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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 77 di lunedì 3 novembre 2008

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI

La seduta comincia alle 16,30.

DONATO LAMORTE, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 14 ottobre 2008.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Angelino Alfano, Aprea, Barbieri, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Buonfiglio, Carfagna, Casero, Colucci, Consiglio, Cosentino, Cossiga, Cota, Craxi, Crimi, Crosetto, Donadi, Dozzo, Farinone, Fitto, Gregorio Fontana, Frattini, Gelmini, Gibelli, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Leone, Lupi, Mantini, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Miccichè, Mussolini, Pescante, Prestigiacomo, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Paolo Russo, Soro, Stefani, Tremonti, Urso, Vegas, Vitali, Vito e Zacchera sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente cinquantotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Trasmissione dal Senato di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissioni in sede referente (ore 16,35).

PRESIDENTE. Il Presidente del Senato, con lettera in data 31 ottobre 2008, ha trasmesso alla Presidenza il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e II (Giustizia):
S. - 1072 «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 2 ottobre 2008, n. 151, recante misure urgenti in materia di prevenzione e accertamento di reati, di contrasto alla criminalità organizzata e all'immigrazione clandestina» (Approvato dal Senato) (1857) - Parere delle Commissioni IV, V, IX e XIV.

Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dall'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

Sull'ordine dei lavori (ore 16,38).

ROCCO BUTTIGLIONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROCCO BUTTIGLIONE. Signor Presidente, sono sempre più allarmanti le notizie che arrivano dalla provincia di Goma,Pag. 2nel sud di quello che una volta si chiamava Congo belga, al confine con il Ruanda.
I ribelli banyamulenge, cioè l'etnia tutsi del sud del Congo, parenti dell'etnia tutsi del Ruanda, stanno conducendo una grande offensiva contro i campi profughi, in cui vi sono in parte i sopravvissuti del regime di terrore che gli hutu imposero a suo tempo sul Ruanda, e in parte popolazioni del sud che sono state spostate, costrette alla fuga dall'offensiva dei banyamulenge.
La tregua con il Governo è stata rotta, un milione 600 mila persone si addensano su una cittadina dalle dimensioni di circa 50 mila abitanti, prive di ogni sostegno, con la sicurezza di epidemie e con il timore che si ripeta un massacro di proporzioni pari a quello che a suo tempo si è avuto in Ruanda. Purtroppo, la pubblica opinione non è al corrente del fatto che la guerra del Ruanda non è finita, che dopo il massacro ci sono state le vendette contro gli autori del massacro e che intere popolazioni continuano ad essere travolte in questa vicenda.
L'Italia è direttamente coinvolta perché l'unica organizzazione non governativa ancora presente, attorno alla quale si stringono tutti i disperati, è l'AVSI e credo che dobbiamo manifestare solidarietà all'AVSI e ai salesiani: con un piccolo gruppo di Medici Senza Frontiere sono l'unico punto di riferimento che lì rimane. La missione militare dell'Organizzazione degli Stati africani risulta totalmente incapace ed inefficiente: incapace, in particolare, di fermare i combattenti e di difendere le popolazioni civili; c'è una presenza dell'Unione europea, peraltro assolutamente inefficace anch'essa, perché per ragioni politiche si tiene sostanzialmente lontana dalle aree di crisi: se non vogliamo avere sulla nostra coscienza un massacro di portata uguale a quello già avvenuto a suo tempo in Ruanda, bisogna agire e farlo con decisione.
Noi chiediamo, il mio partito chiede che il Governo venga a riferire su quali iniziative abbia intenzione di prendere, sia in proprio (qui immaginiamo che in proprio possiamo prendere iniziative umanitarie per far arrivare i soccorsi), sia all'interno dell'Unione europea per ottenere che ci sia un intervento deciso, libero dalla preoccupazione di difendere interessi particolari (perché alcuni Stati europei hanno in qualche modo interesse a consolidare il potere guadagnato dai banyamulenge nel sud del Congo, in quella zona che una volta si chiamava Katanga e che ricorda, alla memoria di chi ha la mia età, grandi giacimenti minerari di ogni genere) e libero da ogni altra preoccupazione che non sia quella umanitaria.
La prego, signor Presidente, di far presente questa preoccupazione al Presidente della Camera e al Governo, invitandolo a riferire, non soltanto ritualmente, ma su quali iniziative concrete avrà preso - mi auguro - nell'arco delle prossime ore, perché non si ripeta un terribile massacro.

PRESIDENTE. Grazie, presidente Buttiglione, sarà sicuramente mia cura riferire al Presidente della Camera perché a sua volta solleciti il Governo ad essere presente. Credo che, insieme a questa Presidenza, tutta l'Assemblea, ancorché non numerosa, si unisca alla solidarietà da lei espressa nei confronti delle popolazioni del Congo ed anche di coloro che sono rimasti accanto a quella popolazione sofferente per prestarle assistenza.

Discussione del disegno di legge: S. 1018 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, recante interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario (Approvato dal Senato) (A.C. 1772) (ore 16,43).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, recante interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario.
Ricordo che nella seduta del 22 ottobre è stata respinta la questione pregiudiziale Di Pietro ed altri n. 1.

Pag. 3

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1772)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Torrisi, ha facoltà di svolgere la relazione.

SALVATORE TORRISI, Relatore. Signor Presidente, prima di illustrare il provvedimento in esame vorrei premettere che mi soffermerò sulle principali questioni sorte durante l'esame in Commissione, rinviando al testo integrale del mio intervento - di cui sin da ora le preannuncio che chiederò di voler autorizzare la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna - l'analisi delle specifiche disposizioni che compongono il decreto-legge.
Il decreto-legge, come si legge nella sua premessa, è stato emanato per rispondere alla straordinaria necessità ed urgenza di adottare disposizioni per assicurare la funzionalità del sistema giudiziario, con particolare riguardo all'esigenza di copertura delle sedi disagiate rimaste vacanti per difetto di aspiranti.
Inoltre, anche a seguito delle modifiche apportatevi dal Senato, esso provvede alla rideterminazione del ruolo organico della magistratura ordinaria, introduce nuove disposizioni in materia di pignoramenti sulla contabilità ordinaria degli uffici giudiziari e reca una più puntuale disciplina del cosiddetto Fondo unico per la giustizia.
La Commissione giustizia non ha modificato il testo approvato dal Senato e il dibattito in sede referente si è concentrato sull'adeguatezza della nuova disciplina a dare una risposta efficace al problema della vacanza di posti nelle sedi disagiate, sulla rimozione del limite di età posto dalla normativa vigente per poter accedere alle cariche apicali della Cassazione, nonché sulla ripartizione della dotazione del Fondo unico per la giustizia.
Per quanto attiene al primo tema, la questione della difficoltà di copertura di alcune sedi giudiziarie è strettamente connessa alla sicurezza, considerato che tali sedi sono ubicate prevalentemente nelle regioni con un più alto tasso di criminalità organizzata.
Come è stato segnalato anche dal Consiglio superiore della magistratura, con nota del 31 luglio 2008, è assolutamente necessario coprire l'elevato numero di posti in organico attualmente vacanti in sedi giudiziarie, considerato che è in corso una progressiva paralisi dell'attività di indagine e dell'intera giurisdizione penale.
Si tratta di numerose sedi giudiziarie, in maggior parte del Meridione, che presentano una scopertura di organico superiore con punte del 60 per cento. È questa una situazione drammatica, irrimediabilmente destinata ad aggravarsi quando saranno definite le procedure di trasferimento ordinario in corso, che determineranno verosimilmente un esodo di magistrati dalle sedi giudiziarie disagiate verso sedi più ambite.
Occorre, quindi, un intervento di natura legislativa per porre rimedio a questa situazione. Nel corso degli anni il Consiglio superiore della magistratura ha cercato di trovare una soluzione, destinandovi perlopiù giovani magistrati vincitori di concorso. Su questa prassi ricordo la polemica innescata dal Presidente della Repubblica dell'epoca, il senatore Francesco Cossiga, che a tale proposito parlava di «giudici ragazzini», mandati ad amministrare la giustizia in quelle realtà dove, in ragione dell'alto tasso di criminalità organizzata, occorrevano invece magistrati dotati di una solida esperienza, oltre che di una profonda preparazione teorica.
Anche il legislatore è intervenuto in materia più volte. L'obiettivo è stato quello di incentivare, attraverso benefici economici e di carriera, il trasferimento e la permanenza dei magistrati nelle sedi giudiziarie disagiate (obiettivo realizzatosiPag. 4solo in minima parte, considerato che i benefici economici e di carriera previsti hanno interessato quasi unicamente gli uditori giudiziari).
Questo sistema è entrato in crisi quando, nella scorsa legislatura, è stato modificato il comma 2 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, sull'ordinamento giudiziario, sulla base della considerazione della inopportunità di destinare magistrati di primo incarico proprio alle sedi disagiate. È stata una modifica del testo della cosiddetta riforma Castelli, voluta dal Governo di centrosinistra e da tutta la maggioranza di allora, senza distinzioni, come risulta anche dai resoconti stenografici; ritengo di dover fare questa precisazione, in quanto sono proprio quelle forze politiche che oggi contestano quella scelta, che è il presupposto della nuova normativa delle sedi disagiate introdotta dal decreto-legge in esame.
La disposizione in questione stabilisce che i magistrati ordinari, al termine del tirocinio, non possano essere destinati a svolgere le funzioni requirenti, le funzioni giudicanti monocratiche penali, quelle di giudice per le indagini preliminari o di giudice dell'udienza preliminare. Tali funzioni possono essere svolte soltanto da magistrati che abbiano conseguito la prima valutazione di professionalità, a cui il magistrato è sottoposto dopo quattro anni dalla nomina. Ciò significa che la copertura degli uffici giudiziari rimasti vacanti non può più essere assicurata destinando a quegli uffici i giovani magistrati al termine del tirocinio, come è avvenuto fino ad oggi.
Per evitare che le sedi disagiate rimangano scoperte il Governo ha utilizzato lo strumento della decretazione d'urgenza, andando a modificare il regime di benefici attualmente in vigore e potenziando, soprattutto sotto il profilo economico, gli incentivi riconosciuti ai magistrati che danno il proprio consenso o la propria disponibilità al trasferimento d'ufficio in una sede disagiata.
Il punto di partenza della nuova disciplina è, quindi, proprio una norma introdotta nell'ordinamento giudiziario dal centrosinistra, che il Governo attuale condivide. In effetti, è a tutti evidente che alcune funzioni giudiziarie sono troppo delicate per essere affidate a magistrati che hanno dato prova unicamente di avere una preparazione teorica. Occorre qualcosa di più quando si decide della libertà personale di un individuo: ci vuole esperienza, intendendo questa, non tanto in senso materiale, quanto, piuttosto, come formazione di un habitus mentale che porta il magistrato ad incarnare i principi di legalità, di pienezza della prova e del contraddittorio. Si tratta di principi che ogni magistrato deve assumere come propri e non considerarli come mere formule di orientamento della propria attività. Ciò è possibile solo quando vi è un vissuto in tal senso.
Tale esigenza è ancora più forte in quelle realtà territoriali ove si registra un alto tasso di criminalità organizzata come le sedi disagiate. Come si può ritenere che un magistrato che non abbia alcuna esperienza sia in grado di affrontare indagini o di ponderare decisioni, quando ha di fronte a sé realtà complesse ed inquietanti come sono quelle in cui si muove la criminalità organizzata?
Sono di diverso avviso i gruppi dell'opposizione, nonché l'Associazione nazionale magistrati, la cui giunta è stata opportunamente sentita dalla Commissione. È stato contestato sia il principio sancito dall'articolo 13, comma 2, sia la conseguenziale nuova disciplina delle sedi disagiate.
Sotto il primo profilo è stato detto che in realtà i magistrati di prima nomina hanno dimostrato in passato, ovvero prima della riforma del 2007, di essere in grado di svolgere anche le funzioni giudiziarie più delicate. È stato poi evidenziato che oramai il concorso in magistratura è stato trasformato in un concorso di secondo grado, per cui non vi è più il rischio di far esercitare quelle funzioni a giudici di ventiquattro o di venticinque anni.
Queste obiezioni non sono state accolte dalla maggioranza, anche perché alla questione dell'esperienza nello svolgimento delle funzioni giudiziarie è del tutto estraneaPag. 5la tematica del grado del concorso di accesso alla magistratura. Sono stati, quindi, respinti gli emendamenti volti a sopprimere o a sospendere l'efficacia del predetto comma 2 dell'articolo 13 del decreto legislativo n. 160 del 2006.
Non è stata accolta neanche l'obiezione secondo cui la nuova disciplina di incentivi per le sedi disagiate non sarebbe efficace, in quanto non appetibile per i magistrati più anziani. Sulla base di tale considerazione sia l'Associazione nazionale magistrati, sia le forze di opposizione, hanno sostenuto la tesi di prevedere, almeno per le sedi disagiate, una deroga al principio di cui alla predetta disposizione. Sostanzialmente, in via residuale, ovvero quando attraverso la nuova disciplina non è possibile coprire tutti i posti vacanti, si dovrebbe consentire l'utilizzazione dei giudici di prima nomina.
La maggioranza non ha ritenuto di dover addivenire a tale soluzione per due considerazioni: la prima è che i nuovi incentivi appaiono essere adeguati, mentre la seconda ci riporta alla ratio del comma 2 dell'articolo 13, ritenendo che proprio nelle sedi disagiate i magistrati di prima nomina non siano in grado di svolgere le funzioni giudiziarie più delicate.
Un'altra questione affrontata in Commissione è stata quella relativa ai limiti di età per i magistrati chiamati a ricoprire le cariche più alte: mi riferisco all'ultimo comma dell'articolo 1 introdotto al Senato. Tale disposizione è diretta ad abrogare la norma che prevede che per i magistrati ai quali è stato prolungato o ripristinato il rapporto di impiego per lo stesso periodo di tempo che era stato sospeso nel corso di un procedimento giudiziario, che si è poi concluso con sentenza di proscioglimento pieno, è aggiunto, alla data di ordinario collocamento a riposo, un periodo commisurato al servizio non espletato che, anche quando si rivestono le cariche apicali, trova un limite invalicabile nell'età di 75 anni. La disposizione introdotta al Senato è diretta a rimuovere il limite di 75 anni. La ratio della norma è chiara: un soggetto che ha visto ingiustamente sospesa o interrotta la sua carriera a causa di un procedimento giudiziario dimostratosi poi infondato ha un diritto pieno a che la sua posizione sia totalmente reintegrata.
Su questa norma si sono sviluppate polemiche, ritenendo alcuni che essa sia preordinata alla nomina di Presidente della Corte di cassazione di un determinato magistrato. Si tratta di critiche infondate, che non tengono conto di due diverse considerazioni: la prima è che stiamo parlando di una norma che si ispira ad un principio sacrosanto, cioè la restitutio in integrum di una carriera pregiudicata da un procedimento giudiziario ingiusto. La seconda riguarda le modalità di nomina alle cariche apicali della Corte di cassazione. Spetta al Consiglio superiore della magistratura valutare i candidati, tenendo conto non soltanto dell'anzianità, come avveniva prima della riforma dell'ordinamento giudiziario, ma anche del merito. In sostanza, con la norma in esame si consente che soggetti che hanno visto ingiustamente interrotta la loro carriera possano concorrere all'eventuale nomina. L'esito del concorso dipenderà dalle valutazioni del Consiglio superiore della magistratura, che terrà conto anche dell'età dei candidati.
L'ultima questione attiene al Fondo unico per la giustizia, nel quale confluiscono le somme di denaro sequestrate nell'ambito di procedimenti penali o per applicazione di misure di prevenzione, nonché le somme di denaro derivanti da irrogazione di sanzioni amministrative. Le suddette risorse sono affidate ad Equitalia. I punti di divergenza con l'opposizione sono stati due: la destinazione di quote del Fondo anche per finalità diverse da quelle della giustizia e la possibilità di modificare il riparto delle quote attraverso atto del Presidente del Consiglio.
Sulla prima questione ricordo che il decreto-legge stabilisce che ogni anno, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia e con il Ministro dell'interno, sono stabilite le quote delle risorse intestate al Fondo unico per laPag. 6giustizia, anche frutto di utili della loro gestione finanziaria, da destinare in misura non inferiore ad un terzo al Ministero dell'interno per la tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico, in misura non inferiore ad un terzo, al funzionamento ed al potenziamento degli uffici giudiziari e degli altri servizi istituzionali del Ministero della giustizia, nonché all'entrata del bilancio dello Stato.
Da parte di alcuni è stato evidenziato come sarebbe opportuno che il fondo venisse dedicato, in via prevalente se non esclusiva, alle sole esigenze di giustizia. In realtà, tale tesi non tiene conto della stretta correlazione tra sicurezza e giustizia, la quale giustifica la partecipazione del Ministero dell'interno alla ripartizione delle quote. Tuttavia, considerato che in concreto tale ripartizione è effettuata ogni anno dal Governo, si potrebbe presentare un ordine del giorno volto ad impegnare il Governo a destinare alla giustizia, nel rispetto dei limiti previsti ex lege, una quota ben più ampia di quella di un terzo e a ridurre ai minimi termini il trasferimento di quote al bilancio dello Stato.
Altra norma contestata è il comma 7-bis, introdotto al Senato, che prevede che le quote minime delle risorse intestate al Fondo unico giustizia, al Ministero della giustizia e a quello dell'interno, possono essere modificate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in caso di urgenti necessità derivanti da circostanze gravi ed eccezionali del Ministero dell'interno o del Ministero della giustizia.
La norma appare del tutto condivisibile in quanto consente di affrontare emergenze che devono comunque riguardare la giustizia o la sicurezza.
Nel concludere, vorrei sottolineare l'urgenza che abbiamo nell'approvare il disegno di legge in esame, evitando il rischio di non convertire in legge un decreto-legge che fornisce risposte importanti ad alcune delle questioni che affliggono la giustizia in Italia.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Torrisi, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

