano, ogni anno andiamo ad intaccare il patrimonio che è il PIL, dal momento che fra qualche anno saremmo costretti non a spendere il 2 per cento, come risulta dalle ultime indicazioni, ma il 15 e il 20 per cento del PIL, per raddrizzare questi parametri e per evitare quelle proiezioni di catastrofi. Infatti, si parla nei prossimi 100 anni, con lo scioglimento dei ghiacciai, dell'innalzamento del livello delle acque che va dai 15 ai 70-80 centimetri. Ciò vorrebbe dire per parecchie nostre terre la lotta, non solo a Venezia col Mose, ma dovremmo inventarci chilometri di Mose e non so dove andremo a prendere le risorse. Un conto è intervenire nei tre canali di ingresso di Venezia, un conto è intervenire su chilometri di coste che abbiamo.
Credo che sia necessario intervenire nel dettaglio con l'impegno che chiediamo al Governo anche in un settore marginale, che è quello della mobilità delle persone e delle merci. L'Italia è lo Stato al mondo che ha più autovetture e che fa più chilometri per abitante. Arriviamo ormai a superare i 16 km per abitante contro i 13 e poco più che l'Europa ha di media. Ci muoviamo e abbiamo le Alpi e gli Appennini da scavalcare. Non sempre riusciamo con la mobilità collettiva. Abbiamo un sistema di autotrasporto vecchio e superato, che produce tantissimo carbonio. Sappiamo che solo il sistema automobilistico produce un quarto del carbone che immettiamo nell'atmosfera.
Forse saranno sparate le prese di posizione forti che alcuni governi delle regioni prendono. Richiamo quello della Lombardia, che ha proposto nei giorni scorsi di non vendere più automobili diesel sul territorio lombardo.
Io credo che sia necessario potenziare, proprio in quest'ottica, interventi che agevolinoPag. 72 questo: se non subito con il passaggio all'idrogeno, quanto meno con l'utilizzo del metano.
Ma il problema è la rete dei distributori. Noi abbiamo la maggiore rete in Europa e nel mondo occidentale per gasolio e benzina, abbiamo più di 20 mila distributori; vi dico i dati di alcuni altri stati: la Francia ne ha 13 mila, la Germania 15 mila, la Spagna 8 mila. Insomma, siamo sovraccarichi di questo e fino a qualche anno fa lo valutavamo solamente come un problema del consumatore: vale a dire per ridurre il costo del carburante. In realtà, oggi dobbiamo potenziare la rete non solo in funzione della riduzione dei costi, che sicuramente è fondamentale, ma per permettere finalmente a mezzi tecnologicamente avanzati di dimezzare la produzione di CO2 attraverso la mobilità.
Dobbiamo quindi sostenere il cambio del parco automezzi, dei tram e dei bus nelle città e anche in queste grosse aziende di trasporto interurbano, perché bruciano tantissimo gasolio. Immaginatevi i motori elettrici che oggi produciamo fuori dalla città: sono macchine che faticano ad andare a 20-30 all'ora e si fermano dopo qualche chilometro. Non possiamo fare del trasporto pubblico serio con motori alternativi con questi mezzi che oggi l'industria ci mette a disposizione.
C'è bisogno di potenziare una rete di distributori, ad esempio di gas metano: ne abbiamo solo un migliaio in tutta Italia e purtroppo poche regioni hanno dei numeri sufficienti o quantomeno minimi e si trovano solo al nord: in Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna. Tuttavia sono poche, se uno si deve muovere sul nostro territorio deve avere la certezza di questo servizio.
Abbiamo dato incentivi a cambiare il motore, ma mettere un motore a gas su una macchina costruita per andare a benzina o gasolio purtroppo non produce l'effetto di dimezzamento della produzione di CO2, ma lo riduce del 20 o del 30 per cento. Quindi, dobbiamo avere il coraggio non solo di sostenere l'industria con la rottamazione del mezzo vecchio e lo sfoltimento dei parchi macchina ammucchiati nei parcheggi delle case automobilistiche. Dobbiamo obbligare le case automobilistiche a produrre ciò di cui oggi il mercato ha bisogno: auto ecologicamente sane e a posto. Altrimenti noi utilizzammo soldi per far comperare mezzi che hanno prodotto e ancora oggi producono un danno all'ambiente e non otteniamo quel risultato che vorremmo in termini di salvaguardia dell'ambiente.
Faccio un particolare richiamo a questa materia, che potrebbe essere sviluppata in sinergia assieme alle regioni. Il Ministro mi pare abbia già individuato l'Unione europea come il soggetto primario per intervenire in questo settore. L'Unione europea ci chiede di potenziare gli investimenti nella mobilità: facciamolo non solo annunciando le grandi opere sulla ferrovia, come la TAV o altro - ne abbiamo parlato la settimana scorsa in quest'Aula - ma anche attraverso questa rete capillare di distributori di metano. Oggi ci sono in modo saltuario nei centri della grande distribuzione, credo che potremo potenziarli anche forzando la distribuzione attuale, eventualmente attraverso agevolazioni fiscali, realizzando una complementarietà in quegli impianti di distribuzione, per far sì che quelli esistenti si adeguino posizionando anche impianti di distribuzione a metano.
È un passo che ci permette di utilizzare le autovetture nei prossimi 10-15 anni, quando saremo in grado di produrre idrogeno e probabilmente avere una mobilità molto più rispettosa dell'ambiente (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

In morte di Eluana Englaro (ore 20,31).

PRESIDENTE. (Si leva in piedi e, con lui, l'intera Assemblea ed il rappresentante del Governo). Onorevoli colleghi, voglio dare una comunicazione: è morta, qualche minuto fa, Eluana Englaro. Quali che siano state le posizioni di ciascuno di noi nel dibattito acceso dalla sua vicenda, credo che fosse vicina al cuore di tutti e Pag. 73che sia opportuno commemorarla insieme con un minuto di silenzio o di preghiera, per chi ritiene di pregare (L'Assemblea osserva un minuto di silenzio).
Credo che il modo migliore di rendere omaggio alla memoria di Eluana Englaro sia di proseguire i nostri lavori con correttezza e serietà, come è costume e dovere di questa Camera.

Si riprende la discussione (ore 20,32).

(Ripresa discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tortoli, che illustrerà anche la mozione Ghiglia, Guido Dussin, Iannaccone ed altri n. 1-00118, di cui è cofirmatario.

