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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 112 di lunedì 12 gennaio 2009

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE

La seduta comincia alle 15,10.

ANGELO SALVATORE LOMBARDO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 7 gennaio 2009.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Buonfiglio, Carfagna, Casero, Cicchitto, Colucci, Cossiga, Cota, Craxi, Crimi, Crosetto, Fitto, Gregorio Fontana, Gelmini, Gibelli, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Miccichè, Mura, Prestigiacomo, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Soro, Stefani, Tremonti, Urso, Vegas e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Annunzio di petizioni (ore 15,12).

PRESIDENTE. Invito l'onorevole segretario a dare lettura delle petizioni pervenute alla Presidenza, che saranno trasmesse alle sottoindicate Commissioni.

ANGELO SALVATORE LOMBARDO, Segretario, legge:
ROBERTO GIACOMELLI, da Quarrata (Pistoia), e altri cittadini chiedono la riapertura dei termini per la presentazione delle richieste di indennizzo per danni da vaccinazioni ed emotrasfusioni e il riconoscimento del diritto di preferenza nei concorsi pubblici a favore dei parenti dei danneggiati (542) - alla XII Commissione (Affari sociali);
MORENO SGARALLINO, da Terracina (Latina), chiede:
interventi per garantire la trasparenza dei bilanci delle organizzazioni sindacali (543) - alla XI Commissione (Lavoro);
nuove norme in materia di interruzione volontaria della gravidanza (544) - alle Commissioni riunite II (Giustizia) e XII (Affari sociali);
nuove norme in materia di uso a fini privati, da parte dei dipendenti, degli strumenti di comunicazione aziendali (545) - alla XI Commissione (Lavoro);
l'abolizione delle province, salvo che per le maggiori aree metropolitane (546) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
MATTEO LA CARA, da Vercelli, chiede:
l'ampliamento del campo di applicazione della social card e del bonus fiscale (547) - alle Commissioni riunite V (Bilancio) e VI (Finanze);
l'istituzione del Ministero per gli italiani nel mondo (548) - alla I Commissione (Affari costituzionali);Pag. 2
l'istituzione di una giornata in memoria degli emigrati italiani deceduti sul lavoro all'estero (549) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
STEFANO PAOLI e DORINA GRECU, da Firenze, chiedono l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno dell'assunzione nel pubblico impiego di soggetti condannati in via definitiva (550) - alla XI Commissione (Lavoro);
PAOLO ALBERTO PAOLI, da Prato, chiede misure fiscali per tutelare i redditi da lavoro (551) - alla VI Commissione (Finanze);
FRANCESCO PASQUALI, da Roma, e numerosissimi altri cittadini, chiedono la prosecuzione dell'azione del Governo volta alla riforma della scuola e dell'università ed esprimono la necessità di conciliare la libertà di manifestazione e la libertà di studio (552) - alla VII Commissione (Cultura);
SALVATORE GERMINARA, da Pistoia, chiede:
l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul funzionamento del sistema giudiziario (553) - alla II Commissione (Giustizia);
la creazione di un giornale quotidiano pubblico, interamente finanziato dallo Stato (554) - alla VII Commissione (Cultura);
l'introduzione della possibilità, per la parte offesa, di impugnazione, appello e ricorso in Cassazione in relazione ai provvedimenti di archiviazione delle notizie di reato (555) - alla II Commissione (Giustizia);
modifiche alle norme che regolano i termini, le procedure e i controlli concernenti l'archiviazione delle notizie di reato (556) - alla II Commissione (Giustizia);
ALDO COPPOLA, da Genova, chiede:
nuove norme in materia di organizzazioni sindacali, con l'abolizione di ogni sovvenzione pubblica, e di modalità di esercizio del diritto di sciopero (557) - alla XI Commissione (Lavoro);
interventi per il recupero al demanio degli edifici e terreni occupati dai cosiddetti «centri sociali» (558) - alla VI Commissione (Finanze).

In morte dell'onorevole Flavio Orlandi.

PRESIDENTE. Comunico che è deceduto l'onorevole Flavio Orlandi, già membro della Camera dei deputati dalla III alla VI legislatura.
La Presidenza della Camera ha già fatto pervenire ai familiari le espressioni della più sentita partecipazione al loro dolore, che desidera ora rinnovare anche a nome dell'Assemblea.

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, recante misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale (A.C. 1972-A) (ore 15,15).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, recante misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale.
Prima di passare alla discussione sulle linee generali do la parola al relatore per la V Commissione, onorevole Corsaro, che l'ha chiesta per un'importante precisazione sul testo.

MASSIMO ENRICO CORSARO, Relatore per la V Commissione. Signor Presidente, intendo dare lettura di due correzioni, che si sono rese necessarie nell'ambito del coordinamento del testo relativamente a due errori materiali.Pag. 3
Il testo n. 1972-A, infatti, contiene due errori rispetto ai quali si rendono necessarie le seguenti correzioni di testo.
A pagina 78, ventitreesima e ventiquattresima riga, e a pagina 299, sesta riga, all'articolo 35, comma 1, del decreto-legge, nel testo modificato dalle Commissioni, le parole: «dall'articolo 2, commi 4 e 5-bis, dall'articolo 2-bis» devono intendersi sostituite dalle seguenti: «dall'articolo 2, commi 4 e 5-ter, dall'articolo 2-ter».
Si tratta della correzione di un errore derivante dalla rinumerazione dei commi e degli articoli in conseguenza dell'approvazione di più proposte emendative che aggiungevano commi ad articoli aggiuntivi alle medesime disposizioni del testo. La modifica proposta consente di riferire la copertura finanziaria a spese che devono essere effettivamente coperte con le maggiori entrate o le minori spese derivanti dall'applicazione del decreto-legge.
A pagina 213, quarta riga, all'articolo 19, comma 16, del decreto-legge, nel testo modificato dalle Commissioni, le parole: «16. Identico» devono intendersi sostituite dalle seguenti: «16. Per l'anno 2009, il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali assegna alla società Italia Lavoro Spa 13 milioni di euro quale contributo agli oneri di funzionamento e ai costi generali di struttura. A tale onere si provvede a carico del Fondo per l'occupazione.».
Nel testo del decreto-legge lo stanziamento disposto a favore di Italia Lavoro Spa è stabilito in 14 milioni di euro; la sua riduzione deriva dall'approvazione dell'emendamento 19.91, con finalità di copertura di una spesa pari a un milione di euro. Peraltro la modifica alla disposizione del comma 16 dell'articolo 19 è correttamente riportata a pagina 61 del testo A nell'allegato delle modificazioni apportate dalle Commissioni.
Pertanto, i entrambi i casi il carattere di correzione di errori materiali di quanto sopra risulta evidente.

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Corsaro. Le correzioni da lei riferite sono contenute nell'errata corrige che è a disposizione dei parlamentari e che è parte integrante del testo.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1972-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari dell'Italia dei Valori, dell'Unione di Centro e del Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che le Commissioni V (Bilancio) e VI (Finanze) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
Il relatore per la V Commissione, onorevole Corsaro, ha facoltà di svolgere la relazione.

MASSIMO ENRICO CORSARO, Relatore per la V Commissione. Signor Presidente, il decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, di cui oggi inizia in Aula la discussione per la conversione in legge, è un decreto che interviene sulla situazione di particolare crisi economica e finanziaria internazionale che ha colpito, e non potrebbe essere altrimenti, anche il nostro Paese, ma è anche - ci piace sottolinearlo sin dall'avvio dei lavori in questa Camera - uno dei numerosi interventi in materia di risanamento della finanza pubblica, di agevolazione alla competitività delle imprese e di aiuto alle famiglie, che in questa legislatura hanno avuto avvio con l'approvazione del decreto-legge n. 112 del 2008, la cosiddetta manovra estiva, che pianificava in tre anni interventi per 36 miliardi di euro per arrivare all'ottenimento del pareggio di bilancio entro il 2011, cioè entro il corso di questa legislatura, prevedendo quindi che già nel corso di essa il saldo primario di bilancio dello Stato possa consentire un'inversione di tendenza nella continua crescita del debito pubblico.
Tali interventi sono poi proseguiti con l'approvazione della legge finanziaria e con l'approvazione dei collegati sull'economia Pag. 4privata, che - voglio ricordare - hanno riguardato l'energia nucleare, il processo civile, la sburocratizzazione della macchina dello Stato, gli interventi a garanzia della capacità di sostenere il credito da parte del sistema bancario. Questo intervento (ho voluto precisarne la consequenzialità rispetto a quelli che l'hanno preceduto) è, viceversa, un intervento che riteniamo aggiuntivo a fronte di una manifestata capacità del Governo nazionale di anticipare molte delle risposte che la crisi internazionale richiedeva, e che probabilmente in altri Paesi comunitari sono state assunte in ritardo rispetto alla formulazione tanto del decreto-legge n. 112 del 2008 quanto della manovra finanziaria dello Stato, il cui obiettivo di mettere in sicurezza la stabilità dei conti pubblici, per le dimensioni dell'indebitamento dello Stato italiano, assume carattere di evidente priorità.
Era infatti impensabile che un provvedimento come quello di cui stiamo trattando potesse prescindere dalla specificità dello Stato italiano, che ha un livello di indebitamento non paragonabile a quello dei nostri maggiori competitori, il che induceva anche ad una razionalizzazione nell'individuazione delle risorse da investire sul provvedimento. Anche in sede di Ecofin nello scorso dicembre si decise a livello comunitario di non dare luogo a strumenti comuni, come avrebbe potuto essere l'emissione degli eurobond, ma di coordinare le singole azioni degli Stati membri con un adattamento del Patto di stabilità alle specificità del ciclo economico. La volontà che è stata espressa dal Governo, e nella quale la maggioranza ha avuto modo di riconoscersi, anche nel corso del lavoro svolto nelle Commissioni, ha prodotto il testo di cui oggi inizia la discussione.
Signor Presidente, voglio però, in apertura del dibattito e della discussione sulle linee generali del provvedimento, dare conto anche del lavoro che è stato compiuto congiuntamente dalle Commissioni bilancio e finanze nel corso di queste settimane, che ha portato nella giornata di sabato scorso le Commissioni stesse a conferire ai relatori il mandato a riferire in Aula. Si tratta di un lavoro che è stato compiuto con una fase analitica molto importante, tenendo conto anche della volontà del Governo (che, ripeto, è stata ancora una volta esplicitamente condivisa almeno dalla maggioranza delle Commissioni) di mantenere invariati i saldi di spesa e i saldi di bilancio.
In questo provvedimento sono inserite norme che riguardano particolari emergenze, come la necessità di aiutare le famiglie con le detassazioni e con trasferimenti diretti, con il bonus famiglia previsto dall'articolo 1 e con la possibilità di agevolare il ricorso ai mutui immobiliari in periodi di tensione finanziaria contenuta nell'articolo 2, con gli interventi che sono stati disposti, grazie al lavoro delle Commissioni (e di cui parleremo nel corso della discussione), per l'incremento degli assegni familiari, per il Fondo di credito per le famiglie che hanno dato luogo a nuove nascite, per il blocco delle tariffe, per l'amplificazione del ricorso agli ammortizzatori sociali, attraverso gli strumenti di cui avremo modo di parlare di qui a poco.
Vi sono poi anche interventi che riguardano segnatamente il tema dell'occupazione, interventi che riguardano l'agevolazione delle infrastrutture, con investimenti e accelerazioni del percorso burocratico (soprattutto per quanto riguarda le Conferenze di servizi e la necessità di rendere più chiaramente ed immediatamente utilizzabili le risorse di finanziamento allocate nella cosiddetta legge-obiettivo), interventi nel campo del contrasto all'evasione fiscale, con il rafforzamento delle procedure di accertamento e di riscossione.
Vi sono, inoltre, interventi a favore delle imprese, anch'esse particolarmente colpite dalla fase di difficoltà economico-finanziaria, a partire dalla deduzione del 10 per cento dell'IRAP dall'IRES sino alla norma che prevede la possibilità di pagare l'IVA solo al momento dell'incasso della fattura emessa, alla ridefinizione del tema degli studi di settore, alla possibilità di ottenere il rafforzamento finanziario Pag. 5tramite i consorzi di garanzia fidi, alla possibilità di agevolare e accelerare le procedure di rimborso e le procedure di incasso dei fornitori della pubblica amministrazione.
Questo è il contenuto del provvedimento rispetto al quale, signor Presidente, molte sono state, come dicevo, le iniziative (in diversi casi anche condivise all'interno delle Commissioni tra i rappresentanti della maggioranza e i rappresentanti della minoranza) che hanno portato a modificazioni che riteniamo assolutamente significative, sia in termini di interventi per le imprese, sia in termini di interventi per le famiglie.
Voglio partire da questi ultimi, citando le modifiche che sono state apportate in materia di assegni familiari, riconosciuti con priorità alle famiglie numerose o con soggetti portatori di handicap ed estesi ai lavoratori autonomi in regola con gli studi di settore. Si tratta di due particolari novità che sono state introdotte. La prima è stata introdotta perché pur non avendo ancora, evidentemente, compiuto quel percorso di riformulazione del sistema fiscale sulla base del cosiddetto quoziente familiare (che permane uno degli obiettivi di legislatura di questo Governo e di questa maggioranza), ci è sembrato che la possibilità di individuare una nuova strategia di allocazione degli assegni familiari, tenendo conto della natura e delle dimensioni delle famiglie, corrisponda, per la prima volta, in termini normativi, alla realizzazione concreta di quella forma di indirizzo. L'altra novità è riconoscere la possibilità che gli assegni familiari possano essere attribuiti anche ai lavoratori autonomi, ancorché a condizione che siano in regola con gli studi di settore.
Altri interventi in favore delle famiglie riguardano, per esempio, l'istituzione di un Fondo di 20 milioni di euro per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione; la possibilità di utilizzare in termini di ammortizzatori sociali, e di ridefinire, le destinazioni delle risorse del Fondo sociale europeo (con la verifica dell'autorizzazione da parte dell'Unione europea e la partecipazione e il coinvolgimento diretto delle regioni) per il migliore utilizzo dei fondi sociali; l'esclusione dell'applicazione della commissione di massimo scoperto per gli sforamenti degli affidamenti bancari, entro i trenta giorni di tempo (uno degli ulteriori interventi che hanno l'obiettivo di meglio alimentare la gestione finanziaria delle famiglie, come delle imprese); l'incremento di credito alle famiglie con i nuovi nati (con alcune previsioni specifiche ulteriori che vedremo analizzando, nel dettaglio dell'articolato, quelle che sono le possibilità di utilizzo di queste forme di agevolazione e di aiuto).
È stata prevista l'abolizione degli oneri notarili nel caso di portabilità dei mutui: uno degli elementi che aveva reso forse meno efficace di quanto ci si attendesse la norma sulla portabilità dei muti era costituito dal fatto che il risparmio ottenuto nel passaggio da una banca all'altra venisse tutto sostanzialmente disperso nella necessità di dover pagare la pratica notarile di trasferimento del mutuo da un istituto di credito all'altro. Questa norma precisa, anche in relazione ad accordi che erano in fase di approvazione, che nel caso di passaggio del mutuo da un istituto bancario all'altro non vi sarà applicazione di alcun onere notarile.
Sono stati previsti interventi a supporto delle imprese, come la possibilità di scontare il credito vantato dai fornitori delle regioni e degli enti locali; la possibilità di veder diminuita l'imposta sostitutiva per la rivalutazione degli immobili strumentali rispetto al testo iniziale che era stato presentato e approvato dal Governo in sede di Consiglio dei ministri (con un abbassamento dell'aliquota dell'imposta sostitutiva in caso di rivalutazione dei cespiti strumentali dal 10 al 7 per cento); la possibilità, già accennata, di mettere a regime il principio dell'IVA per cassa, che consente alle aziende di non dover anticipare risorse e fungere da banche, o da finanziatori, per la pubblica amministrazione, nel caso in cui il proprio debitore non abbia ottemperato all'adempimento; l'agevolazione per i commercianti che cessano l'attività, con la reintroduzione di una condizione di favore che, anche in Pag. 6questo caso, ci è apparsa correlata alla particolare stagione di crisi, perché anche agli esercenti del commercio possa essere consentito il prepensionamento con un intervento di partecipazione statale.
Un altro argomento che ha fortemente richiamato l'attenzione dell'opinione pubblica dopo l'approvazione del decreto-legge è quello che riguarda il credito di imposta sulle ristrutturazioni volte a conseguire un risparmio energetico. Su tale argomento siamo voluti intervenire su due fronti: il primo, chiarendo ciò che era stato anche immediatamente dichiarato dallo stesso Ministro Tremonti, ovvero il fatto che sono salvi tutti gli interventi compiuti nel corso del 2008, senza alcun effetto retroattivo che danneggi i cittadini che hanno fatto ricorso ad interventi di ristrutturazione nel periodo precedente l'emanazione del decreto-legge.
Il secondo aspetto invece è stato quello di riaprire, senza più la formulazione del tetto, l'utilizzo e la disponibilità del credito d'imposta per gli investimenti di ristrutturazione che consentano un risparmio energetico anche per gli anni a venire, con la possibilità di spalmare l'utilizzo del credito d'imposta in un periodo di cinque anni. Si tratta evidentemente di un aspetto che presenta una doppia valenza: sia, una volta di più, nei confronti delle famiglie e delle persone fisiche, per cui sono stati previsti determinati interventi sul loro patrimonio, sia nei confronti di un settore economico che proprio dall'individuazione di questo credito d'imposta aveva ricevuto un particolare rilancio. Ci è sembrato dunque corretto e doveroso, sia per questioni di carattere economico-imprenditoriale, sia per il valore socio-ambientale che questo intervento ha assunto (e ci auguriamo possa continuare ad assumere), predisporre questa modifica approvata dalle Commissioni. Signor Presidente voglio dire che, insieme ad altri importanti provvedimenti che riguardano gli enti locali (voglio citare solamente la possibilità che è stata concessa, per esempio, al comune di Roma di dare luogo a spese per investimenti con rimodulazione del proprio piano di rientro, facendo riferimento alla situazione commissariale dalla quale emerge il comune di Roma), le Commissioni hanno avuto modo di lavorare sull'interezza del testo, e di convenire su una serie di modifiche che abbiamo ritenuto migliorative, su un testo rispetto al quale già gli impatti in termini di emanazione del decreto sono sembrati assolutamente importanti.
Comunque, qualunque sia la scelta che il Governo adotterà nel corso del dibattito, noi ci sentiamo impegnati a mantenere le modifiche approvate in sede di Commissione. Pensiamo quindi che, qualunque sia l'iter parlamentare che questo provvedimento seguirà (penso al suo esame con una discussione piena o attraverso l'apposizione della questione di fiducia da parte del Governo), non si possa prescindere dagli interventi che le Commissioni in sede congiunta hanno posto in essere e che hanno visto un'importante partecipazione anche delle forze della minoranza, che in particolare su alcuni temi, hanno addirittura aperto dibattiti e dimostrato una certa sensibilità attraverso modifiche e miglioramenti che poi sono stati fatti propri dal relatore e dall'interezza delle due Commissioni.

PRESIDENTE. Il relatore per la VI Commissione, onorevole Bernardo, ha facoltà di svolgere la relazione.

MAURIZIO BERNARDO, Relatore per la VI Commissione. Signor Presidente, Ministro Vito, sottosegretario Casero, anzitutto ringrazio il Ministro e il sottosegretario perché entrambi, fin dall'inizio, hanno seguito questo provvedimento nel corso delle lunghe sedute che abbiamo tenuto l'anno scorso e all'inizio di questo anno. Tra l'altro voglio anche cogliere l'occasione perché in questo momento è presente il presidente della Commissione Finanze Conte e ci raggiungerà il presidente della Commissione bilancio, Giancarlo Giorgetti, ed è dunque importante e doveroso riconoscere il lavoro svolto dai due presidenti e dai diversi colleghi delle Commissioni Finanze e Bilancio, indipendentemente dalle formazioni politiche di Pag. 7appartenenza, nel corso delle diverse sedute che si sono tenute su un provvedimento così importante.
Credo che, rispetto al passato e dando la giusta dimensione a questo decreto, tale provvedimento fornisca una risposta precisa e positiva, tale da riportare il nostro Paese al centro di in una dimensione europea. Mi riferisco al ruolo che hanno svolto il Presidente del Consiglio Berlusconi, il Ministro Tremonti e altri diversi ministri, che su questo argomento sono intervenuti nelle sedi dell'Unione europea, confrontandosi con i diversi organismi preposti. E forse finalmente abbiamo avuto una risposta, da parte dei Governi che compongono l'Unione europea, uniforme ed univoca su un tema così delicato, quale quello delle misure che un Governo deve prevedere in un momento di crisi come questo, che ha inizialmente coinvolto i mercati e poi anche l'economia reale.
Credo davvero che vada messo in risalto il ruolo che il Governo italiano ha avuto modo di ricoprire nel corso dei diversi momenti, ponendo in essere quei provvedimenti che il collega Corsaro in precedenza ha volutamente ricordato. Anche io lo voglio sottolineare, riferendomi, tra l'altro, a quanto più volte ci siamo sentito dire da più parti, ossia che questo Governo, ritornato sulla questione dopo venti mesi, non avesse colto appieno quello che stava accadendo nel mondo, anche a livello europeo. Mi dispiace contraddire chi di fatto ha mostrato al riguardo una posizione diversa, ma direi che proprio dai primi provvedimenti adottati e nel rispetto dei propri elettori, sono state fornite determinate risposte (mi riferisco in particolar modo al provvedimento riguardante l'ICI, la detassazione degli straordinari e la rinegoziazione dei mutui), cogliendo alcuni aspetti necessari e importanti che toccavano anche la sensibilità di tutti gli italiani; nello stesso tempo, è stata offerta una risposta, forse di uso meno comune da parte di altre formazioni: quando qualcuno assume un impegno, stipulando quindi una sorta di contratto nei riguardi del proprio elettorato e del Paese intero, tende a fornire risposte rispetto a ciò che si decide di dover condividere e a ciò che significa l'azione puntuale di Governo.
È stato un bene ricordare quel provvedimento e quella manovra fiscale da cui è scaturita una serie di collegati importanti per quanto riguarda l'argomento affrontato, che in seguito hanno consentito di arrivare a provvedimenti successivi come quello a sostegno delle banche. Qualcuno parlò di un decreto-legge che serviva a favorire il sistema delle banche e il sistema del credito, tralasciando un passaggio estremamente importate che riguardava e riguarda le famiglie e il mondo delle imprese. Infatti, dal momento in cui è stato disposto quel sostegno alle banche - è quello che si sta verificando oggi - è stata assunta una posizione importante e dominante dal nostro Paese: lo dimostra il fatto che gli indirizzi del Governo italiano sono stati condivisi dall'Unione europea sia rispetto al decreto-legge definito «salva-banche» che, in realtà, era piuttosto «salva-famiglie» e «salva-imprese» (nel quale, in particolare, erano contenute risposte affinché non venisse meno il credito e il sostegno alle famiglie italiane, nonché a quella competitività a cui il Paese è chiamato attraverso le nostre imprese), sia, finalmente, rispetto al decreto-legge anticrisi tanto discusso prima ancora che fosse adottato dal Governo e, poi, successivamente approvato anche in sede di Commissione.
Considerata anche l'importanza della materia, ritengo che sia anche uno dei primi momenti in cui - come accaduto anche in altre occasioni ma soprattutto in questo caso, data la portata del decreto-legge - si è discusso in Commissione di alcuni temi rispetto ad un chiaro indirizzo che il Governo ha voluto assumere, consentendo poi alle Commissioni riunite, Bilancio e Finanze, di affrontare congiuntamente i diversi argomenti e di fornire delle risposte concrete ed una ricetta che riguarda il tema delle politiche economiche che questo Governo ha inteso adottare, coinvolgendo non solo la maggioranza, ma anche le diverse opposizioni; in particolare, non si è giunti alla presentazione di emendamenti da parte del Governo, Pag. 8ma si è lasciato che il dibattito si sviluppasse nel corso delle sedute delle Commissioni. Diverse sedute sono state dedicate all'argomento (vi sono state anche alcune sedute notturne), come è giusto che fosse, dando luogo ad un dibattito così importante per gli interessi del Paese che vogliamo rappresentare, su un testo che è stato licenziato dalle Commissioni per essere esaminato e successivamente approvato dall'Assemblea della Camera, per poi trasmetterlo al Senato.
Si è svolta una discussione ampia nella quale siamo entrati nel merito attraverso emendamenti presentati dal relatore, perché così prevede il Regolamento, una volta scaduto il termine che consentiva ai singoli deputati di poter presentare emendamenti. Si è avuta la condivisione, quindi, di un testo da parte della maggioranza con alcuni spunti che ci venivano espressi e manifestati nel corso del dibattito, certamente di concerto con il Governo e raccogliendo anche momenti di riflessione da parte dell'opposizione. Noi ci eravamo impegnati, soprattutto nei giorni precedenti alle festività natalizie, a ricevere una serie di spunti e di riflessioni da parte delle opposizioni che poi abbiamo avuto e su cui ci siamo confrontati.
Pertanto, sono state presentate alcune proposte emendative da parte delle Commissioni, ma anche delle stesse opposizioni, come il presidente Conte sa, su temi che riguardano l'esigenza e le necessità del Paese, che qualche Cassandra immaginava di poter rapportare, a fronte di una determinata situazione, ad altri Paesi in termini di risposta a momenti di crisi purtroppo globale e generalizzata sui temi dei mercati e sul sistema delle politiche economiche, esprimendo forse una speranza - ma non voglio arrivare a dire tanto - che qualcosa di simile si potesse verificare in questo Paese, come purtroppo è accaduto da altre parti.
Quando qualcuno dei nostri rappresentanti del Governo ha ricordato quali fossero lo stato di salute degli istituti di credito italiani, la caratteristica degli italiani (grandi risparmiatori), o quando il Presidente del Consiglio ha cercato - per quanto a qualcuno facesse comodo ironizzare - di trasmettere quel senso di fiducia che poi si traduceva, si era già tradotto e si traduce in provvedimenti come quello in esame, ciò serviva a ricordare qual è l'aspetto e la caratteristica che questo Paese vanta, anche in momenti difficili.
Arrivando quindi al decreto-legge in esame, voglio ancora una volta sottolineare che esso vede il Governo italiano giocare una partita importante a livello europeo e diventa anche un momento di riferimento per gli altri Paesi. Qualcuno ci aveva anche tacciato di partire in ritardo rispetto al provvedimento di cui oggi discutiamo; guarda caso, però tutto quanto avveniva rispetto a date ben prefissate da parte dell'Unione europea e di tutti i Governi, affinché si arrivasse a dare risposte uniformi, ma allo stesso tempo rispettose anche delle caratteristiche che riguardano ogni Paese, in cui la politica economica deve comunque fare i conti con il debito pubblico, con ciò che significa dare risposte rispetto al passato, alle difficoltà che abbiamo purtroppo dovuto incontrare nell'alimentare, se non fosse per la gravità della cosa, verrebbe da dire quella caccia al tesoretto che forse ci siamo persi nei meandri e che avrebbe potuto dare ulteriore fiato e ulteriore ossigeno a misure importanti, di cui anche il nostro Paese ha bisogno.
Vedo nel testo in esame un aspetto importante e saliente rispetto alla centralità della persona e ai temi della famiglia. Riguardo al provvedimento, se poi ci caliamo nella parte, come ha fatto il collega Corsaro, rispetto a quello che riguarda il testo in generale e le risposte che abbiamo pensato di prevedere, ne ricordo una, che poi portò anche alcune formazioni politiche a modificare l'atteggiamento: la carta acquisti o più comunemente chiamata social card. Ebbene, questo Governo rispetto a quella misura - misura triennale, lo ricordo e lo sottolineo, che ci ha consentito poi di arrivare a realizzare alcuni provvedimenti nella fase successiva - fu stigmatizzato ed essa non fu valutata nello stesso modo in cui l'hanno valutata gli Pag. 9italiani, cioè in termini di segnale importante in un momento delicato del Paese.
E poi, guarda caso, personaggi direi autorevoli di quelle formazioni di opposizione hanno dovuto ricredersi, nel momento in cui la risposta da parte degli italiani è stata diversa rispetto a quella di chi, forse, vive un momento di distanza riguardo al Paese ed ai bisogni degli italiani.
Qualcuno poi definisce quello in esame un provvedimento modesto e contenuto, su argomenti specifici (penso ai temi della famiglia, al rilancio della competitività che riguarda le imprese, ai temi del lavoro, al rapporto diverso rispetto al passato tra amministrazione finanziaria e contribuente, rispetto a chi, in un periodo storico precedente, ma che riguarda l'altro ieri, definiva le tasse molto belle, piuttosto che dare ulteriori definizioni o mostrando attenzioni diverse rispetto a quelle che qualcuno ha voluto mascherare nei confronti della piccola e media impresa). Non dimentico e non dimenticano neanche coloro che ci ascoltano in questa sede o che hanno comunque un vissuto che ci riporta indietro di qualche mese; quindi è difficile dimenticarsi, da parte nostra o di chi ha governato precedentemente, di temi come questi, per cui oggi si presta particolare attenzione al mondo delle imprese.
Ciò che, invece, appare chiaro nel provvedimento in discussione (che, come è giusto ricordare, fa seguito ad altri passaggi importanti) è il fatto che esso riguarda anche il tema delle imprese, lo snellimento delle procedure concernenti le infrastrutture, la semplificazione dei bandi di gara e il rilancio del Paese, attraverso un rilancio dell'occupazione, dando anche, allo stesso tempo, ossigeno alle imprese. Questo passaggio, probabilmente, non è stato colto appieno.
Il provvedimento in oggetto riguarda non soltanto il tema delle infrastrutture viarie, ma anche le grandi opere che dovranno generare risorse importanti, ridisegnando anche il ruolo della Cassa depositi e prestiti: mi riferisco, ad esempio, alle reti energetiche. Questo tema è passato inosservato. Al di là delle aree geografiche che ognuno di noi può rappresentare in diverse parti del Paese, un ulteriore aspetto che è stato inserito nel decreto-legge in discussione riguarda lo snellimento di quegli argomenti che, purtroppo, sono tornati di attualità a seguito della crisi che si è venuta a creare in materia di approvvigionamenti energetici, che riguardano non solo l'ex Unione sovietica, la Russia e l'Ucraina, ma anche altre situazioni un po' delicate riconducibili, da una parte, al Medio Oriente, e dall'altra, alla fascia del Mediterraneo. Ciò rispetto ad un'accelerazione che il decreto-legge in discussione oggi consente. Il sistema Paese, le famiglie e le imprese italiane, infatti, si trovano a dover acquistare al di fuori dei propri confini, con un'incidenza che riguarda anche la competitività sui temi del sistema elettrico (abbiamo corretto anche alcuni aspetti che riguardano questo argomento).
Si ricordava in precedenza anche ciò di cui si era tanto discusso e che era tanto a cuore non solo alle famiglie, ma anche a quelle categorie che hanno svolto un ruolo attivo in questo senso. Mi riferisco, quindi, al credito d'imposta relativo al 55 per cento per l'efficienza energetica; a ciò che, in seguito, non ha più riguardato, ma che era stato sostenuto anche dal Ministro Tremonti, rispetto alla retroattività; allo spalmare nel corso degli anni.
Ritornando, per un momento, anche al tema delle famiglie, mi riferisco al bonus familiare, agli assegni riguardanti le famiglie numerose, ad un'attenzione particolare nei confronti di chi, purtroppo, ha persone meno fortunate di noi - e, cioè disabili - all'interno della propria famiglia, ad un'attenzione particolare agli anziani. Vi sono ulteriori aspetti che, per quanto possano essere sottovalutati, riguardano la vita quotidiana delle famiglie e dei genitori: mi riferisco al rimborso per i pannolini e il latte artificiale e a chi, purtroppo, all'interno del proprio nucleo ha figli affetti da malattie rare.
Se, per un momento, riflettiamo anche al di fuori di questi argomenti, mi chiedo come incidano gli interventi su un bilancio familiare, rispetto ai temi che riguardano Pag. 10gli affitti. Mi riferisco al fondo che è stato istituito - in quel caso sì, attraverso un confronto anche con le opposizioni - che non riguarda chi ha la fortuna, nel nostro Paese, di essere titolare di un immobile (avendo, quindi, investito sul bene primario), a ciò che ha significato aver adottato un tasso variabile e all'intervento che il Governo avrebbe dovuto esercitare, qualora i tassi variabili fossero stati ancora, com'erano fino a qualche mese fa, al di sopra del 4 per cento (soglia oltre la quale il Governo sarebbe intervenuto). Quindi, in questa problematica rientrano anche i temi degli affitti e degli oneri notarili, alleggerendo ulteriori spese.
Si parla di sistema energetico, del sistema che riguarda la borsa elettrica, delle zonizzazioni, a proposito delle quali qualcuno ha voluto sostenere che con il provvedimento in discussione le aree del sud andrebbero a pagare di più rispetto alle aree del nord. Ciò è obiettivamente falso. Tuttavia, per quanto riguarda il tema delle bollette elettriche, a parte gli sgravi e quanto previsto per le famiglie con un reddito più contenuto e che, purtroppo, si trovano in stato di disagio, l'intervento del decreto-legge è a favore delle famiglie in stato di bisogno. Penso, altresì, che, quando si parla di famiglie, ci si riferisce anche a chi intraprende e a chi lavora all'interno dello Stato, piuttosto che nelle amministrazioni locali. Ritengo che ciò sia stato pensato con riferimento al mondo delle imprese e al rapporto del credito che si vanta in una misura in cui il rapporto con le imprese è in funzione delle amministrazioni pubbliche e, quindi, con riferimento a ciò che significa l'operazione realizzata recentemente con il mondo del credito.
Penso, ad esempio, all'abolizione del massimo scoperto, che riguarda i singoli componenti delle famiglie, al di là della scelta di un percorso piuttosto che di un altro riguardo al nucleo familiare.
Penso anche agli ammortizzatori sociali; a tale riguardo, in diverse occasioni si è entrati nel merito, nel rispetto delle parti e delle formazioni politiche, di un impegno di risorse che poi si è raddoppiato nel corso del tempo. Sappiamo tutti, maggioranza e opposizioni, che questo tema (e non mi riferisco solo all'allargamento della platea, quindi a chi ne potrà certamente essere interessato, anche in funzione dell'avvio del nuovo anno e della dimensione delle risorse) coinvolge anche i protocolli d'intesa della Conferenza Stato-regioni (quindi con le regioni) e il ruolo che gioca l'Unione europea per quanto riguarda lo stanziamento di fondi ulteriori. È per questo motivo che il decreto-legge ha dovuto generalizzare su questo aspetto e sulle risorse, essendo noto a tutti - indipendentemente dalle magliette che indossiamo - che su tale argomento questo Governo si è speso nei confronti dell'Europa al fine di ottenere un beneplacito su un'iniziativa così importante che dovrà attuare d'intesa con le regioni.
Le organizzazioni sindacali (a parte la CGIL, che si richiama ad un partito che sta fuori dalla Camera) - CISL, UIL e UGL - hanno condiviso l'iniziativa di questo provvedimento su questi argomenti in un momento così delicato per il Paese e sono pronte a fornire delle risposte agli interessi dei lavoratori e di chi, purtroppo, è fuoriuscito dal circuito del mondo del lavoro. Certo, come punto di riferimento il Governo e il Ministro Tremonti avevano ed hanno ancora i conti pubblici, come ben sanno il Ministro Vito e il sottosegretario Casero. Non si deve dimenticare che il nostro Paese ha - purtroppo - un vanto in negativo, poiché si trova ad essere il terzo Paese per debito pubblico; ciò deve far riflettere rispetto alle misure che altri Paesi possono avere adottato e a quelle che sono state adottate anche attraverso il presente decreto-legge.

PRESIDENTE. Onorevole Bernardo, la prego di concludere.

MAURIZIO BERNARDO, Relatore per la VI Commissione. Concludo, signor Presidente.
Altri argomenti sono stati ricordati dal collega Corsaro ed è stato bene sottolineare alcuni aspetti in particolare, perché il decreto-legge riprende tanti temi Pag. 11importanti: la famiglia, il mondo delle imprese, il tema del lavoro e dell'occupazione e della non-occupazione momentanea. Abbiamo ritenuto che si dovesse arrivare ad un testo che fornisse una risposta importante in un momento tanto delicato come quello che stiamo attraversando e nessuno può insinuare il dubbio che il Governo attuale abbia sottovalutato la crisi e che non sia stato in grado di prevedere degli strumenti adeguati. Noi siamo fermamente convinti che questo decreto lo sia, anche se certamente gli strumenti sono sempre migliorabili.
Allo stesso modo, non è vero che la discussione non sia stata importante e significativa anche all'interno delle Commissioni e sostenerlo non è giusto nei riguardi di quei colleghi che hanno lavorato trovando anche un'intesa rispetto al decreto-legge licenziato dal Consiglio dei ministri.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

LUIGI CASERO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Binetti. Ne ha facoltà.

PAOLA BINETTI. Signor Presidente, il decreto-legge «anticrisi» ha un contenuto ampio e complesso, in quanto i suoi 36 articoli incidono su numerosi ambiti normativi con misure che appaiono unificate dal perseguimento di obiettivi economico-finanziari sintetizzabili in quattro grandi aree di intervento: il sostegno alle famiglie mediante il cosiddetto bonus famiglie (misure su mutui, case, tariffe e condizioni di accesso al credito); la ripresa dell'economia mediante agevolazioni tributarie, misure di sostegno al credito, semplificazione degli oneri gravanti sulle imprese e modifiche alla disciplina finanziaria necessaria a seguito della crisi dei mercati finanziari; il ridisegno del quadro strategico nazionale attraverso lo snellimento dei meccanismi di distribuzione delle risorse da destinare sia all'occupazione, alla formazione e agli interventi infrastrutturali, sia al potenziamento degli ammortizzatori sociali o al rifinanziamento di opere strategiche di interesse nazionale; infine, i miglioramenti dei saldi di bilancio mediante il potenziamento degli accertamenti fiscali, nonché con maggiori controlli sulla fruizione dei crediti di imposta e delle agevolazioni possibili. Fin qui il quadro.
Il motivo principale per cui oggi ci fa piacere parlare di questo decreto è che, giorno per giorno, famiglie ed imprese debbono misurarsi con una crisi che fa sentire l'acre sapore della povertà. In questo senso, Papa Benedetto XVI ci ha sollecitato, proprio nel messaggio per la Giornata mondiale della pace del 1o gennaio 2009, ad avere della povertà una visione ampia ed articolata, con un esplicito riferimento alle povertà immateriali, che non sono diretta e automatica conseguenza di carenze materiali ma costituiscono le nuove forme dell'emarginazione e della povertà relazionale, morale e spirituale. Stiamo, in definitiva, sperimentando forme di povertà globali.
Si dice che non fosse possibile prevedere i rischi della finanza globale e le sue conseguenze, ma non è vero. È vero, invece, che le previsioni di questi rischi hanno spiegazioni di carattere morale e che, per questo, sono state trascurate e delegittimate. La finanza, in qualche modo, ha voluto imporre una sua autonomia morale, con risultati che sono sotto gli occhi di tutti. In altre parole, il Papa ci ha chiesto di puntare allo sviluppo integrale della persona, di tutte le persone: mi riferisco alle proposte che sono emerse dal messaggio di Benedetto XVI del primo dell'anno. Guai, dunque, a fidarsi soltanto delle analisi economiche o sociologiche. Il fatto che si discuta, oggi, di decreto «anti-crisi» dopo aver discusso, soltanto ieri, di riforma dell'università, deve farci mantenere molto uniti questi due punti: per uscire dalla crisi servono idee nuove, persone competenti e ben formate. Serve una nuova capacità di capire le ricadute che hanno, sul piano socio-economico, la mancanza Pag. 12di etica professionale, l'egoismo e l'avidità di pochi, contrapposti alla povertà di tanti.
Se la vera globalizzazione coincide con lo sviluppo integrale di ogni persona e di tutti i popoli, il primo aiuto concreto consiste nel mettere ogni uomo, ogni famiglia e ogni impresa nella condizione di sviluppare tutte le sue potenzialità. Investire nella formazione della persona: questo è anche il primo dei grandi capitoli presenti nel decreto all'esame. Ma non abbiamo trovato i contenuti e le corrispondenze reali di questo investimento sulla formazione, indispensabile per sviluppare, in modo integrato, una specifica cultura dell'iniziativa.
È stato il Papa a suggerirci la necessità di uno sviluppo solidale, che riconosca il primato della persona umana (prima, vera risorsa) e che si basi, dunque, sul riconoscimento del comune destino che lega ogni uomo e ogni popolo, a cominciare dalle famiglie e dalle reti solidali tra le famiglie, volte a facilitare, anche sul piano economico, acquisti più convenienti e consumi più razionali.
Benedetto XVI, nel messaggio dell'inizio dell'anno, ci ha anche messo sull'avviso allo scopo di evitare di ricorrere a misure solo provvisorie di soluzione della crisi quali, per esempio, formule tipo il bonus alla famiglia. Il Papa ha formulato una critica radicale dell'assistenzialismo. «Non si può negare - si legge nel messaggio che ci ha inviato - che le politiche marcatamente assistenzialiste siano all'origine di molti fallimenti nell'aiuto ai Paesi poveri». Noi potremmo aggiungere: alle persone povere, alle famiglie povere e alle imprese povere.
Tra le critiche profonde, fatte sempre da Benedetto XVI alle pseudo-soluzioni di cui, pure, noi riteniamo che questo documento conservi ampia traccia, c'è anche quella rivolta all'ottica puramente ridistribuzionista. Il Papa dice, infatti, che: «Sebbene si sia opportunamente sottolineato che l'aumento del reddito pro-capite non possa costituire, in assoluto, il fine dell'azione politico-economica, non si deve però dimenticare che esso rappresenta uno strumento importante per raggiungere l'obiettivo della lotta alla fame e alla povertà assoluta. Da questo punto di vista, va sgombrato il campo dall'illusione che una politica di pura ridistribuzione della ricchezza esistente possa risolvere il problema in maniera definitiva. In un'economia moderna, infatti, il valore della ricchezza dipende, in misura determinante, dalla capacità di creare reddito, presente e futuro».
In relazione a ciò, questa crisi ci pone davanti ad una problematica che molti giovani stanno sollevando e cui vorremmo che il Governo potesse prestare maggiore attenzione. In effetti, la disastrosa situazione economica di tanti Paesi, che è rappresentata soprattutto dalla crisi della produttività, ci dovrebbe far riflettere sul fatto che nei Paesi poveri si soffre la fame, malgrado la stragrande maggioranza della popolazione sia dedita all'agricoltura e gli aiuti alimentari arrivino da quei Paesi in cui l'agricoltura, invece, è diventata un'attività economica secondaria.
Sappiamo che attualmente in Italia molti giovani, precari nonostante gli elevati standard culturali raggiunti, stanno mostrando interesse per l'agricoltura, per un ritorno alla concretezza della produzione della terra, non solo alla luce di moderne e avanzate tecnologie, ma anche di moderni modelli di organizzazione del lavoro e di distribuzione dei loro prodotti sul territorio nazionale e internazionale.
Valuti attentamente il Governo come coinvolgere i giovani su questo piano e quali opportunità creare per loro, anche per contrastare quella che indubbiamente appare come una crisi alimentare dai costi insostenibili per molte famiglie.
Ciò che più che ci sorprende, però, in questo decreto-legge cosiddetto anticrisi, è proprio il modo con cui viene trattata la famiglia.
Proprio oggi sul Corriere della Sera, in un articolo abbastanza concreto e preciso, si mette in evidenza come il cosiddetto bonus famiglie da 200 a 1.000 euro una tantum, approvato in Commissione alla Camera nella giornata di sabato, in realtà finirà per essere usufruito in larghissima Pag. 13parte - circa l'82 per cento - dai single e dalle coppie senza figli. Alla famiglia classica, composta da marito, moglie e due bambini, finiranno le briciole: appena il 18 per cento. Inoltre, i conviventi potranno ottenere un bonus doppio perché per loro non vige il cumulo dei redditi, mentre per la famiglia sì, e quindi per essa il bonus sarà uno solo.
L'incredibile situazione, che è in contrasto con l'intenzione enunciata dal legislatore e soprattutto con il buonsenso, è stata messa in evidenza proprio l'altro giorno dall'Avvenire, il quotidiano cattolico che ha fatto una serie di simulazioni molto concrete. Hanno infatti verificato, con l'aiuto dell'Agenzia delle entrate, che una coppia di conviventi, qualora abbia i requisiti, può presentare due richieste distinte, come fossero due single, ed ottenere quindi due bonus. Non è così per le coppie sposate, per le quali scatta il cosiddetto misuratore del reddito familiare, con il risultato che appare un solo nucleo e quindi un solo bonus.
Questa situazione presenta un'altra contraddizione. Ammettiamo che la famiglia classica, sempre con due figli, per la quale si sommano i redditi dei due coniugi, abbia un reddito imponibile complessivo superiore di un euro rispetto alla soglia massima di 20 mila euro annui: essa perderà il diritto al bonus di 500 euro. I due conviventi, invece, anche loro con due figli, presentando due distinti dichiarazioni dei redditi da 19.950 euro, hanno diritto a due bonus da 450 euro, perché ognuno si autodichiara genitore con due figli.
L'assetto di questo provvedimento stride ancora di più perché contrasta con l'intenzione del Governo Berlusconi - così prevedeva il programma elettorale - di valorizzare la famiglia e introdurre il meccanismo misuratore del reddito familiare, il cosiddetto quoziente familiare o redditometro, per meglio valutare il nucleo in base al numero dei componenti e degli handicap relativi. Certamente esso contrasta anche con il messaggio del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che nel suo tradizionale discorso al Paese, l'ultimo dell'anno, si era augurato che dalla crisi possa uscire un'Italia più giusta.
Come si potrà mettere insieme ciò, ancora una volta, con l'invito provenuto dal discorso di Benedetto XVI, in cui faceva un riferimento esplicito all'importanza delle politiche demografiche, dicendo che privandoci dei figli per sembrare più ricchi siamo di fatto diventati più poveri?
Questo è il dramma che vive il mondo occidentale, soprattutto l'Europa, alle prese con una crisi demografica ormai trentennale, che è alla radice dell'attuale fragilità economica. Dalla crisi non si esce con i trucchi, ma non abbiano trovato nessun riferimento a questo problema nella proposta del Governo.
Sono decenni che le famiglie numerose aspettano che ci si accorga di loro, delle loro necessità, ma anche delle concrete opportunità che ciascuno di loro offre al tessuto sociale in termini di solidarietà, di creatività e di nuovi modelli di microproduzione e di consumo intelligente solidale.
Se per capire come venir fuori dalla crisi occorre sentire la voce delle famiglie sempre più preoccupate e angosciate, occorrerebbe, però, sentire anche la voce dei bambini.
Il Santo Padre ci ricorda, infatti, l'intrinseca dimensione morale della povertà dei bambini: quando la povertà colpisce la famiglia, i bambini ne risultano le vittime più vulnerabili. Quasi la metà di coloro che vivono in povertà assoluta oggi è rappresentata da bambini.
Considerare la povertà ponendosi dalla parte dei bambini induce a ritenere prioritari quegli obiettivi che li interessano più direttamente come, ad esempio, la cura delle madri, l'impegno educativo, l'accesso ai vaccini, alle cure mediche e all'acqua potabile, la salvaguardia dell'ambiente e, soprattutto, l'impegno a difesa della famiglia e della stabilità delle relazioni al suo interno. Quando la famiglia si indebolisce, i danni ricadono inevitabilmente sui bambini. Dove non è tutelata la dignità della donna e della mamma a risentirne sono ancora principalmente i figli.Pag. 14
Ma ci è stato detto - e lo ha forse ripetuto anche il Capo del Governo e, comunque, lo abbiamo sentito dire - che per superare la crisi è necessario continuare lo stesso comportamento che l'ha provocata, cioè consumare e indebitarsi. Ma, soprattutto, sarà ancora possibile produrre adeguato reddito ed avere credito per continuare a consumare? La domanda è legittima perché da altre parti più istituzionali si sente continuamente affermare che la recessione è in atto e il peggio deve ancora arrivare. Questa constatazione è in totale conflitto con la prima raccomandazione. È meglio, quindi, consumare per sostenere la domanda, o risparmiare, nell'attesa di tempi ancora più difficili?
Nonostante alcune sollecitazioni all'ottimismo, non sono poche le voci che si levano per dire che il peggio deve ancora venire. Per questo chiediamo al Governo informazioni chiare e decisioni che puntino a soluzioni strutturate e durevoli. Ma per ora mancano al Parlamento dati chiari che consentano un'adeguata previsione del futuro. Il motivo è che non si sa stimare quanto possa essere, in dimensioni e durata, il crollo futuro del PIL e perché non si è ancora quantificato, con precisione accettabile, il crollo degli utili delle imprese e il suo effetto non è stato ancora ben incorporato nel loro valore di mercato. Così il mercato è ancora considerato sopravvalutato e alcuni settori - industria di base, consumi ciclici e manufatti produttivi - sono considerati a forte rischio di perdite. Ciò implica una dubbia capacità di sostenere non solo gli investimenti, ma anche la produttività stessa, l'occupazione e il potere di acquisto.
Come si potrà pensare di mantenere una condotta consumistica e di potere, nello stesso tempo, risparmiare in queste condizioni? Ma questo ancora non è sufficiente. Se il peggio può ancora venire perché non è chiaro come e in quanto tempo possa riprendersi il settore finanziario, considerato ormai il «re nudo» della crisi, anche il settore bancario non sembra avere solo problemi legati ai titoli tossici e alle insolvenze ad essi legati, ma anche problemi relativi ai molti anni di accantonamenti insufficienti per coprire i rischi reali prodotti nella ricerca di maggiori profitti.
La dinamica degli avvenimenti, che modifica giorno per giorno gli scenari finanziari, è sempre meno interpretabile con criteri razionali. La crisi americana si è estesa ai mercati emergenti e poi in Europa, provocando crolli di quotazione fino al 15 per cento giornaliero su tutte le borse europee, asiatiche e latino-americane. Non stiamo parlando dei dati di ieri ma delle informazioni che ci giungono giorno per giorno. Pensiamo, per esempio, alla vicenda del gas che è stata in questi giorni su tutti i giornali.
La crisi non prevista dei mercati emergenti è legata alla caduta dei prezzi delle commodities - materie prime quali petrolio, gas e metalli - a loro volta provocata dalle previsioni di calo di quei prezzi e soprattutto delle liquidazioni forzate di operazioni speculative sbagliate sulle stesse commodities. Anche gli speculatori perdono, a volte. Questa crisi si è estesa, di riflesso, in Europa sui titoli legati alle commodities e ha aggravato la crisi bancaria nel momento in cui non vi è certezza che i Governi europei vogliano, sappiano e possano intervenire adeguatamente e in modo coordinato per risolvere il problema.
I fenomeni descritti hanno confermato i sintomi di un'altra realtà conseguente che il mercato teme più di tutto e che incorpora subito nei prezzi delle azioni, facendoli crollare: l'inizio di un periodo di recessione e di deflazione per compensare troppi anni di finta crescita del PIL. Si è trattato di una crescita fittizia, grazie a tassi troppo bassi, fondata sul debito delle banche e delle famiglie. Da ciò ne consegue il temutissimo trasferimento della crisi finanziaria sull'economia reale. Si dice, in questi giorni, che è finita un'epoca.
Quello che realmente è finito, almeno per ora, è il laissez faire finanziario gestito irresponsabilmente. È finita anche la concezione di rischio inesistente nell'attività finanziaria o nei modelli di crescita di valore e si è certo esaurita la credibilità dei controllori delle agenzie di rating. Pag. 15Inizia, invece, un periodo di crisi dell'economia reale ed è auspicabile che cominci a funzionare responsabilmente anche il nostro Governo.
Occorre ripensare le dinamiche della globalizzazione, anche tenendo conto di quanto recentemente dichiarava Benedetto XVI: «(...) la globalizzazione 'si presenta con una spiccata caratteristica di ambivalenza' e, quindi, va governata con oculata saggezza. Rientra in questa forma di saggezza il tenere primariamente in conto le esigenze dei poveri della terra» - dei poveri del nostro Paese - «superando lo scandalo della sproporzione esistente tra i problemi della povertà e le misure che gli uomini predispongono per affrontarli. La sproporzione è di ordine sia culturale e politico che spirituale e morale. Ci si arresta, infatti, spesso alle cause superficiali e strumentali della povertà, senza raggiungere quelle che albergano nel cuore umano, come l'avidità e la ristrettezza di orizzonti. (...) La lotta alla povertà ha invece bisogno di uomini e di donne che vivano in profondità la fraternità e siano capaci di accompagnare persone, famiglie e comunità in percorsi di autentico sviluppo umano». Il Santo Padre parlava di sobrietà e solidarietà. Ora però io chiedo, e chiedo al Governo: in questo momento così importante, in cui siamo tutti sollecitati a fare necessariamente i conti con la crisi, sono verosimili i «rumori» che si odono, ossia che anche su questo disegno di legge di conversione il Governo voglia mettere la fiducia? Non è possibile che mettere la fiducia su un disegno di legge che ha come obiettivo principale il contrasto alla crisi segni definitivamente la crisi della fiducia nei confronti di questo Governo e delle modalità concrete con cui si affrontano i problemi?
Ci chiediamo questo e chiediamo davvero che, invece, come segno operativo di fiducia per affrontare la crisi, si faccia appello alla volontà che, al di là di quelle che possono essere scelte alternative che altri potrebbero aver fatto, impegni l'intero Parlamento a schierarsi dalla parte di un Paese a disagio e di famiglie profondamente a disagio. Dio non voglia, ma se il peggio dovesse ancora venire, a quel punto, in quel momento, la chiamata alla responsabilità da parte di tutti noi dovrebbe andare ben oltre le appartenenze politiche e si dovrebbe veramente, una volta tanto, fare del bene comune il criterio orientatore delle scelte (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Simonetti. Ne ha facoltà.

