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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 104 di lunedì 15 dicembre 2008

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE

La seduta comincia alle 19.

EMILIA GRAZIA DE BIASI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 10 dicembre 2008.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Alessandri, Angelino Alfano, Berlusconi, Bocchino, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brancher, Brunetta, Buonfiglio, Carfagna, Casero, Cicchitto, Colucci, Cosentino, Cossiga, Cota, Craxi, Crimi, Crosetto, Donadi, Fitto, Frattini, Gibelli, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, Guzzanti, Lupi, Malgieri, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Menia, Micciché, Palumbo, Prestigiacomo, Rigoni, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Soro, Stefani, Tremonti, Urso, Vegas, Vernetti, Vitali e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantatré, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del disegno di legge: S. 1197 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180, recante disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca (Approvato dal Senato) (A.C. 1966) (ore 19,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180, recante disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1966)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la VII Commissione (Cultura) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Caldoro, ha facoltà di svolgere la relazione.

STEFANO CALDORO, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, iniziamo la discussione sulle linee generali di un provvedimento che riguarda la valorizzazione della qualità e del merito del sistema universitario e, in particolare, il diritto allo studio. Si è deciso di intervenire con lo strumento della decretazione d'urgenza, in particolare, solo su alcuni aspetti che richiedevano misure immediate o perché Pag. 2esse erano da lungo tempo attese o perché era necessario intervenire, per motivi anche tecnici.
Il provvedimento si è arricchito grazie al confronto nel corso dell'iter al Senato: in particolare, è stato svolto un lavoro importante in Commissione, che ha visto il concorso di tutti i gruppi parlamentari, sia di maggioranza che di opposizione. È evidente che il testo non contiene una riforma organica del sistema universitario: non per altro insieme al decreto-legge in esame è stato anche varato dal Governo un provvedimento sulle linee guida, che affronteranno i temi della governance, della valutazione e del reclutamento a regime.
Elenco molto sinteticamente le questioni più urgenti, rinviando per il resto al testo integrale del mio intervento, che chiederò di pubblicare in calce al resoconto stenografico. L'articolo 1 reca disposizioni sul reclutamento, l'articolo 1-bis disposizioni sulla chiamata diretta, l'articolo 2 disposizioni sulla qualità del sistema universitario, l'articolo 3 disposizioni per il diritto allo studio, l'articolo 3-bis l'anagrafe nazionale, l'articolo 3-ter disposizioni sulla valutazione dell'attività di ricerca, l'articolo 3-quater disposizioni sulla pubblicità dell'attività di ricerca, l'articolo 3-quinquies gli interventi sugli ordinamenti didattici delle istituzioni di alta formazione artistica e musicale (AFAM).
In particolare, farò riferimento soltanto a qualche norma. I commi 1 e 2 dell'articolo 1 pongono il divieto di indire procedure concorsuali per le università che hanno superato il 90 per cento del Fondo per il finanziamento ordinario con riferimento alle spese per il personale. Nel corso dell'iter al Senato sono state previste alcune deroghe che riguardano vecchi dispositivi di legge che sono stati prorogati, in particolare per non conteggiare sostanzialmente nel 90 per cento gli aumenti stipendiali (gli scatti stipendiali biennali) e una parte delle spese che riguardano il personale impegnato nell'assistenza sanitaria.
Il comma 3 dell'articolo 1 aumenta i limiti posti dal decreto-legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008, recante la manovra economica, previsti per quanto riguarda il turnover (dal 20 per cento si passa al 50 per cento), stabilendo, anche in questo caso, previsioni e griglie sulle assunzioni che richiamano una quota non inferiore al 60 per cento per quanto riguarda il reclutamento dei ricercatori e una quota non superiore al 10 per cento per quanto riguarda i professori di prima fascia, ossia i professori ordinari. Il restante 30 per cento riguarda evidentemente i professori di seconda fascia.
Per quanto riguarda i ricercatori, vale per quelli che verranno chiamati a tempo indeterminato ed a tempo determinato, in particolare per i contrattisti previsti dalla legge n. 230 del 2005. Il parametro diviene la spesa e non più le unità cessate. Da questo punto di vista, vi è un recupero importante di risorse nel sistema, circa 25 milioni di euro per quanto riguarda il 2009, 71 milioni per il 2010, 118 milioni per il 2011e 140 milioni per il 2012.
Nel comma 4 si modificano le procedure per quanto riguarda il reclutamento, con un sistema sostanzialmente misto tra elezione e sorteggio per sessione, con un numero pari al triplo dei componenti da nominare. Se esaminiamo anche le tabelle allegate, verifichiamo che questa è una soluzione temporanea e provvisoria, che vale solamente e sostanzialmente per due sole sessioni, la prima e la seconda sessione 2008 per circa 4.000 idonei e 2.500-3.000 posti di ricercatore. È evidente la necessità di intervenire, tenendo conto anche della differenza tra la prima e la seconda sessione. In particolare, nella prima sessione era prevista la chiamata di posti con due idonei, con copertura di circa il 95 per cento delle chiamate, a fronte del solo 5 per cento per la seconda sessione. Il Senato è intervenuto prevedendo una commissione nazionale che sovrintenda a questo sistema misto di elezioni e sorteggio.
Il comma 7 prevede la valutazione comparativa, per quanto riguarda il reclutamento dei ricercatori, basata sui titoli e sulle pubblicazioni. Quindi, viene eliminata Pag. 3di fatto la previsione dell'esame orale e si procede solamente alla valutazione dei titoli e delle pubblicazioni. Il nuovo sistema vale per tutti quei concorsi per i quali non sono ancora state avviate le procedure (per l'avvio delle procedure già avviate si fa riferimento alla nomina delle commissioni). Il comma 8-ter, inserito dal Senato, prevede un nuovo termine di scadenza per la presentazione delle domande, lasciando alle università la possibilità di fissarlo. Il comma 9 modifica la legge n. 133 del 2008, prevedendo l'esclusione degli enti di ricerca dalla riduzione del 10 per cento del personale non dirigenziale.
L'articolo 1-bis prevede ulteriori modifiche alla legge n. 230 del 2005 per quanto riguarda le chiamate dirette. Sostanzialmente si riprende il testo della legge n. 230 del 2005, togliendo alcuni limiti, in particolare quello del 10 per cento dei posti complessivamente previsti. Vi è l'estensione ai ricercatori e non figurano in maniera esplicita le previsioni di bilancio di copertura dei posti da parte dell'ateneo.
L'articolo 2 prevede misure per la valutazione del sistema universitario. Si prevede di accantonare una quota del 7 per cento del FFO, da assegnare agli atenei sulla base di tre indicatori: la qualità dell'offerta formativa, la qualità della ricerca e l'efficienza delle sedi didattiche, anche se quest'ultimo punto non è previsto in sede di prima applicazione.
L'orientamento di prevedere la spesa per la qualità, in termini di utilizzo da parte degli atenei di un fondo per quanto riguarda le performance, diffuso ormai da tempo, era già stato previsto negli anni scorsi. In questo caso, si prevede il 7 per cento e si ritiene di poterlo mettere a regime nei prossimi anni.
L'articolo 3 credo sia quello più significativo, perché riguarda alcuni interventi importanti per il diritto allo studio. In particolare, si prevede un incremento importante di fondi per le residenze universitarie: 109 milioni di euro, che di fatto raddoppiano le previsioni di bilancio previste.
Vi è un aumento, anche in questo caso consistente, del fondo integrativo sulle borse di studio e sui prestiti per gli studenti capaci e meritevoli e privi di mezzi, con un incremento di circa 100 milioni di euro, a contare anche sulle riduzioni della legge n. 133 del 2008 Questo è l'intervento più importante e consistente sul fondo specifico delle borse di studio che avviene almeno da un decennio.
Gli articoli 3-bis, 3-ter, 3-quater e 3-quinquies sono stati inseriti dal Senato e riguardano l'anagrafe nazionale dei professori e dei ricercatori, con l'elenco delle pubblicazioni scientifiche. È un tentativo di mettere a regime quello che, in parte, in maniera frammentata, alcuni atenei già fanno: si tratta di un modo di rendere pubblica e di classificare in modo omogeneo la capacità scientifica dei professori e dei ricercatori attraverso un albo e un elenco di pubblicazioni scientifiche. Le modalità di attuazione sono demandate a un successivo decreto ministeriale.
L'articolo 3-ter prevede gli incrementi stipendiali condizionati alla qualità e al merito, in base alla valutazione da parte degli atenei su pubblicazioni ed altro. Si incide sulla parte costituita dagli scatti stipendiali previsti dal contratto nazionale (quindi, il 2,5 per cento).
L'articolo 3-quater prevede la pubblicità delle attività della ricerca, che devono essere pubblicate dall'ateneo. Una scelta diversa avrebbe effetti sulla distribuzione delle risorse finanziarie a valere sul Fondo di finanziamento ordinario.
L'articolo 3-quinquies, infine, prevede decreti ministeriali per quanto riguarda gli obiettivi formativi, i settori artistico-disciplinari e gli insegnamenti da attivare per l'alta formazione artistica e musicale.
Gli articoli 4 e 5 riguardano, rispettivamente, la copertura finanziaria e l'entrata in vigore del provvedimento.
Per concludere, signor Presidente, il dibattito è stato svolto in Commissione, e oggi continua in Aula, con la necessità di approfondimenti su questo tema, anche in termini di confronto politico. In Commissione vi è stato il ritiro degli emendamenti presentati, per venire, poi, in Aula, eventualmente Pag. 4a riproporli. Da una parte dei componenti della Commissione, sostanzialmente dalla maggioranza, è emersa la volontà di aprire questo confronto, ma di privilegiare le questioni legate alla necessità ed urgenza di questo testo, e, quindi, di non correre i rischi di una sua mancata conversione.
Ricordo, inoltre, che il testo trasmesso alla Camera è già stato oggetto di un importante contributo di lavoro da parte del Senato (come ho ricordato, da parte di tutti i gruppi parlamentari, sia di maggioranza sia di opposizione). È evidente che il provvedimento in esame, che è parziale, proprio perché interviene su alcune questioni urgenti, andrà di pari passo con il lavoro che la Commissione avvierà, in particolare sulle linee guida presentate dal Ministro.
Signor Presidente, chiedo, infine, che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia relazione.

PRESIDENTE. Onorevole Caldoro, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

GIUSEPPE PIZZA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Frassinetti. Ne ha facoltà.

PAOLA FRASSINETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, il provvedimento che oggi è all'attenzione di quest'Aula ha, a parer mio, molti pregi, che tra poco andrò a illustrare, ma, sostanzialmente, il maggiore è proprio quello di aver dato, finalmente, un segnale di discontinuità nel mondo universitario.
La difesa dello status quo è stata fatta in questi ultimi mesi sia dall'opposizione sia dalle forze sindacali sia dagli studenti. Per quanto riguarda l'università, essa è ancora più grottesca, in quanto il sistema universitario è caratterizzato da un deficit profondo: siamo retrocessi nella centocinquantesima posizione nella classifica OCSE ed è risaputo che molti nostri atenei hanno bilanci in rosso ormai da anni. Le università italiane risultano le meno attraenti per gli studenti stranieri e, inoltre, rimane alto il tasso di abbandono; infatti, solo il 45 per cento degli iscritti al primo anno arriva alla laurea, contro una media OCSE del 69 per cento in Europa. La linea innovativa per uscire da questo stato di immobilismo è senz'altro quella degli incentivi, per cui saranno gli stessi atenei ad attivarsi per fare buona ricerca e buona didattica.
Deve instaurarsi un meccanismo punitivo, che propone di levare risorse a chi non raggiunge standard elevati. Peraltro le università virtuose (ad esempio l'Università di Padova) giustamente già chiedono che la ricerca venga presa maggiormente in considerazione, visto che un ateneo senza ricerca non può essere considerato una vera università.
Col decreto-legge in esame si affrontano nodi immediati, alzando una barriera contro i conti più in disordine, mentre con le linee guida, che saranno contenute in una successiva proposta, si provvederà a dare all'università gli strumenti per ridurre i costi strutturali. Il vero problema nasce dal fatto che per troppi anni all'autonomia non si è abbinata la responsabilità, e da ciò è derivato un sistema fatto di strutture male organizzate, di docenti poco motivati, di corsi di laurea senza sbocchi nel mondo del lavoro, di scarsa attività di ricerca.
Nel futuro solo un sistema che prevede incentivi e governance potrà dare esiti positivi: un modello in cui il Governo avrà il compito di individuare le scelte strategiche, e nel contempo le università avranno piena autonomia didattica, scientifica e amministrativa. Gli incentivi saranno essenziali, e connessi a un sistema valutativo da applicare alla distribuzione di risorse all'università; la governance sarà essenziale per permettere all'università di Pag. 5realizzare in tempi ragionevoli una risposta virtuosa agli incentivi, e per far affermare la cultura della qualità.
In considerazione delle polemiche che ha scatenato, non posso in questa sede non fare un accenno alla trasformazione in fondazioni prevista dal cosiddetto decreto Tremonti, che ha suscitato un dibattito che si è andato a imperniare in un'inutile contrapposizione tra pubblico e privato, mentre queste trasformazioni in fondazioni permetterebbero all'università di dotarsi di un sistema di governance, combinando l'efficienza gestionale al primato didattico. Questa ipotesi non sarà semplice da attuare, anche perché pochi saranno gli atenei in grado di attirare risorse esterne, ma vale la pena di provare a sganciare le università che ne sono in grado da logiche burocratiche e centraliste che ne limitano la capacità di competizione virtuosa. Le università non possono essere tutte uguali: l'università è varia, con le sue eccellenze in campi specifici, ed è giusto che le differenze si evidenzino e che stimolino un processo competitivo finalizzato al miglioramento.
Il decreto-legge in esame, seppur limitato a pochi articoli, già contiene i presupposti per cominciare ad attuare una vera riforma: lo si evince dall'articolo 1, che statuisce il divieto, menzionato al comma 1, di bandire procedure concorsuali o di assumere altro personale per quelle università che hanno superato il 90 per cento di spesa, e dal comma 2, in cui si prevede l'esclusione delle medesime università dalla ripartizione dei fondi relativi agli anni 2008 e 2009 per l'attuazione del piano straordinario di assunzione di ricercatori.
Sempre in linea con la volontà di rinnovamento è poi il comma 3, che prevede l'innalzamento del turnover dal 20 al 50 per cento, agevolando così il ricambio generazionale, ovvero più docenti vanno in pensione, più cresce la disponibilità di spesa per sostenere l'ingresso dei nuovi ricercatori. Sempre l'articolo 1 dispone una novità sostanziale nella formazione delle commissioni giudicatrici, prevedendo il sorteggio di quattro professori commissari ed iniziando a modificare una metodologia macchinosa e poco funzionale, che fino ad ora ha rappresentato una delle maggiori criticità di tutto il sistema.
Nella direzione della riqualificazione del sistema universitario va anche l'articolo 1-bis, introdotto dal Senato, che consente alle università di chiamare direttamente gli studiosi impegnati all'estero da almeno tre anni in attività di ricerca o di insegnamento universitario. In questo modo, si agevola il tanto auspicato rientro dei cervelli dall'estero.
Sempre per affermare l'avvio di un modello basato sulla qualità, all'articolo 2 si configurano misure atte a incidere sulla qualità del sistema universitario, prevedendo che una quota non inferiore al 7 per cento del FFO e del Fondo straordinario sia ripartita in base ai parametri qualitativi.
Un'attenzione particolare, come sottolineato anche dal relatore, merita poi l'articolo 3, recante le disposizioni per il diritto allo studio dei capaci e dei meritevoli, norma cardine, a mio avviso, del decreto-legge, che sancisce il principio fondamentale che è quello di premiare i più meritevoli che non hanno sufficienti mezzi per continuare gli studi. E sempre connesso a ciò, vi è lo stanziamento di risorse per la realizzazione di alloggi e residenze universitarie, per la quale sono stati stanziati 65 milioni di euro. In questo modo si favorisce la mobilità degli studenti: in Italia solo il 2 per cento degli studenti alloggia in residenze universitarie, mentre in Germania, per esempio, la percentuale sale al 10 per cento. Nessun Governo, fino ad ora, è riuscito a investire su questa voce di bilancio: l'articolo 3 è quindi importantissimo e di grande portata sociale. La tutela degli studenti bisognosi e meritevoli è fondamentale per stimolare le eccellenze, e dovrà agevolare, a mio avviso, anche chi intende conseguire una seconda laurea.
Mi auguro che, nel corso del dibattito parlamentare, magari anche con la presentazione di qualche ordine del giorno, si possa chiedere al Governo che chi intende conseguire una seconda laurea ottenga Pag. 6delle agevolazioni per quanto riguarda il pagamento delle tasse universitarie (sempre per stimolare le eccellenze).
Meritano un commetto positivo anche altri articoli, come l'articolo 3-bis, il 3-ter e il 3-quater, che soltanto da una lettura approssimativa possono sembrare articoli con una tonalità tecnica. Sono, invece, articoli che entrano nel merito della questione: l'articolo 3-bis garantisce una maggiore comunicazione tra le università e la costituzione dell'Anagrafe nazionale nominativa dei professori ordinari e associati e dei ricercatori, contenente l'elenco delle pubblicazioni scientifiche prodotte; l'articolo 3-ter incentiva le pubblicazioni scientifiche; l'articolo 3-quater, andando incontro alla finalità di una maggiore trasparenza, dispone che, annualmente, il rettore presenti al consiglio di amministrazione, e al senato accademico, una relazione con i risultati delle attività di ricerca, di formazione e di trasferimento tecnologico, nonché i finanziamenti pubblici e privati. Dall'esame di questo decreto-legge non si comprende come mai vi sia stata una protesta così incentrata in alcuni centri universitari. Non si capisce perché, dal momento che il Governo aveva presentato un provvedimento a sfondo così sociale che rappresentava una prima inversione di rotta rispetto alla logica delle baronie, e dell'immobilismo, nella quale le università, da anni, sono rimaste intrappolate. Questo ci fa pensare che, ancora una volta, purtroppo, molti studenti abbiano accompagnato i professori a manifestare, sostanzialmente, contro loro stessi, differenziandosi da quella contestazione del Sessantotto che, nonostante tutto, vedeva, invece, in alcuni casi, la volontà della generazione studentesca di contrapporsi ad alcuni professori. Soltanto, quindi, con un'analisi approfondita di questo decreto-legge si può capire come finalmente vi sia una volontà innovativa nel campo dell'università. Questo provvedimento, pertanto, se sarà approvato anche da questa Camera - come auspico e credo - contribuirà ad avviare un cammino verso la vera riforma universitaria, quella strutturale, che si realizzerà con un disegno di legge, confutando anche le critiche che sono state fatte per quanto riguarda l'adozione dello strumento del decreto-legge. Il decreto legge è stato varato su limitati punti per motivi di necessità ed urgenza, che bene il relatore ha illustrato, ma la riforma universitaria, per la prima volta, verrà realizzata dal Parlamento con un disegno di legge. Sarà un cammino difficile, su un terreno dove nessun altro Governo di questa Repubblica è mai riuscito, ma sarà un cammino indispensabile per il futuro dell'Italia (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mazzarella. Ne ha facoltà.