GIACOMO CALIENDO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, il provvedimento all'esame della Camera dei deputati, approvato dal Senato, risolve un problema che riguarda oggi le sedi disagiate e che vede chiarire definitivamente il fatto che si tratta di sedi chiamate disagiate soltanto in considerazione della pubblicazione del posto rimasto senza aspiranti.
Credo che i punti ancora in discussione, richiamati dal relatore, vadano chiariti per quanto concerne, ad esempio, l'individuazione di sedi con elevato tasso di criminalità organizzata: ritengo che non si debba prendere in considerazione tale indice, perché esso si riferisce alle sedi che hanno competenza di direzione distrettuale antimafia, dove non esistono vacanze. Poiché vedo ripresentato questo emendamento, credo che tutti dovremmo fare uno sforzo di attenzione per renderci conto che si tratta di sedi che non hanno bisogno di copertura.
Pertanto, l'indice che è stato individuato dal Senato, correggendo il decreto-legge originario, ha tenuto conto della necessità di adeguarsi a quella che è una realtà fenomenica verificatasi varie volte nel nostro Paese: ossia, le sedi disagiate non hanno caratterizzato solo alcune regioni d'Italia, ma, alternativamente, le varie regioni d'Italia. Inoltre, sulle scoperture incidono fattori diversi. Infatti, come risulta dai dati portati dal Governo in Commissione su richiesta degli onorevoli Palomba e Di Pietro, vi è una situazione ben chiara: in alcune sedi, tra una pubblicazione e la successiva, si verifica che, mentre in una pubblicazione restano scoperti ottanta posti rispetto ai duecento pubblicati, nella pubblicazione successiva - che contiene ancora quei posti ed altri - si verifica una scopertura di appenaPag. 7venti posti; il che lascia una valutazione di discrezionalità tale che è impossibile formulare una previsione.
Al contrario, è necessario preventivare che il Consiglio superiore della magistratura compia una verifica effettiva delle sedi rimaste senza aspiranti e che hanno una scopertura del 20 per cento; quindi, tenuto conto che il dato complessivo nazionale è di circa l'11 per cento di scopertura, soltanto quelle che hanno quel tipo di scopertura andrebbero coperte.
Un altro punto sul quale si discute è il seguente: il Senato ha introdotto una modifica del Fondo giustizia, nel senso che ha ritenuto che siano destinate annualmente, con provvedimento del Presidente del Consiglio dei ministri, in misura non inferiore ad un terzo, le quote sia per il Ministero della giustizia che per il Ministero dell'interno. L'eccezionalità che può giustificare una diversa ripartizione è condizionata non solo da necessità urgenti, ma da casi gravi ed eccezionali: credo si tratti, addirittura, delle stesse parole che delimitano un decreto-legge, ai fini di una effettiva necessità del Ministero dell'interno e del Ministero della giustizia.
Se dovessimo effettivamente applicare quelle norme, ci troveremmo di fronte a casi di tale gravità da riguardare l'intera nazione e tali da non doversi mai verificare: dovrebbe trattarsi, infatti, di casi estremamente gravi - tenuto conto della dizione letterale della norma - riguardanti la sicurezza o l'incolumità dei cittadini o, dall'altro lato, tali da costringere l'amministrazione della giustizia a un intervento di questo tipo.
Sul provvedimento ha espresso un giudizio positivo anche il Consiglio superiore della magistratura, perché tiene conto di esigenze che devono essere tutelate e che rappresentano, rispetto a sessanta sedi, la possibilità di garantire che siano ridotte alla quota di mancata copertura nazionale anche quelle sedi che, in ipotesi, la superano.
Da ultimo, si insiste, da parte di alcuni, per quanto concerne la nuova tabella del ruolo organico della magistratura. Credo che vada qui puntualizzato che, con questa nuova tabella, si è intervenuti per conseguire una definitiva fissazione del numero dei magistrati fuori ruolo. In base all'attuale norma di disposizione dell'ordinamento giudiziario, si è verificato che, attualmente, sono 232 i magistrati fuori ruolo, oltre quelli che ricoprono cariche elettive o assegnati al Consiglio superiore della magistratura o alla Presidenza della Repubblica. Per questa ragione, noi abbiamo ritenuto che sia opportuno intervenire e fissare un tetto massimo di 200 unità - ricollocando, quindi, gli esuberi all'interno della magistratura - tenuto conto che, se abbiamo necessità di coprire sedi disagiate, sia opportuno non allargare e anzi impedire la possibilità dell'allargamento del numero dei magistrati fuori ruolo.
Per quanto concerne gli incentivi che vengono attribuiti, si sostiene la necessità di evitare che il magistrato appartenga alla stessa regione, ma la realtà giudiziaria italiana è completamente diversa da regione a regione. Sappiamo benissimo che esistono regioni che coprono distanze di chilometri e addirittura vi sono regioni con quattro distretti giudiziari. Quindi, se limitassimo all'ambito regionale la possibilità di essere assegnato ad una sede disagiata e di godere, quindi, dei benefici, probabilmente verremmo a creare una disparità di trattamento che non ha senso.
Da ultimo si chiede di inserire una norma residuale concernente la possibilità di copertura delle sedi eventualmente scoperte con gli uditori giudiziari. Ricordo che il Parlamento nazionale - a larghissima maggioranza, con l'appoggio anche dell'opposizione - nella passata legislatura ha approvato una norma, che è stata richiesta dall'Associazione nazionale magistrati, dal Consiglio superiore e dagli studiosi del diritto. La suddetta norma impedisce l'accesso a tali sedi al magistrato - non a causa della giovane età, per cui non ha nessuna rilevanza che oggi si entri in magistratura a 30 anni piuttosto che a 25 anni - che non avesse ancora maturato un'esperienza dell'attività di giudice, quindi dello ius dicere, la capacità di rendersi conto della valutazione dellaPag. 8prova e del rispetto di principi fondamentali della giurisdizione, a partire da quello del contraddittorio. Oggi ci troviamo di fronte all'ipotesi di rendere tale norma - che è stata approvata - sia pure residualmente, non più applicabile. A parte la difficoltà di stabilire - ammesso e non concesso che dopo le sedi disagiate dovremmo coprire 40 posti - chi mandare in quelle sedi disagiate, seguendo l'interpretazione della volontà del Parlamento che aveva approvato la precedente norma, dovremmo prevedere che siano mandati a coprire tali sedi i primi del concorso.
Infatti, questi ultimi, quanto meno, avrebbero qualcosa in più dal punto di vista della preparazione teorica, anche se ci troveremmo, comunque, in una situazione di contraddizione rispetto alla volontà del legislatore, che era, appunto, di evitare che chi non ha esperienza e non ha acquisito determinate capacità nella giurisdizione potesse esercitare tali funzioni.
Per tale ragione, credo che la Camera dei deputati possa licenziare il provvedimento in esame, confermando quello già approvato dal Senato.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, colleghi, il decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, con l'articolo 1 introduce incentivi per i magistrati ordinari disposti a prestare servizio nelle sedi disagiate, nonché norme di disciplina del trasferimento d'ufficio nelle sedi definite a copertura immediata che viene, però, disposto dal CSM, il Consiglio superiore della magistratura, come richiesto dall'articolo 107 della Costituzione.
Il Governo, come ha già fatto ampiamente cenno il sottosegretario in Aula, intende, con il decreto-legge in esame, porre rimedio alla situazione di grave vacanza di posti in numerosi uffici giudiziari - soprattutto le procure - essenzialmente attraverso due strumenti: il trasferimento d'ufficio e gli incentivi economici e di carriera.
In questo modo, il Governo spera che si possano coprire le vacanze determinate sia dai trasferimenti, sia dal fatto che vi sono poche vocazioni ad accettare uffici di procura, probabilmente anche per il timore della stabilizzazione a seguito della ventilata separazione delle carriere, sia infine dal fatto che in alcune sedi giudiziarie non possono essere inviati magistrati nella prima fase della loro carriera.
Si può segnalare che la concessione ex lege di benefici economici e di carriera, per uditori giudiziari e magistrati, è già stata disposta, in passato, con la legge 8 novembre 1991, n. 356, che ha convertito in legge il decreto-legge 9 settembre 1991, n. 292, e con la legge 4 maggio 1998, n. 133. Tali provvedimenti, tuttavia, non hanno mai dato gli effetti sperati.
Vogliamo qui dare brevemente conto della situazione organizzativa della giustizia, in cui il decreto-legge in esame si colloca. Sono stati lanciati, da ultimo nell'estate appena trascorsa, ripetuti allarmi da parte del Consiglio superiore della magistratura sui rischi causati dalla vacanze organiche che si stanno verificando in alcune realtà. In tali sedi, negli ultimi anni, si era sopperito alle carenze di personale con l'invio, sempre da parte del CSM, degli ulteriori vincitori di concorso.
Tuttavia, con la riforma dell'ordinamento giudiziario, in particolare con l'articolo 13, comma 2, del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, successivamente modificato dall'articolo 2, comma 4, della legge 30 luglio 2007, n. 111, ai magistrati di nuova nomina, al termine del tirocinio, non possono essere più affidate le funzioni di pubblico ministero, di giudice monocratico nelle sezioni penali né quelle di GIP o GUP, per le quali servono almeno quattro anni di esperienza.
L'emergenza nell'organico degli uffici giudiziari è particolarmente avvertita nelle procure del Mezzogiorno, come hanno riconosciuto il relatore e il rappresentante del Governo, e come il CSM ha spesso denunciato, da ultimo a fine luglio, con una dura risoluzione. Infatti, su un organico di 660 posti di magistrato requirente,Pag. 9nelle regioni più esposte al rischio criminalità, ne sono vacanti 86, circa il 13 per cento.
Nel dettaglio, in Sicilia mancano quarantuno pubblici ministeri, con una punta massima di diciassette vacanze nel distretto di Palermo, in Campania venti, in Calabria diciannove e sei in Puglia. I meccanismi di legge vigenti non sono riusciti a prevenire una scopertura che, in alcune procure, supera il 30 per cento, con punte dell'80 per cento a Lucera e del 75 per cento ad Enna, dal momento che dei benefici hanno goduto quasi esclusivamente i magistrati di nuova nomina, mentre si sono rivelati meno attraenti per quelli già in servizio in altra sede.
Peraltro, in passato, la situazione era stata compensata proprio grazie agli uditori: sui 1047 magistrati reclutati dal 2002, 618 sono stati impiegati in queste regioni del sud (Campania, Puglia Calabria e Sicilia) nelle quali più di un terzo (244 per la precisione) ha assunto incarichi requirenti. Tra dicembre 2008 e gennaio 2009 i trecento vincitori degli ultimi due concorsi dovrebbero aggiungersi ai circa novemila magistrati in servizio su una pianta organica che ne prevede poco più di diecimila scegliendo sedi disagiate per svolgere il primo incarico.
Tuttavia, come detto, con la riforma dell'ordinamento giudiziario e, in particolare, con il meccanismo previsto dall'articolo 2, comma 4, della legge n. 111 del 2007, ai nuovi magistrati, al termine del tirocinio, non possono essere assegnate le funzioni di pubblico ministero, giudice monocratico penale, GIP o GUP, poiché per questi incarichi occorre aver superato almeno la prima valutazione di professionalità, prevista dopo quattro anni di anzianità. Le sedi per queste opzioni dovrebbero essere individuate entro novembre 2008.
Il decreto-legge n. 143 del 2008, per facilitare la mobilità nelle sedi disagiate, prevede che sia il Consiglio superiore della magistratura ad individuare ogni anno, su proposta del Ministero della giustizia, le sedi giudiziarie disagiate dove trasferire giudici e pubblici ministeri con almeno quattro anni di esperienza. Le procure e i tribunali destinatari dei rinforzi potranno essere al massimo sessanta, mentre i magistrati trasferibili d'ufficio non potranno superare quota cento.
Ai magistrati disponibili a trasferirsi saranno riservati incentivi economici: un bonus iniziale (un'indennità mensile) per un periodo massimo di quattro anni di permanenza e in termini di carriera l'attribuzione, per i primi sei anni, di un punteggio doppio per ogni anno di permanenza nella sede disagiata. Il decreto-legge dispone che gli incentivi previsti non siano applicabili ai magistrati di nuova nomina e a quelli trasferiti d'ufficio per incompatibilità ambientale o per motivi disciplinari.
Nelle sedi con maggiore carenza d'organico definite dal decreto-legge «a copertura immediata», che devono essere individuate dal Consiglio superiore della magistratura in un numero massimo di dieci, sarà inoltre possibile inviare d'ufficio, cioè anche senza che abbiano espresso un sia pur generico consenso, i magistrati in servizio presso altro ufficio da più di dieci anni con medesima funzione o posizione tabellare.
I trasferimenti avvengono in distretti limitrofi; viene ridotta da 150 a 100 chilometri la distanza minima tra la sede di provenienza e quella di destinazione; restano i vigenti divieti di passaggio tra funzioni requirenti e giudicanti. Si segnala che sono possibili trasferimenti fino a determinare nella sede da cui si trasferisce il magistrato un limite massimo di carenza del 20 per cento dell'organico.
Sono a copertura immediata le sedi rimaste vacanti all'esito di due successive pubblicazioni; non rientrano tra i trasferibili d'ufficio in queste sedi i magistrati che abbiano presentato domanda di trasferimento ad altra funzione all'interno dell'ufficio o di trasferimento ad altro ufficio e i magistrati che, entro metà settembre 2009, presentano istanza di trasferimento ad altra funzione, gruppo di lavoro o ufficio non sono ugualmente trasferibili nelle sedi in questione.Pag. 10
In base al decreto-legge il Consiglio superiore della magistratura non sarà più tenuto ad esaminare le istanze già presentate. Va chiarito che i benefici si applicano solo ai trasferimenti avviati dopo l'entrata in vigore del provvedimento, restando per gli altri la disciplina previgente. Essi sono così sintetizzabili: indennità mensile per un massimo di quattro anni di effettivo servizio, anzianità di servizio doppia per ogni anno di effettivo servizio per un massimo di sei anni e diritto alla riassegnazione della sede di provenienza dopo quattro anni.
Un primo fatto che è avvenuto al Senato è stata l'introduzione in Aula del comma 8-bis dell'articolo 1.
In tale comma viene abrogato l'articolo 36 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160. Semplificando, la normativa prevede che i magistrati sospesi dal servizio o che abbiano lasciato il servizio in conseguenza della pendenza di procedimenti giudiziari nei quali siano stati successivamente assolti possono essere reintegrati in servizio. Ma una norma introdotta con la legge finanziaria per il 2007 aveva previsto che ciò potesse avvenire non oltre il settantacinquesimo anno d'età, così come avviene per tutti i magistrati. Con il comma aggiuntivo, invece (si noti che esso è stato introdotto dal Senato, non era presente nel testo originario), si afferma che ora la riassunzione delle funzioni può protrarsi anche oltre i 75 anni. Di sicuro la disposizione non si è certo ispirata ad un'esigenza di svecchiamento della magistratura, né di funzionalità della giustizia. Il fatto che l'introduzione di questo comma 8-bis, come si è già ripetutamente verificato con altri provvedimenti di legge, sia avvenuta al Senato e non nel testo originario, purtroppo lascia pensare che questa norma sia ispirata solo da uno storico vizio, ormai presente in quasi tutti i decreti-legge, nel quale spesso e volentieri il Governo e questa maggioranza sono incorsi, ossia quello di inserire norme ad o contra personam.
Con l'articolo 2 si disciplina, inoltre, il funzionamento del Fondo unico giustizia, cui, ai sensi della legge n. 133 del 2008, di conversione del decreto-legge n. 112 del 2008, banche e poste dovranno comunicare le risorse giacenti provenienti da confische, sequestri e sanzioni. Il Fondo, in cui confluiscono le somme derivanti da misure ablative, è affidato ad una società denominata Equitalia giustizia Spa, che lo gestisce. A tale proposito si evidenzia come la pessima formulazione del decreto-legge induca a ritenere tale misura valida solo una tantum e come il confuso stratificarsi della legislazione determini il rischio di una sottrazione delle somme alle effettive necessità strutturali della giustizia.
Nel corso dell'esame del provvedimento, il Senato ha approvato un emendamento in forza del quale (articolo 2, comma 7-bis) le quote minime delle risorse intestate al Fondo unico giustizia di cui alle lettere a) e b) del comma 7 possono essere modificate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e, in caso di urgente necessità derivante da circostanze gravi ed eccezionali, dei Ministeri dell'interno o della giustizia. Alla luce di quanto esposto, il terzo spettante alla giustizia può diventare zero, perché questa quota minima può essere modificata. Se, ad esempio, servissero soldi per rilevare le impronte digitali o per le intercettazioni o altro, il Presidente del Consiglio potrebbe tranquillamente prelevare le somme destinate alla giustizia.
Le soluzioni predisposte dal Governo non sembrano risolutive, dal momento che il problema, quindi, è destinato a permanere, in assenza di una deroga, con precisi limiti e regole, al divieto per i magistrati di prima nomina di assumere funzioni requirenti. Sarebbe opportuno, invece, come dice spesso anche l'Associazione nazionale magistrati, valutare altre soluzioni oltre ad una deroga circostanziata, come ad esempio la coassegnazione del fascicolo tra capo dell'ufficio e magistrato di prima nomina.
Si segnala che il decreto-legge sopprime il secondo periodo del comma terzo dell'articolo 192 dell'ordinamento giudiziario - il quale prevedeva che le domande di trasferimento dei magistrati conservassero validità fino a quando non fossero statePag. 11revocate - con la motivazione che in questo modo la trattazione delle pratiche sarà velocizzata.
Più in generale, la definizione di sede disagiata sembra ancorata a criteri piuttosto rigidi, che non tengono più adeguatamente conto del carico di lavoro. Si segnala, peraltro, che i benefici economici e di carriera riservati a coloro che saranno trasferiti nelle sedi disagiate in base al decreto entrato in vigore non spettano ai magistrati che nel corso degli anni in quelle sedi si sono trasferiti e hanno scelto di rimanere, sopperendo alle carenze di organico. Nel tempo ciò potrebbe depotenziare l'effetto incentivante atteso.
Di fatto, quindi, il decreto-legge in esame potrebbe non conseguire effetti in termini di benefici pari a quelli che la citata legge n. 133 del 1998 concedeva ai magistrati di prima nomina che optavano per recarsi in una sede disagiata e vi rimanevano per un certo numero di anni.
Altra modifica che incide negativamente sul regime vigente è quella in base alla quale il diritto di prelazione dei trasferimenti spettanti ai magistrati già assegnati a sedi disagiate prima della data di entrata in vigore del decreto sarà dimezzato, cioè limitato al 50 per cento dei posti disponibili. In particolare, a noi sembra non condivisibile la riformulazione dell'articolo 1 della legge n. 133 del 1998, nella parte in cui nell'individuazione del concetto di sede disagiata prescinde dal criterio oggettivo del contenzioso pendente, penale e civile, che invece è utile quale elemento aggiuntivo per individuare sedi effettivamente disagiate. Si rischia, inoltre, di incidere negativamente sulle aspettative legittimamente maturate dai magistrati che, sulla base della vigente normativa, hanno già optato per il trasferimento in una sede disagiata.
Perciò l'Italia dei Valori ha presentato, e ripresenterà per l'Assemblea, alcuni emendamenti che, a nostro giudizio, potrebbero risolvere queste problematiche. Il primo emendamento riguarda l'abrogazione del comma 2 dell'articolo 13 della riforma dell'ordinamento giudiziario del 2006, con l'abolizione del divieto di assegnazione alle funzioni monocratiche dei magistrati nei primi quattro anni di carriera, essendo preferibile operare perché tutti i magistrati vincitori di regolare concorso, a seguito anche della possibilità di concorrere dopo altri passaggi di valutazione della professionalità di secondo grado, dopo adeguata formazione, siano in condizione di esercitare anche funzioni monocratiche da subito. Il secondo emendamento riguarda un'ipotesi subordinata, consistente nella possibilità di fare ricorso anche a questa tipologia di magistrati qualora siano andati deserti i bandi per l'assegnazione alle sedi disagiate. Il terzo emendamento concerne il ripristino della previsione dell'alto indice di criminalità organizzata - che, badate bene, non è soltanto in quelle regioni dove opera la DDA - per la determinazione del concetto di sede disagiata; infatti, la criminalità organizzata ormai si è estesa.
Con riferimento al Fondo gestito da Equitalia giustizia Spa, il gruppo dell'Italia dei Valori al Senato ha espresso forti perplessità rispetto alla formulazione dei commi 23 e 24 dell'articolo 61 del decreto-legge n. 112 del 2008, in quanto essi sono potenzialmente suscettibili di sottrarre al Ministero della giustizia somme di denaro sequestrate e i proventi dei beni confiscati nell'ambito di procedimenti penali o per l'applicazione di misure di prevenzione, rinunciando così alla possibilità di creare un circolo virtuoso stabile, grazie al quale la giustizia potrebbe essere in grado di autofinanziarsi in misura rilevante. Pertanto, abbiamo proposto un emendamento che esclude la possibilità che il Presidente del Consiglio possa derogare alla riserva di un terzo delle risorse del Fondo a favore della giustizia e della sicurezza, anche perché la previsione contrasterebbe con la riserva costituzionale di legge riguardante tutte le disposizioni di bilancio.
Pur nell'ambito della nostra posizione, che non è certamente di opposizione netta a questo provvedimento, e pur valutandone le parti positive, qualora nessuno dei nostri emendamenti dovesse venir accettato sarebbe per noi difficoltoso od impossibilePag. 12esprimere un voto favorevole alla legge. Noi non siamo pregiudizialmente per un voto contrario ad essa.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Papa. Ne ha facoltà.