ROBERTO TORTOLI. Signor Presidente, inizierò il mio intervento, per esporre di riflesso la nostra posizione, dall'analisi della mozione Realacci ed altri n. 1-00110.
La mozione presentata dalla sinistra è ineccepibile sul piano formale perché tratta un tema ampiamente condiviso come quello di una maggiore attenzione all'ambiente e ai temi ambientali in genere, soprattutto in un'ottica di sviluppo coerente anche con l'impostazione che l'Europa ha assunto e che intende mantenere. È chiaro a tutti che i temi ecologici devono toccare ogni aspetto della vita umana e che le nuove tecnologie devono consentire processi produttivi e industriali sempre più efficienti e dare vita a nuovi prodotti sempre meno inquinanti.
A parer mio, l'efficienza deve riguardare, in primo luogo, gli aspetti energetici, sia in riferimento al settore dell'edilizia sia a quello dei trasporti. Deve crescere nel Paese e nel mondo, come tutti sottolineiamo e hanno sottolineato, una nuova cultura ambientale e si deve affermare un nuovo approccio alla crescita e allo sviluppo di ciascun Paese che sappia tenere conto del fattore ecologico e della capacità di affrontare lo sviluppo nel rispetto della natura e dell'ambiente.
Siamo anche d'accordo, in linea di massima, sul fatto che l'ambiente può essere una grande opportunità; già nel 2001-2006 il Governo Berlusconi sottolineò come l'ambiente andava considerato in un'ottica di opportunità, non in un'ottica di vincoli e di blocchi alla crescita. Dunque, l'ambiente va inteso come grande opportunità ed oggi, in un periodo di crisi economica come quella che sta colpendo tutti i Paesi, può dare un nuovo impulso alle imprese e ai consumi. Quindi, non siamo contrari a investire e a credere nella possibilità che sul tema ambientale si possa ragionare proprio in termini di crescita e di sviluppo.
Tuttavia, a me pare che la mozione, al di là dei buoni principi, sia un vero e proprio manifesto politico di una sinistra che quando non governa ha progetti ambientali ambiziosissimi e tende a dire (perché questo c'è scritto dietro la mozione): guardate come siamo bravi, come siamo attenti al bene del Paese, come siamo ecologisti, anzi, siamo gli unici ecologisti, gli unici attenti ai grandi problemi dell'ambiente, la destra trascura questi problemi e non è capace di affrontarli.
La realtà, invece, è che quando siete al governo, amici della sinistra, avete dimostrato di essere incapaci di attuare i vostri propositi che, anzi, si trasformano spesso in veti, in vincoli, in ostacoli non solo allo sviluppo, ma anche all'ambiente stesso.
Se questa mozione è il vostro programma per l'Italia, se è la vostra via verde allo sviluppo, realizzatela quando tornerete al Governo. Dov'è nel Paese oggi un segno tangibile di questa vostra supremazia ecologica, visto che la vostra parte politica ha governato per tanti anni sia a livello centrale che a livello locale? Ripeto: dov'è nel Paese un segno tangibile di questa vostra attenzione ecologica? Non c'è per quanto riguarda lo smaltimento dei rifiuti - anzi -, il problema dei siti da bonificare, le energie rinnovabili, l'inquinamento delle acque, la qualità dell'aria nelle nostre città, l'erosione delle coste, l'assetto idrogeologico del Paese, e potrei andare avanti all'infinito, senza soluzione di continuità.Pag. 74
La realtà, cari amici, è che in campo ambientale siamo all'anno zero. Quindi, con umiltà e non con atteggiamenti da primi della classe, lavoriamo tutti insieme per migliorare la situazione del nostro Paese in campo ambientale, ma facciamolo in un'ottica di concreto Governo dell'ambiente, guardando ai problemi per quelli che sono, stabilendo le priorità, le vere priorità, promuovendo ed impegnandosi su ciò che è fattibile, senza creare false illusioni o eccessive aspettative, a noi stessi e all'opinione pubblica, che ha un grande ruolo sui temi ambientali, di ostruzione, di blocco e di difficoltà a realizzare cose utili anche per l'ambiente. Basti pensare ai termovalorizzatori.
Diciamo «sì» alle rinnovabili, ma sapendo che saranno sempre marginali (mi riferisco in maniera particolare al solare fotovoltaico); «sì» alle agroenergie, ma anche in questo caso sapendo che il nostro Paese non ha le caratteristiche ideali per impegnarsi in maniera profonda in questo settore.
Occorre grande impegno, invece, a parere mio, sul risparmio energetico in edilizia e grande impegno nel rinnovare il parco mezzi del trasporto pubblico e privato, sul quale dobbiamo fare uno sforzo enorme, perché solo dal settore della mobilità possiamo ottenere i risultati per rispettare gli accordi internazionali del Protocollo di Kyoto e sulla riduzione della CO2.
Non capisco perché - quindi da questo punto di vista sono non vicino, ma forse di più alla vostra posizione - oggi, con un limite di 130 chilometri all'ora nelle autostrade e di 50 chilometri all'ora nei centri storici, utilizziamo macchine che sono fuori legge e che consumano il doppio di quello che potrebbero consumare. Sarei addirittura dell'idea di imporre nel nostro Paese, con i problemi ambientali che abbiamo soprattutto in Val Padana, ma anche nelle nostre città, che da qui a cinque anni nei centri storici possano entrare solo macchine elettriche o ibride.
Non ho mai sentito dire dalla vostra parte politica, per esempio, che il nucleare è un'energia pulita da un punto di vista ambientale e lo è, se guardiamo al discorso della CO2. Se intervistate un cittadino francese, questo sa che il nucleare, da un punto di vista ambientale, è un'energia pulita.
Se leggo la vostra mozione punto per punto, non ho difficoltà a trovarmi d'accordo su molti di essi, ma tutto l'impianto, visto nel suo insieme, è invece lontanissimo dal mio modo di pensare, perché trasuda di una visione ideologica che non ci appartiene. Lo ripeto: noi siamo per un concreto governo dell'ambiente.
La sostenibilità ambientale deve andare di pari passo con la sostenibilità economica e sociale. Il nostro Governo, pur nelle difficoltà di un debito pubblico che consente pochi margini di manovra, ha saputo ampiamente dimostrare, anche in campo ambientale, il proprio impegno.
Basti pensare all'emergenza rifiuti in Campania (ecco cosa intendo per concreto governo dell'ambiente), ma anche all'attenzione posta per il miglioramento dell'efficienza ecologica in edilizia, nei trasporti e in agricoltura.
È di venerdì l'approvazione di un importante pacchetto di incentivi sui modelli ecologici di moto, auto ed elettrodomestici: è una battaglia che il nostro Ministro ha sostenuto e fatto propria.
Ritengo opportuno ricordare, in chiusura, per i distratti, che il Governo Berlusconi è in carica da nove mesi, in un periodo di grave crisi economica, con un debito pubblico che obbliga a scelte caute, razionali, concrete ed efficaci, anche in campo ambientale, e che non vi è spazio per illusioni e fantasie verdi di tipo ideologico.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Libè, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00119. Ne ha facoltà.