EUGENIO MAZZARELLA. Signor Presidente, questo decreto-legge, e le modifiche recepite al Senato, sono state con enfasi presentate come il primo passo significativo del Governo a tutela di un patrimonio collettivo del Paese: l'università e, più in generale, il sistema della ricerca e dell'alta formazione. Un patrimonio, cui le linee guida per l'università presentate dal Ministro Gelmini vorrebbero offrire un rilancio, una prospettive di sviluppo, una ineludibile messa in efficienza. Onestà intellettuale allora, prima ancora che politica, vuole che ci si interroghi se davvero le misure proposte con questo decreto-legge siano coerenti con gli intenti annunciati, anticipando, almeno in linea di tendenza, qualche tratto, alcuni tasselli, del futuro quadro organico che il Governo vuole proporre all'esame del Parlamento per affrontare il rilancio delle università italiane. Un'analisi spassionata del decreto-legge, senza alcun pregiudizio, porta a rilevare che non vi è coerenza alcuna tra gli interventi d'urgenza presentati all'esame del Parlamento, di cui si chiede la conversione in legge, e un piano di indirizzo quale che sia, discutibile perché degno di discussione, che possa far intravedere una visione organica dei problemi dell'università e della ricerca e delle soluzioni che vi possano far fronte. Di un'impostazione di questo tipo, che pure sarebbe stata necessaria, oltre che auspicabile, Pag. 7non vi è traccia nel decreto-legge. Né in verità poteva essere altrimenti: perché in coerenza con quanto affermato dallo stesso Ministro nella prima audizione in Commissione cultura, qualsiasi intervento sarebbe dovuto partire dalla consapevolezza che il sistema è fortemente sottofinanziato.
In valori assoluti l'incidenza sul PIL ormai si attesta a circa la metà della media europea, tralasciando nel confronto ovviamente Paesi più consapevoli, a cominciare dalla Francia che ha al Governo una destra che in un momento di difficoltà - come si fa in tutte le ristrutturazioni aziendali lungimiranti se si vuole, per usare un lessico ed una concettualità cari a questo Governo - investe nell'università dieci miliardi di euro, mettendo in competizione tra loro gli atenei per individuare dieci poli di sviluppo del sistema. Con sofferta abilità il relatore, in Commissione, l'onorevole Caldoro (ha provato a farlo anche qui) ha provato a segnalare gli incrementi di spesa che il decreto, nella formulazione che esce dal Senato, prevede per il Fondo di finanziamento ordinario.
Ma, a prescindere dal fatto che questi parzialissimi appostamenti finanziari sono più un tentativo di rispondere all'onda sociale imponente di protesta che si è sollevata che una convinta inversione di tendenza, è un fatto che essi reintegrano nel quinquennio 2009-2013 appena 354 milioni di euro rispetto ad un taglio previsto in finanziaria di mille e 641 milioni. Mancano all'appello ancora un miliardo e 300 milioni di euro che avrebbero mantenuto nel quinquennio almeno costante il valore assoluto della spesa, già depresso di per sé ed incongruo per una qualsiasi linea, per una qualsiasi politica di rilancio e razionalizzazione del sistema. Peraltro, anche lo sbandierato appostamento del 7 per cento del Fondo di finanziamento ordinario sulla premialità agli atenei virtuosi per prestazioni di ricerca didattiche e gestionali è un mero specchietto per le allodole, se lo stesso relatore è costretto per onestà intellettuale a notare che lo squilibrio finanziario delle università, consolidatosi negli anni, vanifica di fatto ogni intervento premiale a ragione del peso inerziale della struttura della spesa storica. In soldini, la misura per essere vera avrebbe avuto bisogno di soldi freschi e non come è, peraltro distolti da altri impegni di spesa del Fondo di finanziamento ordinario, segnatamente la copertura degli incrementi stipendiali e contrattuali. Analogo giudizio va dato su un altro aggiustamento contabile del decreto, sul diritto allo studio, in effetti finanziato spot, oltre che sottomisura per il solo 2009. Poi si vedrà. In genere, il corso di studi medio di uno studente cominciato nel 2009 dura dai tre ai cinque anni. Ma tant'è. Ci si mette una pezza per un anno, poi si vedrà.
Passo ora ad affrontare un altro capitolo fondamentale per il rilancio dell'università, oltre a quello previo degli investimenti generali di sistema, su cui ho svolto qualche notazione: la selezione del personale che vi è impiegato (volgarmente i concorsi). A dire la verità avrei avuto la tentazione di non parlarne affatto, limitandomi ad un: «fate quel che volete» per non finire nella consueta disonesta trappola mediatica: «i professori, e magari voi professori siete interessati solo ai concorsi». Però il tema è ineludibile, e lo sa anche il Governo che sullo sbaragliamento per decreto di «concorsopoli» si è giocato tutte le sue carte per imbellettare agli occhi dell'opinione pubblica gli imponenti tagli di spesa apportati al settore (un po' come con il grembiulino e il voto in condotta con la scuola). «Concorsopoli» sarebbe sbaragliata dal sorteggio, questa è la tesi che il Governo ha propalato all'opinione pubblica. Davvero? L'interconferenza dei presidi - fino a qualche mese fa ne facevo parte - audita dal Senato ha proposto alcuni documenti all'attenzione della Commissione di quel ramo del Parlamento. Ne consiglio la lettura perché è istruttiva. In fondo i professori oltre a fare e combinare concorsi qualche volta studiano, e almeno quando studiano andrebbero presi sul serio. Uno di questi documenti è una tabella comparativa dei sistemi concorsuali in vigore in tutti i Paesi europei. Vi si apprende che solo l'Italia si Pag. 8appresta a ricorrere al sorteggio: singolare modo di tenere il passo con sistemi conclamati come più evoluti del nostro. Ma d'altro canto, senza neanche ricorrere ad analisi comparative faticose, i nostri legislatori ministeriali avrebbero potuto svolgere una riflessione statistico-matematica: il sorteggio è neutro negli effetti che si attendono dalla sua applicazione di scombinare gli accordi perversi e ricombinare pratiche virtuose. Ammesso che metà dei concorsi in essere siano combinati male, e metà bene, il sorteggio, che è cieco statisticamente, interverrà in modo equo a scombinare le buone e le cattive commissioni: effetto somma zero. È questo un modo di moralizzare i concorsi, come si vuol sostenere? Chiaramente è affermazione risibile. Sarebbe stato molto più sensato e prudente sul piano normativo, visto che peraltro la conseguente riapertura dei termini concorsuali è affidata, nel testo, ad un «possono» (i rettori riaprire i termini dei bandi) foriero di una discrezionalità esposta ad ogni contenzioso, che si prevedesse l'accorpamento dei bandi per settore in unico collegio nazionale, prevedendo che i vincitori chiamati al termine del triennio di conferma fossero sottoposti alla valutazione ex post della costituenda agenzia di valutazione nazionale con penalizzazione sul FFO degli atenei che avessero selezionato personale non in grado di reggere standard adeguati di produzione scientifica.
In fondo qualcosa di simile ha chiesto recentemente anche un editoriale di Galli della Loggia su un quotidiano in genere molto ascoltato dal Ministero, Il Corriere della sera. Si trattava, cioè, di realizzare un intervento di urgenza, se si voleva, coerente con una prospettiva credibile di riforma a lungo termine. In verità, il tenore dell'intervento proposto dal Governo sembra più frutto di un'inconsapevolezza di chi legifera su meccanismi che non conosce ovvero di un artato contributo ad un ulteriore blocco delle procedure concorsuali. Per dare attuazione alla normativa «transitoria» prevista (elezione, sorteggio, reintegro delle liste sottodimensionate con ricorso a settori affini, ridefinizione dei settori da parte del CUN) accadrà che, se va bene, nessun vincitore sarà proponibile all'università prima del 2010. E questo dopo che i concorsi previsti arrivano a valle di un blocco concorsuale di fatto già di tre anni.
Preso atto di questo, allora, si poteva evitare di perdere tempo e prevedere di andare al sorteggio puro e semplice, a maggior contento di novelli censori, che dimenticano che il concetto stesso di pubblicazione su cui si costruisce ogni valutazione in ambito scientifico richiama il concetto che la cooptazione tra pari in saperi esperti non può che avvenire su dati noti e su personalità scientifiche già fattesi notare dalle comunità di riferimento, e non emergono da buste anonime, affidate a giudici che si trovano a passare lì per caso per valutare. Ma tant'è, la demagogia ormai avanza per decreto.
Forse si potevano evitare interventi di demagogia d'urgenza, se il Governo anziché affidarsi in una sorta di aristotelismo medievale, all'autorità verbale di editoriali su quotidiani di riferimento, si fosse affidato all'autorità dei fatti, di un'analisi empirica delle cose. E da questo punto di vista, anziché rispondere d'urgenza ad un editoriale di un collega, pur illustre e magari animato da buone intenzioni - mi riferisco a Giavazzi - che sarebbe stato utile forse audire in Commissione, vista l'audizione ricevuta dal Ministro, il Governo avrebbe forse potuto farsi certo che i barbari alle porte che sarebbero stati assunti d'urgenza bloccando per sempre il sistema, come da Giavazzi sostenuto a mezzo stampa, non erano altro che duemila ricercatori, punta di un iceberg di precari in attesa, a vario titolo presenti nel mondo dell'università e della ricerca, stimato in oltre 120 mila unità e questo dopo un blocco di tre anni; oltre all'evidenza statistica che un ricercatore entra nei ruoli, dipende dai settori, tra i trentacinque e i quarant'anni. Stiamo parlando di una frazione che non raggiunge il 2 per cento delle aspettative statisticamente legittime di potere entrare nei ruoli dopo un decennio in media di precariato universitario.Pag. 9
Per quanto riguarda poi i 3.781 professori che con l'idoneità di seconda e prima fascia avrebbero invaso l'università ed occluso ogni varco ai giovani di cui sopra, si riesce a passare sopra per amor di polemica al fatto che si tratta, per il 95 per cento dei casi, di scorrimenti di carriera interna di personale già strutturato nella fascia inferiore, che in termini di costo aggiuntivo rappresenta una frazione sostanzialmente marginale del presunto assalto al budget della docenza. E, a parte questo, in effetti tutto ciò nient'altro avrebbe realizzato - dopo una paralisi triennale, che di fatto con l'aggiornamento dei bandi e delle procedure diventerà quinquennale - che uno scorrimento interno di posizioni per un migliaio di unità annue, su un organico strutturato di circa sessantamila; un tasso di promozioni statisticamente compatibile con ogni cerbera virtù che si voglia chiedere a una qualsiasi amministrazione. Nessun posto questi «promuovendi» potenziali avrebbero liberato se non abbattuti sulle cattedre!
Nelle polemiche che hanno preparato il decreto-legge, un'altra enfatica e impropria valutazione, addossandola esclusivamente alle cattive pratiche del sistema, che pure vi sono state, è stata fatta, per passare alle strutture didattiche, sul numero dei corsi inutili creati negli ultimi anni: ne avevamo 2.200, secondo alcune stime, prima dell'introduzione del sistema «tre più due», ed oggi saremmo ad un fattore di più del doppio. A parte il fatto che con gli indirizzi di Mussi già gli atenei sono stati obbligati ad una forte ripulitura del sistema, nessuno vuole notare che se il legislatore lo decide - lo ha fatto la Moratti - con un tratto di penna che tendenzialmente un corso quadriennale si ricompone sulla linea «tre più due», di default la tendenza è il raddoppio secco dei corsi. Può partire un sistema serio sul tema dalla solita notizia eccezionale dei trentuno corsi con un solo iscritto? Mentre poco si parla nel decreto-legge della proliferazione di sedi inutili e di università leggere e telematiche favorite dalla legislazione lasca sul tema imposta dalla stessa Moratti. Né, quanto alla moralizzazione di comportamenti censurabili sul piano del decoro e della dignità delle procedure concorsuali, il decreto-legge prevede alcunché: un divieto ad esempio di ingresso nei ruoli per parenti ed affini di titolari di cattedra nella stessa facoltà e per quanto riguarda i rettori nello stesso ateneo (questo sì avrebbe scombinato qualche previsione concorsuale!); o la possibilità di commissariare gli atenei o le strutture, facoltà o dipartimenti a «trazione familiare».
Ci si limita a proporre una blanda relazione tra aumenti stipendiali e produzione scientifica, legata però a meri criteri quantitativi ed estrinseci per definire tale produzione (saranno stabiliti dal Ministero), senza prevedere alcuna reale valutazione della qualità intrinseca della produzione scientifica. È facile prevedere che l'unico incremento sarà quello della produzione cartacea a prescindere, aggiornando all'italiana l'americano publish or perish, che non pochi difetti ha messo in mostra nei sistemi universitari dove si è affermato: una profluvie di inutili papers.
Un'ultima notazione. La previsione normativa per il cosiddetto rientro dei cervelli e le chiamate per chiara fama. Talmente pasticciata è la norma, indeterminata nel percorso di accertamento dell'equipollenza delle posizioni accademiche estere, nelle fonti di finanziamento delle procedure, che, per una parte, sono sottratte a vincoli di budget dell'ateneo che attiva i procedimenti di chiamata, per l'altra restano senza indicazione di riserva di spesa sul FFO o, ciò che sarebbe stato di certo meglio, di un qualsiasi incremento aggiuntivo a questo fine previsto per il FFO, sì da peggiorare in questo modo la normativa vigente a ciò dedicata che in Commissione esteri il decreto è stato bocciato, ed in Commissione cultura, dopo una valutazione complessiva sull'insieme delle norme proposte per la conversione in legge, la stessa maggioranza ha espresso l'opportunità di una terza lettura del decreto, ipotesi che la presidenza della Commissione non ha ritenuto di accogliere, a motivo che il decreto, così com'è arrivato dal Senato, era da considerarsi «blindato», Pag. 10esibendo ancora una volta il reale interesse al dialogo del Governo nell'iter parlamentare, oltre che una sostanziale mancanza di rispetto per il lavoro della Commissione della Camera dei deputati, a priori assunto come vano e pro forma, al di là di ogni valutazione di merito.
Questa è la situazione in cui ci muoviamo, viziata di preconcetti, false informazioni e cattiva volontà di capire e di intervenire sul serio, che non sia un abbandono a se stesso del sistema pubblico della formazione superiore e della ricerca. C'è voluto un intervento di Papa Benedetto XVI per ascoltare parole laiche a difesa del carattere pubblico dell'università, innanzitutto inteso - questo carattere pubblico - come natura che deve mantenere, prima ancora che come regime giuridico: ciò significa che l'università non può essere asservita ad interessi economici e politici, pur nella necessaria relazione con l'ambiente socio-economico in cui ci si muove. Ma ormai ci vuole l'aura sacrale, per la sua fonte, di un intervento di questo livello, per riportare in auge oggi una semplice verità, su cui si costruisce ogni progresso, spirituale e materiale: ossia che la conoscenza e l'amore per essa è di per sé un valore, che genera un'infinita filiera di valori umani, sociali ed economici. Forse è tempo di fermarsi un attimo a riflettere e ricominciare tutto daccapo, evitando un'opera di delegittimazione, anche con questo decreto, di un comparto decisivo per il futuro del Paese; un'opera di delegittimazione, che renderà sempre più difficili misure vere di messa in efficienza del sistema, di valorizzazione delle tante cose buone che in esso vi sono e di pulizia delle tante cose - e ve ne sono - che non funzionano.
Mi sembrano motivi sufficienti e di merito, non ideologici o per partito preso, per il dissenso del Partito Democratico nei confronti del decreto-legge in esame, a cui non si riconosce né il carattere dell'urgenza, né una qualche traccia di incisività riformatrice del sistema universitario (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Giammanco. Ne ha facoltà.

GABRIELLA GIAMMANCO. Signor Presidente e onorevoli colleghi, il confronto sul provvedimento in esame, che si è avuto nelle scorse settimane al Senato, a mio avviso ha rappresentato un significativo esempio di dialogo tra maggioranza ed opposizione, un serio tentativo di cambiamento, una buona notizia per studenti e docenti che considerano la formazione accademica e la ricerca scientifica una missione determinante per il futuro del nostro Paese. Siamo tutti consapevoli del fatto che i giovani e le loro famiglie osservano il nostro lavoro, lo giudicano, lo apprezzano o lo criticano.
A loro dobbiamo rispondere e, di fronte a loro, siamo responsabili del nostro impegno, della nostra reale volontà di riformare il sistema universitario, in cui qualità e mediocrità, produttività ed inefficienza, merito e demerito convivono, disponendo delle stesse risorse, spesso, a danno dei migliori. Il rispetto che merita il grande patrimonio di aspettative nei nostri confronti ci deve spingere a fare del nostro meglio e ad apprezzare, in attesa di una riforma complessiva dell'università italiana, le importanti novità introdotte dal decreto-legge in esame per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca. Si tratta di decisioni forti, necessarie e non più rinviabili, che mirano a contenere gli sprechi e le disfunzioni ampiamente diffuse nel sistema della formazione universitaria. Scelte di buonsenso, che coniugano l'autonomia universitaria al concetto di responsabilità e al riconoscimento del merito e che sottopongono gli investimenti in formazione e ricerca ad un sistema di valutazione dei risultati di atenei e docenti.
Sin dall'inizio di questo mio primo mandato da parlamentare, ho sempre sostenuto che gli argomenti in gioco, quando si parla di scuola e di università, siano troppo delicati per essere lasciati alla classica e, spesso - permettetemelo - sterile contrapposizione destra-sinistra, Pag. 11maggioranza-opposizione. Non vi è cosa peggiore della politica del rifiuto, quando si ritiene che l'azione di Governo, pur con i necessari ed ulteriori aggiustamenti di rotta, stia, comunque, andando nella direzione giusta. Sono realmente convinta che, se riusciremo a mettere da parte le prese di posizione ideologiche tout court, potremo incidere davvero sul processo riformatore del nostro Paese. La spinta riformatrice è necessaria per ridare centralità al ruolo dei giovani e per superare i vizi di una società ancora troppo ingessata, gerontocratica e refrattaria a riconoscere il merito. Ho molto apprezzato, nel corso del dibattito al Senato, l'atteggiamento di chi, senza abbandonarsi allo spirito partigiano, ha cercato di confrontarsi con il testo del Governo. Credo sia oggettivamente difficile non apprezzare le iniziative del decreto-legge in questione, che vogliono segnare una svolta all'insegna del rigore, per dare giustizia alle migliaia di validissimi studiosi, che insegnano e fanno ricerca nostri atenei e per liberare le energie di tanti giovani talenti.
Con il decreto-legge in discussione, il merito diventa finalmente, per la prima volta, l'unico vero criterio di ripartizione di una quota importante di fondi statali. Il Governo vuole mettere la parola «fine» alle risorse distribuite a pioggia ed in maniera indistinta a tutti gli atenei: sarà il merito il criterio per la ripartizione di una quota significativa dei fondi statali. Già dal 2009, una quota non inferiore al 7 per cento del Fondo di finanziamento ordinario e del Fondo straordinario istituito con la legge finanziaria per il 2008, sarà ripartito tra le università più virtuose. Il principio non è nuovo, ma negli ultimi anni le risorse utilizzate a favore delle università che producevano risultati migliori sono state meno dello 0,5 per cento. Col provvedimento in esame, per la prima volta, circa 500 milioni di euro saranno distribuiti in base alla qualità: si tratta di una quota destinata a salire, nei prossimi anni, fino al 30 per cento, invertendo un trend che, fino ad oggi, ha privilegiato esclusivamente la spesa storica. Con il decreto-legge in questione, si premierà, invece, la qualità dell'offerta formativa, della ricerca scientifica e delle sedi didattiche.
In conclusione, ritengo che abbiamo dinanzi anni importanti per il futuro del Paese. Dopo queste prime misure urgenti, non bisogna perdere tempo per lavorare a più grandi riforme strutturali: le linee guida del Ministro Gelmini offrono spunti discussione ed un quadro di insieme entro cui collocare i prossimi passi. Come giustamente il Ministro segnala, i cardini di una riforma dell'università dovranno essere: innovativi meccanismi di governance ed una sempre maggiore centralità della valutazione. Atenei più responsabilizzati e soggetti a valutazioni stringenti non avranno bisogno di molte regole, perché saranno consapevoli che scelte sbagliate avranno conseguenze negative, immediate e tangibili.
Onorevoli colleghi, oggi abbiamo l'occasione di riformare un sistema che è rimasto, sotto molti profili, indietro negli anni, ingessato da logiche corporative e di potere, un sistema troppo spesso incapace di produrre ricerca di qualità e di fare buona didattica. Non abbiamo, dunque, alibi di fronte a questa concreta opportunità di cambiamento che i giovani ci chiedono. Dobbiamo provare a demolire la cortina protettiva che un sistema malato ha eretto negli anni per difendersi. I tempi sono maturi per riformare il sistema universitario del nostro Paese, con il confronto, con il dialogo, insieme, maggioranza e opposizione. Sono certa che i giovani si aspettano da noi proprio questa rivoluzione culturale, che ci potrà condurre a vincere, finalmente, la battaglia del merito, a scuola come all'università (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Giammanco, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.Pag. 12
È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, ho ascoltato con attenzione, non la relazione introduttiva - e me ne scuso -, ma gli interventi dei colleghi. Rispetto ad essi mi sento di poter condividere le considerazioni svolte dal rappresentante del Partito Democratico, francamente un po' meno quelle appena svolte dall'onorevole Giammanco, soprattutto su un punto: lei, onorevole, ha cercato di esaltare, o quanto meno di sottolineare, il confronto positivo tra maggioranza e opposizione. Eppure, se c'è un provvedimento per il quale davvero non ha avuto spazio il confronto, è proprio questo che, ancora una volta, abbiamo visto soltanto transitare nella Commissione di merito competente e, da oggi, in Assemblea, senza alcuna possibilità di interazione e di confronto tra i gruppi parlamentari.
Sappiamo benissimo, infatti, che in caso di modifica, anche minimale, del testo pervenuto dal Senato, non ci sarebbero poi i tempi per un ulteriore passaggio presso il Senato stesso. Pertanto il Governo deve fare a meno, forzatamente, immagino anche con grande dispiacere, del contributo dei gruppi appartenenti all'opposizione. Da ciò si deduce che, ancora una volta, la democrazia parlamentare risulta mortificata perché gli emendamenti in Commissione - è bene ricordarlo - non sono stati nemmeno discussi; non dico: votati, ma nemmeno discussi. Di cosa stiamo parlando, dunque?
Mi rivolgo al Presidente della Camera, affinché possa rappresentare la situazione al Governo: nei prossimi giorni saremo chiamati a convertire in legge ben quattro decreti-legge: sui rifiuti in Campania, sui lavori pubblici, sull'agricoltura e, appunto, sull'università e la ricerca. Su quest'ultimo sono previsti circa 130 voti. Basterebbe un atteggiamento meno che responsabile da parte dell'opposizione per far «saltare» il calendario stabilito e, di conseguenza, anche i provvedimenti in discussione. Non è, tuttavia, né nel nostro interesse né nelle nostre intenzioni. Lo abbiamo detto: sui temi della scuola soprattutto avremmo voluto, e ancora lo chiediamo, un confronto serio e approfondito perché ci troviamo di fronte ad una materia che, come poche altre, necessiterebbe del confronto e della collaborazione di tutti. Invece, ancora una volta, siamo agli spot. Il Governo - c'è da riconoscerglielo - è riuscito con abilità mediatica a far passare, con uno slogan ad effetto, l'idea che questo potesse essere l'ennesimo decreto innovativo. In realtà si tratta di un provvedimento tampone o poco più, perché non produce effetti significativi sul sistema universitario italiano. Lo ripeto: siamo agli spot. C'è stato - lo ha ricordato il collega del Partito Democratico - lo spot sul grembiulino, quello sul maestro unico e quello sul voto in condotta, salvo poi fare i conti con il Paese reale. La crisi strutturale delle nostre università avrebbe invece reso urgente - rende urgente - una riforma con carattere di organicità e completezza, una riforma basata soprattutto sul presupposto che l'università rappresenta davvero una risorsa importante da potenziare e valorizzare. Quando parlo di università faccio riferimento, lo do per scontato, sia all'insegnamento sia, soprattutto, al lavoro di ricerca. Il decreto-legge che è invece oggi alla nostra attenzione, oltre che esautorare il Parlamento, negandogli la possibilità di fornire giusti contributi, rinvia strumentalmente la risoluzione di tutti i veri problemi degli atenei e propone soluzioni, alcune insufficienti altre addirittura inadeguate.
Gli slogan di cui parlavo prima, e di cui abbiamo sentito il refrain con i giorni che passavano rispetto a questo decreto-legge, vertevano e vertono sulle commissioni per i concorsi, sul turn over, sulla stretta sui baroni, sulla trasparenza di bilanci e assunzioni, sul rientro dei cervelli e sulle maggiori risorse per gli atenei virtuosi e per gli studenti meritevoli. Invece, lo sappiamo, ci sarebbe da ribattere su ognuno di questi slogan e molto ci sarebbe da dire, ma farò soltanto pochi esempi per l'economia dei nostri lavori.
È vero, ad esempio, che sono state introdotte norme che modificano la prassi Pag. 13concorsuale riguardo alle commissioni esaminatrici. Infatti oggi le commissioni che dovranno reclutare docenti sono composte da un professore ordinario nominato dalla facoltà e da quattro professori sorteggiati sulla base di una lista di dodici docenti eletti, a loro volta, da una lista di professori ordinari del settore scientifico disciplinare oggetto del bando.
In sostanza, rispetto alla disciplina attuale, le commissioni locali elette su base nazionale, quelle previste dalla legge n. 210 di dieci anni fa, sono sostituite da commissioni sorteggiate da una lista eletta su base nazionale per un numero triplo dei membri richiesti.
Noi invece avevamo presentato degli emendamenti sull'argomento e del resto lo stesso Ministro Gelmini ha ammesso l'esistenza di limiti, il che rivela la sua finalità che è quella di dare un segnale netto di discontinuità rispetto ad una prassi ormai insostenibile.
Allora perché non si è fatto sì che, invece, si introducesse il sorteggio puro dei commissari d'esame? Perché non si è fatto un passo (noi abbiamo presentato emendamenti in questo senso) per la valutazione su base nazionale ad opera di una commissione unica per ciascun settore scientifico? Perché ad esempio (e anche su tale punto abbiamo presentato emendamenti) non abbiamo previsto la preclusione a partecipare al concorso per coloro che abbiano un grado di parentela fino al quarto compreso con professori ordinari associati appartenenti al medesimo raggruppamento disciplinare?
Se si vogliono combattere le clientele, le famiglie e i baroni questa sarebbe stata la strada da percorrere invece, in realtà, il Governo non ha avuto il coraggio di operare un vero cambiamento ed ha perso l'ennesima buona occasione per fare riacquistare credibilità all'università italiana.
La vera svolta sarebbe stata, appunto, la scelta di un sistema di sorteggio puro dei commissari all'interno di una lista di professori ordinari iscritti. L'elezione dei commissari ormai ha dato ampia prova di essere il peggior sistema possibile perché induce quasi fisiologicamente, sarei tentato di dire - anche se qualcuno mi potrebbe correggere e dire: patologicamente - a comportamenti poco trasparenti basati sulla logica dello scambio che oscurano completamente il merito scientifico dei candidati con conseguente perdita di attendibilità e credibilità dell'intera università italiana.
Inoltre le modalità per lo svolgimento dei concorsi avrebbero potuto essere congegnate diversamente; ad esempio, lo ripeto, attraverso lo svolgimento delle procedure a livello nazionale, dando rilievo all'attività di un organismo di valutazione unico nazionale, terzo, sarei tentato di dire.
Molto ci sarebbe, poi, da osservare sulla disposizione che disciplina il turn over: le università potranno procedere ora, per ogni anno, ad assunzioni di personale nel limite di un contingente corrispondente ad una spesa pari al 50 per cento di quella relativa al personale a tempo determinato cessato dal servizio nell'anno precedente.
Si eleva, in questo modo, dal 20 al 50 per cento il limite del turn over previsto dall'originaria formulazione dell'articolo 66 del decreto-legge n. 112 del 2008, emanato all'inizio di questa legislatura. In conseguenza di questa modifica che adesso introducete con decreto-legge (e non è il primo decreto-legge con il quale intervenite su un altro decreto emanato sole poche settimane prima) prevedete che il Fondo di finanziamento ordinario delle università sia integrato di 24 milioni di euro per il 2009, di 71 milioni di euro per il 2010, di 118 milioni di euro per il 2011 e poi di 141 milioni di euro dal 2012 in avanti.
In questo modo modificate in senso opposto le previsioni che avevate fatto a giugno-luglio in relazione al limite posto dal turn over che invece aveva stabilito che il Fondo fosse ridotto di 63 milioni di euro per il 2009, di 190 milioni di per il 2010 e via dicendo, fino a «tagliare» 455 milioni di euro dal 2013.
Che dire? Si tratta di un piccolissimo passo indietro rispetto a quanto previsto dal decreto-legge n. 112 del 2008. Mi piacerebbe Pag. 14- ma francamente nutro taluni dubbi sulla realizzabilità di questo mio desiderio - che ciò potesse rappresentare un piccolo segno di resipiscenza, forse conseguente anche alla forte protesta sociale, al movimento degli studenti, all'Onda, alle manifestazioni che i sindacati e il personale della scuola hanno messo in campo, ma quello che mi preme sottolineare è che i tagli pervasivi imposti dalla vostra manovra finanziaria restano sostanzialmente tali. Il sistema universitario italiano continua dunque ad essere sottofinanziato rispetto alle esigenze e, soprattutto, al livello e agli standard degli altri nostri Paesi che con noi formano l'Unione europea.
In sostanza, il decreto-legge non innova nulla, anzi i tagli di spesa considerevoli già previsti non sono stati ridotti in termini significativi e anche l'attribuzione in termini premiali delle risorse del Fondo di finanziamento ordinario delle università non è rilevante, in quanto investe una quota di risorse molto esigue. Verrebbe da pensare che il Ministro Gelmini ci abbia preso gusto a camminare a marcia indietro, un po' come i gamberi. È di pochi giorni fa, infatti, la notizia delle modifiche al piano per le scuole elementari, una per tutte è rappresentata da quella per la quale il maestro unico diventa alla fine facoltativo, dal momento che sarà introdotto solo su richiesta delle famiglie. Altra novità rilevante è che la riforma delle scuole superiori slitta di un anno. Il maestro unico alle elementari - norma simbolo di un'energica protesta - diventa, quindi, un autentico opitional legato alla richiesta delle famiglie, ma probabilmente, con il potere mediatico sotto il controllo del Governo, resterà nell'immaginario collettivo l'idea che questa riforma sia «passata» integralmente.
Ripeto che mi piacerebbe immaginare che questi passi indietro fossero elementi di saggia resipiscenza e che ci fosse, dietro a tutto ciò, anche la consapevolezza che a nulla serve il muro contro muro e che con il dialogo si possono, invece, ottenere risultati significativi e condivisi. Tuttavia, francamente ho dei dubbi. Non voglio preannunciare il voto di Italia dei Valori sul decreto-legge in esame, dal momento che altri lo faranno, ma posso immaginare orientativamente un voto che non sarà favorevole per le motivazioni brevi che ho cercato di esporre. Tuttavia, per chiudere questo mio breve intervento, almeno mi sia lasciata la possibilità di esprimere l'auspicio che la veloce conversione di questo decreto-legge sia davvero l'ultimo atto simbolo dell'arroganza di questo Governo.

PRESIDENTE. Salutiamo gli studenti e i lavoratori della parrocchia San Matteo di Asiago, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune accompagnati dal vicesindaco di Asiago e dal parroco. Li saluto a nome della Camera dei deputati (Applausi).
Ricordo che state assistendo ad una discussione sulle linee generali, nella quale intervengono in realtà soltanto un numero limitato di parlamentari dei diversi gruppi (quelli più esperti nella questione discussa). Gli altri parlamentari non sono al bar a prendere il caffè, ma stanno lavorando ad altri aspetti dell'attività parlamentare. Vi ringrazio per la visita.
È iscritto a parlare l'onorevole Narducci. Ne ha facoltà.