ROBERTO SIMONETTI. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghi, alla luce del deteriorarsi del quadro macroeconomico e in conformità con gli indirizzi emersi in sede comunitaria, il decreto-legge in esame, da considerarsi come «collegato» alla manovra finanziaria pubblica, introduce un insieme di misure in materia di famiglia, occupazione, infrastrutture e contrasto all'evasione fiscale.
Voglio ricordare all'Aula che questo provvedimento non è il primo che il Governo adotta per tentare di arginare la crisi che ha colpito non solo l'Italia, ma tutto il mondo. Già dopo poche settimane dal voto, infatti, l'Esecutivo e questa maggioranza hanno emanato il decreto-legge n. 93 del 2008 con il quale si è abolita l'ICI sulla prima casa, si è introdotta la possibilità di rinegoziare i mutui a tasso variabile ed è stata alleggerita la pressione fiscale sui redditi da lavoro derivanti da prestazioni straordinarie o legate ad incrementi di produttività.
Dopo un mese dalle elezioni, quindi il 25 giugno, si è emanato il decreto-legge n. 112 del 2008 con il quale il Governo ha introdotto molte semplificazioni in tema di adempimenti burocratici, ha stabilito che gli studi di settore devono essere pubblicati entro il 30 settembre dell'anno in cui entrano in vigore ed ha istituito il fondo speciale per il soddisfacimento dei bisogni dei cittadini meno abbienti. A ottobre è stato emanato il decreto-legge n. 155 del 2008 che precostituisce le condizioni per adottare misure straordinarie a sostegno del sistema bancario e soprattutto per la tutela del risparmio.
Tornando al provvedimento in esame è chiaro che questo è teso a sostenere l'incremento Pag. 16del potere di acquisto attraverso misure straordinarie a favore delle famiglie, dei lavoratori, dei pensionati e dei non autosufficienti, nonché a garantire l'accollo da parte dello Stato degli eventuali importi di mutui bancari stipulati a tasso variabile ed eccedenti il saggio della BCE.
Il provvedimento promuove lo sviluppo economico e la competitività del Paese mediante l'introduzione di misure di carattere fiscale e finanziario in grado di sostenere il rilancio produttivo e il finanziamento del sistema economico, parallelamente alla riduzione dei costi amministrativi eccessivi a carico delle imprese.
Si riassegnano le risorse del quadro strategico nazionale per apprendimento ed occupazione, nonché per interventi infrastrutturali, anche di messa in sicurezza delle scuole, provvedendo nel contempo all'introduzione di disposizioni straordinarie e temporanee per la velocizzazione delle relative procedure.
Si vuole ricordare come l'intervento di sostegno all'economia perseguito dal provvedimento rechi anche effetti migliorativi sui saldi di finanza pubblica, sia con riferimento al saldo netto da finanziare, che in termini di indebitamento netto e di fabbisogno. L'effetto anticongiunturale affidato al decreto-legge è pertanto ascrivibile agli interventi di riallocazione e rimodulazione delle risorse, volti a conseguire effetti di sostegno e di impulso all'economia attraverso l'individuazione di specifiche misure e dei corrispondenti mezzi di copertura. Il reperimento delle risorse per la copertura dello stesso si basa su parte delle maggiori entrate e delle minori spese derivanti dal decreto-legge medesimo. Pertanto, si può affermare che è un decreto-legge anticrisi autosufficiente economicamente.
Per le maggiori entrate, ricordo fra gli interventi di maggior rilievo: il riallineamento e la rivalutazione volontaria dei valori contabili e la rivalutazione degli immobili delle imprese; il potenziamento dell'attività di accertamento mediante l'istituto dell'invito al contraddittorio; il rafforzamento degli strumenti per la tutela dei crediti tributari; il tutoraggio delle imprese di grandi dimensioni; il recupero dei crediti tributari inesistenti utilizzati talvolta in compensazione; l'escussione delle garanzie prestate a favore delle pubbliche amministrazioni; il rafforzamento dei controlli di carattere tributario sui circoli privati (talvolta di certa determinata estrazione politica che fanno estremamente concorrenza a locali ed esercizi commerciali privati); l'aumento dell'IVA sui servizi televisivi e l'imposizione sul materiale pornografico; il potenziamento dell'attività di riscossione per soggetti che hanno aderito a procedure di definizione agevolata delle imposte. Il decreto-legge in esame prevede, quindi, il bonus straordinario per famiglie, lavoratori e pensionati a basso reddito che la Lega Nord Padania voleva destinare esclusivamente ai cittadini italiani: purtroppo, tale proposta non ha ottenuto l'accoglimento della restante parte della maggioranza, ma sarà premura della Lega Nord Padania riproporre in Aula tale emendamento.
Si segnalano, inoltre, i seguenti interventi: contributi statali a favore dei mutui per la prima casa, nel senso che lo Stato si accolla l'eccedenza del tasso di interesse rispetto al 4 per cento; l'integrazione del Fondo per l'occupazione; il finanziamento degli investimenti del gruppo Ferrovie dello Stato e i contratti di servizio con Trenitalia; il rifinanziamento della legge obiettivo per le infrastrutture strategiche; la sospensione temporanea dei sovrapprezzi per i pedaggi autostradali; le agevolazioni tariffarie per utenze gas a favore di soggetti economicamente svantaggiati; la deducibilità della quota IRAP relativa al costo del lavoro e degli interessi delle imposte sui redditi; il pagamento dell'IVA al momento dell'effettiva riscossione del corrispettivo (che, attraverso anche emendamenti della Lega Nord Padania, è stato portato a regime e non solo in via sperimentale per i prossimi tre anni); la detassazione del trattamento economico accessorio di produttività per il personale del comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico; Pag. 17proroga per il 2009 delle misure di detassazione in materia di contratti di produttività.
Tutto questo elenco di fatto riassume una iniziativa che comprende sia le famiglie, sia l'impresa, sia i soggetti di produzione, sia l'imprenditorialità. Quindi, tutto il sistema (partendo dal nucleo fondante della società, che è la famiglia, fino all'emanazione economica, ovvero l'impresa e l'imprenditorialità) è oggetto, quindi, di questo decreto-legge e della natura stessa degli interventi che dispone per riuscire a incentivare l'economia, affinché si possa uscire con vigore da questa situazione di stallo in cui la crisi ci ha introdotti.
Al testo originario comunque la Lega Nord Padania ha presentato un «pacchetto» di emendamenti, con l'obiettivo di venire ulteriormente incontro alle esigenze dei cittadini e delle imprese messi in difficoltà dalla grave crisi economica e finanziaria e, soprattutto - e stranamente tocca alla Lega Nord Padania farlo -, con l'obiettivo di tutelare la cittadinanza italiana, favorire gli interventi nel settore del risparmio energetico e tutelare gli enti locali. Nello specifico, si trattava di rimodulare il bonus straordinario in modo che fossero favoriti esclusivamente i nuclei familiari con figli. La demografia è un elemento di forza: senza figli il Paese declina.
Ma la platea dei beneficiari - come ho già ricordato prima - doveva essere costituita soltanto da residenti di cittadinanza italiana, come peraltro è già avvenuto con la social card prevista dal decreto-legge n. 112 del 2008. Abbiamo chiesto che i benefici per i sottoscrittori di mutui fossero estesi anche a chi ne avesse stipulato uno a tasso fisso, nonché per coloro che hanno redditi da impresa, commercianti e piccoli imprenditori ed anche titolari di partita IVA in difficoltà.
Altre nostre proposte riguardavano: l'aumento di tasse per chi in televisione predice il futuro o i numeri del lotto - proposta che, tra l'altro, è stata accolta - in modo da tutelare i consumatori, la riduzione dell'IRAP, le agevolazioni per il credito alle imprese. Abbiamo anche proposto la riformulazione della sanzione per la mancata emissione dello scontrino fiscale, la cosiddetta «gogna fiscale», che soprattutto in questo grave momento di crisi non può tradursi nella chiusura, benché temporanea, dell'esercizio commerciale, ma dovrebbe invece consistere in una semplice ammenda amministrativa. Peccato che anche questa proposta non sia stata accolta.
Capiamo che il periodo di crisi impone una stretta al sistema tributario, però sarà ineludibile nell'immediato futuro, pena la chiusura di molteplici aziende soprattutto padane, prevedere che le limitazioni alla deducibilità degli interessi passivi e degli oneri assimilati non si applichino alle piccole e medie imprese. Siamo soddisfatti per l'accoglimento del cosiddetto «emendamento Caparini» con il quale le risorse destinate per l'anno 2009 ai trattamenti di cassa integrazione guadagni straordinaria, di mobilità e di disoccupazione vengono trasferite in parte direttamente alle regioni e alle province affinché queste ultime abbiano la possibilità di svolgere il loro precipuo compito di coordinamento territoriale nelle tematiche del lavoro. Non vorremmo che con il Fondo unico si determinasse un impoverimento di destinazione per le province padane in cui veramente c'è la necessità di cassa integrazione e di aiuto all'occupazione.
Abbiamo anche proposto uno scudo per mettere al riparo le aziende nazionali (proprio noi della Lega!) dalla possibilità di essere scalate da soggetti stranieri nei settori considerati strategici, quali la difesa, i trasporti pubblici, le telecomunicazioni, le fonti energetiche e i servizi pubblici. Per esempio non va bene che soggetti produttori di energia possono inserirsi nei soggetti distributori nel campo energetico, cosa che era sulle prime pagine di tutti i giornali non più di un mese fa.
Per quanto riguarda l'attività della Commissione non si può che essere soddisfatti per l'emendamento presentato dalla Lega, poi riformulato dai relatori, con il quale viene dato il via libera alla liberalizzazione degli slot nel trasporto aereo: ora Malpensa è salva, a prescindere Pag. 18dall'esito della vicenda CAI-Alitalia. Il testo prevede che si definiscano accordi bilaterali nel settore del trasporto aereo nonché per la modifica di quelli vigenti, al fine di ampliare il numero dei vettori ammessi ad operare sulle rotte nazionali, internazionali ed intercontinentali, ovvero ad ampliare il numero delle frequenze su cui è consentito operare a ciascuna parte, dando priorità ai vettori che si impegnino a mantenere i livelli occupazionali esistenti. Quindi, grazie alla nostra testardaggine e alla nostra proposta politica, grazie alla Lega gli interessi del nord sono salvaguardati.

RENATO CAMBURSANO. Oh, finalmente!

ROBERTO SIMONETTI. Ricordo che d'ora in poi nessun onorario è dovuto ai notai per le pratiche sulla portabilità dei mutui, ma solo il rimborso delle spese. Con una proposta emendativa a firma del collega D'Amico proponevamo la stessa previsione per l'erogazione dei mutui per la prima casa: non è stato accettato, ma si tratta di una proposta che verrà comunque reiterata in futuro.
Basta adeguamenti automatici per le tariffe nei settori dell'energia e del gas. Sono delle migliorie apportate al testo iniziale. Basta anche con le clausole sul massimo scoperto se il saldo del cliente risulti in rosso per meno di 30 giorni: è bene che il credito aiuti le imprese e non che le imprese debbano sempre «ingrassare» il sistema creditizio.
Il Governo ha modificato l'articolo 29 ripristinando la detrazione IRPEF del 55 per cento sugli interventi di riqualificazione energetica degli edifici, così come era stato richiesto sia dal sistema produttivo e dai contribuenti sia attraverso numerosi emendamenti, compresi anche i nostri. È bene anche che per l'avvio delle grandi opere sarà sufficiente il via libera della conferenza dei servizi: in tal modo si riuscirà a partire una volta per tutte - in questo Paese di ambientalisti spinti - con tutte quelle opere che devono fare da cornice e da traino allo sviluppo infrastrutturale ed economico dell'intero Paese, soprattutto in Padania dove c'è veramente bisogno, in particolar modo nelle zone in cui il mio collega Volpi vive.
Dicevo che sarà sufficiente il via libera della conferenza di servizi; difatti, l'approvazione dei progetti, nei casi in cui la decisione sia adottata dalla conferenza dei servizi, sostituirà d'emblée, ad ogni effetto, gli atti di intesa, i pareri, le concessioni, anche edilizie, le autorizzazioni, le approvazioni e i nulla osta previsti da leggi statali e regionali.
Una misura che non è piaciuta alla Lega è che, di quel 2 per cento sugli importi dei lavori degli enti locali, vada a questi ultimi solo lo 0,5 per le progettazioni interne e l'1,5 per cento torni allo Stato. Pensiamo che si verificherà lo svuotamento delle competenze interne degli enti e l'innalzamento delle spese progettuali per incarichi esterni.
Concludo, signor Presidente, su tre argomenti per noi importanti, sia per la loro efficacia sia per il loro valore politico, soprattutto in questi giorni: la revisione degli studi di settore, la fideiussione bancaria per gli stranieri che vogliono aprire la partita IVA e la tassa governativa sui permessi di soggiorno.
Per gli studi di settore avevamo previsto numerose nuove riformulazioni. Il testo prevede, in via abbastanza generale, una riformulazione e registrazione degli studi; volevamo, però, entrare più nel merito e avevamo proposto: il «forfettone», in modo tale che chi vi aderisse, per esempio il commerciante, non avrebbe neanche più dovuto emettere gli scontrini; la revisione al ribasso per i settori in crisi; la sterilizzazione per l'anno 2008 e soprattutto il fatto che lo sforamento degli stessi non fosse motivo di accertamento.
Bene, dicevo; anzi, un po' male, perché non è stato accettato nulla. La Lega Nord, quindi, provvederà, attraverso i suoi parlamentari, a redigere una nuova proposta da portare in Aula autonomamente, per far fronte definitivamente a tale questione.
Sarebbe opportuno, però, che il Governo si spendesse per far adempiere la circolare n. 5 dell'Agenzia delle entrate Pag. 19del 23 gennaio 2008 sugli studi di settore, con la quale si chiariscono tre punti essenziali: i ricavi degli indicatori di normalità economica costituiscono solo presunzione semplice; chi sfora i limiti non è soggetto ad accertamento automatico; in caso di accertamento, spetta all'Agenzia motivare e fornire elementi di prova, non il contrario. La norma, molte volte inapplicata, stabilisce l'esatto opposto di quanto avviene, purtroppo, nella realtà.
Della fideiussione sulle nuove partite IVA, proposta dal collega Bitonci, molto si è parlato anche nei titoli di apertura dei media nazionali, dando una visibilità inattesa ad una semplice proposta di buonsenso; pertanto, la Lega può anche ringraziare per la pubblicità gratuita che ha ricevuto.
Tra l'altro, tale misura è già prevista in parte nella cosiddetta legge «Visco-Bersani», di certo non di centrodestra e nemmeno della Lega, cioè la legge n. 248 del 2006, che prevede che, con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate, sono individuate tipologie di contribuenti per i quali l'attribuzione del numero di partita IVA sia rilasciata a fronte di polizza fideiussoria o fideiussione bancaria per la durata di tre anni dalla data del rilascio e per un importo rapportato al volume di affari presunto, comunque non inferiore a 50 mila euro.
Ricordo all'Aula che ho letto testualmente l'articolo 33, comma 18 della legge n. 248 del 2006. È chiaro che questa parte del comma che ho letto faceva riferimento ad una determinata tipologia di partite IVA. Volevamo, sostanzialmente, garantire le casse erariali da taluni stranieri che sono avvezzi, molte volte, ad aprire e chiudere partite IVA al solo scopo di non pagare tributi, contributi, imposte e tasse, in modo tale che questi desistano da tale comportamento illegale e disonesto, soprattutto nei confronti dei cittadini italiani che pagano le tasse, e debbano quindi versare a garanzia un importo 10 mila euro, in modo tale da evitare che, nell'arco di un anno, il solito straniero apra la partita IVA, la chiuda, torni nel suo Paese e «passata la festa, gabbato lo santo».
Solo chi non vuole vedere questo problema ci accusa di discriminazione; chi, invece, deve lavorare sul territorio in nome dello Stato per il recupero dei crediti - basta andare negli uffici provinciali della guardia di finanza e dell'Agenzia delle entrate - sa benissimo quale sia la bontà della nostra proposta.
Concludo sulla tassa governativa di 50 euro legata ai permessi di soggiorno, proposta dal collega D'Amico. Al riguardo, ricordo diverse cose. In molti Paesi stranieri questa tassa già esiste e costa molto di più di 50 euro: in Francia 275 euro, in Olanda 433 euro, nel Regno Unito 200 euro.
Ricordo che ci sono Paesi, ai cui cittadini rilasciamo il permesso di soggiorno, nei quali l'italiano che va a richiederlo deve pagare: Nigeria, Cina, India, Brasile e Messico. Ciò significa, quindi, che gli italiani, soprattutto i padani, pagano sempre per gli altri; tanto c'è il padano che paga per tutti!
Al Senato un analogo emendamento è già stato approvato, e fa parte del testo di un disegno di legge sulla sicurezza che sarà sottoposto all'esame dell'Aula questa settimana. Ricordo, tra l'altro, che il rilascio del passaporto ad un cittadino italiano costa 84,95 euro per tutti i Paesi, e 44,66 se si fa un passaporto per i Paesi comunitari; il rinnovo per tutti i Paesi costa ulteriori 40,29 euro l'anno: è bene, quindi, che anche gli stranieri contribuiscano ai costi burocratici che loro stessi impongono alla nostra società.
Concludo affermando che il Governo sapeva, benché su tutti i media nazionali si è detto che non sapesse; era al corrente dell'iniziativa, tanto che era stato approvato un ordine del giorno, il n. 9/1386/91, nella seduta di mercoledì 23 luglio 2008 (la seduta è la numero 41), presentato sempre dall'onorevole D'Amico, con il quale il Governo (leggo il testo dell'impegno) si impegnava «ad adottare le opportune iniziative normative volte a istituire una tassa di concessione governativa di 50 euro annui sul rilascio e il rinnovo dei permessi di soggiorno dei cittadini stranieri». Questo atto di indirizzo è stato accettato, come Pag. 20dicevo, il 23 luglio 2008 dal Governo. La Lega non è razzista, non vuole discriminare nessuno, ma vuole solo che prevalga il buon senso (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Borghesi. Ne ha facoltà.

ANTONIO BORGHESI. Signor Presidente, rappresentante del Governo, colleghi, credo che qui stiamo affrontando una discussione su un tema per il quale i discorsi possono essere lunghi; credo, però, che ci siano alcuni elementi fondamentali, sui quali valga la pena di soffermarsi.
Il primo di questi è che siamo in presenza di una situazione di crisi globale che quindi riguarda non solo tutto il mondo ma, scendendo di livello, interessa le aree, le regioni del mondo e, quindi, interessa anche l'Unione europea.
Partirei proprio da questo, perché l'Unione europea ha inteso naturalmente affrontare o comunque discutere prima che i singoli Paesi assumessero le loro decisioni sulle misure da adottare, immaginando un piano europeo di ripresa economica. Esso si fonda su alcuni pilastri fondamentali e su un principio di base.
Allora, vorrei partire da qui, perché poi noi si possa verificare se realmente le misure contenute nel decreto-legge anticrisi corrispondono alle ipotesi e ai principi generali che l'Unione europea ha indicato agli Stati membri. Credo che in molti casi ciò non avvenga, a partire dal primo di questi pilastri, che è rappresentato da un forte apporto di potere d'acquisto nell'economia per rilanciare la domanda e far rinascere la fiducia.
La Commissione ha proposto, com'è noto, che gli Stati membri raggiungano un accordo per un incentivo finanziario che dovrebbe corrispondere all'1,5 per cento del prodotto interno lordo di ciascun Paese, quindi dell'Unione; il che corrisponderebbe a circa 200 miliardi di euro, complessivamente, per rilanciare la domanda nel pieno rispetto comunque del Patto di stabilità e di crescita.
Da un lato, vi è la massa delle risorse da destinare all'intervento, definita quindi anche in termini quantitativi, dall'altro, vi è la necessità di un'azione a breve termine per rafforzare la competitività dell'Europa.
L'idea è che il programma sia orientato a dar luogo ad investimenti intelligenti, il che significa - secondo l'Unione europea - investire nelle giuste competenze adatte a risolvere i problemi non dell'oggi ma del domani, e quindi, ad esempio, investimenti nell'efficienza energetica per creare occupazione e risparmiare energia, investimenti nelle tecnologie pulite per rilanciare i settori dell'edilizia e dell'industria automobilistica, investimenti nelle infrastrutture e nell'interconnessione per promuovere l'efficienza e l'innovazione.
In questo senso, l'Unione europea ha poi identificato una serie di azioni concrete delle quali dirò poi qualche cosa, ma che sono destinate, da un lato, ad aprire opportunità di finanziamento alla piccole e medie imprese, a ridurre gli oneri amministrativi, ad avviare gli investimenti per la modernizzazione delle infrastrutture.
Però, i principi fondamentali del piano - ed è su questo che vale la pena anche soffermarsi - sono quelli della solidarietà e della giustizia sociale: l'idea, cioè, è che nei momenti difficili - e questo è uno dei momenti realmente difficili che stiamo attraversando - l'azione non può che essere rivolta ad aiutare chi ne ha bisogno.
Si tratta, quindi, di azioni volte a favorire l'occupazione con un intervento sugli oneri sociali, di azioni sulle prospettive occupazionali a lungo termine di coloro che perdono il lavoro, della riduzione dei costi energetici per le categorie vulnerabili con misure mirate anche all'efficienza energetica, nonché di interventi per coloro che ancora non dispongono di Internet come strumento di collegamento.
Vorrei indicare alcune delle dieci azioni che l'Unione europea ha proposto, tra cui varare un'importante iniziativa di sostegno all'occupazione.
L'idea è quella di politiche di flexicurity, cioè di «flessicurezza», intensificando rapidamente i programmi di attivazione Pag. 21soprattutto per le persone poco qualificate e prevedendo forme che permettano realmente una riqualificazione intensiva e sovvenzioni anche per chi vuole avviare le attività di impresa.
Si tratta, quindi, di una reimpostazione dei programmi per concentrare il sostegno sulle categorie più vulnerabili e consentire un miglioramento del monitoraggio per lo sviluppo delle competenze e per corrispondere al fabbisogno, adeguando le offerte di lavoro esistenti e future.
In questo senso l'idea è quella di creare domanda di manodopera, e cioè l'invito agli Stati è quello di azioni che riducano gli oneri sociali a carico dei datori di lavoro per i redditi (in particolare per i redditi più bassi), al fine di promuovere l'occupabilità dei lavoratori meno qualificati, considerando anche soluzioni innovative quali, ad esempio, i buoni per l'acquisto di servizi domestici, di servizi di assistenza ai bambini, i sussidi all'assunzione temporanea di gruppi più vulnerabili di fronte alla crisi.
Un altro capitolo di queste azioni è poi quello dell'accesso ai finanziamenti per le imprese (e l'idea è che sia assolutamente necessario favorirli).
Quando parliamo di imprese è evidente che non ci rivolgiamo alle grandi imprese, che sanno fare da sé e spesso lo fanno anche con un eccesso di zelo, nel senso che poi lasciano le briciole al sistema delle piccole e medie imprese.
Nel quadro dell'economia europea - all'interno della quale l'Italia presenta un sistema economico così frazionato in termini di quantità di piccole e medie imprese, mentre nessun altro Paese ha una situazione così sbilanciata a favore di imprese che hanno meno di venti dipendenti - è evidente che la difesa e la possibilità di credito per tale sistema di microimprese è fondamentale per uscire dalla crisi, addirittura ben più di quanto non si ponga negli altri Paesi, dove comunque c'è una spina dorsale di imprese di media o grande dimensione molto più forte della nostra che in qualche modo può, con la propria capacità e con la propria forza contrattuale, intervenire anche sul sistema bancario in un modo ben diverso da quello che fanno o possono fare le microimprese in Italia (e dopo andremo a vedere quali risposte ci sono perché le risposte sono, come poi dirò, largamente insufficienti).
Vi è, quindi, un problema di accesso ai finanziamenti da parte delle imprese e un problema di semplificazione amministrativa. A tale proposito, successivamente, racconterò un episodio che dimostra come una serie di leggi, varate in questi sei mesi, stiano producendo un carico di oneri di lavoro per le imprese insostenibile; altro che semplificazione amministrativa (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori)! Non solo non avete realizzato nulla, ma avete caricato di oneri quelle imprese che in questi giorni devono chiudere il bilancio - poche o tante che siano - e che hanno fatto ricorso alle leggi sulla detassazione degli straordinari. Imprese che si trovano inguaiate in carichi di ore e ore di lavoro per mettere a posto le questioni dal punto di vista amministrativo; altro che le balle della semplificazione e degli interventi a favore delle imprese!
Aumentare gli investimenti per migliorare l'efficienza energetica degli edifici è un'altra strada percorribile, non diversa da quella intrapresa negli Stati Uniti. Gli Stati Uniti stanno pensando di riqualificare l'industria - quella solida, e non la finanza - intervenendo con massicci investimenti per renderla più ecocompatibile.
È evidente che, domani, lo scontro nella competitività internazionale sarà proprio basato sulla capacità di avere prodotti più ecocompatibili di quanto non avvenga oggi, e sarà uno scontro nel quale l'Europa, gli Stati Uniti e il Giappone si troveranno a fare i conti sul mercato. Non sono così certo che la Cina saprà così rapidamente adeguarsi, ma è evidente che l'intento americano è quello di portare l'asticella più avanti, di creare, quindi, dei prodotti che, in qualche modo, rendano i mercati dei Paesi più industrializzati meno dipendenti dai prodotti cinesi che saranno, comunque, di qualità più bassa.Pag. 22
Se si riuscirà in un intervento di questo di tipo, voi capite bene cosa succederà (dopo, al riguardo, andremo a vedere cosa abbiamo previsto con questo intervento normativo). Bisogna promuovere una rapida introduzione di prodotti verdi - l'Europa lo chiede -, migliorare l'efficienza energetica degli edifici, e aumentare gli investimenti in ricerca e sviluppo, innovazione e istruzione; questa è un'altra delle strade maestre per intervenire.
Tuttavia, anche su ciò, andando a vedere i contenuti di questo decreto-legge, scopriamo che stiamo facendo, in molti casi, esattamente il contrario di ciò che l'Unione europea ci sta chiedendo per uscire dalla crisi, e di ciò che stanno realizzando gli Stati Uniti con investimenti massicci; noi stiamo andando esattamente nella direzione opposta!
Definito il panorama nel quale ci stiamo muovendo, andiamo a vedere cosa abbiamo proposto: noi abbiamo affermato che, nonostante il nostro debito pubblico (il più alto tra i Paesi dell'Unione europea), dobbiamo essere capaci di mettere sul piatto, per affrontare una crisi di questa importanza e di questa gravità, un ammontare di risorse che corrisponda, più o meno, all'1,5 per cento del PIL.
L'Italia dei Valori, fin dall'inizio, ha sostenuto che ci vogliono circa 20 miliardi di euro da mettere sul piatto, mentre ci troviamo di fronte ad un decreto-legge che ne mobilita circa sei, ovvero un quarto di ciò che sarebbe necessario per potere intervenire.
Qualcuno potrebbe dire: va bene, ma tu non fai i conti con la situazione in cui ci troviamo. Ma noi non vi diciamo soltanto di prevedere venti miliardi di euro, ma anche dove reperirli. Infatti, si può intervenire in questo modo. Abbiamo una situazione in cui, oltre ai sei miliardi da voi individuati, vi sono cinque miliardi di euro fermi di condoni non pagati dall'anno 2003 in poi. Si potrebbe rispondere che, se non si è pagato allora, ciò significa che non si pagherà più. Mi riferisco a condizioni così favorevoli per cui, anche se si paga una rata sola, si è salvi da tutti gli effetti. È quanto stiamo ripetendo anche in questo decreto-legge. Forse qualcuno non se ne è accorto, ma avviene lo stesso nel momento in cui andiamo a dimezzare le sanzioni già dimezzate (che, quindi, diventano un quarto) a condizione che una persona accetti l'accertamento dell'ufficio; e ne conseguono degli effetti per cui da quel momento, in qualche modo, le persone interessate non sono più attaccabili dall'amministrazione fiscale.
Inoltre, se non si paga, si può ottenere anche la rateazione, come era avvenuto nel 2003, e se non si paga attraverso la rateazione cui ci si è impegnati, questo non significa che si decade da tutti i benefici che sono stati attribuiti. Quindi, si tratta dello stesso errore del 2003!
Nel 2003 ciò ha determinato che persone che si sono dichiarate evasori, irregolari (perché vi erano condoni di svariato tipo), hanno aderito al condono con pagamento rateale, hanno pagato la prima rata, ma poi si sono ben guardati dall'andare avanti. A parte l'inazione dell'amministrazione, incapace persino di chiedere i quattrini a chi si è riconosciuto debitore (si tratta proprio di questo), noi ci siamo trovati di fronte ad una situazione che rendeva questi soggetti tranquilli, perché dall'inadempimento non poteva conseguire il venir meno dei benefici già ottenuti.
Oggi, dunque, noi ripetiamo gli stessi errori. In quel caso, ciò ha dato luogo a cinque miliardi residui non pagati e noi affermiamo che occorre andare a prenderli, in modo rapido, senza tentennamenti, e senza possibilità di ulteriori manovre dilatorie, perché qui siamo veramente all'imbroglio nei confronti della pubblica amministrazione.
Però, non solo abbiamo sbagliato allora. Anche oggi perseveriamo in questo errore, perché in questo decreto-legge vi è perseveranza da questo punto di vista. Come dice qualcuno, perseverare è anche diabolico, quindi da questo punto di vista voi siete anche diabolici.
Allora noi proponiamo, intanto, di andare a prendere quei cinque miliardi.
Inoltre, noi sappiamo che gli oneri finanziari sul debito pubblico caleranno fortemente. Negli Stati Uniti ormai ci Pag. 23stiamo avvicinando allo zero, ma ciò non avverrà in Europa perché ci sarà comunque politicamente un'asticella al di sotto della quale non scenderemo (sarà circa il 2 per cento o ci avvicineremo a tale valore). Dunque, noi da quest'anno avremo almeno quattro miliardi di euro in meno in termini di oneri finanziari: ecco dove reperire altri quattro miliardi aggiuntivi e utili.
Gli economisti non sono tutti d'accordo sulla durata di questa situazione emergenziale. La maggior parte di loro sostiene che essa durerà due anni. Allora, io sostengo che i nostri interventi possono anche essere temporanei; non dobbiamo per forza predisporre interventi per l'infinito, possiamo anche realizzare interventi della portata di venti miliardi di euro per due anni (quindi, complessivamente quaranta). Quindi, possiamo intervenire in un modo che non sarebbe drammatico.
Ritengo che possiamo anche sospendere per due anni gli effetti della seconda parte dell'intervento sull'ICI, quella che è andata a beneficio di chi possedeva grandi case o abitazioni certamente non di tipo popolare.
Che cosa ci vieta di compiere un intervento di questo genere e di ridurre di conseguenza i trasferimenti ai comuni di pari importo? In questo modo, recuperare 3 miliardi di euro per due anni non è un obiettivo irrealizzabile. Con le proposte che vi ho espresso siamo a 18 miliardi: dove andiamo a prendere gli altri 2 miliardi? Certamente quella specie di condono sommerso consistente nella riduzione delle sanzioni non aiuterà ma, di sicuro, sarebbe bene ritornare ad una vera e propria lotta all'evasione fiscale, che è mancata in questi anni durante i quali, anzi, si è andati a permettere l'evasione. Infatti, badate che la circostanza che la Guardia di finanza abbia scoperto più evasioni non significa che ciò vada considerato un fatto positivo (che bravi che siamo stati!) ma la Guardia di finanza ha scoperto più evasione perché grazie anche ad alcune misure che hanno ridotto la tracciabilità dei pagamenti e che hanno eliminato elementi di controllo sull'emissione di fatture false - mi riferisco all'elenco clienti-fornitori - di fatto si è dato un aiuto a chi vuole evadere. Dunque, invito a ripristinare le predette misure: suona infatti veramente come la legge del contrappasso.
Oggi gli studi realizzati e pubblicati da un grande quotidiano ci dicono che nel 2009 gli italiani per pagare lo Stato, per pagare il fisco, dovranno lavorare due giorni in più dello scorso anno. Penso che nessuno possa azzardarsi a dire che è colpa di Prodi: vuol dire che sei mesi di vostre leggi nelle quali doveva esserci la liberazione degli italiani dalle tasse - perché questo avete detto in campagna elettorale - hanno prodotto come effetto che nel 2009 gli italiani per pagare il fisco dovranno lavorare due giorni in più. Allora, dico: interveniamo di nuovo, ritorniamo ad essere rigidi e a combattere l'evasione fiscale. Due miliardi da recuperare non mi pare un obiettivo realizzabile.
Ora io vi ho detto dove possiamo andare a trovare i 20 miliardi da investire. Sulle modalità è evidente che l'idea di intervenire con il bonus per le famiglie a noi sembra che non sia stata proprio la più brillante che vi potesse essere anche perché finisce con l'apparire come una specie di duplicazione della social card. È chiaro che, proprio perché finalizzato ad aumentare il potere di acquisto delle famiglie, dobbiamo pensare ad un intervento che abbia una base familiare e che intervenga in favore del nucleo familiare e non tanto della singola persona. Dunque interveniamo, ad esempio, attraverso lo strumento più significativo che possiamo avere in rapporto alle esigenze di una famiglia e ai suoi bisogni: il numero dei figli. Ad esempio, interveniamo in misura massiccia sugli assegni familiari. Invece che cosa facciamo? Interveniamo con questo bonus perché voi - dico voi e ovviamente mi riferisco al Governo e alla maggioranza - nella propaganda siete molto bravi: avete detto un bonus famiglie da 200 a 1.000 euro così resta nella testa di qualcuno che immagina che forse i mille euro siano un importante contributo al potere di acquisto delle famiglie. Quel bonus interesserà Pag. 24circa 7 milioni e mezzo di famiglie in Italia e, di queste, meno del 10 per cento riceverà i 1.000 euro avendo le condizioni per poterne fruire. L'80 per cento delle famiglie riceverà una una tantum tra 200 e 300 euro. Vogliamo scherzare? Vogliamo affrontare in tal modo problematiche di riduzione del potere di acquisto delle famiglie, quando la cassa integrazione è schizzata verso l'alto nel 2008 e continuerà a farlo nel 2009, con precari che vedevano da due o tre anni magari riconfermati i loro contratti e che dal 1o gennaio li vedranno cessare, mano a mano che vanno a scadenza: soltanto al 31 dicembre si calcola che siano 300 mila.
Non erano solo giovani ventenni in attesa di qualche lavoro migliore, spesso erano padri di famiglia, in qualche caso anche di quarant'anni o più, che si troveranno senza lavoro, e noi rispondiamo dicendo: «Questi praticamente non avranno proprio nessun ammortizzatore sociale». Noi rispondiamo a questi problemi delle famiglie dando all'80 per cento delle famiglie che lo riceveranno un bonus una tantum di 200-300 euro. Però, siccome appunto mediaticamente siete bravi, avete detto: «No, ma facciamo un'altra operazione: adesso aumentiamo anche gli assegni familiari». Ma l'importo complessivo non cambia mai. Allora dite: «Ci siamo accorti che abbiamo posto un limite per i mutui del 4 per cento e se il tasso di interesse è maggiore lo paga lo Stato, ma ciò non serve più, perché i tassi di interesse ormai sono al 3 per cento e dunque chi mai ne usufruirà? Allora destiniamo quella somma che stava lì, la prendiamo da lì e la destiniamo ad assegni familiari, se non si spenderà». Ma vi sembra questo il modo di affrontare un tema come quello che stiamo affrontando?
Noi abbiamo fatto i conti: come dicevamo, pensate che con circa la metà di questa somma di 20 miliardi di euro, si potrebbe dare un aumento realmente stabile - non strutturale, magari possiamo dire temporaneo: intanto per due anni, poi vedremo cosa si fa - ai circa 10 milioni di contribuenti che hanno un reddito inferiore ai 15 mila euro. Saremmo in grado di dare circa 200 euro al mese a quei contribuenti, con circa 10 miliardi di euro. Allora, è evidente che è un intervento realmente importante, significativo e può aumentare realmente il potere di acquisto di una famiglia, anche perché penso che molte di queste famiglie, quelle dei cassintegrati, non riusciranno ad alimentare altrimenti la domanda interna, perché vedranno comunque una contrazione del reddito. Infatti, qualcuno pensa che tanto è quasi come lo stipendio: non è così, perché i meccanismi di calcolo del salario di cassa integrazione sono meccanismi di tipo virtuale, che prescindono dal reddito effettivo. Pertanto, di fatto persone che prima ogni mese portavano a casa 1.500 euro, rischiano di trovarsi con 800 euro, quindi con la metà, dovendo fronteggiare gli stessi bisogni di prima.
Anche qui noi abbiamo parlato - e vi è un emendamento che riproporremo in quest'Aula - del modello tedesco; il modello tedesco è un modello interessante da questo punto di vista, perché fa un ragionamento diverso: vediamo se si può impedire che le imprese ricorrano alla cassa integrazione, cerchiamo di evitarlo. Il ricorso alla cassa integrazione è grave per svariati motivi: perché comunque lascia persone stabilmente ed irrimediabilmente a casa. Qualcuna può darsi pure che troverà qualche lavoretto in nero per integrare, ma non è certo questo un buon sistema per tenere le imprese allenate, per tenere i lavoratori attivi, per tenerli pronti al momento della ripresa. Allora, la Germania sta facendo un ragionamento molto interessante da questo punto di vista e dice: «Io aiuto soprattutto le imprese che rinunciano a questo tipo di meccanismi e aiuto tutte quelle imprese che si limitano a ridurre il loro orario di lavoro - perché certamente se mancano gli ordini, l'orario di lavoro andrà ridotto - ma che comunque mi tengono la fabbrica aperta e funzionante per tre giorni alla settimana invece che per cinque, o per due giorni e mezzo invece che per cinque, ed io garantisco che a quei lavoratori darò io un'integrazione in termini salariali pari alla perdita di ore di lavoro che avranno». Pag. 25Ma intanto saranno al lavoro tutti i giorni, intanto continueranno a vivere in una sorta di attività di produzione, anche se ridotta.
Infatti, credo che non vi sia nulla di più alienante e di più depressivo per un lavoratore che crede nel lavoro che fa e che lo fa con passione, di trovarsi a casa improvvisamente, da un giorno all'altro, senza una prospettiva e con un salario ridotto in quel modo.
Pertanto, proponiamo di nuovo questo tipo di modello, con la possibilità che si intervenga su quella falsariga, anche perché - noi lo sappiamo - ormai i casi si stanno moltiplicando: vi è chi sta approfittando di questa situazione per scaricare dei costi sulla collettività. Lo si fa in modo più o meno palese, ma vi è chi approfitta della situazione per liberarsi di un po' di lavoratori, anche quando non ne avrebbe oggettivamente bisogno. Dovevamo trovare dei meccanismi per impedire anche questo modo deviante di affrontare il problema.
Quindi, proponiamo di intervenire - lo ribadisco - con risorse per 20 miliardi di euro. Ciò ci permetterebbe, ad esempio, anche di affrontare realmente il tema di tutti quei lavoratori che hanno dovuto rinunciare (perché non ce l'hanno più fatta) a pagare le rate del mutuo nell'ultimo anno o anno e mezzo. Per carità, anche noi siamo d'accordo che i notai rinuncino al loro compenso per gli onorari relativi alla portabilità dei mutui.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

ANTONIO BORGHESI. Concludo signor Presidente. Tuttavia, il problema è che nessuna portabilità è ammessa per chi non abbia pagato le rate. Noi proponiamo di bloccare gli ultimi due anni e di dare, comunque, la possibilità di intervenire e di rinegoziare il mutuo attraverso la portabilità.
Avrei molte altre questioni da affrontare e lo farò, magari, in sede di esame delle proposte emendative, se ve ne sarà la possibilità. L'Italia dei Valori ha presentato un numero molto ristretto di emendamenti - concludo, signor Presidente - proprio perché si possano discutere, anche in Aula, singoli aspetti e singoli provvedimenti. Ciò che si è fatto e che è contenuto nel decreto-legge in discussione è veramente troppo poco di fronte alla portata dei problemi da affrontare (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rao. Ne ha facoltà.