ALFONSO PAPA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, il decreto per la cui conversione oggi ci troviamo ad iniziare la discussione sulle linee generali parte dalla consapevolezza della necessità di assicurare degli interventi funzionali ad una serie di discrasie nel sistema giustizia, partendo proprio dalle emergenze più significative.
Riteniamo che, correttamente, il punto di partenza di questo percorso sia stato rappresentato da una ridefinizione del concetto di sede disagiata e dalla volontà di assicurare una maggiore efficienza al sistema giustizia nel suo insieme in una serie di realtà geograficamente e socialmente difficili o che, comunque, si caratterizzano storicamente, come diceva il rappresentante del Governo, per una endemica difficoltà di assicurare una copertura e, quindi, la resa di questo servizio.
È bene, quindi, cercando di andare anche oltre le possibili strumentalizzazioni, cui si è pure assistito nel percorso in Commissione e nel dibattito di questi giorni, ricordare che il concetto di sede disagiata viene spesso applicato alle realtà più difficili in termini di offensiva criminale, ma che si tratta anche di realtà dove, a causa della scopertura, diventa altresì difficile assicurare quei servizi fondamentali, ad esempio nella materia civile, che pure devono fornire una risposta concreta alle popolazioni.
Ribaltando, quindi, la visuale che taluno in qualche misura ha voluto proporre, dobbiamo dire che questo intervento si rende necessario affinché, ponendo rimedio a questa carenza reiterata di soggetti che esercitano le funzioni giurisdizionali di magistrati in quelle sedi, il disagio, che è organico ed organizzativo, non continui a tramutarsi (come pure è accaduto fino ad oggi) in un disagio derivante dalla difficoltà dello Stato di assicurare un'adeguata risposta alla domanda di giustizia nel settore penale e in quello civile. Il problema della carenza di organico, infatti, è stato sempre al centro del rapporto tra il Ministero, il Consiglio superiore della magistratura, l'intervento della politica, nonché dei tentativi di attuare un forte aumento anche dell'organico del ruolo dei magistrati (nel passato avvenuti, forse, senza porre altrettanta sensibilità al tema di una razionalizzazione della pianta) che, tuttavia, oggi comportano, a fronte di un poderoso intervento che si è manifestato in questi anni nella materia concorsuale, il permanere di queste scoperture e queste difficoltà.
Il problema è rappresentato dal fatto che nel corso di questi anni tali scoperture non solo hanno continuato a sussistere a fronte dei nuovi ingressi che sono stati previsti, ma si sono acuite in zone che oggi manifestano una serie di difficoltà a tutti note. Rispetto a questo problema la soluzione, in fondo, si è sempre caratterizzata per un ricorso anche agli incentivi economici. Tuttavia, chi ha vissuto e vive la realtà dell'accesso alla magistratura e le difficoltà dei primi anni di svolgimento delle funzioni giudiziarie, sa bene che il meccanismo degli incentivi, così come fino ad oggi ha funzionato, da un lato si è caratterizzato per una dinamica a mio avviso abbastanza virtuale, che non si è sempre connotata per un'effettiva attualità dell'incentivo rispetto al sacrificio che poi veniva richiesto, dall'altro non ha permesso - questo è un dato di fatto, oggettivo - di venire a capo di tale problema.
Dobbiamo riconoscere che il problema c'è sempre stato: nel passato, negli anni Sessanta e Settanta, era il nord ad essere considerato una realtà che presentava forti difficoltà di copertura; oggi ormai abbiamo consolidato, nelle regioni meridionali, ma con presenze significative anche nel centro-nord, una scopertura pressoché cronica, a macchia di leopardo. Da questo punto di vista il provvedimento correttamente introduce un criterio oggettivo di individuazione della sede da considerare in termini disagiati e si caratterizza perPag. 13gettare le basi anche per futuri interventi di riorganizzazione e ridefinizione della stessa distribuzione dell'organico sul territorio.
Dobbiamo dire che questo intervento, in maniera corretta e consapevole, valorizza quel rapporto di leale collaborazione tra l'organo di autogoverno (il Consiglio superiore della magistratura) e il potere esecutivo (il Ministero) lì dove valorizza il ruolo del Consiglio superiore della magistratura, nel dialogo e nella dialettica di corretta e leale collaborazione in ordine alle individuazioni delle sedi e alla loro ripartizione.
Per quel che concerne il tema delle modalità con le quali si realizza questo accesso, dobbiamo dire con grande franchezza che queste modalità si vanno a collocare correttamente nel solco di quel processo di turnover (anche nella presenza dell'ufficio nel ricoprire determinate funzioni) che si è voluto in qualche misura incentivare, cercando di evitare incrostazioni e permanenze prolungate per periodi di tempo non tollerabili, che si è sempre detto non hanno mai giovato né all'esercizio quotidiano, né a quella trasmigrazione di esperienze e di saperi che caratterizza comunque l'attività del magistrato.
Su tale aspetto dobbiamo dire che, come già osservato, il problema dei primi incarichi e delle prime sedi probabilmente andrebbe affrontato in maniera meno demagogica. Il fatto di rivendicare o meno la capacità, l'attitudine e la possibilità che il magistrato di prima nomina ricopra incarichi monocratici o di grande responsabilità sorprende che non sia affrontato anche da un'altra visuale. Il ricorso cronico all'uditore giudiziario per la copertura di sedi particolari e con grandi difficoltà in incarichi estremamente delicati è stata una costante nel corso di lunghissimi anni. Francamente viene da chiedersi se questa prassi non sia stata dettata dall'emergenza, e se questa prassi è stata dettata dall'emergenza francamente viene da chiedersi per quale motivo un sistema che mira a costruire una metodologia corretta dovrebbe continuare a perseverare nella prassi di mandare in prima linea persone che sono all'inizio di un'esperienza, non consentendo a queste persone una sedimentazione ulteriore del proprio bagaglio conoscitivo e professionale, rispetto alla quale credo che tutti gli operatori del diritto sarebbero d'accordo.
Si dimentica, peraltro, che nel dibattito di anni, e anche in alcune circolari del Consiglio superiore della magistratura del passato, con riferimento ad alcuni incarichi - penso, ad esempio, all'incarico del GIP all'indomani dell'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale - si evidenziava e si raccomandava come la figura dell'uditore, ove possibile, potesse non essere esposta immediatamente.
Chi ha esperienza consiliare e buona memoria ricorderà che per quel che riguardava la tematica dei posti a concorso nei concorsi per uditore giudiziario rispetto ad uffici delicati (ripeto, come quello del GIP) vi è stata sempre una certa difficoltà, individuando quello come criterio residuale, proprio a cagione delle caratteristiche di quell'ufficio. Riteniamo francamente che meccanismi che incentivano una cultura generalizzata della magistratura come potere diffuso e che tendono a porre al riparo da forme di esposizione immediata i colleghi più giovani, cercando di evitare che questi soggetti debbano necessariamente ricoprire degli incarichi che espongono non solo il collega magistrato, ma anche tutta la magistratura in prima persona, sono sicuramente delle soluzioni rispetto alle quali certamente quanto meno un'attenzione critica e non preconcetta si rende necessaria.
Ciò anche perché il meccanismo di incentivazione è altamente premiale nei confronti del magistrato, che ha l'opportunità - come, per la verità, in Italia tantissimi magistrati hanno spesso fatto - di arricchire la propria esperienza professionale in una direzione di difficoltà, ma anche di potenziare un patrimonio professionale, culturale e di esperienza. Si prevede un'incentivazione economica, che per la verità non ha precedenti. Si pensi che l'indennità di prima sistemazione supera gli 11 mila euro lordi. Si prevede, poi, un meccanismo valutativo in relazione allaPag. 14carriera, con forme anche di raddoppiamento dell'anzianità, che certamente si caratterizzano come un atteggiamento premiale e consapevole da parte del legislatore rispetto al sacrificio al quale viene chiamato il magistrato, anche - potremmo dire - nel naturale espletamento di una funzione di primaria importanza, quale quella che egli organicamente riveste all'interno dell'amministrazione, e in un'ottica di garanzia, di protezione e di tutela della giurisdizione nella sua totalità, rispetto ai magistrati che hanno appena iniziato questa attività.
Sono state svolte, inoltre, considerazioni sulla norma che interviene ancora sul limite dei settantacinque anni. Rispetto a queste considerazioni, riteniamo che sia corretto evitare ogni possibile forma di strumentalizzazione o anche di ricevere e raccogliere provocazioni, che pure sono state lanciate. Vogliamo ricordare che, per quanto prevede la nostra Costituzione e per la cultura del nostro Paese, appare naturale ed evidente qualsiasi forma di restitutio in integrum nei confronti di soggetti che hanno vissuto spesso drammi personali, vere e proprie tragedie, la messa in discussione di esperienze professionali e relazionali di una vita intera. Nel caso di specie, ci piace ricordare che, per quanto riguarda la figura del magistrato, il vulnus, sotto un certo profilo, è doppio, tutte le volte in cui si esercita una lunga attività giudiziaria protratta negli anni, nell'ipotesi in cui, ad esempio, si giunga al riconoscimento dell'assoluta estraneità ai fatti del soggetto. Ci si chiede, quindi, se non sia giusta e condivisibile una norma che consente a questa persona di ricostruire un suo possibile percorso di carriera in un ambito significativo, quale può essere quello dell'attività di alto profilo nell'ambito della magistratura. Questo riconoscimento appare altrettanto importante per lo Stato e per la collettività, poiché consente all'intera immagine di un corpo, che viene gravemente ferito per le patologie dei singoli, di potere riacquistare zone di normalità e di condivisione, qualora si venga a verificare e riscontrare, all'esito di un percorso, che il soggetto era assolutamente estraneo agli addebiti che gli venivano mossi.
Riteniamo che sia una comune norma di civiltà, applicazione completa di principi costituzionali assolutamente indiscussi, rispetto ai quali sorprende, per la verità, un certo dibattito che si è sviluppato nel passato, che oggi, quanto meno, dovrebbe tener conto del fatto che anche qui responsabilmente il legislatore ha tenuto conto dell'altissimo ruolo di intervento e di valutazione che compete al Consiglio superiore della magistratura, che rimane peraltro assolutamente intatto.
Infine, piace ricordare, per quel che riguarda il fondo per la giustizia, che chi, negli anni scorsi, ha vissuto un po' più da vicino la materia e le difficoltà relative alla gestione dei fondi nell'ambito del Ministero della giustizia, sa bene che uno degli aspetti più difficoltosi e nevralgici è rappresentato dalla difficoltà, che si è verificata e riscontrata nel tempo da parte del Ministero della giustizia nell'ambito dei suoi rapporti con le amministrazioni dell'economia e delle finanze, dell'interno e con i soggetti esercenti, a poter garantire a se stesso un effettivo potenziamento continuo, potremmo dire un circuito virtuoso rispetto alle somme che, naturalmente, per effetto dell'attività giurisdizionale, sarebbero destinate a quello che viene definito il comparto giustizia.
Crediamo di poter dire che l'intuizione che porta a questa soluzione normativa del fondo giustizia non ha colore. È un'idea che nasce in tempi remoti, viene coltivata anche nel corso della precedente legislatura e oggi viene a compimento con l'individuazione di un fondo, che ha effettivamente le caratteristiche del fondo: una gestione dinamica, che viene, peraltro, rassegnata all'esercente che tradizionalmente l'ha curata nel passato, ma con delle soluzioni normative nuove e più agevoli, e la possibilità, attraverso il comitato, di osservare e vigilare sulla corretta ripartizione delle somme, anche nel rapporto tra il Ministero della giustizia e il Ministero dell'interno.Pag. 15
Ma, soprattutto, questa norma rappresenta l'inizio di un percorso teso a mettere il Ministero della giustizia in condizione di poter rientrare in una moderna, concreta e attuale utilizzazione e fruizione di somme che vengono incamerate dallo Stato anche e soprattutto grazie all'attività giurisdizionale.
Rispetto a quanto è stato detto, quindi, riteniamo che, con queste norme, questa maggioranza e questo Governo stiano dando delle prime risposte, che sono delle risposte concrete e, come si è visto, di settore, delle risposte pragmatiche ad alcuni problemi, che sono poi problemi veri e sentiti nell'esercizio della giurisdizione, e voglio sottolineare proprio l'attenzione e la sensibilità con la quale queste materie sono state trattate in relazione ai temi più centrali, che stanno a cuore all'autogoverno della magistratura.
Voglio, infatti, ricordare che nei documenti del Consiglio superiore della magistratura, che sono stati affrontati su questo argomento, si ritrovano grandissimi stralci di elaborazioni, che portano poi, conseguentemente, proprio alle soluzioni normative che qui sono state accolte.
Devo dire che, anche rispetto al dialogo che c'è stato con l'Associazione nazionale magistrati e con tutti gli interessati in Commissione e nelle altre sedi, si è cercato in tutti i modi di realizzare delle soluzioni nel senso dell'efficienza e della condivisione, che sono - mi piace ritornare su questo argomento - almeno per quel che riguarda la soluzione dei colleghi più giovani, delle soluzioni a tutela dell'immagine, a difesa del singolo e nel segno del coinvolgimento dell'intero corpo giudiziario verso quel responsabile processo di risposta in termini di efficienza che lo Stato deve assicurare al cittadino.
È per questo che il Popolo della Libertà, in Commissione, in tutte le sedi e in questa sede finale, ha assicurato e assicurerà, ovviamente, il suo sostegno a questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cavallaro. Ne ha facoltà.