Testo sostituito con errata corrige volante FRANCO NARDUCCI. Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, il decreto legge n. 180 del 2008 recante disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca ha incontrato difficoltà durante l'esame presso la III Commissione affari esteri e comunitari. Infatti, giunge in Assemblea senza il parere di detta Commissione. In particolare, l'opposizione non ha condiviso il punto che tenta di arginare la cosiddetta fuga dei cervelli, favorendo il rientro e il reclutamento degli stessi con regole facilitate rispetto a chi resta in Italia.
Il tema è sicuramente caldo, e diamo atto al Ministro Gelmini di aver avuto attenzione per questo aspetto delicato e dibattuto da diversi anni. Le obiezioni Pag. 15formulate in Commissione affari esteri al decreto-legge evidenziano che la questione non può essere risolta meramente con le semplificazioni di procedure che a livello nazionale sono molto più stringenti. Inoltre, certe semplificazioni potrebbero condurre a scorciatoie che il Governo non ha probabilmente preventivato e non soddisfarebbero certamente l'obiettivo che si vuole raggiungere.
Qual è questo obiettivo? Contrastare la fuga di intelletti italiani, una condizione assolutamente prioritaria per le sfide future che l'Italia deve affrontare e per le prospettive di sviluppo del nostro sistema Paese. La storia recente e la cronaca quotidiana ci mostrano che molti paesi europei ed extraeuropei si avvalgono del talento intellettuale di italiani, più o meno giovani, senza avere investito risorse sulla loro formazione, ma utilizzandone competenze e capacità acquisite nel nostro sistema formativo.
Oggi assistiamo impotenti ad una situazione che vede l'università italiana investire migliaia di euro per ogni studente in formazione pre e post laurea senza che tutto ciò dia frutti nel mondo accademico o nel mondo dell'industria privata. Non se ne vedono gli esiti positivi nell'ambiente accademico per i noti problemi a far valere la meritocrazia, e le disposizioni contenute nel provvedimento del Governo non risolveranno questo nodo; non se ne vedono i frutti neanche per il mondo privato, i cui interessi spesso non coincidono con quelli accademici, contrariamente a quanto avviene nelle nazioni europee più avanti di noi.
Il momento negativo dell'economia italiana, accentuato dalla crisi finanziaria globale, impone certamente scelte drastiche, ma noi crediamo che la riduzione del credito d'imposta, prevista nel cosiddetto decreto anticrisi, dilaterà ancora di più la cesura tra questi due mondi, che dovrebbero cercare maggiori convergenze e sinergie. Spesso ciò avviene anche per mancanza di coordinamento tra questi due mondi; le persone che lo Stato italiano ha formato cercano sbocchi all'estero; evidentemente c'è un ruolo che svolge il mercato nel fare incontrare domanda e offerta, ma i problemi che stiamo affrontando hanno anche origini problematiche che si sono pervicacemente radicate nel nostro sistema.
La preparazione di base fornita dalle nostre università non è affatto mediocre, se è vero che molti nostri laureati e studiosi trovano collocazione stabile nel sistema accademico. Io sono un parlamentare eletto all'estero e conosco molto bene le realtà di Basilea, di Zurigo, di Monaco di Baviera, dell'Istituto italiano dei brevetti, del Max Planck Institute e di altri. Ho tratto sempre convincimento che i nostri giovani, i nostri talenti che vanno all'estero, sicuramente riescono a sfondare molte porte, nonostante anche le difficoltà ambientali. Questo spiega la collocazione stabile nel sistema accademico e nella ricerca pubblica e privata di svariati Stati europei ed oltreoceano. In passato sono stati esperiti molti tentativi per far rientrare gli studiosi italiani dall'estero, i provvedimenti emanati hanno mostrato diverse lacune, prima fra tutte il fatto di non poter offrire al rientrante un posto di lavoro equiparabile qualitativamente ed economicamente a quello lasciato all'estero.
Come si possono superare, signor Presidente, questi limiti e come si può davvero centrare l'obiettivo perseguito dalla legge di cui ho già parlato? Io credo che occorra cominciare con interventi strutturali: secondo la nostra opinione, si dovrebbe cominciare a prevedere che i corsi post laurea, come quelli di dottorato, debbano essere svolti per almeno il 50 per cento della loro durata all'estero. In questo modo si potrebbe creare un livellamento qualitativo verso l'alto di tutti i dottorati; oggi ci sono dottorati che hanno avuto pochissimi contatti con l'estero e altri che invece vi hanno maturato una lunga esperienza. Questa disparità è dovuta anche al fatto che l'aumento della borsa per gli studenti che vanno all'estero è modesto e del tutto insufficiente per poter pensare che un dottorando possa vivere all'estero, specialmente in alcuni Paesi. Quindi, alcuni nostri giovani talenti Pag. 16non vivono un'esperienza all'estero semplicemente perché non dispongono di risorse finanziarie sufficienti.
Inoltre, bisogna spingere tutte le università a costituire scuole di dottorato in collaborazione con almeno un'università straniera e prevedere, quindi, scambi continui di informazioni e di persone. Occorre individuare quali siano i campi in cui l'Italia è deficitaria e spingere nella formazione delle persone in quei campi. Premiare il mondo privato che vuole colmare tali deficit, così come si ipotizza nel decreto-legge, servendosi delle persone formate all'estero è giusto e sicuramente sostenibile; ben vengano, quindi, strumenti come le agevolazioni fiscali per le industrie che intendono operare seriamente in tal senso, senza, tuttavia, che la proposta si trasformi un escamotage fiscale e ponendo attenzione a mantenere il giusto equilibrio nei confronti di coloro che da anni sopportano la fatica dell'attesa in Italia.
Lo studioso che va all'estero deve rientrare e trovare un ambiente culturalmente simile a quello che ha lasciato. Oggi uno dei problemi è certamente rappresentato dalla carenza di mezzi e di strutture, ma anche da una mentalità poco internazionale, con un sistema ingessato in formalismi e gerarchie. In una mia recente proposta di legge suggerisco di inserire una quota obbligatoria di internazionalità - sottolineo obbligatoria, signor rappresentante Governo - anche nel reclutamento dei docenti; lo Stato non deve svolgere soltanto il ruolo di regolatore, ma deve anche investire: investire, signor Presidente, non spendere. Infatti, bisogna razionalizzare le risorse, non spendere in cose inutili, ma è sicuramente doveroso aumentare il numero di ricercatori, prevedere contributi più sostanziosi per i dottorandi che vanno all'estero, nonché, in collaborazione con le nostre rappresentanze all'estero, sostegno e agevolazioni sapendo che non sono spese, ma investimenti nel presente e nel futuro.
Mi rendo conto, tuttavia, come peraltro ha fatto notare in Commissione il sottosegretario Stefania Craxi, che è autorevole rappresentante di questo Governo, che la decapitazione del bilancio del Ministero degli affari esteri mal si presta alla realizzazione degli obiettivi preconizzati per il rientro dei nostri cervelli e, quindi, soprattutto per il ruolo che dovrebbe svolgere la Farnesina. In questi giorni si è svolta a Roma la prima Conferenza dei giovani italiani nel mondo; tra questi, vi sono parecchie eccellenze italiane provenienti da 36 Paesi che ospitano nostre comunità. È vero che qualche giornale l'ha buttata sul ridicolo, evidentemente prendendo in giro se stesso, perché si tratta di giovani che hanno maturato esperienze di grande spessore. Sicuramente non tutti, ma molti di essi oggi occupano posti centrali molto importanti per il nostro Paese perché costituiscono quella rete che tutti dovremmo alimentare. Credo che con questi giovani, che coltivano ancora forte nel cuore il legame con la madrepatria, e che tra l'altro sono stati in quest'Aula, dovremmo saper attuare, onorevoli colleghi, adeguate politiche sia per arginare la fuga dei cosiddetti cervelli, sia per dare un'opportunità ai tanti ricercatori italiani all'estero di poter esercitare la loro attività nel Paese di origine.
Gli investimenti sono realizzati per avere un ritorno maggiore di quello che si è dato; si può prevedere, come succede per ogni investimento, che per alcuni anni ci siano più uscite che entrate ma, alla fine, se le cose vengono fatte perbene - ce lo insegnano gli altri Paesi - il guadagno è certo, non solo per l'università, per l'economia, soprattutto quella del sapere e dei beni immateriali, ma anche, e forse è più importante, per tutta la società italiana (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
FRANCO NARDUCCI. Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, il decreto legge n. 180 del 2008 recante disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca ha incontrato difficoltà durante l'esame presso la III Commissione affari esteri e comunitari. Infatti, giunge in Assemblea senza il parere di detta Commissione. In particolare, l'opposizione non ha condiviso il punto che tenta di arginare la cosiddetta fuga dei cervelli, favorendo il rientro e il reclutamento degli stessi con regole facilitate rispetto a chi resta in Italia.
Il tema è sicuramente caldo, e diamo atto al Ministro Gelmini di aver avuto attenzione per questo aspetto delicato e dibattuto da diversi anni. Le obiezioni Pag. 15formulate in Commissione affari esteri al decreto-legge evidenziano che la questione non può essere risolta meramente con le semplificazioni di procedure che a livello nazionale sono molto più stringenti. Inoltre, certe semplificazioni potrebbero condurre a scorciatoie che il Governo non ha probabilmente preventivato e non soddisfarebbero certamente l'obiettivo che si vuole raggiungere.
Qual è questo obiettivo? Contrastare la fuga di intelletti italiani, una condizione assolutamente prioritaria per le sfide future che l'Italia deve affrontare e per le prospettive di sviluppo del nostro sistema Paese. La storia recente e la cronaca quotidiana ci mostrano che molti paesi europei ed extraeuropei si avvalgono del talento intellettuale di italiani, più o meno giovani, senza avere investito risorse sulla loro formazione, ma utilizzandone competenze e capacità acquisite nel nostro sistema formativo.
Oggi assistiamo impotenti ad una situazione che vede l'università italiana investire migliaia di euro per ogni studente in formazione pre e post laurea senza che tutto ciò dia frutti nel mondo accademico o nel mondo dell'industria privata. Non se ne vedono gli esiti positivi nell'ambiente accademico per i noti problemi a far valere la meritocrazia, e le disposizioni contenute nel provvedimento del Governo non risolveranno questo nodo; non se ne vedono i frutti neanche per il mondo privato, i cui interessi spesso non coincidono con quelli accademici, contrariamente a quanto avviene nelle nazioni europee più avanti di noi.
Il momento negativo dell'economia italiana, accentuato dalla crisi finanziaria globale, impone certamente scelte drastiche, ma noi crediamo che la riduzione del credito d'imposta, prevista nel cosiddetto decreto anticrisi, dilaterà ancora di più la cesura tra questi due mondi, che dovrebbero cercare maggiori convergenze e sinergie. Spesso ciò avviene anche per mancanza di coordinamento tra questi due mondi; le persone che lo Stato italiano ha formato cercano sbocchi all'estero; evidentemente c'è un ruolo che svolge il mercato nel fare incontrare domanda e offerta, ma i problemi che stiamo affrontando hanno anche origini problematiche che si sono pervicacemente radicate nel nostro sistema.
La preparazione di base fornita dalle nostre università non è affatto mediocre, se è vero che molti nostri laureati e studiosi trovano collocazione stabile nel sistema accademico. Io sono un parlamentare eletto all'estero e conosco molto bene le realtà di Basilea, di Zurigo, di Monaco di Baviera, dell'Ufficio europeo brevetti, del Max Planck Institute e di altri. Ho tratto sempre convincimento che i nostri giovani, i nostri talenti che vanno all'estero, sicuramente riescono a sfondare molte porte, nonostante anche le difficoltà ambientali. Questo spiega la collocazione stabile nel sistema accademico e nella ricerca pubblica e privata di svariati Stati europei ed oltreoceano. In passato sono stati esperiti molti tentativi per far rientrare gli studiosi italiani dall'estero, i provvedimenti emanati hanno mostrato diverse lacune, prima fra tutte il fatto di non poter offrire al rientrante un posto di lavoro equiparabile qualitativamente ed economicamente a quello lasciato all'estero.
Come si possono superare, signor Presidente, questi limiti e come si può davvero centrare l'obiettivo perseguito dalla legge di cui ho già parlato? Io credo che occorra cominciare con interventi strutturali: secondo la nostra opinione, si dovrebbe cominciare a prevedere che i corsi post laurea, come quelli di dottorato, debbano essere svolti per almeno il 50 per cento della loro durata all'estero. In questo modo si potrebbe creare un livellamento qualitativo verso l'alto di tutti i dottorati; oggi ci sono dottorati che hanno avuto pochissimi contatti con l'estero e altri che invece vi hanno maturato una lunga esperienza. Questa disparità è dovuta anche al fatto che l'aumento della borsa per gli studenti che vanno all'estero è modesto e del tutto insufficiente per poter pensare che un dottorando possa vivere all'estero, specialmente in alcuni Paesi. Quindi, alcuni nostri giovani talenti Pag. 16non vivono un'esperienza all'estero semplicemente perché non dispongono di risorse finanziarie sufficienti.
Inoltre, bisogna spingere tutte le università a costituire scuole di dottorato in collaborazione con almeno un'università straniera e prevedere, quindi, scambi continui di informazioni e di persone. Occorre individuare quali siano i campi in cui l'Italia è deficitaria e spingere nella formazione delle persone in quei campi. Premiare il mondo privato che vuole colmare tali deficit, così come si ipotizza nel decreto-legge, servendosi delle persone formate all'estero è giusto e sicuramente sostenibile; ben vengano, quindi, strumenti come le agevolazioni fiscali per le industrie che intendono operare seriamente in tal senso, senza, tuttavia, che la proposta si trasformi un escamotage fiscale e ponendo attenzione a mantenere il giusto equilibrio nei confronti di coloro che da anni sopportano la fatica dell'attesa in Italia.
Lo studioso che va all'estero deve rientrare e trovare un ambiente culturalmente simile a quello che ha lasciato. Oggi uno dei problemi è certamente rappresentato dalla carenza di mezzi e di strutture, ma anche da una mentalità poco internazionale, con un sistema ingessato in formalismi e gerarchie. In una mia recente proposta di legge suggerisco di inserire una quota obbligatoria di internazionalità - sottolineo obbligatoria, signor rappresentante Governo - anche nel reclutamento dei docenti; lo Stato non deve svolgere soltanto il ruolo di regolatore, ma deve anche investire: investire, signor Presidente, non spendere. Infatti, bisogna razionalizzare le risorse, non spendere in cose inutili, ma è sicuramente doveroso aumentare il numero di ricercatori, prevedere contributi più sostanziosi per i dottorandi che vanno all'estero, nonché, in collaborazione con le nostre rappresentanze all'estero, sostegno e agevolazioni sapendo che non sono spese, ma investimenti nel presente e nel futuro.
Mi rendo conto, tuttavia, come peraltro ha fatto notare in Commissione il sottosegretario Stefania Craxi, che è autorevole rappresentante di questo Governo, che la decapitazione del bilancio del Ministero degli affari esteri mal si presta alla realizzazione degli obiettivi preconizzati per il rientro dei nostri cervelli e, quindi, soprattutto per il ruolo che dovrebbe svolgere la Farnesina. In questi giorni si è svolta a Roma la prima Conferenza dei giovani italiani nel mondo; tra questi, vi sono parecchie eccellenze italiane provenienti da 36 Paesi che ospitano nostre comunità. È vero che qualche giornale l'ha buttata sul ridicolo, evidentemente prendendo in giro se stesso, perché si tratta di giovani che hanno maturato esperienze di grande spessore. Sicuramente non tutti, ma molti di essi oggi occupano posti centrali molto importanti per il nostro Paese perché costituiscono quella rete che tutti dovremmo alimentare. Credo che con questi giovani, che coltivano ancora forte nel cuore il legame con la madrepatria, e che tra l'altro sono stati in quest'Aula, dovremmo saper attuare, onorevoli colleghi, adeguate politiche sia per arginare la fuga dei cosiddetti cervelli, sia per dare un'opportunità ai tanti ricercatori italiani all'estero di poter esercitare la loro attività nel Paese di origine.
Gli investimenti sono realizzati per avere un ritorno maggiore di quello che si è dato; si può prevedere, come succede per ogni investimento, che per alcuni anni ci siano più uscite che entrate ma, alla fine, se le cose vengono fatte perbene - ce lo insegnano gli altri Paesi - il guadagno è certo, non solo per l'università, per l'economia, soprattutto quella del sapere e dei beni immateriali, ma anche, e forse è più importante, per tutta la società italiana (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Goisis. Ne ha facoltà.

PAOLA GOISIS. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, gestire una crisi come quella posta dalla governance degli atenei, attualmente vincolata da una normativa superata e che va conseguentemente rivista in funzione di un Pag. 17coerente rinnovato modello istituzionale, è sempre difficile.
Le strumentalizzazioni ideologiche sono ingiustificate, a fronte delle complesse situazioni che il Ministro si è trovato a dover risolvere.
Il decreto-legge che ci accingiamo a esaminare non ha sicuramente la pretesa di sostituirsi agli organi della componente accademica che, autonomamente, devono e possono procedere ad un assetto delle complesse funzioni decisionali, assumendosi tutta la responsabilità nella programmazione e nell'allocazione delle risorse, in modo tale da cancellare l'accusa di autoreferenzialità ad essi rivolta. Sono tante le critiche infondate che vengono rivolte da quella parte del mondo accademico strumentalmente ideologizzata, con la quale la Lega Nord - parte della maggioranza di Governo - vuole avere un confronto, per giungere ad una vera riforma che, superando le operazioni strumentali e di dubbio conio - cui prima accennavamo -, pervenga ad una riaffermazione del fine di alta formazione e di cultura critica e costruttiva, che dia maggiore rilievo alla ricerca, premi il merito ed apra ai talenti dei capaci e dei meritevoli.
Il decreto-legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008, ha previsto una riduzione annuale, fino al 2013, del Fondo per il finanziamento ordinario di 467 milioni di euro e un taglio del 46 per cento sulle spese di funzionamento e una riduzione del turnover per l'università nel periodo 2009-2013. In termini finanziari, si tratta di 64 milioni di euro nel 2009, di 190 milioni di euro nel 2010, di 316 milioni di euro nel 2011, di 417 milioni di euro nel 2012 e così via: un taglio complessivo di quasi quattro miliardi di euro in cinque anni.
La trasformazione delle università pubbliche in fondazioni di diritto privato, forse, è una soluzione, secondo noi. Tutto ciò ha determinato negli atenei un profondo allarme e una grande frustrazione. Anche la sinistra deve avere piena consapevolezza - ma sicuramente ce l'ha - della fase molto difficile e quanto mai incerta che l'economia internazionale e quella nazionale stanno attraversando. Un'attenta riconsiderazione e, per quanto possibile, un ridimensionamento delle spese universitarie, senza alcun dubbio, sono comportamenti ai quali gli atenei devono sentirsi tutti tenuti. È lodevole che il Ministro abbia voluto tenere conto dei sacrifici ai quali le università statali e non statali avrebbero dovuto sottoporsi, con conseguenze inevitabili e di portata dirompente per il Paese, rivedendo, nel decreto-legge in esame, la misura e le modalità di applicazione del blocco sul turnover, che sicuramente avrebbe avuto effetti particolarmente pesanti.
Riteniamo importante la previsione contenuta nel decreto-legge in discussione circa la riassegnazione dei relativi fondi secondo criteri e parametri ben definiti e vincolanti, in vista di obiettivi di riqualificazione e di controllo della spesa e dei livelli qualitativi della formazione e della ricerca universitaria, valorizzando, conseguentemente, le posizioni dei giovani più meritevoli e favorendone le attività, in un contesto che dovrà, comunque, prevedere l'attivazione di un adeguato sistema di valutazione e di verifica dei risultati raggiunti e un aggiornato modello di governance, nonché rinnovati meccanismi di reclutamento e di sviluppo delle carriere.
È altrettanto importante che il Ministro abbia parimenti riconsiderato con urgenza i criteri e il modello stesso di attribuzione delle risorse, facendo immediatamente confluire nel FFO (Fondo di finanziamento ordinario) tutte le varie assegnazione finalizzate che oggi caratterizzano i trasferimenti statali e introducendo nella ripartizione tra gli atenei maggiori elementi di premialità e fattori di riequilibrio, a fronte di indicatori pienamente attendibili e significativi, sia con riguardo alle azioni realizzate e ai risultati ottenuti, sia in relazione alle condizioni di contesto e alle specificità e ai comportamenti dei soggetti interessati.
L'articolo 3 del presente decreto-legge prevede, per l'anno 2009, lo stanziamento di 65 milioni di euro per la realizzazione di alloggi e residenze per gli studenti universitari, al fine di favorire la mobilità Pag. 18studentesca in ambito nazionale e con lo scopo di recuperare il divario che, purtroppo, separa l'Italia dagli altri Paesi europei, quanto a residenze universitarie.
Il decreto-legge in esame apre anche ad una più ponderata valutazione delle criticità emerse, a cominciare dalla revisione del sistema di reclutamento della docenza, secondo linee che garantiscono, ad un tempo, rigore e trasparenza della valutazione scientifica e semplicità e linearità delle procedure, distinguendo, per queste ultime, tra promozione e reclutamento vero e proprio.
La Lega Nord sa bene che l'università italiana soffre oggi per un eccesso di presenza pubblica e, in particolare, di una soffocante regolamentazione pubblica, nonché per un diffuso nepotismo nella selezione del personale. Per correggere questi gravissimi inconvenienti, occorre, secondo noi, introdurre elementi privatistici nella proprietà e nella gestione delle sedi universitarie, accrescerne il grado di autonomia, introdurre elementi di trasparenza e di maggiore efficienza nel reclutamento dei docenti. Noi riteniamo che, finché le università sono finanziate dallo Stato e solo in minima parte dagli studenti, non ci sia nessuno stimolo a migliorare l'efficienza della loro attività e il livello qualitativo dei titoli che rilasciano. Invece, se gli studenti devono pagare più tasse, possono pretendere migliori servizi e le università entrano in concorrenza tra loro per attirare studenti.
La critica che potrebbe rivolgersi a tale criterio di azione si fonderebbe sull'argomento dell'iniquità sociale, che però è superabile. Infatti, oggi i figli dei veri poveri non possono comunque andare all'università, perché non in grado di rinunciare ai redditi che perderebbero se studiassero invece di lavorare. Se alle spese dell'università provvede soprattutto lo Stato, si determina un trasferimento di risorse dalle famiglie povere, che non possono mandare i figli all'università, ma che almeno pagano un po' di imposte, in particolare quelle indirette, pagando quindi anche i costi dell'università alle famiglie certamente meno povere, che mandano i figli a studiare.
Il risparmio di risorse finanziarie pubbliche, che si otterrebbe riducendo i contributi dello Stato alle università, potrebbe essere inoltre utilizzato per assegnare borse di studio agli studenti poveri meritevoli. Oggi, questo tipo di spese è ridotto al minimo. Questa strategia permetterebbe poi di aumentare il peso delle università private a scapito di quelle pubbliche. Le migliori università del mondo sono notoriamente le grandi università private americane e anche in Italia, ad esempio, la sede di gran lunga più qualificata in campo economico è l'università commerciale Bocconi di Milano, mentre molte università pubbliche italiane sono di livello modesto, pur riconoscendo la presenza anche di università pubbliche invece validissime.
È bensì vero che in Italia vi sono anche università private di bassa qualità, che servono essenzialmente ai figli dei ricchi per ottenere il titolo di studio senza studiare molto o, anzi, senza studiare. Anche a questo inconveniente, però, si può porre rimedio con una seconda linea d'azione utile sotto molti riguardi. Sosteniamo, infatti, da tempo la necessità di eliminare o almeno ridimensionare il valore legale dei titoli di studio. Il valore legale delle lauree favorisce l'esistenza di sedi universitarie scadenti, che distribuiscono i titoli ai quali non corrisponde una buona preparazione, ma che consentono l'accesso a determinate carriere, ad esempio, attraverso il requisito della laurea, necessario per accedere ai migliori concorsi pubblici, che poi mediocri laureati possono in teoria, ma purtroppo anche in pratica, superare.
Se invece i concorsi pubblici fossero più severi e selettivi, che non sembra un obiettivo impossibile, e l'ammissione a queste prove più selettive fosse più libera di oggi, cesserebbe l'interesse a conseguire titoli di studio puramente cartacei, eliminando così dei privilegi certamente inutili e dannosi. Prevarrebbe, invece, l'interesse a frequentare i migliori corsi universitari, che garantissero una buona preparazione Pag. 19e non solo il titolo accademico. In tal modo, le università entrerebbero in concorrenza tra loro e le migliori sedi potrebbero anche esigere dai loro iscritti rette più elevate, creando così un circolo virtuoso.
Le migliori sedi sarebbero più care, ma garantirebbero migliori prospettive di lavoro. Collegata con queste due prime linee di azione sarebbe una terza strategia, volta a rendere più efficienti e trasparenti le procedure di selezione del personale. È importante arrivare ad una radicale riforma delle procedure di reclutamento dei docenti. Il valore dei professori ordinari di prima fascia, i cosiddetti baroni, molti dei quali sono autentiche glorie nazionali e luminari della scienza, è messo in dubbio dal fatto che, fino ad oggi, la carriera accademica è stata inquinata da gravi fatti di nepotismo. Di ciò sono responsabili, almeno in parte, procedure di selezione basate soprattutto sull'esame dei cosiddetti titoli scientifici, pubblicazioni la cui paternità è sovente dubbia, la cui proclamata originalità è spesso inesistente e concessa con troppa larghezza da commissioni compiacenti, composte da professori di ruolo della materia.
Si determina, quindi, un meccanismo di cooptazione, che può anche avere degli aspetti positivi, ma che di fatto genera spesso carriere riservate a figli, parenti e amici di professori in carica.
Altra importante questione è l'accentuazione dell'autonomia delle sedi universitarie; è del tutto ovvio che uno schema di governance delle università quale quello vigente impone la realizzazione di un'autentica autonomia delle sedi stesse, che oggi, invece, dipendono da organismi esterni (Ministero dell'università, Consiglio universitario nazionale, Conferenza dei rettori), che ne controllano atti anche minimi di gestione.
Poiché, al solito, nel nostro Paese si dice una cosa e se ne fa un'altra, l'autonomia universitaria è un feticcio omaggiato a parole e smentito dai fatti, tanto che docenti stranieri, cui viene detto che le nostre università sarebbero autonome, se imparano anche a conoscerle bene dall'interno, ridono di fronte alla pretesa di autonomia di cui sentono parlare. Di esempi se ne potrebbero fare tanti, ma se, ad esempio, un'università volesse istituire una nuova materia di insegnamento, lo dovrebbe poter fare subito e senza tante storie, senza dover acquisire pareri esterni o senza dover adeguarsi a criteri dettati dall'alto. Se un'università volesse avvalersi dell'opera di un docente, dovrebbe poterlo fare senza curarsi di rispettare una serie di regole e di poteri ad essa esterni.
Ancora una volta, il buon esito di tali criteri di condotta autonoma sarebbe garantito, ovviamente nei limiti di ciò che è umanamente realizzabile, dal quadro di libertà, di privatizzazione e di efficienza che abbiamo illustrato precedentemente (Applausi dei deputati dei gruppi Lega Nord Padania e Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Centemero. Ne ha facoltà.