ROBERTO RAO. Signor Presidente, signor sottosegretario Casero, onorevoli relatori che state ascoltando con attenzione questo dibattito, sul cosiddetto decreto-legge anti-crisi registriamo, ancora una volta, il fallimento della politica dei grandi annunci e delle roboanti promesse, a cui seguono fatti, purtroppo, minimali. Mentre gli altri Paesi europei lanciano programmi e politiche di bilancio espansive per sostenere la domanda interna, l'Italia si appresta a varare un provvedimento difensivo e, a nostro giudizio, inadeguato alla situazione. Eppure, all'inizio del dibattito sulla crisi vi fu chi affermò che le misure del Governo sarebbero state enormi e grandiose. Vi fu chi si espresse con le seguenti parole, cito il Presidente Berlusconi il 17 novembre scorso: «Intendiamo investire 80 miliardi per aiutare le famiglie e le imprese. Una misura che ridurrà lo stress degli italiani di fronte a queste difficoltà». Si tratta di intendimenti che hanno fatto ben sperare chi, come noi, non è vittima di pregiudizi. Tuttavia siamo ormai abituati al fatto che, in genere, questi impegnativi annunci restino lettera morta. La linea del Governo sembra ondeggiare spesso, strattonata di qua e di là dalle diverse anime di questa maggioranza, che non è granitica come vuole sembrare: ormai, questo è evidente.
La maggioranza si trova di fronte ad un bivio: da una parte vi sono i profeti, quelli che dicono «avevamo previsto tutto», ma che, in realtà, non hanno ancora maturato la giusta consapevolezza della portata reale della crisi che si accinge a vivere anche il nostro Paese. Dall'altra parte, vi sono coloro che, in questa fase, non hanno il coraggio di affrontare i problemi gravi Pag. 26della nostra economia con quello spirito bipartisan richiamato autorevolmente anche dal Capo dello Stato nel messaggio alla nazione del 31 dicembre scorso.
L'Unione di Centro ritiene che solo affrontando i problemi con la consapevolezza della loro portata (e dunque non sottovalutandoli) e chiamando le opposizioni a concorrere positivamente (ma anche ascoltandole) con spirito di unità nazionale alla soluzione di questi problemi possiamo rendere concreto l'auspicio del Presidente Napolitano cui facevamo riferimento, l'auspicio di trasformare questa difficile crisi in una opportunità per il Paese, dimostrando, per una volta, maturità della classe politica italiana tutta.
L'Unione di Centro non è una Cassandra, è una forza responsabile che non ama spargere facile pessimismo demagogico, non ama, quindi, ricordare che se prima del Governo Berlusconi si parlava delle difficoltà delle famiglie per arrivare alla quarta settimana, oggi sarebbe opportuno parlare di difficoltà delle famiglie - specie di quelle numerose e monoreddito e dei pensionati - ad arrivare persino alla terza settimana. Ma noi evitiamo un atteggiamento distruttivo: lo abbiamo dimostrato anche nelle Commissioni, dove i nostri colleghi, gli onorevoli Galletti e Occhiuto, hanno svolto un lavoro intenso, responsabile e di qualità e competenza presentando emendamenti la cui fattibilità era concreta, non emendamenti di bandiera, non emendamenti ostruzionistici. È nostro costume evitare questo strumento. Avrebbero potuto, questi emendamenti, concretamente trovare il voto positivo della maggioranza che avevamo richiamato alla prova dei fatti proprio in Parlamento. Questa prova, ancora una volta, non è stata superata: ha prevalso la solita sindrome di autosufficienza, il far tutto da sé, che finora ha avuto scarsi risultati, tanto da costringere il Governo stesso a continui interventi su provvedimenti già varati.
In ogni caso, ha prevalso l'atteggiamento minimalista di chi crede che questa sia una crisi di piccola portata. I dati ISTAT ci dimostrano, invece, un peggioramento dei conti pubblici, con un indebitamento che nei primi nove mesi del 2008 è stato pari al 2,1 per cento del PIL, mentre nel 2007 era pari a circa metà, l'1,2 per cento. Per essere un Governo che ha fatto del rigore la sua bandiera e che proprio per non peggiorare i conti ha evitato politiche espansive non mi sembra un buon risultato; anzi, sembrerebbe denotare una scarsa capacità di controllo della spesa, visto che l'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche è quasi raddoppiato rispetto al 2007 e che tutte le voci in uscita segnano valori positivi.
Signor sottosegretario, vi state muovendo con un approccio difensivo, l'approccio di chi punta tutto a limitare i danni e a salvare l'argenteria; ma questa crisi è diversa dal passato, va aggredita e per farlo, per attuare quelle logiche e le conseguenti politiche espansive, vi è la necessità di politiche coraggiose certamente difficili da attuare, quali quelle a cui ci ha richiamato la settimana scorsa l'economista Bini Smaghi e nei mesi scorsi tanti altri insigni economisti e imprenditori, sulle quali non abbiamo mai nascosto la nostra disponibilità.
Per attuare scelte di questo tipo occorrerebbe, infatti, quella forte unità di intenti tra forze politiche, sociali e imprenditoriali che oggi in Italia non c'è, anche per la mancanza di volontà della maggioranza e del Governo di operare realmente in questa direzione, al di là delle solite dichiarazioni di intenti. È molto più semplice mandare in onda per gli italiani i consigli per gli acquisti e dire loro che i consumi si fermeranno e inizierà la recessione solo se le famiglie smetteranno di acquistare; spargere, insomma, ottimismo a buon mercato, piuttosto che riflettere insieme su come reperire e distribuire l'ossigeno necessario alle famiglie - lo ripeto, specie a quelle monoreddito, che sono numerose - e ai pensionati, così come alle imprese, specie quelle piccole e medie, per attivare quel circuito virtuoso dei consumi che, a detta di tanti qualificati economisti, servirebbe.
Signor Presidente, il decreto-legge cosiddetto anticrisi contiene, secondo l'Unione di Centro, solo piccoli interventi Pag. 27che certamente vanno rispettati, perché è evidente che per tante persone è difficile anche solo comprare il latte o la pasta ogni giorno, o che le stesse faticano a fare i più piccoli acquisti. Insomma, anche 40 euro sono importanti, ma è chiaro a tutti che non sono queste le misure che permetteranno di rimettere in moto l'economia.
Per praticità mi soffermerò ad analizzare soltanto alcune di queste misure, in maniera schematica, così come i colleghi Galletti e Occhiuto hanno fatto in questi giorni nelle Commissioni cercando di migliorare questo decreto-legge, purtroppo, inutilmente. La social card: ne sono state attivate solo 350 mila sul milione e 300 mila previste, a dimostrazione che o lo strumento è troppo macchinoso ed è difficile ottenerlo, o i requisiti sono così stringenti che alla fine non vengono raggiunti neanche dai presunti destinatari della misura. Apprezziamo l'obiettivo, non il metodo. Non si può sbandierare la social card come uno strumento innovativo per combattere la povertà quando poi risulta impossibile o faticoso per molti anziani perfino entrarne in possesso: sarebbe stato molto più semplice e rapido accreditare il bonus direttamente sulle pensioni sociali. Questo meccanismo, invece, comporta anche dei costi sociali alti, che vanno dal tempo perso per le file e gli spostamenti, alla carta usata per i formulari, all'allestimento dei call center, per finire con la convenzione con Mastercard, senza dimenticare le lettere inviate, i costi delle Poste e via discorrendo. Insomma, un flop annunciato che sa troppo di elemosina, ma che pure in certi momenti e in situazioni gravissime non va rifiutata.
Ma compito dello Stato non è quello di fare l'elemosina. Il compito di un Governo moderno è quello di attuare politiche attive di sostegno e sviluppo per le famiglie e i ceti bisognosi.
Passiamo al bonus famiglia, che era stato annunciato come l'antipasto del quoziente familiare, di quello, cioè, che era stato sbandierato in campagna elettorale come un principio inderogabile mentre si è rivelato uno spot pieno di contraddizioni: esso favorirà, nell'82 per cento dei casi - come ha evidenziato oggi un'attenta inchiesta di Avvenire che ha richiamato prima anche la collega Binetti - single e coppie senza figli, proprio in virtù di un meccanismo non tarato sui destinatari originari.
Almeno su questo invitiamo il Governo a ripensarci e a modificare questa norma inefficace e contraddittoria nei suoi effetti. Non credo che quella contenuta nel decreto-legge corrisponda all'idea di famiglia che ha questo Governo. I diversi tetti di reddito per accedere al beneficio, infatti, sono stati fissati a livelli più alti della fascia di povertà per single e coppie senza figli, mentre sono ben al di sotto della fascia di povertà per le coppie con figli. Risultato: solo le famiglie poverissime saranno raggiunte dal beneficio che andrà invece più largamente a single o coppie di fatto.
Non solo: se il sistema non venisse cambiato, ai conviventi potrebbe andare anche un bonus doppio perché, per costoro, non vige il cumulo dei redditi. Un nostro emendamento mirava a riequilibrare i pesi tra i diversi beneficiari, senza aumentare la spesa complessiva, ma la maggioranza, in Commissione bilancio, ha pensato bene di bocciarlo per la seguente motivazione: ormai, i moduli per il bonus, è stato risposto, erano stati stampati con i parametri stabiliti dal decreto. Potere della burocrazia, con buona pace del Ministro per la semplificazione normativa!
In un momento di crisi si è badato troppo alla retorica tralasciando la sostanza, non considerando, cioè, che alla base delle misure doveva essere posto il reddito familiare di una famiglia classica anche nel senso statistico: genitori sposati con due figli, per esempio, come ha sottolineato il professor Campiglio nelle colonne del Corriere della sera di oggi.
Il risultato è che tale strumento non farà che aumentare le disuguaglianze. Non siamo contrari ovviamente, ma non possiamo rallegrarci per un bonus per latte artificiale e pannolini per un bebè tra 0 e 3 mesi, anche perché è riservato solo agli Pag. 28stessi, pochissimi, beneficiari della social card, di cui abbiamo già sottolineato le contraddizioni e l'inefficacia.
Per quanto concerne gli studi di settore, si tratta di un argomento su cui aveva puntato forte la Lega Nord. Era anche il provvedimento più atteso dai lavoratori autonomi che avevano chiesto, vista la particolare contingenza economica, l'abolizione degli indicatori di normalità economica e l'inversione dell'onere della prova a carico del fisco. Il risultato è che hanno ottenuto, in cambio, una semplice integrazione per tener conto della crisi e l'estensione anche ai lavoratori autonomi che si sono adeguati agli studi di settore degli assegni familiari: estensione per ora solo sulla carta e tutta da definire con decretazione ministeriale.
L'IVA per cassa è una misura che avevamo chiesto noi in finanziaria e di cui rivendichiamo la paternità e anche la condivisione. Rileviamo con favore che, dopo il via libera dell'Unione europea, diventerà una misura strutturale. Quando, però, cercammo di inserirla nella finanziaria, la maggioranza votò contro.
La Lega ha fatto retromarcia su molti emendamenti considerati per essa irrinunciabili, dalla revisione degli studi di settore per finire alla sconclusionata e, a nostro giudizio, profondamente ingiusta tassa sugli extracomunitari. Altri emendamenti cui la Lega ha dovuto rinunciare li ha elencati prima il collega Simonetti. Fa un po' tenerezza vedere come la Lega Nord sbandieri con orgoglio l'emendamento cosiddetto salva Malpensa, che non liberalizza un bel niente, contemplando solo un allargamento degli slot. Esso, sostanzialmente, fa diventare automatica una prassi concessoria di deroga che passa da uno a tre anni, mentre, per quanto riguarda gli accordi bilaterali, tutto resta avvolto nella nebbia (di Malpensa, dovremmo dire).
In questo decreto non tutto è da buttare: torna l'eco-sconto per interventi di riqualificazione energetica di edifici e appartamenti, anche se spalmati su cinque anni. Questa comunque è una vittoria delle opposizioni che si sono battute energicamente per sensibilizzare il Governo e la maggioranza su questo tema. Rispetto alla versione originaria vi sono, certamente, maggiori certezze per i fondi di garanzia per i crediti alle piccole e medie imprese, grazie alla copertura dello Stato per la garanzia di ultima istanza. È positivo anche l'aumento del fondo destinato ai meno abbienti per pagare gli affitti a la conferma dello stop al pagamento della commissione sul massimo scoperto. Va bene anche il ripristino degli indennizzi per le aziende commerciali e turistiche in crisi, un assegno pari alla pensione minima in favore degli esercenti costretti a chiudere la propria attività nei tre anni precedenti il pensionamento di vecchiaia. Concludendo, crediamo di avere illustrato ciò che non ci soddisfa di questa politica economica (che tutto può dirsi tranne che sia anti-crisi), ma abbiamo come sempre riconosciuto quanto di buono - troppo poco, secondo noi - è stato fatto.
È un pannicello caldo, questo, per un malato e se è vero che un pannicello può essere utile perché lenisce un po' la sofferenza, è pur vero che questa, colleghi della maggioranza, signor sottosegretario, non può esser certo la cura della malattia e porre la questione di fiducia in assenza di ostruzionismo e forse per evitare divisioni interne alla maggioranza è il modo peggiore per affrontare il problema.
Condividiamo l'iniziativa delle opposizioni, che offrono di ritirare tutti gli emendamenti dei propri gruppi tranne pochi qualificanti: dieci per il gruppo Partito Democratico, sette per il gruppo Unione di Centro e qualcuno ha detto anche per il gruppo Italia dei Valori, in cambio della rinuncia, da parte del Governo, a porre la questione di fiducia.
L'Unione di Centro aveva già ridotto i suoi emendamenti: siamo arrivati a sette e siamo disposti anche a proporne di meno. Se il Governo chiede la fiducia per accelerare i lavori parlamentari come afferma, ora non ha più motivo di farlo; se invece la chiede perché non si fida della sua stessa maggioranza e vuole militarizzare lo scontro con l'opposizione, allora non ci possiamo fare nulla: ponga questa fiducia.Pag. 29
A noi basterebbe poter votare un emendamento, quello che tolga l'odiosa discriminazione contro le famiglie contenuta nell'articolo 1 e siamo convinti che quest'Aula lo approverebbe.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cambursano. Ne ha facoltà.

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor sottosegretario Casero, credo sia già scritto il risultato finale in Aula di questa operazione iniziata oggi pomeriggio. Infatti, al di là delle buone intenzioni, degli auspici e delle prospettive che da parte dell'opposizione vengono manifestate, l'operazione si concluderà (e vorrei una volta per tutte essere smentito dai fatti) con la posizione della questione di fiducia, alla faccia della democrazia, del confronto e dei suggerimenti che abbiamo già dato in Commissione e sui quali non abbiamo trovato grande disponibilità. Ci auguravamo e ci auguriamo che ciò possa avvenire in questa sede, ma ne dubito fortemente.
Credo che solo in Italia, solo questo Governo non abbia ancora capito o faccia finta di non capire qual è la gravità della situazione internazionale, mondiale, europea e quindi anche italiana. Il mare è in tempesta e quando il mare è in tempesta non si può immaginare di fermare le acque con dei sacchetti di sabbia, come diceva ieri l'ex direttore di un grande quotidiano.
Quando parliamo di mare in tempesta sappiamo che ci riferiamo alla recessione mondiale, i cui effetti dureranno, purtroppo, secondo le previsioni degli economisti (sulla capacità dei quali di capire i fenomeni nutro qualche dubbio, o almeno così hanno dimostrato in questi ultimi tempi) come minimo due anni.
Come si può immaginare, sottosegretario Casero, che con una recessione che parte dall'America e tocca grandi Paesi dell'Europa (Inghilterra, Germania, Spagna) e che ormai è arrivata in Estremo Oriente (soprattutto nel più grande e popoloso Paese del mondo, la Cina) solo «l'Italietta», la nostra amata Italia, possa essere esente da ricadute negative di questa tempesta da recessione?
Se così stanno le cose - ci auguriamo di no -, possiamo immaginare che quanto sta avvenendo anche a livello politico nel mondo - mi riferisco alle crisi internazionali ormai sparse un po' ovunque, in particolare nel Medio Oriente (e quando parlo di Medio Oriente non mi riferisco soltanto alla striscia di Gaza ed all'irrisolto problema conflittuale che dura ormai da sessant'anni fra palestinesi e israeliani, ma anche alla guerra che non è ancora finita in Iraq, alla situazione delicatissima in Iran, alla guerra - perché così è si deve chiamare - in Afghanistan ed alla situazione deteriorata in tanti Stati dell'Africa che, come sappiamo ormai da tempo, sono anch'essi produttori di materie prime) - possa, prima o poi, farsi sentire di nuovo pesantemente in termini di costi delle materie prime.
Se il combinato disposto della recessione, da una parte, e dell'aumento della ripresa nella corsa al rialzo delle materie prime, in particolare quelle energetiche, dovesse combinarsi in un'unica soluzione, purtroppo, davvero i guai sarebbero tanti e per tutti, anche per quel Paese che era stato indicato dal nostro Ministro dell'economia e delle finanze (nella sua passata esperienza, dal 2001 al 2006) come quello portatore di tutti i mali, mentre abbiamo visto che i mali sono arrivati dell'Occidente, dai nostri cari e amati Stati Uniti d'America. Se per caso questa crisi dovesse ripercuotersi pesantemente su quel grande Paese, arrivando addirittura ad un dimezzamento della sua crescita, immaginate cosa ciò potrebbe causare in termini di tenuta sociale: un miliardo e trecento milioni di persone potrebbero, davvero, esplodere in grandi manifestazioni.
Pertanto, le tensioni sono tante. Come diceva un noto uomo di Stato (si tratta del primo presidente della Consob), Guido Rossi, ieri su un noto quotidiano: «La fenice sta morendo. O noi siamo in grado di farne nascere una nuova o altrimenti la pagheremo cara tutti». Ma per farne nascere una nuova, signor Presidente, occorre rivedere le strutture dell'economia Pag. 30dalle sue radici e dalle fondamenta, non con tamponamenti senza cambiamenti, che non servono assolutamente a nulla.
Prima di affrontare l'argomento al nostro esame, cioè quelli che mi permetto di definire, con un'espressione di Guido Rossi, «i tamponamenti» che questo Governo e questa maggioranza hanno messo in campo a fronte, invece, dei cambiamenti che sarebbero necessari, occorre spendere una parola sulle cause della crisi. Lo sappiamo un po' tutti, ma credo sia doveroso ricordarlo, perché vi è chi si è sbizzarrito nel dire, in quest'Aula e soprattutto sui giornali e davanti alle telecamere delle televisioni, che egli aveva previsto tutto, attivando delle iniziative ben prima di altri Ministri dell'economia di altri Paesi occidentali. Ma non è così, perché la sbornia consumistica, frutto dei debiti e, soprattutto, di quegli strumenti finanziari che sostenevano l'indebitamento delle famiglie e delle imprese, creando bolle speculative in continuazione - ricordo prima quella dell'informatica e della telematica, poi quella immobiliare e, infine, quella finanziaria - ci ha portato al collasso finanziario e ha prodotto questa recessione, dopo lo scoppio di queste bolle.
Tuttavia, le cause profonde vanno ricercate altrove e soprattutto nella politiche degli Stati Uniti d'America e di alcuni Paesi occidentali, compresa la nostra Italia, fatte di fiducia cieca nell'efficienza dei mercati e nella loro capacità di autoregolamentazione. Inoltre, la causa va ricercata nell'ideologia che ha ispirato questa politica, quella del liberismo sfrenato e senza regole, personificato da Milton Friedman e dalla scuola di Chicago, dalla politica monetaria di Greenspan, il quale, non più tardi di qualche mese fa, affermava che «l'alba di una nuova e gloriosa epoca finanziaria globale è davanti a noi». Si è visto quale gloriosa alba ci troviamo di fronte in questo momento.
I risultati sono questi. Abbiamo una struttura balcanizzata del sistema di vigilanza - voglio ricordare che queste parole non sono mie, ma del sottosegretario americano Paulson - e politiche che sono il frutto della deregulation messa in campo nel mondo occidentale.
Ho già detto in quest'Aula - permettetemi di ricordarlo ancora - che l'attuale Ministro dell'economia, lo stesso anche nei cinque anni in cui le cose andavano un po' meglio a livello mondiale, fatta eccezione di quella breve e terribile parentesi dell'attacco alle due torri di New York, ha esaltato quella filosofia e quella politica, usando esattamente questa espressione: gli spiriti animali dell'economia e della finanza devono essere lasciati liberi di galoppare nelle verdi praterie del libero mercato, senza regole e senza freni. Queste erano le parole del nostro Ministro Giulio Tremonti, che oggi dice di sostenere - lo ha fatto ed è vero, in un libercolo, ma tardivamente - di aver previsto tutto quello che è capitato.
Esaminate le cause, occorre passare alle conseguenze, ossia ai tamponamenti e ai sacchetti di sabbia che questo Governo mette in campo. Infatti, solo di questo, cari colleghi, signor Presidente, si tratta. La vera manovra finanziaria, quella di rilancio - anche in questo caso le parole non sono mie, ma del Ministro dell'economia -, è stata messa in campo nell'estate scorsa con due decreti-legge: il n. 93 del 2008 e il n. 112 del 2008, sui quali ritengo che l'onestà intellettuale dovrebbe farvi dire di aver sbagliato. Infatti, aver eliminato l'imposta comunale sugli immobili per la fascia alta di reddito e di patrimonio è costato, come ricordava il collega Borghesi, oltre 3 miliardi di euro. Immaginate quanto sarebbe utile poter contare su questa cifra! Io per primo in Aula ho ringraziato il Ministro Tremonti per avermi abbonato 1.250 euro togliendomi l'ICI sulla prima casa, ma non ne avevo bisogno, e con me tantissime, centinaia di migliaia di famiglie, di questo regalo. Invece altri, che prima non arrivavano alla quarta settimana - come ci è stato appena ricordato - adesso non arrivano alla terza e, purtroppo, la loro situazione va via via peggiorando.
Che dire poi di quel provvedimento, quell'ulteriore regalo alla società che questa Pag. 31notte cambierà assetti ufficialmente, ma che continuerà a chiamarsi Alitalia, costata centinaia di milioni di euro (nel trascorso esercizio) e che costerà, alla fine dell'operazione, almeno 5 miliardi di euro?
Si è tanto sbandierato - l'ho sentito ancora quest'oggi in Aula da un collega della Lega nord - di aver detassato gli straordinari, come un grande risultato. Mi piacerebbe che il sottosegretario si impegnasse formalmente, a nome del Governo, a riferire quante sono le ore di straordinario che hanno potuto usufruire della detassazione, così come previsto dal decreto-legge n. 93 del 2008. Credo siano tendenti a zero, così come è tendente a zero, se non proprio allo zero assoluto, l'incamerato dall'erario dalla cosiddetta Robin Hood tax.
Poi c'è stato il colpo di genio, ossia quello del decreto-legge n. 112 del 2008, fatto di tagli alla scuola, alla giustizia, alla sicurezza e alle infrastrutture, ma soprattutto questi due provvedimenti e quelli che ne sono conseguiti: il Documento di programmazione economico-finanziaria e la nota di aggiornamento, che si basano su previsioni sballate.
Ricordiamo che proprio l'ultima nota di aggiornamento che il Ministro Tremonti ci ha presentato in quest'Aula diceva che la crescita per l'esercizio appena iniziato (il 2009) sarebbe stata dello 0,5 per cento, mentre invece tutti gli organismi nazionali e internazionali dicono che, se andrà bene, non si tratterà di crescita, ma di recessione di almeno un punto percentuale. C'è già qualcuno che si spinge anche oltre immaginando, purtroppo, un meno 2 per cento.
Si prevedeva non più tardi di due mesi fa un indebitamento del 2,1 per cento. Siamo già abbondantemente oltre il 3,2 e ci stiamo avvicinando velocemente al 3,5 per cento, nonostante la riduzione (come ci ricordava molto bene il collega Borghesi) dei tassi di interesse praticati sul debito pubblico a fronte della riduzione del tasso da parte della Banca europea che dovrebbe farci risparmiare qualcosa come 4 o 5 miliardi di euro.
L'altra grossa previsione sbagliata è quella relativa all'occupazione. L'ultima parte del Documento di programmazione economica e finanziaria parlava esattamente di ripresa e di crescita dell'occupazione con forte riduzione della disoccupazione in questo Paese. Ahimè, i risultati si sono visti. Non dico - per il momento - di chi siano le responsabilità, ma certamente ciò riguarda la mancata capacità di prevedere quanto stava avvenendo in questo Paese, per cause proprie e per cause indirette (cioè provenienti dall'esterno); bisogna dire che davvero non c'è assolutamente la capacità di intuire quello che capita.
Ciò significa che la disoccupazione è crescente, che le entrate stanno diminuendo, che l'evasione fiscale, come ci veniva ancora ricordato, ha ripreso a galoppare ed è vero che c'è stato un andamento positivo degli incameramenti da parte dell'erario, così come certificato e dall'Agenzia delle entrate e da parte della guardia di finanza, ma questi sono risultati degli interventi messi in campo dal Governo Prodi nell'esercizio 2007, le cui conseguenze - come ormai è noto a tutti a meno che non si vogliano mistificare le cose - si fanno sentire esattamente nell'esercizio successivo. Questi sono i risultati.
Il Ministro Tremonti recentemente - credo che tutti i colleghi lo abbiano letto - si è permesso anche di andare in giro per il mondo, nei consessi internazionali, a pontificare. Parla di previsioni azzeccate, di etica standard internazionale. Recentemente, davanti alle telecamere nostrane, ha dichiarato che la manovra complessiva anticrisi supera i 100 miliardi di euro. Non so se questo signore viva nella realtà o la voglia mistificare: sappiamo bene qual è il totale complessivo della manovra al nostro esame. Stiamo parlando di 6 miliardi di intervento, ma non con risorse aggiuntive che vengono messe in campo da questo Governo, ma semplicemente con maggiori entrate derivanti ovviamente da manovre su capitoli diversi, e questo è un gioco delle parti a somma zero.Pag. 32
Nei mesi di giugno e luglio, il nostro Ministro parlava di speculazione sulle materie prime, non rendendosi conto di quanto stava avvenendo. Parlava di contenimento della spesa pubblica e, invece, è stato certificato anche dalla Nota di aggiornamento che questa ha ripreso a galoppare. Questi sono i risultati di una certa politica. Mi dispiace che non ci sia alcun collega della Lega Nord Padania, poiché a lor signori della Lega Nord Padania voglio ricordare che pochi giorni prima del disegno di legge finanziaria hanno votato a favore su un provvedimento (quello sulle autonomia locali) dando un contributo a perdere, cioè a carico dei contribuenti, di 140 milioni di euro per la città di Catania che era in pre-default. Sappiamo che ciò è stato causato da chi l'ha governata negli otto anni precedenti e quel sindaco ha avuto come premio la nomina - non l'elezione - a parlamentare e collega della Camera dei deputati. Allo stesso modo, ha avuto un premio - perché c'era stato un cambio di guardia politico - la città di Roma, con 500 milioni per tre anni e ulteriori due anni. Adesso vi è l'ultimo regalo per la città di Roma, cioè lo scomputo dal patto di stabilità degli oneri che la città di Roma sosterrà per le infrastrutture.
Giustamente i sindaci delle altre grandi città sono insorti, perché qui non ci sono figli e figliastri. Come ha detto giustamente il sindaco di Torino, una volta c'erano le leggi ad personam, adesso si fanno le leggi «ad municipium»: se l'amministrazione comunale o regionale è di un certo colore si fanno i provvedimenti a favore, se invece è di altro colore politico si fanno interventi contro. Il signor sindaco della mia città, Torino, scrive: «Mi chiedo se gli uomini del Carroccio, dopo averci disgustato per anni con lo slogan "Roma ladrona", ora siano passati a tenere il sacco». È questa la verità, perché con le difficoltà che gli enti locali stanno attraversando, tutti gli enti locali, come si può intervenire soltanto a favore di qualcuno?
Quindi, quella al nostro esame, è una manovra assolutamente insufficiente. Non parliamo più, signor Ministro dell'economia, di etica da standard internazionale. Ma come si permette, signor Ministro (spero mi stia ascoltando, ma comunque glielo riferiranno), proprio lei che esaltava il liberismo sfrenato, che ha depenalizzato il falso in bilancio, che dopo gli scandali Cirio, Parmalat eccetera, ha fatto una legge per la tutela del risparmio ridicola, che ha fatto condoni a gogo, incentivando l'evasione e l'elusione fiscale, che ha fatto lo scudo fiscale. Vi ricordate, colleghi, cos'è lo scudo fiscale? Pagavano il 2,5 per cento per far rientrare i capitali esportati clandestinamente all'estero. Chi è che esportava capitali clandestinamente all'estero? Quelli che l'avevano fatta sporca, quelli che avevano capitali da riciclare!
E allora ha ragione, colleghi, il presidente della Commissione finanze (che non è la mia) che ci diceva non più tardi di venerdì notte - vero, collega Borghesi? - che non è vero che le famiglie italiane non hanno più risorse finanziarie, perché hanno accantonato e hanno in nero, oltre ai risparmi alla luce del sole, risorse infinite. Quali famiglie, signor presidente della Commissione finanze? Quelle che hanno potuto usufruire del vostro provvedimento, lo scudo fiscale, e che hanno fatto prima uscire le risorse, poi hanno pagato il 2,5 per cento, contro il 12,5 o il 27 per cento che si pagano sugli interessi bancari e sui titoli di Stato. Certo che questi hanno risorse a gogo, ma sono un'esigua parte della cittadinanza.
Il collega Borghesi ha ricordato ancora quell'evento scandalo, frutto di uno dei vostri condoni del 2003: quello sull'IVA. Siamo stati richiamati pesantemente dall'Unione europea su questo recentemente. Io la dico tutta: ci sono 5 miliardi da recuperare? Questi concittadini che si erano impegnati, sottoscrivendo e aderendo al condono, a pagare la loro quota parte - peraltro assolutamente irrisoria - poi ci hanno anche preso per i fondelli (scusate la volgarità del termine in quest'Aula sacra)? Sì, hanno preso in giro l'Italia, l'Italia onesta! Allora delle due l'una: caro Ministro Tremonti, o tu ti attivi con urgenza a recuperare questi quattrini, o altrimenti chiedo formalmente da questi Pag. 33banchi che la Corte dei conti si attivi nei confronti di quel Governo che ha permesso queste cose. Lo dice la Corte di giustizia europea che devono essere recuperati: questa è giustizia sociale, ancora prima che fiscale (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
E poi, signor Ministro, fermi i suoi «Tremonti boys», quelli che per loro iniziativa stanno mettendo in campo operazioni anti-sentenze della Corte di cassazione, mi riferisco a quelle recenti del 23 dicembre scorso in materia di anti-elusione: stanno trovando il modo per andare incontro, ancora una volta, a quanti avevano messo in campo manovre elusive.
Le uniche specialità di questo Governo - ormai lo abbiamo capito tutti, anche gli italiani - sono gli annunci sui media (uno di questi, l'ho detto prima, è quello relativo ai 100 miliardi e rotti messi in campo per la manovra anticrisi) e i titoli roboanti, come quello del provvedimento in esame, recante misure urgenti per il sostegno delle famiglie, del lavoro, dell'occupazione e delle imprese.
Famiglie: sulla social card, è già stato detto tanto. È un'elemosina, non c'è altro termine. Per carità, è vero che chi ha nulla comincia a prendere anche i 40 euro al mese, ma vi siete chiesti perché avevate previsto, a fronte di un milione e 300 mila aventi diritto, che soltanto 350 mila ne avrebbero usufruito? Vi è una spiegazione sola, che non è frutto della macchinosità, come ci veniva ricordato nell'intervento che mi ha preceduto.
Vi è una parola molto più alta, che ha fatto sì che un milione di persone non si sia attivato per aver la social card: si chiama dignità! Rinunciano piuttosto ai 40 euro al mese, ma vogliono salvare la propria dignità.
E a tale proposito vengo al bonus famiglia. L'Avvenire lo ha detto bene, colleghi del centrodestra, che dite di essere così sensibili agli insegnamenti della Chiesa, della CEI, della Conferenza episcopale italiana: tale misura favorirà soprattutto le coppie di fatto o i nuclei familiari monocomponenti, e non già, invece, le famiglie vere, con figli.
È stato anche quantificato il numero delle famiglie che avranno bonus irrisori e quante saranno, invece, in termini percentuali - credo poco più del 10 per cento - quelle che avranno un intervento in qualche modo significativo.
Che dire, poi, della questione dei mutui per la prima casa? Mi rispondete, una volta per tutte, signori del Governo, sulla questione di quale sia stata la risposta dei sottoscrittori di mutui per l'acquisto della prima casa in merito al vostro provvedimento assunto nel mese di maggio, il decreto-legge n. 93 del 2008 che citavo prima?
Quanti hanno chiesto la rinegoziazione alle condizioni che avete previsto nel provvedimento? Zero! Quanti sono quelli che usufruiranno del tetto ai tassi di interesse, che non potranno oltrepassare il 4 per cento, dei mutui per la prima casa? Saranno di nuovo pari a zero, perché i mutui a tasso variabile (perché soltanto di questi si sta parlando) che vedranno una riduzione, o meglio, un non aggravamento degli interessi, saranno pari a zero.
Oggi, infatti, i tassi di interesse variabile sulla prima casa sono già abbondantemente al di sotto del 4 per cento. Non vi siete chiesti, allora, perché premiare quelli che non sono stati lungimiranti, avendo sottoscritto mutui a tassi variabili e, ancora una volta, intervenire in modo negativo su quelli che, invece, sono stati lungimiranti nel sottoscrivere mutui a tasso fisso? Perché questi devono pagare i vostri errori, visto che i tassi di interesse fissi sono superiori al 4 per cento?
Questo fa sì che voi facciate finta di non vedere e di non capire e vi giriate dall'altra parte. Ma, anche qui c'è una spiegazione: vi interessa avere quella disponibilità, che non verrà utilizzata, per altri fini; per esempio, quello delle detrazioni o quello degli assegni familiari, così come l'Italia dei Valori, ma anche il Partito Democratico, vi ha indicato con propri emendamenti, che riproporremo.
Vi è, poi, un problema di incostituzionalità: come si possono trattare i cittadini Pag. 34in modo diverso? Dove sta, anche qui, di nuovo, la giustizia, la vostra giustizia? Due pesi e due misure!
Ci saranno, quindi, naturalmente coloro che faranno ricorso e questo provvedimento sarà dichiarato incostituzionale, ma credo che sia esattamente ciò che volete, perché così non si spenderà un quattrino.
Avete detto di no alla nostra proposta di aumentare la quota di detraibilità degli interessi pagati per i mutui, che noi vi abbiamo proposto di elevare da 4 mila a 6 mila euro; avete detto di no ad una scrittura che fosse davvero a copertura totale di coloro che si trovano in difficoltà rispetto all'occupazione (si fa per dire, occupazione), cioè di coloro che sono in caduta libera rispetto al lavoro. Sappiamo che la cassa integrazione in questi ultimi dodici mesi appena trascorsi, quella ordinaria, è aumentata del 525 per cento; nel solo mese di dicembre è aumentata del 112 per cento, soprattutto in alcune regioni del nord, in Piemonte in particolare, mi permetto di dire: nel mio Piemonte. Al riguardo, credo che voi sappiate, colleghi, che gli ammortizzatori sociali coprono soltanto il 49,1 per cento dei lavoratori dipendenti privati.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

RENATO CAMBURSANO. Non «toccano» la rimanente parte del 50,9 per cento, in particolare i lavoratori dei servizi, del commercio e del sistema bancario e assicurativo. Queste sono le vostre operazioni!
Analogamente, non avete risposto - e concludo, signor Presidente - ai bisogni veri, reali di questo Paese, cioè non siete intervenuti a favore delle imprese; in particolare, non siete intervenuti a favore di quelle che danno occupazione, quelle dell'automobile, degli arredi, delle piastrelle: non avete previsto un euro, non avete stanziato assolutamente nulla!
Concludo con la seguente semplice considerazione. Credo che, come dichiarava Mario Monti recentemente sul Corriere della sera, sarebbe imprudente non prendere misure espansive, e ciò in risposta a coloro che immaginavano che fosse imprudente aumentare il rischio di un incremento del debito pubblico. Invece un grande economista con esperienza internazionale come Mario Monti scrive l'esatto opposto. Condivido totalmente: bisogna avere il coraggio di incidere, anche rischiando un certo aumento del debito, se ovviamente le operazioni sono sostenute dalla credibilità. Ma mi pare di capire che la vostra credibilità a livello Paese, a livello internazionale sia tendente a zero, e quindi non volete rischiare che i prossimi collocamenti dei titoli di Stato facciano dei flop. Questo è il vero rischio che questo Paese sta correndo (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Meta. Ne ha facoltà.

MICHELE POMPEO META. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, in un momento di crisi economica, e quindi strutturale e anche sociale, sarebbe opportuno per chi ricopre incarichi di responsabilità istituzionale adottare un approccio ispirato alla cosiddetta realpolitik, ovvero più rispondente ai bisogni dei cittadini e alle urgenze del momento; questo riferito agli aspetti strutturali, strategici ma anche di riforma. Sarebbe quindi saggio affrontare ed aggredire le debolezze di fondo del Paese che tutti conosciamo, e che sono state ampiamente discusse ed evidenziate in questi mesi: si va dall'istruzione alla politica dei redditi, alle tassazioni, alle infrastrutture, al mercato del lavoro, solo per citarne alcune. Questa maggioranza, in particolar modo il Governo che detiene saldamente in mano dal suo insediamento l'esclusività della funzione legislativa, usandola con discrezione attraverso numerosi decreti-legge, è accecata purtroppo da una visione romantica dell'iniziativa politica, legata a doppio filo a impostazioni tutte ideologiche dei numerosi problemi aperti dalla crisi dei mercati globali.
Nelle ultime settimane (basta difatti mettere in fila le principali questioni ai Pag. 35vertici delle cronache) l'iniziativa legislativa del Governo e della maggioranza, le risposte al Paese reale sono state in grande parte dettate da una visione della realtà fortemente distorta, stravolta e artefatta. È successo per l'offensiva senza precedenti scatenata nei confronti della scuola pubblica e dell'università italiana, dettata soprattutto da ragioni di cassa del Ministro Tremonti: tagli a caso, indiscriminati, senza alcuna idea di riforme e di sviluppo del sistema di istruzione italiano, in un periodo storico che richiederebbe invece investimenti massicci in ricerca e innovazione utili ad un rilancio dell'economia (il che è quanto, ad esempio, stanno facendo gli altri Paesi europei, anche i nostri cugini d'oltralpe).
Lo abbiamo visto con i propositi di riforma del sistema giudiziario, improvvisamente diventata priorità senza alcuna ragione comprensibile per il cittadino medio italiano che ha ben altri grattacapi al risveglio al mattino in queste giornate (riforma della giustizia per la quale il Presidente del Consiglio dimostra sempre più una volontà di autosufficienza, dannosa per le possibili conseguenze politiche ed istituzionali).
Inoltre, già con l'abolizione dell'ICI sulla prima casa per la restante fetta di italiani - promessa elettorale di facile appeal ma senza interessi generali - si è determinata esclusivamente una confusione ed un disorientamento per le casse degli enti locali, ovvero per il contatto più prossimo dello Stato con i cittadini (lo Stato tra la gente). Si è trattato di tagli a caso e di benefici di dubbia rilevanza, se consideriamo che forse i destinatari di simile provvedimento non sono proprio i ceti più in difficoltà con l'aumento del costo della vita e con le dinamiche recessive in corso.
Per non parlare poi dell'impostazione tutta padana della grande questione della sicurezza, tema di alta sensibilità per i cittadini che sono sempre più incoraggiati, anche dai media, a vivere in uno stato di permanente paura l'uno nei confronti dell'altro, di angoscia e, a volte, di diffidenza.
Inoltre, per la privatizzazione di Alitalia abbiamo, ahimè, assistito alla summa massima di una contraddizione in termini che vive ed alimenta la coalizione guidata dal Premier Berlusconi. Questa coalizione non ha esitato, per ragioni vecchie legate più a questioni di bottega e a scaramucce di partito, a far abbandonare l'iniziale e vantaggioso proposito di acquisto di Air France per poi ritornare sui propri passi cedendo a prezzi stracciati, di fatto, l'Alitalia al vettore francese: uno spreco di soldi pubblici!
Se dobbiamo dare un nome alle cose, la scelta del Governo Berlusconi di intraprendere questo percorso intorno alla CAI ha determinato, infatti, uno spreco di denaro pubblico in un periodo, tra l'altro, di vacche magre e di drammatiche urgenze per i cittadini.
Il costo stimato appunto, di oltre tre miliardi e mezzo, dell'operazione CAI in versione mignon, per la sua preoccupante dimensione domestico-nazionale, ha determinato una polverizzazione di risorse che il Governo avrebbe potuto immettere immediatamente nell'economia reale.
Sarebbe stata, se fatta con la dovuta responsabilità, una massiccia iniezione di denaro pubblico che avrebbe perlomeno salvato il Natale a migliaia di famiglie di italiani in cassa integrazione dagli inizi di dicembre.
Ma oggi, alla vigilia del lancio della nuova compagnia di bandiera, possiamo solamente dire che per un interesse personale del tutto irragionevole del Presidente del Consiglio è stata fatta una scelta sbagliata, industrialmente inconsistente e penalizzante per il sistema del trasporto aereo nazionale.
Evidentemente, cari colleghi della maggioranza, dalle vostre parti non brilla la stella della ragione, non batte il cuore per i più deboli, per gli indifesi, per il quotidiano vivere dei nostri cittadini!
Vi trovate, voi, più a vostro agio nel fare i conti con i problemi del «Palazzo», con la diatriba politicante quotidiana fatta di offese e di divisioni che cercate di instillare nel Paese, di delegittimazione del ruolo dell'opposizione parlamentare e di Pag. 36tutti coloro che non la pensano come voi, in perfetta sintonia con le drammatiche notizie di gesti di intolleranza che provengono dalle cronache quotidiane della provincia italiana.
Le aggressioni, la caccia alle streghe, le svastiche sui muri, il rigurgito xenofobo e fascistoide, la ferocia aguzzina sono ormai fenomeni intrinseci ad una società che continua a sfilacciarsi sotto il peso dell'indifferenza, del conservatorismo più bieco e della paura l'uno dell'altro (un tessuto sociale che vive in questo momento la mancanza di valori di riferimento nella politica così come, a volte, nelle istituzioni).
È necessario, per parte nostra, recuperare al più presto un senso più alto della missione che i cittadini ci affidano nelle urne: le strade sono certamente diverse, le nostre posizioni possono non coincidere, ma in momenti come questi è utile aprirsi ad un confronto con l'opposizione, con ricette alternative sì, ma altrettanto legittime.
Pensate davvero - me lo chiedo in maniera non certo retorica - di offrire un servizio al Paese concentrando i vostri sforzi sul salvataggio dello scalo di Malpensa, diventata priorità nelle vostre misure anticrisi? Non vedo davvero che vi colpiscono le drammatiche notizie di decine di migliaia di cassaintegrati nel privato, annunciati dalla Confindustria, e prontamente respinti dal Premier con un invito alla non divulgazione.
Così come non vi scuote il preoccupante dato emerso in questi ultimi giorni che riguarda i precari: quel 50 per cento della forza lavoro che è in difficoltà con la crisi del Paese, la meno tutelata in assoluto con gli ammortizzatori sociali, la più esposta ai prossimi mesi di recessione. L'allarme, poi, sulla crescente povertà nel Paese non vi scalfisce.
Sfugge il senso di un approccio simile ai problemi del Paese da parte del quarto Governo Berlusconi, come pure il rifugio - cui spesso ricorrono autorevoli esponenti della destra - in una irresponsabilità presunta delle dinamiche recessive di questi ultimi anni.
La crisi economica, di cui ascoltiamo solamente i primi vagiti, ha certamente origini transnazionali, globali, ma non dimentichiamo che chi oggi siede nelle principali stanze dei bottoni del Paese li ha premuti, negli ultimi 15 anni di vita del nuovo ciclo politico nazionale, per almeno otto anni. In soldoni: Berlusconi e i suoi spesso sembrano dei marziani alle prese con questioni decisive per il Paese, dimenticando che hanno governato, e anche per molti anni, l'economia, la politica estera, le politiche di sicurezza, il mondo del lavoro, le scelte infrastrutturali.
Non è tempo di giudizi - per carità! -, come neanche di un inconcludente scaricabarile, ma di scelte coraggiose, forti, e davvero utili ai bisogni dei cittadini.
Bisogna ripristinare la fiducia nei cittadini, capovolgere il senso comune che nel Paese sembra guidato dal pessimismo della ragione, spingendolo verso l'ottimismo della volontà, come sta avvedendo nei principali Paesi industrializzati del mondo, e come stanno facendo molti Paesi in via di sviluppo, che stanno invertendo tendenze ormai sconfitte dalla storia fatte di deregulation e mercatismo spinto.
Abbiamo bisogno di misure concrete per lo sviluppo, per sostenere il potere di acquisto delle famiglie dei lavoratori dipendenti più colpite dalla crisi, non certo di misure spot come la social card, impraticabile fumo negli occhi per chi non arriva a fine mese.
Bisogna modernizzare davvero questo Paese e l'intera macchina amministrativa. Di certo non è necessario farlo aggredendo sistematicamente il pubblico impiego, dipingendolo agli occhi dell'opinione pubblica come un insieme di fannulloni. È certamente serio porsi il problema del controllo dell'immigrazione, fattore peraltro decisivo per l'economia italiana, per una produzione che vede, in alcuni settori, manodopera di origine prevalentemente straniera. È disdicevole, però, farlo introducendo inique gabelle per tutti coloro che regolarmente vivono e lavorano nel nostro Paese (come stavate per fare in maniera surrettizia).Pag. 37
Temo, cari colleghi, che si stia sprecando, di nuovo, con questo decreto-legge, come già avvenuto con la manovra economica, un'occasione, un momento decisivo per il futuro del Paese e dei nostri figli.
Ci preoccupa, davvero, che alle prese con una crisi mondiale, che ha fatto perdere due milioni di posti di lavoro solo negli Stati Uniti, si affrontino le possibili ricadute nazionali con una superficialità non adeguata alle sfide del Governo.
Sono numerosi i buchi lasciati aperti dalla vostra iniziativa politica: il tema dei salari, per cominciare, ma anche la profonda ferita del Mezzogiorno dimenticato e considerato un corpo estraneo, ormai più zavorra che opportunità, per arrivare all'incredibile e increscioso destino dell'impresa italiana, in difficoltà per l'incapacità e l'impossibilità di innovarsi e sfidare i mercati globali, e pronta a delocalizzare la propria produzione all'estero, in regioni del mondo che vedono lo sfruttamento dei lavoratori come principio solido del capitalismo.
Di pari passo procede ormai inarrestabile la fuga dei cervelli, il travaso delle migliori teste del Paese, che in momenti come questi potrebbero aiutare, non poco, il rilancio dell'economia.
Come pure disdicevole e rilevante appare la retromarcia sulle detrazioni fiscali per coloro che investono nel risparmio energetico. Eravate pronti a cancellare i contributi per la riqualificazione energetica degli edifici, esattamente il contrario della tendenza maggiormente seguita dai Governi più industrializzati che vedono proprio nella svolta ambientale ed energetica nuove opportunità di sviluppo ed un terreno di sfida della crisi economica (basta vedere i primi atti del Presidente incaricato Obama).
Ma è sulle debolezze strutturali e storiche del Paese che noi del Partito Democratico rileviamo mancate decisioni, ritardi, spreco di denaro pubblico, confusione ed incertezza, come per quanto riguarda il tema delle infrastrutture materiali e immateriali.
Soffrono in questo contesto il trasporto ferroviario, aereo, stradale e marittimo per mancanza di risposte concrete e di pronta attivazione. Il ponte sullo stretto di Messina, che vedrà la luce tra qualche lustro, non è certo una misura anticrisi ad effetto immediato, ma voi negli scorsi mesi l'avete ritenuta fondamentale. Evidentemente, non ritenete che sia più importante portare i viaggiatori a Villa San Giovanni in maniera dignitosa, con treni moderni, puntuali e puliti, o con autostrade sicure e funzionali.
Le reti di telecomunicazione necessitano di investimenti massicci e strategici, perché lo sviluppo della banda larga è un obiettivo che può determinare l'uscita dall'isolamento del digital divide per milioni di italiani, per lo più giovani, e che può creare opportunità di sviluppo e lavoro anche per coloro che vivono nelle aree più depresse del Paese.
Questi sono macrotemi rilevanti per la responsabilità di chi deve difendere i più deboli dalla crisi economica, perché si possono fare piccoli ma immediati interventi di largo respiro per dare fiducia ai nostri cittadini.
Enti di ricerca ed osservatori tecnici ci dicono che uno dei primi segnali della crisi in atto, ad esempio, è il maggior ricorso dei cittadini all'utilizzo dei mezzi di trasporto pubblico. Alcune agenzie che svolgono il monitoraggio della mobilità urbana ed extraurbana ci forniscono dati che parlano di un incremento rilevante di passeggeri sugli autobus e sui treni pendolari nell'ultima settimana del mese. Si tratta, evidentemente, di una scelta per migliaia di famiglie dettata dalla necessità di rinunciare all'utilizzo dell'automobile destinando quel tipo di spesa ad altre esigenze primarie, ed è un fenomeno questo che bisogna regolare e sostenere dando risposte certe ed immediate, considerando i dettami costituzionali del diritto alla mobilità come bussola di riferimento.
Per quanto riguarda di fatto il trasporto ferroviario dobbiamo considerare che, nonostante la rivoluzione dell'alta velocità, che sta modificando in maniera determinante le politiche del trasporto Pag. 38pubblico, il materiale rotabile destinato al trasporto locale e pendolare invece è insufficiente e vetusto.
È certamente un fatto di rilievo per il nostro Paese che, dopo molti anni e in ritardo rispetto alle realtà europee, si inaugurano i primi tratti di alta velocità che permettono ai cittadini di un Paese che si articola nella lunghezza di una penisola di accelerare i propri spostamenti rinunciando all'automobile. Ma non è sufficiente, perché lì dove non arrivano gli interessi di mercato deve essere lo Stato ad assumere l'iniziativa.
Il trasporto locale e pendolare soffre da anni di inefficienze, e dispone di materiale rotabile vecchio e spesso inadeguato alla grande massa di lavoratori (sono due milioni circa i lavoratori che utilizzano questo mezzo di trasporto per recarsi al lavoro). Non dimentichiamo che proprio tra i pendolari del servizio pubblico c'è una evidente presenza di cittadini che più vengono colpiti dagli effetti della crisi economica, quel ceto medio più esposto alla recessione.
Riguardo questo aspetto, noi del PD abbiamo proposto in Commissione un intervento ad effetto immediato sul sistema del trasporto ferroviario, un'iniziativa che sarebbe stata sicuramente anticrisi e che avrebbe giovato anche al sistema industriale ferroviario. Una proposta semplice che prevedeva di destinare un centesimo di accisa per litro di benzina all'acquisto di nuovi treni per i pendolari e per il trasporto locale, per ammodernare quindi il trasporto ferroviario sulla breve e media istanza, ovvero il servizio universale da garantire sempre e comunque (si trattava di mille treni, l'intero parco dei treni delle Ferrovie dello Stato).
Considerato, infatti, che il costo del barile del petrolio è diminuito negli ultimi mesi e che tale accisa avrebbe inciso in maniera minima sulle famiglie (producendo benefici immediati nel breve e nel medio periodo), tale iniziativa avrebbe consentito di reperire risorse per il rinnovo di tutto il materiale rotabile, dando la giusta dignità ai viaggiatori pendolari, favorendo in questo modo inoltre il rilancio della cura del ferro coraggiosamente intrapreso negli anni passati soprattutto a livello di amministrazioni locali, che è davvero l'unica soluzione per il riequilibrio modale degli spostamenti quotidiani in favore del ferro, con conseguenze - io dico - importanti per l'ambiente e per lo stato di salute delle grandi aree urbane che beneficerebbero della necessaria riduzione di autoveicoli ad uso privato sulle strade italiane.
Infatti, potrebbe essere questa una scelta in linea con il tanto discusso ed osteggiato, dal Governo italiano in primis, pacchetto-clima dell'Unione europea, validissimo, invece, a nostro avviso perché rappresenta un impegno concreto per la salvaguardia dell'ambiente indicando la necessità di ridurre le emissioni inquinanti dell'atmosfera che nel nostro Paese derivano in larga parte dal settore dei trasporti ovviamente su gomma. Lo stesso, inoltre, ha un impatto non secondario sulla sicurezza stradale attraverso un ricorso dei cittadini sempre più marginale all'automobile.
Dispiace a questo punto costatare, quindi, cari colleghi, che tale proposta non sia stata presa sul serio e valutata con il giusto peso. A mio giudizio, il Governo ha espresso superficialmente un parere contrario al nostro emendamento che introduceva tale proposta. I mesi futuri, a mio avviso, devono vederci pronti proprio per questo genere di sfide: il finanziamento per «i mille treni», se adottato con questo criterio, potrebbe produrre benefici effetti anticrisi perché, oltre ai benefici già illustrati, avrebbe determinato anche un rilancio nel settore dell'industria ferroviaria in crisi come quella dell'automobile.
Nel nostro Paese abbiamo eccellenze nella progettazione e costruzione di materiale rotabile. Riattivare la produzione in questo settore permetterebbe ai tanti suoi addetti e del relativo indotto di uscire dalla terribile prospettiva della cassa integrazione o, peggio ancora, del fallimento.
Di non minore importanza è il capitolo relativo al trasporto marittimo: dallo scorso 1o gennaio sono cessate le misure di sostegno per questo settore vitale per la Pag. 39vita e l'economia delle isole italiane i cui abitanti sono in evidente stato di preoccupazione e in questi giorni stanno portando avanti azioni di protesta legittime e determinate nei confronti del Governo.
Nel decreto-legge «anticrisi» il Governo ha proposto lo slittamento di un anno della privatizzazione della società pubblica Tirrenia Spa. Si è rimandata nella sostanza la liberalizzazione del settore senza prevedere un contributo sufficiente per garantire la continuità territoriale delle isole. Gli effetti di questa scelta del Governo unitamente ai tagli al cabotaggio marittimo della scorsa manovra finanziaria sono ormai evidenti: non è servita a niente, purtroppo, la denuncia che più volte abbiamo richiamato. Tant'è vero che, la scorsa settimana, il Ministro Matteoli davanti a proteste eclatanti degli abitanti delle isole siciliane è stato costretto a dare rassicurazioni e a predisporre fondi di recupero.
Venendo, infine, ai problemi delle imprese segnalo che le aziende della cosiddetta Tiburtina Valley, poli di eccellenza nel campo delle telecomunicazioni e dell'elettronica, attendono ancora risposte dal Governo per interventi che riattivino il ciclo produttivo gravemente danneggiato dall'alluvione che ha colpito Roma prima delle vacanze natalizie.
Avevamo presentato, insieme ad altri colleghi del Partito Democratico di Roma, un emendamento che chiedeva lo stanziamento di risorse adeguate per far ripartire al più presto quegli straordinari incubatori di impresa nati sulla Tiburtina e che hanno contribuito all'affermazione dell'economia romana negli ultimi quindici anni. Dal Governo era arrivata una sostanziale disponibilità ad intervenire sulle aziende danneggiate dallo straripamento del fiume Aniene che, tuttavia, non si è tradotta in misure concrete.
Ribadisco in questa sede che per tali aziende è vitale ripartire subito in un mercato altamente competitivo e tecnologico come quello delle telecomunicazioni.
Sono prevalse, come ho provato a richiamare, le spie della contraddittorietà e della confusione che regnano nell'Esecutivo e della sua incapacità di liberarsi dai paraocchi ideologici che stringono in campo l'azione del Governo.
Noi vorremmo che questa azione fosse tutta concentrata nel sostegno ai problemi reali del Paese, alla necessaria iniezione di fiducia nei confronti delle giovani generazioni, ad un'attenta valutazione del sentire comune e delle esigenze di cittadini.
Infatti, dietro l'apparente ottimismo del Presidente Berlusconi, alle spalle della rappresentazione della realtà che lui e le sue televisioni inscenano ogni giorno, si trascinano senza fine, acutizzati anche dalla crisi in atto, problemi e conflitti che turbano la serenità degli italiani e che certo non vorremmo siano confinati ed ingessati dall'ennesimo voto di fiducia ingiustificato per l'importanza della discussione sulla crisi in atto e per un atteggiamento che da parte nostra è teso al rispetto alle prerogative parlamentari. Tanto più che il nostro partito ha ridotto notevolmente gli emendamenti presentati, concedendosi e concentrandosi sul merito di alcune proposte che spero voi avrete la bontà di giudicare ed apprezzare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Messina. Ne ha facoltà.