MARIO CAVALLARO. Signor Presidente, su questo provvedimento esprimiamo non un giudizio di contrarietà preconcetta, ma un giudizio ragionato di inadeguatezza e di insufficienza. In particolare, quello che ci preme far rilevare è come questo provvedimento sia presentato come una soluzione, quando, piuttosto, per essere corretti, deve essere ipotizzato come un esperimento, un'ipotesi di soluzione.
Uno dei presupposti infatti, e cioè la maggiore appetibilità del regime premiale che è in sostanza l'unica novità del provvedimento in esame, che come è stato ricordato per il resto è nel filone di tali forme di soluzione del problema, è tutto da verificare. Permangono in realtà tutte intere e tutte irrisolte le cause strutturali di una difficoltà non solo di copertura astratta degli organici, che, com'è noto, è già un elemento grave, un elemento difficile, ma anche di una funzionalità nel merito degli uffici giudiziari che soffrono di queste problematiche. E quindi, a monte di ogni altra considerazione, vi è il rilievo che comunque vi è un vuoto di organico complessivo, seppure non drammatico, nella magistratura; e tale dato non è insignificante rispetto a quello ulteriore e successivo di scopertura, in particolare in determinate sedi giudiziarie.
Occorre pur dire che alcuni degli elementi che provocano la scopertura di certe sedi, oltre al disagio fisico di coprirle, dipendono oramai in maniera evidente anche da un disagio psicologico, direi persino di identità, che sta interessando la magistratura. Non è un caso, ritengo, che il tema per esempio su cui spenderò anch'io qualche parola, che ritengo odiosamente qualificato come quello dei «giudici ragazzini», mostri comunque una sorta di disfavore per la parte giovane, per la parte entusiasta, per la parte coraggiosa e volitiva della magistratura italiana, che credo non abbia alcun bisogno di essere presentata come imberbe e incespicante, nell'attesa di diventare sapiente nel lungo tempo dell'esercizio della giurisdizione. La verità è che le scoperture degli uffici dei pubblici ministeri sono molte, perché nell'incertezzaPag. 16sull'organizzazione dell'ordinamento giudiziario molti magistrati non se la sentono di assumere tale impegno; e fra l'altro cresce anche una sorta di schizofrenia delle nostre valutazioni, perché da un lato riteniamo così difficile e delicata la funzione della pubblica accusa da non affidarla a magistrati giovani, e dall'altro non ci ricordiamo che per nostro stesso impegno di legislatori è stato radicalmente modificato l'impianto del sistema giuridico in materia cautelare e in materia di irrogazione di sanzioni di tipo restrittivo della libertà personale, per cui i pubblici ministeri ben poco possono in questa direzione, se non presentare richieste. Così come ci dimentichiamo che una buona, cospicua parte dell'esercizio concreto della giurisdizione penale nelle aule di giustizia, dopo avere pontificato sulla necessità di grande esperienza, la affidiamo poi a dei viceprocuratori onorari; i quali poi sono in pratica i signori dell'azione penale nel momento, non certo irrilevante ma spesso decisivo, della richiesta di condanna o della richiesta di assoluzione.
Mi sembra quindi francamente che, se vogliamo dire qualcosa di serio su questo argomento, dovremmo riconsiderare anche - perché no? - sotto il profilo non politico, ma culturale e sociologico la figura del magistrato, la sua formazione, la sua qualità culturale, morale e professionale; per capire che fra l'altro quel modello di giudice incautamente chiamato «ragazzino» non esiste più neanche nella realtà, perché oramai non esiste chi a 22-23 anni entri nella magistratura: si tratta di un percorso abbastanza complesso, al termine del quale mi auguro che lo Stato sia in grado di formare un soggetto adeguatamente pronto ad esercitare dovunque la giurisdizione.
Detto questo, che a mio parere è un nodo certamente irrisolto (non so se potrebbe essere utile abbreviare questo tempo di verifica della professionalità, se non sarebbe meglio in concreto stabilire anche dei criteri valutativi sulla base del lavoro svolto, dell'attività prestata, piuttosto che soltanto sulla base del decorrere del tempo), è chiaro che oltre a ciò vi è un problema di inadeguatezza organizzativa, che il provvedimento in esame non risolve, e per il quale non c'è bisogno di una legge, ma della prefissione di quei parametri di efficienza, laboriosità, professionalità su cui più volte abbiamo proposto di ragionare insieme piuttosto che affermare astrattamente il principio della copertura.
Resta il fatto - e tutti quanti lo affermiamo - che nella difficoltà di definire le sedi cosiddette degne di copertura straordinaria (e quindi le sedi disagiate) il criterio che il sottosegretario ci ha illustrato è, in buona sostanza, un criterio comunque tautologico (sono cioè tali quelle che vengono dichiarate successivamente scoperte, avendoci egli illustrato che non sempre e non tanto la nozione astratta di luoghi della criminalità organizzata rende certe sedi disagiate).
Ma a maggior ragione ciò comporta una difficoltà ulteriore e, a mio giudizio, la valutazione che a questo punto dovremmo smetterla di stabilire per legge cose che per legge non si possono stabilire, così come la buona organizzazione e l'adeguatezza organizzativa, demandando alla magistratura ed agli organi di autogoverno il compito di stabilire periodicamente, con determinate garanzie ed una serie di regole di carattere generale, quali sono e perché debbono essere coperte determinate sedi, proprio per evitare che in realtà questa coperta corta venga stesa sull'intero Paese, magari coprendo sedi che certamente potrebbero trovare misure alternative rispetto a quella della copertura (fra l'altro, così cospicuamente onerosa per lo Stato).
In particolare, ritengo ad esempio interessante la riarticolazione territoriale: in ciò, forse perché provengo da un piccolo foro, non sono affatto dell'idea che parlare di questo significhi chiudere qualche povero e piccolo tribunale, bensì stendere una riarticolazione, sia orizzontale sia verticale, sul territorio nazionale per un principio reticolare di prossimità dell'attività di giustizia, che deve essere in grado tanto di erogare la giustizia della quotidianità,Pag. 17quanto la giustizia specializzata che richiede particolari qualità di indagine o particolare incisività.
Molte cose si sarebbero potute e si potrebbero tuttora fare: penso alla riadozione, in maniera più efficace, delle tabelle infradistrettuali o alla riassegnazione a sedi plurime, che potrebbe costituire una misura radicalmente alternativa e certamente molto migliore, anche sul piano del rapporto del magistrato con i suoi uffici e con il suo territorio, rispetto a queste forme che fra l'altro - ma non voglio essere un cattivo profeta - a me pare rischiano di non rappresentare affatto un'ottima soluzione e di non dare poi quei risultati cui tutti noi comunque speriamo (perché certo a tutti quanti noi preme che si realizzi una maggiore efficienza dell'organizzazione giudiziaria).
È vero - ce lo ha riferito in questa sede il sottosegretario - che il provvedimento al nostro esame fissa in maniera certa il numero dei magistrati fuori ruolo, ma mi pare che anch'essi siano comunque troppi rispetto a quanto si è affermato in passato (addirittura si voleva ridurli a poche decine di unità); vi è quindi, comunque, una debordanza del ruolo della magistratura, specialmente quando non fa la magistratura.
Non può poi che rimanere negativo il giudizio sull'organizzazione e gestione del fondo sulla giustizia, fra l'altro per un principio a monte e fondamentale, e cioè che questo fondo è alimentato completamente da risorse che vengono dal mondo della giustizia, dai cittadini, dagli operatori e da coloro che, magari dimenticandosene, lasciano i depositi giudiziari. Francamente mi sembrerebbe normale che questo fondo venisse totalmente ed integralmente destinato alle esigenze ed alle necessità della giustizia (salvo semmai proprio l'eccezionalità del caso mai previsto e prevedibile di poterne destinare una piccola parte anche ad altre risorse).
Il comparto della sicurezza è comprensibilmente importantissimo, ma deve essere alimentato da altrettante risorse che devono trovare altra forma di previsione nel bilancio dello Stato (non è infatti pensabile che, sottraendo risorse ad un comparto già così in sofferenza e che negli ultimi anni ha visto nuovamente tornare indietro la sua percentuale rispetto al PIL, si possa dare una risposta adeguata all'organizzazione giudiziaria).
Mi preme svolgere un'ultima considerazione, e non per un malanimo personale. Non so neanche chi sia la persona di cui aleggia il nome nel cosiddetto provvedimento semi ad personam, dal momento che si afferma dichiaratamente che l'emendamento introdotto al Senato conterrebbe la possibilità non di far diventare chi sappiamo primo presidente della Cassazione, ma di impedire che nasca una condizione di negatività (salva poi, cioè, la decisione del Consiglio superiore della magistratura). A me pare che si tratti di un ragionamento in punta di diritto assolutamente bislacco: chiunque abbia dei diritti li può esercitare, negati o meno che essi siano, nell'ambito delle disposizioni ordinarie che tutti gli altri cittadini hanno diritto di avere.
Se, nella Repubblica italiana, nessun cittadino, oltre i settantacinque anni, ha diritto ad avere un incarico direttivo, non si capisce perché debba essere prevista una norma, che non può che essere qualificata ad personam, con la quale si recupera il vissuto personale. Persino la condizione di parlamentare, che inibisce, in caso di aspettativa, di proseguire la carriera di magistrato o di professore universitario, al termine del mandato non consente di sommare questo lungo periodo e di andare in pensione a ottantacinque, novanta o novantacinque anni; persino il parlamentare viene messo in quiescenza nel momento in cui, come è giusto, le leggi stabiliscono che non si possa superare questo limite.
Non si capisce perché - spiace dirlo e spiace rilevarlo - questo limite debba essere qui stabilito ad personam, a parte, nel caso specifico, il poco meritevole intento di attribuire l'onore di rendere quella giustizia già resa dalle aule del tribunale e sulla quale nessuno di noi intende discutere. Non si capisce perché si debba rendere questo «onore delle armi»Pag. 18che non ha alcun rapporto con i diritti, che, oramai, se violati, potranno eventualmente essere oggetto di un'azione risarcitoria e di una domanda di risarcimento del danno verso chi abbia commesso, con dolo o colpa, il grave errore di indagare un personaggio che poi viene assolto all'esito di tre gradi di giudizio.
Francamente, non mi sembra che questa personale questione meriti il nostro impegno e l'impegno del Parlamento. Mi pare che, anzi, essa vada decisa secondo i principi ordinari dell'ordinamento, che vanno in una direzione opposta rispetto a quella che qui ci viene proposta. È un altro motivo per cui si esprime un giudizio, nella migliore delle ipotesi, di perplessità su questo testo normativo, che è affidato alla nostra valutazione e che, comunque, non altera gli elementi di gravità e di necessità di intervento futuri su tutta la materia del riordino dell'organizzazione giudiziaria.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nicola Molteni. Ne ha facoltà.

NICOLA MOLTENI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, il decreto-legge n. 143 del 2008 si propone di operare interventi urgenti e necessari al fine di migliorare la funzionalità del sistema giudiziario sotto due determinati profili: da un lato, assicurare il funzionamento delle cosiddette sedi disagiate, dall'altro, rendere operativo il Fondo unico per la giustizia.
Tale provvedimento, resosi necessario anche alla luce della nota formulata in data 31 luglio del 2008 dal Consiglio superiore della magistratura (in cui veniva evidenziata l'assoluta necessità di coprire l'elevato numero di posti in organico attualmente vacanti nelle sedi giudiziarie), interviene per porre rimedio all'approvazione della legge n. 111 del 2007 che, modificando l'articolo 13 del decreto legislativo n. 160 del 2006, ha stabilito che i magistrati ordinari, alla conclusione del tirocinio, non possano essere destinati a svolgere le funzioni requirenti, le funzioni giudicanti monocratiche penali, quelle di giudice per le indagini preliminari e di giudice dell'udienza preliminare. Si tratta di funzioni che possono essere svolte soltanto da magistrati che abbiano conseguito, dopo quattro anni dalla nomina, la prima valutazione di professionalità.
Tale legge n. 111 del 2007 - lo vorrei ricordare - venne approvata quasi all'unanimità nella passata legislatura, in quanto si ritenne, correttamente, inopportuno inviare giovani magistrati - giustamente prima il sottosegretario ha ricordato che quelli che qualcuno definì «giudici ragazzini», erano giovani di età, ma, soprattutto, di esperienza - a svolgere funzioni tanto delicate, in sedi tanto complesse.
Il decreto-legge n. 143 del 2008, attraverso l'importante lavoro svolto dalle Commissioni al Senato, sia dalla maggioranza, che dall'opposizione - al riguardo vorrei evidenziare e ricordare all'Aula che le opposizioni al Senato hanno votato favorevolmente su questo provvedimento -, rappresenta un passo in avanti compiuto dall'attuale Governo nella direzione di migliorare e rendere più efficiente ed efficace il sistema giustizia nel suo complesso e di sopperire alle lacune e alle mancanze del passato, ovviamente, nell'interesse primario ed esclusivo dei cittadini e - mi permetto di dire - di tutti i cittadini del sud, ma anche del nord.
Infatti, grazie al provvedimento in esame - tale aspetto è stato ed è ovviamente molto apprezzato dal gruppo della Lega Nord -, ci si avvia finalmente a risolvere il problema della scopertura di organico delle sedi disagiate, attraverso importanti incentivi e benefici economici, ma anche giuridici e di carriera, nella consapevolezza però - e ci fa piacere, da questo punto di vista, che il Governo abbia avuto la sensibilità di porsi in una prospettiva nuova ed aggiornata rispetto al problema, così come disciplinato ed affrontato in passato - che le sedi giudiziarie in situazioni di disagio sussistono tanto al sud quanto al nord.
Ritengo pertanto importante, significativa e rispettosa anche delle realtà settentrionali la modifica dei criteri di determinazione e di identificazione del concetto diPag. 19sede disagiata, estendendone la portata ad una definizione di livello nazionale ed eliminando, pertanto, gli inopportuni riferimenti territoriali contenuti nella precedente legge. Infatti, i problemi delle scoperture delle sedi disagiate sussistono ed ovviamente si presentano sicuramente in Calabria, in Basilicata, in Sardegna e in Sicilia, ma emergono con altrettanto incisiva preoccupazione anche in importanti realtà ed uffici giudiziari del nord.
Al Senato il collega Mazzatorta ha giustamente ricordato che a Brescia, dove è concentrato storicamente, da sempre, un altissimo numero di immigrati clandestini e dove vi è un tasso di criminalità organizzata sempre crescente, su 21 procuratori solo 9 sono in organico. Tali situazioni di estrema difficoltà si stanno verificando anche in altri importanti centri della Lombardia e del nord in generale. Ad esempio, Como, territorio che ben conosco a causa della mia provenienza e a causa della sua particolare realtà di zona di confine, ha vissuto negli ultimi anni un incremento esponenziale delle criminalità (micro, macro ed organizzata). Questa situazione ha portato la procura di Como, negli ultimi mesi, a lanciare un grido di allarme in virtù della sempre maggiore difficoltà , ad esempio, nel costituire i collegi dei processi (tra l'altro, questa vicenda è stata da parte mia oggetto di un'interrogazione parlamentare). Pertanto, accogliamo molto positivamente l'eliminazione dei limiti restrittivi del riferimento territoriale e quindi la nuova disciplina che ha condotto alla riscrittura dell'articolo 1 della legge n. 133 del 1998.
Valutiamo inoltre positivamente l'estensione a tutto il territorio nazionale della nuova disciplina delle sedi disagiate e con altrettanta positività guardiamo alla previsione circa l'ampliamento del numero dei magistrati che possono essere trasferiti: si passa infatti da 50 a 100 magistrati l'anno. L'augurio è che ovviamente il CSM, di concerto con il Ministero, orienti le proprie determinazioni nell'individuazione delle 60 sedi disagiate e delle 10 sedi a copertura immediata - questa è un'altra importante novità introdotta nel provvedimento in esame - attraverso criteri oggettivi, razionali ed ovviamente in linea anche con le modifiche accennate in precedenza.
Evidenzio inoltre, anche alla luce di alcune considerazioni e di alcune riflessioni che sono state svolte all'interno della Commissione giustizia, come probabilmente la geografia giudiziaria, soprattutto in merito alla distribuzione dei magistrati, dovrà prontamente essere oggetto di analisi e di studio approfonditi. Infatti, vi sono talune procure con un numero di magistrati eccessivamente superiore rispetto al carico giudiziario realmente sopportato. Tale analisi, però - lo dico al sottosegretario con estrema chiarezza - non dovrà comportare né tantomeno interessare la soppressione o, peggio ancora, la cancellazione delle cosiddette sedi distaccate o delle sedi di tribunali minori di periferia, in quanto essi rappresentano un patrimonio importante, indispensabile ed imprescindibile anche e soprattutto per i cittadini, in particolare del nord e di alcuni territori del nord, per garantire un efficiente ed equilibrato sistema giustizia. Verso altri elementi di disfunzionalità del mondo giudiziario - e purtroppo ve ne sono - dovranno pertanto essere orientati gli sguardi del Governo, per una migliore razionalizzazione del comparto giustizia.
Infine, con riferimento all'articolo 2 del provvedimento in esame, guardiamo con favore - finalmente - alla determinazione di norme chiare, operative ed applicative per il funzionamento del Fondo unico per la giustizia, istituito con il comma 23 dell'articolo 61 del decreto-legge n. 112 del 2008. In tale direzione va infatti l'ampliamento della tipologia delle risorse che affluiscono al Fondo unico per la giustizia, includendovi peraltro, oltre alle somme di denaro sequestrate nell'ambito dei procedimenti penali o per applicazione di misure di prevenzione, oltre alle somme di denaro derivanti da irrogazioni di sanzioni amministrative, oltre ai proventi dei beni confiscati nell'ambito di procedimenti penali amministrativi, anche le somme di denaro o i proventi relativi a titoli al portatore, ai valori di bollo, ai creditiPag. 20pecuniari, ai conti correnti, ai libretti di deposito e ad ogni altra attività finanziaria oggetto di provvedimenti di sequestro nell'ambito di procedimenti penali.
Si tratta, quindi, di un vero e proprio tesoro: fondi dormienti o, meglio ancora, fondi totalmente dimenticati che rappresentano un patrimonio unico e indispensabile per garantire un buon funzionamento sia della giustizia, sia della sicurezza nel nostro Paese. È una vergogna il modo in cui questo tema - ovvero il tema della riscossione delle entrate giudiziarie - sia stato trattato e gestito, o meglio, non gestito e non trattato in questi anni. Pertanto, grazie al recupero di questi ingenti patrimoni potremo finalmente avere le risorse per garantire, da un lato, più efficienza al sistema giustizia, al funzionamento e al potenziamento degli uffici giudiziari, nonché agli alti servizi istituzionali del Ministero della giustizia, e, dall'altro, contemporaneamente, sostenere con adeguate risorse e finanziamenti gli eccellenti provvedimenti in materia di sicurezza voluti dal Ministro Maroni e dal Governo.
Giustizia e sicurezza pubblica - lo vorrei ricordare a qualche collega - viaggiano parallelamente: l'una problematica è strettamente connessa e dipendente dall'altra. È evidente, però, che il sistema giustizia nella sua complessità, affinché possa essere efficiente e funzionale, necessita di risorse e tale Fondo dovrà necessariamente operare in questa direzione, anche per evitare vicende spiacevoli e poco edificanti salite alle cronache in questi giorni.
È di questi giorni, infatti, la notizia che due aziende comasche, l'una di Cantù e l'altra di Binago - aziende che gestiscono il 70 per cento delle intercettazioni telefoniche del Paese - stanno attendendo da circa un anno e mezzo (cinquecento giorni!) la bellezza di 140 milioni di euro dallo Stato per il servizio di intercettazioni telefoniche e ambientali svolto. Tralasciando ogni considerazione circa l'elevato numero e l'eccessivo costo delle intercettazioni, uno Stato serio non può permettersi di avere un debito ed arretrati così elevati con soggetti imprenditoriali che danno, peraltro, occupazione a centinaia di lavoratori. Il Ministro Alfano - e lo ringrazio pubblicamente - si è prontamente attivato per dare udienza ed ascolto a tali soggetti e a tali imprenditori, e mi auguro che a breve si possa giungere alla definizione in termini positivi di questa vicenda.
Concludo, signor Presidente, esprimendo ovviamente una valutazione positiva circa il presente decreto-legge, che si inserisce all'interno di una serie di provvedimenti già votati da questa Assemblea, i quali dimostrano la fattiva e concreta volontà del Governo di affrontare una serie di problemi tuttora irrisolti nel nostro Paese e di migliorare le lacune ancora presenti nel sistema giustizia, ovviamente, però, nell'attesa di riforme ben più organiche e necessariamente più complessive dell'apparato giudiziario, nell'interesse del Paese ed ovviamente nell'interesse dei cittadini.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ciccanti. Ne ha facoltà.