ELENA CENTEMERO. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, l'università e la ricerca sono una ricchezza fondamentale per l'Italia e tutti siamo concordi nell'affermare che l'università deve tornare ad essere strumento di crescita davvero efficace e di promozione sociale e personale in un Paese avanzato; per questo, deve rinnovarsi e rendersi trasparente nella condotta e nei risultati.
Nell'ambito del sistema di formazione universitario e della ricerca, credo siano due le sfide su cui saremo chiamati ad agire: innanzitutto, nell'ambito della formazione universitaria, la sfida è quella di pensare ad un sistema di istruzione che possa davvero accrescere e sostenere il sistema Italia. Nell'ambito della ricerca scientifica, la sfida è pensare come Stato, università e imprese possano interagire in modo sinergico, per aumentare il trasferimento scientifico e tecnologico e per sostenere la produttività del sistema italiano.
Si rende necessario pensare ad un ammodernamento della nostra università, che ne aumenti la qualità formativa, la Pag. 20competitività e l'internazionalità; per far questo, bisogna pensare ad una politica che si strutturi su scelte di breve, medio e lungo termine.
Una riforma è una scelta strategica di medio e lungo termine, ma, come ci ha ricordato il sottosegretario Pizza in Commissione, il decreto-legge n. 180 del 2008 non è né intende essere una riforma, dunque una politica di medio e lungo termine, ma, come reca il titolo, si tratta di disposizioni urgenti, dunque di una politica di breve periodo.
Urgenza in che termini? Innanzitutto, le risorse vanno erogate in relazione all'efficacia e all'efficienza di funzionamento delle università: in una parola, qualità. La qualità porta a verificare l'efficacia e l'efficienza, in quanto bisogna tener conto dei risultati dei processi formativi e delle attività di ricerca scientifica.
In secondo luogo, urgenza in attesa del riordino delle procedure di reclutamento dei docenti. Bisogna stabilire le regole per le procedure concorsuali (comprese quelle già attivate) di cui all'articolo 1, del quale i miei colleghi hanno parlato a lungo in precedenza. Si tratta di regole che, in questo momento, sono transitorie e che servono in questa fase, appunto, di urgenza.
Il terzo principio, il principio guida, è la trasparenza, su cui tutti siamo d'accordo. Dunque, l'intervento in un settore così strategico va e deve essere pensato lasciando da parte le scelte di parte, dietro cui stanno, non c'è dubbio, problematiche reali e preoccupazioni, che, però, avranno modo di essere analizzate e sviscerate nella fase successiva, quella di strutturazione delle politiche a medio e lungo termine, ossia delle politiche di riforma.
L'invito è quello di cogliere dunque, come le modifiche del Senato ci indicano, la possibilità di aprire un dibattito ed un confronto, che verterà sulla vera azione di riforma per l'università, ossia le politiche a medio e lungo termine, a cui tutti - tutti, lo ripeto - siamo chiamati a dare il nostro contributo, e su cui il Paese e gli studenti ci giudicheranno nel complesso, non in una visione parziale. E allora sì, quando imposteremo questa politica di riforma, dovremo porci un obiettivo di lungo termine, a cui arrivare passo dopo passo, come espresso nelle linee guida presentate dal Ministro Gelmini il 6 novembre nel Consiglio dei ministri, linee guida che saremo chiamati a tradurre in proposte concrete.
Queste linee guida ci danno alcune indicazioni di direzione. Innanzitutto, il miglioramento del sistema in termini di qualità dell'offerta formativa e della ricerca: dovremo definire cosa intendiamo per qualità. In secondo luogo, la gestione responsabile e la sostenibilità economica. In terzo luogo, autonomia e responsabilità come scelta, a mio giudizio, etica. L'obiettivo del miglioramento del sistema passa non nella distribuzione a pioggia delle risorse, ma in primo luogo attraverso il concetto di accountability e merito. L'obiettivo primario è far sì che l'università e la ricerca diano davvero un contributo efficace allo sviluppo del Paese, e diventino davvero una sua risorsa. In che modo? La via indicata è quella di porre al centro dell'università lo studente; e porre al centro lo studente significa anche offerta formativa, ma anche diritto allo studio, di cui all'articolo 3: per la prima volta si copriranno tutte le borse di studio degli allievi aventi diritto, gli studenti capaci e meritevoli ma privi di mezzi. Le residenze universitarie, la qualità, il reclutamento dei docenti e l'anagrafe nazionale degli ordinari, degli associati e dei ricercatori, contenente per ciascuno l'elenco delle pubblicazioni scientifiche prodotte: questi elementi sostanziano il decreto-legge sull'università.
In conclusione, gli interventi posti in atto dal Governo in materia di università mirano a creare una formazione di qualità, migliorando le possibilità di accesso ed opportunità, così da rendere i giovani protagonisti attivi dell'emergente economia della conoscenza, e così da rafforzare la solidarietà sociale, ma anche la responsabilità e la trasparenza, l'accountability di tutte le parti chiamate ad operare nell'università Pag. 21(Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Drago, iscritto a parlare: s'intende che vi abbia rinunciato.
È iscritto a parlare l'onorevole Vassallo. Ne ha facoltà.

SALVATORE VASSALLO. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, devo innanzitutto rilevare come ancora una volta in occasione dell'esame di questo decreto-legge ci troviamo a discutere di un argomento così importante per lo sviluppo del nostro Paese sotto l'urgenza e in reazione a eventi contingenti, mentre, come cercherò di dire, l'università italiana ha bisogno di riforme profonde. Non è vero che esistono i sostenitori delle riforme e i difensori dello status quo, e che questi siano distribuiti in maniera disomogenea nei diversi schieramenti in cui si articola l'Aula: esiste, ed è riconosciuta da molte parti, la necessità di una riforma profonda del sistema universitario, forse anche, però, senza eccedere nelle rappresentazioni esageratamente, esasperatamente negative che vengono fornite dell'università in quest'ultimo periodo. E invece siamo di fronte, ancora una volta, ad un provvedimento che risponde ad eventi contingenti, e si muove sull'onda dell'urgenza.
Innanzitutto vorrei dire che non è utile (e non credo faccia bene al dibattito che avviene in quest'Aula, nel Paese, e alla possibilità di svolgere realmente, nei prossimi anni, un'azione riformatrice) questo atteggiamento di dipingere il Partito Democratico, e l'opposizione in generale, come una forza politica a difesa dello status quo, rispetto alla quale vi sarebbero invece una maggioranza e un Governo che provano ad introdurre incisive riforme nel sistema universitario. Cercherò di dimostrarlo, perché credo che questo provvedimento presenti alcune ambiguità e contraddizioni, e che, soprattutto, non sia conseguente con il principio che è stato spesso evocato nel presentarlo, ovvero che si vorrebbe iniziare ad introdurre dei principi meritocratici che qualificherebbero la selezione del personale docente, e dovrebbero spingere gli atenei, i dipartimenti, le strutture universitarie, ad agire secondo maggiori standard di qualità nella ricerca, comparabili a quelli di altri Paesi con cui normalmente ci confrontiamo.
Prima di tutto, però, vorrei dire che il dibattito intorno al sistema universitario presenta un primo difetto: questo dibattito, in sede parlamentare e legislativa, è iniziato non avendo in mente, e presentando al Paese e a quest'Aula, un progetto di riforma, ma rispondendo ad un'esigenza di contenimento della spesa. Il primo momento, nel corso di questa legislatura, nel quale abbiamo cominciato a discutere di università e di sistema universitario è stato, di fatto, con la presentazione del decreto-legge n. 112 del 2008, allorché l'intervento più significativo è stato quello di ridurre gli stanziamenti per il Fondo di finanziamento ordinario delle università, imponendo un blocco al ricambio del personale docente e di ricerca. Dopodiché, sull'onda delle pressioni del movimento degli studenti, è arrivato questo primo provvedimento che, in qualche modo, fa dei passi indietro rispetto al decreto-legge n. 112 per quanto riguarda l'assegnazione di risorse all'università, e comincia anche timidamente - come cercherò di sottolineare - ad introdurre elementi di innovazione nell'organizzazione del sistema universitario che dovrebbero promuovere la qualità della ricerca, una migliore selezione del corpo docente, un progressivo adeguamento dell'università italiana agli standard internazionali.
Rimane, tuttavia, il peso fortissimo dei tagli che sono stati imposti dal decreto-legge n. 112, che stanno lì come un macigno, e che rischiano di mettere completamente in crisi il sistema universitario nel volgere di qualche anno. Siccome il Governo ha avuto come primo problema quello di ridurre gli stanziamenti, o meglio, ha cominciato a discutere di università da tale questione, si è anche sviluppato nel Paese un dibattito che tende a fornire una rappresentazione deformata Pag. 22dell'università. Si sono sviluppate campagne che gettano un discredito generalizzato sul sistema universitario nel suo complesso, che sembrano realizzate apposta per dimostrare che le risorse ad esso assegnate vengono quasi sistematicamente sperperate, tanto da giustificare l'idea che sia meglio ridurre le risorse a disposizione del sistema universitario, e che questa sia una specie di utile premessa per una sua riforma. Su questo punto noi continueremo a discutere e ad essere in disaccordo. Questo sarà il nodo che alla fine rischierà di bloccare anche i segnali positivi presenti nelle iniziative del Governo di questi giorni e alcune misure, molto ragionevoli, contenute nelle linee guida proposte dal Ministro Gelmini.
Infatti è del tutto evidente che sarà molto difficile introdurre quei meccanismi di allocazione meritocratica delle risorse tra gli atenei e i dipartimenti in una fase nella quale il complesso delle risorse a disposizione del sistema universitario viene drasticamente ridotto. Quindi, è bene che questo sia chiaro. Oggi noi discutiamo e facciamo un gioco delle parti, per cui il Governo e la maggioranza affermano che tutto sommato vi è stata una reintegrazione di risorse, anzi qualcuno dice che vi sono nuove risorse messe a disposizione dell'università. Noi sappiamo benissimo che con questo decreto vi sono stati timidi passi indietro per quanto riguarda l'FFO, e sono state previste un po' di risorse aggiuntive per quanto riguarda il diritto allo studio e l'edilizia universitaria, ma rimane appunto un macigno, con il quale il sistema universitario si dovrà confrontare, che rischia di rendere impraticabili anche quelle, in linea di massima, positive innovazioni che oggi in qualche misura vengono introdotte e che sono, per così dire, promesse nelle linee guida presentate qualche tempo fa dal Ministro Gelmini.
È bene mettere a verbale, innanzitutto, che si tratta, appunto, di timidi passi indietro rispetto ai tagli operati dal decreto-legge n. 112, al contrario di quanto qualche collega della maggioranza ha riferito nel corso di questa discussione. Qualcuno ha detto che il decreto porta ad un ampliamento del turnover dal 20 al 50 per cento: è chiaro che questa è una di quelle operazioni che sono un puro passo indietro rispetto ad un taglio ben più incisivo che era stato introdotto con il decreto-legge n. 112, che aveva - quello sì - ridotto al 20 per cento la possibilità del turnover e di conseguenza aveva ridotto gli stanziamenti per il Fondo di finanziamento ordinario. Quindi, vi è un segno «più», che viene venduto nel dibattito pubblico come tale, ma che semplicemente rappresenta una parziale reintegrazione di risorse tagliate tra luglio e agosto.
In qualche modo, questo stesso gioco di far scomparire e ricomparire risorse per poter dire di aver messo soldi nella ricerca e nella formazione capita anche per quanto riguarda il diritto allo studio, le borse di studio e l'edilizia residenziale universitaria. Con il decreto Tremonti di luglio il fondo per le borse di studio aveva subito una riduzione di 40,1 milioni di euro. Nello stesso tempo, quello per il sostegno alla mobilità dei giovani aveva subito una riduzione di 9,7 milioni. Ora il primo fondo viene reintegrato con 135 milioni di euro, e dunque in realtà l'investimento aggiuntivo - come chiunque può intendere - è di 85 milioni. Il fondo per alloggi e residenze per studenti universitari, che la finanziaria riduce di 12,5 milioni, viene reintegrato dal decreto Gelmini con 65 milioni, dunque in questo caso le risorse aggiuntive sono in realtà 52,5 milioni.
Tutte queste sono scelte molto condivisibili, c'è solo da chiedersi come mai queste stesse scelte non sono state fatte quando furono richieste dall'opposizione in sede di esame del decreto-legge n. 112, e poi perché stranamente non sono state fatte in sede di esame della legge finanziaria, ma invece sono state inserite in un decreto a parte. È del tutto evidente la ragione propagandistica di questo modo di operare del Governo, che taglia un giorno prima e rimette risorse il giorno dopo, potendo in questo modo dire - con l'aiuto di una stampa un po' distratta - che, Pag. 23appunto, sono state previste nuove risorse a disposizione dell'università, dei giovani e della ricerca.
Ciò detto, poiché ritengo che l'università sia un'istituzione troppo importante e si tratti di un problema troppo serio perché ci si possa barricare dietro il tradizionale gioco delle parti, della maggioranza che tende a porre enfasi sulla bontà dei provvedimenti presentati in aula dal Governo e dell'opposizione che tende sistematicamente a denigrarli, non voglio assolutamente negare un elemento positivo. È del tutto evidente - ne sono consapevoli le persone che da tempo lavorano in questo settore - che vi è un elemento positivo nell'aumento di quei fondi e, in generale, vi è una necessità e, quindi, è positivo che vi sia nel medio periodo un riequilibrio nel rapporto tra le risorse che vengono investite per il diritto allo studio e le risorse che il sistema universitario utilizza per remunerare il personale, soprattutto per i docenti. È chiaro che non può essere un'operazione che si fa per sottrazione.
Allo stesso modo, è condivisibile l'idea che si debba dare un segnale agli atenei che si sono già caricati di una spesa per stipendi superiore al consentito e che hanno superato il vincolo del novanta per cento. In questo caso, forse anche esagerando per ragioni ancora una volta propagandistiche, la soluzione proposta dal Governo è un po' troppo rigida: facciamo rispettare sul serio il vincolo del novanta per cento, al limite anche facendo pesare su quel novanta per cento gli aumenti stipendiali e rimettendo in discussione una soluzione un po' ipocrita che si è andata consolidando nel corso degli anni, in base alla quale questo novanta per cento viene calcolato soltanto sullo stipendio base e non sugli incrementi maturati nel corso degli anni. Tuttavia, stabilire che tutte le università che hanno superato questo vincolo stupido - come è stato detto per norme simili in ambito europeo - non possano più assumere forse è una disposizione po' rigida.
Il criterio che preesisteva poteva essere difeso, eventualmente applicandolo in maniera rigorosa: gli istituti che superano il novanta per cento non possono reintegrare il loro organico in misura completa e possono farlo soltanto in misura parziale, in modo che nel corso del tempo rientrino in quel vincolo.
Ribadisco che nel decreto-legge sono contenuti anche elementi positivi che segnano un indirizzo condiviso in una comunità di persone che da tempo si interrogano sulla necessità di riformare l'università italiana e di renderla più meritocratica, più simile ai sistemi universitari di altri Paesi che molti di noi hanno frequentato per ragioni professionali. Tuttavia, il decreto-legge prende avvio proprio da un aspetto sbagliato: pone un'enfasi eccessiva sulle procedure concorsuali laddove tutti coloro che si sono interrogati seriamente su questo problema sanno e possono dimostrare che non è certo il metodo di svolgimento dei concorsi che può fare la differenza. Del resto, nella stessa logica esposta dalle linee guida Gelmini, questo dovrebbe essere evidente. I sistemi universitari e la selezione del personale in ambito universitario è quasi sempre per definizione basata sulla cooptazione, vale a dire sulla selezione da parte dei pari. Non c'è alcuna altra platea che possa selezionare gli accademici ed i ricercatori se non coloro che svolgono attività di ricerca in misura più o meno avanzata in quel settore. Quindi, la selezione per cooptazione, anche se il termine è brutto, è la norma ovunque. I sistemi più virtuosi sono quelli che offrono incentivi adeguati a coloro che selezionano il personale di ricerca. I sistemi più virtuosi sono quelli nei quali coloro che selezionano sanno che, se selezionano persone promettenti e produttive, questo avvantaggerà l'istituzione nella quale lavorano, la sua reputazione e la sua capacità di attrarre risorse. I sistemi nei quali tu puoi selezionare chi vuoi perché tanto non fa alcuna differenza per il prestigio del tuo dipartimento e per le risorse che puoi ottenere e usare per la ricerca sono quelli che funzionano peggio. Ma non è l'incattivirsi sulle procedure di selezione, sui concorsi, che ci fa fare passi avanti. Devo Pag. 24dire che lo sforzo fantasioso di usare il sistema di sorteggio, peraltro applicato a concorsi in itinere, temo che avrà soltanto l'effetto di aumentare in misura spaventosa il contenzioso. Infatti, quando si risolve un problema, se ne creano altri cinque.
Si risolve il problema di coloro che fino adesso non si erano presentati ai concorsi, riaprendo i termini di presentazione delle domande, e se ne riaprono altri, da parte di coloro che le avevano già presentate prima. Quindi, da questo punto di vista, possiamo solo augurarci e augurare al Ministero e agli atenei buona fortuna per questa tornata elettorale, perché, avendo messo le mani in questa complicata materia - partendo peraltro dal punto sbagliato, per quanto riguarda la direttrice generale della riforma - temo che ci ritroveremo senza aver migliorato la qualità del personale accademico selezionato, ma avendo complicato enormemente la vita agli atenei.
È invece molto importante ed è opportuno che una parte progressivamente crescente di risorse venga allocata agli atenei o alle strutture di ricerca, come in effetti viene previsto dal decreto-legge in esame, sulla base di una valutazione della produzione scientifica. Vi è solo da dire, a questo riguardo, che i criteri ancora non sono noti ed è naturalmente in questi dettagli che si vedrà se la cosa funziona. Quindi, molto bene che il decreto-legge in esame preveda l'allocazione del 7 per cento del Fondo di finanziamento ordinario, basata su una valutazione della qualità e quantità della ricerca. Vedremo ancora con maggiori punti interrogativi come farà il Ministero a valutare la qualità della didattica, ma questo è un territorio che va comunque esplorato e quindi prima o poi bisognava iniziare. Vedremo.
Semmai, vi è da dire che ancora una volta il decreto-legge in esame non è coerente con la logica meritocratica che espone, perché, se è vero che bisogna allocare le risorse del Fondo di finanziamento su basi meritocratiche, deve essere anche vero, perché è un complemento necessario, che dentro gli atenei e dentro le strutture di ricerca, coloro che operano siano anche valutati a loro volta e apprezzati, per così dire, anche dal punto di vista della remunerazione, per la quantità e la qualità dell'apporto che danno alle strutture. Del resto, sarebbe del tutto logico pensare che, se un dipartimento prende molti soldi per il fatto che vi sono ricercatori operosi, è giusto che questi ricercatori siano a loro volta incentivati. Ebbene, il decreto prevede un meccanismo da questo punto di vista assolutamente burocratico, inefficace, forse inutile, come è stato detto, perché, quando avremo capito come si fa ad identificare cos'è una pubblicazione scientifica, forse ci accorgeremo che la definizione è talmente labile, che ci può entrare qualsiasi cosa e che quindi basterà consegnare una cosa stampata da un editore di comodo. Anche su questo punto vedremo, ma in ogni caso il principio è troppo semplicistico.
Con gli emendamenti che proporremo diremo come si può fare: si dovrebbe semplicemente assumere che - come accade in altri sistemi universitari che funzionano bene, quelli basati su questo tipo di incentivi - i singoli atenei e le singole strutture di ricerca possano modulare anche le forme contrattuali, ed avere un qualche margine di autonomia nel premiare i ricercatori più operosi.
Come vedete è un po' difficile - ribadisco questo concetto - ricondurre la discussione ai sostenitori dell'innovazione contro i difensori dello status quo: vi sono aspetti su cui maggioranza ed opposizione non sono d'accordo, come la valutazione di quante risorse siano oggi necessarie per sostenere l'università e la ricerca; vi è forse anche un'intenzione genericamente comune sulla necessità di introdurre meccanismi meritocratici competitivi, che rimotivino le università a coltivare l'eccellenza e su questo noi presenteremo emendamenti, nonostante l'indisponibilità sostanziale a discutere, per migliorare il testo anche da questo punto di vista, per renderlo più congruente con le finalità che in teoria vengono enunciate.
Speriamo in questo modo di cominciare ad aprire una discussione seria e Pag. 25vera su questi argomenti, nonostante l'indisponibilità che, purtroppo, temo dovremo registrare da parte della maggioranza e del Governo a fare la loro parte, in questo possibile dialogo per il miglioramento del sistema universitario (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ghizzoni. Ne ha facoltà.