MAURO LIBÈ. Signor Presidente, volevo scusarmi: non so se è usuale o meno, ma volevo solo dire una parola di vicinanza del gruppo dell'UdC ad Eluana Englaro e, anche se non ne ho condiviso le scelte, alla famiglia, che credo abbia agito in buona fede e per il bene della propria figlia.Pag. 75
Per quanto riguarda la nostra mozione, ringrazio il signor Ministro della presenza e ringrazio lei, signor Presidente. Non sono ministro ombra di nessun Governo; facciamo la nostra opposizione senza medaglie.
Credo di rappresentare un gruppo che ha presentato una mozione che lavora sull'onda della consapevolezza che bisogna fare qualcosa per approcciarsi alla soluzione di temi che sono gravosi per la società, ma che vengono da più lontano di quello che qualcuno vuol farci credere, e di rappresentare la posizione di un partito che non è catastrofista, ma che crede che il buonsenso ci porti a dover riconsegnare un pianeta non dico in condizioni migliori, ma almeno nelle stesse condizioni nelle quali lo abbiamo trovato.
Dunque, è importante operare per quanto riguarda i risvolti economici ed ambientali, ma anche lavorare per spingere a un miglioramento del nostro stile di vita, perché, purtroppo, molte volte rischiamo, anche in buona fede (io per primo), di cadere nella demagogia ambientale che ci porta a dire che dobbiamo fare tutto, e alla fine risolviamo poco.
Se avete visto gli articoli degli ultimi giorni, credo (lo volevo dire in dichiarazione di voto, ma lo dico già oggi) che nessuno sia esente da responsabilità. Se pensate che negli ultimi mesi in regioni come la Puglia, la Basilicata, il Molise, governate da colori diversi nei vari tempi, vi è un «no» brutale all'eolico, non è che veniamo qui in Aula a fare della demagogia e a dire tutto quello che vorremmo fosse fatto, anche perché i nostri stili di vita sono cambiati notevolmente negli ultimi anni.
Vediamo il nostro modo di affrontare i problemi e i vizi, certe volte, di tutti i giorni; vediamo i nostri figli, i giovani che non possono più vivere senza una serie di strumenti che migliorano la vita, ma creano, sicuramente, anche problemi, e non dimentichiamo che stiamo vivendo, in questo momento, in un periodo di crisi per il quale - ognuno dà la sua interpretazione - mi pare che anche gli ottimisti non vedano una soluzione in tempi brevi.
Essendo io - me lo dico da solo - un ambientalista realista, non credo che le soluzioni anche dei milioni di posti di lavoro annunciate al di là dell'oceano possano risolvere il problema in tempi immediati.
Molte volte rischiamo infatti di far passare ai cittadini l'idea che questi interventi risolvano il problema in tempi immediati.
Abbiamo una dipendenza enorme dai combustibili fossili e in questo Paese ancora di più: arriviamo ad oltre l'80 per cento. Parliamoci chiaro, hanno governato in tanti, perché il piano energetico nazionale elaborato negli anni Sessanta da Donat Cattin è stato smontato dalla demenzialità di qualcuno che ha cavalcato un referendum demenziale; e quando dico «qualcuno» non mi rivolgo ad una parte politica in particolare, perché purtroppo sono stati tanti e di tutte le parti. Però il Paese oggi si trova in questa situazione, perché non ha affrontato con serietà e consapevolezza il problema del futuro.
Abbiamo parlato di nucleare: la Germania sta operando sulle fonti alternative in modo più avanzato del nostro, con una tecnologia all'avanguardia, perché a suo tempo ha utilizzato fonti tradizionali e fonti come il nucleare per produrre il risparmio da reinvestire nello sviluppo e nella ricerca in questi campi.
Abbiamo bisogno di andare oltre il nostro orticello: diciamo anche noi nella nostra mozione che bisogna coinvolgere i Paesi emergenti in questa battaglia, anche culturale. Però nella sostanza (me lo domando anch'io) sarà possibile? Come dobbiamo fare? Ci sarà il modo di chiedere una corresponsabilità vera, e non solo a parole? Perché guardo agli Stati Uniti con grande attenzione ed è un Paese che ammiro; però ad oggi, pur avendo grandi obiettivi, viaggiano ancora con la maggior parte del parco macchine di cilindrate sopra i 6 mila e che fa 3-4-5 chilometri con un litro. Non credo dunque che siamo rimasti proprio al palo.
Abbiamo tante, tantissime cose da fare; ciò che succede, anche in questi giorni leggendo i giornali, ci dimostra che non Pag. 76dobbiamo fermarci e che dobbiamo accelerare, ma dobbiamo essere consapevoli che non lo facciamo sull'onda di un catastrofismo demagogico, ma perché siamo persone responsabili che guardano allo sviluppo del Paese e al nostro futuro: altrimenti il rischio è di ritrovarci ancora, come spesso sta succedendo, a fare politica con gli slogan, con i manifesti, con tante dichiarazioni di intenti, ma i risultati non arrivano.
Abbiamo sostenuto - lo dico al Ministro - in vari passaggi il Governo sugli obiettivi realizzabili, e intendiamo sostenerlo ancora. Sulle necessità reali, abbiamo difeso il Ministro quando a livello comunitario ha posto dei paletti sull'applicazione del cosiddetto 20-20-20. Siamo d'accordo sull'introduzione della revisione nel 2014. L'importante è che tutto questo non diventi un alibi: dobbiamo essere stimolati come persone, non perché qualcun altro ce lo chiede.
Parlavamo di periodo di crisi e avete già detto cosa c'è da fare: c'è la necessità dell'infrastrutturazione energetica, dell'utilizzo delle nuove tecnologie e della ricerca. Cerco di andare veloce, vorrei arrivare velocissimamente anche al dispositivo. Tuttavia mi corre l'obbligo di ricordare, se qualcuno in Aula non l'ha notato, che il 5 febbraio la Svezia ha revocato la moratoria sul nucleare, dicendo che non si costruiscono nuove centrali e che, però, tutte le centrali che andranno ad esaurimento verranno rimpiazzate; in Svezia rimpiazzare le centrali nucleari vuol dire rimpiazzare il 50 per cento della produzione dell'energia elettrica.