AMEDEO CICCANTI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevole relatore, il decreto-legge n. 143 del 2008 detta una nuova disciplina del trasferimento d'ufficio dei magistrati a sedi disagiate e modifica, come è noto, la legge 4 maggio 1998, n. 133.
Per quanto riguarda l'ambito di applicazione della nuova normativa, sono state previste alcune importanti novità che saranno oggetto di una mia riflessione in questo intervento.
La prima novità è che sono esclusi dall'applicazione della citata legge n. 133 del 1998 i magistrati destinati alle nuove sedi di servizio al termine del tirocinio, affinché sia garantito un livello medio di professionalità.
La seconda novità è che alle sedi disagiate possono essere trasferiti d'ufficio magistrati provenienti da sedi non disagiate, che abbiano conseguito almeno la prima valutazione di professionalità. Il numero di magistrati che possono esserePag. 21destinati alle sedi disagiate non può essere superiore a cento - come veniva ricordato poc'anzi dal collega che mi ha preceduto - raddoppiando, così, il numero di cinquanta stabilito dalla legge n. 133 del 1998.
Per sede disagiata, inoltre, non si intende più quella relativa ad alcuni territori e questa è un'importante novità. Cade il riferimento geografico alle regioni Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna, poiché vi sono situazioni di emergenza anche in altre parti d'Italia e - come qui veniva ricordato - anche nel nord del Paese.
Come meglio definito dal Senato, sede disagiata è l'ufficio giudiziario di qualsiasi parte d'Italia che registra una quota di posti vacanti superiore al 20 per cento dell'organico quale risultante dalla mancata copertura dei posti messi a concorso nell'ultima pubblicazione relativa alla copertura dell'organico. In base a tale disciplina, le sedi vacanti a copertura immediata sono ora indicate in dieci sedi rispetto alle sessanta indicate annualmente dal Consiglio superiore della magistratura, in quanto sono rimaste vacanti, dopo ben due successive pubblicazioni, per carenza di aspiranti.
Deve essere colta un'altra novità nel decreto-legge in esame, ossia la definizione più puntuale di cosa si intende per trasferimento d'ufficio. Ferme restando le altre condizioni stabilite dalla legge previgente, la normativa in esame stabilisce che tra la sede in cui il magistrato presta servizio e quella di destinazione deve intercorrere una distanza superiore a cento chilometri. Non è più prevista la maggiore distanza dei 150 chilometri, eccezion fatta per la Sardegna, e il mutamento di regione.
Il provvedimento legislativo in esame tenta, in via sperimentale, di risolvere un problema annoso, diventato ingestibile in questa fase storica, che è quello della copertura degli organici scoperti in alcune sedi giudiziarie. Tale drammaticità è più evidente nelle sedi giudiziarie del Mezzogiorno, ossia proprio le sedi che sono in prima linea nella lotta contro la criminalità organizzata: mafia, sacra corona unita, camorra, 'ndrangheta e - perché no ? - anche banditismo sardo, che ogni tanto fa capolino nelle cronache giudiziarie.
In Italia ci sono cinque regioni, signor sottosegretario, dove lo Stato è messo sotto scacco da forze dell'anti-Stato, forti e con una potenza di fuoco pari a quella delle forze dell'ordine. La forza della loro presenza sul territorio è rappresentata soprattutto dall'intimidazione e dalla conseguente omertà. Appare chiaro come, sotto questo aspetto, non riteniamo efficace, se non dal punto di vista della dissuasione psicologica, la presenza dei militari con compiti di ordine pubblico, sia pur limitatamente ad una funzione di prevenzione. Le forze dell'ordine e l'organizzazione giudiziaria devono, pertanto, aumentare il loro livello di efficienza investigativa e la loro determinazione per arrivare ad una giustizia giusta, ossia a pene certe in tempi certi e possibilmente brevi.
Occorre ribadire la necessità della presenza dello Stato in modo evidente e comprensibile da parte dei cittadini. La relazione illustrativa, oltre a rimarcare l'esigenza di intervenire e sopperire alle carenze di organico nelle sedi disagiate, evidenzia altresì la necessità dell'intervento normativo proposto, che riveste carattere d'urgenza, essendo necessario coprire, almeno in parte, l'elevato numero di posti in organico vacanti in sedi giudiziarie nelle quali si sta verificando una progressiva paralisi dell'attività di indagine e dell'intera giurisdizione penale. È questo, pertanto, un provvedimento di emergenza: abbiamo però da risolvere un problema strutturale del funzionamento del sistema giudiziario, affinché i diritti civili di questo Paese siano salvaguardati. Il ricorso alla Corte di giustizia europea, per il riconoscimento dei danni previsti dalla cosiddetta legge Pinto, per l'inutile decorso di ogni ragionevole lasso di tempo per un giudizio, dimostra un quadro di funzionamento della giustizia talmente serio e complicato che non può essere risolto da provvedimenti tampone.
Và sottolineata, inoltre, la forte perplessità espressa dall'Associazione nazionale magistrati che, presso la CommissionePag. 22giustizia, ha espresso i propri dubbi in merito al fatto che il provvedimento in esame possa risolvere l'emergenza dei posti vacanti.
In tale quadro di dubbi e perplessità ci si deve porre la domanda su quali soluzioni convenire per correggere il meccanismo proposto dal Governo qualora non funzionasse.
Se le perplessità diventassero realtà, cosa succederebbe, signor sottosegretario? Si chiuderebbero le sedi? Sarebbe negata la giustizia in quella parte del territorio che fa riferimento agli uffici giudiziari? Occorre, dunque, una clausola che garantisca una copertura anche nel caso del perdurare dei posti vacanti.
Il divieto previsto per i magistrati ordinari al termine del loro tirocinio comporterebbe serie conseguenze in tempi rapidi con ricadute drammatiche nelle sedi dove il contrasto alla criminalità organizzata è tema sentito dalla coscienza civile. È noto, infatti, che molti di questi uffici si reggono su un organico composto soprattutto da magistrati di prima nomina. Per queste ragioni noi del gruppo dell'UdC abbiamo proposto l'eliminazione del limite suddetto, quantunque più che giustificabile in via teorica.
Sappiamo che una professionalità acquisita è la garanzia di una giustizia più efficace in certe situazioni più complicate. Certe volte, però, il meglio è nemico del bene, sicché preferiamo proteggere le finalità del provvedimento prevedendo fattispecie di chiusura della normativa che non espongano all'insuccesso la necessità di rispondere ai bisogni di giustizia.
Proponiamo, quindi, che vi siano specifiche deroghe da parte del Consiglio superiore della magistratura in presenza di imprescindibili esigenze di servizio le cui motivazioni siano tassative, specifiche e congrue.
Riteniamo un limite la mancanza di incentivi al trasferimento d'ufficio: il riconoscimento di benefici economici e di carriera poteva essere una misura che avrebbe agevolato la copertura di posti vacanti.
L'eliminazione del limite regionale è di per sé un aspetto positivo se però fosse meglio disciplinata. Così com'è la norma, vi è il rischio che un magistrato possa abbandonare una sede disagiata per andare in un'altra sede disagiata. Tale situazione potrebbe verificarsi, per esempio, in Sicilia dove di sedi disagiate a più di 100 chilometri l'una dall'altra ve ne sono diverse.
Si rischia, pertanto, di risolvere un problema aprendone altri perché la situazione rimanga com'è.
Va detto che su tale questione una maggiore riflessione da parte del Governo e della maggioranza dovrebbe porsi.
Infatti, il trasferimento d'ufficio, da solo, non risolve la questione posta perché anche il trasferimento deve tener conto di un quadro di precedenze e di diritti dei magistrati, soprattutto se di genere femminile, che possono cambiare in corso d'anno.
Una riflessione a parte merita la norma che abroga l'articolo 36 del decreto legislativo n. 160 del 2006, eliminando così il limite di età dei 75 anni per la copertura delle funzioni direttive, con esclusione di quelle di primo grado, per i magistrati reintegrati in servizio a seguito del definitivo proscioglimento in sede penale ovvero dopo la sospensione del rapporto di servizio o la quiescenza anticipata.
Va intravista, in questa norma, una finalità estranea a quella del decreto-legge in discussione che lascia, invece, percepire un profilo particolaristico.
Questa pervicacia del Governo, fin dal suo insediamento, di inserire nei decreti-legge norme estranee al contenuto proprio del titolo stravolge non solo il significato costituzionale dell'articolo 77 della Costituzione, ma anche l'orientamento costante della Corte costituzionale e la funzione parlamentare che da tempo denuncia profili di incostituzionalità sulla necessità ed urgenza di tali norme.
Sappiamo bene che porre una questione di legittimità costituzionale è corretta prassi parlamentare, ma è questionePag. 23risibile per l'attuale maggioranza che risolve, con la forza dei numeri, ogni questione di procedura e di merito.
Tuttavia, sottolineo questi aspetti, come appartenente al gruppo dell'Unione di Centro, perché queste osservazioni le svolgevamo con i colleghi di Alleanza Nazionale e di Forza Italia quando eravamo all'opposizione, durante il Governo Prodi, che stravolgeva le regole parlamentari, e le formuliamo ancora oggi, coerentemente, nei confronti di una maggioranza diversa.
La forza dell'Unione di Centro forse sta proprio in questa coerenza, sul primato delle istituzioni rispetto agli interessi politici di parte. Tale forza sarà compresa dagli italiani come, in parte, si comincia a fare, poiché si avvicina l'inizio della fine della luna di miele di questo Governo.
Sulla questione dei limiti di età di pensionamento dei magistrati, si deve precisare che già il precedente Governo Berlusconi fu fortemente contestato per l'assenso dato al cosiddetto «emendamento Caselli», introdotto dal Senato nella riforma dell'ordinamento giudiziario.
La legge n. 248 del 2006 ha posto un limite tassativo di età per il conferimento degli incarichi dirigenziali ad esterni all'amministrazione. La legge n. 133 del 2008 ha, sostanzialmente, abbassato il limite di età per il collocamento a riposo nella pubblica amministrazione da 67 a 65 anni, rendendo facoltativo per l'amministrazione concedere due ulteriori anni prima del collocamento a riposo.
Occorre, pertanto, riflettere sulla opportunità, razionalità e coerenza di tale norma. Eliminare ogni limite di età, per la magistratura, potrebbe riaccendere nuove polemiche sulle leggi ad personam. Cosa si nasconde dietro questa norma, non urgente né necessaria? Quale motivazione sottostante è ravvisabile nell'interesse della copertura dei posti vacanti nelle sedi disagiate? Siamo favorevoli al rinnovamento della dirigenza negli uffici giudiziari per rinnovare e cambiare il funzionamento della giustizia in Italia. Siamo a favore della valorizzazione del merito della dirigenza negli uffici giudiziari, piuttosto che definirla sulla base dell'anzianità di servizio. Per queste ragioni l'Unione di Centro è favorevole alla soppressione della norma che elimina ogni limite di età per la riassunzione in servizio e l'affidamento di incarichi di dirigenza di alcuni magistrati. Un'altra questione su cui vogliamo soffermarci riguarda l'emendamento approvato dal Senato, in forza del quale «le quote minime delle risorse intestate al Fondo unico giustizia, di cui alle lettere a) e b) del comma 7, possono essere modificate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in caso di urgenti necessità, derivanti da circostanze gravi ed eccezionali, del Ministero dell'interno o del Ministero della giustizia».
Su tale questione riteniamo evidente la violazione dell'articolo 81 della Costituzione. Non si può con un provvedimento amministrativo, qual è appunto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, disciplinare una materia sottoposta ad una riserva di legge.
Ricordo al Governo e alla maggioranza, nella persona del suo relatore, che una prassi simile era stata introdotta dal Ministro Tremonti con l'articolo 60 del decreto-legge n. 112 del 2008, la cosiddetta manovra estiva, con la forte opposizione di noi dell'Unione di Centro e delle altre minoranze di quest'Aula. Sulla questione intervenne anche il Presidente della Repubblica, Napolitano, che favorì la limitazione dell'efficacia della norma restringendone l'ambito di applicazione all'interno di rimodulazioni da effettuarsi tra programmi, per ciascuna missione, nel limite del 10 per cento di ogni unità previsionale di base che, come è noto, rappresenta l'unità di voto approvata dal Parlamento. I conseguenti atti amministrativi di rimodulazione, così come stabilito nell'articolo 60 modificato, devono essere sottoposti poi al parere delle Commissioni parlamentari di competenza.
Questa norma non prevede nessuna delle garanzie che, a loro volta, furono chieste dal Capo dello Stato. Credo si debba riflettere molto se non si vogliono stravolgere prassi parlamentari trasparentiPag. 24e consolidate, inaugurando non già una stagione decisionista, ma una stagione di confusione e di arbitrarietà.
Abbiamo denunciato tutte queste criticità del provvedimento in esame come contributo al miglior funzionamento della giustizia. L'Unione di Centro non svolge in questo Parlamento un'opposizione pregiudiziale e, pertanto, sollecitiamo Governo e maggioranza a riflettere ed interloquire, almeno con noi dell'Unione di Centro, per il contributo dato senza atteggiamenti ostruzionistici.
Tuttavia, da parte nostra chiediamo al Governo e alla maggioranza di non avere altrettanti atteggiamenti di supponenza e di autosufficienza.
Ovviamente, il voto finale che l'Unione di Centro esprimerà alla Camera terrà conto del quadro di dialogo e di apertura che terrete durante l'esame degli emendamenti.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Capano. Ne ha facoltà.

CINZIA CAPANO. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, intanto voglio esprimere il mio compiacimento perché finalmente riusciamo a discutere di un provvedimento che riguarda la giustizia in Commissione giustizia, visto che abbiamo discusso la riforma del processo civile in Commissione bilancio e la riforma del processo del lavoro in Commissione lavoro.
Finalmente questo provvedimento si è discusso in Commissione giustizia, anche se pare che tale discussione non sia servita a chiarire le idee soprattutto nel rapporto tra il Governo e la sua maggioranza. Infatti, poco fa, abbiamo assistito ad una correzione da parte del Governo rispetto a quanto affermato dal relatore, il quale aveva precisato, nella sua relazione, che l'esigenza da cui nasceva il provvedimento in esame era quella di rispondere alla straordinaria necessità della copertura delle sedi disagiate collocate in aree caratterizzate dalla presenza di criminalità organizzata.
Il Governo ha giustamente corretto il relatore perché, in realtà, con questo provvedimento facciamo esattamente il contrario, cioè priviamo le aree caratterizzate da densità mafiosa (uso questo modo di dire) della qualità di sedi disagiate. Infatti, con questo provvedimento diventano sedi disagiate non più quelle collocate in alcune aree del Mezzogiorno come la Calabria, la Sicilia e la Basilicata, ma definiamo aree disagiate solo quelle sedi che non abbiano ottenuto una copertura nell'ultimo o negli ultimi due concorsi, a seconda se vogliamo considerarle sedi solamente disagiate o sedi che impongono l'immediata copertura.
Non solo: stacchiamo dal concetto di sedi disagiate anche un elemento che, invece, è ancora presente nella normativa vigente. Mi riferisco al carico di affari civili e di affari penali con particolare riferimento alla criminalità organizzata. Quindi, ribadiamo la volontà di slegare la sede disagiata dal carico di lavoro, soprattutto relativamente al carico per affari penali, e caratterizzato da indagini sulla criminalità organizzata.
Il Governo, è vero, ci ha fornito numerosi dati - li ho letti attentamente - e il sottosegretario Caliendo ci ha detto che non vi è alcun problema e che in realtà si è scelta la strada di slegare le sedi disagiate dalle aree territoriali a densità criminale elevata perché quelle sedi sono già della direzione distrettuale antimafia e non hanno problemi di scopertura.
Naturalmente questo è vero, signor sottosegretario, ma lo è nel senso che le procure ove sono allocate le direzioni distrettuali antimafia non hanno problemi di scopertura. Tuttavia, le procure istruiscono i processi, chiedono il rinvio a giudizio, poi ci vogliono dei collegi giudicanti che decidano.
Le faccio l'esempio della mia città, che è sede di una direzione distrettuale antimafia e che ha 32 magistrati, così come previsto in organico. Tuttavia, quando andiamo a considerare i tribunali (peraltro i dati non sono divisi per tribunali civili e penali), ci accorgiamo che ha 13 magistrati in meno nel solo circondario di Bari. Ciò significa che vi sono 13 magistrati che impediscono la formazione di collegi giudicantiPag. 25e sappiamo benissimo che la formazione dei collegi giudicanti, soprattutto in ambito penale, è resa difficile anche dai problemi di incompatibilità posti per tutti quei magistrati che hanno già conosciuto del processo in una fase precedente al momento giudicante; e sappiamo anche che la normativa che volete introdurre in tema di intercettazioni - poiché pretende un collegio per ogni autorizzazione relativa alle intercettazioni - moltiplicherà a dismisura le incompatibilità di tutti questi giudici che hanno conosciuto della domanda di autorizzazione rispetto alla costituzione del collegio per pronunziare nel merito dei processi istruiti.
Quindi, siamo in qualche modo alle solite, ovvero ad un intervento sulla giustizia che sceglie la solita strada: fare non una riforma organica, ma un intervento spot volto a soddisfare l'effetto ottico di far vedere che si fa.
Eppure, così non solo semplicemente non si risolve il problema, ma si rischia di aggiungere danno al danno, e le porto un altro esempio. Sappiamo che questo provvedimento avrebbe potuto avere un senso (lo avrei totalmente condiviso, anche relativamente a questa nuova denominazione delle sedi disagiate) se fosse stato preceduto da un intervento sulla revisione delle circoscrizioni. Infatti, solo ove l'intervento legislativo sulla revisione delle circoscrizioni avesse preceduto questo provvedimento, noi avremmo potuto avere una situazione di omogeneità in Italia e, quindi, dare una valutazione di sede disagiata con criteri validi per tutti.
Tuttavia, come sappiamo, la struttura dei nostri uffici giudiziari è a macchia di leopardo e, in tale struttura, la determinazione dei trasferimenti dei magistrati per sedi disagiate può costituire un elemento di rischio. Faccio un esempio. Sappiamo che, prima del decreto-legge, il trasferimento da una sede ad una sede disagiata pretendeva che la sede disagiata fosse distante non meno di 150 chilometri e fosse situata in un'altra regione rispetto al distretto di provenienza del magistrato. Oggi anche queste due caratteristiche sono venute meno. Pertanto, ad esempio, in Abruzzo (che è una delle regioni più fortunate dal punto di vista dei tribunali, dal momento che ne ha ben otto e ha un milione e 300 mila abitanti, mentre in Puglia, che ha più di 4 milioni di abitanti, ve ne sono 7) la sede di Sulmona ha sei magistrati. Se gliene mancassero due, andrebbe a quattro con una scopertura del 33 per cento, quindi molto al di sopra di quella richiesta per essere qualificata sede disagiata.
Ebbene, un magistrato che sta a Pescara, cioè a 112 chilometri da Sulmona, può andare a Sulmona, prendere 11 mila euro e, mi pare, 2 mila euro in più perché va in una sede disagiata. In realtà Sulmona non è affatto una sede disagiata, perché non ha un carico di affari civili, né, meno che mai, un carico di affari penali che la possono far qualificare come tale.
Questo esempio, che può essere moltiplicato a dismisura in tutta Italia, cosa prova? Non solo non è giusto incentivare un trasferimento di magistrati che in realtà non vanno in sedi più disagiate: così ci priviamo del denaro per incentivare i magistrati ad andare in zone davvero disagiate, quelle dove è più difficile vivere, signor sottosegretario, perché in tante regioni del Mezzogiorno è difficile vivere per chi fa alcuni tipi di processi. Ma in questo modo, inoltre, noi provochiamo - qualcuno lo ha detto già prima di me - una mobilità all'interno delle regioni, che determinerà il fatto che alcuni processi in corso verranno abbandonati o sospesi per chissà quanto tempo, a causa di tutti quei magistrati che vorranno spostarsi in sedi solo formalmente disagiate, per migliorare, legittimamente, la loro condizione economica.
Questo non è un fatto che denuncia solo un'opposizione pregiudizialmente irragionevole, ma ce lo ha detto l'Associazione nazionale magistrati in Commissione, in sede di audizione: attenti, ci ha detto, perché in questo modo rischiate di provocare una grande mobilità nel territorio, ma sempre all'interno della stessa regione, con un effetto pericolosissimo sui processi in corso. Se è pericoloso per il settore civile, dove si potrebbero averePag. 26diversi mesi o forse anni di sospensione del processo, nell'ambito del settore penale corriamo il rischio di dover ricominciare daccapo quei processi. Occorre, dunque, stare molto attenti.
Se allora la sede disagiata è tutta qui, quindi non è più quella dove è più difficile vivere ed esercitare le funzioni per un magistrato, quali sono le vostre preoccupazioni sui giovani magistrati, sui «giudici ragazzini»? Perché era legittima la preoccupazione di non mandare magistrati di prima nomina in luoghi difficili, dove è necessaria l'esperienza del giudicare per poter vivere l'impatto di quelle situazioni, ma se oggi sono sedi disagiate solo quelle che hanno una scopertura percentuale, non si legittima più questa forma di cautela.
Pertanto vi inviterei all'attenzione, perché il sospetto è che questa legge vada fatta per altro, perché sappiamo tutti che così com'è, senza la revisione delle circoscrizioni, non aiuta ma aggrava il problema. Forse andava fatta per altro, per un magistrato di cui faccio il nome, si tratta del presidente Carnevale, presidente della Corte di cassazione, che ha avuto un processo penale, che è stato assolto e a cui si vuole riconoscere il diritto di continuare nell'esercizio delle sue funzioni, nonostante il limite di età, per recuperare il tempo in cui era stato sospeso. Norma giusta, corretta, questa sì che restituisce in integrum, sempre nell'ambito del temperamento dei beni costituzionalmente protetti, perché non tutto è restituibile in integrum: le donne magistrato che vanno in maternità non hanno il diritto di recuperare quella sospensione del rapporto di lavoro oltre i 75 anni, perché non è tutto recuperabile, è sempre una restituzione in integrum nei limiti del possibile.
Quanti sono i magistrati che sono interessati da questa norma soppressiva, oltre al presidente Carnevale? Ce ne è un altro? Forse altri due. Se avevate tutta questa fretta di restituire in integrum, come mai non avete inserito la previsione dall'inizio? Come mai è venuta fuori solo al Senato, con un emendamento presentato solo in Aula?
Io non ho dubbi sulla preparazione tecnica del presidente Carnevale, ma mi chiedo: se lo Stato italiano considera tutti i magistrati inidonei a svolgere le funzioni giurisdizionali oltre il settantacinquesimo anno e fa l'eccezione di mantenerli in servizio solo per far loro recuperare questo bene, come pretendiamo di ritenerli idonei ad ottant'anni, e fino ad ottantatré, a gestire funzioni direttive apicali? Questo ha a che fare con un principio di eguaglianza nei confronti degli altri magistrati? Io credo assolutamente di no, e ritengo che sia una norma ad personam, nello stile di questo Governo. Almeno si poteva avere il coraggio di farla proprio ad personam questa norma, non di farla scivolare in regime di clandestinità, all'ultimo momento, con un emendamento presentato in Aula.
Credo che se approverete anche questa norma ad personam, nel momento in cui le sedi disagiate non sono più quelle delle aree connotate da criminalità mafiosa e può diventare Primo Presidente della Corte di cassazione chi ha subito un processo penale, ma molto prima - lo ripeto: molto prima - era considerato l'«ammazzasentenze» dei processi di due giudici che si chiamano Falcone e Borsellino, mandiamo un messaggio al Paese, che si trova in una situazione di crisi finanziaria assai grave. Sappiamo che in tanti territori, soprattutto nel Mezzogiorno, ma anche al nord, c'è un'impresa che non va mai in crisi finanziaria, perché ha la più grande liquidità del mondo: quell'impresa si chiama mafia, e sappiamo anche che la mafia, dai messaggi che possono far capire che lo Stato sta un po' cedendo sul terreno della lotta, riesce immediatamente a capitalizzare profitti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Concia. Ne ha facoltà.