IGNAZIO MESSINA. Signor Presidente, ascoltare dai relatori l'opinione su questo intervento per affrontare la crisi in Italia credo che ci mostri una situazione totalmente distante dalla realtà. Ho ascoltato parlare prima i relatori e l'onorevole Bernardo: ci descrivevano un intervento fatto dal Governo come una panacea di tutti i mali italiani. Sembra quasi che col provvedimento in esame - ma avevano detto la stessa cosa con il decreto-legge n. 112 del 2008, subito dopo l'insediamento del Governo, e via via con i decreti-legge cosiddetti salva-banche - che si siano risolti tutti i problemi. Sembra quasi che la crisi internazionale che ha colpito l'Italia e che ovviamente non possiamo far finta che non esista, in Italia sia ormai dimenticata grazie a questi provvedimenti, che il Governo, uno dopo l'altro, sta tirando fuori.Pag. 40
Peccato che, a fronte di questa versione che il Governo offre e, arrancando, tenta di affrontare, con un provvedimento dopo l'altro, in maniera disorganica, vi sia il Paese, il Paese reale, fatto di cittadini che la mattina si alzano per andare a lavorare e poi scoprono che però non è sufficiente lavorare tutto il mese per poter sopravvivere, perché col lavoro che fanno per un mese vivono soltanto tre settimane e mezzo.
Questi sono i dati che emergono dall'analisi seria dei mali del Paese. Basta leggere i giornali di oggi, non c'è bisogno di andare in giro o guardarsi molto indietro: dai giornali di oggi e dal Corriere della sera si evince che, mentre il Governo sta sbandierando un abbassamento delle tasse, come se ormai le tasse in Italia fossero un brutto ricordo, al contrario la pressione fiscale è aumentata. È un dato ufficiale: il tax freedom day, cioè quel giorno nel quale il cittadino italiano si libera dalle tasse, cioè finisce di lavorare per lo Stato e comincia a lavorare per sé, per la sua famiglia e per i suoi figli, si è spostato in avanti nel tempo. Abbiamo scoperto che nel 2008 questo giorno non è più il centosettantunesimo, ma è il centosettantatreesimo, cioè di fatto, dall'insediamento di questo Governo, le tasse non sono diminuite ma sono aumentate.
Hai voglia a dare ai cittadini 40 euro al mese in più: se da un lato dai 40 euro - a qualcuno e non a tutti, perché poi l'accesso a queste misure è quasi una corsa ad ostacoli - dall'altra parte ne togli molti di più dalle tasche e alla fine, invece di incrementare il reddito delle famiglie, lo diminuisci drasticamente.
Si è tornati - ed è questo il dato che emerge ufficialmente - ad un livello di imposizione pari a quello del 2000, cioè si è tornati indietro di 8 anni, ma non in positivo, bensì in negativo . Hai voglia, quindi, a parlare di affrontare la crisi: altro che aiuti alle famiglie!
Poi si nota la disorganicità di questi interventi che il Governo sta per porre in essere: lo ha fatto già prima e continua a farlo oggi. Si ha la percezione netta dell'inseguimento di una situazione di cui non si conosce non solo la causa - o meglio, le cause più o meno ormai sono state individuate - ma soprattutto non si sa come affrontare. È un Governo inadeguato a trovare le soluzioni vere, quelle che devono affrontare i problemi delle piccole e medie imprese, delle famiglie e che devono passare - e ciò va specificato e lo voglio fare all'inizio per poi richiamarlo alla fine - da una lotta all'evasione vera. Infatti, è lì ciò che il Governo in fondo non vuole fare; il Governo sta ponendo in essere una manovra che più che una manovra economica di crisi o no, diventa una sorta di gioco delle tre carte: da una parte mette in campo 6 miliardi e dall'altra parte, con l'ICI, restituisce 3 miliardi, danneggiando i comuni che devono correre a riprenderli (salvo poi salvaguardare qualche comune amico, qualche comune che è amministrato da qualcuno che poi alla fine ti è vicino). Dunque, così si notano comuni di serie A e comuni di serie B, comuni che hanno lavorato bene - ai quali non dai nulla, anzi togli - e comuni, dall'altra parte, soprattutto nel sud, che invece hanno lavorato male e a cui invece garantisci introiti extra.
Alla faccia della meritocrazia! Questo Governo sta lavorando in senso contrario alla meritocrazia! Basterebbe, con grande serietà, guardare al problema, affrontarlo, magari, anche ascoltando, qualche volta, il Paese (quello che veramente lavora), affrontando le questioni giornaliere e ascoltando anche l'opposizione. L'opposizione, infatti, non è tale solo per partito preso. L'opposizione che, per esempio, l'Italia dei Valori sta portando avanti è seria. Poco fa, attraverso l'intervento dell'onorevole Borghesi, è passata una proposta a questo Governo: non vi è un'opposizione sulle misure, ma vi è una proposta per risolvere seriamente il problema. È chiaro che, nel momento in cui vi è un rifiuto da parte del Governo di risolvere il problema e di affrontarlo drasticamente, una volta per tutte, preferendo, di volta in volta, intervenire con misure singole - oserei dire, ricattatorie - nei confronti di una popolazione in grande difficoltà, alla fine l'opposizione Pag. 41deve fare la sua parte. La nostra rimane, comunque, un'opposizione propositiva.
Vorrei procedere per gradi. Piccole e medie imprese: quali sono gli aiuti che questo Governo ha predisposto? Nessun aiuto concreto, nessuna garanzia, perché, evidentemente, la piccola e media impresa, oggi, vive un problema di accesso al credito, un problema di garanzie rispetto a quella che deve essere la propria attività lavorativa. Per la piccola e media impresa, infatti, l'alternativa è quella di ridurre la propria attività e di mettere alla porta i propri dipendenti. Per questo motivo, è necessario migliorare l'accesso al credito delle piccole e medie imprese e sottrarle alla valutazione troppo discrezionale delle banche, soprattutto delle grandi banche. Ci saremmo aspettati garanzie in tal senso, ma né nel decreto-legge cosiddetto «salva banche», né nei decreti-legge che riguardano la crisi e che la dovrebbero affrontare, vi sono stati interventi in tal senso. Anzi, al contrario: le piccole e medie imprese sono state, di fatto, abbandonate a se stesse.
Vi è di più. Non si è nemmeno intervenuti, in maniera seria e vigorosa, ad incrementare (e, quindi, a migliorare) l'accesso ai confidi. Anche questo poteva essere uno strumento utile alla piccola e media impresa, ma, invece, questo Governo ha ritenuto di non privilegiarlo. Al contrario, il Governo che fa? Come abbiamo visto, il Governo da i soldi alle grandi banche e lo fa senza condizioni. Dice alle banche di foraggiarle, ma senza alcuna garanzia. Dice di aver bisogno che con le somme date (togliendole dalle tasche degli italiani) si possa, invece, finanziare l'attività imprenditoriale. A cosa serve?
Allo stesso modo, per quanto riguarda il provvedimento di IVA di cassa. Questo Governo va avanti per spot elettorali (che, in realtà, sono spot post-elettorali). Poiché questo Paese - ahimè - non fa altro che passare da un'elezione all'altra, in effetti, ci troviamo in una perenne campagna elettorale. Allora, è probabile che in campagna elettorale si dica qualcosa in più rispetto a ciò che, in realtà, si può mantenere in seguito. Tuttavia, il problema è che, in questo momento, il Governo, da un lato, deve affrontare le campagne elettorali, ma dall'altro lato, deve governare, perché è chiamato a farlo. Quindi, vi è uno spot elettorale sull'IVA di cassa. Sono stati riempiti i giornali di questa grande possibilità. Devo dire che avevo sottovalutato tale misura e che mi sembrava anche un buon provvedimento. Tuttavia, incontrati i rappresentanti di Confindustria, ai quali ho detto: «avete visto? Alla fine, questo Governo vi ha favorito con questo intervento, che vi garantisce», mi è stato risposto di considerare il limite indicato nella relazione tecnica (perché, poi, viene rimesso tutto nelle mani del solito, infaticabile Ministro dell'economia e delle finanze). A cosa porta la relazione tecnica che è stata proposta? La relazione tecnica prevede che bisognerà stimare gli effetti finanziari. Pertanto, si ipotizza che si debba fissare la soglia in un importo pari a 200 mila euro. Gli amici di Confindustria mi hanno anche detto che un'industria che fattura 200 mila euro non è un'industria: probabilmente sarà un venditore ambulante a beneficiare di questo tipo di provvedimenti! Un'industria (o una piccola e media impresa, per quanto piccola) che fattura 200 mila euro non è certo un'industria che può funzionare. Pertanto, ciò significa che questo spot elettorale crolla davanti alla realtà. In Commissione, abbiamo cercato di far capire (e lo faremo anche in Aula) che se si deve adottare un provvedimento, perché è un buon provvedimento, lo si deve fare seriamente, attribuendogli, quindi, una giusta valenza.
Riteniamo che questo debba essere portato almeno a un milione di euro, consentendo quindi di utilizzarlo seriamente, altrimenti a cosa serve? A cosa serve questo provvedimento, così come tanti altri? In Italia sono stati stimati otto milioni di poveri e invece di dare loro diamo alle banche.
Francamente, si fa fatica a seguire l'appello del Premier a non ridurre i consumi e, da ultimo, le dichiarazioni per le quali i consumi non sono stati ridotti. Pag. 42Probabilmente saranno stati intervistati quei pochi commercianti compiacenti che hanno ricevuto delle commesse direttamente dal Premier e che quindi non hanno ridotto le loro entrate (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori), ma i commercianti che sono stati con le saracinesche alzate, ma con i loro negozi vuoti, con le persone fuori a guardare le vetrine, ma non all'interno a fare gli acquisti, certamente non ridono. Tutto ciò è normale, come si fa a ridere e come si fa a credere ad una cosa del genere nel momento in cui - come abbiamo dimostrato - le tasse sono aumentate e il cittadini non hanno più i soldi per provvedere al proprio sostentamento? Cosa dovrebbero comprare e di cosa dovrebbero ridere? Se qualcuno in questa situazione ride è perché evita di disperarsi.
Di contro - e qui va lanciato un forte appello al Governo - il Ministro Brunetta è diventato il paladino della lotta al malaffare, ai fannulloni e agli sprechi. Saremmo orgogliosi di affermare che il Ministro Brunetta ha raggiunto i suoi obbiettivi: purtroppo non ne ha raggiunto nemmeno uno. Diciamolo con chiarezza, occorre che questo Governo provveda ad eliminare gli sprechi (altro che fannulloni), a partire dalle riforme delle istituzioni, a partire dagli sprechi che vengono perpetrati nelle province: affrontateli questi problemi, fatelo con chiarezza! Non è che siccome nelle province ci sono amici da piazzare nelle istituzioni, consiglieri da tutelare, assessori da mantenere o investimenti da realizzare allora non se ne può parlare: se ne deve parlare eccome, perché questi sono i primi sprechi. Altrettanto si può dire degli uffici inutili: quanti ce ne sono sparsi per l'Italia?
È normale in ogni famiglia che, se si affronta un problema economico, la prima cosa da fare è quella di tagliare gli sprechi e le spese inutili: se si possiede una macchina grande, la si vende per prenderne una più piccola che consumi di meno; invece questo Governo cosa fa? Continua a mantenere le cose migliori per poi impoverire coloro che hanno più bisogno. Aggiungo (tanto per dirlo) che troppe auto blu girano per il nostro Paese e infastidiscono ancora di più i cittadini che non ce la fanno a sopravvivere, al pari delle scorte attribuite a chi andrebbe forse scortato, ma per altri motivi e non certo per essere tutelato (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori)!
Sono queste le riforme a cui il Governo dovrebbe mettere mano; il cittadino, a quel punto, capirebbe che ci si sta occupando della crisi economica e finanziaria, capirebbe e potrebbe insieme cercare di risolverla, ma non così, con le prese in giro. C'è bisogno di riforme vere, non di risibili interventi dal contenuto propagandistico. Vuoi aiutare le famiglie? Aumenta le pensioni (lo abbiamo detto tante volte), non dare quella social card fastidiosa, quella sorta di tessera di povertà che si consegna ai cittadini affinché con essa si presentino nei negozi convenzionati, vincolati ad una determinata spesa. Pensate che un cittadino che deve sopravvivere con una pensione minima di 600 euro al mese non sia così saggio da sapere come deve fare a spendere i 40 euro in più che gli vengono messi a disposizione dallo Stato? Non c'è bisogno di guidarlo dicendogli di scegliere un negozio anziché un altro o la spesa per l'energia elettrica o per qualcos'altro: mettetegli quel denaro nelle pensioni e saprà bene come spenderlo.
Evidentemente, ciò non viene fatto perché rientrando la misura in quella logica di spot, ogni volta che il cittadino utilizzerà la social card chiaramente penserà a chi gliela ha data e, magari, chi gliel'ha data pensa che, alla fine, un ritorno elettorale potrà anche venire (se te lo ricordi ogni volta alla fine può essere che ti convinci). Ecco allora ciò che deve essere fatto: a proposito dei mutui per la prima casa, un intervento sul tasso di interesse variabile, al fine di non farlo salire oltre il 4 per cento.
Anche questo provvedimento è un altro spot, a me dispiace dirlo, perché il tasso variabile è sceso al di sotto del 4 per cento, quindi, di fatto, nessuno potrà usufruire di tale misura: si tratta, dunque, di uno spot elettorale. Per contro, non ci si occupa dei mutui a tasso fisso che, al contrario, sono Pag. 43gli unici ad essere, in questo momento, abbondantemente al di sopra del 4 per cento, al 5 per cento, al 6 per cento, al 7 per cento, all'8 per cento. Interveniamo dunque su quelli. O non si tratta di mutui prima casa, di mutui fatti da soggetti che, proprio perché non volevano rischiare a monte, si sono ancorati ad un tasso fisso? Oggi costoro si ritrovano con un reddito che vale molto meno e in una crisi economica e non vengono aiutati perché sono stati più attenti prima: vedete che contraddizione! Eppure di questo non ci si occupa, anzi, si fa esattamente il contrario. Si tratta quindi soltanto di enunciazioni di principio che non avranno nessuna applicazione concreta. Altro che interventi a favore delle famiglie! Tra l'altro, questo problema dei tassi di interesse - lo valutavamo prima - introduce un principio preoccupante, perché sembra quasi che lo Stato legittimi un giusto tasso. Nel momento in cui il tasso di interesse per i tassi variabili è sceso al di sotto del 4 per cento, lo Stato ha imposto il 4 per cento e ha invitato quasi le banche a imporlo: mi auguro che ciò non avvenga e invito il Governo e il Ministro Tremonti ad intervenire e a vigilare affinché ciò non accada perché le banche, con lo spread, ne potrebbero anche approfittare. Trattandosi di un tasso di gran lunga inferiore al 4 per cento, alla fine le banche aumenteranno lo spread e lo porteranno al tasso che lo stesso Governo ritiene essere il tasso minimo oltre il quale può intervenire, quindi ad un tasso esagerato. Allora, vedete, paradossalmente una misura che non ha nessun concreto vantaggio per il cittadino ovvero per chi deve affrontare il pagamento del mutuo dall'altra parte comporta un rischio serio per chi invece si trova nella condizione opposta, cioè quella di dover usufruire di nuovo credito, che magari si troverà con le banche che diranno: «Ma andiamo almeno al 4 per cento, perché tanto tale limite è stato abbondantemente recepito dallo Stato».
Parimenti, per quanto concerne l'intervento sulla commissione di massimo scoperto, si tratta di una cosa seria e buona ma, prendendo i dati che sono a disposizione di tutti quanti, si constata che lo sforamento del massimo del proprio fido non dura soltanto 30 giorni, soprattutto in un momento di crisi. Allora che cosa si ottiene allungando il termine di 30 giorni? Sono necessari almeno 90 giorni, questa è la proposta che avevamo fatto. Quanto avrebbe inciso, sul Governo, una manovra di questo genere, in termini economici? Assolutamente niente. Non ha voluto - diciamolo francamente - disturbare più di tanto l'amico banchiere, questa è la realtà. Anche perché alle banche, in tal caso, sarebbe costato veramente poco e sarebbe stato invece più serio e più utile per le aziende. Ma d'altronde, ed è cosa di questi giorni, di che cosa vogliamo discutere con un Governo e con un Premier che, cito testualmente da un intervento del 19 marzo 2008 - parliamo di una compagnia aerea di Stato che si chiama Alitalia e che anche domani si chiamerà così, ma sarà un'altra cosa - affermava: «Io dico che, se esistono in Italia degli imprenditore con un minimo di orgoglio, si devono fare avanti con un'offerta ed un progetto industriale per evitare una fine così ingloriosa della nostra compagnia, con Air France che, francamente, credo sia irricevibile». Queste sono le parole del Premier, il 19 marzo 2008, in piena campagna elettorale. Vedete, gli spot, che poi, però, nella realtà si rivelano essere una presa in giro, una grossa presa in giro. Allora, Air France non andava bene, ci è costata 300 milioni di euro, con il prestito immediato che abbiamo dovuto fare per salvare Alitalia, per poi finire con Air France. Anzi, addirittura oggi si afferma che la proposta di Lufthansa è irricevibile. Quindi aspettiamocela, perché presto - lo dico agli amici della Lega che sono intervenuti - stiano tranquilli: se il Premier ha detto che la proposta di Lufthansa è irricevibile prestissimo quest'ultima sarà un partner di maggioranza della nuova Alitalia. È fondamentale: chi dovrà metterci i soldi non li ha messi. Sta ritornando a metterli Air France e li metterà anche Lufthansa. Ho citato questo episodio per chiedere Pag. 44quale credibilità può avere un Governo del genere, non intenzionato realmente a risolvere i problemi.
Questo Governo, infatti, taglia l'ICI facendo un regalo a chi non ne aveva bisogno e danneggia, invece, chi ha voglia di lavorare ma fa fatica ad andare avanti.
Per quanto riguarda la lotta all'evasione, ne ha già parlato prima l'onorevole Borghesi - ed io lo cito - quando proponeva al Governo la manovra da 20 miliardi di euro, non ricavati da questioni che avrebbero messo in imbarazzo il Governo stesso, ma recuperando queste somme da dove si trovano, ma sarebbe bene che non ci fossero, a partire dai 6 milioni e mezzo di euro che dovevano essere recuperati con i condoni fiscali.
È un errore giustamente già sottolineato e che si sta ripetendo anche oggi: alla fine salvaguardiamo soltanto coloro i quali hanno fatto un'ammissione di colpa. Hanno detto: niente di grave, lo Stato ha previsto un rimedio, che consiste nel proporre di pagare e mettersi a posto attraverso un ravvedimento. Va benissimo, ma perché i soldi di questo ravvedimento non vengono presi e utilizzati per dare sostegno e forza in questo momento di grave crisi e difficoltà?
Tuttavia, alla fine lo Stato ha risolto il problema, perché c'è un fondo dal quale prelevare i soldi - e di soldi ce ne erano veramente tanti - e si tratta del FAS.
Mi dispiace per il sud del quale orgogliosamente faccio parte; mi dispiace molto perché molti colleghi parlamentari, pur essendo di origine meridionale, alla fine, entrando in quest'Aula lo hanno dimenticato. Forse questa è un'Aula nazionale, quasi internazionale, perché oltre a non occuparsi dei problemi nella Nazione si dimentica anche i problemi della nostra terra.
Il FAS, dunque, lo abbiamo esaminato anche in Commissione durante il lavori della quale abbiamo lottato giorno e notte per mantenere, per il sud, l'85 per cento dell'utilizzo del fondi del FAS in quanto destinati alle aree svantaggiate del Paese ed il Governo ci ha accontentato. Noi del sud abbiamo vinto questa grande battaglia: l'85 per cento dei fondi FAS è rimasto a favore del sud. Peccato che anche qui abbiamo preso una fregatura, perché è vero che si tratta dell'85 per cento, ma l'85 per cento del nulla è equivalente a nulla (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori)!
Pertanto, anche per questo decreto-legge contro la crisi economica, da dove prendiamo i soldi? Come abbiamo proposto in quest'Aula, che però ha votato contro, abbiamo detto di prenderli dalla Cassa depositi e prestiti per finanziare le infrastrutture e le imprese, che comunque realizzano opere pubbliche, ma questa Assemblea ha detto di no.
Abbiamo detto, poiché siamo il Paese tra i più ricchi al mondo (il terzo per riserve auree), prendiamo da lì i fondi, perché è inutile che conserviamo le riserve ed impoveriamo cittadini.
Quest'Aula ha votato contro ed è stato chiesto anche che ritirassimo quegli emendamenti, diciamolo con franchezza. Avevamo trovato da dove prelevare quelle somme senza danneggiare nessuno, abbiamo messo ai voti la nostra proposta e quest'Aula ha votato contro, ritenendo che non fosse possibile prenderli da lì.
Allora, da dove li prendiamo? Li prendiamo dal FAS, come ho detto: altro che federalismo! Anche noi del sud siamo orgogliosamente per il federalismo, ma solo se partiamo tutti dallo stesso nastro di partenza. Infatti, è troppo semplice partire con l'handicap facendo differenze tra chi è avanti di un chilometro e chi, invece, deve partire un chilometro indietro. È fin troppo evidente, infatti, che chi parte da dietro farà fatica ad arrivare allo stesso livello degli altri.
Inoltre è un luogo comune - lo ascoltavo prima, come al solito, dal collega della Lega Nord - che il nord paga i danni del sud. Credo invece che ci sia un sud che è stato malmenato e maltrattato dalla mafia e ha dovuto subire con molta forza la pressione della criminalità organizzata, ma c'è anche un sud che ha alzato la testa, è andato avanti e sta cercando di lottare. Non credo che queste persone, questi soggetti, questi imprenditori che stanno Pag. 45lavorando con grande serietà possano essere messi in discussione da chi, al contrario, ha spesso approfittato dei fondi del sud per garantire investimenti non troppo utili anche al nord.
Che si metta quindi fine al questo gioco delle tre carte e, al contrario, si cominci ad occuparsi seriamente dei problemi del Paese!
Mi avvio alla conclusione, ma c'è sicuramente da svolgere un'ultima considerazione. Ormai abbiamo chiaro un concetto e il Governo, e soprattutto il Ministro, ce lo ha ripetuto in continuazione e ne va anche orgoglioso: abbiamo capito che il Ministro Tremonti per primo nel mondo (e quindi si tratta di un motivo di orgoglio nazionale) si è reso conto che ci sarebbe stata una crisi economica di livelli incredibili (ricredendosi, tra l'altro, rispetto a quanto aveva sempre affermato prima) una crisi planetaria.
Avremmo però preferito - ed essere orgogliosi del Ministro Tremonti - se accanto alla scoperta avesse trovato anche la soluzione alla crisi economica, cosa che invece continua ostinatamente a non fare mentre e, al contrario, continua, invece, a disattendere le aspettative dei cittadini. Non solo non trova la soluzione, ma non ascolta nemmeno le soluzioni proposte dagli altri ed è questa la prima colpa e la più grande responsabilità di questo Governo, che si ostina a non ascoltare anche coloro i quali vogliono proporre qualcosa, come nel nostro caso, che abbiamo seriamente proposto misure per cercare di alleviare questa situazione.
Ci avviamo verso la prossima questione di fiducia - ormai è un fatto praticamente acclarato - che dimostra, ancora una volta, l'arroganza di una maggioranza che ha problemi interni e per tale ragione impone i suoi numeri, non essendo in grado di trovare soluzioni vere. A noi non rimane che il compito di denunziare la verità. Su questo certamente non ci fermeremo. Purtroppo, ai cittadini non rimane altro che subire (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cazzola. Ne ha facoltà.

GIULIANO CAZZOLA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, i relatori hanno illustrato con competenza e capacità di sintesi il provvedimento in esame, il cosiddetto decreto-legge anticrisi, e le modifiche apportate dalla Commissione bilancio, che, tra l'altro, sono state rappresentate anche da un documento che abbiamo trovato all'ingresso dell'Aula. Pertanto, mi limiterò a qualche considerazione di carattere generale partendo, però, da un'informazione che credo l'Assemblea faccia bene a conoscere.
Si tratta di un fatto che ho scoperto rientrando nella mia regione durante le vacanze natalizie. Ho scoperto chi ha dato l'idea - oltre al famoso programma che serve decine di milioni di cittadini negli Stati Uniti d'America - della social card al Ministro Tremonti. Ho scoperto che la prima esperienza di social card in Italia, ovviamente con qualche differenza rispetto a quella che abbiamo trovato nei provvedimenti del Governo, è stata fatta dal comune di Modena, che è saldamente amministrato dalle forze della sinistra.
Ciò detto, voglio ricordare ai colleghi (e, del resto, questi ultimi se ne sono accorti) che il decreto-legge in esame non ha subito modifiche sostanziali, anche se è stato migliorato in alcuni punti tra i più importanti. Come relatore in Commissione lavoro ricordo tale aspetto, perché su di esso sono state sollevate polemiche in Commissione su cui non intendo ritornare in questa sede. Tuttavia, devo prendere atto che alcune modifiche, in particolare quelle riguardanti gli ammortizzatori sociali e la tutela del reddito dei lavoratori e delle famiglie, hanno raccolto, nei fatti, anche alcune osservazioni contenute nel parere consultivo della XI Commissione.
Pertanto - ovviamente ogni forza politica ha il diritto di comportarsi e di giudicare il provvedimento come meglio crede opportuno -, ci apprestiamo a votare un ulteriore atto importante, ossia il decreto-legge con il quale il Governo cerca di affrontare le emergenze che questa Pag. 46situazione pone in molti campi. Il Governo non ha voluto, come gli veniva anche suggerito, concentrare gli interventi in alcuni settori, ma ha voluto cogliere più esigenze e più bisogni, distribuendo le risorse a disposizione e credo che questa sia stata una scelta giusta. Si tratta, però, di una scelta che è stata criticata anche in quest'Aula dai colleghi che mi hanno preceduto. Credo, invece, che il Governo debba andare avanti, perché non è isolato nel Paese. Potrei citare e posso fornire ai colleghi la documentazione del caso - non intendo farlo ora, anche perché non voglio rubare tempo agli iscritti che interverranno dopo di me - e leggere in quest'Aula prese di posizione, da parte di organizzazioni sindacali e imprenditoriali, che danno giudizi articolati dell'azione del Governo e soprattutto del decreto-legge n. 185 del 2008, certo non giudizi trionfalistici né positivi al 100 per cento, ma comprensivi anche di valutazioni positive.
In questa rassegna - che è disponibile sulla stampa - potrei citare anche organizzazioni non necessariamente vicine al Governo (ammesso che ci siano organizzazioni vicine al Governo) che, ad esempio, hanno una sensibilità più accentuata nei confronti della sinistra, come la Confederazione nazionale degli artigiani o come la Confesercenti, perché indubbiamente nella situazione data, certamente complessa e difficile, il Governo ha cercato di fare del suo meglio.
Tra l'altro, se ci prendessimo la briga di calcolare quante sono state le risorse mobilitate dai provvedimenti più importanti del Governo, a partire dalla manovra anticrisi pre-estiva, per passare alla legge finanziaria e arrivare a questo ultimo provvedimento del Governo, ci accorgeremmo che, ovviamente in entrata e in uscita, le risorse mobilitate non fanno affatto rimpiangere quanto di solito si dice abbiano fatto altri Governi (del Regno Unito, spagnolo e francese).
Ci accorgeremmo che siamo allo stesso livello di risorse mobilitate, ovviamente con operazioni che sono intervenute sulla spesa corrente, apportandovi dei tagli, e che hanno redistribuito le risorse derivanti verso le situazioni di maggior disagio. Non insisto più di tanto su questi aspetti; mi preme soltanto dedicare qualche minuto ad un altro problema, ossia a come si colloca la manovra anticrisi nella strategia del Governo.
Alla manovra l'opposizione rivolge alcune critiche; lo hanno fatto anche i colleghi poco fa e un collega addirittura ci ha ricordato che una classe politica deve trovare il coraggio, in certi momenti, anche di non preoccuparsi troppo del debito, e che addirittura ha presentato in quest'Aula un ordine del giorno secondo il quale il Governo doveva dismettere le riserve auree per fare fronte alla situazione del Paese.
Tuttavia, al dunque, la critica di fondo, proprio perché i colleghi dell'opposizione sono persone serie e sanno che non si stampano le risorse con la macchinetta in cantina la sera o soltanto producendo moneta, è che la manovra è inadeguata e affinché diventasse adeguata bisognerebbe abbandonare una linea rigorosa sul deficit di bilancio in nome del maggior lassismo che corre nelle cancellerie europee.
Ebbene, questo è un punto di vero dissenso e mi auguro che il Governo, invece, possa essere fiero di aver potuto mettere in campo una manovra importante, ancorché limitata, senza alterare i saldi di bilancio e senza mettere in crisi la messa in sicurezza del bilancio dello Stato per il prossimo triennio, che è stata la prima scelta che il Governo ha compiuto.
È questo un punto significativo che, ovviamente per chi parte dal mio punto di vista, ossia della maggioranza e del Governo, porta ad un esame della situazione che consente di affermare che il Governo è arrivato in tempo ed ha agito in modo corretto. È l'evoluzione della crisi che giustifica questa osservazione.
Ci aiutano in questa ricerca - anche tali dati sono stati citati nel dibattito di oggi, oltre che sulla stampa e nel dibattito sui media - i dati sulla cassa integrazione guadagni, diffusi - è bene ricordarlo - da una task force istituita dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali proprio per monitorare la situazione e renderla trasparente Pag. 47nei confronti dell'opinione pubblica e delle forze politiche sociali, al di là di quelle cifre sparate in libertà che hanno accompagnato gli ultimi mesi del dibattito.
Sia detto per inciso, signor Presidente, signor rappresentante del Governo, che è vero che in questo Paese soltanto la metà dei lavoratori può avvalersi degli ammortizzatori sociali, ma questa realtà non può essere imputata a questo Governo, ma ce la trasciniamo dietro da tempo: sono ben tre legislature che il Parlamento non riesce a varare una riforma degli ammortizzatori sociali, ancorché esistano deleghe legislative, distribuite in varie leggi e legislature, che questa materia affrontavano.
Ricordo anche - spero che ciò sia messo a verbale e notato dai colleghi - che presso l'INPS esiste una gestione delle prestazioni temporanee. Tale gestione eroga: l'assegno al nucleo familiare, la cassa integrazione guadagni ordinaria, la disoccupazione ordinaria, le indennità di malattia e di maternità e le indennità per gli ammalati di tubercolosi (che per fortuna sono pochi). Questa gestione è finanziata dai contributi, è di carattere previdenziale ed è inserita nel comparto dei lavoratori dipendenti. Questa gestione, che presiede agli interventi per la famiglia e ad una parte degli interventi sul mercato del lavoro, è in attivo per 6,5 miliardi di euro praticamente ogni anno. Tali risorse, all'interno del bilancio dell'INPS, sono rivolte a tappare i buchi delle gestioni pensionistiche e, segnatamente, di quelle del lavoro autonomo in larga misura, essendo il fondo pensioni lavoratori dipendenti per tanti motivi in una situazione diversa, non in crisi drammatica come quella dei lavoratori autonomi.
Quindi, abbiamo qualche problema strutturale nel risolvere la questione degli ammortizzatori sociali di carattere generale. Soprattutto, credo che questo Governo ci stia provando, se si vuole, con misure una tantum e di carattere transitorio, ma sono le prime misure che vengono prese nei confronti di alcuni settori (cito per tutti i commercianti, ma anche i cosiddetti precari con un rapporto di monocommittenza ed è la prima volta che si affronta anche questo problema).
Torniamo alla questione della cassa integrazione. Abbiamo avuto un picco elevatissimo di cassa integrazione ordinaria nel mese di dicembre. Su base annua, abbiamo visto che, rispetto al 2007, si è avuta una variazione in aumento di circa il 25 per cento. La cassa integrazione ordinaria è un istituto di carattere previdenziale, finanziato dalle imprese e rivolto sostanzialmente a far fronte alle situazioni di sospensione del lavoro se si presume che l'impresa e la produzione possano ripartire. È diversa dalla cassa integrazione straordinaria, che è un corollario di un processo di ristrutturazione, è sempre all'interno di una vertenza di carattere sindacale, è autorizzata con un decreto ministeriale e costituisce quasi sempre l'anticamera di esuberi e di riduzioni di personale, un preliminare rispetto ad un certo periodo in cui viene corrisposta l'indennità di mobilità e, purtroppo, si finisce per fare i conti anche con delle esigenze di ridimensionamento di organico.
Tenete conto che nel periodo di grandi ristrutturazioni industriali degli anni Ottanta e dei primi anni Novanta circa 400 mila lavoratori si sono avvalsi della cassa integrazione straordinaria e di prepensionamenti, con un costo di circa 50 mila miliardi di vecchie lire. Dunque, non è la prima volta che si affrontano processi di carattere e dimensione importanti e strutturali.
Questi dati indubbiamente sono preoccupanti e sono da osservare con una grandissima attenzione, però sostanzialmente ci dicono che la crisi è scoppiata, si è ingigantita e si è accelerata negli ultimi mesi dell'anno.
Questa crisi è determinata in larga misura da una tempesta: la crisi finanziaria di carattere mondiale che ha fatto temere il prodursi di un effetto domino. Qui è stato detto che il Governo ha dato i soldi alle banche. A parte il fatto che se fosse stata considerata con attenzione, quella legge non avrebbe avuto la copertura, Pag. 48perché il Governo sostanzialmente ha promesso un'azione di sostegno nei confronti dei risparmiatori e nei confronti delle banche. Ma io credo che questa non sia stata una scelta di classe.
In quel momento ci trovavamo in una situazione nella quale le banche negli Stati Uniti d'America fallivano, nella quale c'era il crollo per esempio delle azioni dei principali istituti di credito; un crollo tra l'altro assolutamente immotivato, anche nel nostro Paese, rispetto al valore di quelle aziende (penso al livello basso delle azioni al quale è arrivato un istituto importante e internazionalizzato come Unicredit). In quel momento era assolutamente giusto cercare di intervenire in quel modo ed era assolutamente giusto evitare che si diffondesse l'allarme nei risparmiatori e che ci trovassimo un po' come nelle scene che abbiamo visto nei film sul 1929, quando la gente si precipitava agli sportelli, prendeva i soldi e li metteva sotto il materasso.
Credo che il Governo abbia fatto bene a prendere quelle misure, tra l'altro va dato atto all'opposizione di avere avuto un ruolo positivo e responsabile in quella circostanza. Tuttavia l'aggravamento della crisi, una crisi che ovviamente aveva già degli effetti sull'economia reale, è stato determinato da questo shock che c'è stato in giro per il mondo a cui i Governi hanno reagito con una concertazione europea e mondiale che ha consentito, in qualche modo, di evitare che le cose andassero peggio e che il sistema crollasse e ci trovassimo in una situazione di crisi di fiducia che avrebbe determinato degli effetti devastanti sull'economia reale.
Certo, questi effetti ci sono stati e ci sono, questi effetti sono presenti. Voglio ricordare però che nel decreto-legge n. 185 del 2008 il Governo si impegna a sottoscrivere obbligazioni di istituti di credito soltanto a condizione che questi stipulino delle convenzioni per erogare il credito alle piccole e medie imprese. Indubbiamente questa è una trincea importante da tenere ed è indubbiamente un punto su cui incalzare il Governo perché lo mantenga.
Però, si deve osservare che questo andamento abnorme della cassa integrazione guadagni, per quello che significa la cassa integrazione guadagni, è un segnale a mio avviso di un sistema industriale e produttivo che sta a vedere; ho parlato di un sistema produttivo che è in apnea e che non è ancora passato ad una fase di ristrutturazione e di licenziamenti. Tra l'altro importanti organizzazioni hanno parlato di centinaia di migliaia di persone che avrebbero dovuto perdere il posto di lavoro entro l'anno; onestamente bisogna dire che non abbiamo sentore di queste cifre, non abbiamo sentore di cifre così drammatiche, con centinaia di migliaia di persone. Bisognerebbe prestare attenzione quando si azzardano tali cifre, quando si predica il disastro e la devastazione. Questo è un aspetto che va notato: abbiamo un sistema produttivo che sta ancora a guardare, un sistema produttivo che forse è pronto a ripartire se si determineranno le condizioni esterne che hanno in qualche modo così pesantemente e negativamente condizionato l'economia.
Mi avvio rapidamente alla conclusione, signor Presidente, signor rappresentante del Governo, cari colleghi e colleghe. Vorrei che in qualche modo si spiegasse, al di là delle «sparate» che fanno le associazioni dei consumatori, perché abbiamo avuto per esempio una tenuta dei consumi nel periodo natalizio; è quanto dichiarano la Confcommercio e la Confesercenti.
Certo, si tratta di una tenuta di un Paese in difficoltà, che ha, però, sorpreso le stesse organizzazioni dei commercianti, come pure abbiamo avuto ritorni positivi, per esempio, dalle organizzazioni del turismo. Vorrei anche che si tenesse conto, per esempio, di una Borsa e di mercati finanziari che hanno degli andamenti meno erratici rispetto a quelli a cui eravamo abituati quaranta, cinquanta o sessanta giorni or sono.
Ecco perché dobbiamo sicuramente mettere in campo in questa fase istituti a tutela del reddito, anche per dei soggetti che finora ne sono stati privi, e, come ho detto, ci sono prime parziali iniziative in tal senso, ma dobbiamo anche prendere Pag. 49alquanto le distanze - invito i colleghi a farlo molto serenamente e amichevolmente - da questa psicosi assistenzialista che sta aggredendo il Paese, quando, invece, dovremmo probabilmente pensare che produrre, sostenere il lavoro, sostenere la produzione è meglio che assistere le persone (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Causi. Ne ha facoltà.