Dico al Governo, perché glielo abbiamo già detto: noi lo abbiamo sostenuto, però o rimuoviamo certi paletti o anche il nucleare rimarrà quello slogan e quella bandiera della quale si parla; perché il processo decisionale (e lo vediamo già quando c'è da fare una breve tratta di alta velocità) è vincolato da - purtroppo, non so se questo è federalismo o meno - un intoppo continuo di tutti i giorni, non solo delle regioni ma anche dei singoli comuni, che chiedono contropartite che nulla hanno a che vedere con la difesa dell'ambiente.
Si è parlato, per esempio, del settore dell'edilizia. Sull'efficientamento energetico dobbiamo lavorare tantissimo, ancora di più, perché credo veramente che sia uno dei settori nei quali il Paese è rimasto più indietro. Non è rimasto indietro solo il privato - parliamoci chiaro - ma anche i Governi hanno fatto poco, perché il pubblico non si è ancora mosso in questo campo mentre in altri Paesi, ma anche in certi comuni del nostro Paese, i sindaci da soli hanno fatto qualcosa di diverso: hanno piazzato la pala eolica ed hanno assicurato con forme nuove elettricità al proprio comune, di fronte a tantissime difficoltà e nell'indifferenza totale di ciò che dovrebbe invece fare il Governo centrale. Ripeto: non è una questione di colore, ma proprio di cultura. Abbiamo necessità di cambiare - parlavo di cultura - anche nella gestione degli immobili pubblici. Sembra una banalità, una stupidata, ma bisogna imparare ad utilizzare la carta in fronte-retro e spegnere le luci quando usciamo: lo hanno detto in tanti e molte volte quando lo diciamo ci facciamo anche ridere dietro, ma molte volte parliamo della realtà concreta e poi diamo pochi esempi.
Nel nostro Paese abbiamo tantissimi istituti e aziende che hanno ancora la competenza per aiutarci e guidarci in una nuova rivoluzione verde, come viene chiamata in tanti altri Paesi. Abbiamo le competenze ma molte volte siamo qui a discutere e a litigare per chi deve presiedere, se tocca all'uno, all'altro o all'altro ancora (ed abbiamo visto cosa è successo nei vari enti con le gestioni commissariali di tutti questi anni).
Vi è dunque bisogno di dare segnali nuovi. Chiediamo al Governo una serie di impegni e credo che il Governo dovrebbe leggerli attentamente, perché il buonsenso porta a pensare che non possa essere espresso che un parere positivo su quanto chiediamo. Si è parlato di traffico: ad esempio, cosa serve al di là del dispositivo? Serve il coraggio della politica. È Pag. 77inutile che mi si venga a dire che dobbiamo vietare l'ingresso alle auto nei centri storici o nelle città; dobbiamo dare un servizio pubblico efficiente e poi bloccare l'ingresso delle auto nei centri storici!
Dobbiamo costruire gli impianti industriali - parlo anche dei termovalorizzatori e degli impianti di produzione di energia - dove l'energia serve, senza creare quella continua movimentazione che da una parte - e qui sono provocatorio davvero, ma ci credo - porta a fare una raccolta differenziata spinta, ma dall'altra fa sì che ogni giorno passano tre camion con tre operatori che consumano per tre mezzi e tutto il resto.
In Italia in poche città esistono - ciò avviene specialmente nella mia regione - i compattatori a scomparsa sotterranei che vengono svuotati una volta alla settimana, riducendo impatto, trasporto e tutto quello che ne consegue. Ho visto pochissimi interventi da parte del Governo per quanto riguarda la ricerca di queste piccole, nuove tecnologie che tante aziende nel nostro Paese stanno mettendo in atto.
Un'altro tema importante poi - e concludo, Signor Presidente - è anche il sostegno alla ricerca. Abbiamo bisogno di fare un monitoraggio perché ho l'impressione che molte volte non si sappia nemmeno quali sono gli effettivi programmi di ricerca che avvengono all'interno delle nostre università e delle sezioni distaccate del CNR: sono tantissimi - ne ho avuto esperienza - finanziati quasi esclusivamente da piccole e medie imprese del nostro Paese. La ricerca sul fotovoltaico non la fanno solo le grandi aziende, ma la fanno in tanti. Cerchiamo allora di spingere su questo, perché non sono i CIP6 che servono a sviluppare questo Paese e a dare gli incentivi che occorrono, bensì le soluzioni sono altre.
Parlavamo di coraggio, parlavamo di capacità di decidere, parlavamo e parliamo di coinvolgimento della popolazione, perché le scelte vanno fatte, ma la popolazione va coinvolta, non per ideologizzarla pro o contro alcune opere, grandi opere o iniziative di industrie energetiche. Bisogna spiegare chiaramente e lasciare la libertà e la capacità di scegliere, ma se la politica avrà la capacità di guidare sono convinto che anche i cittadini avranno la capacità e il buonsenso di seguire.
Purtroppo, noi dobbiamo dare un segnale prima di tutto da casa nostra, prima di tutto da questo Parlamento, perché abbiamo l'obbligo di dimostrare che lo sviluppo del Paese e le grandi opere li vogliamo discutere insieme, e poi abbiamo l'obiettivo di farli. Purtroppo, l'impressione che hanno i cittadini (e se glielo chiederete ne avrete la conferma) è che alla fine ogni zeppa, ogni intoppo servono a non realizzare niente, anzi certe volte i cittadini hanno anche il cattivo pensiero - spero non vero - che prolungare la decisione porti a far guadagnare di più qualcun altro. Noi non ci poniamo sicuramente su questa strada. Abbiamo sostenuto il Governo quando ha optato per il nucleare, e sosterremo il Ministro Scajola abbandonato dal suo Governo nel momento in cui vuole decidere di utilizzare il metano nell'alto Adriatico. Infatti è facile parlare, ma quando si tratta di operare molte volte la gente viene lasciata da sola.
Vorrei aggiungere una cosa sola. Qui qualcuno ha citato il Governo inglese. Pochi giorni fa, il più eminente consulente del Governo inglese ha detto che la lotta al cambiamento climatico si realizza anche riducendo le nascite; ogni famiglia può avere al massimo un figlio. Chi ha citato il Governo britannico dovrebbe andare a leggere la notizia, perché si tratta di un fatto aberrante. Noi siamo per lo sviluppo. Siamo per far nascere tanti bambini e per consentire loro di avere un mondo migliore nel futuro.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Alessandri. Ne ha facoltà.