ANNA PAOLA CONCIA. Signor Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, onorevole sottosegretario, il decreto-legge oggi all'esame dell'Aula in sede di discussione generale è intitolato, in modo un po'Pag. 27enfatico: «Interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario». In realtà, come vedremo, esso interviene su aspetti assai limitati e specifici e, in particolare, sulla copertura da parte della magistratura delle cosiddette sedi disagiate, nonché su altri punti, non sempre, peraltro, con l'effetto di migliorare, come dichiarato, la funzionalità del sistema.
Non c'è dubbio, però, che il tema della carenza di organico in determinate sedi costituisca un problema reale: numerose sedi, e non solo nelle regioni meridionali, presentano una non copertura di organico superiore al 30 per cento, con punte dell'80 per cento alla procura della Repubblica di Lucera, del 75 per cento alla procura della Repubblica di Enna, del 60 per cento alle procure della Repubblica di Gela, di Nicosia e di Piacenza e del 50 per cento alle procure della Repubblica di Modica, Ragusa, Sant'Angelo dei Lombardi, Lanusei e Tempio Pausania. Risulta complessivamente ammontare ad oltre ottanta il numero dei posti vacanti nei soli uffici requirenti di primo grado in Sicilia, Calabria e Campania, e i dati generali saranno ancora peggiori al termine delle procedure di trasferimento ordinate e in corso, come segnalato dal Consiglio superiore della magistratura.
Il decreto-legge in esame affronta la questione introducendo forti incentivi economici e di carriera per magistrati che accettano il trasferimento nella sede disagiata e stabilendo nuovi requisiti soggettivi e oggettivi. Infatti, pur conservando l'attuale nozione di trasferimento d'ufficio, quale tramutamento dall'attuale sede di servizio in una sede disagiata per la quale il magistrato non abbia proposto domanda, limitandosi a manifestare il consenso o la disponibilità ad esservi trasferito d'ufficio, si esclude espressamente l'applicabilità dei benefici nei confronti dei magistrati destinati d'ufficio alla prima sede di servizio al termine del tirocinio, dei magistrati trasferiti d'ufficio per incompatibilità ambientale, nonché di quelli per i quali sia stato disposto il trasferimento d'ufficio per motivi disciplinari.
Si prevede, inoltre, che possano essere destinati d'ufficio alle sedi disagiate i magistrati provenienti da sedi non disagiate che abbiano conseguito almeno la prima valutazione di professionalità.
Sono stati introdotti nuovi criteri per l'individuazione delle sedi disagiate: mancata copertura del posto messo a concorso nell'ultima pubblicazione curata dal Consiglio superiore della magistratura; percentuale dei posti vacanti superiore alla media nazionale della scopertura; possibilità di individuare le sedi disagiate nell'intero territorio nazionale. Si è ridotta, inoltre, a 100 chilometri la distanza minima tra le sedi di provenienza e le sedi disagiate di destinazione richiesta per il riconoscimento dei benefici previsti dalla legge.
Si intende in tal modo incentivare un maggior numero di magistrati ad offrire la propria disponibilità al trasferimento d'ufficio. A tal riguardo, però, il gruppo del Partito Democratico non ritiene giusto né utile il mantenimento di limiti così stringenti nei confronti dei magistrati più giovani che sono, in realtà, quelli più disponibili a trasferirsi all'inizio della carriera nelle sedi più disagiate, e che in circostanze certo difficili hanno dato prova di coraggio e di professionalità in inchieste importanti, come quelle relative alle più gravi forme di criminalità organizzata e di mafia.
Dunque, come è possibile rinunciare al contributo degli 800 nuovi magistrati nei concorsi appena banditi e in corso? Se si teme l'inesperienza nell'attività requirente è appena il caso di ricordare che oggi il procuratore può disporre di strumenti gerarchici e organizzativi, ad esempio la coassegnazione dell'inchiesta, che rispondono alle eventuali difficoltà. Per questo motivo, con le proposte emendative che illustreremo proponiamo di rimuovere il vincolo per cui occorre aver conseguito almeno la prima valutazione di professionalità ai fini del trasferimento.
Su questo ed altri aspetti insistono comunque le proposte del Partito Democratico, che hanno intento migliorativo del testo, tenendo conto anche del parerePag. 28espresso dal CSM sul provvedimento in esame. D'altronde, è al Consiglio superiore della magistratura, sentito il Ministro della giustizia, che spetta l'individuazione di criteri generali di disciplina e dei trasferimenti, sebbene la Corte costituzionale abbia ritenuto non illegittima la definizione da parte dei collegi di criteri generali.
Ma vi sono due aspetti del decreto-legge in esame, onorevoli colleghi, su cui lo spirito collaborativo delle nostre proposte cede il passo ad una più netta e ferma contrarietà. Intendiamo riferirci alla norma da qualcuno definita sugli organi di stampa «salva Carnevale», con cui si proroga il limite di età di 75 anni per la copertura delle funzioni direttive per i magistrati che, dopo la sospensione o la quiescenza anticipata, erano stati reintegrati in servizio a seguito del definitivo proscioglimento. Questo è un comma surrettiziamente reintrodotto durante l'esame presso l'Aula del Senato, dopo che lo stesso emendamento aveva trovato il parere contrario del Governo in Commissione.
Noi non amiamo la dietrologia né il processo alle intenzioni circa lo scopo di questa incredibile norma e i possibili vantaggi ad personam. Tuttavia, onorevoli colleghi, i meccanismi di reintegrazione in carriera, con piena soddisfazione del magistrato sospeso e poi pienamente assolto in giudizio, sono più che satisfattivi e non vi è bisogno di esagerare prevedendo con legge che si possa iniziare ad esercitare la funzione di Primo Presidente della Cassazione a ottant'anni, in quanto ci si potrebbe accontentare del resto.
Che messaggio diamo al Paese, negando la fiducia ai magistrati più giovani cui viene impedito di poter andare nelle sedi disagiate e nel contempo elevando oltre i 75 anni l'accesso alle funzioni apicali della magistratura? Su tale aspetto, trascurato al Senato, chiediamo motivazioni chiare al Governo e alla maggioranza, perché ciascuno abbia ad assumersi le proprie responsabilità. Il PD è per l'abrogazione della norma che, oltretutto, non ha certo i requisiti di indifferibile necessità ed urgenza.
Vi è un'altra scelta presente nel decreto-legge in esame che non possiamo condividere e che riguarda la destinazione dei proventi del Fondo unico per la giustizia.
Abbiamo discusso costruttivamente la nascita di Equitalia giustizia Spa, sulla cui efficienza potremmo riservarci valutazioni coerenti con le prassi e con i risultati. Tuttavia, è certamente utile uno strumento per rendere più efficace la gestione dei beni soggetti a sequestro o confisca e per contrastare diseconomie e sprechi delle risorse giustizia, ma come è possibile, onorevoli colleghi, che, dopo aver operato tagli alle risorse per la giustizia di quasi il 40 per cento, con il decreto-legge n. 112 del 2008, si abbia ora l'ardire di destinare al bilancio del Ministero della giustizia solo un terzo del Fondo unico giustizia? Questo è terribilmente vero.
Ancora una volta, addirittura le risorse che provengono da procedure cautelari esecutive o sanzionatorie vengono distolte per essere affidate, dall'articolo 2 del decreto-legge, per un terzo al bilancio dello Stato, quindi alla «legge Tremonti», e per un terzo al Ministero dell'interno, per finalità di ordine pubblico e di sicurezza. Con vera improntitudine e ignorando le difficoltà oggettive del servizio giustizia, si continua a far cassa a danno della giustizia e dei cittadini. Secondo noi, la misura è colma e i fatti sono assai più eloquenti delle parole. Il Partito Democratico chiede, allora, modifiche precise su questo punto, con emendamenti che indicano diverse soluzioni possibili. Ci attendiamo ascolto e responsabile disponibilità da parte del Governo e della maggioranza, perché non possiamo condividere politiche che mortificano e deprimono l'organizzazione e l'efficienza della giustizia italiana (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Samperi. Ne ha facoltà.

MARILENA SAMPERI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoliPag. 29colleghi, il decreto-legge di cui oggi si chiede la conversione si propone di migliorare la funzionalità del sistema giudiziario, con interventi urgenti per assicurare la copertura delle sedi disagiate e per rendere operativo il Fondo unico della giustizia.
Negli ultimi vent'anni, così come abbiamo ricordato in Commissione, si sono succeduti numerosi interventi legislativi, diretti a favorire i trasferimenti nelle sedi disagiate, anche mediante sistemi di incentivazione. Lo strumento principale, comunque, è rimasto sempre quello della prima assegnazione agli uditori giudiziari. Tale sistema, con la modifica del decreto legislativo n. 160 del 2006, non può essere più applicato ai magistrati alla fine dell'uditorato, che non possono essere destinati a svolgere funzioni requirenti, giudicanti monocratiche, di GIP e di GUP. Tale norma, però, potrebbe determinare gravi conseguenze, come ci ha detto anche, preoccupata, l'Associazione nazionale magistrati, audita in Commissione giustizia. Il rischio è che il sistema di incentivazione previsto non sia sufficientemente interessante per magistrati che abbiano già conseguito la prima valutazione di professionalità, con la conseguenza della permanenza della scopertura per difetto di aspiranti.
Forse - faccio personalmente autocritica, essendo stata relatrice del provvedimento sull'ordinamento giudiziario - occorre un ripensamento su una norma, che in astratto, in un sistema funzionante, senza carenze di organico, era sembrata utile nella scorsa legislatura per garantire una preparazione e un'esperienza adeguate ad affrontare condizioni di lavoro talvolta complesse e problematiche, ma che nell'applicazione concreta non si è tradotta in una maggiore tutela del cittadino, bensì in un'ulteriore inefficienza, dal momento che si è costretti a ricorrere sempre più ai giudici onorari, ad esempio, piuttosto che ai magistrati.
Un rimedio di buon senso potrebbe essere quello di prevedere una clausola di salvaguardia, che consenta al Consiglio superiore della magistratura specifiche e motivate deroghe, in presenza di imprescindibili esigenze di servizio. Lascerebbe intatto l'impianto del decreto-legge, ma eviterebbe, nel caso in cui il decreto-legge non ottenga i risultati sperati, di chiudere addirittura sedi.
La condizione di queste sedi disagiate, tra le altre cose, potrebbe diventare ancora più drammatica a seguito dell'espletamento del bando di 336 posti destinati al trasferimento di magistrati, che lascerà sguarnite le sedi disagiate. La maggioranza non ha mostrato alcuna apertura in questa direzione e gli emendamenti proposti da tutta l'opposizione, da tutte le forze dell'opposizione, sono stati rigettati con il parere negativo del relatore e del Governo. Sembra che questo decreto-legge non lasci margine a nessuna modificazione. Il decreto-legge non ritornerà al Senato; esso dovrà essere approvato così com'è per essere convertito in legge e, ancora una volta, viene impedito alla Camera di svolgere la sua funzione e di apportare al provvedimento ulteriori miglioramenti.
Altra questione dibattuta in Commissione, anche questa, però, con esito infausto, è stata quella dell'individuazione delle sedi disagiate. È stato detto da tanti miei colleghi che spariscono i riferimenti - ma non è questa la cosa grave - alle sedi a più alta densità criminale. Non stiamo parlando necessariamente di mafia, di 'ndrangheta o di camorra, ma stiamo parlando di criminalità organizzata, che non è necessariamente di stampo mafioso. L'aspetto più grave è che mancano i riferimenti a parametri oggettivi quali l'elevato numero di affari penali, l'elevato numero di affari civili o la consistenza degli organici. Gli unici requisiti richiesti sono la mancata copertura dei posti messi a concorso nell'ultima pubblicazione e una vacanza di posti non inferiore al 20 per cento dell'organico. Abbiamo manifestato in Commissione la nostra preoccupazione: molti magistrati, non necessariamente con gravosi carichi di lavoro, si sposteranno in sedi che distano 100 chilometri da quelle di provenienza all'interno della stessa regione, mentre sedi strategiche per la lotta alla criminalità organizzata potrebbero rimanerePag. 30irrimediabilmente scoperte. Abbiamo invitato il Governo e la maggioranza a una riflessione, ma, anche questa volta, invano.
Veniamo all'emendamento introdotto al Senato e definito da tutta la stampa «salva Carnevale». Su questo, pudicamente, abbiamo apprezzato il silenzio del sottosegretario. Più la norma sembra opaca e inoffensiva, più è pericolosa. La disposizione dell'ordinamento giudiziario, riformato nel 2007, per cui chi supera i 75 anni non può ricoprire posti di vertice, è abrogata e questo apre le porte al giudice Carnevale, che potrà occupare nel 2010 il posto di primo presidente della Corte di Cassazione e mantenerlo sino a 83 anni, essendo il più anziano e, almeno formalmente, il più titolato.
Due leggine, una del 2003, l'altra oggi in discussione, che lo stesso Carnevale, come leggiamo sui giornali, si vanta siano state fatte per lui. Esse consentiranno al giudice denominato e definito «ammazza sentenze», al giudice che, come riportato da tutta la stampa, disse di Falcone e di Borsellino che i morti li rispettava, ma certi morti no, di occupare a 80 anni la più alta carica della Cassazione e della giurisdizione tutta. Questo mentre il Ministro Alfano e il Governo inneggiano alla capacità e al merito, allo svecchiamento nella pubblica amministrazione, mentre in modo schizofrenico il decreto-legge n. 112 del 2008, approvato recentemente, statuisce che le pubbliche amministrazioni possono licenziare i dipendenti che abbiano 40 anni di contribuzione, anche se non hanno raggiunto i limiti di età. La norma viene poi introdotta, in modo surrettizio e improprio, in un decreto-legge, quindi con i caratteri dell'indifferibilità e dell'urgenza, che riguarda le sedi disagiate.
La maggioranza in coro sostiene che questa è una riparazione per la condanna per concorso in associazione mafiosa, poi annullata dalla Cassazione, ma più che un risarcimento, che non riguarda la generalità di quanti si siano trovati a subire un processo e poi siano stati assolti, come dovrebbe fare una democrazia responsabile, questo sembra piuttosto uno sdebitamento per chi tanto ha fatto e tanto potrà ancora fare.
E, infine, l'ultimo argomento che vorrei trattare è quello della destinazione delle risorse del fondo unico della giustizia, gestito da Equitalia. L'ultima manovra finanziaria ha operato un taglio drastico al Ministero della giustizia, taglio che a regime raggiungerà la percentuale del 40,5 per cento, mentre il personale amministrativo subirà una contrazione del 10 per cento con una riduzione di 4 mila posti di lavoro. Se oggi le condizioni della giustizia sono gravi, è immaginabile cosa succederà non appena diventerà concreta la riduzione delle risorse. Un lenimento per questa grande malata sarebbe stata l'utilizzazione degli oltre 2 miliardi di euro, somma che confluirà nel fondo, frutto del grande impegno con cui per la prima volta nella scorsa legislatura sono stati censiti i cespiti derivanti dall'utilizzo delle somme confiscate nell'arco di un ventennio: depositi postali che ammontano a 1 miliardo e 599 milioni di euro, depositi bancari non ancora quantificati, recupero di spese di giustizia e pene pecuniarie per 650 milioni di euro; risorse rilevanti, che sarebbero state utili per avviare una riforma necessaria, indispensabile per la giustizia, ma che certo non è possibile a costo zero.
Se possiamo pure condividere l'assegnazione di almeno un terzo del fondo al Ministero dell'interno per le esigenze di sicurezza, non possiamo non censurare la modifica introdotta dall'articolo 7-bis, che prevede che con decreto del Presidente del Consiglio, in caso di urgenti necessità, possano essere modificate le quote minime in altri commi garantite al Ministero della giustizia. Certo non sarà la mancanza di materiali di cancelleria, di manutenzione, di cui soffrono oggi tutti i distretti, a configurare circostanze gravi ed eccezionali; e il Ministero della giustizia rischierà così, anche a seguito dell'abolizione del riconoscimento di debito introdotto dalla legge n. 133 del 2008, di non potere assolvere neanche ai più elementari e semplici adempimenti per il funzionamento della macchina giudiziaria, e di vederePag. 31drenate parti consistenti delle risorse assegnate a favore del Ministero dell'interno. Diciamo un «no» convinto alla discrezionalità affidata al Presidente del Consiglio di determinare la modificazione del fondo: lei, sottosegretario, sa bene quali necessità ci sono nell'ambito della giustizia, e come sia poi facile parlare di cattiva giustizia se non se ne affrontano i nodi fondamentali e se il potere legislativo non si assume le proprie responsabilità.
Concludo, signor Presidente. Noi ci saremmo aspettati da un Governo che si dichiara così efficiente proposte incisive per i grandi mali della giustizia italiana: la lentezza dei processi e l'incertezza della pena. Riforme nell'organizzazione degli uffici giudiziari, nella procedura civile e penale, in direzione dell'efficienza e della semplificazione; ma ciò non è stato: si va avanti ancora una volta con una decretazione d'urgenza, per segmenti specifici, senza affrontare la visione d'insieme, anzi inserendo subdolamente norme ritagliate su singoli individui. Il Partito Democratico vuol essere - perché questo è il ruolo che gli hanno assegnato gli elettori e i cittadini italiani - forza d'opposizione, forza antagonista ma propositiva; denuncia questo modo di procedere, ma deposita, come già ha depositato, alla Camera e al Senato proposte di legge per la riorganizzazione degli uffici giudiziari e per la riforma dei codici di rito, una proposta organica di modernizzazione della giustizia, consapevole com'è di avere la responsabilità di migliorare un servizio strategico per la vita dei cittadini e delle imprese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Melis. Ne ha facoltà.