MARCO CAUSI. Signor Presidente, mentre l'Unione europea suggerisce agli Stati membri il varo di politiche fiscali espansive per un punto e mezzo di PIL (sarebbero circa 23 miliardi di euro in Italia) e mentre il Fondo monetario internazionale critica l'insufficienza dei piani di salvataggio finora adottati nei Paesi del G20, oggi la Camera ha cominciato ad esaminare il cosiddetto «decreto anticrisi».
Secondo le stime fornite dal Governo, esso non ha alcun impatto sui saldi di finanza pubblica. Le maggiori spese, il bonus famiglia, si finanziano con le maggiori entrate, la rivalutazione agevolata e gli accertamenti.
È probabile che alcune delle poste in entrata siano sopravvalutate e che, quindi, in realtà, la manovra sia in leggero deficit, pari, secondo alcuni analisti, a circa lo 0,3 per cento del PIL, un terzo di punto di PIL.
Anche tenendo conto del fatto che i 2,4 miliardi del bonus famiglia hanno un effetto positivo dal punto di vista redistributivo, si tratta comunque e davvero di troppo poco per garantire un sensibile impatto antirecessivo.
Al di là del merito, su cui poi tornerò, voglio anche soffermarmi sul processo che ha condotto questo decreto-legge fino al voto in Aula. I parlamentari delle Commissioni bilancio e finanze direbbero qualcosa di non vero, se potessero affermare di aver compiutamente adempiuto al loro compito referente.
In realtà, le Commissioni hanno potuto lavorare entrando nel merito solo di un sottoinsieme degli articoli di questo decreto-legge. Non sono stati istruiti (non sono, cioè, stati valutati nella loro interezza ed esaminati in dettaglio) tanti interventi emendativi presentati sia dalla maggioranza sia dalle opposizioni, né altri che sarebbero potuti maturare da un esame coscienzioso e approfondito di tutti gli articoli del decreto-legge.
È mancata in sede di Commissioni riunite la discussione su argomenti niente affatto banali, come, ad esempio, l'articolo 13, che modifica le procedure in caso di OPA; l'articolo 14, che modifica le procedure dell'amministrazione straordinaria di aziende in crisi, con potenziali effetti che sembrano, a prima vista, negativi sulla tutela degli interessi dei lavoratori; l'articolo 15 sulla rivalutazione volontaria dei valori contabili; l'articolo 20 sulle procedure di approvazione dei progetti di investimento, cui i relatori hanno portato rilevanti modifiche, che non sono state affatto discusse e di cui non è ancora chiara la portata, che sembra potenzialmente non sempre accettabile.
E ancora, non si è discusso dell'articolo 22 sulla Cassa depositi e prestiti, con buona pace di tante comunicazioni del Governo, che, negli ultimi mesi, più volte, ha individuato proprio nella Cassa il perno centrale di nuove politiche di intervento attivo nell'economia.
E ancora: l'articolo 24, il 25, il 26, e infine, ultimo ma non in ordine di importanza, l'articolo 32 sulla riscossione. La discussione in sede di Commissioni riunite è stata fortemente compromessa da un atteggiamento passivo da parte del Governo e dalle difficoltà interne alla stessa maggioranza: se solo si pensa che gli ultimi emendamenti proposti dai relatori sono stati presentati nel corso della giornata di venerdì 9 gennaio, si potrà ben capire che le Commissioni riunite hanno avuto a disposizione solo un giorno e mezzo di lavoro effettivo su questo così importante provvedimento. Non racconto queste cose solo per manifestare il dispiacere e il disappunto di un rappresentante parlamentare che ha nettamente avuto la sensazione di non essere stato nelle condizioni Pag. 50di poter compiere in pieno il proprio dovere; c'è qualcosa di più: un vero e proprio rischio di inagibilità delle istituzioni rappresentative della nostra democrazia repubblicana, un rischio che apparirebbe ancora più grave se il Governo scegliesse anche in Aula la strada di soffocare la discussione di merito ponendo la questione di fiducia.
Nei tempi così ristretti che sono stati concessi, le Commissioni hanno deciso di concentrare il lavoro su alcuni articoli del provvedimento, e per gli articoli sui quali c'è stato il tempo di lavorare davvero i testi in molti casi sono usciti modificati, quasi sempre in modo migliorativo, anche se, altrettanto quasi sempre, in modo marginale. Ad esempio, l'articolo 2 sui mutui e il nuovo 2-bis sulla commissione di massimo scoperto, su cui prendiamo atto con soddisfazione che il centrodestra ha cambiato opinione rispetto a pochi mesi fa, quando avevo alzato il fuoco di sbarramento su una proposta, peraltro più completa ed avanzata, fatta dal Governo di centrosinistra. Lo stesso non può dirsi per il sostegno alle famiglie affittuarie, perché lo stanziamento di soli 20 milioni è davvero del tutto l'insufficiente: qualche migliaia di contributi alloggiativi insufficienti anche solo per una grande città metropolitana italiana.
Qualcosa si è fatto sull'articolo 3, relativo alle tariffe, ma comunque in un contesto che resta confuso e con tutta probabilità controproducente ai fini stessi che vengono dichiarati: infatti i Paesi che hanno sperimentato il sistema «pay as bid» hanno in passato registrato aumenti e non riduzioni del prezzo dell'energia. Qualcosa poi si è fatto sugli assegni familiari (ci tornerò), ma davvero ancora troppo poco. Qualcosa si è fatto sull'articolo 6 e sul 7, superando la semplice sperimentalità dell'IVA per cassa; qualcosa sull'11 in materia di confidi, anche se ancora insufficiente; e qualcosa sul 12, in materia di aiuti di Stato alle banche, anche se il Governo ha ritenuto di non accogliere tutte le proposte che erano state elaborate e discusse in questo Parlamento in occasione della precedente discussione del provvedimento sulle banche: penso in particolare alla necessità di regolamentare in maniera trasparente e innovativa l'esercizio del diritto di voto da parte dello Stato quando esso diventi azionista o obbligazionista di una banca, e penso ad un più forte e vincolante ruolo dell'autorità di vigilanza, perché il sistema economico italiano non può attendere ancora troppo tempo l'uscita dall'incertezza sulla patrimonializzazione delle banche e sull'adeguatezza patrimoniale delle banche italiane. In parte il ritardo nell'intervento deriva da un atteggiamento di chiusura delle stesse banche, atteggiamento che va contrastato fornendo, da questo punto di vista, i necessari strumenti all'autorità di vigilanza per gli effetti negativi che ha esercitato e sta esercitando a danno dell'economia reale tramite la contrazione del credito, soprattutto alle piccole e medie imprese: è sufficiente a questo proposito leggere le recenti prese di posizione di Lorenzo Bini Smaghi.
Qualcosa poi si è fatto sull'articolo 19 in materia di ammortizzatori sociali, ma si tratta di correzioni ancora insufficienti, non solo perché continuano ad essere assenti le risorse finanziarie, ma anche perché l'ampliamento dei criteri di accesso alle indennità resta ancora assolutamente inadeguato.
Qualcosa poi si è modificato con riferimento alle disposizioni di cui all'articolo 29 in materia di agevolazioni degli investimenti per il risparmio energetico (ma non per quelli, altrettanto e forse più importanti, in ricerca e sviluppo).
Anche se ciò non cambia il giudizio del Partito Democratico di complessiva insoddisfazione per il provvedimento, quel poco lavoro che si è riusciti a fare nelle Commissioni riunite dimostra, a mio parere, tre cose: in primo luogo, la buona volontà delle Commissioni, dei loro presidenti e dei relatori di maggioranza, di cui do volentieri atto; in secondo luogo, la non inutilità del lavoro parlamentare, contrariamente a tante spinte politiche volte alla sua delegittimazione; in terzo luogo, che se il Parlamento avesse avuto il tempo giusto e un Governo davvero intenzionato ad Pag. 51accogliere i suggerimenti del Parlamento stesso, questo decreto-legge così importante (importante per i contenuti e per il tempo, poiché è l'ultimo treno che passa, l'ultimo treno da prendere per varare vere misure anticongiunturali la cui efficacia dipende anche, e soprattutto, dai tempi) avrebbe potuto davvero dare segnali positivi e forti e modificare le condizioni di fiducia del Paese e lo stato delle aspettative delle famiglie e delle imprese.
Il Governo, invece, ha preferito un'altra strada, quella della propaganda e di raccontare al Paese e all'opinione pubblica tante storie non vere, tanti pezzetti di storie non vere.
Non è vero, ad esempio, che siano stati accolti gli emendamenti essenziali presentati dalle opposizioni: ma di quale collaborazione va parlando il Ministro dell'economia e delle finanze? Anzi, le aperture di dicembre del Ministro dell'economia e delle finanze sono state di fatto disattese, così come resta senza risposta, a questo stadio dei lavori, il messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica.
Non è vero che il decreto-legge risolva il problema di liquidità dei fornitori della pubblica amministrazione; non è vero che sono state apportate le modifiche necessarie alle condizioni di accessibilità agli ammortizzatori sociali per milioni di lavoratrici e lavoratori non assimilabili al lavoro dipendente.
Non è vero che il decreto-legge contenga una riforma degli assegni familiari (contiene soltanto la promessa di un futuro decreto, con una dotazione finanziaria talmente modesta da impedire una vera riforma in direzione universalistica); non è vero che il decreto-legge risolva il problema dei bilanci degli enti locali.
Non è vero che risolva il problema di Malpensa, e non è vero che i crediti di imposta siano destabilizzanti per la finanza pubblica (il Governo, infatti, non ha ancora pubblicato alcun dato che permetta di corroborare questa valutazione).
Sono invece state introdotte tante piccole norme recanti interventi microsettoriali, proprio quelli che la riforma del processo di bilancio tanto voluta dal Ministro Tremonti e tanto propagandata negli ultimi mesi voleva invece eliminare.
Faccio una semplice lista: pensioni dell'INPGI, fondi per l'Unire, fondi per il CONI, per alcune fiere, per singoli istituti di ricerca scientifica, per alcune zone colpite da eventi sismici, per gli eventi sportivi connessi a «Expo 2015» (per eventi sportivi, quindi, previsti nel 2015).
Ma qui ormai siamo oltre la semplice e legittima propaganda: siamo alla pubblicità ingannevole, all'ottimismo di maniera, vuoto, professato dal Presidente del Consiglio, con il rischio che, quando fra pochi mesi cittadini ed imprese si accorgeranno di essere stati presi in giro e di non avere dei veri ombrelli protettivi dalla crisi, alla rabbia per le condizioni sociali ed economiche fortemente deteriorate si aggiungerà nuova rabbia contro l'insieme delle istituzioni repubblicane, incapaci di affrontare l'emergenza della crisi.
Voglio fare un solo esempio, ma è quello più importante: la garanzia del reddito per le persone che perdono il lavoro.
Durante l'ultima crisi, quella del periodo 1992-94, in Italia andarono perduti un milione e 400 mila posti di lavoro.
Non si tratta oggi di prevedere quanti ne perderemo nei prossimi mesi, ma di avere la consapevolezza che saranno tanti e che, diversamente da allora, la quota dei nuovi disoccupati o disoccupate garantiti da schemi di sostegno (CIG, mobilità, e soprattutto prepensionamenti) sarà molto più bassa oggi di allora. Sono a rischio, infatti, ampie fasce di lavoro non più protette, o non sufficientemente protette, e certamente di non prepensionabili, perché giovani.
Per rispondere a queste emergenza ci vuole uno scatto di reni della collettività nazionale, la consapevolezza che la crisi in cui siamo entrati richiede di riscoprire il senso della solidarietà e della mutualità. Un senso ben radicato nel nostro Paese fin dalla fine dell'Ottocento, ma che negli ultimi venticinque anni è stato troppo spesso considerato antico e desueto (e mi rivolgo a tutti i gruppi politici presenti in Parlamento). Invece, solo quelle radici culturali Pag. 52della solidarietà e della mutualità potranno, forse, salvarci. Garantire il reddito dei nuovi disoccupati, non coperti da schemi di protezione, serve, certo, anche a sostenere i consumi, perché migliora il potere di acquisto di fasce che rischiano di cadere nella povertà.
Ma non è questa la principale motivazione politica della proposta che il Partito Democratico ha avanzato e che il Governo e la maggioranza non hanno accolto. Si tratta, prima ancora del sostegno dei consumi, di dare un segnale di solidarietà a chi viene colpito dalla crisi e di mantenere così inalterato un capitale umano con le sue conoscenze e le sue abilità che rischia di andare distrutto e con esso un capitale sociale di dimensioni difficilmente calcolabili.
La proposta del Partito Democratico è di istituire un nuovo Fondo di tutela per la garanzia del reddito dei lavoratori e delle lavoratrici non coperti da schemi esistenti. L'obiettivo è di garantire ai non garantiti almeno il 50 per cento dei trattamenti previsti dalla legislazione oggi vigente in materia di integrazione salariale e di disoccupazione.
Prevediamo, ovviamente, anche norme per evitare comportamenti opportunistici attraverso i patti di servizio, e il ruolo degli enti bilaterali, già concordati con le parti sociali nel Protocollo sul welfare, firmato l'anno scorso dal precedente Governo. È previsto che il Fondo di tutela agisca in via temporanea ed emergenziale, in attesa della riforma complessiva degli ammortizzatori sociali (per la quale esiste già un disegno di legge delega elaborato dal precedente Governo e che, secondo il Partito Democratico, il Parlamento dovrebbe esaminare in via prioritaria nei prossimi mesi) e che venga rifornito di risorse provenienti dalla fiscalità generale, oltre che di una quota di contributi da parte delle imprese.
Governo e maggioranza hanno detto «no» a questo proposta, si sono assunti la responsabilità grave di ritardare, ancora una volta, un'importante riforma strutturale del nostro welfare; una riforma ferma, con la colpevolezza di tutti, dal 1996.
Ben diverso fu lo spirito con cui si affrontò la crisi del 1992-1993. Voglio ricordare chi durante quella drammatica crisi lavorò per un radicale rinnovamento della concertazione sociale e della politica economica, che pose le basi per il risanamento delle pubbliche finanze, per la sconfitta dell'inflazione e per l'ingresso dell'Italia in Europa. Tra queste persone, una è recentemente scomparsa e ne sentiamo tutti grandemente l'assenza: Bruno Trentin (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Oggi ci vorrebbe uno scatto simile, a partire dalla tutela dei disoccupati, attraverso un tavolo congiunto Governo-opposizioni-parti sociali.
Qui, invece, siamo al piccolo cabotaggio, alla navigazione a vista, e tutti si domandano il perché di tanto immobilismo, di tanta paura, di tanta prudenza, come dicono i meno ostili. Forse, per il timore del collocamento dei titoli del debito pubblico italiano? Ma le ultime aste sono andate molto bene. È vero che nei prossimi mesi tanti emittenti sovrani scenderanno sul mercato con le loro offerte di titoli pubblici, o garantiti dagli Stati, ma è anche vero che la domanda per questi titoli è aumentata; dopo le scottature degli ultimi 24 mesi tutti gli investitori del mondo sono alla ricerca di titoli pubblici poco rischiosi.
O forse si sta aspettando che si muovano gli altri Paesi europei in modo da accodare l'Italia senza darle troppa visibilità e, quindi, si stanno aspettando gli eventi in Germania? Ma un comportamento di questo genere è tipico di una strategia non cooperativa; e, invece, solo con strategie fortemente cooperative, non opportunistiche, l'Europa potrà sperare di uscire senza grandi traumi da questa crisi.
E come non riconoscere che anche in Germania ormai le acque si sono smosse? La consapevolezza che nei prossimi tempi il dollaro sarà debole e l'euro sarà forte da un lato tranquillizza i tedeschi, che hanno sempre preferito valuta forte e assenza di tensioni inflazionistiche, e dall'altro li porta ad occuparsi del rafforzamento del loro sistema di ammortizzatori sociali, Pag. 53perché euro forte e domanda internazionale debole significano problemi occupazionali in Germania.
La sordità del Governo e della maggioranza, l'apatia del Governo e della maggioranza agli interessi del Paese è grave e va denunciata con grande forza. Il Governo sembra sempre più accecato dalla ricerca di un facile consenso a breve termine ottenuto con i metodi del marketing, ed è sempre più incapace di fornire una prospettiva coerente di medio termine intorno a cui, allora sì, evocare una ripresa della fiducia e dell'ottimismo.
In materia di politica economica sta prevalendo una logica di massima discrezionalità. Se qualche riserva esiste per i più incisivi interventi reflattivi, se qualche carta potesse essere giocata, pur all'interno di un rigoroso rispetto dei saldi finanziari programmatici, essa viene accuratamente nascosta con l'intento forse di utilizzarla volta per volta in modo roboante, propagandistico, pubblicitario, in un modo adatto alle trasmissioni televisive più che al vaglio dell'analisi rigorosa e alla costruzione di politiche strutturali efficaci e trasparenti, così com'è avvenuto con l'ICI, gli straordinari, la social card, la Robin tax, il bonus famiglia, e via via bombardando con una ossessiva comunicazione.
Purtroppo, le dichiarazioni di oggi (mi riferisco al relatore Bernardo che ha affermato che con questo decreto-legge vengono risparmiate risorse da utilizzare poi nel corso dell'anno che verrà, e al sottosegretario Casero che ha dichiarato che vi sono nuove norme che effettivamente migliorano i saldi, e che quindi costituiscono risorse per le quali si vedranno successivamente le modalità d'impiego) confermano l'interpretazione che propongo al Presidente e ai colleghi di quest'Aula: è un fatto grave, un fatto grave certamente per la trasparenza del processo di formazione del bilancio dello Stato, ma ancor più grave in questo momento perché così il Governo rinuncia ad avere oggi e ad annunciare fin da oggi una vera politica economica. È la cosa peggiore che si possa fare, non solo perché siamo in tempi di crisi, ma anche perché così non si forniscono punti di riferimento che diventino essenziali per dare un appiglio alle aspettative degli operatori.
Perché mai le famiglie e le imprese dovrebbero essere ottimiste e aumentare la loro fiducia - come chiede loro il Presidente del Consiglio - se non vi è una politica economica, coerente e prevedibile a cui fare riferimento?
Vi è allora il rischio concreto che la manovra economica, una manovra ormai permanentemente in corso da otto mesi (ricordiamo: ICI, straordinari, poi credito d'imposta, poi il decreto-legge n. 112, la finanziaria, poi il decreto sulle banche, e adesso questo in discussione), non sia ancora finita e che altri provvedimenti dovranno essere emanati, per esempio per finanziare gli ammortizzatori sociali a fronte dell'aumento della disoccupazione nei prossimi mesi.
Insomma, dalle leggi finanziarie mostruose degli anni passati siamo oggi alle leggi finanziarie continue e permanenti di questi mesi.
Vi sarebbe un modo molto semplice - mi avvio alla conclusione - per uscire dalla propaganda ed entrare, invece, in un contesto di politica economica che, pur non modificando gli attuali saldi di bilancio, possa influire positivamente sulle aspettative e, quindi, sui comportamenti di famiglie e di imprese.
Basterebbe impegnarsi sin da oggi ad utilizzare il 50 per cento dei risparmi sulla spesa per interessi sul debito pubblico, da accertare nel mese del prossimo giugno, a favore di alcune misure di sostegno della domanda e dell'economia.
Si tratta potenzialmente di 2,5-3 miliardi di euro che potrebbero essere destinati all'aumento del 20 per cento degli assegni familiari, aumentando così la cifra del bonus famiglia per le famiglie di lavoratori dipendenti beneficiarie del bonus e aumentando in modo consistente la platea delle famiglie a cui verrà in tasca qualcosa dai provvedimenti anticrisi.
Inoltre, una parte di queste risorse potrebbe essere destinata all'aumento vero degli ammortizzatori sociali in un contesto Pag. 54di loro riforma e allo sblocco delle spese per investimenti di manutenzione ordinaria degli enti locali che sono le sole a poter essere attivate nell'arco di una vera manovra anticongiunturale.
Ci si deve, infine, impegnare sin da oggi affinché, all'aumentare dell'eventuale cifra di risparmio che dovesse essere accertata a giugno, si prendano in considerazione altre misure come la riforma degli assegni familiari in senso universalistico - la cosiddetta dote fiscale per i figli - l'aumento delle detrazioni per lavoro dipendente e l'aumento della deducibilità per i pagamenti di interessi sui mutui prima casa e l'aumento delle risorse destinate al sostegno delle famiglie in affitto e in difficoltà.
Su questo saranno concentrate le proposte emendative del Partito Democratico: un numero limitato di proposte emendative volte, tuttavia, a cambiare e a modificare il profilo della manovra non tanto sui saldi finanziari di oggi quanto sulle aspettative dell'economia e, quindi, sul grado di fiducia di famiglie e di imprese.
Decidere oggi come saranno impegnate le riserve che potrebbero emergere nel corso dell'anno darà certamente meno discrezionalità al Governo, ma permetterà di dire che, finalmente, il Paese ha una politica economica coerente e dinamicamente sostenibile nel tempo.
È sulla risposta di Governo e maggioranza a queste proposte che valuteremo il nostro giudizio sul decreto-legge che oggi è fortemente critico (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barbato. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BARBATO. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, oggi stiamo trattando il cosiddetto decreto-legge anticrisi e noi dell'Italia dei Valori vorremmo dargli un sottotitolo. Noi vorremmo dargli il seguente sottotitolo: «contro la crisi, il nulla».
Le istituzioni parlamentari in queste ore sono chiamate ad esprimersi su un pacchetto di misure che dovrebbe avere il compito di affrontare la grave crisi che sta avviluppando l'economia del pianeta con conseguenze che si annunciano sempre più pesanti per i Paesi dal tessuto produttivo e sociale assai più fragile del nostro. Quello dell'Italia è un tessuto molto fragile e, ancor di più, in questa Italia la parte più debole è quella del Mezzogiorno d'Italia; e soprattutto sulle parti deboli è necessario intervenire ed aiutare: ma ciò non avviene e per tale motivo c'è il nulla con questo decreto-legge anticrisi.
Una politica responsabile e seria, attenta alle preoccupazioni dei cittadini e non rapita solo dalla sue esigenze di autoreferenzialità ha il compito inderogabile e prioritario di impegnarsi costantemente per proporre soluzioni ai problemi e alle difficoltà che provengono dagli strati più profondi della società.
Fermarsi ad un'analisi superficiale ed egoistica che riguardi solo specifiche categorie di cittadini rappresenterebbe il tradimento di un patto sociale che, forse, si è già dissolto da tempo. Ma il piatto ricco della propaganda e la visione distorta che vede il cittadino solo come subalterno, solo come potenziale elettore da conquistare e non più come persona sempre più in difficoltà costituiscono il grande buco nero in cui la politica demagoga e cinica rischia colpevolmente di farsi risucchiare.
Come Eugenio Scalfari scriveva efficacemente ieri su la Repubblica, l'egoismo nasce attorno ad un interesse concreto, ad un obiettivo ben determinato da perseguire, da realizzare o da difendere. Ma noi non sappiamo più quale sia quell'interesse che potrebbe darci una felicità, sia pure precaria: oscilliamo come fuscelli al vento, galleggiamo su terre di sabbie mobili che ad ogni passo minacciano di inghiottirci.
Quel che è peggio, questa poltiglia ha ricoperto l'intera società internazionale, al punto che perfino il mito e le speranze suscitate da Barack Obama si stanno sbriciolando ancora prima che si sia insediato alla Casa Bianca. I suoi piani di contrasto alla crisi economica oscillano tra spese pubbliche e sgravi fiscali. Le cifre cambiano ogni giorno, mentre la disoccupazione cresce con velocità esponenziale: è Pag. 55già arrivata all'8 per cento ed è lo stesso Obama a temere che nei prossimi mesi potrebbe addirittura superare il 10 per cento della forza lavoro, se non si interverrà subito.
Gli economisti che parlano di trilioni di dollari, ma neppure l'America può mobilitare cifre di questa dimensione a carico del bilancio pubblico, già in disavanzo di 1.200 miliardi di dollari.
Intanto la Merkel, liberista ad oltranza, ha dovuto nazionalizzare la CommerzBank e sta per fare altrettanto con la Opel. Il Governo tedesco sta mettendo a punto un pacchetto da 100 miliardi di euro, destinato a fornire crediti alle aziende che non riescono ad ottenerli dalle banche. In più, per far fronte alla crisi il Ministro delle finanze Peer Steinbrueck si appresta a ridurre l'aliquota fiscale minima dal 15 al 12 per cento e ad aumentare da 7.664 ad 8.000 euro lo zoccolo di reddito esentasse per ogni cittadino.
La stampa tedesca riferisce che nelle tasche di ogni single rimarranno 137 euro in più all'anno, mentre per una coppia il risparmio sarà di 274 euro. Nel secondo pacchetto anticrisi da 50 miliardi di euro, che verrà messo a punto oggi in un vertice tra il Cancelliere Angela Merkel, il suo vice ed il Ministro degli esteri Frank-Walter Steinmeier, è prevista anche l'assegnazione alle famiglie di una cifra una tantum di 200 euro per ogni figlio a carico. Il settimanale Der Spiegel ha rivelato che entro fine mese Steinbrueck metterà in atto una manovra aggiuntiva di bilancio del volume di 20 miliardi di euro, per coprire i maggiori esborsi contenuti nel nuovo pacchetto anticrisi.
Sulla stessa linea è la Francia di Nicolas Sarkozy, mai come in questa fase incollata alla strategia tedesca. L'ultimo incontro tra Sarkozy e Merkel, a Parigi, ha segnato il consolidamento di un'intesa che farà sentire i suoi effetti in Europa, come nel G8 e nel G20.
E in Italia? In Italia solo briciole: come vi dicevo dal sottotitolo, in Italia il nulla.
Un primo elemento di valutazione può darcelo il pasticcio Alitalia: il costo pubblico dell'operazione è quantificabile in 5 miliardi di euro, calcolando il passivo residuo della vecchia Alitalia, dopo che avrà realizzato il poco attivo che le è rimasto e avervi aggiunto il costo degli speciali ammortizzatori riservati ai 7.000 dipendenti rimasti senza lavoro.
Insieme alla scriteriata cancellazione dell'ICI, il disastro dell'Alitalia è dunque costato circa 8 miliardi di euro, dissipati in una fase in cui gli incassi tributari diminuiscono, l'evasione torna ad aumentare e le grandi imprese sono costrette alla cassa integrazione, il cui ricorso è drammaticamente aumentato.
È un quadro, quindi, drammatico, ma non è finita qui: è la povertà la piaga dell'Italia. L'annuale indagine dell'ISTAT evidenzia dati gravissimi: una famiglia su cinque non può permettersi di acquistare medicine, una su due non riesce a sostenere una spesa imprevista di 700 euro e 7 su cento hanno anche difficoltà a comprare da mangiare. Se si pensa che nel 2008 sono andati in fumo 49.000 posti di lavoro, non è difficile prevedere che dall'indagine annuale del 2009, condotta sui dati 2008, uscirà un quadro ancor più devastante.
Diviso per macroaree e per regioni, il rapporto elaborato ha un unico filo rosso: in un Paese che fatica ad arrivare alla fine del mese, chi abita al sud ha molti più problemi, chi abita nel Mezzogiorno d'Italia è ancora più in difficoltà. Come si legge nel rapporto, il reddito medio delle famiglie che vivono nel Mezzogiorno è circa tre quarti del reddito delle famiglie residenti al nord. Tra il reddito netto di una famiglia settentrionale composta da quattro persone e quello di un'analoga famiglia meridionale vi sono quasi 15 mila euro di differenza: 45 mila 818 euro per una famiglia del nord, contro 30 mila 974 euro per una famiglia del Mezzogiorno d'Italia. Un'enormità che si ripercuote - e tanto - sui consumi e sulle abitudini dei cittadini. Ancora di più in Campania - nella mia Campania - dove il 38,8 per cento delle famiglie appartiene al quinto dei redditi più bassi. Nella stessa fascia, al nord, vi è appena una famiglia su dieci.Pag. 56
Così a Napoli e dintorni: il 22,5 per cento delle famiglie dichiara di arrivare alla fine del mese con serie difficoltà. Un dato preoccupante, perché solo in Sicilia - caro Messina, nella tua Sicilia - e in Calabria la percentuale è più alta: il confronto con la media nazionale (che è del 15,4 per cento) è impietoso ma, comunque, in discesa rispetto al 2006. Due anni fa, la percentuale dei nuclei familiari in difficoltà era superiore, seppur di poco (il 23,8 per cento), segno di una regione che ha ancora un gap fortissimo con il resto del Paese. Su alcuni dati, anche il confronto con il 2006 è negativo: se due anni fa, il 5,9 per cento dichiarava di non avere soldi per comprare da mangiare, nel 2007 la percentuale è cresciuta di un punto (6,9 per cento). È al di sotto del Garigliano che gli stipendi sono più bassi e i soldi sempre più pochi: se al nord tre famiglie su quattro (75,1 per cento) non avrebbero problemi a sostenere la spesa extra di 700 euro, nel Mezzogiorno d'Italia - nel nostro Mezzogiorno d'Italia - poco meno di una famiglia su due (il 46,4 per cento) non saprebbe dove recuperare i soldi necessari.
Di fronte a questi dati inenarrabili, che fanno accapponare la pelle, un Governo serio avrebbe dovuto mobilitarsi ed agire, in particolare per alleviare le sofferenze di chi ieri viveva con relativa tranquillità ed oggi è costretto, da una politica miope e mefitica, in una situazione che galleggia sulla linea della mera sopravvivenza. Chi ieri si sentiva tranquillo oggi viene, via via, risucchiato in un vortice di preoccupazioni e problemi economici, fino a ieri impensabili. Le roboanti misure partorite da questo centrodestra, politicamente inetto e cinicamente legato solo agli interessi elettorali dei grandi potentati economici, sono meno di una goccia nel mare, una goccia che è anche velenosa, perché ha il sapore acre della beffa. Non un soldo in più per gli ammortizzatori sociali, che servono, soprattutto, per le aziende. Proprio in questi giorni, penso agli operai della FIAT di Pomigliano d'Arco (una delle più grandi industrie che abbiamo in Campania), che sono già in cassa integrazione e si minaccia che duemila di loro verranno addirittura licenziati. È davvero un dramma per noi in Campania. Non solo.
Pensiamo all'esenzione che si è avuta con il Patto di stabilità interno solo per il comune di Roma, per consentire gli investimenti per la metropolitana. Gli altri comuni non hanno pari diritti? Forse perché Roma è amministrata dal centrodestra, esistono opere infrastrutturali di serie A e di serie B? Anche a Napoli stanno costruendo la metropolitana e a Torino il passante ferroviario. Perché scegliere solo Roma? Questa è la dimostrazione di questo Governo settario, fazioso e di parte, che non è il Governo di tutti gli italiani.
Anche i comuni della Campania hanno attraversato serie difficoltà, perché hanno fronteggiato l'emergenza rifiuti provocata in 14 anni anche dai governi di centrodestra guidati dall'onorevole Berlusconi. Essi si sono trovati a far fronte all'emergenza rifiuti in un momento in cui erano totalmente dissanguati. Vi abbiamo chiesto di dare una mano ai comuni della Campania e invece no: aiutiamo solo Roma, perché Roma è governata da Alemanno di Alleanza nazionale, è governata dal centrodestra. Allora questo non è un Governo che guarda agli oltre 8 mila comuni d'Italia, ma è un Governo che guarda solo Roma e solo Catania perché hanno un'amministrazione di centrodestra. Con i disastri che quell'amministrazione ha causato a Catania, il Governo interviene con 160 milioni di euro per sostenerla, al pari di quanto sta facendo adesso per Roma.
Il fatto più grave è che tutto questo avviene con lo svuotamento dei fondi per le aree sottosviluppate (i famosi stanziamenti del FAS di cui parlavamo prima), con una scriteriata gestione degli incentivi energetici, perché suddividendo i controlli sulle tariffe in tre macro-zone si rischia di determinare bollette più care proprio nelle aree più in difficoltà, con un aggravio dei costi che si riverserà sui cittadini e sugli imprenditori che intendono puntare al sud.
Ancora, solo per le famiglie che hanno già ricevuto la social card e che hanno figli Pag. 57fino a tre mesi arriva un contributo per comprare latte artificiale e pannolini, nella speranza che questa misura, già prevista per una platea assai limitata di persone, non venga erogata come è già accaduto per la social card, che ha costretto migliaia di cittadini a mettersi in fila per un atto di elemosina mascherato da atto compassionevole. Parlando di social card, dai primi dati riguardanti le consegne, risulterebbe che al 31 dicembre 2008 sono state consegnate 520 mila social card sul milione e 400 mila previste: una ulteriore beffa, un provvedimento già alquanto umiliante riservato a pochi. E tutti gli altri come faranno? Come farà il Mezzogiorno d'Italia?
Senza dimenticare, poi, l'ennesimo vergognoso rinvio della class action. Proprio ieri abbiamo appreso dalle segnalazioni dell'Antitrust degli intrecci esistenti tra le banche e le società di assicurazione, tra i loro amministratori. Esse sono presenti addirittura nell'80 per cento delle società finanziarie, che rappresentano circa il 96 per cento dell'attivo totale del settore finanziario. Tutto questo blocca la concorrenza, laddove nel resto d'Europa il fenomeno analogo ha una misura del 20 per cento.
In un momento come questo non si mette in moto la class action, che era stata già lanciata dal Governo Prodi. Essa viene di volta in volta rinviata con questo Governo Berlusconi, perché si vogliono proteggere i poteri forti, le grandi industrie, i potentati economici, che non possono essere intaccati da cittadini che sono stati danneggiati dai loro prodotti. La legge per l'azione risarcitoria collettiva avrebbe potuto frenare in parte l'onda speculativa che si è abbattuta sugli italiani, che ha impoverito le loro tasche e che ha messo in ginocchio il sud, colpevolmente dimenticato da un Governo al cui operato gli stessi rappresentanti autonomisti (mi rivolgo soprattutto ai colleghi del Movimento per l'Autonomia) hanno spesso rivolto critiche molto aspre per aver trascurato il sud e per il fatto che lo si sta massacrando.
Avremmo sperato in un sussulto di dignità di questo Governo e di un Presidente del Consiglio che avrebbe dovuto agire come i colleghi europei per aumentare gli stipendi, combattere i furbi, sostenere lo sviluppo, colpire i grandi monopoli e non permettere che ai nostri giovani venisse ancora una volta rubata la speranza di un futuro meno incerto, meno difficile e più giusto. Ancora una volta siamo fuori dall'Europa, ancora una volta il vostro disegno egoista, superficiale e demagogico ha fallito, ha fallito ancora una volta il Governo Berlusconi.
Si tratta di un fallimento che, nonostante l'abile grancassa mediatica che scatenerete per sostenere i presunti prodigi delle vostre presunte misure economiche, non potrete che portare come un macigno nelle vostre coscienze. I cittadini italiani conoscono fin troppo bene le sofferenze che sono costretti ad affrontare ogni giorno per sbarcare il lunario. Giorno dopo giorno sono sempre più costretti all'italica arte di arrangiarsi a causa di una politica che, colpevolmente, si ostina a tradire il suo compito più nobile. Una rappresentanza degna di questo nobile obbligo che dovrebbe avere la politica è sacrificata indegnamente in beceri interessi di propaganda. Noi dell'Italia dei Valori non solo raccogliamo il cuore pulsante dei cittadini, le loro ansie, paure, delusioni e preoccupazioni, ma soprattutto siamo qui, in quest'Aula, nel Parlamento e nel Paese anche per offrirvi proposte concrete e indicazioni serie. Vi abbiamo detto che ci sono delle partite dalle quali è possibile prendere soldi per rimetterli in circuito. Vi abbiamo detto che, sostanzialmente, nella lotta all'evasione fiscale c'è un buco stimato in 5,2 miliardi di euro, pari al 20 per cento delle entrate a suo tempo annunciate. Si tratta di un'indagine della Corte dei conti che ha confermato il carattere lassista delle norme relative ai condoni contenuti nel decreto-legge Tremonti del 2001 e nei seguenti, grazie alle quali molti evasori hanno potuto beneficiare degli effetti sfavorevoli della sanatoria senza, in realtà, pagare neppure le somme, ampiamente scontate rispetto a Pag. 58quanto originariamente dovuto, che si erano impegnati a versare con la dichiarazione di condono. L'evasione sta di nuovo crescendo - basta infatti verificare l'evasione IVA dei primi nove mesi del 2008 - perché c'è meno rigore nelle norme e nei controlli.
Con il Governo Berlusconi sta venendo sempre meno il concetto dello Stato di diritto. Proprio stamattina sono andato a sostenere questo Stato di diritto: mi sono recato presso la procura di Salerno per portare solidarietà a quei magistrati che vogliono fare il loro dovere. In questo Paese, con questo Governo, sta andando tutto sottosopra: chi fa il proprio dovere, come i magistrati di Salerno, addirittura viene sospeso dallo stipendio e viene messe in croce mentre, probabilmente, chi non fa il proprio dovere - mi riferisco sempre a magistrati - continua a stare al suo posto. Di questo parleremo nei prossimi giorni. Ritornando alle somme che noi vi abbiamo indicato, ci sono i risparmi sugli interessi relativi al debito, perché nel 2009 scadranno titoli di Stato per un quinto del nostro debito. La crisi ha fatto scendere il loro rendimento di circa 1 o 2 punti, a seconda delle scadenze. Alcuni economisti hanno calcolato che avremmo un risparmio di circa 3,8 miliardi di euro. Come vedete, vi stiamo dando delle indicazioni, vi stiamo facendo delle proposte serie e concrete per realizzare una politica davvero a favore delle famiglie e delle piccole e medie imprese, per alleviare veramente il momento di difficoltà che questa crisi internazionale sta comportando anche qui in Italia.
Infine, consentitemi di parlare di un altro taglio, quello al quale tengo di più: il taglio alle spese inutili della casta, consentitemi questa battuta. Non ditemi che sono un «grillino», è la voce di tutti gli italiani che sono stufi di questa politica. Noi dell'Italia dei Valori per questa ragione vogliamo riavvicinare i cittadini alla politica, stiamo facendo tornare ai cittadini la voglia della politica, perché stiamo parlando delle loro cose concrete, di problemi che li interessano da vicino, stiamo parlando il linguaggio dei cittadini. Ecco perché io vi dico continuamente che qui io non sono un deputato, gli altri colleghi dell'Italia dei Valori non sono deputati: noi siamo i cittadini perché rappresentiamo veramente le loro istanze e le loro esigenze. Ebbene, parliamo delle cose che interessano proprio noi, perché non pensiamo a dimezzare il numero dei parlamentari? Aboliamo le province, diminuiamo il numero dei consiglieri dei consigli di amministrazione delle aziende municipalizzate, sopprimiamo le comunità montane, tagliamo quei 400 mila stipendi e prebende che ogni anno la politica distribuisce in Italia.
Questa è la politica politicante che i cittadini non vogliono più sentire ed è per questa ragione che ancora una volta, noi, su questo tema, sul decreto-legge cosiddetto anticrisi vi diciamo che avete prodotto il nulla per i cittadini e questa è la ragione per la quale certamente il gruppo Italia dei Valori è rimasta l'ultima legione dei cittadini in Italia (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori)!

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Savino. Ne ha facoltà.

ELVIRA SAVINO. Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Savino, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti. È iscritto a parlare l'onorevole Gioacchino Alfano. Ne ha facoltà.

GIOACCHINO ALFANO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, mi sono ripromesso di fare un intervento non lungo anche se, lo ripeto spesso e lo dirò anche stasera, gli interventi in Aula dovrebbero essere organizzati anche in risposta a tanti interventi di colleghi che fanno valutazioni sugli argomenti dei quali stiamo parlando.
Vorrei subito fare un accenno all'intervento di un collega del Popolo della Libertà, Pag. 59l'onorevole Cazzola, che in parte ha riportato alcune riflessioni che ritengo necessarie in questa fase.
La fase che ora stiamo portando avanti è quella delle proposte al Governo, pertanto da capogruppo in Commissione bilancio, con questo mio intervento, cercherò di dare dei suggerimenti e di fare delle sollecitazioni al Governo su quello che può essere l'esito finale del decreto-legge cosiddetto anticrisi approvato dal Governo a novembre dell'anno scorso.
La prima questione che bisogna valutare è la tempestività. Si potrebbe dire che a novembre del 2008 la crisi era già abbastanza evidente e quindi noi dobbiamo precisare per forza e più volte che già prima dell'estate il Ministro Tremonti ed il Governo hanno pensato di mettere un punto fermo ad una probabile crisi: si era, infatti, ancora in una fase embrionale rispetto a ciò che poteva succedere. Dico ciò perché già gli effetti di quella norma sono riusciti a dare delle risposte.
Giustamente, però, la valutazione è su ciò che stiamo facendo ora, pertanto occorre ricordare che questo decreto-legge, cosiddetto anticrisi, di 36 articoli, è stato modificato nelle Commissioni riunite con l'approvazione di ben più di cento emendamenti.
Sono uno di quelli che ritiene che il numero degli emendamenti non sia importante, infatti ci può esser un solo emendamento importante che, però, stravolge il testo e mille emendamenti che invece apportano modifiche di dettaglio.
Ci tenevo, tuttavia, ad intervenire stasera perché invece credo che, a differenza di tante volte in cui ci siamo lamentati, questa volta il testo, seppur già corposo e abbastanza impegnativo, è stato modificato in modo qualificante da parte di tutti membri delle Commissioni, grazie ai relatori ed al Governo presente.
Le modifiche sono state indirizzate fondamentalmente a temi che riguardano la crisi. Il primo riguarda il fatto che quando le risorse non sono sufficienti è normale che si tenti di semplificare quelle procedure che possono comunque portare un beneficio alle imprese e ai contribuenti.
Faccio subito un esempio per capire qual è il messaggio che voglio far passare stasera. All'articolo 1, comma 6, il decreto-legge prevede il famoso bonus, un beneficio che può essere criticato per la sua dimensione, ma che comunque può essere utile per alcune finalità. Tuttavia, la norma prevede un adempimento per beneficiare di questo diritto ed esso consiste nella richiesta all'Agenzia entro il 31 gennaio 2009.
In Commissione abbiamo valutato la difficoltà che avrebbero avuto i cittadini nell'usufruire di questo beneficio e, quindi, abbiamo pensato di fare una cosa semplicissima, che potrebbe significare niente, ossia spostare il termine al 28 febbraio.
Dico ciò perché, così come per il bonus, anche per altre questioni che riguardano gli adempimenti abbiamo cercato di dare un sollievo ai cittadini italiani, non solo in termini di vera e propria fatica in ordine agli adempimenti, ma anche in termini di benefici che, indirettamente, aiutano le famiglie italiane.
Ad esempio, siamo intervenuti sulla famosa valutazione del debito IVA, in ordine al momento in cui nasce il debito e il pagamento. Sapete bene che l'IVA è un credito o un debito che viene compensato e viene pagato, almeno fino ad oggi, in funzione del saldo. Pertanto, si procede non in base all'effettivo incasso, ma in base all'emissione dei documenti fiscali. Abbiamo ragionato su questo aspetto e abbiamo stabilito (ricordo che il Governo lo aveva già fatto, ma noi abbiamo rimarcato tale esigenza) che l'IVA deve essere pagata dal contribuente quando viene incassata.
Tuttavia, vi era una preoccupazione enorme perché il riferimento temporale era annuale. Immaginate che le imprese e i professionisti dovevano ogni anno verificare se questa possibilità di pagamento dell'IVA, relativa all'organizzazione di un'imposta indiretta utile, fosse stabilita annualmente o se, invece, dovesse entrare a regime. Pertanto, si doveva stabilire se era una scelta che doveva entrare definitivamente nella realtà delle aziende e dei professionisti italiani o se era, invece, una Pag. 60norma che poteva essere vista come un tentativo, una sperimentazione. Siamo riusciti, grazie all'opera delle Commissioni, a chiedere al Governo di trasformare questa norma in uno strumento ordinario. Pertanto, si tratta di una norma che entra definitivamente nel codice tributario degli italiani. A mio avviso, si tratta di una rivoluzione, perché è relativa ad un'imposta antichissima, che si basava su calcoli contabili ma non sull'effettivo pagamento.
Tuttavia, rimane una grossa preoccupazione relativa all'importo entro il quale è possibile usufruire di questo beneficio. Molti hanno fatto riferimento alla relazione tecnica allegata al provvedimento, che stabilisce un importo. Colgo l'occasione per chiarire agli italiani che la relazione tecnica non è nel testo e l'importo su cui è stato calcolato questo limite è, in un certo senso, probabile. Pertanto, ritengo che in queste occasioni (ossia gli interventi che precedono l'approvazione di un provvedimento così importante) sia più utile rimarcare le questioni che rimangono sospese. Ritengo che, se il Governo deciderà di intervenire su questo provvedimento o in altri successivi, deve cercare di aumentare il più possibile tale importo, perché se è vero che esso deve essere dotato di copertura, è altrettanto vero che, indirettamente, si mette in moto un sistema che, dando fiducia e liquidità alle imprese, fa ritornare, come imposta indiretta, la stessa spesa che viene affrontata.
Quali sono, allora, gli elementi e i punti fermi che, a mio avviso, devono essere mantenuti adesso? In primo luogo, la questione relativa alla spesa. Purtroppo, molti colleghi si sono riferiti a Paesi europei ed extraeuropei in ordine alla politica anticrisi dimenticando, tuttavia, che l'Italia presenta delle differenze enormi rispetto alla politica economica di quei Paesi. Addirittura, ho sentito riferimenti agli Stati Uniti.
Ricordo che il nostro debito pubblico è l'elemento che trascina sempre più in basso l'economia italiana. Pertanto, era importante mantenere al minimo questo dato. Faccio presente che i saldi, rispetto al decreto-legge che è arrivato in Commissione, sono stati modificati in positivo e, quindi, nel momento in cui andiamo a recuperare i saldi è normale che diamo una speranza maggiore e, pertanto, interveniamo sull'elemento più grave della nostra economia, ossia il debito pubblico.
Tuttavia, all'interno di tale elemento si è compiuto un altro sforzo. Infatti, vi sono fondi disponibili che, tuttavia, non possano essere spesi. Per esempio, ho fatto una valutazione di quelle risorse che per essere spese hanno bisogno della compartecipazione. Ad esempio, un imprenditore partecipa a un progetto di investimento agevolato, che prevede l'investimento agevolato dell'80 o del 70 per cento. Comunque, vi è una quota a carico dell'impresa. Abbiamo imprese che hanno usufruito di questa norma (le leggi n. 488 e n. 215 del 1992) e che oggi, pur avendo risorse disponibili da poter incassare, non investono perché non vi è la quota di compartecipazione. Anche i comuni, purtroppo, tante volte non possono attingere a risorse che sono state loro assegnate perché non vi è la quota di compartecipazione (ossia la quota che uno deve mettere di tasca propria). Tuttavia, abbiamo pensato ad una norma.
Le Commissioni riunite hanno approvato un emendamento che stabilisce una riduzione percentuale quando l'imprenditore (o il professionista) ha un finanziamento in corso dove è previsto un fondo perduto, quindi una somma definitivamente trasferita, e non ha la possibilità, anche per colpa di quella che può essere una situazione storica come questa, di raggiungere il 100 per cento degli elementi che devono essere utilizzati per dare tutto il saldo o, addirittura, ha difficoltà nel compartecipare a quell'investimento. Si prevede cioè la possibilità di attingere alle risorse disponibili che gli sono state assegnate, riducendole di una quota funzionale alle difficoltà del momento, ma non si arriva alla revoca.
Signor Presidente, siamo intervenuti su un dramma che sta vivendo una parte dell'Italia, che consiste non solo nell'impossibilità di avere altre risorse disponibili, ma addirittura nel rischio di vedersi Pag. 61revocati i finanziamenti ricevuti per investimenti in corso perché non si ha la possibilità di perfezionare l'investimento per problemi che vanno al di là della volontà dell'imprenditore. Infatti, non è prevista la possibilità di una rimodulazione delle risorse assegnate e in Commissione, con grosse difficoltà perché le norme devono essere accompagnate dalla copertura finanziaria, anche secondo gli obblighi comunitari, in quanto la Comunità europea ci vincola in questo senso, abbiamo cercato di dare questa possibilità agli imprenditori.
Quindi, quando il Governo pone questioni che vengono dalla sua attività propria, che è quella di legiferare per rendere la crisi sempre meno pesante e per fare in modo che possa essere quanto prima risolta, succede che dichiarazioni d'allarme fanno diventare questa attività inutile e peggiorano le cose. Sono uno di quelli che non hanno paura a dire che in un momento difficile il panico possa essere un'aggravante. Qual è il panico più grave, se si continua a dire che nulla va bene?
Invece, devo apprezzare molti colleghi dell'opposizione che già in Commissione, e anche in quest'Aula (ho ascoltato tutti gli interventi), stanno facendo uno sforzo. Mi metto nei panni di chi fa opposizione e deve sempre dire che vi è comunque qualcosa da migliorare, perché l'attenzione è maggiore sulla parte che un Governo non riesce a fare. Anzi, molte volte l'opposizione è utile proprio perché riesce a far vedere aspetti che una maggioranza non può vedere, ma in un momento come questo ritengo che, su un provvedimento che riguarda la crisi, dobbiamo fare uno sforzo maggiore e quindi rimango ottimista.
Concludo, signor Presidente, dicendo al Governo, se fosse possibile, di valutare i pochissimi emendamenti che sono stati presentati (da parte del PdL ne rimangono soltanto alcuni), ma solo se questo non comporta una perdita di tempo. C'è un fatto: è normale che se il Governo dovesse correre il rischio di tornare su questioni chiuse e intende fare in modo che tali questioni non si riaprano affinché il provvedimento possa avere un effetto maggiore, ciò non servirebbe. Pertanto, se queste segnalazioni possono rimanere come bagaglio per l'attività futura del Governo, siamo fiduciosi e quindi affermo che il testo ci soddisfa e - lo ripeto - sono convinto che, con lo strumento degli ordini del giorno (tanto criticati), possiamo mettere punti fermi in grado di aiutare il Paese (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gozi. Ne ha facoltà.

