Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

Cerca nel sito

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe e abilitare il javascript

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute >>

XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 87 di lunedì 17 novembre 2008

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
ROCCO BUTTIGLIONE

La seduta comincia alle 12,40.

SILVANA MURA, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 14 novembre 2008.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Angelino Alfano, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Buonfiglio, Carfagna, Casero, Cicchitto, Colucci, Cossiga, Cota, Craxi, Crimi, Crosetto, Di Biagio, Donadi, Fitto, Frattini, Fugatti, Gelmini, Gibelli, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, Guzzanti, La Russa, Leone, Lupi, Mantovano, Maran, Maroni, Martini, Meloni, Menia, Micciché, Nirenstein, Prestigiacomo, Ravetto, Rigoni, Roccella, Romano, Ronchi, Rotondi, Soro, Stefani, Tremonti, Urso, Vitali e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Annunzio di petizioni (ore 12,42).

PRESIDENTE. Invito l'onorevole segretario a dare lettura delle petizioni pervenute alla Presidenza, che saranno trasmesse alle sottoindicate Commissioni.

SILVANA MURA, Segretario, legge:
FABIO RATTO TRABUCCO, da Chiavari (Genova), chiede:
l'estensione del diritto di voto per le elezioni regionali e locali a chi ha compiuto il sedicesimo anno di età (433) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
l'istituzione presso i tribunali di sezioni specializzate per i reati ambientali; (434) - alla II Commissione (Giustizia);
nuove norme per la tutela degli ecosistemi forestali (435) - alla VIII Commissione (Ambiente);
l'esenzione dalle spese nei giudizi in materia ambientale (436) - alla II Commissione (Giustizia);
misure di equa riparazione a favore di vittime delle stragi nazifasciste (437) - alla II Commissione (Giustizia);
la riforma della disciplina della tutela del diritto d'autore, nonché norme a tutela dell'uso personale di software, libri di testo e brani musicali (438) - alla VII Commissione (Cultura);
norme per la salvaguardia e la valorizzazione dei borghi dell'Alta Valmarecchia (439) - alla VII Commissione (Cultura);Pag. 2
il riconoscimento della Puglia quale regione frontaliera (440) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
il riconoscimento della patente europea pizzaioli (PEP) (441) - alla X Commissione (Attività produttive);
norme a tutela dei lavoratori dalla sindrome di burn-out (442) - alla XI Commissione (Lavoro);
norme per contrastare il fenomeno del mobbing (443) - alla XI Commissione (Lavoro);
l'ordinamento della professione di pedagogista (444) - alla VII Commissione (Cultura);
norme per l'attuazione degli obblighi dell'Italia in tema di repressione dei crimini di diritto internazionale (445) - alla III Commissione (Affari esteri);
l'istituzione di una Commissione d'indagine sulla condizione degli anziani in Italia (446) - alla XII Commissione (Affari sociali);
disposizioni in materia di donazione e utilizzo di cellule staminali (447) - alla XII Commissione (Affari sociali);
il riordino delle norme sulla montagna (448) - alla V Commissione (Bilancio);
l'istituzione del Difensore civico per l'ambiente (449) - alla II Commissione (Giustizia);
l'istituzione della Croce d'onore per meriti umanitari (450) - alla IV Commissione (Difesa);
l'introduzione della facoltà per il personale militare di chiedere un'anticipazione sull'indennità di liquidazione di fine servizio per l'acquisto della prima casa (451) - alla IV Commissione (Difesa);
la riforma della normativa che disciplina i diritti previdenziali dei lavoratori italiani emigrati all'estero (452) - alla XI Commissione (Lavoro);
l'istituzione di un meccanismo di controllo dei prezzi delle tariffe essenziali (453) - alla X Commissione (Attività produttive);
il riconoscimento dell'elettorato attivo e passivo agli stranieri (454) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
la reintroduzione della cosiddetta «scala mobile» (455) - alla XI Commissione (Lavoro);
nuove norme in materia di rappresentanze sindacali unitarie e sull'efficacia dei contratti collettivi di lavoro (456) - alla XI Commissione (Lavoro);
il riconoscimento del diritto di voto ai minori, rappresentati dai genitori (457) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
il riconoscimento del diritto di autodeterminazione al Land Süd Tirol-Provincia Autonoma di Bolzano (458) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
l'inquadramento dei vice-commissari della polizia penitenziaria nel ruolo dei commissari (459) - alla XI Commissione (Lavoro);
il trasferimento nei ruoli dello Stato degli insegnanti della scuola primaria dipendenti dalle amministrazioni comunali (460) - alla XI Commissione (Lavoro);
l'istituzione di una zona franca nel Comune di Trapani (461) - alla VI Commissione (Finanze);
norme per incentivare risparmi energetici e ridurre le emissioni di gas serra nelle pratiche agrosilvopastorali (462) - alla XIII Commissione (Agricoltura);
l'inquadramento dello sport del calcio quale attività meramente privata (463) - alla VII Commissione (Cultura);
misure a sostegno della ricerca e della cura delle malattie rare (464) - alla XII Commissione (Affari sociali);
norme per la valorizzazione e la salvaguardia della «Via Francigena» (465) - alla VII Commissione (Cultura);Pag. 3
disposizioni per la celebrazione del centenario della nascita di Giovannino Guareschi (466) - alla VII Commissione (Cultura);
il riconoscimento della professione di autista soccorritore (467) - alla XI Commissione (Lavoro);
l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno del terrorismo in Italia (468) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
nuove norme in materia di difficoltà specifiche d'apprendimento (469) - alla VII Commissione (Cultura);
la revisione e la razionalizzazione delle sedi e degli uffici giudiziari (470) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
norme contro le discriminazioni motivate dall'orientamento sessuale e dall'identità di genere e l'istituzione dell'Autorità per la lotta alle discriminazioni (471) - alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e II (Giustizia);
l'abrogazione delle norme in materia di equipollenza del diploma di laurea in scienze motorie al diploma di laurea in fisioterapia (472) - alla VII Commissione (Cultura);
esenzioni tributarie per i lavoratori transfrontalieri (473) - alla VI Commissione (Finanze);
l'istituzione dell'Ente nazionale per la gestione dei rifiuti radioattivi (474) - alla VIII Commissione (Ambiente);
il riconoscimento giuridico della razza del lupo italiano (475) - alla XIII Commissione (Agricoltura);
l'estensione delle prestazioni previste per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali ai soggetti danneggiati dall'esposizione all'amianto (476) - alle Commissioni riunite XI (Lavoro) e XII (Affari sociali);
il ripristino della qualifica di dirigente superiore (477) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
interventi in favore del Parco nazionale della pace a Sant'Anna di Stazzema (478) - alla VII Commissione (Cultura);
agevolazioni in favore degli investitori danneggiati da crack finanziari (479) - alla VI Commissione (Finanze);
nuovi incentivi per i magistrati destinati a sedi disagiate (480) - alla II Commissione (Giustizia);
l'abrogazione delle norme in materia d'incompatibilità dell'esercizio della professione di avvocato (481) - alla II Commissione (Giustizia);
il riconoscimento di un credito d'imposta per le opere di bonifica dall'amianto (482) - alla VI Commissione (Finanze);
disposizioni in favore dei trombofiliaci (483) - alla XII Commissione (Affari sociali);
la disciplina delle terapie non convenzionali, comprese la fitoterapia e l'erboristeria (484) - alla XII Commissione (Affari sociali);
disposizioni per la prevenzione dell'AIDS e delle malattie a trasmissione sessuale (485) - alla XII Commissione (Affari sociali);
il riordino della disciplina delle bande musicali delle Forze armate (486) - alla IV Commissione (Difesa);
disposizioni per la valorizzazione delle emittenti televisive comunitarie e di quartiere (487) - alle Commissioni riunite VII (Cultura) e IX (Trasporti);
norme per la riduzione dell'orario di lavoro (488) - alla XI Commissione (Lavoro);
modifiche al codice penale e al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, in materia di equiparazione dell'emergenza sanitaria all'emergenza socio-assistenziale (489) - alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e II (Giustizia);Pag. 4
disposizioni per la prevenzione e la cura del morbo di Alzheimer e delle patologie correlate (490) - alla XII Commissione (Affari sociali);
norme per la promozione dell'informazione e il divieto della pubblicità commerciale in materia sanitaria (491) - alla XII Commissione (Affari sociali);
interventi per lo sviluppo delle isole minori (492) - alla V Commissione (Bilancio);
norme in favore dei pazienti incontinenti (493) - alla XII Commissione (Affari sociali);
distacco del Comune di Carema dalla Regione Piemonte e sua aggregazione alla regione Valle d'Aosta (494) - alla I Commissione (Affari costituzionali).

Discussione del disegno di legge: S. 1072 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 2 ottobre 2008, n. 151, recante misure urgenti in materia di prevenzione e accertamento di reati, di contrasto alla criminalità organizzata e all'immigrazione clandestina (Approvato dal Senato) (A.C. 1857) (ore 12,50).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 2 ottobre 2008, n. 151, recante misure urgenti in materia di prevenzione e accertamento di reati, di contrasto alla criminalità organizzata e all'immigrazione clandestina.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1857)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Italia dei Valori e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che le Commissioni I (Affari costituzionali) e II (Giustizia) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
La relatrice per la Commissione Affari costituzionali, onorevole Santelli, ha facoltà di svolgere la relazione.

JOLE SANTELLI, Relatore per la I Commissione. Signor Presidente, preannuncio che consegnerò il testo integrale del mio intervento. Il decreto-legge sul quale le Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e II (Giustizia) riferiscono oggi all'Assemblea persegue il triplice obiettivo di evitare effetti pregiudizievoli all'attività di prevenzione e di repressione dei reati, di contrastare la criminalità organizzata e di fronteggiare l'intensificarsi del fenomeno dell'immigrazione clandestina. Rispetto al testo originario, sono state apportate dal Senato alcune significative modificazioni, anche mediante l'inserimento di alcuni articoli aggiuntivi. Mi soffermerò sulle parti di competenza della Commissione affari costituzionali.
L'articolo 2 autorizza l'impiego, fino al 31 dicembre 2008, di un contingente massimo di cinquecento militari delle Forze armate in quelle aree del Paese dove, in presenza di specifiche ed eccezionali esigenze di prevenzione della criminalità, appare necessario assicurare un più efficace controllo del territorio. Tale contingente si aggiunge a quello di tremila unità, già previsto dall'articolo 7-bis del decreto-legge n. 92 del 2008. È previsto che il Ministro dell'interno riferisca alle competenti Commissioni parlamentari sui risultati dell'impiego dei militari. Nel corso dell'esame in sede referente, il Governo si è detto pronto a riferire in ogni momento alle Commissioni sugli esiti dell'attuazione del piano e ha fornito, intanto, dati analitici sull'operato concreto dei militari sul territorio.
L'articolo 2-bis reca misure per il rafforzamento dell'azione di contrasto alla criminalità organizzata. In particolare, il comma 1 dispone, in via straordinaria, unPag. 5incremento di 30 milioni di euro delle risorse del Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, a valere sulle dotazioni finanziarie del Fondo di solidarietà delle vittime delle richieste estorsive e dell'usura. Come chiarito dal rappresentante del Governo nel corso dell'esame in sede referente, lo spostamento di risorse dal Fondo di solidarietà delle vittime delle richieste estorsive e dell'usura al Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso dipende unicamente dal fatto che, nell'attuale contingenza, capita che il Fondo di solidarietà delle vittime delle richieste estorsive e dell'usura registri un surplus, mentre il Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso registra un deficit. Più precisamente, alla data del 30 ottobre 2008, la disponibilità finanziaria del primo risulta pari a 43,9 milioni di euro. Lo stanziamento del Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, invece, alla stessa data risulta interamente impegnato. Al fine di evitare che in futuro, al verificarsi di una situazione analoga, si debba ricorrere nuovamente ad una legge per spostare le risorse da un fondo all'altro, il comma 2 dell'articolo 2-bis del decreto-legge in discussione prevede che il Ministero dell'interno possa, con proprio decreto, destinare al Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso una quota dei versamenti annuali delle imprese assicurative devoluto al Fondo di solidarietà delle vittime delle richieste estorsive e dell'usura.
Gli articoli 2-ter, 2-quater e 2-quinquies, anch'essi introdotti dal Senato, apportano modifiche alla disciplina in materia di benefici a favore delle vittime dei reati di tipo mafioso, di cui alle leggi n. 512 del 1999 e n. 302 del 1990, al fine di escludere dalla platea dei beneficiari i soggetti condannati per reati di mafia o comunque legati ad ambienti mafiosi.
In particolare, l'articolo 2-ter apporta modifiche alla legge n. 512 del 1999, aggiungendo all'articolo 4 il comma 4-bis, inteso a precisare che non possono accedere ai benefici del Fondo gli eredi di quanti, pur avendone i requisiti, sono deceduti a seguito della consumazione dei reati di associazione di tipo mafioso anche straniera, salvo il caso che il soggetto deceduto avesse assunto prima della morte la qualità di collaboratore di giustizia e il programma di protezione non gli fosse stato revocato per causa a lui imputabile.
Un'ulteriore modifica riguarda la disciplina della gestione delle domande per l'accesso al Fondo di rotazione. Si prevede ora la verifica della sussistenza di ulteriori requisiti per l'accesso al Fondo da parte del Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso, nei casi di soggetto deceduto in conseguenza di reati di associazione a delinquere di stampo mafioso. Il Comitato dovrà accertare che, al momento di presentazione della domanda di accesso al Fondo o al momento dell'evento lesivo che ne ha provocato la morte, non vi siano, nei confronti del beneficiario, procedimenti penali in corso, né sentenze di condanna per i reati di cui all'articolo 407 del codice di procedura penale, né procedimenti di prevenzione antimafia.
L'articolo in esame aggiunge, inoltre, un articolo 7-bis alla legge n. 512 del 1999, che prevede l'adozione di un nuovo regolamento di attuazione del Fondo di rotazione. Il regolamento, proposto dal Ministro dell'interno di concerto con i Ministri della giustizia, dell'economia e delle finanze, dello sviluppo economico e del lavoro, della salute e delle politiche sociali, è adottato entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri e sentito il parere del Consiglio di Stato, che deve pronunziarsi entro novanta giorni dalla richiesta. Il regolamento dovrà prevedere la sospensione, fino alla decisione del giudice civile, della ripetizione delle somme già liquidate dal Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso a seguito di condanna al pagamento di una provvisionale, quando il giudice dell'impugnazione dichiara estinto il reato per morte del reo ai sensiPag. 6dell'articolo 129 del codice di procedura penale, e la ripetizione delle somme già pagate a titolo di provvisionale, quando, a seguito di estinzione del reato, l'azione civile di risarcimento, esperita contro gli eredi del reo, si sia conclusa con la soccombenza della vittima attrice o dei suoi successori.
L'articolo 2-quater interviene sulla disciplina dei benefici per le vittime della criminalità organizzata, ridefinendo la platea dei soggetti aventi diritto alle elargizioni, al fine di escludere dal novero dei beneficiari i soggetti che partecipino ad ambienti o rapporti delinquenziali. In particolare, la disposizione in esame novella la lettera b) del comma 2 dell'articolo 1 della citata legge n. 302, richiedendo, ai fini dell'erogazione dell'elargizione per invalidità prevista dal comma 1, che il soggetto leso debba essere del tutto estraneo ad ambienti e rapporti delinquenziali non solo al momento dell'evento, come attualmente previsto, ma in via generale, e quindi anche in epoca successiva alle lesioni. La disposizione continua, peraltro, a fare salvo il caso di accidentale coinvolgimento passivo nell'azione lesiva.
L'articolo 2-quinquies è volto ad escludere che i benefici previsti per i superstiti delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata possano essere attribuiti a soggetti comunque legati alla criminalità organizzata o ad ambienti delinquenziali. In particolare, il comma 1 introduce due ulteriori requisiti per i benefici in parola: il primo requisito è l'assenza di rapporti di coniugio, affinità o convivenza con persone nei confronti delle quali sia in corso un procedimento per l'applicazione o siano applicate misure di prevenzione ai sensi della legge n. 575 del 1965, ovvero per i quali sia in corso un procedimento per uno dei delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis del codice procedura penale. Stando alla lettera della disposizione, non è invece richiesta l'assenza di rapporti di parentela con le categorie delle persone in questione. Il rappresentante del Governo ha chiarito, nel corso dell'esame in sede referente, che il Governo interverrà quanto prima con separato provvedimento a modificare la disposizione, al fine di chiarire anche questo margine di ambiguità. Il secondo requisito è la totale estraneità ad ambienti e rapporti delinquenziali ovvero la dissociazione da essi al tempo dell'evento.
Il comma 2 dell'articolo 2-quinquies prevede, invece, che il sopravvenuto mutamento delle condizioni per il riconoscimento dei benefici determini l'interruzione delle erogazioni già disposte e l'integrale ripetizione dei benefici già erogati.
L'articolo 3 contiene un'autorizzazione di spesa in gran parte finalizzata alla costruzione di nuovi centri di identificazione ed espulsione. Come si legge nella relazione illustrativa del disegno di legge di conversione, le misure sono dirette a fronteggiare lo straordinario intensificarsi dei flussi di immigrazione clandestina, di cui la manifestazione più evidente è rappresentata dagli sbarchi lungo le coste nazionali, che rendono urgente adeguare le strutture di trattenimento degli stranieri da espellere alle dimensioni e all'entità del fenomeno in atto. In particolare, le risorse stanziate rappresentano la premessa di un piano straordinario di ampliamento della ricettività dei centri di identificazione ed espulsione per garantire la migliore funzionalità delle procedure di espulsione attraverso la costruzione di nuove strutture di trattenimento. Inoltre, per quanto riguarda la normativa europea, il riferimento è alla nuova direttiva europea sui rimpatri, come chiarito dalla relazione tecnica al medesimo disegno di legge di conversione, di cui il piano straordinario di costruzione dei nuovi centri anticipa l'attuazione. Il comma 2 provvede alla copertura degli oneri finanziari dell'articolo e il comma 3 autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
Concludo ricordando che le Commissioni competenti in sede consultiva hanno espresso parere favorevole sul provvedimento, mentre il Comitato per la legislazione ha espresso un parere con osservazioni.Pag. 7
Chiedo, infine, che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Santelli, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Il relatore per la Commissione giustizia, onorevole Scelli, ha facoltà di svolgere la relazione.

MAURIZIO SCELLI, Relatore per la II Commissione. Signor Presidente, mi riservo anch'io di depositare copia della mia relazione e, quale relatore per la Commissione giustizia, mi soffermerò sulle parti di competenza della Commissione. Si tratta, in particolare, degli articoli 1 e 3-bis.
L'articolo 1 interviene sul decreto legislativo n. 109 del 30 maggio 2008 in materia di conservazione, da parte degli operatori di telefonia e di comunicazione elettronica, dei dati relativi al traffico telefonico e telematico. In particolare, si modifica la disciplina transitoria, posticipando l'entrata in vigore delle disposizioni relative alla conservazione dei dati sulle chiamate senza risposta e dei dati del traffico telematico dal 31 marzo 2008 al 31 marzo 2009.
Questo in particolare per recepire e dare attuazione alla modifica dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 109 del 2008, che ha dato a sua volta attuazione alla direttiva della Comunità europea 2006/24/CE, volta ad armonizzare le disposizioni nazionali degli Stati membri con riferimento all'obbligo, da parte dei fornitori di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico e di reti pubbliche di comunicazione, di conservare alcuni dati da questi generati o trattati, tipo la fonte, la destinazione di una comunicazione, la data, la durata della comunicazione stessa, il tipo di comunicazione, il tipo di attrezzatura utilizzata, l'ubicazione delle apparecchiature. Tutto ciò al fine di renderli disponibili in caso di indagine, accertamento, perseguimento di reati gravi, quali definiti dalle norme nazionali di ciascuno Stato.
Per dare attuazione alla suddetta direttiva, l'articolo 2 del decreto legislativo n. 109 del 2008 ha modificato l'articolo 132 del Codice in materia di protezione dei dati personali, prevedendo un periodo unico di conservazione, senza distinzione riguardo ai reati, ma pari a 24 mesi per i dati di traffico telefonico, 12 mesi per i dati di traffico telematico, 30 giorni per i dati relativi alle chiamate senza risposta. Il decreto-legge in esame interviene, quindi, sulla disciplina transitoria fissata dall'articolo 6 del decreto legislativo n. 109 del 2008.
Nel corso dell'esame in sede referente il Governo ha chiarito di avere l'intendimento di rivedere la disciplina della conservazione dei dati del traffico telefonico e telematico, al fine di contemperare l'esigenza della massima tutela della riservatezza con quella dell'efficacia delle indagini di polizia, precisando che a tal fine è in corso un confronto con il Garante per la protezione dei dati personali.
L'esigenza di salvaguardare per l'appunto la privacy rischia, se non adeguatamente circoscritta, di pregiudicare un'altra esigenza, anch'essa meritevole di tutela, quella appunto delle indagini.
Il sottosegretario, onorevole Mantovano, ha infatti rilevato che il decreto legislativo n. 109 del 2008, nel recepire la citata direttiva della Comunità europea in modo eccessivamente rigoroso, ha di fatto bloccato centinaia di indagini su reati importanti, come quelli della pedopornografia, mentre la conservazione dei dati relativi al traffico telefonico senza risposta è in passato risultata essenziale in indagini su fatti di matrice terroristica.
Altro problema rilevato dal Governo in Commissione è rappresentato dal tracciamento IP (Internet provider), quello cioè che consente l'identificazione univoca della fonte di una comunicazione telefonica.
Più in particolare, per quanto riguarda proprio la qualificazione dell'indirizzo IP, l'onorevole Mantovano ha precisato in Commissione che il Ministero dell'interno ha avviato consultazioni non soltanto con il Garante per la protezione dei datiPag. 8personali, ma anche con il procuratore nazionale antimafia e con gli altri dicasteri interessati.
È emerso, tra l'altro, che tutti i provider, ad eccezione di uno, hanno ormai provveduto ad assegnare a ciascun utente un indirizzo IP univoco, quello cioè che consente il tracciamento dei dati telematici utilizzando a tal fine proficuamente la proroga concessa dal decreto-legge in esame.
Occorre, quindi, avere come finalità quella di consentire lo svolgimento delle indagini per reati odiosi, senza che per questo sia pregiudicato in maniera eccessiva il diritto alla riservatezza. Il punto è fino a quando e fin dove lo Stato può spingersi nel penetrare la sfera di riservatezza dei cittadini al fine di tutelare i medesimi, specialmente in via preventiva, rispetto ai reati gravi.
Di certo, la riservatezza è un bene assoluto, e come tale deve essere salvaguardato, ma ciò non significa che sia assolutamente intangibile: così come per tutti i beni di rango costituzionale, il grado di cedevolezza del diritto che ne scaturisce si misura sulla base del principio di bilanciamento degli interessi. Vi possono essere dei beni dello stesso rango, che però sono di segno opposto.
Nel caso in esame l'interesse contrapposto è dato dalla sicurezza dei cittadini che devono essere protetti dallo Stato anche attraverso le attività di indagine. La riservatezza, quindi, non è un bene assoluto, che come tale impedisce o riduce necessariamente al minimo la conservazione dei dati del traffico telefonico e telematico; piuttosto, essa pone dei paletti alle attività di indagine, ma questi paletti non possono spingersi fino a rendere di fatto le indagini per reati gravi inefficaci.
Altro punto di competenza della Commissione giustizia è dato dall'articolo 3-bis, introdotto nel corso dell'esame in Senato, che prevede disposizioni in materia di indennità in favore dei giudici onorari di tribunale e dei vice procuratori onorari. La norma mira alla razionalizzazione dell'attuale disciplina contenuta nel decreto legislativo n. 273 del 1989 che istituì per l'appunto i magistrati onorari, il cui ruolo nel tempo è venuto sempre più ad accrescersi, con nuove competenze che sono state attribuite per delega soprattutto ai vice procuratori onorari.
Di fatto, questa norma stabilisce, senza alcuno equivoco interpretativo, il disposto che riguarda le indennità riconosciute ai giudici onorari di tribunale e ai vice procuratori onorari, ancorandole non più al minimo delle udienze svolte; attualmente, la norma vigente prevede 98,13 euro per ogni udienza, con un massimo di due udienze al giorno. Al contrario, la norma contenuta nel decreto-legge in esame prevede un'indennità ancorata al tempo, cioè a 5 ore, indipendentemente dal numero delle udienze: per ogni giorno, quindi, l'indennità calcolata sarebbe di 196,26 euro per più di cinque ore di attività in udienza. Questo per quanto riguarda i giudici onorari in sede civile, i GOT, che avrebbero certificato il lavoro svolto, quindi la durata del tempo, con l'orario di inizio della prima udienza e l'orario di chiusura dell'ultima udienza, mentre per quanto riguarda i vice procuratori onorari, il superamento delle cinque ore di tempo, sufficiente a far scattare la doppia indennità, sarebbe certificato non solo per quanto riguarda l'udienza dal relativo verbale, ma anche dal procuratore della Repubblica per le indagini di volta in volta delegate e svolte.
Questo è un argomento importante perché riconosce alla magistratura onoraria un ruolo fondamentale. Tutti ricordiamo con quanto scetticismo e diffidenza la magistratura onoraria venne accolta nel 1989 quando fu istituita. Oggi il Governo, peraltro, ha assunto l'impegno entro il 31 dicembre 2009 di approvare un provvedimento che riformi integralmente la magistratura onoraria proprio perché le viene riconosciuto non più un ruolo complementare ed occasionale nell'amministrazione della giustizia, ma un ruolo determinante e fondamentale.
Se oggi si è potuto limitare i danni, soprattutto per il grande ammontare di lavoro pregresso, ciò è dovuto in gran parte ai giudici onorari che lo hannoPag. 9saputo affrontare e snellire, evitando un eccessivo appesantimento dell'amministrazione della giustizia.
Attualmente sussistono diverse categorie di giudici onorari, con altrettanti diversi criteri di selezione, con diverse retribuzioni e con diverse durate dei rapporti di lavoro, ma tutti sono improntati ad una precarietà non giustificata dalla qualità del servizio: non godono di nessun trattamento previdenziale e, nello stesso tempo, viene sempre più richiesto loro un livello di professionalità adeguato.
Per quanto il decreto-legge in esame abbia un ambito applicativo limitato e non riguardi tutta la magistratura onoraria, vorrei ricordare al Governo l'impegno che ha già assunto nei confronti del Parlamento di formulare una proposta organica di riforma della magistratura onoraria tale da consentire al Parlamento di approvarla entro la data del 31 dicembre 2009.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Scelli, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

MICHELINO DAVICO, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, in attesa anche delle considerazioni che verranno espresse in Aula, non ho nulla da aggiungere, se non conformarmi alle considerazioni esposte dai relatori e al lavoro svolto in Commissione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zaccaria. Ne ha facoltà.

ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, dai conteggi che abbiamo potuto fare - anche perché i decreti-legge, come Comitato per la legislazione, li esaminiamo con un certo anticipo - posso dire che questo dovrebbe essere il diciannovesimo decreto-legge che arriva nell'Aula di Montecitorio, e già se ne delineano all'orizzonte altri undici in corso di conversione.
Signor Presidente, non faccio una statistica puramente rituale, perché ogni decreto-legge, che si aggiunge all'elenco che menzioneremo, non va valutato solo sotto il profilo quantitativo (comunque, siamo largamente al di sopra del numero dei decreti-legge che nelle ultime legislature, anche nelle fasi più acute, si sono visti in quest'Aula: la media supera ormai i quattro decreti-legge al mese). Vi è una valutazione di ordine qualitativo che evidentemente non sfugge a nessuno: se si tiene conto della quantità normativa dei testi - parlavo in un'altra occasione delle righe - approvati per decreto-legge siamo arrivati ai due terzi delle materie poste all'attenzione di quest'Aula, e se si tiene conto dei collegati alla manovra finanziaria, che per un certo verso hanno un iter ancora più stringente di quello dei decreti-legge, si vedrà che oltre il 95 per cento della normazione avviene con questo strumento. Non è una questione puramente statistica o estetica, ormai questa è una tecnica di produzione normativa.
Lasciando stare le solite considerazioni (l'uso dei decreti-legge espropria il Parlamento, toglie all'Aula, alla maggioranza come all'opposizione, la possibilità di discutere), è importante parlare affinché ci ascoltino le persone al di fuori di quest'Aula e gli organi che hanno competenze in materia di controllo giurisdizionale. Sappiamo, infatti, che la Corte costituzionale, in due occasioni molto precise, è intervenuta a sindacare i presupposti di necessità e urgenza dei decreti-legge che non sono sanati dalla legge di conversione.
Esaminando questo decreto-legge, la prima caratteristica che emerge, e che naturalmente non è stata segnalata nell'introduzione del dibattito, è la sua forte eterogeneità. Il relatore per la Commissione giustizia, onorevole Scelli, ha, con candore e con correttezza testuale, illustrato il contenuto di un emendamento che riguarda i magistrati onorari; mi domando cosa c'entrino le indennità dei magistrati onorari con la materia che stiamo trattando.Pag. 10
Non vi è stata neanche la preoccupazione di affermare che si trattava di una materia eterogenea - come si diceva una volta - perché inserita al Senato e sulla quale, quindi, non ci si poteva fare più niente; ormai questo utilizzo è considerato pacifico.
Ricordo che la stessa materia concernente la magistratura onoraria era stata disciplinata in un decreto-legge precedente. Abbiamo già esaminato un provvedimento in cui quell'argomento ci poteva stare; oggi, invece, esso viene inserito perché, per una dimenticanza, non era stato ricompreso in un decreto-legge precedente. La dimenticanza, la negligenza, da parte degli organi legislativi dei vari ministeri, diventa fonte del diritto e giustifica interventi in via straordinaria e d'urgenza. Sia ben chiaro: non è che la necessità e l'urgenza debbano limitarsi solo al contenuto iniziale o alla materia richiamata nel titolo.
Questo decreto-legge prevedeva tre articoli.
Uno si riferisce alla conservazione dei dati, forse la misura per cui era stato pensato il provvedimento e che naturalmente è ritenuta giustificata, nell'azione d'urgenza, dallo scopo di proseguire la lotta al terrorismo e comunque alla criminalità.
Poi, fin dall'origine, erano previsti altri due articoli concernenti l'impiego di cinquecento militari e i centri di identificazione ed espulsione. Però, oggi noi esaminiamo un testo formato da ben nove articoli. Si tratta di disposizioni inserite successivamente, per le quali sostanzialmente nessuno si pone neanche lontanamente il problema della sussistenza del carattere di necessità ed urgenza.
Tutto quello che l'onorevole Santelli ha detto per quanto riguarda i fondi per le vittime della mafia e del terrorismo, e sull'incremento degli stessi, concerne interventi possibili, ma tipici della legislazione ordinaria. In altre parole, già la necessità e l'urgenza non sussistevano per quanto riguarda una parte del testo originario, perché i cinquecento militari con scadenza a dicembre (dapprima non si capiva se fossero ulteriori o meno) erano stati previsti a fronte di tremila già determinati in precedenza; inoltre, i centri di identificazione ed espulsione erano stati disciplinati già nel primo provvedimento sulla sicurezza, nel disegno di legge che è in corso di discussione al Senato, ed ora sono oggetto di questo decreto-legge.
È singolare questo modo di legiferare attraverso un uso sistematico dei decreti-legge. Il Governo li usa come se fossero dei treni veloci che passano davanti a Palazzo Chigi e poi si fermano anche a Montecitorio. Su ciascuno di questi c'è scritto «necessario e urgente» e vengono caricati di norme che non hanno nessun tipo di necessità ed urgenza e che sono totalmente scoordinate tra di loro.
Ho provato a contare i provvedimenti in materia di sicurezza che noi in questi mesi abbiamo esaminato. Sono una decina e naturalmente sono stati adottati tramite le fonti più varie: decreti-legge (siamo al secondo), disegno di legge al Senato, decreti legislativi. Tra l'altro, ormai dovremmo considerare i decreti legislativi come le persone scomparse. Si segue l'iter per cui le Camere esprimono il parere, poi la competenza passa al Governo per l'emanazione e il Governo, zelante, li invia in Europa (e vi ricordo che è una prassi assolutamente non prevista dalle nostre leggi quella di richiedere per tali decreti il parere preventivo dell'Unione europea, perché magari si vuole evitare una bocciatura). Quindi, in Europa giungono tre provvedimenti (ricongiungimento, rifugiati e libertà di circolazione), ma ne tornano due soltanto.
Nel decreto-legge n. 112 del 2008 noi praticamente abbiamo inserito una proroga nell'ambito di una delega in materia di circolazione e soggiorno. Ebbene, quel provvedimento è scomparso, nel senso che, se si cercasse di capire cosa è successo lungo l'iter della normazione, non si addiverrebbe a niente. È in Europa per il parere? No, forse l'Europa l'ha bocciato. Ma cosa c'entra che l'Europa bocci un provvedimento legislativo, un decreto correttivo? Non ha senso comune.
Come si fa a normare in questo modo? Io credo che veramente noi ci assumiamoPag. 11delle responsabilità gravissime, perché recitiamo una parte, quella per cui ci mettiamo qui e proviamo a dare un giudizio di merito. Ma noi stiamo intervenendo con la decretazione di urgenza e, quindi, con provvedimenti che hanno caratteristiche particolari.
Insisto, dunque, nel dire che questa tecnica è totalmente al di fuori della Costituzione. Noi siamo di fronte ad un nuovo abuso della decretazione d'urgenza. Negli anni passati (prima del 1996) si parlava di decretazione d'urgenza attraverso la reiterazione, e la Corte costituzionale intervenne per dire «niente più reiterazione» a partire dal 1996. Tuttavia, mi domando se queste tecniche normative (diciannove decreti-legge in sei mesi, e alla fine dell'anno ne avremo convertiti una trentina) possano ritenersi fisiologiche per quanto riguarda l'uso del decreto-legge. Si può ritenere che tutte le norme inserite in questi testi abbiano caratteristiche di necessità e di urgenza?
Domani esamineremo un provvedimento sui rifiuti. Si tratta di una serie, come le serie televisive: il decreto-legge sulla sicurezza n. 1, il decreto-legge sulla sicurezza n. 2, il disegno di legge sulla sicurezza n. 2-bis; oppure per quanto riguarda Napoli, il decreto-legge n. 1, il decreto-legge n. 2, il decreto-legge n. 3.
Cito soltanto alcuni casi che si riferiscono ai decreti-legge che il Governo emana e poi trapianta in altri decreti-legge: è una tecnica assolutamente elusiva delle prerogative del Capo dello Stato. Vi sono inoltre i decreti-legge che vengono emanati e poi lasciati decadere in maniera deliberata. Ritengo che questa tecnica di produzione normativa sia estremamente preoccupante.
Signor Presidente, non c'è nessun dubbio da parte mia, ma non ci rassegneremo ad una statistica rituale dei decreti-legge. Non ci rassegneremo ad una statistica puramente numerica, come una sorta di pallottoliere. Esamineremo con maggiore attenzione ogni decreto-legge in più e - ripeto - il nostro destinatario sarà non soltanto la Presidenza della Camera, che in certi casi si è dimostrata sensibile a questi argomenti, ma chi ha il potere di emanare i decreti-legge e gli organismi titolari degli strumenti di controllo. Infatti non ritengo che la Corte Costituzionale possa guardare a questa prassi con tranquillità.
Veniamo rapidamente al merito che sarà esaminato anche da alcuni colleghi in grado certamente più di me di valutare questi aspetti. Ho già trattato della conservazione dei dati e su questo argomento penso che interverranno successivamente altri colleghi: si tratta della materia per la quale poteva essere giustificato il ricorso al decreto-legge. Anche per quanto riguarda l'impiego dei militari si tratta di una questione di merito. La disposizione, con il rimando al contingente di cinquecento militari in più impiegati in quel tipo di contesto, appare per molti versi un manifesto. Per quanto concerne i centri di identificazione e di espulsione, ho già detto qualcosa in precedenza.
Vorrei soffermarmi su alcune vistose anomalie riguardanti le norme inserite durante il dibattito al Senato, iniziando dai beneficiari delle provvidenze. Sarò molto rapido perché posso rinviare al parere del Comitato per la legislazione che la collega Santelli ha generosamente citato, affermando che questo ha espresso un parere con osservazioni, senza dire però che di esse non si è minimamente tenuto conto.
Dai beneficiari di certe provvidenze vengono esclusi - la normativa già lo prevedeva - i soggetti legati alla criminalità: è chiaro che se le provvidenze sono concesse perché si è vittima della mafia o dell'usura, un soggetto coinvolto in questi crimini non potrà esserne beneficiario. Non possono esserne beneficiari neppure coloro che hanno rapporti di coniugio, di affinità o di convivenza con quei soggetti. Ma tra i soggetti esclusi non sono compresi i parenti, vale a dire che se uno è affine, convivente more uxorio, coniuge di un soggetto con responsabilità criminali non può essere beneficiario, mentre se è parente può esserlo. Dunque si tratta di una vistosa, non dico imprecisione, ma violazione costituzionale: infatti qual è la ratioPag. 12secondo la quale gli affini sono esclusi e i parenti sono inclusi? Mi sembra una disposizione ridicola. Il Comitato per la legislazione ha stabilito che si tratta di un'anomalia che deve essere eliminata.
Il sottosegretario Mantovano, in merito ad un emendamento che tentava di ristabilire un criterio - udite, udite perché a mio parere sono parole degne di essere riportate nel resoconto stenografico della seduta -, afferma che effettivamente il problema sussiste (lo vedrebbe anche un bambino), ma che lo risolveranno con un separato provvedimento. Attenzione! Sono stato relatore di due decreti-legge in materia di terrorismo nella scorsa legislatura e di fronte ad un errore materiale, visibile e chiaro, riguardante il riferimento al Trattato di Amsterdam dove era citato un articolo anziché un altro e che si poteva superare anche in via interpretativa, uno di questi due decreti-legge fondamentali fu lasciato decadere perché era presente un errore materiale.
In questo caso in Commissione - la relatrice ha citato il fatto in Assemblea, anche se sarà sfuggito perché detto incidentalmente - il Governo afferma che la questione sarà risolta con un separato provvedimento. Ma poiché non c'è tempo per presentare provvedimenti legislativi ordinari in quanto tutto il tempo dei lavori delle Camere è occupato dall'esame di decreti-legge, non so se verrà emanato un altro decreto-legge per risolvere la questione, che poteva essere risolta con un emendamento. Ci rendiamo conto che ciò è di una gravità assoluta?
Spero che, se non in quest'Aula - mi rendo conto che premono questioni come la crisi internazionale, l'economia e altre vicende -, si riconosca comunque che questo è un vistoso errore di grammatica ed è una dichiarazione solenne e formale che un atto incompleto, ingiustificato ed ingiusto viene lasciato passare perché si deve convertire il decreto-legge. Non sempre questo è stato il trattamento riservato ai provvedimenti legislativi.
Vi è anche, oltre ad un errore di sostanza (mi riferisco appunto alla discrasia tra affini e parenti, che non vengono considerati in questa seconda categoria), un errore materiale. Anche in questo caso il Comitato per la legislazione l'aveva segnalato: viene fatto un riferimento ad un articolo che non ha alcun senso. E nel parere reso dal Comitato si è scritto: «dovrebbe valutarsi l'opportunità di espungere il riferimento all'articolo 4 della legge 302, atteso che tale articolo si limita ad identificare i superstiti della vittima (familiari e conviventi) e dunque si riferisce ad una condizione soggettiva non più suscettibile di alcun «sopravvenuto mantenimento». Si tratta di un errore materiale; ma che ci sta a fare la Commissione se non corregge, avendone la consapevolezza, gli errori materiali?
Concludo con un'ultima osservazione, signor Presidente, che riguarda peraltro una prassi che è preoccupante: mi riferisco al fatto che con la legge di bilancio stabiliamo fondi, capitoli, discutiamo se in un fondo ci deve essere un'entità o un'altra, mentre ormai, in ogni provvedimento normativo, si consente, con decreto ministeriale (una volta del Ministro dell'economia e delle finanze, una volta del Presidente del Consiglio e così via) di spostare risorse da un fondo all'altro, liberamente, discrezionalmente.
In altre parole, se non vi sono soldi sufficienti per soddisfare le richieste delle vittime della mafia, si procede utilizzando i fondi delle vittime dell'usura, cioè un fondo e l'altro pari sono. Ma parliamo di cittadini! Un cittadino ha titolo per avere un rimborso e ad un certo punto, con un gioco di prestigio, il Ministro gli dice: «In quel fondo non vi sono più le risorse stabilite inizialmente, perché io le ho spostate nell'altro». Guardate che questa è una norma pericolosa; ormai sta dilatandosi su tutti i provvedimenti: sul provvedimento riguardante i giochi, sul provvedimento relativo ai magistrati e così via. Con atto amministrativo si modificano disposizioni che hanno origine in una fonte legislativa. Credo che anche qui si debba fare chiarezza, retrocedere da questa impostazione ed arrivare ad un discorso più ragionevole.Pag. 13
Non scomoderò in conclusione i sacri principi che riguardano il parlamentarismo, però dico che questo modo di procedere, signor Presidente, è un modo di procedere che crea forti turbamenti, nell'Aula ma, ritengo, anche al di fuori di essa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, ho ascoltato con la dovuta attenzione e considerazione i colleghi che sono stati incaricati di svolgere il delicato compito e ruolo di relatori, perciò ho ascoltato sia l'onorevole Santelli sia l'onorevole Scelli. Ma ovviamente ho posto anche attenzione a quanto è stato detto testé dal collega che, come solitamente avviene, affronta una problematica estremamente stringente: infatti non è la prima volta che l'onorevole Zaccaria pone la questione del ricorso alla decretazione d'urgenza, «consuetudine» che ormai accompagna i nostri lavori parlamentari.
Vi è un fondamento di verità, anche se io personalmente non ho mai fatto grandi questioni a fronte di problemi da affrontare in termini immediati e di esigenze da tenere ben presenti, attraverso normative adeguate.
C'è un dato in più che mi spinge a svolgere una riflessione aggiuntiva a quella che faceva l'onorevole Zaccaria, in merito ai provvedimenti che si stanno susseguendo in materia di ordine pubblico. Si tratta di numerosissimi provvedimenti: uno è in discussione al Senato; tempo fa abbiamo licenziato un provvedimento di analogo tenore, forse con un'articolazione e qualche previsione in più di fattispecie sulle quali siamo intervenuti; altri provvedimenti saranno esaminati in seguito (sono stati già preannunciati); altri, infine, sono già leggi dello Stato. Manca una visione articolata e complessiva, il che ha fatto, da sempre, esprimere l'esigenza di avere un testo unico che raccolga tutte queste disposizioni, un testo che ci agevoli nell'individuare i riferimenti normativi sui quali agire e attraverso i quali operare un serio ed efficace contrasto alla criminalità organizzata. Sono spezzoni di materie certamente interessanti ma carenti di organicità.
Il Comitato per la legislazione, quando fu istituito, anni fa - quasi otto o nove anni - aveva il compito di semplificare la legislazione allo scopo di renderla più leggibile. Una delle esigenze che abbiamo avvertito, a suo tempo, e che oggi confermiamo nella sostanza, è quella di conseguire razionalità anche nella configurazione e nell'approntamento di norme per materia. Nell'individuare riferimenti su una materia come quella del contrasto alla criminalità organizzata e al terrorismo - perché qui si pone altresì il problema del terrorismo - incontriamo una difficoltà oggettiva. Signor Presidente, ritengo che questo sia un aspetto che debba essere sostenuto e tenuto presente, anche se il Comitato per la legislazione, per quanto riguarda il sostegno alle vittime della criminalità organizzata e quindi della mafia, entra nel merito della materia che il decreto-legge attinge e regola.
Detto questo, signor Presidente, ci sono delle considerazioni di fondo da svolgere. La domanda più urgente e più immediata che mi pongo è la seguente: la materia esaminata nel provvedimento aveva bisogno di un ricorso alla decretazione d'urgenza per poter affrontare e per poter agire su alcuni obiettivi? Ritengo che, se avessimo avuto la possibilità di un approfondimento ulteriore, anche nelle stesse Commissioni di merito, la I e la II, avremmo potuto dare qualche contributo in più.
Anche la parte relativa al Fondo cui si è richiamata l'onorevole Santelli con grande puntualità, credo dischiuda alla nostra attenzione una materia complessa, che non può essere risolta con la norma contenuta nel decreto-legge: si tratta del problema del sostegno alle vittime della mafia e della criminalità e alle vittime dell'usura e dell'estorsione. Ci sono poi il problema del Fondo per le vittime dell'usura e dell'estorsione che va a «rimpinguare» l'istituzione di questo nuovoPag. 14Fondo, quel fondo di solidarietà cui si richiamava l'onorevole Santelli, derivante dalla mancanza di copertura dell'uno e dal surplus dell'altro, e tutta la problematica che riguarda l'usura, l'estorsione e che riguarda, ovviamente l'amministrazione di questo Fondo.
Inoltre mi viene in mente un altro aspetto molto importante e significativo ossia quello dei testimoni e dei collaboratori di giustizia: si tratta di un tema che ritorna continuamente e che dovrebbe essere più articolato e sul quale, soprattutto, il legislatore dovrebbe intervenire per porre dei paletti, per dare delle certezze e per capire come si è agito in questi anni al fine di comprendere fino in fondo se con il modo in cui si è agito, attraverso i fondi ed i sostegni forniti, si sia raggiunto l'obiettivo e rispettata la volontà del legislatore.
Non si tratta di norme svincolate dai problemi: non esiste il problema del Fondo e poi il problema della copertura perché se facessimo semplicemente un discorso sulla copertura ci troveremmo in un'altra sede, non di fronte a un disegno di legge di conversione di un decreto-legge che affronta il problema della sicurezza, dell'ordine e del contrasto alla criminalità organizzata.
Non c'è dubbio che i provvedimenti debbano essere il più organici possibile e debbano capire e raccordarsi con le norme precedenti e, quindi, agire anche sulla base di un'esperienza acquisita nel tempo e giungere ad una completezza e ad un aggiustamento delle norme rispetto a risultati che l'esperienza ci ha mostrato insufficienti. Ritengo che questo sia il modo articolato e compiuto per poter operare in questa materia.
Esiste il problema dell'istituzione di questo Fondo, signor Presidente ed è un fatto serio. Non riesco invece a capire altri problemi quali quelli relativi ai parenti, alle coppie di fatto e quant'altro: qui si aprono degli scenari molto più complessi che coinvolgono altri temi su cui potremmo anche incontrarci per un approfondimento serio, ma non credo che si tratti, in questo momento, di un dato esaustivo rispetto ad una materia che, a mio avviso, è in fieri.
Esiste, poi, un altro aspetto che questo provvedimento richiama ed è la conservazione dei dati telematici sul terrorismo. Qui si inserisce il discorso del terrorismo, ma il problema del terrorismo oggi non può essere affidato ad un provvedimento che riguarda i dati e che apre una disquisizione di ordine giuridico e costituzionale sull'opportunità o meno di prorogare la conservazione di questi dati rispetto a quanto previsto dal provvedimento originario che porta il nome dell'ex Ministro dell'interno Pisanu.
Oltre al problema del terrorismo c'è il problema del collegamento tra il terrorismo e la criminalità organizzata e, quindi, di capire se le forze in campo siano idonee a contrastare realmente un fenomeno così complesso e per tanti versi devastante di cui abbiamo riscontro dalle notizie che ciascuno di noi può acquisire dagli organi di informazione. Ritengo che il mantenimento dei dati vada sicuramente prorogato perché c'è un allarme in corso, ci sono gruppi estremisti che si stanno ricostituendo e sono attivi sul territorio nazionale ed allora va compiuta una valutazione, a monte, rispetto alle azioni che possiamo portare avanti e dobbiamo subito rilevare che manca un coordinamento tra le forze di polizia.
Questo è un argomento che ho affrontato più volte in questa sede, in Commissione e in altre sedi: ci sono corpi che vanno avanti per conto loro senza alcun coordinamento e senza alcuna interrelazione (gli SCO, gli SCICO, i GICO). Certamente, ognuno svolge un lavoro veramente encomiabile, importante e fondamentale, ma non esiste un coordinamento. Ci sono molte sigle, ci sono vari spezzettamenti di corpi, di reparti e soprattutto di gruppi che sono impegnati nella lotta alla criminalità organizzata, ma manca un quadro razionale ed armonico (quindi un coordinamento) e a volte anche l'efficacia nel raggiungere gli obiettivi che si sono prefissati.Pag. 15
Questo è un aspetto che va affrontato, soprattutto nel momento in cui anche in questo decreto-legge si prevede di considerare 500 militari in più rispetto ai tremila che avevamo già previsto attraverso il provvedimento sull'ordine pubblico. Il ruolo dei militari quale può essere? Certo, se ricordo bene (e lo ricordo ovviamente bene) i militari ebbero nel 1970, proprio in Calabria, dopo i moti di Reggio Calabria, un ruolo importante per controllare la linea ferroviaria.
C'erano stati molti attentati, ci sono stati dei morti e non c'è dubbio che quell'intervento fu, a mio avviso, importante e salutare. Ora, tuttavia, i soldati, che devono essere impiegati sulle strade o soprattutto per il controllo degli edifici o degli obiettivi sensibili, possono perlustrare il territorio in compagnia delle forze dell'ordine. Questo impiego ha una sua efficacia?
Come li integriamo, visto e considerato che, quando parlo di coordinamento, signor Presidente, mi riferisco ovviamente ad un'attività e ad un'azione investigativa che, molte volte, è asfittica, non è completa e non è piena? La legge n. 121 del 1981, ovvero la riforma della polizia, prevedeva, all'interno della polizia di Stato, dei carabinieri e anche della Guardia di finanza, l'istituzione della qualifica di ispettore, che doveva essere la fascia investigativa di intelligence.
Purtroppo, questi obiettivi non sono stati perseguiti. Non dico che non sono stati raggiunti, ma che non sono stati perseguiti. La fascia degli investigatori non c'è, non c'è un accertamento serio e abbiamo lasciato alla magistratura, che compie il suo dovere pienamente, anche compiti che avrebbero dovuto invece essere propri degli investigatori per ottenere un determinato livello di compiutezza e quindi di efficacia.
Non ci sono più scuole di formazione né attrezzature sufficienti e questo non lo dico a questo Governo (sarebbe stupido da parte mia), ma svolgo un discorso di carattere generale. Infatti, quando ci si deve impegnare fortemente per contrastare la criminalità organizzata, ritengo che non vi siano colori politici da rivendicare o particolari dislocazioni in quest'Aula da accampare e soprattutto da difendere. Ritengo che vi sia un bene importante che deve essere perseguito con grande forza.
Signor Presidente, ritengo che possiamo prevedere una serie di norme, ma vogliamo capire quali sono le forze impiegate e quali i risultati ottenuti (costi-benefici). L'insieme di forze di polizia è uno dei più numerosi d'Europa e del mondo. Se consideriamo le polizie locali, con riferimento alle quali ci dovrebbero essere dei coordinamenti, e le capitanerie di porto, che svolgono anche un ruolo di contrasto e quindi di controllo del territorio, appare una realtà mastodontica di uomini e strutture impegnati per contrastare le devianze della criminalità organizzata.
Non so se abbiamo ben presente quello che accade nei porti e negli aeroporti, dove vi è lo smistamento non soltanto di droga e di armi, ma anche dei rifiuti tossici; vi è, a tale riguardo, un grande arricchimento ed un grande mercato e, tra l'altro, non sappiamo se sono presenti strutture specializzate per contrastare tutto ciò. Ho qualche dubbio e perplessità da questo punto di vista. Quindi, i dati debbono essere affrontati in termini molto più esaustivi per comprendere che qui non c'è bisogno di attardarci in dialettiche di ordine costituzionale.
Signor Presidente, non ho mai ben capito che cosa faccia l'Autorità per la privacy (lo dicevo in un orecchio alla collega Santelli). Dobbiamo capire qual è il bene supremo e più importante da tutelare. Il garante per la privacy pone sempre una serie di questioni sui dati e anche molte volte su quelli che riguardano sia la criminalità organizzata sia il terrorismo. Su questo aspetto ci dobbiamo mettere d'accordo: c'è veramente una violazione degli articoli che riguardano la privacy? C'è una violazione degli articoli costituzionali o delle direttive comunitarie (dal momento che si fa anche riferimento ad esse)? Dobbiamo metterci d'accordo, per saggiare quale è il grado e soprattutto la volontà di perseguire questi reati. Non èPag. 16che mi posso fermare, rispetto al terrorismo, ad una disquisizione di ordine giuridico importante, di ordine costituzionale, quando vi è un bene supremo importante da tutelare, che è tutelato dalla Costituzione (non solo materiale, ma anche, mi auguro, formale), ossia la difesa dell'ordine, soprattutto perseguendo coloro i quali intendono alterare questo ordine e questo equilibrio all'interno del nostro Paese.
Mi auguro che vi sia - lo dicevo poc'anzi - un raccordo in questo caso tra Costituzione materiale e formale. Credo che questo sia il dato che oggi viene fuori da questo punto di vista. Ecco perché gli altri aspetti che abbiamo ben presenti, per quanto riguarda il contrasto alla criminalità organizzata, attengono ovviamente ad un modo di essere, di concepire e di affrontare i problemi in termini molto forti, ma soprattutto con un animus non soltanto di mediazione, ma con grande decisione.
Signor Presidente, ritengo che avremo modo anche di ritornare su questo argomento nel prosieguo del dibattito, anche alla luce del nostro impegno nella fase emendativa. In un emendamento, abbiamo previsto che i 500 militari siano sottratti ai 3.000 precedenti. Ci è stato detto di «no» in Commissione e vorremmo capire la ragione di questo diniego. Vogliamo andare verso una riqualificazione non temporale dei militari, ma in termini forti? I militari come li aggreghiamo, come li facciamo entrare in questo disegno? In questo provvedimento si fa riferimento soprattutto ai Carabinieri. Ma come li integriamo? Come li armonizziamo? Come li professionalizziamo rispetto ovviamente ad un tipo di impiego che non rientra nei compiti istituzionali dell'esercito? Mi viene in mente una cosa, signor Presidente: qui sono in crisi anche le Forze armate: dopo la decurtazione delle risorse economiche, la rivisitazione del modello di difesa, si va da 190 mila a 165 mila militari.
Vogliamo capire se le Forze armate sono soltanto quelle impiegate in missioni fuori area, perché allora ci sarebbe soltanto il turnover fra i soliti reparti che conosciamo: la Folgore, i Col Moschin, i Lagunari, la Tuscania e gli altri. Se così è, vuol dire che stiamo creando un reparto speciale per missioni in area da parte delle Forze armate nel contrasto alla criminalità organizzata. Credo che questo sia un discorso molto serio che dovremmo fare con forza e non è detto che anche a questo tipo di valutazione, che emergerebbe da parte del Governo, la mia parte politica non verrebbe incontro con contributi e, soprattutto, con integrazioni e atti di perfezionamento della materia.
Ma c'è un dato, signor Presidente, che, a livello internazionale, è molto forte. In un provvedimento di legge, che è stato licenziato, abbiamo affrontato i fenomeni non soltanto di contrabbando, ma di contraffazione dei prodotti e di contraffazione alimentare che sono importanti ed inquietanti, allora vorremmo capire: se abbiamo reparti per i beni culturali, per le antisofisticazioni e quant'altro, come si raccordano tra loro? Mi sembra, infatti, che spesso le forze di polizia si appaltano ad un Ministero, poi ad un altro e ad un altro ancora, senza un quadro di coordinamento di carattere generale: il reparto dei carabinieri presso il Ministero del lavoro non colloquia con il Ministero per i beni culturali e così via (vi sono cento esempi, come quello dei trasporti). Pertanto, c'è bisogno di un dato di certezza in questo momento; disponiamo di risorse economiche importanti con le quali fronteggiamo questi fenomeni, ma manca una valutazione di insieme.
Signor Presidente, ritengo che vi siano delle rendite che non siamo più disposti ad accettare, perché non è che se uno mette la sigla con la quale si afferma di occuparsi dell'ordine pubblico viene dotato di un salvacondotto. Il Governo deve rispondere al Parlamento e deve dirci quali sono gli obiettivi e le disfunzioni sul piano del coordinamento perché è innegabile che vi siano. Anche il dettato della legge n. 121 del 1981 è stato nel tempo disatteso, non applicato, e vediamo ciò che accade nelle piazze, in cui il responsabile dovrebbe essere il funzionario della Polizia di Stato,Pag. 17ma i carabinieri non prendono ordini dai funzionari della Polizia di Stato. Dovremmo capire anche qual è il ruolo dei poliziotti, per esempio, e dei magistrati, se ai poliziotti viene riconosciuta una dignità sul piano investigativo - come ritengo sia giusto - per sottrarli al fatto di essere semplicemente degli orpelli o dei corollari all'interno delle procure della Repubblica. Questo bisogna capire, ma se non c'è una struttura efficiente, coordinata, autorevole, che abbia grande dignità e forza professionale, questi incidenti di percorso (chiamiamoli così), signor Presidente, accadranno spesso e si riverseranno negativamente sui problemi del contrasto alla criminalità organizzata.
Come ho sempre detto, non si può pensare che vi sia un controllo del territorio, perché abbiamo dislocato sullo stesso le stazioni dei carabinieri o i commissariati, che pure svolgono per intero il loro dovere; ad esempio, vi sono stazioni con due o tre persone nel territorio dell'Aspromonte, signor Presidente e signor sottosegretario, che sono più delle testimonianze di presenza; non sono delle strutture operative ed efficaci, perché manca il coordinamento. Vi sono, inoltre, commissariati che vivono o che vivacchiano: a suo tempo, fu istituito, con grande clamore e, soprattutto, con soddisfazione da parte di tutti, il commissariato a Catanzaro Lido che doveva avere un organico di 60 persone; invece ne ha 15 o 20, o le strutture e i mezzi non sono sufficienti.
Allora, noi che facciamo? Facciamo le statistiche, affermando che disponiamo di 2 mila stazioni dei carabinieri oppure di cento commissariati di pubblica sicurezza, ma non sappiamo veramente quale sia l'efficacia di questi militari o di questi agenti di polizia di Stato che mancano di mezzi e ovviamente di strumenti operativi per intervenire.
Signor Presidente, vi è un altro dato. Dobbiamo, infatti, chiarire un aspetto di fondo, ovvero quello del ruolo dei prefetti e di quelli che presiedono le conferenze dell'ordine pubblico. Visto e considerato che sono deputato della Calabria e credo che, signor Presidente, se ne ricorderà - lo dico anche per richiamare ulteriormente l'attenzione del Presidente Buttiglione - le porto un esempio. In Calabria fu inviato a suo tempo un super prefetto - fu chiamato così, in quanto noi amiamo questa terminologia, noi ci innamoriamo delle terminologie - con il compito di contrastare e di coordinare tutte le risorse, non soltanto economiche, ma soprattutto umane, nella lotta alla criminalità organizzata.
Tuttavia, ritengo che anche in Calabria vi sia un capoluogo di regione. Allora, perché il presidente o il prefetto coordinatore deve essere a Reggio Calabria e non a Catanzaro? Perché abbiamo questi conflitti?