ANGELO ALESSANDRI. Signor Presidente, come presidente della Commissione ambiente avrei voluto dire diverse cose. Innanzitutto le mozioni «alla fine della fiera» si somigliano tutte e quattro. Diciamo tutti le stesse cose. Abbiamo tutti le stesse finalità e mi sento di parlare anche a nome del Governo, perché il confronto Pag. 78è quotidiano, e anche l'Esecutivo ha le stesse finalità.
Signor Presidente, faccio un po' fatica perché credo che stasera passi tutto in secondo piano, considerato quello che è avvenuto. In questi giorni un po' tutti i parlamentari, anche in rappresentanza di tutti i cittadini italiani, si sono interrogati sulla vicenda Englaro, e vi è stata la crisi di coscienza di ognuno di noi, e ci siamo interrogati, posti delle domande, confrontati. Diventa difficile parlare del merito di questi argomenti approfonditamente perché credo che stasera forse fosse giusto continuare o forse sospendere, perché in casi simili è necessario un attimo di riflessione.
Per questo non entro nel merito dei vari punti. Mi limito a dire due o tre cose che per me sono necessarie. Devo dare una «stilettatina» - richiamando il collega Libè - dicendo che neanche io sono ministro ombra (tanto meno ministro della Padania) però mi rivolgo al collega Margiotta. C'è una frase di Bernard Shaw che in questo caso calza a pennello: «colui che può fa, colui che non può insegna». Un po' la logica è questa. Buttiamo lì tutta una serie di cosette: può dirsi ad esempio che non dovremmo utilizzare l'acqua nello scarico del water, perché nell'ossigenarla di fatto consumiamo energia elettrica, e non ha senso perché dovremmo cercare di usare acqua sporca; non dovremmo buttare il cotton fioc nel water. Mi chiedo: è corretto inserire tutti questi aspetti in una mozione politica?
Il problema è che abbiamo quattro mozioni che dicono tutte la stessa cosa: dobbiamo rispettare gli impegni presi (il 20-20-20 più 10 è fondamentale), il Governo ha garantito il perseguimento di questi obiettivi e dobbiamo farlo in modo che non sia in contrasto con lo sviluppo, considerata la crisi dell'economia del nostro Paese. È un obiettivo che tutti dobbiamo perseguire. Non c'è bisogno di ribadirlo in una mozione. Ne siamo tutti consapevoli e abbiamo intenzione di farlo.
Vogliamo davvero rilanciare il mercato. Ricordiamoci che l'Europa ha investito 200 miliardi in questa crisi, 170 dei singoli Paesi, 30 della Commissione per il medio-breve periodo. Per il medio-lungo periodo vi sono una serie di interventi «a tavola», come vengono chiamati, che verranno attivati e sono già in essere per cui non c'è necessità di ribadirli in una mozione.
Vi è necessità, invece, di ribadire che questo è un Paese - su questo raccolgo l'invito della mozione Realacci ed altri n. 1-00110 - che ha bisogno di crederci perché, se non ci credi, le cose non le fai. Piuttosto che fare una lista che rischia di diventare un programma di Governo, onorevole Margiotta, perché a quel punto un Governo non può approvare una lista della spesa di questo tipo dato che sono state inserite cento cose ma ne mancano altre cento cose, dovremmo cercare di offrire una sintesi importante di queste proposte che tutti condividiamo. Infatti, ritengo diventerebbe difficile votare le mozioni per parti separate perché non avrebbe senso, ma è preferibile cercare una sintesi nei prossimi giorni, in attesa di arrivare in aula con la mozione e compiere una sintesi che ci rappresenti tutti. Il messaggio da dare al Paese nel momento di crisi è che in questi obiettivi ci crediamo tutti, tutti li vogliamo perseguire e, insieme, vogliamo inviare un messaggio di fiducia al Paese. Anche certi affermazioni che ho sentito prima, con toni allarmistici, non fanno bene in questo senso.
Ritengo che una vera strada da seguire sia pensare al dissesto idrogeologico del Paese perché prevenire è sempre meglio che curare. È inutile che ci raccontiamo storie: se spendi un miliardo di euro per sistemare frane e il dissesto di questo Paese, non devi spenderne 10 o 20 l'anno dopo per riuscire a metterci le pezze quando il disastro è successo.
L'edilizia scolastica è un altro di quei settori su cui si può intervenire e credo che insieme all'auto - di cui molto è stato detto - un altro settore in crisi sia quello dell'edilizia. Ritengo che sarebbe utile inviare un messaggio nel senso di voler incentivare il mercato dell'edilizia ma edilizia di qualità, a risparmio energetico, con materiali di qualità: badate che è tutto know-how italiano per cui si andrebbero Pag. 79ad incentivare le nostre aziende con l'autosufficienza energetica, ad esempio con l'energia eolica. Cominciamo noi a costruire l'eolico, a costruire il fotovoltaico, a incrementare le biomasse, altrimenti rischiamo che con la voce tre della bolletta andiamo sempre a finanziare aziende straniere con i soldi degli italiani.
Cominciamo per davvero a darci da fare: i ricercatori ci sono. Abbiamo fior fiore di ricercatori che sono divisi in troppi enti di ricerca e spesso non si parlano l'uno con l'altro, non fanno squadra e non fanno sistema. Questa è un'operazione che potremmo fare insieme e, a quel punto, far partire un mercato. Si pensi alla domotica, grande know-how italiano che sfrutta al massimo gli utilizzi energetici e funzionali all'interno dell'abitazione. Allora prevediamo sgravi fiscali per chi costruisce con queste caratteristiche, ad esempio. Potrebbe essere un segnale importante. Riguardo agli sgravi fiscali del 55 per cento, il problema è che ci hanno creduto moltissime persone e ci siamo trovati con mancanza di copertura ma è positivo che la gente ci abbia creduto, che abbiano sostituito le caldaie e abbiano installato i pannelli fotovoltaici e abbiano investito nel cambio dei serramenti per il risparmio energetico.
In questo senso abbiamo la possibilità di dare volano a un settore che con l'indotto riguarda quasi tutto il Paese perché alla fine si va a toccare tutto, dal metalmeccanico alle ceramiche, tutti i settori e i comparti di questo Paese e si fa qualcosa di utile in questo momento di crisi.
L'impegno che dobbiamo prendere questa sera è il seguente: se siamo d'accordo, ci mettiamo seduti ad un tavolo tutti quanti e, la prossima volta, quando verrà calendarizzato il seguito dell'esame delle mozioni, il Parlamento si dovrà pronunciare con un messaggio serio, di fiducia e soprattutto di aiuto concreto e di attenzione a tutto il nostro comparto considerando anche, come diceva giustamente l'onorevole Piffari, che grazie agli ammortizzatori sociali, non è ancora emerso quanto stia andando male. Proprio per questo abbiamo bisogno di farlo andare bene, credendoci noi per primi. Se siamo catastrofici, siamo i primi a non dare fiducia alla nostra gente, ai nostri lavoratori e alle nostre imprese.
Mi prendo l'impegno di fare un po' da tramite tra tutti i gruppi e mi auguro di riuscire a fare questo lavoro e di riuscire a portare in maniera unitaria una mozione parlamentare che dice agli italiani: c'è un ambiente da salvare; siamo qua con voi per cercare di farlo. C'è un mercato da rilanciare; siamo qua con voi per cercare di farlo. C'è da restituire ai nostri figli e ai nostri nipoti quello che abbiamo ereditato dai nostri padri e dai nostri nonni con la consapevolezza che quello che abbiamo distrutto prima, non dobbiamo continuare a distruggerlo, ma va salvaguardato. E tutto questo rientra nell'intero pacchetto della sintesi delle quattro mozioni.

