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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 88 di martedì 18 novembre 2008

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MAURIZIO LUPI

La seduta comincia alle 14,05.

GIACOMO STUCCHI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 3 novembre 2008.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Alessandri, Bindi, Bongiorno, Brancher, Brugger, Caparini, Casini, Cirielli, Conte, De Biasi, Leo, Lo Monte, Lucà, Antonio Martino, Mazzocchi, Melchiorre, Migliavacca, Molgora, Mussolini, Palumbo, Pescante, Razzi, Saglia, Scajola e Volontè sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente ottanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Seguito della discussione del disegno di legge: S. 1038 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 settembre 2008, n. 147, recante disposizioni urgenti per assicurare la partecipazione italiana alla missione di vigilanza dell'Unione europea in Georgia (Approvato dal Senato) (A.C. 1802) (ore 14,07).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 settembre 2008, n. 147, recante disposizioni urgenti per assicurare la partecipazione italiana alla missione di vigilanza dell'Unione europea in Georgia.
Ricordo che nella seduta dell'11 novembre 2008 si è conclusa la discussione sulle linee generali ed ha avuto luogo la replica del Governo.

(Esame dell'articolo unico - A.C. 1802)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione (Vedi l'allegato A - A.C. 1802), nel testo recante le modificazioni apportate dal Senato (Vedi l'allegato A - A.C. 1802).
Avverto che le proposte emendative presentate sono riferite agli articoli del decreto-legge, nel testo recante le modificazioni apportate dal Senato (Vedi l'allegato A - A.C. 1802).
Avverto, altresì, che le Commissioni I (Affari costituzionali) e V (Bilancio) hanno espresso i prescritti pareri, che sono distribuiti in fotocopia (Vedi l'allegato A - A.C. 1802).
Avverto che la Presidenza non ritiene ammissibile, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 7, del Regolamento, l'emendamento Maran 2-bis.2, volto a finanziare attività di preparazione diplomatica di una conferenza di pace regionale che coinvolga tutti paesi dell'Asia meridionale, in quanto non strettamente attinente alla materia oggetto del decreto-legge e non previamente presentato nel corso dell'esame in sede referente.
Ha chiesto di parlare sul complesso delle proposte emendative l'onorevole Soro. Ne ha facoltà.

Pag. 2

ANTONELLO SORO. Signor Presidente, il Governo ci consentirà ... è presente il Governo?

PRESIDENTE. È presente il sottosegretario Cossiga.

ANTONELLO SORO. Grazie, signor Presidente. Ringrazio il sottosegretario per il suo interesse alle attività del Parlamento, in quanto di questi tempi è un interesse desueto da parte del Governo. Ci consentiranno, però, il Governo, l'onorevole Cossiga e la maggioranza se in questa circostanza apriremo una discussione e se non tratteremmo questo decreto-legge come una banale pratica da sbrigare e archiviare. Ci permettiamo di sollecitare la maggioranza a non sprecare sempre tutte le opportunità di confronto in quest'Aula. L'abitudine a rinunciare al confronto e allo svolgimento della propria funzione parlamentare rischia nel tempo di portare ad un risultato di demotivazione che non potrebbe essere alla lunga governato, neanche con le sanzioni da parte dei dirigenti dei gruppi.
Dirò subito che il gruppo del Partito Democratico voterà a favore del decreto-legge sulle missioni, e proprio per questo motivo vorremmo che la discussione fosse più franca e più libera. Non è, infatti, il se delle missioni, ma il come che vogliamo discutere. È una domanda che sale dal Paese, da molti suoi ambienti e dall'opinione pubblica, che si interroga con serietà circa i nuovi scenari e le nuove incognite della politica internazionale.
Sappiamo che il ruolo dell'Italia e dell'Europa deve essere collocato in uno scenario internazionale molto mutato negli ultimi anni e che le recenti vicende, da quelle della crisi del Caucaso fino alla nuova Presidenza americana, concorrono a rendere ancora più inedito ed incerto questo scenario. Siamo lontanissimi dalle sicurezze degli anni Novanta, quando la ricerca del nuovo ordine mondiale, come ebbe a definirla il Presidente Bush senior, accompagnata dallo sgretolamento dell'equilibrio del terrore e del mondo bipolare, era contraddistinta dalla cosiddetta iperpotenza americana e dalla convinzione che la democrazia, liberata dalla gabbia in cui la storia l'aveva costretta negli anni della guerra fredda, potesse progressivamente ed inarrestabilmente difendersi in ogni dove.
Siamo, però, lontani anche dalla guerra globale al terrorismo e dalla guerra preventiva del Presidente Bush figlio, conseguente all'attacco dell'11 settembre 2001.
L'America è oggi costretta ad affrontare problemi di crescita interni, le gravi conseguenze della crisi finanziaria, il peso di un debito pubblico detenuto in gran parte da Paesi esteri, in primo luogo dalla Cina e dal Giappone, un impegno sul terreno, dall'Afghanistan all'Iraq, sempre più pesante. Quelle che erano negli anni Novanta nazioni emergenti, si affermano, ormai, come nuovi protagonisti regionali e globali; un nuovo multipolarismo, che ancora stenta a trovare gli equilibri e le forme più efficaci di governance, specie a fronte di una preoccupante riduzione del ruolo e dell'autorevolezza delle Nazioni Unite.
Il clima della distensione, i grandi trattati sulla non proliferazione e sullo smantellamento degli arsenali nucleari, così come i grandi accordi sul disarmo, vengono improvvisamente rimessi in discussione, e al pericolo della diffusione delle armi nucleari nelle mani del terrorismo o di nuove testate installate in zone calde del globo si aggiunge oggi un nuovo ritorno alle minacce, persino in Europa, che ricordano il confronto della guerra fredda.
Proprio per questi motivi è venuto il momento di riflettere, innanzitutto in Parlamento, sui grandi scenari della politica estera, sul ruolo che l'Italia e l'Europa intendono e possono giocare in uno scenario sempre più ricco di sfide innovative per tutti. È venuto il momento di discutere seriamente, approfondendo le questioni e non lasciandole ad una diplomazia estemporanea, fatta di pacche sulle spalle e battute di dubbia sagacia, che non portano né lustro al Paese né aiutano ad affrontare temi delicati con la giusta preparazione e dopo un'adeguata riflessione.
In questa occasione, che si ripeterà a gennaio con il rifinanziamento annualePag. 3complessivo delle nostre missioni internazionali, vogliamo chiedere al Governo e alla Camera un supplemento di discussione e di dibattito, ribadendo la convinzione del Partito Democratico che questo tema resta centrale per il nostro futuro e per il ruolo che l'Italia intende giocare.
Abbiamo avuto modo di esprimere apprezzamento per l'aumento delle missioni condotte dall'Europa, in ambito di politiche europee di difesa e di sicurezza, attualmente presenti in tutti i teatri principali, dal Caucaso alla Bosnia, dal Congo al Medio Oriente. L'esigenza di una politica di difesa comune europea appare sempre più necessaria ed auspichiamo un impegno del Governo a sollecitare un maggior coordinamento anche a livello operativo, per conseguire il risultato di una vera politica estera e di difesa europea. Quando l'Unione riesce ad agire con una sola voce, si pone inevitabilmente al centro della scena internazionale e assurge al ruolo insieme di mediazione e di promozione dei valori democratici che le è riconosciuto come proprio.
In questo scenario così delicato, dagli equilibri così instabili, in una fase di transizione tra due Presidenze americane così differenti quanto a visioni strategiche, nel mezzo di questioni di portata storica, quali quelle che coinvolgono l'impegno della NATO in Afghanistan, l'allargamento eventuale dell'Alleanza atlantica e il rapporto con la Russia, non può che preoccupare l'atteggiamento del nostro Presidente del Consiglio, che sembra voler costruire una nuova ondivaga linea di politica estera nel segno delle battute, delle dichiarazioni stampa poi smentite, di impegni internazionali contraddittori.
Abbiamo avuto notizia, stamattina, dell'ultima performance del nostro Presidente del Consiglio, a Trieste. Non credo che gli italiani seri e responsabili abbiano trovato nella manifestazione odierna di capacità spettacolare e di commedia del nostro Presidente del Consiglio l'orgoglio che, di norma, si deve pretendere dagli italiani che hanno davanti un Presidente del Consiglio responsabile.
Non possiamo non richiamare alcuni episodi di questi mesi, che sembrano delineare un approccio nuovo dell'Italia alle questioni di politica internazionale; un atteggiamento che via via si è accentuato dopo l'elezione di Barack Obama a Presidente degli Stati Uniti e con l'allontanamento della linea neoconservatrice di Bush dalla Casa Bianca.
Alcune prese di posizione del Presidente Berlusconi rischiano di tradire un atteggiamento superficiale e incerto sul corretto posizionamento del nostro Paese nella nuova dialettica fra Washington e Mosca: un atteggiamento che si autodefinisce di utile mediazione, ma potrebbe apparire alle cancellerie internazionali sbilanciato e inaffidabile, specialmente se avesse l'ambizione di una sua autonomia e non cercasse invece l'indispensabile stretto coordinamento con l'azione europea, già sede di mediazione proficua fra istanze, preoccupazioni e percezioni differenti.
Dopo la crisi georgiana due preoccupazioni si sono fronteggiate in Europa: da una parte le valide preoccupazioni circa la necessità di dialogo costante e di una cooperazione coinvolgente nei confronti di Mosca, che sono proprie di molti Paesi europei. Non si potrebbe pensare del resto a promuovere aree di stabilità nel Caucaso, ai confini orientali dell'Europa e persino in Afghanistan o in Iran senza un rapporto positivo con la Russia. Tuttavia, non possono passare in secondo ordine, dall'altra parte, le richieste di sicurezza, di garanzia dell'integrità territoriale, di rispetto dei principi del diritto internazionale che altri Stati avanzano per mantenere un rapporto non subalterno nei confronti di Mosca.
Sono di fronte a noi appuntamenti internazionali di grande rilevanza: la ripresa delle discussioni circa la partnership strategica con la Russia, occasione per ridefinire la piattaforma di valori di riferimento per la relazione euro-russa; la questione energetica e quella della democrazia; la discussione, insieme alla NATO, sull'allargamento eventuale a Ucraina e Georgia, mentre proseguiranno i colloqui di Ginevra sulla situazione in Caucaso. PerPag. 4questo motivo ci appaiono assolutamente fuori luogo dichiarazioni come quelle fatte dal Presidente del Consiglio in sede di conferenza stampa a Mosca, in cui si parla di provocazioni da parte dell'Occidente. Si discute di scudo spaziale, mentre la Casa Bianca è intenta a riconsiderare la situazione; oppure di Kosovo, mentre faticosamente il Governo democratico e filoeuropeo di Tadic cerca di uscire dalla trappola del nazionalismo e l'Europa invia, con il consenso dell'Italia, la propria missione civile.
Noi Democratici siamo strutturalmente favorevoli al dialogo, ma non ci rassegniamo ai balletti diplomatici: con i giri di valzer non si ricostruisce credibilità, la si sperpera, e nessun ammiccamento, nessuna complicità esclusiva ed escludente noi vogliamo riconoscere. Non ci sono centinaia di pacche sulle spalle al Presidente americano uscente che possono valere la pugnalata alle spalle inflittagli dal nostro capo del Governo nel momento in cui ha definito il riconoscimento del Kosovo come una provocazione verso la Russia. Vogliamo ricordare al Presidente del Consiglio che così non è solo la sua personale credibilità verso gli Stati Uniti che viene meno, ma è la credibilità del nostro Paese che viene meno di fronte a tutta la comunità internazionale. E a questo punto, lo dico per inciso, attendiamo con qualche ansia perfino di esaminare il testo del Trattato di amicizia con la Libia, di cui il Consiglio dei ministri continua a rinviare la formale approvazione e quindi l'invio alle Camere, e che ha già causato qualche problema diplomatico rispetto all'interpretazione di alcuni articoli che sembrerebbero in contrasto con il Trattato NATO.
Signor Presidente, nel momento stesso in cui noi votiamo convinti per il sostegno alle nostre missioni internazionali e chiediamo al Parlamento di discuterne con serietà e con responsabilità, vogliamo ancora una volta rinnovare la nostra gratitudine per l'impegno e la dedizione di tanti uomini e di tante donne che sono impegnati lontano da casa, in missioni spesso complesse e pericolose (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Vietti. Ne ha facoltà.

MICHELE GIUSEPPE VIETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, noi siamo fedeli ad una tradizione di politica estera europeista e multilateralista, che scommette sulla capacità della comunità internazionale di intervenire per assicurare la pace e la cooperazione tra i popoli e che a questo fine ha istituito organismi e organizzazioni internazionali. Non abbiamo perciò obiezioni sulla partecipazione italiana alla missione deliberata dall'Unione europea, che si affianca a quella dell'OSCE, finalizzata a garantire il rispetto integrale dell'accordo firmato dalla Russia e dalla Georgia a metà agosto, grazie anche alla mediazione del Presidente francese, Presidente di turno dell'Unione europea, Nicolas Sarkozy.
Anzi, come è nella nostra tradizione, questa missione, così come le altre missioni internazionali, la sosteniamo con forza, con convinzione e con il massimo di solidarietà e di vicinanza nei confronti dei nostri militari impegnati su tutti questi fronti internazionali.
Nella crisi georgiana l'Unione europea ha svolto un ruolo attivo e importante perché fosse subito ristabilita una condizione di non belligeranza e si evitassero i rischi di una catastrofe umanitaria. La mediazione europea rimane alla base della possibile composizione del conflitto che, come ben sappiamo, è ancora latente in quella regione.
Ciò detto, non possiamo non biasimare - come peraltro hanno fatto l'Alleanza atlantica, la stessa Unione europea, per bocca del suo Alto rappresentante, Javier Solana, e lo stesso Consiglio europeo riunito d'urgenza il 1o settembre - il comportamento della Federazione russa durante tutto il corso di questa crisi. I legami di amicizia e di cooperazione che, all'indomani della fine del comunismo sovietico, sono stati ripresi ed intensificati con quel grande Paese e con il suo popolo nonPag. 5possono oscurare il nostro giudizio su questa particolare e specifica vicenda di politica internazionale, anche perché siamo convinti che l'amicizia sia anzitutto lealtà e sincerità reciproca.
Non possiamo allora tacere che sin dal 16...signor Presidente, le chiederei solo un minimo di aiuto...

PRESIDENTE. Colleghi per cortesia, permettete all'onorevole Vietti di proseguire nel suo intervento. Prego, onorevole Vietti.

MICHELE GIUSEPPE VIETTI. Sin dal 16 aprile scorso il Presidente Putin (che allora era ancora Presidente della Federazione) ha soffiato sul fuoco dando istruzioni al suo Governo di stabilire relazioni ufficiali con le organizzazioni secessioniste delle repubbliche georgiane dell'Abkhazia e dell'Ossezia del sud; dai giorni immediatamente successivi truppe e aerei russi hanno cominciato a sorvolare e ad operare in territorio o nello spazio aereo georgiano fino al precipitare della crisi, nel mese di agosto; un piano che riguardava gli aeroporti, le ferrovie e un grande tunnel risultava pronto fin dal mese di aprile; la flotta del Mar Nero era pronta ad una missione di combattimento; le esercitazioni cosiddette Kavkaz-2008, terminate il 2 agosto, hanno visto dispiegare l'aviazione, la marina e l'esercito russi vicino alla frontiera georgiana.
Dopodiché, la propaganda russa ha giustificato l'invasione (la prima, a livello europeo, dopo quella della Polonia del 1939) con inesistenti massacri di cittadini russi, quando sappiamo che in realtà la reazione della Georgia è da addebitarsi ai bombardamenti con mortai da 120, peraltro vietati dagli accordi internazionali.
Che dire poi delle continue sconfessioni da parte della Federazione russa dello stesso piano di pace sottoscritto a metà di agosto, prima non eseguito nei termini concordati e poi bloccato alle Nazioni Unite?
Ma, credo, la più censurabile delle azioni è stata il riconoscimento unilaterale della Abkhazia e dell'Ossezia del Sud, che ha mutato lo stesso quadro internazionale su cui era basata la delicata mediazione dell'Unione europea e degli organismi internazionali, precostituendo una soluzione di parte ad un problema che doveva essere oggetto di un concerto internazionale. I nostri principali alleati, dagli Stati Uniti alla Germania, hanno tratto da questa vicenda la convinzione che fosse necessario tutelare e sostenere con maggiore determinazione l'indipendenza e l'integrità territoriale della Georgia, perché la Federazione russa deve sapere che l'Unione europea e l'Alleanza atlantica non le sono ostili, intendono mantenere e sviluppare rapporti di collaborazione e cooperazione, ma tutto questo non può fondarsi su una anacronistica riedizione delle sfere di influenza e dell'arbitrio che hanno retto l'equilibrio internazionale fino alla caduta del Muro di Berlino.
Di fronte a problemi di questa rilevanza e drammaticità, che cosa ha fatto il Governo italiano? Spiace dirlo, perché ovviamente stiamo parlando di argomenti su cui la coesione nazionale è importante, ma dobbiamo ricordarlo, perché è più importante lo spirito di verità tra di noi e di fronte al paese: il Governo italiano è apparso, prima distratto e assente, mentre la crisi precipitava, e poi, per bocca del Presidente del Consiglio, ha ripetutamente tentato di offrire ciambelle di salvataggio alle autorità russe fino alla vera e propria condivisione di quel giustificazionismo secondo cui sarebbe stata la minaccia dello scudo missilistico statunitense a legittimare la politica dei fatti compiuti in Georgia, con la famosa dichiarazione del Presidente del Consiglio: Mosca è stata provocata. Una dichiarazione che, secondo la prassi, è stata smentita, ma che rimane come un macigno nella politica internazionale di questo Paese. Crediamo, allora, che non si debba confondere l'amicizia tra i popoli con l'amicizia personale. Sappiamo che il Presidente Berlusconi è molto amico del Presidente Putin, così come lo era del Presidente Bush - a cui sta per scadere il mandato, perché negli Stati Uniti, come si sa, si svolgono le elezioni e quindi è possibile cambiare la leadership-,Pag. 6ma questa personale amicizia del Presidente del Consiglio con Putin non può mettere in discussione la politica internazionale italiana, la sua tradizione, le sue alleanze. Se ci possiamo permettere, al Presidente Berlusconi vogliamo dire che anche nelle amicizie personali, fermo restando che queste non possono e non debbono interferire nella politica internazionale, conta la lealtà e la sincerità. Se Berlusconi, allora, è amico di Putin, forse è bene che lo porti a più ragionevoli giudizi, lo spinga sulla via della cooperazione della pace internazionale, e a quel rispetto della democrazia e dei diritti dell'uomo che, come ha denunciato in modo forte un parlamentare del Popolo della Libertà, l'onorevole Guzzanti, forse nella Federazione russa non sempre è rispettata se è vero, come lo stesso Guzzanti ha ricordato, che la scrittrice Anna Politkovskaja due anni dopo aver scritto: «viviamo in uno Stato di polizia» è stata uccisa in circostanze ancora oscure.
Noi diciamo tutto questo perché siamo convinti che nell'ambiguità delle posizioni anche la nostra partecipazione al contingente internazionale rischia di assumere contorni e motivazioni confusi. I nostri uomini in Georgia che cosa dovranno fare? Tenere fede alla mission europea che è stata assegnata dall'Unione europea, o saranno lì sulla base di un'altra mission, di un altro indirizzo di politica internazionale, comprensivo fino alla giustificazione della politica russa? Questi interrogativi non si possono tacere nel momento in cui il Parlamento si esprime formalmente sul coinvolgimento italiano nella crisi georgiana. Al Governo spetta la responsabilità delle risposte chiare a questi interrogativi altrettanto chiari che abbiamo posto e che il frangente richiede (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Tempestini. Ne ha facoltà.

FRANCESCO TEMPESTINI. Signor Presidente, l'occasione della discussione sul rinnovo del finanziamento delle nostre missioni militari è, per nostra esplicita affermazione - lo ha detto poco fa il presidente del gruppo parlamentare del mio partito, l'onorevole Soro - l'occasione per una riflessione di natura più ampia. Qui non si tratta di una discussione che sollecitiamo e nella quale ci stiamo impegnando per ragioni di carattere accademico. Infatti, considerato che le missioni rappresentano parte importante, anzi sono il cuore della nostra politica internazionale, riteniamo che in questo dibattito non debba mancare l'attenzione e soprattutto la considerazione del contesto generale nel quale esso si può svolgere con gli obiettivi più produttivi. Noi abbiamo presentato degli emendamenti, questi emendamenti avevano ed hanno lo scopo di fornire alla nostra discussione, anche per alcune parti, un contributo per quanto riguarda quella che deve essere l'immagine più politica: mi riferisco all'idea di un finanziamento di maggiore peso per quanto concerne le attività di sminamento in Libano, ma mi riferisco anche alla proposta (che ci è stata cassata) di un primo finanziamento per l'organizzazione di una conferenza di pace in Afghanistan.
Ebbene, questi emendamenti volevano e vogliono segnare appunto l'attenzione nei confronti di questa discussione, che non si deve e non si può limitare ad un puro e semplice «sì», che noi daremo naturalmente in modo franco e netto. Naturalmente, sullo sfondo di questo adempimento, di questo voto, come ha osservato l'onorevole Soro, vi è qualcosa che vogliamo sottolineare. Queste missioni si stanno portando avanti in un contesto internazionale che va, giorno dopo giorno, mutando. La domanda che noi poniamo in questa occasione - e lo faremo naturalmente anche in altre occasioni laddove noi potremo approfondire le tematiche della politica internazionale del nostro Paese - è se a queste modificazioni e a questi sviluppi il Governo del Paese sta rispondendo nel modo giusto, con la tempestività e con la serietà che la situazione comporta. Ritengo che questi grandi cambiamenti noi li abbiamo sotto gli occhi. Da un lato abbiamo la modifica radicale delPag. 7quadro geostrategico che si determinerà con l'entrata effettiva di Barack Obama alla Casa bianca.
D'altra parte, abbiamo le recenti decisioni e i recenti accadimenti del G20 che hanno segnato l'avvio di una fase nuova nel Governo del mondo, alla quale dobbiamo guardare con grande interesse perché vede per la prima volta il coinvolgimento di coloro che dovevano e debbono essere coinvolti nella trattazione delle grandi questioni internazionali. Quindi, assistiamo all'apertura di una nuova fase del multilateralismo, che può essere carica di aspettative e di novità.
Abbiamo naturalmente lo scenario europeo, di grandissima rilevanza non solo per il ruolo che in questo contesto generale può giocare l'Europa e una maggiore capacità dell'Europa di stare insieme ma per le sfide con le quali l'Europa è chiamata a confrontarsi nelle aree di suo vicinato.
Anch'io voglio svolgere qualche osservazione a tale proposito. Questa fase che si apre richiede un'Europa capace di valorizzare la sua unità e capace di stare con senso dell'iniziativa politica e dell'innovazione politica sullo scenario internazionale. L'Europa può cogliere le novità che verranno oltre Atlantico per riconfermare, da un lato, il sentimento di alleanza profonda con gli Stati Uniti e, dall'altro, per accompagnare gli Stati Uniti in una necessaria opera di revisione dell'approccio con il quale gli Stati Uniti nell'era Bush si sono misurati e si sono confrontati con l'Est europeo e, quindi, nei rapporti con la stessa Unione Sovietica. Gli americani hanno forse commesso l'errore di considerare in qualche modo sottodimensionata e sottotono la presenza della Russia nel nuovo scenario internazionale. Ciò naturalmente può aver comportato e ha comportato la ricerca da parte della Russia di uno spazio, una rivendicazione di maggiore protagonismo.
Naturalmente tale questione, che si lega fortemente ai destini di quel vicinato che l'Europa condivide con la Russia e che costituisce gran parte del tema della sicurezza europea, come la si deve affrontare? Ritengo - l'ha detto Soro e lo voglio ripetere - che la si affronti valorizzando la forza e l'impegno della nostra diplomazia e le sedi nelle quali l'Italia può costruire una politica estera grazie al contributo di un corpo sperimentato, del Parlamento, dell'intero mondo che opera per dare senso e sostegno ad una politica estera degna di questo nome. La soluzione di tale questione deve essere accompagnata da politiche generali.
Non ritengo che questo tipo di approccio abbia a che fare con l'estemporaneità, con un modo di agire con il quale si riduce la politica internazionale a battuta o ad espediente e occasione da consumare in un giorno, come per alcuni versi e in alcuni casi ci ha dato prova il Presidente del Consiglio.
Ma lo affermiamo al di là dello stile e al di là del tono, perché siamo convinti che stiamo affrontando una fase molto impegnativa e seria dei cambiamenti che la politica internazionale del nostro Paese ha di fronte. Essi meritano di essere affrontati nel modo più collegiale, nel modo più professionale - oserei dire - possibile.
Dietro tale questione sussiste un problema di sostanza perché l'onorevole Berlusconi si deve convincere che la politica estera di un Paese e colui che la rappresenta debbono essere in grado di essere davvero rappresentativi di tutti e, quindi, di essere con un tono e con uno stile capace di rispondere a questa esigenza. Tuttavia, a tale questione se ne accompagna un'altra, per rimanere sul versante delle politiche di vicinato europee. Come molti di voi, abbiamo letto un recente intervento del Ministro degli affari esteri italiano, onorevole Frattini, su Il Sole 24 Ore di pochi giorni or sono.
Ebbene, in quella sede il Ministro degli affari esteri italiano si è soffermato su punti sui quali non può non esservi che condivisione: il fatto cioè che i prossimi due anni saranno anni molto importanti, perché saranno anni in cui tornerà in campo il disarmo e saranno gli anni nei quali si giungerà ad una revisione del Trattato di non proliferazione; inoltre, abbiamo tutto il complesso del rapporto,Pag. 8appunto di vicinato, tra Russia ed Europa ed abbiamo il tema di come affrontare i nuovi processi di globalizzazione ed i mutamenti che questa grande crisi comporterà nei processi di globalizzazione: abbiamo, insomma, grandi tematiche sulle quali naturalmente vi è consenso.
Vi è consenso anche quando, da parte del Ministro degli affari esteri, si sostiene che la Russia deve essere aiutata a stare nel partenariato e che la Russia deve essere disponibile ad aprirsi al confronto senza chiusure. Tutto bene, ma vi è un punto - ed è il punto sul quale penso occorra una riflessione più ampia - sul quale vorremmo essere più chiari e comunque diciamo la nostra opinione senza infingimenti: l'Occidente deve fare la sua parte sino in fondo. Deve fare questa parte avendo anche la capacità di guardare criticamente anche alcune iniziative - l'ho accennato all'inizio - della presidenza Bush. Penso che tutte le iniziative che hanno come obiettivo una riduzione del rischio terroristico debbano essere ben accette, ma naturalmente sono ben accette nella misura in cui stanno dentro una dimensione rigorosa e non rischiano di avere effetti di altro tipo (faccio riferimento, ovviamente, alla questione dello scudo missilistico).
Penso anche che le questioni che riguardano l'ingresso nella NATO di Ucraina e di Georgia abbiano necessità di un contesto più ampio, nel quale si possa discutere ed affrontare questo tema. Tuttavia, resta il fatto che questi passi avanti e questo affinamento della proposta politica, con il quale l'Occidente - perché di questo ancora dobbiamo parlare - si misura, deve avere poi la capacità di tenere alta la guardia rispetto non solo alle defaillance di un processo di democratizzazione della Russia, che è sotto gli occhi di tutti. Questo tema - se ci fosse qui il Ministro Frattini glielo direi apertamente - non possiamo metterlo tra parentesi. Non possiamo mettere tra parentesi l'idea che si faccia dell'arma energetica uno strumento per liquidare alcune partite geopolitiche che riguardano anzitutto il nostro continente. Insomma, una serie di atteggiamenti debbono trovare da parte del Governo italiano un altro cenno, un'altra sensibilità, non essere messi tra parentesi come ha fatto il Presidente Berlusconi - ma come ha fatto anche, in un testo più ragionato, il Ministro degli affari esteri - quasi come fossero questioni di contorno: non è così.
Noi pensiamo di dover tenere alta la sfida democratica in Europa e pensiamo che questa sfida alta debba essere nell'interesse di tutti: lavoreremo affinché l'Europa nel suo complesso regga questa sfida e ci auguriamo che il Governo italiano, da questo punto di vista, legga queste indicazioni e questi inviti nel loro senso migliore.
D'altronde, quello delle novità del quadro internazionale è un tema che attiene anche all'altra faccia delle missioni, quella dell'Afghanistan. Torneremo su tale tema, nel corso della discussione, perché avremo modo di discutere e di parlare delle tematiche che i nostri ordini del giorno sul tema Afghanistan proporranno, ma è certo che anche in questa sede va ribadito che il nostro approccio ed il nostro atteggiamento nei confronti dell'Afghanistan e delle possibili evoluzioni - mi avvio alla conclusione - in senso democratico del Paese richiedono oggi uno stupefacente sforzo di iniziativa politica.
Questo è quanto possiamo ricavare guardando in termini molto generali la questione. Anche da questo punto di vista, quindi, si pone il tema di un'iniziativa coerente del Governo, la quale, senza sbavature, eccessi o inutili protagonismi di politica estera che non hanno spazio, non costruiscono e non rafforzano la nostra credibilità, debba essere tale da cogliere tutte le occasioni, affinché - ripeto - questo passaggio difficilissimo alla ricerca di una soluzione politica nell'Afghanistan possa essere trovato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Villecco Calipari. Ne ha facoltà.

ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Signor Presidente, intervengo sugli emendamentiPag. 9che abbiamo presentato e che dovremmo votare in quest'Aula: essi si prefiggono di introdurre, nelle norme con cui proroghiamo alcune importanti missioni militari all'estero, disposizioni atte a facilitare il raggiungimento di obiettivi che sono all'origine delle ragioni per cui queste stesse missioni vengono autorizzate.
Si tratta di due specifici emendamenti, riguardanti, rispettivamente, la situazione in Afghanistan e quella in Libano. Vorrei iniziare analizzando l'emendamento relativo all'Afghanistan. Più autorevoli osservatori condividono due giudizi sulla situazione afghana: il primo riguarda le difficoltà crescenti che il piano di stabilizzazione, programmato dalla NATO, incontra in aspetti fondamentali della sua attuazione. Si tratta di resistenze e ostacoli che non sono facilmente superabili e che, quindi, delineano un quadro di notevole complessità. Il secondo giudizio riguarda la necessità di restituire vigore all'iniziativa politica, coinvolgendo nella ricerca di una possibile soluzione della questione afghana tutte le etnie e i Paesi confinanti in quell'area.
Quando, riferendomi all'Afghanistan e a quel contesto complesso e articolato cui facevo prima cenno, parliamo di resistenze crescenti al raggiungimento dei piani della coalizione, mi riferisco innanzitutto all'obiettivo di estendere il controllo del Governo centrale sulle province del sud-ovest. Molti dati oggettivi confermano queste difficoltà: i dati sulla produzione dell'oppio, se da un lato segnalano un leggero calo della produzione, indicano anche che non viene scalfita la quota parte di profitti che, da questo commercio, traggono quanti riescono a finanziare le proprie attività con queste risorse finanziarie.
Un altro punto critico concerne l'accresciuto numero di attentati contro le forze alleate e le operazioni militari, che sono anch'esse aumentate e che sono condotte soprattutto dalla missione Enduring Freedom. Di conseguenza, è aumentato sia il numero dei caduti tra le forze alleate, sia quello delle vittime civili. Per quanto attiene a quest'ultimo aspetto - ossia, quello relativo alle vittime civili - è sempre più forte l'attrito tra lo stesso Governo Karzai e i rappresentanti della coalizione. Proprio in tal senso la NATO ha dovuto autorizzare due inchieste su episodi nei quali le vittime civili sono apparse, agli occhi della popolazione afghana e anche agli osservatori stranieri, assolutamente ingiustificate. Inoltre, le operazioni militari condotte da agosto in poi da Enduring Freedom si sono svolte anche all'interno del territorio pakistano, proprio al confine con l'Afghanistan, creando anche lì non poche difficoltà per quanto riguarda le diplomazie relative alle relazioni tra quei due Paesi.
Da ultimo, vorrei richiamare la gravità di un fatto che le cronache dei giorni scorsi ci hanno segnalato: quindici giovani studentesse sono state assalite all'esterno di una scuola di Kandahar, nel sud dell'Afghanistan, da ignoti aggressori che hanno sparato dell'acido. Una ragazza è rimasta gravemente sfregiata.
Questo episodio la dice lunga sul persistere di una violenza inaccettabile di matrice fondamentalista e altresì sul persistere e sulla penetrazione del fanatismo religioso.
Questo quadro di difficoltà fa da cornice alle scadenze elettorali che, a settembre 2009, avranno luogo in occasione delle elezioni presidenziali in Afghanistan. A queste elezioni, al loro svolgimento in una cornice anche di sicurezza e al riconoscimento del risultato elettorale da parte dello stesso popolo afghano, è legato un punto fondamentale, non solo della missione ISAF delle forze alleate in quel Paese, ma della stessa strategia di democratizzazione dell'Afghanistan. Ecco perché presentiamo questi emendamenti, in particolare quello che vede l'Italia come Paese candidabile a svolgere un'attività diplomatica utile a proporci come sede di una conferenza di pace regionale che coinvolga tutti i Paesi dell'Asia meridionale.
L'emendamento che invece proponiamo per la missione UNIFIL, in Libano, intende stanziare 300 mila euro per iniziative di sensibilizzazione e formazione della popolazione libanese, in relazione al pericolo rappresentato dal munizionamento, inesploso,Pag. 10con particolare riferimento al sub-munizionamento anti-persona, disperso da bombe a grappolo, meglio note a tutti come cluster bomb. Proprio della missione in Libano, della quale abbiamo discusso alla fine di luglio, in sede di Commissione difesa, abbiamo potuto apprezzare le norme e il lavoro, faticosissimo a quelle temperature, che i nostri militari, con altissimo rischio, svolgono.
In Libano, vorrei ricordarlo, abbiamo 2460 militari, compresa la componente navale Euromarfor e numerosi mezzi. Sono cifre già molto significative ma che non bastano a dare l'idea di quanta attenzione, sacrifici, professionalità e quanto senso di responsabilità siano necessari, giorno per giorno, per mantenere sotto controllo una situazione estremamente complessa che potrebbe, pur essendo considerata, in questo momento, come una missione con minori rischi, comportare nuovamente una possibile esplosione di situazioni pericolose anche per i nostri soldati.
Tali cifre, inoltre, non rendono conto di quella che è l'ansia con la quale ogni giorno si attende la fine di quel pattugliamento, del controllo e del rientro di quegli uomini che si apprestano a verificare, a controllare e a porsi, come si sono posti in tutto questo periodo, come vera e propria forza di interposizione. C'è un'attività che può considerarsi una missione nella missione: mi riferisco all'operazione di sminamento e di modifica del terreno dalle cluster bomb.
La situazione libanese, lo ricordiamo, è esplosa nel conflitto che si è aperto il 12 luglio con combattimenti lungo il confine israelo-libanese e che è durato moltissimi giorni. Abbiamo subito avviato, come Governo di centrosinistra, un'iniziativa diplomatica e abbiamo svolto la conferenza di Roma. È stato un primo, significativo impegno diplomatico, per tentare di fermare una guerra che intanto proseguiva con massicci bombardamenti e migliaia di vittime.
L'11 agosto, vorrei ricordarlo a tutti, il Consiglio di sicurezza dell'ONU ha approvato all'unanimità la risoluzione 1701 che prevedeva il dispiegamento di una forza multinazionale. Il nostro Paese è stato, ed è, in prima fila nell'organizzazione di un dispositivo militare che, dopo la cessazione delle ostilità avvenuta il 14 agosto, è stato schierato in una fascia di sicurezza tra la linea blu e il fiume Litani. La presenza della forza multinazionale (il comando è stato prima francese e ora è italiano), è stata risolutiva per far cessare i combattimenti e tuttavia, in quei pochi giorni di guerra, secondo le organizzazioni internazionali, sono morti più di 1100 libanesi, un terzo dei quali erano bambini con meno di 12 anni.
Sappiamo che vi sono state perdite anche dall'altra parte, ossia quella israeliana, ma il frutto più avvelenato di quella guerra sono le migliaia di cluster bomb rimaste inesplose in Libano e vittime privilegiate di questi ordigni sono i bambini.
L'attività che con il nostro emendamento intendiamo sostenere sono proprio rivolte a istruire i bambini per aiutarli a distinguere un oggetto che può sembrare un giocattolo e che comunque è in grado di suscitare la loro curiosità, insegnando loro l'assoluta necessità di tenersene lontani, di avvertire gli adulti e di non toccarli in alcun modo. Questa attività si svolge nei villaggi con cartelloni studiati per i bambini ed ha un'efficacia straordinaria e chiediamo appunto di finanziarla affinché possa continuare. È una questione di contenuti etici che dovrebbe - e spero ciò avvenga - travalicare qualunque difficoltà di natura tecnico-parlamentare che possa condizionare, da parte della maggioranza, un voto negativo.
Per questo motivo, dopo avere espresso quali sono i nostri obiettivi, mi auguro che la maggioranza possa votare insieme a noi in quest'aula l'emendamento, dichiarato ammissibile, Maran 2-bis.1 (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 14,58).