SANDRO GOZI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è stato detto che quando c'è una crisi è terribile sprecarla. Purtroppo, il Governo italiano la sta terribilmente sprecando.
Non mi addentrerò nell'esame delle singole misure, come hanno fatto altri colleghi, ma vorrei analizzare questo decreto-legge alla luce dell'azione dell'Unione europea e degli altri Stati europei, mettendo in luce quanto il provvedimento, già nello spirito e poi nelle scelte di fondo, si discosti dalle indicazioni e dalle scelte fatte in Europa.
Tutti gli indicatori economici pubblicati di recente, tra cui quelli della Commissione europea dell'8 gennaio 2009, indicano un deterioramento molto rapido della congiuntura economica, confermato l'altro ieri dallo stesso Presidente della Banca Centrale Europea, Jean-Claude Trichet. La crisi comincia a indebolire la stessa Germania.
Di fronte a questa situazione le risposte dei Governi della zona euro, soprattutto della Francia e della Germania, sono deboli ed insufficienti se paragonate al Regno Unito o addirittura agli Stati Uniti, ma appaiano grandi manovre se messe a confronto con il decreto-legge anticrisi del Governo italiano, che arriva stancamente alla sua approvazione.
Purtroppo, i vari Governi della zona euro e, in particolare, l'Italia sembrano ancora lavorare in base ad un'aspettativa di fondo e cioè che sarà una futura ripresa americana a far ripartire l'economia. Questo Pag. 62è uno schema vecchio e sempre meno convincente, soprattutto dopo la crisi del settembre 2008. Tale crisi, per essere risolta, richiede invece il rilancio della domanda nelle tre maggiori aree economiche: Stati Uniti, Asia, ma anche Unione europea.
In un momento di crisi così difficile - molto più difficile di quanto voglia far credere il Governo dipingendo l'Italia come una sorta di isola felice, dove tutto continua ad andare bene - non è possibile mettersi troppo a discutere sulle poche iniziative e le misure che si sta cercando di assumere. Che cosa c'è di profondamente sbagliato nelle misure del Governo che stiamo discutendo? Nulla, ma non vi è nulla che sia pur lontanamente paragonabile alla straordinarietà del momento sociale ed economico e non si vede neppure l'ombra di una strategia più generale di rilancio della nostra economia.
Quindi, è nostro dovere denunciare la delusione per un provvedimento che doveva essere più tempestivo, più incisivo e che, invece, si risolve in un'occasione sprecata per iniziare a orientare nuovamente il sistema produttivo italiano verso una maggiore dinamicità e capacità innovativa. Sarebbe tra l'altro in questo contesto molto e ancor più grave se il Governo decidesse addirittura di ricorrere al voto di fiducia.
Il ritardo e l'insufficienza italiane appariranno poi ancora più flagranti se, come scrive anche oggi la stampa tedesca, la stessa Merkel (che non ha certo brillato per coraggio e impegno europeo in questa crisi) decidesse di aggiungere a quanto già fatto dalla Germania - e già molto più adeguato del decreto Tremonti - una nuova manovra di oltre 20 miliardi di euro.
Si tratta di un decreto-legge decisamente insufficiente anche se confrontato con il piano di rilancio economico del Presidente Barroso, peraltro anch'esso molto timido, rispetto al ruolo guida che l'Europa deve assumere in questo frangente così eccezionale, ma che indica alcune priorità, alcuni assi di intervento che il Governo italiano non ha inteso seguire o ha seguito in modo decisamente poco convinto e poco convincente.
Cito solo i principali obiettivi strategici europei: sostegno alla domanda e ripristino della fiducia dei consumatori, contenimento del costo umano della recessione, minimizzando l'impatto della crisi sulle categorie sociali più vulnerabili, investimenti in innovazione, costruzione di un'economia della conoscenza in vista della successiva ripresa, progressiva trasformazione dell'economia europea in un'economia verde e sostenibile, con la conseguente riduzione dei consumi energetici.
La risposta alla crisi, infatti, richiede un appropriato policy mix, che includa interventi in ambito monetario e creditizio, politica fiscale, nonché azioni di medio e lungo periodo nell'ottica della strategia di Lisbona. Nulla di tutto questo si ritrova in modo sufficiente nel vostro decreto-legge.
Inoltre, il piano europeo invita gli Stati membri a stanziare risorse aggiuntive, cioè denaro fresco per gli interventi nazionali di rilancio. Mi chiedo in quale misura siano effettivamente aggiuntive le risorse mobilitate in funzione anticiclica da questo provvedimento del Governo. Tra somme stornate, fondi europei già stanziati cui si cambia destinazione o di cui si accelera l'utilizzo, aumenti di entrate e riduzione di spese, infatti, di aggiuntivo c'è veramente ben poco.
Parlando dei fondi di coesione del FAS state provando a renderli effettivamente spendibili, ma in ogni caso, se non in tre anni, quanto tempo prevedete prevede per l'impatto? Non arriverà forse questo molto dopo l'apice della crisi? Tra l'altro, su alcuni aspetti dei fondi, non sarà compito nostro, ma dovrete ben verificare la possibilità di utilizzarli per fini diversi sia con le regioni, che con la Commissione europea.
I 4 miliardi di euro previsti sono pochi e distribuiti male su una serie lunghissima di interventi, per di più discrezionali. Ma soprattutto l'incentivo finanziario (i 200 miliardi di euro, di cui 170 a carico dei Pag. 63singoli Stati, che costituiva il cuore del piano Barroso) prevedeva anche una leggera, temporanea e regolata possibilità per gli Stati di superare il valore di riferimento del disavanzo del 3 per cento del PIL, restando fedeli alla riforma del patto che, in caso di grave recessione e di evento straordinario come questo, consente ora manovre espansive più generose.
Il Governo ha invece ritenuto di sposare una linea rigorista che in altri tempi, quando era necessaria e obbligata, ci venne contestata duramente. Siamo contenti che il Governo mostri verso i conti pubblici tale attenzione, evitando di ripetere gli errori commessi tra il 2001 e il 2006, tuttavia riteniamo che quando tutta l'Europa - con la Commissione che indica la necessità di fare un intervento pari all'1,5 per cento del PIL - così come i singoli Stati europei, oltre agli Stati Uniti, scelgono manovre espansive di grande portata, anche l'Italia, cui si chiede giustamente una particolare prudenza, poteva e doveva osare di più.
Con l'entusiasmo dei convertiti, che caratterizza soprattutto in campo finanziario la vostra posizione in Europa, giustificate tutto questo invocando i limiti previsti dal Patto di stabilità. Purtroppo per l'Italia, però, riuscite a sbagliare anche questa volta: agite sempre fuori tempo massimo, ignorando quanto accade nel resto del continente o guardando indietro; e il Ministro Tremonti è sempre il protagonista di queste brillanti manovre.
Facciamo un passo indietro: nel 2003, infatti, anziché sforzarsi di risanare i conti in una congiuntura che era senz'altro più favorevole rispetto a quella di oggi, il brillante Ministro, in qualità di presidente in esercizio del consiglio Ecofin manovrava contro la Commissione in modo da permettere a Francia e Germania di violare il Patto di stabilità; violazione che poi è stata puntualmente rilevata dalla Corte di Giustizia. Oggi, invece, in un momento in cui viene formalmente e ufficialmente sancita la possibilità di maggiori deroghe temporanee al Patto, il nostro Ministro dell'economia si scopre all'improvviso eccessivamente rigorista - ripeto: fuori tempo massimo - e si nasconde dietro ai conti pubblici dell'Italia per giustificare una manovra del tutto inadeguata.
Vorrei dire al collega e amico Alfano che un conto è fare paragoni in termini assoluti tra Paesi, o magari fare confronti tra l'Italia e gli Stati Uniti, un altro è vedere rispetto allo stesso schema, che è il piano europeo di rilancio, e rispetto alle stesse regole (un patto di stabilità più flessibile), come i singoli Governi compiano le loro scelte: questo è un paragone che ci sembra non solo possibile ma doveroso e che mette a nudo l'insufficienza e l'inadeguatezza della manovra del Governo italiano.
Ancora una volta il Ministro Tremonti si mostra poco coraggioso e poco lungimirante. È veramente difficile capire quindi, di fronte ad una crisi così complessa e straordinaria, perché il Governo non reimposti la propria strategia, dando così fiato alla nostra economia e recuperando un margine di manovra che andrebbe anche al di là dell'1 per cento del PIL. Ciò sarebbe possibile anche rispettando gli impegni assunti per il 2011, ma rivedendo la programmazione economica e finanziaria di luglio, fatta prima della crisi e che non la prevedeva affatto, nonostante i vari segnali che provenivano dall'economia e nonostante quanto ci ha raccontato il Ministro Tremonti in settembre.
Sempre lo stesso Ministro si presenta molto creativo e coraggioso a Roma, nei suoi libri o nelle sue apparizioni televisive, per diventare poi molto timido a Bruxelles. Questo Governo, infatti, porta una grossa responsabilità anche nel non aver spinto abbastanza a livello comunitario per rafforzare durante questa crisi gli strumenti di governance europea; per non aver insistito veramente, al di là delle dichiarazioni sulla stampa, per permettere all'Unione di utilizzare ai fini di interventi strutturali, ad esempio attraverso gli eurobond, il debito pubblico europeo. Ne avete timidamente accennato per poi ritirare la testa, come una timida tartaruga, appena la Germania ha alzato la voce. Anche di questo portate la responsabilità, come portate Pag. 64la responsabilità dell'incontro Berlusconi-Merkel, quello del «cucù» per intenderci, che è stato un totale fallimento dal punto di vista economico e finanziario.
Mi chiedo perché Berlusconi non fosse a Londra con Sarkozy, Brown e il Presidente Barroso a discutere di come intervenire maggiormente nella crisi. Ricordo che il Governo Prodi, all'inizio del 2008, era presente alla prima iniziativa di Gordon Brown dello stesso tipo. Perché il Governo non propone una cooperazione rafforzata attorno alla zona euro, quanto meno per rafforzare e strutturare il coordinamento sul modello del secondo vertice di crisi di Parigi?
Occorrono forti iniziative europee, che il Governo italiano dovrebbe proporre, perché solo attraverso una politica europea comune si potrà intervenire significativamente sulla grave situazione economica che investe i mercati e consentire un rilancio dell'economia italiana ed europea.
Una responsabilità, la vostra, tornando in Italia, che diventa ancora più grave, se pensiamo che, in questi giorni, alcuni osservatori hanno quantificato in circa 4 miliardi di euro il costo per lo Stato, e quindi per i contribuenti, della vicenda Alitalia, che ci apprestiamo a chiudere a condizioni ben peggiori di quelle che erano state negoziate dal Governo Prodi, con un conto salatissimo di risorse a carico dei contribuenti, e quindi sottratte al contrasto della crisi.
Ricordo, poi, che il piano europeo indica dieci specifiche azioni nel quadro dei quattro settori chiave della strategia di Lisbona: persone, imprese, infrastrutture ed energia e ricerca ed innovazione.
Penso, ad esempio, al sostegno all'occupazione, tema sul quale abbiamo ormai tutti misurato l'insufficienza del quadro normativo italiano, o all'aumento degli investimenti in infrastrutture o alla promozione dell'imprenditorialità.
In particolare, le ultime quattro priorità del piano riguardano temi (l'efficienza energetica degli edifici, l'introduzione di aliquote IVA ridotte per prodotti e servizi verdi, lo sviluppo di tecnologie pulite per l'auto e l'edilizia, la promozione di una strategia per banda larga ed Internet) di cui non solo non vi è traccia nel vostro decreto-legge, ma, addirittura, rispetto alle quali alcune norme sono assolutamente incoerenti.
Penso, ad esempio, alla riduzione delle agevolazioni fiscali per l'efficienza energetica degli edifici. Per l'ambito dell'innovazione e della ricerca, penso al taglio ai fondi per la ricerca, disposto recentemente con altri provvedimenti (abbiamo calcolato una riduzione di un miliardo per il recente decreto sull'università). Penso all'assenza di un'azione pubblica di sostegno allo sviluppo delle autostrade informatiche e dell'alta velocità, a fronte di dati preoccupanti. Secondo EUROSTAT, dati dello scorso dicembre, il digital divide fra l'Italia e il resto d'Europa sta crescendo: la diffusione della connettività nelle case europee è al 52 per cento, mentre in Italia ci fermiamo sotto il 40 per cento, quindicesimi nell'Europa a 27.
Insomma, invece di misure strutturali di ampio respiro, orientate a trainare il Paese fuori dalla crisi, il Governo tenta di mettere alcune toppe qua e là, pensando solo all'oggi, ad un bisogno immediato.
È difficile anche dire che stiate agendo in coerenza con quelle indicazioni europee che mirano ad attivare strumenti di reddito e spesa con impatto sulla domanda a breve. Con riferimento alla famiglia, si è persa l'occasione per avviare una politica organica di sostegno. Noi, invece, avremmo voluto che il Governo fosse in grado di disegnare un intervento di sostegno dei redditi familiari di carattere fiscale, strutturale e permanente, finanziandolo, magari, ricorrendo a quei margini che la riduzione dei tassi di interesse sul debito pubblico ci consente, come ha ben illustrato in precedenza il collega Causi.
Né vi sono tracce di riduzioni di imposte e contributi sociali, altra indicazione del piano Barroso, seguita, ad esempio, in Germania e Regno Unito. In Germania, per alleviare le conseguenze di un probabile aumento della disoccupazione, viene, per citare solo un esempio, incrementato Pag. 65da dodici e diciotto mesi il periodo in cui i lavoratori con contratti a breve scadenza ricevono sussidi.
Le piccole e medie imprese tedesche riceveranno un trattamento avvantaggiato per un periodo di due anni e nuovi sussidi fiscali per la ristrutturazione degli edifici in senso ecologico per 3 miliardi di euro, oltre a deduzioni per altri lavori.
È prevista, poi, in Germania la sospensione del bollo auto da uno a due anni per i nuovi veicoli immatricolati. A questo proposito, mi viene in mente che una delle priorità della vostra campagna elettorale riguardava proprio il bollo auto. Chiedo al sottosegretario che fine abbia fatto questa vostra ulteriore promessa non mantenuta agli italiani, promessa possibile (basta guardare alla Germania, se volete farlo).
Non vi è nemmeno traccia di riduzione dell'IVA, rimodulata nelle regole di versamento, ma rimasta comunque alta, a differenza di quanto fatto da altri Paesi. Per l'esattezza, anzi, l'IVA, quando la si tocca, lo si fa al rialzo, l'esatto contrario di quanto deciso dal Regno Unito.
Londra, infatti, ha previsto una riduzione temporanea dell'aliquota IVA dal 17 al 15 per cento fino al 31 dicembre 2009, per un costo di circa 16 miliardi di euro, cioè l'1 per cento del PIL nel periodo 2008-2010.
Non si coglie questa occasione neppure per proporre le necessarie riforme strutturali relative al funzionamento del mercato e per il rafforzamento della competitività, che dovrebbero affiancare gli incentivi finanziari secondo gli orientamenti dell'Unione europea; mentre le poche previsioni relative alla semplificazione e riduzione degli oneri amministrativi per le imprese appaiono assolutamente poco incisive. Il piano europeo prevede ad esempio l'avvio di un'attività di impresa in un massimo di tre giorni e senza alcun costo; prevede l'assicurazione che le autorità pubbliche paghino le fatture per le forniture di servizi entro un mese; o prevede l'eliminazione dell'obbligo per le microimprese di redigere i conti annuali. Il Governo italiano non ha adottato misure in tal senso; invece noi avremmo voluto un Ministro dell'economia in grado di chiamare debito pubblico quello che nessuno ministro vuole chiamare tale, soprattutto i debiti della pubblica amministrazione nei confronti dei fornitori, i debiti del fisco nei confronti dei contribuenti.
Infine - e mi avvio alla conclusione, signor Presidente - il decreto-legge è ben lontano dallo spirito con cui alcuni grandi Paesi, non solo europei (penso all'impostazione del Presidente eletto Barack Obama negli Stati Uniti), hanno interpretato in maniera generale lo sforzo di rilancio dell'economia in crisi: cioè come una grande occasione per convogliare i fondi pubblici su scelte prioritarie di sviluppo, capaci di orientare i sistemi produttivi verso la nuova economia del futuro, capaci di rimettere innovazione e futuro nel motore dell'economia. Questo è il momento per compiere un enorme sforzo, far evolvere il pensiero economico, adattandolo insieme ai suoi strumenti alle nuove realtà economiche che stanno prendendo forma a seguito della crisi. Soprattutto, come diceva Luigi Einaudi, per conservare una società veramente libera vanno attenuate le differenze tra le punte di maggior reddito e i livelli di reddito più bassi: voi invece avete completamente ignorato, forse volutamente ignorato questi insegnamenti.
Cominciamo dal nostro sistema Paese, invece (penso alla recente relazione dell'Autorità antitrust), scegliamo le priorità, le azioni da intraprendere con risorse adeguate e interventi mirati e duraturi; soprattutto non lasciamoci sfuggire l'opportunità che questa crisi, pur nella sua gravità, ci offre: questa è l'occasione giusta per far pulizia e per rimettere in ordine il nostro sistema economico, sociale e finanziario (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lovelli. Ne ha facoltà.

MARIO LOVELLI. Signor Presidente, colleghi e rappresentante del Governo, l'anno che è appena cominciato si è aperto col solenne monito del Presidente della Repubblica alle istituzioni e ai partiti, Pag. 66perché si avvii una fase di scelte condivise per rinnovare le istituzioni e si appronti, nel contesto delle iniziative concertate in sede europea, una politica di contrasto alla crisi economica e finanziaria internazionale in grado di ridare fiato all'economia, di rispondere alle esigenze dei ceti sociali colpiti duramente dalla recessione e di consentire alle imprese italiane di tornare ad essere competitive ed innovative. Insomma, l'invito del Presidente della Repubblica era quello di fare della crisi un'opportunità per rendere più forte l'economia nazionale e di rafforzare la coesione sociale con interventi di sostegno alle imprese e alle famiglie.
In realtà quanto sta succedendo è del tutto contraddittorio, perché il Governo e la maggioranza hanno inaugurato la nuova sessione di lavori parlamentari all'insegna del già visto, costringendo l'Aula, la scorsa settimana, alla prima votazione fiduciaria dell'anno nuovo su un provvedimento, quello sull'università, che avrebbe richiesto ben altra possibilità di confronto parlamentare, e arrivando così all'ottavo voto di fiducia in sette mesi, con un Parlamento ridotto a fare da cassa di risonanza della volontà del Governo con venticinque decreti legge approvati dall'inizio della legislatura e nessun disegno di legge d'iniziativa parlamentare. D'altronde, cosa aggiungere a questo proposito alle parole dell'ex Presidente del Senato Marcello Pera, che di recente, su un quotidiano, ha scritto che è in corso da tempo una crisi degenerativa che ha cambiato il nostro sistema, ne ha eroso la natura democratica attraverso il sequestro della rappresentanza parlamentare, attraverso la legge elettorale, e del Parlamento, diventato propaggine esterna del Presidente del Consiglio?
Queste sono le parole del senatore Marcello Pera. D'altro canto, tali sono i risultati quando la maggioranza, anziché procedere seriamente sulla strada del confronto parlamentare, continua stancamente a evocare improbabili tavoli di confronto che durano lo spazio di un mattino, mentre attua nei fatti, ripetutamente, la sua autosufficienza, proclamata ancora ieri in Sardegna dal Presidente del Consiglio per poi accorgersi, cammin facendo, che, da una parte, sono le contraddizioni interne a sé stessa ad impedire soluzioni serie ai problemi del Paese (basti pensare ad Alitalia, all'immigrazione, alla giustizia), dall'altra, sono le esigenze propagandistiche di questa o quella componente (e principalmente della Lega Nord, oggi significativamente assente del tutto dal dibattito) a determinare i percorsi parlamentari dei provvedimenti.
Tale è il caso, in questa occasione, degli emendamenti relativi a Malpensa o degli inaccettabili balzelli proposti sugli immigrati, non solo di impronta discriminatoria e razzista, ma addirittura in contrasto con l'obiettivo perseguito da questo provvedimento, quello cioè di far crescere l'imprenditorialità e di fronteggiare la crisi (come se l'eliminazione dei vincoli burocratici e dei balzelli che gravano inutilmente sulle imprese fosse un problema che riguarda solo le imprese promosse dai cittadini italiani).
Se non si cambierà strada e se non si perseguirà l'obiettivo di rendere partecipe non solo l'opposizione ma tutto il Parlamento di una nuova fase di legislatura che affronti in modo responsabile i problemi del Paese, non si potranno ottenere risultati importanti.
Non è un caso che gli stessi disegni di legge del Governo collegati alla manovra finanziaria estiva siano a tutt'oggi fermi in uno dei due rami del Parlamento; non è un caso che la riforma della giustizia continui ad essere annunciata e non praticata, salvo le leggi che interessano il Presidente del Consiglio; non è un caso che sul federalismo fiscale, invece, sia la stessa Lega Nord ad accorgersi, in questi giorni al Senato, che occorre più prudenza ed attenzione alle proposte del Partito Democratico e dell'opposizione.
Forse ci si sta rendendo conto che alla lunga neanche i risultati attesi dalla maggioranza rischiano di essere raggiunti, se il Parlamento resta confinato al ruolo subalterno di esecutore degli ordini del Presidente del Consiglio e del Ministro dell'economia e delle finanze.Pag. 67
Allora diventa veramente inspiegabile che nell'esame di un provvedimento come questo, che ha tra i suoi obiettivi quello di ridisegnare in funzione anticrisi il quadro strategico nazionale, si pensi di andare avanti come se niente fosse, creando le condizioni per cui, da una parte, le Commissioni di merito finiscono, salvo poche eccezioni, per assumere un ruolo puramente ricettivo di emendamenti suggeriti dal Governo al relatore o imposti per esigenze localistiche o parcellizzate.
In sostanza, un provvedimento che ha quelle ambizioni nel titolo e che è diventato, di fatto, il tassello conclusivo di una manovra di politica economica iniziata l'estate scorsa con un programma triennale di tagli alla spesa pubblica i cui effetti cominceranno a misurarsi dai prossimi mesi, sta diventando, cammin facendo, uno strumento «fai da te» della maggioranza, un bancomat cui attingere per le esigenze interne, al quale viene a mancare quel respiro di insieme per fronteggiare la crisi cui invece si è ispirata, fin dall'inizio, l'azione politica e parlamentare del Partito Democratico, col suo pacchetto di proposte che è stato anche offerto al Governo per un confronto per trovare possibili intese nell'interesse del Paese.
Così non è avvenuto; vedremo cosa succederà adesso, di fronte al «pacchetto» di dieci emendamenti qualificanti che riproponiamo in Aula. Non vogliamo dare alibi al Governo, ma se, nonostante questo, si procedesse ad un nuovo voto di fiducia sarebbe un fatto politicamente gravissimo che certamente lascerebbe il segno sul corso successivo di questa legislatura, anche perché la crisi deve sviluppare ancora del tutto i suoi effetti e l'insufficienza delle risposte da voi fornite rischieranno di pagarla pesantemente le famiglie italiane, i lavoratori e le imprese. A dicembre - è già stato ricordato - la cassa integrazione ordinaria ha raggiunto il picco del più 526 per cento, rispetto allo stesso mese dell'anno precedente, con un dato annuale del più 24,56 per cento. Ci sono regioni come la mia, il Piemonte, dove vi sono dati allarmanti con un incremento, dal dicembre dello scorso anno, del più 1278, per gli operai, e del più 1478 per gli impiegati. È significativo che proprio sui temi su cui il centrodestra aveva condotto la sua campagna elettorale i nodi stiano venendo al pettine ben prima del previsto.
Alitalia, da questo punto di vista, rappresenta l'esempio più evidente di una scelta sbagliata. Un anno fa, circa, la procedura aperta, avviata dal Governo Prodi con gara internazionale, stava per chiudersi con Air France che avrebbe acquisito la compagnia con un investimento di 2,8 miliardi di euro, facendo fronte ai debiti e alle obbligazioni.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE (ore 20,30).

MARIO LOVELLI. Ora Air France entrerà come socio, comunque maggioritario, con il 25 per cento, con una spesa di circa 350 milioni di euro, con settemila lavoratori in esubero e con una sola compagnia, anziché due per l'acquisizione di Air One, e perciò con meno concorrenza, meno voli interni e internazionali, biglietti più cari ed oneri a carico del bilancio dello Stato, e perciò dei contribuenti italiani, calcolati nell'ordine di almeno quattro miliardi di euro come ha affermato, e ripetuto ancora oggi, lo stesso sindaco di Milano, Letizia Moratti. Ma Alitalia è anche la metafora di una battaglia condotta in nome del nord, che non solo non vede la convergenza di interesse di tutte le regioni del nord, perché ognuno ha il suo aeroporto, ma finisce per penalizzare pesantemente Malpensa e il sistema economico e produttivo che fa riferimento all'aria lombardo-piemontese, così come penalizza, sul piano occupazionale, Fiumicino e il suo indotto, e mette in difficoltà i collegamenti di intere regioni come la Puglia e alcuni scali importanti come quello di Genova. È singolare oggi vedere richiamata un'esigenza di liberalizzazione nel sistema aeroportuale (attraverso gli slot e gli accordi di bilaterali internazionali) con emendamenti superflui, quando la procedura di vendita aperta, e concorrenziale, di Alitalia, condotta dal Governo Prodi, è stata affossata Pag. 68per interessi territoriali economici che ora entrano in conflitto con il mercato e magari con gli interessi degli stessi soci di CAI, oltre che con il resto del Paese. Proprio su Malpensa, e Alitalia, come sull'Expo 2015, e sulle infrastrutture del nord, sta venendo fuori la debolezza di un progetto politico di Governo incentrato sui poteri forti, politici ed economici, dell'area milanese e padana - quello che Il Sole 24 Ore ha definito ieri: il Vietnam meneghino -, che avrebbe dovuto rompere equilibri romanocentrici.
Basta vedere le decisioni del CIPE del 18 dicembre scorso per rendersene conto, visto che, ad esempio, sul territorio ligure-piemontese è stata venduta come finanziata un'opera (il terzo valico ferroviario dei Giovi) che nella migliore delle ipotesi otterrà una prima tranche di finanziamenti nel 2010-2011, e cioè un miliardo sui cinque necessari, mentre non c'è nulla per Expo 2015, ed è da verificare completamente il piano finanziario della Torino-Lione.
Se volete dire che è tutto a posto fatelo, ma i fatti si premuniranno presto di smentirvi. Comunque avete sessanta giorni di tempo per mettere a punto al CIPE i programmi, anche utilizzando i pochi fondi (e bisogna vedere se sono effettivamente coperti) previsti nell'articolo 21 di questo decreto-legge e avvalendovi delle modalità previste all'articolo 22 con la Cassa depositi e prestiti (ma qui è certo che un richiamo al rischio che si apre per il risparmio postale è più che lecito), e a quel punto tireremo le somme.
Per adesso rimane il fatto che l'unico emendamento sulle infrastrutture che è stato accolto è quello per escludere Roma dal patto di stabilità per la sua metropolitana. Il vostro partito del nord può esser soddisfatto, il nostro ha fatto sentire la sua opinione chiaramente.
Qualche ulteriore considerazione merita l'articolo 25 sulle ferrovie e sul trasporto pubblico locale. Da una parte, infatti, il finanziamento dei contratti di programma con RFI e dei contratti di servizio con Trenitalia (960 milioni nel 2009 e 1440 nel triennio) grava sul FAS, con il vincolo di destinazione dell'85 per cento al sud e del 15 al nord. Si tratta di capire come questi fondi possano essere messi a disposizione, fermo restando che le esigenze finanziarie sembrano esattamente invertite sul piano territoriale, e che il contratto di programma RFI-Stato 2008-2011 è già stato decurtato dalla legge n. 133, per cui le risorse attribuite nel 2009 appaiono insufficienti.
Dall'altra parte, va sottolineato che per il finanziamento del trasporto pubblico locale non ferroviario si utilizzano le somme derivanti dall'applicazione delle norme dell'articolo 24, e cioè il recupero degli aiuti illegittimi contestati dalla Commissione UE, ossia gli sgravi fiscali concessi alle aziende pubbliche locali negli anni Novanta. Si chiedono, dunque, quattrini senza possibilità dilatorie alle società degli enti locali penalizzando i loro programmi di sviluppo e di investimento per far funzionare il trasporto pubblico locale. Al di là della legittimità della decisione UE, che non è in discussione, il sistema di copertura finanziaria individuato dall'articolo 25 è contraddittorio mentre le società multiutility potranno avere contraccolpi gestionali rilevanti, e magari saranno le stesse aziende di trasporto pubblico locale ad avere dei contraccolpi.
Infine, qualche considerazione sulle Ferrovie dello Stato e sul fatto che, mentre si sta registrando in molti casi il massimo dell'inefficienza e dell'insoddisfazione degli utenti (mi riferisco al trasporto regionale e interregionale, ma non solo, messo quotidianamente sotto accusa dai pendolari e dalle loro associazioni), sta viceversa decollando il sistema alta velocità-alta capacità che rappresenta il massimo della tecnologia e della modernità applicate al servizio ferroviario, tra l'altro l'unico dove ci sarà, fra breve, anche una concorrenza reale.
Bisogna prendere atto che è andato in crisi il modello ferroviario basato sulla holding FS Spa che governa un sistema che, da una parte, dovrebbe garantire la liberalizzazione nell'utilizzo dei binari della rete ma che, dall'altra, è basata su più società dipendenti dalla stessa casa Pag. 69madre finanziata dallo Stato: formalmente differenziate tra di loro ma dipendenti dalla holding e non in concorrenza reale con altri competitor.
Ciò rende il sistema non efficiente, condizionato dalla disponibilità effettiva di risorse pubbliche e in più aggravato da un federalismo trasportistico a sua volta senza concorrenza reale che trasferisce i costi dallo Stato alle regioni.
L'inammissibilità dichiarata in Commissione dell'emendamento concernente l'istituzione dell'Authority dei trasporti - ma naturalmente è stato presentato un nostro progetto di legge che vedremo di poter sostenere per il suo corso ulteriore - è indicativo di una volontà politica, così come la bocciatura del mio emendamento 25.14 sull'anticipo dei tempi di attuazione del processo di liberalizzazione nell'interesse degli utenti. C'è una tendenza dilatoria confermata, d'altronde, dall'articolo 27 del decreto-legge mille proroghe che esamineremo nelle prossime settimane.
Tuttavia, oggi non è il momento delle manovre dilatorie: si è affrontata la prima fase dell'emergenza finanziaria ed economica internazionale annunciando un intervento complessivo da 80 miliardi, mentre con la legge 6 agosto 2008, n. 133, e la legge finanziaria si programmavano pesanti e generalizzati tagli alla spesa pubblica. Il ridimensionamento delle risorse finanziarie e umane nel settore della scuola, dell'università e della ricerca ne rappresentano l'aspetto più evidente che non solo sarà pagato dalle famiglie italiane a partire dal prossimo anno scolastico ma inciderà sulla capacità del Paese di rispondere alla crisi investendo non soltanto sulle infrastrutture materiali e sull'economia reale ma, come sarebbe necessario e forse di più, anche sul capitale umano, sulla cultura e sulla conoscenza come aveva del resto già indicato in modo molto puntuale l'agenda europea di Lisbona nell'attuazione della quale il nostro Paese è in ritardo rispetto al resto dell'Europa.
Ci chiedete di approvare una manovra che vale sostanzialmente 2,5 miliardi di risorse aggiuntive e che lascia irrisolta la questione della tutela reale dei redditi dei lavoratori e dei pensionati, della copertura delle esigenze di tutela sociale dei lavoratori coinvolti nelle crisi di tanti settori produttivi: basti pensare che una regione come la mia, il Piemonte, da questo punto di vista è già in difficoltà nella disponibilità delle risorse per coprire le spese per gli ammortizzatori sociali.
La stessa manovra non risolve concretamente il problema del finanziamento o rifinanziamento dei cantieri delle opere pubbliche e dell'efficientamento del sistema dei trasporti e della logistica: 2,5 miliardi contro gli 80 preannunciati. Un provvedimento, pertanto, insufficiente che non risolve il problema dei conti pubblici che comunque rischiano di finire fuori dai parametri UE e non affronta alcune emergenze, dagli ammortizzatori sociali al sostegno ad alcuni comparti produttivi. Penso, ad esempio, al settore automobilistico e alle proposte formulate in proposito dal sindaco di Torino per incentivare le flotte pubbliche con l'acquisto di mezzi ecologici ed investire sull'innovazione tecnologica delle aziende di produzione automobilistica per il trasporto privato su gomma.
Quindi, il provvedimento rinvia inevitabilmente a interventi successivi, a una sorta di legge finanziaria continua, magari a colpi di nuovi decreti-legge. Non siamo d'accordo, non ci stiamo e faremo valere le ragioni dell'opposizione del Partito Democratico nel corso del seguito dell'esame parlamentare e fuori dal Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baretta. Ne ha facoltà.

PIER PAOLO BARETTA. Signor Presidente, signor sottosegretario e onorevoli colleghi, il Paese è stato lasciato solo di fronte ad una crisi tra le più gravi che si debbono affrontare nella storia moderna: alle prese con emergenze economiche e sociali che hanno caratteristiche da cambio d'epoca, il popolo italiano non ha potuto contare su un adeguato sostegno ed aiuto da parte del Parlamento e del Governo.Pag. 70
I pensionati, i giovani, i lavoratori, gli imprenditori, i professionisti, tutti coloro cioè che quotidianamente, con onestà e dedizione, si adoperano per far funzionare e crescere la nostra comunità, dovranno nei prossimi mesi combattere da soli contro la disoccupazione e la caduta del potere d'acquisto, contro la crisi di ordini, di commesse e di liquidità: ognuno per suo conto, contando soltanto sulle proprie forze. Si guarderanno attorno, leggeranno i giornali, sentiranno le televisioni e commenteranno quanto stanno facendo gli altri Stati, gli altri Governi e misureranno stupefatti il fatto che il Governo italiano intende affrontare questa drammatica situazione mettendo a disposizione dei cittadini e delle imprese una cifra irrisoria, che si aggira attorno ai 3 miliardi di euro.
Non voglio ricordare gli Stati Uniti e quanto stanno decidendo o la Germania o la Francia: mi basta ricordare, signor Presidente, quanto l'Unione europea ha raccomandato agli Stati membri, invitandoli ad impiegare almeno un punto di PIL per fronteggiare la crisi, come poco fa ha ricordato il collega Gozi.
Ma non voglio nemmeno fermarmi a questo dato, che pure consideriamo necessario e plausibile, come abbiamo più volte in queste settimane sostenuto e dimostrato. Mi basta considerare il fatto che la cifra stanziata è appena un quinto circa di un punto di PIL italiano. Si impongono, allora, alcune domande. La prima è la seguente: ma che opinione ha davvero il Governo sulla crisi? Può essere che il Governo italiano abbia un'analisi della situazione molto meno seria di quanto i dati e gli analisti sostengono? In parte deve essere così: il Presidente del Consiglio raccomanda quotidianamente di non drammatizzare e di sfumare i toni sulla crisi. Ma è mai possibile che non conosca i dati che il Ministro del lavoro ha diffuso sulla cassa integrazione, o quelli sulla produzione industriale e sui consumi, sulla mortalità delle imprese, sul credito, sulla povertà? O, forse, non è per caso vero il contrario, e cioè che il Ministro dell'economia ha una visione così apocalittica della situazione internazionale, e così poca fiducia sulla capacità del nostro Paese di uscirne, che tanto vale morire senza debiti? Assicuro che non vi è nulla di ironico in queste mie affermazioni. Se il Governo pensa, sbagliando, che la crisi sia congiunturale e gestibile con strumenti ordinari, o che addirittura non valga la pena dedicarle energie, lo dica chiaro e si assuma la responsabilità di una discussione politica e parlamentare conseguente. Noi, al contrario, pensiamo che la crisi sia grave, strutturale, e necessiti di interventi straordinari. Nessun allarmismo, soltanto senso di responsabilità.
La seconda domanda: che vi sia un problema di deficit pubblico da risanare è chiaro a tutti e nessuno lo sottovaluta. Il Ministro Tremonti ama ricordare che abbiamo il terzo debito pubblico del mondo, senza essere la terza economia del pianeta. Abbiamo avuto modo di discuterne in questi mesi, attraversati da un'interminabile sessione finanziaria. A proposito, sia detto per inciso: la scelta tanto osannata di anticipare la finanziaria a luglio si è tradotta in una serie continua di ulteriori provvedimenti, sicché invece dei fatidici caotici due mesi di fine anno, caratteristici delle precedenti legislature, abbiamo vissuto sei mesi di continui aggiustamenti e correzioni: insomma, una finanziaria continua, che non si è ancora conclusa.
Abbiamo, dunque, avuto modo di sostenere, in occasione del DPEF prima, del decreto-legge n. 112 del 2008 e poi della legge di bilancio, che l'obiettivo di risanare il deficit è da noi condiviso e va praticato, che i vincoli comunitari vanno rispettati, ma avevamo anche denunciato il fatto che una politica di risanamento priva di misure espansive si sarebbe rivelata depressiva. A tal fine, bisognava rendere compatibile l'obiettivo del rientro con una gestione flessibile del percorso. A questo errore iniziale, all'impostazione filosofica «tagli e nient'altro che tagli» purtroppo il Governo non ha mai abdicato.
Nel frattempo, la situazione si è rivelata in tutta la sua gravità. Ed ecco, dunque, la domanda: è possibile che, pure in una linea di rigore, non si trovino Pag. 71elementari e contenute ma accettabili risorse? Dopo avere sostenuto la necessità di intervenire con un punto di PIL, il Partito Democratico non ha rinunciato ad interloquire con la maggioranza e l'Esecutivo, a partire proprio dal decreto-legge n. 185.
Denunciata, cioè, la completa inadeguatezza della linea strategica del Governo (giudizio che riconfermiamo), abbiamo, comunque, deciso di intervenire nel merito della vostra impostazione, per non rinunciare al nostro ruolo parlamentare e per favorire, almeno sulla crisi, un percorso il più possibile condiviso.
In altre parole, abbiamo pensato, non per ingenuità, ma per senso di responsabilità, che sarebbe stato importante per i cittadini constatare che, sui problemi che li riguardano direttamente e che toccano la loro vita quotidiana, il Parlamento e le forze politiche erano grado di ricercare una condivisione. Un'impostazione di questo tipo avrebbe dato fiducia alla gente e la fiducia, ben lo sappiamo, è una componente essenziale per superare la crisi, per reagire alle difficoltà e per mantenere uno spirito di corpo, direi, uno spirito di unità nazionale, come ha autorevolmente chiesto il Presidente della Repubblica nel messaggio di fine anno. Non ignoravamo certo le difficoltà di far affermare questa impostazione e per questo ci siamo mossi predisponendo una serie di emendamenti molto selezionati e ragionati su tre temi considerati da noi centrali e sui quali tornerò alla fine del mio intervento.
La posta finanziaria per realizzare gli interventi da noi proposti, si aggira in un ulteriore stanziamento di circa 2,5 miliardi di euro. La somma delle risorse stanziate dal Governo, più quelle previste da noi con i nostri emendamenti, può arrivare a poco più di cinque miliardi di euro, che rappresenta sempre, comunque, un terzo di un punto nostro PIL. Siamo ancora molto lontani da quel punto di PIL che pure sarebbe necessario, ma almeno avremmo potuto arginare i primi effetti delle crisi.
Dunque, si comprende la crucialità della domanda: è credibile, signor sottosegretario, è ragionevole che, in questa situazione, il Governo non sia riuscito a fare lo sforzo per racimolare una cifra di 2 miliardi di euro? Non è credibile. Ecco il motivo per il quale, signor Presidente, sosteniamo, con rammarico e disappunto, che il Paese è solo, abbandonato dal suo Governo e, ahimè, sia pure contro il nostro parere, anche dal suo Parlamento.
Infine, voglio pormi una terza domanda: cosa è successo, negli ultimi giorni, che ha cambiato il segno del lavoro congiunto? Come tutti sanno, all'avvio del dibattito parlamentare, l'onorevole Bersani ha incontrato il Ministro Tremonti e, pur avendo registrato una completa divisione sul piano strategico, si era aperto uno spiraglio di collaborazione parlamentare. Non rivelo alcunché di inedito se riferisco che, nel corso della discussione in Commissione e degli ovvi colloqui informali che hanno accompagnato il dibattito ufficiale, abbiamo misurato più volte disponibilità e volontà positive che avevamo apprezzato. Ma quando al rientro dalle festività, siamo entrati nel vivo, ecco la novità: il Governo rinunciava a formulare qualsiasi proprio emendamento (prassi del tutto singolare), affidandosi ai relatori. Dunque, inopinatamente, il Governo ha all'improvviso rinunciato, una rinuncia esplicita di assumersi le responsabilità di scegliere, di indicare e di proporre.
Il primo effetto di questa originale metodologia è che siamo stati quasi due giorni in Commissione senza iniziare a votare, perché i relatori non erano pronti ad esprimere - penso non per loro volontà - il loro parere sugli emendamenti presentati, pur avendo a disposizione tutto il periodo natalizio. A questa incertezza procedurale e politica, è subentrata un'incredibile impasse sulle decisioni da prendere che, di ora in ora, diventavano sempre più restrittive. La domanda è semplice: cosa è cambiato negli ultimi giorni che ha fatto privilegiare lo svuotamento progressivo dei contenuti? Temo che la risposta, ahimè, sia altrettanto semplice, come ha ben spiegato, pochi minuti fa, nel suo intervento il collega Causi. Sembra, cioè, che ad un certo punto, la scure del Ministro dell'economia e delle finanze, che era Pag. 72rimasta in sospeso per tutto il tempo dell'emissione del prestito pubblico italiano e tedesco, sia definitivamente calata, ghigliottinando ogni possibile miglioramento e modifica. Ricordo, a questo proposito e a riprova della possibilità, nonché dell'opportunità di assecondare da parte del Governo un atteggiamento costruttivo, che anche molti deputati della maggioranza avevano, sia pure inutilmente, formulato emendamenti, in alcuni casi interessanti, allo scopo di correggere e migliorare il provvedimento che, evidentemente, è considerato inadeguato anche dalle forze politiche che sostengono il Governo. Ecco perché prevediamo e temiamo che, con l'incalzare quotidiano della crisi, cresceranno tra la gente il malessere, la delusione e la preoccupazione. Anche la nostra preoccupazione sta crescendo: la preoccupazione delle conseguenze di questa debolezza di Governo.
Il fatto che dobbiamo affrontare il 2009 e il 2010, gli anni della crisi, in queste condizioni politiche è un bel problema. Per rendersene conto è sufficiente confrontare la dimensione dei problemi della nostra economia - che ben conosciamo - con la qualità e le dimensioni dei provvedimenti adottati con questo decreto-legge; basta pensare che i pochi aspetti positivi presenti nella manovra sono, di fatto, una riparazione ad errori compiuti e da noi denunciati: ricordo il ripristino (sia pure indebolito) del massimo scoperto che era stato introdotto dal centrosinistra e tolto recentemente dall'attuale Governo e ricordo anche il ripristino, a seguito dei nostri emendamenti, degli ecoincentivi, clamorosamente aboliti nel decreto-legge originale. Anche i risultati ottenuti sull'estensione delle tutele a coloro che non ne avevano diritto è il risultato di un'azione portata avanti in queste settimane. Senza sottovalutare il principio, va denunciato il fatto che l'assenza di risorse rischia di rendere vano il beneficio, così come il risultato ottenuto sulla certificazione da parte della pubblica amministrazione dei propri debiti, che consente alle imprese di chiedere alle banche maggiore liquidità, è merito di un emendamento da noi formulato, il cui contenuto, però, è stato molto attenuato dalla maggioranza e dal Governo, che non hanno dimostrato su questo capitolo importante un'adeguata sensibilità nei confronti delle difficoltà delle imprese.
Grave invece - ed è bene denunciarlo - è il mantenimento del comma 5 dell'articolo 14, che avevamo chiesto di sopprimere, nel quale si estende a tutta l'industria italiana la libertà di movimento che era stata attribuita al dottor Fantozzi per gestire lo smembramento di CAI. Invito nuovamente il Governo, anche stasera e anche in questa sede, a riflettere nelle prossime ore su questo punto e sulle conseguenze di questo provvedimento: non si aiuta così l'industria a ristrutturarsi. Soprattutto, la gestione della crisi renderà necessarie importanti trasformazioni industriali e non può trovare da una norma di questo tipo nient'altro che una deriva che potrebbe addirittura indebolire e non rafforzare l'apparato produttivo italiano.
Grave anche - ma, ahimè, coerente con la politica antimeridionale - è la differenziazione in tre aree del prezzo dell'energia elettrica. So che i promotori di questa scelta sostengono che bisogna agevolare le aree più produttive del Paese; mi permetto di correggere questa impostazione dicendo che bisogna agevolare le aree produttive del Paese, indipendentemente dalla loro posizione geografica.
Del tutto incomprensibile e, francamente, addirittura ridicola, è la scelta del Governo di destinare una miseria al Fondo affitti. La nostra proposta prevedeva e prevede di finanziarlo ridistribuendo le risorse destinate ai mutui, sapendo che per sovrappiù non tutti quei soldi stanziati verranno erogati, data l'evoluzione dei tassi.
Va anche denunciato, signor Presidente, l'uso strumentale di questo provvedimento così importante e delicato per dispensare vantaggi e prebende corporative e localistiche. Voglio citare solo alcuni casi dei quali non disconosco la finalità, ma contesto l'opportunità. Penso all'erogazione di un milione a favore di un certamente benemerito Istituto per la ricerca in oftalmologia, Pag. 73ottenuta sottraendo questi soldi al Fondo per l'occupazione, o ai provvedimenti per i piccoli comuni che si ripetono dal 2001 o, ancora, le pensioni dei giornalisti coperte, anch'esse, con i soldi per l'occupazione.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE (ore 20,55).

PIER PAOLO BARETTA. Insomma, non poi è del tutto vero che questo provvedimento non decide niente: la verità è però che non affronta la crisi. La nostra preoccupazione (e mi avvio alla conclusione, signor Presidente) per le sorti del Paese è tale che non rinunciamo nemmeno ora, nemmeno stasera a tentare di correggere e migliorare questo decreto-legge, anche oggi, nel dibattito in Aula che si sta avviando.
Ho parlato di dibattito, signor Presidente, perché mi auguro che il Governo, in un sussulto di dignità, rinunci a chiedere su questa materia il voto di fiducia, che sottrarrebbe al Parlamento il diritto di effettuare quel necessario dibattito politico al quale più volte ho fatto riferimento e che è doveroso nei confronti del Paese. Per quanto ci riguarda, siamo talmente convinti che il ricorso alla fiducia sia sbagliato che, per non dare alcun alibi al Governo, abbiamo deciso di presentare una manciata di emendamenti, dieci, pur sapendo che rinunciamo così a presentare molti temi importanti; dieci emendamenti, tutti finalizzati alle priorità che ho illustrato e che brevemente riassumo. Sono tre i capitoli sui quali ancora oggi chiediamo al Governo e alla maggioranza di intervenire.
Il primo capitolo riguarda il sostegno al reddito. La nostra proposta si configura nella necessità di affiancare al bonus, che andrebbe pur rimodulato in favore di pensionati e famiglie e addirittura esteso ai lavoratori autonomi - tra i quali, lo sappiamo bene, si annoverano tanti giovani precari, ma non interveniamo su questo - un incremento del 20 per cento degli assegni familiari. Si tratta, dunque, di un emendamento su un tema fondamentale come quello del sostegno al reddito. Il secondo capitolo riguarda gli ammortizzatori sociali, attraverso l'istituzione di un Fondo unico che consenta di estendere davvero a tutti la cassa integrazione e l'indennità di mobilità e disoccupazione. Il terzo capitolo riguarda l'impresa. È necessario che si migliori la norma relativa al pagamento dei debiti arretrati da parte della pubblica amministrazione, si consolidino i confidi, si dia vita al credito di imposta e si migliori addirittura il massimo scoperto. Ho detto all'inizio del mio intervento che questi provvedimenti da noi proposti, assolutamente necessari e minimali, comportano una spesa aggiuntiva di 2 miliardi e mezzo, che possono essere recuperati attraverso un calcolo scrupoloso del preventivo miglioramento degli interessi sul debito, stimabile addirittura in circa 5 miliardi di euro, la metà dei quali possono ben essere utilizzati per aiutare le persone, le famiglie e le imprese in difficoltà. In fin dei conti, pur in presenza delle note difficoltà di bilancio, dopo mesi di tagli indiscriminati e in molti casi eccessivi ma che, comunque, qualche effetto finanziario avranno ben realizzato, di fronte a dati governativi che sostengono che i conti pubblici migliorano, penso si possa sostenere che una parte sia pur parziale di risorse possa essere aggiunta a quelle poche già stanziate dal Governo. Insomma, signor Presidente, signor sottosegretario, cari colleghi, quella che formuliamo anche stasera è una proposta precisa, semplice, selezionata e praticabile. Mi auguro, per il bene del Paese, che nei prossimi giorni e nelle prossime ore prevalgano il buonsenso e quello di responsabilità. Se sarà così ne terremo conto. Se, al contrario, il Governo confermerà l'impostazione attuale presente nel decreto-legge, si assumerà la grave responsabilità di aver rinunciato a governare l'Italia in uno dei momenti più difficili della nostra storia contemporanea. In questo caso, non saremo solo noi, ma l'intero Paese a rendersene conto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Strizzolo. Ne ha facoltà.