PRESIDENTE. Onorevole Alessandri, anch'io mi sono interrogato sull'opportunità di sospendere i lavori quando è arrivata la notizia della morte di Eluana Englaro, ma dopo tante parole non sempre meditate e dopo tanto scontro su questa vicenda, ho creduto che il modo migliore di esprimere l'amarezza nel cuore fosse fare fino in fondo il proprio dovere.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.
Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
A questo punto sospendo la seduta, perché non siamo ancora in grado di dare lettura dell'ordine del giorno di domani.
Sospendo la seduta che riprenderà, mi auguro, entro pochi minuti.

La seduta, sospesa alle 21,05, è ripresa alle 22,03.

Sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Comunico che, a seguito degli esiti della Conferenza dei presidenti Pag. 80di gruppo del Senato, la Camera è convocata per domani, martedì 10 febbraio, alle ore 10, con all'ordine del giorno comunicazioni del Presidente. La Conferenza dei presidenti di gruppo della Camera è stata convocata per domani, alle ore 9.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 10 febbraio 2009, alle 10:

Comunicazioni del Presidente.

La seduta termina alle 22,05.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO SUL DISEGNO DI LEGGE N. 2031-A

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO, Relatore per la I Commissione. L'articolo 5 - che il Senato, nel corso dell'esame in prima lettura, ha in più punti modificato e integrato - delinea i princìpi e criteri direttivi per l'esercizio della delega nella materia della dirigenza pubblica, stabilendo gli obiettivi di una migliore organizzazione del lavoro, del progressivo miglioramento della qualità delle prestazioni erogate al pubblico, della realizzazione di adeguati livelli di produttività del lavoro pubblico e del riconoscimento dei meriti e del sanzionamento dei demeriti dei dirigenti.
A questi fini si prevede il ricorso «anche» ai criteri di gestione e di valutazione del settore privato e la ridefinizione dell'ambito di applicazione delle norme in materia di indirizzo politico-amministrativo con riguardo all'assegnazione degli incarichi dirigenziali. A questo proposito il Senato ha inteso precisare che il rapporto tra organi di vertice e dirigenti titolari di incarichi apicali dovrà essere regolato in modo da «garantire la piena e coerente attuazione dell'indirizzo politico degli organi di governo in ambito amministrativo».
Quanto al dettaglio dei princìpi e criteri direttivi in materia di dirigenza, il provvedimento si propone innanzitutto di assicurare al dirigente la piena autonomia - e la corrispondente responsabilità - nella gestione delle risorse umane di sua competenza, riconoscendogli la qualità di «datore di lavoro pubblico».
È pertanto prevista una specifica responsabilità del dirigente per omessa vigilanza sull'effettiva produttività delle risorse umane e sulla conseguente inefficienza della struttura amministrativa, il cui accertamento comporterà la mancata corresponsione al dirigente stesso del trattamento economico accessorio.
Sono previste misure atte a far sì che l'azione disciplinare nei confronti di un dipendente non resti ipotesi puramente astratta. A tal fine viene stabilita, tra l'altro, una precisa responsabilità del dirigente in caso di omessa o tardiva attivazione del procedimento.
È poi prevista la revisione delle modalità di accesso alla prima fascia della dirigenza. Innanzitutto, a una quota percentuale dei posti disponibili si accederà per concorso pubblico. Era stato inoltre previsto che per l'accesso alla prima fascia fosse necessario aver svolto un periodo di formazione all'estero per almeno quattro mesi, ma la Commissione bilancio ha posto come condizione per il parere favorevole, tra l'altro, la soppressione della disposizione in questione, e i relatori l'hanno recepita mediante un proprio emendamento che è stato approvato.
Quanto al conferimento e alla revoca degli incarichi dirigenziali, si stabilisce che questi dovranno essere ispirati a criteri di trasparenza e pubblicità. La disciplina in materia dovrà inoltre rispettare i princìpi desumibili dalla giurisprudenza costituzionale e delle giurisdizioni superiori. Si prevede comunque l'esclusione dalla conferma dell'incarico dirigenziale in caso di Pag. 81mancato raggiungimento dei risultati, la cui valutazione deve essere operata in base a criteri ed obiettivi indicati al momento del conferimento dell'incarico.
È inoltre prevista la revisione della disciplina sul conferimento degli incarichi a soggetti «esterni» e la limitazione del ricorso a tali incarichi.
Sono poi previste misure per rendere più stringente il rapporto fra la valutazione del dirigente, con particolare riguardo alla capacità di raggiungimento degli obiettivi, e la corresponsione al medesimo del trattamento economico accessorio. Si prevede, in particolare, la valorizzazione delle eccellenze e quindi l'erogazione del trattamento accessorio a un numero limitato di dirigenti sulla base dei risultati effettivamente ottenuti. Il Senato ha precisato che la retribuzione legata al risultato non possa risultare inferiore, per i dirigenti, al 30 per cento della retribuzione complessiva. Su questo punto è peraltro intervenuta una condizione della Commissione bilancio, recepita dalle Commissioni, volta a precisare che dalla disposizione non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica: proprio a tal fine, è stato precisato, sempre su indicazione della Commissione bilancio, che l'elevazione della componente di risultato al trenta per cento della retribuzione deve considerarsi non un fatto immediato ma un obiettivo da raggiungere nel medio periodo.
E previsto inoltre il divieto di corrispondere l'indennità di risultato ai dirigenti nel caso in cui le amministrazioni di appartenenza, decorso il periodo transitorio che dovrà essere fissato dai decreti legislativi, non abbiano adottato nuovi sistemi di valutazione dei risultati coerenti con i princìpi recati dalla riforma.
Si prevede - ancora - la revisione della disciplina delle incompatibilità per i dirigenti pubblici e il rafforzamento della loro autonomia sia rispetto alle organizzazioni rappresentative dei lavoratori, sia rispetto all'autorità politica.
Si intende poi incentivare e valorizzare la mobilità nazionale e internazionale dei dirigenti delle pubbliche amministrazioni, nonché la loro mobilità professionale ed intercompartimentale, con particolare riguardo al personale appartenente a ruoli che presentano esuberi.
Va infine ricordato, per quanto riguarda l'articolo 5, il comma 3, introdotto nel corso dell'esame al Senato. Si tratta di una disposizione che non attiene alla delega in materia di lavoro pubblico, ma è volta a includere i «primari ospedalieri» tra i soggetti esclusi dall'ambito di applicazione della disciplina prevista dal decreto-legge n. 112 del 2008, che attribuisce alle amministrazioni, salve alcune eccezioni, la facoltà di risolvere il rapporto di lavoro del personale dipendente con almeno 40 anni di anzianità contributiva. Su tale disposizione è intervenuto un emendamento dei relatori nelle Commissioni volto ad aggiornare alla normativa vigente l'obsoleto riferimento ai «primari ospedalieri», che, sotto questo nome, non esistono più, almeno giuridicamente.
Dell'articolo 6 ha già parlato il relatore per la XI Commissione, l'onorevole Scandroglio.
L'articolo 7 reca una norma di interpretazione autentica in materia di vicedirigenza, ai sensi della quale l'articolo 17-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001 si interpreta nel senso che la vicedirigenza può essere istituita esclusivamente nell'ambito della contrattazione collettiva nazionale del comparto di riferimento e che, pertanto, il personale in possesso dei requisiti previsti per l'accesso alla vicedirigenza può essere destinatario di quella disciplina soltanto a seguito della sua istituzione da parte della contrattazione collettiva.
L'articolo 8, introdotto nel corso dell'esame da parte del Senato, attribuisce alcune nuove competenze al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, concernenti in particolare lo studio e la valutazione della qualità dei servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni. Sull'articolo è intervenuto un emendamento della Commissione bilancio, recepito dai relatori e approvato dalle Commissioni di merito, Pag. 82volto a salvaguardare il bilancio pubblico dal rischio di aggravi di spesa conseguenti alla norma.