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorronoPag. 11da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.

Si riprende la discussione.

(Ripresa esame articolo unico - A.C. 1802)

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Narducci. Ne ha facoltà.

FRANCO NARDUCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, credo che dobbiamo approcciare questo provvedimento con la convinzione che le missioni all'estero sono uno strumento importante per la politica estera italiana ed europea per costruire soprattutto percorsi di pace in continuità con l'azione svolta dal precedente Governo di Romano Prodi.
Le missioni italiane sono caratterizzate dal fatto di essere inserite in un quadro di operazioni condotte in molti casi sotto l'esplicito mandato delle Nazioni Unite, dell'Unione europea o nel quadro del nuovo diritto internazionale umanocentrico e nella prospettiva di operazioni di peacekeeping preventivamente autorizzate dal Consiglio di sicurezza.
Gli interventi italiani condotti sempre con spirito umanitario ed in ottemperanza alla collective international responsibility to protect sono da considerarsi tra le attività che caratterizzano maggiormente la presenza italiana nel mondo e grazie alla grande capacità del personale militare siamo riusciti a conquistare credibilità sullo scenario internazionale anche al di sopra delle risorse impegnate. Nello stesso tempo, però, andrebbero individuati criteri e fondi a livello internazionale per il finanziamento e l'addestramento comune dei contingenti destinati a tali operazioni, cosa che favorirebbe anche un più rapido dispiegamento delle forze di peacekeeping.
Sempre al livello internazionale bisognerebbe procedere al rafforzamento, con regole condivise, della capacità delle missioni di peacekeeping di fare fronte a tutte le circostanze potenzialmente variabili utilizzando il quantum di forza necessario come già contenuto nel cosiddetto «rapporto Brahimi» e nella risoluzione del Consiglio di sicurezza n. 1327 del 13 novembre 2000.
L'intervento italiano si è sempre caratterizzato per il suo aspetto umanitario volto a far cessare la brutale violazione dei diritti umani fondamentali.
L'Italia seguendo la propria vocazione dovrebbe agire in maniera tale che i meccanismi istituzionali esistenti a livello internazionale per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale siano rinforzati sottolineando il ruolo fondamentale della responsabilità comunitaria degli Stati attraverso il riconoscimento di obbligazioni verso la comunità internazionale nel suo insieme.
Inoltre, dal punto di vista interno, mi sembra importante che si proceda, nonostante i significativi passi avanti compiuti in tal senso, al varo di una legge organica sulle missioni militari italiane all'estero secondo l'articolo 11 della Costituzione, in modo da operare in un quadro definito già preventivamente e che racchiuda tutte le fattispecie ipotizzabili.
Le missioni di pace che il nostro Paese porta avanti sono contributi di alta civiltà. In Afghanistan siamo impegnati perché cedano le armi alle toghe e per tessere la pace con il filo della giustizia e della libertà. Bisogna ricostruire il sistema istituzionale ed assicurare il corretto svolgimento dell'amministrazione della giustizia.
Infatti, dobbiamo essere consapevoli di trovarci in un periodo di transizione internazionale. È finita l'epoca del balance of powers e rischiamo di tornare verso un sistema di concerto di potenze che esclude le Nazioni Unite dal ruolo che devono continuare ad assumere, rappresentando la più alta istanza internazionale in cui assicurare una governance legittima e condivisa dei temi globali.
In questo quadro l'Italia, nelle missioni estere, propone un modello vincente perché coniuga fermezza e umanità. Abbiamo ricordato nei giorni scorsi i caduti diPag. 12Nassiriya, portatori di pace, amati dagli italiani e non solo, come hanno mostrato i funerali in San Paolo fuori le mura. Essi non sono stati, in alcun modo, terminale di un'azione egemonica o impositiva attraverso la forza, come qualcuno vorrebbe, ma promotori e difensori strenui dei diritti umani troppe volte calpestati. Essi, come ogni militare italiano presente nelle aree di crisi, sono espressione del popolo italiano che vuole un mondo di pace e il Parlamento deve riflettere il corale sostegno del Paese alla costruzione della pace e oggi lo può fare, votando il sostegno alle nostre missioni all'estero attraverso il provvedimento di rifinanziamento.
Infatti, si tratta del destino di popoli interi, ognuno con la propria tradizione e cultura, che la grande carica umana della nostra storia riesce a rispettare e a valorizzare, poiché la pace passa anche attraverso la pluralità e non l'omologazione. Il ruolo delle Nazioni Unite deve essere sempre più forte in questo scenario. Dobbiamo lavorare in questo senso per contribuire a far affermare un multilateralismo che sappia ammettere la responsabilità come principio e proporre una governance mondiale della crisi, convergendo verso la piena tutela dei diritti umani.
In questo quadro si inserisce il nostro senso di responsabilità e, con il Presidente Napolitano, ricordiamo chiaramente che ingerenza umanitaria è cosa totalmente diversa da guerra e chi afferma il contrario lo fa semplicemente spinto da forzature ideologiche. Le recenti crisi hanno avuto, per l'Unione europea, numerosi effetti, ma uno dei più importanti è stato quello di sottolineare l'impotenza militare dell'Unione di fronte all'abilità europea di usare il suo potenziale economico e diplomatico che veniva, per queste ragioni, compromesso. Le esperienze degli sforzi sostenuti in Albania, Bosnia e Kosovo hanno evidenziato l'importanza degli aspetti civili nelle ricostruzioni postcrisi e in particolare in Albania, nel contesto dell'operazione Alba, si è manifestata la capacità degli europei di indirizzare la soluzione delle crisi mettendo in evidenza che le situazioni postconflitto richiedono un legame stretto tra servizio giudiziario, polizia, riforme amministrative, giuridiche e istituzionali, oltre che una stretta cooperazione con le autorità locali, raggiungendo una capacità di visione comune.
Questa capacità tutta europea e peculiarmente italiana si rivela, ancora una volta, importante nel caso della situazione in Georgia e si iscrive nel ruolo unitario che l'Unione vuole e deve ricoprire in politica estera. In effetti, l'Unione europea ha acquisito, negli ultimi anni, una maggiore consapevolezza del suo ruolo in politica estera e nei processi di pacificazione poi racchiusa, più coerentemente, nel Trattato di Lisbona.
Lo sviluppo di una più ambiziosa strategia europea in politica estera significa anche che la politica dell'Unione europea sarà più soggetta a critiche, pagando il suo prezzo interno per voler agire in modo globale e in un contesto multipolare. Ma la maggior parte degli Stati membri e dei cittadini europei stanno acquisendo consapevolezza dell'importanza della loro reciproca interdipendenza, anche in termini di gestione della sicurezza collettiva e prevenzione dei conflitti, soprattutto se si manifestano alle proprie porte.
Ne è prova la crescente percezione che registra l'eurobarometro dell'importanza delle operazioni di peacekeeping, di aiuto umanitario e del ruolo delle forze armate nel difendere valori come la libertà e la democrazia. Siamo presenti in molte aree di crisi e in altre dobbiamo prepararci ad intervenire come nel Darfur, dove è in corso un genocidio e dobbiamo avere il coraggio di fare pressione sugli attori africani e sulla Cina. Ma, nel frattempo, si è aperto in questi giorni il fronte del Congo.
Onorevoli colleghi, l'esperienza maturata dall'Italia nelle missioni internazionali deve spingere il Governo a farsi promotore di alcune significative innovazioni in attesa di rinforzare quei meccanismi istituzionali internazionali di cui parlavo prima. Sono innovazioni che dovrebbero mirare ad un maggior coordinamento tra le varie realtà presenti sul campo e ad una maggiore efficienza nellaPag. 13linea di comando dal movimento operativo fino al quartier generale delle Nazioni Unite.
Consapevoli, signor Presidente e onorevoli colleghi, che l'Italia opera in ottemperanza al rispetto dei diritti umani e in ambito ONU, rivendichiamo come un merito la partecipazione alle missioni di pace per lo sviluppo di tutti, secondo la linea già espressa dal precedente Governo e votiamo a favore del provvedimento in questione, pur con i distinguo richiamati dai nostri emendamenti e dai nostri ordini del giorno (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Compagnon. Ne ha facoltà.

ANGELO COMPAGNON. Signor Presidente, il provvedimento in discussione riunisce le disposizioni relative alla partecipazione civile e militare alla missione europea in Georgia a quelle, originariamente introdotte in un altro decreto-legge, volte ad assicurare la proroga, dal primo ottobre al 31 dicembre 2008, della partecipazione del personale delle forze armate e della polizia alle missioni internazionali in Libano, Bosnia, Ciad, Repubblica Centroafricana, Haiti, Libia. Autorizza, altresì, la partecipazione alla missione dell'organizzazione per la sicurezza e la cooperazione europea sempre in Georgia e le ulteriori spese sopravvenute nell'ambito delle missioni in Afghanistan e nel Kosovo.
L'Unione europea, per quanto riguarda la Georgia, dopo essere mancata nella fase preventiva del conflitto dei cinque giorni, evidenziando un'inadeguatezza nella prevenzione dei conflitti in un'area peraltro cruciale per la nostra sicurezza, ha però dimostrato una notevole coesione, soprattutto per quanto riguarda l'aiuto concreto alle popolazioni georgiane rifugiate e in difficoltà.
L'Italia, in questo contesto, ha avuto un atteggiamento che è stato spiegato molto bene nell'intervento dell'onorevole Vietti che mi ha preceduto. Per quanto riguarda l'Afghanistan, l'Italia sta svolgendo un ruolo centrale che, mi auguro, sarà ulteriormente rafforzato durante la nostra presidenza del G8 nel 2009, attraverso lo svolgimento di una conferenza di stabilizzazione per l'Afghanistan ed il Pakistan.
La nota dolente è che l'eradicazione dell'oppio, che è stata tenacemente perseguita dai Paesi occidentali con l'impiego di ingenti risorse, non ha dato risultati apprezzabili, tanto che i traffici illeciti sono proliferati e hanno consentito il finanziamento di azioni proprio contro le forze armate occidentali. Per quanto attiene al Libano, il contingente italiano garantisce una zona cuscinetto libera dalle armi e la garantisce bene anche attraverso un'interpretazione più coerente delle regole di ingaggio esistenti. Peraltro, questo decreto-legge impiega la stragrande maggioranza delle sue risorse proprio nel Libano (112,5 milioni a fronte di 151).
Passando poi alla missione che riguarda i Balcani, il rifinanziamento introdotto da questo decreto-legge è connesso, in particolare, all'assunzione del comando da parte dell'Italia della missione Nato in Kosovo che, indubbiamente, rende prestigio e merito alle capacità dei nostri comandanti.
Molto opportuna risulta, invece, la disposizione che proroga la partecipazione del Corpo della guardia di finanza alla missione in Libia prevista in esecuzione di un accordo di cooperazione del 2007 per fronteggiare il fenomeno dell'immigrazione clandestina e della tratta degli esseri umani, anche se su questo aspetto credo che ci sia ancora molto da fare, soprattutto affinché vengano rispettati determinati accordi.
Alla luce di queste brevi considerazioni e pur condividendo sostanzialmente un provvedimento che ribadisce le responsabilità internazionali del nostro Paese nelle principali aree di crisi, voglio sottolineare che già nel corso del dibattito svoltosi presso il Senato non era emersa una chiarissima quantificazione degli oneri di spesa - ammontanti a circa 151,5 milioni di euro, come si ricordava poc'anzi - rispetto alla capienza residua del Fondo diPag. 14cui alla legge finanziaria per l'anno 2006, recentemente rifinanziato dal decreto-legge n. 112 del 2008.
La discussione di questo provvedimento rappresenta anche l'occasione per una riflessione sul rilevante impegno italiano nel mondo: l'Italia è attualmente presente all'estero con più di ottomila militari, stanziando oltre un miliardo di euro per finanziare tali missioni dislocate in venti Stati esteri. Ma nel nostro ordinamento, in modo particolare, non esiste un quadro normativo completo riguardante il trattamento economico e normativo del personale impegnato in missioni internazionali, né sui molteplici e peculiari profili amministrativi che caratterizzano le missioni stesse, mentre si preferisce disciplinare di volta in volta gli aspetti e le problematiche che emergono nell'ambito dei singoli provvedimenti legislativi con cui si dispone periodicamente il finanziamento delle missioni internazionali. Bisogna, quindi, chiarire il futuro del nostro impegno militare fuori dal territorio nazionale. In passato, circa il trenta per cento delle spese per le missioni internazionali è stato finanziato con il bilancio ordinario della Difesa: ora la situazione finanziaria del bilancio della Difesa non consente più di procedere in tale direzione, per cui si dovrà decidere se ridimensionare la nostra presenza militare all'estero o se trovare il modo di finanziare ad hoc tutte le missioni senza attingere dalle ormai esauste casse della Difesa.
Inoltre, per quanto riguarda l'Afghanistan, nel rifinanziamento delle prossime missioni internazionali occorre adottare un approccio che tenga conto sia delle esigenze militari, sia di quelle delle popolazioni civili, in modo da innescare un circolo virtuoso di sviluppo e sicurezza che rappresenta la vera sfida della comunità internazionale in quel Paese. In particolare, migliorare i programmi per la lotta alla povertà, con particolare attenzione a quelli connessi allo sviluppo dell'agricoltura, sia per incentivare la conversione delle colture da papavero in grano, sia per consentire al Paese un'autosufficienza alimentare.
Purtroppo, il rapporto tra l'impegno di spesa per la difesa e il prodotto interno lordo nel nostro Paese è, per il 2009, pari allo 0,85 per cento, a fronte di uno standard consigliato in sede NATO pari all'1,5 per cento. Una riduzione delle risorse finanziarie destinate allo strumento militare rischia di mettere a repentaglio la stessa sicurezza del personale impegnato nei teatri operativi.
Infine, signor Presidente, non sembra che siano stati fatti grandi passi avanti rispetto al disarmo di Hezbollah, per cui nei prossimi mesi sarebbe opportuna un'azione di monitoraggio più intensiva rispetto al passato.
Con queste osservazioni costruttive e responsabili che avanziamo come Unione di Centro, ribadiamo che, come sempre, rispetto a situazioni come queste (come è avvenuto anche in passato con qualsiasi colore di Governo o di maggioranza), la nostra coerenza è stata ben precisa, e non è poco. Noi crediamo che, anche in questo caso, al di là della posizione favorevole rispetto a tale decreto-legge, e rispetto al complesso delle situazioni mondiali, con la presenza del nostro Paese si intenda incidere in maniera ancora migliore, soprattutto nell'interesse delle popolazioni dove andiamo ad operare (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Leoluca Orlando. Ne ha facoltà.

LEOLUCA ORLANDO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, la situazione georgiana si è intrecciata e si intreccia nel provvedimento oggi all'esame di questa Camera con la proroga degli interventi internazionali del nostro Paese al fine di portare condizioni di pace. Vorrei svolgere una considerazione preliminare sulla situazione georgiana: è apparso chiaro, come peraltro ha riconosciuto il Consiglio europeo, che abbiamo assistito nei primi mesi di quest'anno ad un progressivo ingresso di presenze russe in territorio formalmente georgiano, segnatamente nell'Abkhazia e Ossezia delPag. 15sud. Questa infiltrazione lenta si è manifestata in varie forme, sino alla dichiarazione, certamente anomala del Presidente Putin, di rapporti consolari da instaurare con l'Abkhazia e con l'Ossezia del sud.
La Georgia ha vissuto questa condizione certamente con preoccupazione e si è trovata nel mese di agosto sostanzialmente nelle condizioni di dovere impedire, con un'azione militare all'interno dei propri territori e dei propri confini, un'azione militare che proveniva dall'esterno, dalla Russia. L'intervento georgiano è l'intervento di un Paese che sicuramente non ha alcun interesse, né peraltro avrebbe la possibilità, date le sue dimensioni, di contrastare una potenza quale quella della Federazione russa.
La Georgia vive da alcuni anni una condizione di particolare sofferenza se è vero, come è vero, che, dal giorno del suo insediamento, il Presidente Mikheil Saakashvili ha dichiarato di considerare la Georgia un Paese europeo. La Georgia è uno Stato europeo: lo è per cultura, per tradizioni, per i collegamenti anche commerciali non recenti. Ma l'Europa, questo bisogna riconoscerlo, ha sempre ignorato questa condizione della Georgia, considerandola niente di più e niente di meno che un mero territorio militare. La Georgia, come Stato, è grande a sufficienza, se è europeo e se come tale è riconosciuto dall'Unione europea; se, invece, viene considerato soltanto come un mero territorio militare, è troppo piccolo per reggere i conflitti internazionali legati alla sua importanza strategica, geografica e alla rilevanza del corridoio georgiano come alternativo a quello russo, per quanto riguarda le fonti di energia che da Baku possono giungere in Europa, bypassando la realtà russa.
Purtroppo così è stato: nonostante le intenzioni del Presidente riconfermato Mikheil Saakashvili, la comunità internazionale ha considerato la Georgia soltanto come un territorio militare. Essa si è trovata a svolgere questo ruolo che è poco adeguato alla sua storia, alle sue dimensioni, ma anche alla cultura personale dell'attuale Presidente Saakashvili. Queste cose le vogliamo dire, perché su questa base si è fondato l'intervento del Consiglio europeo e si sono fondati i punti del Consiglio europeo, ai quali tutti noi siamo tenuti ad attenerci. Per questo non possiamo che seguire con stupore da parte degli esponenti del Governo affermazioni del tipo: è chiaro che la Russia ha invaso la Georgia. Ciò contrasta con le posizioni assunte dal Consiglio europeo; contrasta con la documentazione che la delegazione georgiana ha esibito anche a Roma con riferimento ai numerosi episodi di presenza di truppe militari russe nel territorio georgiano.
Volevo fare questa premessa, perché credo che, come sempre accade quando si tratta di decidere la conversione in legge di decreti che riguardano le nostre missioni all'estero, non c'è dubbio che si presenta al Parlamento un'occasione per riflettere sulla politica estera del nostro Paese nel contesto internazionale. Un dato è certo: questa è la prima volta che siamo di fronte alla conversione di un decreto in una condizione complessiva della politica internazionale radicalmente cambiata. Questa condizione è radicalmente cambiata per il venir meno e per il fallimento di quello che si chiama il modello Bush.
Il nuovo Presidente non si è ancora insediato, ma questo modello è già fallito e sarebbe fallito quand'anche fosse stato eletto come Presidente McCain. Infatti, in campagna elettorale tanto quest'ultimo quanto Obama hanno chiaramente dichiarato l'esigenza per l'America di una scelta di politica internazionale di discontinuità rispetto al modello Bush.
Per dirlo in termini finanziari, è finito il tempo del G1, il tempo di un Paese che pretende di essere l'unico arbitro della condizione internazionale, ma anche il tempo del G7 e del G8, se è vero come è vero che lo stesso Bush, prima di lasciare il suo incarico, ha dovuto convocare un G20. Tuttavia, abbiamo dovuto scoprire che neanche con 20 Stati coinvolti si può realizzare ciò che serve per rendere conto dell'attuale condizione di interdipendenza e di esigenza di multilaterialismo nella politica internazionale.Pag. 16
Noi siamo qui come partito a sostenere con molta forza l'europeismo del nostro Paese, in quanto siamo convinti che l'Europa abbia e possa svolgere un ruolo fondamentale, come lo ha svolto grazie alla Presidenza francese nel Consiglio europeo con riferimento alla situazione georgiana. Tuttavia, vorremmo che l'Europa la svolgesse in tutte le condizioni che riguardano la politica estera.
Siamo, quindi, convinti dell'europeismo, del multilaterialismo e siamo, altresì, convinti che, anche quando ci apprestiamo a confermare - come confermiamo - le nostre missioni militari, dobbiamo avere presente il punto estremo dell'orizzonte, ovvero la valorizzazione sempre maggiore delle istituzioni sovranazionali. Il modello Bush, infatti, oltre ad una dissennata politica finanziaria che pretendeva che il denaro producesse ricchezza, un denaro senza regole e senza limiti (e abbiamo scoperto che il denaro senza regole e senza limiti non produce ricchezza ma distrugge ricchezza), presenta un altro aspetto. Tale aspetto è rappresentato dalla convinzione che gli Stati Uniti d'America devono non avere cura sia degli organismi sovranazionali, sia del ruolo delle Nazioni Unite; anzi devono guardare con sfavore il ruolo delle stesse. Gli Stati Uniti devono non aver cura, né partecipare neanche alla realtà dell'Unesco e devono non sottoscrivere il Protocollo di Kyoto, piuttosto che il Protocollo sul Tribunale penale internazionale.
Sono tutti atteggiamenti di sfiducia nei confronti di organismi sovranazionali, ai quali, invece, noi crediamo fermamente, se è vero come è vero che, per una dimensione di interdipendenza, è necessario avere un punto di sintesi sovranazionale che rappresenti qualcosa in più che la semplice somma o il semplice equilibrio algebrico delle grandi potenze del nostro pianeta.
Queste sono le ragioni per le quali noi affrontiamo l'esame degli emendamenti al decreto-legge oggi in sede di conversione, avendo presente l'esigenza di valorizzare al massimo quella dimensione. All'interno di quella dimensione occorre aver cura e noi abbiamo cura che i nostri militari presenti all'estero possano essere opportunamente attrezzati ed adeguatamente sostenuti e non certamente mandati allo sbaraglio.
Purtroppo, il Parlamento è sempre lo stesso; il Governo è sempre lo stesso e il Paese è sempre lo stesso e non è questa la sede per alcune considerazioni, ma, purtroppo, stiamo distruggendo una dimensione storica della nostra realtà nazionale nel mondo, ovvero quella della cooperazione internazionale, con i tagli profondi intervenuti nel bilancio in questo settore.
Devo dire senza distinzione di parte che la Commissione esteri ha lamentato questo aspetto, ancorché, in seguito, per ragioni legate all'appartenenza di schieramento, ci siamo differenziati rispetto al voto. Comunque, resta il problema, al di là del voto della Commissione esteri. Non possiamo pretendere di essere un soggetto credibile nella costruzione di percorsi di pace in terre e in zone difficili, se poi togliamo quella parte che crea l'humus e il contesto che consentono ai nostri militari di essere percepiti non soltanto per le loro armi, ma come espressione di un Paese capace di tutelare i propri militari e, al tempo stesso, di promuovere lo sviluppo economico, sociale e culturale dei territori dove è presente.
Per questo motivo, noi lamentiamo con molta forza i tagli intervenuti in bilancio, ma la sede non è questa (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Rosato. Ne ha facoltà.

ETTORE ROSATO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo provvedimento vede la nostra condivisione. Abbiamo provato - lo hanno descritto ampiamente numerosi colleghi - a migliorarlo, anche in sede di dibattito in Commissione, con emendamenti di merito, al Senato così come alla Camera.
Le missioni internazionali sono indispensabili per i processi di pace nel mondo. Il contributo che il nostro Paese dà all'estero in questo contesto è sicuramente un contributo qualificato e significativo.Pag. 17
Questo decreto-legge, che poi è diventato anche altro, con l'inserimento di tutte le altre missioni in essere, nasce per la missione in Georgia; una missione resasi necessaria per la gravissima crisi internazionale che si è sviluppata, in cui va riconosciuta la posizione ferma, indispensabile e qualificata dell'Unione europea, che ha evitato una più grave degenerazione. Su questo, vorrei fermarmi qualche attimo, anche per poi approfondire le incongruenze che, in questo, abbiamo letto anche negli atteggiamenti che il Governo italiano ha avuto.
La risoluzione del Parlamento europeo, approvata il 3 settembre sulla situazione in Georgia con 549 voti a favore e solo 68 voti contrari, presentata dai maggiori gruppi, in particolare dal PPE e dal PSE, precisa alcune cose che ritengo vadano ribadite, per precisare anche qual è il contesto internazionale in cui l'Italia si colloca e quali sono le questioni principali in cui il nostro Paese si è riconosciuto nel voto all'interno del Parlamento europeo (voto che poi è stato disconosciuto in qualche svarione e in qualche dichiarazione, sicuramente non utile in un contesto così delicato).
Il primo punto che fissa il Parlamento europeo è proprio quello che l'Unione europea mantiene il suo impegno ad appoggiare l'indipendenza, la sovranità e l'integrità territoriale della Georgia entro i suoi confini riconosciuti a livello internazionale, senza fare alcuno sconto al riguardo. Condanna l'inaccettabile e sproporzionata azione militare condotta dalla Russia e la sua profonda incursione nel territorio della Georgia, che viola il diritto internazionale. Sottolinea che non vi è alcun motivo legittimo per l'invasione russa della Georgia, per l'occupazione di parte di essa e per la minaccia di rovesciare il Governo di un Paese democratico. Ribadisce la sua ferma adesione al principio secondo cui nessun Paese terzo può opporsi alla decisione sovrana di un altro Paese di aderire ad un'organizzazione o ad un'alleanza internazionale (in questo caso, si parla dell'adesione, che la Georgia ha anticipato, alla Nato), né ha il diritto di destabilizzare un Governo democraticamente eletto. Sottolinea che il partenariato fra Europa e Russia - la Russia è un Paese amico - deve basarsi sull'adesione ai principi fondamentali della cooperazione europea, che vanno rispettati non solo a parole, ma anche nei fatti.
Credo che sia utile ristabilire il nesso ed il collegamento tra la politica estera italiana e la politica europea, così come va ricordato, con serenità ed efficacia, il ruolo di pace delle nostre Forze armate; un ruolo di soggetti capaci di dialogare con la popolazione, con un taglio operativo straordinario, che non ci viene riconosciuto da noi stessi, ma che ci viene riconosciuto su tutti gli scenari dai nostri partner internazionali e dalle popolazioni che andiamo via via ad assistere, con un atteggiamento che è tipico dei militari italiani, che sono vicini alle popolazioni non solo sotto il profilo della sicurezza, ma anche dando assistenza alla popolazione ed essendo punto di reale mediazione.
Vorrei, però, sottolineare, al di là degli aspetti descrittivi del provvedimento, quattro contraddizioni, che leggiamo e che vedo nell'operato del Governo rispetto ad un indirizzo che, invece, credo che abbiamo bisogno di ricostruire in politica estera.
La prima contraddizione è sulla politica estera nella sua complessità, gestita da un Governo, o meglio da un Presidente del Consiglio, che peraltro oggi ha dato sfoggio della sua eleganza istituzionale anche nella piazza principale della mia città, con un «siparietto» forse non adatto a un Presidente del Consiglio, come ricordava prima il mio capogruppo. Una contraddizione che vede il Presidente del Consiglio fare l'ultima visita istituzionale al Presidente degli Stati Uniti, a Bush, in cui ha ribadito con forza il sostegno alla candidatura (allora era ancora candidato) di McCain, in cui ha ribadito il sostegno alle politiche dello scudo spaziale, alla politica estera statunitense sulla Georgia, sul Kosovo, per poi contraddire tutto questo solo pochi giorni fa. E questo è successo nell'arco di un mese!Pag. 18
Vi sono poi le contraddizioni nella politica economica, in cui si sostiene la necessità del ruolo forte delle nostre Forze armate, il loro ruolo imprescindibile nei teatri di guerra, dove i nostri militari vanno a portare quel tentativo di mediazione che le forze militari esercitano tra diversi fronti. La contraddizione sta nei provvedimenti finanziari del Governo, prima nel decreto-legge n. 112 del 2008 e poi nella finanziaria, dove ci sono tagli indiscriminati alle risorse, che mettono in discussione la loro stessa esistenza (queste non sono osservazioni nostre, sono osservazioni che derivano dalle dichiarazioni espresse in più sedi, quelle ufficiali, anche dal Capo di stato maggiore): c'è un ridimensionamento degli organici; i livelli economici del personale sono portati sotto i livelli di sopportazione e l'addestramento e la manutenzione non vengono più garantiti dalle disponibilità di bilancio.
E poi la terza contraddizione, sull'utilizzo strategico delle nostre Forze armate. Forze armate che vengono sempre più formate per il loro impiego sugli scenari internazionali, dove, come ho detto prima e come peraltro tutti in Aula, maggioranza e opposizione, svolgono un ruolo di altissima qualificazione. Vi è però un uso improprio delle Forze armate in compiti di polizia nelle nostre città: non è la paura di vedere i militari nelle nostre città che ci porta a dire questo, ma la preoccupazione per un loro utilizzo in contrapposizione con le forze di polizia, una contrapposizione illogica che va a snaturare quello che è il lavoro dei militari e quello che è il lavoro delle forze di polizia. Invece le nostre Forze armate avrebbero bisogno di maggior tempo per la loro formazione, maggior tempo per il loro addestramento, per quelli che sono compiti sempre più complessi nei teatri in cui (si veda il decreto-legge in esame) li mandiamo a difendere la pace nel mondo.
La quarta contraddizione è quella relativa ai tagli di risorse indiscriminati alla cooperazione e allo sviluppo; tagli che sono incompatibili con il nostro ruolo internazionale, che andiamo sempre a sottolineare come ruolo di Paese leader: siamo membri del G8, il nostro peso all'interno delle Nazioni Unite è importante. A questo corrisponde poi una politica di tagli in tutte le istituzioni internazionali, che invece attendono il pagamento delle quote che ci siamo impegnati a versare. Così come i tagli riguardano i progetti delle ONG, perché la pace non si costruisce solo con l'invio delle Forze armate ma anche creando occasioni di sviluppo nei Paesi dove lo sviluppo non c'è, nei Paesi dell'Africa, nei paesi dell'Asia e del Medio Oriente, dove c'è bisogno di costruire occasioni di lavoro, di occuparsi dei livelli sanitari, dove c'è bisogno di creare «autosviluppo». E poi l'incongruenza di volere gli immigrati fuori dei nostri confini, laddove non si è capaci di costruire occasioni di sviluppo nei loro territori.
Il fatto di rilevare queste quattro contraddizioni, che sono sulla politica estera, sulla politica economica, sull'utilizzo strategico delle nostre Forze armate e sui tagli alla cooperazione e allo sviluppo, non significa che noi non sosteniamo il provvedimento in esame, che va in continuità con quanto fatto dal Governo Prodi, che va a sostenere il lavoro delle nostre Forze armate, che insieme al lavoro della diplomazia tende a portare un po' più di pace nei teatri di guerra in cui questo nostro mondo è ancora, in maniera forte, condizionato.
Vorrei concludere ricordando che esistono altri scenari nei quali l'impegno dei Paesi europei, in particolare dei Paesi della NATO, sotto la guida delle Nazioni Unite sarebbe necessario (scenari che richiamano e magari accendono la nostra attenzione in qualche telegiornale e su qualche pagina dei nostri giornali, ma che poi vengono dimenticati perché riguardano Paesi da noi più lontani o Paesi ancora più poveri).
Credo che la politica estera e la politica delle nostre Forze armate non possano essere disgiunte da un'analisi sui finanziamenti, sul ruolo e su un'attenta condivisione degli obiettivi. Mi auguro che rispetto a ciò il Governo sia attento nel definire le iniziative che dobbiamo intraPag. 19prendere e nell'ascoltare le segnalazioni che vengono con forza dall'opposizione e che tendono a migliorare un'azione rispetto alla quale il nostro Paese dovrebbe essere capace di essere più unito e coerente con le iniziative su cui ci siamo impegnati (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Gozi. Ne ha facoltà.