GUIDO MELIS. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor relatore, signor sottosegretario, noi critichiamo il presente provvedimento per quattro motivi. Il primo motivo è la sua evidente episodicità, disorganicità e lasciatemi dire pochezza, che tradisce come questo Governo e questa maggioranza in realtà non abbiano una politica complessiva per la giustizia, né tanto meno abbiano compiuto scelte di fondo in grado di sostenere e di sviluppare, come pure il provvedimento si prefigge di fare, come sarebbe urgente fare, le strutture giudiziarie.
Sotto lo specifico profilo della funzionalità, il sistema della giustizia evidenzia da anni - starei per dire da decenni - problemi strutturali molto gravi, che vanno dall'inadeguata geografia delle circoscrizioni, cui corrisponde un'altrettanta squilibrata distribuzione delle risorse, alle insoddisfacenti modalità del reclutamento dei magistrati, alla mancata valutazione puntuale del lavoro svolto (sia dalle singole sedi e strutture, sia da parte dei singoli), alla difettosa organizzazione delle carriere.
Sono sul tappeto - né i recenti provvedimenti, inseriti per lo più in sedi improprie, di questo Governo li hanno davvero affrontati - i temi della riforma del processo civile e di quello penale. Esiste una drammatica questione che si lega all'efficacia e all'efficienza della giustizia, che poi vuol dire la sua stessa legittimazione agli occhi dei cittadini. Insomma, il dossier giustizia è molto, molto voluminoso e denso di problemi, e richiederebbe politiche organiche e coraggiose, possibilmente condivise in questo Parlamento. Viceversa, voi procedete per decreto-legge come ci avete ormai abituati in questa prima parte della legislatura (ne avete presentati, se non erro, dieci, con una media di più di due al mese, escludendo il mese di agosto, e ce ne sono altri dodici in attesa), e presentate con il decreto-legge in esame poche proposte disorganiche relative al tema delle sedi disagiate cui agganciate, secondo una tecnica legislativa che anch'essa è caratteristica di questo vostro esordio di legislatura, poche altre frammentarie norme sul fondo unico giustizia e una norma particolarmente insidiosa, introdotta dal Senato, che riguarda una sola persona.
La seconda ragione per cui dissentiamo dal provvedimento è la sua palese inadeguatezza rispetto ai fini stessi, pur circoscritti, che vi prefiggete. Grazie ai dati distribuiti di recente in Commissione giustiziaPag. 32(e devo ringraziare di questo il sottosegretario Caliendo), sappiamo che i posti rimasti senza aspiranti, tra quelli banditi nei bollettini dei trasferimenti, sono stati dal 2003 ad oggi i seguenti: 36 su 274 nel 2003, 41 su 273 nel 2004, 121 su 583 nel 2005, 82 su 475 nel 2007 ed attualmente, nell'anno in corso, sono già 121 su 399.
L'attuale situazione di scopertura degli uffici giudiziari - cito sempre i dati del Ministero - ad esclusione di quelli a competenza nazionale (e cioè la Corte di Cassazione e relativa procura generale, il tribunale superiore delle acque, la direzione nazionale antimafia) è dell'11,50 per cento dei posti, dei quali il 7,41 per cento negli uffici giudicanti e l'11,85 per cento in quelli requirenti (il tasso medio di scopertura sale all'11,60 per cento calcolando anche gli uffici giudiziari a competenza nazionale). È una situazione allarmante di fronte alla quale il Ministero ci dice, a mio avviso un po' troppo candidamente, di non essere in grado di formulare previsioni attendibili sull'intera materia dei trasferimenti per i mesi e gli anni futuri: cioè, in pratica navighiamo nel buio!
Se scorriamo i dati che sempre il Ministero ci ha di recente offerti sulle situazioni delle varie circoscrizioni e li incrociamo con quelli che ci ha proposto una recente audizione in Commissione giustizia dell'Associazione nazionale magistrati, la situazione poi è anche più drammatica. In Sicilia e in Calabria, due regioni delle quali non occorre che dica la delicata e peculiare situazione, quasi tutti i tribunali e le procure superano il limite del 20 per cento di scopertura di organico previsto dal provvedimento, mentre molti si attestano oltre il 30-40 per cento. Ma il dato più allarmante lo abbiamo se - ciò che non ha fatto il Ministero - formuliamo caso per caso una proiezione a breve, tenendo conto delle anzianità e dei trasferimenti in corso. Scopriamo allora - cito ancora i dati dell'Associazione nazionale magistrati - che procure chiave come quelle di Enna e di Gela alla fine del 2008 raggiungeranno una scopertura pari al 75 per cento (a Locri toccheremo il 50 per cento, ad Agrigento il 30 e a Caltanissetta il 40, tasso di scopertura peraltro già raggiunto nel tribunale di Vibo Valentia).
Conosco personalmente bene il caso della Sardegna, in particolare quello della procura di Nuoro, sulla quale ho di recente presentato un'interrogazione in Commissione. Nuoro non riesce da anni a colmare i vuoti in organico, né nella funzione requirente né in quella giudicante, e stiamo parlando di una competenza che si estende su larga parte della Sardegna centrale, con densità di reati da non banalizzare (cinquantacinque omicidi solo in tre anni, i cui responsabili sono stati individuati solo nel 10 per cento dei casi), con tipologie che variano dalla tradizionale criminalità a radice agro-pastorale alla nuova delinquenza dedita alle rapine in banca in particolare, allo spaccio della droga e delle armi (legata, cioè, a tessuti urbani precocemente degradati, con un allarmante dato che riguarda, in questo caso, la criminalità giovanile).
Ebbene, agli uffici di Nuoro nessuno presenta domanda, e posso essere facile profeta: nessuno presenterà domanda, perché nessuna sede della Sardegna è considerata più disagevole, più faticosa, meno gratificante di quella di Nuoro. A nessun magistrato proveniente dall'Italia peninsulare, che non sia alla prima nomina, converrebbe affrontare il trasferimento in Sardegna, perché trasferire se stessi ed eventualmente la propria famiglia - quando è possibile trasferire la propria famiglia dato che, come è noto, le mogli lavorano - per un magistrato, che non si trovi più all'inizio di carriera, rappresenta un sacrificio grave, gravissimo, che non è compensato da alcun incentivo o, perlomeno, non lo è dagli incentivi nell'ordine di quelli previsti dal presente provvedimento. Signor Presidente, questo decreto-legge unifica sotto una sola categoria le sedi disagiate - situazioni, tra di loro, profondamente diversificate - assumendo - è stato detto più volte - come unico criterio di identificazione lo scompenso organico. Ma ci sono sedi disagiate e sedi disagiate, e la differenza dipende dalla loro collocazione geografica, dalla prossimitàPag. 33o meno con sedi dalle quali possono essere facili i trasferimenti, dalla qualità del lavoro quotidiano che si svolge, dalla tipologia di reati che si affrontano, dal rischio a cui si è esposti, dal costo della vita in quella provincia, dalla difficoltà, una volta che ci si è trasferiti, a spostarsi con frequenza. Esiste una norma nel decreto-legge che ci accingiamo a convertire in legge, per la quale tra la sede disagiata di destinazione e quella di provenienza del magistrato deve intercorrere una distanza superiore a cento chilometri. Ma in Sardegna, ad esempio, questa distanza non esiste mai e, infatti, la norma precedente, che avete modificato, saggiamente prevedeva centocinquanta chilometri, eccezion fatta per la Sardegna. Voi, proprio voi, che ci sommergete di retorica federalista - parlo come se il sottosegretario fosse presente - fate come se l'Italia fosse tutta uguale, come se tutte le province fossero assimilabili e interscambiabili. Non è così, e bisognerebbe tenerne maggiormente conto. Esiste, poi, un terzo motivo che ci induce a contrastare il provvedimento che ci proponete e consiste nel fatto che avete evitato di affrontare il vero nodo della questione, il punto sul quale si sarebbe potuto agire, se non altro per alleviare la situazione di grave emergenza che ci sta davanti. Mi riferisco alla proposta, avanzata dall'Associazione nazionale dei magistrati e da altre associazioni, e da noi stessi riproposta in Commissione giustizia, di rimuovere il divieto ex lege n. 133 del 1998 di destinare i magistrati ordinari, al termine del periodo di tirocinio, a funzioni requirenti o giudicanti monocratiche penali, comprese quelle di giudice per le indagini preliminari, o di giudice dell'udienza preliminare; e se non a rimuoverlo, almeno a rendere flessibile questo divieto. So bene cosa mi risponderete, lo avete già fatto in Commissione, e l'ha fatto il sottosegretario Caliendo all'inizio della seduta pomeridiana: il divieto di cui parlo, introdotto di recente, è il frutto di una valutazione prudente (alla quale anche la mia parte politica ha concorso, a suo tempo) sull'opportunità di affidare a magistrati alle prime esperienze funzioni così delicate, in sedi così impegnative. Dietro a quella prudenza, che posso capire, ma che, viste quali sono le conseguenze, non posso fare mia - esiste pure il diritto di autocritica quando la realtà non è quella immaginata -, c'era anche e, forse, c'è ancora, la polemica un po' pretestuosa contro i cosiddetti, e qui evocati, «giudici ragazzini». Si tratta di una infelicissima espressione coniata, a suo tempo, dall'allora Presidente della Repubblica Cossiga, che neppure il sacrificio eroico di Rosario Livatino è valso a riscattare dal suo significato ingiusto ed offensivo, quello di riservare alle sedi disagiate i magistrati di più provata esperienza. Ho affermato di più provata esperienza, ma un magistrato che ha frequentato il percorso formativo prescritto, ovvero che abbia conseguito la laurea in giurisprudenza (oggi di cinque anni, con circa 50 esami e due tesi di laurea tra corso triennale specialistica), che abbia poi seguito la scuola di specializzazione della professione forense - domani, speriamo prestissimo, la scuola apposita per la magistratura - che abbia superato un concorso impegnativo e selettivo (al punto che restano posti scoperti perché non vengono attribuiti), che abbia, come accade, un'età tra i 28 e i 30, 32 anni, questo magistrato giovane - ai miei tempi a 30 anni non lo si era più giovani - cos'altro deve dimostrare per poter ricoprire le funzioni alle quali lo destina di diritto il suo curriculum studiorum e il concorso che ha appena superato? Naturalmente si può discutere, si può valutare caso per caso, si sarebbe potuto valutare caso per caso.
Se la maggioranza ed il Governo lo avessero consentito, si sarebbe potuta conferire alla valutazione caso per caso del CSM la facoltà di destinare questi magistrati, valutandoli ed apprezzandoli, così come deve fare il CSM. Questi magistrati giovani sarebbero gli unici, sono gli unici che potrebbero essere interessati agli incentivi di carriera ed economici proposti nel provvedimento in esame per ricoprire le sedi disagiate. Si poteva, ma non è stato fatto: non avete voluto ascoltarci.Pag. 34
Vi ricordo che gli uffici di cui stiamo parlando sono sempre stati storicamente coperti da magistrati di prima nomina: se ne avessimo il tempo, potrei dimostrarvelo, come si dice, sulle carte, anche perché nel mio mestiere precedente di storico mi sono occupato appunto di una ricerca sulle carriere dei magistrati italiani tra Ottocento e Novecento. Da sempre ci si è fatti le ossa lavorando nelle procure periferiche, in trincea ed esercitando anche funzioni monocratiche. Un tempo si cominciava da pretori, e i pretori, nel civile come nel penale, non erano esenti da responsabilità anche rilevanti. Da sempre, come del resto consente l'attuale ordinamento, il dirigente dell'ufficio ha esercitato ed esercita il controllo sul lavoro dei sostituti: si rafforzino questi meccanismi, se lo ritenete, si rafforzino le responsabilità del capo dell'ufficio. Nessuno pretende di riempire le sedi disagiate di soli magistrati alle prime armi: se ne curi con opportuni correttivi il dosaggio, si abbia cura di affiancare i più giovani a qualcuno più anziano, si ponga un limite (poniamo il 50 per cento in ogni sede) della presenza di magistrati di prima nomina, ma non si rinunzi, a prescindere, al contributo, anche di entusiasmo e di novità, che può venire dai più giovani.
Vi chiediamo semplicemente di ragionare, di ritornare a quella che è stata per lungo tempo la prassi: paradossalmente, siamo in questo più conservatori di voi. Ma voi ci rispondete che vi sono gli incentivi, vi è il vantaggio economico e di carriera. Considero francamente questi benefit tali da non modificare la ridottissima propensione degli interessati a trasferirsi nelle sedi disagiate. Poi cosa farete: darete questi benefici al magistrato anziano che accetta di trasferirsi ad esercitare funzioni monocratiche ed escluderete il magistrato anziano o di prima nomina che fosse chiamato invece ad esercitare funzioni penali o civili collegiali? Come giustificherete questa disparità di trattamento?
Infine, il quarto motivo per il quale non siamo d'accordo: l'articolo 8-bis, inserito nel corpo del provvedimento in esame in Senato, in Assemblea, all'improvviso e direi anche in una maniera poco chiara e poco franca. È l'ennesima norma ad personam, questa volta a favore di un magistrato molto discusso e discutibile, del quale volete provocare, a quasi ottant'anni di età, la nomina a primo presidente della Corte di cassazione. È una nomina inopportuna, a me sembra: innanzitutto per ragioni anagrafiche, giacché la norma rimossa per consentire questo esito ha una sua ratio, che trova corrispondenza in analoghe norme valide in tutti gli altri settori della pubblica amministrazione. Io sono un professore universitario: i professori universitari vanno in quiescenza a 75 anni, anzi sono collocati fuori ruolo qualche anno prima, ed esercitano funzioni certamente meno delicate di quanto non lo siano le funzioni del primo presidente della Corte di cassazione. Evidentemente vi è una ragione, anche fisiologica, che consiglia di non affidare incarichi così impegnativi a persone così avanti negli anni.
Concludo: si sarebbe potuto operare diversamente. Si sarebbe potuto, pur restando nell'ottica di un mini-intervento privo di contesto generale, fare meglio di quello che fate con questo provvedimento? Io penso che si sarebbe potuto: intanto affrontando con coraggio il nodo del divieto sui giudici di prima nomina, valorizzando la valutazione del CSM, lasciando alla discrezionalità flessibile ed intelligente dell'organo di autogoverno dei giudici quello che oggi è consegnato alla rigidità cieca della legge. Non sempre è necessaria la legge: talvolta è più opportuno non far ricorso alla legge, che è sempre uno strumento molto rigido da utilizzare. Poi, si sarebbe potuto fare meglio classificando con cura le sedi disagiate e distinguendo quel che vi è da distinguere: vi abbiamo proposto, in Commissione, emendamenti (ne ha parlato il sottosegretario Caliendo nel suo intervento del primo pomeriggio) che riguardano appunto il carico degli affari, il carico degli affari penali, anche con riferimento alla criminalità organizzata. Ma insisto: il carico degli affari, un criterio che non è presente. Poi, ancora: si poteva accrescerePag. 35le risorse per la giustizia. In proposito solo una battuta, riprendendo un tema che è già riecheggiato questo pomeriggio nell'Aula: sul Fondo unico per la giustizia, le cui risorse derivano dalla giustizia, avete introdotto una spartizione con il Ministero dell'interno, stabilendo che agli uffici giudiziari vada sono una quota, in misura non inferiore ad un terzo del fondo.
Noi lo riteniamo sbagliato. Almeno su queste somme, che appartengono organicamente alla giustizia, si sarebbe dovuto mantenere il diritto di attingervi al solo Ministero della giustizia. Sono importantissime, naturalmente, non sarò io a negarlo, le finalità connesse all'ordine pubblico, alla repressione di reati sul territorio, ma almeno altrettanto importante, anche ai fini dell'ordine pubblico, è il funzionamento quotidiano normale degli apparati di giustizia. Insomma, consideriamo questo provvedimento un'occasione mancata.
Di fronte alla questione giustizia nella sua drammatica evidenza avete sinora operato al di fuori di una vera impostazione di riformismo giudiziario. Avete inflitto alle Camere l'insulto della norma «blocca-processi», tanto vergognosa che poi l'avete dovuta ritirare, e il vulnus del lodo Alfano. Adesso ci volete imporre, con chissà quale presunta urgenza, il lodo Matteoli. Avete affrontato sventatamente i problemi del processo civile e di quello del lavoro, nascondendoli dentro provvedimenti omnibus, evitando - come ha ricordato la collega Capano - perfino le sedi deputate di discussione, come la Commissione giustizia.
Ora ci proponete i pannicelli caldi di questo provvedimento: una leggina che - lo sappiamo sin d'ora - non darà alcun frutto. Non avete un'idea generale della riforma che non sia mortificare la magistratura e tagliare alla cieca le spese. Vi state mettendo contro l'opinione dei tecnici del settore, contro la magistratura in tutte le sue componenti e tendenze, contro l'avvocatura, contro gli studiosi e contro gli esperti. Questo provvedimento è certamente inutile, signor Presidente, e temo anche dannoso: per questo ritengo che vada contrastato.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ferranti. Ne ha facoltà.