L'articolo 8-bis, inserito dalle Commissioni I e XI nel corso dell'esame in sede referente, reca disposizioni volte a rafforzare l'autonomia e ad accrescere le capacità di analisi conoscitiva e valutativa dei servizi per il controllo interno, nonché a specificare meglio il contenuto delle relazioni che, ai sensi della legge finanziaria per il 2008, i Ministeri sono tenuti a presentare al Parlamento su - tra l'altro - lo stato di attuazione delle direttive ministeriali che definiscono la programmazione e la definizione degli obiettivi delle unità dirigenziali di primo livello e sugli adeguamenti normativi e amministrativi ritenuti opportuni in vista della razionalizzazione delle strutture e delle funzioni amministrative, anche in relazione alla nuova struttura del bilancio per missioni e per programmi.
L'articolo 9, introdotto nel corso dell'esame da parte del Senato, interviene sull'organizzazione e il funzionamento della Corte dei conti.
In particolare, viene introdotta una nuova tipologia di controllo di gestione, avente per oggetto le gestioni pubbliche in corso di svolgimento, sia dello Stato, sia delle regioni e degli enti locali. Vengono inoltre rafforzati i poteri del Presidente della Corte e vengono modificate la composizione e l'organizzazione del Consiglio di presidenza della Corte stessa.
Quanto al nuovo controllo di gestione, esso rappresenta una forte innovazione sia per quanto riguarda l'oggetto - che viene ampliato a comprendere tutta l'attività gestoria delle amministrazioni pubbliche, anche quella che non ha ricadute immediate sul bilancio o sul patrimonio - sia per quanto riguarda i contenuti. La Corte è infatti chiamata a valutare l'adeguatezza delle gestioni pubbliche in corso di svolgimento, per cui il suo controllo dovrà riguardare - oltre che i risultati finali della gestione, come già oggi previsto dalla legge - anche gli atti e le attività predisposti dalle amministrazioni per il perseguimento degli obiettivi loro assegnati.
Quanto alle conseguenze della nuova forma di controllo, si prevede che, nei casi più gravi - quelli in cui siano accertate «gravi irregolarità gestionali» o «gravi deviazioni da obiettivi, procedure o tempi di attuazione», tali da pregiudicare il conseguimento degli obiettivi previsti da norme nazionali o comunitarie o da direttive governative - la Corte individui le cause della cattiva gestione e ne informi il ministro competente, il quale può disporre la sospensione dell'impegno delle somme stanziate sui relativi capitoli di spesa.
Quando invece la Corte riscontri «rilevanti ritardi» nella realizzazione di piani e programmi, nell'erogazione di contributi o nel trasferimento di fondi, ne individua le cause e ne informa il ministro, il quale può o adottare entro sessanta giorni i provvedimenti idonei a rimuovere gli impedimenti ovvero non dare seguito ai rilievi della Corte, nel qual caso è però tenuto a comunicarne le ragioni al Parlamento e alla Corte stessa. Il termine dei 60 giorni può peraltro essere sospeso per il tempo necessario.
Tale nuova forma di controllo in corso di gestione è estesa anche alle amministrazioni regionali e locali. Essa spetta in questo caso alle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti. L'oggetto del controllo e le procedure sono analoghe a quelle previste per le amministrazioni statali con la differenza che le funzioni del ministro sono attribuite agli organi di governo sul territorio e che le comunicazioni non sono rese al Parlamento, bensì alle rispettive assemblee elettive: ossia consigli regionali, provinciali e comunali.
Viene poi ridefinita la procedura di presentazione al Parlamento della relazione prevista dalla legge finanziaria 2008 sull'adozione delle misure di riorganizzazione degli uffici della Corte dei conti previste da quella legge: riorganizzazione finalizzata ad assicurare il coordinamento tra le funzioni già svolte dalla Corte e le nuove funzioni in materia di controlli ad essa attribuite dalla medesima legge finanziaria per il 2008.Pag. 83
Ancora, vengono affidati al Presidente della Corte dei conti nuovi poteri e funzioni.
Innanzitutto si trasferisce dal Consiglio di presidenza, cui è attualmente attribuito, al Presidente della Corte dei conti il potere di autorizzare e revocare gli incarichi extra-istituzionali dei magistrati della Corte.
Si affida poi al Presidente della Corte il potere di avanzare proposte di riforme legislative e regolamentari in materia di finanza pubblica ai sensi del testo unico sulla Corte dei conti: potere che, attualmente, spetta alle sezioni riunite della Corte.
Viene attribuito al Presidente della Corte il compito - che attualmente è di competenza del Consiglio di presidenza - di determinare la «composizione nominativa» e le competenze delle sezioni riunite «in ogni funzione ad esse attribuita». Vengono in tal modo estese al Presidente della Corte dei conti prerogative già attribuite al Presidente del Consiglio di Stato con il decreto-legge n. 112 del 2008.
Al Presidente della Corte, inoltre, vengono attribuiti rilevanti compiti in sede di formazione dell'ordine del giorno del Consiglio di presidenza.
L'articolo interviene anche sul Consiglio di presidenza, l'organo di autogoverno della Corte dei conti, che ha, tra gli altri, il compito di decidere in materia di questioni disciplinari dei magistrati della Corte.
Viene ridotto il numero dei membri del Consiglio, che passano da 17 a 11: in particolare - fermo restando il numero dei membri di diritto (che sono 3) e dei membri laici (che sono 4) - vengono ridotti da 10 a 4 i rappresentanti della magistratura contabile.
Per quanto riguarda i quattro membri laici, il testo del Senato li individuava in quattro «rappresentanti del Parlamento nominati dai Presidenti delle Camere ai sensi dell'articolo 10, comma 2, lettera d), della legge 13 aprile 1988, n. 117. Sul punto è però intervenuto il Comitato per la legislazione, che nel suo parere ha segnalato come tale disposizione fosse superata, essendo stata tacitamente abrogata dall'articolo 18, commi 1 e 3, della legge 21 luglio 2000, n. 205, la quale prevede che i quattro membri laici del Consiglio di presidenza della Corte dei conti siano quattro cittadini eletti dal Parlamento e scelti tra i professori ordinari di università in materie giuridiche o gli avvocati con venti anni di esercizio professionale: per la precisione due eletti dalla Camera e due dal Senato a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti. I relatori hanno naturalmente presentato un emendamento volto a correggere il riferimento normativo e le Commissioni l'hanno approvato.
Il provvedimento non si limita a modificare la composizione del Consiglio di presidenza, ma ne integra la disciplina.
In sintesi si stabilisce che alle riunioni del Consiglio di presidenza, partecipino anche il Segretario generale della Corte e il magistrato con funzioni di capo di gabinetto della Presidenza, i quali però hanno diritto di voto solamente se nominati relatori per l'affare in discussione. Con un emendamento approvato dalle Commissioni I e XI qui alla Camera è stato precisato che questa norma non si applica però nei casi in cui le sedute del Consiglio siano in sede disciplinare.
L'articolo 9 stabilisce inoltre che al Presidente della Corte spettano »funzioni di iniziativa nel sottoporre al Consiglio gli affari da trattare« nonché il potere di sottoporre le questioni direttamente al plenum del Consiglio oppure di assegnarle preventivamente ad una commissione per la fase istruttoria. Le Commissioni I e XI, in sede referente, hanno precisato che restano ferme »la promozione dell'azione disciplinare da parte del procuratore generale e la relativa procedura".
Ancora, si prevede che il Presidente della Corte dei conti adotti indicatori e strumenti di monitoraggio per misurare i livelli delle prestazioni lavorative dei magistrati.
Si prevede inoltre che il Presidente della Corte e i componenti del Consiglio rispondano per i danni causati nell'esercizioPag. 84 delle proprie funzioni unicamente nei casi di dolo o colpa grave.
L'articolo 9, ancora, chiarisce che le norme di delega contenute negli articoli precedenti e costituenti la parte principale del provvedimento in discussione non si applicano alla Corte dei conti, che continua, pertanto, ad essere disciplinata dalla normativa vigente. Anche i magistrati contabili, quindi, come i magistrati ordinari e amministrativi, fanno parte del personale in regime di diritto pubblico il cui rapporto di impiego è sottratto al regime generale dell'impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, ed è regolato da un ordinamento a parte.
Non è più previsto, invece - a seguito della soppressione, da parte delle Commissioni I e XI qui alla Camera, del comma 7 dell'articolo 9 - né che le disposizioni testé illustrate sulla Corte dei conti entrino in vigore il 1o gennaio 2009, né che sia abrogato l'articolo 10 della legge n. 117 del 1988, che costituisce la principale fonte di disciplina del Consiglio di presidenza.
Infine, una norma di chiusura affida al Presidente della Corte ogni altra funzione che la legge non attribuisca espressamente ad altro organo (collegiale o monocratico) della Corte.