SANDRO GOZI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento al nostro esame ci dà la possibilità di svolgere alcune considerazioni non solo sulla missione dell'Unione europea in Georgia, ma in generale sulla posizione europea nelle regioni di crisi coperte da queste missioni, nonché sulla posizione dell'Italia nel contesto europeo e di politica internazionale.
Dal punto di vista dell'atto è certo che, soprattutto per la Georgia, la missione costituisce un passaggio importante, sia per il futuro del Caucaso, sia per lo sviluppo della politica estera e di sicurezza europea. È sufficiente al riguardo richiamare gli obiettivi della missione che parlano di stabilizzazione della regione, di normalizzazione, di rafforzamento della fiducia, ma anche di contribuire a sviluppare la politica europea e l'impegno futuro dell'Unione europea nella regione del Caucaso. Sono queste, tra l'altro, alcune delle ragioni principali, ma non uniche, del nostro «sì» a questo provvedimento.
Credo anche sia molto significativo che nel caso della Georgia, a differenza di altre missioni, il costo principale della missione (pari a 31 milioni di euro) sia a carico del bilancio dell'Unione europea: è noto infatti che, in base al Trattato vigente, le missioni civili, a differenza di quelle militari, sono interamente coperte, salvo le spese relative al personale distaccato, dal bilancio dell'Unione europea.
Credo però che in futuro dovrebbe essere interesse nazionale del nostro Paese lavorare sempre di più per ottenere quell'unanimità necessaria a Bruxelles per far sì che anche le missioni militari siano, per quanto possibile, a carico del bilancio dell'Unione europea, altrimenti si rischia che in sostanza l'Unione europea ci metta solo la bandiera e che le missioni rimangano una serie di missioni nazionali (è quindi molto importante lavorare, anche nell'ottica di un interesse di bilancio nazionale, per un utilizzo maggiore del bilancio comunitario in materia di missioni militari).
L'altro aspetto generale nei rapporti con l'Europa e nei rapporti con questo Parlamento riguarda certamente la questione del controllo parlamentare. Siamo convinti che occorra rafforzare il controllo parlamentare sulla predisposizione e l'attuazione delle missioni di pace nell'ambito della politica estera e di difesa europea, e in questo dovremmo guardare ai modelli di altri Paesi, a quanto già avviene in alcuni Parlamenti nazionali (penso al Parlamento britannico, ma anche a quelli danese ed olandese). Guardare a questi modelli di controllo parlamentare è importante e necessario per almeno due ragioni: la prima chiama in causa il ruolo marginale del Parlamento europeo nell'adozione delle azioni comuni, cioè di quegli strumenti con cui vengono istituite le missioni che stiamo esaminando; la seconda concerne invece le rilevanti implicazioni di politica estera che esse producono e che incidono inevitabilmente sulla posizione dell'Italia in ambito europeo.
Siamo ancora, come del resto in materia di sicurezza, in una zona grigia nella quale gli Esecutivi agiscono ma che sfugge sia al controllo dei Parlamenti nazionali, sia a quello del Parlamento europeo.
Dato che ci sono dei buoni modelli in altri Stati membri sarebbe bene, a mio parere, importarli alla Camera e al Senato.
Nel merito, queste missioni rispondono a degli interessi strategici fondamentali, sia dell'Italia, sia dell'Europa, per la stabilizzazione di alcune regioni del mondo. Per questo non capivamo il senso degli ordini del giorno che la Lega aveva presentato, che mi risulta siano stati ritirati, in cui si richiedeva una riduzione del contingente militare italiano in Libano e in Kosovo: erano incomprensibili visto l'interesse dell'Italia ad essere presente, sia perPag. 20la stabilizzazione, sia per esercitare una ovvia influenza politica, in due regioni strategiche dal nostro punto di vista nazionale. Del resto, quando si parla di missioni militari italiane in aree strategiche - penso al Libano, al Kosovo e anche all'Afghanistan - credo che tutte le forze politiche non dovrebbero commettere l'errore di vedere, ad oggi, dei trade-off tra la presenza italiana in Libano e quella in Afghanistan. È assolutamente sbagliato pensare che si possa ridurre la presenza militare in Libano per aumentarla in Afghanistan. Il Libano, certamente, è entrato in una fase migliore da certi punti di vista - pensiamo agli accordi per l'elezione del Presidente libanese Suleiman e sulla legge elettorale -, ma è chiaro che è ancora necessaria una forte presenza del contingente internazionale e che abbiamo tutto l'interesse a rimanere uno degli attori chiave in Libano.
Poniamoci, quindi, certamente la questione dell'Afghanistan, anche alla luce di quelle che potranno essere le proposte della nuova amministrazione americana, ma non vediamo nel Libano una camera di compensazione, perché ciò sarebbe profondamente sbagliato.
Riguardo all'Asia Meridionale, sta emergendo con nettezza il potenziale ruolo che l'Europa può svolgere, e anche l'importanza del ruolo dell'Europa per la stabilizzazione dell'Afghanistan e dei rapporti dell'Europa con l'Iran e la Russia. Questi Paesi, Russia, Iran, e Afghanistan, oggi, con meno difficoltà possono venire coinvolti in un approccio regionale da un'iniziativa europea, piuttosto che da una americana. Vi è certamente uno spazio politico che l'Unione europea e, quindi, l'Italia può occupare. È anche questo il senso dell'ordine del giorno che abbiamo presentato che insiste per una conferenza regionale sull'Afghanistan, per una valorizzazione del ruolo di mediazione dell'Italia e dell'Unione europea e per un approccio regionale che richiede però degli orientamenti nuovi da sviluppare e più dialogo politico. Si tratta di una posizione che abbiamo sostenuto sin dall'inizio, e che ora gli stessi americani e britannici ammettono essere una delle direttive verso cui procedere. Questa nuova strategia comporta più risorse per lo sviluppo locale del Paese. Il confronto con altre regioni del mondo, in cui stiamo confermando la nostra presenza militare, ci deve far riflettere: solo 57 dollari pro capite in Afghanistan sono destinati per lo sviluppo locale del Paese, contro, ad esempio, i 679 dollari della Bosnia, in cui certamente è importante mantenere una presenza e delle risorse, ma che sta riceve ingentissimi aiuti sin dall'indomani della firma dell'accordo di Dayton, circa 13 anni fa. Un'altra direttiva riguarda il rafforzamento dello Stato di diritto, a cominciare dall'amministrazione della giustizia locale, in Afghanistan.
Parlare di Asia Centrale e di Caucaso ci porta a parlare della posizione dell'Italia nel settore della sicurezza rispetto a queste regioni, a questi Paesi ed anche a valutare alcune recenti prese di posizione del Governo, in particolare, del Presidente del Consiglio.
Prendiamo ad esempio il caso della Georgia e dei nostri rapporti con la Russia. Certamente siamo tutti d'accordo sulla necessità di non aumentare la sindrome d'assedio che oggi Mosca sente, e che è dovuta in parte a ragioni interne strategiche dei russi e in parte anche a decisioni che sono state prese a prescindere dalla situazione di Mosca; quindi certamente non è interesse dell'Italia né dell'Europa aumentare questa sindrome. Non sfugge infatti a nessuno il carattere strategico per il nostro Paese del rapporto con la Russia, ma questo non può portarci ad assecondare e a giustificare - come il Presidente del Consiglio ha fatto - gli errori commessi da Mosca soprattutto negli ultimi mesi, e si tratta di errori molto gravi, molto importanti. Tra questi cito, da ultimo e solo come esempio, quello della scorsa settimana, relativo all'annuncio da parte del Premier russo di una possibile dislocazione di nuovi missili Iskander a Kaliningrad.
Credo che sarebbe interesse del nostro Paese essere molto più prudenti di quanto invece non lo sia stato il Presidente delPag. 21Consiglio. Non si può definire come una provocazione nei confronti di Mosca il riconoscimento dell'indipendenza del Kosovo; certamente, non lo si può fare in sede di missione ufficiale, né di fronte alla stampa (salvo poi correggersi e dichiarare che ancora una volta è stato male interpretato).
Non lo si può fare per tante ragioni. Partendo dall'Italia, per l'interesse che noi abbiamo a proseguire quel processo di stabilizzazione e di associazione dei Balcani nel cui ambito il Kosovo può avere un'influenza determinante. Dire che è una provocazione nei confronti di Mosca il riconoscimento dell'indipendenza del Kosovo equivale a rafforzare la posizione delle forze nazionaliste più estremiste che in Bosnia-Erzegovina si stanno rafforzando, come le ultime elezioni avvenute in quel Paese dimostrano. In altre parole, diamo alimento e sostegno a tesi che vanno esattamente contro gli interessi del nostro Paese e assolutamente contro le linee strategiche e i processi europei in corso.
Certamente il Kosovo presenta vari aspetti problematici e il suo riconoscimento va considerato come un fatto assolutamente eccezionale. Ma - ripeto - definire pubblicamente questo evento come una provocazione nei confronti di Mosca rischia di rafforzare la tesi russa, sostenuta durante la crisi della scorsa estate, assolutamente non condivisibile, per cui il Kosovo costituirebbe un precedente invocabile in altre regioni del mondo (regioni con storie e situazioni completamente diverse da quella kosovara), come proprio Mosca ha fatto in maniera palesemente strumentale nel caso dell'ultima crisi georgiana.
Assecondare questi ragionamenti - come il Presidente del Consiglio ha fatto - rischia di contribuire ad una situazione di instabilità e di disordine in altre parti del mondo, mentre i nostri sforzi - e le missioni di pace che stiamo discutendo oggi lo confermano - vanno ovviamente verso tutt'altra direzione.
La posizione presa a Mosca, inoltre, sembra contraddire quella espressa ufficialmente dal Governo italiano durante l'ultima riunione della NATO allorché la posizione dell'Italia è stata molto più netta e molto diversa da quella che poi il Presidente del Consiglio ha assunto a Mosca. È una posizione troppo sbilanciata a favore della Russia, e non crediamo che per svolgere un ruolo, peraltro difficile - a volte, potrebbe anche sembrare velleitario - di mediazione tra la Russia e gli Stati Uniti ci si debba appiattire in modo così plateale su posizioni russe che nessuno dei principali attori internazionali condivide.
Tra l'altro, sul ruolo di intermediazione è interessante fare una lettura comparata della stampa nazionale dei vari Paesi, perché ogni stampa nazionale ha la tendenza ad attribuire al proprio Governo e al proprio Paese un ruolo unico e insostituibile di mediazione tra la Russia e gli Stati Uniti.
Se nei giorni scorsi avessimo consultato la stampa francese e la stampa italiana, avremmo scorto articoli dal contenuto analogo, con la sola vera differenza che sull'una si indicava Sarkozy e sull'altra Berlusconi. Forse per Sarkozy c'è una ragione in più, semplicemente il fatto che è il Presidente di turno dell'Unione europea: in sostanza, quanto voglio osservare è che è assolutamente velleitario pensare che uno Stato europeo da solo, a prescindere dalle posizioni dell'Unione europea, possa pretendere di svolgere una mediazione tra una linea di Mosca in evoluzione e una linea di Washington che ancora dobbiamo conoscere.

PRESIDENTE. La invito a concludere, onorevole Gozi.

SANDRO GOZI. Mi avvio alla conclusione, signor Presidente. Interesse dell'Italia e dell'Europa sarebbe invece sviluppare la politica europea di vicinato, una politica che la Commissione Barroso sta attuando in maniera troppo timida e burocratica e che invece costituirebbe una delle soluzioni, soprattutto nel caso che stiamo esaminando oggi relativo alla stabilizzazione di questo Paese. È inutile concentrarePag. 22il dibattito sull'alternativa se essere o meno favorevoli all'allargamento della Nato, quando attraverso la politica europea di vicinato, se attuata in modo strategico e politico, potremmo veramente contribuire ad una vera stabilizzazione, innanzitutto politica, ma anche economica e istituzionale, della Georgia e dell'intera regione del Caucaso (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Buttiglione. Ne ha facoltà.

ROCCO BUTTIGLIONE. Signor Presidente, l'Unione di Centro è ovviamente favorevole all'approvazione del provvedimento e anche degli emendamenti ad esso presentati. A questo punto, potrei sedermi e dire che il mio intervento è concluso. Ma non lo farò.
Non lo farò perché in questa Assemblea non sono molte le occasioni che abbiamo di discutere la politica estera del Governo, tanto che mi domando se non vi sia stata una specie di riforma costituzionale strisciante che ci riporta, più o meno, nelle condizioni della Camera al tempo dello Statuto albertino o del Bundestag al tempo di Bismarck, quando l'unica occasione che si aveva per parlare della politica estera era quando si approvava il bilancio del Ministero degli esteri. Infatti il Governo portava in Assemblea le questioni soltanto quando aveva bisogno di chiedere soldi.
Avendo pertanto l'occasione di esprimere alcune perplessità sulla politica estera del Governo, non me la farò scappare. Anche perché, nel momento in cui votiamo sul finanziamento della missione in Georgia, vorremmo capire qual è la politica al servizio della quale si pone la missione in Georgia. Nel momento in cui votiamo sui finanziamenti necessari per tenere i nostri soldati in Libano, vorremo che qualcuno ci spiegasse cosa fanno i nostri soldati in Libano.
Infatti, ad esempio, ricordo che i soldati furono mandati in Libano con una missione precisa: disarmare Hezbollah o, meglio, cooperare con l'esercito libanese per il disarmo di Hezbollah. Vorrei chiedere al Governo se l'esercito libanese ha ancora intenzione di disarmare Hezbollah. In tal caso, riteniamo di avere forze sufficienti per poterlo fare? Le regole che abbiamo dato ai nostri soldati - ricordate quante discussioni sulle regole di ingaggio! - sono ancora valide o sono diventate ormai totalmente inadatte alla situazione nuova che si è determinata? Infatti, qualunque cosa si pensi sull'opportunità della nostra presenza in Libano - sono convinto che questa presenza sia tuttora opportuna - non vi è dubbio sul fatto che la situazione è potentemente cambiata e che le regole allora definite sono chiaramente inadeguate alla nuova situazione oggi esistente, con il rischio che senza una chiarezza di visione, qualora si verifichino dei problemi, la nostra posizione sia straordinariamente difficile oppure assolutamente marginale, tale da porre fine a uno sforzo alimentato da tanti denari del popolo italiano, da tanta buona volontà, da tanto spirito di sacrificio, da tanto impegno dei nostri militari, con un bilancio potentemente negativo in termini di prestigio del Paese e di partecipazione alla soluzione dei problemi del Medio Oriente.
Ma non è questo il tema principale che, invece, oggi è la Georgia. Anche a questo riguardo vorremmo spiegazioni da parte del Governo. Cosa è accaduto esattamente in Georgia?
La spiegazione che qualcuno - anzi, non qualcuno: il capo del Governo - ci ha dato sui giornali sembra francamente non accettabile: l'idea che il cattivo Saakashvili ha provocato irresponsabilmente l'orso russo ed ha avuto la punizione che si meritava è una tesi assolutamente non accettabile e non credibile. Non è accettabile e non è credibile perché tutti sappiamo che parti importanti del territorio della Georgia, l'Abkhazia ed il sud Ossezia, sono state occupate contro il diritto internazionale dall'Armata russa o da forze locali, col potente sostegno dell'Armata russa. Certo, Saakashvili non ha avuto un'idea molto brillante quando ha tentato di riprendere il controllo con la forza di quelle aree e non hanno avuto un'idea molto brillante nemmeno quegli amiciPag. 23americani che gli hanno detto che poteva tentare un'avventura del genere, ma la reazione russa è stata chiaramente sproporzionata ed è stata l'espressione di un tentativo di intimidazione rivolto contro l'Europa. Non è in questione l'Abkhazia o l'Ossezia del sud: è in questione il diritto dell'Europa di svolgere autonomamente la propria politica, senza dover vivere sotto la minaccia dell'imperialismo russo.
Infatti, questo è il problema: l'imperialismo russo esisteva prima dell'Unione sovietica ed esiste dopo l'Unione sovietica, alimentato da correnti profonde della storia nazionale russa. L'intervento militare, in quelle proporzioni e con quella violenza, aveva un significato politico chiarissimo: altolà all'Ucraina, non illudetevi che l'Ucraina possa mai essere un Paese veramente indipendente, meno che mai che possa entrare nell'Unione europea; l'Ucraina è destinata a ricadere, prima o poi, nell'ambito del potere dell'Unione sovietica; altolà a chi pensi, in Moldavia, in Transnistria, ad uno sviluppo legato all'Europa: è una minaccia chiarissima a quei Paesi che hanno fatto parte dell'impero sovietico in un modo o nell'altro fino a non molto tempo fa e che oggi si illudono di essere liberi. Non è per caso che i Presidenti della Polonia, dell'Estonia, della Lettonia e della Lituania abbiano espresso tanta preoccupazione per quanto è accaduto in Georgia e non è un caso che siano gli stessi Paesi che si sono espressi in modo favorevole al dispiegamento del cosiddetto scudo satellitare. A nessuno sfugge che esiste una connessione potente fra l'invasione avvenuta in Georgia e tutto questo insieme di questioni, da cui dipende la pace nel secolo che è appena iniziato.
A fronte di tutto ciò, abbiamo avuto per la prima volta una grande risposta dell'Europa: Sarkozy è andato a Mosca e ha ottenuto quello che gli Stati Uniti non potevano ottenere. Infatti, gli Stati Uniti sono la più grande potenza militare del mondo, ma non volevano e non potevano fare la guerra per la Georgia. L'Europa, che non è la più grande potenza militare del mondo, è però una grande potenza economica che ha in mano leve di grande rilievo per convincere e anche un po' costringere la Russia ad agire in modo più favorevole alla pace. La missione di Sarkozy è stata una missione che ha avuto successo, che ha indotto i russi alla ritirata, che offre alla Georgia un ombrello, uno scudo più potente del potere militare americano. È la diplomazia di una grande potenza mondiale, che non è una grande potenza militare: è la prima volta che l'Europa riesce a fare una cosa del genere, cioè ad affermarsi come protagonista sulla scena internazionale. Ciò ha rassicurato l'Ucraina, ciò ha rassicurato gli altri Paesi, ciò rimane un esempio sul quale meditare. Che vuol dire militare? Abbiamo bisogno che non sia un fatto episodico, abbiamo bisogno di un'Europa che parli con più forza a partire dal Consiglio europeo. Infatti, stavolta l'Europa è stata il Consiglio europeo, non è stata la Commissione. Se fosse stato Presidente non Sarkozy, ma il Presidente di un piccolo Paese, questo non sarebbe stato possibile e ciò significa che abbiamo bisogno di una Presidenza stabile del Consiglio europeo, a cui facciano capo seriamente le questioni della politica estera e della politica di difesa.
In questo momento in cui ciò che vince è l'unità dell'Europa, il Presidente del Consiglio dei ministri italiano non può «uscirsene» sui giornali dichiarando che tutto sommato i russi hanno ragione, che tutto sommato Putin è un bravo ragazzo, che tutto sommato la loro è stata una reazione giustificata ad un'aggressione della Georgia! Egli non può dire che Bush fino a ieri ha sbagliato tutto! Si può pensare bene o male dello scudo spaziale, ma ciò che è certo, è che esso è una carta importante nelle mani della diplomazia occidentale e se va cancellato, se va ceduto, sarà al termine di un duro negoziato in cui la Russia dovrà dare garanzie effettive di rispetto dell'indipendenza di quei Paesi confinanti che oggi hanno paura davanti alla Russia stessa. Ciò «tocca» il tema della minaccia energetica, «tocca» il tema dell'oleodotto realizzato sotto il Mar Baltico, aggirando la Polonia per poter ricattare la Polonia stessa e poterla minacciarePag. 24della sospensione dei rifornimenti energetici; ciò «tocca» l'insieme delle nostre politiche verso la Russia!
Dare l'impressione che l'Italia sia non uno dei Paesi dell'Europa che perseguono questa politica di pace e di difesa dell'indipendenza dei vicini della Russia, ma l'alleato della Russia all'interno dell'Unione europea, è stato un errore politico gravissimo e in quest'Aula non abbiamo avuto occasione di discuterne, tranne che come appendice al finanziamento della missione in Georgia.
È importante: perché i nostri militari vanno in Georgia? Se fosse vero quanto ha detto il Presidente del Consiglio dei ministri, non vi sarebbe motivo di mandare i nostri militari in Georgia! Se fosse vero quanto ha detto il Presidente del Consiglio dei ministri, questa piccola nazione non avrebbe alcun motivo di preoccuparsi davanti al risorgere dell'imperialismo russo, perché non vi sarebbe alcun imperialismo russo!
Dal momento che parliamo di queste cose, vogliamo dire che sono anni ormai che non solo in Italia (e non facciamo un facile «antiberlusconismo», perché questo è un problema di tutti i Paesi occidentali), ma in tutti i Paesi occidentali è venuta meno la preoccupazione per la democrazia in Russia, è venuto meno il sostegno alle forze democratiche in Russia. Si è accettata con troppa facilità l'idea che Putin sia la Russia e che quello di Putin sia un regime democratico. Esistono molti motivi per dubitarne! Esistono molti motivi per pensare che la transizione verso la democrazia, in Russia, non sia ancora affatto compiuta! Noi pensiamo che l'Unione europea debba farsi carico di aprire un discorso sulla democratizzazione. Pensiamo che il tema della democrazia e dei diritti umani sia ancora un tema di cui, con la Russia, bisogna parlare: ossia i diritti umani, non solo in Georgia, in Russia! Pensiamo che ciò possa essere fatto solo da un'Europa che sia unita.
Tralascio di soffermarmi sull'ineleganza di una dissociazione così plateale, così drammatica, dalla politica di Bush, quando, fino a qualche settimana fa, la preoccupazione fondamentale sembrava essere quella di mostrarsi come il migliore amico di Bush. Lasciamo da parte questo aspetto un poco sconcertante e non esaltante per chi ha a cuore la dignità del popolo italiano, ma ricordiamoci di una cosa: l'Italia non può qualificarsi come il miglior amico: il miglior amico sia della Russia, che degli Stati Uniti, sia di Bush, che di Putin! Una grande nazione non ha amici o nemici permanenti, ha valori permanenti e ha interessi permanenti, e giudica sulla base di questi interessi e di questi valori i rapporti internazionali che, di volta in volta, instaura. Non possiamo dare l'impressione che il futuro del Paese, il nostro approvvigionamento energetico e la pace nel mondo dipendano dai buoni rapporti tra il nostro Presidente del Consiglio dei ministri e i grandi del mondo, dalla sua capacità di intrattenimento o di rendersi simpatico: ciò, prima di tutto, non è bene per lui, che ci rappresenta. Esprimo queste riserve proprio perché credo che la dignità di chi rappresenta il Paese sia un interesse comune.
Inoltre abbiamo parlato di queste missioni: è stato sollevato il problema delle missioni che non ci sono. In quest'Aula ho sollevato la questione di quanto sta accadendo nel Congo del sud, che una volta si chiamava Congo belga o meglio Katanga e Kivu. La catastrofe umanitaria del Ruanda non è finita, è continuata, in tutti questi anni, trasferendosi semplicemente dal Ruanda al sud del Congo. Oggi il perno di questa catastrofe umanitaria è Goma. Le forze ribelli sono a pochi passi dalla città. Le forze del Governo, non solo non sono in grado di difenderla, il che non sarebbe forse neanche un male...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

ROCCO BUTTIGLIONE. Le forze del Governo sono ammutinate, saccheggiano e massacrano la popolazione. Il Governo non è venuto qui a dirci cosa pensiamo di fare per porre termine a questa catastrofe umanitaria. Avrei voluto sentir parlare di questo, così come avrei voluto sentir parlare del Darfur, dove i cristiani continuanoPag. 25a essere massacrati ogni giorno e dove l'intervento europeo è privo di efficacia.
Mi rendo conto, poiché ricopro la carica di Vicepresidente, che il mio tempo è scaduto. Vorrei pregarla, signor Presidente, di far presente al Governo il desiderio, ritengo di tutta l'Aula e sicuramente di una componente di essa, di vederlo venire qui a parlarci non del finanziamento delle missioni ma delle finalità politiche delle medesime e della politica estera del popolo italiano (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Porfidia. Ne ha facoltà.

AMERICO PORFIDIA. Signor Presidente, ritengo che questo decreto-legge abbia dato l'opportunità a noi tutti, al Parlamento intero, di riflettere, di dialogare e di aprire una discussione su un argomento che, soprattutto nell'ultimo periodo, dovrebbe essere notevolmente rivalutato: quello delle missioni internazionali. Infatti, riteniamo necessario che, soprattutto in questo periodo, la democrazia e la libertà (che, per quanto ci riguarda, sono valori fondamentali in un Paese civile) vengano difesi nel momento in cui ognuno di noi si accorge che sono in pericolo.
Non c'è bisogno di ribadire il nostro pensiero, dal momento che lo abbiamo più volte esplicitato: quello delle missioni internazionali costituisce un compito fondamentale del nostro Paese. Ciò su cui vogliamo riflettere con tutti è che si tratta di un momento delicatissimo, nel quale, a mio avviso, tutto deve essere rivisto. Ne abbiamo avuto esempio nell'ultimo periodo, quando è emerso chiaramente che l'azione svolta, per esempio, dal Governo Bush non ha dato i risultati che si speravano. In Afghanistan, come in Iraq, la situazione è tutt'altro che pacificata anzi la democrazia e la libertà sono ancora lontane da venire.
Cosa desideriamo dire? Su cosa desideriamo riflettere? In questo ultimo periodo i cambiamenti che si sono verificati nel mondo (l'ultimo in ordine di tempo, quello della Presidenza degli Stati Uniti) hanno indotto a riconsiderare il processo di globalizzazione a livello mondiale. Si tratta di un processo che deve essere rivisitato anche in Europa. Riteniamo che le missioni internazionali all'estero debbano passare all'Europa e che essa debba svolgere un ruolo fondamentale, all'interno del quale tutti i Paesi membri devono assumersi proprie responsabilità.
Ultimamente si è parlato moltissimo del modello culturale della democrazia europea. Riteniamo che sia necessario che tale modello sia esportato in quelle nazioni che ne hanno bisogno e nelle quali ancora non esistono democrazia e libertà. Certamente occorre fare in modo che esso non venga considerato quale modello unico o come neocolonialismo.
Deve esistere cioè un dovere di grande responsabilità dell'Europa che, nel momento in cui si reca all'esterno, in questi Paesi, deve portare quanto più possibile oltre il confine anche il modello della democrazia occidentale.
Parliamoci con molta chiarezza: ormai la presenza militare non è più sufficiente a portare la democrazia, quei principi e quei valori che abbiamo nella nostra nazione ed in Europa. Riteniamo che deve essere cambiato il percorso, si deve trattare di un percorso in cui deve essere data una nuova linfa soprattutto al tessuto sociale di quei Paesi. Dobbiamo far fare in modo che vengano portate infrastrutture, scuole, ospedali, strade: questo è il modo per poter combattere il terrorismo, secondo noi il modo migliore.
Vorrei fare un esempio: se l'Europa, se la nostra nazione riuscissero a stare vicino, anche da un punto di vista economico, a quelle organizzazioni che vogliono aiutare, ad esempio in Afghanistan, i coltivatori a cambiare tipo di coltivazione passando dagli oppiacei ai prodotti naturali, sarebbe un modo per portare maggiore libertà e combattere il terrorismo in quelle zone in maniera più efficace. Questo è il cambio di strategia che, secondo noi, deve essere portato come fatto nuovo in queste missioni internazionali, in cui ancora crediamo fortemente.Pag. 26
Un'ultima breve riflessione la vorrei fare sull'opportunità di far gravare le spese finanziarie su fondi che il Governo precedente, e forse anche l'attuale, aveva destinato ad altre finalità ossia al sostegno dell'economia, all'abolizione dell'ICI sulla prima casa, alle norme sulla rinegoziazione dei mutui, alla detassazione degli straordinari ed alle misure per aumentare il potere d'acquisto degli stipendi e dei salari. Queste missioni vengono potenziate da un punto di vista finanziario (però con quel percorso che ho illustrato in precedenza e che secondo noi è errato) con questi soldi che dovrebbero servire, invece, anche alla rinascita di questo Paese. Quindi secondo noi ci deve essere un cambiamento in questo senso.
Per quanto riguarda il settore della difesa abbiamo visto che nell'ultimo periodo, nonostante si voglia incidere in modo notevole su queste missioni, si incide anche in modo negativo sulle Forze armate a cui si stanno dando anche compiti che esulano dalle loro competenze. Ad esempio, ultimamente abbiamo verificato che moltissimi fondi per la funzione della difesa hanno un decremento pari al 7 per cento.
Nel settore esercizio c'è un decremento del 29,1 per cento, per non parlare del settore investimento, lo stesso che ha subito e subirà un decremento del 22,1 per cento, il che determinerà chiaramente una riduzione dell'ambizione nazionale in merito al ruolo della politica militare negli scenari internazionali. Pertanto riteniamo che, qualora si verifichi un cambio di rotta, è necessario che il Governo lo comunichi.
Abbiamo presentato ultimamente delle interrogazioni alle quali, però, non è stata data risposta. Perché, ad esempio sono stati inviati i Tornado in Afghanistan? Vuol dire che sta cambiando qualcosa dato che i Tornado sono solo strumenti di lotta. Quindi, se il Governo ha preso qualche impegno, probabilmente con il precedente Presidente degli Stati Uniti, da un punto di vista personale, ce lo comunichi. Certamente questo Governo non ci ha ancora notificato in modo chiaro e corretto una strategia internazionale delle missioni internazionali e una strategia estera.
È necessario, quindi, se ciò è accaduto, che si apra un dibattito in questo Parlamento soprattutto per quanto riguarda le risorse finanziarie (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Rugghia. Ne ha facoltà.

ANTONIO RUGGHIA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, con gli interventi durante la discussione sulle linee generali del disegno di legge, come gruppo del Partito Democratico, abbiamo dichiarato il nostro voto favorevole al decreto-legge in esame per il nuovo finanziamento, fino al 31 dicembre, di alcune missioni internazionali, oltre che per quello della nuova missione in Georgia.
Come sappiamo, si tratta di un provvedimento di proroga parziale. La vera discussione e il vero confronto in Parlamento, circa l'efficacia delle missioni in cui è impegnato il nostro Paese, si svolgerà nel prossimo mese di gennaio, quando dovremo affrontare complessivamente il tema delle missioni a cui partecipiamo insieme alla Comunità europea e a quella internazionale, per dare stabilità in diverse aree del mondo e per costruire un processo di pace. Sarà quella l'occasione per verificare la distanza che vi è tra le nostre ambizioni sulla scena internazionale e le nostre disponibilità, ulteriormente ridotte con l'approvazione della legge finanziaria 2009.
Il nostro voto favorevole non ci esime dall'esprimere alcune riflessioni e alcune perplessità circa il provvedimento in discussione oggi in Assemblea. Per quanto riguarda la missione in Afghanistan, il decreto-legge in esame dispone il rafforzamento del nostro impegno con l'ulteriore invio di uomini e mezzi per la partecipazione alla missione ISAF e Eupol. L'aumento di spesa prevista - 12.374.000 euro - è consistente ed è finalizzato al rischieramento del contingente militare ePag. 27ai costi di funzionamento dei quattro aerei Tornado che abbiamo inviato in Afghanistan per assicurare, con il potenziamento della componente aerea dell'ISAF, un maggiore livello di sicurezza e protezione dei militari che sono impegnati nella spedizione.
Le nostre perplessità derivano dal fatto che, ancora ad oggi, non è stata presentata al Parlamento una relazione completa riguardo l'andamento e l'efficacia della missione a giustificazione dell'ulteriore e oneroso impegno economico che il nostro Paese è chiamato a sostenere e per giustificare anche l'invio degli aerei Tornado.
Circa la missione in Afghanistan, non siamo convinti sulla possibilità di raggiungere gli obiettivi previsti dalla comunità internazionale soltanto o soprattutto attraverso il potenziamento dell'intervento militare. Le nostre riserve sono ampiamente e largamente condivise. Basti pensare alle recenti prese di posizione di alcune autorità militari e politiche inglesi e statunitensi, che sono principalmente impegnate in Afghanistan con la missione Enduring Freedom.
Più che di un maggiore sforzo e impegno per il potenziamento delle attività militari nella regione riteniamo che vi sia bisogno di una forte iniziativa politica e diplomatica, per completare la costruzione delle istituzioni democratiche e per rilanciare l'economia, per stabilizzare - insieme all'Afghanistan - una vasta regione dell'Asia meridionale che comprende, soprattutto, il Pakistan e che è sottoposta a tensioni che impediscono la prospettiva della pace e dello sviluppo economico e civile delle comunità.
L'esclusivo impegno militare non è condizione sufficiente per il conseguimento dei progressi economici e civili. Nel 2008, con gli attacchi dei talebani contro la popolazione civile, abbiamo registrato un forte aumento di vittime, il 40 per cento in più del 2007, che pure era stato l'anno con il maggior numero di vittime civili dalla caduta del regime talebano nel 2001.
Anche le perdite dei militari della NATO, nel 2007, sono state le più alte dall'inizio del coinvolgimento dell'Alleanza nel Paese e purtroppo, nel 2008, si prevede che il numero delle vittime militari possa anche aumentare rispetto al record negativo del 2007. Insomma, il solo impegno militare con le vittime civili causate oltre che dalle scorribande dei talebani anche da quelli che vengono cinicamente definiti i danni collaterali, dovuti soprattutto alle modalità operative dell'azione militare Enduring Freedom, minano la credibilità della missione e quella del consenso della popolazione al Governo Karzai.
Noi, che oggi decidiamo, con la conversione del decreto-legge, l'ulteriore incremento dei costi militari della missione, non possiamo non rilevare la pochezza delle risorse che, invece, vengono impiegate dalla comunità internazionale per il sostegno alla popolazione stremata dal conflitto, per la ricostruzione del Paese o la riconversione dei terreni già coltivati ad oppio.
Anche l'occasione offerta dal dibattito su questo decreto-legge non deve essere sprecata per una riflessione in Parlamento sull'impegno che il nostro Paese deve assumere nelle sedi internazionali per favorire la ricostruzione materiale, morale e sociale dell'Afghanistan, per garantire i diritti umani fondamentali alle popolazioni e per costruire su solidi pilastri la transizione che dovrà portare, con le elezioni presidenziali del prossimo anno, alla costituzione di un Governo afghano legittimato da un procedimento elettorale democratico e trasparente.
Sull'impegno del nostro Paese in Afghanistan abbiamo presentato uno specifico ordine del giorno. Ci auguriamo che questo ordine del giorno possa essere approvato dopo un approfondito dibattito in Parlamento. Il quadro nella regione è sempre più preoccupante, con i pericoli di un'ulteriore escalation di attentati anche attraverso attacchi di kamikaze rivendicati dai talebani, che si sono riorganizzati dopo la sconfitta del 2001 anche grazie all'aiuto di Al Qaeda.
Anche per effetto della situazione preelettorale aumentano tensioni e frammentazioni nella regione. Il tema della sicurezza della regione sarà sempre più diPag. 28difficile soluzione senza una politica di sviluppo e di allargamento del consenso che coinvolga i grandi Paesi della regione. Va quindi ricercata un'iniziativa della comunità internazionale sull'Afghanistan per rafforzare il coordinamento delle Nazioni Unite, dell'Unione europea e dei Paesi donatori per combinare gli strumenti politici con quelli economici e militari.
Signor Presidente, discutiamo la proroga e il rifinanziamento di alcune missioni internazionali che impegnano il nostro Paese all'indomani dell'approvazione della manovra economica, la prima di questo Governo nell'attuale legislatura. Non possiamo non esprimere perplessità per un comportamento del Governo e della maggioranza che appaiono contraddittori. Con le scelte assunte attraverso la legge finanziaria per la difesa nel settore esercizio, le previsioni ammontano a 1887,9 milioni di euro, con un decremento, rispetto al 2008, di 775 milioni di euro (meno 29 per cento). Altro che tagli, si tratta di una falcidia.
In termini di output operativo - lo ricordava il collega Garofani che ha presentato un ordine del giorno su questo tema la settimana scorsa durante l'esame dei disegni di legge finanziaria e di bilancio per il 2009 - rispetto al 2008, per il 2009 l'esercito potrà svolgere 2880 esercitazioni su 7500. La Marina potrà disporre di 29.800 ore di moto su 45 mila e l'Aeronautica potrà effettuare 30 mila ore di volo su 90 mila. Tutto ciò non potrà non avere effetti anche sull'efficienza e sulla qualità del nostro impegno nelle missioni internazionali svolte dai nostri militari in pericolosi teatri di conflitto.
Sempre con i tagli per il reclutamento avremo, per il 2009, il 7 per cento di volontari in meno e per il 2010 il 40 per cento dei volontari meno: ottomila ragazze e ragazzi in meno ai quali, tra l'altro, non sarà possibile consentire il mantenimento in servizio dopo che essi stessi hanno prestato per molti anni con grande professionalità e grande abnegazione la loro attività al servizio del Paese in delicate e pericolose missioni internazionali.
È evidente che anche il taglio che è stato deciso sul reclutamento determinerà difficoltà operative nello svolgimento delle missioni. Non possiamo accettare che venga di fatto modificato il modello difesa che prevede, sulla base di una riforma approvata dal Parlamento, uno strumento militare di 190 mila uomini soltanto per far quadrare i conti nell'attuale contingenza economica. Facendo alcuni facili calcoli arriviamo ad una stima, sulla base dei tagli effettuati dal vostro Governo, di 100-150 mila uomini.
Ma queste scelte devono essere fatte dal Parlamento sulla base di progetti e programmi. Nessun Paese del G8 sacrifica, senza una politica di programmazione o di ragioni strategiche, le proprie ambizioni per effetto della contingenza e delle ristrettezze economiche, subendo come noi la logica dei tagli lineari. Come dicevo inizialmente, la discussione che facciamo oggi è solo anticipatrice di una riflessione più complessiva e generale sul senso e sulle modalità del nostro impegno nelle missioni internazionali. Ci auguriamo che il Governo voglia svolgere tale discussione, abbandonando atteggiamenti ipocriti e strumentali. Nello specifico, su questo decreto-legge, esprimiamo il nostro voto favorevole per consentire la missione in Georgia e per continuare il nostro impegno in Libano, Bosnia-Erzegovina e in Afghanistan. È sopratutto per l'Afghanistan che riteniamo doveroso sollecitare un impegno del Governo allo scopo di sviluppare una iniziativa politica capace di impedire il fallimento della missione.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Mecacci. Ne ha facoltà.