MANUELA GHIZZONI. Signor Presidente, sottosegretario Pizza, onorevole relatore, colleghi, per la seconda volta in quest'Aula discutiamo su provvedimenti di politica universitaria e - voglio sottolinearlo - per la seconda volta il vettore normativo è quello della decretazione d'urgenza. Si tratta dell'ennesimo decreto-legge (personalmente ne ho perso il conto): non mi preoccupa tanto e solo il dato statistico, quanto piuttosto lo stato di salute della nostra democrazia. Dall'avvio della legislatura, infatti, l'attività del Parlamento è stata quasi totalmente dedicata alla conversione in legge di decreti-legge, poiché è convinzione palesata dell'Esecutivo che la discussione parlamentare sia poco più di un intralcio al proprio mandato. Appare chiaro a tutti, allora, il significato che il Governo Berlusconi attribuisce alle prerogative del Parlamento e al potere legislativo: discutere e confrontarsi nel merito delle questioni con l'opposizione e all'interno della stessa maggioranza sono, per questo Esecutivo, orpelli. Lo dico, naturalmente, con profondo rammarico.
Durante la conversione in legge del cosiddetto decreto Gelmini, il Presidente della Camera, onorevole Fini, aveva pronunciato parole importanti, che convinsero l'Esecutivo - lo ricorderete, colleghi - a non porre la questione di fiducia sulla legge finanziaria. Ci auguriamo che la resipiscenza del Governo non si sia esaurita in quell'occasione. Signor Presidente, avevamo avuto la speranza, dopo la presentazione delle linee guida sull'università presentate dal Ministro Gelmini, preceduta dal decalogo programmatico del Partito Democratico, cresciuto sull'idea di un approccio organico e strategico alla crisi universitaria, che un segnale in questo senso, al fine di ridare dignità a questa istituzione e sostanza alla democrazia, potesse avvenire proprio sulla politica universitaria. Non vi è dubbio, infatti, che il sistema nazionale universitario richieda cambiamenti, anche profondi, che possono avere, però, il respiro necessario solo con il concorso di proposte e soluzioni provenienti da tutte le forze parlamentari, anche per evitare il fallimento delle solite norme tampone, prive del respiro di un disegno di legge. Invece, ci troviamo a discutere, ancora una volta, di un decreto-legge, che è chiuso al contributo parlamentare.
Tutto questo accade mentre la signora Ministro continua a rilasciare dichiarazioni sulla necessità di dialogo e di confronto. Signor Presidente, il dialogo, però, si costruisce sui contenuti e sulle azioni concrete, atte a creare le condizioni che permettano di confrontarsi nel merito delle questioni, e non si compone sulle intenzioni annunciate sempre e solo mezzo stampa, perché la signora Ministro è spesso assente dalle sedi parlamentari, come lo è anche stasera.
Davanti alla sordità del Governo, ci siamo appellati alla dignità dei deputati di maggioranza, componenti della VII Commissione, per non trovarci di fronte all'ennesimo testo blindato e per espungere l'eventualità che le nostre modifiche migliorative fossero tutte rigettate. Ciò anche a fronte di un malcelato disagio - signor Presidente, uso un eufemismo - di molti colleghi della maggioranza: qualcuno, per la verità, non ha usato mezzi termini e, con sincerità, ha affermato che il testo è scritto «con i piedi» (cito a memoria, ma credo correttamente); la senatrice Poli Bortone, inoltre, «ha espresso imbarazzo per la redazione del testo, frutto, a suo giudizio, di modalità eccessivamente burocratiche di stesura, che non facilitano la comprensione delle norme».
Nonostante tutto ciò, l'ordine di scuderia di non emendare il testo è stato rispettato (almeno in Commissione, vedremo Pag. 26durante la discussione in Aula), e non perché il testo sia perfetto nella sua redazione attuale, anzi è vero il contrario. Oltre alle perplessità espresse dalla maggioranza (ne ho citati alcuni casi), potrei citare - non ne ho il tempo, ma invito i colleghi a prenderne visione - sia i rilievi del Servizio studi, sia quelli del Comitato per la legislazione.
Come dicevo, il testo resta intoccabile, perché i molti decreti-legge che attendono la conversione in legge, la scadenza ormai vicina del decreto-legge in parola e la prossima sospensione dei lavori per la pausa natalizia impediscono, di fatto, di calendarizzare una terza lettura del Senato.
Hanno capito bene i cittadini che ci stanno ascoltando o che leggeranno i resoconti della seduta: la Camera sta per approvare in via definitiva un testo imperfetto e modesto nei contenuti, come cercherò di dimostrare - lo hanno già fatto i colleghi che mi hanno preceduta - per il solo motivo che Natale è alle porte e il Governo non ha neanche saputo dare un'adeguata cadenza ai molti decreti, creando un vero e proprio ingorgo nei lavori parlamentari, che prevedono anche l'approvazione della legge finanziaria. Per di più voglio ricordare a questa Assemblea i tempi assai compressi - ne converranno i colleghi - e assolutamente inadeguati per l'esame in Commissione del decreto-legge in oggetto.
In considerazione di quanto espresso in premessa, è chiaro che il nostro lavoro e il nostro impegno assumono sempre più il connotato di un voto rituale. Come dicevo all'inizio, lo stato di salute della nostra democrazia deve preoccupare tutti noi.
Relativamente all'altro ramo del Parlamento, il Senato, che ha già esaminato in prima lettura il decreto-legge in oggetto, voglio ricordare (colgo l'occasione soprattutto per chiarirlo) che purtroppo, dico purtroppo, nessun accordo tra maggioranza e opposizione è avvenuto in quel ramo del Parlamento sul testo in parola. Ciò a meno che non si confonda lo spirito di condivisione con l'approvazione di alcuni sparuti emendamenti dell'opposizione, prevalentemente di contenuto formale. Spiace molto che ad accreditare la tesi del presunto accordo si sia prestata la Presidente della Commissione, al fine però, va detto, di convincere i componenti della sua stessa maggioranza sulla necessità di una blindatura del testo giunto dal Senato.
Cito questo episodio con rammarico e con rincrescimento, soprattutto nei confronti della smania di fare da soli, esplicitata dall'Esecutivo e dalla maggioranza, su una questione che è strategica e che avrebbe meritato tutta l'attenzione possibile anche per le nostre proposte migliorative. Infatti, un Governo responsabile e realmente intenzionato a dare futuro e migliorare un settore fondamentale quale è il sistema universitario, non dà sfoggio di autoreferenzialità, non si chiude a riccio nella convinzione di possedere tutte le soluzioni miracolose a problemi annosi ma si pone nella condizione di ascolto e confronto con tutte le componenti dell'università, le parti sociali e con le forze politiche dell'opposizione: questo non è accaduto.
Entro nel merito del provvedimento non prima di avere allertato i colleghi riguardo alla strumentale quanto superficiale campagna giornalistica di denigrazione dell'università; lo ha fatto anche il collega Valditara al Senato. Nessuno nega le degenerazioni, ma non possono essere prese a pretesto per diffamare l'intero sistema, le cui indiscutibili eccellenze troppo spesso vengono dimenticate. Siamo di fronte ad uno stereotipo che non rappresenta l'intero sistema universitario italiano. Eppure, gli stereotipi fanno presa sull'opinione pubblica e la diffusione di un senso comune che oggi associa all'università solo termini come fannulloni, clientelismo, nepotismo, spreco e dissesto finanziario aiuta a sostenere, presso quella stessa opinione pubblica, gli interventi di tagli pesantissimi inferti con il decreto-legge n. 93 del 2008, cosiddetto «taglia-ICI» e con la legge n. 133 del 2008. Ancora mi chiedo: a fronte di un attacco alla credibilità dell'università e alla sua funzionalità, a seguito dei tagli che ho Pag. 27appena richiamato, come si inquadra l'autorizzazione concessa al Senato per avviare una Commissione di indagine relativa ai bilanci e agli sprechi dell'università? Si tratta di un'indagine che sembra prestare una sorta di «destro tecnico» ai tagli inferti dalla legge n. 133 del 2008 e dal decreto-legge n. 93 del 2008 che, al netto del decreto-legge in discussione, esercita un taglio di ben un miliardo e 287 milioni del Fondo di finanziamento ordinario, come ha ricordato il collega Mazzarella. Si tratta di un fondo che nessuno si dà la pena di dire che è stato negli anni definanziato, a fronte di spese fisse e obbligatorie come quelle di personale, in costante aumento. A questo punto mi faccia ricordare, signor Presidente, anche che la spesa annua per studenti universitari in Italia è pari a 8.026 dollari, al di sotto della media dei paesi OCSE che è di 11 mila e 521 dollari. Per coloro che contestano il dato, dal momento che il nostro Paese non distingue tra studenti a tempo pieno e quelli a tempo parziale, dico di leggere attentamente le indicazioni dell'OCSE che sostengono quanto segue: l'effetto di studenti a tempo pieno e parziale si compensa dal momento che contarli complessivamente conduce ad una sottostima delle spese annuali e una sovrastima della durata degli studi.
Anche se noi prendessimo questo dato - cioè quello della spesa per la durata complessiva degli studi, definita «spesa cumulativa» - avremmo un risultato pari a 41 mila e 285 dollari per studente italiano, che è ancora al di sotto della media OCSE, che è di 47 mila e 159 dollari.
Siamo superati da ben dodici Paesi e tra questi Francia, Gran Bretagna, Germania e Spagna.
Rammarica, poi, che a diffondere dati non rispondenti alla realtà e che hanno l'aggravante di screditare il sistema universitario siano istituzioni deputate alla valutazione del sistema stesso. Mi riferisco ai dati, «rimbalzati» sulle pagine dei giornali e sui telegiornali, circa i numerosi corsi con zero matricole.
Una banale verifica tramite la banca dati del MIUR avrebbe dimostrato che tali corsi, almeno la stragrande maggioranza di essi, sono disattivati da anni e pertanto ovviamente privi di studenti. Una cosa certo più utile nella quale, invece, impegnarci - e in primis dovrebbe farlo il Governo - potrebbe essere unificare finalmente le attuali tre banche dati (e cioè quelle del CNVSU, del CINECA e del MIUR che, paradossalmente, contengono dati discordanti fra loro) in un'unica banca dati da utilizzare come strumento utile a conoscere lo stato del sistema universitario, magari cercando di esimersi dall'impiegare dati solo per polemica politica o giornalistica.
Vengo al merito solo di alcune questioni contenute nel provvedimento che al Senato si è arricchito, lo osservava anche il relatore, collega Caldoro, di diverse materie diventando un piccolo provvedimento omnibus sull'università, nello stile di questo Governo.
Il decreto n. 180 del 2008 è all'altezza delle aspettative? Io non credo. Il senatore Valditara, al Senato, ha affermato che i mali dell'università discendono dall'assenza di una visione culturale, di un quadro strategico ossia dal fatto che, da una generazione almeno, le riforme sono state effettuate troppo spesso sotto la spinta dell'emergenza.
Stupisce, però, di fronte a una tale lucidità di analisi, l'attribuzione da parte del senatore a questo decreto-legge, a questo piccolo provvedimento omnibus, di un respiro riformatore in grado di risanare e rilanciare il sistema universitario attraverso i principi di responsabilità, trasparenza e merito, addirittura in grado - sono sempre parole del senatore Valditara - di fargli raggiungere due grandi finalità: la promozione sociale degli studenti attraverso una formazione adeguata e l'innovazione del sistema produttivo.
Peccato che nel decreto in parola non si parli della formazione degli studenti e che male si accordino, con l'evocato trasferimento tecnologico, i limiti al credito di imposta per investimenti in ricerca Pag. 28inseriti nel cosiddetto «decreto anticrisi», ora all'esame della Commissione bilancio.
Vede, signor Presidente, non nego che il provvedimento governativo abbia qualche norma condivisibile almeno negli obiettivi, ma è altrettanto certo che non risolverà veramente alcun problema del sistema universitario italiano, anzi rischia di complicarlo perché propone l'ennesimo intervento tampone mentre gli insopportabili tagli finanziari del 2010 incombono già all'orizzonte.
E non sono solo numeri nel bilancio, come ha sostenuto la signora Ministra, si tratta di un preciso indirizzo politico al momento confermato che disattende l'impegno assunto dall'Italia, nell'ambito degli obiettivi di Lisbona, di stanziare entro il 2011 il 3 per cento del PIL per la ricerca e che appare ancora più grave e inadeguato in una situazione di forte difficoltà del sistema produttivo economico e finanziario, situazione che richiederebbe, invece, interventi coraggiosi in direzione della valorizzazione della ricerca e dell'alta formazione, come sta avvenendo in altri Paesi. Sono parole del CUN che ho preso in prestito e che credo dovrebbero trovare ascolto nell'Esecutivo.
Dal testo del decreto-legge emerge la mancanza di una riflessione accurata e si intravede la necessità politica di approvare un provvedimento urgente indipendentemente dal contenuto normativo.
Mi faccia fare un esempio, signor Presidente: l'incremento del fondo per le borse di studio per le residenze universitarie. Che bisogno c'è di inserire questa norma in un decreto-legge se contemporaneamente è ancora aperta la sessione di bilancio? Me lo dovrete spiegare alla fine di questa discussione!
Pertanto sarebbe stato più facile, conveniente e corretto mettere le risorse aggiuntive (in parte compensative dei tagli attuati dalla stessa manovra finanziaria, quindi, un più 50 per le residenze ed un più 95 per le borse di studio) nei capitoli appositi della tabella 7, che è stata all'attenzione anche della nostra Commissione.
Mi rendo conto che secondo questa strada i giornali non avrebbero dato, però, la stessa analoga risonanza al provvedimento e so quanto questo Esecutivo sia attento alla comunicazione al punto da torcere, però, la prassi parlamentare.
Ad ogni modo sarebbe, forse, utile anche per i cittadini che ci stanno ascoltando, sapere perché i nostri emendamenti, che sono stati bocciati quando abbiamo discusso la manovra finanziaria e che avevano lo stesso tenore, siano stati respinti proprio mentre il Ministro si apprestava a varare un provvedimento analogo.
O i vostri tempi di reazione sono così lenti - e ce ne rammarichiamo, soprattutto per le sorti del Paese - oppure vi è un pregiudizio e un'ostilità per tutto ciò che viene proposto dal Partito Democratico, e allora analogamente me ne dispiaccio, soprattutto per le conseguenze a danno del Paese.
Apprezziamo comunque il ripristino di questi fondi - come dicevo - dopo il taglio operato dal disegno di legge finanziaria peraltro ancora in discussione al Senato (attenzione!) quindi si tratta addirittura di retromarcia preventiva. Resta però il problema che l'incremento di tali fondi è solo per un anno (poi tornerò sul punto quando illustreremo gli emendamenti) ed è molto discutibile la copertura finanziaria attraverso il FAS, cioè il Fondo per le aree sottoutilizzate, che sottrae risorse soprattutto alle regioni meridionali e, soprattutto, dequalifica (e al riguardo chiedo attenzione) tecnicamente il bilancio trasformando poste per spese infrastrutturali in poste per spese correnti, limitando moltissimo anche le capacità del Paese di accedere ai cofinanziamenti comunitari.
Infatti, ogni spesa infrastrutturale, che diventa corrente, deve essere moltiplicata per tre e, quindi, fa perdere il doppio come «tiraggio» comunitario (scusate il tecnicismo). Il comma dell'articolo 1 relativo al blocco del turn over rappresenta una clamorosa e positiva marcia indietro, rispetto alla norma del decreto-legge n. 112 del 2008, che prevedeva un pesantissimo e sostanziale blocco delle assunzioni pari all'80 per cento del turn over, sia in termini finanziari che di persone.Pag. 29
Quella di luglio è una decisione ingiusta e dannosa, che avrebbe comportato un salasso enorme di personale docente e, soprattutto, la chiusura - lo dicemmo allora - quasi completa dell'università ai ricercatori precari. Ora si torna indietro, anche se ovviamente non completamente, e il Governo del fare sembra sempre più il Governo del disfare, del gambero. Le assunzioni possono avvenire entro la metà del finanziamento reso disponibile dalle cessazioni. Si poteva però fare di più, anche se la retromarcia è evidente, cioè si poteva - dato il contesto attuale - escludere completamente le università dal blocco del turn over, lasciando che scattassero solo i meccanismi di controllo finanziario già esistenti, cioè quelli che dovrebbero scattare quando l'ateneo supera il 90 per cento del Fondo di finanziamento ordinario per le spese per il personale.
È positivo che si escludano dal computo delle assunzioni quelle relative al reclutamento straordinario dei ricercatori: le cosiddette quote Mussi, cioè quelle cofinanziate dagli atenei, che avevamo previsto per il triennio 2007-2009 con la prima legge finanziaria del Governo Prodi.
Sarò forse pedante, signor Presidente, mi perdoni, ma non posso tacere il fatto che un emendamento di analogo tenore era stato presentato dal Partito Democratico in sede di conversione del decreto-legge n. 112 del 2008 e, rispetto alla bocciatura sonora raccolta allora dall'emendamento, ora il Governo è sceso a più miti consigli e ce ne compiacciamo. Del resto non si può pensare di realizzare un opportuno reclutamento straordinario di giovani e, contemporaneamente, di bloccare le assunzioni nella morsa delle limitazione del turn over.
Inoltre, valutiamo molto negativamente che la quota destinata al reclutamento dei ricercatori (cioè il 60 per cento del 50 per cento) sia disponibile anche per l'assunzione a tempo determinato dei cosiddetti contrattisti introdotti dalla cosiddetta legge Moratti. Si tratta di un ennesimo colpo di mano contro la stabilizzazione dei giovani ricercatori. Non svolgo ulteriormente questo punto perché mi riservo di farlo in sede di illustrazione degli emendamenti, ma ritengo necessario che questo problema abbia onore di tribuna nella nostra discussione.
Vengo al tema delle università con spese eccessive, cioè con le spese per il personale superiori al 90 per cento del Fondo di finanziamento ordinario: le cosiddette università non virtuose. Per queste si varano norme draconiane: blocco immediato e totale di tutte le assunzioni e di tutti i bandi di concorso ad esclusione dell'assegnazione di posti di ricercatore del reclutamento straordinario di cui ho parlato prima.
Non vi è dubbio che alcune università abbiano lasciato correre senza eccessivo controllo le spese per il personale, ma è anche vero che per alcune era impossibile evitarlo, perché gli stipendi aumentano per legge e contratti nazionali mentre il Fondo di finanziamento ordinario rimane costante o addirittura diminuisce. Del resto, voglio anche segnalare l'uso strumentale e mediatico che si è fatto - se ne è parlato anche qui questa sera - del superamento di questa soglia per le spese per il personale, quasi che fosse sempre e comunque un segno di cattiva amministrazione o, peggio ancora, di bassa qualità scientifica e didattica.
Non vi è in realtà alcun legame tra la qualità di un'università e la quota di spesa per il personale, anzi è evidente che un'università di grande tradizione e qualità tenda ad avere un personale docente di età media più alta e quindi a pagare di più in termini totali ogni aumento percentuale degli stipendi voluto dallo Stato.
È comunque necessario, certo, dare un segno per il controllo dei bilanci delle università. Mi chiedo però perché non abbiano funzionato le sanzioni già esistenti che discendono dalla legge finanziaria del 1998 e che consistono nella limitazione del 65 per cento del turn over. Il Ministero ha mai controllato effettivamente il rispetto di questa norma? Forse se lo avesse fatto, almeno negli ultimi dieci anni, non sarebbe stato necessario ricorrere a norme draconiane come quelle in Pag. 30questione, che fatalmente lasciano spazio a dubbi e ingiustizie. Ad esempio, come si fa con le università che hanno i bilanci in rosso? È un fatto ben più grave rispetto a quelle che hanno un eccesso di spese per il personale ma hanno il bilancio in pareggio o in attivo o quelle che superano il tetto del 20 per cento per le tasse universitarie. Lo stesso senatore Valditara ha ammesso che il blocco dei concorsi per le università che abbiano sforato la soglia del 90 per cento è una misura che solo apparentemente esaudisce un desiderio di virtù; pertanto ha auspicato - lo cito - altri parametri che consentano un'effettiva valorizzazione delle eccellenze.
Purtroppo gli auspici sono rimasti tali, e meno male che durante la conversione al Senato si sono sbloccate le assunzioni dei vincitori di concorsi banditi legittimamente e già svolti regolarmente nel 2008. In verità, per completare l'opera occorrerebbe ora sbloccare anche le assunzioni del personale tecnico-amministrativo che si trova nella stessa situazione e che non si capisce perché debba sopportare tale onere.
Frettolosa e iniqua appare poi anche la norma sull'esclusione della ripartizione dei posti di ricercatore, le cosiddette quote-Mussi, delle università che superano il 90 per cento. Gli incolpevoli ricercatori precari, la cui qualità scientifica e didattica nulla ha a che vedere con il superamento del limite suddetto, pagano le conseguenze di un'amministrazione non oculata. Insomma, pur condividendo che occorresse un segnale netto alle università, quello individuato appare davvero brutale e dannoso per il futuro delle stesse università.
Da ultimo, non si può non ricordare che la retromarcia governativa dà certo qualche ossigeno ai bilanci falcidiati delle università, ma rimane assolutamente intoccato il vero taglio mortale, quello inferto dal decreto-legge n. 93 del 2008, il cosiddetto decreto ICI, a partire dal 2010. Non possiamo non dire per l'ennesima volta, nella speranza di essere ascoltati, che quella diminuzione di 474 milioni di euro del Fondo di finanziamento ordinario, pari al 6 per cento del totale, in realtà incide per ben il 46 per cento sulle spese di funzionamento degli atenei, vista l'incomprimibilità degli oneri stipendiali. Un taglio di questa portata è solo la cronaca di una morte annunciata di tutti gli atenei, anche di quelli che adesso vengono considerati virtuosi. Il presidente della CRUI (Conferenza dei rettori delle università italiane), il professore Decleva, ha affermato a proposito del decreto-legge n. 180 del 2008: "è un primo provvedimento di apertura che però, se non sostenuto da altre iniziativa che modifichino i tagli dei trasferimenti nel 2010, sarà irrilevante". Ascolterete almeno il professor Decleva?
Da segnalare anche l'ennesimo parametro numerico sulle nuove assunzioni: almeno il 60 per cento dei fondi disponibili da destinare a nuovi posti di ricercatore e non più del 10 per cento a promozioni. Si tratta dell'ennesima percentuale che va rispettata - ma io mi chiedo poi chi la controllerà in effetti - che ingessa e soprattutto (questo è dirimente) deresponsabilizza le università e che complica all'inverosimile ogni reale politica di bilancio. Dobbiamo davvero cambiare rotta, smettere di intervenire ex ante ma prevedere politiche ex post.
Mi soffermo brevemente sulle norme per i concorsi. Non vi è alcun dubbio che il sistema concorsuale universitario sia nell'occhio del ciclone, forse anche ben oltre le effettive disfunzioni. Nell'opinione pubblica nepotismo, localismo, lobbismo la fanno da padrone. In realtà non è affatto vero sempre e dappertutto; vi sono decine e decine di commissioni giudicatrici che hanno lavorato molto onestamente svolgendo un compito, quello di valutare i curricula di candidati a posti universitari, che è di per sé complesso e sempre largamente opinabile. Infatti non esistono, se non nelle semplificazioni comunicative, metodi infallibili, oggettivi e automatici per individuare il migliore dei candidati.
Tuttavia, occorre riconoscere che in non pochi casi, invece, le commissioni hanno lavorato in modo assai discutibile, al coperto di norme poco efficaci, con ciò assestando un colpo micidiale alla credibilità dell'intero sistema universitario. È Pag. 31quindi necessario, certo, intervenire sulla materia, ma bisogna farlo in modo organico e nell'ottica di determinare un sistema di università - lo voglio dire con fermezza - autonome e responsabili. Il presente decreto-legge in esame non raggiunge, però, l'obiettivo.
Mi soffermo, inoltre, sulla formazione delle commissioni che da valutative divengono aleatorie, cioè sono parzialmente sorteggiate, per così dire. Il sorteggio è certamente un metodo meno facilmente collusivo dell'elezione, ma non è il sorteggio il metodo migliore, come non lo è il metodo elettivo: sia l'elezione sia, soprattutto, il sorteggio sono il contrario della responsabilità dell'ateneo che assumerà in ruolo il ricercatore o il docente. Qui sta il punto: o si aumenta la responsabilità, e dunque la possibilità successiva di premiare o sanzionare, oppure nessun metodo potrà mai cambiare sostanzialmente il sistema. Inoltre, era proprio assennato rinviare di mesi e mesi i concorsi già banditi? Cosa si farà di fronte all'inevitabile contenzioso sia di chi ha presentato già domanda, sia di chi non l'ha presentata? Qualcuno si ricorderà, al Ministero, che i bandi sono emanati dai rettori e non dai Ministri, con il più che probabile atteggiamento diverso che legittimamente prenderanno i diversi atenei? Insomma, è un vero guazzabuglio di cui non si sentiva alcuna urgenza, che non dà alcuna soluzione risolutiva al problema vero dei concorsi, un tampone che peggiora la ferita, un rinvio di responsabilità parlamentare. Proponiamo alla maggioranza e al Governo di incontrarci e di discutere da subito, ma evitiamo di peggiorare l'attuale congerie assurda di norme che soffocano l'università.
È assolutamente condivisibile, invece, l'idea di vincolare la ripartizione di una quota del Fondo di finanziamento ordinario a valutazioni di qualità dei risultati; del resto, era una norma già contenuta nella legge finanziaria per il 2008, al comma 428, nel cosiddetto patto per l'università Mussi-Padoa Schioppa. Tuttavia, è bene sapere che una quota del 7 per cento assegnata davvero in modo premiale, quindi a poche università, mette a rischio i bilanci di tutte le altre in modo talmente pesante da far sospettare che poi ci sarà, in pratica, la necessità di assegnazioni meno premiali. Ben vengano comunque queste analisi di qualità con i tempi che saranno necessari, senza una fretta che può essere controproducente ancora una volta, ma non possiamo non rimarcare che sono molto generici i riferimenti ai termini di paragone.
Se è abbastanza chiaro cos'è la qualità della ricerca scientifica, sulla quale c'è l'ottimo lavoro del CIVR (Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca) a testimoniarlo, cosa è esattamente la qualità dell'offerta formativa? Come si valutano i risultati dei processi formativi? Dopo quanti anni, in quali termini, cosa è la qualità delle sedi didattiche? Si capisce che se si vuole intervenire giustamente sul decentramento selvaggio - vi ricordo, però, che con riferimento a tale aspetto è già prevista per legge la cosiddetta «moratoria Mussi» che sarebbe bene che il Governo riconsiderasse - allora si imporrebbe un maggiore indirizzo del Parlamento su un'attività governativa così delicata. Tanto più che lo stesso Ministro Gelmini ha bloccato l'Agenzia nazionale di valutazione (l'ANVUR) l'unico ente che per indipendenza e professionalità potrebbe essere davvero titolato a svolgere questo delicato lavoro di individuazione dei criteri premiali, come capita in molti altri Paesi europei che già hanno la loro agenzia nazionale. Tanto per fare un confronto a noi vicino, la francese AERES (Agence d'évalutation de la recherche e de l'enseignement superiéur), che è l'agenzia nazionale per la valutazione della ricerca e dell'insegnamento superiore francese, che è stata avviata dopo l'Italia e che ha anche imitato la legge italiana del 2006, ora è perfettamente operativa.
Concludo con un'ultima annotazione sulla nuova norma che lega una parte degli aumenti stipendiali dei docenti universitari alla loro produttività scientifica, secondo un'idea, anche se articolata un po' diversamente, proposta dall'onorevole Bachelet in occasione della conversione del Pag. 32decreto-legge n. 112 del 2008, che però ha avuto lo stesso esito degli altri emendamenti, cioè fu sonoramente bocciata da questa maggioranza. Noi chiediamo che si discuta in questa sede per migliorare il lato tecnico della norma così da renderla funzionante e davvero efficace, come ha illustrato il collega Mazzarella...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MANUELA GHIZZONI. Mi avvio a concludere, signor Presidente, le chiedo proprio un minuto...poiché è indubbio che si tratta di un aspetto che il Partito Democratico giudica cruciale, tanto da averlo inserito nel proprio decalogo.
Chiediamo di premiare anche in termini stipendiali i docenti universitari, che devono dimostrare di essere bravi insegnanti e bravi ricercatori: questa è la cifra del sistema terziario in Europa. Vi è una strettissima relazione tra ricerca e insegnamento. La qualità didattica si fonda su quella scientifica del docente. A fronte del discredito lanciato contro il sistema dell'università, voglio affermare chiaramente che il Partito democratico si schiera al fianco di quelle migliaia di docenti universitari che svolgono quotidianamente il loro lavoro con passione, serietà e impegno, nonostante le difficilissime condizioni logistiche e finanziarie: essi sono coloro ai quali - ce lo dimentichiamo troppo spesso, anche in questa sede - si deve l'alto livello della ricerca e della formazione delle università italiane; sono gli stessi docenti che reclamano da tempo una valutazione trasparente dei risultati del loro lavoro scientifico e didattico e che non sopportano più, giustamente, di essere frettolosamente e ingiustamente equiparati ai fannulloni.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MANUELA GHIZZONI. Concludo, signor Presidente. Se c'è un fannullone, forse è il Governo, che non sa e non vuole impegnarsi in un vero piano di rilancio dell'università italiana, che avrebbe bisogno, invece, di visione strategica e di risorse che la supportino. Purtroppo, di entrambe, non vi è alcuna traccia nel provvedimento in esame (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 1966)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Caldoro.