Pag. 85

ORGANIZZAZIONE DEI TEMPI DI ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE SULLE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI ALIMENTAZIONE ED IDRATAZIONE

Ddl S. 1369 - Disposizioni in materia di alimentazione ed idratazione

Tempo complessivo: 15 ore, di cui:

  • discussione generale: 10 ore;
  • seguito dell'esame: 5 ore.
Discussione generale Seguito esame
Relatore 30 minuti 20 minuti
Governo 30 minuti 20 minuti
Richiami al Regolamento 15 minuti 10 minuti
Tempi tecnici 20 minuti
Interventi a titolo personale 1 ora e 38 minuti (con il limite massimo di 15 minuti per ciascun deputato) 43 minuti (con il limite massimo di 6 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato)
Gruppi 7 ore e 7 minuti 3 ore e 7 minuti
Popolo della Libertà 2 ore e 7 minuti 52 minuti
Partito Democratico 2 ore e 10 minuti 53 minuti
Lega Nord Padania 52 minuti 26 minuti
Unione di Centro 46 minuti 22 minuti
Italia dei Valori 42 minuti 21 minuti
Misto: 30 minuti 13 minuti
Movimento per l'Autonomia 16 minuti 7 minuti
Liberal Democratici - Repubblicani 8 minuti 3 minuti
Minoranze linguistiche 6 minuti 3 minuti