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IVANO STRIZZOLO. Signor Presidente, mi rivolgo a lei, al rappresentante del Governo e ai colleghi presenti in Aula, per riprendere a mia volta, brevemente, alcune riflessioni già esposte in quest'Aula dai colleghi che mi hanno preceduto appartenenti al gruppo del Partito Democratico. Ritengo che il lavoro svolto, in sede di Commissioni riunite, sia stato realizzato con un atteggiamento - come ricordato un attimo fa anche dal collega Baretta - assolutamente serio e costruttivo, non solo per la mole di emendamenti, proposte e interventi che il gruppo del Partito Democratico ha sviluppato in quella sede, ma anche perché abbiamo ancora la volontà, l'obiettivo e la disponibilità a lavorare per cercare di trovare le soluzioni più adeguate per far fronte a questa crisi, che sta mettendo a dura prova anche il nostro Paese. Quando noi vogliamo mettere in evidenza l'inadeguatezza del provvedimento che il Governo ha presentato, non lo facciamo perché siamo all'opposizione e quindi esprimiamo, pregiudizialmente, un giudizio negativo.
Esprimiamo piuttosto questa valutazione perché siamo preoccupati, e forse il Governo non ha ancora l'esatta percezione della reale dimensione della crisi che sta investendo il nostro Paese con una serie di aziende di dimensioni piccole e medie che stanno entrando in crisi, con una lunga lista di aziende che rischiano di essere poste in crisi o in condizione prefallimentare perché la congiuntura e la dimensione della difficoltà sui mercati internazionali sono tali da richiedere interventi molto più robusti rispetto a quelli previsti da questo decreto-legge.
Notiamo che in questo provvedimento non solo non ci sono interventi robusti e significativi per le imprese, ma non ci sono neanche interventi adeguati per le famiglie, per il ceto medio e per le piccole attività commerciali e artigianali.
È vero che all'ultimo momento si è aggiunto un articolo a sostegno del comparto del commercio, ma il settore dell'artigianato? Leggiamo ogni giorno sulla stampa notizie sul fatto che anche questo comparto, che tradizionalmente, grazie alla sua flessibilità riusciva, anche nei momenti di crisi, ad assumere delle decisioni, delle posizioni e degli orientamenti che consentivano di superare le situazioni di crisi, anche questo comparto - ripeto, quello dell'artigianato - importantissimo in un Paese come il nostro, affronta momenti di grande difficoltà.
Siamo riusciti, attraverso il confronto e il dibattito nelle Commissioni, a trovare le condizioni per apportare dei correttivi al testo. Ad esempio, lo ricordava un attimo fa sempre il collega Baretta, sul piano degli ammortizzatori sociali, gli investimenti sulla rete del trasporto pubblico, in particolare quello su rotaia. Tuttavia, questo provvedimento non esplica quella potenza e quell'impatto che dovrebbe avere.
Credo che il Ministro Tremonti, verso il quale nutro il massimo rispetto perché sicuramente è una persona preparata e di grandi capacità, a mio modestissimo modo di vedere ha totalmente sbagliato nei due periodi in cui ha svolto l'incarico di Ministro dell'economia e delle finanze. Infatti, nella legislatura 2001-2006 forse è stato troppo superficiale e allegro nell'impostare le attività economiche e finanziarie di questo nostro Paese quando forse c'era la necessità di impostare le cose in un'altra maniera. In questo momento, invece, in cui - come hanno ricordato il collega Gozi ed altri colleghi anche durante i lavori delle Commissioni riunite - anche l'Unione europea dà un'indicazione volta a consentire una flessibilità nel rispetto dei parametri di Maastricht per i Paesi che devono impostare le loro iniziative per far fronte alla crisi economica, il Ministro Tremonti, secondo me è troppo rigido ed eccessivamente prudente, esattamente il contrario di quello che è stato qualche anno fa, sbagliando in entrambi i casi la valutazione sulla reale portata della situazione di crisi.
Pertanto, in questa situazione abbiamo sentito, e secondo me non serviva che lo dicesse, che Obama, il Presidente eletto degli Stati Uniti d'America, qualche giorno fa ha annunciato che adotterà una terapia d'urto nei primissimi tempi della sua Presidenza.Pag. 75
Infatti, ce ne rendiamo conto tutti: non serve citare Obama, anche se io l'ho appena fatto, per capire che esiste un rischio gravissimo e che se l'economia di questo nostro Paese dell'Europa rallenta in una misura preoccupante - in mancanza o per l'inadeguatezza degli strumenti che si stanno mettendo in campo per far fronte a questa crisi - sarà difficile recuperare e riavviare la locomotiva dello sviluppo della crescita economica. Nel frattempo, però, non solo ci sono pesanti guasti sul piano sociale, con molte persone senza lavoro e quindi con famiglie in grandi difficoltà, ma ci saranno ripercussioni negative anche per l'erario e per le entrate tributarie.
Pertanto, vi è un meccanismo che si ripercuote non solo da un punto di vista economico ma occupazionale, sociale e anche di diminuzione degli introiti fiscali da parte dello Stato, perché se l'economia non cresce, non ci sono i consumi né quel meccanismo virtuoso che porta, poi, anche i benefici per le casse dell'erario. Dunque, se si interrompe tale meccanismo vi sarà un effetto negativo a catena che sarà difficile da risolvere e con ripercussioni, comunque, estremamente pesanti.
È per tale motivo che sosteniamo che si deve compiere uno sforzo ulteriore per affrontare questa crisi. A mio avviso, pertanto, l'approccio del Governo in ordine a questa crisi non solo è inadeguato, ma è anche sbagliato come prospettiva. Cito un caso che è stato già ricordato e che abbiamo richiamato anche nelle Commissioni. Mi chiedo come si possa rimettere in discussione una misura che funzionava, come quella degli eco-incentivi, e che aveva consentito di fare emergere una parte consistente di lavoro in nero, che aveva dato sviluppo e sostegno all'occupazione nel settore della produzione e dell'installazione di impianti e di infrastrutture legate al contenimento energetico e che aveva anche sostenuto un altro obiettivo importante - pertanto, non solo il contenimento energetico e un minor consumo di energia -, vale a dire contribuire a ridurre le emissioni di anidride carbonica nell'atmosfera e, quindi, dando un apporto al raggiungimento degli obiettivi stabiliti dal Protocollo di Kyoto. Inoltre, attraverso questa misura, che sostanzialmente si stava autofinanziando, si era cominciato ad avviare un percorso anche di aiuto e di stimolo a nuove forme imprenditoriali e a nuove forme di ricerca nel comparto delle attività legate alla produzione di energia sostenibile. Invece, in questo modo si è andati a creare un disastro in questa misura, che stava funzionando bene.
Su tale punto abbiamo fatto fatica con interventi, emendamenti e prese di posizione. Inoltre, sono intervenute moltissime realtà del nostro Paese. Ricordo che associazioni, imprenditori e cittadini avevano manifestato notevole disapprovazione verso questa misura. Successivamente vi è stato l'annuncio sui giornali del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il quale affermava che si sarebbe provveduto. Tuttavia, in seguito abbiamo osservato che il Governo, almeno dal punto di vista formale, non ha presentato neanche un emendamento dopo che per quasi due mesi aveva, su tutti i mezzi di comunicazione, affermato che si sarebbe risolta la questione e che si sarebbero presentati degli emendamenti.
Ho citato questo caso per richiamare l'auspicio, ancora una volta, che al di là della buona volontà di questo o di quell'esponente del Governo e dei colleghi (anche della maggioranza) che nelle Commissioni si sono impegnati e si sono adoperati (il relatore, i presidenti delle Commissioni ed altri ancora), anche rispetto al modo con cui si è sviluppato il lavoro nelle Commissioni, che in Aula si riesca a recuperare, almeno in parte, la situazione, perché non si è data l'impressione di avere un quadro preciso di quella che è il contesto e soprattutto di quelli che sono i correttivi da apportare.
Inoltre, nel corso dei lavori delle Commissioni vi sono stati anche degli emendamenti che erano finalizzati, più che a risolvere i problemi, a dare qualche contentino al gruppo della Lega Nord. Citiamo l'emendamento cosiddetto salva-Malpensa, che in realtà non salva un bel niente. Infatti, se andiamo a leggere quell'emendamento Pag. 76capiamo che è una norma di tipo programmatico e starà poi al buon cuore di questo o di quel Ministro, di questa o di quell'istituzione, eventualmente cercare di affrontare il problema che in quella disposizione si pensa di risolvere. Allo stesso modo si è proceduto in ordine alla questione del comparto delle tariffe dell'energia, laddove sostanzialmente si prefigura la possibilità di suddividere l'Italia, per la definizione delle tariffe stesse, in tre macro-aree. Probabilmente anche qui si è introdotta una disposizione simile per dare qualche soddisfazione alla Lega Nord, non rendendosi conto, tuttavia, che così forse si va ulteriormente a penalizzare il sud, dopo che il FAS, il Fondo per le aree sottoutilizzate, è stato abbondantemente saccheggiato non solo da questo provvedimento, ma anche da quelli che sono stati approvati in questi ultimi due o tre mesi.
Se poi pensiamo - l'ha ricordato mi pare un altro collega, forse l'onorevole Meta, intervenendo per quanto riguarda una serie di infrastrutture - questo Governo si sta pavoneggiando con l'opera faraonica del ponte sullo Stretto di Messina e sta abbandonando al loro destino le isole minori del nostro Paese con la privatizzazione della Tirrenia, viene da pensare che siamo di fronte solamente ad annunci e a propaganda, ma poi nel concreto non si entra nel merito delle questioni.
In qualche sede è stato detto che si sarebbero volute stanziare maggiori risorse. A parte che uno sforzo maggiore comunque poteva essere fatto, come hanno ricordato i colleghi Causi e Baretta, ma inoltre non dimentichiamoci che questo Governo, sempre per rincorrere gli annunci propagandistici fatti in campagna elettorale, ha sostanzialmente dilapidato circa 7 miliardi di euro tra l'operazione di abolizione dell'ICI (mettendo in difficoltà i comuni e ci sono ancora problemi che devono essere affrontati nei rapporti tra lo Stato e i comuni proprio su tale partita) e la vicenda dell'Alitalia.
È passato quasi un anno da quando si stava concludendo l'operazione con Air France con la cessione di Alitalia, dopo una gara pubblica assolutamente trasparente, che si è voluta bloccare, con il risultato finale che circa 4 miliardi di euro sono stati posti a carico del bilancio dello Stato, moltissimi voli sono stati cancellati, gli aeroporti medio-piccoli sono assolutamente penalizzati, le tariffe sono aumentate e la concorrenza è indubbiamente ridotta, oggi come oggi, con l'incorporazione in questa operazione di Air One insieme ad Alitalia nella nuova compagnia.
Tale operazione ha lasciato fuori - anche se le dichiarazioni di questo pomeriggio di Colaninno, riportate da alcune agenzie di stampa, dicono che ci sarà l'impegno della nuova compagnia a recuperare tutti i precari e tutti quelli che sono rimasti esclusi - un numero di persone sicuramente molto superiore rispetto a quelle che sarebbero state lasciate fuori nell'accordo dell'anno scorso che si stava per concludere con Air France.
Questi 7 miliardi, se fossero stati disponibili oggi, sarebbero potuti essere utilizzati in questo provvedimento e credo che sarebbe stato un fatto importantissimo e positivo per il nostro Paese. Invece, per dare seguito a promesse assolutamente propagandistiche, si è voluto caricare il bilancio dello Stato senza risolvere il problema.
Quelli che ho toccato (l'abolizione dell'ICI e l'operazione Alitalia) sono soltanto due temi, ma ve ne potrebbero essere tantissimi altri. Un altro argomento, anch'esso molto propagandato nei territori soprattutto del nord-est, in particolare dalla Lega Nord, riguarda la modifica degli studi di settore. Ebbene, sul tema non vi è assolutamente nulla rispetto a ciò che si propaganda in giro nelle contrade del nord d'Italia.
Su altri problemi che abbiamo cercato di affrontare nel corso dei lavori delle Commissioni riunite, ci sono alcune questioni che potrebbero sembrare marginali.
Oltre ad una serie di emendamenti presentati assieme al gruppo del Partito Democratico (sulle questioni molto bene argomentate prima dal collega Baretta, legate a maggiore sostegno ai salari, alle Pag. 77famiglie, agli ammortizzatori sociali, alle imprese e in merito alle quali in questo provvedimento c'è ben poco), personalmente avevo portato all'attenzione della Commissione qualche altro problema legato, in particolare, al fisco.
Per esempio, all'articolo 32, comma 5, lettera a), si disciplinano le riscossioni e tutta la partita che si presume dovesse essere di sostegno allo snellimento delle procedure nei rapporti tra il contribuente e lo Stato e, quindi, anche con i piccoli e medi imprenditori: si tratta di un problema che alla fine, se la norma resta così come attualmente prevista, rischia di penalizzare l'erario. Dunque, avevo presentato un emendamento per cercare sostanzialmente di consentire, anche per quanto riguarda il debito IVA nei confronti dell'erario da parte di contribuenti nel caso in cui è in corso una procedura concorsuale, la possibilità di proporre il pagamento dell'IVA in misura ridotta.
È vero che qui ci sono degli aspetti legati anche alle direttive comunitarie che vanno approfonditi, però si tratta di verificare se sia opportuno richiedere il pagamento per intero dell'IVA in situazioni in cui il soggetto rischia il fallimento e, quindi, con la possibilità pari a zero per il fisco di introitare le imposte dovute (in questo caso l'IVA). Forse sarebbe il caso, come prevede il mio emendamento, anche attraverso una perizia asseverata, di stabilire, caso per caso, se un abbattimento dell'IVA consenta quantomeno all'erario di recuperare una parte dell'IVA stessa, anziché correre il rischio, nel caso di fallimento o di liquidazione delle società interessate a problemi di questo tipo, di non incassare neppure un euro.
Un altro problema che avevo rappresentato - ma anche su questo emendamento il Governo aveva espresso una posizione negativa - è legato al tema dell'elusione fiscale. Proprio in queste settimane ci sono stati importanti pronunciamenti della Corte di cassazione a sezioni unite che hanno sostanzialmente - come si suol dire - fatto nuova giurisprudenza, non solo a mio modo di vedere, ma anche per opinione di illustri docenti e fiscalisti, che si sono esercitati proprio in queste giornate e settimane con articoli su riviste specializzate sul Sole 24 Ore: essi hanno messo in evidenza che vi è la necessità di intervenire legislativamente per dare maggiore certezza e chiarezza al contribuente in alcuni passaggi nei suoi rapporti con il fisco e con l'erario. Sulla certezza delle norme fiscali, evitando decisioni applichino criteri retroattivi, è importante recuperare la possibilità di lavorare - magari lo faremo in sede di Commissione finanze e mi auguro che ci sia la possibilità - per fare in modo che ci siano meno incertezze possibili nel rapporto tra il contribuente e il fisco.
La certezza e la stabilità di un sistema fiscale sono elementi importanti per stabilire e valutare il grado di attrattività di un sistema Paese, perché se la giurisprudenza emana sentenze retroattive che nel rapporto Stato-contribuenti intaccano delle situazioni che a distanza di anni non erano all'epoca immaginabili, ciò crea una situazione di difficoltà. Ho voluto citare questo aspetto.
C'è un'ultima questione, prima di concludere, di cui il sottosegretario Casero è a conoscenza e so che ha anche dato una sua disponibilità a verificarne la percorribilità. È da tempo che sto presentando ordini del giorno ed emendamenti suggeriti dal buonsenso, volti ad estendere le semplificazioni per la cancellazione di ipoteche ad immobili ubicati in alcune parti del territorio del nostro Paese dove vige il sistema tavolare. Questa era una misura contenuta in uno dei decreti Bersani che veniva incontro al cittadino, al contribuente, semplificando la procedura con cui si cancella l'ipoteca iscritta su un immobile, posta a garanzia di un mutuo contratto con una banca. Noi chiediamo che ci sia la possibilità di utilizzare questi percorsi semplificati anche per i beni immobili che insistono nei comuni dove vige il sistema catastale tavolare.
Potrei continuare, signor Presidente e colleghi, anche con altri punti ma concludendo, come hanno già detto altri colleghi, ribadisco che abbiamo fatto questa selezione di emendamenti da portare in Aula Pag. 78che sono, a nostro modo di vedere, un'ulteriore dimostrazione del contributo per migliorare questo provvedimento. Credo che non solo non sarebbe uno scandalo, ma sarebbe un segnale positivo per il Paese se almeno su alcuni di questi emendamenti si registrasse in quest'Aula nelle prossime ore e nei prossimi giorni una convergenza, perché sarebbe un segnale importante anche per il Paese, per i cittadini, per le imprese e per le famiglie. Noi ne confidiamo perché, al di là della mannaia di Tremonti e delle sue preoccupazioni; infatti, siamo tutti preoccupati di navigare in maniera tale che il sistema-Italia non debba in futuro trovarsi in situazione di maggiore ed ulteriore difficoltà. Ma valutiamo bene e attentamente le questioni perché oggi un'eccessiva rigidità per quanto riguarda l'intervento pubblico a sostegno dell'economia potremmo pagarla cara in un futuro non lontano, non solo in termini di minore occupazione e di difficoltà per le famiglie e per i ceti sociali più deboli ed emarginati, ma alla fin fine anche per le stesse casse dello Stato.
Anch'io mi associo quindi all'appello rivolto da altri colleghi affinché il Governo e la maggioranza tengano conto di questo nostro sforzo e di questo contributo. Ci auguriamo che non sia posta la questione di fiducia e che si possa svolgere compiutamente il confronto in quest'Aula, cosa che è avvenuta solamente in parte in Commissione. La sovranità dell'Aula per quanto ci riguarda è un valore importantissimo e ci auguriamo che dal confronto possa nascere un ulteriore momento di convergenza per migliorare questo provvedimento e realizzare così l'obiettivo di contrastare in misura più incisiva la situazione di crisi che penalizza le famiglie e i ceti sociali più deboli (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Gatti. Ne ha facoltà.

MARIA GRAZIA GATTI. Signor Presidente, quando negli interventi di fine anno il Presidente Fini ha svolto quelle riflessioni sul rapporto tra Parlamento e Governo e sul valore dell'intervento parlamentare, ho sperato veramente di non dovermi più ritrovare nella condizione in cui il Governo ponesse la fiducia sui provvedimenti.
Invece, la cosa è successa immediatamente dopo con il provvedimento sull'università. Siccome era stata fatta quell'affermazione, ho sperato che non avvenisse su quel provvedimento. Invece, è successo proprio così e l'unica possibilità di intervenire è stata la presentazione di ordini del giorno, in cui il Governo ci ha risposto, tra l'altro, che, magari, li accoglieva come raccomandazione.
Si trattava di ordini del giorno che chiedevano (ad esempio quello che ho presentato io) l'applicazione di una direttiva europea, ossia di rendere operativo un provvedimento che, fra l'altro, il Governo Prodi aveva già adottato e sono stati accolti come raccomandazione.
Ora siamo in una situazione che ho il sospetto, il dubbio e la preoccupazione che possa evolvere nello stesso modo. Ho partecipato alle sedute delle Commissioni bilancio e finanze in questi ultimi due giorni, anche per sostenere gli emendamenti che il Partito Democratico aveva presentato sulle questioni del lavoro, perché sono un componente della Commissione lavoro. Le assicuro che è stato un pessimo vedere e un pessimo vivere quelle ore in Commissione, in cui, essenzialmente, si aspettava che il Governo si muovesse o che la maggioranza e i relatori riuscissero ad esprimere dei pareri sugli emendamenti. Vi è stata una sorta di attesa lunghissima e poi un restringimento progressivo delle possibilità di discussione e degli argomenti di discussione.
Spero che la discussione si possa sviluppare in quest'Aula, consapevole che significherà, per esempio, impegnare molto l'Aula e allungare gli orari. Vi è tutta la disponibilità da parte dell'opposizione, consapevoli, però, che se si comincia una discussione, bisogna anche tentare di guidarla e governarla per arrivare a dei Pag. 79risultati, anche perché la situazione mi sembra particolarmente preoccupante e grave.
Comincerei dalle riflessioni sul tipo di crisi che stiamo vivendo, sulla qualità della crisi e su cosa la maggioranza e il Governo ne pensano, perché ho la sensazione che non si sia veramente capito cosa stesse succedendo, quali erano la profondità e la qualità della crisi.
Questa sensazione mi viene dall'analisi dei provvedimenti che sono stati adottati. Li metto in fila, lasciando perdere la Robin Hood tax, che tentava di prendere i soldi alle banche che poi abbiamo dovuto ridargli: la defiscalizzazione degli straordinari e dei premi, l'intervento sull'ICI.
Guardate, defiscalizzare gli straordinari per tentare di aumentare il reddito delle persone in una situazione in cui la crisi è diventata immediatamente da finanziaria a una crisi reale e di occupazione, indica proprio questo: adotto un provvedimento e non mi rendo conto della direzione che sta prendendo la crisi e del fatto che il provvedimento che sto adottando non funzionerà.
In effetti, poi lo hanno ritirato; è rimasto quello sui premi. Sfido, però, qualunque persona a trovare, in questo momento, una qualsiasi azienda che riesca a stipulare accordi con premi di produttività e di partecipazione. In questo momento, nelle aziende si fanno gli accordi per i contratti di solidarietà, per la cassa integrazione, per tentare di capire se a un rallentamento di produzione si riuscirà a resistere con una prospettiva di ripresa della produzione.
Poi ho visto, invece, il grande impegno che vi è stato verso le banche. Qui devo sottolineare una cosa: non vi è stato un impegno isolato per garantire il risparmio da una parte, il flusso di denaro fra le banche e così via, ma vi è stato un intervento di tipo diverso. Si è detto: se la situazione diventa grave, qui vi è un grande fondo a cui, eventualmente, attingere. Sulle caratteristiche di questo fondo, sulla distrazione di cui qui ci ha parlato il collega Cazzola, ritornerò in seguito, perché, secondo me, se si adottano certe distrazioni nella valutazione sulle coperture in certi ambiti, e se poi non si adottano da altre parti, significa che si è fatta una scelta.
L'altro punto riguarda l'Alitalia. Penso che la domanda da porsi sia quella che si è posta ieri pubblicamente in televisione il sindaco di Milano, quando, a mio avviso con molta chiarezza e anche con sufficiente coraggio, si è chiesta perché gli italiani devono pagare, tutti gli italiani, i debiti di Alitalia e Air One, che dovrebbero essere a carico di una compagnia, la CAI, che è una società privata e che come unico vincolo ha quello di non vendere per quattro anni a partner stranieri le azioni. Penso che questa sia una domanda legittima, che questa opposizione si è posta per un periodo molto lungo, e dico che se potessimo contare sui 3 miliardi del minore introito dalla riscossione dell'ICI e sommarvi i 3 o 4 miliardi di debiti Alitalia e Air One (perché ci sono anche questi, e mi piacerebbe che prima o poi qualcuno riuscisse a spiegarmi perché bisogna caricarsi anche dei debiti di Air One) forse riusciremmo ad avere una cifra che permetterebbe oggi, col provvedimento in esame, di affrontare e di proporre interventi qualitativamente e quantitativamente diversi, che potrebbero segnare anche l'uscita dalla crisi.
E poi un'altra riflessione generale: il provvedimento in esame è l'ennesimo provvedimento economico. Veramente vorrei dire al Ministro Tremonti che non è vero che ha bloccato l'assalto alla diligenza, l'ha soltanto sparso in un numero finora notevole di provvedimenti. Vorrei veramente che ci fosse l'onestà di leggere alcune misure previste nel provvedimento in esame, ne ha fatto cenno Baretta: a me sembra che sia ragionevole finanziare un istituto di ricerca in oftalmologia, ma perché solo quello e non un altro? E perché non provvedimenti anticrisi? Allo stesso modo, penso che è assolutamente ragionevole finanziare delle fiere, a nord a e sud del Paese, ma magari la norma andrebbe scritta molto più chiaramente, e non nascosta dietro una serie di rimandi normativi per cui c'è voluta soltanto la Pag. 80pazienza dell'onorevole Vannucci per riuscire a capire a cosa ci si riferisse e a cosa servivano quei 5 milioni di euro.
E poi, signor Presidente, penso che il rischio, la mannaia della fiducia, il modo di lavorare in sede di Commissioni riunite crei un clima che deve essere, a mio avviso, assolutamente superato, un clima che corrisponde a una relazione fra maggioranza e opposizione, fra Governo e Parlamento, che deve assolutamente cambiare. Ciò, proprio perché ritengo che la possibilità di affrontare con successo questa crisi per uscirne diversi e migliori come Paese, più attrezzati, più capaci poi di ripartire con più forza, è legata alla capacità che avremo di lavorare assieme, maggioranza e opposizione, Governo e Parlamento, istituzioni e parti sociali. E mi lasci dire in proposito, signor Presidente, che una serie di dichiarazioni di ministri che insultano lavoratori pubblici e se la prendono in quel modo con una forza sociale che rappresenta 5 milioni di iscritti è un azzardo, di questi tempi, non è assolutamente conveniente, oltre ad essere, a mio avviso, condannabile.
Vorrei ora però passare alla parte relativa al provvedimento, e anche in questo caso ripercorrerò le questioni relative al lavoro e agli ammortizzatori sociali; spero di farlo rapidamente, partendo proprio dagli emendamenti che il Partito Democratico aveva presentato: che il complesso degli emendamenti del Partito Democratico conteneva un disegno, si dovrebbe essere colto da tutti gli interventi che mi hanno preceduto. Partirei da un paio di emendamenti che non sono stati discussi nemmeno in sede di Commissioni riunite, data la scelta, il restringimento, eccetera, e secondo me sono però estremamente significativi; e sono significativi anche per il fatto che sono un articolo 1-bis e un comma 2-bis e 2-ter dell'articolo 18, e sono «bis» e «bis» e «ter» perché si tratta di occupazione femminile, signor Presidente, e in un provvedimento anticrisi in Italia non si parla di supporto all'occupazione femminile.
Ciò secondo me qualifica, anzi squalifica, il provvedimento e lo pone assolutamente fuori anche da quelli che sono i parametri europei, perché l'occupazione femminile è essenziale per uscire dalla crisi ed è uno dei parametri e dei ritardi dell'apparato produttivo ed organizzativo italiano.
Peraltro, le mamme che lavorano fanno stare meglio i figli: le statistiche ci dicono che l'Italia è uno dei Paesi con la povertà infantile che cresce e che la povertà infantile si batte anche facendo lavorare le madri, perché così i figli sono meglio accuditi, le famiglie si ritrovano con più risorse ed anche le donne, a mio giudizio, stanno meglio (e in tal modo si combatte la povertà infantile e quella femminile).
In questo provvedimento non erano presenti riferimenti alla necessità di iniziative pratiche per supportare l'occupazione femminile.
Gli emendamenti che abbiamo presentato, come dicevo, sono due: da una parte, la proposta di una serie di detrazioni aggiuntive di sostegno per le spese di assistenza familiare e la cura dei figli minori per le donne che lavorano e a certe condizioni; dall'altra, il credito di imposta per il Mezzogiorno, che per le donne prevede una detrazione maggiore.
Questa norma era contenuta nella legge finanziaria per il 2008, ma è terminata con il periodo di riferimento della finanziaria, ossia il 31 dicembre 2008 e non è stata rinnovata (il credito di imposta, ricordo, è stato uno dei meccanismi che meglio ha funzionato).
Più in generale, vi era la necessità di riorganizzare gli ammortizzatori sociali perché è vero quello che ci ha detto la CGIA di Mestre (l'organizzazione degli artigiani di Mestre che dispone di un centro studi molto valido), ossia che il 50 per cento dei lavoratori coinvolti da questa crisi è senza ammortizzatori sociali.
A tale proposito vorrei provare a chiarire definitivamente un fatto (ho sentito anche le riflessioni molto interessanti dell'onorevole Cazzola): noi abbiamo una cassa integrazione ordinaria che cresce - e cresce ai livelli di cui hanno parlato prima i colleghi, ad esempio di più 1400 in Piemonte - perché veniamo da un 2008 in Pag. 81cui fino a metà anno ancora si cresceva e gli elementi della crisi ancora non si erano tradotti in termini occupazionali.
Esiste - fortunatamente - in Italia un sistema di ammortizzatori che è però molto parziale, nel senso che riguarda appunto la metà degli occupati di questo Paese (ma comunque c'è).
Esiste la cassa integrazione ordinaria che riguarda appunto le situazioni di crisi, la quale obbedisce alla seguente regola: possono essere prese e utilizzate 52 settimane in due anni solari.
Ciò significa semplicemente che in questo momento la cassa integrazione ordinaria cresce così tanto proprio perché si stanno utilizzando le 52 settimane.
Si tratta di fondi che vengono versati da lavoratori e aziende, per cui i soldi per ora ci sono ma sono soltanto per certe tipologie di lavoratori, ossia quei lavoratori che lavorano in aziende sufficientemente grandi e con rapporti di lavoro sufficientemente tutelati.
C'è da dire però che i dati che segnano la crisi sono quelli della cassa integrazione in deroga, ossia i dati di quella cassa integrazione che è stata predisposta per tentare di tamponare provvisoriamente, a livello regionale, le situazioni di crisi proprio con riferimento alle aziende piccole (sotto i quindici dipendenti) o a quelle dei settori dell'artigianato che non sono protette dalla cassa integrazione ordinaria.
Quelli sono i dati che ci danno il segno di quanto sia ampia la crisi. Vi sono regioni - ha parlato prima un deputato del Piemonte - che incontrano già ora difficoltà molto grandi in quanto hanno difficoltà a pagare la cassa integrazione in deroga (e in effetti in questo provvedimento c'è anche un tentativo di parare, da questo punto di vista, l'emergenza).
Il punto, però, è che dovremmo intervenire in modo temporaneo, ma dovremmo anche prevedere una prospettiva, un sistema di ammortizzatori sociali che mantenesse fermi i criteri dell'universalità, dell'inclusione, di tutti lavoratori, impiegati con un qualsiasi tipo di rapporto di lavoro, in qualsiasi azienda, di qualsiasi dimensione, in qualsiasi comparto; questo è l'obiettivo che ci dobbiamo porre. Se ipotizziamo un sistema di questo tipo, possiamo cominciare a pensare alla quantità di copertura (in modo temporaneo, all'inizio, e successivamente da riarticolare); ma il sistema, comunque, deve avere queste caratteristiche: l'universalità e l'inclusione. Devono essere previsti, inoltre, l'accompagnamento attivo nel mondo del lavoro (nel senso che gli interventi devono essere di sostegno al reddito, da una parte, alla formazione e alla ricerca di nuova occupazione, dall'altra) e una regia pubblica, perché un altro elemento che mi preoccupa molto nelle proposte presentate con il decreto-legge è che è come se si tendesse a delegare a soggetti non pubblici la regia della gestione del mercato del lavoro. Mi riferisco agli enti bilaterali e alla previsione - sulla quale noi abbiamo presentato emendamenti soppressivi - per cui si ha accesso alle prestazioni lavorative solo se l'ente bilaterale ha preventivamente integrato il 20 per cento della prestazione da fornire. Questo significa una cosa precisa: si vincola l'erogazione di un diritto, di un'indennità, finanziata con la fiscalità generale, con il contributo dei lavoratori, all'esistenza di un intervento di un ente privato. L'ente bilaterale non è altro che l'associazione fra datori di lavoro e i rappresentanti dei lavoratori di un particolare settore che presenta, tra l'altro, una distribuzione molto strana, per cui, per esempio, nel centronord ve ne sono molte, mentre nel sud meno, in certi settori sono molto presenti, in certi altri no. È stato per questo, molto probabilmente, che le associazioni artigiane sono intervenute per chiedere - e l'hanno ottenuta - una sorta di deroga che prevede che, nelle more del decreto-legge da emanare, questo vincolo venga allentato. Il vincolo, tuttavia, resta previsto nel provvedimento e questo per me rappresenta un problema.
In conclusione, vi è un altro elemento che mi preoccupa molto ed è quello della scomparsa dei centri per l'impiego come luoghi dove il lavoratore riesce a stabilire il patto di servizio, dove viene seguito nell'iter di nuova formazione, della ricerca Pag. 82di nuova occupazione. Tutto ciò viene delegato, da una parte, all'INPS, dall'altra, agli enti bilaterali. Penso che questa sia una procedura che ha delle limitazioni molto forti, che sia molto rischiosa, e che metta seriamente in pericolo il mercato del lavoro, affidandolo alla casualità e all'esistenza di condizioni che in certi territori vi sono, e sono grandi, in altri meno. Vorrei essere chiara su tutto ciò: l'esperienza degli enti bilaterali dalla regione da dove sono stata eletta - la Toscana - è molto sviluppata, gli enti bilaterali sono un'esperienza importante, il loro supporto, però, può essere di sperimentazione di nuovi interventi, ma può essere anche solo aggiuntivo rispetto all'intervento pubblico.
Infine, Presidente - è un aspetto che ha toccato anche l'onorevole Baretta -, in questo provvedimento vi è una norma che rischia di creare un vulnus nella legislazione sulle imprese, quella relativa alla non applicabilità dell'articolo 2112 del codice civile nei casi di grandi aziende in crisi. La norma è stata congegnata per Alitalia - questo è chiaro - e dispone appunto la non applicabilità dell'articolo 2112 del codice civile, il che significa in modo esplicito che certe operazioni non vengono considerate cessioni di azienda, di rami di azienda. Questo significa che i lavoratori perdono dei diritti. Ma, se c'è un problema in Alitalia, il problema si affronta per Alitalia, altrimenti variamo delle leggi che non sono corrette. Questo Parlamento ha già approvato una norma di questo tipo, contenuta nel decreto-legge n. 112 del 2008, la cosiddetta «ammazzaprecari»; si trattava di una norma che doveva servire per i lavoratori delle Poste. In questo momento, le nostre caselle e-mail sono piene di messaggi di lavoratori licenziati in aziendine piccole sparse per il Paese senza alcuna possibilità, in base a quella norma, di protezione. Allora, quanto diceva l'onorevole Baretta è essenziale. In prospettiva, in questo Paese vi saranno forti ristrutturazioni industriali che potranno riguardare anche grandi gruppi e questa norma potrà determinare veramente problemi nella gestione delle crisi, e soprattutto un degrado della legislazione sul lavoro per quel che riguarda i diritti dei lavoratori coinvolti.
Presidente, io penso che questi dovrebbero essere elementi importanti. Mi riferivo ad un sistema universalistico degli ammortizzatori sociali, ma poi vi sono dei grandi esclusi: si tratta dei lavoratori immigrati. Noi, a questi lavoratori che perderanno il lavoro, non proponiamo, ad esempio, un allungamento dei tempi del permesso di soggiorno, da uno a due anni, in modo tra l'altro da evitare una serie di lungaggini burocratiche, oppure l'aumento del tempo a disposizione per il permesso di soggiorno per ricerca di lavoro. Mi sono trovata di fronte ad una discussione (ma è stata riproposta stamattina in Aula dall'onorevole Simonetti) e ad emendamenti che chiedevano da una parte di tassare con 50 euro il rinnovo del permesso di soggiorno e dall'altra una fideiussione a favore dell'Agenzia delle entrate per l'apertura di una partita IVA o di una azienda: all'inizio, in sede di Commissioni riunite, la previsione riguardava gli stranieri; poi, a seguito di una riformulazione, ha riguardato i non comunitari. Penso che queste norme siano brutte norme da discutere in Parlamento, e che siano assolutamente contrarie ad ogni disposizione anticrisi, perché non si può frapporre un ostacolo a chi vuole aprire un'attività in una situazione di crisi. Mi viene in mente una considerazione (visto che l'onorevole Simonetti è del nord). A Vicenza c'è un sistema molto sviluppato di industria conciaria. Si tratta di un lavoro molto pesante e molto rischioso che viene svolto quasi esclusivamente da lavoratori senegalesi. Io mi chiedo: i conciatori (considerato che il settore della concia sta risentendo della crisi) sono convinti che, se un lavoratore formato e capace di lavorare in un'azienda di quel tipo perde il lavoro, tra sei mesi è il caso di mandarlo via (se non trova nuovamente lavoro), dopo - lo ripeto - che tali lavoratori sono stati formati e integrati nelle aziende?
Non dovrebbe essere anche una ricerca delle aziende del nord quella di preservare una manodopera preparata e capace? Da Pag. 83molto tempo vorrei rivolgere una domanda ai deputati della Lega: quanti giovani del nord, quanti loro figli, quanti loro fratelli sono disponibili ad andare a lavorare in conceria? Hanno mai provato a chiederselo?
Concludo qui, signor Presidente, con un ultimo riferimento: l'onorevole Cazzola ci ha disegnato un quadro dell'INPS e dei vari fondi molto chiaro e preciso, sottolineando i problemi esistenti. Ci ha detto, ad esempio, che i collaboratori molte volte pagano una serie di contributi e non hanno come corrispettivo l'erogazione di nessun intervento. Ci ha detto anche che i contributi da loro versati vengono utilizzati per fare altro. In questo provvedimento è contenuto un intervento sul fondo pensionistico per i giornalisti e sinora l'intervento viene messo a carico del fondo per l'occupazione. Dunque, poiché il fondo per i giornalisti continua - è storica questa vicenda - ad avere problemi di stabilità, vorrei evitare che questo fosse solo il primo passo per arrivare in futuro ad avere il fondo dei giornalisti nell'INPS; vorrei, cioè, che si evitasse di generare per i giornalisti la stessa situazione già seguita con il fondo dei dirigenti seguendo una regola aurea - terribile però! - in base alla quale in questo momento le pensioni dei dirigenti vengono pagate dai lavoratori dipendenti. Riteniamo che il fondo pensionistico dei giornalisti vada tutelato e pensiamo che sia assolutamente sbagliata la copertura.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Coscia. Ne ha facoltà.

MARIA COSCIA. Signor Presidente, colleghi, rappresentanti del Governo, il decreto-legge n. 185, al contrario di quanto farebbe sperare il titolo, cioè misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale, non ha il respiro strategico necessario per fronteggiare una crisi finanziaria di così vaste proporzioni e che sempre più velocemente si sta trasferendo sull'economia reale. Le misure previste sono assolutamente inadeguate alla natura e alla portata dei problemi che il nostro Paese deve affrontare, in particolare nel biennio cruciale 2009-2010.
Ci troviamo di fronte ad una sorta di terza legge finanziaria segnata da una politica economica che va in senso contrario rispetto alle ripetute dichiarazioni del Ministro Tremonti a seguito delle scelte di questa estate, cioè di aver compreso in anticipo sui tempi la gravità della crisi economica. Ciò non è vero perché la portata complessiva degli interventi è di circa 0,3-0,4 per cento del prodotto interno lordo, mentre il piano europeo di ripresa economica indicava la portata dell'intervento degli Stati membri nella misura dell'1,2 per cento del prodotto interno lordo.
L'assoluta inadeguatezza degli interventi previsti emerge con evidenza confrontando le misure approvate dal Governo italiano con le misure approvate da altri Paesi europei come la Gran Bretagna, la Francia e la Spagna.
Come hanno già sottolineato i colleghi e le colleghe che mi hanno preceduto, il Partito Democratico ha dichiarato più volte la disponibilità a dare un contributo fattivo con proposte concrete e con emendamenti che abbiamo presentato nelle Commissioni. Pensiamo che occorra un'assunzione di responsabilità da parte di tutte le forze politiche, di maggioranza e di opposizione, e di tutte le parti sociali per fronteggiare questa crisi e per determinare un clima di fiducia nella possibilità di uscirne e non compromettere, quindi, le condizioni basilari per perseguire una nuova prospettiva per una ripresa e una nuova crescita del nostro Paese.
In questa ottica, il Partito Democratico ha proposto al Governo e alla maggioranza di definire un piano coraggioso ed autorevole che, coinvolgendo il sistema Paese, riduca l'impatto negativo di questa drammatica congiuntura, imposti una strategia che difenda e rilanci le imprese ed il lavoro, dia fiducia ai lavoratori, agli imprenditori, ai risparmiatori, ai consumatori, in una parola ai cittadini.Pag. 84
La nostra proposta consiste - come è stato detto in quest'Aula dai colleghi che mi hanno preceduto, ma ancor prima della pausa festiva dal segretario Veltroni e dall'onorevole Pierluigi Bersani, come abbiamo sostenuto nel corso del dibattito nelle Commissioni riunite bilancio e finanze e come abbiamo proposto con gli emendamenti che abbiamo presentato - nell'impegnare un punto di PIL su misure immediate e temporanee. Le risorse corrispondenti ad un punto di PIL, a nostro avviso, vanno indirizzate a sostenere, anche in deroga alle normative vigenti, un piano straordinario per il 2009-2010, per la cui realizzazione è necessario, a nostro avviso, mettere a punto una manovra diversa da quella adottata dal Governo.
Il Governo, tuttavia, ha considerato impraticabile questo percorso. Noi suggeriamo, invece, di utilizzare fino in fondo, come ho affermato precedentemente, quanto consiglia di fare la Comunità europea. Ma ci si chiede: si può realizzare questo obiettivo, senza rinunciare a quello del rientro del deficit, previsto da parametri comunitari e sui quali il nostro Paese è impegnato? La nostra risposta è sì: questo risultato può essere raggiunto utilizzando tutta la flessibilità disponibile del bilancio dello Stato ed è bene, a questo fine, riflettere sia sulla riduzione delle entrate tributarie di circa 6 miliardi, che temiamo dipenda da un allentamento sulla lotta all'evasione fiscale, ma anche sull'incremento delle entrate fiscali e dell'IRPEF, ed anche, in accordo con la Commissione europea, su una flessibilità interna al patto di stabilità.
Ma il Governo non vuole perseguire questa impostazione e continua a non voler modificare i saldi della finanza pubblica, definiti in un contesto, quello della manovra economica estiva, in cui è del tutto evidente che non era stata messa in conto questa crisi così drammatica.
Con il decreto-legge n. 112 del 2008, convertito nella legge n. 133 del 2008, si è pensato ad altro: non a contenere, razionalizzare e riqualificare la spesa pubblica, come si è voluto far credere, ma a proporre una semplice quadratura dei conti, con tagli indiscriminati a settori vitali per il Paese e senza alcun progetto riformatore e innovativo, che invece poteva essere un punto di forza per affrontare questa crisi drammatica. Penso in particolare alla scuola, all'università e alla ricerca.
Sulla scuola si è proceduto ad un taglio indiscriminato di circa 8 miliardi in tre anni e ad un taglio di 130.000 posti di lavoro, che mette in discussione, da un lato, i livelli minimi di funzionalità del nostro sistema della formazione, dell'istruzione e della ricerca, e, dall'altro, colpisce soprattutto 130.000 lavoratori precari, personale docente e non docente, che da anni ha contratti di lavoro a tempo determinato e che da settembre in buona parte non avrà più un posto di lavoro. E così, alle centinaia di migliaia di lavoratori dei settori privati per i quali, ahimè, si prevedono appunto licenziamenti o messa in cassa integrazione, si aggiungono i lavoratori dei settori pubblici, con le conseguenze che possiamo immaginare sulla tenuta sociale per il Paese e sulla possibilità, per centinaia di famiglie italiane, di continuare a sopravvivere nel nostro Paese.
I settori pubblici, come appunto la scuola, l'università e la ricerca, sono strategici proprio per potere fronteggiare la crisi. Tuttavia, le scelte sciagurate dei Ministri Tremonti e Gelmini e dell'intero Governo sono andate appunto in tutt'altra direzione rispetto a quelle perseguite da altri Governi europei (penso, ad esempio, alla Francia, dove Sarkozy ha deciso di investire risorse rilevanti sulla formazione e la ricerca appunto per fronteggiare la crisi e per creare una nuova prospettiva di crescita per il suo Paese).
Nel nostro Paese si è scelta la linea che, da un lato, produce misure assolutamente inadeguate e, dall'altro, non incide efficacemente sugli sprechi della spesa pubblica e continua a dilapidare risorse pubbliche, come è accaduto con la scelta dell'abolizione totale dell'ICI e con la gestione dell'annosa vicenda dell'Alitalia.
Il Governo, invece di affrontare in modo organico ed incisivo il problema, continua a proporre decreti su decreti e a Pag. 85tenere aperta una sorta di finanziaria permanente. Si pensava e si diceva che il decreto-legge in discussione doveva essere il provvedimento decisivo ma, invece, è ancora un provvedimento parziale, non all'altezza dei problemi da affrontare.
Pur in questo quadro, il Partito Democratico non ha rinunciato ad intervenire sul merito del decreto-legge n. 185 del 2008, attraverso una serie di emendamenti che si muovevano in coerenza con le proposte del piano straordinario di cui ho parlato in precedenza.
Gli interventi che abbiamo proposto nella sede delle Commissioni parlamentari sono così articolati: sostegno al reddito per tutti i lavoratori dipendenti ed autonomi e pensionati svantaggiati, mettendo al centro la famiglia, a partire da quelle più numerose e a basso reddito, attraverso un incremento immediato degli assegni familiari e la successiva istituzione di una dote fiscale per i figli. Nel merito, ciò significa, oltre al bonus proposto dal Governo (che va riveduto nei beneficiari e corretto nei criteri di indirizzo), prevedere un incremento del 20 per cento degli assegni familiari; un successivo avvio, dal luglio prossimo, delle doti fiscali per i figli, cominciando da quelli da zero a tre anni; un aumento delle detrazioni per i lavoratori dipendenti ed i pensionati; un'estensione ai mutui a tasso fisso e agli affittuari con basso reddito delle garanzie previste solo per i mutui a tasso variabile; generalizzazione delle tutele previste per la perdita o la sospensione del lavoro a tutti i lavoratori, indipendentemente dai contratti e dalle condizioni normative.
Ciò significa avviare immediatamente la riforma degli ammortizzatori sociali, attraverso l'esercizio della delega prevista; costituire un fondo unico nel quale confluiscano tutte le risorse attualmente disponibili da utilizzare, in deroga alle attuali normative, per finanziare l'utilizzo da parte di tutti i lavoratori, sia delle indennità di licenziamento, sia dell'estensione della Cassa integrazione guadagni, nonché piani finalizzati di formazione e riqualificazione; sostegno all'impresa, sia finanziandone la liquidità, a partire da quelle medio-piccole, attraverso il pagamento degli arretrati da parte della pubblica amministrazione, sia prevedendo piani di sostegno settoriale.
In quest'ottica, proponiamo un'erogazione immediata da parte della pubblica amministrazione attraverso la Cassa depositi e prestiti di almeno 30 miliardi di euro di arretrati, il ripristino della commissione antecedente per la riscossione dei tributi, il rafforzamento dei confidi del credito di imposta e gestione flessibile del piano di stabilità degli enti locali, in particolare per quelli virtuosi. Due sono gli interventi previsti: sblocco degli oneri di ammortamento, avvio dei lavori di piccola manutenzione e, infine, reintroduzione di un ampio credito d'imposta per il Mezzogiorno.
Il Governo, nella fase dell'esame del provvedimento da parte delle Commissioni, non ha accolto questa nostra impostazione e non ha voluto modificare la propria, consentendo pochissime modifiche. Con la nostra azione, in particolare, siamo riusciti a recuperare lo sconto fiscale del 55 per cento del bonus sull'energia ecocompatibile ed è stata ripristinata la norma sul massimo scoperto. È stata, invece, mantenuta la norma dannosa che, generalizzando quanto già previsto per l'Alitalia e la costituzione della bad company, dà la possibilità a tutte le aziende di smontare l'assetto societario, svendere e comprare i rami d'azienda, senza alcuna tutela per i lavoratori. Possiamo immaginare cosa ciò possa significare nella crisi che stiamo attraversando, in termini di tranquillità e di sicurezza per centinaia di migliaia di famiglie italiane.
Come dicevo, l'impianto complessivo del decreto-legge in discussione e le misure previste, anche dopo il voto nelle Commissioni, sono, a nostro avviso, assolutamente inadeguati. Il Governo lascia solo il Paese: le famiglie, le imprese e i lavoratori sono abbandonati in uno dei momenti più difficili della storia italiana. La crisi sta crescendo a vista d'occhio e tutti i provvedimenti sono molto al di sotto delle necessità. Siamo preoccupati per Pag. 86come si affronterà il 2009: le attese sull'efficacia di questo provvedimento, per la verità, erano aumentate.
Era lecito attendersi una risposta, seppur parziale - ma ciò non è avvenuto -, dopo che vi era stato anche un confronto di merito all'interno delle Commissioni; ma il Governo non ha avuto la forza e la capacità di cambiare rotta.
Per recuperare la fiducia del Paese circa la possibilità di uscire dalla crisi continuiamo a ritenere che sia fondamentale far percepire ai cittadini un impegno forte e unitario delle istituzioni e vogliamo fare la nostra parte e fornire il nostro contributo, pur nel contesto di un decreto-legge inadeguato, e chiediamo di discutere con serietà e con rigore la crisi finanziaria ed economica. Non è venuta meno in noi la speranza di poter modificare e migliorare questo provvedimento nella discussione che continuerà a svolgersi in Aula. Si sente dire dell'intenzione del Governo di chiedere un ennesimo voto di fiducia ed espropriare il Parlamento delle proprie prerogative. Ci auguriamo che ciò non avvenga: non sono certo i tempi stretti per l'approvazione del decreto-legge che possono giustificare questa eventuale scelta del Governo. Abbiamo ridotto drasticamente il numero degli emendamenti presentati nelle Commissioni. Abbiamo presentato solo 10 proposte emendative che riteniamo, in questo contesto, particolarmente significative e che prevedono, in particolare: l'aumento del 20 per cento degli assegni familiari; l'incremento delle risorse per gli ammortizzatori sociali e la loro estensione a tutti i lavoratori con un Fondo unico; misure di sostegno alle imprese, tra cui la velocizzazione dei pagamenti della pubblica amministrazione; aiuti alle piccole e medie imprese per l'accesso al credito attraverso il potenziamento dei confidi; il ripristino del credito di imposta per la ricerca e gli investimenti al sud.
Sfidiamo, dunque, il Governo e la maggioranza a confrontarsi sul merito delle nostre proposte emendative e delle nostre proposte, a realizzare in quest'Aula un confronto aperto e serio per il bene del Paese. Ci auguriamo che non si umili di nuovo il Parlamento con un ennesimo voto di fiducia che, a questo punto, sarebbe giustificato e motivato solo da difficoltà politiche interne alla maggioranza, come, d'altra parte, è emerso in questi giorni su una serie di misure previste nel decreto-legge: penso, in particolare, all'ultima questione emersa in tutta la sua evidenza, quella riferita agli immigrati, ma non solo.
Il Governo e la maggioranza si assumono, quindi, per intero la responsabilità, se non si vuole realizzare un confronto vero, un confronto che metta in campo la responsabilità che si richiede all'insieme delle forze politiche in un momento così difficile per il nostro Paese. Per quanto ci riguarda, continueremo comunque e con grande senso di responsabilità verso il Paese la nostra battaglia nel Parlamento e a portare avanti le nostre idee e le nostre proposte, ma continueremo a farlo, oltre che nelle istituzioni, anche e soprattutto tra i cittadini, i lavoratori e le imprese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fedi. Ne ha facoltà.