PRESIDENTE. La invito a concludere.

MARIO TASSONE. Concludo, signor Presidente. Queste situazioni creano degli squilibri e degli scompensi. Vi è, infatti, una norma principale che prevede la regione, ma vi sono delle eccezioni. Potevamo capire, a suo tempo, le eccezioni, ma in ordine alla sede definitiva di questo coordinamento a Reggio Calabria ritengo che abbiamo alterato un dato. Anche da questi aspetti ritengo che bisogna garantire i processi.
Concludo, anche perché mi ha invitato a farlo, dicendo che ci siamo riservati in Commissione di esprimere il nostro giudizio e al Senato il mio gruppo si è astenuto. Su questo provvedimento anche noi forse, come si è potuto capire, esprimeremo un giudizio non entusiasta, ma prudente di astensione. Queste sono delle materie importanti e fondamentali e l'astensione significa ovviamente non tirarsi fuori, ma essere su una posizione dinamica e di contributo.
Ringrazio tutti i relatori, come ho fatto poc'anzi. Inoltre, vi è tutta la questione - ma non ho il tempo di esaminarla - dei giudici onorari, ma anche del complesso della magistratura che deve essere affrontata per evitare scompensi e squilibri. Anche io, quando ho parlato del territorio calabrese e delle prefetture, l'ho fatto nonPag. 18per una rivendicazione campanilistica, ma per evitare squilibri all'interno delle stesse amministrazioni che sono un forte motivo per dare ulteriori incentivi e motivazioni non solo economici, ma anche morali e per dare delle certezze che sempre più vanno svanendo.

PRESIDENTE. Il seguito della discussione sulle linee generali è rinviata al prosieguo della seduta.

Sull'ordine dei lavori (ore 14,05).

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, vorrei sottoporre a lei e all'Aula una considerazione ed anche una richiesta.
Signor Presidente, credo che ormai siamo abituati ad ascoltare membri del Governo (a cominciare dal Capo del Governo) che si alzano e dicono qualunque cosa: dalle battute sgradevoli nei confronti del neopresidente eletto negli Stati Uniti e, soprattutto, agli epiteti nei confronti di chi si è permesso di stigmatizzare il dubbio gusto di queste battute. Addirittura ieri abbiamo avuto un Ministro della Repubblica che si è permesso, partecipando ad una riunione, ad un circolo di partito, di generalizzare e di affermare che la stragrande maggioranza dei cosiddetti fannulloni (ammesso che questi esistano e siano individuabili) apparterebbero alla sinistra.
Signor Presidente, credo che queste situazioni non siano più tollerabili: siamo arrivati a un livello di degenerazione, soprattutto da parte di chi ha compiti istituzionali, che non è più sopportabile. In questo modo si rischia anche di mettere in difficoltà i tanti lavoratori che, come tanti altri lavoratori di parte opposta, sono riconoscibili come lavoratori di sinistra, che da domani potrebbero essere, come dire, perseguitati perché un Ministro si alza e si permette di pronunciare affermazioni così insulse e prive di qualunque fondamento.
Se il Ministro Brunetta non è un irresponsabile - io penso che lo sia - avrà certamente prove per dimostrare questa sua teoria. Credo, pertanto, che sia dovere del Ministro e del Governo venire in Aula per spiegarci in base a quali parametri, a quali analisi, a quali studi e a quali considerazioni si sia permesso di pronunciare un'affermazione del genere. Se così non fosse, il Ministro Brunetta dovrebbe - per decenza nei confronti della gente normale che va a lavorare tutti giorni e che non merita di essere trattata in questo modo - rapidamente rassegnare le dimissioni per un fatto di dignità nei confronti, lo ripeto, di tanta gente che lavora e che non può essere considerata e trattata in questo modo.
Presidente, la invito formalmente a chiedere al Governo che il Ministro Brunetta venga a spiegarci in base a quale ridicola considerazione - oppure, da parte sua, seria considerazione - si sia permesso di pronunciare affermazioni di questo tipo.

PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, riferirò doverosamente al Presidente della Camera la questione da lei sollevata.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 15.

La seduta, sospesa alle 14,05 è ripresa alle 15.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione alla ripresa pomeridiana della seduta.
I deputati in missione sono cinquantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Pag. 19

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 1857)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tidei. Ne ha facoltà.

PIETRO TIDEI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci troviamo oggi a discutere un provvedimento di indubbia rilevanza, secondo criteri e modalità ormai ricorrenti per questo Governo, che dimostra, da una parte, la smania quasi assillante del centrodestra di apparire agli occhi degli italiani come uno Stato decisionista, apparentemente abile e rapido nel risolvere i problemi, dall'altra, l'incapacità programmatica del Presidente Berlusconi e dei suoi ministri, che continuano a navigare a vista, senza una reale strategia di governo del Paese e senza soluzioni a lungo termine dei problemi, mancando confronti e ragionamenti ben ponderati, di cui in questo provvedimento non c'è assolutamente traccia.
Si tratta, infatti, di tre articoli che sono l'evidente negazione di quanto appena evidenziato. Non vi è nessuna soluzione a lungo termine, nessun confronto con le parti interessate, ma tanta e tanta demagogia mediatica. Cerchiamo di ragionare sul perché lo affermo. Come è noto, la conversione in legge del decreto-legge 2 ottobre 2008, n. 151, prevede misure urgenti in materia di prevenzione e accertamento di reati, di contrasto alla criminalità organizzata e all'immigrazione clandestina.
Faccio notare il peso specifico delle parole «misure urgenti», che sono ormai una prassi consolidata per questo Governo, il quale dal suo insediamento non ha fatto altro che procedere a colpi di misure urgenti, diffondendo nell'opinione pubblica la convinzione che ogni normativa sia sbagliata, dimenticando però che la maggior parte di quelle ritenute da modificare sono state introdotte nei precedenti cinque anni del Governo Berlusconi.
È una decisione assai discutibile, perché svuota del significato di urgenza quei provvedimenti che, per reali motivi di impellenza, soprattutto in termini di sicurezza del Paese e delle persone, necessitano di rapida approvazione. Lasciatemi dire che molte parti dell'articolo 2 e soprattutto dell'articolo 3-bis, in cui si stabiliscono nuove norme in materia di indennità spettanti a giudici onorari di tribunale e ai vice procuratori onorari, non si capisce quale urgenza abbiano per la sicurezza del Paese. Avrei capito forse l'urgenza, viceversa, di presentare finalmente un disegno organico di riforma della magistratura onoraria, che aspetta da dieci anni. Sono dieci anni che proroghiamo i termini. Di proroga in proroga, sono passati dieci anni, ma ancora non si parla di riforma strutturale della magistratura onoraria.
In secondo luogo, l'altra conseguenza deleteria di questo abusare di misure urgenti è un accrescimento a dismisura tra i cittadini italiani di un profondo senso di insicurezza e di malessere, dagli effetti che vi invito a non sottovalutare. I crescenti fenomeni di aggressione a sfondo razziale, i linciaggi e, soprattutto, l'aumento ormai appurato di aggressività tra gli adolescenti ne sono la testimonianza eloquente, su cui questo Governo dovrebbe riflettere seriamente, assumendosi finalmente precise responsabilità politiche e morali.
Sotto un aspetto più tecnico, voglio, invece, ribadire quanto già espresso dai colleghi senatori del Partito Democratico nel corso dell'approvazione di questo provvedimento in prima lettura, ovvero che il decreto-legge n. 151 del 2008 appare privo dei presupposti costituzionali di necessità e di urgenza e dell'omogeneità di contenuti richiesta dalla legge n. 400 del 1988. Esso è indice, pertanto, di un modo di operare del Governo poco rispettoso delle norme costituzionali, anche se ciò, a dire il vero, ormai non è più una novità per questo Paese e non ci sorprende più di tanto.
Resta, comunque, il nodo politico di un Governo che prosegue con ostinazione in una direzione sbagliata, basata cioè sull'adozionePag. 20di misure emergenziali e di forte impatto mediatico. Di questo poi si tratta.
Nel merito dell'articolo 2 del provvedimento, credo che tutti possano convenire sul fatto che la criminalità organizzata non si combatte con provvedimenti occasionali e simbolici, ma con interventi razionali, di ampio respiro, basati su una strategia di lungo periodo e sull'impiego serio e professionale di personale appartenente alla magistratura e alle forze dell'ordine.
Qui, invece, le soluzioni a lungo termine non ci sono, ma, da un anno e mezzo a questa parte, si accavallano decreti-legge su decreti-legge, misure urgenti su misure urgenti, spesso anche contraddittorie tra di loro, che mirano a trovare qualche soluzione immediata nel particolare, tralasciando il generale.
Tale riflessione vale soprattutto in riferimento all'invio di nuovi militari nelle zone più colpite dalla criminalità organizzata di stampo camorristico o mafioso. È una decisione che non contestiamo nel merito, anzi, ma nelle modalità, dal momento che è evidente il conflitto di competenze che si è venuto a determinare fra il Ministero dell'interno e il Ministero della difesa, e soprattutto tra le forze dell'ordine, oltre alla confusione determinata nell'organizzazione dei presidi e dei controlli militari.
In tal senso, come deputati del Partito Democratico, torniamo ad invocare con forza una riconsiderazione del ruolo e delle funzioni della polizia locale, al fine di adeguarne le competenze ai compiti di ordine pubblico, perché questo potrebbe comportare non solo un miglioramento dell'efficienza delle stesse e dell'attività di prevenzione e contrasto alla criminalità, ma anche un evidente risparmio per le casse dello Stato. Al riguardo, voglio osservare come sarebbe stato preferibile, per contrastare efficacemente la criminalità organizzata, rafforzare i presidi di forze specializzate di polizia - mi pare che anche l'onorevole Tassone riferisse ciò questa mattina - con particolare riguardo ai settori investigativi, che a lungo termine avrebbero potuto determinare risultati sicuramente più significativi.
Inutile dire che può risultare più proficua una pattuglia militare che sappia già dove andare a scovare i criminali, piuttosto che una pattuglia ferma in un presidio a vigilare che i criminali, casomai, non passino da quella strada. Siamo di fronte a due strategie di intervento diametralmente opposte!
Veniamo ora al terzo articolo del decreto-legge, ovvero alle misure per fronteggiare l'immigrazione clandestina e allo stanziamento di significative risorse per l'ampliamento e la nuova realizzazione di centri di accoglienza e di identificazione.
La prima considerazione naturale che mi viene da fare è la seguente: se oggi ci troviamo nella condizione di dover realizzare nuovi centri di accoglienza, il decreto Maroni sulla sicurezza e, soprattutto, l'«infallibile» legge Bossi-Fini non hanno, forse, fallito? Non dimostrano tutta la loro debolezza e inapplicabilità? Questo provvedimento, cari colleghi del centrodestra, è la più plateale sconfessione delle vostre politiche sull'immigrazione. È un clamoroso autogol, che voi, con la strategia del decreto-legge che tende a smorzare i tempi del dialogo e di discussione, avete cercato di nascondere all'opinione pubblica, ma che oggi siamo qui a ricordarvi, perché è bene prenderne atto.
Non è un caso, nonostante i telegiornali devoti al Premier lo nascondano, mandando in onda servizi su minigonne e rifugiati nelle varie isole di pseudofamosi, che gli sbarchi di immigrati clandestini stiano continuando come e più di prima.
Vorrete ammettere prima o poi il vostro fallimento o continuerete a nascondere la testa sotto la sabbia, promuovendo decreti-legge che vogliono falsamente convincere gli italiani che avete il polso duro e la situazione sotto controllo? Anche in questo caso, il ragionamento contorto che ha ispirato misure urgenti è deleterio e finisce, a mio avviso, in un vicolo cieco.
Si continua a produrre leggi e a stanziare fondi nel nostro Paese, quando non si capisce che è nei Paesi da cui arrivanoPag. 21gli immigrati che si deve intervenire. È lì che servono investimenti, risorse, progetti, strategie da parte del nostro Governo, perché nessun clandestino che muore di fame nella sua terra si farà spaventare da una legge Bossi-Fini di cui, probabilmente, non conosce neanche il significato o da nuove misure urgenti, adottate a raffica dal nostro Governo.
Chi di noi, nelle drammatiche condizioni in cui vediamo questi immigrati abbandonare il loro Paese, non tenterebbe comunque un ingresso clandestino in barba a qualunque legge, pur di trovare la sua sopravvivenza e quella dei suoi figli? È per questo che, in più di un'occasione, abbiamo proposto allo stesso Governo e alla stessa maggioranza di cambiare non le nostre leggi sul reato di clandestinità, ma le condizioni drammatiche nelle quali gli immigrati vivono nel loro Paese.
Noi, invece, come interveniamo, onorevoli colleghi? La risposta eloquente sta tutta nel taglio di 300 milioni di euro disposto dall'ineffabile Ministro Tremonti per la cooperazione internazionale e gli aiuti ai Paesi poveri, con la riduzione di tali somme allo scandaloso 0,1 per cento del PIL.
È un provvedimento che parla da solo sulla miopia politica di questo Governo, e su cui non intendo aggiungere altro.
Voglio invece aggiungere un altro esempio di come questo Governo, e soprattutto il Presidente Berlusconi, hanno ben concepito l'importanza di aiutare dal proprio interno quei Paesi da cui in maggior numero provengono gli immigrati clandestini. È un fatto passato sotto silenzio, che non è emerso né nelle emittenti televisive né tanto meno in Parlamento. Si tratta degli accordi siglati a settembre con il colonnello Gheddafi per cercare finalmente di risolvere le nostre responsabilità coloniali nella Libia.
Chi è riuscito a vedere qualche telegiornale (quelli ovviamente non ancora controllati dal Presidente) ha potuto constatare come i presunti maggiori controlli della polizia libica sulle partenze dei clandestini dalle loro coste sono stati smentiti nei giorni immediatamente successivi all'accordo da nuovi sbarchi a Lampedusa: questo probabilmente perché la maggior parte dei cospicui fondi governativi previsti per chiudere i conti con il nostro passato coloniale, ben 5 miliardi di euro in 25 anni, non verranno indirizzati per supporti strategici e militari alle forze dell'ordine libiche, o a strutture scolastiche o sanitarie per il miglioramento della qualità di vita di quelle popolazioni, ma, come sapete tutti, alla realizzazione di infrastrutture e opere di modernizzazione della Libia, opere che però saranno realizzate da grandi imprese italiane, forse le stesse che hanno finanziato la campagna elettorale del Premier e che oggi hanno trovato l'atteso ringraziamento del Premier, per giunta indorato da un alone mediatico-umanitario.
Mi pare che Berlusconi abbia deciso di utilizzare milioni di euro del nostro Stato per far arricchire, per agevolare imprenditori attraverso opere da realizzare in Libia con manodopera che sicuramente costerà la metà di quello che costerebbero loro in Italia. E con quale vantaggio per il nostro Paese? Con quale strategia per il contrasto vero all'immigrazione clandestina proveniente dalla Libia? Con quale reale beneficio per il miglioramento delle condizioni di vita di quei popoli? Niente di niente!
Noi, nel nostro profondo, ci vergogniamo, ma sappiamo bene che è questa la concezione di politica internazionale e di immigrazione del centrodestra, che arriva anche a speculare come in Libia sulla povertà della gente, senza alcuna soluzione reale e a lungo termine per il drammatico problema dei clandestini, tanto che poi si trova costretto ad incrementare le risorse per i centri di accoglienza, perché il numero di sbarchi clandestini aumenta, e aumenta ogni giorno.
Anzi, a dire il vero, dal centrodestra alcune soluzioni sembrano arrivate: sono le scimmiottesche proposte di Bossi e dei suoi accoliti di bloccare per due anni gli ingressi degli immigrati e far pagare le spese di pronto soccorso e ricovero agli stranieri irregolari, forse per recuperare i soldi spesi nei centri di accoglienza. ProPag. 22poste ovviamente che noi riteniamo inqualificabili, che bene ha fatto il Presidente della Repubblica a deprecare, e su cui il Popolo della Libertà sarebbe bene che prendesse adeguatamente le distanze anziché, come avviene ogni volta di fronte a boutade della Lega, sdrammatizzarle e ricondurle a ironici capricci di qualche Ministro isolato.
Le mie ultime considerazioni, signor Presidente, sono sull'articolo 1 del decreto-legge, nel cui merito il nostro partito ha espresso condivisione, dal momento che la proroga fino al 31 marzo 2009 per la conservazione dei dati sul traffico telefonico e telematico in supporto alle attività di prevenzione e repressione dei reati è senza dubbio una decisione sensata, ma che induce inevitabilmente ad una riflessione che davvero non possiamo evitare. Conosciamo tutti il disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche e la brillante idea di vietarne l'utilizzo per quei reati che prevedono pene inferiori a 10 anni in caso di condanna: questo, come tutti sanno, per evitare in realtà che si possa indagare su reati amministrativi che potrebbero inguaiare il capo del Governo, visto che la depenalizzazione del reato di falso in bilancio non è bastata a tranquillizzarlo.
Il principio base del disegno di legge è infatti quello di impedire le indagini su centinaia di reati in nome di una presunta privacy del popolo italiano. Ora con il decreto-legge n. 151 del 2008 ci si è resi conto di quanto tale principio sia controproducente e improponibile nella lotta alla criminalità organizzata, tanto da rendere indispensabile una proroga sulla conservazione dei dati sul traffico telefonico e telematico, smascherando così la doppiezza di questo Governo che per tutelare pochi amici è disposto anche a compromettere politiche vitali per il Paese come la lotta alla criminalità, salvo poi invocare ogni giorno la necessità di maggior sicurezza e ricorrere in continuazione a provvedimenti urgenti. Una sequenza di comportamenti schizofrenici che risulta davvero difficile comprendere.
Avviandomi alla conclusione, dunque, l'invito che rivolgo ai colleghi del centrodestra nell'esprimere il nostro dissenso nei confronti di questo provvedimento è quello di abbandonare finalmente la ricerca del consenso mediatico, mettere da parte la difesa degli interessi di pochi e operare, finalmente, negli interessi di tutto il popolo italiano. So di chiedere davvero molto, resto comunque speranzoso e mi affido ad una massima di quell'Erasmo da Rotterdam che, spesso, il Presidente del Consiglio ama citare: «chi riesce a capire è soddisfatto di sé e chi non capisce ammira tanto di più quanto meno capisce». Credo che questo dovrebbe essere utile almeno a cambiare rotta (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Paolini. Ne ha facoltà.

LUCA RODOLFO PAOLINI. Signor Presidente, il presente decreto-legge contiene una serie di disposizioni indispensabili e urgenti al fine di evitare effetti pregiudizievoli alle attività di prevenzione e di repressione dei reati derivanti da alcune disposizioni contenute nel decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 109, che introduce una nuova disciplina relativa alla conservazione dei dati del traffico telefonico e telematico per le predette finalità.
È di tutta evidenza che la perdita definitiva di questi dati potrebbe pregiudicare attività investigative particolarmente delicate anche nel settore della lotta all'immigrazione clandestina. A seguito dell'applicazione della nuova disciplina sulla conservazione dei dati del traffico telematico entrata in vigore il 3 luglio 2008, i fornitori di servizi telefonici possono conservare solo i dati del predetto traffico indicati nell'articolo 3 del citato decreto legislativo n. 109, tra cui l'indirizzo IP univocamente assegnato all'utente che consente di individuare la fonte della comunicazione. Per assolvere a tale adempimento i fornitori hanno novanta giorni di tempo a decorre dalla data di entrata in vigore del richiamato decreto legislativo e, nel contempo, sono tenuti a cancellarePag. 23tutti i dati del traffico telematico diversi da quelli indicati nel medesimo decreto e conservati in applicazione dell'articolo 6 del decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, convertito con modificazioni dalla legge 31 luglio 2005, n. 155, la cui disciplina è cessata a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 109 del 2008, ai sensi dell'articolo 34, comma 1, lettera a) del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, convertito con modificazioni dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31.
Come è stato segnalato da molti organi investigativi e dagli stessi fornitori di servizi, questa disciplina determina un vuoto normativo, per cui attualmente vi è il rischio di poter perdere definitivamente dati del traffico telematico che potrebbero risultare determinanti per proseguire le indagini, anche per gravi reati. Inoltre, gli stessi fornitori di servizi hanno segnalato l'impossibilità tecnica di assegnare ad ogni utente un indirizzo IP univoco, con la conseguenza che non sarebbe possibile conservare alcun dato utile ai fini dell'individuazione della fonte di comunicazione, come previsto dalla direttiva n. 2006/24/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2006.
A fronte di tale situazione rimarrebbero, peraltro, applicabili nei confronti dei medesimi fornitori di servizi telefonici le sanzioni amministrative previste dall'articolo 5 del citato decreto legislativo n. 109. Pertanto, nelle more dell'individuazione di una soluzione alternativa che - nel rispetto della normativa comunitaria e delle indicazioni che, eventualmente, vorrà dare il Garante per la protezione dei dati personali - consenta la conservazione di dati del traffico telematico indispensabili ai fini della giustizia, l'articolo 1 del provvedimento al nostro esame è volto a superare tali contingenti ed oggettive difficoltà attraverso il temporaneo ripristino (fino al 31 marzo 2009) della speciale disciplina sulla conservazione dei dati del traffico telematico, di cui all'articolo 6 del richiamato decreto-legge n. 144, che consente l'accesso a dati di traffico più ampi di quelli individuati nel predetto decreto legislativo n. 109 del 2008, nonché attraverso l'autorizzazione ai fornitori di servizi telefonici di mantenere gli stessi dati del traffico telematico non ancora cancellati.
Contestualmente, sono previsti il differimento al 31 marzo 2009 delle disposizioni relative all'obbligo per i fornitori di assegnare all'utente un indirizzo IP univoco, ivi comprese quelle sanzionatorie, nonché la conservazione dei dati delle chiamate senza risposta in relazione alla impossibilità di carattere tecnico per gli operatori di effettuare l'adeguamento tecnologico e organizzativo necessario.
Inoltre, un altro intervento del decreto-legge concerne l'indennità spettanti ai giudici ordinari dei tribunali (GOT), e i vice procuratori onorari (VPO), per i quali si prevede un compenso unitario in funzione della durata dell'impegno lavorativo (98 euro), e un'indennità aggiuntiva che non scatta più automaticamente in caso di seconda udienza giornaliera, ma solo quando l'impegno lavorativo superi comunque le cinque ore giornaliere. Si tratta di una norma che mira alla razionalizzazione dell'attuale disciplina contenuta nel decreto legislativo n. 273 del 1989, che, nel tempo, e soprattutto, a seguito delle nuove competenze attribuibili per deleghe ai vice procuratori onorari, ha portato ad una disomogeneità della prassi e dei criteri di quantificazione delle indennità dovute a questi magistrati onorari. Il presente intervento normativo, in attesa della riforma organica della magistratura onoraria, serve a chiarire definitivamente le ipotesi nelle quali deve essere riconosciuta ai magistrati onorari la doppia indennità nello stesso giorno e ad assicurare la certezza nell'applicazione delle legge.
Vorrei, inoltre, replicare brevemente al collega Zaccaria che è intervenuto precedentemente. Non condivido molto i suoi timori circa la possibilità che il Governo storni delle risorse dal Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell'usura in favore del Fondo di solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso. È evidente che si tratta di un provvedimento che, nella sostanza, mira a favorire queste vittime e se, per fortuna, il fondo inizialmente previsto per la primaPag. 24funzione è stato sovrastimato - cosa che mi sembra positiva, evidentemente vi sono meno delitti di usura, o meno vittime di quante ce ne aspettavamo - non vedo quale problema vi sia, se non in termini puramente formali, nel consentire una celere redistribuzione, - per usare un termine tecnico, mutuato dalla tecnica computeristica - una allocazione dinamica di queste risorse da un fondo ad un altro.
Ritengo quindi che la misura sia, senz'altro, utile e che, comunque, i dubbi teorici sollevati dal collega siano ampiamente superati dalla funzione e dal risultato pratico che questo funzione mira a raggiungere.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lo Moro. Ne ha facoltà.

DORIS LO MORO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, partendo dalle ultime parole espresse dall'onorevole Paolini, vorrei sottolineare all'Aula, oltre che all'onorevole Paolini, che il problema dell'usura è gravemente sottovalutato e che se oggi non vi sono richieste, o se non ve ne sono in abbondanza, e se vi è, come sembra, come risulta dagli atti, un esubero nel Fondo, ciò non è dovuto al fatto che non vi sia questo fenomeno, ma la causa è molto più grave: la verità vera è - come ha denunciato proprio in questi giorni la Confesercenti, in particolare Sos Impresa - che si registra in Italia un'allarmante crollo del numero delle denunce per usura nel primo semestre del 2008. Quando crollano le denunce ci si deve interrogare sul perché ciò sia avvenuto; non è detto che, se non vi sono denunce, siamo di fronte ad un certo fenomeno. La stessa Confesercenti ci comunica e ci documenta che i casi di usura sono assolutamente in crescita e che l'usura sta diventando nel nostro Paese un reato per il quale esiste un trend maggiore soprattutto nelle regioni più a rischio dal punto di vista economico. In Calabria, ad esempio, vi è una percentuale di crescita del reato assolutamente esorbitante. Bisogna capire, allora, come utilizzare il Fondo, anziché ridimensionarlo.
Affermato tutto ciò per dare continuità ai nostri discorsi, richiamo brevemente l'intervento dell'onorevole Zaccaria - cercherò di non ritornare sugli argomenti svolti dai colleghi del mio partito - che ha denunciato la circostanza che dall'inizio di questa legislatura si è fatto ricorso ormai più volte ai decreti-legge, e che, in particolare, sono arrivati in discussione per la conversione ben 19 decreti-legge. Questo dato di partenza - senza ripetere ciò che ha affermato l'onorevole Zaccaria - mi serve per svolgere una prima osservazione sul provvedimento oggi in discussione.
Non mi allarma solo, o tanto, il fatto che siamo davanti all'ennesimo decreto-legge oggetto di conversione (il diciannovesimo); mi allarma e mi sembra politicamente assai più rilevante il fatto che quasi tutti gli articoli di questo provvedimento richiamano e modificano altri provvedimenti emessi da questa maggioranza. Con una normativa assai minima (inizialmente quattro articoli e adesso nove articoli), noi interveniamo e modifichiamo ben quattro provvedimenti emessi dallo stesso Governo Berlusconi, in particolare un decreto legislativo e tre decreti-legge. Perché dico ciò? Perché, anche a voler essere generosi nel riconoscere i presupposti dell'urgenza, questa maggioranza e il Governo del nostro Paese devono cominciare a fare i conti con il fatto che legiferare in questa maniera produce molto spesso errori, in particolare errori di valutazione, soprattutto quando, anche nel corso della discussione, non si è assolutamente disponibili a eliminare errori anche materiali e si va avanti a colpi di maggioranza pur di ottenere l'approvazione del provvedimento di turno. Entriamo nel merito del provvedimento in esame, per vedere se è vero e perché mi sembra allarmante il dato che ho illustrato.
L'articolo 1 interviene sul decreto legislativo 30 maggio 2008 n. 109. Lo fa dichiaratamente, tant'è che la rubrica dell'articolo 1 è la seguente: «Modifiche al decreto legislativo 30 maggio 2008 n. 109». Quindi, il 3 ottobre del 2008 si interviene su un decreto legislativo diPag. 25qualche mese prima, e, tra l'altro, si interviene veramente con urgenza, perché questo decreto legislativo aveva introdotto termini che stavano per scadere (più precisamente il provvedimento in discussione oggi è del 2 ottobre, mentre i termini di scadenza in questione relativi ad una parte della normativa erano fissati al 3 ottobre). Su questo articolo, considerati i rilievi fatti in sede tecnica e la necessità di una proroga di termini tale da consentire ai soggetti interessati di attrezzarsi per l'osservanza della normativa (altrimenti sarebbero sanzionati), è un po' scontato (anzi sarebbe un po' banale) dichiararsi d'accordo. Infatti, penso che noi tutti siamo d'accordo se si tratta di correggere il tiro, cioè di allungare i termini per consentire poi l'osservanza di una norma. Tuttavia, mi sembra che sia contestualmente corretto ed anche opportuno osservare che il 30 maggio del 2008 si è data attuazione ad una direttiva comunitaria e nel farlo si è discrezionalmente arrivati a quantificare i termini in maniera assai riduttiva, e a mio parere non è un caso. Non si tratta tanto di un errore di valutazione, quanto di una strategia politica di questo Governo, perché quelli sono gli stessi giorni (cito soltanto il titolo di una fonte Ansa) in cui Silvio Berlusconi annunciava un'iniziativa del Governo destinata a fare discutere: il divieto di ordinare ed eseguire intercettazioni anche nell'ambito di indagini giudiziarie. C'è un rapporto fra la riduzione dei termini e la quantificazione in misura assai ridotta per esempio dei termini per la conservazione dei dati relativi alle chiamate senza risposte e questo atteggiamento di contrasto, di contrarietà quasi ideologica alle intercettazioni. Penso che ci sia un filo conduttore e quando vedo poi che, nonostante la direttiva europea ponesse dei limiti (in particolare prevedesse che i dati dovessero essere conservati per un periodo non inferiore ai sei mesi e non superiore ai due anni), si quantificano in trenta giorni i termini per la conservazione dei dati relativi alle chiamate senza risposte, ciò mi fa pensare che, dietro tutto questo, non ci sia un banale errore ma una strategia politica che poi il Governo è andato via via correggendo e adeguando, della quale abbiamo registrato l'eco, soprattutto sui giornali e nella discussione politica più che in questa Aula dove però è giusto che la discussione ritorni.
Allora ben venga la proroga (prima si prevedeva il 31 dicembre 2008 e adesso il 31 marzo 2009), visto che oramai siamo al 17 novembre. Ben venga tutto questo, però sapendo e dicendoci con chiarezza che siamo davanti alla necessità di intervenire perché c'è stata un'erronea valutazione, o perché volutamente si sono sottovalutate le difficoltà, pur di affrettare i tempi entro i quali bisognava disfarsi dei dati telematici e di quelli telefonici, soprattutto delle chiamate senza risposta che vengono comunque registrate e conservate per un certo periodo di tempo.
Passando all'articolo 2, anche in questo caso, all'interno di esso, in modo dichiarato - non si tratta di aspetti che bisogna scoprire - riguardo all'impiego del personale delle Forze armate, si torna su una normativa di qualche mese precedente, il decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92.
Rispetto all'impiego delle Forze armate, al contingente di tremila militari di cui era prevista l'utilizzazione in quell'occasione, il nostro atteggiamento è stato di aperta contrarietà. Infatti, l'esigenza che più volte abbiamo sottolineato consiste nel fatto che i problemi della sicurezza del nostro Paese vanno affrontati non in maniera emergenziale, come purtroppo sembra che stiamo continuando a fare, ma in maniera sistematica, con norme efficaci proprio dal punto di vista del contrasto alla criminalità organizzata e alla criminalità in generale e non con strategie che fanno pensare più a misure che hanno a che vedere con l'immagine piuttosto che con la sostanza.
Certamente, siamo di fronte ad un'esigenza completamente diversa e, del resto, ricorderete che, nel dibattito immediatamente successivo ai fatti di Castelvolturno, anche esponenti autorevoli del mio partito hanno preso posizione persino di assoluta apertura verso l'impiego dei cinquecento militari di cui oggi si parla. Tuttavia, nelPag. 26provvedimento continuano ad essere presenti dei limiti. Infatti, se è vero che si parla di cinquecento militari e che è nota la presenza dei militari all'indomani dei fatti di Castelvolturno, con tutto ciò che è accaduto nella provincia di Caserta, rispetto al cui contesto abbiamo registrato divergenze di vedute tra il Ministro della difesa e il Ministro dell'interno circa l'interpretazione dei fatti che si devono contrastare, la normativa rimane comunque molto carente. È una normativa lacunosa, nella quale non si capisce bene, soprattutto per i contrasti esistenti tra il testo di legge e le relazioni di accompagnamento trasmesse dal Senato, se le cinquecento unità sono ulteriori rispetto ai tremila: so bene che sono sicuramente ulteriori, perché ce lo hanno chiarito in sede di Commissione, anche se tali elementi dovrebbero essere chiariti. Nel momento in cui vengono chiariti e viene acquisito come definitivo il dato in base al quale ai tremila si aggiungono i cinquecento, rimane un altro enigma da svelare, un'altra circostanza da denunciare: come è possibile che, con gli stessi fondi, di cui al comma 4, si provvedeva alle necessità relative all'impiego dei tremila militari di cui al decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 e poi con le stesse somme si riesce a far fronte all'ulteriore operazione dei cinquecento militari da dispiegare come presidio di legalità nella provincia di Caserta?
Qual è la nostra verità, qual è la verità vera? Senza avere alcuna preclusione - soprattutto rispetto alla circostanza che ha giustificato il provvedimento - nei confronti della presenza dell'esercito, che anche in altre occasioni in Italia e soprattutto nelle regioni insulari e meridionali è stato utilizzato con successo, rimane il fatto che il Governo, per un verso, prevede tagli alle risorse destinate alle forze dell'ordine e alle Forze armate e riduce, quindi, la capacità di formazione e di addestramento e, per altro verso, invece, con fondi che vengono ricavati sempre all'interno delle stesse poste di bilancio, ci si avventura in operazioni rispetto alle quali siamo sicuramente fiduciosi nella possibilità di incidere positivamente, ma di sicuro assolutamente scettici sul fatto che possano essere risolutive rispetto all'obiettivo di contrasto alla criminalità organizzata.
Devo svolgere poi una considerazione, legata al discorso di partenza, rispetto all'articolo 2-bis, articolo in ordine al quale in Commissione si è registrata anche una polemica, con uno strascico anche fuori dalla medesima, con il sottosegretario Mantovano. Infatti, che operazione si compie? Si fanno migrare i fondi destinati alle vittime dell'usura e dell'estorsione verso un altro fondo, che è quello delle vittime della mafia. Anche in questo caso, possiamo mai dichiararci contrari al fatto che 30 milioni di euro vadano ad accrescere la possibilità - la nostra possibilità, la possibilità dello Stato - di far fronte alle richieste di risarcimento delle vittime della mafia? Non è assolutamente ipotizzabile un discorso di questo genere.
Il punto è che questi fondi hanno subito un taglio; tutti i fondi hanno subito un taglio con la legge finanziaria, quindi potevamo pensarci prima a non tagliare laddove invece vi erano delle necessità, con riferimento a quello che era possibile non tagliare ed a quello che è stato tagliato. Poi, anche e soprattutto sul piano politico, per le ragioni che prima rendevo note, con riferimento alle considerazioni che più che altro rivolgevo al collega Paolini, per stimolare approfondimenti sull'argomento, non è politicamente ipotizzabile utilizzare le postazioni di bilancio con tanta disinvoltura, perché dovremmo avere il coraggio di dire a chi è vittima dell'usura che, se non ci chiede i fondi, li storniamo e li mandiamo da un'altra parte, mentre l'azione di uno Stato si misura con la capacità di coinvolgere il cittadino, e soprattutto il cittadino vittima di un reato così aberrante come quello dell'usura e dell'estorsione; coinvolgerlo significa mettere a segno tutta una serie di attività che non sono soltanto quella dell'erogazione del fondo, che è un'attività finale, ma soprattutto un'azione di prevenzione, di formazione e di educazione sul territorio,Pag. 27insieme alle tante associazioni che di questo fenomeno si occupano ed anche autonomamente.
Perciò, da questo punto di vista, non possiamo essere soddisfatti e abbiamo tentato, anche in sede di Commissione, di far approvare emendamenti che non producessero il mancato incremento dei fondi per le vittime della mafia, ma che ci consentissero di trovare altrove su altre postazioni, su postazioni di bilancio che non denunciassero sul piano politico una sottovalutazione di un fenomeno criminale assai rilevante come quello dell'usura e dell'estorsione.
Sul comma 2 dell'articolo 2-bis si è già espresso il collega Zaccaria e anch'io voglio solo sottolineare il fatto che sembra una norma - lo dico soprattutto al sottosegretario presente - di assoluto buonsenso: se i fondi li intendiamo come un capitolo di bilancio freddo, in cui bisogna dare risposte a chi fa domande e dimentichiamo poi invece quali sono le regole che sottendono alla formazione del bilancio dello Stato - e soprattutto che vi è una riserva di legge che stabilisce che in materia di contabilità e di bilancio la parola passa al Parlamento e non ai singoli Ministri o al Governo - sembrerebbe normale che il Ministero dell'interno possa adoperare indifferentemente il fondo in una direzione e non in un'altra. Ma qui manca oltretutto un elemento che possa consentire di giudicare con parole questa possibilità, che pure il Ministro viene ad avere: si parla della possibilità di destinare al Fondo (stiamo parlando del fondo per le vittime di mafia) una quota del contributo, senza stabilirne le modalità né soprattutto la misura: in che misura il Ministro può destinare al fondo il contributo devoluto annualmente al Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell'usura? Rimane in capo al Ministro un potere che ci sembra esorbitante e soprattutto non in linea con i poteri e con l'organizzazione del Governo e dello Stato e con le nostre regole generali.
Non mi dilungo sugli errori che sono stati già denunciati in sede di Commissione e dei quali ha parlato l'onorevole Zaccaria per quanto riguarda l'articolo 2-quinquies. Mi sembra sufficiente quanto è stato detto e non ho nulla da aggiungere.
Mi interessa, invece, spendere qualche altro minuto sull'articolo 3, che riguarda le misure per fronteggiare l'immigrazione clandestina. Anche qui si è verificato lo stesso meccanismo: ci si è occupati dell'immigrazione clandestina con il pacchetto sicurezza ed è previsto che ci se ne debba occupare anche nel disegno di legge attualmente in discussione al Senato.
Tale articolo interviene sul presupposto di un'urgenza e viene chiarito che interviene in anticipazione rispetto ai provvedimenti previsti nell'altro disegno di legge. Questo modo di procedere ci sembra piuttosto estemporaneo, ma in particolare ci preoccupa sul piano politico, soprattutto quando succede, come oggi, che proprio in relazione ai CPT o CIE (centri di identificazione e di espulsione, come, più correttamente, li dobbiamo oggi chiamare), si dà notizia sul Corriere della sera di un'inchiesta sugli appalti. In tale articolo si denuncia che tale inchiesta sia relativa al fatto che alcuni soggetti coinvolti negli appalti avrebbero violato le regole, omettendo addirittura di presentare la certificazione antimafia dovuta.
Tutto questo discorso mi porta a dire che continua, sotto forma quasi alluvionale, un modo di legiferare per cui una norma si aggiunge ad un'altra, mentre ora è arrivato, probabilmente per tutti, anche per il Governo, il momento di non lavorare più con provvedimenti di carattere emergenziale (nonostante le emergenze ci siano e siano tante).
Infine, per l'articolo 3-bis, è difficile capire quale fosse l'urgenza. Penso che questo decreto-legge sia stato utilizzato come contenitore e che non si è avuto neanche il coraggio di inserire un riferimento alla norma nel titolo del provvedimento, che riguarda altro e non certamente i giudici onorari. Richiamo questo aspetto non tanto per invadere un campo che è diverso da quello degli affari costituzionali, quanto per dire che l'Aula si è già occupata dei giudici ordinari con il decreto-legge n. 127 del 2008, già convertito in legge: lì se ne è occupato per unaPag. 28proroga, oggi per un'indennità. È lo stesso metodo di andare avanti, sempre a pezzetti, su argomenti sui quali un pezzo smentisce, modifica o si aggiunge all'altro.
Tutto ciò ci fa essere molto scettici su questo modo di procedere e sul provvedimento stesso, che contiene anche norme rispetto alle quali non abbiamo nessuna preclusione e che invece ipotizzavamo non dico di portare a compimento con il consenso dell'opposizione, ma di accompagnarle, anche come opposizione, la quale deve essere capace anche di essere d'accordo su questioni dettate da ragioni effettive e da effettiva urgenza.
Allora, il quadro che ho voluto illustrare è questo. Cosa dovremmo fare? Il nostro atteggiamento è di disillusione. Può la discussione che stiamo svolgendo rappresentare uno stanco rituale? Non certamente per me, che sono appena arrivata in Parlamento e che do molto valore alle istituzioni, per cui questa discussione mi sembra doverosa. Tuttavia, i discorsi che facciamo devono avere un senso anche rispetto al modo di procedere della maggioranza, perché, in fondo, quello che si rivendica e a cui si aspira, non è soltanto un contenuto di merito più vicino alle esigenze del Paese, soprattutto rispetto a problemi che non ho neanche sfiorato e che non c'entrano con il discorso che stiamo facendo, oggi, qui in Aula.
Penso che comunque bisogna convergere su alcuni dati, quali il rispetto delle regole ed il senso della democrazia e delle istituzioni ed offrire agli utenti (prima ancora che a noi che siamo chiamati a votare le leggi che tutti dobbiamo rispettare) un quadro ed una legislazione lontani dalle logiche emergenziali che esistono, sono molto presenti nel nostro Paese, ma che, poi, in questi provvedimenti vengono esaltate da errori e continue rivalutazioni che rendono il tutto, se possibile, ancora più allarmante (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rao. Ne ha facoltà.

ROBERTO RAO. Signor Presidente, onorevoli colleghi mi preme innanzitutto sottolineare come la priorità vera su cui si misura il livello di affidabilità del Governo di un Paese sia la capacità di dare risposte certe ed efficaci ad uno dei bisogni primari del cittadino, la sicurezza.
La sicurezza e la difesa sono, infatti, compiti inalienabili affidati da sempre allo Stato centrale, persino nei Paesi con un sistema istituzionale federale molto spinto. In questa materia non dovrebbero esistere monopoli di parte, ma serve una larga intesa (e noi l'abbiamo rivendicato più volte, cercando più volte il dialogo con la maggioranza e con il Governo), caratterizzata da una posizione ragionevole di fermezza tra le forze parlamentari che tutte condividono la priorità della sicurezza.
È doveroso evidenziare che, a fronte di un maggiore allarme sociale determinato dalla recrudescenza della criminalità organizzata e dai problemi legati all'immigrazione clandestina, da più parti si chiede un intervento tempestivo, ma soprattutto efficiente.
La politica degli spot, infatti, rischia alla fine di trasformarsi in un boomerang - come ha affermato recentemente anche il professor De Vita su diversi quotidiani - quando vanifica lo scopo per il quale si prevedono le norme, quando moltiplica i reati senza garantirne la sanzione e soprattutto quando rischia di amplificare la percezione stessa dello stato di insicurezza dei cittadini.
Mi soffermo su alcuni aspetti, in quanto altri sono stati trattati già dal mio collega Tassone: quelli relativi alla Commissione affari costituzionali, che sono stati esaminati in maniera più approfondita.
L'articolo 1 del decreto-legge, che proroga alcune norme importanti in materia di lotta al terrorismo, con particolare riguardo alla disciplina relativa alla conservazione dei dati del traffico telematico, pone questioni meritevoli quanto meno di approfondimento. Potrebbe, infatti, esserci un problema di incostituzionalità per la violazione degli articoli 2 e 21 della Costituzione, anche se i colleghi relatoriPag. 29hanno dato una spiegazione abbastanza approfondita e ampia delle motivazioni che hanno portato a questo provvedimento.
Perplessità, però, emergono anche con riferimento agli articoli 11 e 117 della Costituzione, poiché mancano anche le indicazioni che consentano di assicurare il rispetto di obblighi internazionali e comunitari.
Comunque, a nostro giudizio, sarebbe opportuno approfondire alcune questioni, a partire da quelle relative al metodo di contrasto ad ogni forma di terrorismo interno ed internazionale, dal momento che l'ultimo pacchetto organico di progetti su questa materia lo ha predisposto, con assoluta efficacia e condivisione da parte nostra, l'allora Ministro dell'interno Pisanu (al quale colgo l'occasione per fare i migliori auguri per il nuovo incarico di presidente della Commissione antimafia).
Il «pacchetto Pisanu» si proponeva di prevenire e contrastare efficacemente il terrorismo internazionale di matrice fondamentalista ed islamica nonché quello interno, che purtroppo non possiamo considerare ancora del tutto esaurito.
L'impiego del contingente di militari delle Forze armate previsto dall'articolo 2 sicuramente rappresenta un segnale evidente e di impatto sull'opinione pubblica della presenza dello Stato, ma al di là dell'esigenza mediatica di comunicare ai cittadini l'impegno delle istituzioni nel territorio, occorre che Governo e Parlamento approfondiscano in modo serio e responsabile le nuove connessioni tra camorra, 'ndrangheta, nuove mafie e terrorismo internazionale, elemento che riteniamo molto pericoloso. Questo è un tema su cui non possiamo far finta di niente e per il quale non ci si può limitare a prevedere l'intervento, anche massiccio, delle Forze armate nelle città.
Abbiamo avuto modo di constatare, rispetto alle manifestazioni in alcune realtà particolarmente sensibili, che vi è un'emergenza sotterranea rispetto alla possibilità della ricostruzione di forme di eversione interna, che non può essere sottovalutata e che va contrastata sin dai primi segnali e con ogni mezzo da parte nostra.
Il problema, comunque, non è costituito da 500 militari in più o in meno o dalla durata del loro utilizzo, poiché l'Unione di Centro ha sempre assecondato questa scelta e senza pregiudizi.
Abbiamo, però, rilevato che l'operazione «Vespri siciliani» che prevedeva un massiccio utilizzo delle risorse militari in territori inquinati dalla criminalità, aveva un suo significato, una sua strategia e una sua logica, non essendo contingentata e circoscritta ad un'operazione di supporto logistico e ricordo che in Sicilia per quell'operazione furono inviati ben ventimila uomini.
Per una maggiore razionalizzazione delle risorse, l'Unione di Centro ha proposto, per controllare zone ad alta densità criminale della Campania, che il contingente di 500 unità faccia però parte delle tremila già impegnate. Non vorremmo, infatti, che si attingesse, e questo fosse un ulteriore elemento di questo tentativo, alle riserve qualificate delle Forze armate per ottenere quello che dovrebbe essere un compito, invece, delle forze dell'ordine che sono sotto organico e subiscono tagli macroscopici, in contrasto con la propagandata politica di sicurezza.
Insomma, le Forze armate hanno una loro specificità, una loro dignità e non possono essere usate «un tanto al chilo» perché mancano le risorse per garantire la professionalità a polizia e carabinieri. Si fa confusione e così rischiamo di scontentare tutti: è questo il segnale che lanciamo.
Questa previsione, oltre a rispondere a una necessaria razionalizzazione, tiene conto anche della circostanza che l'articolo 2 del provvedimento in questione potrebbe non essere conforme all'articolo 81 della Costituzione, in quanto il contingente di personale previsto è di ulteriori 500 unità per le finalità previste dall'articolo 7-bis fino al 31 dicembre 2008. Tuttavia, il Governo ha individuato la copertura di questa operazione con una previsione ex ante, di una minore spesa relativa alla missione ancora in corso diPag. 30esecuzione e del cui termine non si è assolutamente certi. Mi spiego: il contingente di tremila militari è stato dislocato con un mese di ritardo rispetto al previsto (agosto anziché luglio), ma ciò non comporta automaticamente una minore durata della missione originaria, da sei a cinque mesi e quindi una spesa ridotta di un sesto, che peraltro potrebbe essere prorogata, come appare sempre più evidente dalle pubbliche dichiarazioni dei ministri interessati, ma tale riduzione di spesa è il presupposto su cui si basa lo stanziamento per i nuovi 500 militari da dispiegare.
Altro punto: nell'ottica di una maggiore trasparenza dell'azione amministrativa, riteniamo necessario un chiarimento del Governo in merito alle procedure attraverso le quali l'Esecutivo ha realizzato, o intende realizzare, i centri di identificazione e di espulsione di cui all'articolo 3 (dei quali si è cambiato solo il nome, ma non la funzione, secondo il solito schema che abbiamo denunciato più volte: prima la propaganda e poi, semmai, la sostanza), nonché sull'eventuale rispetto delle linee guida che il Ministro ha emanato per definire gli standard qualitativi di suddette strutture. Ad esempio, non si possono trasformare improvvisamente residenze per anziani in centri di identificazione e di espulsione senza almeno una preventiva ed adeguata ricognizione delle strutture. Su questo aspetto abbiamo presentato un emendamento che, come gli altri, riteniamo ragionevole e sul quale sollecitiamo il Governo e i colleghi della maggioranza ad un'ulteriore riflessione costruttiva.
Inoltre, per la costituzione dei centri appare opportuno, a nostro giudizio, sentire i sindaci dei comuni interessati senza, ovviamente, dare loro il potere di veto perché altrimenti si fermerebbe qualsiasi tipo di iniziativa nel nostro Paese. Condividiamo l'esigenza del Governo di fare presto, ma vorremmo anche che fosse accompagnata da un'esigenza di far bene e vorremmo comunque eliminare la possibilità di tensioni sociali sul territorio di cui davvero non avvertiamo il bisogno.
Mi soffermo poi sull'articolo 3-bis che rende disomogeneo il provvedimento, perché introduce una materia estranea al contesto normativo. Una volta tanto dico «per fortuna», anche se questo fine, a nostro giudizio, non giustifica il mezzo, perché non è la prima volta che troviamo in un provvedimento questioni, purtroppo, ultronee rispetto al contenuto originario del provvedimento.
Mi riferisco alla disciplina e alle indennità spettanti ai giudici onorari di tribunale e ai vice procuratori onorari. L'articolo 3-bis è comunque da noi interpretato nella sua finalità positiva - lo ribadisco - perché tende a superare (senza riuscirci appieno, ma almeno è lodevole il tentativo) una serie di problematiche in merito alle quali il nostro gruppo ha più volte richiamato, in Aula e in Commissione, l'attenzione del Governo.
Viene previsto un compenso unitario in funzione della durata dell'impegno lavorativo (98 euro), insieme ad un'indennità aggiuntiva che però non scatta più automaticamente in caso di seconda udienza giornaliera, ma solo quando l'impegno lavorativo superi le 5 ore giornaliere. Al di là di ogni considerazione formale, la norma non prevede una retribuzione proporzionata, a nostro giudizio, alla quantità e alla qualità del lavoro svolto dai vice procuratori onorari e dai giudici onorari di tribunale, ma so che su questo anche il Governo ha una sua sensibilità.
Il problema è sempre lo stesso: non si trovano i soldi e quindi vengono scelte altre priorità. Consideriamo irrinunciabile l'apporto dei giudici onorari e dei vice procuratori onorari, in particolare in un momento in cui l'amministrazione della giustizia soffre l'insufficienza degli organici della magistratura di ruolo e in un momento in cui l'emergenza sicurezza richiede sempre più efficienza per rendere tempestiva ed effettiva la punizione dei reati (sempre più numerosi), come abbiamo detto anche all'inizio.
Rimediare a questa situazione non significa solo prendere atto delle ragioni manifestate in forma di protesta civile dalla categoria, soprattutto nell'ultimo periodo, ma anche assicurare l'indipendenza della magistratura onoraria a garanziaPag. 31della prestazione imparziale delle sue funzioni. A tale proposito, spero che per l'onorevole Scelli si sia trattato di un lapsus (sicuramente lo è stato), laddove nella sua relazione ha parlato di un'iniziativa di legge per la riforma complessiva della magistratura onoraria entro il 31 dicembre 2009, mentre nell'ordine del giorno della maggioranza a prima firma Vitali - e sottoscritto anche dall'Unione di Centro - si faceva riferimento al 31 dicembre di quest'anno.
La nostra proposta emendativa al riguardo risponde all'esigenza di rendere equo il trattamento economico dei magistrati onorari di tribunale rispetto a quello, peraltro neppure sufficientemente adeguato, dei giudici di pace, che hanno una competenza per materia e per valore inferiore e una retribuzione mediamente superiore. Anche in questo caso, non si può continuare ad ignorare che l'ingiustificata diversità di trattamento viola l'articolo 3 della Costituzione.
L'obiettivo è di arginare l'esperimento di azioni giudiziarie prospettate già dalla categoria con riferimento sia alla mancata retribuzione dell'attività di ufficio svolta dai viceprocuratori onorari, sia la mancata retribuzione dei provvedimenti definitori di competenza dei giudici onorari. In tal modo, si eviterebbe un ulteriore ingolfamento dei tribunali e un risparmio delle spese che graverebbero sullo Stato in caso di soccombenza.
Stabilire un'indennità giornaliera per i vice procuratori onorari e un'unica indennità di udienza per i giudici onorari, integrata con l'indennità da corrispondere per i provvedimenti definitori, varrebbe a superare l'insoluta questione circa il concetto di udienza che per ora dà diritto all'indennità, come si evince dalle contrastanti circolari emanate dal Ministero della giustizia sul punto in risposta agli infiniti quesiti posti dagli uffici giudiziari.
La previsione invece dello scatto di una seconda indennità nel caso in cui l'impegno lavorativo duri più di 5 ore appare irragionevole ove si consideri che la previsione rischierebbe di premiare coloro i quali intendessero operare con una minore efficienza nel tenere l'udienza con conseguenti disagi per gli utenti. Ciò, inoltre, penalizzerebbe i giudici onorari civili impegnati nelle udienze di precisazione delle conclusioni, che - seppure di durata inferiore alle 5 ore - richiedono come attività conseguente l'esame degli atti di tre o quattro cause già istruite dal valore di decine di migliaia di euro e comunque anche la motivazione delle relative sentenze.
Insomma, ci sembra una sorta di introduzione surrettizia di tornelli per i giudici, che però se fosse istituita realmente, forse dimostrerebbe quanto lavorano tali giudici, che non vanno spesso sulle prime pagine dei giornali (tranne rari casi) e che però conoscono bene i tanti cittadini che hanno avuto a che fare con loro. Per i viceprocuratori l'ancoraggio all'orario dello scatto della seconda indennità giornaliera sarebbe inutile, in quanto - trattandosi di indennità giornaliera corrisposta sia per attività di udienza che d'ufficio - la durata dell'impegno supererebbe sistematicamente comunque le 5 ore, essendo entrambe le attività d'ora in poi delegabili nello stesso giorno.
Per finire, la mancata previsione dell'irripetibilità delle somme corrisposte esporrebbe il Ministero della giustizia - come abbiamo detto - a sicure azioni giudiziarie con tutte le conseguenze che ne deriverebbero sia da parte dei magistrati onorari interessati, che hanno prestato il proprio lavoro in cambio di un determinato compenso, e a possibili condanne anche da parte della Commissione europea, a cui le federazioni dei giudici onorari hanno annunciato di fare ricorso al fine di richiedere l'apertura di una procedura di infrazione contro l'Italia.
In sintesi, signor Presidente, colleghi, signor sottosegretario, non siamo ovviamente, come sempre accaduto, pregiudizialmente contrari a qualsiasi tipo di iniziativa che vada nel senso della sicurezza e di una maggiore attenzione alla giustizia. Vorremmo che queste cose non fossero in contraddizione rispetto alla propaganda legittima del Governo e vorremmo che queste iniziative fossero seguite da fattiPag. 32concreti che arrivino sui cittadini ai cittadini direttamente e non attraverso le televisioni e i giornali (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. Saluto gli studenti dell'Istituto comprensivo «Mosè Mascolo» di Sant'Antonio Abate, in provincia di Napoli, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi). Vi ringrazio della vostra visita. Vedete solo pochi parlamentari presenti, ma gli altri non sono al bar a prendere il caffè! Sono nelle Commissioni o nel loro collegio, svolgono tante altre attività egualmente importanti come quella della discussione in Aula, che stiamo invece facendo noi.
È iscritto a parlare l'onorevole Orsini. Ne ha facoltà.