MATTEO MECACCI. Signor Presidente, credo che il dibattito in corso su questo provvedimento offra un'opportunità, che non abbiamo avuto dall'inizio di questa legislatura, di iniziare a discutere che tipo di politica estera vogliamo per il nostro Paese. È evidente che il Presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, ha scelto un certo tipo di politica estera sicuramente diversa da quella degli anniPag. 29precedenti nella scorsa legislatura. Tuttavia, si tratta di una politica estera che credo debba - spero anche dai banchi della maggioranza - aprire una riflessione sulla direzione che si vuol dare al nostro Paese.
Il Presidente del Consiglio ha dichiarato, nel corso delle ultime settimane, la priorità di far ricoprire al nostro Paese il ruolo di ponte, in particolare, tra l'Europa e gli Stati Uniti. Si tratta del ponte necessario per confrontarsi con una Federazione Russa che, nel corso degli ultimi anni, purtroppo, ormai chiaramente ha scelto una via autoritaria alla risoluzione dei conflitti che ha sia al suo interno, ma anche all'esterno. Non dimentichiamo ciò che è accaduto negli anni scorsi in Cecenia: la distruzione di una capitale, come Grozny, che è stata rasa al suolo e il nostro Presidente del Consiglio, a fianco del Presidente Putin, ha dichiarato che si faceva garante di quanto stava avvenendo in Cecenia.
Il Presidente Putin ha scelto in questi anni l'autoritarismo, limitando l'attività delle organizzazioni non governative e di tutti coloro che si oppongono politicamente al suo regime. Ha scelto la militarizzazione di una società, attraverso, prima, la guerra in Cecenia e, adesso, abbiamo visto che, oltre alla guerra all'interno dei confini della Federazione Russa per opporsi alle spinte secessioniste della Cecenia, si è scelta la via militare anche per fare i conti con la Georgia, che è solo l'esempio di un Paese che vuole integrarsi nell'Unione europea, che ha una cultura profondamente europea, così come l'Ucraina. Tuttavia, la Russia di Putin non consente che questi paesi possano, in modo pacifico e sulla base di processi democratici, decidere di aderire alle istituzioni di cui l'Europa e la NATO fanno parte.
Il Presidente del Consiglio ha dichiarato in questi giorni che occorre evitare il ritorno alla guerra fredda. Credo che occorra che qualcuno in quest'aula ricordi che la guerra fredda va rivendicata dal momento che è ciò che ha consentito all'Europa decenni di pace: è stata la risposta necessaria all'impero sovietico che minacciava i nostri confini e le nostre case. La scelta di campo di chi ha fatto parte della NATO e di chi ha condotto per decenni la guerra fredda è una scelta che va rivendicata, non va considerata come uno spauracchio ed è stato il modo per opporsi a chi, attraverso un sistema dittatoriale, mirava a conquistare l'Europa e opprimeva centinaia di milioni di persone.
Ora che il Presidente del Consiglio Berlusconi, colui che ha fatto dell'atlantismo e della promozione della democrazia un leitmotiv degli ultimi anni, dica che il problema è stato quello della guerra fredda credo che sia sbagliato. Credo che l'anticomunismo, come l'antifascismo, siano stati valori fondanti delle democrazie liberali ed occidentali e, quindi, usare lo spauracchio della guerra fredda semplicemente per nascondere altri tipi di interessi che si promuovono credo che sia profondamente sbagliato.
Si tratta quindi di una politica estera molto spericolata che cerca rapporti con la Russia di Putin, ma anche con la Libia di Gheddafi. Voglio ricordare che anche questo decreto, ad esempio, prevede l'estensione della collaborazione con il regime libico di Gheddafi, senza che vi sia, in materia di immigrazione, alcuna garanzia sul rispetto degli standard minimi internazionali in Libia. La Libia non ha ratificato la convenzione sui rifugiati, non concede il diritto d'asilo ai propri cittadini, né a quelli che vanno all'estero, né a quelli che si trovano sul suo territorio. Si collabora dal punto di vista della gestione dell'immigrazione clandestina con questo tipo di Governo e si firma un trattato (che prima o poi arriverà anche in quest'Aula per la ratifica), di amicizia e di partenariato con la Libia, nel quale non si prevede alcuna di quelle clausole che sono previste in tutti gli accordi di cooperazione siglati dall'Unione europea con i paesi terzi: la clausola relativa alla materia dei diritti umani, ad esempio l'articolo 2 di alcuni accordi di cooperazione, non è prevista nel trattato che è stato firmato a Bengasi loPag. 30scorso 30 agosto dal Presidente del Consiglio. Nonostante ciò, si continua questo tipo di cooperazione.
In questo decreto si parla anche della situazione in Afghanistan. Il nostro Paese ha scelto fin dall'inizio di essere parte dell'operazione militare in Afghanistan dal 2001 e lo ha fatto con un obiettivo chiaro, su mandato delle Nazioni Unite, quello di rimuovere il regime dei talebani e di puntare all'instaurazione di un regime democratico e liberale. Noi sappiamo che, dal 2001, sicuramente sono accadute cose positive in quel Paese, ma, dal punto di vista della sicurezza, all'interno di quel Paese sappiamo che la situazione è molto difficile e va peggiorando. Ci sono dei dati che sono sotto gli occhi di tutti: il 2008 è già l'anno in cui c'è stato il record degli attacchi militari contro le forze della NATO e degli americani con la missione Enduring freedom. Il 2008 è stato già l'anno del record delle vittime civili del conflitto; poi nel dettaglio discuteremo, in un successivo ordine del giorno, il tema delle vittime civili di questo conflitto. La maggioranza di coloro che vengono uccisi in Afghanistan oggi è il risultato di attacchi delle forze che si oppongono al Governo di Karzai a partire dai talebani. Ma c'è ormai un crescente numero di vittime civili che sono vittime dei nostri attacchi militari.
Nel momento in cui, in modo unanime probabilmente, ci apprestiamo ad approvare questo decreto e a dare quindi un sostegno pieno alle nostre Forze armate, abbiamo anche il dovere di chiedere che queste operazioni militari vengano svolte per il raggiungimento degli obiettivi che si prefiggono. Quando le operazioni militari determinano, ormai in modo strutturale, un aumento delle morti tra la popolazione civile si produce l'effetto opposto rispetto a quello che si vuole ottenere. L'effetto è quello dell'aiuto alla propaganda delle forze che si oppongono a Karzai; si mette in difficoltà questo Presidente che si trova anche nell'impossibilità di condurre delle indagini e di verificare quanto avviene in queste occasioni. Abbiamo assistito ormai da troppo tempo a vertici militari della NATO che hanno, troppo spesso, negato qualsiasi responsabilità, affossando le indagini e affermando che anche i dati forniti dalle Nazioni Unite non erano credibili: credo che tutto ciò debba finire. La sospensione, come avviene nel caso in cui nel nostro Paese vi fossero delle vittime civili per il comportamento - sbagliato o giusto verrà poi accertato - da parte delle Forze armate o delle forze di polizia, è un atto necessario in un teatro di guerra come quello; è un atto necessario per impedire che la propaganda contro l'occupazione e contro l'indifferenza dell'Occidente rispetto alle vite dei civili afgani continui ad essere alimentata.
Realizzare questo tipo di iniziative e sostenere il Governo Karzai, facendo presente che ci assumiamo le responsabilità, a partire dalle nostre Forze armate, è la più grande arma a trazione di massa che possiamo avere per far comprendere ai cittadini afghani che ciò che li aspetta non sono gli omicidi senza quartiere portati avanti dalle forze che si oppongono a Karzai, ma sono forze che sanno assumersi anche le responsabilità di ciò che fanno.
Sempre in ordine all'Afghanistan, ci troviamo di fronte ad una situazione in cui l'Italia è in prima fila a livello internazionale per la lotta al traffico di droga. L'Italia da ormai molti anni è rappresentata nell'Agenzia delle Nazioni Unite, che ha sede a Vienna e che si occupa di ciò, con il vicesegretario generale delle Nazioni Unite, ora ricoperto da Antonio Costa.
In Afghanistan la politica proibizionista di lotta alla droga segna in modo oggettivo un fallimento completo. Sono stati investiti decine di milioni di dollari e predisposti programmi di tutti i tipi ormai da decenni (in particolare nell'ultimo) nel Paese per cercare, già sotto il regime dei talebani, di porre fine al commercio illegale che è ormai evidente a tutti, anche se per molto tempo lo si è negato. È evidente che vi è una connessione diretta tra la guerriglia e i finanziamenti che derivano dal commercio illegale di droga.
Questo è il fallimento che il nostro Paese, sia con i Governi di centrosinistraPag. 31che di centrodestra, ha realizzato. I dati lo dimostrano e continua anche, dall'inizio delle operazioni in Afghanistan, la produzione illegale di oppio che è giunta a livelli record rispetto a quelli degli anni passati.
La delegazione radicale, con un ordine del giorno che ha presentato, chiede di iniziare a riflettere su questo dato e di non nascondere la testa sotto la sabbia, poiché occorre iniziare a discutere ed a prendere in considerazione quelle proposte esistenti a livello internazionale che vogliono disegnare un percorso alternativo rispetto a quello che ormai, da troppo tempo, si continua a perseguire.
Si tratta della possibilità di fornire anche all'Afghanistan l'opportunità di rientrare nel mercato legale dell'oppio, per quanto riguarda la produzione di farmaci a livello internazionale. A tale riguardo, assistiamo all'ironia, per cui l'Afghanistan, Paese che più produce oppio a livello mondiale, si trova in una situazione di scarsità di accesso ai medicinali oppiacei, ma anche alla morfina negli ospedali afgani.
Esistono dei progetti pilota, già sottoposti alla comunità internazionale e, in particolare, a coloro che sono responsabili della situazione e della sicurezza in Afghanistan, per portare gradualmente una parte delle colture di oppio attualmente presenti in Afghanistan verso la produzione di medicinali e ciò per creare un mercato legale che possa servire da alternativa rispetto a quello illegale.
Queste sono tematiche che non sono presenti attualmente nel dibattito politico e non ne abbiamo sentito parlare neanche in questo Parlamento. Tuttavia, riteniamo che, se si vuole davvero promuovere la pace e la democrazia, lo si debba fare, utilizzando non solo lo strumento militare, come spesso illusoriamente si immagina di poter fare, ma elaborando anche politiche di sostegno - dal punto di vista istituzionale e del rispetto del principio di legalità e della messa in legalità di tutti coloro che si trovano ad essere ricattati - come condizione essenziale per costruire una società democratica.
Quindi, noi sosteniamo in particolare questo emendamento in relazione alla possibilità di un'attività di finanziamento per lo sminamento nelle regioni del Libano, che sono state devastate anche dai bombardamenti di due estati fa, che hanno prodotto una serie di vittime civili.
Il Libano è un Paese dove ormai da molti mesi è in funzione un tribunale delle Nazioni Unite, ovvero una Corte speciale istituita dal Consiglio di sicurezza, dopo l'assassinio dell'ex Primo ministro Rafik Hariri.
È un tribunale che ha svolto delle indagini che hanno chiaramente indicato responsabilità da parte dei servizi di sicurezza legati al Governo siriano in quel Paese, che da allora ha posto fine all'occupazione del Libano, ma che ha continuato, da quel momento in poi, uno stillicidio di attentati che hanno decimato una classe politica democratica (molti dei suoi rappresentanti, in queste settimane e in questi mesi), rispetto al quale questo tribunale ha il compito e il mandato di intervenire da parte del Consiglio di sicurezza.
Ora, con gli ultimi eventi, con l'accordo di Doha anche tra le varie fazioni libanesi, in particolare con gli hezbollah, si rischia di essere in una situazione di stallo completo e di ricatto permanente da parte di questa fazione politica rispetto al Governo legittimo libanese.
Credo che il Governo italiano, oltre all'impegno presente nella missione Unifil, debba anche rafforzare il proprio impegno a sostegno di questo tribunale internazionale, che deve essere finanziato, perché, altrimenti, se non si ottiene giustizia, è davvero difficile immaginare di ottenere la pace (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Vernetti. Ne ha facoltà.

GIANNI VERNETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, anch'io voglio approfittare di questa opportunità piuttosto rara di dibattere ed esprimere la nostra opinione, confrontandoci, tra maggioranza ePag. 32opposizione, sui temi cruciali di politica estera. È di fondamentale importanza l'atto che oggi discutiamo e che domani approveremo: il disegno di legge di proroga per alcuni mesi delle missioni militari, che, certamente, verrà poi ripreso nel confronto più generale relativo al disegno di legge di proroga nel 2009.
Credo che queste siano settimane in cui sono avvenuti alcuni fatti internazionali di grande importanza, che è utile richiamare per collocare la nostra riflessione. Siamo un grande Paese, che offre un grande contributo per la sicurezza, la pace e la stabilità internazionale, con quasi 10 mila uomini impegnati nelle aree di crisi e nei teatri più difficili; siamo un Paese membro del G8 e stiamo concludendo la nostra presenza come membri non permanenti per un biennio nel Consiglio di sicurezza.
Non c'è dubbio che i fatti del 4 novembre negli Stati Uniti d'America rappresentino una svolta importante con la quale fare i conti e su cui occorre riflettere.
Sono profondamente convinto che la nuova presidenza americana, che si insedierà il 20 gennaio prossimo, inaugurerà una stagione di forte cooperazione e collaborazione con l'Europa.
Siamo profondamente convinti che USA e Europa, nei prossimi anni, si incammineranno verso una partnership strategica. Credo che ad un'offerta di maggiore cooperazione da parte dell'amministrazione Obama corrisponderà anche una richiesta di maggiore assunzione comune di responsabilità.
Credo che una nuova comune responsabilità fra Europa e America sia necessaria per affrontare le sfide più importanti (la lotta al terrorismo, l'elaborazione di una comune strategia transatlantica in materia di difesa e di sicurezza) e per affrontare congiuntamente le altre grandi sfide globali, come i cambiamenti climatici e le sfide dell'ambiente.
Credo che, con questa nuova fase e stagione di cooperazione che si inaugurerà fra gli Stati Uniti d'America e l'Europa, dobbiamo collocare anche la scelta, che andiamo ad adottare, di riconfermare l'impegno per le nostre missioni militari all'estero.
Vorrei proporvi alcune riflessioni su ognuna di queste. Intanto, non c'è dubbio che l'Afghanistan continuerà ad essere, per lungo tempo, una priorità per la comunità internazionale e per tutto l'Occidente, certamente per la NATO.
In Afghanistan vi è il maggiore impegno della NATO dai tempi della guerra fredda e si ridisegna una dottrina di una nuova NATO, non soltanto più strumento difensivo, ma strumento in grado di offrire un contributo alla sicurezza globale, strumento politico-militare e alleanza di Paesi democratici in grado di fornire un contributo alla sicurezza, per mobilitare forze e risorse per risolvere le principali crisi internazionali.
Noi ci attendiamo dall'amministrazione americana da questo punto di vista un incremento dell'impegno in Afghanistan: il Presidente eletto, Obama, ha già annunciato - e questo annuncio è coerente con l'accordo raggiunto ieri a Baghdad - lo spostamento di tre brigate dall'Iraq all'Afghanistan; peraltro in questi giorni è stato positivamente concluso l'accordo fra l'Iraq e il Governo degli Stati Uniti d'America sul completo ritiro delle forze americane di qui al 1o gennaio 2012, e sull'inevitabile ridispiegamento di alcune brigate di combattimento sul teatro afghano.
Penso che dobbiamo quindi ragionare per i prossimi mesi, quando pensiamo al nostro impegno in Afghanistan, nella prospettiva di un impegno crescente. Oggi, positivamente nel decreto-legge in esame abbiamo un dispositivo del sistema di sicurezza; noi valutiamo positivamente l'invio dei quattro Tornado con le funzioni specificate dal decreto-legge, come giudichiamo positivamente un riposizionamento dei nostri soldati nell'area ovest del Paese: sostanzialmente Kabul è un'area nella quale si sono raggiunti buoni livelli di sicurezza, e la nuova base italiana della provincia di Farah, nella parte meridionale della zona occidentale con capoluogoPag. 33Herat. Per noi ciò è un fatto positivo, che ci permette di dispiegare e utilizzare meglio le nostre risorse militari.
Credo che quindi, in questa stagione di nuova collaborazione e di nuova assunzione di responsabilità comune, ci verrà richiesto un maggiore impegno. Quello in Afghanistan sono profondamente convinto che dovrà essere un accresciuto impegno di tipo militare. L'Italia non si è sottratta in questi anni alle proprie responsabilità, e negli ultimi due anni abbiamo rafforzato il dispositivo militare in quel Paese; dovrà però anche essere un rafforzato impegno economico. Intanto, più risorse. Pochi giorni fa a Valencia si è tenuta l'Assemblea parlamentare della NATO, ed è stato presentato dal comandante in capo delle forze in Afghanistan un dato, a mio parere, molto significativo: se confrontiamo i chilometri quadrati dell'Afghanistan con i chilometri quadrati del Kosovo, la quantità di risorse che la comunità internazionale, tutta insieme, Europa, Stati Uniti d'America, Nazioni Unite, ha impegnato per la ricostruzione e lo sviluppo dell'Afghanistan è pari a un dodicesimo di quelle impegnate nel Kosovo. Certo, il Kosovo è nel cuore dell'Europa, l'Afghanistan è una terra lontana, ma la comunità internazionale è chiamata a un incremento di risorse. Siamo convinti che non si possa scindere una politica di stabilizzazione da un'azione militare, ma non si può pensare di separare quest'ultima da un'azione politica di ricostruzione e di sviluppo. Quel Paese ha bisogno di più infrastrutture, ha bisogno di una sistema-Paese, di una nazione che cominci finalmente a funzionare, e questo è anche un forte antidoto alle recrudescenze terroristiche.
Noi crediamo nella necessità di un'azione politica regionale. Il Governo Prodi tra il 2006 e il 2008 ha messo in cantiere alcune azioni: forse la più significativa, che voglio qui richiamare, è stata la Conferenza internazionale sulla giustizia e lo Stato di diritto, che mi è parsa un piccolo, primo, importante tassello di quella che dovrebbe essere un'ampia azione politica su scala regionale.
Il dramma odierno dell'Afghanistan consta di recrudescenze, di aumento delle morti civili e di quelle in combattimento. Se confrontiamo i caduti in Iraq e i caduti in Afghanistan in questi sei mesi, per la prima volta dall'inizio dei due conflitti, ahimè, risulta che i caduti in Afghanistan sono stati di più dei caduti in Iraq. Certo, questo vuol dire che in Iraq la situazione sta migliorando e si sta stabilizzando, ma certo non è un bell'indicatore sull'Afghanistan, che per noi è una grandissima priorità.
Quando pensiamo ad un'azione politica regionale, noi pensiamo al coinvolgimento dei Paesi vicini. Non potremo interrompere i flussi di droga e di oppio dall'Afghanistan all'Europa se non coinvolgeremo i Paesi dell'Asia centrale, il Tagikistan, l'Uzbekistan, che sono le rotte di transito; e coinvolgerli vuol dire risorse per formare i loro nuclei antidroga, per formare le strutture doganali.
Per quanto riguarda il Pakistan, questo anno di lunghissima transizione - faccio riferimento al periodo dalla morte di Benazir Bhutto alla caduta del Governo Musharraf e finalmente alla nuova Presidenza democraticamente legittimata - ha creato dei vuoti di potere.
Oggi più del 30 per cento del territorio di quel Paese sfugge al controllo dello Stato e quelle porzioni di territorio pakistano rappresentano il luogo nel quale si è logisticamente, militarmente ed economicamente riorganizzata la rete di Al Qaeda e quella talebana. Dobbiamo, quindi, creare un nuovo patto politico con il Pakistan e l'Italia da questo punto di vista può vantare venti anni di rapporti diretti estremamente positivi, che possiamo far valere nel dibattito e nel confronto internazionale.
All'interno del decreto-legge, che oggi discutiamo ed approveremo, al rafforzamento del nostro dispositivo da un punto di vista militare che - ripeto e sottolineo - condividiamo, vanno affiancate azioni politiche concrete su scala internazionale: l'Italia, con la credibilità che le deriva dal proprio impegno, dalla presenza dei soldati, dalla fatica e dal lavoro quotidianoPag. 34che migliaia di nostri ragazzi hanno profuso in Afghanistan, ha le carte in regola per presentarsi con la comunità internazionale a svolgere un ruolo importantissimo per la stabilizzazione politica e militare dell'Afghanistan.
Accanto a tali considerazioni, formulo due riflessioni sul tema della Georgia. Ovviamente vediamo positivamente il contributo italiano alla missione di polizia (si tratta di un piccolo contributo, ma assolutamente rilevante dal punto di vista politico), ma anch'io ritengo, come hanno fatto anche altri colleghi (gli onorevoli Vietti, Buttiglione, Mecacci ed altri del gruppo del Partito Democratico), che sia utile approfittare di questo momento di confronto per capire qual è la politica italiana nei confronti della Russia. Da questo punto di vista esprimiamo preoccupazione perché, se andiamo con un po' di freddezza e di lucidità ad analizzare quanto è accaduto nel mese di agosto, motivi di preoccupazione ve ne sono più d'uno; pertanto, credo che sia giusto confrontarci nel momento in cui contribuiremo ad una missione di polizia nell'area.
Ritengo che la Presidenza georgiana abbia compiuto indubbiamente degli errori e che il Presidente Saakashvili non sia un campione del liberalismo internazionale, tuttavia il Presidente Saakashvili è stato eletto attraverso elezioni democratiche (per quanto egli abbia certamente compiuto, ripeto, alcuni errori). Noi non abbiamo condiviso l'azione militare intrapresa dalle Forze armate georgiane per riprendere il controllo del territorio della provincia dell'Ossezia del sud, ma a fronte di questo - che è un errore e che, come tale, è stato criticato dalla gran parte della comunità internazionale - giudichiamo la reazione militare e politica della Federazione Russa, di Putin e di Medvedev assolutamente sproporzionata, perché essa ha occupato gran parte del territorio georgiano alla metà del mese di agosto, ha coinvolto nel conflitto la Repubblica autonoma dell'Abkhazia (che non vi era coinvolta) ed ha, nei giorni immediatamente successivi alla fine delle ostilità, riconosciuto in modo unilaterale l'indipendenza di queste due piccole province. Stiamo parlando di due province, di quella dell'Ossezia con non più di 70 mila abitanti (pari ad una piccola provincia italiana), e di quella dell'Abkhazia con non più di 200 mila abitanti, per la quali la prospettiva di autonomia e di indipendenza assolutamente non viene considerata credibile da parte di nessuna componente della comunità internazionale.
Si è trattato quindi di un atto politico di rottura non soltanto nei confronti della Repubblica della Georgia, ma anche nei confronti dell'Occidente: è di fronte a ciò che dobbiamo ragionare, alla costante riduzione delle libertà fondamentali in quel Paese (è di ieri l'ennesimo attentato nei confronti della stampa libera). Mi riferisco ad un Paese che vede ridotti quotidianamente i propri standard di democrazia e di libertà e che utilizza il ricatto energetico come strumento della politica (ricorderete quanto è successo lo scorso inverno con la Repubblica dell'Ucraina), nei confronti del quale non è più sufficiente la diplomazia improvvisata della pacca sulle spalle o delle amicizie personali.
Da questo punto di vista, non condividiamo la posizione e la politica del Governo italiano nei confronti della Russia, mentre oggi dovremmo invece incamminarci verso azioni concrete volte a ridurre la nostra dipendenza energetica da quel Paese, rafforzando le rotte alternative per il petrolio (a cominciare dall'oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan) e le iniziative che possono coinvolgere l'Asia centrale in un sistema alternativo di approvvigionamenti.
Da questo punto di vista, noi vorremmo anche aprire un confronto in Parlamento sulle scelte dell'ENI, della nostra grande azienda energetica nazionale, sulla quale lo Stato ancora conserva una quota rilevante di azioni.
Anche sulla questione del Libano, dovremmo aprire un dibattito politico profondo come hanno sottolineato altri colleghi. Noi siamo favorevoli alla permanenza e alla continuazione della nostra missione nel Libano meridionale, però dovremmo, con grande sincerità, sapere che noi siamo lì grazie alla risoluzionePag. 351701 delle Nazioni Unite che prevedeva due cose molto chiare e distinte, attribuiva cioè alla missione due mandati molto chiari: il primo, difendere il confine nord dello Stato di Israele, credo che questo sia stato avvenuto egregiamente; il secondo, contribuire alla restituzione della sovranità libanese e, quindi, sostenere l'esercito libanese nel disarmo degli Hezbollah. Francamente - dobbiamo dircelo con grande chiarezza - questo secondo grande obiettivo della risoluzione 1701 non è stato raggiunto.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

GIANNI VERNETTI. In conclusione, svolgerò anch'io una qualche riflessione su una missione che non c'è - abbiamo presentato un ordine del giorno in tal senso - e che noi vorremmo ci fosse: quella in Darfur. Si tratta di una regione in cui è in atto un genocidio, per la quale è possibile una missione congiunta delle Nazioni Unite e dell'Unione africana. In particolare, noi crediamo che nel decreto-legge di gennaio possa essere inserito un contributo italiano, in uomini e dotazione tecnica, per una missione delle Nazioni Unite e dell'Unione africana.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, come hanno ricordato alcuni colleghi, questa dovrebbe essere anche l'occasione per puntualizzare la posizione del nostro Paese nell'ambito di tutta una problematica internazionale. Purtroppo, i temi internazionali di politica estera ritornano in quest'Aula solo come risulta. Abbiamo delle missioni da finanziare e altre da rifinanziare. È questa, quindi, l'occasione per confrontarci - per quello che si può e per come si può - su tutti i temi che sono oggi all'attenzione del nostro pianeta.
Non vi è dubbio che questo tema avrebbe dovuto avere un maggiore successo anche in quest'Aula. Ringrazio, per la presenza, il Ministro per l'attuazione del programma di Governo, che so essere uomo sensibile, però non vi è dubbio che questo è un tema che riguarda la politica estera e la politica della difesa, intendendo la politica della difesa come la continuità con altri mezzi della politica estera di ogni Paese, e quindi anche del nostro. Noi non possiamo parlare della Georgia facendo a meno di ricordare la fine dell'Unione Sovietica, la nascita della CSI e del convincimento, in una parte del mondo, della fine del multilateralismo (del confronto tra due blocchi, due potenze, gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica) e dell'inizio di un'era di maggiore tranquillità e serenità nel nostro pianeta. La Federazione Russa, anche dopo il fallimento della CSI, ha avvertito fortemente i limiti della sua azione, incalzata dalla Cina e da una problematica asiatica.
Ma poi abbiamo vissuto fortemente la fine della Jugoslavia. Il dopo Tito è stato devastante, si è verificata una serie di vicende, soprattutto la nascita di altri Stati, ed in tali vicende l'Europa ha dimostrato la sua fragilità e, molte volte, la sua inconsistenza sul piano politico. Chi non ricorda anche i limiti della politica europea di fronte alla nascita di alcuni Paesi e il riconoscimento di alcune nazioni scaturite dal dissolvimento dell'ex Jugoslavia? Ritengo che sono questi i dati e gli aspetti che hanno determinato dei contraccolpi ed hanno reso più incandescente anche il contesto dei Balcani, a proposito dei quali l'Europa ha dovuto convergere su alcune posizioni di strategia politica, ma sempre in termini insufficienti. Ma oggi sul tavolo della discussione c'è anche il ruolo dell'ONU, in generale delle organizzazioni a livello internazionale. Quando si parla di realtà o di situazioni dimenticate come - le ricordava l'onorevole Buttiglione - il Congo del sud, il Darfur, il Ruanda, ritengo che vi sia un problema che riguarda ovviamente il ruolo dell'ONU, il suo potere di intervento e soprattutto di riequilibrio, l'inconsistenza del Consiglio di sicurezza che è ancora articolato (malgrado le battaglie fatte dal nostro Paese) in un certo modo e gestito non certamente con equilibrio democratico, consideratoPag. 36che vi sono ancora nazioni con il diritto di veto e che hanno ancora il predominio all'interno dell'organizzazione.
Anche per quanto riguarda la vicenda della Georgia potrei fornire qualche elemento in più di accusa nei confronti della Federazione Russa, ma mi domando - e non lo dico soltanto a questo Governo, ma anche a quelli precedenti - se ci siamo illusi sul fatto che la Russia dovesse recitare un certo ruolo o accettasse ancora di recitare un ruolo marginale nello scacchiere mondiale. E non sono venute fuori, dopo il dissolvimento dell'Unione sovietica, sul nostro pianeta una serie di guerre fratricide che hanno certamente complicato e reso sempre più squilibrato il mantenimento della pace nel mondo? Infatti, noi ci dimentichiamo le vicende verificatesi all'indomani del 1991, con la prima guerra del Golfo, e prima ancora. Ci dimentichiamo quello che esiste oggi sullo scacchiere mondiale con l'UCK, il PKK, con etnie sempre più in movimento e guerre di religione che certamente non accennano a diminuire.
Certamente c'è bisogno di una grande iniziativa e per quanto riguarda la Georgia ciò ha un suo significato, visto e considerato che vi è l'impegno dell'Europa, del Presidente di turno dell'Unione europea, Sarkozy. Ovviamente insieme all'Unione europea deve essere considerato anche l'OSCE, quale evoluzione della CSCE, realizzata all'indomani di Helsinki. Quindi, seppur con qualche limite, avvertiamo che esistono degli organismi internazionali che si occupano e che assumono una qualche un'iniziativa di contenimento delle minacce verso la pace. Ma non c'è dubbio che vi è un problema grosso anche di politica internazionale. Il collega che mi ha preceduto ha parlato moltissimo del Vietnam, di vicende che conosciamo, alcune da perlustrare e da scrutare, però dobbiamo giungere ad una conclusione considerato che qualcuno è stato nel precedente Governo, e quindi deve essere individuato un qualche obiettivo e una qualche soluzione rispetto alla vicenda dei talebani, i quali occupano sempre di più quel territorio. Infatti quasi due terzi dell'Afghanistan è occupato da talebani e questo certamente è un dato che deve interessare i Governi, l'Europa, e questo Parlamento dove la politica estera sembra sempre più ovattata e sempre di più in emigrazione, fuori dal dibattito e dal confronto parlamentare.
Quando discutiamo di politica estera sembra che la stessa sia in contumacia: non c'è dubbio che deve tornare a costituire un motivo di riflessione. Ricordo - signor Presidente, lei è molto giovane per avere questi ricordi e ne ha certamente di molto più pregnanti dei miei, molto più sostanziali, molto più freschi e molto più produttivi per alcuni versi, anche se ognuno valuta la produttività dal suo angolo visuale - che quando c'era «la politica» nel Paese e si tenevano i veri congressi di partito, si iniziava a discutere soprattutto dalla politica estera. Se oggi viene compiuto uno sforzo in questa direzione, se oggi c'è stata una riunione qui, in Parlamento, per rilanciare ancora l'idea dell'Europa con i suoi valori di pace e di rispetto umano contro ogni violenza, tutto questo ha un senso e un significato che devono approfondirsi in Parlamento ben oltre un dibattito rituale, stanco dove ognuno discute e fa la sua lezioncina, come la sto facendo io, senza incidere sulla realtà politica del nostro Paese.
Debbo rivolgermi al sottosegretario alla difesa, se ha la compiacenza e la cortesia di ascoltarmi, ma l'onorevole Cossiga ha molta cortesia e molta professionalità; ebbene, sottosegretario Cossiga, avevo lasciato per ultima questa parte del mio intervento perché l'attendevo con grande desiderio in quanto il Ministro Rotondi conosce un po' le mie idee consumate nel tempo attraverso esperienze vissute insieme. Cossiga figlio è molto giovane: c'è un dislivello tra la mia età e la sua età, non vorrei mancare nei suoi confronti da questo punto di vista.
Qui si pone un problema: ogni volta in cui abbiamo parlato di missioni all'estero, abbiamo parlato di questo fondo. In base al ragionamento svolto in precedenza, forse sarebbe meglio in quanto se vi fosse un Fondo, un capitolo per le missioniPag. 37all'estero e per il personale, eviteremmo di discutere del rifinanziamento che sarebbe automatico. È questa la mia riflessione. Ritengo che c'è bisogno di un fondo. Infatti c'è bisogno di una politica estera seria che punti sulla difesa. Ho qualche perplessità, ma la nostra politica estera, aldilà di una forte diplomazia che si muove - e vorremmo sapere come si muove -, si articola soprattutto attraverso il nostro sistema difensivo, attraverso la nostra forza militare, attraverso l'esercito.
Ho visto e ho sentito che, durante la discussione sulle linee generali, qualcuno parlava dell'inutilità di mandare gli MRCA in uno scacchiere mondiale. Ma noi abbiamo mandato gli MRCA, i tornado, nel 1991 durante la guerra del Golfo quando abbiamo inviato cinque velivoli: vi fu qualche insuccesso, come tutti quanti ricorderanno, ma era un mezzo, una macchina importante e fondamentale.
Oggi parliamo di un nuovo modello di difesa: nel 1991 era in corso uno studio per un nuovo modello di difesa e oggi è cambiato lo scenario. Noi misuriamo il modello di difesa soprattutto dal numero degli effettivi da mantenere e da garantire: gli effettivi rispetto al vecchio modello di difesa, a seguito dei tagli, diminuiscono sempre di più e come qualche collega ricordava sono tagli sostanziali non soltanto per quanto riguarda gli effettivi ma anche per quanto riguarda l'addestramento, la navigazione aerea e la navigazione marittima.
Dunque, dobbiamo pur dare una risposta: mi rivolgo al sottosegretario Cossiga, le Forze armate sono soltanto quelle che noi manteniamo in turn over per le missioni all'estero? Abbiamo ancora in piedi tante missioni che oggi finanziamo: vogliamo dire una parola su quale sia lo stato dell'arte in centro Africa o in tante altre parti del mondo, dove sono in corso le nostre missioni all'estero?
E questi militari che mandiamo sono sempre i reparti speciali, lei lo sa meglio di me: Folgore, Col Moschin, Lagunari, Tuscania e tanti altri. Ci siamo ridotti ad un sistema militare molto limitato e che, guarda caso, è semplicemente dedicato ed assegnato alle missioni. Questi sono interrogativi che ci dobbiamo porre. Ma questo sistema militare è sufficiente, considerando il prodotto interno lordo che dedichiamo allo strumento difensivo, che è molto al di sotto del livello e del tetto che ci chiede la Nato? Se sono questi i problemi, allora bisogna discutere certamente della difesa ed anche del sistema difensivo e del sistema delle Forze armate.
Del sistema delle Forze armate, signor Presidente e signor sottosegretario, non si discute mai. Lo sanno quando si discute delle Forze armate, Ministro Rotondi e sottosegretario per la difesa Cossiga? Quando dobbiamo andare in missione all'estero, perché in quei casi si tratta della pace, vi è il sostegno, vi è l'interposizione, si affrontano problemi con i quali «passa» anche il discorso delle Forze armate. Ma non so fino a che punto vi è una responsabilizzazione da parte di tutti noi e fino a che punto vi è la centralità, nel dibattito politico, anche del ruolo delle Forze armate, come anche delle strategie di politica estera.
Ho concluso, signor Presidente: ho voluto svolgere alcune osservazioni di fondo, che ritengo debbano avere una risposta, forse non in questa sede, ma certamente, se dovessimo limitare i nostri interventi e le nostre riflessioni semplicemente a queste occasioni, sarebbe poca cosa rispetto alle grandi questioni e ai grandi problemi che abbiamo dinanzi a noi (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole La Forgia. Ne ha facoltà.