MARCO FEDI. Signor Presidente, avevamo un'altra opportunità di fronte a noi, un'altra importante occasione per impostare, discutere e realizzare un provvedimento serio per affrontare la crisi economica, per sostenere davvero le famiglie, per l'occupazione e per le imprese. Governo e maggioranza non hanno saputo e voluto cogliere tale opportunità. Perdere occasioni per riforme o per provvedimenti condivisi (o, almeno, le cui finalità sono condivise) è una rinuncia preventiva agli spazi di dialogo auspicati dallo stesso Capo dello Stato.
Signor Presidente, ogni volta che in Parlamento vengono meno le opportunità di confronto e di dialogo, ogni volta che non riusciamo a pensare insieme al futuro del nostro sistema universitario e formativo - come è avvenuto la settimana scorsa - o al futuro per il lavoro, per le famiglie oppure per l'economia del Paese, ogni Pag. 87volta che ciò avviene rinunciamo al ruolo della politica, rinunciamo ad attuare riforme di sistema, quelle che garantiscono al Paese di progredire e di guardare con serenità al futuro, perché è di questo che stiamo parlando: del futuro.
È proprio questa la dimensione di cui ci dovremmo occupare in questo momento. Lo ricordo in particolare all'onorevole Cazzola: non stiamo discutendo di misure territoriali quali la carta acquisti di Modena, importante sicuramente come misura territoriale, ma stiamo discutendo di un piano strategico nazionale. Ecco perché la scelta di Governo e maggioranza non può continuare ad essere quella della scontro in Parlamento e nel Paese. Lo abbiamo visto con la finanziaria, la scuola, l'università ed ora con le misure per il sostegno di famiglie, lavoro e imprese. Quando prevale la logica dello scontro non vi sono più spazi per il dialogo. Se una maggioranza è convinta delle proprie scelte, deve avere il coraggio di confrontarsi in Parlamento e con il voto di fiducia ovviamente ciò non avviene. Quando mancano coraggio e capacità di ascolto, impegno e visione di insieme per dare continuità ed organicità alle riforme, si imbocca un percorso che è senza speranza. Quale altra lettura possiamo dare alla proposta che tende ad inserire in questo provvedimento una tariffa di 50 euro per il rinnovo del permesso di soggiorno per gli immigrati regolarmente residenti in Italia o la fideiussione di 10 mila euro per le attività imprenditoriali? Quale altra lettura, se non l'ennesimo tentativo di confondere natura e merito dei provvedimenti? Quale altra lettura, se non la continuazione della doppia azione, ovvero utilizzare la logica della paura per mascherare l'inefficacia dell'azione del Governo, utilizzare la logica delle emergenze per giustificare gli errori della maggioranza, da Alitalia alla scuola, all'università, fino alle misure sulla giustizia e ora alle misure anti-crisi. Quale altra lettura se non la nostra e del Presidente della Camera, quella cioè di una forte preoccupazione per una nuova deriva razzista? Credo sia evidente come la percezione del significato di dialogo e condivisione, richiamati dal Capo dello Stato come esigenze imprescindibili per le riforme istituzionali per la modifica della Costituzione, ma anche per il dialogo quotidiano tra maggioranza ed opposizione, sia molto diversa tra maggioranza e opposizione di oggi, tra chi continua a porre la questione di fiducia su provvedimenti che riguardano le strategie nazionali nel nostro Paese che richiederebbero invece condivisione per combattere la povertà, per favorire lo sviluppo e per sostenere i cittadini e le famiglie.
Questo decreto-legge, presentato dal Governo allo scopo di sostenere le famiglie italiane non è un esempio di buona politica poiché sceglie di procedere ancora una volta per annunci roboanti e spot propagandistici e non realizza invece il necessario e duraturo intervento di sostegno a favore delle famiglie italiane, vessate dalla crisi economica. Si prenda il bonus di 1.000 euro, un solitario intervento, profondamente assistenzialista che non darà prospettive continuative per il rilancio dell'economia italiana a partire proprio dai ceti medi e dall'esigenza di far aumentare la spesa. Lo stesso vale per la social card, la carta acquisti, una tessera prepagata per l'acquisto di servizi o per la spesa nei supermercati da 40 euro al mese riservata ad anziani e genitori con bimbi al di sotto dei tre anni, che però devono possedere un reddito ISE inferiore ai 6 mila euro annuali (8 mila per gli ultra-settantenni). Si tratta di una misura rivolta ad un bacino potenziale di un milione e 300 mila beneficiari rispetto invece ad un numero di famiglie che vedono esaurito il loro reddito alla terza settimana che arriva ad 8 milioni. Ma anche per la carta acquisti abbiamo già oggi denunce di ritardi, inefficienze, complicazioni amministrative, mancanza di chiarezza e di informazione. Anche la carta acquisti poteva essere gestita considerando la platea dei più deboli ossia dei pensionati il cui reddito e la cui condizione patrimoniale sono già noti alle pubbliche amministrazioni ed avreste, in questo modo, semplificato di molto le procedure. Pag. 88Quindi, anche rispetto a questa misura, che riteniamo sbagliata nella sua impostazione, state creando le condizioni per una sua oggettiva collocazione tra misure assistenziali. Ciò al di là dell'interpretazione che noi di questo abbiamo dato, non all'altezza quindi di una seria politica di contrasto alla povertà, che deve partire dai diritti di cittadinanza che ci appartengono perché garantiti dalla Costituzione. Signor Presidente, le alternative esistono, sono presenti nel pacchetto di proposte del Partito Democratico che abbiamo presentato e discusso in sede di Commissione.
Avremmo potuto fare interventi sulle pensioni e sui redditi, occorre lavorare in direzione di interventi strutturali che mancano in questo provvedimento. È tempo di più fondi per gli ammortizzatori sociali, per proteggere i lavoratori, soprattutto quelli precari che saranno i primi a pagare le conseguenze della crisi.
Si deve intervenire a sostegno di chi vive di stipendio perché chi non spende in questo momento non lo fa per mancanza di volontà, ma per mancanza di soldi.
Infine signor Presidente, segnalo un emendamento importante che chiede la definitiva estensione delle detrazioni per i carichi di famiglia, introdotte dal Governo Prodi, ai residenti all'estero e che auspichiamo trovi il necessario consenso tra le file della maggioranza.
Un aperto confronto in Aula, un aperto confronto su questo provvedimento ci consentirebbe di verificare, su alcuni importanti emendamenti, la reale volontà della maggioranza. Lo auspichiamo e lo chiediamo con passione politica (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Miotto. Ne ha facoltà.

ANNA MARGHERITA MIOTTO. Signor Presidente, viviamo un tempo segnato da una crisi mai conosciuta prima, come hanno detto molti colleghi, lo dicono i dati e le indagini di queste settimane, gli indicatori, ma lo denunciano anche le forze economiche e sociali. Ciascuno di noi, se è onesto, non può non riconoscere che, al di là di ipocriti richiami all'ottimismo a tutti i costi propostici quotidianamente dal Presidente del Consiglio che vuole nascondere la verità ed occultare la realtà, la crisi colpisce in modo drammatico, invece, fasce di popolazione cospicue che conoscono la cassa integrazione e talora il licenziamento.
Ciò avviene in un contesto economico che aveva già dimostrato l'urgenza di politiche che fossero adeguate per sostenere il reddito delle famiglie, in particolare pensioni e salari che sono stati falcidiati dall'inflazione e dal mancato riconoscimento del fiscal drag.
La situazione è seria: mai avevamo visto una mobilitazione così decisa persino di alcuni vescovi e di tante chiese locali che attorno ai loro pastori stanno intensificando le già essenziali iniziative che, dopo i tagli agli enti locali, oggi rischiano davvero di lasciare solo alla Caritas il compito di affrontare problemi seri che riguardano i senza fissa dimora, i senza tetto, i clochard con le cucine popolari, con i dormitori, con i servizi di lavanderia e con la distribuzione di vestiti usati e coperte.
A tutte queste iniziative ora si affiancano gli interventi per i cassintegrati, per chi perde il lavoro e per chi ne ha bisogno.
Ebbene, quanto è avvenuto nella settimana di Natale e Capodanno, che non ha precedenti nella nostra storia recente, non ha fatto venire in mente al Ministro Tremonti che la manovra predisposta dal Governo forse non era davvero calibrata sulle condizioni reali del Paese? Forse un dubbio è affiorato perché a Natale sono trapelate le notizie di una ricalibratura degli interventi. Erano circolate ipotesi di rimodulazione della manovra persino nella cosiddetta «terza Camera» da Bruno Vespa; presente il Ministro del welfare, si erano ipotizzate delle modifiche.
Tuttavia l'Epifania ha portato via tutte le feste, come dice il proverbio, e anche le intenzioni di cambiare le misure sul bonus per le famiglie, sugli ammortizzatori sociali, sul sostegno alle imprese.
Dunque il giudizio, oggi 12 gennaio, è che questa è una manovra inadeguata, Pag. 89insufficiente, certamente propagandistica, incapace di invertire il ciclo come ripetutamente da più parti, invece era stato chiesto.
Lo hanno già detto i colleghi del Partito Democratico con interventi puntuali in quest'Aula, hanno già detto molto delle proposte e delle contraddizioni che hanno contraddistinto i provvedimenti finanziari da giugno ad oggi.
Si tratta di un continuum normativo che si autoalimenta con sempre nuovi decreti: decreti-legge e decreti omnibus che spesso correggono errori precedenti. Tuttavia, c'è una linea che emerge, c'è qualcosa di strutturale; sì, c'è qualcosa di strutturale.
Avete reso strutturali i tagli, mentre i bonus sono una tantum. Avete affievolito quel poco di universalismo che vi è nell'area del sociale ma avete ampliato a dismisura la discrezionalità e la visione centralista che sottrae competenze ai comuni, agli enti locali in particolare. Avete ridotto la sfera di esercizio dei diritti e aumentato la beneficenza. Avete sbandierato le misure di semplificazione, ma esse sono «strabiche» e guardano solo agli strumenti antievasione compensate, invece, da un aggravio burocratico per i cittadini che accedono alla social card sbandierata ad ottobre e ancora drammaticamente vuota.
Sono drammaticamente diminuite le garanzie di esigibilità dei diritti ed è cancellata ogni prospettiva di introdurre livelli essenziali di assistenza mentre si impone, invece, un'estesa aleatorietà degli interventi. Il finanziamento di talune misure è condizionato alla realizzazione di economie su altre linee di spesa, che sono collegate, peraltro, ad eventi non prevedibili, spesso condizionati dalla finanza internazionale. Ma allora come si possono impostare politiche redistributive in questo modo? Con questi presupposti, quale equità si vuole perseguire e quale disuguaglianza sociale si può combattere? Ce lo ricorda in questi giorni il Presidente Ciampi con un intervento sui quotidiani.
Molti Paesi stanno approfittando di questa drammatica crisi proprio per mettere a punto misure che possano contrastare le disuguaglianze affinché, fuori dal tunnel, ci si ritrovi in una società più giusta e non più diseguale. Ma non è così da noi e facciamo un esempio, quello del bonus famiglia previsto dall'articolo 1 del decreto-legge in esame. A parte la platea dei beneficiari troppo ristretta, con l'esclusione delle partite IVA e degli autonomi, e la misura degli importi che sono tutti una tantum - bisogna ricordarlo - e talora sono addirittura incommentabili, si deve anche notare che il passaggio da una persona a due fa aumentare il bonus di 100 euro; da due a tre il bonus aumenta di 150 euro, ma da tre a quattro l'aumento è di 50 euro. Un deficit di logica che, vi debbo dire, è difficilmente spiegabile. Ma al comma 8 dell'articolo 1 si afferma che il beneficio viene erogato secondo l'ordine di presentazione delle richieste e, debbo dire, che già questo toglie la valenza del diritto a questo intervento e lo fa assomigliare più allo stato del supermercato, quando ci si reca al banco del pane e si deve ritirare il numero della fila per essere serviti. Questo è il primo gradino. Ma poi avete previsto un secondo gradino. Il beneficio sarà erogato nei limiti del monte ritenute e contributi disponibili nel mese di febbraio 2009, mentre per i dipendenti pubblici, oltre all'ordine di presentazione, le somme da compensare sono previste solo nei limiti del monte delle ritenute e, quindi, questa è una soglia più bassa dei sostituti di imposta privati, perché da questo limite mancano i contributi. E se tale limite viene superato, cosa succede? La norma non lo prevede. Il contributo non verrà erogato tempestivamente e non è, quindi, la condizione di bisogno che determina la precedenza ma un fatto burocratico o, peggio, un condizionamento finanziario. Insomma, sembra la dimostrazione che non siamo nel campo dei diritti perché la esigibilità è altamente improbabile.
Passiamo ora all'articolo 4, il cosiddetto prestito per i nuovi nati. Un nuovo nato, un prestito. Ero affezionata ad un'idea: un Pag. 90nuovo nato, una dote. Ma associare il nuovo nato ad un debito francamente è - devo ammetterlo - sorprendente.
Non è noto a chi sarà corrisposto, non è noto a quanto ammonterà, non è noto in quanti anni dovranno essere restituiti i soldi prestati, non è noto quali saranno i limiti di reddito per poter accedere al prestito. Ci troviamo di fronte alla riedizione del tormentone della social card, ma a parte l'identificazione del nuovo nato con la possibilità di contrarre un debito, ben altro sarebbe stato necessario ipotizzare. Sia chiaro: la dote fiscale per i nuovi nati potrebbe comprendere una quota di prestito da restituire nei primi anni di lavoro perché finalizzata all'avvio di una attività lavorativa, ma non può essere sostitutiva, come in effetti sarà in questo decreto-legge, del necessario adeguamento della misura degli assegni familiari.
In sede di discussione in Commissione bilancio è stato però aggiunto un comma 1-bis sul quale vorrei richiamare in particolare l'attenzione del Governo. Infatti, qui ci troviamo di fronte a un nuovo pasticcio, come ne abbiamo già visti nell'estate scorsa. Francamente, questo comma 1-bis appare in parte incomprensibile. Ovviamente la finalità è giusta, ma la stesura lascia molto a desiderare. Il Fondo del comma 1 è dotato di 25 milioni di euro e così il comma 1-bis lo integra con altri 10 milioni di euro. Si aumenta, quindi, del 40 per cento il precedente stanziamento, ma la destinazione appare vincolata ai nuovi nati affetti da malattie rare.
Mi chiedo quale congruità ci sia fra i due Fondi, visto che i nuovi nati sono 500 mila l'anno, mentre gli affetti da patologie rare sono stimati sull'ordine di qualche centinaio l'anno. Peraltro, le terapie in questi casi sono limitatissime mentre, poiché sono malattie spesso congenite e hanno natura cronica, nella maggior parte dei casi sono fonte di grave disabilità. Allora, perché limitare il Fondo al 2009 quando nel comma 1 dell'articolo 4 per tutti i nuovi nati il Fondo ha validità triennale? Perché in questo caso limitarlo al 2009?
In secondo luogo, questi nati evidentemente si ritengono esclusi dal comma 1, ma devo dire che allora sarebbe stato più utile fare un Fondo unico con un importo più elevato, prevedendo nel decreto ministeriale, la cui emanazione è prevista dal comma 1, che dovrà fissare criteri e modalità di organizzazione e di funzionamento del Fondo, una specifica riserva di fondi per questi casi.
Non crede, signor sottosegretario, che sarebbe stato utile allora estendere queste misure anche ai nuovi nati colpiti da disabilità, atteso che gli effetti delle patologie rare, ahimè, spesso sono fonte di grave disabilità se non diagnosticate in tempo? E come introdurre una differenziazione tra l'una tipologia e l'altra? Peraltro, faccio notare che il finanziamento di queste misure è stato fronteggiato saccheggiando il Fondo per le politiche familiari. Era un Fondo creato nel 2006, con la legge finanziaria per il 2007 per dare avvio nel nostro Paese ad una politica di sostegno alle famiglie con servizi, innanzitutto, e che ha subito già a luglio una riduzione grave, con i tagli lineari del decreto-legge n. 112 del 2008, poi con la legge finanziaria per il 2009, ed ora con 35 milioni che vengono dirottati sul prestito per i nuovi nati. Ho l'impressione che in verità, poiché questo Fondo è destinato a finanziare le fideiussioni, sia stato un comodo modo per saccheggiare il Fondo per la famiglia.
Questo è molto grave, viste le affermazioni che spesso si fanno a proposito della famiglia. Però poiché sono venuti meno tutti questi fondi sul Fondo famiglia, occorre precisare che cosa sarà tagliato. Saranno tagliate le misure di conciliazione famiglia-lavoro, saranno tagliati gli asili nido? Debbo dire che sono già stati azzerati il finanziamento per la formazione delle badanti, dei consultori familiari e delle famiglie numerose per le agevolazioni tariffarie. Non restano che questi due ulteriori livelli di spesa: conciliazione e asili nido. Anche questo è un intervento non commentabile, per questioni di decenza.Pag. 91
È vero, delle politiche a sostegno della famiglia è rimasta per voi da sventolare la bandiera dei titoli dei decreti-legge, ma misure concrete nessuna, anzi una clamorosa inversione di rotta rispetto al biennio precedente, che anche avevate criticato per l'esiguità delle risorse destinate. Avevate ragione quando criticavate per questo motivo, sennonché ora cadete in una contraddizione plateale. In quelle misure però erano indicati interventi con precisione strutturali concreti, linee di orientamento per politiche a sostegno della famiglia, che potevano aggredire i ritardi accumulati nel nostro Paese nel campo delle politiche sociali, rispetto ad altri paesi europei. Voglio ricordare che ben 3 miliardi e mezzo di euro per la legge finanziaria per il 2007 avevano avviato una politica redistributiva che, combinando un nuovo profilo di aliquote IRPEF oltre agli assegni familiari, avevano aiutato concretamente le famiglie fino a 40 mila euro di reddito. Ora a malapena ci si ferma a 22 mila euro, con quattro figli. Ogni confronto fa impallidire per la sproporzione fra il livello di opposizione che avete fatto due anni fa e la responsabile opposizione che stiamo conducendo noi del Partito Democratico in questa circostanza.
Voglio aggiungere ancora due cose a proposito dell'articolo 4. Ci sono norme in questo decreto-legge che sono lo specchio del fatto che il provvedimento ha fallito l'obiettivo - se mai lo ha voluto perseguire - di dare un contributo anticiclico e fra le altre una l'avete corretta (all'articolo 29, l'eco-bonus del 55 per cento), ma non si comprende perché vi siate accaniti sui giovani che svolgono il servizio civile. Dal 1o gennaio 2009 l'obbligo contributivo per il servizio civile a carico del Fondo nazionale del servizio civile cessa e ciascun volontario dovrà pagarsi i contributi. Con la manovra di luglio avete ridotto il Fondo a disposizione di oltre 40 per cento e ora per i volontari che assumono un impegno di 1.400 ore in ambiti importanti - svolgono servizi insostituibili in progetti che riguardano i servizi sociali, la protezione civile, presso associazioni ambientali, nella tutela del patrimonio artistico e culturale del nostro Paese, nel servizio civile all'estero - il trattamento economico è di poco superiore a 400 euro mensili.
È troppo secondo questo Governo? Sicuramente è troppo, perché se dopo i tagli che provocheranno la riduzione del numero dei volontari da inserire nei progetti si indurrà anche la decimazione dei volontari attraverso l'imposizione del pagamento dei contributi su questo misero compenso, è evidente che si dà un segnale al Paese (e alle giovani generazioni in particolare) che è inquietante. È come se si dicesse: «Cari ragazzi, la vostra generosità e il vostro spirito solidaristico non sono importanti in un momento di crisi come quella che stiamo attraversando».
Se c'è un modo per rappresentare questo insieme di misure, che nel loro complesso appaiono inadeguate per fronteggiare la difficoltà del momento, l'accanimento sui volontari del servizio civile nazionale dimostra l'incapacità di guardare alle energie vitali delle quali, invece, ci sarebbe bisogno per una ripresa, che non può essere solo economica, nella nostra comunità nazionale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 1972-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore per la V Commissione Bilancio, onorevole Corsaro, e il relatore per la VI Commissione Finanze, onorevole Bernardo, rinunziano alla replica.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

LUIGI CASERO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, il Governo ha ascoltato con interesse tutto il dibattito e anche molti degli interventi nelle Commissioni e farà propria una serie di proposte che sono state presentate; non nell'immediato, ma per il Pag. 92futuro, terrà conto di alcune proposte che sono state avanzate. In ogni caso, il Governo rinuncia a replicare in modo compiuto.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 13 gennaio 2009, alle 15:

Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, recante misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico nazionale (1972-A).
- Relatori: Corsaro, per la V Commissione e Bernardo, per la VI Commissione.

La seduta termina alle 22,35.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO ELVIRA SAVINO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 1972-A

ELVIRA SAVINO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, Credo che dall'inizio della legislatura ad oggi, l'opposizione non abbia mai concentrato un tale distillato di contraddizioni contro un provvedimento governativo. Ci troviamo infatti dinanzi una situazione quasi surreale che vede i nostri avversari politici criticare scompostamente ogni singola misura contenuta nel decreto-legge in esame ed argomentare di volta in volta le proprie posizioni con tesi e antitesi senza peraltro mai giungere ad una autentica sintesi.
Durante la serrata discussione nelle Commissioni riunite bilancio e finanze, gli esponenti dell'opposizione non si sono infatti limitati a dichiarazioni di insoddisfazione: i loro interventi sono stati nel complesso volti a snobbare l'impegno profuso dal Governo, nelle persone dei sottosegretari Casero, Giorgetti e Viespoli, nonché dai relatori Corsaro e Bernardo, per migliorare l'impianto del decreto-legge in esame. Molte questioni scottanti in realtà sono state affrontate grazie alla linea dialogante del Governo, in particolare mi riferisco agli ulteriori interventi in materia di assegni per le famiglie numerose (vedasi l'emendamento dei relatori 2.54) e di ulteriori agevolazioni per i mutui; ancora l'emendamento che introduce la nullità della clausola di massimo scoperto sui conti correnti e quello che prevede l'ampliamento dell'operatività dell'aeroporto di Malpensa. Esecutivo e maggioranza si sono dunque posti l'obiettivo ambizioso di rafforzare i contenuti del decreto-legge n. 185 attraverso un esame puntuale delle numerosissime proposte emendative (inizialmente ben 800) e sub-emendative e la loro volontà di dare risposta anche a questioni di grande rilevanza.
Quanto ad un possibile ricorso al voto di fiducia sono certa che in ogni caso l'Esecutivo terrà conto delle deliberazioni assunte dalle Commissioni nel corso di un lavoro particolarmente articolato. Al riguardo, rilevo che generalmente il Governo ha sempre dimostrato un atteggiamento rispettoso dei lavori parlamentari e lo ha fatto anche in passato, per esempio in riferimento al decreto-legge n. 112.
Il Ministro Tremonti, in un passato neanche troppo remoto, è stato sistematicamente fatto bersaglio di furiose critiche per il suo presunto eccesso di creatività nelle questioni di finanza pubblica. Oggi che il decreto-legge n. 185 mette in atto un approccio rigoroso, gli viene contestata la critica di segno inverso, cioè di applicare l'ortodossia contabile. Come si fa a Pag. 93star dietro ad una polemica tanto assurda e partigiana? Vorrei sottolineare che l'ex premier britannico Tony Blair, e non si tratta di un caso di omonimia, si riferiva proprio al nostro Giulio Tremonti, in occasione del Forum tenutosi a Parigi lo scorso 8 gennaio, lo ha definito «il ministro dell'economia più colto d'Europa». La verità è che l'opposizione fatica a digerire il fatto che le scelte di politica economica del nostro Governo hanno dettato la linea della via di uscita dalla crisi, anticipando gli altri paesi europei e ricevendo univoci riconoscimenti a livello internazionale.
Vorrei ricordare che a metà degli anni Novanta, l'Italia ha vissuto una drammatica transizione istituzionale ed economica: il nostro Paese era appena uscito dalla prima fase di emergenza finanziaria, nella quale rischiammo la bancarotta di Stato, ed entrava nella seconda: quella della correzione dei conti pubblici, propedeutica all'ingresso nell'euro. In quella fase il nostro Paese ebbe la fortuna di avere al vertice delle istituzioni Carlo Azeglio Ciampi. E qui torniamo al punto politico che ci avvicina ai nostri giorni. Non è un caso che l'allora ministro Ciampi parlò per la prima volta della necessità di anticipare la finanziaria del 1999, stilando una scaletta di impegni ed esortando al costante rispetto degli obiettivi raggiunti e alla progressiva conquista del parametro mancante, cioè quello del rapporto deficit-PIL sotto il 3 per cento. Da allora, si sono succedute molte vicende e ben sette governi, così come molte polemiche pro e contro le politiche fiscali e di bilancio.
Alla luce di quanto appena ricordato, è lecito domandarsi perché per l'opposizione il rigore finanziario era valido e condivisibile negli anni Novanta e non lo è anche oggi, quando viviamo una situazione altrettanto difficile? Come allora, la zavorra che pesa sulle spalle dell'Italia è un gigantesco debito pubblico che da solo costituisce il 20 per cento del debito europeo e rappresenta il terzo debito pubblico del mondo. Come negli anni Novanta, neanche oggi possiamo permetterci la disinvoltura degli altri partners europei, che dispongono di deficit molto inferiori al nostro. Del resto, lo stesso Presidente della BCE Trichet ha più volte ammonito i Paesi dell'area euro che hanno elevati debiti pubblici, come appunto l'Italia, ad un puntuale rispetto del Patto di stabilità e di crescita.
Dunque, i conti della Repubblica Italiana non danno al Governo sufficienti spazi per operare senza sfondare «le colonne d'Ercole» dei parametri di Maastricht.
In questo preciso momento, aumentare in modo disinvolto la spesa pubblica ed agire da subito sulla leva fiscale costituirebbe un'imprudenza. Ma Maastricht è solo un falso problema: il vero parametro da rispettare come dicevo è lo schiacciante debito della Repubblica Italiana. Se sforassimo questo parametro, avremmo una classificazione peggiore del nostro debito da parte delle agenzie di rating con la diretta conseguenza di interessi più alti da pagare che finirebbero per allargare lo spread tra i tassi di interesse dei buoni del tesoro italiani e quello dei loro equivalenti tedeschi, senza contare che per gli investitori internazionali il nostro debito diventerebbe inaffidabile. Con queste premesse, appare evidente che nel nostro Paese la generosità debba necessariamente camminare di pari passo con il rigore contabile ed aggiungo anche etico, come ha sollecitato il Ministro Tremonti in occasione del suo intervento al Forum di Parigi richiamato poc'anzi.
Se l'Italia non correrà pericoli di default sarà proprio perché l'Esecutivo è riuscito a predisporre un organico pacchetto di misure rigorose che hanno garantito il mantenimento della credibilità e della stabilità del nostro sistema a cominciare dalla legge finanziaria triennale anticipata all'estate, per finire con il provvedimento al nostro esame. L'impianto normativo del decreto anti-crisi si compone infatti di strumenti tecnici adeguati e pertinenti; di misure di respiro immediato così come di lungo periodo, di interventi equilibrati e coerenti con il precedente decreto-legge n. 155 ulteriormente perfezionati Pag. 94grazie al lavoro di Commissione. Il Governo ha messo in campo provvedimenti sia di spesa infrastrutturale (articoli 18, 20, 21, 22, 23, 25 e 26), sia di sostegno dei redditi delle famiglie ed in favore delle imprese (articoli 1, 2, 3 e 4), sia per facilitare l'erogazione del credito (articoli 11, 12, 13 e 14), sia infine attinenti gli ammortizzatori sociali, di previdenza e pubblico impiego (articolo 4 commi da 2 a 5 e articoli 19, 33 e 34). La verità è che l'Esecutivo si sta muovendo come un equilibrista, se noi abbandonassimo la prudenza finiremmo per compromettere questo precario equilibrio, scivolando lungo un crinale pericolosissimo per la tenuta dei conti pubblici e per il sistema Italia.
Quanto al taglio del costo del denaro, credo che i mercati siano rimasti piacevolmente sorpresi dalla decisione della BCE di tagliare i tassi di 75 basis point, portando gli interessi dal 3,25 al 2,50 per cento. Un vero e proprio atto di coraggio di Trichet che è riuscito a dare una qualche vitalità alle borse del vecchio Continente. Ciononostante, l'Europa si trova ancora abbastanza imbalsamata da un costo del denaro troppo alto.
Piaccia o non piaccia oggi spetterebbe proprio alla BCE prendere in ogni caso ancora maggiore coraggio e gettare sul bilancio della crisi il peso di un taglio superiore del costo del denaro. Questo si aspettano i mercati e l'economia e questo suggerisce il buon senso. Detto ciò, anche se l'Istituto di Francoforte ha abbassato al 2,50 per cento il tasso di sconto, le banche italiane non trasferiranno immediatamente questo taglio sulle rate dei mutui correnti e questo perché esse non applicano il tasso di sconto della BCE, ma quello (superiore) Euribor, fissato dalle banche europee. Da questo punto di vista, appare pertanto particolarmente rilevante la norma del pacchetto anti-crisi (articolo 2, comma 1) che prevede non solo l'accollo da parte dello Stato dell'eventuale eccedenza rispetto al tasso variabile del 4 per cento sui mutui per le prime case, ma anche l'ancoraggio, a partire dal 1o gennaio 2009, dello stesso tasso di sconto non più al parametro Euribor ma al tasso BCE, aggirando in tal modo il problema dello spread a carico dei mutuatari. La rilevanza del problema ha posto la questione all'attenzione dei relatori (vedasi emendamenti 2.52 e 2.062).
A fronte della solidità degli argomenti sin ora enucleati, l'opposizione in Commissione ha contrapposto una serie di argomentazioni ideologiche ed incoerenti, come il fatto che il decreto-legge n. 185 non sarebbe altro che un insieme di misure spot prive di contenuto, aggiungendo però che conterrebbe incursioni di tipo dirigista, proprio come la norma sull'ancoraggio dei mutui immobiliari a cui accennavo poco fa. Un'altra accusa di interventismo pubblico è stata rivolta alla disposizione che prevede per le banche l'obbligo di trattare con il Tesoro per le erogazioni del credito alla micro-media impresa, qualora le stesse banche sottoscrivano bond statali (articolo 12). Quanto alla disposizione che assegna alle Prefetture il compito di verificare che i soldi finiscano per davvero al ciclo economico e non rimangano invece nelle casse degli istituti di credito (articolo 12, comma 6) è stata accusata di autoritarismo.
Al contrario, credo che quest'ultima norma rappresenti un passaggio di grande fondamento civile e morale con il quale il Governo si autoimpegna a riferire in Parlamento sulla sottoscrizione pubblica di obbligazioni bancarie e sollecita le stesse banche ad adottare un codice etico in materia di politiche interne e anche di remunerazione dei vertici aziendali. Trasparenza, controllo ed eticità sono i tre cardini che ruotano attorno agli strumenti bancari sottoscritti dal Tesoro per sostenere la ripresa del ciclo produttivo.
Ancora, il blocco e la riduzione delle tariffe ferroviarie (importante misura a sostegno dei pendolari), delle tariffe elettriche ed autostradali (articolo 3) viene strumentalmente presentato come un ritorno al vecchio sistema dei prezzi amministrativi. Stessa osservazione viene fatta a proposito del congelamento del canone RAI. Ma la questione centrale per il Governo è bloccare gli automatismi tariffari per salvaguardare le tasche dei cittadini e Pag. 95delle imprese; obiettivo che viene perseguito anche attraverso il rafforzamento della trasparenza. Non è una circostanza casuale che il decreto-legge n. 185 implementi il ruolo delle Authority e che in una serie di settori strategici come l'energia introduca un meccanismo di mercato. Su questo punto, l'emendamento dei relatori (emendamento 3.108) ha ulteriormente migliorato la norma a favore di efficienza e competitività.
Dunque non è certo per nostalgia del passato che il Governo ha sospeso le norme che obbligano ad adeguare i diritti, i contributi e le tariffe all'inflazione. Trovo sorprendente che una forza di sinistra che proclama di ispirarsi alla solidarietà sociale non comprenda la portata economica di queste misure!
Ma le incongruenze dell'opposizione emergono costantemente perché fa fatica ancora ad affrancarsi dal problema della spersonalizzazione del dissenso e della polemica politica. In questo senso, non posso fare a meno di rilevare che a fianco di dichiarazioni francamente sconcertanti (onorevoli Vannucci e Marchi - PD) secondo le quali le misure contenute nel pacchetto anti-crisi sarebbero addirittura controproducenti e procicliche, il cuore delle argomentazioni della nostra controparte si è essenzialmente incentrato sul cosiddetto «benaltrismo», ovvero: se il bonus straordinario per famiglie, pensionati e non autosufficienti (articolo 1) è un aiuto concreto, c'era però ben altro che si poteva fare; se l'ampliamento del fondo degli ammortizzatori sociali per i lavoratori para-subordinati (articolo 19) è senz'altro apprezzabile, c'era però ben altro che si doveva fare; se l'istituzione del Fondo di credito per i nuovi nati pari a 25 mln di euro per ciascuno degli anni 2009, 2010 e 2011 (articolo 4) è di pregevole senso etico, tuttavia c'era ancora una volta ben altro che si poteva fare.
Quando poi la sinistra esaurisce la vena del «benaltrismo», ricorre allo slogan del «ma anche». E allora riconosce che certe misure del pacchetto anti-crisi vanno nella giusta direzione, ma anche che sono tardive.
Che diversi interventi sono apprezzabili, ma anche che sono insufficienti.
Che molte norme sono di pregevole senso etico ma anche che sono inadeguate.
Come si vede, qualunque cosa faccia il Governo Berlusconi, si continua ad accusarlo di tutto e del suo esatto contrario!
La verità è che gli emendamenti che hanno trasformato l'IVA di cassa (articolo 7) in misura strutturale e non più limitata a tre anni, il potenziamento finanziario per i confidi con la garanzia dello Stato, la possibilità per gli imprenditori di scontare presso le banche i crediti vantati nei confronti della pubblica amministrazione, la riduzione dell'acconto IRES ed IRAP per le imprese (articolo 10), la detassazione dei premi di produttività (articolo 10) e così via hanno il grande merito di dare capacità di spesa immediata e rimettere in circolazione liquidità; e sappiamo tutti quanto essa sia fondamentale in un ciclo recessivo e deflattivo. La stessa questione della salvaguardia dei redditi costituisce l'epicentro del pacchetto anti-crisi. Garantire innanzi tutto lo stipendio o il salario dei lavoratori diventa un passaggio dirimente, senza il quale crollerebbe il suo intero impianto normativo. Il potenziamento e l'estensione degli ammortizzatori sociali in deroga ai lavoratori precari e la conseguente nascita di una, seppur incipiente, mini Cig - cassa integrazione generale - (articolo 19) nasce proprio da questa preoccupazione del Governo. Tale estensione costituisce un provvedimento strutturale, lontano anni luce dalle presupposte misure-tampone di cui ci accusa l'opposizione. L'intervento sugli ammortizzatori sociali che crescono in questo modo fino a 1,2 mld (l'incremento stanziato è pari a 600 mln) avvia quel tanto evocato e mai compiuto completamento della legge Biagi. Segnalo che gli emendamenti dei relatori (emendamenti 19.92 e 19.029) hanno ulteriormente allargato la platea dei beneficiari delle risorse relative agli ammortizzatori sociali.
Per la prima volta in questo paese si afferma per legge il principio che la tutela del lavoratore che perde il posto va riconosciuta anche al parasubordinato. Aggiungo Pag. 96che si tratta di un intervento ancora più apprezzabile se si considera che una buona parte di questi lavoratori precari sono donne e giovani e che saranno purtroppo i primi a pagare le conseguenze della recessione.
Discorso a parte va fatto sulle coperture finanziarie del decreto-legge n. 185. Su questo punto, una delle contestazioni ricorrenti dell'opposizione è che nel bilancio statale ci sarebbero state risorse disponibili alle quali il Governo non avrebbe voluto attingere. Vorrei far notare che, se è vero che da una parte ci sono 5-6 mld di interessi risparmiati grazie al minor rendimento corrisposto dal Tesoro sui titoli di Stato, è anche vero che nei primi mesi dell'anno si è registrato un negativo andamento delle entrate tributarie (proprio per il rallentamento ciclico dell'economia), oltre al dimezzamento delle entrate in termini di accise ed IVA dovuto al crollo del prezzo del greggio.
Un breve cenno merita tuttavia il segnale positivo circa le riscossioni da accertamento fiscale. Su questo fronte, il Governo continuerà ad impegnarsi tanto nella lotta all'evasione, quanto per favorire la semplificazione degli adempimenti contabili che eviteranno di sottoporre le aziende alla mortificazione di procedure burocratiche, persecutorie ed onerose come è accaduto nel recente passato.
Detto questo, un approfondimento particolare merita la norma (articolo 22 ) del decreto-legge in esame che autorizza la Cassa depositi e prestiti ad utilizzare per operazioni bancarie il risparmio postale: circa 100 mila mld di preziosa liquidità. Si tratta di una innovazione radicale che consentirà d'ora in avanti alla CDP di effettuare direttamente e sotto la propria responsabilità finanziaria prestiti per infrastrutture segnalate dagli enti locali. La CDP aprirà una sua gestione speciale per un importo per ora limitato a 30 mld, le operazioni saranno controllate dal Tesoro e non passeranno per le lungaggini burocratiche della pubblica amministrazione, con la conseguenza di imprimere una spinta propulsiva alla movimentazione di risorse fresche di danaro, fungendo da volano per nuovi contratti di lavoro. Credo che questa operazione rappresenti una importantissima innovazione in linea coi tempi che potrà dare anche nuovo impulso ai consumi.
Ma la questione della salvaguardia dei redditi, a cui accennavo prima, è una questione che viene da molto lontano e che non nasce con la crisi attuale. Così come la contrazione dei consumi è un fenomeno più complesso di ciò che appare.
Un aspetto che va messo in evidenza è che non sempre l'astinenza da consumo è data da mancanza di liquidità. C'è una consistente fascia sociale che non ha subìto particolari contrazioni del proprio reddito da lavoro, ma che nonostante ciò ha ridimensionato i propri consumi. Ciò accade perché in economia e in finanza la componente psicologica ha un peso specifico schiacciante. C'è un certo panico riguardo al futuro, una spiccata preoccupazione di non riuscire a mantenere lo stesso tenore di vita. Secondo il Rapporto 2008 del Censis quasi il 72 per cento degli italiani pensa che nei prossimi mesi la propria vita peggiorerà. Ecco anche perché in proporzione è aumentata la quota accantonata per il risparmio ed è diminuita quella per i consumi. Oggi ci troviamo di fronte ad una crisi deflattiva con molti prezzi e tariffe che diminuiscono o diminuiranno a breve, ci dovrebbero essere dunque maggiori occasioni per spendere di più; cosa che invece non accade. Ciò conferma che in molti casi la contrazione dei consumi è solo una questione psicologica.
Per questo il decreto-legge n. 185 ha inteso puntare in conclusione su quattro specifici obiettivi, vale a dire: credito, famiglie, piccola-media impresa ed infrastrutture. Questi costituiscono i circuiti economici da cui il Governo intende ripartire per far rialzare le vele in senso anti-ciclico. In questo sforzo, il «pessimismo cosmico» non serve a nessuno, al contrario, dal tunnel si potrà uscire anche grazie a coraggio e positività. E a questo Paese, di coraggio e di positività ne occorrerà molta poiché abbiamo qualche Pag. 97cartuccia in meno rispetto ai nostri partners europei, sia a causa di uno schiacciante debito pubblico, sia a causa di un cronico divario nord-sud, di un gap nelle infrastrutture, nella pubblica amministrazione e nella giustizia, come ha peraltro rilevato il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in occasione del messaggio augurale di fine anno.
Allora, in questa fase, la comunicazione politica diventa essa stessa una variabile economica e in quanto tale gioca un ruolo significativo. Se c'è un atteggiamento da evitare, quello è il panico dei governanti. Panico, paura, pessimismo universale finiscono per bloccare ulteriormente la domanda di consumo e di investimenti. Anzi: parlare di crisi genera crisi. Parlare di sfiducia genera sfiducia. Gli appelli del Presidente del Consiglio che spronano le famiglie a cercare di essere il più possibile coerenti con le proprie abitudini di consumo e ad evitare che la paura diventi la nuova sovrana delle loro vite non hanno nulla a che fare con il paternalismo, ma sono frutto della conoscenza dei meccanismi del mercato. Il Presidente Berlusconi non ha mai parlato di consumare di più, ma di farlo in modo consapevole, attenti al prezzo, come alla qualità; in una parola: di consumare con impegno.
Possiamo scegliere di non usare il termine ottimismo, resta comunque il fatto che il terremoto finanziario che si è scatenato ci sfida psicologicamente, umanamente e culturalmente e anche con le stesse armi psicologiche, umane e culturali dovremo affrontarlo.
Maggioranza e opposizione, sebbene ognuna nel proprio ruolo e diverso ambito di responsabilità, dovrebbero lavorare insieme in un regime democratico fisiologico. È evidente che il ruolo istituzionale del Governo impone a quest'ultimo la scelta politica finale e talvolta, come nel caso del pacchetto anti-crisi, la scelta non può correre il rischio né di essere diluita nel tempo, né di esserlo nel merito.
In questo particolare momento storico la classe politica dovrebbe essere abbastanza adulta per convincere il Paese ad evitare la tentazione di cullarsi nel galleggiamento e nella protezione dei propri personali orticelli. La crisi viene vissuta a livello personale, ciascuno agisce da sé cercando di consumare meno o di risparmiare qualcosa. Ma non è quella la soluzione! Fino a poco tempo fa, immersa nei guai, l'Italia tirava fuori il meglio del suo carattere. Ora questo rischia di non succedere più ed è proprio su tale aspetto che si concentrano le preoccupazioni e le azioni del Governo ed i reiterati appelli del Presidente del Consiglio all'unità e alla fiducia.
Se è vero che sull'anno appena cominciato si allungano molte ombre, emergono tuttavia anche delle luci: c'è infatti una parte del Paese che reagisce. Molte aziende hanno migliorato l'export verso i paesi emergenti; negli ultimi anni siamo riusciti a ristrutturare l'industria manifatturiera; le donne stanno avanzando conquistando spazi nella società e portando nei sistemi del potere la loro maggiore elasticità mentale. C'è un maggiore movimento che lega città e provincia, c'è una maggiore consapevolezza dei consumi e della dimensione culturale e collettiva verso cui possono essere indirizzati. La rivoluzione digitale ha già cambiato una parte del Paese. Che piaccia o no stiamo diventando una società multiculturale, anche per questo ogni eventuale tassazione aggiuntiva gravante sulla intrapresa di cittadini stranieri si trasformerebbe in un boomerang per la nostra economia, visto che è del 9,2 per cento il loro contributo al PIL nazionale.
Sono tutti piccoli segnali di movimento che se raccolti e ben orientati potranno portarci alla necessaria metamorfosi cui questo Paese dovrà avviarsi per ritrovare la sua spinta vitale. Perché questa volta non sarà solo la protezione della storica identità italiana a tirarci fuori dai guai, questa volta non basterà solo la cultura del «borgo» e del «distretto».
Con il decreto-legge n. 185 il Governo guarda in faccia la realtà, dimostrando di avere la giusta generosità ed il necessario rigore contabile ed etico con cui pianificare il futuro, prova ne è la determinazione a non voler sforare il Patto di Pag. 98stabilità e crescita, perché se lo facesse finirebbe per bruciare il futuro delle prossime generazioni, ingannandole esattamente come le ha ingannate la classe politica degli anni Settanta e Ottanta.
Concludo il mio intervento con un augurio per l'anno appena cominciato rivolto agli italiani e a noi stessi e cioè di riuscire a ritrovare quella dimensione collettiva e politica dei problemi che negli ultimi tempi sembriamo aver smarrito, nella ferma convinzione che ciò che ci definisce e ci distingue è il modo in cui ci risolleviamo dopo una caduta.