ANDREA ORSINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ho ascoltato le parole dei due colleghi che mi hanno preceduto, gli onorevoli Lo Moro e Rao, con la grande attenzione che meritano sia per il rigore dei loro argomenti che per il garbo con cui li hanno posti.
Tuttavia, non replicherò ai loro interventi; non perché non lo meritino, ma perché, al contrario, dai loro argomenti emerge, insieme a qualche dubbio su aspetti procedurali, sulle tempistiche e sui modi del provvedimento in esame, anche una sostanziale e inevitabile condiscendenza su norme che sono fondamentalmente di buon senso, dettate dall'empirismo e da un approccio che vuole essere concreto e non ideologico al problema della sicurezza. Non dimentichiamo che il problema della sicurezza rappresenta uno dei drammi del nostro Paese che più avvertiti dai cittadini.
Nel momento in cui, in un Paese, si perde la fiducia nella capacità dello Stato di garantire la sicurezza, si perde la fiducia nella ragione stessa dell'esistenza dello Stato. Se c'è, infatti, un compito che appartiene indubitabilmente ed esclusivamente allo Stato è proprio quello di garantire la sicurezza delle persone e dei beni. Se ha un senso che esista lo Stato, se ha un senso il fatto che i cittadini sacrifichino una quota delle loro libertà e delle loro risorse delegandole allo Stato, il primo scopo è proprio quello della garanzia della sicurezza. Se viene meno ciò, viene meno la ragione stessa dell'esistenza dello Stato. E in Italia ci siamo pericolosamente avvicinati a questa condizione.
Per questo motivo il Governo ha affrontato e sta affrontando la questione «sicurezza» come una priorità assoluta. La sta affrontando, ripeto, non con dei pregiudizi ideologici, ma con un procedere empirico e sulla base delle esigenze che man mano sopravvengono, sulla base dell'esperienza stessa nell'applicazione delle norme e sulla base del divenire dei fatti, anche adeguando ed aggiornando le norme stesse.
D'altra parte, non è pensabile che la legiferazione del Governo sia un corpo unico varato una volta sola per poi rimanere immutata per sempre; altrimenti, esaurito l'esame di qualche provvedimento, per il resto della legislatura il Parlamento potrebbe «chiudere» o dedicarsi ad altre attività.
Per questo motivo non comprendo la critica mossa dall'onorevole Lo Moro, secondo la quale queste norme aggiornano altre norme prodotte da questa stessa maggioranza e da questo stesso Governo. La capacità di migliorare, di andare avanti e adeguarsi alle circostanze man mano che sopravvengono mi pare sia un merito e non certo un demerito. Analogamente, è una soluzione empirica quella che trasferisce parte delle risorse del Fondo per le vittime dell'usura alla dotazione del Fondo per le vittime delle attività criminali. Si tratta di una norma di buon senso, che non ha nulla a che vedere con le ragioni per le quali il Fondo per le vittime dell'usura non è totalmente utilizzato e impiegato. Probabilmente, il problema del non completo utilizzo è legato alla paura delle vittime dell'usura di esporsi, alla scarsa conoscenza di questo strumento e ad altre ragioni ancora su cui si può riflettere e indagare. Non venendo utilizzato, lasciarlo con la stessa dotazione finanziaria non risolve il problema.Pag. 33
Il problema oggi va risolto con una ancora maggiore attenzione al contrasto di un fenomeno criminale come l'usura, ma nel frattempo l'utilizzo di risorse disponibili per le vittime di reati altrettanto gravi e drammatici - come ha convenuto lo stesso onorevole Lo Moro - è un criterio di buon senso in una fase in cui, duole dirlo, la limitatezza delle risorse di cui disponiamo è un dato oggettivo e del quale tutti devono dare atto. Se poi ciò sia conseguenza solo della crisi economica complessiva o sia anche la conseguenza dell'eredità dei conti che questo Governo ha trovato è altra questione che ci porterebbe a dibattiti ultronei rispetto al provvedimento in esame.
Ripeto, nell'affrontare tali questioni bisogna evitare un espediente retorico abbastanza ricorrente e normale, secondo il quale quello che si fa può anche essere utile, ma la soluzione è comunque un'altra: qualcuno l'ha chiamata la cultura del «benaltrismo».
È vero che c'è sempre qualcos'altro da fare, ma questa non è una buona ragione per non fare ciò che già si sta facendo. So benissimo - a proposito di un altro aspetto del provvedimento in esame - che l'impiego dell'esercito non è la soluzione ai problemi della criminalità organizzata e del controllo del territorio da parte della stessa in certe aree del Paese. So anche che non è «la» soluzione, ma è «una» soluzione o, perlomeno, un contributo alla soluzione del problema, che esiste oggettivamente, del controllo del territorio. So bene, infatti, che la professionalità dei nostri militari è elevata e che tuttavia il loro compito principale non è o non dovrebbe essere tale attività di polizia. I nostri militari, però, hanno dimostrato la loro professionalità - e la dimostrano ogni giorno - nel controllo del territorio in situazioni ben più difficili e ben più pragmatiche ovvero nelle missioni di pace all'estero, in cui assicurano la sicurezza, la tutela dei cittadini e, spesso, il disarmo di fazioni armate. I nostri militari sono adeguati ad affrontare le situazioni di controllo del territorio a Kabul, in Afghanistan, e non lo sarebbero a Casal di Principe? Sono stati adeguati a farlo a Nassiriya, e non lo sarebbero in Campania? Ho qualche dubbio. So benissimo che si tratta di situazioni diverse, di compiti diversi e di specializzazioni diverse, ma voglio sottolineare che la grande capacità e il grande debito che abbiamo verso la professionalità, l'impegno e la flessibilità che le nostre Forze armate dimostrano nel controllare e nel gestire il territorio e nell'assicurare alla popolazione quelle condizioni di serenità minima che sono fondamentali per l'esistenza di uno Stato di diritto, sono un grande valore, che non dobbiamo denigrare.
D'altra parte, anche in tal caso l'osservazione è fin troppo scontata: in questo momento le forze dell'ordine svolgono a loro volta un compito immenso e difficilissimo e sono impegnate al massimo delle loro forze (che sono quelle che sono, sempre per i noti problemi di bilancio). Comunque, non abbiamo «tagliato» risorse alle forze dell'ordine: questa è una vulgata che l'opposizione insiste nel sottolineare e che è stata ripetutamente smentita con i numeri, con le cifre e con i dati della legge finanziaria. Purtroppo, però, un altro espediente retorico ricorrente è che una menzogna ripetuta tante volte finisce con l'assumere una parvenza di verità. Noi, però, non accetteremo mai questa logica; non accetteremo mai che possa diventare verità la vulgata diffusa.
Comunque, chi mandiamo a controllare il territorio in Campania, considerato che gli organici delle forze dell'ordine sono quelli che sono? I pompieri? Le guardie forestali? La polizia penitenziaria?

FABIO EVANGELISTI. Le guardie padane!

ANDREA ORSINI. Non credo. Ritengo che inviare l'esercito sia, certo, una soluzione di emergenza, ma anche una soluzione inevitabile perché nessuno può negare che la situazione del controllo del territorio in Campania sia una delle gravi emergenze di questo Paese. Sento invece riecheggiare la cultura del «ben altro» non negli interventi dei colleghi che miPag. 34hanno preceduto, ma in molti commenti che vengono fatti sulla questione dell'immigrazione clandestina e dei centri di identificazione e di espulsione. Anche questi non sono «la» soluzione del problema dell'immigrazione clandestina (sarebbe ovviamente ingenuo sostenerlo e ci guardiamo bene dal farlo), ma sono parte di una politica di controllo dei flussi migratori e di contenimento dell'immigrazione clandestina, che è assolutamente indispensabile, nei confronti proprio degli immigrati, perché, come i colleghi di questo Parlamento ben sanno, le prime vittime del traffico clandestino di uomini sono proprio gli stessi immigrati clandestini, da un lato, e gli immigrati regolari, dall'altro. Sono gli immigrati clandestini, perché si fa un commercio di carne umana e di persone portate in Italia, che, per sopravvivere, sono condannate a delinquere e a vivere in condizioni miserevoli.
Sono gli immigrati regolari, perché si finisce con l'identificare tutta l'immigrazione, anche quella positiva, che è utile, che serve al nostro Paese, con fenomeni di criminalità, di degrado sociale, di marginalità. L'Italia non è mai stata - lo sapete bene - un Paese razzista, meno che mai lo è oggi.
Abbiamo maturato tutti una coscienza culturale e civile su questi temi, ma credo che, se vi è qualche fenomeno, sia pure marginale, che faccia pensare a residui atteggiamenti razzisti (qualche aggressione nelle periferie, qualcosa che succede in questi mesi, che fa pensare a qualche, sia pure marginale, rigurgito di queste tendenze), ci sia una grande responsabilità di tutto questo. Ed è la grande responsabilità di chi non ha voluto controllare questi fenomeni in questi anni, di chi in questi anni, in base ad una logica di falso buonismo, di presunta accoglienza, di sostanziale disarmo di fronte a questi problemi, ha lasciato degenerare le situazioni. Nelle nostre periferie, la presenza degli immigrati clandestini è spesso un fattore di paura per chi ci vive e ci abita, di violenza, di malavita, che va a colpire quegli strati più deboli della nostra società, ai quali proprio la sinistra dovrebbe essere, per autodefinizione, più sensibile e attenta.
Se la sinistra fosse davvero sensibile alle condizioni dei più deboli, non esporrebbe proprio costoro a questo tipo di fenomeni. Per i padroni, come si diceva con il linguaggio di una volta, anche l'immigrato clandestino e una badante non in regola sono persone da sfruttare in qualche azienda. Per i proletari, sempre per usare il linguaggio di un volta, l'immigrato clandestino è uno scomodissimo vicino di casa, che spaccia droga, ne violenta i figli e li rapina per strada. Le guerre fra poveri sono una delle cose più tristi e sbagliate, che meno possiamo permetterci nel nostro Paese.
Sono tutti temi che hanno una profonda gravità e una profonda urgenza. Quindi, credo sia giusto intervenire con un decreto-legge, con uno strumento che consenta di procedere con quella necessità e urgenza di cui, d'altronde, parla la Costituzione, che non priva affatto questo Parlamento della possibilità di discutere e di ragionare. Anzi, l'esame dei decreti-legge, non essendo sottoposto al contingentamento dei tempi, lascia ancora più spazio per una discussione e un ragionamento approfondito, tant'è vero che sono state apportate correzioni e miglioramenti.
Credo che la sua adozione sia un atto di profonda responsabilità da parte del Governo. Credo che sia un'altra dimostrazione di quanto osservavo all'inizio, cioè che la sicurezza per il Governo Berlusconi e per il Ministro Maroni è la priorità assoluta e la prima emergenza alla quale dobbiamo dare una risposta per questo Paese (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, mi rivolgo a lei, al rappresentante del Governo, ai colleghi presenti.
Il testo oggi alla nostra attenzione ha un titolo pomposo: Misure urgenti in materia di prevenzione e accertamento di reati, di contrasto alla criminalità organizzata e all'immigrazione clandestina.Pag. 35
Se la questione non fosse drammaticamente seria, verrebbe da citare il principe Antonio De Curtis: «Ma mi faccia il piacere!».
Il fatto è che la situazione è così grave che dobbiamo comunque compiere uno sforzo di approfondimento e di analisi di questo decreto-legge, che tutto ha, tranne i requisiti di necessità e urgenza richiesti dalla Costituzione. Su questo si è soffermato egregiamente, questa mattina, il collega Roberto Zaccaria e ho davvero pochi elementi da aggiungere, se non un pensiero riferito alla disputa alta, ai tempi della Costituente, tra Codacci Pisanelli, che probabilmente si rivolta oggi nella tomba, e Costantino Mortati, appunto sull'uso dei decreti-legge.
Per fortuna, è stato almeno previsto questo limite della necessità e urgenza, altrimenti oggi ci sarebbe soltanto decretazione d'urgenza, pur con la violazione di questi stessi principi che stamattina venivano ricordati.
Il nostro atteggiamento, come gruppo dell'Italia dei Valori, non può che essere un atteggiamento di criticità forte e di contrarietà sulle modalità, intanto, del decreto-legge, per il numero, la qualità e i contenuti di tutti i decreti-legge presentati in questa legislatura, ma anche perché, attraverso questo tipo di provvedimento, si prefigura addirittura la possibilità che le dotazioni finanziarie previste con legge possano essere riconsiderate attraverso provvedimenti di rango non legislativo. In questo modo, attraverso provvedimenti caratterizzati da un elevato tasso di discrezionalità, si supera inopinatamente la precedente decisione assunta a livello legislativo. Si tratta di una serie di decreti sulla stessa materia (la sicurezza, l'immigrazione) che, davvero, si fa fatica a rimettere insieme.
Passando al merito del provvedimento, di questo decreto-legge saremmo portati a salvare soltanto la norma contenuta nell'articolo 1, laddove si fa riferimento alla conservazione di dati di traffico telematico e telefonico per finalità di prevenzione dei reati, la cosiddetta data retention. Si tratta, a nostro avviso, dell'unica disposizione che, apparentemente, potrebbe avere i necessari requisiti di necessità ed urgenza. In questo senso, potremmo anche ritenere condivisibili le modifiche apportate al decreto legislativo n. 109 del 2008, perché, in questo modo, si cerca di superare l'impossibilità tecnica di assegnare, ad oggi, ad ogni utente un indirizzo IP, un indirizzo univoco, con la conseguenza che, se ciò non avviene, diventa impossibile conservare dati utili ai fini dell'individuazione della fonte della comunicazione, così come previsto dalla direttiva comunitaria 2006/24/CE. Al fine di evitare sanzioni amministrative a carico dei gestori dei servizi telefonici, possiamo accettare il rinvio al 31 marzo 2009 dei termini previsti dal decreto-legge n. 144 del 2005, autorizzando i fornitori dei servizi telematici a mantenere gli stessi dati del traffico telematico non ancora cancellati.
Ma se ci si sofferma sull'articolo 2, relativo all'impiego di militari delle Forze armate nelle aree dove sussiste la necessità di assicurare un più efficace controllo del territorio per la presenza di fenomeni di emergenza criminale, ecco che si entra nella confusione e nella fumisteria. Credo che, per contrastare questi fenomeni, sarebbe stato preferibile rafforzare i presidi di forze specializzate di polizia, con particolare riguardo al settore investigativo. Invece, l'impiego di militari pone evidenti problemi di gestione e di coordinamento fra il Ministero dell'interno e il Ministero della difesa, quale conseguenza negativa del distacco di personale.
In proposito, anche se non è simpaticissimo citarsi, voglio fare riferimento ad un'interrogazione che avevo presentato lo scorso 25 settembre e che avevo sollecitato successivamente per una risposta in Aula, in cui, partendo dal grande clamore mediatico con cui il Governo ha fatto approvare e poi ha attuato il provvedimento con cui si dispiegano militari nelle strade delle città italiane, per sottolineare che la sicurezza è un tema che sta molto a cuore all'attuale maggioranza, evidenziavo come di tutto si trattasse, ma soprattutto di battage e di propaganda, non di sostanza.Pag. 36
Il Governo, infatti, a mio avviso e ad avviso del gruppo dell'Italia dei Valori, non ha alcuna seria e lungimirante strategia nella lotta contro la criminalità.
Si occupa molto spesso dei processi del Presidente del Consiglio, magari di qualche altro ministro o sottosegretario, poi taglia e toglie alla polizia e alla magistratura il potere di indagare con l'unico vero strumento efficace, le intercettazioni: si poteva ragionare anche di questo, quando si parla di data retention; toglie risorse ai commissariati, intimidisce i giudici più professionali.
Se questo Governo voleva davvero dare un segnale nella lotta alla camorra, nella lotta ai potentati di Casal di Principe o di Castel Volturno, avrebbe ad esempio potuto invitare - e lo dico con estrema attenzione - il sottosegretario Cosentino, chiamato in causa da più di un collaboratore di giustizia per intese con la camorra, a rassegnare le dimissioni. Per me l'onorevole Cosentino è innocente fino a sentenza passata in giudicato: non ne faccio una questione giuridica, ne faccio un elemento di sensibilità politica. Sarebbe stato un segnale importante per le istituzioni, per la nostra democrazia, per la lotta che tutti insieme dobbiamo fare alle organizzazioni criminali. Ma il Governo non può, non riesce, perché non ha una strategia in proposito.
Nella mia interrogazione facevo riferimento al fatto che è emersa una disputa fra il Ministro dell'interno e il Ministro della difesa sull'utilizzo del personale. Infatti, mentre il Ministro Maroni ha addirittura parlato di guerra civile, il Ministro della difesa ha minimizzato, ha smorzato, ha negato che i soldati potessero essere usati in funzione di lotta al crimine, mentre però faceva le passeggiate e andava a salutare i militari, che evidentemente pensava stessero lì a prendere il sole. Sono arrivato a chiedere al Ministro Maroni cosa ci sta a fare in un Esecutivo chi pensa che in Campania vi sia una guerra civile, mentre il Ministro della difesa crede che sia soltanto una sequela di risse fra scapestrati.
Il provvedimento in esame autorizza l'impiego forse di ulteriori 500 unità sino al 31 dicembre 2008, l'impiego massimo di 500 militari: e dopo il 31 dicembre? C'è persino confusione sul modo in cui si finanzia questa missione: non si capisce se davvero è aggiuntiva, come è descritto, perché quando poi si va a vedere si prevede che abbia luogo nei limiti dei contingenti di personale già fissato dall'articolo 7-bis del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92; e infatti non si provvede a coprire con nuovi fondi l'impiego di questi militari. Viene approntata per l'utilizzo del contingente una copertura finanziaria quanto mai fumosa: alle spese - sostiene la relazione tecnica - si provvederà attraverso i risparmi derivanti dall'impiego dei 3 mila militari. Perché? Perché rispetto al precedente decreto-legge, per un periodo inferiore a quello di sei mesi che era stato finanziato per tutto il 2008 si risparmiano in questo modo circa 8 milioni di euro; di conseguenza gli oneri derivanti dall'impiego del contingente di 500 militari, essendo stabiliti in 2,6 milioni di euro, lasciano persino un margine e una mancia per coprire eventuali maggiori oneri di spesa per personale e funzionamento. Sembra quindi di poter concludere che la relazione tecnica non ha dimostrato con sufficiente chiarezza l'avvenuta copertura del maggior onere certo, pari a 2,6 milioni di euro, e tanto meno quella eventuale che il decreto stesso prefigura.
Quello però che mi preme sottolineare ancora e richiamare con forza è che davvero questo Governo appare completamente privo di una strategia per contrastare la criminalità organizzata, fino ad ostacolare il lavoro che nella Commissione giustizia si potrebbe svolgere, ad esempio attraverso l'approvazione di norme per snellire i processi e raccogliere in un unico testo le norme antimafia. Noi come gruppo dell'Italia dei Valori questo provvedimento lo abbiamo più volte sollecitato, però non lo ritroviamo oggi nella discussione.
Complessivamente quello che noi contestiamo è l'impianto del decreto-legge che è oggi alla nostra attenzione. Concludo con un riferimento al tema dell'immigrazionePag. 37clandestina. Per noi gli immigrati sono portatori di diritti e di doveri, quindi occorre che vi sia il rispetto della legge, ma la legge va rispettata in primo luogo da chi la propone, dal Governo. Penso, ad esempio, al fatto che si stanzia una cifra ridicola (per il 2008 sono stati stanziati tre milioni di euro) per la costruzione di nuovi centri di identificazione e di espulsione: più o meno il costo di un buon appartamento a Roma. Non vi è alcuna attenzione, perché all'esiguità di queste somme corrisponde l'imbarazzo con cui si è provveduto a sottoscrivere un accordo internazionale con la Libia per il contrasto all'immigrazione clandestina proveniente dalle coste africane e che fa rotta su Lampedusa, con il risultato che quest'anno, probabilmente, verrà battuto ogni record di immigrazione clandestina sull'isola.
Concludo con questo tema dell'immigrazione perché, come ho detto, temo che avremo modo di tornare presto a discuterne; infatti, in queste ore al Senato si sta discutendo di un altro disegno di legge dedicato alla sicurezza (Atto Senato n. 733) in riferimento al quale, tra l'altro, sono stati proposti, ritirati, bocciati e aggiunti diversi emendamenti che davvero ci dicono della confusione che regna nella maggioranza. Pensate soltanto alla proposta della Lega Nord di chiedere ai medici di denunciare gli eventuali clandestini che facessero ricorso alle loro cure: un modo per cacciare nell'illegalità, nella clandestinità e nel sottobosco persino nelle condizioni di salute, con tutto quello che ciò può rappresentare - al di là di ogni valutazione sui diritti inalienabili e universali per un cittadino, quale è il diritto alla salute - per la salute di tutti noi cittadini.
Addirittura si prevede di portare la «detenzione» (anche se non si chiama così), il trattenimento, che ad oggi è previsto per trenta giorni più altri trenta - in linea con le indicazioni dell'Unione europea e nella media del numero di giorni di trattenimento nei centri a livello europeo -, fino ad una durata massima di diciotto mesi. Il reato di immigrazione clandestina non esiste, tuttavia di fatto si tiene in carcere una persona per diciotto mesi senza che abbia commesso alcun reato. Per chi si professa un garantista e accusa noi di essere dei giustizialisti davvero qualche elemento di riflessione esiste, ma, lo ripeto, si tratta di un'altra questione e avremo modo di parlarne più avanti.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gozi. Ne ha facoltà.

SANDRO GOZI. Signor Presidente, ascoltando gli interventi di alcuni esponenti della maggioranza oggi ho appreso alcune notizie estremamente interessanti. Ho sentito che gestire la sicurezza in Campania equivale a gestirla in Afghanistan o in Iraq, il che è assolutamente al di fuori dall'ordine normale delle cose. Credo che dovremmo prestare attenzione ai nostri interventi prima di fare certe affermazioni.
Tra l'altro, ancora una volta siamo stati accusati di strumentalizzare, il fatto che né nella manovra approvata la scorsa settimana né in altre manovre sono previste delle diminuzioni dei tagli alla sicurezza. Ho ascoltato con interesse il collega Orsini, ma noi abbiamo criticato il fatto che in luglio i fondi per la sicurezza fossero stati tagliati e che da allora il Governo abbia approvato tanti provvedimenti senza che ai tagli alla sicurezza sia stato posto alcun rimedio.
In generale, oggi abbiamo avuto in discussione la miscellanea meglio riuscita del Governo dalla sua elezione, perché in un solo disegno di legge ci troviamo ad analizzare quattro provvedimenti di estrema importanza e di natura così diversa (al di là del titolo del decreto-legge) che meriterebbero un esame attento e separato.
Oggi mi soffermerò solo sulla questione dei centri, ma anche sulla questione dei dati vi sarebbe molto da dire. Tra l'altro, per quindici giorni vi mettete in una posizione irregolare rispetto all'Europa, prevedendo un termine, il 31 marzo 2009, entro il quale trovare le soluzioni relative ai dati, diverso da quello previsto dallaPag. 38direttiva, il 15 marzo 2009. Non capisco perché per due settimane non possiate rispettare il termine della direttiva; non vi sarà un'infrazione per questo, ma si tratta semplicemente, ancora una volta, di un modo di procedere che ignora e trascura anche la forma di alcune regole.
Mi vorrei soffermare sull'articolo 3 di questo decreto-legge, relativo ai centri di permanenza temporanea (CPT), anzi ai centri di identificazione e di espulsione (CIE), perché già con il decreto-legge dello scorso mese di luglio avete introdotto la modifica della denominazione dei centri di permanenza temporanea in centri di identificazione ed espulsione. Identificazione ed espulsione: se le parole hanno un peso, direi che queste la dicono lunga su quale sia veramente il vostro approccio nei confronti del fenomeno dell'immigrazione.
La gestione di un centro pone numerose problematiche sul piano sociale, che hanno determinato la ferma opposizione da parte di quasi tutte le regioni contattate ex post alla prospettiva dell'apertura, nei loro territori, di dieci nuovi centri (prima avete fatto le varie verifiche, poi sulle richieste avanzate da vari sindaci, penso ad alcuni sindaci dell'Umbria, che chiedevano al Ministero se queste verifiche erano volte all'identificazione di centri, avete detto che non era così, e recentemente avete dichiarato che, certo, l'apertura dei nuovi centri si fa in concertazione con le regioni e gli enti locali).
La gestione dei centri, oltre che l'opposizione degli enti locali e regionali, presenta indubbi rilievi anche sul piano economico. I costi relativi alla permanenza degli stranieri presso i centri di identificazione ed espulsione sono stimati in un costo giornaliero medio di gestione di 55 euro per ospite, rappresentando in tal senso un costo enorme per lo Stato e un potenziale affare economico per chi sarà destinato a gestirlo; anche su questo, invito tutti a procedere con molta cautela.
Vorrei ricordare che nella scorsa legislatura venne istituita presso il Ministero dell'interno una commissione di ispezione, autorevolmente presieduta da Staffan De Mistura, alto funzionario dell'ONU, non un pericoloso estremista di sinistra, per verificare le condizioni all'interno dei centri di permanenza temporanea. La commissione giunse alla conclusione, dopo sei mesi di lavoro, che l'attuale sistema di gestione dell'immigrazione, tramite i centri, non risponde alle complesse problematiche del territorio, non consente una gestione efficace dell'immigrazione regolare, comporta disagi alle forze dell'ordine e alle persone trattenute e costi elevatissimi non commisurati ai risultati ottenuti.
La stessa commissione riteneva necessario il superamento di un approccio prevalentemente punitivo e repressivo, individuando un sistema capace di conciliare il legittimo interesse, anzi il dovere, dello Stato, di controllare le proprie frontiere, di far rispettare la legge e di difendere la sicurezza e l'ordine pubblico, con la necessità di garantire il pieno rispetto dei diritti fondamentali di chi proviene da realtà economicamente e socialmente arretrate. Tra l'altro, la nostra Costituzione per quanto riguarda i diritti fondamentali parla di individui, non parla di italiani; lo vorrei ricordare ad alcun esponenti della maggioranza, e ad un particolare gruppo della maggioranza. Proprio la condizione di promiscuità all'interno dei centri di persone che si trovano in situazioni completamente diverse sia sotto il profilo giuridico, sia dell'ordine pubblico, comporta la convivenza nel medesimo luogo di ex detenuti, trasferiti nei centri a fine pena per essere identificati e poi espulsi, accanto a badanti in condizione di irregolarità sopravvenuta, a persone entrate regolarmente e in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno, e a persone bisognose di protezione sociale, quali, ad esempio, le vittime di tratta e di gravi forme di sfruttamento del lavoro, minori e richiedenti asilo.
Oggi, invece, ho sentito addirittura affermare dall'onorevole Orsini che la maggioranza ritiene che la conferma e il rafforzamento di questi centri sia nell'interesse di tutti questi soggetti. Questa promiscuità, invece, è evidente che sia una delle cause di inefficacia di questo sistema,Pag. 39perché tale da accrescere i fattori di devianza e di pericolosità per lo stesso ordine pubblico.
La Commissione De Mistura proponeva pertanto un superamento dei centri attraverso un processo di svuotamento graduale di tutte le categorie di persone per le quali non vi è alcuna necessità né utilità di trattenimento, come nel caso di chi, entrato legalmente, è semplicemente in attesa di rinnovo del permesso di soggiorno.
Tutto questo sembra ora essere lettera morta; del resto, tutti i provvedimenti adottati dal Governo rafforzano l'approccio repressivo e punitivo: da una rigida politica dei flussi, di cui adesso si invoca addirittura il blocco (a partire dal 2009, da quanto si apprende almeno dalla stampa), alla previsione dell'aggravante di clandestinità; dall'inasprimento delle condizioni per ottenere il ricongiungimento familiare alla previsione di un prelievo del DNA, i cui costi sono posti a carico degli interessati (non ci interessa che anche i Paesi Bassi lo prevedano, se una norma è sbagliata è tale sia che la si adotti a L'Aja sia che la si adotti a Roma); dall'inasprimento delle condizioni per i richiedenti asilo fino alla previsione del reato di clandestinità.
Peraltro, avete già fatto marcia indietro su molte di queste iniziative: in materia di libera circolazione di cittadini comunitari, ad esempio, avete ritirato - come ricordava l'onorevole Zaccaria - la vostra proposta dopo che la Commissione europea vi ha detto esattamente quello che noi avevamo sostenuto; il nostro parere contrario, che fu presentato lo scorso luglio nelle Commissioni competenti (la I e la XIV di questa Camera) e che voi avete ignorato, è identico alla linea che successivamente il Commissario Barroso ha indicato a Maroni. Lo stesso dicasi per la sospensione del provvedimento di espulsione nel caso di ricorso dei richiedenti asilo o per l'aggravante di clandestinità. Anche su queste misure avete fatto o state facendo dei passi indietro che vanno esattamente nella direzione che avevamo indicato in luglio.
Lo stesso accadrà, almeno secondo noi, per nuovi emendamenti che il Governo sta apportando a quell'altra parte del pacchetto sicurezza che è all'esame del Senato (penso all'emendamento Carfagna relativo alla prostituzione minorile, altro grave errore che state commettendo). Continuate in sostanza a presentare delle norme manifesto, di pura propaganda, ben consapevoli del fatto che alla fine dell'iter legislativo dovrete fare molti passi indietro. Ma così facendo alimentate uno stato di allarme sociale che rende impossibile svolgere un dibattito serio sull'immigrazione e identificare quelle soluzioni basate sul binomio sicurezza-integrazione di cui il nostro Paese ha un profondo bisogno. Del resto, da una parte decidete l'apertura di nuovi dieci costosissimi centri e, dall'altra parte, sopprimete totalmente il Fondo per l'inclusione sociale creato dal Governo Prodi.
Quindi dimostrate come, al di là delle parole, non intendiate fare assolutamente nulla per favorire un'integrazione, che invece va realizzata innanzitutto a tutela dei valori e delle esigenze della comunità di accoglienza, cioè di tutti noi italiani. Seminate invece diffidenza, separazione e ostilità. Con voi ben oltre il 90 per cento delle risorse previste per l'immigrazione vengono destinate a controlli e repressione e si restringe ancora di più il già misero bilancio per l'integrazione.
Come se questo non bastasse e come se non fossero state fatte verifiche delle condizioni dei centri e della scarsa efficacia degli stessi, voi proponete (nel disegno di legge S. 733) di prolungare il periodo di soggiorno in questi centri da due fino ai diciotto mesi, invocando - l'avete fatto anche nel dibattito su questo decreto, almeno in XIV Commissione - a sostegno della vostra decisione la «direttiva rimpatri», tra l'altro ancora in fase di pubblicazione, facendovi addirittura vanto - lo ripeto - almeno nei lavori delle Commissioni, dell'anticipazione delle vostre disposizioni rispetto a quelle comunitarie, disposizioni che avete invocato anche nel dibattito di oggi.Pag. 40
Devo ricordare che nella direttiva in questione questo tempo limite è indicato come extrema ratio, e - cito testualmente - solo se non possano essere efficacemente applicate altre misure sufficienti ma meno coercitive e solo per i casi di resistenza all'identificazione, quindi non semplicemente quando vi siano difficoltà nell'identificazione, come voi invece vi accingete a prevedere. Soprattutto, però, quella direttiva reca un'allegato in cui stabilisce chiaramente che tale provvedimento non può venire invocato per introdurre a livello nazionale misure meno favorevoli ai soggetti cui si applica, che è invece esattamente ciò che voi vi accingete a fare in due fasi: oggi e nel provvedimento che sarà esaminato nelle prossime settimane.
La politica europea in materia di immigrazione, come ha affermato lo stesso Ministro Maroni in occasione dell'audizione del 15 ottobre scorso davanti al Comitato Schengen, richiede agli Stati membri interventi rapidi nella predisposizione degli strumenti necessari a combattere la clandestinità: rapidi e non discriminatori - aggiunge il Ministro - o di natura esclusivamente repressiva. Ma a queste parole non seguono i fatti.
Peraltro, dal 2005 il Parlamento europeo sta svolgendo un'inchiesta sul funzionamento dei centri in vari Paesi dello spazio Schengen, tra cui l'Italia. Tale inchiesta si concluderà con un rapporto che verrà presentato a Strasburgo nel dicembre di quest'anno. Non si capisce, quindi, perché, anziché attendere gli utili risultati di quest'indagine che confronta le varie esperienze europee nell'area Schengen, il Governo si affretti a ridenominare, confermare e aumentare i centri esistenti in Italia. Certo, conosciamo la vostra risposta e l'abbiamo ascoltata nell'audizione che ricordavo di fronte al Comitato Schengen: secondo voi, nel Parlamento europeo, il centrosinistra strumentalizza le vicende dell'immigrazione contro l'Italia. Lo avete detto anche in questa sede, in Aula, la scorsa settimana.
Non ci avete ancora spiegato perché nel voto di quella risoluzione del Parlamento nel luglio scorso, che avete tanto criticato e che effettivamente era molto critica nei vostri confronti, ben settanta membri del Partito Popolare Europeo si siano astenuti e ben trenta membri abbiano votato a favore: deputati del PPE, cioè del vostro stesso gruppo.
Voi, invece, insieme alle altre destre europee, state tentando di snaturare lo stesso approccio europeo. Per noi, Europa significa più diritti e più sicurezza per tutti; per voi, europeizzare la politica dell'immigrazione significa, invece, abbassare il livello di garanzia dei diritti e delle libertà fondamentali, come sembra prospettarsi anche nel Patto europeo per l'asilo e l'immigrazione, dove assai scarsa è l'attenzione a politiche di integrazione o a programmi di reinsediamento.
La logica della repressione della destre rimette in discussione lo stesso stato di diritto, aprendo la via ad un indebolimento, lento ma costante, delle garanzie e delle libertà fondamentali. Il vostro approccio richiederà mezzi e strumenti sempre più nuovi, sempre più duri, con una ulteriore regressione dei diritti e della convivenza civile, che non tarderà a manifestarsi e che aggraverà, anziché risolvere, i problemi che dobbiamo affrontare.
La vostra è una fuga in avanti che nel breve periodo, con la forte propaganda - pensiamo alla proposta della Lega di sospendere i flussi immigratori per due anni, irrealistica ma, soprattutto, contraria all'interesse di tante imprese e famiglie italiane - può avere anche l'illusione del sostegno dell'opinione pubblica. Ma presto gli italiani si accorgeranno che la vostra politica costa troppo, non ottiene i risultati annunciati e non tutela i veri interessi del Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Rossomando. Ne ha facoltà.

ANNA ROSSOMANDO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, perché nutriamo perplessità sul provvedimento di cui stiamo discutendo? Perché continuiamo pervicacementePag. 41a richiamarci ad una correttezza che potrebbe sembrare soltanto procedurale? In realtà, ciò che viviamo con preoccupazione, quando denunciamo l'abuso della decretazione d'urgenza, è il fatto che non si tratta soltanto di questioni formali o metodologiche ma che, abusando di questo strumento, si travolgono gli stessi valori che noi riteniamo fondanti non soltanto ovviamente della vita parlamentare, ma proprio del contenuto del provvedimento e delle finalità da esso sottese.
Ho sentito parlare di professionalità delle nostre Forze armate: è un giudizio che non posso che condividere. La nostra professionalità, invece, di noi che siamo legislatori? È possibile che noi che siamo in questa sede - vorrei dire voi: mi dispiace che il collega Orsini in questo momento non sia in Aula - possiamo affrontare temi così delicati richiamandoci a ciò che nessuno può respingere, ossia il buon senso? Me lo chiedo, in quanto su materie come queste sarebbe necessario.
Vogliamo cominciare a dire che occuparci degli altri e fare politica può essere anche una professione, nel senso alto del termine, e che bisogna avere qualche competenza e un po' di umiltà, se non la si ha, nell'approcciarsi alle questioni? Infatti, forse i primi che dovrebbero avere un po' di professionalità siamo noi. Se avessimo un po' di professionalità, eviteremmo appunto, come è già stato detto, di richiamare l'intervento in Afghanistan per quanto riguarda le forze dell'ordine e scenderemmo più nel merito delle questioni. Se avessimo un po' di professionalità, ad esempio - ed è per questo che non si dovrebbe abusare della decretazione d'urgenza -, affronteremmo questi temi dialetticamente, confrontandoci e stabilendo innanzitutto dei principi.
Mi è piaciuto l'interessante richiamo del relatore Scelli sull'equilibrio tra privacy ed efficacia della prova, perché questi principi sono importantissimi ed interessantissimi e su di essi ci dobbiamo misurare per operare quelle delicatissime scelte nelle leggi che variamo.
Quindi, non è polemica richiamare una contraddizione tra quello che sembra essere l'atteggiamento della maggioranza nel legiferare sulle intercettazioni telefoniche, le posizioni che ha preso e le dichiarazioni che sono state fatte oggi in Aula. Non è un puro richiamo polemico: il fatto è che, se usassimo altri metodi di confronto, probabilmente scioglieremmo alcuni nodi o ci confronteremmo su fino a che punto ciascuno è disponibile a sacrificare un principio piuttosto che un altro; si avrebbe chiarezza e si avrebbero provvedimenti più coerenti (sui quali poi, come la dialettica parlamentare impone, si raggiungerebbero o meno accordi, con emendamenti e quant'altro).
Quindi, sottolineo questi aspetti per quanto riguarda la premessa sul metodo e sull'abuso dello strumento della decretazione d'urgenza. Inoltre, vi è anche la questione dell'eterogeneità della materia, perché in questo modo non si riesce ad avere un approccio serio e soprattutto efficace ai problemi che vorremmo tentare di risolvere.
Qualcuno ha già detto che il titolo è roboante, ma dato che, in effetti, il titolo è esteso, mi sembra che, considerati questi piccoli interventi, avremmo dovuto intitolare il provvedimento: «Ci siamo dimenticati dei pezzi e adesso rimediamo a qualcosa». Non scomodiamo questi titoli, perché, altrimenti, veramente si rischia di credere di parlare di una cosa mentre si parla assolutamente di altro.
Giungo rapidamente al merito delle questioni, perché non so se sono l'ultima in assoluto nell'ordine degli interventi, ma molto è già stato detto e quindi non vorrei ripeterlo.
Poste queste premesse, mi soffermo sulla questione del potenziamento dell'intervento delle Forze armate rispetto alle forze di polizia: qui non bisogna decidere se è meglio l'una o l'altra, ma la questione dell'intervento organico e meditato sta nel fatto che qui si scontra una diversa concezione; infatti, si può considerare quell'intervento sotto l'aspetto dell'efficacia dimostrativa sul territorio: le questioni simboliche hanno un grandissimo significato e un senso in questa materia - non lo sottovaluto assolutamente da questo puntoPag. 42di vista - però lo ritengo del tutto inefficiente e ben poca cosa rispetto ad un piano e ad una politica per la sicurezza che individuino una strategia ed attribuiscano eventualmente a quell'intervento un ruolo specifico ed individuato, tenendo conto, invece, di tutte le altre questioni che, con riferimento alla criminalità organizzata, considerano l'aspetto investigativo dell'assicurazione della prova, anche con riferimento a tutta la questione dei flussi finanziari; tale questione è di grande e particolarissima rilevanza e soprattutto sempre molto importante sul piano dell'efficacia. Quindi la contrarietà non è relativa alla scelta tra le forze dell'ordine e le forze armate.
Quello che, in modo dialettico, denunciamo, è l'assenza - vorremmo fosse chiarito - di un progetto che individui strategie, obiettivi e risultati che possano essere verificati. Infatti, quando parliamo di sicurezza (dal momento che è un argomento sul quale ci si misura essendo di volta in volta opposizione e maggioranza), un passo ulteriore che noi avevamo compiuto dopo una serie di esperienze (e se non va bene ci si dica che è proprio quello che non va bene ed è sbagliato), era stato quello di individuare tre importanti questioni: il criterio dell'efficienza e dell'efficacia nell'impiego delle risorse, la territorialità e la verifica degli obiettivi. In tutto questo risiede l'elemento fondamentale, che è la sicurezza, ossia una questione pratica e concreta.
È così che si può raccogliere il richiamo a soluzioni empiriche, che desidero interpretare come soluzioni concrete, efficaci e verificabili. Questa è la strategia e l'approccio alle questioni della sicurezza: un progetto generale che individui anche un ruolo degli enti territoriali. Richiamo per tutti, in questa concezione, i patti per la sicurezza che erano stati stretti, nella passata legislatura, tra Governo ed enti territoriali allo scopo di razionalizzare le risorse e definire accordi in cui c'è un ruolo degli enti territoriali e del Governo (lo Stato centrale), ma soprattutto la previsione di una verifica dei risultati e degli obiettivi raggiunti.
In relazione all'articolo 1, già è stato detto - e lo ribadisco anche io - che non possiamo che essere d'accordo sulla proroga del termine. Mi sembra, però, che rimanga ancora irrisolta la questione dell'indirizzo: ho riletto il dibattito in Commissione e anche da questo punto di vista, se può essere urgente la proroga del termine, la decretazione d'urgenza mostra il fianco quando si dice che, benché si tratti di una faccenda importante, occorre aspettare un approfondimento e un confronto serrato con l'Autorità garante per la protezione dei dati personali e con le istituzioni europee. Questa è una resa incondizionata: alziamo le mani e accettiamo senza condizioni il fatto che la decretazione d'urgenza è uno strumento assolutamente inadeguato e soprattutto sbagliato.
In merito alla questione del fondo di solidarietà per le vittime di reati di tipo mafioso, spendo alcune parole in aggiunta a quelle che sono state dette. Naturalmente siamo assolutamente d'accordo sull'incremento delle risorse destinate alle vittime dei reati di mafia. Ci rendiamo anche conto, ovviamente, del fatto che c'è un problema finanziario generale e di ristrettezze per l'economia dello Stato. Tuttavia, non può essere liquidata semplicisticamente, ovvero empiricamente, la questione della discrezionalità che il Ministro avrebbe nello spostare risorse da un fondo all'altro. Infatti, per definizione, il Ministro è il massimo esponente dell'autorità amministrativa, la quale è dotata di potere discrezionale, a differenza del legislatore. In merito a tale discrezionalità quindi, nella normativa che ci accingiamo a votare ed approvare, dove sono i criteri in base ai quali vengono spostati questi fondi, queste risorse economiche? In che modo, a questo punto, se ne risponde? In base a che cosa si decide di destinare più risorse da una parte che dall'altra? Questi sono tutti elementi di assoluta delicatezza; per non parlare del fatto che, se vogliamo stare al titolo - che fa riferimento al contrasto dei fenomeni della criminalità organizzata - certamente, come è già statoPag. 43detto, il fenomeno delle vittime dell'usura è proprio il terreno sul quale cresce la criminalità organizzata.
Quindi lo spostamento di risorse da un Fondo all'altro evidentemente non sembra rispondere a un criterio di politica di contrasto del fenomeno o perlomeno non si riesce assolutamente ad individuare modalità ed obiettivi.
Abbiamo anche alcune perplessità (ma non solo noi: abbiamo visto anche delle notazioni apportate nella discussione in Commissione) sugli ulteriori requisiti richiesti per accedere ai fondi in favore delle vittime di terrorismo e della criminalità organizzata, nel senso che non vi sono le specificazioni sui legami di parentela. Riteniamo che sarebbe stato molto meglio collocare questo intervento in una novella della legislazione precedente e, in questo senso, ci sarebbe stata sicuramente una maggiore coerenza; onestamente non riesco a capire per quale motivo gli emendamenti proposti in Commissione a correzione di queste mancanze non siano stati approvati ed accolti dalla maggioranza.
Per quanto riguarda la questione dell'immigrazione clandestina, che si vorrebbe contrastare sempre con questa normativa, intanto è di assoluta evidenza che i centri di identificazione non hanno assolutamente la finalità di contrastare l'immigrazione clandestina, ma eventualmente di identificare le persone per assicurarne l'espulsione. Anche in questo caso, non riusciamo a vedere qual è la proposta progettuale per contrastare il fenomeno dell'immigrazione clandestina. Infatti, se vogliamo fare diligentemente un collage, come è stato fatto dal collega che mi ha preceduto, per individuare una ratio ed un filo conduttore, ne usciamo alquanto sconcertati, anche alla luce di quanto si sta discutendo al Senato o di ciò di cui abbiamo discusso qui, ossia le impronte digitali dei rom e le mozioni, poi edulcorate, sulle classi differenziate degli immigrati. Sono questi il quadro e l'atteggiamento per affrontare e quindi risolvere la questione dell'immigrazione clandestina?
È stato detto (ed anch'io sono convinta - lo ripeto - del fatto che su questi temi si discuta anche verificando gli obiettivi ed i risultati raggiunti) che se il risultato della legislazione vigente, di cui magna pars è costituita da provvedimenti adottati da questa maggioranza anche durante la legislatura precedente la scorsa, è l'incremento del 70 per cento degli sbarchi, credo che empiricamente bisognerebbe porsi qualche domanda ed operare un'inversione di rotta.
C'è bisogno, invece, di un piano organico, di una riallocazione delle risorse e forse di una loro razionalizzazione, di una mappatura delle esigenze e di un progetto che venga proposto al Paese.
La nostra preoccupazione (ed è il motivo per cui respingo l'accusa di «benaltrismo» in quanto voglio confrontarmi su ogni singolo punto) è molto concreta e riguarda il fatto che, quando su questi temi si getta molta benzina sul fuoco sotto il profilo dell'allarme e poi non si danno delle risposte efficaci, non soltanto vi sono una serie di conseguenze sotto il profilo del controllo e della tenuta sociale del Paese, ma soprattutto una delle conseguenze più gravi è che diventa molto difficile richiamare tutti i cittadini al rispetto della legalità ed alla difesa dello Stato e a sentirsi parte dello Stato. Questo aspetto è sicuramente quello che più ci preoccupa e credo che dovrebbe preoccuparci tutti quanti, indipendentemente dall'appartenere alla maggioranza o all'opposizione.
Infatti, la questione dello Stato, della cittadinanza e della difesa della legalità è davvero un patrimonio di tutti. Potessimo discutere partendo da qui e dall'equilibrio di quei valori costituzionali e da quelle esigenze che sono state richiamate in Aula (certamente non con la decretazione d'urgenza), credo che renderemmo un grande servizio al Paese, rinobiliteremmo anche un po' la funzione della politica, oggi così messa in discussione proprio con l'antipolitica, e richiameremmo tutti ad una maggiore serenità e professionalità, che ritengoPag. 44veramente necessaria, soprattutto su questi temi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Maria Rosaria Rossi, che era iscritta a parlare: si intende che vi abbia rinunciato.
Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 1857)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice per la I Commissione, onorevole Santelli.

JOLE SANTELLI, Relatore per la I Commissione. Signor Presidente, per brevità tenterò di dare delle risposte organizzate per i vari quesiti posti dai colleghi che sono intervenuti.
Le prime obiezioni che abbiamo ascoltato, tanto sull'utilizzo del decreto-legge, quanto sull'ampliamento delle materie effettuato da parte del Senato della Repubblica, sono state poste dall'onorevole Zaccaria.
Ovviamente sappiamo che si tratta di un punto dolente, nel senso che la diversità dei Regolamenti fra Camera e Senato e il diverso sistema di ammissibilità delle proposte emendative ai decreti-legge hanno già creato - lo ricordo, in particolar modo, nella legislatura precedente - problemi fra Camera e Senato. Ho precisato che lo ricordo in particolar modo nella legislatura precedente perché fu uno dei temi posti proprio dal presidente Violante, allora presidente della I Commissione, nel segnalare la diversità e quindi l'utilizzo, una volta che con la navetta i decreti-legge passavano dal Senato la Camera, di temi nuovi e spesso disomogenei rispetto al testo di partenza.
Si tratta, quindi, di un problema di tipo istituzionale; non spetta a me in questa sede e in questa funzione giustificare l'utilizzo o la funzione dei decreti-legge però, da parlamentare come gli altri, so che l'accusa dell'utilizzo eccessivo dei decreti-legge cambia rispetto al cambio di maggioranza e opposizione e viene riversata vicendevolmente. Quindi, probabilmente il tema è più delicato ed istituzionale e speriamo che si riesca in questa legislatura a dare una risposta all'efficacia maggiore dell'azione di Governo rispetto ai lunghi tempi dell'iter parlamentare.
Per andare più nel concreto, procederei su tre livelli di argomentazione: il primo riguarda l'utilizzo dell'esercito, il secondo il problema dei fondi e il terzo il discorso dell'immigrazione e tenterò di essere anche abbastanza sintetica. È evidente che quando si parla di criminalità organizzata, specialmente in alcune regioni a forte insediamento criminale, non si può parlare di emergenza in senso lato, perché l'emergenza dura da quando esiste forse la Repubblica.
In questa situazione specifica, parliamo di emergenza perché, all'interno di una situazione e di un contesto particolarmente delicati dal punto di vista criminale, si sono verificate una sorta di inversione di tendenza nell'attività del cosiddetto clan dei Casalesi e una escalation pesante ed evidente di tipo criminale o, come alcuni sostengono, di una vera e propria strategia del terrore condotta da parte della frangia più militare del gruppo.
Tale strategia si è diretta su due ambiti: il primo è quello di colpire luoghi e persone che potevano essere considerati i simboli della lotta, tanto dello Stato quanto della società civile, sul territorio; il secondo è costituito dalla necessità di rivendicare il proprio ruolo e il proprio primato criminale all'interno di alcuni territori, anche in relazione a nuove bande o a nuovi insediamenti criminali. Quindi l'emergenza, all'interno dell'emergenza camorristica, è data da questo.
Come risponde sostanzialmente lo Stato?
Chiedo ai colleghi di stare particolarmente attenti a dire che stiamo facendo solo simboli o solo «scena». Prima il collega Zaccaria diceva che, più che al Parlamento, si rivolgeva ai cittadini chePag. 45ascoltano, anche se forse è più giusto dire che oltre che al Parlamento parliamo anche ai cittadini che ascoltano. Devo dire che la scelta che è stata effettuata è di diverso ambito: da un lato, utilizzare anche l'esercito in termini purtroppo pratici perché le vacanze di organico delle forze dell'ordine che ci trasciniamo da oltre dieci anni (quindi, per responsabilità di diversi Governi che si sono succeduti) sono tali da non consentire l'applicazione di una forza d'urto reale sul territorio, ma al di là dell'esercito la risposta primaria (e chiaramente non affidata ad una attività legislativa perché di ordine puramente amministrativo) è quella di aver inviato nella provincia di Caserta 400 unità di rinforzo, di cui 160 della Polizia di Stato, 160 dell'Arma dei carabinieri e 80 della guardia di finanza.
Ciò è stato fatto proprio al fine di fornire maggiore supporto alle strutture investigative e su questi punti - lo dico quasi sottovoce, nel senso che non si possono mai dire raggiunti effettivamente dei risultati vittoriosi - comunque lo Stato (non un Governo) sta raggiungendo dei risultati che ovviamente andranno monitorati nel tempo e come Parlamento credo che saremo qui a tentare di comprendere quali siano tali risultati e se la strategia individuata sia quella corretta.
Con riferimento all'utilizzo del decreto-legge e alla cosiddetta ambiguità sulle 500 unità, osservo che si tratta di una questione chiarita dal fatto che se le 500 unità fossero prese dalle 3 mila già previste dal decreto-legge precedente non ci sarebbe stato bisogno di questo intervento legislativo. Quindi, non credo che ci sia ambiguità; semmai vi è un'ambiguità nel testo della relazione, ma più volte il punto è specificato all'interno tanto del decreto-legge quanto dell'iter successivo di conversione.
Il secondo punto delicato di discussione è quello dei fondi. È chiaro che dire che sono stati sottratti dei fondi al Fondo per le vittime dell'usura per darlo al Fondo per le vittime dei reati di tipo mafioso rischierebbe di essere un messaggio estremamente grave da parte di questo Parlamento. Non stiamo facendo una valutazione di priorità tra emergenze criminali. Non è questo il punto. Abbiamo un Fondo per il risarcimento delle vittime dei reati di tipo mafioso la cui dotazione finanziaria, sostanzialmente, era ormai esaurita (cioè non vi erano più risorse) e un Fondo per le vittime dell'usura che aveva una capienza di 43,8 milioni a fronte di nessuna domanda. Cosa fa un Governo se in questo momento, come Parlamento, già oggi in discussione, accettando gli emendamenti dell'opposizione, avessimo stanziato risorse aggiuntive in relazione al Fondo per il risarcimento delle vittime dei reati di tipo mafioso avremmo semplicemente deciso di mandare in economia (e, quindi, in disuso) il Fondo per le vittime dell'usura.
Si pone un secondo problema, tenendo conto che il decreto-legge n. 112 del 2008 ha previsto un sistema di mobilità all'interno del bilancio del singolo Ministero. Questo decreto-legge pone - come si osservava prima con riferimento ad una disposizione inserita dal Senato - in capo al Ministro dell'interno una sorta di utilizzo flessibile dei fondi del Ministero dell'interno. Infatti, ovviamente non sono prevedibili le domande che pervengono e per non ritrovarsi in una situazione come quella di oggi, nella quale abbiamo un fondo incapiente e un fondo al contrario maggiormente provvisto rispetto alle richieste è stato fatto questo al fine di avere quella flessibilità economica per poter evitare i disservizi. Credo che questa non sia una scelta ideologica, ma di sano pragmatismo per dare delle risposte ai cittadini.
Concludo con un'ultima notazione. È evidente che nessun decreto-legge può - e sarebbe sbagliato provvedervi con tale fonte normativa - risolvere il tema generale. Potrebbe essere rivisto il sistema dei fondi e la collega Lo Moro stessa sottolineava la necessità di verificare, relativamente al Fondo per le vittime dell'usura e del racket, la disponibilità dei fondi sul Ministero dell'interno e dell'economia, al fine di avere una più pratica risposta da parte dello Stato e il collega Tassone parlava dei testimoni di giustizia.Pag. 46
Si tratta di una serie di problematiche che non possono essere affrontate, ovviamente, in un decreto-legge; se vengono affrontate nel decreto-legge in esame con risposte immediate è perché sono delle urgenze che non consentono al Parlamento di decidere nei tempi ordinari.
Concludo con il riferimento alle norme relative all'immigrazione clandestina, sulle quali durante l'esame degli emendamenti avremo tempo e modo di discutere ancora. È evidente che anche qui ci siamo trovati dinanzi ad un'emergenza: il dato sugli sbarchi degli ultimi mesi e il forte impatto degli stessi, specialmente con il cambiamento di alcune regioni (penso, ad esempio, alla stessa Calabria) ha determinato un'incapienza fortissima, con necessità di trasferimenti degli immigrati in altri centri e difficoltà logistiche notevoli.
Tutti lamentano spesso le condizioni di vita in questi centri, dovute soprattutto al sovraffollamento, e più volte si è chiesto di prevedere un sistema diverso. È chiaro che un sistema diverso lo troveremo anche con spazi diversi e maggiori: questo è il tema del decreto-legge in esame che probabilmente nulla, o poco, ha a che fare con il contesto generale della disciplina dell'immigrazione (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la II Commissione, onorevole Scelli.

MAURIZIO SCELLI, Relatore per la II Commissione. Signor Presidente, intervengo brevemente soltanto per precisare che i due articoli di competenza della Commissione giustizia, che costituiscono oggetto della mia relazione, sono stati sostanzialmente condivisi dai colleghi che sono intervenuti.
Vorrei soltanto fare un piccolo accenno alla necessità e all'urgenza di questo provvedimento, che ha un binario lungo il quale corre la sicurezza dei cittadini ed ha come oggetto la lotta al terrorismo, il far fronte all'immigrazione e il fornire un supporto alla giustizia. Credo, quindi, che si tratti di argomenti che debbano essere senz'altro oggetto di un dibattito e di un confronto parlamentare, ma non possono non trovare immediatamente degli effetti e, il decreto-legge, come tale, è lo strumento legislativo che in maniera più rapida e tempestiva riesce a farvi fronte, fermo restando che si è pronti a recepire le indicazioni che provengono dal dibattito parlamentare.
Per quanto riguarda i due articoli, faccio riferimento soprattutto all'intervento dell'onorevole Rao, che stimo e con il quale condivido anche i lavori della Commissione giustizia, che parlava di lapsus rispetto al programma del Governo di interessarsi della materia, di fare in modo che i magistrati onorari si vedano restituita per intero la loro dignità e riconosciute la loro capacità e utilità nel panorama giudiziario italiano. La scadenza del 31 dicembre 2009 che avevo indicato non è un lapsus, ma è indicata dal decreto-legge n. 95 del 2008, convertito in legge con la legge n. 127 del 2008, che ha uniformato la disciplina con riferimento alla scadenza di tutti i giudici onorari, per dare modo e tempo al Ministro della giustizia, e quindi al Governo, di predisporre un progetto di legge che riformi questo organo così importante della giustizia e per far sì che i magistrati onorari possano ritrovare tutte le condizioni, anche nel rispetto del compito che svolgono, per poter essere sempre più utili a questa causa che soprattutto vive del peso enorme dell'arretrato giudiziario.
Concludo la mia relazione auspicando che i chiarimenti che sono stati forniti servano a far sì che un provvedimento di questo tipo che, lo ripeto, si occupa principalmente della sicurezza e della tutela dei cittadini, possa essere considerato in maniera diversa da quelle che sono le appartenenze politiche, che talvolta portano tutti a sfociare in un pizzico di faziosità, che si possa guardare oltre per fare in modo che questa nostra Italia possa anche armonizzare il suo modo di legiferare in materia con le indicazioni che vengono dall'Europa e dal resto del mondo (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

Pag. 47

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

MICHELINO DAVICO, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, intervengo solamente per ringraziare tutti gli onorevoli intervenuti del contributo dato - contributo che ritengo sia stato intelligente, puntuale, garbato e democratico - e per esprimere la piena conformità con quanto dichiarato dai relatori nelle repliche.
Da parte nostra si tratta della risposta chiara, puntuale, forte, autorevole e trasparente dello Stato di fronte ad azioni della criminalità organizzata anche eclatanti e si tratta della risposta che segue alla dichiarazione di stato di emergenza nazionale, peraltro ripresa dal Governo precedente, in ordine all'immigrazione clandestina.
Da parte nostra vi è l'unica volontà di affermare la legalità, la sicurezza, la tutela dei cittadini più deboli e di contrastare tutte le forme di criminalità collegate al fenomeno della clandestinità e della criminalità organizzata, anche con l'utilizzo di tutti gli strumenti a disposizione dello Stato, compreso l'esercito. Un esercito che non deve comportarsi come in Afghanistan conformando le proprie azioni agli interventi bellici in quanto è un esercito preparato a tutti i tipi di situazione, comprese quelle di guerra che, chiaramente, non vi sono in circostanze come quelle in cui dovrà ora agire.
Per risposte più tecniche, più puntuali e più precise il Governo si riserva di intervenire successivamente in fase di discussione degli articoli e degli emendamenti.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Sospendo, dunque, la seduta.