ANTONIO LA FORGIA. Signor Presidente, probabilmente in virtù della posizione avanzata che occupo questa sera, ho sentito circolare ed aleggiare tra i banchi dell'Aula una domanda: perché mai il gruppo del Partito Democratico, anzi i diversi gruppi dell'opposizione, hanno deciso di impegnare questa discussione e quindi dedicare - in realtà, chi formula la domanda usa un altro verbo: consumare, sprecare - questo tempo, rallentando l'approvazione di un provvedimento peraltro dichiaratamente condiviso?Pag. 38
Ho percepito che era diffusa l'ipotesi che staremmo compiendo una ritorsione. Annoto che chi pensa che noi si stia compiendo una ritorsione evidentemente ritiene di aver compiuto qualche sgarbo nei nostri confronti, ma in realtà non credo che questa sia un'ipotesi efficace e credibile, anche perché, francamente, se di ritorsione si trattasse, a me apparirebbe come una ritorsione vagamente autolesionista. Ma per un attimo ammettiamo che si tratti di una ritorsione: se così fosse, ci troveremmo di fronte ad un caso assolutamente evidente di eterogenesi dei fini. Infatti, ciò che si sta svolgendo oggi in quest'Aula, purtroppo con un'insufficiente partecipazione da parte dei gruppi della maggioranza, è una discussione attorno ad una delle questioni più importanti che a noi tocchi esaminare. Non possiamo lasciarci ingannare, nel valutare la dimensione e la portata della questione che affrontiamo oggi, dalla determinazione temporale esigua del provvedimento in esame e dalla portata altrettanto contenuta delle risorse che vengono mobilitate per rendere efficaci le decisioni contenute in esso.
Infatti, in questo provvedimento - come hanno dimostrato tutti gli interventi che si sono svolti sino ad ora e che io, come vedrete, mi limito a commentare brevemente -, ciò che noi discutiamo oggi è questione di vitale importanza, in sé e per gli addentellati, le connessioni e le conseguenze che ad essa sono inestricabilmente intrecciati.
Ciascuno di noi, tutte le mattine, dopo aver fatto la doccia o, per quelli un po' più pigri, dopo aver preso un cornetto e un caffè al bar, guardando i titoli delle prime pagine dei giornali, ascoltando il giornale-radio o guardando qualche notizia televisiva, deve confrontarsi e prendere atto che viviamo in una società globale, che l'interdipendenza tra le diverse aree, nazioni e Stati del mondo è assolutamente stretta; deve rammentarsi che, se ciascuno di noi, nell'ambito della propria nazione e del proprio Stato, desidera avere qualche possibilità di intervenire su processi di scala planetaria deve perseguire con assoluta convinzione e con assoluta determinazione la ricerca di forme di governo multilaterale dei processi mondiali.
Questa è una lezione che abbiamo silenziosamente appreso nel corso degli ultimi quindici anni anche noi, qui, in Italia. Ciò comporta, prima di tutto, assunzione di responsabilità e, strettamente connessa a quest'ultima, una cauta, prudente, ma perseverante ricerca di autorevolezza delle nostre parole sulla scena mondiale nel contesto della politica internazionale.
Ora è evidente - o, perlomeno, chiedo scusa, pare a me evidente - che assumere responsabilità, perseguire rigore e autorevolezza delle proprie parole e delle parole della propria nazione, non riguarda soltanto le capacità diplomatiche che l'intelligenza della politica estera, del Ministero degli affari esteri e del Governo nel suo insieme sono in grado di mettere in campo, non riguarda soltanto l'efficienza e l'efficacia dello strumento militare. Assunzione di responsabilità, nel senso forte in cui questo termine dev'essere preso in relazione alle questioni di cui stiamo parlando, e autorevolezza, nel senso altrettanto forte in cui dev'essere inteso questo termine in relazione a ciò di cui stiamo parlando, richiedono che, su scala internazionale e su scala europea, naturalmente, prima di tutto, si possa contare su un'autentica e profonda convinzione della nostra nazione circa le scelte che stiamo compiendo.
È indispensabile, naturalmente, la sapienza diplomatica dell'azione internazionale del Governo. Sono condizioni indispensabili l'efficacia, l'efficienza e anche la sapienza nel ricorso allo strumento militare e nell'uso dello stesso, ma se tutto ciò deve durare nel tempo - e anzi deve affermarsi come assunzione di responsabilità e come autorevolezza sulla scena internazionale nel tempo - tutto ciò ha bisogno di mettere radici in una profonda convinzione del Paese.
Certamente in larga misura esiste questa convinzione profonda nella nazione, ma, consentitemi di dire (è la mia opinione), non ancora del tutto e non ancoraPag. 39nella misura necessaria. È certamente rassicurante sentire ciò che tutti sentiamo ovvero il consenso, l'affetto e il calore nei confronti dei reparti italiani impegnati nelle diverse missioni internazionali, la commozione che accompagna e si manifesta in ogni momento di pericolo, l'impegno (ne abbiamo parlato molto anche in questa occasione) dedicato a garantire il massimo della sicurezza agli uomini e alle donne del nostro Paese che operano nelle missioni internazionali.
Tuttavia sappiamo che la politica internazionale ha cominciato, da ormai quindici o venti anni, a compiere passi all'interno di una zona grigia. Si tratta di una zona non esplorata precedentemente, in cui, con successi e con errori anche tragici, il mondo e le diverse nazioni stanno tentando di mettere a punto una capacità di uso della forza militare che non sia ricondotta o riconducibile alla logica amico-nemico, nella quale l'esercizio e l'ingresso in campo della forza militare è finalizzato alla distruzione della capacità di esistenza e di azione dell'avversario. Stiamo cercando di imparare a usare la forza militare in situazioni estremamente complesse, alcune più altre meno, come - così talvolta è stato detto, evocando un'analogia in larga misura praticabile - strumento di polizia per fermare conflitti, rimuoverne, se possibile, le cause, avviare processi, garantiti dalla forza militare stessa, di consolidamento democratico e addirittura di innesco di processi democratici, di costruzione di strutture democratiche, di Stati di diritto e di apparati di giustizia. Si tratta di cose con le quali, concretamente, facciamo i conti, per esempio, ogni volta che discutiamo di Afghanistan, per stare all'esempio che maggiormente ci ha appassionato nella discussione di questi mesi e, molto recentemente, in questi giorni. Si arriva infine ad evocare quel termine così ambizioso di nation building, di uso della forza militare quale condizione e garanzia di costruzione, addirittura, di un'esistenza nazionale.
Sono convinto - e concludo - che entrare e camminare in questa zona grigia che ha la caratteristica, la natura, la difficoltà che ho tentato non di descrivere o di analizzare ma solo di evocare, sia inevitabile e indispensabile. In ogni caso, lo è per una nazione come la nostra, se vuole, come deve volere, assumersi la propria responsabilità e parlare autorevolmente nel mondo. Tuttavia, camminare in questa zona grigia, comporta non solo che lo si faccia evitando di avere contro di sé la propria nazione e il proprio popolo (e questo è un risultato acquisito). Occorre altresì farlo, avendo pienamente con sé la propria nazione, il proprio popolo e soprattutto averlo con sé sul terreno indispensabile dell'emozione e dell'affetto nei confronti delle persone e delle forze che sono direttamente impegnate sul campo e anche con piena consapevolezza razionale.
Una discussione come quella di oggi, qualunque sia la ragione che si possa pensare l'abbia motivata, se viene svolta con passione e con sincerità contribuisce - non risolve naturalmente il problema, ma contribuisce - a promuovere e a mettere in moto una riflessione complessiva, generale e diffusa nel Paese, attorno a questi temi e a questo difficile cammino che abbiamo intrapreso e che dovremo continuare a percorrere.
Lasciatemi concludere con un po' di enfasi retorica: la Costituzione dice che noi rappresentiamo la nazione; credo che quando facciamo questo tipo di discussione ci avviciniamo un poco a rappresentare la nazione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Garofani. Ne ha facoltà.

FRANCESCO SAVERIO GAROFANI. Signor Presidente, anche da parte mia nessuna ritorsione, per utilizzare la parola del collega La Forgia. Credo che sarebbe un grave errore affrontare questa discussione parlamentare come una mera formalità procedurale finalizzata ad assicurare soltanto le risorse necessarie alle missioni e prescindendo da una valutazione di merito a partire da alcuni punti critici che permangono nello scenario internazionale.Pag. 40Non vi è dubbio che tra questi le maggiori preoccupazioni riguardino ancora la situazione in Afghanistan, punto di cui tornerò a parlare tra poco.
Prima, però, proprio perché non possiamo e non dobbiamo limitarci ad una stanca ritualità, è giusto non lasciar cadere alcuni spunti emersi nella nostra discussione. In particolare mi riferisco a quanto affermato dal relatore per la Commissione difesa, l'onorevole Cicu, che ha sottolineato, in Commissione e poi qui in Aula, l'esigenza di mettere mano rapidamente ad un'iniziativa legislativa di definizione complessiva dello status e del trattamento dei militari italiani che partecipano alle missioni, riordinando una situazione assai articolata e non priva oggi di qualche contraddizione.
È un'esortazione che credo sia giusto raccogliere e del resto già nella scorsa legislatura affrontammo il tema con uno sforzo importante di collaborazione bipartisan che ci condusse a formulare una bozza per molti aspetti condivisa.
Credo che quel lavoro possa rappresentare una buona base da cui ripartire, ma credo anche che di questo impegno per una legge quadro sulle missioni non possa non far parte anche una riflessione più approfondita sulla cornice istituzionale e cioè sul rapporto fra Governo e Parlamento nel processo decisionale di autorizzazione delle missioni e nella valutazione degli obiettivi e della loro realizzazione. Su ciò credo che potremo costruttivamente confrontarci senza pregiudizi.
Come ho detto e come è stato detto da più parti le problematicità più evidenti nella discussione che siamo chiamati a svolgere anche in riferimento al provvedimento alla nostra attenzione riguardano l'Afghanistan. Non a caso in una recente assemblea parlamentare della NATO che si è svolta questo fine settimana a Valencia e conclusasi proprio oggi, il tema dell'Afghanistan è stato il tema centrale. Basta leggere la relazione generale del relatore, l'inglese Cook, per avere un quadro della complessità di quel teatro.
Non mancano risultati importanti e positivi da quando, nel 2003, la NATO ha assunto il comando della missione ISAF e ne cito soltanto alcuni, i più rilevanti. Sono stati costruiti oltre quattromila chilometri di strade, un miliardo di metri quadrati di territorio è stato bonificato dalle mine, 60 mila ex combattenti sono stati disarmati e reintegrati, l'83 per cento della popolazione ha accesso a strutture sanitarie rispetto al 9 per cento del 2004.
Tuttavia questa è solo una faccia della medaglia, l'altra, quella più visibile, parla del peggioramento delle condizioni di sicurezza complessiva nel corso dell'ultimo anno, condizioni che hanno fatto discutere gli analisti sul rischio concreto di una sconfitta militare in Afghanistan. Anche qui credo valga la pena citare brevemente la relazione di Cook che fotografa quella situazione e lo fa citando i principali attori impegnati sul campo.
Il rappresentante speciale dell'Unione europea per l'Afghanistan ha affermato, nel corso di una conferenza internazionale a metà settembre, che la situazione era negativa quanto quella del 2001. L'attuale comandante della missione ISAF della NATO, il generale McKiernan, ha dichiarato: «a luglio ho ripetutamente affermato che siamo testimoni di un aumento del livello di violenza in Afghanistan, segnatamente nell'area orientale e meridionale». Il Segretario di Stato americano per la difesa, Gates, ha lanciato un monito in seguito alla crescente ambizione degli insorti in Afghanistan e ha affermato che gli attacchi nel Paese sono aumentati costantemente dalla primavera del 2006.
La situazione militare, dunque, appare sospesa in una situazione di grande incertezza. Sul campo, la missione ISAF schiera oggi poco più di 51 mila militari. Secondo alcuni studi strategici americani per vincere ne servirebbero 400 mila. È chiaro che in questo quadro la soluzione alla tragedia afghana non potrà essere soltanto militare. Pertanto, occorre fare un passo indietro nell'analisi e tornare agli obiettivi della presenza internazionale, verificando realisticamente cosa è possibile fare e tenendo conto delle possibili novità. È stato detto che alcune novità verranno dalla nuova leadership americana proPag. 41pensa e pronta ad abbandonare la via dell'unilateralismo per investire, invece, in una politica internazionale multilaterale, nella quale le istituzioni sovranazionali saranno chiamate a svolgere la loro responsabilità.
Stabilizzazione e ricostruzione erano le due parole chiave per definire il fulcro dell'intervento internazionale in Afghanistan. Era questo il mandato del Consiglio di sicurezza dell'ONU all'ISAF, conferito nel 2003, ed era questo anche l'obiettivo del vertice NATO di Bucarest dell'aprile scorso, nel quale i Paesi che hanno inviato i loro militari definivano una strategia articolata su quattro pilastri: un impegno concreto e condiviso a lungo termine, un sostegno per potenziare la leadership e la responsabilità afghana, un approccio completo da parte della comunità internazionale che riunisca l'impegno civile e militare, una cooperazione e un coinvolgimento maggiore con i Paesi limitrofi dell'Afghanistan, in maniera speciale il Pakistan.
Se queste priorità mantengono intatto il loro valore - credo sia effettivamente così - allora occorre agire su piani diversi correggendo, laddove necessario, anche l'approccio militare. Bisogna fare molto di più sul piano della cooperazione civile. Le risorse impegnate sono troppo poche e squilibrate rispetto a quelle militari, come ha detto bene nel suo intervento di oggi, l'onorevole Gozi.
Rafforzare la leadership afghana significa, oggi, fare ogni sforzo affinché si possano svolgere regolarmente le prossime elezioni ma significa anche affrontare, in modo incisivo, uno dei punti che più mettono a rischio l'efficacia dell'intervento militare, ossia il dramma delle vittime civili. Se ne parla troppo poco. Infatti, è sempre più difficile, a fronte del ripetersi di attacchi che provocano morti tra la popolazione civile, dimostrare agli occhi della popolazione afghana che la presenza militare è dettata da esigenze umanitarie e di pacificazione ed è ancora più difficile quando a protestare per quelle vittime sono organizzazioni che operano sotto l'insegna delle Nazioni Unite, quando è direttamente il Governo di Karzai.
Pertanto, è sul campo politico che occorre fare molto di più di quanto non sia stato fatto finora. È per tale ragione che su questo terreno l'Europa potrà rispondere in modo efficace alla richiesta di un maggior coinvolgimento, che probabilmente verrà dalla nuova amministrazione americana, mentre sarà difficile prevedere la disponibilità di nuove truppe. Si tratta di un problema che non riguarda soltanto l'Italia, ma è una posizione condivisa dalla maggior parte dei Paesi europei. Allora un contributo attivo e significativo potrebbe essere speso sul piano di una forte iniziativa politico-diplomatica per coinvolgere nella soluzione della crisi le potenze regionali, più in particolare l'Iran e la Russia.
Anche per questo servirebbe un'Europa in grado di parlare con una sola voce in tema di politica estera e di difesa. Sarà importante, su questo punto, verificare cosa uscirà dal vertice dedicato al tema dell'Afghanistan - fortemente voluto dalla Presidenza francese - che si terrà ai primi di dicembre.
Ed è importante che in questo quadro, caratterizzato da molti punti di crisi, ma anche da nuove potenzialità politiche determinate dall'apertura di una fase nuova, l'Italia faccia per intero la sua parte e - fatemelo dire con una punta di polemica - mettendo da parte quella che appare una sorta di diplomazia Valtur delle pacche sulle spalle.
Quando il Governo Prodi, e concludo il mio intervento con questo riferimento, lanciò l'idea di una conferenza internazionale per l'Afghanistan nell'ambito dell'Organizzazione delle Nazioni Unite da parte di molti si ironizzò bollando quell'iniziativa come un artificio per tenere a bada la sinistra radicale. Oggi l'evoluzione dello scenario internazionale indica che è proprio quella la direzione da seguire se si vuole uscire in maniera positiva da una crisi tanto difficile (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

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PRESIDENTE. Saluto gli studenti del liceo classico e scientifico di Manduria in provincia di Taranto, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
Ha chiesto di parlare l'onorevole Colombo. Ne ha facoltà.

FURIO COLOMBO. Signor Presidente, è fuori di dubbio che il gruppo a nome del quale sto prendendo la parola è a favore della continuazione dell'impegno di pace dei soldati italiani nel mondo nelle varie missioni che sono in atto in questo momento. Quello che ci è utile fare, in un momento come questo, è una riflessione sullo stato del mondo e sullo stato del nostro Paese, notando alcune discrasie e alcuni fatti che possono di per sé darci, da un lato, un incoraggiamento nuovo e, dall'altro, delle fondate ragioni di ansia.
L'incoraggiamento nuovo ci viene dall'elezione negli Stati Uniti del nuovo Presidente, il Presidente Barack Obama, figlio di un immigrato e diventato Presidente degli Stati Uniti in un Paese veramente democratico in una sola generazione, qualcuno che non è passato dalle classi separate, qualcuno che non si è incontrato con i vigili urbani di Parma, qualcuno che non è stato perseguitato dal sindaco di Chiari, qualcuno che non è stato sorvegliato dalle ronde...

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO. Qualcuno che non è stato pagato dalla FIAT!

FURIO COLOMBO... che quel Paese, per legge, non può avere. Ecco, dunque, che l'elezione di Obama sposta il livello morale del mondo e rende infinitamente più «nanistica», misera e moralmente quasi invisibile la funzione di un partito come la Lega Nord per l'indipendenza della Padania, partito secessionista che ha «infiltrato» questo Parlamento e che ha messo la bandiera della Serenissima veneta persino sul tribunale di Treviso. Questo è il Paese nel quale stiamo vivendo...

MARCELLO DE ANGELIS. Trasferisciti!

FURIO COLOMBO... molto lontano dal livello che intanto il mondo si sta dando. Questo è il Paese nel quale dobbiamo domandarci perché, proprio mentre missioni di pace richiedono l'impegno dei nostri soldati in così tanti teatri, dobbiamo avere truppe italiane al servizio della Lega per affiancare le ronde leghiste nel territorio di questo Paese, dove non esistono pericoli simili a quelli dell'Afghanistan, dell'Iraq, della Georgia di cui stiamo parlando e delle missioni che in questo momento stanno facendo onore ai soldati italiani.
Signor Presidente, le condizioni del nostro Paese in questo momento richiedono davvero qualche riflessione. Per esempio, la notizia di oggi pomeriggio è che il nostro Presidente del Consiglio, unico Presidente del Consiglio ad essere di buon umore nel momento in cui la peggiore crisi finanziaria colpisce in modo globale tutti i Paesi del mondo, ha tentato di giocare a nascondino con il Cancelliere tedesco Angela Merkel. È una cosa imbarazzante, che dovrebbe non succedere e che finirà per colpire ognuno di noi ogni volta che si recherà all'estero, perché ci ricorderanno che oggi il Presidente del Consiglio italiano ha tentato di fare quello che nel gergo americano si chiama il peek-a-boo e da noi si chiama il nascondino, per divertire la poco divertita Cancelliere della Repubblica federale tedesca.
Ma è lo stesso Paese in cui alcuni giorni fa, per celebrare il 4 novembre, il nostro Ministro della difesa ha celebrato le armi invece dei soldati e ha riunito nel Circo Massimo carri armati, rampe di missili finte e altri oggetti di distruzione e di morte, come se essi fossero i rappresentanti del valore dei soldati italiani e l'oggetto di una visita reverenziale da parte di studenti, ragazzi, scolari e cittadini italiani.
Dobbiamo fare i conti con un Paese che si concede questi buoni umori, da un lato, e, dall'altro, questi cattivi umori e questo tipo di astio verso coloro che vengono ad abitare per lavorare nel nostro Paese, questo tipo di tensione persecutoria. Ci dobbiamo domandare quale missione diPag. 43civiltà possiamo svolgere nel mondo se non riusciamo a svolgere una missione di civiltà qui nel nostro Paese, dove la Costituzione garantisce che certe cose non accadano e non possano accadere. Nonostante ciò, con questo Governo, con la partecipazione di quattro ministri della Lega Nord secessionista al Governo, queste cose possono accadere.

RAFFAELE VOLPI. Colombo, sei imbarazzante per il Partito Democratico!

FURIO COLOMBO. Dunque questo spiega due o tre cose. La prima è l'atteggiamento dei colleghi della Lega Nord, un atteggiamento sovietico (Commenti dei deputati del gruppo Lega Nord Padania). Loro non lo sanno perché non hanno neppure letto queste piccole cose, ma usano un atteggiamento sovietico che è quello di screditare - se la persona è anziana riesce più facile - invece che di discutere. Non una delle cose che ho detto in quest'aula a proposito delle loro prodezze è mai stata smentita (Commenti del deputato Brigandì).
Ma vorrei darle una prova in più, signor Presidente. In quest'aula, il giorno 13 novembre ho letto le parole del Capo dello Stato che ci sono molto utili anche in una giornata come oggi, perché ci dicono che tipo di italiani dobbiamo essere e in che tipo di Italia viviamo. Si trattava delle parole del Capo dello Stato dedicate ai cittadini stranieri che diventavano in quel momento italiani. Per una ragione che forse si trova negli archivi della Presidenza, ma che ignoro, mentre stavo leggendo le parole del Capo dello Stato il suo collega, il Vicepresidente Leone, che in quel momento presiedeva, mi ha spento il microfono dopo quarantacinque secondi.
Subito dopo è intervenuto un deputato della Lega Nord per dire (cito testualmente dal resoconto stenografico della seduta perché è molto interessante): «Signor Presidente, intervengo a titolo personale per puntualizzare che l'onorevole Colombo nella sua lucida follia a favore dell'emigrazione» - siamo nel mondo di Barack Obama Presidente degli Stati Uniti - «legge a metà le frasi del Presidente della Repubblica». È giustissimo, è vero che le ho lette a metà, ma perché mi è stato spento il microfono. Ma che sia lucida follia leggere le frasi del Presidente della Repubblica? È davvero lucida follia, solo che è troppo modesto il gioco di rinviare al mittente; debbo semplicemente prendere atto che ho dei colleghi in questo Parlamento che considerano «lucida follia» l'elogio del Capo dello Stato a dei cittadini del mondo che diventano cittadini italiani per aver ben meritato, ben lavorato e sono ben protetti dalla Costituzione italiana che è una delle migliori del mondo.
In questa ambientazione ci avviamo verso il problema del sostegno che vogliamo dare alle missioni italiane nel mondo e su una parte di essa sappiamo che farà particolarmente luce la nuova Presidenza degli Stati Uniti che cambierà le carte in tavola perché cambia la visione del mondo.
Certamente da questa parte dell'Aula siamo pronti alla nuova visione del mondo che verrà dagli Stati Uniti per voce e per iniziativa del Presidente Barack Obama. Il nostro è certamente un impegno implicito, prima ancora che lo si dica: è naturale, perché sarà alto, civile, umano e di pace.
Il problema è quello che sta accadendo rispetto all'equilibrio della politica estera italiana. Noi siamo stati fino a questo momento, nel bene e nel male, sempre gli alleati degli Stati Uniti. Improvvisamente da alcune settimane, dal conflitto tra la Russia e la Georgia, siamo diventati gli alleati della Russia: l'Italia è passata armi e bagagli dalla parte della Russia! La Russia, dove è stata uccisa Anna Politkovskaja, la Russia dove è stato ucciso il dissidente Litvinenko, la Russia che ha sterminato la Cecenia fino a lasciare macerie tali che bisogna tornare fino alla seconda guerra mondiale per trovare degli orrori simili.
All'improvviso ci scopriamo alleati della Russia: da un lato, questa opposizione farà qualunque sforzo perché non si verifichi un simile spostamento e metterà ogni impegno, il più appassionato, per il rapporto con la nuova America del PresidentePag. 44Obama; dall'altro lato, questa opposizione, certamente il rappresentante del Partito Democratico che parla in questo momento, chiede a tutto il Parlamento - compresi coloro che sanno soltanto del loro paesino e non vogliono sapere nulla del mondo, e pensano di agire con i vigili urbani sulla civiltà del futuro - di sapere qual è la politica estera di questo Governo, l'intera Aula dovrebbe farlo: siamo con gli Stati Uniti o con la Russia (Commenti del deputato Volpi)?
Molti di noi dicono «no» a Putin e «sì» all'antico, profondo, radicato rapporto che nasce dalla liberazione, dalla Resistenza e dall'antifascismo, con gli Stati Uniti d'America. È in questo quadro che si svolge l'argomentazione di sostegno alle nostre missioni nel mondo e per cui ringrazio (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico - Applausi polemici dei deputati del gruppo Lega Nord Padania - Commenti).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, qualora al tavolo degli stenografi non avessero registrato i consensi provenienti dai banchi della Lega Nord, voglio sottolinearlo: è stato davvero bravo il collega Furio Colombo ed io mi associo alle sue considerazioni...

MATTEO BRIGANDÌ. Avete la stessa intelligenza.

FABIO EVANGELISTI. ...anche se poi proverò a dare una risposta almeno ad uno degli interrogativi che lui ha proposto all'Aula.
Signor Presidente, come spesso - verrebbe da dire sempre - accade quando siamo in presenza di relazioni internazionali, la crisi russo-georgiana è stata il risultato, direi la conseguenza quasi inevitabile, di una concatenazione di eventi che hanno radici nell'immediato passato, ma anche in quello più remoto.
Uno dei prodromi della crisi è sicuramente da rintracciare nella politica che è stata attuata nella regione del Kosovo, prima con la guerra dichiarata dalla NATO alla Iugoslavia nel 1998 e da ultimo con il riconoscimento dell'indipendenza di questo Stato: atti che sono stati percepiti come un'umiliazione da parte della Russia e che hanno costituito un precedente pericoloso nelle questioni internazionali e soprattutto in quelle regionali. Atti che rientrano certamente in una politica estera condotta dagli Stati Uniti, in particolare negli ultimi otto anni, che non hanno tenuto nella giusta considerazione le aspirazioni di uno Stato grande, forte e potente come la Russia che difficilmente si sarebbe rassegnato al ruolo di potenza esclusivamente regionale.
Ciò detto per onestà intellettuale, bisogna altresì ricordare che le vicende della guerra russo-georgiana appaiono abbastanza chiare. Vi sono state provocazioni reciproche tra Russia e Georgia, che sono poi sconfinate in un uso sproporzionato della forza da parte di Mosca nei confronti di Tblisi. L'azione russa non si è certo limitata a difendere i diritti dei cittadini dell'Ossezia del sud, come anche poteva essere accettabile, ma in rapida successione ha visto le truppe dell'Armata rossa, chiedo scusa, dell'armata russa, entrare in forza nella Repubblica sud-ossetina per poi invadere il territorio della Repubblica georgiana fino ad arrivare a pochi chilometri dalla capitale Tblisi.
Come se non bastasse la Russia, seguita solo dal Nicaragua, ha riconosciuto l'indipendenza delle repubbliche dell'Ossezia del sud e dell'Abkhazia, ratificando di fatto l'amputazione del territorio di uno Stato sovrano come la Georgia, a seguito di un conflitto militare. Insomma, una situazione che ha richiamato alla mente di tutti in maniera preoccupante immagini che si credevano ormai lontane.
L'Europa, per la prima volta dopo l'inerzia che l'aveva contraddistinta negli anni Novanta con la crisi nei vicini Balcani, si era finalmente mossa da protagonista per trovare una mediazione che potesse risolvere e dare una risposta alla guerra lampo scoppiata nel Caucaso. La diplomazia europea aveva chiesto il ritiroPag. 45delle truppe di Mosca dal territorio georgiano ed aveva poi sottoposto a Mosca e a Tblisi un accordo in sei punti che avrebbe potuto preludere ad una soluzione definitiva della crisi da approvare in seguito.
All'interno del ruolo svolto dall'Europa vi è stato un Paese che è sembrato smarcarsi e che più di una volta ha ammiccato proprio nei confronti di Mosca. Questo Paese purtroppo è l'Italia che ha condotto una diplomazia che definire ambigua è poco. È evidente che l'Europa e gli Stati che la compongono hanno non solo il diritto, ma il dovere di realizzare una diplomazia che tuteli i propri interessi e in quest'ottica nessuno può pensare che si possa arrivare ad un'interruzione dei rapporti con la Russia. Ma questa è cosa diversa dal portare avanti una linea diplomatica che contraddice quella europea e che segna una netta discontinuità con le relazioni dell'alleato americano.
Si tratta di una linea guida che era già stata in parte definita dal 2004 e sviluppata nel 2007, prima dalla politica europea di vicinato e, poi, dal programma «Sinergia del Mar Nero» e che avrebbe dovuto essere considerata in maniera più profonda ed attenta dalla Farnesina. Del resto, che Roma fosse più vicina a Mosca che a Washington si è percepito sin dall'inizio della crisi russo-georgiana. Alla vigilia del Consiglio dell'Unione europea che doveva decidere il da farsi circa la Russia da parte dell'Europa, questa linea è stata confermata ufficialmente da un'intervista rilasciata il 1o settembre a Il Corriere della Sera dal Ministro degli esteri Franco Frattini. Dall'intervista si è capito - e provo a rispondere al collega Colombo - la realtà dei fatti. A Berlusconi piace di più il modello Putin che il nuovo modello rappresentato da Barack Obama, perché lui ha una concezione proprietaria delle istituzioni.
Faccio un esempio per essere compreso. L'altro giorno, aprendo il giornale avevo guardato con simpatia l'immagine dei calciatori brasiliani presentati al Presidente Lula in visita nel nostro Paese. Ho pensato che fosse un'iniziativa bella e simpatica, salvo poi leggere che i calciatori brasiliani erano soltanto quelli del Milan. Non erano i calciatori italiani a riconferma di una concezione proprietaria delle istituzioni.
Da questo episodio, che sembra banale, si capisce che il modello è Putin e non Barack Obama. Germania, Francia e Spagna, infatti, erano state abbastanza fredde nella condanna di Mosca nei giorni immediatamente successivi allo scoppio del conflitto, ma hanno poi mutato la loro posizione a seguito del riconoscimento unilaterale da parte della Russia dell'indipendenza di Ossezia del sud e Abkhazia. Si trattava di un atto che faceva carta straccia dell'accordo proposto dalla Francia e sottoscritto dalla Russa.
La Francia e la Germania avevano espresso dure condanne e il Ministro degli esteri francese si era spinto a parlare di sanzioni nei confronti del Cremlino. Proprio di sanzioni aveva scritto su un giornale inglese il Premier britannico Gordon Brown, secondo cui l'Europa avrebbe dovuto prendere in seria considerazione la revisione dei rapporti con la Russia, ripensando anche le relazioni del G8 e della NATO. A Brown rispose immediatamente il Presidente russo Medvedev con un discorso a reti unificate dalla nazione.
Parole pacate, ma toni molto duri, che sfiorarono la minaccia; infatti, in caso di sanzioni, la Russia avrebbe adottato adeguate contromisure e, alla fine, il risultato sarebbe stato che le sanzioni avrebbero danneggiato più l'Europa che la Russia.
In questo contesto, si inseriva l'intervista rilasciata da Frattini a Il Corriere della Sera, che è suonata come una netta scelta di campo a favore della Russia. Frattini si diceva in quell'intervista sicuro che non ci sarebbero state iniziative di isolamento nei confronti della Russia, anche perché, e qui c'era l'avvertimento di Roma, l'Italia non le avrebbe condivise, e dunque neppure approvate.
Il Ministro degli esteri italiano, in quell'intervista, di fatto propose di abbandonare al suo destino la Georgia in nome della realpolitik, perché non si può fare a meno della Russia, in particolare per quanto riguarda le forniture energetiche.Pag. 46
Nel corso della crisi, di fronte ad una palese violazione del diritto internazionale, la Farnesina si concedeva il lusso di dirsi a favore di una soluzione pacifica che chiedesse l'integrità territoriale della Georgia e, contestualmente, la ferma condanna dell'uso delle armi per difenderla.
Una posizione che sarebbe stata anche condivisibile, se non fosse poi stata seguita da bislacche affermazioni a favore della Russia e da un discutibile equilibrismo, che mai avrebbe potuto essere applicato a prescindere dal tipo di partnership o amicizia che ci legava al Paese in evidente violazione del diritto internazionale.
Il Ministro degli esteri italiano, inoltre, rinviava alla trafila dei tribunali internazionali - di fatto avallava il casus belli diplomatico - la vicenda del riconoscimento da parte della Russia dell'indipendenza delle due repubbliche della Sudossezia e dell'Abkhazia, che amputa l'integrità territoriale della Georgia.
Anche sulla presenza delle truppe russe in territorio georgiano la posizione è tutt'altro che rigida. Il ritiro, che era pure previsto dai protocolli firmati dai russi, Frattini lo derubricava ad una questione di interpretazione, rimettendosi dunque, anche in questo caso, alla volontà della Russia.
L'unica concessione che l'Italia è stata disposta a fare nei confronti di Tblisi è stata una serie di aiuti che potessero, in futuro, consentire alla Georgia di avvicinarsi di più all'Unione europea.
A questa posizione sono poi seguite le dichiarazioni rilasciate in più occasioni dal Premier, secondo il quale la Russia sarebbe stata provocata e, dunque, non avrebbe fatto altro che rispondere in maniera coerente alle provocazioni.
Dichiarazioni ribadite, da ultimo, pochi giorni fa, nell'incontro bilaterale tra Russia e Italia. Parole, a nostro avviso, dirompenti, perché possono segnare una netta discontinuità con la linea politica e diplomatica realizzata dall'Europa e possono creare forti dubbi su come conciliare tali dichiarazioni con la politica di fedeltà all'Alleanza atlantica, ma che danno soprattutto vita ad una politica diplomatica velleitaria per uno Stato come l'Italia.
È un lusso che l'Italia, il nostro Paese, non si può permettere. Per ciò che concerne la missione, sicuramente non sarebbe responsabile né accettabile pensare di poter partecipare alla determinazione dei nuovi equilibri geopolitici in via di formazione, senza partecipare al loro controllo, soprattutto in aree geografiche particolarmente importanti come il Kosovo, il vicino Medio Oriente e la Georgia, un'area che rappresenta oggi una delle principali direttive di sviluppo degli interessi della nuova Europa e, al tempo stesso, da sempre area di influenza prima sovietica, successivamente russa e, per giunta, geograficamente limitrofa a quella mediorientale.
Un mondo di pace è necessariamente un mondo nel quale l'intervento internazionale è necessario. Non possiamo fingere di ignorare il peso strategico di determinate risorse energetiche e la loro collocazione geografica, ma un mondo in pace deve anche essere un modo partecipato, in cui il nostro Paese, oggi più che mai, non può far mancare la sua presenza.
Si tratta di una partecipazione che, però, deve essere qualificata, con l'esclusione netta, senza mezzi termini, dell'idea di nuove crociate, di scontro di civiltà, di bene contro il male, che persino gli stessi Stati Uniti non possono più sostenere e che Barack Obama ha subito segnato, superando l'idea della sciagurata scelta della guerra preventiva.
È per questo che l'Italia deve sostenere una partecipazione soprattutto cooperativa; la presenza militare è necessaria, ma non può essere unica e limitata. L'invio di un minuto contingente militare e civile, gli aiuti economici e l'offerta di know-how diplomatico sono strumenti necessari, con un evidente potenziale.
Non è quindi in discussione la partecipazione ad una missione di vigilanza in Georgia da parte nostra, o nelle altre aree di crisi. Nonostante Frattini abbia dichiarato che l'Europa, solo se equilibrata avrebbe fatto la differenza, altrimenti sarebbe stata un attore come tanti altri, ePag. 47nonostante gli elogi che Premier e Farnesina si sono rivolti reciprocamente all'indomani degli accordi del piano di pace europeo, è nostro dovere sottolineare che non è stato grazie al cerchiobottismo e alla maccheronica superficialità italiana se l'Unione europea ha saputo dimostrarsi meno debole e instabile che in passato. Cospargersi il capo di cenere è inutile, ma almeno rendiamo merito a chi, tra i nostri partner europei, pur senza dare il via a coalizioni antirusse, ha saputo dimostrare davvero fermezza e serietà durante la crisi georgiana.
Noi - e ho proprio terminato - non abbiamo presentato emendamenti al disegno di legge in esame di conversione del decreto-legge sulle missioni internazionali, ma alcuni ordini del giorno, con i quali valuteremo le reali intenzioni del Governo sul carattere pacifico, con specifico riferimento al nostro ruolo in Afghanistan, delle nostre missioni internazionali, e su questo calibreremo il nostro atteggiamento in sede di votazione (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pezzotta. Ne ha facoltà.