STEFANO CALDORO, Relatore. Signor Presidente, mi riservo di intervenire nel prosieguo del dibattito.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

GIUSEPPE PIZZA, Sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Signor Presidente, intervengo per affermare innanzitutto che il Governo non intende assolutamente colpevolizzare il sistema universitario italiano, che vive un momento di difficoltà ma che - bisogna ricordarlo - è nobile e antico: dagli studi all'università, ha contribuito a creare i valori di riferimento nella nostra civiltà occidentale.
Svolgo un'altra osservazione anche sulla decretazione d'urgenza, materia sulla quale chi è senza peccato può scagliare la prima pietra e in merito alla quale, ovviamente, bisogna trovare un punto di equilibrio tra l'esigenza del Governo e la necessità di un dibattito con le forze politiche e sociali, che è il sale stesso della democrazia.
Durante la discussione sulle linee generali, che è stata pacata e approfondita, ho ascoltato tutti gli interventi svolti dalla maggioranza, ma anche dall'opposizione, in particolare quelli dell'onorevole Mazzarella e dell'onorevole Ghizzoni. Vorrei sottolineare come il provvedimento che stiamo esaminando ai fini della sua conversione in legge non va interpretato come Pag. 33intervento di sistema, volto ad introdurre una riforma organica del reclutamento dei docenti e dei ricercatori universitari, né a definire in maniera esaustiva il meccanismo dell'attribuzione delle risorse in relazione a parametri di qualità. Esso, invece, costituisce un primo importante - a nostro parere, improcrastinabile - intervento nel settore universitario, che intende affrontare le problematiche più urgenti, nell'ottica del miglioramento della qualità dell'intero sistema che è vitale per il sistema Italia.
Entrando nel merito delle questioni sollevate durante la discussione sulle linee generali, sono state espresse perplessità in ordine ai criteri utilizzati per ritenere un'università come virtuosa, con particolare riferimento al fatto che il carattere virtuoso degli atenei non possa fondarsi esclusivamente sul rispetto del limite del 90 per cento per le spese di personale, prescindendo da una valutazione di merito dell'ateneo stesso. Concordo con questa analisi, ma vorrei chiarire che il provvedimento in esame intende introdurre il divieto, per le università che abbiano superato il predetto limite, di procedere ad ulteriori assunzioni di personale e di attingere alle risorse straordinarie destinate all'assunzione dei ricercatori, proprio con l'obiettivo di non aggravare la situazione economica degli atenei stessi, incentivandoli in tale maniera a ristabilire l'equilibrio economico-finanziario e, quindi, di introdurre una distinzione doverosa tra gli atenei che hanno rispettato i limiti posti dalla legge e quelli che non li hanno rispettati. La precedente normativa, infatti, consentiva alle università nelle quali la spesa per il personale di ruolo avesse ecceduto il predetto limite, di effettuare comunque ulteriori assunzioni, sebbene entro determinati limiti di spesa.
L'assenza di una sanzione - questo lo vorrei sottolineare - proprio per il mancato rispetto del limite del 90 per cento ha di fatto, se non incentivato, perlomeno non ostacolato questo fenomeno. Un ulteriore fattore di aumento della spesa per le assunzioni va inoltre ricercato nella riforma degli ordinamenti didattici, che ha introdotto un'articolazione su due livelli dei corsi di laurea e lasciato maggiore autonomia agli atenei proprio nell'attivazione dei corsi di studio, con la conseguenza, che ben conosciamo, di una frammentazione delle discipline e di nuove esigenze di copertura degli insegnamenti. Premessa la necessità di introdurre correttivi alla tendenza descritta, occorre chiarire che l'intervento in questione non comporta un giudizio di merito complessivo sull'attività dell'ateneo e non preclude, quindi, allo stesso ateneo l'accesso a risorse che verranno attribuite secondo parametri di qualità e di efficienza. Cioè, non vogliamo ottenere solo risparmi di spesa, anche se in questo momento sono importanti, a dispetto delle finalità di valorizzazione del merito. È vero il contrario. I posti di ricercatore verranno distribuiti come previsto, ma solo per le università che possono concretamente garantire di anno in anno che saranno in grado di sostenerne a regime il costo. Occorre introdurre specifici parametri per la valutazione della qualità del sistema universitario nel suo complesso e dei singoli atenei. Anche sui parametri, quali il 90 per cento degli assegni fissi, è urgente una riflessione complessiva e non ho dubbi sul fatto che si debba procedere ad una diversa parametrazione, basata su una visione complessiva delle finanze di ciascun ateneo. Ma è altrettanto necessario far sì che le regole in vigore siano rispettate e, come dicevo, che le università maggiormente esposte sul piano delle spese di personale siano concretamente chiamate a rispettarle.
In merito ad un altro problema, che sento in maniera particolare, relativo al rischio che alcune università possano essere private di discipline importanti, in caso di trasferimento dei docenti o di pensionamento, vorrei ricordare che la normativa vigente prevede una programmazione del fabbisogno su base triennale e lascia piena autonomia agli atenei di operare le proprie scelte sulla copertura degli insegnamenti, ovviamente nel rispetto dei requisiti minimi definiti a livello centrale. È necessario garantire un'offerta Pag. 34formativa completa in una visione di sistema e sulle difficoltà di coniugare il rispetto del limite del 90 per cento con la necessità di salvaguardare esigenze anche minori, ma importanti.
Ritengo che la soluzione possa essere individuata in una gestione oculata delle risorse umane e strumentali da parte degli atenei e in un'attenta programmazione. In prospettiva, ritengo utile tenere presente, anche a livello di programmazione generale del sistema, la tutela di materie specialistiche, importanti ma con pochi studenti, per le quali potrebbe, a mio parere, essere utile una specifica normativa di tutela.
Per quanto riguarda le disposizioni relative alle possibilità di assunzione di personale per quelle università che abbiano rispettato il limite del 90 per cento, registro con soddisfazione il consenso manifestato sull'innalzamento al 50 per cento del tetto di spesa che era previsto.
Passando alle disposizioni in materia di reclutamento dei professori universitari ordinari ed associati, che stabiliscono una nuova composizione delle commissioni di valutazione comparativa, vorrei sottolineare, in primo luogo, che lo spirito dell'intervento è quello di coniugare l'esigenza di coinvolgere la comunità scientifica nella formazione delle commissioni, attraverso l'elezione di una lista il più possibile ampia di possibili commissari, con l'esigenza di assicurare una maggiore trasparenza e correttezza delle procedure, attraverso il meccanismo del sorteggio nell'ambito della lista degli eletti.
In tale ottica, il meccanismo di reclutamento delineato, con particolare riferimento al sorteggio, non può essere in alcun modo interpretato come mancanza di coraggio nella scelta dei candidati migliori; d'altra parte, occorre tenere presente che l'attuale meccanismo elettorale non ha prodotto risultati positivi sotto il profilo della trasparenza e della correttezza della procedura concorsuale.
Per quanto riguarda le misure che intendono introdurre una stringente correlazione tra l'attribuzione delle risorse e la qualità dei risultati conseguiti dai singoli atenei, con l'obiettivo di elevare la qualità del sistema universitario, ritengo un passaggio importante l'avere stabilito che almeno una parte del Fondo di finanziamento ordinario delle università, il cui sistema di ripartizione, come voi sapete, è essenzialmente basato sullo storico, nonché del Fondo straordinario, istituito per sollevare gli atenei dalle spese derivanti dagli incrementi stipendiali e per ulteriori scopi di efficienza ed efficacia, debba essere attribuita secondo parametri che tengano conto della qualità dell'offerta formativa e dei risultati dei processi formativi, della qualità della ricerca scientifica e della qualità, efficacia ed efficienza delle sedi didattiche.
Un'ulteriore articolazione e specificazione dei predetti parametri potrà essere definita in sede di attuazione dell'intervento. In quella sede, si potrà tenere conto, ad esempio, del rapporto tra le risorse destinate alle infrastrutture della ricerca e quelle destinate al personale. Vorrei ricordare che è proprio in sede di attuazione dell'intervento che il Governo chiede la collaborazione fattiva di tutte le forze, sia politiche sia sociali.
Per quanto riguarda l'entità della quota di finanziamenti da destinare al merito, con particolare riferimento all'eccessiva discrezionalità, nel decreto-legge che stiamo esaminando si è preferito indicare una soglia minima del 7 per cento, anziché un valore percentuale tassativo, per assicurare la concreta applicazione della disposizione, considerando che entrambi i fondi sui quali la predetta percentuale va calcolata contengono risorse destinate a spese fisse obbligatorie, dalle quali non si può derogare, e che l'entità complessiva delle risorse varia ogni anno, in quanto determinata annualmente con legge finanziaria.
Sono state anche espresse delle perplessità sulla possibilità di riuscire a valutare la qualità della ricerca scientifica e non posso che condividere che si tratti di una materia assai delicata; tuttavia, ritengo che questa consapevolezza non debba indurre ad una rinuncia, bensì alla ricerca di strumenti il più possibile adeguati Pag. 35per una valutazione oggettiva dei risultati di ricerca secondo parametri riconosciuti a livello internazionale, anche salvaguardando la ricerca pura, che non necessariamente produce risultati immediatamente applicabili.
In particolare, per quanto ha sostenuto l'onorevole Ghizzoni, voglio assicurarle che il decreto-legge intende introdurre un primo intervento che consenta da subito di ripartire almeno parte delle risorse secondo criteri di merito, nelle more della piena operatività dell'Agenzia nazionale per la valutazione del sistema universitario: in questo concordo con l'onorevole Ghizzoni.
Passando infine alle disposizioni per il diritto allo studio universitario, il Governo, pur nella situazione economica che tutti conosciamo, ha provveduto ad un grandissimo sforzo per integrare le risorse destinate alla realizzazione anche delle residenze.
Concludo quindi il mio intervento che segue la discussione sulle linee generali, sottolineando che in Commissione e in Aula il Parlamento ha questa grande disponibilità per trovare nei piani di attuazione un discorso il più ampiamente condiviso dalle forze politiche e dalle forze sociali (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Modifica del vigente calendario dei lavori dell'Assemblea e conseguente aggiornamento del programma (ore 21,39).

PRESIDENTE. Comunico che, a seguito dell'odierna riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo, l'organizzazione dei lavori dell'Assemblea fino alla sospensione per la pausa natalizia sarà la seguente:

Martedì 16 (dalle ore 10 e pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna), mercoledì 17, giovedì 18 e venerdì 19 dicembre (antimeridiana e pomeridiana, con eventuale prosecuzione notturna e nelle giornate di sabato 20, domenica 21, lunedì 22 e martedì 23 dicembre) (con votazioni):

Seguito dell'esame dei disegni di legge:

n. 1875 - Conversione in legge del decreto-legge 6 novembre 2008, n. 172, recante misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania, nonché misure urgenti di tutela ambientale (da inviare al Senato - scadenza: 5 gennaio 2009);
n. 1936 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 ottobre 2008, n. 162, recante interventi urgenti in materia di adeguamento dei prezzi di materiali da costruzione, di sostegno ai settori dell'autotrasporto, dell'agricoltura e della pesca professionale, nonché di finanziamento delle opere per il G8 e definizione degli adempimenti tributari per le regioni Marche ed Umbria, colpite dagli eventi sismici del 1997 (approvato dal Senato - scadenza: 22 dicembre 2008);
n. 1961 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 3 novembre 2008, n. 171, recante misure urgenti per il rilancio competitivo del settore agroalimentare (approvato dal Senato - scadenza: 3 gennaio 2009);
n. 1966 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180, recante disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca (approvato dal Senato - scadenza: 9 gennaio 2009);
Esame di richieste di deliberazione in materia di insindacabilità.
La discussione congiunta sulle linee generali dei disegni di legge n. 1713-B - Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2009) (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato) e n. 1714-B - Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2009 e bilancio pluriennale per il triennio 2009-2011 (Approvato dalla Camera e modificato dal Senato) avrà luogo giovedì 18 dicembre, al termine delle Pag. 36votazioni; il seguito dell'esame avrà luogo nei giorni successivi.
Mercoledì 17 dicembre (dalle 15 alle 16 circa) avrà luogo lo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata (question time).
Il Presidente si riserva di inserire nel calendario l'esame di progetti di legge di ratifica licenziati dalle Commissioni.
Il seguito dell'esame delle mozioni Borghesi ed altri n. 1-00073, Stracquadanio ed altri n. 1-00078, Vietti ed altri n. 1-00080 e Baretta ed altri n. 1-00081 concernenti iniziative per fronteggiare la crisi economica e finanziaria in atto, delle mozioni Pollastrini ed altri n. 1-00070, Mura ed altri n. 1-00083 e Cicchitto, Cota, Iannaccone ed altri n. 1-00085 concernenti iniziative per prevenire e contrastare la violenza sessuale e di genere e delle mozioni Livia Turco ed altri n. 1-00071, Delfino ed altri n. 1-00079, Mura ed altri n. 1-00082 e Laura Molteni ed altri n. 1-00084 concernenti iniziative a sostegno dei diritti delle persone con disabilità, nonché l'esame del disegno di legge n. 1440 e abbinate - Misure contro gli atti persecutori avranno luogo nel prossimo calendario.
L'organizzazione dei tempia per la discussione dei disegni di legge n. 1713-B e n. 1714-B sarà pubblicata in calce al resoconto stenografico della seduta odierna.
Il programma si intende conseguentemente aggiornato.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 16 dicembre 2008, alle 10:

1. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 6 novembre 2008, n. 172, recante misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania, nonché misure urgenti di tutela ambientale (1875-A).
- Relatore: Ghiglia.

2. - Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 1152 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 ottobre 2008, n. 162, recante interventi urgenti in materia di adeguamento dei prezzi di materiali da costruzione, di sostegno ai settori dell'autotrasporto, dell'agricoltura e della pesca professionale, nonché di finanziamento delle opere per il G8 e definizione degli adempimenti tributari per le regioni Marche ed Umbria, colpite dagli eventi sismici del 1997 (Approvato dal Senato) (1936).
- Relatori: Stradella, per l'VIII Commissione e Garofalo, per la IX Commissione.

3. - Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 1175 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 3 novembre 2008, n. 171, recante misure urgenti per il rilancio competitivo del settore agroalimentare (Approvato dal Senato) (1961).
- Relatore: Nola.

4. - Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 1197 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 10 novembre 2008, n. 180, recante disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca (Approvato dal Senato) (1966).
- Relatore: Caldoro.

5. - Discussione di documenti in materia di insindacabilità ai sensi dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione:
Richiesta di deliberazione in materia di insindacabilità, ai sensi dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione, nell'ambito Pag. 37di un procedimento penale nei confronti di Luigi Pepe, deputato all'epoca dei fatti (Doc. IV-ter, n. 2-A).
- Relatore: Pionati.
Richiesta di deliberazione in materia di insindacabilità, ai sensi dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione, nell'ambito di un procedimento civile nei confronti del deputato La Loggia (Doc. IV-ter, n. 3-A).
- Relatore: Brigandì.
Richiesta di deliberazione in materia di insindacabilità, ai sensi dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione, nell'ambito di un procedimento penale nei confronti del senatore Giovanardi, deputato all'epoca dei fatti (Doc. IV-ter, n. 5-A).
- Relatore: Brigandì.
Richiesta di deliberazione in materia di insindacabilità, ai sensi dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione, nell'ambito di un procedimento penale nei confronti di Vittorio Sgarbi, deputato nella XIV legislatura (Doc. IV-ter, n. 6-A).
- Relatore: Sisto.
Applicabilità dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione, nell'ambito di un procedimento penale nei confronti del senatore Maurizio Gasparri, deputato all'epoca dei fatti (Doc. IV-quater, n. 3).
- Relatori: Paolini, per la maggioranza e Ferranti, di minoranza.
Applicabilità dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione, nell'ambito di un procedimento penale nei confronti di Franco Cardiello, deputato all'epoca dei fatti (Doc. IV-quater, n. 5).
- Relatore: Pionati.
Applicabilità dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione, nell'ambito di un procedimento penale nei confronti del senatore Fabrizio Morri, deputato all'epoca dei fatti (Doc. IV-quater, n. 6).
- Relatore: Aniello Formisano.
Applicabilità dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione, nell'ambito di un procedimento penale nei confronti del senatore Maurizio Gasparri, deputato all'epoca dei fatti (Doc. IV-quater, n. 7).
- Relatore: Paniz.
Applicabilità dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione, nell'ambito di un procedimento penale nei confronti di Katia Bellillo, deputato all'epoca dei fatti (Doc. IV-quater, n. 8).
- Relatore: Samperi.

La seduta termina alle 21,45.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO STEFANO CALDORO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 1966.