La seduta, sospesa alle 17,20, è ripresa alle 17,30.

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 9 ottobre 2008, n. 155, recante misure urgenti per garantire la stabilità del sistema creditizio e la continuità nell'erogazione del credito alle imprese e ai consumatori, nell'attuale situazione di crisi dei mercati finanziari internazionali (A.C. 1762-A).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 9 ottobre 2008, n. 155, recante misure urgenti per garantire la stabilità del sistema creditizio e la continuità nell'erogazione del credito alle imprese e ai consumatori, nell'attuale situazione di crisi dei mercati finanziari internazionali.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1762-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Italia dei Valori e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la VI Commissione (Finanze) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, presidente della VI Commissione (Finanze), onorevole Conte, ha facoltà di svolgere la relazione.

GIANFRANCO CONTE, Relatore. Signor Presidente, parliamo di una crisi internazionale che ha colpito il sistema finanziario e bancario di tutto il mondo. Naturalmente, affrontiamo i due provvedimenti che sono stati unificati in un unico decreto-legge partendo dal presupposto che la decretazione d'urgenza è stata utilizzata in un momento particolarmente difficile dei mercati finanziari internazionali. Bisogna partire dal momento in cui si è palesata la crisi, per capire il contenuto di questi due provvedimenti. In realtà, se volessimo usare le parole delPag. 48cancelliere tedesco Angela Merkel, stiamo approntando un intervento che si può definire una sorta di cassetta degli attrezzi, perché si tratta di un provvedimento nato in un momento particolare, in cui bisognava dare fiducia ai mercati, garantire i consumatori e gli utenti delle banche e soprattutto coloro che avevano prestato il proprio denaro alle banche in un momento in cui la fiducia nei mercati internazionali era particolarmente difficile, le banche diffidavano l'una dell'altra e la liquidità si era drammaticamente ridotta.
A quel punto, il Governo italiano ha fatto quanto era previsto in tutti i consessi internazionali. Le crisi del 29 e 30 settembre hanno insegnato molto ai mercati di tutto il mondo. Abbiamo assistito a un momento particolare che definirei storico nella vicenda dei mercati complessivamente, ossia ad un momento in cui si è ritenuto assolutamente necessaria la cooperazione a livello internazionale: non si tratta di un aspetto banale.
Dopo gli accordi di Bretton Woods, che seguirono alla chiusura della seconda guerra mondiale, è evidente che i mercati si sono mossi secondo principi diversi. Si sono palesati nell'ambito internazionale Paesi emergenti che hanno cominciato a muovere grandi masse di denaro: la crescita di Paesi come la Cina, l'India e il Brasile ha portato a un diverso ordine economico internazionale. Bisognava intervenire. Questo intervento minimale, effettuato dal Governo semplicemente per garantire i depositanti e per intervenire nel caso di fallimento delle banche italiane, era assolutamente necessario, così come è necessaria, nel proseguimento dei contatti che si sono tenuti a livello internazionale, una visione globale dell'economia e dei mercati finanziari tale da consentire un coordinamento fra tutti i Paesi industrializzati del mondo.
Gli episodi e gli incontri di questi giorni, che hanno portato a riunirsi l'Eurogruppo l'Eurotower, il Financial Stability Forum e il G20, ci hanno insegnato che, senza un intervento coordinato a livello internazionale, non sarebbe stato possibile fronteggiare una crisi che aveva assunto una rappresentazione assolutamente drammatica. C'è una grande differenza tra la crisi del 1929 e la crisi di questi giorni: essa risiede nel fatto che la crisi del 1929 si rivolgeva e trovava il suo massimo apice all'interno degli Stati Uniti d'America. Ciò ha comportato una revisione complessiva di tutta l'economia internazionale, con la necessità dei singoli Stati di fare tesoro degli strumenti della cooperazione internazionale per arrivare a trovare soluzioni condivise. Proprio sull'aspetto delle condizioni condivise dobbiamo focalizzare la nostra attenzione.
In effetti, il Governo ha operato un intervento che va visto nell'ambito di un programma alquanto più ampio, che prevedrà, fra l'altro, nei prossimi giorni, la presentazione di un ulteriore decreto-legge, che recherà al proprio interno le misure per lo sviluppo.
Le misure per lo sviluppo sono venute definendosi nell'ambito dei consessi internazionali e portano a una revisione complessiva dell'approccio alla crisi. Il primo intervento che è stato operato dalla Banca americana, dalla Fed, con le proposte di Poulsen, sembrava essere orientato verso un ritiro dal mercato dei cosiddetti titoli «tossici».
L'esperienza internazionale ha portato a una riconsiderazione di questo approccio, pensando che fosse più opportuno abbandonare a se stessi i titoli «tossici» e intervenire con quel grande provvedimento che è stato adottato negli Stati Uniti d'America, che ha istituito un fondo di circa 700 miliardi di dollari per interventi volti al rafforzamento delle banche.
Quindi, è in quest'ottica che va visto questo intervento, ma anche quelli che seguiranno. Infatti, oggi, la necessità primaria non è più salvare le banche. Le banche sono state salvate con provvedimenti successivi, che hanno riguardato tutti i Paesi dell'Unione europea e dell'occidente, con interventi che si sono caratterizzati per un indirizzo diverso: quelli francesi sono stati diversi da quelli tedeschi e, naturalmente, gli inglesi hanno adottato un altro tipo di decisioni, con il salvataggio effettivo delle banche. InterPag. 49venti su Barclays, su Royal Bank Scot, sulle varie branch all'interno del sistema inglese, ci hanno dimostrato che la situazione del nostro Paese, soprattutto la situazione delle nostre banche, in effetti, non era a rischio fallimento, non sussistendo quindi la necessità di intervenire per salvaguardare il capitale delle società. Ci hanno dato, invece, l'indicazione che ciò che è necessario a questo punto della crisi è patrimonializzare le banche, per portare il Core Tier 1 a livello accettabile, per garantire una sufficiente liquidità sui mercati finanziari.
Su questo il Governo intende operare. Naturalmente, la domanda venuta dall'opposizione riguarda il perché non si agisca immediatamente in tal senso. Non lo si è fatto perché c'erano ancora dei passaggi importanti da compiere: c'era da affrontare la riunione dell'Eurogruppo, c'era da fare ciò che è stato fatto nello scorso fine settimana, l'incontro a livello del G20.
Anche all'interno del G20, si è dimostrato che ancora non c'è una chiara cognizione degli interventi che vanno compiuti, ma si è capito che la cosa più importante in questo momento è sostenere l'economia.
L'economia italiana è in una fase di recessione tecnica. È stata rilevata da tutti gli istituti. Naturalmente, in questo momento, il Governo è orientato ad agire, grazie anche al placet delle organizzazioni internazionali, per dare una boccata d'ossigeno ai mercati, per intervenire sull'economia per garantire una ripresa della produzione, per evitare lo spettro della recessione.
Naturalmente, tutto questo potrà essere compiuto solo in considerazione del fatto che il Governo ha effettuato un intervento importante di politica economica prima dell'estate: ha messo al sicuro i conti, si è garantito una credibilità internazionale, che lo mette in condizioni oggi di rappresentare l'Italia nei consessi internazionali, dichiarando che ormai abbiamo fatto tutto quello che dovevamo e che oggi siamo pronti naturalmente ad affrontare anche la crisi che si presenta nel nostro Paese, però abbiamo bisogno di un atteggiamento da parte dell'Unione europea più morbido rispetto al piano di rientro.
Noi non ci troviamo nella situazione degli altri Paesi dell'Unione europea, che naturalmente non hanno il nostro debito pubblico. Noi - è ben risaputo - abbiamo, in ordine di grandezza, il terzo debito del mondo, ma non siamo la terza potenza economica del mondo.
Dobbiamo, quindi, affrontare le vicende della ripresa dell'economia nel nostro Paese tenendo presente l'enorme carico del debito pubblico, che costa alle casse dello Stato circa 75 miliardi di euro l'anno.
In queste condizioni, cosa si potrà fare? Intanto, bisognerà convincere il sistema bancario a superare la naturale diffidenza a vedere l'ingresso dello Stato come stakeholder, e quindi riuscire a capire che, in questa fase, bisogna guardare al di là della difesa degli interessi degli azionisti, che sono stati notevolmente penalizzati.
Ma d'altra parte, signor Presidente, come si fa a dare credito a una serie di istituti bancari che, in questo periodo, hanno proceduto a fare acquisizioni pagando cifre spaventose (faccio solo il caso del Monte dei Paschi di Siena, che, pochi mesi fa, ha comprato la Banca Antonveneta da un gruppo internazionale che vedeva insieme Fortis e Abn Amro, che è fallito miseramente)? Come si fa ad avere fiducia in un sistema bancario che oggi chiede risorse senza dover dare assolutamente una contropartita che sia nell'interesse della nazione?
Qui dobbiamo distinguere l'interesse degli azionisti, che è quello di preservare il loro capitale, dall'interesse del Paese. Lo Stato potrà intervenire e lo farà, anche emettendo obbligazioni garantite, assicurando una garanzia ulteriore sul sistema dei confidi e garantendo le obbligazioni che potranno essere scambiate sui sistemi finanziari e che potranno essere cedute alla Banca d'Italia.
È stato lanciato recentemente da un primario istituto bancario un prestito obbligazionario a sette anni al 6,86 per centoPag. 50e, su un miliardo e mezzo di offerta, sono stati sottoscritti solo 300 milioni. Questo dà il senso di quanto poco i consumatori e i clienti italiani abbiano in considerazione le capacità del nostro sistema bancario.
Quale potrebbe essere, allora, la soluzione? La soluzione non è certo - questo era il primo intervento che è stato fatto - quella del salvataggio, perché le banche italiane, fortunatamente, nonostante gli errori compiuti, non sono in una condizione di insolvenza.
L'intervento va fatto nel senso di una patrimonializzazione, che, per carità di patria, riguarderà tutti gli istituti. Si innalzeranno i rapporti di Core Tier 1; probabilmente saranno portati all'8 per cento, però le banche devono assumersi la loro responsabilità.
Credo che noi, come maggioranza e Governo, dovremo chiedere garanzie che tutti gli interventi di ricopertura e di garanzia sulle obbligazioni che saranno presentate siano alla luce della trasparenza e del trasferimento di tutte le risorse che verranno messe a disposizione.
Vedremo se si tratterà di 10 o 20 miliardi di euro. C'è uno studio molto interessante che ha riguardato tutti i Paesi europei e gli interventi sono molti diversi.
Ci sono anche interventi minimali, come quello previsto dall'Italia, che parte da una considerazione di fatto: il nostro sistema bancario è assolutamente arretrato e ha puntato sempre sulle garanzie e le garanzie hanno strozzato l'economia.
È ben noto a tutti che il sistema bancario italiano non fornisce denaro sufficiente alle imprese, perché richiede in contropartita garanzie che non sono ammissibili in altri Paesi. Ciononostante, crediamo che le banche, una volta nella loro vita, avranno uno stimolo ulteriore a cercare di comprendere che il momento di difficoltà che abbiamo nel nostro Paese deve essere affrontato insieme da politica e banche.
Qui, oggi, forse non è il caso di affrontare un argomento che è l'indipendenza del settore finanziario rispetto alla politica (se ne potrebbe fare oggetto di un convegno); anzi, il mondo finanziario ha sempre detto, in America come in Europa, che la politica doveva stare lontana dal proprio ambito perché le regole applicate nel settore erano sufficienti per garantire l'assoluta trasparenza e capacità del sistema finanziario di stare in piedi.
Abbiamo visto, ma non poteva essere diversamente, un castello di carte, costruito carta dopo carta, finché l'ultima carta posta sul vertice del castello, che è stata Lehman Brothers, ha fatto crollare tutto. Era evidente che si trattava di un sistema combinato e congegnato in modo tale che le cartolarizzazioni, che sono state l'effetto devastante che ha portato alla situazione finanziaria ed economica dei mercati internazionali, sarebbero state l'avvio di un processo che ha portato progressivamente tutta la finanza sui mercati non regolamentati.
Ciò è un effetto, forse, anche di errori commessi dalla politica statunitense molti anni fa, quando si firmò, e lo firmò nel 1999 Clinton (lo ricordo perché qualcuno ogni tanto se lo dimentica, quando parla dell'approccio dei democratici rispetto alle crisi finanziarie internazionali), il Gramm-Leach-Bliley Act, e in quel momento stesso si diceva: fuori dai mercati regolamentati, andiamo verso i non regolamentati. Il risultato lo abbiamo davanti agli occhi: tutti hanno scelto la strada dei mercati non regolamentati, abbiamo visto un proliferare di iniziative da parte di grandi istituti. Cito un aneddoto: recentemente ho avuto modo di vedere quelli di Standard & Poor's, che danno i voti agli strumenti finanziari, e il responsabile ha avuto modo di dirmi in una gradevole conversazione: tutto sommato noi diamo un parere sugli strumenti finanziari, e la gente può, se vuole, adeguarsi a quel parere o meno, noi rendiamo un servizio.
Ricordiamo negli anni scorsi i pareri dati sullo standing internazionale del debito pubblico italiano piuttosto che delle grandi imprese, quando facevamo polemiche, anche in quest'Aula, sulla A, sulla AA, e poi dicevamo: queste situazioni sono obiettivamente abbastanza complicate, renderanno difficile l'approccio sui mercatiPag. 51internazionali delle nostre imprese e del nostro debito pubblico. Poi ci ritroviamo di fronte a signori che dicono: ci mancherebbe, noi abbiamo solo dato un parere; solo che su quel parere si è costruita la finanza internazionale.
I temi dei prossimi giorni sono dunque una revisione del sistema di rating e una revisione del sistema internazionale di governance dell'economia mondiale, il che significa rivedere i criteri di approcci con i quali vengono date le certificazioni anche dalle banche internazionali. E dovremo affrontare anche il problema di come ci poniamo di fronte a istituzioni come la BCE, alle politiche che si faranno rispetto ai tassi di interesse, di quale approccio avremo noi e avremo come Paesi europei rispetto alle politiche e alle scelte di carattere finanziario.
Ci troviamo in un momento difficile, lo sappiamo tutti. Credo però che questo sia anche il momento delle responsabilità, che non devono riguardare solo i Governi, che hanno fatto la loro parte fino in fondo, naturalmente con i mezzi che hanno a disposizione. Sappiamo che come sistema Italia abbiamo meno mezzi rispetto agli altri: il debito pubblico ci impedisce di fare politiche attive, che portino a una ripresa veloce dell'economia, non ne abbiamo le disponibilità. Però, certo, il Governo ci ha annunciato in Commissione, lo ha fatto lo stesso Ministro dell'economia e delle finanze, che si farà tutto quanto il possibile con gli scarsi mezzi a disposizione, vale a dire interventi prociclici, che aiutino l'economia, e interventi di garanzia sul sistema finanziario delle imprese. Bisognerà chiedere alle banche un'assunzione definitiva di responsabilità: il sistema ha bisogno di liquidità, non possiamo assolutamente considerare l'ipotesi di un credit crunch, che però è nei fatti. Abbiamo visto le operazioni che sono state fatte dalle banche in questi ultimi giorni, operazioni come la cartolarizzazione di tutti i beni immobili, dei mutui e delle somme derivanti dai mutui ipotecari che sono ancora in circolazione, che hanno riguardato un primario istituto di credito italiano. Abbiamo visto operazioni di aumento del capitale.
Abbiamo visto addirittura l'annuncio dell'eliminazione del dividendo per quanto riguarda quest'anno; quindi, operazioni molto diversificate tra di loro. Però, purtroppo, rispetto ad annunci che sono stati fatti, con grande roboanza, di immissioni di capitali per garantire il sostentamento del sistema con fidi...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

GIANFRANCO CONTE. Relatore. C'è un istituto primario che ha parlato addirittura di 5 miliardi; ebbene, intorno a quel sistema di garanzia però nessuno ha parlato degli spread che vengono applicati alle imprese che saranno anche nelle condizioni di avere delle garanzie e liquidità, ma a quale costo? Noi chiediamo a tutti, in questo momento lo chiediamo a quest'Aula, al Governo e alle istituzioni finanziarie, di avere il senso di responsabilità per debellare questa crisi dei mercati finanziari (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Conte. Si trattava di un argomento molto complesso, ho dovuto richiamarla al rispetto dei tempi, ma capisco che non era facile sintetizzare un argomento così importante, come lei ha egregiamente fatto, in venti minuti.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

LUIGI CASERO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ventucci. Ne ha facoltà.

COSIMO VENTUCCI. Signor Presidente, non è la prima volta che si affrontano rischi e nuovi fattori di instabilità analoghi a quelli che oggi attanagliano l'intero mondo finanziario, con possibiliPag. 52ricadute sull'economia reale, dove i vincenti e i perdenti sono già noti prima ancora che si conoscano gli effetti, ed i perdenti, come al solito, sono le classi meno abbienti, i lavoratori e i consumatori.
In quest'ultimo ventennio abbiamo assistito ad una rapida espansione degli scambi di beni e servizi, con una crescita estesa delle finanze che ha coinvolto nuove e vecchie generazioni di operatori, alimentata dall'innovazione tecnologica della telecomunicazione e dell'informatica, che a loro volta hanno consentito, oltre all'abbassamento dei costi delle transazioni, anche la creazione di prodotti finanziari sempre più complessi e sempre più sofisticati.
Tuttavia, il percorso economico e sociale di questi anni rimane cristallizzato e l'attuale capitalismo moderno presenta, secondo accreditati economisti, due indirizzi: l'uno riferito a chi vuole tornare al primo periodo del capitalismo, quello del laissez-faire, con centralità del profitto e accumulazione, che a lungo andare porterebbe ad una restaurazione, anche in chiave moderna, riproducendo situazioni sociali miserevoli proprie della prima fase del capitalismo; l'altro è seguito da quelli che difendono il vecchio welfare State, con lo Stato sempre presente che interviene come investitore e produttore invece che da regolatore, riducendo la libertà dei cittadini con lo scopo di garantirli nello sviluppo della loro esistenza, ma con il pericolo di far sorgere aberrazioni comportamentali che toccano il senso di responsabilità e lo spirito di intrapresa dei cittadini stessi.
Ora sembra che gli economisti abbiano gli occhi dietro la nuca, e quindi siano ottimi nell'analizzare il passato e mettere in guardia per il futuro, ma i loro suggerimenti sono come quelli di Cassandra, altrimenti, come ci rammenta il nostro autorevole collega Antonio Martino, sarebbero tutti ricchi sfondati. Sta di fatto che quando la crisi finanziaria ed economica scatta e non esiste alcun centro internazionale che fa da regolatore puoi fare ogni analisi, anche quelle con le più complicate e inaccessibili formule matematiche, accreditando il sistema capitalistico agli USA e quello neoconservatore all'Italia. Nondimeno, quando crolla, il sistema trascina in basso il mercato intero e si affaccia lo spettro della povertà.
Quanto sta accadendo ci induce a tornare brevemente sul nostro passato e a ricordare, a beneficio di qualche studente interessato che ci ascolta, la prima grande crisi finanziaria mondiale che coinvolse l'Italia, non quella del 1929, ma quella del 1907, dopo che il nostro giovane Stato aveva restituito il debito contratto con la francese Maison Rothschild e risanato le casse dello Stato soprattutto con le rimesse dei nostri emigranti all'estero. Fu una crisi mondiale con tensione monetaria e scarsità di danaro che ebbe il suo epicentro negli Stati Uniti, un Paese il cui sistema bancario era disarticolato e non raccordato con la banca centrale; e non fu l'ultima crisi americana nel prosieguo del secolo appena trascorso. Il Tesoro americano operò come banchiere, emettendo titoli e incamerando la liquidità che il cittadino spaventato ritirava dalle banche e mettendola a disposizione delle banche stesse per consentire loro di superare il difficile momento. L'Europa fu ampiamente coinvolta, in particolare l'Inghilterra, nell'aiutare gli USA; in Italia è da evidenziare il ruolo della Banca d'Italia, che intervenne in un Paese che a fatica cercava di dare inizio alla propria industrializzazione con finanziamenti bancari.
La Borsa andò a picco, la terza banca italiana, la Società Bancaria Italiana, si trovò in difficoltà e venne salvata dalla Banca d'Italia, che, grazie alle riserve in oro e in valute convertibili, fu in grado di intervenire. Si trattò di un'esperienza mondiale terribile, da cui già allora derivò la convinzione che solo con forme di collaborazione tra i vari Paesi si poteva evitare una crisi di liquidità. Ci vollero due guerre mondiali per mettere intorno ad un tavolo gli Stati più potenti, e nel 1944, con le ostilità in atto, si dette origine agli accordi internazionali su commercio e finanza che sono, grosso modo, quelli attuali, che hanno provocato altre situazioniPag. 53di pericolo, se consideriamo l'ingresso nel WTO, con quelle regole, di Cina e India. Da quel 1907 sono passati cento anni e lo sforzo economico della nostra Italia è stato quanto mai lusinghiero, soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale. Si è trattato di un periodo che ci ha visto protagonisti di un miracolo economico dovuto alla caparbietà e alla laboriosità di un popolo alla ricerca di una dignità nel consesso mondiale.
Tuttavia, il risultato attuale non è soddisfacente (basta considerare che abbiamo un nord che è tra le aree più ricche dell'Europa, e un sud che è fra quelle più povere). L'economia traballa dall'inizio degli anni Settanta, con le prime crisi petrolifere, successivamente all'abbandono della convertibilità in oro del dollaro, cui faceva riferimento la stabilità monetaria di Bretton Woods. La seconda crisi petrolifera, alla fine degli anni Settanta, peggiora la nostra economia, impegnata con un sistema sindacale non certo fordista e con Governi che rincorrevano le crisi di quelle grandi industrie, gestite da imprenditori non sempre all'altezza. L'ingresso nello SME e l'avvio dell'euro hanno mitigato gli effetti di una politica statalista e invasiva della produzione e del mercato.
Oggi siamo nell'Unione europea, ma certi vizi ce li portiamo dietro, basti constatare il contrasto che regna nel comparto della politica, subordinata alla concezione hegeliana per la quale solo dallo scontro può nascere il divenire. Ragioniamo ancora con gli occhi del passato, e spesso nel ricordare gli avvenimenti che ci hanno riguardato poniamo in atto quel postulato della necessità evocato dallo storico Furet, per cui ogni avvenimento della storia è l'unico accadimento possibile in quel momento, ricorrendo al giustificazionismo, senza far tesoro degli insegnamenti che dovrebbero derivare dall'esperienza. Molti osservatori bene informati in questi giorni citano la scuola economica austriaca, quella di Von Hayek e Schumpeter, e sostengono che il capitalismo non è una macchina perfetta, anzi soffre di fasi degenerative che provocano una rigenerazione delle crisi, attuando molti degli squilibri sociali accumulati. Le crisi, quindi, stimolano ad agire con l'intento di punire le imprese che hanno fallito, liberando risorse e trasformando lo Stato assistenziale in un vero Stato sociale, recuperando anche gli sprechi della pubblica amministrazione. Possiamo essere d'accordo, ma purtroppo ci si dimentica del quotidiano, di chi non è in grado di attendere processi economici lunghi nel tempo, di chi teme che l'essere o non essere non sia più una battuta teatrale.
I brevi cenni sul passato, ovvi per gli esperti, ritengo possano servire per quanto oggi sta accadendo. Assistiamo al fragoroso coro di coloro che si avventano contro l'eccessivo liberalismo e capitalismo, la finanza spericolata, le speculazioni sulle materie prime, contro i consumi a debito, i bonus immorali elargiti ai manager finanziari; il tutto riferito a un mercato privo di etica. Taluni invocano le teorie keynesiane, come se la storia invece di insegnare, potesse riproporsi analogamente a una formula geometrica, senza una dimensione temporale. Keynes, per quel poco che ricordiamo, proponeva, quasi ottant'anni fa, un intervento dello Stato per evitare il blocco di un'economia prossima ad un'irreversibile recessione; erano gli anni Trenta. Era un suggerimento a tempo determinato, quindi un intervento provvisorio dello Stato, ma, dalle nostre parti, il provvisorio è estremamente pericoloso.
La deflagrazione di oggi parte dal ben noto comportamento della finanza americana, fortemente deregolata, e dalla crisi iniziata con i subprime, che si è allargata al mondo intero; il relatore mi sembra abbia svolto un'ottima relazione su questo tema. Si tratta di un evento che, nell'immediato, ha costretto le banche centrali dei Paesi più industrializzati ad esercitare funzioni non a loro usuali, come l'intermediazione di ingenti flussi di denaro fra banche vigilate, alle quali poi è stato impedito di scambiarsi fondi sul mercato interbancario.
In Italia, il Governo ha adottato d'urgenza il presente decreto-legge per garantire i risparmi dei nostri cittadini, messi aPag. 54repentaglio da operazioni avventate dei nostri banchieri, a loro volta preda di un sistema finanziario globale invaso da prodotti finanziari del tutto privi di consistenza e miseramente crollati.
Il decreto-legge 13 ottobre 2008, n. 157, che riattiva il mercato dei prestiti interbancari, in linea con gli accordi di Parigi del 12 ottobre 2008, viene trasferito nel decreto n. 155 del 2008, in cui all'articolo 1 si autorizza il Ministero dell'economia e delle finanze, su accertamento della Banca d'Italia, ad intervenire tramite sottoscrizione o garanzia di aumenti di capitale sociale, con un programma di stabilizzazione e rafforzamento da attuare in un periodo non inferiore a 36 mesi, con una presenza di politica dei dividendi atta a favorire il Ministero nella distribuzione degli utili. Trattandosi di misure eccezionali, urgenti e temporanee, le cui modalità prevedono l'utilizzo di decreti del Presidente del Consiglio, al comma 8 dell'articolo 1 è previsto che gli stessi decreti e i correlati decreti di variazione di bilancio debbano essere trasmessi con immediatezza al Parlamento e comunicati alla Corte dei conti. Come più volte dichiarato dal Ministro Tremonti, il Governo non intende entrare nella proprietà delle banche ed in questa prima fase è solo necessario salvaguardare il risparmio dei cittadini, e, con esso, la fiducia nella sicurezza dei depositi bancari. È il primo intervento e ne sono necessari ulteriori e immediati, tra i quali l'emissione di obbligazioni, già preannunciate, per aumentare il patrimonio degli istituti bancari e intervenire a favore dell'economia reale.
Nell'ampia discussione nella VI Commissione (Finanze) l'opposizione ha presentato alcune proposte emendative, senza dubbio interessanti, per garantire il comparto del credito nazionale. Tuttavia, non è possibile rabberciare quanto di stantio è scritto nell'attuale nostro sistema, che però - bisogna darne atto - ha arginato con regole degli anni Trenta una situazione che potrebbe essere catastrofica. È necessario cambiare le regole, non solo all'interno nel nostro Paese. È vitale un raccordo con l'insieme degli altri Stati per rimodellare regole comuni, al fine di evitare l'allegra finanza del niente. Il nostro Presidente del Consiglio ed il Ministro dell'economia e delle finanze sono stati tra i primi ad invocare una nuova Bretton Woods, anche se parte della nostra stampa, per non parlare dell'opposizione, sembra ignorare gli avvertimenti che Tremonti addita fin dal 2006. Ma questa è solo la banalità in cui ristagna il provincialismo della vecchia politica italiana che, come accennavo, si basa ancora sull'ottocentesco concetto della contrapposizione.
Ribadiamo infine l'unità mondiale per un'intesa comune, ricordando che il troppo liberismo americano è stato sempre l'artefice delle crisi finanziarie mondiali, ma - attenzione - se guardiamo oggi al loro prodotto interno loro constatiamo che viaggia intorno al 2 per cento, mentre l'Europa è in recessione, seppure tecnica, e questo la dice lunga sull'assetto capitalistico americano. Ci auguriamo infine che, anche con le risorse della Cassa depositi e prestiti, si dia inizio ad un risolutivo periodo di ristrutturazione, ponendo attenzione a quanto prospettato recentemente dal Governatore della Banca d'Italia su alcune possibili risposte strutturali per un nuovo sistema finanziario caratterizzato da più regole, meno debito e più capitale, in modo da offrire la possibilità ai nostri imprenditori e al sistema bancario di operare senza invadenza dello Stato, nel solo interesse del Paese.
Occorre far presto, e i preannunciati provvedimenti all'indomani del G20 potrebbero essere l'avvio per uscire da una crisi finanziaria che se toccasse in profondità l'economia reale sarebbe foriera di lunga recessione, trovandoci del tutto impreparati, così come avviene quando si utilizzano per anni risorse non presenti al momento della spesa.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Messina. Ne ha facoltà.

IGNAZIO MESSINA. Signor Presidente, ho ascoltato il relatore, e devo dire con piacere che sembrava un relatore di opposizione per le cose che ha detto, che inPag. 55larga parte sicuramente sono condivisibili: si chiedeva come si fa a dare credito e fiducia a banche che hanno fatto acquisti a prezzi spropositati, e lo evidenziava; la cosa più importante è sostenere l'economia, e questo credo sia fondamentale. Sembrava un intervento dell'opposizione per un fatto molto semplice, perché il decreto di cui ci stiamo occupando non tratta la materia che il relatore ha evidenziato, e che ha indicato come materia veramente importante (condividiamo questo giudizio).
È sufficiente leggere il titolo del provvedimento: «Misure urgenti per garantire la stabilità del sistema creditizio e la continuità nell'erogazione del credito alle imprese e ai consumatori, nell'attuale situazione di crisi dei mercati finanziari internazionali». Ebbene, questo decreto, che era partito con le migliori intenzioni, alla fine non contiene nulla che riguardi l'erogazione del credito alle imprese e nulla che riguardi i consumatori.
In Commissione avevamo anche consigliato al rappresentante del Governo, sottosegretario Casero, che è stato presente durante i lavori, di ritirare il decreto-legge in esame, perché, se è un decreto inutile, non ha senso procedere oltre: se ne serve un altro, occupiamoci dell'altro, di quello dove c'è la sostanza.
In questo momento di crisi generale, di sicuro l'Italia non sta intervenendo nel migliore dei modi. Era partita con il piede giusto, sta finendo in maniera sbagliata. Era partita immediatamente con provvedimenti - questi decreti-legge, poi unificati in uno solo - che dovevano intervenire sulla situazione di crisi. In realtà - cito ancora una volta il relatore - questi decreti-legge hanno subìto uno stop a e non a causa della crisi internazionale, come qualcuno vuol far credere, ma uno stop dovuto all'incapacità di trattare con le banche e con il sistema bancario in maniera paritaria da parte del Governo. Ritengo che si tratti di un problema molto serio che il relatore, onorevole Conte, evidenziava quando parlava di rapporto tra politica e banche.
Questo è il momento in cui, forse, per la prima volta dopo tanti anni, la politica può dire la sua sull'economia, considerato che quest'ultima è in crisi e senza la politica non riesce ad andare avanti o, meglio, senza una politica forte che voglia confrontarsi seriamente e che voglia imporre dei paletti a tutela di coloro i quali sono i destinatari finali dell'economia, vale a dire le imprese, le imprese medio-piccole, i consumatori, i risparmiatori. Se, invece, l'obiettivo del Governo è la tutela degli interessi più forti, è chiaro che alla fine tutti i princìpi e i presupposti di cui parliamo vengono meno.
Cito ancora il relatore perché l'interruzione e lo stop a questi decreti-legge è stato espressamente indicato. Egli ha detto: sussiste l'oggettiva necessità di disporre di tempo, considerata l'esigenza di superare le resistenze di larghi settori del mondo bancario rispetto alla definizione delle modalità attraverso le quali si articolerà l'intervento pubblico in tale settore. In buona sostanza, fino a quando non si trova un accordo con il sistema bancario, il Governo è impotente e non riesce o non vuole andare avanti per cercare di mettere un punto fermo a questa crisi.
Si tratta di una crisi generale che ha un'unica matrice: l'assenza di controlli. Tale crisi generale, che è crisi mondiale, sicuramente di tutti i mercati, ha a monte un'assenza di controllo, e mette in discussione tutta la questione della vigilanza, in Italia e nel mondo, le società di rating e le certificazioni, che hanno ingannato il mercato e che hanno consentito che la crisi si affermasse sempre di più a danno dei soggetti più deboli.
L'onorevole Ventucci si affidava al G20, quasi come se fosse una tappa da attendere per poi procedere oltre. Ritengo che, alla fine, anche lui sarà rimasto deluso: riguardo al G20, la maggior parte degli economisti ha affermato sostanzialmente che forse non valeva la pena nemmeno di riunirsi per dire: ci vediamo tra cento giorni, considerato che non abbiamo nulla da mettere seriamente in cantiere. Ci ritroviamo in una situazione in cui il PIL mondiale, che nel 2000 era supportato perPag. 56il 75 per cento dai Paesi dell'Europa e dagli Stati Uniti, oggi lo è per il 52 per cento e nel 2030 lo sarà per il 37 per cento, a vantaggio di nuovi Paesi - Cina, India, Russia, Brasile - che, invece, creano nuova economia. Cosa ha fatto il G20? Sostanzialmente ha dovuto prendere atto di questa situazione internazionale che si è creata e ha rinviato inutilmente le decisioni di cento giorni, ma di fatto non è riuscito a mettere in piedi alcun elemento.
E non si citi a sproposito Bretton Woods, perché in quella sede si dette avvio a lavori che arrivarono in seguito a conclusioni. Qui, invece, sembrava quasi di partecipare ad un tè tra vecchie comari, dove questi venti Paesi hanno cercato in tutti i modi di essere presenti o, meglio, la vecchia Europa ha cercato di essere presente, mentre i nuovi scalpitavano per procedere oltre.
Bisogna rimettere in discussione sicuramente il ruolo degli organismi di controllo, del Financial stability forum, degli organismi internazionali, deputati ad una funzione consultiva, di controllo e propositiva, che si sono anch'essi rilevati incapaci di svolgere i ruoli ai quali erano stati assegnati. Quindi, in questo contesto dobbiamo scendere nel nostro Paese: l'Italia che fa? In Commissione abbiamo svolto lavori seri, abbiamo fatto molte audizioni ed abbiamo ascoltato il mondo che produce, abbiamo ascoltato le imprese e abbiamo anche ascoltato le banche ed i sindacati. I dati della crisi li abbiamo chiesti, ma nessuno è stato in grado di fornirceli: ciò evidenzia, ancora una volta, questa difficoltà ad ottenere dal mercato dati concreti sui quali lavorare per portare ad una soluzione.
È poca roba che il Ministro Tremonti, in riunione in Commissione - l'affermazione è stata comunque riportata sui giornali, quindi non è più un segreto rispetto ad una riunione riservata - commentando il decreto-legge in esame, ormai privo di alcun tipo di validità, dica sostanzialmente che esso è come la cassetta degli attrezzi, che tengo in casa perché se ad un certo punto salta la luce o si rompe un rubinetto, ho la cassetta degli attrezzi ed intervengo: infatti, anch'egli è stato costretto ad ammettere che il decreto-legge in esame non serve assolutamente a nulla, al di là di ridisegnare un nuovo criterio di diritto fallimentare. Infatti, sapevamo che ci potevano essere aziende in crisi, grandi aziende in crisi e ci poteva essere uno stato di insolvenza delle aziende, ma nessuno di noi aveva mai sentito parlare di uno stato di pre-insolvenza tutelato dal nostro ordinamento: lo abbiamo inventato, perché questi decreti-legge, a detta anche del Governo, si occupano dello stato di pre-insolvenza. Poi, alla domanda che ognuno dei componenti della Commissione ha fatto, rispetto a quali siano le aziende che si trovano in uno stato di pre-insolvenza, la risposta è stata che in Italia non vi sono aziende che si trovano in stato di pre-insolvenza. Sostanzialmente, stiamo legiferando inutilmente, e non si capisce a vantaggio di chi.
La realtà è ben altra, e ce la siamo anche detta: in sostanza, nel momento di crisi finanziaria, ci sono stati degli spot che il Governo ha tirato fuori per tranquillizzare il mercato. Alla fine però, cessati gli effetti taumaturgici di questi spot (perché si è visto poi che non risolvevano il problema), è stato necessario farne un altro: si è aspettato il G20, ma si poteva aspettare qualunque altra cosa. Si è preso un po' di tempo per cercare di capire come intervenire e quindi, alla fine, cercare di trovare delle soluzioni, soluzioni che ancora oggi non è dato conoscere, a parte le notizie giornalistiche che emergono, come per esempio quella della sottoscrizione di obbligazioni perpetue da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, misura che nessuna banca ha avuto interesse ad adottare.
Va infatti considerato che le banche hanno fatto un ragionamento e lo stanno applicando all'economia, questo è il problema vero sul quale il Governo deve intervenire: le banche non hanno tollerato e continuano a non tollerare alcuna ingerenza esterna non solo nel loro capitale, ma anche nella loro gestione. E a questo punto cosa fanno? Non ci perdono; a questo punto il ragionamento delle banchePag. 57è quello di dire: benissimo, non prendiamo soldi pubblici per essere controllati dal pubblico, ma dall'altra parte riversiamo in maniera molto comoda sui nostri clienti, consumatori ed imprese, gli effetti negativi della crisi, evitando un'ingerenza nei nostri affari. È ciò che in sostanza sta accadendo oggi, perché l'allarme che tutti i comparti produttivi del nostro Paese hanno rappresentato in Commissione - e credo che il presidente in primis possa darne atto - è stato quello di trovare una difficoltà enorme non ad avere nuovo credito, ma ad avere confermati i crediti che, al contrario, si avevano in precedenza. Si è andati e si sta andando, al contrario appunto, verso una restrizione e quindi, da questo punto di vista, il Governo doveva e deve fare, e speriamo che lo faccia, un intervento serio, che sia in grado di tutelare realmente ciò che i cittadini vogliono sia tutelato.
Tra l'altro si parla sempre delle grandi banche e non vorrei che si creassero delle distinzioni tra grandi e piccole banche, perché è vero che le grandi banche sono grandi, ma le piccole messe insieme costituiscono una grande banca anche loro, e quindi anche lì non si possono creare discriminazioni.
Stiamo attenti, perché possiamo stare certi che la discriminazione tra piccole e grandi banche, alla fine, si trasformerà in discriminazione tra clientela della grande banca e clientela della piccola banca e certamente non è possibile giustificare un atteggiamento di questo tipo.
Si parlava di un decreto nuovo, che dovrà occuparsi di economia reale, come se oggi con questi decreti - ma forse è veramente così - ci stessimo occupando di economia virtuale, perché alla fine non incidiamo sull'economia, sulle tasche e su ciò che interessa ai cittadini. Siamo passati dalla Robin Hood tax, che doveva togliere ai ricchi per dare poveri, ma non è accaduto nulla; stiamo andando verso il Tremonti bond, che sembra debba favorire le banche per la ricapitalizzazione, ma con una finalità ulteriore, quella, ovviamente, di tutelare il mercato e i risparmiatori.
Da siciliano, cito uno scrittore della mia terra. Credo che in questo caso Sciascia direbbe: tra Robin Hood e Tremonti, Bondi e Tremonti-bond, forse ci troviamo di fronte ad un quaquaraquà. Infatti o si prendono soluzioni o è inutile parlarne. Secondo me, ancora oggi, c'è una gran confusione e nessuna soluzione certa è stata presa in considerazione.
Tra l'altro, anche i bond (e quindi le obbligazioni sottoscritte con denaro pubblico, ossia con denaro dei cittadini, per favorire le banche) non si può tollerare che vengano usati per dare i soldi alle banche come cambiali in bianco, sulle quali scriveranno ciò che vogliono. Vanno messi dei paletti certi, perché altrimenti tanto varrebbe che il Governo finanziasse direttamente il mercato, la piccola e media impresa. È inutile finanziare le banche se poi le banche non fanno credito alle imprese.
In merito a questi paletti, il Governo non può trincerarsi dietro al fatto che non può incidere su una scelta di mercato della banca, perché capiamo tutti che è chiaro che è la banca a decidere a chi dare o non dare il credito. Tuttavia, se è lo Stato a concedere il credito, perché la banca non ce la fa più a prestare i soldi e ne ha bisogno, è bene che chi ci mette i soldi detti le regole del gioco. In questo senso il Governo deve essere forte e incisivo e avrà l'appoggio anche dell'Italia dei valori, e credo di tutta l'opposizione, se vorrà essere realmente forte e incisivo e se, alla fine, esserlo significa tutelare i più deboli.
Infatti, non è pensabile che, come hanno fatto fino ad oggi molti istituti di credito, quando c'è da guadagnare sono loro a guadagnare e, quando invece c'è da perdere, perdiamo tutti. Non credo che possa e debba funzionare così. Abbiamo fatto audizioni, il testo è blindato e alla fine non abbiamo concluso molto.
Rimane forse una speranza, perché ci sarà un regalo di Natale. È stato detto che il 25 novembre ci sarà presentato, finalmente, un decreto-legge che si occuperà di economia reale e che verrà convertitoPag. 58entro il 20 dicembre. Quindi si tratta di un regalo di Natale che il Governo pensa di fare agli italiani.
C'è un impegno da parte del Governo e ne prendiamo atto nella speranza che venga mantenuto da parte del sottosegretario Casero: gli impegni assunti con gli ordini del giorno che sono stati presentati dall'opposizione e che sono stati ritenuti utili e validi (erano emendamenti di cui si è chiesto il ritiro) verranno mantenuti. Ci sarà quindi un riscontro immediato in questo nuovo decreto del 25 novembre del quale si vedranno tutti gli effetti. Staremo a vedere.
Certamente è forte la tentazione di capire se si tratterà, più che di un dono, di un «pacco» che sarà fatto ancora una volta agli italiani. C'era oggi una vignetta su un quotidiano nazionale dove a un certo punto arrivava a casa di un cittadino italiano un grande contenitore, che era un po' come le scatole cinesi. Il protagonista della vignetta cominciava ad aprire queste scatole che diventavano sempre più piccole e nell'ultima c'era un biglietto di auguri di Natale da parte del Presidente del Consiglio. Non c'era altro.
Non vorremmo che, alla fine, tutto quello che è stato detto finora (IVA di cassa, sospensione dell'acconto IRPEF e tutte le cose che sono state quotidianamente dette dal Ministro Tremonti), debba ridursi soltanto agli auguri di Natale del Governo, e basta.
Questo decreto-legge fa una cosa, per la verità: continua nella politica di accentramento dei poteri in capo al Ministro dell'economia e delle finanze. Infatti, anche con il comma 1-bis dell'articolo 4, nell'intervenire sulla disciplina dei conti dormienti, si dispone di eliminare la commissione prevista dalla legge n. 266 del 2005: è una commissione snella, composta di cinque membri, quindi non si tratta di una commissione parlamentare che lavora poco.
Togliamola ed accentriamo tutto nelle mani del Ministro, che dovrà occuparsi direttamente di intervenire sulla gestione del fondo per la tutela delle vittime di frodi finanziarie con i fondi, appunto, che derivano dai conti dormienti.
Anche qui non si può trovare condivisione: credo sia determinante una concertazione su tematiche di questo tipo sia con una commissione, sia con gli altri Ministri. Non si può affidare ad un solo soggetto il destino economico-finanziario di tutto il Paese, anche perché gli effetti sono la social card tirata fuori dal Governo, con cui si strumentalizzata - lo diciamo anche qui con molta franchezza - la povertà.
Un dato allarmante, pubblicato proprio oggi, riguarda le famiglie povere in Italia e afferma che queste ultime sono il 12,8 per cento della popolazione. Quindi, coloro i quali hanno un reddito inferiore a 900 euro per famiglia sono circa 8 milioni di persone, forse il più grande partito italiano presente sul nostro territorio.
Non possiamo risolvere i problemi di questa gente raggiungendo un effetto paternalistico con una social card che offre 480 euro da spendere ponendo dei vincoli di destinazione: è una mancanza di fiducia nei confronti dei cittadini italiani. Oltre ad umiliarli per il fatto di dover ammettere di essere poveri, si dice loro anche: non solo sei povero e ti do dei soldi, ma ti impongo anche come dovrai spenderli. Se qualcuno avesse bisogno di altro? Non lo può fare!
Certo, questa social card serve, ma sarebbe stato sufficiente aumentare le pensioni e dare qualcosa in più ogni mese: i cittadini avrebbero saputo come spenderlo. Se sono sopravvissuti fino ad oggi senza social card, non hanno bisogno dei consigli degli esperti del Governo per sapere come spendere.
Questa social card probabilmente produrrà un effetto promozionale (d'altronde il marketing è la forza di questo Governo): ogni volta che la usi, ti ricordi ovviamente chi te l'ha data e quindi, di fatto, ogni volta ti ricorderai di questo Governo e della sua misura, che è sicuramente insufficiente.
Per quello che riguarda il gruppo Italia dei Valori, in un spirito propositivo e costruttivo, anche perché si tratta di un tema che non può non essere affrontatoPag. 59con tale spirito, ha fatto delle proposte chiare e ha presentato degli emendamenti (ci hanno chiesto di ritirarli, ma non abbiamo ritenuto di farlo ed anzi presenteremo anche degli ordini del giorno) nella speranza che il Governo si converta a riempire di contenuti questo decreto-legge.
Abbiamo parlato di tutela dei risparmiatori pensando di risarcire i risparmiatori danneggiati dalla cosiddetta truffa dei patti chiari. Rivolgendoti alla tua banca, la banca amica, pensavi di acquistare qualcosa di sicuro in cui ha investito anche la tua pensione. Non sei uno speculatore, ma alla fine ti ritrovi ad avere comprato dei fondi spazzatura, ci hai rimesso tutto e non ti hanno nemmeno chiamato per dirtelo, perché lo hai letto sui giornali. Ai pensionati, che non sono giocatori incalliti, una tutela va sicuramente riconosciuta e quindi va istituito un fondo che garantisca questi soggetti danneggiati e li garantisca veramente.
Per quanto riguarda i mutui, occorrerebbe sospendere le procedure esecutive, almeno fino al 31 dicembre 2009 relativamente a quelli per le prime case, per coloro i quali hanno un reddito basso, e per fare in modo che possano pagare nel migliore dei modi.
Inoltre, occorrerebbe favorire la portabilità, misura che non è stata attuata, stabilire delle detrazioni IRPEF che consentano anche una propensione al consumo per le famiglie più deboli e non certamente, come abbiamo detto prima, la social card, ma un aumento delle pensioni che lascino i destinatari liberi di scegliere senza condizionarli.
Ancora, sarebbe utile introdurre, e non sospendere, la class action: così come diceva chi è intervenuto prima di me, se vogliamo le garanzie a tutela dei più deboli, garantiamo loro anche gli strumenti per poter affermare i loro di diritti e non sospendiamoli o rinviamoli sine die o al 31 dicembre o più in là: attuiamoli immediatamente. Ciò può essere fatto.
Occorre poi intervenire sulle banche: dal momento che dobbiamo dare loro i soldi, imponiamo loro di mantenere invariati i costi dei conti correnti almeno per 36 mesi, evitando, quindi, che si possa incidere su di essi.
Per quanto riguarda la piccola e media impresa, occorre garantire i crediti attuali con un aumento del 5 per cento rispetto all'ultimo triennio e quindi aumentare gli investimenti, non ridurli.
Inoltre, occorre garantire i crediti della pubblica amministrazione per le anticipazioni, farle certificare dalla pubblica amministrazione per fare in modo che quando queste imprese si presentano per anticiparle in banca non trovino le porte chiuse, ma aperte, perché le tutela lo Stato, e abbiano tassi migliori.
Bisogna fare in modo che anche la Cassa depositi e prestiti possa intervenire finanziando le imprese direttamente o attraverso le banche, almeno per la realizzazione delle opere pubbliche.
Ci sono tanti fondi e non ha senso, in un momento di difficoltà, tenerli da parte. Infatti, in questo momento è per primo lo Stato ad avere dei soldi e un buon padre di famiglia deve investire per aiutare e non certamente chiudere la borsa.
Per la tutela e la sicurezza dei mercati, occorre reintrodurre il reato di falso in bilancio. Non è pensabile, come ha detto qualcuno prima di me, che di questa crisi non ci sia nessun responsabile e che, anche ammesso di trovare il responsabile, non vi sia uno strumento per potergli attribuire la responsabilità.
Ci sono addirittura gesti di arroganza di chi, artefice delle difficoltà finanziarie che oggi il mercato si trova ad affrontare, dice tranquillamente di essere ancora giovane e che se ne parlerà tra dieci anni di andare in pensione (mi riferisco anche ai grandi banchieri). Abroghiamo le norme salva-manager e, al contrario, affermiamo il principio di responsabilità; altro che liquidazioni miliardarie! Ancora oggi, nei momenti di difficoltà, quando i cittadini non ce la fanno più e 8 milioni di italiani sono poveri, pensiamo alle liquidazioni straordinarie!
L'altra volta si discuteva in Commissione anche di ridurre il debito pubblico. Non credo abbia avuto un riscontro favorevole,Pag. 60ma valutiamo di vendere parte delle riserve auree. Non è offensivo: ne abbiamo veramente tante, siamo il terzo Paese nel mondo ad avere questa quantità di riserve auree ed altri Paesi, come il Canada, l'Australia, l'Austria, l'Olanda, il Regno Unito e la Svizzera (per citarne alcuni), lo hanno fatto. Allora, che senso ha tenere una montagna d'oro, che falsa anche i mercati e, al contrario, non intervenire sull'economia?
Si interviene, quindi, per tagliare spese essenziali e per ricapitalizzare le banche. Non è possibile che si intervenga su certe spese quando si può tentare, al contrario, di tagliare ciò che non serve. Cito soltanto alcune delle spese che, attraverso il suo intervento, il Ministro elimina: spese per infrastrutture, spese per la scuola pubblica, spese per risorse del fondo, il che significa che dobbiamo finanziare le banche sottraendo risorse a tutti questi settori. Ha un senso? Ha un senso sottrarre risorse al fondo per i non-autosufficienti, tagliare le risorse destinate alla cooperazione allo sviluppo e alla scuola pubblica per finanziare le banche? O si impongono dei paletti chiari e certi, oppure veramente non ha più senso.
Mi avvio alle conclusioni. Credo che abbiamo sentito tante chiacchiere in questi giorni e abbiamo atteso il G20 (poca sostanza, anzi niente fino ad oggi). Spero che da qui all'approvazione del disegno di legge di conversione lo si possa riempire di contenuti. Bisogna aspettare e sperare, ma cosa? Lo diceva l'altro giorno il Ministro Tremonti: bisogna aspettare il 25 novembre e sperare in quel contenuto.
C'è necessità di un intervento urgente e vero, che tuteli le famiglie, le piccole e medie imprese e i piccoli risparmiatori. Ad oggi il Governo non ha prodotto niente. L'Italia dei Valori, come ho detto, ha fatto le proprie proposte, che spera vengano almeno in parte accolte, perché si tratta di proposte di buon senso. Quanto ancora dovremo aspettare? Non c'è più tempo per prese in giro o elucubrazioni finanziarie di qualche Ministro.
Basta, per favore. In un momento di crisi come questo - ditelo ai vostri rappresentanti di Governo - non abbiamo bisogno di questa continua commedia: Brunetta e i fannulloni cui si è aggiunto un nuovo titolo, Brunetta e i fannulloni di sinistra. Fermiamoci con queste cose inutili che fanno solo male al Paese. Non serve un decreto-legge vuoto; va ritirato, ovvero bisogna riempirlo di contenuti con gli emendamenti presentati. Con spirito costruttivo ci auguriamo che ciò possa avvenire e speriamo, nell'interesse del Paese, che tutto ciò possa portare ad una soluzione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fluvi. Ne ha facoltà.