SAVINO PEZZOTTA. Signor Presidente, sappiamo tutti, penso, che le nostre Forze armate, ovunque siano state inviate in missione di pace, si sono sempre distinte per il grande rispetto per la storia, la cultura, le religioni del Paese in cui si trovavano; hanno sempre dimostrato con estrema chiarezza di essere fedeli al dettato costituzionale sul rispetto del pluralismo e della libertà di religione. Questa mattina si è tenuto alla Camera un importante incontro sulle religioni e la pace, a cui hanno partecipato esponenti delle tre grandi religioni monoteiste. In questi incontro il Presidente della Camera, onorevole Fini, ha sottolineato con grande chiarezza il ruolo che le religioni possono avere per la pace e per la coesione sociale. Vorrei anche ricordare che proprio in questi tempi ricorre l'infausto anniversario dell'introduzione nel nostro Paese delle leggi razziali ad opera del regime fascista, che rappresenta una delle più grandi offese alla dignità e alla cultura italiana perpetrate nel secolo scorso.
Ho fatto questi richiami per evidenziare come in alcuni Paesi dove siamo presenti con le nostre forze, e in particolare in Afghanistan, siano in atto gravissime discriminazioni nei confronti dei non islamici, che sono culminate, almeno in Afghanistan, con l'assassinio di una volontaria inglese. Credo che il Governo debba intervenire in tutte queste situazioni e sul Governo afghano per ricordare che la presenza del nostro contingente è subordinata alla garanzia del rispetto del pluralismo religioso nei confronti dei cittadini di quel Paese, ma anche delle persone che in quel Paese si recano per lavoro o per volontariato.
Per quanto riguarda la questione della Georgia, sono convinto che sia importante il nostro tipo di intervento, ma che servirebbe un'azione più decisiva per garantire l'autonomia e l'indipendenza di quel Paese. La politica aggressiva della Russia di Putin deve essere contrastata e riprovata, e non è bene che il Governo italiano mantenga su questo una posizione estremamente ambigua e non chiara. Non è chiara quale sia la politica del nostro Paese nei confronti della Russia e di Putin.
Non penso che una politica estera efficace nei confronti di questo grande Paese sia solo quella delle pacche sulle spalle, ma compito dell'Italia è quello di sollecitare l'Unione europea a mettere in campo tutte quelle azioni che meglio possano tutelare l'indipendenza e l'autonomia della Georgia (ed in questo saremo attenti e rigorosi).
Sul Libano intendo svolgere alcune considerazioni. Nell'apprezzare l'azione di interposizione delle nostre Forze armate, vorrei che la politica del nostro Paese e del nostro Governo fosse più decisa e dotata di un'azione più incisiva, perché quel Paese ricco di cultura, di storia e di tradizioni torni, così com'era stato nel passato, a svolgere un ruolo importante per la pace in Medio Oriente: se non si pacifica il Libano, se non si ricostruiscono le istituzioni, se esso non torna ad esserePag. 48quel punto di incontro tra le varie culture che attraversano quell'area, diventerà difficile affrontare anche tutti i problemi del Medio Oriente, compreso quello della Palestina e di Israele.
Proprio perché esistono ancora molte tensioni in quel Paese, ritengo che sia necessario procedere e sostenere il cammino aperto alcuni mesi fa con gli accordi di Doha al fine di costruire in modo unitario le istituzioni libanesi. L'Italia, con l'Europa, deve aiutare il Libano a sviluppare un'educazione delle coscienze ed una riconciliazione alla pace: occorre pertanto verificare con rigore l'effettivo apporto che diamo al Governo di Beirut e il disegno che è stato assegnato, in modo che si possa veramente ricostruire un Governo chiaro (e ciò va fatto anche nei confronti delle bande armate di varia natura che attraversano il Libano, mediante una decisione concreta di neutralizzazione).
Non penso però di concludere questo intervento senza richiamare alcune altre questioni sulle quali mi sembra che la nostra posizione - e quella del nostro Governo - sia estremamente defilata, se non debole. Penso a quanto sta avvenendo nel Darfur: una guerra che non finisce mai, che alimenta una fuga da quell'area e pertanto anche un afflusso di rifugiati e di persone verso il nostro Paese, che alimenta assassini e morti senza che la comunità internazionale, il nostro Paese e l'Europa facciano uno sforzo per intervenire e far cessare quel massacro.
Possiamo dire lo stesso anche per ciò che sta succedendo nel Congo. Anche lì, ciò che si nota è l'assenza dell'Europa e la sua incapacità di assumere un ruolo preciso (e pertanto l'incapacità anche del nostro Paese di assumersi i problemi che si stanno verificando): si registra una situazione veramente drammatica, è in corso un genocidio, assistiamo a depredazioni, a stupri, a una violenza inaudita che tende ad eliminare la dimensione di un certo popolo. Non possiamo rimanere solo alla finestra a guardare, occorre una nostra azione più decisa e più significativa a livello europeo, affinché l'Europa ritorni a giocare un ruolo importante in questa direzione!
Credo che sia anche arrivato il momento, in vista pure di ciò che faranno gli Stati Uniti con il ritiro delle loro truppe previsto per il 2011, di svolgere un esame approfondito rispetto alle missioni che abbiamo all'estero e a quelle che vogliamo inviare, per poter compiere un bilancio sulle finalità e sui modi nuovi della nostra presenza in termini di forza di pace e di progresso. Anche rispetto ai risultati e ai cambiamenti in atto, ai risultati del G20 (che non ha tenuto conto dei Paesi più deboli) ed in vista pure del G8, ritengo sia necessario che il Governo venga in Parlamento a riferire sulla sua politica estera e sulle finalità che sta perseguendo (e pertanto di come intende ricollocare il nostro Paese nella nuova fase di organizzazione della geopolitica).
Credo che questa sia una necessità che abbiamo, sulla quale chiediamo, veramente, che ci venga riferito in modo chiaro e distinto ciò che è in campo. Vogliamo capire quali sono le finalità politiche della nostra politica estera, che non può essere certo quella di giocare a «rimpiattino» con il Cancelliere Merkel; in questo modo non si fa politica estera, non si dà una buona immagine al Paese. Ecco perché diventa necessario, anche a fronte di queste considerazioni, che il Governo venga a riferire in Parlamento sulla sua politica estera, su come la vuole condurre in riferimento alla dimensione europea, alla Russia, all'appoggio che vogliamo garantire all'indipendenza della Georgia, e anche sulle altre grandi crisi che attraversano il nostro mondo.
Ritengo che ciò sia un atto dovuto, una necessità. Noi voteremo a favore di questo decreto-legge, tenendo però anche conto degli emendamenti e degli ordini del giorno che verranno accolti (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Gianni Farina. Ne ha facoltà.

GIANNI FARINA. Signor Presidente, la politica estera è ciò che distingue unPag. 49grande, da un piccolo Paese. La posizione del Partito Democratico, favorevole senza tentennamenti in riferimento al decreto-legge sulle missioni, mi porta a svolgere alcune considerazioni di carattere generale. Devo, innanzitutto, prendere atto di un contesto oggi più favorevole rispetto al passato: sia la passata crisi georgiana, sia l'elezione, in queste settimane, di un nuovo Presidente degli Stati Uniti, mi portano a pensare che il clima politico generale possa cambiare e che il ruolo dell'Europa, diversamente dal passato, possa essere quello che compete a una grande unione protagonista nel contesto globale, sia per quanto riguarda la politica economica ed energetica, sia per l'azione globale a difesa della pace.
Nel conflitto russo-georgiano, l'Europa, forse per la prima volta, ha saputo svolgere un ruolo fondamentale: ha dialogato con la Russia e con la Georgia, ascoltando le ragioni di ognuno, esprimendo una propria opinione, riaffermando il rispetto dell'integrità nazionale della Georgia nel contesto del rafforzamento e della collaborazione tra i popoli e le nazioni. L'Europa ha parlato alla Russia e alla Georgia lo stesso linguaggio, ha presentato il volto che le è proprio. Ciò, purtroppo, in passato non sempre è accaduto nei Balcani, partendo dalle tragiche vicende della ex Jugoslavia e del Kosovo. Non sempre ha portato il messaggio della pace unendolo alla sua grande tradizione democratica. Occorre fare ciò, invece, nella consapevolezza che la complessità della modernità globale richiede un protagonismo multipolare: l'entrata in campo positiva di nuove grandi nazioni. Nel riaffermare l'indispensabilità di uno stretto rapporto tra l'Europa e gli Stati Uniti, di una partnership indispensabile per governare positivamente il momento drammatico e difficile che viviamo in ogni campo, vogliamo porre l'accento sulla ineluttabilità del superamento di una concezione unilaterale che tanti danni ha provocato sul difficile cammino per ricostituire un minimo di fiducia in quelle martoriate regioni.
Non si fa una seria politica estera - vale per gli Stati Uniti, ma vale anche e soprattutto per noi, per l'Italia - in solitudine, andando a Mosca nel pieno della crisi georgiana e dando più di una impressione di aver fatto una scelta. Si illude la Russia sul fatto che sia possibile istituire una serie di staterelli a sovranità limitata, sia per quanto riguarda la Georgia oggi, sia per quanto riguarda l'Ucraina o l'Armenia nel futuro.
Per quanto riguarda l'unità europea e l'unità atlantica il fanatismo terrorista lo si sconfigge non solo sul piano militare ma anche con l'unità, anche se ciò è indispensabile e lo sarà anche in futuro. Il fanatismo e il terrorismo si sconfiggono prosciugando l'oceano in cui sguazza lo squalo del terrorismo. Lo si sconfigge collaborando con la società civile locale, convincendola, con azioni concrete di sviluppo e di convivenza, che lo sviluppo è possibile, che la pace è possibile e che la collaborazione tra gli Stati è utile e necessaria.
Possiamo affermare con un certo orgoglio il ruolo dell'Italia nelle missioni internazionali avvenute, il rispetto di cui gode per il ruolo assunto in ogni contesto, nei Balcani come in Iraq, in Afghanistan e in Libano; ruolo di grande maturità e con una presenza militare e civile del volontariato che ci fa onore. Si tratta di un investimento ben speso che sta nella tradizione politica e civile di una grande nazione. Nella politica estera non ci si può dividere. Quello che distingue una piccola e insignificante nazione è proprio questo, l'unità nella politica estera, nelle scelte fondamentali da cui dipendono i destini nostri della Repubblica, dell'Europa e del mondo, non stantie politiche personali come usa fare il Presidente del Consiglio. Al contrario, occorrono una stretta unità nel contesto unitario europeo (come purtroppo non è stato tante volte nel passato), unità nella politica estera, nuove e più importanti responsabilità, dare ai popoli del Medio Oriente il messaggio che l'Italia e l'Europa sono là e presentano il loro volto migliore (in Georgia come in Afghanistan). È la funzione nuova della NATO che noi vorremmo. È la funziona nuova dell'Italia che noi vogliamo perseguire e aPag. 50cui diamo tutto il nostro appoggio (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Gianni Farina, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Porta. Ne ha facoltà.

FABIO PORTA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, anch'io credo che questo dibattito sia un'occasione utile - certamente lo è stato - per discutere e riflettere sulle linee generali della nostra politica estera, in un contesto mondiale, come è stato ricordato, nel quale l'elezione del nuovo Presidente degli Stati Uniti ma anche la crisi mondiale che stiamo ancora attraversando hanno rafforzato e rilanciato valori come l'europeismo e il multilateralismo tanto essenziali anche per affrontare le crisi come quella alla quale si riferisce il provvedimento in esame. Lo stesso Vertice di Washington del G20, pochi giorni fa, anche se dedicato alla crisi finanziaria internazionale, ha ribadito la necessità e l'urgenza di un nuovo ordine mondiale che credo debba riguardare non soltanto l'economia e la finanza ma tutte le grandi questioni che il pianeta sta affrontando.
In tale quadro così complesso, purtroppo, l'Italia a livello generale ma anche nel caso specifico che oggi discutiamo, non si sta dimostrando all'altezza delle sfide poste. Il Governo italiano, con una manovra finanziaria pesantissima, ridimensiona la presenza internazionale del nostro Paese che difficilmente si lega all'importanza che l'Italia ha avuto sullo scenario internazionale. E anche nel caso specifico in questione, nella crisi regionale nella quale ci stiamo occupando oggi - lo hanno detto diversi colleghi che mi hanno preceduto, l'onorevole Soro e l'onorevole Vietti - il Governo si è comportato, prima, in maniera assente e, dopo, ritengo anche in maniera incauta con dichiarazioni prima fatte e poi smentite, come quella del Presidente del Consiglio secondo la quale lo scudo missilistico sarebbe un pretesto, quasi una scusa a giustificare certe pretese espansionistiche della Russia. Per tale motivo ritengo importante che il Governo, come oggi sta facendo questo Parlamento, avvii una riflessione generale e approfondita sulla presenza italiana sul complesso scenario internazionale, con particolare riferimento ovviamente alle aree di conflitto.
Vengo alla missione dell'Unione europea in Georgia rispetto alla quale, come è stato già annunciato da altri miei colleghi, noi del Partito Democratico, con senso di responsabilità e confermando la nostra particolare sensibilità europeista, confermiamo il nostro voto favorevole. La discussione in corso sulla partecipazione italiana alla missione di vigilanza dell'Unione europea in Georgia e alle altre missioni internazionali per l'anno 2008 si inserisce, infatti, nella più ampia questione del rapporto tra l'Unione europea e la Russia e sul nuovo ruolo che Mosca riveste e può rivestire nel contesto internazionale. Alcuni fatti in questi mesi hanno caratterizzato la regione in questione: vorrei elencarne alcuni. Sul terreno del conflitto va segnalato che già il 5 ottobre le forze russe avevano iniziato effettivamente a ritirarsi dall'Ossezia del sud, smantellando il checkpoint posto a cuscinetto tra quest'ultima e la Georgia.
Come è stato constatato anche dagli osservatori dell'Unione europea, purtroppo alcune notizie addirittura di queste ore, anche se non confermate, parlano di una ripresa di ostilità da parte russa in quella stessa area. Vorrei inoltre sottolineare un intervento autorevole di qualche settimana del segretario generale del Consiglio d'Europa, Terry Davis, il quale ha dichiarato che sia la Russia sia la Georgia non hanno rispettato gli obblighi che avevano assunto divenendo membri del Consiglio d'Europa e che pertanto erano entrambe passibili di condanna. Davis ha anche aggiunto l'intenzione di istituire una speciale procedura di monitoraggio simile a quella chePag. 51venne messa in atto in Cecenia dopo la guerra e che condusse alla sospensione della Russia dal Consiglio d'Europa per un anno. Per il momento, tuttavia, la richiesta di sospensione della Russia, che è stata avanzata da ventiquattro parlamentari con un'apposita mozione, è stata di fatto respinta.

PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Porta.

FABIO PORTA. Centoquattordici parlamentari su centoquarantaquattro hanno infatti deciso il 1o ottobre di riconfermare le credenziali della delegazione russa. Da poche settimane sono iniziati a Ginevra i primi colloqui tra Russia e Georgia sulla gestione diplomatica del dopo crisi. Gli osservatori europei adesso possono essere dislocati al di fuori dei confini delle due province.
Davanti a questo scenario, signor Presidente, è chiaro che l'Unione europea diventa l'unico soggetto in grado di dare vita ad una mediazione politica forte e per questo siamo favorevoli ad iniziative che, in tempi rapidi, siano in grado di fermare l'escalation di atti unilaterali, che rischiano di trasformare un conflitto regionale in una grave crisi internazionale.
L'Italia - e concludo - può e deve in questo senso svolgere un ruolo da protagonista, forte anche della possibilità di mettere a disposizione dell'Unione europea e delle sue istituzioni le relazioni storicamente costruite con la Russia e con le nazioni caucasiche, un patrimonio di rapporti che può concorrere positivamente a dare una soluzione a questa crisi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bucchino. Ne ha facoltà.

GINO BUCCHINO. Signor Presidente, siamo un grande Paese, anche se ogni tanto, a causa delle cosiddette «carinerie» del nostro Presidente del Consiglio - l'ultima è solo di poche ore fa - il mondo, piuttosto che sorridere, ride di noi. Ciononostante, siamo e restiamo un grande Paese, impegnato sullo scenario mondiale delle missioni con oltre 10.000 uomini, un Paese che con pieno diritto fa parte del G8. Le missioni sono parte importante della nostra politica estera, con i nostri uomini che a testa alta e con sacrificio, spesso purtroppo anche umano, contribuiscono al mantenimento di una difficile pace nel mondo.
Gli interventi italiani sono condotti sempre con elevato spirito umanitario e sono da considerarsi tra le attività che meglio caratterizzano la presenza italiana nel mondo. Si tratta di missioni collocate nel cuore di scenari geopolitici e di politica internazionale che, come ci insegna l'esperienza di soli pochi mesi orsono, possono essere oggetto di pericolose accelerazioni.
L'Italia non si sottrae alle sue responsabilità e il Partito Democratico ha già dichiarato la sua intenzione di voto favorevole sul rifinanziamento di queste missioni. Il Partito Democratico chiede anche, altrettanto responsabilmente e con forza, l'avvio di una riflessione di carattere generale, che offra all'Italia finalmente la possibilità di esercitare con dignità di partecipazione il suo ruolo politico nel contesto condiviso di una politica europea che guarda con attenzione, speranza e soddisfazione all'elezione, come Presidente degli Stati Uniti d'America, di Barack Obama, anche, ma ovviamente non solo, per quanto riguarda una politica estera di intervento non più imposto, ma finalmente condiviso.
Il 4 novembre 2008 è una data importante, nella quale collocare e far partire la nostra riflessione, non solo per l'eccezionale lezione di democrazia che abbiamo ricevuto dal popolo degli Stati Uniti d'America, dal Partito Democratico di quel grande Paese che ha vinto le elezioni e dal Partito Repubblicano, che le ha perse, ma che non ha esitato nemmeno un secondo a riconoscere la vittoria del Partito Democratico. Suonano a lezione e anche ad invidia le parole McCain, che ha detto davanti al mondo: «Obama è il mio Presidente». Parlavo di lezione di democrazia. Già, democrazia: ve lo immaginatePag. 52qui, nel nostro Paese, un candidato premier figlio di un immigrato? Parlo di quegli stessi immigrati sui quali si discute e dei quali si discute in questi giorni nell'altro ramo del Parlamento per il decreto-legge sulla sicurezza. Sono immigrati ai quali si vuole negare l'assistenza sanitaria, ai quali prima qualcuno spacca la testa e poi lo manda a farsi curare a proprie spese al pronto soccorso, immigrati che si vuole denunciare, dimenticando il codice deontologico del medico ed il giuramento di Ippocrate, che impedisce ad un medico di denunciare una persona che si rivolga al medico in stato di necessità.
Eppure il 4 novembre è davvero storia, non è un sogno, ed è davvero l'inizio di una nuova stagione, una collaborazione forte con l'Europa, una richiesta - finora quasi sempre sdegnosamente ignorata - di maggiore collaborazione; è finalmente l'inizio di una più forte assunzione di responsabilità, viste le sfide vecchie e nuove che dobbiamo affrontare e che si chiamano non solo terrorismo e guerre, non solo Iraq, Afghanistan, Kosovo, Georgia, ma anche cambiamenti climatici e crisi economica mondiale.
Non si tratta, quindi, di discutere sul «se», ma piuttosto sul «come» delle missioni, il loro indirizzo, le loro modalità. Occorre un'Italia che sappia anche essere finalmente propositiva, per sensibilizzare l'Europa ed impegnarsi anche in missioni che oggi non interessano il mondo dei «grandi», missioni in Paesi dove si compiono veri genocidi, come il Darfur e più recentemente il Congo, con soluzioni che non possono essere solo militari. La nuova leadership americana promette di muoversi in questo senso, con un approccio nuovo e finalmente completo, che sappia collegare l'impegno politico, umanitario e civile all'approccio militare. In questo senso, dobbiamo augurarci che venga chiesto - come certamente sarà fatto - un impegno più forte dell'Italia, un'Italia che potrà mettere a disposizione della comunità internazionale non solo «le pacche sulle spalle», ma anche e soprattutto la sua vocazione umanitaria.
Come precedentemente esposto da colleghi che mi hanno preceduto, condivido la necessità di una seria riflessione in Parlamento, che porti al varo di una legge organica sulle missioni italiane all'estero, per dire con forza a tutto il mondo - e dimostrarlo - che il nostro è stato, è, e sarà sempre, un Paese costruttore di pace (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Ciccanti. Ne ha facoltà.

AMEDEO CICCANTI. Signor Presidente, signor Ministro, sottosegretario Cossiga, onorevoli colleghi, l'autorizzazione di spesa per la partecipazione di personale civile e militare alla missione di vigilanza dell'Unione europea in Georgia conferma il ruolo strategico dell'Italia nell'ambito del processo di stabilizzazione della pace nel mondo.
L'Italia è uno dei Paesi che maggiormente stanno contribuendo con proprie risorse umane e finanziarie alle missioni di pace operanti nel mondo. L'impronta umanitaria e il mandato delle Nazioni Unite al nostro impegno internazionale nei teatri di guerra sono coerenti con la nostra Costituzione, che ripudia la guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Quindi, Nazioni Unite e multilateralità sono i punti fermi della politica estera dell'Italia.
Un altro punto fermo della politica estera italiana sono stati l'atlantismo e l'europeismo. La ridefinizione degli equilibri economici e militari nel mondo è utile e impellente: lo ha dimostrato il realismo del G20 per stabilizzare il mercato finanziario mondiale con nuove regole. Non sarebbe bastato né un G7, né un G8.
Si era aperto un dibattito sulla riforma delle Nazioni Unite e su un nuovo assetto del Consiglio di sicurezza. Questo dibattito si è spento. Le Nazioni Unite nascono con gli equilibri di chi aveva vinto la seconda guerra mondiale. Sono passati sessant'anni e da allora il mondo è diverso, l'Europa non è più quella della Francia e del RegnoPag. 53Unito. L'Europa oggi è quella del Trattato di Lisbona, con un suo Ministro degli affari esteri, con una sua politica estera, così come ha dimostrato Sarkozy sulla vicenda dell'occupazione da parte delle truppe russe dell'Ossezia, cioè di una regione della Georgia.
L'atlantismo ha un valore di stabilità se l'Europa parla una sola voce. Le nuove tensioni tra Stati Uniti e Russia potranno stabilizzarsi in sede di Nazioni Unite se l'Europa parlerà con una sola voce, senza protagonismi nazionali. La Nato non sarà una minaccia per la Russia, se la voce dell'Europa nella Nato non sarà subalterna agli Stati Uniti e parlerà con pari dignità con gli stessi Stati Uniti.
Se questo è il quadro di riferimento entro cui si deve muovere la politica estera italiana, noi dell'Unione di Centro valutiamo con perplessità alcune manifestazioni di protagonismo nazionale del nostro Presidente del Consiglio dei ministri, che sembra voler giocare una partita a sé, pur nel rispetto del ruolo dell'Europa e della NATO. Ci sembra di capire che Berlusconi voglia distinguersi nell'Europa e nella NATO, ponendosi su percorsi diplomatici diversi.
Il percorso della diplomazia personale, portato avanti con Putin e Bush, svela la pretesa di Berlusconi di svolgere un ruolo internazionale perfino superiore a quello che fu di Blair ed è, oggi, della Merkel e di Sarkozy. Quando Blair e Sarkozy hanno avuto la medesima tentazione, abbiamo avuto più confusione in Europa e nelle Nazioni Unite. Più confusione c'è in Europa sulla politica estera, a causa dei propri protagonisti nazionali, più è debole il ruolo di stabilizzazione della pace nelle zone di tensione. Berlusconi dovrebbe, pertanto, prendere coscienza di questo limite della politica estera europea ed evitare di ripetere un protagonismo nazionale, che sarà anche gratificante per l'immagine personale, ma che sicuramente è riduttivo e dannoso sul piano dell'efficacia. Il tentativo del Presidente del Consiglio di svolgere una diplomazia parallela a quella del Presidente di turno dell'Unione Europea Sarkozy, in relazione alla crisi bellica in Georgia, si è rivelato infatti dannoso per l'Italia e per la stessa immagine del Premier di fronte alla diplomazia internazionale. Mi riferisco al giudizio grave espresso, l'estate scorsa, in occasione della festa nazionale del Popolo della Libertà, con il quale Berlusconi ha giustificato l'occupazione delle truppe russe dell'Ossezia come una logica reazione di Putin contro il Presidente georgiano che si è macchiato di gravissimi fatti di sangue.
Dunque, Saakashvili, Presidente della Georgia, sarebbe l'omologo di Saddam Hussein, un dittatore da spodestare. Saakashvili è il Presidente di uno Stato democratico libero ed indipendente, ed è stato eletto democraticamente. Ignora, forse, Berlusconi che nessuno Stato può essere violato nei suoi confini? Ogni contrasto tra Stati va risolto per via diplomatica e nessuno può farsi giustizia da sé. Ci troviamo di fronte ad uno Stato, la Russia, che ha occupato parte della Georgia, l'Ossezia del sud. L'ambasciata georgiana ha risposto a Berlusconi con molta dignità: si nomini una Commissione internazionale per verificare le responsabilità nel conflitto tra truppe russe e georgiane.
Siamo, comunque, di fronte ad un accordo internazionale che fa deporre le armi ai contendenti, merito soprattutto dell'Europa e della mediazione di Sarkozy. Giudichiamo positivamente le buone relazioni con una grande nazione come la Russia: è uno dei partner commerciali più importanti per l'Italia, soprattutto per il ruolo strategico che riveste, nelle forniture di gas, per l'Europa e per l'Italia. Queste buone relazioni devono però essere mantenute su un piano di lealtà e sincerità. Concludo, signor Presidente.

PRESIDENTE. Può consegnare agli atti l'intervento, onorevole. Dobbiamo passare alle questioni pregiudiziali. La prego di concludere.

AMEDEO CICCANTI. Berlusconi è un uomo di Stato e deve rappresentare la nazione italiana nelle sue relazioni con la Russia. Non può dare l'impressione allePag. 54diplomazie del mondo che l'amicizia personale prevalga sulle ragioni e sulla verità. Si rischia di perdere la credibilità internazionale, si rischia di rappresentare l'Italia nel mondo come un paese opaco, privo di percorsi trasparenti nel rappresentare i propri valori e i propri obiettivi di politica estera. Non abbiamo appreso con soddisfazione la consumazione delle buone relazioni internazionali con Putin, nel chiuso della residenza privata di Berlusconi in Sardegna, davanti alla sfilata di veline e ballerine del Bagaglino (Commenti dei deputati dei gruppo del Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Colleghi, vi prego....

AMEDEO CICCANTI. Noi, che siamo gli eredi di De Gasperi e La Pira, sappiamo che il prestigio internazionale di una nazione si costruisce con dignità e sulla base di valori condivisi di pace e libertà. Non ci interessa un prestigio conquistato tra una risata, una battuta e una barzelletta, bensì quello conquistato dai nostri militari con il loro impegno umanitario e dai nostri lavoratori all'estero, con fatica e con onestà. Vogliamo essere considerati, a livello mondiale, per la nostra capacità diplomatica e per la forza delle nostre ragioni.
Voteremo a favore su questo provvedimento perché sappiamo che in Georgia, come in altre parti del mondo, questo è il modello italiano che esportiamo, che non è quello dei giullari, dai quali vogliamo distinguerci (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, invito i relatori ad esprimere il parere delle Commissioni sull'unico emendamento ammissibile presentato.

SALVATORE CICU, Relatore per la IV Commissione. Signor Presidente, in realtà gli emendamenti sono due.

PRESIDENTE. L'emendamento Maran 2-bis.2 è inammissibile.

SALVATORE CICU, Relatore per la IV Commissione. Signor Presidente, le Commissioni formulano un invito al ritiro, altrimenti il parere è contrario, dell'emendamento Maran 2-bis.1. Peraltro, sull'emendamento, inammissibile, Maran 2-bis.2, la Commissione bilancio aveva espresso parere contrario, mentre l'emendamento Maran 2-bis.1 sarà recepito nel prossimo decreto-legge.

PRESIDENTE. Il Governo?

GIUSEPPE COSSIGA, Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, il parere del Governo è conforme a quello espresso dal relatore.

PRESIDENTE. Sospendiamo ora l'esame del provvedimento.

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 6 novembre 2008, n. 172, recante misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania, nonché misure urgenti di tutela ambientale (A.C. 1875) (Esame e votazione di questioni pregiudiziali) (ore 18,40)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 6 novembre 2008 n. 172 recante misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania, nonché misure urgenti di tutela ambientale.

(Esame di questioni pregiudiziali - A.C. 1875)

PRESIDENTE. Avverto che ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 3, del Regolamento sono state presentate le questioni pregiudiziali Di Pietro ed altri n. 1 e Amici ed altri n. 2 (Vedi l'allegato A - A.C. 1875).
A norma del comma 4 dell'articolo 40 del Regolamento, nel concorso di più questioni pregiudiziali, ha luogo un'unica discussione. In tale discussione, ai sensiPag. 55del comma 3 del medesimo articolo 40, potrà intervenire, oltre ad uno dei proponenti (purché appartenenti a gruppi diversi), per illustrare ciascuno degli strumenti presentati per non più di dieci minuti, un deputato per ognuno degli altri gruppi, per non più di cinque minuti.
Al termine della discussione si procederà, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 3, quarto periodo, del Regolamento, ad un'unica votazione sulle questioni pregiudiziali presentate.
L'onorevole Palomba ha facoltà di illustrare la questione pregiudiziale Di Pietro ed altri n. 1, di cui è cofirmatario.