STEFANO CALDORO, Relatore. Il decreto-legge n. 180 del 2008 contiene disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca.
L'articolo 1 contiene disposizioni per il reclutamento nelle università e per gli enti di ricerca.
Più in particolare, i commi 1 e 2 dell'articolo 1 stabiliscono alcuni divieti per le università statali che alla data del 31 dicembre di ogni anno abbiano superato il livello massimo di spesa per il personale di ruolo, previsto dall'articolo 51, comma 4, della legge n. 449 del 1997, ai sensi del quale le spese fisse e obbligatorie per il personale di ruolo delle università statali non possono eccedere il 90 per cento dei trasferimenti statali sul fondo per il finanziamento ordinario delle università (FFO).
Il primo di tali divieti, stabilito dal comma 1, prevede che le università statali che alla data del 31 dicembre di ogni anno abbiano superato tale limite, non possono procedere all'indizione di procedure concorsuali e di valutazione comparativa, né Pag. 38all'assunzione di personale. È fatto, tuttavia, salvo quanto previsto dall'articolo 12, comma 1, del decreto-legge n. 248 del 2007, che ha prorogato al 31 dicembre 2008 la disposizione di cui all'articolo 5 del decreto-legge n. 97 del 2004, relativa alle voci di costo da considerare ai fini del computo del 90 per cento.
L'articolo 5 del decreto-legge 7 aprile 2004, n. 97 ha previsto che, ai fini della determinazione del limite del 90 per cento di cui all'articolo 51, comma 4, della legge n. 449 del 1997, per l'anno 2004 non dovessero essere considerati gli incrementi retributivi derivanti, a partire dall'anno 2002, dagli adeguamenti della retribuzione stabiliti per il personale non contrattualizzato (docenti e ricercatori) e dall'applicazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro del personale tecnico e amministrativo. Sempre ai fini della determinazione di tale limite, e sempre per l'anno 2004, il medesimo articolo 5 ha previsto l'esclusione di un terzo dei costi del personale universitario docente e non docente impiegato in funzioni assistenziali in convenzione con il Servizio sanitario nazionale.
Tali previsioni sono state poi prorogate per il 2005 dall'articolo 10 del decreto-legge n. 266 del 2004; per il 2006 dall'articolo 8 del decreto-legge n. 273 del 2005; per il 2007 dall'articolo 1, comma 1, del decreto-legge n. 300 del 2006 e, per il 2008, dal già citato articolo 12, comma 1, del decreto-legge 248 del 2007.
Per effetto della nuova disposizione, si deve, quindi, intendere superata la possibilità, prevista dal secondo periodo dell'articolo 51, comma 4, della legge n. 449 del 1997, secondo la quale le università nelle quali la spesa per il personale di ruolo avesse ecceduto il limite del 90 per cento potevano effettuare assunzioni di personale di ruolo il cui costo non superasse, su base annua, il 35 per cento delle risorse finanziarie che si rendevano disponibili per le cessazioni dal ruolo dell'anno di riferimento.
Rispetto alle previsioni del medesimo articolo 51 citato, che si riferivano solo al divieto di assunzione, la nuova disposizione introduce, inoltre, il divieto di indire procedure concorsuali e di valutazione comparativa.
Per completezza di ricostruzione, si ricorda, inoltre, che la garanzia del rispetto effettivo del limite del 90 per cento del FFO costituisce uno degli obiettivi del piano programmatico previsto dall'articolo 2, comma 429, della legge finanziaria per il 2008, alla cui adozione è subordinata la disponibilità dei 550 milioni di euro aggiuntivi del FFO previsti dal precedente comma 428 per ciascuno degli anni del triennio 2008-2010.
Ricordo inoltre che, durante l'esame al Senato, sono intervenute due modifiche.
In base alla prima, al comma 1 è stato aggiunto un periodo finale che fa salve, rispetto al divieto posto, le assunzioni relative alle procedure concorsuali per ricercatore già espletate e a quelle che si stanno espletando, senza che ciò comporti oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica.
Si citano, in particolare, le procedure avviate sulla base degli articoli 3, comma 1, del decreto-legge n. 147 del 2007 e 4-bis, comma 17, del decreto-legge n. 97 del 2008 (si ricorda, in proposito, che la prima delle due norme citate è stata abrogata dalla seconda).
L'articolo 3, comma 1, del decreto-legge n. 147 del 2007 e l'articolo 4-bis, comma 17, del decreto-legge n. 97 del 2008, hanno disposto la disapplicazione, rispettivamente per il 2007 e il 2008, del comma 648 dell'articolo 1 della legge 296 del 2006 (legge finanziaria 2007) e, al fine di garantire comunque l'attuazione del piano straordinario di assunzione di ricercatori nelle università, hanno previsto che le risorse di cui al comma 650 della medesima legge, limitatamente agli stanziamenti previsti, rispettivamente, per il 2007 e per il 2008, siano utilizzate per il reclutamento di ricercatori secondo le norme vigenti.
I due interventi sono stati determinati dalla volontà di evitare che, a seguito del mancato intervento del decreto ministeriale previsto dal comma 647 della medesima legge finanziaria - con il quale doveva essere definito il numero aggiuntivo Pag. 39di posti di ricercatore da assegnare alle università e da coprire con concorsi banditi entro il 30 giugno 2008, e con il quale, altresì, in attesa della riforma dello stato giuridico dei ricercatori, si dovevano definire nuove modalità di svolgimento dei concorsi per ricercatore - si disperdessero gli stanziamenti disposti.
In base alla seconda modifica, che aggiunge il comma 1-bis, si proroga ulteriormente al 31 dicembre 2009 la norma in base alla quale, ai fini del calcolo del limite del 90 per cento quale livello massimo di spesa per il personale sul totale dei trasferimenti statali disposti annualmente attraverso il Fondo di finanziamento ordinario (FFO), non si computano gli incrementi stipendiali annuali e un terzo della spesa per il personale convenzionato con il Servizio sanitario nazionale (si veda ante).
Il comma 2 prevede che le medesime università considerate nel comma 1 siano escluse dalla ripartizione dei fondi relativi agli anni 2008-2009 previsti dall'articolo 1, comma 650, della legge finanziaria per il 2007, per l'attuazione del piano straordinario di assunzione di ricercatori.
Ricordo, in proposito, che il comma 650 prevede, per la realizzazione del piano, uno stanziamento triennale, pari a 20 milioni di euro per il 2007, 40 milioni di euro per il 2008 e 80 milioni di euro a decorrere dal 2009.
Il comma 3 dell'articolo 1 reca disposizioni in materia di turn-over. In particolare, mediante novella al primo periodo del comma 13 dell'articolo 66 del decreto-legge n. 112 del 2008, si prevede che - fermi restando i limiti in materia di programmazione triennale di cui all'articolo 1, comma 105, della legge finanziaria per il 2005 - per il triennio 2009-2011, le università possono procedere, per ogni anno, ad assunzioni di personale nel limite di un contingente corrispondente ad una spesa pari al 50 per cento di quella relativa al personale a tempo indeterminato cessato dal servizio nell'anno precedente.
Si eleva, così, dal 20 al 50 per cento il limite al turn-over previsto dalla originaria formulazione dell'articolo 66 del decreto-legge n. 112 del 2008.
Inoltre, a seguito della novella, il parametro al quale fare riferimento, per le assunzioni di personale nelle università, è rappresentato unicamente dalla spesa, e non anche dal numero delle unità cessate nell'anno precedente.
Il comma 3, inoltre, nella sua formulazione originaria prevedeva che ciascuna università destinasse tale somma per una quota non inferiore al 60 per cento all'assunzione di ricercatori a tempo determinato e indeterminato e per una quota non superiore al 10 per cento all'assunzione di professori ordinari.
A seguito della modifica introdotta dal Senato, è stato più opportunamente precisato, per quanto riguarda i ricercatori, che, oltre a quelli a tempo indeterminato, si considerano quelli con i quali le università abbiano stipulato contratti di diritto privato a tempo determinato, ai sensi dell'articolo 1, comma 14, della legge n. 230 del 2005.
Infine, il comma 3 fa salve le assunzioni di ricercatori previste in attuazione del piano straordinario di assunzione di cui al sopra citato articolo 1, comma 648, della legge finanziaria per il 2007, nei limiti delle risorse residue previste dal comma 650.
In conseguenza, delle novità recate in tema di turn-over, l'ultimo periodo del comma 3 prevede che il Fondo per il finanziamento ordinario delle università (FFO) sia integrato nei termini seguenti: 2009: 24 milioni di euro; 2010: 71 milioni di euro; 2011: 118 milioni di euro, dal 2012: 141 milioni di euro.
Vengono, così, modificate in senso opposto le previsioni dell'articolo 66, comma 13, del decreto-legge n. 112 del 2008, che in relazione al limite posto al turn-over, aveva stabilito che il FFO fosse ridotto di 63,5 milioni di euro per il 2009, di 190 milioni di euro per il 2010, di 316 milioni di euro per il 2011, di 417 milioni di euro per il 2012 e di 455 milioni di euro dal 2013.Pag. 40
I commi 4 e 5 dell'articolo 1 introducono una disciplina transitoria, volta a modificare i criteri di composizione delle commissioni giudicatrici delle procedure di valutazione comparativa per posti di professore ordinario, professore associato e ricercatore universitario.
Il comma 4 riguarda la composizione delle commissioni giudicatrici per il reclutamento di professori universitari di prima e seconda fascia, relativamente alle procedure di valutazione comparativa della prima e della seconda sessione 2008.
La disposizione in commento introduce significative novità rispetto alla disciplina applicabile, sostituendo alle commissioni locali elette su base nazionale, previste dalla legge n. 210 del 1998, commissioni sorteggiate da una lista eletta su base nazionale, per un numero triplo dei membri richiesti.
Ricordo che, ai sensi della legge n. 210 del 1998 e del decreto del Presidente della Repubblica n. 117 del 2000, le commissioni giudicatrici per le valutazioni comparative per la copertura di posti di professore ordinario e di professore associato sono costituite mediante designazione di un componente da parte della facoltà che ha richiesto il bando e mediante elezione dei restanti componenti.
Il componente designato viene scelto prima dello svolgimento delle elezioni, con deliberazione del consiglio di facoltà, nei termini seguenti: per le valutazioni comparative concernenti posti di professore ordinario, il consiglio di facoltà, nella composizione ristretta ai soli professori ordinari, designa un professore ordinario; per le valutazioni comparative concernenti posti di professore associato, il consiglio di facoltà, nella composizione ristretta ai professori ordinari e associati, designa un professore ordinario o associato.
I professori designati, anche se appartenenti ad altre facoltà o università, devono afferire al settore scientifico-disciplinare oggetto del bando ovvero, in mancanza di designabili, ai settori affini preventivamente determinati con decreto del Ministro, su proposta del Consiglio universitario nazionale.
I membri elettivi della Commissione sono così individuati: quattro professori ordinari, per le valutazioni comparative concernenti posti di professore ordinario; due professori ordinari e due professori associati, per le valutazioni comparative concernenti posti di professore associato.
L'elettorato passivo spetta ai professori ordinari e associati, appartenenti al settore scientifico-disciplinare oggetto del bando, non in servizio presso l'ateneo che ha indetto la procedura di valutazione comparativa (cosiddetti membri esterni).
L'elettorato attivo è attribuito, per la corrispondente fascia o ruolo, ai professori ordinari e associati appartenenti al settore scientifico-disciplinare oggetto del bando.
Ogni elettore può esprimere una sola preferenza. Risultano eletti i professori che hanno ottenuto più voti, secondo distinte graduatorie per fascia. A parità di voti, prevale il più anziano nel ruolo di appartenenza. A parità di anzianità di ruolo, prevale il più anziano di età.
Rispetto al quadro normativo descritto, la nuova composizione delle commissioni di concorso prevede: un professore ordinario nominato dalla facoltà che ha richiesto il bando (su questo punto non si registrano novità); quattro professori ordinari non appartenenti alla facoltà che ha richiesto il bando, sorteggiati in una lista di commissari eletti fra i professori ordinari appartenenti al settore scientifico-disciplinare oggetto del medesimo bando, in numero triplo rispetto al numero dei commissari complessivamente necessari nella sessione.
L'elettorato attivo è attribuito ai professori ordinari e straordinari appartenenti al medesimo settore scientifico-disciplinare. L'elettorato passivo per la lista, come si evince, spetta ai soli professori ordinari, appartenenti al settore scientifico-disciplinare del bando.
Dunque, in base alla formulazione della norma, il sorteggio viene effettuato su una lista di commissari eletti in numero triplo rispetto al numero dei commissari esterni complessivamente necessari nella sessione per lo svolgimento dei concorsi relativi a ciascun settore scientifico disciplinare.Pag. 41
Accanto a questa novità, vi è quella relativa all'elettorato attivo e passivo, che viene riservato ai soli professori ordinari (e a quelli straordinari per l'elettorato attivo) per i concorsi dei posti relativi a entrambe le fasce di professore.
La novità riguarda, in particolare, i concorsi per posti di professore associato. In base alla nuova disciplina, infatti, tutti i commissari esterni sono rappresentati da professori ordinari, mentre la legge n. 210 del 1998 prevede due professori ordinari e due associati.
Il comma 4 specifica due ulteriori ipotesi verificabili.
In primo luogo, qualora il settore scientifico-disciplinare sia costituito da un numero di professori ordinari pari o inferiore al necessario, la lista è costituita da tutti gli appartenenti al settore ed è eventualmente integrata mediante elezione da appartenenti a settori affini.
Al riguardo, osservo che sarebbe opportuno chiarire se con l'espressione «membri» appartenenti a settori affini si intenda sempre fare riferimento alla sola categoria dei professori ordinari.
In secondo luogo, come introdotto nel corso dell'esame in Senato, ove il numero dei professori ordinari appartenente al settore scientifico-disciplinare oggetto del bando, come integrato dai professori ordinari appartenenti ai settori affini, risulti comunque inferiore al numero necessario, si procede direttamente al sorteggio.
In entrambe le due ipotesi descritte, si prevede che il sorteggio sia effettuato in modo da garantire, ove possibile, che almeno due dei commissari sorteggiati appartengano al settore disciplinare oggetto del bando.
Infine, si prevede che, ove possibile, ciascun commissario partecipi, per ogni fascia e per ogni settore, ad una sola commissione per ciascuna sessione.
Il comma 5 riguarda i nuovi meccanismi di composizione delle commissioni per il reclutamento di ricercatori universitari, che si applicano in attesa del riordino delle relative procedure e, comunque, fino al 31 dicembre 2009. Nel testo originario si faceva riferimento sia alle commissioni per la valutazione comparativa di cui all'articolo 2 della legge n. 210 del 1998, sia all'articolo 1 comma 14, della legge n. 230 del 2005 riferita, come sopra si è visto, alla stipula di rapporti di lavoro con contratti a tempo determinato.
Nel corso dell'esame al Senato, il secondo riferimento è stato eliminato.
Come già per i professori universitari, l'ultimo intervento normativo relativo al meccanismo di reclutamento dei ricercatori è stato recato dalla legge n. 230 del 2005, che ha previsto che per la copertura dei posti di ricercatore sono bandite fino al 30 settembre 2013 le procedure di cui alla legge n. 210 del 1998.
Si prevede, dunque, che le commissioni per il reclutamento di ricercatori siano composte da: un professore ordinario o da un professore associato nominato dalla facoltà che ha richiesto il bando; due professori ordinari non appartenenti alla facoltà che ha richiesto il bando, sorteggiati in una lista di commissari eletti fra i professori ordinari appartenenti al settore scientifico-disciplinare oggetto del medesimo bando, in numero triplo rispetto al numero dei commissari complessivamente necessari nella sessione.
L'elettorato attivo è costituito dai professori ordinari e straordinari appartenenti al medesimo settore scientifico-disciplinare. Il sorteggio è effettuato in modo da assicurare, ove possibile, che almeno uno dei commissari sorteggiati appartenga al settore disciplinare oggetto del bando. È, infine, previsto che si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del comma 4.
Il meccanismo individuato è sostanzialmente analogo a quello previsto per i concorsi per posti di professore. Nel caso di specie, rispetto alla situazione normativa vigente, le modifiche principali riguardano: l'introduzione del meccanismo del sorteggio per la scelta dei due membri esterni della commissione, sulla base di una lista di eletti; il fatto che i membri esterni sono necessariamente professori ordinari (attualmente è previsto un professore ordinario o un professore associato); l'attribuzione dell'elettorato attivo Pag. 42per la scelta dei membri esterni ai soli professori ordinari e straordinari (mentre la disciplina vigente lo attribuisce ai professori e ai ricercatori confermati).
Infatti, si ricorda che, ai sensi della legge n. 210 del 1998 e del decreto del Presidente della Repubblica n. 117 del 2000, le commissioni giudicatrici per il reclutamento di ricercatori sono costituite mediante designazione di un professore di ruolo, ordinario o associato, da parte della facoltà che ha richiesto il bando e mediante elezione dei restanti componenti. Il componente designato viene scelto prima dello svolgimento delle elezioni, con deliberazione del consiglio di facoltà, nella composizione comprendente i professori ordinari e associati e i ricercatori.
I membri elettivi della Commissione sono costituiti da un professore ordinario (se la facoltà ha designato un professore associato) o da un professore associato (se la facoltà ha designato un professore ordinario), nonché da un ricercatore confermato.
L'elettorato attivo è attribuito, per la corrispondente fascia o ruolo, ai professori e ai ricercatori confermati appartenenti al settore scientifico-disciplinare oggetto del bando. La commissione può indicare un solo vincitore per ciascun posto di ricercatore.
Gli ulteriori aspetti sono identici a quelli già visti per i professori universitari.
Il comma 6, riferendosi a quanto disposto dai commi 4 e 5, prevede che le modalità di svolgimento delle elezioni, comprese le elezioni suppletive ove necessarie, e le modalità del sorteggio sono stabilite con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
Il testo originario della disposizione prevedeva che all'adozione di tale decreto si procedesse entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto: in considerazione dei 60 giorni a disposizione del Parlamento per la conversione, il Senato ha posticipato il termine massimo al 30o giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione. È comunque previsto che si applichino, in quanto compatibili con il decreto, le disposizioni del regolamento di cui al sopra citato decreto del Presidente della Repubblica n. 117 del 2000.
Inoltre, si segnala che, in base alle Regole e raccomandazioni per la formulazione tecnica dei testi legislativi (circolare dei Presidenti del Senato e della Camera e del Consiglio dei ministri del 20 aprile 2001), il corretto riferimento è al «regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 2000, n. 117».
Nel corso dell'esame del disegno di legge al Senato, è stato introdotto il comma 6-bis, che prevede che con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca sia nominata una commissione a livello nazionale, composta da sette professori ordinari designati dal CUN nel proprio seno, chiamata a: sovraintendere allo svolgimento delle operazioni di votazione e di sorteggio; provvedere, nella prima adunanza, a certificare i meccanismi di sorteggio per la proclamazione degli eletti nelle commissioni dei singoli concorsi.
Quanto al sorteggio, si stabilisce fin d'ora che le relative operazioni siano pubbliche.
La partecipazione alle attività della commissione non comporta compensi di alcun tipo, né rimborsi spese. E anche ulteriormente specificato che dall'attuazione di tale previsione non devono derivare oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica.
Il comma 7 introduce ulteriori novità relative alle procedure di valutazione comparativa per il reclutamento di ricercatori, concernenti i parametri per la valutazione dei candidati. Tale disposizione si applica solo alle procedure bandite successivamente alla data di entrata in vigore del decreto.
In particolare, si prevede che la valutazione sia effettuata sulla base dei titoli - illustrati e discussi dinanzi alla commissione, come specificato con modifica introdotta al Senato - e delle pubblicazioni dei candidati, compresa la tesi di dottorato.Pag. 43
Con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di natura non regolamentare, da adottare - secondo la modifica apportata dal Senato - entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, sentito il CUN, saranno definiti i parametri da utilizzare, riconosciuti anche in ambito internazionale.
In proposito, ricordo che, ai sensi della legge n. 210 del 1998 e dal relativo regolamento di attuazione, il reclutamento dei ricercatori si articola, oltre che nella valutazione dei titoli e delle pubblicazioni scientifiche, in due prove scritte (una delle quali sostituibile con una prova pratica) e in un colloquio.
Quanto alla valutazione dei titoli, l'articolo 1, comma 7, della legge n. 230 del 2005, ha previsto che nelle procedure di valutazione comparativa sono valutati come titoli preferenziali il dottorato di ricerca e le attività svolte in qualità di assegnisti e contrattisti ai sensi dell'articolo 51, comma 6, della legge n. 449 del 1997, di borsisti post-dottorato ai sensi della legge n. 398 del 1989, nonché di contrattisti ai sensi del comma 14 (sopra illustrato).
Pertanto, rispetto alla situazione normativa vigente: il reclutamento non comporterà più lo svolgimento di due prove scritte e di un colloquio; l'individuazione dei titoli valutabili appare rimessa alla piena discrezionalità della commissione.
Il comma 8 prevede effetti retroattivi, disponendo che le disposizioni di cui al comma 5 si applicano alle procedure di valutazione comparativa per il reclutamento dei ricercatori indette prima della data di entrata in vigore del decreto, per le quali non si sono ancora svolte, alla medesima data, le votazioni per la costituzione delle commissioni.
Inoltre, le eventuali disposizioni dei bandi già emanati, gli atti, le procedure già avviate per la costituzione delle commissioni, sia per i posti da professore che da ricercatore, non conformi alle disposizioni del decreto, sono privi di effetto.
Il Senato ha, quindi, introdotto i commi 8-bis e 8-ter.
Il comma 8-bis dispone in materia di elettorato attivo e passivo dei professori universitari, prevedendo che i professori universitari che non usufruiscono del periodo di prosecuzione del rapporto di lavoro di cui all'articolo 16 del decreto legislativo n. 503 del 1992, conservano entrambi gli elettorati ai fini della costituzione delle commissioni di valutazione comparativa per posti di professore e ricercatore universitario, comunque non oltre il 1o novembre successivo al compimento del settantaduesimo anno di età.
L'articolo 16, comma 1, del decreto legislativo n. 503 del 1992 prevede che i dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici possono permanere in servizio per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo per essi previsti. L'Amministrazione ha facoltà di accogliere la richiesta, in base alle proprie esigenze organizzative e funzionali.
Per completezza, ricordo che l'articolo 2, comma 434, della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria per il 2008) ha previsto la riduzione progressiva della durata del collocamento fuori ruolo dei professori universitari, che precede il loro collocamento a riposo e che oggi è fissata in tre anni, fino alla completa abolizione, con decorrenza a partire dal 2010.
A tale proposito, ricordo, inoltre, che per i professori ordinari e associati che saranno nominati sulla base della nuove procedure di reclutamento di cui alla legge 4 novembre 2005, n. 230, il limite massimo di età per il collocamento a riposo è determinato al termine dell'anno accademico nel quale si è compiuto il settantesimo anno di età, specificando che nel termine è compreso il biennio di cui al citato articolo 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, e successive modificazioni, mentre è abolito il collocamento fuori ruolo per limiti di età (articolo 1, comma 17).
Il comma 8-ter prevede la possibilità di riapertura del termine per la presentazione delle domande di partecipazione alle procedure di valutazione comparativa dei professori e dei ricercatori universitari per Pag. 44le quali il termine medesimo sia scaduto o sia ancora aperto alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto. Le università possono, infatti, fissare un nuovo termine di scadenza, comunque non successivo al 31 gennaio 2009, ferme restando tutte le prescrizioni del bando, incluse quelle relative ai termini temporali di possesso dei titoli e delle pubblicazioni che i candidati possono allegare.
Il comma 9 novella l'articolo 74, comma 1, lettera c), del decreto-legge n. 112 del 2008, escludendo gli enti di ricerca dall'obbligo di ridurre la spesa per il personale non dirigenziale di almeno il 10 per cento.
L'articolo 1-bis, introdotto dal Senato, sostituisce l'articolo 1, comma 9, della legge n. 230 del 2005, che disciplina la chiamata diretta nelle università.
In base al nuovo testo, si prevede che le università, nell'ambito delle relative disponibilità di bilancio, possono procedere alla copertura di posti di professore ordinario e associato e di ricercatore mediante chiamata diretta: di studiosi impegnati all'estero da almeno un triennio in attività di ricerca o insegnamento universitario, che ricoprano una posizione accademica equipollente in istituzioni universitarie estere; di studiosi che abbiano già svolto per chiamata diretta autorizzata dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, nell'ambito del «Programma di rientro dei cervelli», un periodo di almeno 3 anni di ricerca e di docenza nelle università italiane e conseguito risultati scientifici congrui rispetto al posto per il quale ne viene proposta la chiamata.
Sembrerebbe opportuna una riflessione sull'uso del termine «equipollente», generalmente riferito ai titoli di studio e finora non presente nell'ordinamento con riferimento a posizioni accademiche. Questo, in considerazione del fatto che il riconoscimento dell'equipollenza o deve essere stabilito dalla legge - come nel caso dell'articolo 35, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000 - o deve derivare da una procedura che, come per i titoli di studio, porti all'adozione di un atto finale e formale.
Rispetto all'originaria formulazione dell'articolo 1, comma 9, della legge n. 230 del 2005, le modifiche sono così sintetizzabili: la possibilità di chiamata diretta per i professori ordinari e associati non soggiace più al limite del 10 per cento dei posti; la stessa possibilità viene estesa ai ricercatori; conseguentemente, si introduce il riferimento all'attività di ricerca; si precisa che deve trattarsi di esperienza maturata per almeno un triennio in istituzioni universitarie estere, ovvero, sulla base di chiamata diretta autorizzata dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della ricerca nell'ambito del «Programma di rientro dei cervelli», nelle università italiane; non è più richiesta l'attestazione della sussistenza di adeguate risorse nel bilancio dell'università che intenda procedere alla chiamata diretta.
Ai fini sopra indicati, le università devono formulare specifiche proposte al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che concede o rifiuta il nulla osta alla nomina, previo parere del Consiglio universitario nazionale (CUN).
Per questo tipo di chiamata, quindi, la procedura rimane invariata rispetto a quanto già previsto dalla legge n. 230 del 2005.
La procedura si differenzia, invece, per la chiamata diretta di studiosi di chiara fama ai fini della copertura di posti di professore ordinario, che deve sempre avvenire nell'ambito delle disponibilità di bilancio.
Infatti, in tale ipotesi il nulla osta del Ministro è preceduto dal parere di una commissione nominata dal CUN, composta da tre professori ordinari, appartenenti al settore scientifico-disciplinare per il quale è proposta la chiamata.
A tal proposito potrebbe rendersi opportuno specificare in che modo il CUN debba procedere a tale nomina.
La nomina dello studioso di chiara fama è disposta con decreto del rettore, con il quale è determinata la classe di stipendio sulla base della eventuale anzianità di servizio e di valutazioni di merito.
Anche per tale aspetto, dunque, interviene una modifica rispetto all'originaria Pag. 45formulazione della legge n. 230 del 2005, che prevede l'attribuzione del livello retributivo più alto spettante ai professori ordinari.
Da ultimo, si specifica che dalle disposizioni del comma 9 non devono derivare nuovi oneri a carico della finanza pubblica.
L'articolo 2 reca misure per la qualità del sistema universitario, prevedendo che, a decorrere dal 2009, una quota non inferiore al 7 per cento del Fondo di finanziamento ordinario delle università (FFO) e del fondo straordinario di cui all'articolo 2, comma 428, della legge finanziaria 2008, destinata ad incrementarsi progressivamente negli anni successivi, sia ripartita fra le università in base alla qualità dell'offerta formativa e dei risultati dei processi formativi, alla qualità della ricerca scientifica, alla qualità, efficacia ed efficienza delle sedi didattiche.
In base alla prima modifica apportata dal Senato, peraltro, il fattore di valutazione riferito alla sedi didattiche non si considera in sede di prima applicazione.
L'articolo 2, comma 428, della legge n. 244 del 2007 prevede che ai fini del concorso dello Stato agli oneri per gli adeguamenti retributivi per il personale docente e per i rinnovi contrattuali del restante personale delle università, nonché in vista degli interventi da adottare in materia di diritto allo studio, di edilizia universitaria e per altre iniziative inerenti il sistema universitario, è istituito un fondo con una dotazione finanziaria di 550 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2008 al 2010. Tale somma è destinata ad incrementare il Fondo di finanziamento ordinario delle università per far fronte alle prevalenti spese per il personale e, per la parte residua, ad altre esigenze di spesa corrente e di investimento, individuate autonomamente dagli atenei.
Ricordo, peraltro, che il successivo comma 429 subordina l'assegnazione delle risorse indicate all'adozione entro gennaio 2008 di un piano programmatico, approvato con decreto del Ministro dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la CRUI, e volto, fra l'altro, a: elevare la qualità del sistema universitario e il livello di efficienza degli atenei; rafforzare i meccanismi di incentivazione per un uso appropriato ed efficace delle risorse, con contenimento dei costi di personale a vantaggio della ricerca e della didattica; accelerare il riequilibrio finanziario tra gli atenei sulla base di parametri vincolanti. Al riguardo si ribadisce la necessità di adozione di disposizioni che, in caso di superamento del limite del 90 per cento della spesa per il personale, rendano effettivo il vincolo delle assunzioni.
Il piano programmatico è stato adottato con decreto interministeriale del 30 aprile 2008 limitatamente al riparto del fondo straordinario per l'esercizio finanziario 2008.
Da ultimo, è opportuno ricordare che attualmente per il riparto annuale del Fondo di finanziamento ordinario (FFO) è previsto un modello teorico predisposto dal Comitato per la valutazione del sistema universitario (Doc 1/04). In sintesi, il modello tiene conto dei seguenti elementi: 30 per cento: domanda da soddisfare (numero di iscritti); 30 per cento: risultati di processi formativi (CFU acquisiti dagli studenti); 30 per cento: risultati della ricerca scientifica; il «potenziale di ricerca» è calcolato in base al numero di docenti, ricercatori, borsisti, assegnisti, eccetera, opportunamente pesati secondo la categoria di appartenenza e ulteriormente ponderati per indicatori di partecipazione e di successo nella richiesta di fondi PRIN nel triennio precedente, cui si aggiunge il numero di ricercatori «virtuali» calcolato in base ai fondi esterni ottenuti dall'ateneo per attività di ricerca; 10 per cento: incentivi speciali.
Occorre, tuttavia, aggiungere che, a causa della situazione di crescente squilibrio finanziario delle università, negli ultimi anni il FFO è stato allocato, nonostante il modello CNVSU, quasi esclusivamente sulla base delle quote storiche di spesa.
Le modalità di ripartizione delle risorse di cui al comma 1 sono definite con Pag. 46decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, da adottare, in sede di prima applicazione, e in base alla seconda modifica apportata dal Senato, entro il 31 marzo 2009 (il termine originario era il 31 dicembre 2008), sentiti il Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca (CIVR) e il Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (CNVSU).
L'articolo 3 contiene disposizioni per il diritto allo studio universitario dei capaci e dei meritevoli.
Più in particolare, i commi 1 e 2 dell'articolo 3 prevedono misure di agevolazione economica finalizzate a garantire il diritto allo studio universitario agli studenti capaci e meritevoli.
In particolare, il comma 1 prevede, per il 2009, una integrazione del fondo per il finanziamento dei progetti volti alla realizzazione di alloggi e residenze universitarie, di cui alla legge n. 338 del 2000, per un importo pari a 65 milioni di euro.
Il fondo per il concorso dello Stato per interventi per alloggi e residenze per gli studenti universitari ha, nel disegno di legge di bilancio 2009 (AS 1210, tabella 7), una dotazione pari a 44,6 milioni di euro, con una riduzione di 12,5 milioni di euro rispetto alla legge di bilancio 2008.
Per effetto della disposizione recata dal comma in commento, quindi, l'ammontare del fondo per il 2009 sarebbe pari a 109,6 milioni di euro.
La legge n. 338 del 2000 ha previsto il cofinanziamento dello Stato per gli interventi necessari per l'abbattimento delle barriere architettoniche, la messa in sicurezza, la manutenzione straordinaria, il recupero e la ristrutturazione di immobili già esistenti, adibiti o da adibire ad alloggi e residenze per studenti universitari, ovvero per interventi di nuova costruzione da adibire alla stessa finalità da parte di regioni, province autonome di Trento e Bolzano, organismi regionali di gestione per il diritto allo studio, università statali o legalmente riconosciute, collegi universitari legalmente riconosciuti, consorzi universitari, cooperative di studenti senza fine di lucro, organizzazioni non lucrative di utilità sociale.
Il comma 2 prevede, sempre per l'esercizio finanziario 2009, un incremento del fondo di intervento integrativo di cui all'articolo 16 della legge n. 390 del 1991, per un importo di 135 milioni di euro, per garantire la concessione di borse di studio agli studenti capaci e meritevoli.
Il Fondo di intervento integrativo da ripartire fra le regioni per la concessione dei prestiti d'onore e la concessione delle borse di studio ha, nel disegno di legge di bilancio 2009 (AS 1210, tabella 7), una dotazione pari a 111,9 milioni di euro, con una diminuzione di 40,1 milioni di euro rispetto alla legge di bilancio 2008.
Per effetto della disposizione recata dal comma in commento, quindi, l'ammontare del fondo per il 2009 sarebbe pari a 246,9 milioni di euro.
L'articolo 16, comma 1, della citata legge n. 390 del 1991 ha previsto la concessione di prestiti d'onore da parte degli istituti di credito agli studenti capaci e meritevoli con problemi economici, disciplinando le modalità di attivazione dell'istituto nei commi successivi. Conseguentemente, il comma 4 ha previsto che, ad integrazione delle disponibilità finanziarie destinate dalle regioni a questi interventi, fosse istituito, per gli anni 1991 e 1992, presso il Ministero, un «Fondo di intervento integrativo per la concessione dei prestiti d'onore». Successivamente, la legge n. 147 del 1992 ha stabilito che gli interventi previsti per gli anni 1991 e 1992 dagli articoli 16 e 17 della legge 2 dicembre 1991, n. 390 fossero attuati con le medesime modalità e procedure anche per gli anni successivi, quantificando l'onere per gli anni 1993 e 1994 e demandando alla legge finanziaria la determinazione per gli anni successivi.
Il comma 3 prevede la copertura finanziaria per gli incrementi di cui ai commi 1 e 2. A questi si fa fronte con le risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate di cui all'articolo 61 della legge n. 289 del 2002, relative alla programmazione per Pag. 47il periodo 2007-2013 che, a tale scopo, sono prioritariamente assegnate dal CIPE al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, nell'ambito del programma di competenza dello stesso Ministero.
Durante l'esame del disegno di legge in commento presso il Senato, è stato introdotto il comma 3-bis che riguarda la durata del mandato dei componenti del Consiglio nazionale degli studenti universitari (CNSU), per la quale si propongono 3 anni, anziché i 2 previsti attualmente dall'articolo 3-bis del decreto-legge n. 105 del 2003.
In relazione al comma 3-bis, sarebbe opportuno chiarire la decorrenza degli effetti della disposizione.
L'articolo 3-bis, introdotto dal Senato, prevede che con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca sono individuati modalità e criteri per la costituzione, presso il Ministero, di una Anagrafe nazionale nominativa dei professori ordinari e associati e dei ricercatori, contenente per ciascuno l'elenco delle pubblicazioni scientifiche prodotte.
Per quanto non adeguatamente formulato - poiché l'espressione «a decorrere dall'anno 2009» - fa pensare all'intervento periodico di un decreto -, si comprende che a tale adempimento si deve dar corso nel 2009.
La costituzione dell'Anagrafe non deve determinare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. All'aggiornamento dell'Anagrafe si procede con periodicità annuale.
Segnalo che, nell'ambito della propria autonomia, alcune università hanno già provveduto all'istituzione di anagrafi dei docenti e dei ricercatori.
L'articolo 3-ter, introdotto nel corso dell'esame del provvedimento al Senato, reca disposizioni volte a legare l'incremento stipendiale dei professori universitari ordinari e associati ad una valutazione dell'attività svolta dagli stessi da parte dell'autorità accademica.
In particolare, il comma 1 prevede che gli scatti biennali di cui agli articoli 36 e 38 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, destinati a maturare a partire dal 1o gennaio 2011, siano disposti previo accertamento da parte della autorità accademica della effettuazione, nel biennio precedente, di pubblicazioni scientifiche.
L'entità dello scatto biennale viene diminuita della metà nel caso in cui nel biennio precedente alla valutazione non siano state effettuate pubblicazioni scientifiche (comma 3).
I criteri identificanti il carattere scientifico delle pubblicazioni sono stabiliti con apposito decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, su proposta del Consiglio universitario nazionale e sentito il Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca (comma 2).
Il comma 4, infine, prevede la impossibilità a partecipare alle commissioni di valutazione comparativa per il reclutamento rispettivamente, di professori di I e II fascia e di ricercatori, per i professori di I e II fascia e i ricercatori che nel precedente triennio non abbiano effettuato pubblicazioni scientifiche individuate secondo i criteri di cui al precedente comma 2.
L'articolo 3-quater, introdotto nel corso dell'esame del disegno di legge al Senato, introduce l'obbligo di pubblicità delle attività di ricerca delle università.
Si prevede, infatti, che annualmente, in sede di approvazione del conto consuntivo relativo all'anno precedente, il rettore presenta al Consiglio di amministrazione e al Senato accademico una relazione relativa ai risultati delle attività di ricerca, di formazione e di trasferimento tecnologico, nonché ai finanziamenti ottenuti da soggetti pubblici e privati. La relazione è pubblicata sul sito dell'ateneo e trasmessa al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.
Si prevede, altresì, che la mancata pubblicazione e trasmissione sono valutate anche ai fini dell'attribuzione delle risorse finanziarie a valere sul Fondo di finanziamento ordinario delle università (FFO) e sul Fondo straordinario, ad integrazione delle disponibilità del FFO, previsto dalla Pag. 48legge finanziaria per il 2008 (si veda ante, articolo 1).
L'articolo 3-quinquies, introdotto nel corso dell'esame del provvedimento al Senato, reca disposizioni sugli ordinamenti didattici delle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM).
In particolare, la disposizione prevede che con decreti ministeriali emanati in attuazione dell'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica n. 212 del 2005, siano determinati gli obiettivi formativi e i settori artistico disciplinari entro i quali le Istituzioni, nella loro autonomia, individueranno gli insegnamenti da attivare.
Al riguardo si rende preliminarmente opportuno, al riguardo, fornire una breve sintesi della normativa.
La legge n. 508 del 1999 ha riordinato il settore delle Accademie di belle arti, dell'Accademia nazionale di danza, dell'Accademia nazionale di arte drammatica, degli istituti superiori per le industrie artistiche, dei Conservatori di musica e degli Istituti musicali pareggiati, attribuendo a queste istituzioni una autonomia paragonabile a quella delle università. In particolare, esse costituiscono il sistema dell'alta formazione e specializzazione artistica e musicale, nei confronti del quale il Ministro esercita poteri di programmazione, indirizzo e controllo.
Le AFAM rilasciano diplomi accademici di primo e di secondo livello, nonché di perfezionamento, di specializzazione e di formazione alla ricerca in campo artistico e musicale.
L'articolo 2, comma 7, della legge ha affidato a regolamenti di delegificazione, su proposta del Ministro dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro della pubblica istruzione, sentiti il Consiglio nazionale per l'alta formazione artistica e musicale - di cui all'articolo 3 - e le competenti commissioni parlamentari, la disciplina, fra gli altri, di procedure, tempi e modalità per lo sviluppo dell'offerta didattica nel settore (lettera g) e i criteri generali per gli ordinamenti didattici (lettera h). Fra i criteri direttivi cui attenersi nella emanazione dei regolamenti vi sono la valorizzazione delle specificità culturali e tecniche dell'alta formazione artistica e musicale e la programmazione dell'offerta formativa sulla base della valutazione degli sbocchi professionali e della considerazione del diverso ruolo della formazione in questione rispetto alla formazione tecnica superiore e a quella universitaria (comma 8).
In attuazione di tali disposizioni sono intervenuti prima il decreto del Presidente della Repubblica 28 febbraio 2003, n. 132, e poi il già citato decreto del Presidente della Repubblica 8 luglio 2005, n. 212.
Quest'ultimo, precisato che per obiettivi formativi si intende l'insieme delle conoscenze e abilità che caratterizzano il profilo culturale e professionale, al conseguimento delle quali il corso di studio è finalizzato, ha declinato, all'articolo 3, gli obiettivi formativi dei corsi finalizzati al conseguimento di ciascuno dei titoli di studio sopra indicati.
All'articolo 5 ha, quindi, disciplinato l'ordinamento didattico generale. In particolare, per quanto riguarda i corsi di primo livello, ha stabilito che in prima applicazione gli stessi siano istituiti nelle scuole individuate nella tabella A allegata.
Per quanto concerne i corsi di secondo livello, ha stabilito che, fino all'adozione del regolamento previsto dall'articolo 2, comma 7, lettera h), della legge n. 508 del 1999, essi siano attivati esclusivamente in via sperimentale, su proposta delle istituzioni, con decreto del Ministro che verifica, tra l'altro, gli obiettivi formativi, sentito il CNAM. La norma precisa che i corsi sperimentali di specializzazione sono attivati con riferimento agli ambiti professionali creativo-interpretativo, didattico-pedagogico, metodologico-progettuale, delle nuove tecnologie e linguaggi, della valorizzazione e conservazione del patrimonio artistico.
L'articolo 9 del regolamento ha, quindi, affidato ad un decreto del Ministro, sentito il CNAM, l'individuazione degli obiettivi e delle attività formative qualificanti dei corsi. Pag. 49
In attuazione di tali disposizioni, sono intervenuti i decreti ministeriali nn. 141 del 2006, 142 del 2006, 143 del 2006, 146 del 2006 che hanno proceduto alla Definizione dei settori artistici scientifico-disciplinari, delle declaratorie e dei campi paradigmatici, rispettivamente, delle Accademie di Belle Arti, dei Conservatori di Musica, degli Istituti Superiori per le Industrie Artistiche e dell'Accademia Nazionale di Arte Drammatica.
Successivamente, sono intervenuti i decreti ministeriali 22 gennaio 2008, n. 482 e n. 483, che hanno definito, rispettivamente, i nuovi ordinamenti didattici dei Conservatori di musica e delle Accademie di Belle Arti, e il Decreto ministeriale 29 luglio 2008 protocollo n. 23 del 2008, che ha definito i nuovi ordinamenti didattici dell'Accademia nazionale di Danza.
Tutti i decreti citati sono stati adottati previo parere del CNAM, come previsto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 212 del 2005.
Rispetto alla situazione normativa descritta, appare necessario chiarire se si intenda modificare la procedura prevista, escludendo il CNAM, ovvero modificare l'oggetto dei decreti di cui all'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica n. 212 del 2005.
Più in generale, occorrerebbe valutare l'opportunità di intervenire con atto normativo primario su una materia già delegificata.
L'articolo 4 quantifica gli oneri derivanti dall'articolo 1, comma 3, del decreto, relativo al turn-over per le università statali, nelle seguenti misure: 2009: 24 milioni di euro, 2010: 71 milioni di euro; a decorrere dal 2011: 141 milioni di euro.
La relazione tecnica al decreto evidenzia che la norma prevede un ammontare per l'anno 2011 elevato fino all'importo di 141 milioni di euro - invece dei 118 milioni indicati nell'articolo 1, comma 3 -, per tener conto dell'andamento crescente dell'onere, con un massimo a regime commisurato al predetto ammontare di 141 milioni di euro a decorrere dall'anno 2012.
Al riguardo, già il Servizio Bilancio del Senato ha segnalato la discrasia esistente tra l'onere relativo all'anno 2011, pari a 118 milioni, ai sensi dell'articolo 1, comma 3, e la relativa copertura pari a 141 milioni, di cui all'articolo in esame.
Per la copertura di tali oneri, è disposta la riduzione lineare delle dotazioni finanziarie delle missioni di spesa di ciascun Ministero, secondo gli importi indicati nell'elenco 1 allegato al decreto Sono escluse dalle riduzioni le spese indicate nell'articolo 60, comma 2, del decreto-legge n. 112 del 2008 e quelle connesse all'istruzione e all'università.
Le spese indicate nell'articolo 60, comma 2, del decreto-legge n. 112 del 2008 riguardano: stipendi, assegni, pensioni e altre spese fisse; spese per interessi; poste correttive e compensative delle entrate, comprese le regolazioni contabili con le regioni; trasferimenti a favore degli enti territoriali aventi natura obbligatoria; fondo ordinario delle università; risorse destinate alla ricerca; risorse destinate al finanziamento del 5 per mille delle imposte sui redditi delle persone fisiche; risorse dipendenti da parametri stabiliti dalla legge o derivanti da accordi internazionali.
Segnalo che, mentre il testo dell'articolo 4 evidenzia che sono escluse dalle riduzioni le spese connesse all'istruzione e all'università, nell'elenco 1 allegato al decreto, sulla missione 22 «Istruzione scolastica» del Ministero dell'economia e delle finanze è apportata una riduzione di 106 mila euro per il 2009, 319 mila euro per il 2010, 632 mila euro per il 2011.
Ricordo, infine, che nel disegno di legge di bilancio per il 2009 (AS 1210), nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze (Tabella 2), nell'ambito della Missione «Istruzione scolastica» e del programma «Sostegno all'istruzione», sono allocati 119,7 milioni di euro (Macroaggregato 16.1.3, Oneri di parte corrente - cap. 3044 Somme da trasferire alle regioni per borse di studio per la frequenza di scuola dell'obbligo).
L'articolo 5 dispone infine in merito all'entrata in vigore del decreto.