ALBERTO FLUVI. Signor Presidente, l'occasione della conversione in legge dei provvedimenti adottati dal Governo per fronteggiare la crisi finanziaria permette di avviare una riflessione sulla crisi dei mercati finanziari e di confrontarsi sui possibili interventi per farvi fronte.
Converrà con me però, signor Presidente, che è ben strano che il Parlamento non sia stato coinvolto su un tema (la crisi finanziaria e le sue ripercussioni sull'economia reale) che interessa tutte le famiglie e tutti i cittadini.
È la prima volta, infatti, a parte qualche fugace apparizione mattutina del Ministro Tremonti, che il Parlamento è chiamato a discutere su questo tema. Nel frattempo, sono fallite banche d'affari, sono stati nazionalizzati istituti di credito ed altre istituzioni finanziarie, sono state impegnate risorse ingenti per cercare di fronteggiare una crisi che non ha precedenti nella storia recente.
I gruppi parlamentari e le forze politiche e sociali hanno di fronte un duro lavoro di analisi e vorrei - se posso - rivolgere un invito al mondo della cultura, a non far mancare una riflessione critica, ad offrire un punto di vista, un angolo di visuale utile a leggere ed interpretare quella che a me pare una crisi di sistema. Prioritario è certamente fronteggiare l'emergenza ed uscirne, dotare il nostro Paese di un armamentario utile a fronteggiare i colpi della crisi, ma occorre farloPag. 61con la consapevolezza che forse siamo davanti ad una svolta, che non so se definire storica, ossia alla crisi, in sostanza, di un modello di sviluppo che immaginava di creare ricchezza attraverso la finanziarizzazione dell'economia. È caduta l'illusione che la ricchezza finanziaria si sostituisse alla politica di redistribuzione del reddito.
È stato detto in questi giorni, in maniera molto più autorevole di me, che la scomparsa anche fisica delle banche d'affari, le grandi protagoniste di questa fase della storia del capitalismo dal panorama economico e finanziario del mondo, oltre ad una valenza simbolica impressionante, ha anche il significato del mutamento di fase e della necessità di creare nuovi equilibri e nuovi assetti.
La fotografia del G20 riunitosi a Washington nei giorni scorsi ne è, a mio avviso, la conferma più evidente. È la prima volta che succede. Prima d'ora il G20 è stata una formula per i supertecnici o per i politici di livello intermedio; mai il G20 si è riunito ai massimi livelli. Non so, come hanno sostenuto alcuni autorevoli quotidiani statunitensi, se sia stato il vertice più importante dalla fine della seconda guerra mondiale. Vedremo. Forse tutti siamo portati, chi in un modo chi nell'altro, ad enfatizzare troppo l'evento. Tuttavia, sta crescendo la consapevolezza della necessità di trovare la via d'uscita in modo coordinato e di definire nuove regole ed un'architettura finanziaria diversa.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, in questi giorni mi sono andato a rileggere un piccolo saggio di un autore che sicuramente lei, signor Presidente, conosce molto bene: Ulrich Beck. Si tratta di un saggio che è uscito pochi mesi dopo l'attentato terroristico dell'11 settembre alle Torri gemelle. Mi permetta di leggere poche righe, signor Presidente, a mio avviso interessanti ed emblematiche: «Gli attacchi terroristici - diceva Beck - rafforzano lo Stato, ma ne indeboliscono la forma storica principale, lo Stato nazionale. In un'epoca in cui i pericoli non hanno più carattere locale, la sicurezza interna - si riferiva appunto all'attentato terroristico - non è più una questione nazionale. Le alleanze sono sempre esistite, ma la differenza fondamentale è che oggi sono necessarie non solo sulla sicurezza esterna, ma anche su quella interna». Prosegue Beck: «Questo implica un principio che può apparire paradossale: gli Stati, per tutelare il loro interesse nazionale, debbono in qualche modo denazionalizzarsi e diventare transnazionali, rinunciare ad una parte della loro autonomia e risolvere i problemi nazionali in un mondo globalizzato».
Ecco, io credo che queste considerazioni, signor Presidente, non valgano solo per il tema, pure importante, della sicurezza, ma si adattino perfettamente alle questioni ambientali, energetiche e a quelle economico-finanziarie di cui stiamo discutendo in questi giorni.
È evidente, allora, che a dispetto di tutti gli euroscettici e di tutti i protezionisti, abbiamo bisogno di più Europa, non di meno Europa; abbiamo bisogno di un maggior coordinamento internazionale, non di un minor coordinamento tra i diversi Paesi del globo. Non è un caso, per esempio, che i mercati finanziari abbiano cominciato a percorrere anche il campo positivo solo quando la politica, con il Consiglio europeo di metà ottobre, ha assunto le sue decisioni.
Questa crisi, tuttavia, non è prodotta solo dalla finanza: gli eccessi della stessa non sarebbero stati possibili senza la crescita esponenziale dell'indebitamento pubblico e privato a livello mondiale. È appena il caso di ricordare come gran parte dell'innovazione finanziaria sia stata diretta ad alimentare un gigantesco processo di indebitamento che ha avuto il suo epicentro nei Paesi anglosassoni. Non solo: l'ideologia che è stata alla base del processo di sviluppo di questi ultimi decenni è stata sostenuta dal pensiero della destra liberista, che ha visto nell'amministrazione Bush e nella Federal Reserve di Alan Greenspan i suoi paladini. Vorrei ricordare la convinzione della razionalità del mercato e delle sue capacità di autoregolazione, la convinzione che la crescita di valore delle imprese dovesse tradursi inPag. 62valore per gli azionisti, cioè per il capitale finanziario, la convinzione che l'unico problema per la governance delle imprese fosse l'alleanza fra capitale finanziario e management che - non dimentichiamolo - ha portato alla crescita perversa delle stock option, che sono, in gran parte, la causa dell'attuale sconquasso.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, in precedenza invitavo alla necessità di una riflessione su questi anni, una riflessione quanto mai urgente, perché è ormai evidente che in tempi di crisi il liberismo non è in grado di offrire alcuna risposta politica perché ha nel suo DNA l'obiettivo di sostituire la politica e lo Stato con l'economia. Oggi si chiede alla politica di fare fronte, con l'intervento pubblico, alle difficoltà dell'economia e della finanza. Eppure, non dobbiamo dimenticare - non per polemica, ma per capire e per svolgere una riflessione critica - che queste idee hanno trovato orecchie attente in molta parte del mondo politico italiano, a cominciare dall'attuale maggioranza, ma non solo in essa. Non si può essere euroscettici e, al tempo stesso, reclamare un ruolo centrale dell'Europa; non si può denunciare il pericolo Cina e reclamare dazi, e poi rendersi conto che l'infezione arriva dalla City o da Wall Street; non si può teorizzare e praticare la finanza creativa e poi erigersi a paladini del rigore.
Parafrasando un detto della cultura popolare, verrebbe quasi da dire: non si può avere sempre ragione, qualche volta bisogna pagare dazio.
La necessità di una riflessione di ampio respiro su questi temi non ci impedisce, tuttavia, di vedere, come abbiamo più volte detto, che i provvedimenti fino ad oggi assunti dal Governo vanno nella direzione giusta. Questi provvedimenti, infatti, si pongono l'obiettivo di tutelare il risparmio, di ripristinare il mercato interbancario e di aprire la strada per favorire, con il concorso dello Stato, la patrimonializzazione delle banche.
Tuttavia, queste misure non sono sufficienti ad affrontare, perlomeno a nostro avviso, la delicatezza del momento. Queste considerazioni sono ancora più valide oggi se è vero, come è vero, che l'obiettivo principale dei provvedimenti, ovvero la patrimonializzazione delle banche, non è stato raggiunto.
Così come riteniamo che vi sia una persistente sottovalutazione, da parte del Governo, della velocità di trasferimento della crisi finanziaria sull'economia reale. Consentitemi una brevissima riflessione sulla notizia che abbiamo letto in questi giorni sui giornali, in ordine al piano da 80 miliardi di euro annunciato da Berlusconi e Tremonti. Questa è veramente l'unica nota polemica del mio intervento, in quanto non so se, essendosi occupato del piano dei rifiuti a Napoli, il Presidente del Consiglio si sia innamorato del riciclo. Però questi 80 miliardi hanno tutto il sapore del riciclo di somme già stanziate dai precedenti Governi.
Inoltre, le stime di tutti gli organismi internazionali confermano che l'Italia è ormai in recessione, tutto ciò unitamente al calo della domanda interna e alla crescente difficoltà delle imprese, in specie le piccole imprese, ad accedere al credito. Tutto ciò rischia di dare un colpo mortale al sistema economico del nostro Paese. Sono necessari, a nostro avviso, interventi urgenti per tutelare il potere d'acquisto delle famiglie, rilanciare i consumi e favorire l'erogazione del credito al sistema imprenditoriale.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, abbiamo affrontato la discussione in Commissione su questi provvedimenti in maniera costruttiva e con la volontà di contribuire a migliorare gli interventi che - lo ripeto - da subito abbiamo detto vanno nella direzione giusta. Le nostre proposte emendative si sono fatte carico del quadro di finanza pubblica e anche noi siamo consapevoli, come diceva il relatore nella sua introduzione, delle limitate possibilità di intervento stante la situazione dei conti pubblici del nostro Paese. Ma ci saremmo aspettati a questo punto un atteggiamento di maggiore disponibilità da parte del Governo e, invece, ci siamo trovati di fronte ad un Governo che ha rifiutato qualunque confronto, non dico con l'opposizione, ma con il Parlamento.Pag. 63
Eppure, sarebbe stato sufficiente prendere atto che gli interventi messi in campo non hanno sortito gli effetti auspicati (penso all'ingresso nell'azionariato delle banche) per predisporsi positivamente ad un confronto con il Parlamento. Parlo volutamente del confronto con il Parlamento e non solo con l'opposizione, in quanto lo stesso trattamento e lo stesso atteggiamento di chiusura è stato riservato, fino ad oggi, sia agli emendamenti dell'opposizione che a quelli della maggioranza. Eppure, eravamo e siamo di fronte a proposte emendative non demagogiche, non propagandistiche, ma chiaramente compatibili con il quadro di finanza pubblica del nostro Paese.
Continuiamo, tuttavia, a richiedere un confronto tra il Governo e il Parlamento in quest'Aula. Le nostre proposte emendative poggiano sostanzialmente su tre pilastri. Il primo è costituito dall'ampliamento della griglia delle possibilità per intervenire a rafforzare i ratios patrimoniali degli istituti di credito. Per raggiungere questi obiettivi vi sono due strade: o si accetta l'aumento di capitale o si riducono gli impieghi.
Fino ad oggi si è scelta, da parte delle banche, di percorrere questa seconda strada, con il rischio di mettere in seria difficoltà il sistema economico del Paese: basta rivolgersi a qualunque imprenditore del nostro Paese. Evidentemente, non si è apprezzata per diversi motivi - non voglio entrare nel merito - la strada proposta dal presente decreto-legge. Allora, ampliamo la griglia delle possibilità e delle opportunità: i nostri emendamenti indicano un'altra strada, rappresentata dal prestito obbligazionario.
Il secondo pilastro è costituito dal credito alle imprese. Le difficoltà delle banche e il prolungarsi del confronto tra Governo e istituti di credito rischiano di scaricarsi pesantemente sul sistema economico italiano. L'Italia, lo sappiamo, è fatta soprattutto di piccole e piccolissime imprese che lavorano sostanzialmente a debito. La chiusura del credito rischia di colpire pesantemente anche quelle aziende che non hanno problemi di commesse. Occorre, quindi, individuare ogni strumento, a cominciare dalla contro-garanzia ai consorzi fidi, per garantire liquidità alle imprese. Infine, occorre definire un limite temporale dell'intervento straordinario e, soprattutto, chiarire che l'intervento dello Stato nel capitale azionario è senza diritto di voto, qualunque sia la forma societaria della banca richiedente un intervento pubblico.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, concludo. Mi si consenta, però, di fare riferimento all'attualità politica. Sono convinto che non sia questo il momento di cene o di incontri separati, né tanto meno di «sparate», come quelle che abbiamo letto sui quotidiani, pronunciate da parte di qualche autorevole Ministro della Repubblica. Non è il momento di promuovere riunioni che escludano sigle sindacali importanti e la rappresentanza delle piccole imprese, che sono l'ossatura di questo Paese.
Per uscire dalla difficoltà, a nostro avviso, dobbiamo investire su tutte le risorse endogene di cui questo Paese dispone. È il momento dell'unità e non della divisione delle forze economiche e sociali. Con questo spirito ci apprestiamo a proseguire il confronto in quest'Aula: ci auguriamo che analoga disponibilità provenga dalla maggioranza e dal Governo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Causi. Ne ha facoltà.

MARCO CAUSI. Signor Presidente, chi mi ha preceduto ha correttamente introdotto l'esame dei due provvedimenti, confluiti in uno solo (mi riferisco sia al relatore, l'onorevole Conte, sia ad altri colleghi), inquadrandoli all'interno di un episodio di crisi finanziaria ed economica di livello internazionale che ha investito e investe il nostro Paese, insieme a tutti gli altri Paesi europei. Si tratta di un episodio di crisi finanziaria ed economica assolutamente al di fuori dei parametri normali delle crisi finanziarie ed economiche: un episodio di tipo sistemico, che certamentePag. 64ha assunto, assume e assumerà caratteri davvero storici.
Signor Presidente, non voglio ripetere ciò che altri colleghi hanno affermato, ma, ricollegandomi a loro, vorrei che non dimenticassimo che quanto appare come epifenomeno, come una crisi di origine finanziaria, ha in realtà origini e radici fortemente legate a tendenze delle economie reali nazionali e del sistema internazionale degli ultimi anni. In realtà, è sempre stato così nei sistemi capitalistici dove le crisi emergono come crisi finanziarie, ma vi è sempre qualche fenomeno reale dal quale esse nascono.
I fenomeni reali, in realtà, hanno origine nel nuovo mondo che si è creato negli ultimi venticinque anni. Signor Presidente, voglio svolgere questa riflessione e condividerla con lei e con tutti i colleghi. Negli ultimi mesi si sono sprecati paragoni fra la situazione attuale del mondo e quella del 1929.
Vorrei proporvi, invece, di considerare quella attuale come una situazione in cui si chiude un ciclo di equilibrio economico e politico, cominciato in realtà nel 1989, cioè con la caduta del muro di Berlino, con la fine della guerra fredda e, quindi, dell'equilibrio contrapposto tra sistemi di libero mercato, da un lato, e sistemi di socialismo realizzato, dall'altro.
È lì, già dalla seconda metà degli anni Ottanta, che affondano le radici quattro forti squilibri reali, che oggi, anche tramite la crisi finanziaria, sono esplosi. In primo luogo, un permanente squilibrio negli Stati Uniti tra domanda interna e produzione. Di qui, la corsa dell'economia americana e statunitense, che è stata ovviamente anche facilitata dal nuovo equilibrio mondiale creatosi dopo la caduta del muro di Berlino, con una accumulazione costante di uno squilibrio della bilancia dei pagamenti, che è salito, di anno in anno, dagli 80 ai 200 miliardi di dollari l'anno.
Quindi, vi è stato un rilevante squilibrio della bilancia dei pagamenti negli Stati Uniti. Fino al 2001, poi, gli Stati Uniti avevano, soprattutto durante gli anni Novanta, riportato in equilibrio, addirittura in avanzo, il bilancio pubblico. Dal 2001 in poi, dopo l'11 settembre, per effetto anche degli eventi bellici susseguenti, negli Stati Uniti allo squilibrio di bilancia dei pagamenti si somma e si aggiunge uno squilibrio di finanza pubblica. Infatti, per effetto della decisione di quel Paese di affrontare la crisi del «dopo 11 settembre» utilizzando ampiamente strumenti di belligeranza, naturalmente, come sempre è accaduto nella storia in questi casi, anche il bilancio pubblico è andato in deficit.
Il secondo elemento di squilibrio è, invece, l'inverso. Questa corsa degli Stati Uniti in un nuovo equilibrio economico e politico del «post 1989» ha consentito uno spazio, che non c'era mai stato prima, per tutte le economie del mondo, che continuiamo a chiamare emergenti, ma che, in realtà, in alcuni casi importanti, sono ormai pienamente emerse.
Per più di vent'anni, la domanda americana ha trainato molto più di quella europea. Peraltro, vi è l'importante sviluppo asiatico e di tantissime altre economie, che ormai hanno raggiunto un reddito medio, con uno squilibrio finanziario. Infatti, le economie la cui bilancia dei pagamenti era in attivo, quelle asiatiche, oltre che quelle dei Paesi produttori di petrolio, hanno accumulato finanza prevalentemente denominata in dollari. A questo punto, il problema mondiale era come riportare quest'enorme quantità di finanza che affluiva ai Paesi in attivo (Paesi asiatici e produttori di petrolio) nei Paesi occidentali, soprattutto negli Stati Uniti.
È in tale contesto che si è determinato uno sviluppo dell'industria dei prodotti finanziari, soprattutto dell'industria anglosassone dei prodotti finanziari, che, con molta creatività e ingegnosità, ha inventato nuovi prodotti e li ha anche deregolamentati, come è stato ricordato, con una legge del 1999, che porta la firma di un deputato repubblicano, ma che fu vistata dall'allora Presidente democratico del Congresso americano. In questa sfida per l'innovazione finanziaria, i sistemi angloamericani esprimevano il loro bisogno di competitività nella capacità di produrre prodotti appetibili sul mercato della finanza,Pag. 65perché bisognava riallocare e far tornare in quei sistemi enormi quantità di finanza.
Un terzo elemento di squilibrio reale - non lo dobbiamo dimenticare - è il fatto che la crescita statunitense di questi venticinque anni non è stata, come troppo spesso tendiamo a pensare nella discussione politica, solo una crescita drogata dall'economia finanziaria. Non è così.
Dentro questo nuovo equilibrio gli Stati Uniti hanno fornito un contributo reale alla crescita mondiale, di proporzioni enormi. Abbiamo già citato il loro contributo alla crescita dell'economia dei Paesi emergenti e possiamo citare, ad esempio, un altro parametro: gli Stati Uniti, in questi venticinque anni, hanno assorbito popolazione migrante dal resto del mondo ad un tasso più che doppio rispetto all'Unione europea.
Sappiamo quanto siamo entrati in crisi nei nostri Paesi europei e nei nostri sistemi di regolazione sociale, istituzionale, anche politica, addirittura con partiti anti-immigrazione che cavalcano l'ondata della difficoltà sociopolitica e istituzionale. Bene, gli Stati Uniti hanno assorbito più del doppio della popolazione migrante.
Un quarto elemento di squilibrio, lo ha determinato - qui, però, voglio ricordare che i dati ci dicono che questo ultimo elemento è più caratterizzante per gli ultimi otto anni (quindi, non per gli anni Novanta, ma per il primo decennio del nuovo millennio) - una situazione in cui le politiche pubbliche non hanno più presidiato gli elementi di distribuzione del reddito e di coesione sociale.
Negli ultimi otto anni, negli Stati Uniti è aumentata enormemente la forbice tra aumento della produttività e aumento dei redditi da lavoro. Le politiche pubbliche ispirate ad un eccesso di liberismo e ad una forte concentrazione sull'industria militare e sulle spese militari hanno dimenticato colpevolmente gli interventi di coesione sociale e di lotta alla povertà; viceversa, si è fatto credere a tutti, compresi i migranti di ultima generazione, che in quel Paese tutto fosse possibile, perché il credito era molto facile.
Anche la crisi dei mutui in quel Paese nasce da un'accessibilità al bene casa molto facile. Un'accessibilità predicata non tramite interventi di social housing, come succede nei migliori sistemi europei (soprattutto quelli del nord, perché in Italia sul social housing siamo ancora in grave ritardo) ma con una politica di facile accesso al credito, che poi, a un certo punto, ha determinato una bolla speculativa e finanziaria e che oggi vede «incagliate» soprattutto le famiglie a reddito basso o medio-basso, comprese molte famiglie di migranti di ultima e penultima generazione.
Credo che nessuno abbia ancora ben capito come uscire da questa crisi. Siamo all'interno di un percorso di approssimazione culturale e politica dentro il quale - ha ragione chi ha parlato prima di me, l'onorevole Alberto Fluvi - dobbiamo anche fare ricorso al massimo di intelligenza e al minimo di strumentalizzazione politica, ma certamente il mondo è alla ricerca di un nuovo equilibrio dopo la caduta del muro di Berlino.
Si inizia a capire che questo nuovo equilibrio certamente avrà almeno sei caratteristiche. Le enuncio molto velocemente: anzitutto, dovrà essere un equilibrio molto più multilaterale e molto meno unipolare di quello di questi ultimi 25 anni. In secondo luogo, dovrà essere un equilibrio in cui riacquistino ruolo le istituzioni di coordinamento internazionale, sia quelle di area regionale, come, ad esempio, l'Unione europea e altre unioni simili di livello regionale, sia quelle di coordinamento più propriamente internazionale.
In terzo luogo, questo nuovo ruolo delle istituzioni internazionali dovrà essere ottenuto con una riforma radicale di queste stesse istituzioni. Al riguardo, voglio ricordare che sul terreno delle proposte per la riforma delle istituzioni internazionali il Paese Italia ha fornito contributi molto importanti.
Voglio qui ricordare che la prima proposta moderna di riforma del Fondo monetario internazionale nasce dall'Interim Commettee del Fondo monetario internazionale,Pag. 66presieduto nel 1998 dall'allora Ministro del Tesoro del Governo italiano Carlo Azeglio Ciampi.
Da lì nascono le proposte che portano poi alla creazione del Financial Stability Forum ed è ancora da lì che nascono alcune proposte che oggi di nuovo si affacciano come, per esempio, quelle tendenti a dare un ruolo più forte all'International Monetary and Financial Committee del Fondo monetario internazionale, che invece, purtroppo, per la mancata attuazione delle linee di riforma proposte dall'Interim Committee presieduto da Ciampi nel 1998, ha perso negli ultimi anni presa ed è caduto del tutto in una logica, direi, meramente, e qualche volta biecamente, intergovernativa, con pesi dei diversi Governi che non riflettono più l'effettivo peso dei diversi sistemi socioeconomici all'interno dell'equilibrio mondiale.
In quarto luogo, occorre un mutamento radicale di tipo culturale. Diciamolo: dovremo superare quello che, nel corso di questi venti anni, si è chiamato il Washington consensus, e quindi politiche improntate ad un forte iperliberismo, che, ad esempio, sono state anche molto dannose in tutti i processi di aggiustamento imposti dalle istituzioni internazionali, come il Fondo monetario, ai Paesi in via di sviluppo.
In quinto luogo, dovremo costruire gli elementi di una nuova governance mondiale. Abbiamo già detto del Fondo monetario internazionale, ma non vorrei che ci dimenticassimo che elementi di governance mondiale dobbiamo trovarli anche ad esempio attraverso la predisposizione, il monitoraggio e il controllo delle condizioni di lavoro in tutti i Paesi del mondo tramite un rafforzamento in questa direzione del ruolo dell'Organizzazione internazionale del lavoro. Infatti, è anche tramite il miglioramento delle condizioni di lavoro che si ottiene, da un lato un miglioramento della domanda interna di tutti i Paesi, dall'altro la riduzione dei fenomeni di concorrenza sleale.
In sesto luogo, sono necessari la conclusione dei round mondiali relativi al WTO e la riabilitazione e il pieno perseguimento degli obiettivi del Millennium round sulla lotta alla povertà, confermati da un recente vertice internazionale.
Insomma, onorevole Presidente, onorevoli colleghi, se dovessi consigliare una lettura in questo momento, consiglierei quella di un libro di Stiglitz: non quello che tutti conosciamo, cioè La globalizzazione e i suoi oppositori, uscito nel 2002 dopo che Stiglitz aveva, in modo critico, abbandonato il suo ruolo di capo economista della Banca mondiale, bensì un libro di Stiglitz pubblicato nel 1990, un anno dopo la caduta del muro di Berlino, che non è stato peraltro tradotto in italiano e che si intitola: Whither Socialism?. La parola «whither» in inglese significa «al posto di»: in questo libro Stiglitz, nel 1990, si interroga: come funzioneremo, adesso che non c'è più il socialismo? Come funzionerà adesso il modello capitalistico occidentale in assenza di un contrappeso nei sistemi socialisti? In sostanza, in quel libro Stiglitz con vent'anni d'anticipo capì che il mondo unilaterale di cui allora si gettavano le fondamenta mancava di contrappesi, contrappesi che nella tradizione di pensiero di Stiglitz, quindi nella tradizione di pensiero democratica e keynesiana, vanno essenzialmente ricostruiti nel ruolo dello Stato, nel ruolo dello Stato come regolatore, come presidio dell'uguaglianza e della coesione sociale, e come presidio dell'equilibrio economico.
Mi sto forse dilungando troppo, e proseguirò quindi il mio intervento molto più velocemente. Se davvero oggi volessimo chiamare in causa Keynes, come ha fatto l'onorevole Ventucci prima di me, per cercare di capire cosa sta succedendo nel mondo di oggi, dovremmo stare molto attenti, perché dovremmo ricordarci che la lezione di Keynes non è quella sulla spesa pubblica facile: questo è un keynesismo «accattone». La vera lezione di Keynes è sul ruolo dello Stato, e in generale delle politiche economiche, nel garantire che lo stato delle aspettative dell'economia sia positivo, e da questo punto di vista Keynes vedeva un ruolo molto importante per la politica monetaria piuttosto che per la politica fiscale. La politica fiscale doveva,Pag. 67secondo Keynes, intervenire soprattutto in momenti congiunturalmente difficili, momenti di crisi, ma dal punto di vista permanente il ruolo principale dello Stato era quello di generare positive aspettative.
Se volessimo chiederci come possono oggi i Governi nazionali, non soltanto i singoli Governi nazionali, ma tutti i Governi nazionali, ingenerare migliori aspettative al fine di velocizzare l'uscita dalla crisi, sicuramente dovremmo dire con Keynes: in primo luogo, in questo momento con tutta evidenza le politiche monetarie non sono sufficienti. Soprattutto in Europa, il livello dei tassi interbancari continua a non scendere nonostante politiche monetarie fortemente espansive, nonostante i recenti interventi, forse insufficienti, della Banca centrale europea sui tassi di interesse, e quindi è inevitabile che politiche fiscali espansive scendano in campo accanto alle politiche monetarie espansive.
In secondo luogo, tra le distorsioni originatesi nell'economia internazionale soprattutto durante gli ultimi otto anni, spicca quella collegata al fatto che i tassi di rendimento e i profitti attesi e voluti dagli investitori erano troppo elevati rispetto alle effettive condizioni strutturali dell'economia. Dovremmo ricordare, insieme a Keynes, che anche la distribuzione dei redditi ha un ruolo nella stabilità macroeconomica e che la distribuzione dei redditi prodottasi in questi anni è avvenuta in modo molto, troppo iniquo, sia negli Stati Uniti sia nei nostri Paesi europei. Quindi, politiche fiscali e redistributive.
I provvedimenti che oggi cominciamo a discutere sono, da questo punto di vista, insufficienti. Lo ha detto il collega Alberto Fluvi prima di me, questi due provvedimenti (due decreti-legge adesso unificati) hanno avuto un ruolo importante ed essenziale nel momento stesso in cui sono stati emanati perché hanno lanciato il segnale che anche in Italia, così come negli altri Paesi europei, lo Stato tutela il risparmio. Hanno quindi avuto un ruolo essenziale e positivo, che noi condividiamo, per allontanare il sistema creditizio e finanziario nazionale dalle potenziali crisi di fiducia dei risparmiatori, crisi che rischiavano, in una certa di fase, una quarantina di giorni fa, di potersi diffondere. Quanto agli altri due problemi che abbiamo di fronte - come ricostruire un intervento credibile dello Stato nelle nuove condizioni e come garantire che la recessione dell'economia reale (che non sta arrivando, ma è già arrivata nel nostro sistema e in quelli europei) non duri troppo -, ebbene, su questi due versanti, purtroppo, questi due provvedimenti sono insufficienti.
L'impatto reale della crisi, signor Presidente e cari colleghi, è già arrivato, ed è già arrivato in Italia in misura superiore a quanto avvenga negli altri Paesi europei. Le ultime stime dicono che l'Italia sarà l'unico Paese ad avere nel 2008 una crescita negativa: meno 0,3. La Germania è ancora ampiamente sopra il più 1; la Francia è ancora stabilmente sopra il più 1, seppure in decrescita rispetto all'anno scorso; la Spagna è sul più 0,70, più 0,8, seppur in decrescita rispetto allo scorso anno. L'Italia sarà l'unico Paese ad avere il segno meno già nel 2008.
Molti sostengono la tesi che questo sia solo il frutto dei nostri problemi strutturali, ma io non lo credo. Ritengo che certamente i problemi strutturali abbiano avuto un ruolo, ma credo che nel determinare la recessione cui va incontro l'Italia nel 2008 giochino anche altri due elementi. Il primo consiste paradossalmente nella stretta creditizia, perché gli istituti bancari del nostro Paese, dato che stavano meglio degli altri, non hanno dovuto far ricorso all'intervento di ultima istanza dello Stato, così come non hanno fatto ricorso, in questi quaranta giorni, agli strumenti forniti dai due decreti che da oggi esaminiamo in Aula. Non avendo dovuto farvi ricorso, hanno cercato e stanno cercando di migliorare i loro coefficienti patrimoniali - come diceva l'onorevole Alberto Fluvi prima di me - restringendo il numeratore piuttosto che aumentando il denominatore, e quindi restringendo il credito. Hanno trasmesso quindi, tramite la restrizione del credito,Pag. 68una tendenza recessiva in Italia molto più velocemente e molto più automaticamente di quanto non sia avvenuto e stia avvenendo in altri Paesi europei. Si tratta di un paradosso: siamo meno coinvolti nella crisi finanziaria, ma il meccanismo di trasmissione della crisi finanziaria all'economia reale qui da noi sembra che stia funzionando molto più velocemente.
Il secondo motivo, signor Presidente, è che - dobbiamo dircelo - il Governo ha sbagliato il tono congiunturale della politica economica proprio in questi mesi. Ci rendiamo conto oggi che non ha avuto molto senso, ad esempio, restituire circa due miliardi e mezzo di ICI sulla prima casa alle sole famiglie abbienti, alle sole famiglie che non erano già state beneficiate dai precedenti provvedimenti del Governo, alle sole famiglie che hanno più di una casa, tramite il meccanismo delle unità immobiliari assimilate.
Ci rendiamo conto, quindi, che noi dobbiamo affrontare oggi non soltanto il tema della crisi finanziaria, ma anche quello del sostegno all'economia reale e di una politica reflattiva che in qualche modo cambi il segno delle politiche economiche degli ultimi sei mesi.
Su questo, il Governo e la maggioranza sanno che il Partito Democratico ha proposto una serie di emendamenti a questi provvedimenti che non hanno un intento né ostruzionistico né dilatorio, ma fortemente costruttivo. Si tratta di emendamenti e proposte che vanno dall'economia reale a quella finanziaria; l'onorevole Alberto Fluvi, prima di me, ha iniziato a illustrarli. Ne voglio soltanto ricordare uno tra i tanti: riteniamo che in qualsiasi forma lo Stato intervenga a migliorare i coefficienti patrimoniali degli istituti bancari (tramite azioni, obbligazioni, ma anche nelle forme più soft, ovvero soltanto tramite estensioni di garanzie o meccanismi di swap tra titoli pubblici e titoli di istituti bancari, come previsto, tra l'altro, dal decreto-legge n. 157 del 2008) sia necessario che lo Stato stesso si garantisca, e garantisca ai cittadini e al sistema delle imprese, che questi aiuti non si fermino al bilancio delle banche, ma vengano traslati, trasmessi dal bilancio delle banche a quello delle famiglie e delle imprese. Secondo noi, quindi, alle banche aiutate vanno poste alcune condizioni.
È necessaria una condizionalità dell'aiuto - chiamiamolo come vogliamo: adesione delle banche ad un codice di comportamento, sottoscrizione da parte delle banche di un piano di stabilizzazione che contenga alcuni paletti e vincoli; il problema non è il nome -; il miglioramento dei coefficienti patrimoniali garantito attraverso l'intervento dello Stato in qualsiasi forma, deve permettere alle banche a loro volta di abbassare, in primo luogo, i tassi variabili a cui sono agganciati i pagamenti di mutui per l'acquisto della prima casa. Vi sono molte decine di migliaia di famiglie che fanno fatica a pagare i mutui per la prima casa ai tassi variabili collegati all'Euribor, che, nonostante tutti gli interventi, non si è adeguato, in questi mesi, al tasso di rendimento interbancario garantito dalla BCE. Dal momento che le banche italiane potranno rifinanziare a un tasso più basso, dobbiamo garantire che il percorso di tendenziale avvicinamento del tasso variabile dei mutui al tasso di rifinanziamento della BCE sia abbastanza veloce.
In secondo luogo, le banche si devono impegnare a non escutere le proprietà delle famiglie in difficoltà sulle prime case gravate da ipoteche. Non possiamo aiutare le banche e contemporaneamente vedere famiglie in difficoltà sfrattate dalle banche stesse. Le banche dovranno aderire a degli schemi, insieme ovviamente agli enti pubblici, che permettano alla famiglie che sono insolventi di continuare ad abitare in qualità di coinquilini o di comproprietari le unità abitative che non possono più pagarsi.
In terzo luogo, gli aiuti dello Stato devono essere trasferiti alle piccole e medie imprese, impegnando gli istituti bancari, in qualsiasi modo aiutati, a trasferire a vantaggio delle piccole e medie imprese la loro capacità di credito, mantenendo inalterato il trend storico dei flussi di credito erogati a questo importante comparto del sistema produttivo italiano.Pag. 69
Infine, riteniamo anche che tra le procedure di condizionalità, da discutere e da contrattare con le banche in cambio dell'aiuto pubblico, occorra inserire una modifica dei sistemi retributivi del management bancario e che si escluda almeno per un anno - questo è il sistema delle condizioni che il Governo della Gran Bretagna ha utilizzato nei confronti degli istituti bancari soccorsi - la corresponsione dei premi e dei bonus al top management, che si riveda poi il complessivo schema di incentivazione dei manager, ancorandolo non più a obiettivi di breve termine, ma a parametri di lungo periodo.
Occorre, infine, rispondere, nella discussione in Aula, a tutti i pareri emanati dalle diverse Commissioni parlamentari che si sono espresse sul provvedimento; mi riferisco, quindi, a pareri votati anche dalla maggioranza. Vi è un lungo elenco di pareri espressi dalle Commissioni in sede consultiva che suggeriscono una serie di miglioramenti. Noi, come Partito Democratico, nei nostri emendamenti facciamo nostre tutte queste proposte che sono state condivise dalla maggioranza in sede di I Commissione, di X Commissione, e anche di Comitato per la legislazione.
Se la maggioranza e il Governo riterranno che non è questo il decreto che può fare da veicolo a questi miglioramenti, vogliamo però dire che quest'Aula deve compiere un lavoro per lo meno di sollecitazione nei confronti del Governo affinché nel prossimo decreto, sia esso il decreto sullo sviluppo, sia esso il secondo decreto sulle banche, tutti questi miglioramenti proposti dalle Commissioni parlamentari, con il parere favorevole dell'intero Parlamento (maggioranza e minoranza), possano essere inseriti.
La crisi in cui siamo - non la crisi che arriverà - sarà lunga, e io credo che non dobbiamo illuderci, la classe dirigente del Paese non può illudersi. Siamo entrati in una crisi lunga, difficile, potenzialmente molto complicata, anche alla luce del fatto che è una crisi inedita, dal punto di vista dei suoi riferimenti internazionali. Il mio gruppo, il Partito Democratico, è profondamente convinto che nel riaggiustamento dell'equilibrio economico mondiale - che poco fa ho cercato di tratteggiare - un ruolo molto importante lo avranno le nuove politiche che potranno essere messe in campo dalla nuova amministrazione statunitense. Dobbiamo riconoscere che l'elettorato americano, nel dare un mandato politico così forte ad una nuova amministrazione, ha anche lanciato il segnale della speranza e lanciato il segnale di una scelta di modifiche dell'impianto politico su cui si è retto il mondo in questi anni.
Riteniamo però che l'Unione europea, e l'Europa nel suo complesso, non possa lasciare da sola la nuova amministrazione statunitense. L'Unione europea dovrà fare la sua parte anche per aiutare la nuova amministrazione statunitense in un processo di riaggiustamento che in quel Paese rischia di essere molto lungo e doloroso. Quindi riteniamo che da questo punto di visto l'Italia all'interno dell'Unione europea debba giocare un ruolo importante nel proporre nuove politiche, nel reflazionare la domanda interna europea, nel contribuire allo svolgimento del suo ruolo di grande area economica monetaria e politica, per aiutare Stati Uniti, da un lato, e Paesi asiatici, dall'altro, in un processo di stabilizzazione economica che rischia di essere lungo e doloroso.
Prima o poi anche i nostri partner ci chiederanno: l'Italia che cosa fa? L'Italia è un Paese esportatore - non ce lo dimentichiamo - e se la Cina avvia un programma di 500 miliardi di euro e gli Stati Uniti di 700, e se la Germania aiuta le sue imprese e la Francia fa lo stesso, le imprese esportatrici italiane ne beneficeranno, quindi prima o poi anche i nostri partner ci chiederanno: voi cosa fate? Qual è il vostro contributo? Noi riteniamo che il nostro contributo debba essere una manovra molto urgente a sostegno del potere di acquisto delle famiglie, degli ammortizzatori sociali, e del credito alle piccole e medie imprese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Pag. 70

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ceccuzzi. Ne ha facoltà.

FRANCO CECCUZZI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, questo provvedimento è stato incardinato in Commissione finanze il 16 ottobre, e dunque vi è rimasto per più di un mese. Si tratta di un periodo lungo, ben speso per l'attività di audizione che ci ha consentito un confronto con gli operatori e le autorità di vigilanza, pur con l'assenza vistosa della Banca d'Italia e delle forze sociali, ma che poi purtroppo è culminato in un atterraggio assolutamente inadeguato (lo hanno detto molto bene prima di me gli onorevoli Fluvi e Causi) nell'ultima settimana, quando la maggioranza e il Governo hanno precluso all'opposizione di migliorare questo provvedimento con l'introduzione di misure concrete a favore delle famiglie e delle imprese.
Quindi, questo mese è apparso più come una sorta di autostruzionismo, in attesa di eventi e tempi migliori, piuttosto che un tempo utilizzato per il confronto parlamentare. Il Partito Democratico - lo ha detto molto bene l'onorevole Fluvi - si era posto, fin dall'inizio, con un atteggiamento di responsabilità assolutamente adeguato alla crisi economica e finanziaria che stiamo vivendo, perché abbiamo espresso senza esitazioni un giudizio positivo sulle finalità dei provvedimenti. Ci siamo riservati tuttavia, come è giusto e naturale, di giungere ad una valutazione definitiva quando il Governo avesse chiarito se e come intervenire a sostegno del sistema bancario, e a quali condizioni porre le banche che ricevono l'aiuto dello Stato per andare incontro alle difficoltà con il credito che devono affrontare le famiglie e le imprese.
La netta e - ritengo - anche miope chiusura in Commissione finanze da parte del Governo e della maggioranza, alla quale si aggiungono le dichiarazioni del Presidente del Consiglio e del Ministro dell'economia, rilasciate a Washington al termine del G20, che confermano l'intenzione di emanare altri due decreti-legge, rendono questo provvedimento una sorta di legge delega, o una dichiarazione di intenti, o una norma manifesto priva di effetti, alle quali del resto in questa legislatura ci avete molto spesso abituato. Dal momento che in esso non sono presenti le scelte vere a sostegno della nostra economia e del sistema creditizio, possiamo dire che, perlomeno fino ad oggi, tali scelte non ci sono e non ci sono state.
È in questa direzione che abbiamo presentato diversi emendamenti, con l'obiettivo di promuovere interventi a sostegno dei redditi familiari e per garantire, soprattutto in questa difficilissima e critica fase economica, la stabilità del sistema creditizio e la continuità dell'erogazione del credito ai consumatori e alle imprese.
Si parla ora di un intervento da 80 miliardi per affrontare la recessione che arriva in Italia e, come sempre più spesso accade in questa legislatura, il Parlamento è costretto a leggere sui giornali le ipotesi di misure che sono al vaglio nei Ministeri, senza peraltro indicare come saranno reperite le risorse. Si tratta di decisioni delicatissime, che vengono sottratte ancora una volta al confronto parlamentare e a quel rapporto di responsabilità nazionale che sarebbe necessario si instaurasse tra Governo, maggioranza e opposizione, in un momento così delicato per la vita del Paese e per le condizioni di vita degli italiani.
L'onorevole Messina si chiedeva se ci sono dati. Ascoltavo, qualche giorno fa, durante la discussione della legge finanziaria, l'onorevole Gatti, e vorrei riportare i dati che lei stessa aveva riferito all'Assemblea. I dati di settembre relativi alla produzione industriale sono i seguenti: 2,1 in meno su base mensile; 5,7 in meno su base annua, con i settori di pelle e calzature a meno 19,3; legno e prodotti del legno a meno 13,2; mezzi di trasporto a meno 12,8; apparecchiature elettriche a meno 9,7.
Nei mesi di agosto e settembre la cassa integrazione è aumentata del 53 per cento tra tutti i lavoratori, e tra gli impiegati del 113 per cento, senza dimenticare che c'è una schiera invisibile di difficile rilevazione,Pag. 71in quanto per loro non esistono tabelle INPS, di lavoratori con contratti atipici che perdono il lavoro in quanto non si rinnovano i contratti a termine o perché si sospendono i contratti di collaborazione.
Se il Governo si rendesse conto della profondità della crisi e delle ulteriori sofferenze alle quali va incontro l'Italia, che è l'anello debole dell'economia avanzata, il Presidente del Consiglio si affretterebbe senza esitazione a convocare il leader dell'opposizione per valutare insieme quali misure debbano essere adottate contro la crisi. Invece siamo alla riproposizione di una sorta di catena di sant'Antonio dei decreti-legge, ciascuno dei quali affronta parzialmente problemi senza risolverli, e intanto brucia risorse in assenza di un quadro di insieme e di una vera agenda delle priorità.
Siamo passati, come ha ricordato l'onorevole Causi, dal decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, riguardante l'ICI, che ha bruciato 2,5 miliardi, al decreto 25 giugno 2008, n. 112, che ha infiammato il Paese con l'imponente movimento popolare di protesta a causa dei 10 miliardi di tagli all'istruzione pubblica, per arrivare alla legge finanziaria che, più che snella, si è presentata al Parlamento assolutamente vuota. La conferma dell'inadeguatezza della legge finanziaria viene proprio dalle dichiarazioni del Governo, che parla di provvedimenti da assumere contro la crisi dopo appena 72 ore dall'approvazione della legge finanziaria e del bilancio di previsione dello Stato. La cifra di 80 miliardi di cui si parla adesso sarebbe - e sarà, se verrà attuata - la manovra di bilancio più imponente fuori dalla legge di bilancio e dopo la legge di bilancio. Non si chiami in causa il G20 perché, a mio avviso, proprio non c'entra niente: che è così sarà dimostrato dal tempo, in quanto ciascun Paese si muoverà in ordine sparso, così come è uscito dal G20.
Non c'era bisogno di aspettare, perché questi provvedimenti sono urgenti, e non c'era bisogno di aggirare e raggirare il Parlamento. Anche questo decreto-legge si presenta con un titolo roboante e suadente come il decreto-legge n. 93 che ambì, senza alcun risultato concreto, a salvaguardare il potere d'acquisto delle famiglie. Con il decreto-legge 9 ottobre 2008, n. 155, si parla di continuità nell'erogazione del credito alle imprese e ai consumatori - così il titolo, che non è stata attribuito dall'opposizione - ma in questi cinque articoli non è contenuto assolutamente niente di tutto questo.
Ora mi si consenta di esporre qualche considerazione di carattere generale. Molto spesso l'eccessiva enfasi delle analisi politiche ed economiche fa affermare a ciascuno di noi, almeno una volta ogni anno, che stiamo vivendo un mutamento epocale. Di questa crisi si dice che sia la più grave da 70 anni a questa parte.
Certo è un fatto che, alla fine di ottobre, le borse dei Paesi che fanno parte del G8 avevano perduto 15 mila 630 miliardi di dollari dall'inizio dell'anno, circa il 30 per cento del PIL del mondo. Se a queste cifre si aggiungessero le perdite di tutte le altre borse, il conto finale sarebbe di poco inferiore alla metà del prodotto interno lordo mondiale.
Un altro fatto credo inopinabile è stato l'elezione di Barack Obama alla Presidenza degli Stati Uniti. Un fatto che spesso si tende a sottovalutare, però, è che il Senato e la Camera dei rappresentanti hanno ora una maggioranza molto larga, espressione del Partito democratico, come non accadeva dal 1976, cioè 32 anni fa. Tutti ricordano, infatti, come la Presidenza di Bill Clinton ebbe un carattere minoritario nel Congresso e viene considerata da molti come una parentesi di progressismo moderato dentro tre decenni di dominio delle destre teo-con e neo-con, che vanno da Ronald Reagan a George W. Bush, tra il 1980 ed i giorni nostri.
Quali sono i collegamenti tra questi due eventi, a ragione definiti storici? Ve ne sono senz'altro di molteplici, e qui ne vorrei evidenziare almeno uno: pochi ricordano - e anche lei, relatore, onorevole Conte, lo ha omesso - che il consigliere economico del candidato repubblicano Jhon Mc Cain nella campagna presidenziale è stato il senatore Phill Gramm. LeiPag. 72non ci ha ricordato però che in caso di successo repubblicano il senatore Phill Gramm sarebbe stato il possibile prossimo segretario al Tesoro e da questo ci hanno salvato, come ha detto molto bene l'onorevole Causi, gli elettori americani. All'epoca della Presidenza di Bill Clinton il senatore Gramm presiedeva la Commissione banche, dove si impegnò molto a favore del sistema finanziario USA, affinché venisse regolato il meno possibile. Del resto, negli anni le banche lo hanno ringraziato abbondantemente, perché si può leggere che abbia ricevuto contributi elettorali per 4,6 milioni di dollari. Come sappiamo, Gramm è uno degli autori del Gramm-Leach-Billey Act, la più radicale riforma bancaria dagli anni Trenta, che sostituisce il Glass-Steagal Act, che venne introdotto nel 1933, dopo la crisi del 1929. Dobbiamo però ulteriormente ricordare che nel 2002 lo stesso senatore Gramm fece inserire nella legge finanziaria un emendamento di 262 pagine, il Commodity Futures Modernization Act, che deregolamenta i derivati ed in particolare i credit default swap. Grazie a Gramm, infatti, questi prodotti cosiddetti derivati non hanno avuto più controllo.
Ma qui bisogna anche aggiungere che sempre nel 2002 il Presidente degli Stati Uniti fa un annuncio: diventare proprietari della casa, dice Bush, è un modo di realizzare il sogno americano, voglio estendere il sogno a tutti; la gente spesso vorrebbe comprare, ma non ha soldi; per questo c'è rimedio: faremo sì che venga semplificata la documentazione richiesta. Tutti sanno come è andata a finire per le famiglie americane, che non hanno potuto pagare il mutuo, e anche per FannieMae e FreddieMac, che il 7 settembre sono state nazionalizzate.
Per concludere, vi sono almeno tre considerazioni da avanzare: la prima è che la teoria fino a ieri dominante, il liberismo, è in crisi, perché non ha impedito - purtroppo: non c'è da gioire di questo - una distruzione senza precedenti di ricchezza. Il mercato ha fallito non per shock esterni, ma per defaillance interne. Non è vero, quindi, che il mercato tende per sua natura all'equilibrio, perlomeno non sempre. L'inno al mercato senza regole, fuori tempo, che è stato intonato a Washington e al G20 da George Bush e da Silvio Berlusconi, più che da un inguaribile ottimismo della ragione sembra essere ispirato da un sussulto nostalgico, che vuole nascondere l'evidenza dei fatti e le macerie che ancora purtroppo sono sul campo. Di fatto il summit di Washington a mio parere non ha partorito alcunché, segna soltanto la morte di quel G8 che ci apprestiamo a celebrare in pompa magna l'anno prossimo - chissà che non convenga rinviarne l'ospitalità - e l'accelerazione della nascita di un nuovo mondo senza Bush e con Barack Obama. I mercati non sono stati regolati e, purtroppo, le lobby hanno ancora avuto la meglio.
Più che un improvviso ritorno del ruolo dello Stato, è necessario ricercare un nuovo equilibrio fra Stato e mercato, mettendo al riparo questa discussione entro una linea non valicabile e chiara. Occorre rispettare il principio che equipara il mercato alla democrazia, perché entrambi sono metodi imperfetti, ma sono di gran lunga i migliori disponibili che abbiamo conosciuto. Se è dunque vero che non esiste alternativa all'economia di mercato, è altrettanto vero che lo stesso non è infallibile, soprattutto se lasciato a se stesso. Tornano dunque di attualità le teorie keynesiane, per le quali occorre ricercare in modo incessante un equilibrio tra le forze del mercato, che se lasciate libere non garantiscono l'interesse generale, e le politiche pubbliche.
La seconda considerazione che vorrei fare è che non ci si lasci convincere dalle spiegazioni facili: una di queste vedrebbe nella finanza un'attività autoreferenziale, dominata dall'attività dei suoi protagonisti: la finanza come peste del XXI secolo. È vero che Carlo Marx inveiva contro il denaro che produce denaro senza la mediazione del processo produttivo, ma ve n'è anche uno, di Marx, che scrive che la finanza è uno strumento di socializzazione del capitale.
Viviamo in una fase storica di crisi sia della vocazione imprenditoriale, purtroppo,Pag. 73sia della disponibilità di capitali per i processi industriali. Pertanto occorre cercare le risorse per gli investimenti produttivi anche nella finanza regolata, in quella buona, come insegna il successo dei diversi progetti di venture capital e di capitali di rischio che sono stati lanciati in questi anni. È stato un segmento di business (non tutto il business ma quello senza regole, quello dei derivati, sul quale tutti si sono gettati, attratti da un arricchimento facile) a causare il diffondersi di questa peste sui mercati. Le colpe non possono appartenere alla parte regolata dei mercati finanziari che, paradossalmente, ne ha fatto le spese.
Vorrei, in questa sede, spendere una parola proprio a favore del risparmio gestito. Si tratta di un'industria importante del nostro Paese, che si rivolge soprattutto alle famiglie, il principale bacino di utenza al quale i fondi comuni degli ultimi 20 anni si rivolgono. Sono più di due anni che si svuotano le casse dei gestori: dal gennaio 2007 ad oggi il patrimonio complessivo del sistema ha perso circa il 30 per cento, passando da 613 a 436 miliardi e, nello stesso periodo, le masse gestite dai prodotti azionari si sono ridimensionate di oltre il 52 per cento. Sono molti gli interventi che sono stati suggeriti dal tavolo tecnico istituito presso la Banca d'Italia, al quale hanno partecipato Abi, Assogestioni e la Consob e che, come è noto, ha terminato i suoi lavori a luglio, con un report. Si tratta di interventi di natura regolamentare, normativa ed anche fiscale, dal momento che proprio il trattamento fiscale sul maturato e non sul realizzato svantaggia i fondi italiani rispetto ai competitori esteri. Il Governo non ha dato alcun segnale di interessamento e, ad oggi, non ha accolto alcuna sollecitazione. A luglio abbiamo approvato qui, in quest'Aula, un ordine del giorno che chiedeva sia la velocizzazione dell'approvazione di un regolamento relativo agli intermediari finanziari, sia la valutazione, al più presto, delle linee di lavoro emerse del tavolo tecnico.
La terza considerazione conclusiva si basa sull'assunto che la crisi originata dai mutui non è soltanto finanziaria: è una crisi economica e sociale non solo per l'ampiezza delle conseguenze, ma anche per le sue cause. Arriva al capolinea un modello di crescita basato su un eccesso di indebitamento pubblico e privato, con il quale una parte del mondo ha vissuto al di sopra delle sue possibilità. Sappiamo che all'origine delle insolvenze e dei pignoramenti nelle case degli Stati Uniti ci sono le disuguaglianze dei redditi. Questo è un tema molto importante anche per l'Italia. Da trent'anni l'andamento dei redditi da lavoro delle classi medie americane è sostanzialmente piatto in termini reali. Nello stesso tempo, la produttività negli Stati Uniti è aumentata, in media, di quasi il 2 per cento all'anno. In sostanza, il reddito di un lavoratore diplomato, che nel 1979 era di circa 30 mila dollari, oggi sarebbe dovuto arrivare a quasi 55 mila, invece è sceso a 25 mila dollari. Pertanto, la degenerazione della finanza e la polarizzazione della distribuzione del reddito sono due facce della stessa medaglia.
Qualcuno, avido di denaro, ha offerto denaro senza scrupoli ma qualcun altro, però, ha domandato o è stato indotto a domandare. I subprime sono stati operazioni finanziarie senz'altro irresponsabili, però hanno consentito a milioni di famiglie americane di comprare la casa di abitazione. Se ci fosse stata ancora la distribuzione del reddito caratteristica degli anni Sessanta, le stesse famiglie avrebbero potuto permettersi mutui prime. In Italia, all'inizio degli anni Settanta, si poteva comprare un'abitazione con l'equivalente di 30 stipendi, oggi ne occorrono 100 per acquistarne una di 70 metri a 2 mila euro al metro, prezzo impossibile in una grande città, con uno stipendio di 1.500 euro. Qual è la risposta che vogliono dare questo Governo e questa maggioranza? Il nostro sospetto è che una delle possibili ricette del Governo per dare competitività al sistema produttivo sia quella di sostituire alla svalutazione della lira la svalutazione del lavoro, proponendo modelli contrattuali inaccettabili sul piano politico e sociale. Su questo, dovrebbe riflettere seriamente anche la Confindustria, senzaPag. 74partecipare all'attività scellerata di divisione del sindacato e di esclusione delle categorie delle piccole imprese, che mina quella indispensabile coesione sociale che è uno dei fattori irrinunciabili per uscire dalla crisi.
Che senso avrebbe approvare una riforma dei contratti senza il più grande sindacato? È un manifesto propagandistico, un atto politico che non troverebbe applicazione. Un patto per la produttività e per il contenimento dell'inflazione è possibile, come fu nel 1993, se, come allora, prevale un senso di responsabilità e se c'è, come allora, una politica dei redditi. Il tema della ridistribuzione è centrale in questa fase, dal momento che sono entrate in crisi le leve che hanno funzionato per tutto il secondo dopoguerra almeno fino a Maastricht. Oggi le politiche pubbliche e le politiche fiscali sono ingabbiate dal deficit e da parametri europei da rispettare e i margini della manovra di bilancio sono sempre più stretti.
Per questi motivi, alla base della nostra proposta c'è il sostegno ai redditi, al potere d'acquisto e così alla domanda interna ed alla crescita. La crisi economica, infatti, smentisce quella teoria secondo la quale l'aumento delle disuguaglianze nella distribuzione del reddito abbia un impatto positivo sul tasso di crescita e sia, quindi, quanto meno, un male necessario. I ceti più abbienti annotano una maggiore propensione al risparmio; una maggiore concentrazione del reddito comporta un più elevato tasso di risparmio e, dunque, di investimenti.
In realtà l'andamento reale delle cose ci dice che in questo momento c'è sì un'alta concentrazione di risparmio, ma perché manca la fiducia, proprio perché, come dice la teoria keynesiana, le decisioni di investimento degli imprenditori dipendono dalle previsioni circa l'andamento della domanda, dalle aspettative, come diceva l'onorevole Causi, che in questo momento, per l'appunto, hanno bisogno di essere stimolate. È altrettanto evidente che l'aumento della diseguaglianze ha effetti negativi sullo sviluppo in quanto acuisce i conflitti sociali, limita per gran parte della popolazione il consumo di molti beni e soprattutto la diffusione della cultura e la possibilità di accedere al credito.
Come si vede, quindi, c'è ancora molto da fare per adottare provvedimenti che vadano nella direzione evocata, ma non certamente disposta, dal titolo di questo decreto-legge, che riguarda la stabilità del sistema creditizio e, soprattutto, la continuità dell'erogazione del credito alle imprese ed ai consumatori nell'attuale crisi internazionale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione del testo integrale del mio intervento in calce al resoconto della seduta odierna.

PRESIDENTE. La Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Occhiuto. Ne ha facoltà.

ROBERTO OCCHIUTO. Signor Presidente, ho ascoltato il relatore - che è anche il presidente della Commissione che si è occupata di questo provvedimento - sostenere, all'inizio di questa discussione, che l'intervento proposto nel provvedimento è un intervento minimale per garantire i depositi e per intervenire in caso di fallimento delle banche.
Egli ha utilizzato, per questo decreto-legge, una definizione più volte usata in Commissione, prendendola in prestito proprio dalla signora Merkel, quando ha detto che si tratta di una cassetta degli attrezzi da tenere in magazzino nell'ipotesi che serva. Questo a fronte di un interesse, giustamente straordinario, che c'è nel Paese, ma anche nella comunità internazionale, attorno a questa materia in questi ultimi mesi.
Ebbene, la discussione di oggi su questo provvedimento poteva essere l'occasione per affrontare, anche in quest'Aula, il tema della necessità di ripensare il funzionamento di un sistema capitalistico che si è costruito sulla finanza senza controlli, come un gigante con i piedi d'argilla. La discussione di oggi avrebbe potuto rappresentarePag. 75l'occasione per ribadire la validità di un capitalismo basato sull'economia sociale di mercato piuttosto che su un'alleanza tra finanza creativa e debiti. Avrebbe potuto essere l'occasione per ribadire la necessità di costruire il benessere nazionale attraverso l'apporto solidale tra Paesi che insieme stabiliscono regole e criteri per l'equilibrio dei mercati consolidando, attraverso questa discussione, anche in quest'Aula e nel Paese, una vocazione europeista che troppe volte è stata messa in discussione nel passato da chi, oggi, in verità, non ha più il coraggio di farlo.
Devo, però, dare atto al relatore - che è anche il presidente della Commissione - che in avvio di discussione in Commissione si era partiti in maniera diversa. C'erano state numerose ed importanti audizioni, come quella di Emma Marcegaglia, dei sindacati, delle assicurazioni e delle loro associazioni, ed i gruppi politici avevano iniziato una discussione che sfociava anche in proposte emendative. Queste ultime andavano nella direzione di recuperare l'interesse che giustamente esiste nel Paese attorno alla questione della stabilizzazione dei mercati finanziari, ma soprattutto attorno alla necessità di intervenire, in questo settore, per evitare che ci siano poi dei riverberi - che già esistono - nell'economia reale, soprattutto per quanto attiene alla stretta creditizia nei confronti delle imprese e delle famiglie.
Anche noi dell'Unione di Centro avevamo proposto degli emendamenti in questa direzione, perché eravamo convinti, come i soggetti che venivano in audizione e che ci rappresentavano il loro modo di vedere la situazione e ci suggerivano come intervenire affinché non ci fossero riflessi sull'economia reale, che questa fosse l'occasione per presentare delle proposte emendative. Nel testo non c'è scritto che si tratta di un decreto-legge utile a intervenire solo in caso di fallimento, e proprio uno dei nostri emendamenti all'articolo 1 andava nella direzione di definire meglio l'inadeguatezza patrimoniale che dà corso all'intervento da parte dello Stato. Avevamo chiesto che vi fosse una definizione dell'inadeguatezza patrimoniale che dà luogo all'intervento dello Stato definendo, per esempio, quale debba essere il Core Tier 1 delle banche perché lo Stato possa intervenire. Avevamo presentato delle proposte emendative necessarie a mettere dei paletti anche all'intervento dello Stato nelle banche, perché non deve esserci un assegno in bianco: l'ingresso nel capitale o a garanzia nelle banche deve essere vincolato ad una convenzione con cui le banche si impegnano ad utilizzare le risorse per prestare denaro alle imprese e alle famiglie.
Vorrei ricordare l'ultimo allarme che proviene proprio dagli artigiani che, in un loro studio, hanno evidenziato come stiano aumentando le revoche nelle richieste di affidamento, come crollino le disponibilità delle banche nelle richieste di nuovi affidamenti e come ci sia un andamento negativo che al 15 ottobre è stato del 29 per cento nell'elargizione di credito alle imprese.
Vorrei ricordare anche che il 65 per cento delle banche consultate a livello europeo ha dichiarato di avere irrigidito gli standard creditizi nei confronti delle imprese tra luglio e settembre e che il 37 per cento ha dichiarato di aver ristretto anche i requisiti per la concessione dei prestiti alle famiglie. Ciò avviene mentre l'ISTAT indica che il 13 per cento delle famiglie italiane è al di sotto della soglia della povertà (definita in 970 euro al mese per famiglie che non abbiano figli) e mentre altri Paesi intervengono in questa direzione. Non è vero che nessuno è intervenuto: Sarkozy ha preferito imporre un obbligo di crescita degli impieghi verso imprese e famiglie del 4 per cento per le banche che abbiano ricevuto capitali pubblici, e ha imposto un controllo mensile perché chi non rispetterà gli impegni rischia la nazionalizzazione.
Nel nostro Paese, invece, gli unici interventi a sostegno del sistema delle imprese attraverso, per esempio, i confidi, attualmente sono quelli posti in essere dalle regioni (dal Veneto, dal Piemonte, dal Lazio, dalla Valle d'Aosta, dalla Liguria, dalla Lombardia, dal Friuli-Venezia Giulia)Pag. 76e la maggioranza e il Governo ci dicono, invece, di voler rinviare la discussione su questi interventi, che secondo noi sono indifferibili, ad un altro provvedimento.
Per questo ci hanno chiesto di licenziare in Commissione il provvedimento senza emendamenti, ed ora mi rendo conto che esso, nonostante le roboanti dichiarazioni che hanno accompagnato la sua approvazione quando il Governo lo deliberò, non ha sortito grandi effetti. Infatti, le banche non lo hanno gradito e forse è stato utile soltanto a tranquillizzare i mercati nel momento in cui è stato licenziato.
Questa volta ci saremmo aspettati - questa volta sì - dal Governo lo stesso decisionismo che ha ostentato in altre occasioni, quando per apparire decisionista ha licenziato una manovra triennale in nove minuti e quando è sembrato prevedere anche ciò che poi la realtà ha dimostrato non aver previsto in alcun modo.
Noi ritenevamo che questa fosse l'occasione per discutere della crisi finanziaria, ma anche dei provvedimenti da porre in essere per limitare gli effetti della stessa sull'economia reale, in un momento in cui il PIL del Paese decresce dello 0,5 per cento nel terzo trimestre e le stime relative a quello del 2009 dicono che ci sarà una diminuzione dell'1 per cento, in una situazione in cui, a causa della diminuzione del PIL negli ultimi due trimestri, siamo in una fase ineludibilmente di recessione, con la produzione che decresce del 5,7 per cento, con un Paese che arranca e che aspetta interventi urgenti da parte del Governo. Ebbene, ci saremmo aspettati che tali interventi fossero contenuti in questo provvedimento.
Il relatore ci invitava a un esercizio di responsabilità, dicendo che è il momento della responsabilità. Noi dell'Unione di Centro, per la verità, questo esercizio lo stiamo compiendo dal primo giorno dell'attuale legislatura: abbiamo detto di voler fare un'opposizione repubblicana, non gioiamo dei fallimenti del Governo, se determinano il fallimento del Paese. Ma l'esercizio della responsabilità deve appartenere anche a chi ha l'obbligo e l'onere, oltre che l'onore, di governare; non bastano gli annunci perché hanno le gambe corte se non sono sostenuti da politiche di sistema.
Vogliamo ricordare, solo per un istante, la comunicazione posta in essere da questo Governo sulla Robin Hood tax che avrebbe dovuto togliere soldi alle banche per darli ai poveri; ebbene, oggi, questo Governo, che cerca di sembrare sempre preveggente è costretto a dare i soldi alle banche, invece che toglierli!
Non bastano gli annunci delle ultime ore: 80 miliardi di euro per sostenere l'economia reale; vorremmo capire se questi 80 miliardi - 40, come si legge dai giornali, provenienti dall'Unione europea - siano davvero risorse aggiuntive o non siano, piuttosto, risorse già nella disponibilità delle regioni attraverso i programmi operativi regionali. Vogliamo capire se i 16 miliardi che il CIPE dovrà allocare siano risorse aggiuntive o non rappresentino ancora quei fondi per le aree sottoutilizzate che hanno impegnato la discussione dell'Aula in più di un'occasione.
Ecco, siamo convinti che in una fase del genere occorra evitare contrapposizioni pretestuose e che la crisi finanziaria si riverberi sull'economia reale non solo a causa del credit crunch, ma anche del sentimento di sfiducia che sta pervadendo le imprese e i consumatori. Non vogliamo alimentare la sfiducia, non vogliamo sommare alla sfiducia che già c'è, altra sfiducia, però vorremmo che anche il Governo non lo facesse, vorremmo che anche il Governo e la maggioranza trovassero il coraggio di parlare chiaro, di non illudere gli italiani e le imprese e, anche sul sistema dei controlli, vorremmo che fossero conseguenti con ciò che si dice.
Qualche giorno fa, attraverso l'onorevole Tabacci, abbiamo proposto di costituire un comitato parlamentare di controllo e di inchiesta sulle partecipazioni delle banche, perché riteniamo che, così come si rappresenta la necessità di potenziare il sistema di controllo e di vigilanza sul sistema finanziario a livello internazionale, sia obbligatorio per il Governo chePag. 77ciò avvenga anche a livello nazionale. Siamo preoccupati di un Governo che voglia interloquire da solo con il sistema delle banche, che poi costituisce club insieme alle grandi imprese e ai giornali.
Noi vorremmo che il Governo chiamasse l'opposizione a partecipare sia a questa discussione, sia alla formazione di strumenti utili a realizzare il controllo a livello nazionale. Per questo motivo, abbiamo proposto la costituzione del comitato interparlamentare.
Speriamo che la maggioranza e il Governo recuperino quella responsabilità che, in verità, non abbiamo rintracciato nella politica troppo spesso degli annunci ai quali la maggioranza e il Governo ci hanno abituati. Noi lo speriamo e questa volta vorremmo davvero che il Governo dimostrasse quel decisionismo che il Paese si attende e, in sede di esame degli emendamenti, possa riempire questo provvedimento dei contenuti che le imprese e i consumatori aspettano dal Parlamento e dalle istituzioni.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Strizzolo. Ne ha facoltà.