FEDERICO PALOMBA. Signor Presidente, questa questione pregiudiziale per motivi di costituzionalità non è presentata in modo conflittuale nei confronti del Governo ma come consiglio, un sostegno, come una raccomandazione ad osservare meglio una norma, quella dell'articolo 6 di questo provvedimento, che a nostro giudizio urta con il precetto costituzionale.
Non ci interessa che ci siano vincitori o vinti in questo caso, non ne facciamo una questione di contrapposizione politica, ma di accuratezza e precisione nella redazione della norma. Infatti siamo favorevoli al provvedimento nel suo complesso: anche noi siamo interessati a risolvere l'emergenza rifiuti ma, come sempre abbiamo fatto, vorremmo che ciò avvenisse nella più perfetta correttezza costituzionale, nella più perfetta rispondenza al dettato costituzionale.
L'articolo 6 di questo provvedimento statuisce che nei territori in cui vige lo stato di emergenza nel settore dello smaltimento rifiuti dichiarato ai sensi della legge 24 febbraio 1992 n. 225, soltanto in questi territori, si applichi una normativa penale.
Questa normativa penale si qualifica come norma penale speciale per il solo fatto che si applica soltanto nei territori in cui, ai sensi della normativa sulla protezione civile, è stato dichiarato lo stato di emergenza.
Questa normativa è quella che riguarda la legge del 1992 e la dichiarazione dello stato di emergenza ai sensi della normativa sulla protezione civile.
Questa normativa, relativa alla dichiarazione dello stato di emergenza, è stata finora dichiarata, ai sensi della legge del 1992, solamente nel territorio della Campania. L'articolo 6 prevede, quindi, una normativa speciale che si applica esclusivamente nella regione Campania e con una disciplina molto più pesante di quella già prevista nell'articolo 255 del codice ambientale, come ha indicato il Servizio studi della Camera. Infatti, quest'ultimo articolo prevede la medesima fattispecie e la medesima violazione della legge prevista oggi dall'articolo 6 del provvedimento in esame (che provvede a qualificarla come delitto) come illecito punito soltanto con la sanzione amministrativa pecuniaria, che va da 125 a 620 euro.
Ora l'articolo 6 del decreto-legge in esame, in materia di rifiuti, prevede che soltanto nella regione Campania sia configurabile la fattispecie del delitto per quelle stesse violazioni che in tutto il resto del territorio nazionale sarebbero, invece, punite soltanto con un'ammenda.
Ci sembra che questa normativa non sia conforme alla Costituzione in quanto viola, innanzitutto, il principio di generalità ed astrattezza che costituisce il nocciolo di ogni norma penale. Infatti, ogni norma penale deve potersi applicare in tutto il territorio nazionale che, come afferma la Costituzione, è uno e indivisibile. Il fatto stesso che questa normativa penale speciale possa essere applicata soltanto ad una parte limitata del territorio nazionale la trasforma in norma speciale e pertanto, come tale, in contrasto con i principi costituzionali e, in modo particolare, con quello di cui all'articolo 3.
Inoltre, vogliamo richiamare all'attenzione del Governo il fatto che questa norma darà luogo ad effetti abbastanza singolari e del tutto negativi, vale a dire ad una sorta di turismo dei rifiuti, per cui mentre in Campania l'abbandono di un frigorifero o di un materasso vecchio per strada può essere punito con una sanzione pesante (ossia con la previsione di un reato qualificato come delitto), basteràPag. 56portarlo a dieci chilometri dal confine regionale e dunque, ad esempio, in Calabria, nel Lazio, nella Puglia o in un'altra regione confinante perché lo stesso fatto sia punito con una semplice contravvenzione, cioè con una sanzione amministrativa pecuniaria da 125 a 620 euro.
Questa norma, applicata soltanto al territorio della Campania, comporterà che tutti gli altri territori limitrofi saranno, verosimilmente, sottoposti ad una pressione di carattere ambientale enorme per il fatto che le persone che non vorranno incorrere in una sanzione di questo genere, cioè una sanzione detentiva punita come delitto, potranno abbandonare il rifiuto in un territorio vicino che sarà poi quello realmente penalizzato da questa norma.
Ma noi rilanciamo. Siamo d'accordo sul fatto che la tutela ambientale sia sanzionata più severamente e quindi anche dal punto di vista penale (in maniera più severa) e invitiamo il Governo ad applicare questa normativa in senso generale, a tutto il territorio nazionale. Non si comprende per quale ragione, anche di coerenza costituzionale, tale normativa debba essere applicata soltanto ad un territorio. Non ne percepiamo né la congruità né la costituzionalità.
Inoltre, è evidente che laddove vi è una pressione di carattere ambientale più forte, come nella Campania, sarà possibile graduare la pena applicando i criteri di gravità del reato, previsti dall'articolo 133 del codice penale, e irrogare una pena molto più severa dove vi sia un'emergenza ambientale più grave. Eventualmente si può ipotizzare anche una circostanza aggravante che preveda che, se il fatto viene commesso nei territori in cui è stato dichiarato lo stato di emergenza ambientale, la pena possa essere anche più pesante.
Riteniamo - e concludo, signor Presidente - di dover suggerire al Governo di essere più coerente e di applicare la norma nella sua generalità ed astrattezza, stabilendo che essa si applichi in tutto il territorio nazionale, eventualmente indicando, per la Campania, una sorta di circostanza aggravante.
Vogliamo raccomandare al Governo di fare attenzione quando fa le leggi per evitare che queste possano, magari con le migliori intenzioni, urtare contro la Costituzione, come nel caso dell'articolo 6 del provvedimento che stiamo esaminando (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. L'onorevole Zaccaria ha facoltà di illustrare la questione pregiudiziale Amici ed altri n. 2, di cui è cofirmatario.

ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, volevo iniziare con una notizia riguardante il provvedimento in esame. Siamo al ventunesimo decreto-legge che esaminiamo in quest'Aula. Ne restano ancora dieci in corso di conversione e, quindi, ci avviamo a stabilire un record con riferimento al numero complessivo dei decreti-legge approvati nel corso del primo periodo della legislatura. Ma non è solo rilevante il problema della quantità dei decreti: più di uno si occupa della stessa materia (lo ricordo: due decreti-legge sulla materia della crisi economica, tre sull'Alitalia e questo è il terzo che riguarda i rifiuti nella zona della Campania e di Napoli).
Vorrei che nessuno sottovalutasse il fatto che una situazione nella quale la Costituzione prevede si possa intervenire, lo ricordo, non in casi di necessità ed urgenza, ma in casi straordinari di necessità ed urgenza, può essere tale al primo decreto-legge (qui il primo decreto-legge è stato emanato nel maggio del 2008), può essere tale al secondo, ma quando si arriva all'adozione del terzo decreto-legge sulla stessa materia, credo sia molto chiaro che non c'è più quella stessa necessità ed urgenza. Siamo di fronte ad una sorta di serialità normativa d'urgenza che non ha abitazione nella Costituzione, perché il ritardo del Governo nell'apprestare certi strumenti o, peggio, dell'amministrazione, non diviene urgenza tale da giustificarePag. 57questi provvedimenti che spostano la competenza dal Parlamento al Governo.
Lo ha già detto la Corte costituzionale. Fate attenzione: in epoca più recente la Corte costituzionale ha dichiarato la possibilità di sindacare la necessità e l'urgenza anche dopo la legge di conversione. La sentenza n. 128 del 2008, e prima la n. 171 del 2007, hanno affermato questo principio in maniera molto netta. Di questo decreto non si contesta certo il fine, ma gli strumenti utilizzati per perseguire quel fine.
Quindi, oltre alla mancanza dei presupposti di necessità ed urgenza, ci sono tre profili netti di incostituzionalità sui quali vorrei soffermarmi. Il primo è quello che ha toccato l'onorevole Palomba sull'articolo 6 in merito alla nuova disposizione penale, estremamente discutibile nella sua struttura normativa. Vorrei solo aggiungere qualcosa, se possibile. Prima di tutto, come dice chiaramente anche il dossier che abbiamo sotto mano, gli stessi comportamenti sono considerati reati in alcune parti del territorio del nostro Paese e non in altre. Questa è una violazione dell'articolo 3 della Costituzione piuttosto palese e non mi soffermo più a lungo perché già ne ha parlato l'onorevole Palomba.
Gli stessi comportamenti (questo è un secondo profilo) sono punibili in alcuni momenti del tempo e non in altri, quindi la disposizione si caratterizza come una norma che ha effettività in un certo periodo, diventa in qualche modo latente, e poi può ritornare in vigore.
Ma c'è un altro profilo di incostituzionalità: comportamenti diversi (scaricare rifiuti ingombranti è considerato equivalente a scaricare rifiuti pericolosi, per fare un esempio) sono puniti con la stessa sanzione. Si tratta della violazione del criterio di ragionevolezza previsto all'articolo 3.
Tuttavia, l'elemento che l'onorevole Palomba non ha sottolineato - ma a mio vedere è forse il più grave - è la violazione dell'articolo 25 della Costituzione, la tassatività. Infatti, si prevede che la disposizione penale operi in presenza di presupposti (la dichiarazione dello stato di emergenza) che il cittadino comune potrebbe non conoscere. Voglio ricordare che in un caso, per quanto riguarda la Campania, l'emergenza è stata dichiarata con un decreto-legge. In alcuni casi può essere dichiarata con provvedimento amministrativo.
Tenete ben presente che nel 1988 la Corte ha dichiarato incostituzionale l'articolo 5 del codice penale, perché non prevedeva l'esenzione di fronte all'ignoranza inevitabile; anche quella norma assoluta è stata messa in discussione dalla Corte. Come farà il cittadino comune a conoscere non solo la legge, ma anche il presupposto che in un caso può essere dichiarato con legge, mentre in altri casi con atto amministrativo? Diventa veramente impossibile.
Vi è un secondo profilo che riguarda l'articolo 3 e il commissariamento degli enti locali. A questo proposito veramente si procede con l'accetta: si modifica l'articolo 142 del Testo unico (la legge organica) e si dice non solo che la violazione della Costituzione (come lì è scritto) può consentire lo scioglimento e la rimozione del sindaco, non solo le gravi e reiterate violazioni della legge, non solo i gravi motivi di ordine pubblico, ma una qualsiasi violazione di una norma, comprese le ordinanze di necessità.
Guardate che si conferisce al Ministro dell'interno un potere discrezionale immenso e ciò è in contrasto con la riserva di legge generale riguardante le funzioni degli enti locali e configura una inaccettabile discrezionalità che elude sostanzialmente anche il controllo giurisdizionale. Dello spirito dell'articolo 120 della Costituzione, che prevede garanzie precise, non ne parliamo neppure.
Il terzo profilo di incostituzionalità riguarda un aspetto molto critico: la violazione del principio di legalità. Se uno legge di sfuggita il testo del decreto-legge potrebbe non notarlo, ma leggendolo attentamente le preoccupazioni sono forti. So che potrebbe non interessare la maggioranza, ma l'articolo 70 della Costituzione prevede che le leggi le fanno le due Camere. InPag. 58questi decreti-legge diventa sistematico l'utilizzo emergenziale e derogatorio delle ordinanze di necessità. Vengono rispolverate in qualsiasi momento, vengono varate ordinanze di necessità in violazione delle regole di diritto e solo con rispetto dei principi costituzionali in ogni campo.
Vi è poi una moltiplicazione esponenziale perché praticamente tali ordinanze vengono attribuite a qualsiasi tipo di intervento dei soggetti pubblici competenti. Quindi, è una licenza di fare norme per l'autorità amministrativa. Guardate che il principio di legalità è alla base dei Parlamenti, vale più la legge dell'atto amministrativo. Qui stiamo capovolgendo le regole: vale più un atto amministrativo di una legge, saltano i principi degli articoli 70 e 97 della Costituzione, che sottopone l'amministrazione alle leggi e l'articolo 113 che stabilisce il controllo giurisdizionale.
Se ciò non bastasse, per riassumere vorrei dire che in questo provvedimento mancano i presupposti dell'articolo 77 della Costituzione, vi è la violazione degli articoli 3 e 25 della Costituzione, vi è una violazione per gli enti locali degli articoli 118 e 120 della Costituzione e vi è, infine, la violazione del principio di legalità. Mi pare che ce ne sia abbastanza per avere fondati dubbi di costituzionalità (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Brigandì. Ne ha facoltà.

MATTEO BRIGANDÌ. Signor Presidente, volevo segnalare la totale infondatezza di tutto quello che abbiamo sentito.
Comincio da due osservazioni: lo stimabile collega dell'Italia dei Valori ha parlato della possibilità dell'esistenza di un'aggravante per questo tipo di reato. Signor Presidente, onorevoli colleghi, deputati dell'Italia dei Valori: se c'è l'aggravante significa che è legittimo il fatto di reato, quindi stanno contraddicendo se stessi perché o non è pensabile l'esistenza di un reato, o se esiste l'aggravante ciò implicherà in sé l'esistenza del reato. È evidente l'infondatezza di questa argomentazione.
Abbiamo sentito citare il criterio, letteralmente, di irragionevolezza previsto dall'articolo 3 della Costituzione. Io l'articolo 3 della Costituzione l'ho letto e riletto, ma non mi sembra che vi sia alcun criterio di irragionevolezza. Per la verità il criterio della irragionevolezza è un criterio che la Corte costituzionale assume quando vuole comunque dichiarare incostituzionale una norma. Ora, che la Corte costituzionale pensi di essere depositaria della ragionevolezza è un dato ormai pacifico, basta leggere le sue sentenze; ma che questa Camera ritenga che qui dentro ci siano solo delle persone irragionevoli e che la ragionevolezza esista soltanto alla Corte costituzionale, non mi sembra fisiologico ma patologico. Per cui anche questo criterio è da rigettare.
Vorrei ancora precisare che è molto comune nel nostro diritto far dipendere la liceità o illiceità penale dall'esistenza di un atto amministrativo. Faccio un esempio per tutti: se ci troviamo in una città e parcheggiamo l'auto in divieto di sosta, ci comminano quella che viene comunemente chiamata multa, che è tecnicamente una sanzione amministrativa, quindi un atto amministrativo. Ma se lo stesso divieto di sosta lo facciamo all'interno di un porto, contravvenendo alla statuizione del capitano di porto, la qual cosa è certamente un atto amministrativo, noi integriamo l'illecito amministrativo del divieto di sosta, ma stiamo commettendo anche un reato per aver disobbedito all'ordine legalmente dato. Quindi far dipendere un reato dall'esistenza di un atto amministrativo è un principio che nel nostro ordinamento è ormai pacificamente accolto e credo che non infici assolutamente le proposizioni normative che qui si vogliono approvare.
Inoltre è evidente, dal punto di vista soggettivo, che nella norma è scritto «chiunque». Se li testo avesse riportato le parole «gli abitanti di», ci sarebbe stata una palese violazione della Costituzione, ma scrivendo «chiunque», si vuole affermare che in quel sito un cittadino del luogo o un cittadino italiano o non italiano,Pag. 59violando quel precetto commette reato. Quindi, dal punto di vista soggettivo, ritengo che non ci siano problemi.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MATTEO BRIGANDÌ. Dal punto di vista del territorio, se nella norma fosse stato scritto «nel territorio della Campania», avrebbero avuto ragione i colleghi che mi hanno preceduto, ma si afferma una cosa diversa: «nel territorio che ha quella dichiarazione» che oggi, incidenter tantum, è la Campania, ma domani potrebbe essere qualsiasi altra parte d'Italia.
Un ultimo punto e concludo, signor Presidente. Si è parlato della reiterazione dei decreti d'urgenza: vorrei ricordare che l'urgenza è proposta dal Presidente del Consiglio ed è valutata dal Capo dello Stato. Per questi motivi chiedo il rigetto delle questioni pregiudiziali (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Libè. Ne ha facoltà.

MAURO LIBÈ. Signor Presidente, devo dire in premessa che ci dispiace un po' essere critici su questo terzo decreto-legge sui rifiuti della Campania per un motivo, perché questo decreto ha dimostrato che tutti possono ravvedersi.
Dopo che, per cinque mesi, abbiamo chiesto misure obiettive, serie, ma ferme, come il commissariamento dei comuni che non raggiungevano certe quote di differenziata, oggi ci troviamo di fronte ad un provvedimento nel quale tutto ciò viene inserito. Allora, sotto certi aspetti ci dispiace, ma dobbiamo dire: «troppa grazia sant'Antonio».
In questo provvedimento, infatti, si passa da una proposta che ritenevamo seria ed equilibrata ad una che sbarella un po' dall'altra parte (ce ne ha dato atto già stamattina il sottosegretario). Infatti, i limiti e i termini di questi commissariamenti sarebbero un po' troppo aleatori e si prevedono grandi possibilità di intervento, se la volontà non fosse dettata dalla buona fede, anche su questioni politiche che poco hanno a che vedere con la gestione dell'emergenza dei rifiuti.
Tuttavia, vi è un'altra questione che forse è quella più importante. Dico subito che l'UdC si asterrà sulla prima questione pregiudiziale, mentre voterà a favore della seconda, non per una questione di lana caprina, perché noi siamo effettivamente in una posizione più morbida. Noi abbiamo lavorato e collaborato con il Governo e con la maggioranza, spesso non corrisposti, per dare soluzione vera a questi problemi, al di fuori da ogni demagogia.
Dunque, prendiamo atto e riconfermiamo che capiamo benissimo di operare in una situazione emergenziale. Siamo altrettanto consapevoli della necessità di utilizzare dei metodi dettati dalla fermezza e dalla chiarezza verso i cittadini. È fermezza e chiarezza verso i cittadini disonesti, ma ancora di più è fermezza e chiarezza, ma direi di più, tutela dei cittadini onesti che si comportano seriamente.
Dunque, il rispetto delle regole costituzionali è dettato principalmente dall'obiettivo di voler fare meglio, di più e fare qualcosa che possa dare effettivamente un risultato. Vi è un pronunciamento del tribunale di Torre Annunziata di pochi giorni fa, il quale non ravvisa, ad esempio, i presupposti di necessità ed urgenza, in quanto spiega che, già nella presentazione del provvedimento, vi è scritto che la fase acuta è superata e adesso bisogna approvare delle norme che diano un po' di stabilità alla situazione.
Dunque, dicevo che si è parlato di ragionevolezza. Crediamo che la ragionevolezza debba essere proprio di quest'Aula. Allora, siamo convinti che norme ferme ci vogliano, ma vogliamo delle norme che siano realmente applicabili. Abbiamo il sospetto, il dubbio e la preoccupazione che queste norme rischiano di essere norme manifesto da sbandierare per uno o due mesi. Inoltre, si rischia, come è successo altre volte, di andare ad intasare in quella regione l'operatività della giustizia.Pag. 60
Quindi, proprio per questi motivi abbiamo dichiarato il nostro voto. Il Governo stamattina era rappresentato dal suo, passatemelo, massimo esponente nel campo, il super sottosegretario Bertolaso, del quale apprezziamo molta parte del lavoro e che ha offerto una vera disponibilità a cambiare questo provvedimento. Proprio per questo noi voteremo a favore della questione pregiudiziale per fare in modo che subito, il giorno dopo, ci si metta intorno ad un tavolo, si trovino delle norme ferme, decise e chiare per risolvere il problema e per non fare demagogia (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. Per sua conoscenza, le ricordo, come ho detto prima, che, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 3, quarto periodo del Regolamento, si procederà ad un'unica votazione sulle questioni pregiudiziali presentate.
Ha chiesto di parlare l'onorevole Iannaccone. Ne ha facoltà.

ARTURO IANNACCONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi il decreto-legge del 6 novembre 2008 n. 172, recante misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania, presenta tutti i requisiti di costituzionalità.
Ragion per cui, il Movimento per l'Autonomia voterà contro le questioni pregiudiziali Di Pietro ed altri n. 1 e Amici ed altri n. 2. Com'è noto a tutti, la regione Campania sta lentamente uscendo da una situazione di grave emergenza, che ha causato ingenti danni di immagine e una mortificante penalizzazione della sua economia.
Tutte le prime pagine dei quotidiani internazionali hanno riportato le foto di una Napoli sommersa da tonnellate di rifiuti, constatando, allora, l'impotenza delle istituzioni e rilevando le enormi responsabilità del precedente Governo e del centrosinistra campano, che ha amministrato e continua ad amministrare la regione.
È solo grazie alle misure adottate da questo Esecutivo e alla particolare dedizione del Presidente del Consiglio se l'emergenza è stata sostanzialmente superata e se il problema dello smaltimento dei rifiuti è stato affrontato strutturalmente e sistematicamente, avviandolo così ad una sua definitiva soluzione.
Il decreto-legge in esame si è reso necessario proprio per la peculiarità della situazione campana; è proprio in virtù di questa particolarità che il provvedimento limita al solo territorio campano e alle sole aree in cui vige lo stato di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti l'applicazione delle sanzioni previste dall'articolo 6.
Il decreto-legge prevede una specifica disciplina sanzionatoria nei confronti dei soggetti che, in modo incontrollato e in mancanza di autorizzazione, abbandonano, scaricano o depositano nel suolo o sottosuolo o immettono in acque rifiuti speciali pericolosi o ingombranti.
Queste sanzioni vengono estese anche a chi effettua attività di trasporto, recupero, smaltimento e commercio di rifiuti in mancanza delle relative autorizzazioni.
All'eccezionalità della situazione venutasi a creare in quel determinato territorio si provvede con sanzioni tali che altrove, in condizioni di normalità e di regolare gestione del ciclo dei rifiuti, risulterebbero sproporzionate.
Pertanto il provvedimento non viola il principio di uguaglianza, espressamente indicato dalla nostra Costituzione all'articolo 3. La nostra valutazione è la stessa relativamente all'altra questione pregiudiziale di costituzionalità, Amici ed altri n. 2, su cui il Movimento per l'Autonomia voterà contro (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Movimento per l'Autonomia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pecorella. Ne ha facoltà.

GAETANO PECORELLA. Signor Presidente, dico subito che le questioni di pregiudizialità sono manifestamente infondate e dico anche che non riceviamo lezioni di costituzionalità dall'Italia dei Valori, visto che spesso il rappresentante di questo gruppo politico ha tenuto pocoPag. 61conto della Costituzione (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).
Anzitutto va chiarito che l'articolo 6 non si riferisce alla sola Campania né ad uno specifico territorio. È applicabile in tutto il territorio nazionale, in più regioni o anche in una sola regione, a condizione che sia dichiarato lo stato di emergenza. L'articolo 6 non ha limiti territoriali, ma temporali. È lo stato di emergenza che delimita il tempo e i luoghi in cui la legge trova applicazione (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
Altro non è che una norma eccezionale, prevista dall'articolo 2 del codice penale, che nessuno si è mai sognato di impugnare per costituzionalità. Per cui, certamente apprezzo le considerazioni dell'onorevole Zaccaria, che, però, evidentemente, di codice penale non ne sa molto, perché ci dice che, essendo una norma eccezionale e temporanea, è una norma incostituzionale. Così ci ha detto (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà)!
L'articolo 3 della Costituzione, d'altra parte, non impone un uguale trattamento a situazioni diverse, ma, al contrario, un trattamento differenziato a seconda della diversità delle situazioni, perché la massima ingiustizia sarebbe trattare nello stesso modo situazioni diverse.
Sarebbe del tutto irragionevole, d'altra parte, questo sì, se applicassimo una legge penale che ha per presupposto lo stato di emergenza a situazioni in cui tale stato non c'è.
Si sostiene l'illegittimità dell'articolo 6 sotto un altro profilo: le limitazioni alla libertà personale discenderebbero da provvedimenti di carattere amministrativo.
Questo è ancor meno sostenibile: la sanzione discende solo dalla norma penale, che è integrata da un atto della pubblica amministrazione. Ci sono decine di casi analoghi, a partire dalla contravvenzione che punisce chi non ottempera ad un ordine dell'autorità. Più di questo, per dire che un provvedimento amministrativo può essere sorretto da una sanzione penale, credo che non sia il caso di andare a cercare; e su questa norma la Corte costituzionale - questo certamente l'onorevole Zaccaria lo sa - è intervenuta e ha dichiarato che la norma è costituzionale.
Infine, sarebbe violato il principio di ragionevolezza, perché sarebbe prevista la stessa sanzione per chi abbandona i rifiuti pericolosi o speciali, ovvero i rifiuti domestici ingombranti. La Corte costituzionale ha detto più volte che il trattamento sanzionatorio rientra nella discrezionalità del legislatore. Infatti, molte sono le variabili che possono incidere sulla misura della pena: basterebbe pensare alla maggiore o minore diffusività sul territorio di un reato per stabilire che in alcune situazioni i comportamenti vanno puniti più gravemente di altri.
Dunque, se la questione è infondata, non possiamo che votare contro, pregando ancora una volta di evitare di dirci che volete aiutarci a capire che cosa la Costituzione prevede, che cosa è costituzionale e che cosa è incostituzionale (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, passiamo ai voti.
Avverto che è stata chiesta la votazione nominale mediante procedimento elettronico.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulle questioni pregiudiziali Di Pietro ed altri n. 1 e Amici ed altri n. 2.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazionia ).

(Presenti 522
Votanti 518
Astenuti 4
Maggioranza 260
Hanno votato
246
Hanno votato
no 272).

Prendo atto che il deputato Valducci ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto contrario.Pag. 62
La discussione sulle linee generali avrà luogo in altra seduta.

Discussione del disegno di legge: S. 1083 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 ottobre 2008, n. 154, recante disposizioni urgenti per il contenimento della spesa sanitaria e in materia di regolazioni contabili con le autonomie locali (Approvato dal Senato) (A.C. 1891) (Esame e votazione di questioni pregiudiziali) (ore 19,20).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 ottobre 2008, n. 154, recante disposizioni urgenti per il contenimento della spesa sanitaria e in materia di regolazioni contabili con le autonomie locali.

(Esame di questioni pregiudiziali - A.C. 1891)

PRESIDENTE. Avverto che ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 3, del Regolamento sono state presentate le questioni pregiudiziali Vietti ed altri n. 1 e Di Pietro ed altri n. 2 (Vedi l'allegato A - A.C. 1891).
A norma del comma 4 dell'articolo 40 del Regolamento, nel concorso di più questioni pregiudiziali ha luogo un'unica discussione. In tale discussione, ai sensi del comma 3 del medesimo articolo 40, potrà intervenire, oltre ad uno dei proponenti (purché appartenenti a gruppi diversi), per illustrare ciascuno degli strumenti presentati per non più di dieci minuti, un deputato per ognuno degli altri gruppi, per non più di cinque minuti.
Al termine della discussione si procederà ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 3, quarto periodo, del Regolamento, ad un'unica votazione sulle questioni pregiudiziali presentate.
L'onorevole Vietti ha facoltà di illustrare la sua questione pregiudiziale n. 1.

MICHELE GIUSEPPE VIETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, se l'onorevole Pecorella lo consente, e se l'onorevole Tassone si acquieta, vorrei muovere qualche rilievo di costituzionalità al decreto-legge in esame.
L'assioma dell'onorevole Pecorella non mi ha convinto: sostenere che per principio non possiamo discutere la costituzionalità delle leggi o invocare la Costituzione, censurando questo o quel profilo di un provvedimento, vorrebbe dire che stiamo celebrando un rituale inutile. Evidentemente, la Camera ha tra le sue prerogative anche la valutazione di costituzionalità; la Costituzione, come tutte le leggi, si presta ad interpretazioni opinabili, e dunque è evidente che l'opposizione fa il suo dovere, anche cercando di sottolineare le criticità, se non i profili di aperta incostituzionalità, dei provvedimenti che il Governo porta al suo esame.
L'articolo 1 del decreto-legge prevede la nomina da parte del Consiglio dei ministri di uno o più subcommissari, ponendo i relativi costi di tutta la gestione commissariale a carico delle regioni. Con un provvedimento statale si impongono cioè nuove spese a livelli di governo che sono dotati di autonomia finanziaria e contabile in materie riservate alla competenza legislativa concorrente (qui vi è certamente un profilo di violazione dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione).
Sempre lo stesso articolo prevede la sospensione di tutte le funzioni dei direttori generali delle aziende sanitarie locali, ospedaliere, di ricovero e cura ed universitarie in favore di soggetti attuatori dei provvedimenti commissariali (ma anche questo viola le competenze delle regioni loro attribuite in forza degli articoli 117 e 118 della Costituzione).
L'articolo 3 comprime l'autonomia delle regioni in materia di istruzione, materia affidata, com'è noto, alla competenza concorrente dello Stato e delle regioni, e prevede dei termini assolutamente insufficienti per perseguire gli obiettivi indicati, in violazione certamente del principio di buon andamento previsto dalla Costituzione. Com'è noto il Titolo V riformato assegna allo Stato la competenza legislativa in materia di norme generali sull'istruzione,Pag. 63ma poi attribuisce alla competenza regionale la programmazione della rete scolastica.
L'articolo 5 - lo dico anche agli amici della Lega, di cui attiro l'attenzione - prevede l'assegnazione di contributi ordinari ad alcuni comuni. Credo che ciò contrasti con il sistema di autonomia finanziaria di regioni ed enti locali così com'è stato disegnato dal legislatore del 2001: l'articolo 119 prevedeva il superamento del sistema di finanza locale derivata ed una vera e propria autonomia, almeno tendenziale, di entrata e di spesa di regioni ed enti locali, per favorire un virtuoso utilizzo delle risorse ed una maggiore responsabilità degli amministratori.
Su questa linea, la maggioranza, in particolare la Lega, ci chiede di andare oltre, di fare la riforma federalista, di accentuare l'autonomia impositiva e il principio di responsabilità: mi chiedo allora - e chiedo agli amici della Lega - se sia coerente con tutto ciò prevedere interventi speciali dello Stato diretti in favore di singoli comuni determinati per finanziare la spesa corrente (non, come potrebbe essere, per intervenire in via generale a rimuovere squilibri economici o sociali o comunque con scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni comunali, ma espressamente per «curare» buchi provocati da cattive gestioni nella spesa corrente).
Dico poi agli amici dell'MpA che questo provvedimento riduce ulteriormente il Fondo per le aree sottoutilizzate, che è diventato, se posso permettermi di utilizzare una citazione dell'onorevole Bersani, «la borsa di Mary Poppins», cioè una sorta di sporta da cui il Governo attinge continuamente, fino a raschiare il barile, le risorse esistenti per finanziare tutto e tutti. Con la modifica apportata al Senato è stata introdotta nel provvedimento un'ulteriore riduzione del FAS, il tutto per venire incontro a singole amministrazioni per finalità che non sono certamente riconducibili a quelle dell'articolo 119 della Costituzione.
Non spendo parole per richiamare la mancanza dei requisiti di straordinarietà, necessità ed urgenza perché ormai questa è una costante di tutti i decreti-legge (se infatti dovessimo fermarci a tale profilo, finiremmo per ripetere infinitamente la stessa litania), aggiungo però che vi è una palese incompatibilità per materia degli articoli aggiuntivi 2-bis, 2-ter e 5-bis nei quali si prevedono interventi per l'istituzione di organi di controllo con poteri di indirizzo per l'osservanza della disciplina legislativa e regolamentare in materie di terzo settore che, con il titolo e il contenuto del decreto-legge, ossia il contenimento della spesa sanitaria e le regolazioni contabili delle autonomie locali, non hanno assolutamente nulla a che fare.
Per tutto questo, si chiede che non si proceda all'esame del disegno di legge n. 1891 (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. L'onorevole Pisicchio ha facoltà di illustrare la questione pregiudiziale Di Pietro ed altri n. 2, di cui è cofirmatario.

PINO PISICCHIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, come veniva poco fa ricordato dal collega Vietti, il decreto-legge n. 154 del 2008, rispetto al quale abbiamo inteso porre una questione pregiudiziale, appare paradigmatico di una tendenza alla normazione, alla regolazione, di materie riservate dalla Costituzione alla competenza delle regioni sulla base di principi generali proposti dagli articoli che regolano i rapporti tra gli enti locali e l'autorità centrale. Si tratta di una tendenza che si manifesta contraddittoria rispetto all'affermazione del principio federalista, su cui lo stesso Governo ha impegnato una parte cospicua del suo programma; è il profilo identitario più celebrato da almeno una delle componenti della maggioranza.
L'occasione, dunque, appare importante non solo per riflettere sul piano giuridico-formale sulle scelte compiute dal decreto-legge, ma anche per considerare insieme - avendo il beneficio di qualche ascolto - le modalità con cui il Governo intenderà adottare il principio del federalismo, del rispetto delle autonomia locali,Pag. 64dell'attuazione coerente con l'impianto costituzionale di un sano impianto di devoluzione di competenze che dia senso a ciò che è stato affermato nel programma del Governo.
Va detto subito che alla luce dei principi costituzionali, il decreto-legge appare contraddittorio con riferimento a più di un aspetto. Come veniva ricordato, l'articolo 1 contrasta con l'articolo 117, terzo comma, della Costituzione nella parte in cui prevede la possibilità di nomina da parte del Consiglio dei ministri di uno o più subcommissari con il compito di affiancare il commissario ad acta, ponendo i costi derivanti dalla gestione commissariale a carico delle regioni interessate. Abbiamo, dunque, un provvedimento statale che impone nuove spese a livelli di governo dotati di autonomia finanziaria e contabile in materie riservate alla competenza legislativa concorrente. L'articolo 3, poi, stabilisce, attraverso l'intervento statale, una tempistica per la definizione dei piani di dimensionamento delle istituzioni scolastiche. La norma impone una normativa di dettaglio che si appalesa lesiva della competenza legislativa regionale in materia di istruzione, di cui al terzo comma dell'articolo 117 della Costituzione.
Dopo la riforma del Titolo V, infatti, la materia dell'istruzione è affidata alla competenza concorrente di Stato e regioni, mentre allo Stato è riservata solo la potestà legislativa esclusiva in materia di norme generali sull'istruzione. In tale contesto normativo e costituzionale, l'ambito di competenza legislativa regionale comprende la programmazione della rete scolastica, come, peraltro, ribadito anche dalla Corte costituzionale. Vi è un ulteriore aspetto del decreto-legge che pone al tempo stesso questioni di compatibilità costituzionale, ma anche di scelta politica generale: la rimozione del principio di responsabilità delle amministrazioni locali.
La logica, peraltro già affacciatasi nei provvedimenti collegati alla finanziaria 2009 con l'affermazione della tendenza a introdurre tagli indiscriminati che non tengono conto della qualità delle amministrazioni e del senso di responsabilità degli amministratori, viene riaffermata con questo provvedimento, scoraggiando così ogni esperienza di gestione virtuosa del bene pubblico poiché l'indistinzione nell'agire della norma nei confronti di prove di buona amministrazione, così come di condotte dissennate come quelle di chi opera sempre in condizione di deficit, non è ispirata dal necessario principio di equità.
Deve inoltre essere ricordato che l'articolo 119 della Costituzione prevede un superamento del sistema di finanza locale derivata mediante la realizzazione di una vera e propria autonomia di entrata e di spesa di regioni ed enti locali che favorisca un virtuoso utilizzo delle risorse ed una maggiore responsabilità degli amministratori. In realtà, le disposizioni contenute nel decreto intendono invece effettuare un intervento speciale e diretto dello Stato in favore di un comune determinato, quello di Catania, in condizioni di dissesto per finanziare la spesa corrente in aperto contrasto con la normativa costituzionale. L'intervento normativo è costituzionalmente illegittimo alla luce dell'articolo 119, quinto comma, della Costituzione. In aggiunta va ricordato che il sesto comma dell'articolo 119 esclude categoricamente la possibilità che gli enti locali possano ricorrere all'indebitamento al fine di finanziare spese che non siano per investimenti. La disposizione prevede inoltre il divieto imposto allo Stato di garantire i prestiti contratti dagli enti locali.
È pertanto evidente che le disposizioni in esame prevedono non una mera garanzia di per sé illegittima ma addirittura l'erogazione di somme a fondo perduto anche per ripianare obbligazioni contratte dalle autonomie locali, intervento ritenuto inopportuno dalla Corte costituzionale che in più occasioni ha affermato che la nuova disciplina costituzionale preveda una significativa riduzione dei trasferimenti erariali vincolati. È appena il caso poi di raccontare che la scelta di finanziare l'intervento legislativo proposto si realizza attingendo al Fondo per le aree sottoutilizzate (il FAS) istituito per finanziare interventi in favore di singole amministrazioniPag. 65per finalità riconducibili a quelle di cui al comma quinto dell'articolo 119 della Costituzione, e questa scelta francamente non appare proprio calligrafica.
Per tutte le ragioni che abbiamo sommariamente richiamato e per le altre ancora contenute nel documento presentato dal mio gruppo, l'Italia dei Valori, per la questione più generale dell'opportunità di aprire un dibattito pubblico su ciò che effettivamente il Governo intenda per federalismo e devoluzione, invito l'Aula ad accogliere le ragioni di pregiudizialità costituzionale che noi abbiamo posto (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Laura Molteni. Ne ha facoltà.