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TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO GABRIELLA GIAMMANCO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 1966.

GABRIELLA GIAMMANCO. Presidente, onorevoli colleghi, il confronto sul provvedimento in esame che si è avuto nelle scorse settimane al Senato a mio avviso ha rappresentato un significativo esempio di dialogo tra maggioranza e opposizione.
Un serio tentativo di cambiamento, una buona notizia per studenti e docenti che considerano la formazione accademica e la ricerca scientifica una missione determinante per il futuro del nostro paese.
Siamo tutti consapevoli del fatto che i giovani e le loro famiglie osservano il nostro lavoro, lo giudicano, lo apprezzano o lo criticano. A loro dobbiamo rispondere e di fronte a loro siamo responsabili del nostro impegno. Della nostra reale volontà di riformare il sistema universitario, in cui qualità e mediocrità, produttività e inefficienza, merito e demerito convivono, disponendo delle stesse risorse a danno dei migliori.
Il rispetto che merita il grande patrimonio di aspettative nei nostri confronti ci deve spingere a fare del nostro meglio e ad apprezzare, in attesa di una riforma complessiva dell'università italiana, le importanti novità introdotte dal decreto in esame per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca.
Si tratta di decisioni forti, necessarie e non più rinviabili, che mirano a contenere gli sprechi e le disfunzioni ampiamente diffuse nel sistema della formazione universitaria. Scelte di buon senso, che coniugano l'autonomia universitaria al concetto di responsabilità e al riconoscimento del merito e che sottopongono gli investimenti in formazione e ricerca a un sistema di valutazione dei risultati di atenei e docenti.
Sin dall'inizio di questo mio primo mandato da parlamentare, ho sempre sostenuto che gli argomenti in gioco quando si parla di scuola e di università sono troppo delicati per essere lasciati alla classica e spesso, permettetemelo, sterile contrapposizione destra-sinistra, maggioranza-opposizione. Non c'è cosa peggiore della politica del rifiuto quando si ritiene che l'azione di governo, pur con la necessità di ulteriori aggiustamenti di rotta, stia comunque andando nella direzione giusta.
Sono realmente convinta che se riusciremo a mettere da parte le prese di posizione ideologiche «tout court» potremo incidere davvero sul processo riformatore del nostro Paese. La spinta riformatrice è necessaria per ridare centralità al ruolo dei giovani per superare i vizi di una società ancora troppo ingessata, gerontocratica e refrattaria a riconoscere il merito.
Ho apprezzato molto, nel corso del dibattito al Senato, l'atteggiamento di chi - senza abbandonarsi allo spirito partigiano - ha cercato di confrontarsi con il testo del Governo.
Credo sia oggettivamente difficile non apprezzare le iniziative del decreto-legge che vogliono segnare una svolta all'insegna del rigore, per dare giustizia alle migliaia di validissimi studiosi che insegnano e fanno ricerca nei nostri atenei, e per liberare le energie di tanti giovani talenti.
In questo provvedimento ci sono tante cose che meriterebbero un consenso bipartisan.
Di sicuro avrei difficoltà a immaginare un voto contrario da parte dell'opposizione verso le disposizioni contenute nei commi 1 e 2 dell'articolo 3.
Sono misure in un certo senso rivoluzionarie.
Il decreto stanzia 65 milioni di euro per finanziare progetti per nuove residenze universitarie. Una misura importante che garantirà agli studenti italiani 1.700 posti letto in più. Attualmente in Italia solo il 2 per cento degli studenti alloggia in residenze universitarie, il dato cresce al 10 per cento se si va in Germania e al 17 per cento in Svezia. Fino a oggi gli scarsi investimenti nell'edilizia universitaria sono stati tra le cause della bassa mobilità degli studenti, troppo spesso rimasti prigionieri Pag. 51delle università vicino casa. Oggi la mobilità sociale ricade esclusivamente sulle tasche delle famiglie. Con questo provvedimento lo Stato tende loro una mano e incentiva la mobilità sociale. È un primo passo, certo, ma nelle scorse finanziarie non sono stati stanziati mai tanti fondi. In un periodo di crisi, poi, è misura «anticiclica» che non può che vedersi con favore.
Il decreto, inoltre, prevedendo 135 milioni di euro in più per il fondo di finanziamento delle borse di studio consentirà, se le regioni faranno il loro dovere, di garantire una borsa di studio a tutti gli aventi diritto, cioè a circa 180mila ragazzi «meritevoli e privi di mezzi» che ne hanno fatto richiesta. Mai nessun Governo era arrivato a stanziare tanti fondi per le borse di studio, al punto da riuscire a soddisfare tutte le domande degli studenti. Si tratta dell'incremento di risorse più forte di sempre. L'ultimo risale a tre anni fa ad opera del ministro Moratti e ammontava a 30 milioni. Oggi molti, anzi troppi, di coloro che hanno diritto alla borsa di studio non la ricevono. In più, si assiste a una situazione a macchia di leopardo dove al nord, in Piemonte, Lombardia e altre poche regioni, tutti gli studenti idonei ricevono la borsa di studio. In media più del 20 per cento degli studenti idonei non riceve la borsa di studio per mancanza di fondi e in alcune regioni del meridione, proprio dove ce ne sarebbe più bisogno, questa percentuale d'ingiustizia supera il 50 per cento.
L'iniziativa di questo Governo rappresenta, quindi, una misura di giustizia sociale, ma non assistenzialista. È un'opportunità che lo Stato dà a chi parte da posizioni di svantaggio. Il tutto in perfetta sintonia con l'articolo 34 della Costituzione, che garantisce ai meritevoli, anche se privi di mezzi, il raggiungimento dei più alti gradi di istruzione.
Il dettato costituzionale trova risposta nel comma 2 dell'articolo 3 del decreto-legge che stiamo esaminando. Mi chiedo come sia possibile votare contro. La mia è solo una riflessione, mi piacerebbe poter dare un segnale forte ai giovani e alle loro famiglie.
Se un provvedimento del Governo è giusto, le opposizioni farebbero bene a condividerlo. È quanto accade nelle grandi democrazie occidentali. Ed è un modo per ricreare quel clima di fiducia tra cittadini e istituzioni di cui oggi il nostro Paese ha disperatamente bisogno.
Il decreto-legge concretizza, inoltre, l'auspicio dell'OCSE e dei maggiori osservatori del mondo universitario del nostro Paese: i finanziamenti premino la qualità dell'offerta formativa, della produzione scientifica, la trasparenza dei bilanci e le buona gestione delle risorse.
L'autonomia degli atenei, come ha più volte sottolineato il Ministro, non può coincidere con l'arbitrio nella gestione dei fondi pubblici, ma deve essere oggetto di una significativa opera di responsabilizzazione.
In questo senso va la disposizione relativa al blocco delle assunzioni nelle università che abbiano superato, il 31 dicembre di ogni anno, il livello massimo di spesa per il personale di ruolo, fissato al 90 per cento dei trasferimenti statali sul fondo per il finanziamento ordinario. Questi atenei saranno esclusi anche dalla ripartizione dei fondi relativi agli anni 2008-2009 previsti dalla legge finanziaria 2007 per l'attuazione del piano straordinario di assunzione dei ricercatori.
Il comma 3 dell'articolo 1, inoltre, che eleva dal 20 al 50 per cento il limite del turn over, a cui bisogna aggiungere la deroga sui ricercatori, di fatto riduce i tagli previsti dal 2010 sul fondo di finanziamento ordinario di oltre il 30 per cento.
È innegabile come il provvedimento, oltre ad elevare il turn over, voglia dare centralità ai giovani. Le nuove assunzioni, infatti, andranno a favore dei ricercatori. Ciascuna università non dovrà destinare meno del 60 per cento della spesa per nuovi posti da ricercatore mentre non potrà spendere più del 10 per cento per i professori ordinari.
S'iniziano, insomma, a riaprire le porte dell'università ai giovani e a riequilibrare Pag. 52un corpo docente che negli ultimi anni sembra abbia pensato più alle esigenze di chi era già all'interno del sistema rispetto a quelle di giovani meritevoli che aspiravano ad entrarvi.
Poi c'è la modifica temporanea dei concorsi.
Forse si sarebbe potuto fare di più, ma ritengo che nell'immediatezza non era possibile trovare soluzioni migliori di quelle fissate nel decreto in discussione.
Meccanismi di cooptazione sono in qualche maniera ineliminabili nell'ambiente universitario dove tutti si conoscono. Qualunque riforma del sistema dei concorsi non può essere in grado di evitare comportamenti opportunistici da parte di chi vuole fare accedere alla carriera universitaria amici e parenti, ma i concorsi istruiti con la modalità dell'elezione e poi del sorteggio renderanno sicuramente più complicate pratiche clientelari. D'altra parte, è stata una scelta ragionevole del Governo limitare al massimo, con le misure di emergenza adottate dal decreto, il disagio e i ritardi per migliaia di studiosi che, del tutto legittimamente, attendono da tempo di partecipare a concorsi bloccati da anni.
Soluzioni più drastiche avrebbero dovuto confrontarsi con migliaia di ricorsi, con tutto quello che abitualmente ne consegue.
Con questo decreto il merito diventa finalmente, per la prima volta, l'unico vero criterio di ripartizione di una quota importante di fondi statali.
Il Governo vuole mettere la parola fine alle risorse distribuite a pioggia, in maniera indistinta, a tutti gli atenei. Sarà il merito il criterio per la ripartizione di una quota significativa dei fondi statali. Già dal 2009, una quota non inferiore al 7 per cento del fondo di finanziamento ordinario e del fondo straordinario, istituito con la legge finanziaria del 2008, sarà ripartita alle università più virtuose. Il principio non è nuovo, ma negli ultimi anni le risorse utilizzate a favore delle università che producevano risultati migliori sono state meno dello 0,5 per cento. Col provvedimento in esame, per la prima volta, circa 500 milioni di euro saranno distribuiti in base alla qualità. Si tratta di una quota destinata a salire nei prossimi anni fino al 30 per cento, invertendo un trend che fino a oggi ha privilegiato esclusivamente la spesa storica e che, con il decreto in questione, premierà invece la qualità dell'offerta formativa, della ricerca scientifica e delle sedi didattiche.
Anche negli articoli 3-bis, 3-ter, 3-quater e 3-quinquies, introdotti dal Senato, assistiamo al rilancio dei principi di responsabilità e trasparenza nonché del principio del merito.
L' articolo 3-ter, in particolare, blocca l'automatismo degli scatti stipendiali dovuti all'anzianità e slegati dalla produzione scientifica. Ai docenti che, a partire dal 1o gennaio 2011, non avranno pubblicazioni scientifiche di rilievo nel biennio precedente lo scatto biennale dello stipendio verrà diminuito della metà. In più, se gli stessi nel precedente triennio non avranno effettuato alcuna pubblicazione scientifica saranno esclusi dalle commissioni di valutazione comparativa per il reclutamento di professori di prima e seconda fascia e di ricercatori. Si tratta di una novità di grande rilievo: ritengo opportuno escludere dalle commissioni docenti che, estranei al dibattito scientifico, non avrebbero alcun titolo per giudicare i candidati.
La pubblicità dei risultati delle attività di ricerca poi, prevista dall' articolo 3-quater, sarà utilissima anche agli studenti per valutare la qualità dell'ateneo al quale intendono iscriversi.
In conclusione, ritengo che abbiamo dinnanzi anni importanti per il futuro del Paese.
Dopo queste prime misure urgenti non bisogna perdere tempo per lavorare a più grandi riforme strutturali. Le linee guida del Ministro Gelmini offrono spunti di discussione e un quadro d'insieme entro cui collocare i prossimi passi. Come giustamente il Ministro segnala, i cardini di una riforma dell'università dovranno essere: innovativi meccanismi di governance e una sempre maggiore centralità della valutazione. Atenei più responsabilizzati e soggetti a valutazioni stringenti non Pag. 53avranno bisogno di molte regole perché saranno consapevoli che scelte sbagliate avranno conseguenze negative immediate e tangibili.
Onorevoli colleghi, oggi abbiamo l'occasione di riformare un sistema che è rimasto, sotto molti profili, indietro negli anni, ingessato da logiche corporative e di potere; un sistema troppo spesso incapace di produrre ricerca di qualità e di fare buona didattica.
Non abbiamo, dunque, alibi di fronte a questa concreta opportunità di cambiamento che i giovani ci chiedono; dobbiamo provare a demolire la cortina protettiva che un sistema malato ha eretto per difendersi.
I tempi sono maturi per riformare il sistema universitario del nostro Paese col confronto, col dialogo, insieme, maggioranza e opposizione.
Sono certa che i giovani si aspettino da noi proprio questa rivoluzione culturale. Rivoluzione culturale che ci potrà condurre a vincere finalmente la battaglia del merito, a scuola come all'università.

Pag. 54

ORGANIZZAZIONE DEI TEMPI DI ESAME DEI DISEGNI DI LEGGE NN. 1713-B E 1714-B

Ddl n. 1713-B - Legge Finanziaria e Ddl n. 1714-B - Bilancio di previsione dello Stato

Discussione congiunta sulle linee generali: 6 ore.

Relatori 25 minuti (complessivamente)
Governo 25 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti
Interventi a titolo personale 53 minuti (con il limite massimo di 15 minuti per ciascun deputato)
Gruppi 4 ore e 7 minuti
Popolo della Libertà 1 ora
Partito Democratico 53 minuti
Lega Nord Padania 37 minuti
Unione di Centro 34 minuti
Italia dei Valori 33 minuti
Misto: 30 minuti
Movimento per l'Autonomia 16 minuti
Liberal Democratici-Repubblicani 8 minuti
Minoranze linguistiche 6 minuti

Ddl n. 1714-B - Bilancio di previsione dello Stato

Seguito dell'esame: 3 ore.

Relatori 20 minuti (complessivamente)
Governo 20 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti
Tempi tecnici 10 minuti
Pag. 55
Interventi a titolo personale 23 minuti (con il limite massimo di 3 minuti per ciascun deputato)
Gruppi 1 ora e 37 minuti
Popolo della Libertà 26 minuti
Partito Democratico 28 minuti
Lega Nord Padania 14 minuti
Unione di Centro 11 minuti
Italia dei Valori 11 minuti
Misto: 7 minuti
Movimento per l'Autonomia 3 minuti
Liberal Democratici-Repubblicani 2 minuti
Minoranze linguistiche 2 minuti

Ddl n. 1713-B - Legge Finanziaria

Seguito dell'esame: 6 ore.

Relatori 20 minuti (complessivamente)
Governo 20 minuti
Richiami al Regolamento 10 minuti
Tempi tecnici 30 minuti
Interventi a titolo personale 54 minuti (con il limite massimo di 6 minuti per ciascun deputato)
Gruppi 3 ore e 46 minuti
Popolo della Libertà 1 ora e 3 minuti
Partito Democratico 1 ora e 6 minuti
Lega Nord Padania 33 minuti
Unione di Centro 26 minuti
Italia dei Valori 25 minuti
Misto: 13 minuti
Movimento per l'Autonomia 7 minuti
Liberal Democratici-Repubblicani 3 minuti
Minoranze linguistiche 3 minuti
Pag. 56

Nota di variazione

Tempo complessivo: 1 ora.

Relatori 5 minuti
Governo 5 minuti
Richiami al Regolamento 5 minuti
Tempi tecnici 5 minuti
Interventi a titolo personale 7 minuti (con il limite massimo di 3 minuti per ciascun deputato)
Gruppi 33 minuti
Popolo della Libertà 8 minuti
Partito Democratico 8 minuti
Lega Nord Padania 4 minuti
Unione di Centro 3 minuti
Italia dei Valori 3 minuti
Misto: 7 minuti
Movimento per l'Autonomia 3 minuti
Liberal Democratici-Repubblicani 2 minuti
Minoranze linguistiche 2 minuti