IVANO STRIZZOLO. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, egregi colleghi, in questi giorni e in queste settimane, a fronte della crisi che sta attraversando i mercati internazionali, molti hanno parlato di un nuovo 1929. Credo, invece, che si possa tranquillamente affermare che la storia non si ripete mai nelle stesse dimensioni e con le stesse caratteristiche.
La crisi che stiamo vivendo oggi è figlia di una quasi totale deregulation della gestione della finanza che, come la spinta al liberismo sfrenato, ha costruito un vero ed enorme castello di carta, che ha determinato la crisi e il disastro non solo finanziario, ma anche economico e, purtroppo, è e sarà anche sociale, almeno per un certo periodo. Ciò è davanti agli occhi di tutti.
Tra l'altro, sono deprecabili questi interventi di presunti esperti che spuntano qua e là e che, a disastro avvenuto, cercano di spiegare il motivo del disastro. Se qualcuno di questi novelli scienziati dell'economia e della finanza avesse parlato prima, credo che sarebbe stato sicuramente più apprezzabile.
Oggi bisogna prendere atto che, di fronte a questa crisi, come hanno già detto alcuni colleghi, vanno rivisti alcuni meccanismi e sicuramente va rivisto il dato della spinta eccessivamente liberista nei mercati finanziari internazionali. Bisogna puntare ad un'economia sociale di mercato che veda sempre e comunque al centro l'uomo con le sue caratteristiche, le sue ansie, i suoi bisogni e le sue necessità.
Stiamo anche attenti a non percorrere la strada di qualche rigurgito di neostatalismo, in quanto si vede in qualche posizione di qualcuno che cerca di riaccreditarsi e che fino a qualche settimana fa inneggiava a modelli eccessivamente liberisti, mentre oggi invoca l'intervento dello Stato. Alcuni di questi interventi si trovano anche dalle parti di Confindustria.
Credo che questa sia una fase storico-politica che suggerisce, richiede e stimola un rafforzamento delle istituzioni europee. Alcuni colleghi intervenuti lo hanno già detto: più Europa. Lo diciamo come Partito Democratico, in quanto riteniamo che far fronte a questa crisi sarà possibile in termini utili e costruttivi non limitandosi a qualche affermazione di principio, ma mettendo in piedi veramente degli strumenti regolatori e delle authority a livello europeo che siano in grado di vigilare di più e meglio di quanto è avvenuto fino ad oggi.
Siamo tutti preoccupati della recessione in atto nel nostro Paese. Già prima dell'esplosione della dimensione della crisi, vi erano segnali preoccupanti, che avevamo già denunciato in occasione della discussione sul decreto-legge n. 112 del 2008. Ricordo che allora, differentemente da quanto si cerca di dimostrare o di accreditarsi in queste settimane, neppure il Ministro Tremonti aveva previsto quanto è accaduto. Ho letto anche il suo intervento all'assemblea annuale dell'ABI: in esso non vi era un riferimento chiaro ed esplicito al disastro imminente che stavaPag. 78davanti a noi. Per questo motivo, cerchiamo di non confondere le idee, affermando che la situazione era stata prevista e che è stata approvata una legge finanziaria al fine di stabilizzare. Anzi, credo che la legge finanziaria che quest'Aula ha licenziato la settimana scorsa sia stata un'occasione persa in termini di tempi di intervento per fare fronte alla crisi che abbiamo davanti. Come abbiamo detto anche in Commissione, infatti, ogni giorno che passa è un giorno senza un intervento del Governo per restituire potere d'acquisto alle famiglie e per aiutare le piccole e medie imprese: è un giorno perso, che sarà sempre più difficile recuperare.
Per questo motivo, siamo amareggiati - diciamolo pure - per il fatto che, nonostante un approccio che, in merito al provvedimento in esame (salva-banche più che salva-risparmiatori), abbiamo adottato in Commissione con spirito assolutamente costruttivo e a fronte di un atteggiamento responsabile (avendo presentato alcune proposte), abbiamo ricevuto sostanzialmente una risposta negativa. Anzi, il presidente della Commissione, con la sua magnanimità, di fronte ad ogni nostra proposta emendativa, sosteneva che il contenuto era positivo e interessante, ma che in quella fase non era possibile accoglierla. Credo che dovessero essere accolti almeno alcuni aspetti che avevamo portato all'attenzione della Commissione, ma non abbiamo l'ossessione di avere il merito: prendetevelo pure. Noi abbiamo la preoccupazione che, più si ritarda ad intervenire, peggio sarà, soprattutto per le categorie sociali più esposte, quelle che non trovano lavoro, i cinquantenni espulsi dal mercato del lavoro, i lavoratori precari, soprattutto di genere femminile: tutte queste categorie di persone e categorie sociali pagheranno ancora di più il ritardo nelle decisioni.
Come ha ricordato anche il collega Ceccuzzi poco fa, è stato lo stesso Governo, quando è venuto per la prima volta in Commissione ad illustrare i due provvedimenti, a dire che vi era bisogno di un po' di tempo per irrobustirli. Abbiamo accolto questa sollecitazione e questa richiesta e abbiamo tenuto le audizioni: alla conclusione del percorso, pensavamo che, in uno spirito assolutamente costruttivo che guarda all'interesse generale del Paese, vi fosse stata questa disponibilità (ripeto: non per attribuire meriti anche alle opposizioni, ma soprattutto per concorrere in maniera costruttiva a definire interventi immediati).
A tale riguardo, i colleghi hanno già parlato: durante queste audizioni abbiamo sentito l'Organismo italiano di contabilità (in proposito, bisogna svolgere il ragionamento sugli asset, sulla definizione del fair value e sulla necessità di attivare comunque meccanismi correttivi, ma coordinati a livello europeo, per potere intervenire sui diversi aspetti che interessano questa crisi finanziaria). Abbiamo anche sentito le riflessioni e le considerazioni della Consob e dell'ABI.
A proposito dell'ABI, credo che varrebbe la pena, proprio per uscire anche da una condizione che è solo presuntiva, di affrontare la situazione, come è stato fatto per la rinegoziazione dei mutui: alla fine si è rivelato semplicemente un accordo che può consentire l'allungamento dei tempi di ammortamento dei mutui e che, peraltro, è stato attivato in una percentuale bassissima, a dimostrazione che le critiche che avevamo rivolto sulla insufficienza di quel tipo di intervento, purtroppo, erano fondate. Intendo dire che, attraverso un nuovo accordo, potrebbero essere previsti degli impegni che forse, dal punto di vista dello strumento normativo, oggi non è neppure facile individuare e descrivere in maniera puntuale e precisa.
Infatti, signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, le banche tentano di fare in modo che non ci sia l'intervento pubblico. Questo decreto-legge, infatti, prevede di intervenire solo come extrema ratio, in presenza di una situazione di insolvenza o addirittura del fallimento della banca. Ma qual è il rischio, visto che le banche sicuramente faranno ogni cosa, speriamo anche positiva, per evitare di arrivare ad una situazione di questo tipo? Potrebbero, come staPag. 79già accadendo, ridurre gradualmente le linee di credito. È questo che dobbiamo assolutamente impedire che accada.
Per questo motivo - lo hanno ripetuto i colleghi, il nostro capogruppo in Commissione, Fluvi, Causi e Ceccuzzi - abbiamo espresso un giudizio positivo, quando il Governo, ormai più di un mese fa, è intervenuto con questi decreti-legge. Tuttavia, abbiamo detto che sono necessari, ma insufficienti.
Infatti, se nelle more dell'assunzione di altri interventi, si dovesse ridurre la disponibilità di liquidità e di credito, soprattutto alle piccole e medie imprese, e se fra un mese o due o non so quando, ci dovesse essere la necessità di un intervento dello Stato verso qualche istituto di credito, potrebbe essere troppo tardi. Magari, allora, riusciremo a salvare questo o quell'istituto di credito, ma intanto l'incidenza negativa della riduzione del credito alle piccole e medie imprese sarebbe cosa consumata, come i riflessi negativi dal punto di vista economico e sociale. Lo dobbiamo assolutamente evitare, attraverso un intervento che non può più essere procrastinato.
Si è parlato giustamente di interventi attraverso un prestito obbligazionario, un rafforzamento del ruolo dei confidi, con le adeguate garanzie. Tuttavia, stiamo attenti agli ipotizzati interventi a sostegno delle banche: non pensiamo solo ai grandi istituti. È stato detto anche da qualche altro collega che ci sono una miriade di piccoli istituti. Mi riferisco, in particolare, al sistema delle banche di credito cooperativo e alle banche popolari. Stiamo anche attenti nell'impostazione degli interventi, che dovranno essere definiti anche con il decreto che il Governo ha preannunciato per i prossimi giorni, a non intervenire creando delle situazioni di disparità fra istituti di credito.
Credo che valga la pena richiamare anche un altro punto, che oggi è completamente dimenticato. Lo richiamo non per amore di polemica politica, ma per ricordare che probabilmente l'unica grande scelta strategica compiuta in questo Paese negli ultimi dieci o dodici anni è stata quella dell'ingresso nell'euro.
Ricordiamo che allora, quando il Governo Prodi assunse un'iniziativa molto forte dal punto di vista economico e finanziario per consentire al nostro Paese di entrare nel primo gruppo di Paesi che hanno dato vita all'euro, alcune forze politiche hanno fatto manifestazioni e assunto posizioni di contrasto duro a quella scelta. Meno male che oggi siamo nell'euro e che il nostro Paese può sedere attorno ai tavoli internazionali, per discutere della crisi finanziaria! Credo che non saremmo a quei tavoli, che vedono pavoneggiarsi più di qualche esponente di questo Governo, se non ci fosse stata la scelta dell'euro.
Con riferimento alle prospettive e al fatto che in questo nostro Paese sarà necessario non impostare una sorta di nuovo gioco di prestigio, come il famoso discorso, ormai richiamato su tutti i giornali, degli 80 miliardi di euro, chiediamo che quegli 80 miliardi, se devono essere, siano veri, e non il frutto di uno spostamento di fondi da un capitolo all'altro, oppure, ancora una volta, di qualche meccanismo fittizio, perché il Paese richiede interventi rapidi, soprattutto per salvaguardare quel tenue filo, che ancora c'è, di coesione sociale, nonostante i problemi e la drammaticità della disoccupazione in diverse aree del Paese.
Guai, infatti, se venisse a spezzarsi questo tenue filo della coesione sociale: si metterebbe a rischio e a repentaglio, a mio modo di vedere, anche la tenuta complessiva del sistema democratico nel nostro Paese. Per cui, il Governo intervenga senza indugi; se interverrà come abbiamo suggerito in Commissione e anche negli interventi di questa sera, sicuramente non mancherà il nostro sostegno. Con una precauzione: il Governo non usi, se dovrà malauguratamente farlo, l'intervento su qualche istituto di credito per aumentare il già cospicuo potere mediatico che ha. Mi spiego: sappiamo bene che, con questa crisi, quando se ne uscirà, probabilmente gli equilibri tra i poteri veri di questo Paese e la detenzione dei pacchetti azionariPag. 80che condizionano i mezzi di comunicazione potrebbero generare questa tentazione.
Invito il Governo ad impegnarsi, a lavorare e a sforzarsi per far fronte a questa crisi, lasciando da parte questa tentazione, perché, in questo momento, abbiamo bisogno - e credo che questa disponibilità, che abbiamo dimostrato, la confermeremo - di coesione; proprio in questi giorni, il Governatore della Banca d'Italia Draghi ha dichiarato che il peggio deve ancora venire. Siccome il peggio, se deve ancora venire, inciderà soprattutto sulle categorie sociali più deboli ed esposte, dobbiamo fare in modo, anche attraverso momenti di confronto, pur aspro, ma che portino, possibilmente, ad una condivisione, di intervenire su una situazione di grande emergenza, che può portare ad una messa in discussione della coesione sociale.
Credo che questa nostra disponibilità ci sia. L'importante è che, seriamente, senza annunci spot e senza propaganda, anche da parte del Governo, ci si incammini su una strada che porti ad interventi seri, coerenti e soprattutto tempestivi a favore delle famiglie e delle piccole e medie imprese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Comaroli. Ne ha facoltà.

SILVANA ANDREINA COMAROLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il decreto-legge n. 155 del 2008 nasce, insieme con il decreto-legge n. 157, in una precisa fase congiunturale. Viene approvato all'inizio di ottobre, quando esplode agli occhi dell'opinione pubblica mondiale la crisi del sistema bancario e finanziario originatasi negli Stati Uniti e subito diffusasi in tutto il mondo.
La crisi arriva anche in Italia, in una fase di stagnazione, contribuendo a deprimere non solo il sistema finanziario, ma tutto il sistema economico e industriale. Le imprese e le famiglie hanno necessità, per la loro sopravvivenza, che le banche non chiudano i rubinetti del credito, più che mai ora che siamo in una fase in cui il costo dell'energia è aumentato e il sistema produttivo ha bisogno di liquidità per continuare ad esistere.
Le imprese e le famiglie devono continuare ad avere fiducia, in quanto la fiducia è componente fondamentale del sistema economico. L'imperativo è di impedire che la crisi e la distruzione di ricchezza finanziaria si traducano in crisi e distruzione di ricchezza reale.
Era quindi fondamentale intervenire tempestivamente, per dare innanzi tutto un segnale al sistema del credito e per ricostituire le condizioni per adottare misure straordinarie a sostegno del sistema bancario e per la tutela del risparmio. È importante sottolineare che gli interventi previsti sono a richiesta, cioè non sono invasivi e limitanti dell'autonomia delle banche stesse: sono infatti gli istituti che in maniera autonoma e sulla base della propria struttura patrimoniale deliberano l'aumento di capitale. Le esigenze poste alla base del provvedimento trovano saldo fondamento tanto sul piano nazionale, alla luce dell'articolo 47 della Costituzione, quanto nel quadro comunitario, in considerazione delle conclusioni del Consiglio dei Ministri dell'economia e delle finanze dell'Unione europea, favorevoli all'adozione di ogni misura necessaria per rinforzare il sistema bancario e proteggere i risparmi in risposta alle turbolenze finanziarie.
Col provvedimento in esame si autorizza il Ministero dell'economia e delle finanze a sostenere finanziariamente la ricapitalizzazione delle banche, al solo scopo di salvaguardare la stabilità del sistema e di superare la situazione di difficoltà della banca, nelle forme della sottoscrizione o della garanzia di aumenti di capitale. È importante sottolineare che l'intervento del Ministero è possibile solo nel caso in cui si verifichino contemporaneamente due fattori, verificati dalla Banca d'Italia: una situazione di inadeguatezza patrimoniale non risolvibile attraverso il ricorso al mercato, e la predisposizione di un programma di stabilizzazione e rafforzamento della durata minima di tre anni.Pag. 81
A tutela della partecipazione pubblica nel capitale delle banche sono derogate le disposizioni in materia di esercizio del diritto di voto nel caso di banche cooperative, e viene meno l'obbligo di promuovere un'OPA nel caso di superamento della soglia del 30 per cento del capitale. È stato introdotto un emendamento durante la trattazione in Commissione che ingloba i contenuti del decreto-legge n. 157 del 2008 nel decreto-legge n. 155 dello stesso anno, in cui si autorizza il Ministero dell'economia e delle finanze ad effettuare una serie di operazioni, ovvero: concedere la garanzia dello Stato sulla passività delle banche italiane, effettuare operazioni temporanee di scambi tra titoli di Stato e strumenti finanziari detenuti delle banche italiane, concedere la garanzia dello Stato a condizioni di mercato a favore dei soggetti che mettono a disposizione di banche italiane titoli stanziati per operazioni di rifinanziamento presso l'Eurosistema. La copertura statale anche in questo caso è concessa sulla base di una valutazione tecnica della Banca d'Italia, che verifica che l'operazione si risolva in un approvvigionamento di liquidità, in un contesto di adeguatezza patrimoniale e di capacità di far fronte alle obbligazioni assunte da parte dell'istituto beneficiario. Viene inoltre ampliata la possibilità di ricorso alle procedure di amministrazione straordinaria e di gestione provvisoria delle banche, in particolare per le situazioni di grave crisi anche di liquidità avente rilevanza sistemica, e che quindi possa pregiudicare la stabilità complessiva del sistema finanziario.
Viene poi autorizzata la partecipazione del Ministero anche al capitale delle banche sottoposte ad amministrazione straordinaria dietro deliberazione dei commissari straordinari, con la sottrazione agli organi societari dei poteri decisionali, previa autorizzazione sempre della Banca d'Italia. Vengono poi incentivate e semplificate le modalità per la prestazione di finanziamenti da parte della Banca d'Italia alle banche per far fronte appunto alle esigenze di liquidità. Nel caso di finanziamenti garantiti da pegni o cessioni di credito, si deroga ai requisiti di opponibilità della garanzia nei confronti del debitore e dei terzi, e la garanzia prestata è sottratta a revocatoria fallimentare. Viene autorizzato il Ministero dell'economia e delle finanze a rilasciare una garanzia statale a favore dei depositanti delle banche italiane per un periodo di tre anni dall'entrata in vigore del decreto. Tale garanzia è integrativa ai sistemi di garanzia di natura privatistica, alimentati con i fondi delle banche stesse.
La normativa comunitaria prevede una soglia minima di garanzia pari a 20 mila euro; in Italia la garanzia è di oltre 103 mila euro. Il Consiglio Ecofin del 7 ottobre scorso ha raccomandato alla Commissione europea di rivedere tale soglia minima, e la Commissione ha stabilito di portarla dapprima a 50 mila euro e nell'arco di un anno a 100 mila euro. In aggiunta, ha stabilito che verrà soppressa la coassicurazione per la quale il depositante sopporta una parte della perdita, e verranno ridotti i termini di rimborso da tre mesi a tre giorni.
La Commissione finanze, inoltre, ha anche introdotto un emendamento che mira a razionalizzare il finanziamento e l'utilizzo dei cosiddetti conti dormienti. Vengono posticipati i termini, da marzo a maggio di ogni anno, per la comunicazione al Ministero e il versamento degli assegni circolari non riscossi, degli importi dovuti ai beneficiari delle polizze vita non riscossi, e degli importi dei buoni fruttiferi postali non reclamati.
Viene poi disposta l'emanazione dei regolamenti per le procedure e il funzionamento del Fondo per le vittime delle frodi finanziarie, tra cui le vittime dei bond argentini e per stabilire le quote del medesimo Fondo destinate alla carta acquisti introdotta con il decreto-legge n. 112 del 2008. Il Fondo speciale per i meno abbienti, introdotto sempre con il medesimo decreto-legge n. 112, viene alimentato con i 480 milioni di euro derivanti dal recupero degli aiuti di Stato, di cui alla decisione della Commissione europea del 16 luglio 2008. Vengono poi disciplinate le modalità di liquidazionePag. 82degli strumenti finanziari dormienti che alimentano il Fondo per le vittime delle frodi e la carta acquisti.
Il merito di tale provvedimento è che ha svolto la funzione essenziale di rasserenare il clima dei mercati finanziari in una fase molto pericolosa. Tali misure, che hanno del resto raccolto l'unanime consenso di tutte le forze politiche, hanno infatti consentito di fugare ogni timore circa le garanzie in favore dei risparmiatori titolari di depositi bancari, di escludere la possibilità di fallimenti bancari e di migliorare la disponibilità di liquidità sul mercato interbancario. In seguito la situazione dei mercati finanziari si è evoluta a livello mondiale anche alla luce degli interventi di nazionalizzazione di alcune banche estere; tali interventi hanno oggettivamente posto in una condizione di maggiore solidità intermediari bancari che prima versavano in una condizione di grave squilibrio, laddove invece le banche italiane non si sono mai trovate in tale situazione di debolezza.
Riteniamo utile stabilire i tempi di durata della partecipazione pubblica nel settore creditizio, definendo inoltre precise modalità di rendicontazione così da rendere assolutamente chiaro che il Governo non ha alcuna intenzione di ripetere l'esperienza delle partecipazioni pubbliche avviate negli anni Venti del secolo scorso, ma intende esclusivamente supportare le banche nel loro ruolo di sostegno dell'economia. Auspichiamo, quindi, che i prossimi interventi legislativi emanati a breve dal Governo siano orientati in questo senso; inoltre dovranno essere preventivamente concordati a livello internazionale, al fine di consentire una riscrittura complessiva delle regole della finanza che garantisca la tutela del risparmio ed il sostegno allo sviluppo, evitando che gli effetti dall'attuale crisi ricadano sulle imprese e sui lavoratori.
Ulteriori obiettivi da perseguire in questo quadro sono quelli di evitare per il futuro il collocamento sul mercato dei prodotti finanziari cosiddetti «tossici», nonché di ridurre l'enorme sproporzione che spesso si verifica tra remunerazione degli amministratori ed effettivo rendimento delle imprese da essi guidate. Dobbiamo in qualche modo intervenire sul sistema delle cartolarizzazioni, dove chi eroga il prestito poi se ne disfa e non è quindi responsabile dell'esito di quel prestito. È necessario anche intervenire sul sistema delle società finanziarie che, al di fuori di ogni controllo, prestano denaro alle famiglie, spesso oltre i limiti di usura e al di là dell'affidamento del sistema bancario che è controllato e vigilato.
Occorre non dimenticare che la crisi finanziaria sta determinando notevoli ripercussioni sull'economia reale, le quali certamente necessitano di essere affrontate con misure che il Governo deve realizzare attraverso interventi che vadano incontro sia alle imprese, sia alle famiglie, come ad esempio: prevedere per le imprese il versamento dell'IVA per cassa, fattore questo che aiuta la liquidità delle imprese stesse; accelerare i pagamenti della pubblica amministrazione (gli stessi comuni, Stato e regioni dilatano all'infinito i pagamenti nei confronti delle imprese, contribuendo a mandare ulteriormente in crisi queste realtà); occorre considerare la deducibilità dell'IRAP, la revisione o sospensione degli studi di settore che spesso limitano le imprese e non sono espressione della realtà in cui versano; mettere in atto sistemi che proteggano le nostre aziende e le nostre produzioni rispetto alla concorrenza sleale che arriva da altri Paesi; il decollo della social card, infatti vediamo tutti le difficoltà che le famiglie (soprattutto gli anziani) incontrano per arrivare a fine mese.
Inoltre, il Governo vigili sul sistema creditizio, affinché si continuino a sostenere le imprese le famiglie, senza operare inopportune strette sui finanziamenti valutando l'esigenza di introdurre meccanismi che escludano la riduzione della disponibilità di credito alle imprese e alle famiglie da parte delle banche.
Infine, noi della Lega Nord Padania auspichiamo un rapido approdo della legge delega sul federalismo fiscale per avviare finalmente la riforma delle riforme quale sistema per rilanciare effettivamentePag. 83l'economia reale (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania e di deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Savino. Ne ha facoltà.

ELVIRA SAVINO. Signor Presidente, qualche anno fa si era sparsa l'illusione, forse felice, che un ordine mondiale stesse nascendo da solo e che la democrazia e l'economia potessero naturalmente darci un mondo di benessere e sviluppo. Abbiamo imparato a nostre spese che purtroppo non è così.
Non è la prima volta che squilibri macroeconomici accompagnano fasi di espansione finanziaria e tanto più è elevato il livello delle transazioni tanto più è accelerato il suo possibile default. Forse mai più di ora la legge di Gresham, secondo la quale la cattiva moneta scaccia quella buona, è stata tanto pertinente. Ciò che più colpisce in questo caso sono i tempi rapidissimi di questa crisi che ha acquistato velocità via via divenendo sistemica. Siamo partiti dall'esplosione della bolla immobiliare statunitense, poi vi è stata la caduta in picchiata delle quotazioni dei prodotti strutturati che a quella bolla erano collegati, fino alla decisione delle principali banche centrali del mondo che con una mossa senza precedenti rispetto alle istituzioni monetarie internazionali lo scorso 8 ottobre hanno simultaneamente ridotto in modo concordato i tassi di riferimento.
Quindi, dopo un secolo e mezzo, abbiamo assistito al fallimento del gigante americano Lehman Brothers e con esso di tutto il sistema e il modello delle banche di investimento. A di questo poi si sono succeduti interventi fino a quel momento impensabili come gli accorpamenti che, per esempio, hanno riguardato Merrill Lynch e la trasformazione di Morgan Stanley oppure il salvataggio come GSF e Fannie Mae, fino ad arrivare al varo definitivo del piano Paulson, che conosciamo tutti e che è costato 700 miliardi dollari. Per il resto abbiamo la cronaca di questi giorni.
A questo proposito, come ha osservato il Governatore Mario Draghi nella sua audizione presso la Commissione finanze del Senato e come poi il nostro sottosegretario Casero ha ribadito durante i lavori in sede di Commissione finanze, le banche italiane si sono dimostrate finora in grado in linea di massima di reggere l'urto di questa crisi meglio degli altri paesi avanzati, potendo contare su un modello di attività fondamentalmente sano, su forti recuperi di efficienza conseguiti negli anni passati e su un quadro normativo in linea di massima prudente disegnato dal Parlamento nelle sue linee di fondo. Gli stessi effetti della crisi Lehman sui nostri asset sono stati abbastanza limitati, quasi esclusivamente indiretti, se consideriamo che l'esposizione delle nostre banche per cassa e, quindi, crediti e titoli in «derivati» al 30 settembre 2008 era soltanto dello 0,7 per cento del patrimonio di vigilanza.
Ciò però non toglie che dall'inizio del 2008 le banche italiane hanno cominciato a ridurre drasticamente - questo è il problema al quale assistiamo - l'accesso al credito. Hanno ritirato i fidi oppure non li hanno rilasciati (elemento quest'ultimo che come sappiamo per il cosiddetto meccanismo di trasmissione ha provocato un serio rischi di shock per le imprese e le famiglie, il cosiddetto credit crunch).
Non è il caso ovviamente di fare la storia delle origini di questa crisi planetaria, le ragioni sono date per acquisite. Meno certe sono forse le conseguenze e la durata di questa crisi, senza contare che rispetto a queste problematiche vi è un'enorme varietà di interpretazioni dalle posizioni neokeynesiane, di cui abbiamo sentito e anche quelle del premio nobel Krugman a quelle del Ministro dell'economia Tremonti, che nel suo noto saggio La paura e la speranza aveva individuato i segnali di questa profonda crisi che purtroppo, come spesso accade in periodi tranquilli, non sono stati ascoltati.
Comunque la si pensi, credo che tutti possano trovarsi d'accordo sul fatto che per velocità, conseguenze ed estensione dirette sulla fase di recessione mondiale,Pag. 84questa crisi rappresenterà sicuramente uno spartiacque, cioè vi è un prima e ci sarà un dopo e ciò che è dopo non sarà più come prima.
Come accade, infatti, in concomitanza di eventi politici o militari di portata storica, l'attuale terremoto finanziario rappresenta sicuramente una fase di discontinuità e di rottura rispetto alle stesse categorie del capitalismo e, come ha rilevato il Ministro Tremonti, durante la giornata nazionale del risparmio, il capitalismo non sarà più lo stesso (è significativo che tale affermazione sia avvenuta proprio nella giornata del risparmio che nel nostro Paese riveste un'importanza fondamentale, in quanto tutelato come valore costituzionale).
I decreti-legge n. 155 e n. 157 si inseriscono proprio in questa cornice. La natura di questi decreti è stata inizialmente percepita, nella sua essenza, anche dai gruppi di opposizione, che in prima istanza avevano accolto positivamente questi provvedimenti; di questo il Popolo della Libertà dà loro atto. Sento, tuttavia, di dover respingere con forza le critiche successive, secondo le quali la decretazione d'urgenza in questa materia si sarebbe limitata a salvaguardare in prima istanza solo le banche, sottovalutando gli interessi dei cittadini. Rispetto a questa obiezione, credo vada fatta piena chiarezza. A mio avviso il Governo non sta affatto sottovalutando la situazione economica del Paese, ma considera necessario innanzitutto non stravolgere la natura del decreto-legge n.155, nella sua specificità e nei suoi contenuti, introducendo delle tematiche che, in molti casi, sono assolutamente fondate, come è stato poi rilevato durante la discussione in Commissione dove non vi sono state obiezioni, ma che non attengono direttamente alla materia che affronta il decreto-legge. Anche le argomentazioni critiche sulla non ammissibilità di molti emendamenti dell'opposizione, risultano a mio avviso spesso pretestuose se consideriamo che in alcuni casi gli emendamenti sono stati ammessi e anche approvati, e che anche il sottosegretario, e il presidente Conte, hanno dato ampia disponibilità ad accogliere la ratio di molte di queste proposte emendative purché trasposte in ordini del giorno nell'ambito del nuovo decreto-legge, di cui abbiamo ampiamente parlato, che è di prossima approvazione.
Con riferimento a quanto ci viene contestato, ovvero le misure a sostegno di famiglie e imprese, faccio notare che non una vita fa, ma appena lo scorso 11 novembre, il Ministro Tremonti in quest'Aula ha annunciato che il Consiglio dei ministri avrebbe approvato un pacchetto di misure di respiro immediato che avrebbero accompagnato le iniziative contenute nei decreti-legge n.155 e n.157, proprio per fronteggiare le ricadute di questa crisi sull'economia reale e per sostenere lo sviluppo. Ciò lo avrebbe fatto - l'ha anche chiarito, non comprendo quindi la polemica - alla luce delle iniziative assunte a livello europeo con l'Eurogruppo e in seguito alla riunione del G20 dello scorso fine settimana. Queste misure, infatti, sono state puntualmente illustrate dal Ministro Tremonti e dal Presidente Berlusconi a seguito della riunione. Come si è detto - lo ricordo brevemente -, si tratterà di un decreto che prevedrà un piano anticrisi per l'Italia compatibile con la situazione economica del Paese che partirà il 21 novembre con la riunione del CIPE. Saranno previsti, in tutto, 80 miliardi di euro destinati a scopi diversi, per stimolare la crescita e la domanda, e con una parte consistente, circa 14 miliardi di euro, dedicati a sostenere, e quindi a risollevare, le famiglie e le imprese; mi sembra che questi siano fatti e non ipotesi.
Ecco perché trovo che con il decreto-legge n.155 ci troviamo dinanzi ad un provvedimento che è esattamente l'opposto di quanto ci viene contestato dall'opposizione: non è assolutamente uno spot, né una misura a favore delle banche, né tanto meno dei banchieri; è uno strumento fondamentale, proprio nella sua specificità, per presidiare i risparmi nelle ipotesi in cui proprio le banche non siano in grado di farlo. Non sosteniamo, quindi, le banche, ma anzi le obblighiamo a integrare in pieno il principio costituzionale della tutelaPag. 85del risparmio come bene pubblico. La garanzia sui depositi ha avuto l'effetto fondamentale di erigere un argine contro un possibile panico da parte dei risparmiatori che, come è noto, avevano timore che i loro risparmi andassero persi.
A quanti oggi, invece, ci rimproverano una presunta insufficienza del decreto-legge n.155 replico che, senza di esso, ovvero senza prima ristabilire una sorta di fiducia generale del sistema, non poteva essere immaginato un intervento ulteriore rispetto all'economia reale.
Il Governo ha scelto, a mio avviso efficacemente, la strategia dei due tempi, cioè prima garantire la stabilità dell'assetto delle banche, la continuità dell'afflusso di liquidità a imprese e cittadini, e anche in accordo con le istituzioni internazionali; poi, si è occupato dell'altra faccia della crisi, ossia dell'emergenza economica reale del Paese.
Inoltre esiste, a mio avviso, un terzo piano di impegno sul quale agirà il Governo, mi riferisco appunto al ruolo che avrà nel consesso europeo internazionale per migliorare le regole dei flussi finanziari. A questo proposito, a coloro che ci hanno in passato contestato una scarsa sensibilità europeista faccio presente che nella attuale crisi mi sembra molto evidente che il Governo Berlusconi si è dimostrato il più europeista di tutti, non fosse altro perché nel momento iniziale della crisi ha proposto di istituire un fondo comune europeo per le banche, ed a questo si sono sottratti diversi Governi, ad esempio quello tedesco della Merkel e di altri Paesi che hanno assunto decisioni in libertà senza considerare il contesto globale.
Questa crisi dunque ci insegna altro. Ci insegna che dovrà essere rafforzata la normativa prudenziale per gli istituti di credito, irrobustendo i presidi patrimoniali e la gestione dei rischi, allargando il perimetro delle attività e delle istituzioni sottoposte a controllo e sorveglianza: in altre parole più capitale, meno debito, più regole e più trasparenza. È maturo, a mio avviso, quel ripensamento profondo delle dinamiche della finanza globale, indicate appunto dal Ministro Tremonti nel saggio che ho citato prima, nella consapevolezza che i valori spesso creano valori e che dall'etica può trarre vantaggio spesso anche il business. Concorrenza e regole si pongono quindi come il doppio binario da seguire per realizzare un'etica possibile dei flussi finanziari internazionali ove l'integrazione dei mercati non andrà assolutamente esclusa - non si può paventare un'ipotesi di questo tipo - ma anzi andrà preservata, poiché l'integrazione dei mercati è un fattore fondamentale di sviluppo. Però, è necessario che sia adeguata all'esigenza di tutti affinché l'arena finanziaria internazionale non diventi terra di nessuno, come è avvenuto finora. Non si tratta - lo voglio sottolineare con fermezza - di manifestare ottimismo ad ogni costo, ma di infondere fiducia e di evitare il panico. Questo è l'atteggiamento adulto che a mio avviso ha responsabilmente assunto il Governo Berlusconi per il bene del Paese di fronte alla crisi più grave che si sia mai verificata dal secondo dopoguerra. Ciò riporta la questione al clima politico necessario per affrontare il decreto-legge oggi in esame, così come il prossimo provvedimento a sostegno dell'economia di cui ho parlato e che è in fase di predisposizione. Sarebbe bello se i gruppi dell'opposizione abbandonassero posizioni demagogiche, nelle quali spesso indulgono, e dessero un contributo di concretezza e pragmatismo. Oggi più che mai questi comportamenti sono necessari per superare insieme questo momento e - ricorro a una citazione - per vincere la paura e tornare alla speranza (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 1762-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, presidente della Commissione finanze, onorevole Conte.

Pag. 86

GIANFRANCO CONTE, Relatore. Signor Presidente, come avrà potuto notare il dibattito è stato decisamente molto interessante, ed è la prosecuzione del dibattito che abbiamo svolto in Commissione. Sono state fatte ampie citazioni: Beck, Stiglitz, Marx (qualcuno ha citato anche Morris ed altri). Non voglio aggiungere altro e replicare, in considerazione del fatto che la collega Elvira Savino ha affrontato molti dei temi che sono stati sviluppati dagli oratori in quest'Aula. Credo che sia invece opportuno ascoltare il Governo anche a seguito del dibattito. Lei avrà potuto notare, Presidente, che il dibattito si è incentrato più su quello che non c'è nel decreto che sul contenuto del decreto, ma credo che a questo potrà dare ampie spiegazioni il Governo che è qui rappresentato dall'onorevole Casero.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

LUIGI CASERO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, devo dire che a fronte di un dibattito così ampio, e di livello, sembra giusto per il Governo fare alcune considerazioni. È stato diverse volte chiamato in causa e mi sembra giusto dare delle risposte, innanzitutto sui temi contenuti nel decreto.
Ritengo che, in questa sede, sia giusto affrontare complessivamente il tema della crisi finanziaria ma sia altrettanto giusto intervenire anche e soprattutto sui motivi e sul contenuto dei due decreti-legge di cui stiamo discutendo e dei quali chiediamo la conversione in legge.
I due decreti-legge nascono da una situazione che si è generata il 29-30 settembre scorso in Italia, quando a fronte dell'esplosione della crisi finanziaria stava subentrando nel Paese un forte sentimento di panico, in particolare tra i clienti delle banche, per coloro che avevano depositi presso le banche italiane. Vi era il serio pericolo che tale situazione di panico degenerasse in una corsa al ritiro dei risparmi. Vi erano state tutta una serie di considerazioni e di interventi di salvaguardia verbali, in cui si era dichiarata la solidità del sistema bancario italiano nei confronti dei risparmiatori. Tali interventi non avevano avuto un grande riscontro e il rischio della corsa al ritiro dei risparmi dei depositi bancari era presente e in quei giorni già avveniva anche qualche episodio concreto.
A fronte di tale situazione, sono stati presentati i due decreti-legge, il primo e poi l'altro una settimana dopo, che fondamentalmente contenevano tre elementi di fondo che tentavano e sono riusciti a risolvere la situazione di panico presente nel Paese. Anzitutto, era prevista una salvaguardia dei depositi sino ad una cifra garantita dall'assicurazione interbancaria, dichiarando che nel caso in cui questa non fosse intervenuta vi sarebbe stato l'intervento dello Stato. Inoltre, si disciplinava la necessità di sostegno del mercato interbancario: infatti ricordiamoci che in quel momento il panico non era diffuso solo tra i clienti delle banche ma anche tra i banchieri e tra le banche stesse. Il prestito interbancario era sostanzialmente finito: le banche non si prestavano denaro tra loro.
Inoltre un'ultima norma di salvaguardia del sistema bancario nel suo complesso stabilisce che lo Stato entri nel capitale delle banche a fronte di un peggioramento dei ratios patrimoniali. Ho detto in Commissione e lo ripeto in questa sede. È stato affermato dall'onorevole Messina che abbiamo inventato una nuova formula giuridica, lo stato di pre-insolvenza. Tuttavia, a fronte di situazioni concrete si inventano anche nuove situazioni giuridiche: lo stato di pre-insolvenza significava che il peggioramento dei ratios arrivava ad una situazione di pre-insolvenza che non è ancora lo stato di insolvenza che degenera automaticamente nel fallimento ma una situazione che può portare allo stato di insolvenza e, quindi, al fallimento della banca. In tale situazione per salvaguardare non i banchieri ma i depositi e la possibilità di fornire il credito, il decreto-legge prevede un intervento dello Stato nel capitale della banca stessa. Tale è l'obiettivo del primo e del secondo decreto-legge che sono stati uniti in un unico provvedimento. VorremmoPag. 87che in questa sede si potesse inizialmente discutere di questi obiettivi.
Devo dire che non si tratta di uno spot come è stato detto, perché è una fortuna che in questa fase tali decreti-legge non abbiano avuto un'attuazione concreta. Sono state citate le parole utilizzate dal Cancelliere Merkel e in seguito riprese dal ministro Tremonti: questi decreti-legge rappresentano una cassetta degli attrezzi a disposizione di un Governo per intervenire in una situazione di pericolo. Non è assolutamente uno spot, ma è come lo strumento a disposizione di un'auto: un cric, che può anche non essere utilizzato però è utile che ci sia perché nel caso in cui l'auto dovesse bucare una gomma, lo si può utilizzare. Tale è l'obiettivo di questi decreti-legge.
La situazione in seguito si è molto evoluta. Come avete giustamente detto ed è stato affrontato in questa sede sotto tutte le sfaccettature, la situazione si è evoluta e chiaramente si è trasferita dall'economia finanziaria all'economia reale. Anche a noi non piace utilizzare questo termine come se vi fossero due economie diverse, quella finanziaria e bancaria e quella reale, che è l'economia manifatturiera.
Tuttavia, sono due strumenti a disposizione dell'economia che spesso, negli ultimi anni, hanno avuto un andamento un po' divergente: uno si è molto sviluppato, è stato molto considerato dalla cultura economica emergente, l'altro è stato considerato un po' meno. Ricordo i numerosi dibattiti svolti dalla metà degli anni Novanta al 2005, in cui si parlava di crisi dell'impresa manifatturiera, di fine dell'impresa manifatturiera, di un'impresa manifatturiera che doveva sempre più diminuire e diventare sempre più piccola e di un'impresa finanziaria, a supporto, che doveva svilupparsi: quella era la cultura dominante, che adesso mi sembra che venga giustamente criticata, perché ci deve essere un equilibrio fra tutti gli strumenti di sviluppo economico, in cui l'economia reale e la finanza abbiano entrambe la stessa propensione allo sviluppo.
Vorrei fare un'altra considerazione, prima di passare al secondo tema trattato in queste ore. Abbiamo dichiarato - e questo è un altro dei motivi che ci hanno portato a chiedere in Commissione e anche in Aula che molte idee concrete fossero presentate, in modo da essere trasferite nel futuro decreto-legge che stiamo predisponendo - che tutte queste posizioni, comunque, devono essere concordate in sede europea. Mi sembra che anche dal relatore sia stato dichiarato che questa situazione o la si risolve con un'azione comune a livello mondiale e specialmente a livello europeo, oppure da essa si esce in modo difficile, cioè si esce con alcune difficoltà. Il ruolo della Banca centrale europea e delle istituzioni europee è fondamentale e lo Stato italiano è intenzionato, in sede europea, a concordare tutti gli interventi, perché ritiene che in tale sede si possano risolvere i problemi economici dell'Europa, e anche dell'Italia stessa. Ciò non vuol dire un ripensamento - potrei svolgere alcune considerazioni da noi portate avanti negli ultimi mesi sull'Europa - ma vuol dire chiedere che l'Europa svolga un ruolo compiuto - e non solo limitato alle politiche monetarie - sulle politiche complessive economiche di un Paese.
È stato detto cosa è necessario fare. Abbiamo ascoltato con interesse gli interventi e di molti di essi, ripresi anche in una serie di proposte emendative presentate, si terrà conto per la predisposizione del nuovo decreto-legge. Si tratta di un decreto-legge che dovrà intervenire, a questo punto, sulla capitalizzazione delle banche, che non sono in stato di pre-insolvenza ma che però, come è stato giustamente detto, hanno trasferito sui loro clienti una difficoltà economica ad agire sul mercato normale. Queste banche non sono fallite e hanno comunque trasferito, a livello di spread e a livello di restrizione dei fidi, quindi a livello di costo e a livello di quantità di fido a disposizione, alcune difficoltà che hanno, a partire dal peggioramento dei loro rapporti di bilancio. Questo è quello che è avvenuto in Italia e a fronte di questa situazione il Governo èPag. 88intenzionato ad intervenire, anche utilizzando molte proposte che sono state avanzate in questa sede.
In secondo luogo, si rendono necessarie azioni che abbiano un valore più diretto sui consumi e sull'economia reale. Non che le prime non abbiano un valore diretto - tutti comprendete benissimo che se le banche restringono il fido, il rapporto diretto con l'economia reale è fortissimo, ed anzi è negativo -, ma sono necessarie azioni che possano invece cercare di far uscire il Paese da questa pesante crisi dei consumi che vi è stata nell'ultimo mese.
Si tratta di una crisi fondamentalmente legata a due fattori, il primo dei quali è costituito da un peggioramento delle aspettative sul futuro del consumatore medio. Il consumatore medio, vedendo le difficoltà della crisi, ha un'aspettativa negativa sul futuro e tendenzialmente consuma meno; diminuisce la propensione marginale al consumo del singolo consumatore, che consuma meno, e ciò ha un effetto negativo su tutta l'economia.
Come bisogna intervenire su questo? Occorre dare più fiducia nel futuro e fare in modo che il sistema stesso abbia più fiducia, cercando di utilizzare questa sede per risolvere una serie di problemi tipici del nostro Paese. Pensiamo di intervenire con una politica infrastrutturale più forte, che utilizzi (mi riferisco ad alcune considerazioni svolte) risorse che esistono già, che sono state messe a disposizione, e anche risorse nuove. L'importante è che queste risorse vengano utilizzate. Ritengo che questo Paese non debba, in questa fase, dire chi ha messo queste risorse in bilancio e come sono state trovate, ma che abbia la necessità di utilizzare tali risorse per buttarle nel modo più veloce possibile nel sistema, sia allo scopo di dare un'iniezione di fiducia al sistema stesso (e quindi far recuperare il gap infrastrutturale del Paese), sia perché buttare queste risorse nel sistema vuol dire buttare benzina nel sistema stesso, in un momento di crescita zero o sotto zero: si tratta di un tipico intervento macroeconomico che cerca di far ripartire l'economia.
Occorre parimenti realizzare un'azione di riduzione della pressione fiscale: si tratta di un'altra delle grandi debolezze del nostro Paese nei confronti di altri Paesi europei. Tale azione di riduzione della pressione fiscale deve essere mirata, perché deve restituire fiducia complessivamente al sistema grazie alla riduzione della pressione fiscale, ma deve permettere altresì di dare più soldi alle tasche del cittadino e un po' più forza alle imprese manifatturiere. Questa riduzione ha, anche in questo caso, una duplice funzione: dà maggiore risorse al sistema e, nello stesso tempo, una maggiore fiducia sul futuro.
Occorre altresì una maggiore forza dello Stato, il che non vuol dire avere uno Stato che interviene direttamente e in prima persona nel sistema, ma avere uno Stato più forte e più credibile, che riesce a giocare la propria partita sia in sede italiana, risolvendo veramente i problemi del sistema stesso, sia in sede europea. A questo punto mi collego a quanto è stato detto in precedenza: abbiamo chiesto che la soluzione di questa crisi venga realizzata sia a livello interno sia, specialmente, a livello comunitario. Abbiamo chiesto all'Europa di realizzare un forte piano di intervento infrastrutturale, perché essa, delle quattro macro-aree che si sviluppano a livello mondiale, dominanti dal punto di vista economico (America del nord, Europa, Cina e Russia) è quella più debole, che si sviluppa meno. L'Europa ha necessità di intervenire, cercando di risolvere debolezze che sono tipiche anche del nostro Paese. Esse sono forse sono un po' meno accentuate in Europa ma rappresentano, senza dubbio, debolezze nei confronti delle altre aree mondiali. Abbiamo chiesto all'Europa di realizzare una politica economica e industriale e non solo una politica monetaria. Ritengo che su questi temi il Parlamento italiano e le forze politiche italiane debbano potersi unire e condurre un'azione comune. Auspichiamo pertanto un'Europa più forte, che intervenga dal punto di vista infrastrutturale e che realizzi un'azione condivisa.Pag. 89
Allo stesso modo è utile e necessario che in questa sede si ridiscuta di altri temi, relativi al modello di sviluppo. Devo dire che ho apprezzato molto le parole dell'onorevole Strizzolo quando ha parlato di economia sociale di mercato, forse in questa fase è doveroso dire che riteniamo sia necessaria un'economia liberale con regole e che fondamentalmente è stata la carenza di regole che ha generato questa crisi: è necessario il superamento di regole che non sono state certe, ma sono diventate incerte.
Permettetemi di svolgere una breve considerazione su quanto ha detto l'onorevole Messina: penso che il falso in bilancio non c'entri niente con la crisi del settore bancario, per fare una puntualizzazione di verità il falso in bilancio non riguarda le banche e le aziende quotate. È, però, necessario che in questa sede lo Stato italiano, che chiede che vengano imposte delle nuove regole a livello mondiale, si impegni, anche a livello nazionale, a far rispettare le regole esistenti, ed a fare in modo che siano serie, nei confronti del sistema bancario e finanziario.
Quindi, in conclusione, ho apprezzato molto lo spirito di questo dibattito, sia quello di oggi sia quello di questi giorni, e spero che lo spirito che c'è stato in Commissione e l'impegno che lì il Governo ha assunto a trasferire in un provvedimento più ampio, da adottare alla fine del mese, alcune considerazioni ed alcune proposte emendative avanzate dall'opposizione, trovi riscontro anche in Aula. Infatti, chiediamo che in questa situazione di difficoltà ci sia una grande unità del Paese per riuscire a risolvere un problema così complesso (Applausi dei deputati dei gruppi Popolo della Libertà e Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Sospendo brevemente la seduta.

La seduta, sospesa alle 20,50 è ripresa alle 21.

Discussione della mozione Veltroni ed altri n. 1-00057, concernente detrazioni fiscali per i redditi da lavoro dipendente e da pensione e misure di finanza pubblica per la riduzione della pressione fiscale sulle famiglie e a favore delle persone che perdono il lavoro.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Veltroni ed altri n. 1-00057, concernente detrazioni fiscali per i redditi da lavoro dipendente e da pensione e misure di finanza pubblica per la riduzione della pressione fiscale sulle famiglie e a favore delle persone che perdono il lavoro (Vedi l'allegato A - Mozioni).
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato in calce al resoconto stenografico della seduta del 14 novembre (vedi resoconto stenografico).
Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Stracquadanio ed altri n. 1-00062, Casini ed altri n. 1-00063 ed Evangelisti ed altri n. 1-00064 (Vedi l'allegato A - Mozioni) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.
È iscritto a parlare l'onorevole Fluvi, che illustrerà anche la mozione Veltroni ed altri n. 1-00057, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ALBERTO FLUVI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è la seconda volta che siamo costretti ad usare lo strumento della mozione parlamentare per consentire a questa Camera di parlare di salari, di stipendi, di pensioni, di redditi, in poche parole della vita concreta e quotidiana di milioni di famiglie. Dopo la mozione a prima firma dell'onorevole Damiano, presentataPag. 90e discussa nella seconda metà di settembre, oggi, con la mozione a prima firma dell'onorevole Veltroni intendiamo nuovamente porre, con tutta l'autorevolezza che porta con sé la firma del segretario nazionale del Partito Democratico, il tema del potere d'acquisto delle famiglie.
Lo dico anche con un po' di rammarico: questo Parlamento, per discutere delle cose di cui si parla nei luoghi di lavoro, nei luoghi di ritrovo, oppure la sera a cena quando ci riuniamo in famiglia, ha dovuto attendere la presentazione di due mozioni dell'opposizione. Abbiamo presentato queste mozioni perché il Governo, durante la discussione ed approvazione sia della manovra estiva, sia della legge finanziaria per il 2009, non ha ritenuto di accogliere le proposte emendative del Partito Democratico e dell'opposizione volte ad innalzare le detrazioni fiscali a favore dei lavoratori dipendenti e dei pensionati.
Eppure, nel vostro programma elettorale si parla chiaramente (leggo testualmente la seconda missione del vostro programma, che ha un titolo importante, «Sostegno alla famiglia per dare futuro ai giovani») di graduale e progressiva diminuzione della pressione fiscale sotto il 40 per cento, così come si parla di detassazione della tredicesima mensilità. Ma perché allora, sia nel DPEF che nella Nota di aggiornamento, sia nella manovra estiva che nella legge finanziaria per il 2009 che abbiamo appena approvato in quest'Aula, non c'è niente di tutto questo? Inoltre, fino al 2012 la pressione fiscale rimarrà al di sopra del 43 per cento del prodotto interno lordo.
Signor Presidente, quando la presidenza del gruppo del Partito Democratico mi ha chiesto di illustrare questa mozione, di cui è primo firmatario Veltroni, mi sono chiesto quale fosse il modo migliore per rappresentare il disagio e le difficoltà che vivono milioni di famiglie in questo Paese. Mi sono detto che la cosa migliore, insieme alle statistiche dei centri di ricerca nazionali ed internazionali sul tasso di crescita o di decrescita del prodotto interno lordo o su quello dell'inflazione, era rappresentare la realtà, quella realtà che a volte ho la sensazione che sfugga a tanta parte di quest'Aula.
Qual è la realtà? Mi consenta di fare riferimento ad alcuni stipendi reali che in questo Paese vi sono, ad alcuni contratti. Mi riferisco al contratto delle aziende di calzatura (1.060 euro al mese) e al contratto delle aziende tessili (1.040 euro al mese).
Mi riferisco all'industria alimentare: 1.223 euro al mese; oppure a quella chimica: 1.212; al legno: 1.061; al commercio: 1.049. I riferimenti a questi contratti sono quelli relativi all'industria, se consideriamo quelli dell'artigianato dobbiamo considerare circa 100 euro in meno al mese.
Passiamo alle pensioni. Quasi 4 milioni e mezzo di pensionati sono al minimo: 500 euro al mese; la pensione media di un lavoratore dipendente è di 840 euro al mese, quella di un lavoratore autonomo è di 600 euro al mese. La pensione media degli uomini è di circa 950 euro, quella delle donne è di 527 euro al mese.
Un mutuo per la prima casa di 100 mila euro della durata di 15 anni significa una rata mensile di 800 euro; il costo dell'affitto medio in una città medio-piccola, di provincia, è di 600-700 euro al mese; le bollette di acqua, gas ed elettricità ammontano a 1.300-1.400 euro; il costo dell'assicurazione sulla responsabilità civile auto è di 750 euro all'anno, se si è in una classe di merito buona. Qualche settimana fa è iniziato l'anno scolastico: il costo dei libri e dell'attrezzatura scolastica è di 300-400 euro.
Allora, se manteniamo questo approccio, questo angolo di visuale, c'è qualcuno di noi che riesce a stupirsi ancora del calo dei consumi nel nostro Paese? Il calo dei consumi - non lo diciamo solo noi, ma lo dicono da tempo le organizzazioni dei commercianti - non riguarda più solo i consumi dei beni voluttuari, dei beni di lusso, ma sta cominciando a interessare anche i beni di prima necessità. Quando le famiglie sono costrette a tagliare i beni primari, la spesa alimentare, non c'èPag. 91tempo da perdere, signor Presidente, non c'è spazio per la filosofia, bisogna intervenire subito, con urgenza.
Se invece dei dati reali volete le statistiche ufficiali diffuse dai centri di ricerca, un'interessante lettura è fornita dalla ricerca dell'ISTAT sullo stato delle famiglie italiane, per rendersi conto che oltre 14 milioni di lavoratori guadagnano meno di 1.300 euro al mese, che il 14,6 per cento delle famiglie arriva in difficoltà alla fine del mese, che il 28 per cento non è in grado di far fronte a una spesa imprevista e che il 9 per cento è in arretrato con il pagamento delle bollette. Non solo: sempre l'ISTAT ha certificato, pochi giorni fa, che il tasso di inflazione a ottobre è stato del 3,5 per cento, ma sappiamo tutti che il tasso di inflazione del paniere dei beni di alta frequenza di acquisto (alimentari, affitto, carburante) è di almeno il 5 per cento. Nonostante questo, il tasso di inflazione programmato dal Governo fa riferimento all'1,7 per cento per quest'anno, e all'1,5 per l'anno prossimo: 2 punti in meno. Eppure, sapete come me che è il riferimento per il rinnovo dei contratti di lavoro, perché per rinnovarli si fa riferimento al tasso di inflazione programmato, e il 2 per cento in meno su uno stipendio di 1.300 euro netti al mese significa 338 euro. Potrei continuare, ma mi fermo qui.
Il fatto è che da qualunque parte lo si guardi, dobbiamo riconoscere che in questo Paese c'è un problema di reddito, in primo luogo di stipendi e di pensioni, grande come una casa, che sta mettendo in seria difficoltà milioni di famiglie.
Noi siamo disponibili a confrontarci con altre proposte che vengono presentate. Intendiamo, però, indicarne una: a nostro avviso, occorre velocemente ridurre le imposte sui redditi da lavoro e da pensione attraverso un innalzamento delle detrazioni fiscali. È necessario mettere in campo un incentivo finanziario automatico, che raggiunga una vasta platea di cittadini per un importo medio di 400 euro all'anno. Qualora la detrazione sia di un ammontare superiore all'imposta dovuta, occorre riconoscere un credito di ammontare pari alla detrazione che non ha trovato capienza nell'imposta stessa. Occorre riconoscere, infine, la detrazione già nel 2008, attraverso la corresponsione dello sgravio in un'unica soluzione sulla tredicesima mensilità.
Signor sottosegretario, queste non sono proposte demagogiche, né tanto meno propagandistiche. Anche noi conosciamo lo stato della finanza pubblica ed i limitati spazi di manovra per il bilancio dello Stato. Non credo che dobbiamo essere sottoposti ad alcun esame sul rigore nei conti pubblici. In entrambe le occasioni in cui siano stati al Governo abbiamo dato ampia prova di attenzione alla tenuta dei conti dello Stato. Non solo, fino ad oggi è sempre toccato a noi avviare un'opera di risanamento della finanza pubblica.
Ma proprio per questo siamo convinti che il lavoro svolto nella passata legislatura, che ha consentito di mettere in sicurezza i conti dello Stato, permetta oggi di utilizzare gli spazi aperti dal Consiglio Ecofin di metà ottobre. Si tratta di quegli spazi che consentono agli Stati di tenere conto delle attuali circostanze eccezionali nell'applicazione del Patto di stabilità e di crescita.
Un intervento sui redditi e sul potere d'acquisto delle famiglie è quanto mai necessario nella situazione economica attuale. Il nostro Paese è ormai in recessione e le stime del centro studi di Confindustria prevedono addirittura per l'anno 2009 un calo del PIL dell'1 per cento. Da tempo andiamo sostenendo che il Governo sta sottovalutando la velocità di trasferimento degli effetti della crisi finanziaria sull'economia reale, e abbiamo appena terminato la discussione sui provvedimenti relativi ai primi interventi per fronteggiare la crisi finanziaria. Quindi, rimando al mio intervento in quella sede per le considerazioni generali sulla situazione economica del Paese.
Certo è che la restrizione del credito e il calo della domanda mondiale dei consumi interni stanno mettendo a dura prova il sistema economico del Paese. Per questo motivo ci saremmo aspettati un intervento correttivo, nel disegno di legge finanziaria per l'anno 2009, della linea diPag. 92politica economica definita con la vostra manovra dell'estate scorsa: una correzione anticiclica, che alimentasse attraverso la ripresa degli investimenti e il rilancio dei consumi interni un'economia fiaccata dalla crisi dei mercati finanziari.
L'intervento che andiamo proponendo e che abbiamo proposto sia nella manovra estiva, che nella legge finanziaria per l'anno 2009, ovvero l'incremento delle detrazioni a favore dei salari e delle pensioni, oltre ad affrontare il problema della tutela del potere di acquisto delle famiglie vuole anche porsi l'obiettivo di rilanciare i consumi interni.
Signor Presidente, da tempo attendiamo e andiamo sostenendo che quello della tutela del potere di acquisto delle famiglie rappresenta la priorità per il nostro Paese. Non ci stancheremo di ripeterlo in quest'Aula e fuori dal Parlamento e non smetteremo di incalzare la maggioranza ed il Governo fino a quando il Parlamento non avrà legiferato in tal senso (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Stracquadanio, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00062. Ne ha facoltà.