LAURA MOLTENI. Signor Presidente, a monte di questa questione pregiudiziale vi è anche la realtà dei disavanzi sanitari regionali. Attualmente ci troviamo in un momento storico politico nel quale lo Stato deve garantire i livelli essenziali delle prestazioni legati ai diritti civili e sociali e, quindi, proprio in questa fattispecie, stante l'articolo 117 della Costituzione (mi riferisco al secondo comma lettera m)), il commissario ad acta nelle regioni rappresenta di fatto un intervento sostitutivo dello Stato, ove lo Stato garantisce il diritto alla salute come competenza esclusiva e non riconducibile al tema della potestà concorrente. A breve, con l'introduzione del federalismo fiscale, si potrà dare piena attuazione alle prerogative da cui all'articolo 119 della Costituzione, e non sarà più possibile procedere a ripiani a piè di lista tout court, compresi quelli sulla spesa storica.
Inevitabilmente si determinerà una sostanziale trasformazione dei meccanismi e delle procedure di finanziamento dei livelli essenziali di assistenza sanitaria. In un sistema maturo di federalismo sanitario, tali situazioni di emergenza ben difficilmente si verificheranno in futuro. In questo senso, il federalismo fiscale costituirà un incentivo determinante per le regioni ad adottare effettivi meccanismi di controllo della spesa e di promozione dell'efficienza del funzionamento e dell'organizzazione delle strutture sanitarie.
Solo con il federalismo fiscale sarà possibile vincolare tutte le regioni anche quelle del sud al rispetto delle fondamentali regole di economia sanitaria nell'utilizzo delle limitate risorse disponibili. Ora, per quanto riguarda l'autorizzazione alle erogazioni di questo provvedimento, tali erogazioni sono comunque vincolate e subordinate a provvedimenti significativi in termini di effettiva e strutturale correzione degli adempimenti della spesa. Inoltre, questo provvedimento va anche nel senso del buongoverno perché queste somme erogate alle regioni sono di fatto erogate a titolo di anticipazione e sono oggetto di recupero, a valere su somme spettanti a qualsiasi titolo qualora la regione non attui il piano di rientro nella dimensione finanziaria stabilita.
Infine, per respingere anche le critiche relative ai piani di dimensionamento delle istituzioni scolastiche, si ricorda che è previsto il coinvolgimento attivo della Conferenza unificata (le regioni) al fine di disciplinare al meglio questa pianificazione. Pertanto, ritenendo rispettati gli indirizzi costituzionali esprimiamo voto contrario alle questioni pregiudiziali presentate (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Iannaccone. Ne ha facoltà.

ARTURO IANNACCONE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il Movimento per l'Autonomia voterà contro le questioni pregiudiziali Vietti ed altri n. 1 e Di Pietro ed altri n. 2 concernenti i profili di costituzionalità del decreto-legge 7 ottobre 2008, n. 154.
Il decreto-legge in oggetto corrisponde pienamente ai requisiti di straordinarietà, necessità e urgenza previsti dall'articolo 77 della Costituzione in quanto si affrontano problematiche relative al contenimento della spesa sanitaria e in materia di regolazioni contabili con le autonomie locali, che necessitano di risposte tempestive edPag. 66efficaci da parte del legislatore per evitare che si possa mettere a rischio l'erogazione di un servizio fondamentale come l'assistenza sanitaria nelle regioni dove è presente un grave squilibrio di bilancio e il buon funzionamento di amministrazioni comunali che, proprio nell'ottica di un razionale ed equilibrato progetto di riforma federalista fiscale ed istituzionale, devono essere in grado di corrispondere alle loro funzioni.
Anche in materia di dimensionamento della rete scolastica si fa presente che tale questione ha già origine in precedenti provvedimenti assunti dal Governo Prodi e che il ruolo delle regioni viene assolutamente rispettato, poiché l'articolo 3 prevede la stipula di un'intesa, in sede di Conferenza unificata, per disciplinare l'attività di dimensionamento della rete scolastica che dovrà, quindi, da un lato corrispondere all'esigenza di razionalizzazione e di contenimento della spesa ma, dall'altro e ancora di più, tener conto delle peculiarità dei singoli territori, tutelando i piccoli comuni, i comuni montani e le zone disagiate.
Per tali ragioni, ritenendo infondate sul piano costituzionale le pregiudiziali sollevate dall'opposizione, il Movimento per l'Autonomia voterà contro di esse.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Misiani. Ne ha facoltà.

ANTONIO MISIANI. Signor Presidente, consideriamo fondati e condivisibili i rilievi di costituzionalità che sono stati sollevati in merito ai contenuti del decreto-legge in esame. Sono fondati i temi sollevati in merito all'articolo 1, perché effettivamente si pongono a carico di enti dotati di autonomia finanziaria nuove spese e su materie di competenza concorrente tra lo Stato e le regioni, e si interviene, con una normativa di dettaglio, nel funzionamento dell'organizzazione sanitaria, laddove la Costituzione è molto chiara e affida la tutela della salute alla competenza, ancora una volta, legislativa concorrente tra lo Stato e le regioni.
Lo stesso vale per l'articolo 3, che interviene, ancora una volta, in modo eccessivamente dettagliato e stringente su un tema, l'istruzione, ed in particolare la programmazione della rete scolastica, che è chiaramente competenza regionale, come ribadiscono anche sentenze della Corte costituzionale; lo fa, oltretutto, ponendo termini veramente brevi per l'adempimento di questi obiettivi.
Vi è un articolo su cui vorrei soffermarmi un po' di più e che maggiormente solleva questioni di costituzionalità: è l'articolo 5, che interviene con contributi ed erogazioni speciali a favore di alcuni enti locali. La Costituzione, all'articolo 119, è molto chiara da questo punto di vista: si supera il sistema della finanza derivata - lo dice la Costituzione e lo riconferma la Corte costituzionale in una serie di sentenze - e si afferma un principio di responsabilità che ispira il nuovo ordinamento finanziario.
Gli amici della Lega Nord, del Movimento per l'Autonomia e della maggioranza ci dovrebbero spiegare come si concilia col principio di responsabilità l'erogazione a Catania, per coprire disavanzi correnti, senza piano di rientro e senza alcuna responsabilizzazione degli amministratori coinvolti, di 140 milioni di euro una tantum. Allo stesso modo, chiediamo come si concilia con il dettato costituzionale il finanziamento, a decorrere dal 2010, concesso al comune di Roma, che naturalmente è capitale della Repubblica ed ha dei costi extra per queste funzioni; un finanziamento speciale concesso in modo discrezionale, senza alcun riferimento con le normative di attuazione del Titolo V, articolo 114, terzo comma, della Costituzione che, com'è noto, non è ancora stato tradotto in una norma di legge ordinaria.
La Costituzione, sul piano dei trasferimenti - e questi sono trasferimenti - dice parole molto chiare: i trasferimenti, nel nuovo ordinamento finanziario, sono ammessi o se sono perequazione o se sono finalizzati alla promozione dello sviluppo economico, coesione, solidarietà sociale (quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione). Con la norma in esame siamo completamente al di fuori di quanto staPag. 67scritto nell'articolo 119 della Costituzione e queste erogazioni - forse potrebbero esser meglio definite elargizioni - vengono oltretutto finanziate saccheggiando, per l'ennesima volta, il Fondo per le aree sottoutilizzate che, quello sì, sarebbe coerente con il dettato del quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione.
Allora, dove sta la responsabilità sancita dall'articolo 119 della Costituzione? Dove sta il federalismo fiscale nel decreto-legge n. 154 del 2008? Abbiamo tre articoli (il primo, il terzo ed il quinto) che invadono il terreno di competenza delle regioni ed abbiamo l'articolo 5 in totale contraddizione con quanto avete scritto nel disegno di legge governativo di attuazione del federalismo fiscale e di attuazione dell'articolo 119 della Costituzione. Voi scrivete sulla carta parole di responsabilità, ma nella pratica replicate le pratiche centraliste del passato e replicate la finanza irresponsabile.
Per questo motivo voteremo a favore delle questioni pregiudiziali di costituzionalità presentate (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Barani. Ne ha facoltà.

LUCIO BARANI. Signor Presidente, le questioni pregiudiziali presentate dai parlamentari dell'Unione di Centro e dell'Italia dei Valori appaiono, per il nostro gruppo, manifestamente infondate ed avanzate solo per onor di firma.
Sui vari rilievi sollevati nei confronti del decreto-legge n. 154 del 2008 vi è da osservare quanto segue: in primo luogo, il provvedimento in esame, all'articolo 1, violerebbe - ci dicono - il terzo comma dell'articolo 117 della Costituzione. Tuttavia noi, al riguardo, diciamo che vi è da osservare, prima di tutto, che siamo di fronte ad un provvedimento diretto al risanamento della gestione sanitaria di alcune regioni e quindi è evidente che i costi della gestione commissariale non possano essere finanziati a parte, in quanto rientranti nell'operazione complessiva.
Inoltre, siamo di fronte a materie riservate alla competenza legislativa concorrente e quindi le regioni possono anche concorrere nelle spese, lo dice la parola stessa.
In secondo luogo, la questione pregiudiziale rileva che l'articolo 1 prevede «la possibilità di sospensione delle funzioni dei direttore generali delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere» e così via, evidentemente in presenza di notevoli problematiche gestionali. Siamo di fronte ad una materia dove vi è una competenza legislativa concorrente, ma siamo anche di fronte ad una grave emergenza finanziaria, in cui si richiedono esborsi notevoli allo Stato per consentire la continuazione dell'erogazione delle prestazioni del sistema sanitario nazionale. È logico, quindi, consentire la rimozione di dirigenti che non si sono dimostrati all'altezza del compito, per cui il cavillo sollevato dai presentatori della questione pregiudiziale è del tutto pretestuoso.
In terzo luogo, viene criticato l'articolo 3 in quanto prevaricherebbe le prerogative regionali in una materia di legislazione concorrente, quali sono le istituzioni scolastiche rientranti nelle competenze delle regioni e degli enti locali, ma si tratta solo di una norma che sollecita esclusivamente l'attuazione di un provvedimento varato nel giugno scorso, che resta sempre affidata a regioni ed enti locali. Quindi, ci troviamo di fronte ad un provvedimento di buon senso, che nulla ha a che fare con problemi di costituzionalità, i quali vengono avanzati, evidentemente, solo per ragioni pretestuose.
In quarto luogo, viene criticato l'articolo 5 del provvedimento, che dispone l'erogazione di 500 milioni di euro al comune di Roma, il quale, com'è noto, è stato lasciato in pessime condizioni dalla gestione dell'ex sindaco Veltroni. Saremmo di fronte alla violazione del comma 5 dell'articolo 119 della Costituzione, in quanto questo consentirebbe di destinare risorse aggiuntive statali ai comuni solo per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale. È evidente che queste finalità non potrebbero esserePag. 68perseguite dal comune di Roma qualora venisse completamente bloccata la sua attività per assoluta carenza di disponibilità di cassa. Questo, infatti, è il vero problema che si è dovuto fronteggiare e che ha fronteggiato il sindaco Alemanno, e appare curioso che venga contestato tenendo conto delle particolari funzioni attribuite alla città di Roma in quanto capitale d'Italia, il ché, com'è noto, comporta notevoli oneri aggiuntivi delle casse comunali di tale città.
In quinto luogo, viene criticata l'utilizzazione del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS), per finanziare interventi a favore di singole amministrazioni. A tale riguardo vi è da dire che questo non può essere, senza dubbio, un rilievo di carattere costituzionale e, comunque, si tratta di un'operazione transitoria in quanto il FAS sarà sicuramente reintegrato.
Infine, l'ultimo punto, sicuramente il più ridicolo: si fa riferimento all'articolo 77 della Costituzione circa la carenza dei requisiti di necessità e di urgenza. È evidente che, di fronte al pericolo di un blocco dell'erogazione delle prestazioni sanitarie, i requisiti di urgenza vi sono tutti quanti e sollevare questo problema è sicuramente falso e pretestuoso.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

LUCIO BARANI. Pertanto, respingiamo al mittente, senza «se» e senza «ma», le questioni pregiudiziali sollevate (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, passiamo ai voti.

ROBERTO GIACHETTI. Un attimo, signor Presidente...

PRESIDENTE. Non c'è problema, onorevole Giachetti, aspettiamo. Abbiamo aspettato tutta la giornata! I colleghi possono prendere posto.
Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sulle questioni pregiudiziali Vietti ed altri n. 1 e Di Pietro ed altri n. 2.
(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.
Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazionia ).

(Presenti 528
Votanti 525
Astenuti 3
Maggioranza 263
Hanno votato
252
Hanno votato
no 273).

Avverto che la discussione sulle linee generali del provvedimento avrà luogo in altra seduta.

Deliberazione sulla richiesta di stralcio relativa alla proposta di legge n. 977 (ore 19,50).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca deliberazione su una richiesta di stralcio.
La XII Commissione (Affari sociali), nel corso dell'esame della proposta di legge Livia Turco ed altri: «Interventi per la qualità e la sicurezza del Servizio sanitario nazionale. Deleghe al Governo in materia di assistenza primaria e di emergenza sanitaria territoriale, di riorganizzazione degli enti vigilati, di farmacie e per il coordinamento della disciplina legislativa in materia sanitaria» (977), ha deliberato di chiedere all'Assemblea lo stralcio degli articoli da 7 a 19.
Avverto che, ai sensi dell'articolo 41, comma 1, del Regolamento darò la parola ad un oratore contro e ad uno a favore.
Ha chiesto di parlare a favore l'onorevole Livia Turco. Ne ha facoltà.

LIVIA TURCO. Signor Presidente, come ha lei ha detto, noi abbiamo presentato, all'inizio della legislatura, un progetto organico di ammodernamento del sistema sanitario che si chiama «Qualità e sicurezza del sistema sanitario». Esso affronta, con una visione di insieme dalla parte del cittadino, l'ammodernamento del sistema sanitario e temi quali l'adeguamentoPag. 69dei livelli essenziali di assistenza, la riorganizzazione della medicina territoriale e l'adeguamento degli strumenti per la collaborazione istituzionale tra Governo e regione.
Una parte rilevante di questo provvedimento affronta un tema che è diventato cruciale nel nostro Paese: il rapporto tra politica e sanità e la necessità che il Governo della sanità sia sempre più all'insegna della trasparenza, del merito e della competenza. Lo stralcio vuole essere un contributo affinché il Parlamento deliberi in tal senso.

PRESIDENTE. Nessuno chiedendo di parlare contro, passiamo ai voti.
Pongo in votazione, mediante procedimento elettronico, senza registrazione di nomi, la richiesta di stralcio relativa agli articoli da 7 a 19 della proposta di legge n. 977.
(È approvata).

La proposta di legge risultante dallo stralcio dei suddetti articoli, con il numero 977-ter e con il titolo: «Disposizioni in materia di efficienza e funzionalità del Servizio sanitario nazionale», è assegnata alla XII Commissione (Affari sociali), in sede referente, con il parere delle Commissioni I, II, V, VI, VII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
La restante parte della proposta di legge, con il numero 977-bis e con il titolo: «Principi e funzioni del Servizio sanitario nazionale. Deleghe al Governo in materia di assistenza primaria e di emergenza sanitaria territoriale, di riorganizzazione degli enti vigilati, di farmacie e per il coordinamento della disciplina legislativa in materia sanitaria», resta assegnata alla XII Commissione (Affari sociali), in sede referente, con il parere delle Commissioni I, II, V, VI, VII, XI, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

La trattazione degli ulteriori argomenti iscritti all'ordine del giorno è rinviata ad altra seduta.

Costituzione della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere.

PRESIDENTE. Comunico che, nella seduta odierna, la Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, ha proceduto alla elezione dei vicepresidenti e dei segretari.
Sono risultati eletti: vicepresidenti, il deputato Benedetto Fabio Granata e il senatore Luigi De Sena; segretari, il senatore Giampaolo Vallardi e il deputato Francantonio Genovese.

Sull'ordine dei lavori e per la risposta ad uno strumento del sindacato ispettivo (ore 19,53).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori, a titolo personale l'onorevole D'Amico. Ne ha facoltà.

CLAUDIO D'AMICO. Signor Presidente, ho chiesto di intervenire ora dal momento che per svolgere gli interventi per fatto personale occorre attendere la fine della seduta. L'onorevole Colombo oggi ha detto delle cose non vere. Pertanto, devo ribadire a quello che ha detto, citando e prendendo spunto da una mia dichiarazione di alcuni giorni fa.
La prima cosa che devo dire, signor Presidente, è che, quando l'onorevole Colombo afferma di non aver potuto concludere il proprio intervento, il 13 novembre, non dice la verità. Vi leggerò infatti il suo intervento e capirete che non può essere stato quello il motivo della sua affermazione.
L'onorevole Colombo il 13 novembre ha detto: «La buona notizia sta nelle parole che oggi il Capo dello Stato - credo che ci riguardino molto - ha espresso: debbono cadere vecchi pregiudizi, occorre un clima di apertura e di apprezzamento verso gli stranieri. Il Capo dello Stato ha invitato a rispettare gli elementari diritti umani che non possono conoscere barriere».Pag. 70
Questa era la frase detta dall'onorevole Colombo, compiuta e finita. Lui ha tagliato a metà un'affermazione del Presidente della Repubblica che diceva esattamente: «Occorre un clima di apertura e apprezzamento verso gli stranieri che si fanno italiani». L'onorevole Colombo l'ha tagliata a metà riferendola a tutti gli stranieri, mentre il Capo dello Stato si riferiva solo agli stranieri che diventavano italiani. Questa è la prima affermazione che è stata strumentalizzata.
Devo aggiungere che il Capo dello Stato si è espresso anche in altri termini riferendosi all'immigrazione - è giusto citare queste parole - perché ha detto anche: «Resta comunque sempre valido il principio di netta distinzione tra immigrazione legale e illegale nel senso di incentivare la prima pur sottoponendola a procedure che tengano conto di necessità effettive e di ragionevoli limiti» come diciamo noi del gruppo della Lega «e di contrastare risolutamente la seconda» cioè quella illegale «in nome della legge e della sicurezza».
Si tratta di parole condivisibili ed anche noi della Lega chiediamo di mettere dei limiti all'immigrazione regolare e contrastare quella irregolare.
Inoltre l'onorevole Colombo ha detto che io avrei sostenuto che le affermazioni del Presidente sono frutto di una lucida follia, ma non è quello che ho detto. Vi rileggo il mio intervento: «Signor Presidente intervengo a titolo personale per dieci secondi per puntualizzare che l'onorevole Colombo nella sua lucida follia a favore dell'immigrazione legge anche a metà le frasi del Presidente della Repubblica»
Quindi, è palese che la lucida follia era riferita all'onorevole Colombo in quanto ha fatto dell'immigrazione uno dei suoi punti fondamentali.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

CLAUDIO D'AMICO. Concludo affermando anche che l'onorevole Colombo ha preso la parola molte volte contro la Lega Nord Padania e contro suoi esponenti e devo ribadire che quando ha affermato che le accuse da lui rivolte non sono mai state chiarite non ha detto la verità perché abbiamo sempre risposto puntualmente a tutte le accuse che ci ha mosso e abbiamo sempre smentito tutte le sue affermazioni. Come quando ci ha detto che il sindaco Mazzatorta, senatore della Repubblica, mandava i suoi vigili a picchiare dei nomadi con i bastoni: anche in quell'occasione avevamo risposto in modo preciso e puntuale.
L'onorevole Colombo, sempre con una delle sue affermazioni, ci ha detto che le nostre proposte nascono in una cultura di xenofobia ossessiva, claustrofobica e lontana dal mondo.

PRESIDENTE. Onorevole, deve concludere.

CLAUDIO D'AMICO. Mi scusi, ma ho cinque minuti e non mi sembra di averli utilizzati tutti.

PRESIDENTE. Mancano solo dieci secondi!

CLAUDIO D'AMICO. Quindi, ribatto e ribalto verso l'onorevole Colombo queste affermazioni e concludo con una citazione dell'onorevole Colombo del 9 ottobre 2008: «Alexander Hamilton ha detto: è vero noi siamo eccezionali, perché abbiamo in comune soltanto il futuro; non abbiamo riti, non abbiamo celebrazioni di raccolti, non abbiamo memorie, non eravamo insieme lo scorso anno, non abbiamo festeggiato i nostri figli nello stesso modo, non abbiamo nulla in comune, siamo arrivati adesso! Siamo eccezionali perché avremo in comune il futuro !»

PRESIDENTE. Grazie, onorevole D'Amico.

CLAUDIO D'AMICO. Signor Presidente, non mi tolga l'ultima battuta.

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole, ha parlato trenta secondi in più.

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CLAUDIO D'AMICO. Quella era l'America del settecento ora viviamo...

PRESIDENTE. La ringrazio!

SOUAD SBAI. Chiedo di parlare.

CLAUDIO D'AMICO. Mi lasci finire!

PRESIDENTE. Chiedo scusa, il Regolamento vale per tutti, sia per i componenti della maggioranza che dell'opposizione. Lei, onorevole D'Amico, ha già utilizzato i suoi cinque minuti. Pertanto, adesso ha facoltà di parlare sull'ordine dei lavori l'onorevole Sbai. Prego, onorevole.

SOUAD SBAI. Signor Presidente, onorevoli colleghi intervengo per condividere con voi (e sono sicura che sarà così o comunque me lo auguro), con questa Aula, un'importante notizia appena battuta dalle agenzie.
Più di un centinaio di presunti terroristi integralisti islamici sono stati legalmente perseguiti dall'unione congiunta delle forze dell'ordine a cui va il mio - ma sono sicura - il nostro plauso (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà e di deputati del Partito Democratico), auspicando che un giorno il terrorismo venga sconfitto.

PRESIDENTE. Onorevole Sbai, anche la Presidenza si unisce al suo auspicio e condivide le sue parole.

MARCO ZACCHERA. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARCO ZACCHERA. Signor Presidente, intervengo molto velocemente e solo per sollecitare una risposta, da parte del Governo, all'interrogazione a risposta scritta n. 4-00885 da me presentata il 31 luglio di quest'anno, nel corso della seduta n. 46.

PRESIDENTE. Onorevole Zacchera, la Presidenza si attiverà in tal senso.

MARCELLO DE ANGELIS. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARCELLO DE ANGELIS. Signor Presidente, anche il mio intervento sarà molto breve. Apprendo dalle agenzie di stampa che un nostro ex collega, l'attuale sindaco dell'Aquila, Massimo Cialente, sarebbe stato fatto oggetto di atti di intimidazione, con un tentativo di bruciare il portone del comune e con l'invio di un proiettile per posta.
Voglio esprimere a Massimo Cialente la mia solidarietà e, spero, anche la solidarietà dell'Assemblea (Applausi).

LAURA MOLTENI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

LAURA MOLTENI. Signor Presidente, proseguo l'intervento dell'onorevole D'Amico, riportando l'ultima frase poiché prima non gli è stato concesso di terminare. «Quella era l'America del Settecento. Ora viviamo nell'Europa del Duemila e noi, signor Presidente, al contrario di Hamilton, riteniamo di essere eccezionali perché abbiamo in comune una storia, un'identità e un futuro che si deve delineare, sviluppando e mantenendo queste nostre tradizioni e identità».
Questo a onore e rispetto del collega D'Amico e chiedo che nel testo del suo intervento venga trascritta questa frase, che lui stava terminando.

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, intervengo per un richiamo al Regolamento. Nell'innovazione costante che facciamo dei nostri Regolamenti parlamentari ora abbiamo anche istituito il passaggio di parola, cioè dove non finisce un oratore riprende un altro e prosegue la conversazione. Questo non solo ci illumina,Pag. 72ma ci dà l'opportunità di preannunciarle che domani sicuramente sarà necessario fare delle precisazioni in corso di approvazione del processo verbale sullo stenografico di oggi, il che ovviamente avrà degli effetti riguardo ai lavori della nostra Aula (che anche a noi stanno molto a cuore).
Quindi volevo preannunciare, a lei e a tutti i colleghi, che credo sarà un dibattito appassionato e sull'ordine dei lavori, certamente la Presidenza sarà interrogata domani formalmente. Mi auguro che tanti colleghi dell'opposizione possano in questo senso raccogliere il mio invito e che domani mattina saremo in molti ad intervenire sull'ordine dei lavori. Cercheremo di porre delle questioni che riguardano il modo attraverso il quale stiamo in quest'Aula, senza ovviamente in alcun modo sindacare la sua Presidenza che, come lei sa, per quanto ci riguarda, è perfetta.
Tuttavia, è del tutto evidente che non è pensabile che si faccia un intervento a titolo personale a nome di un gruppo, perché se è a titolo personale non può essere a nome di un gruppo, altrimenti è a nome di un gruppo e non è un intervento a titolo personale, a meno che non vi sia un gruppo composto da una sola persona, ma non mi pare questo il caso.
Diversamente, è obiettivamente poco accettabile che si utilizzino minuti e minuti per «sparare» addosso a un collega che è intervenuto nel corso della seduta e che questi venga denigrato in tal modo in sua assenza, pensando che ciò non produca effetti da parte dei colleghi (non solo da parte dei colleghi del gruppo di appartenenza, ma anche degli altri), a tutela della dignità di ciascuno di noi. Lo ripeto, credo che sia poco accettabile che venga trattato in questo modo.
Volevo dire che, siccome la sera ciascuno di noi ha sicuramente molti turbamenti che ci portano a considerazioni e valutazioni che ciascuno può fare, volevo preannunciarle che da domani il mio gruppo si sente, non solo solidale con l'onorevole Colombo, ma anche impegnato a far sì che non si costituiscano precedenti rispetto agli interventi che proseguono con parole che passano di bocca in bocca e poi, soprattutto, il merito di questa questione inizia a diventare molto interessante (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. La ringrazio per la cortesia istituzionale e per l'informazione che ha voluto dare alla Presidenza.

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO. Signor Presidente, intervengo solo per rammentare al collega Giachetti che «denigrato» non era il termine migliore.

Ordine del giorno
della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Mercoledì 19 novembre 2008, alle 10:

(ore 10 e ore 16).

1. - Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 1038 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 settembre 2008, n. 147, recante disposizioni urgenti per assicurare la partecipazione italiana alla missione di vigilanza dell'Unione europea in Georgia (Approvato dal Senato) (1802).
Relatori: Stefani, per la III Commissione e Cicu, per la IV Commissione.

2. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 20 ottobre 2008, n. 158, recante misure urgenti per contenere il disagio abitativo di particolari categorie sociali (1813-A).
Relatore: Gibiino.

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3. - Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 1072 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 2 ottobre 2008, n. 151, recante misure urgenti in materia di prevenzione e accertamento di reati, di contrasto alla criminalità organizzata e all'immigrazione clandestina (Approvato dal Senato) (1857).
Relatori: Santelli, per la I Commissione e Scelli, per la II Commissione.

4. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 9 ottobre 2008, n. 155, recante misure urgenti per garantire la stabilità del sistema creditizio e la continuità nell'erogazione del credito alle imprese e ai consumatori, nell'attuale situazione di crisi dei mercati finanziari internazionali (1762-A).
Relatore: Conte.

5. - Seguito della discussione delle mozioni Veltroni ed altri n. 1-00057, Stracquadanio ed altri n. 1-00062, Casini ed altri n. 1-00063 ed Evangelisti ed altri n. 1-00064 concernenti detrazioni fiscali per i redditi da lavoro dipendente e da pensione e misure di finanza pubblica per la riduzione della pressione fiscale sulle famiglie e a favore delle persone che perdono il lavoro.

(ore 15).

6. - Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

La seduta termina alle 20,05.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO GIANNI FARINA SUL COMPLESSO DEGLI EMENDAMENTI RIFERITI AL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 1802

GIANNI FARINA. Signor Presidente, la posizione del gruppo Partito Democratico in riferimento al decreto sulle missioni, favorevole senza tentennamenti, mi porta a fare alcune considerazioni di carattere generale.
Devo innanzitutto prendere atto di un contesto più favorevole rispetto al recente passato.
Sia la passata crisi georgiana che la recente elezione del nuovo Presidente degli Stati Uniti ci permettono di sperare che il clima politico possa cambiare.
Che il ruolo dell'Europa possa, diversamente dal passato, essere quello che compete ad una grande Unione democratica , protagonista nel contesto globale, sia per quanto riguarda la politica economica ed energetica, sia per l'azione globale a difesa della pace.
Nel conflitto russo-georgiano, l'Europa, forse per la prima volta, ha saputo svolgere un ruolo fondamentale.
Ha dialogato con Russia e Georgia, ascoltando e valutando attentamente le ragioni di ognuno, esprimendo una propria unitaria opinione, riaffermando il rispetto della integrità territoriale della Georgia nel contesto del rafforzamento della collaborazione solidale tra popoli e nazioni.
L'Europa ha parlato alla Russia e alla Georgia lo stesso linguaggio.
Ha presentato il suo volto migliore.
Non sempre avvenuto nel passato come ci ricordano le tragiche vicende della ex Iugoslavia e per ultimo il Kossovo.
Ha portato il messaggio della pace unendolo alla sua grande tradizione democratica occidentale.
L'unica strada possibile che parte dalla consapevolezza della complessità della modernità globale e richiede l'entrata in campo di nuovi grandi attori internazionali.
Ha riaffermato l'indispensabilità di uno stretto rapporto tra l'Europa e gli Stati Uniti, fattore decisivo per governare positivamente i cambiamenti indispensabili in ogni campo.
Non si fa una seria politica estera, vale per gli Stati Uniti ma vale anche e soprattutto per l'Italia, in solitudine andandoPag. 74a Mosca nel pieno della crisi georgiana, dando più di una impressione di aver fatto una scelta.
Si illude la Russia sul fatto che sia possibile costruire attorno ai suoi confini una serie di staterelli a sovranità limitata sia per quanto riguarda la Georgia che per l'Ucraina o l'Armenia, domani.
Il fanatismo, il terrorismo lo si sconfigge con l'unità europea e con una nuova unità atlantica.
E lo si sconfigge non solo sul piano militare, anche se ciò è indispensabile, lo si sconfigge prosciugando il mare in cui sguazza il virus malsano.
Lo si sconfigge con il protagonismo della società civile.
Convincendola, con azioni concrete, che la pace e la convivenza sono possibili, la collaborazione tra gli Stati, utile e necessaria.
Affermiamo l'orgoglio per il ruolo dell'Italia.
Il rispetto di cui godono le Forze armate, nei Balcani come in Iraq, in Afganistan come in Libano.
Un investimento ben speso tutto dentro la tradizione politica, civile e democratica di una grande nazione.
Ripeto: in politica estera non ci si può dividere.
Quello che divide una piccola da una grande nazione è proprio questo. Unità nella politica estera. Condivisione delle grandi scelte.
Scelte da cui dipendono i destini nostri della repubblica, dell'Europa e del mondo.
Non stantie e superate politiche personali come usa fare spesso il nostro Presidente del Consiglio. Al contrario, una stretta unità nel contesto europeo.
Coordinamento e unità della politica estera europea: può essere la svolta per poter assumerci nuove e più importanti responsabilità a livello mondiale.
Occorre dare ai popoli del Medio Oriente la certezza, il messaggio che l'Italia e l'Europa sono presenti con il volto migliore.
In Georgia come in Afganistan, in Libano come nelle martoriate regioni africane e ovunque.
Con lo strumento militare, ma anche e soprattutto con le azioni civili per dare a quei popoli la speranza che un'altra strada è possibile. Che promozione e sviluppo , difesa e promozione dei diritti umani meritano l'impegno universale.
L'elezione di un nuovo Presidente degli Stati Uniti aperto ad una innovativa concezione della governance globale, una consolidata Unione europea sulle scelte fondamentali, possono rappresentare la svolta positiva.
L'Italia dell'antifascismo e della costituzione repubblicana può e deve fare la sua parte.

VOTAZIONI QUALIFICATE
EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO

INDICE ELENCO N. 1 DI 1 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 2)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
1 Nom. Ddl 1875 - quest. preg. nn. 1 e 2 522 518 4 260 246 272 64 Resp.
2 Nom. Ddl 1891 - quest. preg. nn. 1 e 2 528 525 3 263 252 273 60 Resp.

F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M = Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui è mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi è premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.