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO. Signor Presidente, mi permetta una battuta: come io, da primo firmatario, illustro la mia mozione n. 1-00062, mi attendevo che il primo firmatario della mozione che ha innescato questo dibattito illustrasse la sua. Ci auguriamo di sentirlo in un altro momento della discussione.
Signor Presidente, siamo in uno spazio che il nostro Regolamento riserva alle proposte dell'opposizione. Posso comprendere perché, da parte del Partito Democratico, vi sia la rivendicazione di aver innescato questa discussione, ma credo che onestà intellettuale voglia che si riconosca che dall'inizio della legislatura si discute di redditi e di crescita della ricchezza reale del Paese e che, in questi mesi, le iniziative del Governo e del Parlamento non hanno fatto altro che affrontare questo tema.
Vorrei solo ricordare un paio di questioni: il primo intervento a beneficio di chi oggi è gravato da un mutuo sulla casa è stato quello sulla rinegoziazione dei mutui, oltre a quello sull'abolizione totale dell'ICI sulla prima casa, ossia di una tassa che gravava su persone che si erano indebitate per acquistare la casa, che ci viene contestata come un errore di politica economica: si afferma, infatti, che, invece di investire risorse sull'abolizione dell'ICI sulla prima casa, si sarebbero dovute investire su altre forme di tassazione.
Onestà intellettuale vorrebbe anche che si riconoscesse che una prima forma di detassazione seria sui redditi da lavoro dipendente è stata operata con la cedolare secca sugli straordinari e sulle premialità. L'intenzione della maggioranza, che ha realizzato uno dei punti del suo programma di Governo, e del Governo è di incentivare lo sviluppo e la crescita, sui quali dare un beneficio e un premio fiscale: in una situazione quale quella dipinta prima dal collega Causi, infatti, è evidente che non si possa contestare al Governo di avere operato tagli alla spesa pubblica e, contemporaneamente, di non aver previsto deduzioni fiscali.
C'è una schizofrenia di questa visione della politica economica, secondo la quale la politica delle entrate e quella delle uscite del bilancio dello Stato non devono avere una loro convergenza. Chiunque abbia il buonsenso di un buon padre di famiglia sa che non ci si può permettere questa schizofrenia. Non si può contestare totalmente e radicalmente la politica di rigore di bilancio del Governo, che è volta ad ottenere nel breve e medio periodo una riduzione del peso fiscale dello Stato, e, al tempo stesso, chiedere la riduzione del peso fiscale dello Stato. Delle due l'una: o si riduce la spesa pubblica in modo significativo e incisivo - e, contemporaneamente, si realizzano riforme affinché l'azione del bilancio pubblico sia efficace e accresca non la spesa corrente ma gli investimenti dello Stato nell'infrastrutturazione complessiva del Paese (dalla sicurezza alla scuola, dall'università alla mobilità) - o, altrimenti, il nostro sistemaPag. 93non potrà procedere altro che ad aumentare la sua pressione fiscale. Come sanno bene gli esponenti dell'opposizione, l'aumento della pressione fiscale si scarica innanzitutto sul lavoro.
Abbiamo preso molto sul serio il loro invito a discutere anche di redditi, considerato che ne discutiamo da mesi: lo abbiamo preso così sul serio che la mozione n. 1-00062, presentata dalla maggioranza, prende sul serio una serie di misure volte a favorire la crescita dei redditi più bassi e, soprattutto, dei pensionati soli, che sono quelli più bisognosi (per i quali il Governo ha previsto la social card e a favore dei quali, in una delle misure che proponiamo, chiediamo di rafforzare la tutela).
Noi, però, siamo convinti che o si fa una più generale politica economica che determini la crescita del lavoro e dei posti di lavoro e difenda l'economia dalla recessione, o l'idea che basti innalzare i consumi immettendo un po' di liquidità pubblica nel sistema è sbagliata. La detassazione delle tredicesime è contenuta nel nostro programma e io sono tra coloro che hanno partecipato alla stesura dello stesso. L'idea di portare la pressione fiscale sotto il 40 per cento è e resta nel nostro programma.
Vorrei far presente ai colleghi dell'opposizione che sono passati solo sei mesi da quando abbiamo iniziato a governare. Abbiamo rispettato i primi impegni di defiscalizzazione che avevamo assunto nel primo provvedimento del Governo e tutta la manovra di politica economica che abbiamo fatto fino ad oggi, che è richiamata nel nostro documento, è stata volta a dare stabilità al bilancio e riforme nella prospettiva della strategia di Lisbona del 2000, rispetto alla quale siamo molto in arretrato.
Vorrei riprendere i titoli che erano nel DPEF, perché si citano le grandezze macroeconomiche, ma mai le strategie del Governo nel DPEF. Gli obiettivi fondamentali 2009-2013 sono i seguenti. In primo luogo, è previsto di ridurre il costo complessivo dello Stato, invertendo la tendenza storica al suo aumento, senza mettere le mani nelle tasche dei cittadini con nuove tasse a loro carico e senza ridurre i servizi e le garanzie sociali essenziali, operando sulla riduzione della spesa pubblica e sui tagli agli sprechi nella pubblica amministrazione, in tutte le sue emanazioni, centrali e periferiche. Ebbene, questa strategia, che è stata quella della riduzione degli sprechi nella pubblica amministrazione, che si è centrata sull'azione del Ministro Brunetta e del Ministro Gelmini, ha visto l'opposizione scendere in piazza per manifestare contro. Allora, come si può chiedere di ridurre le tasse, se non si fa la premessa, cioè la riduzione del costo dello Stato?
In secondo luogo, si prevede di rendere più efficace l'azione della pubblica amministrazione in base all'idea essenziale che non sono i cittadini al servizio dello Stato, ma lo Stato al servizio dei cittadini, per raggiungere il risultato di uno Stato che renda di più e costi di meno, in un nuovo modello istituzionale basato sul federalismo e sulla maggiore responsabilizzazione di tutti i livelli di governo di fronte ai cittadini. Ebbene, di fronte a questo altro elemento strategico, che ha significato lotta ai fannulloni e anche agli sprechi nelle amministrazioni periferiche, che hanno l'onore della spesa e possono permettersi di spendere, perché l'onere della tassazione ricade sul Governo e pensano di essere rimborsati a piè di lista, abbiamo corso anche rischi di impopolarità - la maggioranza è disposta a correre tali rischi - per non essere antipopolari.
Voglio solo fare un esempio. Questa estate mi sono trovato a dover percorrere la strada provinciale che unisce Roma a L'Aquila. Siccome nell'attraversare l'Italia da Roma a L'Aquila si passa per il traforo del Gran Sasso, se questo è chiuso per manutenzione, c'è solo una strada provinciale, la Vastese, che ha alcuni paracarri e non ha neanche l'illuminazione. Vedo dai cenni che fa, signor Presidente, che lei ce l'ha presente.

PRESIDENTE. Però è bellissima! Ha dei panorami bellissimi!

Pag. 94

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO. Di giorno, signor Presidente. Lei la percorra di notte con la nebbia, come è capitato a me. Non c'è collegamento radio, i cellulari non prendono, si ha paura. Ho visto i lupi marsicani in quell'occasione. Ne sono contento ma non era previsto nel mio viaggio, che era a tarda sera al termine di una seduta della Camera.
È successo che, al termine di quel tragitto, quando ho recuperato il segnale radio, ho sentito questo spot: provincia de L'Aquila, trecento eventi in trenta comuni per l'estate culturale della nostra stagione.
La provincia non deve spendere per gli eventi culturali, ma deve rifare le strade e magari illuminarle. A questo servono i soldi dei cittadini! Invece, da alcune pubbliche amministrazioni vengono sprecati in operazioni che creano facile consenso.
Anche su questo, l'opposizione dov'è? È solo a reclamare saldi a piè di lista degli sprechi di comuni, province e regioni, che hanno dissipato e non hanno speso secondo le regole. Noi, con il federalismo fiscale, vogliamo tutti portare alla spesa standard, invece che a quella storica, che è quella incrementale.
In terzo luogo, è previsto di ridurre il peso burocratico che grava sulla vita dei cittadini, liberandoli dalla ragnatela della burocrazia superflua. Cosa vuol dire liberare i cittadini dalla burocrazia superflua? Significa liberare anche lo Stato da gente che non compie il proprio dovere, ed è superflua nell'attività, rimettendola a lavorare. Infatti, solo una pubblica amministrazione più efficiente può funzionare.
L'obiettivo di cui alla lettera d) prevede di spingere l'apparato economico verso lo sviluppo, rimuovendo vincoli e agendo sulla sburocratizzazione e semplificazione, introducendo meccanismi di fiscalità di vantaggio per favorire investimenti nelle aree meridionali, concentrando e applicando la forza della pubblica amministrazione sui punti che sono essenziali per raggiungere l'efficacia nei servizi di pubblica utilità.
Queste sono le azioni: le riforme della pubblica amministrazione, del processo civile, il nucleare, tutte scadenze puntualmente onorate dal Governo, che ha applicato il suo programma alla lettera, costringendo, giustamente, questo Parlamento a lavorare giorno e notte, come ha fatto oggi.
Di fronte a ogni riforma, l'opposizione si è scagliata contro dicendo che non si doveva fare così. La loro ricetta sembra semplice: dicono di detassare le tredicesime. Hanno un'idea di quanto costerebbe al bilancio dello Stato detassare le tredicesime? Costerebbe 8 miliardi di euro e un provvedimento del genere, isolato, nello stato attuale delle condizioni finanziarie, sarebbe irresponsabile. Le spiego subito perché, signor Presidente, e per il suo tramite lo spiego ai colleghi dell'opposizione.
Siccome siamo in una situazione in cui c'è più allarme sociale per il futuro, gli 8 miliardi che il Governo concedesse di detrazione fiscale non ritornerebbero nel ciclo della produzione e dei consumi, perché la paura del domani li farebbe, innanzitutto a me, mettere sotto il materasso, nell'incertezza del futuro. Sicché caricheremmo sulle spalle dello Stato 8 miliardi di deficit, che ci costerebbero 8 miliardi di titoli di debito pubblico di interessi da pagare, e nell'economia reale, di questi 8 miliardi, ne entrerebbero forse uno o due per i consumi; gli altri 6 sarebbero immobilizzati.
Questo è un modo irresponsabile di affrontare le difficoltà economiche, quando invece il Governo ci annuncia delle soluzioni che in questa mozione abbiamo indicate quasi tutte, perché indichiamo al Governo un menù. Noi rivendichiamo alla maggioranza la politica economica che il Governo ha seguito: si è detta sempre una cosa errata in quest'Aula: si è detto che il Parlamento è assoggettato ai ritmi del Governo. Non è vero! È il Governo che ha ricevuto dalla sua maggioranza un imperativo categorico: entro un anno rimetti a posto lo Stato, perché, se non lo fai, questa maggioranza non avrà nessuna credibilità e sulla nostra credibilità ci siamo giocati tutti la faccia in campagna elettorale.Pag. 95
Il Governo sta lavorando intensamente e, quando viene qui e chiede la fiducia, la ottiene proprio perché è la maggioranza che gli impone il ritmo dei suoi lavori, così come, nella nostra mozione, proponiamo e impegniamo il Governo su un menù di scelte. Abbiamo lavorato su questa mozione nei giorni scorsi senza avere contezza dell'andamento dei vertici internazionali. Avevamo una certa capacità di previsione su come si sarebbero mossi i responsabili delle venti economie mondiali, perché la ragionevolezza non ci manca e non manca a loro, ma non avevamo con precisione la panoplia degli strumenti che il Governo avrebbe messo in campo.
Se quello che ho letto sui giornali è quello che effettivamente si sta elaborando da parte del Governo, devo dire che in questa mozione era tutto, in qualche modo, anticipato nelle sue linee strategiche: crescita delle infrastrutture, investire nelle riforme, aumentare l'efficienza della spesa pubblica, ridurre gli sprechi senza cedere di un momento, migliorare la competitività, rendendo stabili certe misure, come la detassazione degli utili reinvestiti.
L'onorevole Causi prima ha citato alcune cifre, ma le cifre stipendiali che ha citato il collega sono le basi contrattuali, cioè il minimo salariale. Ma chi lavora di più ha di più e questo deve essere un principio virtuoso che introduciamo nel Paese, perché il Paese deve prendere coscienza che bisogna lavorare di più per avere di più.
Come diceva mia nonna, quando tutti hanno tutto, sono tempi brutti, perché vengono a mancare gli stimoli e le spinte a crescere nell'economia delle proprie famiglie. Spesso vediamo che alcune generazioni imprenditoriali muoiono troppo presto proprio perché, quando si ha tutto e subito, si tende a rilassarcisi sopra.
La nostra iniziativa, in qualche misura, ha preso molto sul serio quello che l'opposizione ha fatto, ma non ha la schizofrenia di non vedere che la politica economica è una e unitaria e che i programmi si attuano in una legislatura. Sono pronto a scommettere, qui e oggi, che noi ridurremo la pressione fiscale entro la fine della legislatura sotto il 40 per cento e che noi daremo una serie di bonus, anche fiscali - noi della maggioranza li abbiamo indicati - a favore di chi più ne ha bisogno oggi, per poter abbassare la pressione fiscale a tutti domani.
Ma dobbiamo rimettere in piedi il Paese, ridargli la forza di crescere e di competere e, per la prima volta, c'è un Governo che ha una strategia integrata per farlo e una maggioranza che glielo impone, con il documento che noi abbiamo presentato. È per questo, signor Presidente, che chiedo sin d'ora al Parlamento di discutere approfonditamente sulla nostra mozione e di approvarla. È una mozione condivisa da tutta la maggioranza, ma credo che sia una mozione che sarebbe condivisa dalla maggioranza degli italiani (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Occhiuto, che illustrerà la mozione Casini ed altri n. 1-00063, di cui è cofirmatario.

ROBERTO OCCHIUTO. Signor Presidente, intervengo per illustrare la mozione di cui sono cofirmatario, il primo firmatario è il presidente Casini e poi altri colleghi deputati dell'Unione di Centro, ma idealmente è firmata da tutti i deputati del mio gruppo.
Pochi minuti fa abbiamo terminato una discussione che ha impegnato l'Aula sugli effetti della crisi finanziaria mondiale, della recessione mondiale innescata dalla bolla immobiliare americana e che si è ulteriormente aggravata nell'ultimo trimestre, con la crisi bancaria apertasi in seguito al fallimento della società Lehman Brothers.
Altri prima di me in questo dibattito, ma anche in quello precedente, hanno evidenziato come il prodotto interno lordo del nostro Paese sia diminuito nel terzo trimestre dello 0,5 per cento rispetto al trimestre precedente e dello 0,9 per cento rispetto al terzo trimestre del 2007, consegnandoci una situazione di ineludibilePag. 96recessione anche dal punto di vista tecnico, perché per due trimestri consecutivi il nostro prodotto interno lordo diminuisce.
C'è una brusca frenata del prodotto interno lordo mondiale: persino le economie che crescono più velocemente stanno registrando un rallentamento della crescita; la situazione del nostro Paese, per i ritardi strutturali che sconta, è ancora più difficile.
C'è una legge finanziaria approvata dalla maggioranza e proposta dal Governo a luglio: infatti, la legge finanziaria approvata la scorsa settimana alla Camera prende le mosse dal decreto-legge n. 112 del 2008, che è stato licenziato dal Governo in soli 9 minuti - lo ha detto il Presidente Berlusconi - e che non tiene conto evidentemente dello tsunami che si è abbattuto sull'economia mondiale e quindi anche su quella italiana negli ultimi mesi.
All'onorevole Stracquadanio, che è intervenuto prima di me, vorrei sommessamente dire che è evidente, è un'ovvietà che per liberare risorse per lo sviluppo occorre tagliare la spesa pubblica. C'è però una spesa pubblica buona e una spesa pubblica cattiva. C'è una spesa pubblica che merita di essere tagliata, quella degli sprechi e delle inefficienze, e c'è una spesa pubblica che non merita di essere tagliata, se l'obiettivo, come diceva l'onorevole Stracquadanio, è quello di realizzare gli obiettivi fissati dalla strategia di Lisbona.
I tagli lineari, per esempio, alla scuola, all'università e quindi alla ricerca non mi pare vadano nella direzione di realizzare gli obiettivi di Lisbona. Certo, è utile intervenire per tagliare gli sprechi anche nella scuola, per fare in modo che ci siano criteri di merito nelle università, ma ci saremmo aspettati che questi tagli intervenuti nella scuola, nell'università e nel sistema della ricerca liberassero risorse appunto per la scuola, per la ricerca, per l'università, perché altrimenti non si può sostenere che questa è una maggioranza e che questo è un Governo che hanno come obiettivo quello di colmare il ritardo del nostro Paese rispetto agli altri, in ordine proprio alla realizzazione dei punti fissati dalla strategia di Lisbona.
Sempre a proposito della spesa pubblica buona e di quella cattiva - sempre sommessamente - vorrei che qualcuno del Popolo della Libertà ci dicesse, per esempio, che fine hanno fatto i buoni propositi di abolire le province e le comunità montane e di privatizzare davvero il sistema dei servizi pubblici locali. È vero che ci sono degli sprechi nel sistema delle autonomie, ma è anche vero che attraverso la gestione accentrata nelle amministrazioni comunali dei servizi pubblici locali, questi sprechi diventano strutturali.
Su quanto ha fatto il Governo con i decreti-legge n. 93 e n. 112 del 2008 stenderei un velo pietoso, perché anche l'intervento sulla detassazione degli straordinari (chi è intervenuto prima di me lo ricordava), strutturato in quel modo, non credo abbia sortito grandissimi risultati in ordine all'aumento della produzione, se i dati che abbiamo e che siamo costretti a commentare ci dicono che c'è una diminuzione della produzione nell'ordine del 5,7 per cento. Quell'intervento doveva in qualche modo evitare o almeno arginare questa riduzione.
La mozione che presentiamo muove proprio da questa convinzione, dal fatto che il Governo e la maggioranza hanno approvato una legge finanziaria che non tiene conto delle condizioni che negli ultimi mesi si sono determinate nel nostro Paese, soprattutto in ordine alla qualità della vita delle famiglie. L'ISTAT ci dice che il 12,8 per cento delle famiglie italiane versa in una situazione di povertà; nel Mezzogiorno addirittura una famiglia su tre è in una condizione di povertà; ricordo che il margine al di sotto del quale si stabilisce che una famiglia sia povera è quello per cui una famiglia di due persone, quindi senza figli a carico, guadagna 970 euro al mese. Si è fatto poco soprattutto per le famiglie con figli, che debbono barcamenarsi tra mutui ipotecari, rette scolastiche e universitarie e rate per l'acquisto di beni mobili - noi auspichiamo che ci sia anche qualche intervento inPag. 97ordine alla ristrutturazione, per esempio, del credito al consumo per le famiglie - e le famiglie risultano fortemente indebitate e i dati degli ultimi mesi ci dicono che c'è una crescita esponenziale anche dei pignoramenti che si registrano ultimamente.
Riteniamo peraltro illusorio un emendamento, che pure abbiamo votato nell'ultima finanziaria, che impegna il Governo a destinare alle famiglie le eventuali maggiori risorse che saranno disponibili nel corso del 2009: non ci pare che questo sia il tempo per prevedere che ci saranno maggiori risorse nel corso del 2009.
Riteniamo che sia necessario un intervento forte nei confronti delle imprese, soprattutto nei confronti delle imprese del sud. Non lo dico perché provengo dal sud, ma perché sono convinto che la questione del Mezzogiorno o la si affronta come questione nazionale o non serve sollevarla; o il sud partecipa - anche dimostrando maggiore attenzione da parte dei gruppi dirigenti alla spesa pubblica e alla spesa per investimenti - a contribuire alla crescita del prodotto interno lordo, oppure è una questione che non merita di essere posta semplicemente come una rivendicazione tra territori.
Però nel sud, negli ultimi mesi di quest'anno, 336 mila aziende hanno chiuso: è davvero una situazione di straordinaria gravità che può determinare un'ulteriore perdita di occupazione in territori che hanno già pagato moltissimo sotto questo punto di vista, soprattutto per effetto del credit crunch che credo si stia già abbattendo sul sistema delle imprese, non solo quelle del sud ma anche di quelle del Veneto. In particolare nel settore manifatturiero, le imprese stanno scontando fortissime difficoltà: proprio la CGA di Mestre ci dice che è profondamente mutato l'atteggiamento delle banche in ordine alla concessione del credito e si richiede a moltissime imprese di rientrare dagli affidamenti.
Questa è una situazione che noi avremmo voluto, come abbiamo detto poco fa, che il Governo avesse affrontato già in sede di discussione sui decreti «salva banche».
In ogni caso, per quanto sia necessario che gli interventi in ordine alle iniziative per sostenere l'economia reale, le imprese e le famiglie siano assunti a livello mondiale o almeno a livello europeo, riteniamo - lo diciamo attraverso la presentazione di questa mozione - che siano indifferibili interventi anche da parte del Governo nazionale che vadano in questa direzione, intervenendo sulla leva di politica monetaria, ma cercando di evitare tagli indiscriminati alla spesa pubblica buona, proseguendo, come è giusto, nei tagli verso la spesa pubblica cattiva, aumentando però l'investimento nelle infrastrutture.
Anche in questo caso, vorrei dire a chi mi ha preceduto che questo Governo non è che ha aumentato la spesa in infrastrutture. Ciò che è scritto nel Documento di programmazione economico-finanziaria mi pare chiaro, il fatto che peraltro anche virtuose iniziative, come l'abolizione dell'ICI, siano state però pagate attraverso un taglio alla spesa per investimenti in Calabria e in Sicilia la dice lunga sull'atteggiamento di questo Governo in ordine agli investimenti e, soprattutto, agli investimenti in infrastrutture. Auspichiamo - così come credo auspichi il Governo - che anche l'Unione europea adotti criteri più flessibili in merito all'applicazione dei parametri previsti dal Trattato di Maastricht, ferma restando l'esigenza che questi parametri vengano rispettati.
Addirittura, esprimiamo compiacimento - rispetto a quanto abbiamo ascoltato - in ordine alla volontà del Governo di destinare il 5 per cento del prodotto interno lordo, 80 miliardi, a sostegno dell'economia reale, a condizione, però, che siano veri e che non si tratti, per esempio, delle risorse del solito Fondo per le aree sottoutilizzate o delle risorse rivenienti dai programmi operativi regionali: a condizione, dunque, che siano risorse nuove, che il Governo ha individuato perché sostengano l'economia reale.
Per questo noi chiediamo, in conclusione, signor Presidente, con questa mozione, di impegnare il Governo a rivedere una politica di tagli indiscriminati anche alla spesa pubblica produttiva e di tagliPag. 98alle infrastrutture e chiediamo soprattutto al Governo di adottare misure fiscali agevolative nei confronti delle piccole e medie imprese, che premino il reinvestimento degli utili nella ricerca e nell'innovazione, nel risparmio energetico e che premino gli incrementi di occupazione.
Chiediamo al Governo anche di intervenire affinché siano estese le garanzie, soprattutto per i lavoratori precari, che sono quelli più esposti alla crisi. Abbiamo sempre sostenuto che la flessibilità del lavoro sia un valore, ma in tempi di recessione chi sostiene che è un valore la flessibilità del lavoro ha l'obbligo e il dovere di fare in modo che vi siano forme di garanzia per quelli più esposti alla perdita del lavoro stesso.
Per le imprese del sud chiediamo una fiscalità di vantaggio, e anche la trasformazione dei finanziamenti a fondo perduto in finanziamenti in credito di imposta. Abbiamo coscienza che molta parte dei finanziamenti rivolti verso la creazione di imprese nel Mezzogiorno ha determinato corruzione o scadimento della cultura d'impresa. Siamo perché questi finanziamenti non siano più in conto capitale, ma siano dati in conto interessi o attraverso il credito di imposta. Ci dispiace che il Governo, anche in ordine al credito di imposta per il sud, stia procedendo in maniera diversa.
Chiediamo uno sforzo maggiore nella direzione di sostenere il sistema dei confidi. Siamo contenti che il Governo abbia in qualche modo recepito quanto abbiamo proposto qualche settimana fa e quanto è contenuto anche in questa mozione, in ordine alla necessità di ripassare nel pagamento dell'IVA da un criterio di competenza a un criterio di cassa. Ci dispiace però che la maggioranza non abbia inteso ratificare questo orientamento, così come avevamo chiesto di fare attraverso la votazione di un ordine del giorno al disegno di legge finanziaria.
Soprattutto, chiediamo al Governo di adottare interventi tempestivi e concreti in favore delle famiglie italiane, specialmente quelle con figli, anche valutando, onorevole sottosegretario, l'opportunità di reintrodurre il sistema delle deduzioni fiscali, in luogo dell'attuale sistema delle detrazioni, al fine di realizzare un fisco più equo e a misura delle famiglie italiane, soprattutto di quelle con carichi familiari (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Messina, che illustrerà anche la mozione Evangelisti ed altri n. 1-00064, di cui è cofirmatario.

IGNAZIO MESSINA. Signor Presidente, stasera siamo stati chiamati a parlare di una crisi finanziaria che, come è ovvio, ha un unico destinatario, che sono i soggetti deboli. I soggetti forti, infatti, in un'economia comunque si salvano, perché hanno dei criteri di salvaguardia che, in qualche modo, riescono a farli rimanere in piedi; i più deboli, sicuramente, sono quelli che pagano di più.
Dopo la riunione del G20, avevamo positivamente accolto le dichiarazioni dei rappresentanti di questo Governo nelle quali si evidenziava la necessità di interventi di garanzia, di controlli più adeguati, uniformi, e di una maggiore responsabilità volta a far sì che il mondo della finanza fosse chiamato a rispondere di quelle che erano le azioni che avevano provocato la crisi finanziaria. Non me ne voglia il sottosegretario Casero, ma ciò contrasta palesemente con norme come quelle sul falso in bilancio o le norme salva manager. Non si può, da un lato, richiamarsi alla necessità di interventi di garanzia più adeguati e, dall'altra parte, non approntare gli strumenti necessari per realizzarli.
Ci sono delle difficoltà: la produzione è in fase di crollo, siamo in recessione, ormai è palese. Le dichiarazioni odierne di alcuni economisti affermano che la recessione e la crisi in Italia saranno più profonde rispetto alla maggior parte degli altri Paesi europei, perché la crisi interviene su un soggetto già ammalato. Quando un'influenza colpisce un soggetto sano è un problema che si supera con grande facilità, se invece l'influenza colpisce un soggetto che non è sano puòPag. 99anche degenerare. Questa è la situazione che in pratica l'Italia si trova a dover affrontare, e questo può comportare un rischio molto forte - come sta avvenendo in questi giorni - di perdita di posti di lavoro. A fronte di aziende che chiudono, vi sono tanti lavoratori, tanti padri di famiglia che non sapranno più come sbarcare il lunario. Vi sono i segnali di una povertà che raggiunge, oggi, nel nostro Paese, il 12,5 per cento popolazione (lo citavo prima, mi ripeto): ,si tratta di 8 milioni di persone, una massa enorme di gente che, con meno di 900 euro, deve portare avanti la propria famiglia, e chiaramente non ce la fa.
Vi è una pressione fiscale superiore a quella di tutti gli altri Paesi europei, che in un momento positivo si può anche, in qualche modo, tollerare, ma che in un momento di crisi, di recessione fortissima, è poco tollerabile, non si riesce più a sopportarla. Di questa pressione fiscale il Governo deve cominciare a farsi carico. Sentivo, poco fa, l'onorevole Stracquadanio lamentarsi del fatto che il Governo si è insediato soltanto da sei mesi: ciò è anche vero, però chi comincia, deve cominciare con degli interventi drastici che si possono fare in poco tempo.
In realtà, a fronte di una pressione fiscale che non è cambiata, anzi è aumentata dall'inizio di questa legislatura, con l'avvento di questo Governo, non vi è un miglioramento dei servizi, per cui il cittadino è spinto a dire: pago più tasse, ma ho migliori servizi. Al contrario, da una parte si continuano a conservare e a tutelare posizioni di privilegio e di sprechi - malgrado ciò che afferma il Ministro Brunetta - e dall'altra vengono penalizzati i servizi al cittadino. Questo comporta un peso fiscale maggiore che nessuno riesce a sopportare.
Vi è un altro elemento che non può essere sottovalutato: la disuguaglianza dei redditi è cresciuta più velocemente della disuguaglianza dei consumi. Sostanzialmente, a parità di necessità primarie, i redditi non sono cresciuti, per cui, anche qui, i più deboli, che sono costretti comunque per sopravvivere a soddisfare alcuni bisogni primari, non hanno più i fondi, perché alla fine i propri stipendi e i propri redditi non sono in grado di sostenere quella che è una normale convivenza.
Parlavo degli interventi sin dall'inizio: puoi esserci da poco al Governo, però c'è il vecchio detto secondo cui il buongiorno si vede dal mattino. Cosa ha fatto il Governo in questi sei mesi? È intervenuto con estrema decisione per penalizzare le classi più deboli, per penalizzare la parte più debole del Paese a vantaggio della parte più forte. Noi non temiamo nel sud il federalismo, ma deve essere un federalismo solidale, che dia pari opportunità a tutti, non che penalizzi qualcuno e vantaggio di altri. E così si è intervenuti con molta forza per togliere l'ICI al nord, ma togliendo le infrastrutture al sud. Chi è intervenuto prima di me citava la Calabria e la Sicilia, le cui infrastrutture sono state penalizzate con molta forza a vantaggio dell'ICI non pagata al nord, perché al sud era sicuramente inferiore.
Si sono decisi tagli drastici alla scuola e all'università, tagli drastici che non hanno però avuto a monte una riforma. L'approccio di questo Governo è strano, anche per quanto riguarda il decreto-legge n. 112 del 2008, con l'eliminazione del credito di imposta, perché normalmente quando governi e amministri prima pensi ad una riforma e poi appronti gli strumenti finanziari o i tagli che comunque devono portare a quella riforma. È stato fatto esattamente il contrario, si è avuto un approccio esattamente opposto: prima tagli e poi riformi. Evidentemente questo approccio non funziona, perché questo tipo di taglio e di soluzione sicuramente non coincide con quelle che sono le esigenze.
Detto questo, è chiaro (ed è il motivo che mi porta ad illustrare la mozione, ovviamente fatta propria da tutto il gruppo Italia dei Valori, al di là dei firmatari) che è determinante - direi essenziale - che il Governo si impegni ad intervenire a favore delle fasce più deboli, per cercare di creare questa perequazione di redditi che possa portare ad un miglioramento dellePag. 100condizioni di vita. Quindi, anzitutto occorre pensare alle forme di precariato. Bisogna dire basta alle forme di precariato, cercando di risolvere il problema, quindi non bisogna dire basta cercando di mandare a casa i precari che in questo momento con il lavoro precario ci sopravvivono e quindi, se gli togliamo anche quello, altro che povertà! Occorrono iniziative volte a ridurre le forme precarie nel rapporto di lavoro.
Chiediamo che il Governo si impegni a introdurre ammortizzatori sociali di tipo universalistico, come quelli che erano delineati anche nella riforma Biagi, e a prendere le opportune iniziative per utilizzare il fiscal drag, che negli anni Novanta è stato più volte utilizzato, dopodiché con la finanziaria del 2001 è stata sospesa la restituzione, riassorbendo una riduzione percentuale delle aliquote IRPEF. Inopportunamente questo obbligo di legge è stato disatteso da Tremonti, per cui di fatto è stata eliminata ogni forma di restituzione del fiscal drag, mentre deve essere immediatamente riutilizzato e restituito alle categorie a reddito medio e basso, a partire dai pensionati, che sono i soggetti sicuramente più disagiati.
Occorre intervenire ulteriormente per sostenere il rilancio dei consumi, anche attraverso l'intervento pubblico, nonché introdurre già nel 2008, con la corresponsione della tredicesima mensilità, un'adeguata forma di detassazione. Se noi non interveniamo detassando i redditi - tra l'altro questo è a costo zero - e non aumentiamo il potere d'acquisto dei lavoratori dipendenti, dei pensionati e dei soggetti più deboli, non solo continuiamo a bloccare l'economia, ma faremo soltanto in modo che questo Paese abbia sempre più poveri e sempre meno soggetti che possono portare dignitosamente avanti la propria esistenza (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Causi. Ne ha facoltà.

MARCO CAUSI. Signor Presidente, questa discussione segue, non idealmente ma in modo logico, la discussione precedente sulle misure relative alla crisi finanziaria e bancaria, ma con questa discussione noi possiamo focalizzare uno dei punti critici dell'impatto reale della crisi economica sull'Italia.
Vale a dire, il punto critico che deriva dal fatto che nel nostro Paese abbiamo già da alcuni anni - ma sta esplodendo in modo particolare in questi mesi - un'evoluzione assolutamente insufficiente e negativa del reddito disponibile delle famiglie. Perché tale evoluzione è così negativa? Ritengo che sia dovuto a tre fattori che voglio ricordare a lei, signor Presidente, e a tutti colleghi che ci ascoltano.
Anzitutto è da molti anni che l'evoluzione dei salari, degli stipendi e delle pensioni è troppo bassa, in Italia come negli Stati Uniti: lo dicevamo poco fa. Da questo punto di vista invito con molta attenzione chi discute e si confronta sul modello contrattuale a riflettere su questo dato: nel nuovo modello contrattuale, infatti, non possiamo pensare di abolire totalmente o ridurre troppo lo spazio necessario per un legame tra evoluzione dei salari, stipendi e pensioni e tasso d'inflazione programmata.
Un secondo motivo di questa insufficienza - è stato ricordato prima - è il fiscal drag che ha inciso in particolare negli ultimi anni in corrispondenza all'aumento del tasso di inflazione: con un tasso di inflazione che ha viaggiato tra il 3 e il 4 per cento, il fenomeno dell'erosione monetaria dei redditi dovuta al fatto che l'IRPEF è calcolato sui valori monetari, naturalmente aumenta.
Infine, terzo elemento particolarmente emergente in questi mesi, è costituito dal fatto che assistiamo ad un aumento della precarietà del lavoro, ad un aumento della disoccupazione e al fatto che mancanza di lavoro e disoccupazione si stanno estendendo e rischiano di estendersi in futuro presso categorie e settori economici non coperti dalle attuali forme assicurative sociali di contrasto al rischio della disoccupazione. Dobbiamo contrastare questi tre elementi.Pag. 101
Voglio qui confermare quanto detto anche in precedenza. Ci troviamo di fronte ad un errore di politica economica congiunturale del Governo. Infatti se avessimo investito i 2,3 miliardi di mancato gettito a seguito dell'abolizione dell'ICI a favore delle categorie sociali che hanno i redditi più bassi ovvero alle categorie sociali che sono esposte a rischio di povertà e di disoccupazione, avremmo avuto un provvedimento non solo più egualitario ma soprattutto più coerente con l'obiettivo di sostenere i redditi e i consumi in questa fase di crisi.
Ma lo stesso - voglio ricordare - avviene per Alitalia: ieri il commissario straordinario di Alitalia ha confermato pubblicamente quanto dalle opposizioni e dal Partito Democratico più volte è stato sostenuto in questi mesi: il costo per l'erario dell'operazione Alitalia rischia di essere pari a 2,6 miliardi di euro (2,3 per i debiti da ripianare e 300 milioni per il prestito ponte). Di nuovo, che senso ha aver perso 2,5 miliardi per l'abolizione dell'ICI e aver speso 2,6 miliardi di euro per Alitalia, quindi quasi 5 miliardi di euro, quando oggi abbiamo un'emergenza relativa ai redditi, ai consumi e la necessità di sostenere la domanda?
Mi domando, inoltre, che senso ha avuto confermare, prima nel DPEF e nella relativa Nota di aggiornamento e infine nella legge finanziaria, un'inflazione programmata all'1,5 per cento, quando l'inflazione effettiva viaggia - in base ai dati ISTAT - almeno al 3,5 per cento?
Di nuovo, una distanza così ampia tra inflazione programmata e inflazione effettiva tramite il modello contrattuale, implica un'ulteriore depressione nell'evoluzione del reddito disponibile delle famiglie e, quindi, della domanda di consumo: ciò non ha senso nell'attuale contingenza economica.
Che senso ha, infine, aver confermato nel DPEF una proiezione nel 2012 della pressione fiscale al 43 per cento con un aumento delle imposte personali e dirette e una riduzione delle imposte indirette? Riteniamo che il Governo abbia perso sei mesi e che sia ora di ammettere, anche sulla scorta delle conclusioni dei vertici internazionali, delle politiche avviate da altri Paesi e della necessità di un coordinamento a livello europeo, che è necessaria, adesso, una politica fiscale espansiva che deve partire innanzitutto dai redditi bassi e medio bassi. Vorrei dire all'onorevole Stracquadanio che è vero che dobbiamo guardare alla pressione fiscale, tuttavia non soltanto al numeratore, ma anche al denominatore.
Infatti, se non adottiamo oggi, subito, molto velocemente e tempestivamente, politiche di sostegno dell'economia tramite consumi e domanda, rischiamo di avere un crollo del PIL e quindi di avere, a quel punto, un'evoluzione dinamica del denominatore della pressione fiscale troppo bassa, e che quindi la pressione fiscale aumenti perché il PIL diminuisce, che è esattamente il contrario di quello che credo tutti vogliamo.
Allora, in conclusione, quali sono i punti rilevanti che pone la mozione in esame? Innanzitutto, la mozione in esame indica come finanziare un intervento immediato ed urgente di sostegno ai consumi e alla domanda: occorre finanziarlo certamente con le risorse che ancora esistono, riteniamo, dopo aver accantonato quelle dell'ICI, in base alla buona eredità del quadro di finanza pubblica che il Governo che sta qui da sei mesi ha ereditato dal precedente Governo. Ma si possono finanziare anche attraverso un'adeguata rimodulazione degli obiettivi di indebitamento netto da qui al 2012-2013, esattamente sulla base delle raccomandazioni degli ultimi vertici europei. In secondo luogo, diamo un indirizzo su quali strumenti usare: ci concentriamo sui due strumenti, che crediamo essere la priorità politica di oggi. In primo luogo, meno tasse sul lavoro e meno tasse sulle pensioni ed in secondo luogo più ammortizzatori sociali.
Il primo strumento (meno tasse sul lavoro) ha un vantaggio sia sulla domanda sia sull'offerta, perché riduce anche il costo del lavoro per le imprese. Ha un costo che varia tra i 4 e i 6 miliardi di euro, a seconda dell'estensione dello schema. Il secondo provvedimento (gli ammortizzatoriPag. 102sociali) sta diventando di giorno in giorno più urgente, alla luce della crisi dell'economia reale. Sugli ammortizzatori sociali, va incardinato un provvedimento temporaneo e congiunturale della validità di un anno e va preso anche l'impegno, nel corso del 2009, di procedere ad una riforma strutturale del sistema di protezione dal rischio di disoccupazione, soprattutto per estenderlo alle vaste categorie e settori oggi non coperti.
Insomma - e concludo - in base alla mozione in esame la proposta del Partito Democratico è di impiegare immediatamente almeno mezzo punto di PIL, quindi almeno tra i 6 e i 7 miliardi di euro, in interventi permanenti di riduzione fiscale a vantaggio dei redditi bassi o medio-bassi, a cui aggiungere poi un intervento temporaneo sugli ammortizzatori sociali. Qui voglio terminare, ricordando che si sta facendo in questi giorni, come è usuale da parte del Governo, una grande bolla propagandistica su una cifra di 80 miliardi di euro: vorremmo sapere quanti di questi 80 miliardi di euro sono veri. In altre parole: indipendentemente dagli stanziamenti già esistenti per infrastrutture, CIPE, Fas e così via, chiediamo qual è il pacchetto disponibile per una manovra di sostegno congiunturale della domanda e dei consumi che, come appunto noi qui proponiamo, dovrebbe essere di almeno mezzo punto di PIL e a cui aggiungere, in via temporanea, un intervento massiccio sugli ammortizzatori sociali. Su questo poi dovremo confrontarci nei prossimi giorni: quando il decreto-legge sullo sviluppo finalmente vedrà la luce, dovremo verificare quali sono le effettive cifre che il Governo ritiene di mettere in campo per questa, che è l'assoluta priorità della politica economica di questo Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Damiano. Ne ha facoltà.

CESARE DAMIANO. Signor Presidente, vorrei fare una prima osservazione: il Governo deve rendersi conto di aver sbagliato la sua manovra economica. Mi ha molto stupito, nel corso di un'audizione presso la Commissione lavoro, quanto affermato dal Ministro Sacconi, il quale ha detto testualmente: Noi, con il decreto n. 112 del 2008 e con il Libro verde, che è sottoposto al confronto con i soggetti sociali, avevamo previsto quello che sarebbe successo. Questa affermazione mi ha stupito, perché c'è da domandarsi: se avevate previsto quanto stava per capitare, come mai - è stato detto da molti - una manovra come quella sull'ICI, che butta via letteralmente alcuni miliardi, che potevano andare alle famiglie? Come mai un intervento sugli straordinari, che si vuole proseguire addirittura allargandolo alla pubblica amministrazione, nel momento in cui «scoppia» la cassa integrazione e la disoccupazione?
Avremo, nel settore pubblico, un combinato disposto piuttosto interessante: la cessazione del rapporto di lavoro dei precari e l'allungamento dell'orario di lavoro delle persone stabili. Avremo, in sostanza, i padri che lavoreranno di più per mantenere i figli disoccupati a casa.
Come mai si è attuata la cosiddetta Robin Hood tax, che è stata molto propagandata e che avuto quale unico effetto quello di far pagare, in anticipo, alle famiglie, il rincaro dei prezzi delle tariffe? Da tale manovra, i banchieri, i petrolieri e gli assicuratori, ad esempio, ricaveranno quanto serve al Governo e terranno il resto per sé, creando una situazione, anche in questo caso, di disparità e di ingiustizia. In tutto il mondo si parla di misure straordinarie e finalmente se ne parla anche in Italia. Si tratta di 80 miliardi. Mi associo a coloro che auspicano che sia vero, che non sia semplicemente uno spostamento di poste, che non siano le cosiddette «vacche di Mussolini», buone per tutte le stagioni. Chiediamo di sapere dove si prendono e in che modo si vogliono spendere questi soldi, perché in una situazione così straordinaria non servono i guardiani del saldo di bilancio, serve utilizzare fino in fondo le possibilità di flessibilità nel rapporto tra debito e prodotto interno lordo, al quale allude anche l'Unione Europea.Pag. 103
Soprattutto mi domando come mai, dopo le fine del mercatismo, noi abbiamo un Governo che ripropone delle politiche del lavoro che tornano a terapie fallite come quella di estendere l'area della precarietà, diminuire i controlli sul lavoro e avere un costo del lavoro flessibile più basso del lavoro stabile. Si parla di cose molto concrete. Vorrei brevemente ricordare quanto segue: siamo di fronte ad una sorta di catena di smontaggio della legislazione del lavoro. In tutte le manovre, prima e dopo l'estate, abbiamo avuto interventi sui contratti a termine (in una situazione in cui ci sarebbe bisogno di stabilità) che li riconduce all'ordinaria attività, esclude il diritto di precedenza, fa le deroghe contrattuali e trasforma la stabilizzazione disposta dal giudice, in caso di vittoria di una causa, in un semplice indennizzo. Per il lavoro occasionale siamo addirittura di fronte al fatto che si peggiora la cosiddetta legge Biagi: i requisiti soggettivi, quali il rischio di avere un'esclusione sociale, non fanno più testo per utilizzare il lavoro occasionale; l'apprendistato perde la durata minima e la formazione diventa tutta interna alle aziende; le buste paga vengono sostituite da una copia della scritturazione del libro unico, senza dettagli che possano consentire al lavoratore di rendersi conto se ci sono degli errori; viene cancellata la tutela per le dimissioni in bianco; viene tolta la sanzione al datore di lavoro nel caso di mancata esposizione del tesserino di identificazione in cantiere, ma la sanzione viene mantenuta per lavoratore. Si è cercato infine - ma lo abbiamo impedito - di tornare alla denuncia dell'assunzione entro cinque giorni dall'inizio della prestazione lavorativa piuttosto che il giorno prima e, ripeto, lo abbiamo impedito, per fortuna, perché saremmo tornati alle assunzioni post mortem; i documenti che illustrano la busta paga non sono più tenuti presso il datore di lavoro ma presso un commercialista, rendendo impossibile il lavoro degli ispettori. Circa l'orario di lavoro, si modifica il concetto di lavoratore notturno e di lavoratore mobile; le reiterate violazioni dell'orario di riposo non sospendono più l'attività, come previsto dal testo unico sulla sicurezza; nella pubblica amministrazione la stabilizzazione dei precari viene cancellata e si limita, per le donne, l'uso del part time e della sua conversione. Nella lotta contro il lavoro sommerso si introduce una nuova fattispecie: basta la volontà di non occultare un rapporto per non avere sanzioni da parte del datore di lavoro; il part time viene ulteriormente limitato come già previsto nella decreto-legge n. 112 del 2008; viene ridotta la possibilità di copertura nel caso in cui ci siano dei familiari con gravi disabilità in seno alla famiglia (la «famigerata» legge 5 febbraio 1992, n. 104 come l'ha chiamata il ministro Brunetta). Si cambia il processo del lavoro limitando il potere del giudice; si scoraggia la conciliazione e si incoraggia l'arbitrato che è più costoso ed è privato; si rende più difficile l'impugnazione del licenziamento. Per quanto riguarda poi la dotazione degli ammortizzatori sociali, vorrei ricordare che, nella prima versione, questo Governo ha stanziato addirittura 20 milioni di euro in meno del Governo Prodi durante il quale la cassa integrazione e la disoccupazione erano in diminuzione. Adesso, per fortuna, ha pensato a un aumento di 150 milioni, che sono assolutamente insufficienti.
Credo si tratti di manovre sbagliate che si combinano, purtroppo, ad un allargamento dell'area della precarietà, della mancata stabilizzazione, di una flessibilità indiscriminata del lavoro che porteranno in una situazione di crisi, uno svantaggio evidente nei confronti dei lavoratori, aumentando l'area della disoccupazione.
Ciò che chiediamo è di basare, quindi, l'azione del Governo su alcuni elementi. È stato già detto e lo ripeto: crediamo davvero che potenziare il potere d'acquisto delle famiglie sia una manovra anticiclica, oltre che di equità sociale. Il fatto di volere una tredicesima detassata che porti un risultato intorno ai 400 euro pro capite per i redditi medio-bassi non è una misura demagogica, ma un intervento di leva di politica economica e fiscale che può consentirePag. 104di ridare spazio ai consumi, sia per quanto riguarda le pensioni che per le retribuzioni.
Sugli ammortizzatori sociali va fatta una manovra straordinaria: abbiamo visto qual è la situazione che si sta determinando nella gran parte dei territori, al nord come al sud, di questo Paese. Ci sono situazioni di crisi aziendale che porteranno a licenziamenti, all'aumento della cassa integrazione ed all'aumento della mobilità. Ci sono licenziamenti invisibili: i licenziamenti del precario che viene lasciato a casa perché si tratta di un lavoro a termine, un lavoro interinale, un contratto coordinato e continuativo o un lavoro a progetto. Queste persone silenziosamente scompariranno dal mercato del lavoro e la crisi comincerà ad attaccare anche il lavoro stabile. Dunque, investire in modo robusto in ammortizzatori sociali che siano capaci di dare una risposta per quanto riguarda le situazioni delle grandi, ma anche delle piccole imprese, del lavoro stabile e del lavoro precario, è un'esigenza fondamentale in questa situazione.
Infine, è necessario un intervento di politica industriale che sia capace di far sentire la voce del Governo a proposito delle scelte fondamentali a sostegno dei settori strategici dell'economia. Usciamo fuori da questo dibattito tutto provinciale sul fatto se sia necessario o meno sostenere il settore dell' automobile ed altri settori strategici. Voglio ricordare che negli Stati Uniti il nuovo Presidente Obama si pone il problema di un sostegno strategico e rilevante al settore dell'auto, a Detroit e a tutte le situazioni di produzione dell'automobile, anche perché, lo sappiamo, non è soltanto un settore strategico, ma un importante volano per l'occupazione e lo sviluppo del Paese.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

CESARE DAMIANO. In sostanza se nel mondo si pensa, in modo molto forte, alle logiche del New Deal, noi, mi auguro, dovremo tornare allo spirito del 1993, lo spirito della concertazione, lo spirito dell'unità, lo spirito del coinvolgimento e non della divisione delle parti sociali e del sindacato, purtroppo l'esatto contrario della politica di questo Governo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Comaroli. Ne ha facoltà.

SILVANA ANDREINA COMAROLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nei mesi scorsi gli effetti della crisi finanziaria scoppiata negli Stati Uniti si sono inevitabilmente ripercossi nel resto del mondo, e quindi anche in Italia. Il nostro sistema già attraversava una fase delicata, nella quale gli indicatori macroeconomici e congiunturali testimoniavano una crescita in forte rallentamento: ad un principio di crisi reale si sono perciò sommati gli effetti di una delle più pesanti crisi finanziarie del mondo moderno.
Le previsioni in Europa ed in Italia sono drammatiche, stimando un 2009 segnato da una crescita del PIL pari a zero se non addirittura negativa. Le azioni di politica economica dell'ultimo Governo Prodi, quali la modifica degli scaglioni IRPEF, l'aumento della pressione fiscale sui ceti medi, il passaggio dal sistema delle deduzioni a quello delle detrazioni, con conseguente aumento del prelievo attraverso le addizionali regionali e comunali, l'introduzione di nuovi e ulteriori adempimenti fiscali a carico dei contribuenti, avevano già contribuito pesantemente a deprimere i consumi e a generare un diffuso senso di sfiducia nei cittadini.
Ora deve essere condotto uno sforzo per concertare, almeno a livello europeo, politiche monetarie e fiscali comuni per contrastare gli effetti della crisi finanziaria e per evitare che si traduca in una drammatica crisi economica. In questo scenario devono senz'altro essere sostenute le imprese, soprattutto le piccole e le medie, che più potrebbero essere esposte agli effetti della crisi.
Le disponibilità del credito dovranno essere salvaguardate da parte del sistema creditizio per garantire la continuità degli investimenti e la salvaguardia, per quantoPag. 105possibile, dei livelli occupazionali. Le famiglie, in particolare quelle appartenenti ai ceti più deboli, dovranno vedere salvaguardato il loro potere d'acquisto per affrontare con maggiore serenità una fase che imporrà loro sicuramente grandi sacrifici.
Proprio a tutela delle famiglie il Governo, dopo pochi giorni dal suo insediamento, è intervenuto in modo efficace con l'abolizione dell'ICI sulla prima casa, ponendo fine a quindici anni di ingiusta tassazione sulla casa di proprietà; con l'introduzione della possibilità di rinegoziare i mutui a tasso variabile, stabilizzando le uscite mensili delle famiglie che negli ultimi mesi, a causa dell'impennata dei tassi di interesse, avevano visto crescere la loro rata, con una pesante riduzione del reddito disponibile; con la detassazione delle prestazioni di lavoro straordinario, contribuendo anche in questo caso alla salvaguardia del reddito disponibile delle famiglie.
Nei giorni immediatamente successivi al Consiglio Ecofin del 7 ottobre scorso, il Governo è intervenuto con il decreto-legge n. 155 del 2008 dando un preciso segnale ai mercati della volontà di tutelare i risparmiatori e salvaguardare la stabilità del sistema bancario e finanziario, precostituendo le condizioni normative per gli eventuali interventi pubblici ed ha ampliato gli strumenti a disposizione dello Stato per entrare nel capitale delle banche e garantire la possibilità di finanziamenti subordinando gli interventi alla necessità e alla volontà dei singoli istituti, alla presenza di un preciso programma di stabilizzazione e di rafforzamento e alla vigilanza della Banca d'Italia.
In questa fase delicata e complessa, dopo gli interventi estivi volti essenzialmente al contenimento del deficit, sarebbe opportuno, come già annunciato dal Ministro Tremonti, ampliare il raggio dell'azione di politica economica, alleggerendo la pressione fiscale sia sulle imprese, sia sulle famiglie. È indispensabile, pertanto, accelerare l'introduzione del federalismo fiscale per aumentare le responsabilità degli enti locali, avvicinare i cittadini ai centri di spesa, passare finalmente ad un criterio di costi standard, superando quello del costo storico che ha penalizzato gli enti virtuosi e ha fatto esplodere la spesa pubblica.
È per questo che la Lega ha cofirmato la mozione Stracquadanio ed altri n. 1-00062, proprio perché si vuole impegnare il Governo a concertare con i partner europei politiche di bilancio coordinate, con lo scopo di rivedere le modalità di applicazione del patto di stabilità e di liberare risorse a sostegno della domanda interna. Ora come ora, l'unica politica di sostegno e rilancio dell'economia può essere una politica di domanda pubblica organizzata solo su scala e nella dimensione europea, una domanda per infrastrutture pubbliche, creata mettendo insieme le risorse presenti nelle casse depositi e prestiti nazionali nella Banca europea per gli investimenti. Spesso è proprio la carenza di infrastrutture che frena lo sviluppo e la crescita.
Si chiede, inoltre, che si prosegua l'opera fin qui intrapresa a sostegno dei redditi delle imprese e delle famiglie. Per le prime sarebbe auspicabile la sospensione della validità degli studi di settore o almeno la loro revisione del breve termine per renderli più aderenti ad una realtà pesantemente diversa da quella in cui furono rivisti l'ultima volta, con particolare riferimento agli indici di normalità economica introdotti dal Governo Prodi. Sarebbe anche auspicabile l'introduzione del principio della deducibilità dell'IRAP per alleggerire la pressione fiscale sulle imprese e favorire soprattutto le piccole imprese e gli artigiani, nonché introdurre il versamento dell'IVA per cassa, fattore questo che aiuta la liquidità delle imprese.
Per le famiglie, nel breve termine, sarebbe auspicabile far decollare il fondo per i meno abbienti e la social card e rendere permanenti le misure già introdotte dalla manovra estiva per salvaguardare il potere d'acquisto delle retribuzioni e delle pensioni, come la soppressione dell'ICI sulla prima casa e le agevolazioni fiscali per il lavoro straordinario e i premi per gli aumenti di produttività.Pag. 106
Nel medio e lungo termine sarebbe auspicabile alleggerire la pressione fiscale riducendo gli scaglioni IRPEF e rivedendo il sistema delle detrazioni e delle deduzioni, considerando l'introduzione del quoziente familiare a tutela delle famiglie più numerose. Anche noi della Lega auspichiamo che la mozione presentata, vista l'importanza che hanno le nostre imprese e soprattutto le nostre famiglie, venga approvata dalla Camera con il più ampio consenso possibile.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, intervengo brevemente, soltanto per svolgere alcune considerazioni in replica a quanto detto dall'ex Ministro Damiano.
Sottolineo che probabilmente i vantaggi dell'abolizione dell'ICI sulla prima casa non sono andati a qualche misterioso gruppo immobiliare, ma alle famiglie, ai possessori di una prima casa, e quindi a persone che hanno messo da parte dei soldi e che in questo momento sono alleviati dalla pressione fiscale. Inoltre, se vogliamo rendere veramente costruttivo un dibattito come questo, su temi importanti e sentiti, è evidente che quando si illustrano le mozioni bisognerebbe anche cogliere quanto viene esplicitato da coloro che ne sono primi firmatari o sono interessati all'illustrazione, come nel caso dell'onorevole Stracquadanio, il quale ha spiegato chiaramente quali sono le ragioni per cui non si procede ad una detassazione della tredicesima, perché evidentemente la ripercussione di questo provvedimento sulla domanda interna è tutt'altro che comprovata.
Per il resto, credo che l'illustrazione del collega Stracquadanio sia stata talmente esaustiva da non avere bisogno di altre precisazioni e quindi, anche per favorire una rapida conclusione dei lavori di quest'Aula, termino qui il mio intervento.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Luigi Casero.

LUIGI CASERO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, il Governo si riserva di intervenire successivamente.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Annunzio dell'elezione del Presidente e della nomina del Vicepresidente della Corte costituzionale.

PRESIDENTE. Comunico che, in data 14 novembre 2008, il Presidente della Corte costituzionale ha inviato al Presidente della Camera la seguente lettera: «Illustre Presidente, ho l'onore di comunicarle, ai sensi dell'articolo 6 della legge n. 87 del 1953, che la Corte costituzionale, oggi riunita nella sua sede del Palazzo della Consulta, mi ha eletto Presidente. Con viva cordialità e stima. Firmato: Giovanni Maria Flick».
Informo inoltre che, in pari data, il Presidente della Corte costituzionale ha comunicato di aver nominato Vicepresidente della Corte il giudice costituzionale dottor Francesco Amirante.
Mi si consenta di esprimere, a nome di tutta l'Assemblea, oltre che mio personale, le congratulazioni a Giovanni Maria Flick per l'alto incarico che va a ricoprire.

Modifica nella composizione della Commissione parlamentare per l'infanzia.

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente della Camera ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare per l'infanzia il deputato Barbara Mannucci, in sostituzione del deputato Elena Centemero, dimissionaria.

Pag. 107

Ordine del giorno
della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 18 novembre 2008, alle 14:
(ore 14 e al termine dei punti 6, 7 e 8).

1. - Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 1038 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 settembre 2008, n. 147, recante disposizioni urgenti per assicurare la partecipazione italiana alla missione di vigilanza dell'Unione europea in Georgia (Approvato dal Senato) (1802).
Relatori: Stefani, per la III Commissione e Cicu, per la IV Commissione.

2. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 20 ottobre 2008, n. 158, recante misure urgenti per contenere il disagio abitativo di particolari categorie sociali (1813-A).
Relatore: Gibiino.

3. - Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 1072 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 2 ottobre 2008, n. 151, recante misure urgenti in materia di prevenzione e accertamento di reati, di contrasto alla criminalità organizzata e all'immigrazione clandestina (Approvato dal Senato) (1857)
Relatori: Santelli, per la I Commissione e Scelli, per la II Commissione.

4. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 9 ottobre 2008, n. 155, recante misure urgenti per garantire la stabilità del sistema creditizio e la continuità nell'erogazione del credito alle imprese e ai consumatori, nell'attuale situazione di crisi dei mercati finanziari internazionali (1762-A).
Relatore: Conte.

5. - Seguito della discussione delle mozioni Veltroni ed altri n. 1-00057, Stracquadanio ed altri n. 1-00062, Casini ed altri n. 1-00063 ed Evangelisti ed altri n. 1-00064 concernenti detrazioni fiscali per i redditi da lavoro dipendente e da pensione e misure di finanza pubblica per la riduzione della pressione fiscale sulle famiglie e a favore delle persone che perdono il lavoro.

(ore 18,30).

6. - Discussione del disegno di legge (per l'esame e la votazione delle questioni pregiudiziali presentate):
Conversione in legge del decreto-legge 6 novembre 2008, n. 172, recante misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania, nonché misure urgenti di tutela ambientale (1875).

7. - Discussione del disegno di legge (per l'esame e la votazione delle questioni pregiudiziali presentate):
S. 1083 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 ottobre 2008, n. 154, recante disposizioni urgenti per il contenimento della spesa sanitaria e in materia di regolazioni contabili con le autonomie locali (Approvato dal Senato) (1891).

8. - Deliberazione sulla richiesta di stralcio relativa alla proposta di legge n. 977.Pag. 108
PROPOSTA DI LEGGE DI CUI SI RICHIEDE LO STRALCIO
LIVIA TURCO ed altri: Interventi per la qualità e la sicurezza del Servizio sanitario nazionale. Deleghe al Governo in materia di assistenza primaria e di emergenza sanitaria territoriale, di riorganizzazione degli enti vigilati, di farmacie e per il coordinamento della disciplina legislativa in materia sanitaria (977).

La seduta termina alle 22,25.

TESTO INTEGRALE DELLE RELAZIONI DEI DEPUTATI JOLE SANTELLI E MAURIZIO SCELLI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 1857

JOLE SANTELLI, Relatore per la I Commissione. Il decreto-legge sul quale le Commissioni riunite I e II riferiscono oggi all'Assemblea persegue il triplice obiettivo di evitare effetti pregiudizievoli all'attività di prevenzione e di repressione dei reati, di contrastare la criminalità organizzata e di fronteggiare l'intensificarsi del fenomeno dell'immigrazione clandestina.
Rispetto al testo originario sono state apportate dal Senato alcune significative modificazioni, non solo attraverso puntuali correzioni di singole disposizioni, ma anche mediante l'inserimento di alcuni articoli aggiuntivi, che costituiranno oggetto di approfondimento in questa sede.
Mi soffermerò sulle parti di competenza della Commissione Affari costituzionali: si tratta degli articoli 2 e 3, nonché 2-bis, 2-ter, 2-quater e 2-quinquies, questi ultimi introdotti nel testo nel corso dell'esame presso il Senato.
L'articolo 2 autorizza l'impiego, fino al 31 dicembre 2008, di un contingente di - al massimo - 500 militari delle Forze armate in quelle aree del Paese dove, in presenza di specifiche ed eccezionali esigenze di prevenzione della criminalità, appare necessario assicurare un più efficace controllo del territorio.
Tale contingente si aggiunge a quello di tremila unità già previsto dall'articolo 7-bis del decreto-legge n. 92 del 2008, al quale il decreto-legge oggi in discussione rinvia per la definizione delle modalità di impiego.
Ricordo che, in base al decreto-legge n. 92, il personale militare è posto a disposizione dei prefetti delle province in cui si sono verificate le specifiche ed eccezionali esigenze sopra citate. Spetta al Ministro dell'interno adottare, di concerto con il Ministro della difesa, il piano per l'utilizzo dei militari da parte dei prefetti. Il piano in questione può prevedere l'impiego dei militari, fino al contingente massimo indicato dalla norma, per non più di sei mesi, rinnovabili per una sola volta, ed è adottato sentito il Comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica, cui è chiamato a partecipare il Capo di Stato maggiore della difesa e previa informazione al Presidente del Consiglio dei ministri.
È previsto che il Ministro dell'interno riferisca alle competenti Commissioni parlamentari sui risultati dell'impiego dei militari. Nel corso dell'esame in sede referente, il Governo si è detto pronto a riferire in ogni momento alle Commissioni sugli esiti dell'attuazione del piano ed ha fornito intanto dati analitici di grande interesse sull'operato concreto dei militari sul territorio.
Il contingente delle Forze armate previsto dal primo decreto-legge è stato così ripartito: mille unità per la vigilanza a siti ed obiettivi sensibili presenti nelle città di Milano, Roma e Napoli; mille unità per la vigilanza a sedici Centri di accoglienza per immigrati; e mille unità per le esigenze di perlustrazione e pattuglia in concorso e congiuntamente alle forze di polizia nelle città di Bari, Catania, Milano, Napoli, Padova, Palermo, Roma, Torino e Verona.
I militari vengono, di massima, utilizzati, in concorso e congiuntamente alle forze di polizia, in servizi di vigilanza fissa a siti e obiettivi sensibili, compresi i posti ci controllo su assi viari ritenuti particolarmente rilevanti ai fini di un coordinato controllo del territorio, con il concorsoPag. 109congiunto delle forze di polizia nei posti di controllo (due unità di polizia e almeno una squadra di militari), ovvero di vigilanza dinamica per gli obiettivi fissi. Vengono altresì utilizzati in servizi di vigilanza dinamica a più obiettivi sensibili presenti in una delimitata area, con il concorso del personale preposto all'ordinario controllo del territorio, e in servizi di vigilanza presso zone perimetrali, che racchiudono aree interessate da interventi operativi, con il concorso delle forze di polizia impegnate.
L'articolo 2-bis reca misure per il rafforzamento dell'azione di contrasto alla criminalità organizzata.
In particolare, il comma 1 dispone, in via straordinaria, un incremento di trenta milioni di euro delle risorse del Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, a valere sulle dotazioni finanziarie del Fondo di solidarietà delle vittime delle richieste estorsive e dell'usura.
Ricordo che il primo dei due predetti fondi, istituito con la legge n. 512 del 1999, ha lo scopo di indennizzare le vittime dei reati di tipo mafioso che si siano costituiti parte civile nei procedimenti penali intentati nei confronti degli autori dei reati. Hanno diritto all'indennizzo, entro i limiti delle disponibilità finanziarie annuali del Fondo, quanti hanno ottenuto in proprio favore, nel relativo giudizio penale o civile, una sentenza, anche non definitiva, di riconoscimento dei danni subiti e che non versino nelle situazioni soggettive ostative indicate dalla legge. Ai benefici possono accedere le persone fisiche, o i loro eredi, e gli enti.
Come chiarito dal rappresentante del Governo nel corso dell'esame in sede referente, lo spostamento di risorse dal Fondo di solidarietà delle vittime delle richieste estorsive e dell'usura al Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso non significa in alcun modo una maggiore attenzione del Governo per le vittime dei reati di tipo mafioso rispetto alle vittime delle richieste estorsive e dell'usura. Lo spostamento di risorse dipende unicamente dal fatto che, nell'attuale contingenza del momento, capita che il Fondo di solidarietà delle vittime delle richieste estorsive e dell'usura registri un surplus, mentre il Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso registra un deficit. Più precisamente, alla data del 30 ottobre 2008, la disponibilità finanziaria del Fondo di solidarietà delle vittime delle richieste estorsive e dell'usura risultava pari a 43,9 milioni di euro. Lo stanziamento del Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso risultava, invece, alla stessa data, interamente impegnato.
Lo spostamento di risorse, quindi, serve solo a fronteggiare il deficit dell'un Fondo attingendo a risorse dell'altro Fondo, ossia a risorse disponibili presso il Ministero dell'interno e momentaneamente inutilizzate.
Al fine, poi, di evitare che in futuro, al verificarsi di una situazione analoga, si debba ricorrere nuovamente ad una legge per spostare le risorse dall'un Fondo all'altro, il comma 2 dell'articolo 2-bis del decreto-legge in discussione prevede che il Ministro dell'interno possa, con proprio decreto, destinare al Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso una quota dei versamenti annuali delle imprese assicurative devoluti al Fondo di solidarietà delle vittime delle richieste estorsive e dell'usura.
Gli articoli 2-ter, 2-quater e 2-quinquies, anch'essi introdotti dal Senato, apportano modifiche alla disciplina in materia di benefici a favore delle vittime di reati di tipo mafioso, di cui alle leggi n. 512 del 1999 e n. 302 del 1990, al fine - sostanzialmente - di escludere dalla platea dei beneficiari i soggetti condannati per reati di mafia o comunque legati ad ambienti mafiosi.
In particolare, l'articolo 2-ter apporta modifiche alla legge n. 512 del 1999, istitutiva del Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, aggiungendo all'articolo 4, che disciplina il diritto di accesso al Fondo, un comma 4-bis inteso a precisare che non possono accedere ai benefici del Fondo gliPag. 110eredi di quanti, pur avendone i requisiti, sono deceduti a seguito della consumazione dei gravi reati di associazione di tipo mafioso anche straniera di cui all'articolo 416-bis del codice penale, salvo il caso che il soggetto deceduto avesse assunto prima della morte la qualità di collaboratore di giustizia e il programma di protezione non gli fosse stato revocato per causa a lui imputabile.
Una ulteriore modifica riguarda la disciplina della gestione delle domande per l'accesso al Fondo di rotazione, di cui all'articolo 6, comma 1, della legge n. 512 del 1999. Si prevede, ora, la verifica della sussistenza di ulteriori requisiti per l'accesso al Fondo da parte del Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso, nei casi di soggetto deceduto in conseguenza di reati di associazione a delinquere di stampo mafioso. Il Comitato dovrà accertare che, al momento di presentazione della domanda di accesso al Fondo o al momento dell'evento lesivo che ne ha provocato la morte, non vi siano, nei confronti del beneficiario, procedimenti penali in corso, né sentenze di condanna per i gravi reati di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a) del codice di procedura penale (vale a dire quelli per i quali il codice prevede che le indagini preliminari possano avere una durata massima superiore all'ordinario), né procedimenti di prevenzione antimafia.
L'articolo in esame aggiunge, inoltre, un articolo 7-bis alla legge n. 512 del 1999, che prevede l'adozione di un nuovo regolamento di attuazione del Fondo di rotazione, di modifica di quello di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 284 del 2001. Il regolamento, proposto dal Ministro dell'interno, di concerto coi Ministri della giustizia, dell'economia, dello sviluppo economico e del lavoro, della salute e delle politiche sociali, è adottato entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge, con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato, che deve pronunziarsi entro novanta giorni dalla richiesta.
Il regolamento dovrà prevedere la sospensione, fino alla decisione del giudice civile, della ripetizione delle somme già liquidate dal Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso a seguito di condanna al pagamento di una provvisionale, quando il giudice dell'impugnazione dichiara estinto il reato per morte del reo, ai sensi dell'articolo 129 del codice di procedura penale; e la ripetizione delle somme già pagate a titolo di provvisionale quando, a seguito di estinzione del reato, l'azione civile di risarcimento esperita contro gli eredi del reo si sia conclusa con la soccombenza della vittima attrice o dei suoi successori.
L'articolo 2-quater interviene sulla disciplina dei benefici per le vittime della criminalità organizzata, ridefinendo la platea dei soggetti aventi diritto alle elargizioni di cui alla legge n. 302 del 1990 al fine di escludere dal novero dei beneficiari i soggetti che partecipino a ambienti o rapporti delinquenziali.
In particolare, la disposizione in esame novella la lettera b) del comma 2 dell'articolo 1 della citata legge n. 302 richiedendo, ai fini dell'erogazione dell'elargizione per invalidità prevista dal comma 1 del medesimo articolo, che il soggetto leso debba essere del tutto estraneo ad ambienti e rapporti delinquenziali non solo al momento dell'evento, come attualmente previsto, ma in via generale, e quindi anche in epoca successiva alle lesioni. La disposizione continua, peraltro, a fare salvo il caso di accidentale coinvolgimento passivo nell'azione lesiva.
Con riferimento ai rapporti intrattenuti in epoca precedente, non viene modificata la previsione della lettera b), che già richiedeva che il soggetto risultasse, al tempo dell'evento, già dissociato o comunque estraniato dagli ambienti e dai rapporti delinquenziali cui partecipava.
L'articolo 2-quinquies è volto a escludere che i benefici previsti per i superstiti delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata possano essere attribuiti a soggetti comunque legati alla criminalità organizzata o ad ambienti delinquenziali.Pag. 111
In particolare, il comma 1 introduce due ulteriori requisiti per i benefici in parola. Il primo requisito è l'assenza di rapporti di coniugio, affinità o convivenza con persone nei confronti delle quali sia in corso un procedimento per l'applicazione o siano applicate misure di prevenzione ai sensi della legge n. 575 del 1965, ovvero per i quali sia in corso un procedimento per uno dei delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale. Stando alla lettera della disposizione, non è invece richiesta l'assenza di rapporti di parentela con le categorie di persone in questione. Il rappresentante del Governo ha chiarito, nel corso dell'esame in sede referente, che il Governo interverrà quanto prima, con un separato provvedimento, a modificare la disposizione al fine di chiarire che anche i rapporti di parentela, e non solo quelli di coniugio, affinità o convivenza, sono preclusivi dell'accesso ai benefici in questione.
Il secondo requisito è la totale estraneità ad ambienti e rapporti delinquenziali ovvero la dissociazione, al tempo dell'evento, da essi.
Il comma 2 dell'articolo 2-quinquies prevede invece che il sopravvenuto mutamento delle condizioni per il riconoscimento dei benefici determini l'interruzione delle erogazioni già disposte e l'integrale ripetizione dei benefici già erogati.
L'articolo 3 contiene un'autorizzazione di spesa in gran parte finalizzata alla costruzione di nuovi centri di identificazione ed espulsione (CIE).
Il comma 1 stanzia 3 milioni di euro per l'anno 2008, 37,5 euro per il 2009, 40,47 euro per il 2010 e 20,075 euro per il 2011 e per ognuno degli anni successivi, per l'ampliamento ed il miglioramento della disponibilità ricettiva dei centri di identificazione ed espulsione. La gran parte delle somme stanziate nei primi anni - 3 milioni per il 2008 e 37,5 per ciascuno degli anni 2009 e 2010 - è destinata alla costruzione di nuovi centri.
Come si legge nella relazione illustrativa del disegno di legge di conversione (S. 1072), le misure sono dirette a «fronteggiare lo straordinario intensificarsi dei flussi di immigrazione clandestina, di cui la manifestazione più evidente è rappresentata dagli sbarchi lungo le coste nazionali, che rendono urgente adeguare le strutture di trattenimento degli stranieri da espellere alle dimensioni e all'entità del fenomeno in atto». In particolare, le risorse stanziate rappresentano la premessa di «un piano straordinario di ampliamento della ricettività dei centri di identificazione ed espulsione per garantire la migliore funzionalità delle procedure di espulsione attraverso la costruzione di nuove strutture di trattenimento».
Inoltre, per quanto riguarda la normativa europea, il riferimento è alla nuova direttiva europea sui rimpatri, come chiarito dalla relazione tecnica al medesimo disegno di legge di conversione, di cui il piano straordinario di costruzione di nuovi CIE anticipa l'attuazione.
Il comma 2 provvede alla copertura degli oneri finanziari dell'articolo e il comma 3 autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
Concludo ricordando che le Commissioni competenti in sede consultiva hanno espresso tutte parere favorevole sul provvedimento e che il Comitato per la legislazione ha espresso un parere con osservazioni.

MAURIZIO SCELLI, Relatore per la II Commissione. Quale relatore per la Commissione Giustizia, mi soffermerò sulle parti di competenza della Commissione. Si tratta, in particolare, degli articoli 1 e 3-bis.
L'articolo 1 interviene sul decreto legislativo 30 maggio 2008, n. 109, in materia di conservazione, da parte degli operatori di telefonia e di comunicazione elettronica, dei dati relativi al traffico telefonico e telematico. In particolare, si modifica la disciplina transitoria, posticipando l'entrata in vigore delle disposizioni relative alla conservazione dei dati sulle chiamate senza risposta e dei dati del traffico telematico.Pag. 112
Il nuovo termine, originariamente fissato dal decreto-legge al 31 marzo 2008, è stato ritenuto insufficiente dal Senato che, nel corso dell'esame del disegno di legge, lo ha posticipato al 31 marzo 2009.
Il provvedimento, in particolare, modifica l'articolo 6 del decreto legislativo n. 109 del 2008, che ha dato attuazione alla direttiva 2006/24/CE, volta ad armonizzare le disposizioni nazionali degli Stati membri con riferimento all'obbligo, da parte dei fornitori di servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico e di reti pubbliche di comunicazione, di conservare alcuni dati da questi generati o trattati (la fonte e la destinazione di una comunicazione; la data e la durata della comunicazione; il tipo di comunicazione; il tipo di attrezzatura utilizzata; l'ubicazione delle apparecchiature), al fine di renderli disponibili in caso di indagine, accertamento e perseguimento di reati gravi, quali definiti dalle norme nazionali di ciascuno Stato.
Per dare attuazione alla suddetta direttiva, l'articolo 2 del decreto legislativo n. 109 del 2008 ha modificato l'articolo 132 del codice in materia di protezione dei dati personali, prevedendo un periodo unico di conservazione, senza distinzioni in base al tipo di reato, pari a: ventiquattro mesi per i dati di traffico telefonico; dodici mesi per i dati di traffico telematico; trenta giorni per i dati relativi alle chiamate senza risposta. Il decreto-legge in esame, quindi, interviene sulla disciplina transitoria fissata dall'articolo 6 del decreto legislativo n. 109 del 2008.
Nel corso dell'esame in sede referente, il Governo ha chiarito di avere l'intendimento di rivedere la disciplina della conservazione dei dati del traffico telefonico e telematico al fine di contemperare l'esigenza della tutela della riservatezza con quella dell'efficacia delle indagini di polizia, precisando che è a tal fine in corso un confronto con il Garante per la tutela dei dati personali. L'esigenza di salvaguardare la privacy rischia, se non adeguatamente circoscritta (sempre nel rispetto dei principi fondamentali), di pregiudicare un'altra esigenza anch'essa meritevole di tutela: quella delle indagini. Il sottosegretario, onorevole Mantovano, ha infatti rilevato che il decreto legislativo n. 109 del 2008, nel recepire la direttiva 2006/24/CE in modo eccessivamente rigoroso, ha di fatto bloccato centinaia di indagini su reati importanti, come quelli di pedopornografia, mentre la conservazione dei dati relativi al traffico telefonico senza risposta è in passato risultata essenziale in indagini su fatti di matrice terroristica.
Altro problema rilevato dal Governo in Commissione è rappresentato dal tracciamento IP (internet provider), quello cioè che consente l'identificazione univoca della fonte di una comunicazione telematica. Sotto questo profilo vi è, da un lato, il problema che le società telefoniche chiedono di disporre di maggior tempo per i necessari adeguamenti tecnologici e, dall'altro, la necessità di mutare la qualificazione normativa di questo dato, che nel decreto legislativo n. 109 è assimilato al contenuto della corrispondenza, e conseguentemente soggetto alla relativa disciplina di tutela della riservatezza, mentre il Governo auspica, per esso, il ripristino della qualificazione prevista dal decreto-legge n. 144 del 2005 (cosiddetto decreto Pisanu). Più in particolare, per quanto riguarda la qualificazione dell'indirizzo IP (internet provider), l'onorevole Mantovano ha precisato in Commissione che il Ministero dell'interno ha avviato consultazioni non soltanto con il Garante per la protezione dei dati personali, ma anche con il Procuratore nazionale antimafia e con gli altri dicasteri interessati. È emerso, tra l'altro, che tutti i provider, ad eccezione di uno, hanno ormai provveduto ad assegnare a ciascun utente un indirizzo IP univoco, quello cioè che consente il tracciamento dei dati telematici, utilizzando a tal fine proficuamente la proroga concessa dal decreto-legge in esame.
Tutto ciò dimostra che trovare il punto di equilibrio tra esigenze che sembrano contrapposte (riservatezza ed indagini) è una questione estremamente delicata. Occorre consentire di svolgere indagini per reati odiosi senza che per questo sia pregiudicato in maniera eccessiva il dirittoPag. 113alla riservatezza. Il punto è: fino a quanto lo Stato può spingersi nel penetrare la sfera di riservatezza dei cittadini al fine di tutelare i medesimi, specialmente in via preventiva, rispetto a reati gravi? Di certo la riservatezza non è un bene assoluto che come tale deve essere salvaguardato. Ma ciò non significa che sia assolutamente intangibile. Così come per tutti i beni di rango costituzionale, il grado di cedevolezza del diritto che ne scaturisce lo si misura sulla base del principio di bilanciamento degli interessi. Vi possono essere dei beni di stesso rango che però sono di segno opposto. Nel caso in esame, l'interesse contrapposto è dato dalla sicurezza dei cittadini, che devono essere protetti, anche attraverso le attività di indagine, dallo Stato. La riservatezza, quindi, non è un bene assoluto che come tale impedisce o riduce necessariamente al minimo la conservazione dei dati del traffico telefonico e telematico. Piuttosto, essa pone dei paletti alle attività di indagine. Questi paletti, però, non possono spingersi fino a rendere di fatto le indagini per reati gravi inefficaci.
Altro punto di competenza della Commissione Giustizia è dato dall'articolo 3-bis. Questo, introdotto nel corso dell'esame al Senato, prevede disposizioni in materia di indennità in favore di GOT (giudici onorari di tribunale) e VPO (vice procuratori onorari). La norma mira alla razionalizzazione della attuale disciplina contenuta nel decreto legislativo n. 273 del 1989 che - nel tempo e, soprattutto, a seguito delle nuove competenze attribuibili per delega ai VPO - ha portato ad una disomogeneità della prassi e dei criteri di quantificazione delle indennità dovute a detti magistrati onorari.
Il comma 1 modifica l'articolo 4 del decreto legislativo n. 273 del 1989, novellando i commi 1 e 2 ed introducendo disposizioni aggiuntive. Detta norma reca la disciplina delle indennità (adeguabili ogni tre anni con decreto ministeriale) in favore dei giudici onorari di tribunale e dei viceprocuratori onorari per le loro attività di supplenza dei giudici ordinari nelle udienze civili e penali. Il vigente comma 1 del citato articolo 4 prevede che ai giudici onorari di tribunale spetti un'indennità di euro 98,13 per ogni udienza, anche se tenuta in camera di consiglio, nonché l'impossibilità di corrispondere più di due indennità al giorno. Quindi il massimo dell'indennità giornaliera corrisposta al GOT, non può superare i 196,26 euro. Il nuovo comma 1 dell'articolo 4, conferma (arrotondandola) l'indennità giornaliera di 98 euro, riferendola però alle «attività di udienza svolte nello stesso giorno»; quindi indipendentemente dal numero di udienze tenute; un'ulteriore indennità di 98 euro viene, peraltro, corrisposta quando l'attività del giudice onorario (definita complessivo impegno lavorativo) per le attività di udienza superi le cinque ore complessive (nuovo comma 1-bis).
Rispetto alla norma vigente, in definitiva, è previsto un compenso unitario in funzione della durata dell'impegno lavorativo; l'indennità aggiuntiva non scatta più automaticamente in caso di seconda udienza giornaliera ma solo quando l'impegno lavorativo del giudice per le attività di udienza superi comunque il limite delle cinque ore.
Anche il vigente comma 2 dello stesso articolo 4 attribuisce ai viceprocuratori onorari un'indennità di euro 98,13 per ogni udienza in relazione alla quale è conferita la delega da parte del Procuratore della Repubblica ai sensi dell'articolo 72 dell'ordinamento giudiziario; la norma precisa l'obbligo di attribuzione per intero dell'indennità anche se la citata delega è conferita soltanto per uno o per alcuni dei processi trattati nell'udienza. Come ai GOT, anche ai VPO non possono essere
corrisposte più di due indennità al giorno.
Il nuovo comma 2 attribuisce l'indennità giornaliera di 98 euro per la partecipazione ad una o più udienze in relazione alle quali è conferita la delega nonché per ogni altra diversa attività (non d'udienza) loro delegabile per legge; la disposizione precisa che la misura dell'indennità non varia anche se dette attività siano svolte cumulativamente. Anche in tal caso, analogamente a quanto disposto perPag. 114i GOT, un comma 2-bis aggiuntivo stabilisce in capo al VPO il diritto all'indennità aggiuntiva di 98 euro in caso d'impegno lavorativo complessivo superiore alle cinque ore giornaliere. Ai fini della corresponsione dell'indennità aggiuntiva la misurazione temporale dell'attività giornaliera (inferiore o superiore alle cinque ore) avviene sulla base dei verbali delle udienze tenute da GOT e VPO. In relazione, invece, ai soli viceprocuratori onorari, il tempo trascorso in ufficio per lo svolgimento delle altre attività delegabili per legge (diverse da quelle d'udienza) è «rilevato» dal Procuratore della Repubblica. È, quindi, possibile che la durata dell'impegno lavorativo complessivo di questi, si determini cumulando l'attività di udienza con quella svolta per espletare le altre attività delegabili (comma 2-ter).
Il comma 2 dell'articolo 3-bis dispone, infine, che dall'attuazione delle norme del predetto articolo non possano derivare nuovi o maggiori oneri.
L'articolo 3-bis, riguardando una particolare questione della magistratura onoraria, offre lo spunto per ribadire l'esigenza del riordino del ruolo della magistratura onoraria. Come è stato dichiarato in un ordine del giorno accolto dal Governo nel luglio scorso, in occasione della conversione in legge del decreto-legge 30 maggio 2008, n. 95, recante disposizioni urgenti relative al termine per il riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria, la magistratura onoraria non ha più un ruolo complementare e occasionale nell'amministrazione della giustizia. La magistratura onoraria, se opportunamente inquadrata, potrebbe essere il volano di un nuovo andamento dell'amministrazione della giustizia, avvicinando la giustizia ai cittadini e assicurando la celerità del servizio, in attuazione del principio costituzionale della ragionevole durata del processo. Attualmente, invece, sussistono diverse categorie di giudici onorari, con altrettanto diversi criteri di selezione, con diverse retribuzioni e con diverse durate di rapporti di lavoro, ma tutti improntati ad una precarietà non giustificata dalla qualità del servizio che sempre più viene fornito con alto tasso di professionalità dai magistrati onorari. Per quanto il decreto-legge in esame abbia un ambito applicativo limitato e non riguardi tutta la magistratura onoraria, vorrei ricordare al Governo l'impegno che ha già assunto nei confronti del Parlamento di formulare una proposta organica di riforma della magistratura onoraria tale da consentire al Parlamento di approvarla entro la data del 31 dicembre 2009.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO FRANCO CECCUZZI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 1762-A

FRANCO CECCUZZI. Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, l'atto Camera n. 1762-A che arriva oggi all'esame dell'Aula è un disegno di legge in cui sono stati riversati, per la conversione, i due decreti-legge, il n. 155 ed il n. 157, che sono stati emanati dal Governo italiano per fronteggiare la fase più acuta della crisi finanziaria in cui si sono cumulate pericolosamente la crisi di capitali, la crisi di liquidità e la crisi di fiducia sul mercato interbancario.
Questo provvedimento è stato incardinato in Commissione Finanze il 16 ottobre e dunque vi è rimasto per più di un mese. Un periodo lungo ben speso per l'attività di audizione che ha consentito un confronto con gli operatori, le autorità di vigilanza, pur con l'assenza di Banca d'Italia, e le forze sociali, ma che è culminato in un atterraggio assolutamente inadeguato nell'ultima settimana, quando la maggioranza ed il Governo hanno precluso all'opposizione di migliorare il provvedimento con l'introduzione di misure concrete a favore delle famiglie e delle imprese.
Il Partito Democratico si è posto sin dall'inizio con un atteggiamento di responsabilità, adeguato alla crisi economica e finanziaria che stiamo vivendo, esprimendo, senza esitazioni, un giudizio positivo sulle finalità dei provvedimenti e riservandosi,Pag. 115come è giusto, di giungere ad una valutazione definitiva quando il Governo avesse chiarito se e come intervenire a sostegno del sistema bancario e quali condizioni porre alle banche, che ricevono l'aiuto dello Stato, per andare incontro alle difficoltà con il credito che devono affrontare le famiglie e le imprese.
La netta, ingiustificata e miope chiusura in Commissione finanze da parte del Governo e della maggioranza, le dichiarazioni del Presidente del Consiglio e del Ministro dell'economia rilasciate a Washington, al termine del G-20, che rivelano l'intenzione di emanare, in questa settimana, due decreti-legge, rendono questo provvedimento una sorta di legge delega o una dichiarazione d'intenti, dal momento che le scelte vere a sostegno della nostra economia e del sistema creditizio non sono qui e anche perché almeno fino ad oggi proprio non ci sono.
È in questa direzione che abbiamo presentato diversi emendamenti con l'obiettivo di promuovere interventi a sostegno dei redditi familiari e per garantire, soprattutto nella attuale fase economica, la stabilità del sistema creditizio e la continuità nella erogazione del credito.
Una delle voci che incide maggiormente sui bilanci familiari, come ha testimoniato tra l'altro un recente studio della Cgia di Mestre, è rappresentato dall'indebitamento medio delle famiglie italiane (comprendente mutui per l'acquisto della casa, prestiti per l'acquisto di beni mobili, credito al consumo, finanziamenti per la ristrutturazione di beni immobili) che ha raggiunto 15.765 euro all'anno, una cifra quasi raddoppiata dal 2002 al 2007.
Si tratta quindi di una voce assolutamente non marginale su cui intervenire tempestivamente se si vuole sostenere i redditi reali: per questi motivi abbiamo presentato un emendamento per elevare la detraibilità degli oneri passivi di mutui prima casa passando dal 19 al 23 per cento agganciandola quindi al primo scaglione di reddito Irpef. Altre proposte emendative riguardano poi la legge Bersani sulla portabilità dei mutui, chiarendo una volta per tutte il principio di gratuità della surroga ed introducendo sanzioni economiche nei confronti di quegli istituti di credito - purtroppo ancora molti, come testimoniano le denunce delle associazioni dei consumatori e le multe dell'Antitrust - che continuano a non applicare correttamente la normativa a scapito dei clienti.
Sempre in questo contesto abbiamo inoltre richiesto la modifica dell'Accordo Abi - Ministero dell'economia e delle finanze, con l'obiettivo di dare un aiuto concreto ai mutuatari in difficoltà che rischiano il pignoramento dell'abitazione e proposto il finanziamento delle Fondazioni e le Associazioni che operano per la prevenzione dell'usura.
Altrettanto importante è garantire, proprio in questa fase di recessione economica, l'accesso al credito soprattutto nei confronti delle le categorie deboli: abbiamo proposto quindi l'istituzione di un Fondo per il credito ai giovani di età compresa tra i diciotto e i quaranta anni e la creazione di un Fondo Nazionale per il Microcredito. Strumenti finanziari quindi che possano valutare le capacità, l'entusiasmo e le potenzialità dei progetti e non soltanto gli indici reddituali o la situazione patrimoniale e di garanzie di chi richiede un finanziamento.
Sempre in questo contesto i nostri emendamenti chiedono una regolamentazione certa ed efficace delle attività di intermediari finanziari e dei mediatori del credito. Una disciplina, stabilita dal Ministero delle finanze di concerto con la Banca d'Italia, che definisca i parametri indicizzazione, parcelle e spese a carico dei clienti, renda trasparente le attività e preveda sanzioni penali e finanziarie per i trasgressori.
Si parla di 80 miliardi per affrontare la recessione che è in arrivo in Italia e, come sempre più spesso accade in questa legislatura, il Parlamento è costretto a leggere sui giornali le ipotesi di misure che sono al vaglio nei ministeri senza , peraltro indicare come saranno reperite le risorse. Si tratta di decisioni delicatissime che vengono sottratte al confronto parlamentare ed a quel rapporto di responsabilità nazionale che sarebbe necessario si instaurassePag. 116tra Governo, maggioranza ed opposizione in un momento così delicato per la vita del paese e per le condizioni di vita degli italiani.
Pochi giorni fa sono stati resi noti i dati di settembre relativi alla produzione industriale: 2,1 in meno su base mensile, 5,7 in meno su base annua, con i settori di pelli e calzature a meno 19,3; legno e prodotti del legno a meno 13,2; mezzi di trasporto - sappiamo cosa questo significhi nel nostro Paese - a meno 12,8; apparecchiature elettriche meno 9,7.
Nei mesi di agosto e settembre la cassa integrazione è aumentata del 53 per cento fra tutti i lavoratori e fra gli impiegati del 113 per cento, senza dimenticare che c'è una schiera invisibile di difficile rilevazione, in quanto non ci sono le tabelle INPS per loro, di lavoratori con contratti atipici che perdono il lavoro perché non si rinnovano i contratti a termine o perché si sospendono i contratti di collaborazione.
Questi lavoratori sono scoperti completamente per quanto riguarda il sostegno al reddito fra un lavoro e l'altro e con la crisi in atto il periodo di non lavoro può essere molto lungo.
Sappiamo che molti di questi lavoratori sono donne ed è in queste fasce che si rilevano le forme in crescita di povertà femminile ed infantile; inoltre, ci sono molte famiglie monogenitoriali, composte da donne, che svolgono lavori atipici, e bambini.
Se il Governo si rendesse conto della profondità della crisi e delle ulteriori sofferenze alle quali va incontro l'Italia, che è l'anello debole delle economie avanzate, il Presidente del Consiglio si affretterebbe a convocare il leader dell'opposizione per valutare insieme quali misure vanno adottate contro la crisi.
Invece siamo alla catena di Sant'Antonio dei decreti ciascuno dei quali affronta parzialmente i problemi ed intanto brucia risorse in assenza di un quadro di insieme, di una vera agenda delle priorità. Siamo passati dal decreto n. 93, quello dell'ICI, che ha bruciato 2,2 miliardi, al decreto n. 112 che ha infiammato il paese con l'imponente movimento popolare di protesta a causa dei dieci miliardi di tagli all'istruzione pubblica, per arrivare alla legge finanziaria che più che snella si presenta assolutamente vuota.
La conferma della sua inadeguatezza viene proprio dalle dichiarazioni del Governo che parla di provvedimenti da assumere contro la crisi appena dopo 72 ore l'approvazione della legge finanziaria e del bilancio di previsione dello Stato. La cifra di 80 miliardi di cui si parla adesso è una manovra di bilancio fuori dalla legge di bilancio e dopo la legge di bilancio. Non si chiami in causa il G20 perché proprio non c'entra nulla. Che è così sarà dimostrato dal tempo dal momento che ciascun paese andrà in ordine sparso. Non c'era bisogno di aspettare perché questi provvedimenti sono urgenti e non c'era bisogno di aggirare il Parlamento.
Anche questo decreto si presenta con un titolo roboante e suadente, come fu per il decreto n. 93 che ambì, senza alcun risultato concreto, a salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie. Nel decreto-legge n. 155 si parla di continuità nell'erogazione del credito alle imprese e ai consumatori, ma in questi cinque articoli non c'è niente di tutto questo. Tornerò più avanti sulle gravi mancanze proprio in relazione alle proposte che noi del Partito Democratico abbiamo avanzato e che ci apprestiamo a sostenere con gli emendamenti ripresentati in Aula.
Prima mi si consenta di fare qualche considerazione politica. Molto spesso l'eccessiva enfasi delle analisi politiche ed economiche fa affermare, almeno una volta ogni anno, che stiamo vivendo un mutamento epocale. Di questa crisi si dice che sia la più grave da settant'anni a questa parte.
Certo è un fatto che alla fine di ottobre le Borse dei Paesi che fanno parte del G8 avevano ormai perduto 15.630 miliardi di dollari dall'inizio dell'anno, circa il 30 per cento del PIL mondiale. Se a queste cifre si aggiungessero le perdite di tutte le altre Borse il conto finale sarebbe di poco inferiore alla metà del PIL mondiale.
Un altro fatto inopinabile è l'elezione di Barack Obama alla presidenza degli StatiPag. 117Uniti. Il Senato e la Camera dei rappresentanti hanno ora una larga maggioranza espressione del Partito Democratico come non accadeva dal 1976, trentadue anni fa. Tutti ricordano infatti come la presidenza di Bill Clinton ebbe un carattere minoritario nel Congresso e viene considerata da molti come una parentesi di progressismo moderato dentro tre decenni di dominio delle destre teocon e neocon che vanno da Ronald Reagan a George W. Bush, tra il 1980 ed i giorni nostri.
Quali sono i collegamenti tra questi due eventi, a ragione, definiti storici? Ce ne sono di molteplici e qui ne vorrei evidenziare almeno uno. Pochi ricordano che il consigliere economico del candidato repubblicano John Mc Cain, nella campagna presidenziale, è stato il senatore Phil Gramm, ed in caso di successo repubblicano sarebbe stato il possibile prossimo segretario al Tesoro.
All'epoca della presidenza di Bill Clinton il senatore Gramm presiede la commissione banche dove si impegna a favore del sistema finanziario Usa, affinché sia regolato il meno possibile. Negli anni le banche lo hanno ringraziato con contributi elettorali per 4,6 milioni di dollari. Gramm è uno degli autori del Gramm-Leach-Billey Act la più radicale riforma bancaria dagli anni Trenta. Il Gramm-Leach-Billey Act andò infatti ad abrogare, il Glass-Steagal Act che venne introdotto nel 1933 per regolare i mercati dopo la crisi del 1929.
Il Gramm-Leach-Billey Act venne ratificato il 12 novembre 1999. Esso limita i controlli sulle banche d'investimento e sugli istituti di credito ipotecario. Nel 2002 Gramm fece inserire nella legge finanziaria un emendamento di 262 pagine, il Commodity Futures Modernization Act che deregolamenta i derivati ed in particolare i credit default swap. Grazie a Gramm i Cds, cosiddetti derivati, non hanno più controllo.
Il 18 giugno 2002 il Presidente George W. Bush fa un annuncio: «diventare proprietari della casa è un modo di realizzare il sogno americano: voglio estendere il sogno a tutti. La gente spesso vorrebbe comprare, ma non ha soldi. E a questo c'è rimedio. Faremo sì che venga semplificata la documentazione richiesta. Abbiamo bisogno per gli acquirenti a basso reddito. FannieMae e FreddieMac faranno la loro parte.» Tutti sanno come è andata a finire per le famiglie americane che non hanno potuto pagare il mutuo e per FannieMae e FreddieMac che il 7 settembre sono state nazionalizzate.
Il danno è stato di proporzioni gigantesche: ricchezza bruciata, fallimento di banche storiche come la Lehman Brothers che in 150 anni era passata dal cotone ad essere tra le prime banche d'investimento del mondo, distruzione della credibilità dei mercati finanziari di fronte ai risparmiatori, crisi di liquidità, stretta del credito su imprese e famiglie, recessione.
Ci sono almeno tre considerazioni da avanzare a questo punto. La prima è che la teoria fino ad ieri dominante, il liberismo, è in crisi perché non ha impedito una distruzione, senza precedenti, di ricchezza. Il mercato ha fallito non per shock esterni, ma per defaillance interne. Non è vero quindi che il mercato tende per sua natura all'equilibrio, perlomeno non sempre.
L'inno al mercato senza regole che è stato intonato a Washington al G20 da George Bush e Silvio Berlusconi più che da un inguaribile ottimismo della ragione sembra essere ispirato da un sussulto nostalgico che vuole nascondere l'evidenza dei fatti e le macerie che ancora sono sul campo. Di fatto il summit di Washington non ha partorito alcunché, segna solo la morte del G8 e l'accelerazione della nascita di un nuovo mondo senza Bush e con Barack Obama. I mercati non sono stati regolati e sono per ancora un po' alla mercé delle lobby.
Più che un improvviso ritorno del ruolo dello Stato è necessario ricercare un nuovo equilibrio tra Stato e mercato mettendo al riparo questa discussione entro una linea non valicabile e chiara: rispettare il principio che equipara il mercato alla democrazia, entrambi metodi imperfetti, ma di gran lunga i migliori disponibili. Se è dunque vero che non esiste alternativa all'economia di mercato, è altrettantoPag. 118vero che lo stesso non è infallibile soprattutto se lasciato a se stesso. Tornano dunque di attualità le teorie kenesyane per le quali occorre ricercare in modo incessante un equlibrio tra le forze del mercato, che se lasciate libere non garantiscono l'interesse generale, e le politiche pubbliche.
La seconda è che non ci si lascia convincere dalle spiegazioni facili. Una di queste vede nella finanza come attività autoreferenziale, dominata dall'avidità dei suoi protagonisti. La finanza come peste del XXI secolo. È vero che Carlo Marx inveiva contro «il denaro che produce denaro, senza la mediazione del processo produttivo» ma c'è n'è anche uno, di Marx, che scrive che la finanza «è uno strumento di socializzazione del capitale».
Viviamo una fase storica di crisi sia della vocazione imprenditoriale che di disponibilità di capitali per i processi industriali ed è proprio nella finanza regolata che occorre cercare le risorse come insegna il successo dei diversi progetti di venture capital che sono stati lanciati in questi anni. È stato un segmento di business, quello senza regole dei derivati, sul quale tutti si sono gettati attratti da un arricchimento facile, a causare il diffondersi dell'infezione sui mercati e le colpe appartengono certo alla parte regolata dei mercati finanziari, che paradossalmente, ne ha fatto le spese.
Il risparmio gestito è un'industria importante del nostro paese che si rivolge soprattutto alle famiglie, il principale bacino di utenza al quale si rivolgono i fondi comuni degli ultimi venti anni. Sono più di due anni che si svuotano le casse dei gestori: dal gennaio 2007 ad oggi il patrimonio complessivo del sistema ha perso circa il 30 per cento passando da 613 a 436 miliardi e nello stesso periodo le masse gestite dai prodotti azionari e bilanciati si sono ridimensionate di oltre il 52 per cento.
Sono molti gli interventi che sono stati suggeriti dal tavolo tecnico istituito presso la Banca d'Italia ed al quale hanno partecipato Abi, Assogestioni e la Consob e che ha terminato i suoi lavori a luglio con un report. Si tratta di interventi di natura regolamentare, normativa ed anche fiscale dal momento che proprio il trattamento fiscale sul maturato e non sul realizzato svantaggia i fondi italiani rispetto ai competitori esteri. Il Governo non ha dato alcun segnale di interessamento e ad oggi non ha raccolto alcuna sollecitazione.
Voglio ricordare, in questa occasione, che lo stesso Governo accolse un ordine del giorno presentato da me e dall'onorevole Fluvi che lo impegnava a ad emanare al più presto il regolamento volto a definire i requisiti di professionalità, onorabilità, indipendenza e patrimoniali richiesti per l'esercizio dell'attività di consulenza in materia di investimenti da parte delle persone fisiche; nonché a valutare, al più presto, le linee di lavoro emerse dal tavolo tecnico istituito da Banca d'Italia al fine di intraprendere tutte le iniziative più opportune ed appropriate per il sostegno ed il rilancio dell'industria italiana del risparmio gestito. Era il 29 luglio.
La terza considerazione si basa sull'assunto che la crisi originata dai mutui subprime non è soltanto crisi finanziaria. È crisi economica e sociale. Non solo per l'ampiezza delle conseguenze, ma per le sue cause. Perché arriva al capolinea un modello di crescita basato su un eccesso di indebitamento pubblico e privato, con il quale una parte del mondo ha vissuto al di sopra delle sue possibilità, finanziato da quell'altra parte di mondo che non solo rivuole indietro i suoi soldi, ma allegate agli interessi chiede anche le quote azionarie di potere geopolitico sul pianeta che gli spettano.
All'origine delle insolvenze e dei pignoramenti delle case negli Stati Uniti ci sono le disuguaglianze dei redditi. Da trent'anni l'andamento dei redditi da lavoro delle classi medie americane è sostanzialmente piatto in termini reali. Nello stesso tempo la produttività negli Stati Uniti è aumentata, in media di quasi il 2 per cento all'anno. In sostanza il reddito di un lavoratore diplomato che nel 1979 era di circa 30mila dollari sarebbe dovuto arrivarePag. 119a quasi 55mila nel 2005. Invece è sceso a 25 mila dollari. Dove è andata a finire la differenza?
A moltiplicare la ricchezza dell'1 per cento più ricco delle famiglie. L'american dream per la stragrande maggioranza delle famiglie è rimasto dream. Forse questo è uno dei motivi che hanno portato alla vittoria di Barack Obama.
Degenerazione della finanza e polarizzazione nella distribuzione del reddito sono due facce della stessa medaglia. Qualcuno avido di denaro ha offerto denaro senza scrupoli. Qualcun altro però ha domandato o è stato indotto a domandare. I subprime sono state operazioni finanziarie irresponsabili. Però hanno consentito a milioni di famiglie di comprare la casa di abitazione. Con la distribuzione del reddito caratteristica degli anni Sessanta, le stesse famiglie avrebbero potuto permettersi mutui prime.
In Italia all'inizio degli anni Settanta si poteva comprare un'abitazione con l'equivalente di trenta stipendi. Oggi ne occorrono circa cento per acquistarne una di 70 metri a 2 mila euro al metro - prezzo impossibile in una grande città - con uno stipendio di 1.500 euro.
Qual è la risposta che vogliono dare questo Governo e questa maggioranza? Il nostro sospetto è che una delle possibili ricette del Governo di centrodestra per dare competitività al sistema produttivo sia quella di sostituire alla svalutazione della lira la svalutazione del lavoro, proponendo modelli contrattuali inaccettabili sul piano politico e sociale. Su questo dovrebbe riflettere seriamente anche Confindustria senza partecipare all'attività scellerata di divisione del sindacato che mina quella coesione sociale indispensabile per uscire dalla crisi. Che senso ha approvare una riforma dei contratti senza il più grande sindacato? È un manifesto propagandistico, un atto politico, non troverà applicazione.
Un patto per la produttività e per il contenimento dell'inflazione è possibile, come fu nel 1993, se come allora prevale un senso di responsabilità e se c'è, come fu allora, una politica dei redditi. Il tema della redistribuzione è centrale in questa fase dal momento che sono entrate in crisi le leve che hanno funzionato per tutto il secondo dopoguerra ed almeno fino a Maastricht. Oggi le politiche pubbliche e le politiche fiscali sono ingabbiate dai deficit e dai parametri europei da rispettare ed i margini della manovra di bilancio sono sempre più stretti.
Per questi motivi alla base della nostra proposta c'è il sostegno ai redditi ed al potere di acquisto e così alla domanda interna ed alla crescita. Oltre che giusto è utile per il paese. La prima aliquota dell'Irpef, quella del 23 per cento, è quella più larga perché comprende il maggior numero di contribuenti: lavoratori e pensionati e rappresenta, non solo come posizione, ma per quantità di gettito, la colonna portante delle entrate fiscali del paese.
Dal 1974, quando è stata istituita l'imposta sul reddito delle persone fisiche, questa fasce sociali hanno sopportato il peso di un prelievo che si è fatto sempre più iniquo nonostante che l'aumento della base imponibile e la lotta all'evasione condotta con rigore dai governi di centrosinistra - interrotta e dilapidata dai condoni del centrodestra - abbiano bilanciato questa entrata. Diminuire di due punti questa aliquota avrebbe un costo per lo Stato di circa sei miliardi di euro, quasi quanto è costata l'abrogazione dell'ICI, iniqua perché non progressiva, ed il ripianamento dell'Alitalia.
Nell'immediato noi proponiamo di disporre detrazioni euro nelle tredicesime al fine di dare subito una risposta concreta ai redditi maggiormente in sofferenza.
La crisi smentisce quella teoria economica secondo la quale l'aumento delle disuguaglianze nella distribuzione del reddito abbia un impatto positivo sul tasso di crescita economica e sia quindi, quantomeno, un male necessario. I ceti più abbienti, è noto, hanno una maggiore propensione al risparmio; una maggiore concentrazione del reddito comporta un più elevato tasso di risparmio e dunque di investimenti.Pag. 120
In realtà l'andamento reale delle cose ci dice che in questo momento c'è, sì, un' alta concentrazione di risparmio ma la crisi di fiducia blocca gli investimenti proprio perché come dice la teoria keynesiana le decisioni d'investimento degli imprenditori dipendono dalle previsioni circa l'andamento della domanda che in questo momento, per l'appunto, ha bisogno di essere stimolata. È altrettanto evidente che l'aumento delle disuguaglianze ha effetti negativi sullo sviluppo in quanto acuisce i conflitti sociali, limita per gran parte della popolazione il consumo di molti beni, e, soprattutto, la diffusione della cultura e la possibilità di accedere al credito.
La nostra proposta è poi rivolta al mondo delle imprese ed in particolare alle Pmi. Abbiamo proposte «cantierabili» perché sono provviste di copertura finanziaria e si possono attuare domani mattina.
Noi proponiamo di stabilire il ritardato pagamento dell'acconto Iva a quando effettivamente questa venga materialmente riscossa e non all'emissione della fattura. Probabilmente l'effetto della crisi dovrebbe aver portato le banche a pagare più tasse sugli interessi passivi non deducibili e proprio lì si potrebbe attingere per la copertura.
La derubricazione a presunzione semplice della valenza probatoria degli indici di normalità economica degli studi di settore per rendere assai più elastica la valutazione di congruità dei ricavi che certamente in una fase di crisi presenteranno valori più bassi dello standard atteso dall'amministrazione finanziaria.
E soprattutto l'accesso al credito. Le banche che riceveranno il prestito perpetuo da parte dello Stato per rafforzare i loro indici patrimoniali rispetto ai competitor europei e per avere maggiore fluidità negli impieghi dovranno mantenere aperte le linee di credito per le piccole imprese, facendo intervenire quando necessario i consorzi fidi ed un fondo interbancario garantito dallo Stato.
Sarà necessario lavorare con incentivi e sul piano soprattutto culturale per spingere le imprese a patrimonializzarsi, provando ad aumentare l'autofinanziamento e diminuire la dipendenza dal credito. Per far questo servono capitali ma anche diffondere la bontà di comportamenti virtuosi che debbono maturare negli imprenditori che devono considerare se stessi e l'impresa due entità giuridiche differenti. Molto spesso avviene una sottrazione di risorse dall'impresa verso l'imprenditore ed uno spostamento di ricchezza verso i beni personali che indeboliscono l'azienda.
Concludo con un giudizio sull'intervento dello Stato sulle banche che si preannuncia con un prossimo decreto. Le finalità sono del tutto condivisibili: tutelare il risparmio, che è un principio costituzionale, immettere una spinta anticiclica che dia maggiore fluidità al credito verso famiglie ed imprese, rafforzare gli indici patrimoniali delle nostre banche nei confronti dei principali competitor europei che hanno già ricevuto massicce dosi di iniezioni patrimoniali.
Le condizioni debbono essere chiare: un intervento a tempo che garantisca l'autonomia ed il carattere privatistico delle imprese, banche che sottoscriveranno le obbligazioni ed insieme l'assunzione da parte delle stesse di impegni inderogabili nei confronti della clientela corporate e retail.
Negli ultimi dieci, quindici anni il sistema bancario italiano è cresciuto: in efficienza, in competitività, in competenza e perfino in solidità. La tempesta sta fiaccando tutti indiscriminatamente, ma per ora le onde hanno spazzato via soggetti che tanti avrebbero considerato di ben altro livello rispetto ai nostri.
È tuttavia indubbio che errori ci sono stati, ed è chiara la necessità che le banche recuperino una decisiva rifocalizzazione sul core business. Ma non solo le banche.
Fanno quasi sorridere le investment bank che ora vogliono convertirsi alla banca commerciale. Forse è meglio che queste continuino a fare le banche d'investimento, ma in un modo «sano», magari aiutate da una regolamentazione ed una vigilanza che, riconoscendo i propri errori e correggendo sé stessa, impedisca il ripetersi di quegli eccessi - di leverage, diPag. 121concentrazione dei rischi, di sottopatrimonializzazione - oramai evidenti a tutti.
Anche perché una economia moderna ha bisogno di buone investment bank e non possiamo certo ritornare al modello della banca universale.
Il core business di una banca è, per prima cosa, gestire con responsabilità il processo del credito evitando eccessi - se non perfino degenerazioni - sia nel senso della eccessiva prudenza sia in quello della sottovalutazione dei rischi (che può portare a fenomeni di sistema come quelli della cronaca attuale). Possiamo auspicare che da questa crisi esca una nuova banca.
Un fattore che la «nuova banca» dovrà valorizzare al massimo è quello delle risorse umane che stanno davanti al cliente, che incarnano la banca sul territorio. Proprio il radicamento territoriale consente una diversa e più completa valutazione del rischio nel contesto dell'economia locale che i freddi numeri di un management superpagato non potranno mai trasmettere.
Abbiamo assistito nell'orgia delle fusioni e dell'ubriacatura delle grandi dimensioni, nell'epoca del gigantismo bancario, allo svilimento della funzione decisiva nel processo produttivo bancario che è rappresentato da quel front office fatto di risorse umane che dallo sportello all'addetto allo small business fino a quello alle Pmi conosce la clientela, ne interpreta i bisogni e crea valore per la banca e per i suoi azionisti.
Si sono acuite le distanze tra i dipendenti delle banche ed un certo tipo di management con stipendi stellari ed immorali, con le stock option legate alla crescita dei profitti che hanno avuto come conseguenza una fortissima pressione sulla rete di vendita anche di titoli tossici ed obbligazioni che andavano verso il default. In questo siamo solidali con i risparmiatori ma non dimentichiamo, come troppo spesso accade, i bancari che non possono nemmeno appigliarsi all'obiezione di coscienza.
A distanza, le «stanze dei bottoni» sono in grado di fornire un indispensabile contributo all'operatività - scenari e budget, prodotti evoluti, sistemi di scoring, modelli ed indicazioni di asset allocation - ma senza un presidio umano di qualità la banca non va da nessuna parte. Il fallimento del modello della pura banca on-line è lì a dimostrarlo.
Infine la banca deve tornare ad alzare la testa, per guardare ad un orizzonte più ampio e non a quello scandito da scadenze contabili se va bene trimestrali.
La «nuova banca», guardando più avanti di quanto fa oggi, dovrà essere disposta a sacrificare qualcosa in termini di ritorni promessi a favore della sostenibilità dei propri risultati e della solidità aziendale, anche nei confronti di eventi improbabili.
Se poggerà più saldamente su queste basi la «nuova banca» che uscirà dalla crisi rappresenterà un salto evolutivo di qualità.