DONATELLA FERRANTI. Signor Presidente, considerati gli interventi approfonditi che hanno svolto i colleghi che mi hanno preceduto, e che ringrazio per la disamina così accorta, cercherò di essere molto sintetica, cercando di apportare, se possibile, qualche ulteriore elemento di valutazione. Confidiamo ancora, infatti, che il Governo in qualche modo voglia veramente tener conto dell'apporto costruttivo che l'opposizione ha sempre cercato di dare dall'inizio di questa legislatura.
Credo che il decreto-legge, per come era nato, non fosse poi una rivoluzione copernicana. Sicuramente esso cercava di rivedere alcune storture dell'applicazione della legge 4 maggio 1998, n. 133, concernente la copertura degli uffici sedi disagiate, la quale non aveva sostanzialmente funzionato, se non per il fatto che alcuni magistrati di prima nomina avessero prescelto quelle sedi, in quanto tale scelta comportava una via assolutamente privilegiata per il ritorno, poi, nelle sedi di provenienza. Ciò aveva creato molto malumore anche tra gli altri magistrati, anche perché non vi erano soltanto benefici di aumento di punteggio, ma - come ho detto prima - ciò costituiva una vera e propria via di privilegio che, in qualche modo, comunque, i magistrati presso le sedi disagiate rivendicavano, per aver compiuto quella scelta di vita e di lavoro che doveva essere apprezzata.
Questo provvedimento nasce, quindi, con una rivisitazione dei criteri, ma non voglio ripetere le critiche che abbiamo fatto, laddove, appunto, riteniamo che la definizione di sede disagiata non debba essere sganciata del tutto dalla territorialità e anche dal valore ponderato degli affari civili e penali che gravano sull'ufficio, così come non si deve fare riferimento a un dato solamente numerico, anchePag. 36perché le nostre circoscrizioni giudiziarie non hanno ancora quella razionalità a cui, in ogni caso, aspiriamo.
Tuttavia, quello che, a mio avviso, rende carente questo decreto-legge è il fatto che esso non si pone come una soluzione di emergenza residuale, quale dovrebbe essere a fronte di un sistema che prevede come logica la copertura senza il ricorso a incentivi economici, ad aumenti di punteggio in quanto tali e a trasferimenti coatti come ordinari. Si tratta di una situazione che, poi, da eccezionale diventa fisiologica, laddove vi è quel divieto normativo che impone di non considerare le nuove leve, le nuove energie della magistratura come capaci e idonee a ricoprire quelle sedi. Ecco allora che quel sistema diventa inidoneo e insufficiente.
Tale sistema poteva infatti andare bene ove previsto, sia pur con dei correttivi che avevamo proposto in Commissione, in casi eccezionali. Invece, considerati i numerosi vuoti di organico, il fatto che non si possano, soprattutto in uffici di procura e di giudice monocratico, assegnare magistrati di prima nomina, determina un notevole numero di posti che sono privi di aspiranti. Ho provato anche a seguire la logica che ci suggeriva il sottosegretario: guardate che non si tratta (così rispondeva ad alcuni onorevoli che provengono da sedi o regioni dove alto è il livello di criminalità organizzata e dove si lamenta la riduzione di magistrati e altresì che non venga considerata sufficientemente la condizione di sede disagiata con criminalità organizzata) di coprire i posti delle direzioni distrettuali antimafia (DDA). Non si tratta di coprire quelle sedi: infatti, è verificabile che le DDA, costituite presso il tribunale del capoluogo di distretto, normalmente hanno delle vacanze limitate; sono anche posti appetibili, nei quali si svolgono processi di un certo livello e si trovano in capoluoghi di provincia o di regione, e dunque si tratta di sedi, anche di vita, appetibili (parliamo non soltanto di uffici giudiziari, ma anche di contesti territoriali).
Ebbene, seguendo quella logica, vediamo che ci sono, in tutta Italia, varie sedi, di uffici della procura soprattutto, particolarmente al sud, al centro-sud ma alcune anche al nord, che rimangono scoperte (nonostante i concorsi ordinari di tramutamento dei posti da parte dei magistrati più anziani), in quanto prive di aspiranti. Infatti, un magistrato che va avanti con la carriera, ad un certo punto si forma dei centri di vita, di affetti e di interessi che è disposto a cambiare, come tutti i funzionari dello Stato, per delle motivazioni che sono aspirazioni professionali, territoriali, di miglioramento di vita e di sistema.
Signor sottosegretario, anche se ho minore esperienza della sua, senza dubbio ho comunque vissuto dall'interno i problemi della magistratura e francamente non riesco a comprendere quale elemento razionale di buona amministrazione impedisca ai magistrati di prima nomina di ricoprire quelle sedi. Non si tratta infatti di sedi che richiedono l'esperienza necessaria ai processi di alta criminalità organizzata. Ma si tratta di sedi che sono disagiate perché logisticamente non sono ben collegate, o per altri motivi che non stiamo qui ad elencare, perché sono tanti. Si tratta, per esempio, di Mantova, Brescia (Brescia ha nove posti di procura della Repubblica non coperti nell'ultimo concorso, dove nessuno vuole andare), Caltanissetta, Enna, Gela, Nicosia Larino, Catania ed altri.
È vero che si tratta di una norma dell'ordinamento giudiziario, ma come nel caso di altre norme il legislatore va avanti, non rimane arroccato a determinate previsioni soltanto perché, in quel momento storico, anche il centrosinistra ha ritenuto di dover aderire ad un certo progetto (anche perché si trattava di mettere una pezza - scusate il termine - ad una riforma precedente che era ancor più dannosa). Mi si deve spiegare allora se esistono altre amministrazioni dello Stato in cui ci sono funzioni di responsabilità che incidono sui beni fondamentali della persona nelle quali non vengono ammessi a lavorare i giovani di prima nomina.
Voglio capire se un medico, solo perché è appena laureato, appena specializzato,Pag. 37perché ha appena effettuato il suo tirocinio, non va messo al pronto soccorso dovendo aspettare che abbia quattro, cinque o sei anni di esperienza perché possa venire a contatto con un bene fondamentale qual è la salute della persona. Tanto più - e questo stato già detto ampiamente, mi pare lo abbia detto l'onorevole Cavallaro nel suo intervento, e quindi lo ripeto soltanto come punto di riferimento - perché un pubblico ministero non ha poteri diretti sulla libertà della persona. È un argomentare demagogico che, alla fine, però, porterà a risultati molto negativi sul nostro sistema. Un pubblico ministero al massimo può chiedere una misura cautelare: ha un potere inferiore a quello di un ufficiale di polizia giudiziaria e quindi ad un appartenente alla guardia di finanza, alla polizia ed ai carabinieri che, invece, possono arrestare in flagranza di reato e che possono effettuare un provvedimento immediato. Non credo che le forze dell'ordine non mandino, in sedi come Enna, Gela, Forlì, Bergamo e le altre che ho indicato prima, i loro vincitori di concorsi in quanto ritengano necessario che prima debbano passare quattro o cinque anni.
Allora, si tratta di un falso problema che è appartenuto ad una logica laddove ai giudici ragazzini si è voluto attribuire il fatto che certe inchieste siano state portate avanti con più celerità, con più ardore oppure, magari, anche in solitudine perché i capi non hanno fatto il loro dovere. Ma questo non c'entra niente: si tratta di casi isolati che non giustificano tale argomentazione. Non si può andare per casi singoli, una amministrazione pubblica non può regolare e governare avendo come riferimento il singolo caso ad personam (mi riferisco quindi anche all'altra norma introdotta in Aula al Senato). Dobbiamo pensare all'interesse generale, alla situazione generale.
Conoscendo l'esperienza e la ragionevolezza del sottosegretario lo invito a farsi interprete e portavoce di quest'esame e di verificare se, ad esempio, ad un prefetto di prima nomina sia impedito andare in una sede quale una di quelle che ho indicato poc'anzi. Che siano altri i timori! Mi sorgono alcune domande sostanzialmente perché i magistrati di prima nomina non sono più i giovani magistrati che siamo stati noi, un tempo, quando si accedeva alla magistratura subito dopo la laurea. Ormai abbiamo giovani magistrati di trenta, trentadue, trentatré, trentacinque anni, che non sono più giovanissimi ed hanno un'esperienza.
Vogliamo guardarci intorno anche negli altri ordinamenti? La Germania, ad esempio, ha risolto il problema individuando una possibilità di co-assegnazione per un certo periodo di tempo, di determinati magistrati di prima nomina magari con altri sostituti più anziani. Questa è una, ma le soluzioni possono essere tante, ad esempio si potrebbe modificare il tirocinio, ma non questa preclusione! Il Partito Democratico ha suggerito un emendamento che non vuole eliminare del tutto quella norma, ma vuole dare un suggerimento che porti a un miglioramento del funzionalità della giustizia. Infatti, 350 posti sono stati assegnati dall'ultimo concorso i cui vincitori stanno già facendo il tirocinio, altri 350 posti saranno assegnati quando, tra poco, finiranno gli orali; per altri 500 si svolgeranno le prove il 16 novembre. Abbiamo, quindi, una platea di circa mille persone e dove verranno mandate? Verranno mandate nei posti in cui faranno concorrenza ai magistrati più anziani che si vedranno poi trasferiti con delle modalità quasi militaresche. Non entro nell'ambito dei criteri che saranno oggetto di emendamenti e già sono stati oggetto di puntuali critiche da parte degli onorevoli del Partito Democratico. Ad ogni modo questo decreto-legge non esprime una ragionevolezza di intenti come avrebbe potuto fare modificando la legge 4 maggio 1998, n. 133 ed aprendo ad una soluzione che fosse logica, ragionevole e di buon andamento dell'amministrazione.
Esso, infatti, non segue proprio questa logica. Il sottosegretario mi scuserà se insisto su questo punto. Non la segue! Ho avuto modo di andare dietro a tutta la polemica e all'approfondimento in ordine alla questione dei magistrati fuori ruolo e francamente non capisco questa norma ePag. 38l'apertura che è stata proposta. Infatti, è vero sottosegretario Caliendo, che avete giustamente indicato un limite massimo, che anzi il Governo ha portato da 230 a 200 in sede di emendamento al Senato il numero massimo dei magistrati fuori ruolo quando, invece, lei sostiene che attualmente sono 236. Non dimentichiamoci che sono 236 e di questo problema ho vissuto, passo a passo, le vicende nel mio precedente lavoro, che ho svolto sino allo scorso aprile, e faccio presente che sono 236 perché nella precedente legislatura il tetto, in un certo momento, nei vari passaggi che si sono susseguiti nella modifica alla legge sull'ordinamento giudiziario, il tetto massimo, che era 200 più 30, era venuto meno. Pertanto, a questo punto l'organo di autogoverno si era dato un proprio limite ed aveva anche individuato delle categorie cercando, appunto, di limitare il tetto massimo.
Tuttavia, da un lato si stabilisce un tetto massimo, ma dall'altro si compie un'apertura enorme per una serie di categorie. Infatti, l'unica ad essere stabilita per legge è quella del Consiglio superiore della magistratura, perché la legge 24 marzo 1958, n. 195, determina espressamente quanti sono i magistrati della segreteria, quanti dell'ufficio studi e documentazione e quanti presso il segretario generale ed il suo vice. Ripeto, si tratta dell'unica legge! Per il resto non viene indicato un numero e la Corte costituzionale e la Presidenza della Repubblica sono esonerate e senza l'indicazione di un numero. Pertanto, mancando il numero, di conseguenza non vi è un tetto. Quindi, si tratta di un limite che non viene indicato. Capisco che l'alto organo, l'alto vertice dell'organo imponga di affermare che non desideriamo indicarlo. È una scelta politica e infatti lei avrà notato, signor sottosegretario, che il Partito Democratico, su questo punto, non ha presentato emendamenti, perché ci rendiamo conto che si tratta di una scelta politica, di politica legislativa, così come è una scelta di politica legislativa non aver indicato, per quelle stesse categorie, compresi i magistrati del Consiglio superiore della magistratura che pure avevano un termine di legge, il tetto massimo di permanenza fuori ruolo. Pertanto, per gli altri magistrati sono dieci anni. Invece, per tutta questa altra categoria, fuori del tetto numerico, non vengono nemmeno indicati gli anni. Questo si rileva addirittura delle schede preparate dal Servizio studi della Camera, il cui lavoro apprezzo sempre di più per l'estrema imparzialità e puntualità.
Ma non solo! Vi è anche una carenza di raccordo con la norma dell'ordinamento giudiziario, che faceva riferimento ai dieci anni. Siamo in presenza di una mancanza di raccordo, perché sostanzialmente la norma contenuta nella legge 30 luglio 2007, n. 111, stabiliva che da allora in poi - fu un fatto di portata gravissima - tutto ciò che era successo nel passato non importava più. Un magistrato poteva anche essere fuori ruolo da venti anni e dagli elenchi che lei ha portato, signor sottosegretario, vi sono magistrati fuori ruolo dal 1979, dal 1980 e dal 1992. Insomma, penso che siamo d'accordo nell'affermare che vi sono magistrati che sono fuori ruolo da una vita. A questo punto, con la legge n. 111 del 2007, abbiamo provveduto ad un «azzeramento». Ma adesso li «azzeriamo» nuovamente, perché decorrono altri dieci anni.

GIACOMO CALIENDO, Sottosegretario di Stato per la giustizia. No!

DONATELLA FERRANTI. Non vi è il raccordo. Se tale raccordo è venuto meno, perché è stato fatto questo? Perché il CSM, nel frattempo, aveva emanato una circolare e questo è quanto dice il CSM. Non è vero che il CSM ha espresso parere favorevole. Non ha espresso un parere contrario, ma ha svolto dei rilievi critici e forse si è attenuto a quello che è più il suo compito, in base alle attribuzioni del Consiglio superiore della magistratura, indicate dall'articolo 10 della legge n. 195 del 1958. Ha fornito al Ministro della giustizia rilievi che non sono stati tenuti in alcun conto. Il Consiglio superiore della magistratura ha fatto presente che con questaPag. 39normativa, che concerne la destinazione dei magistrati a funzioni non giudiziarie, inserita all'interno di un decreto-legge che riguarda la funzionalità del sistema giudiziario, le sedi disagiate, i trasferimenti coattivi e l'età dei magistrati da un lato si stringe, perché si attribuiscono incentivi economici che però nessuno utilizzerà per andare in certi sedi e di questo ne riparleremo tra un po'.
Dall'altro lato, si estendono le maglie e non si tiene conto di quel suggerimento che il CSM aveva dato sulla necessità di cercare di far rientrare gente che sta fuori ruolo da vent'anni e di recuperarla al sistema giudiziario. Non c'è nessuna norma in questo senso e nessun tentativo in tal senso. L'altro Governo qualche tentativo (anche soltanto del Ministro) sporadico e difficile l'aveva fatto, mentre qui, in pratica, si dà la licenza a ricominciare. Lei sa meglio di me, perché conosce benissimo nomi e cognomi e quant'altro, che ci sono persone che stanno fuori ruolo da anni: allora diciamo che questi magistrati ormai fanno altro. Però, allora non andiamo a penalizzare chi è vincitore di concorso, chi ha fatto fior di esami, chi ha speso una vita per entrare in magistratura, chi è formato con quindici mesi di tirocinio (generale e specializzato) per andare a fare il magistrato perché non si tratta di un ragazzino. Forse si teme che i giovani siano più liberi da sovrastrutture, da condizionamenti, ma sono la parte più vera e più autonoma della magistratura.
È questo che non condividiamo e non il fatto che non ci sia stata da parte del Governo una presa d'atto che qualcosa bisogna fare per le sedi che comunque rimarranno disagiate. Magari, come è stato suggerito, anche dall'intervento dell'onorevole Melis, è necessario prevedere un contingentamento e fare in modo che non vi siano tutti giovani in una procura del sud o del nord cosiddetta disagiata, ma nemmeno che vi sia tutta gente che ci va soltanto per una motivazione economica. Avrei paura di un magistrato che va in una sede a fare la procura della Repubblica solo perché gli danno 2 mila euro in più. Non si fa il magistrato per guadagnare. Nessuno di noi ha scelto questa strada per guadagnare. Infatti, un giovane che ha trenta-trentadue anni, è bravo e ha vinto un concorso in magistratura guadagna di più a fare l'avvocato.
Allora quell'incentivo economico e anche di carriera (quel punto in più) potrà risolvere in parte il problema - di quello do atto - ma si tratta solo di una strada e non dell'unica. Però, per non fare procure soltanto di giovani (giustamente sperduti o soli) si dovrebbe contingentare prevedendo (non so) di andare a coprire il 50 per cento (un posto su due), come si è sempre fatto, anche ai sui tempi, sottosegretario, e anche ai miei. Sono entrata in magistratura quando non era un concorso di secondo grado come adesso. Adesso è un concorso di secondo grado. Vorrei capire se ai magistrati amministrativi impediscono di andare in determinate sedi. Credo che anche loro andranno nelle sedi disagiate e non credo che il magistrato amministrativo di prima nomina venga al TAR del Lazio.
Quindi, bisogna capire, così come sul fondo giustizia, se veramente si ha a cuore che il servizio giustizia vada avanti, oppure se si vogliono offrire degli strumenti di apparente funzionalità. Infatti, chi è dentro al sistema capisce che si tratta solo di uno degli strumenti, ma non dell'unico strumento di razionalizzazione del sistema.
Inoltre, sempre per parlare di contraddizioni, come può lei, sottosegretario, con la coerenza che l'ha contraddistinta per tutta la sua carriera, non condividere un nostro emendamento che chiede la soppressione di quel comma 8-bis dell'articolo 1, introdotto in maniera subdola in Aula al Senato? Che non ci si venga a dire che il Senato lo ha votato: non avranno valutato a fondo quello che è stato presentato come un adeguamento ad una sentenza della Corte costituzionale perché è falso. Infatti, chiunque la legga la sentenza della Corte costituzionale che è stata richiamata dai senatori al Senato, sa che non c'entra nulla con la norma in questione. Quella sentenza riguardava il fatto che bisognava ammettere al concorsoPag. 40per direttivi anche chi, avendo optato per i 75 anni, aveva superato i 70, ma sempre nell'ambito dei 75.
Quindi, al Senato è stata portata in Aula una norma di soppressione motivandola come adeguamento alla giurisprudenza della Corte costituzionale, ma ciò è falso. Si tratta di una argomentazione falsa! Quindi, non c'è nessuna contraddittorietà da parte del Partito Democratico in questa avversione nei confronti di questo decreto-legge, dal momento che contiene ancora, a parte degli strumenti che non riteniamo del tutto adeguati, soprattutto la disposizione che è un affronto per una democrazia vera, poiché inserisce in un decreto-legge dedicato alle sedi disagiate la norma per consentire a Carnevale di fare la domanda per diventare primo presidente della Corte di Cassazione quando il primo presidente attuale - tra un anno, un anno e mezzo - andrà in pensione.
Essendo prima stato chiesto questo, tale norma ha massimo due-tre destinatari, dai miei ricordi di quanti hanno beneficiato del rientro dopo. Non è una norma generale ed astratta, ma particolare. Voglio credere che tutti noi - quindi maggioranza e opposizione - non possiamo avallare che in questo Parlamento si facciano delle norme che abbiano dei nomi e cognomi. Poi, lo scudo che ci si vuole fare per cui questa norma non conta nulla, che poi sarà il CSM a valutare se abilitare Tizio o Caio a fare il primo presidente, è veramente una cosa puerile, indegna di parlamentari.
Penso che non dobbiamo vedere quali sono le conseguenze, ma se questa norma è razionale. Qui altri prima hanno meglio di me spiegato come questa norma non ha razionalità, ragionevolezza, coerenza con tutto il sistema dell'amministrazione e, quindi, non si può per i magistrati parlare in un modo e magari - da parte del Ministro Brunetta - per i pubblici impiegati parlare in un altro. Quindi, occorre avere una coerenza e voglio credere, fino a che non si voterà questo provvedimento, che altri insieme a noi abbiano questa mia stessa coerenza, essendoci dei valori che comunque ci accomunano (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 1772)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il rappresentante del Governo rinunciano alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 4 novembre 2008, alle 11,30:

1. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia (Già articoli 3, da 5 a 13, da 15 a 18, 22, 31 e 70 del disegno di legge n. 1441, stralciati con deliberazione dell'Assemblea il 5 agosto 2008) (1441-ter-A).
- Relatore: Raisi.

2. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di inchiesta parlamentare:
LIVIA TURCO ed altri; BARANI ed altri; LAURA MOLTENI ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali (Doc. XXII, nn. 1-2-4-A).
- Relatore: Binetti.

Pag. 41

3. - Seguito della discussione del disegno di legge:
S. 1018 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, recante interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario (Approvato dal Senato) (1772).
- Relatore: Torrisi.

4. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 25 settembre 2008, n. 149, recante disposizioni urgenti per assicurare adempimenti comunitari in materia di giochi (1707-A).
- Relatore: Conte.

La seduta termina alle 19,50.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO SALVATORE TORRISI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 1772

SALVATORE TORRISI, Relatore. Prima di illustrare il provvedimento in esame vorrei premettere che mi soffermerò sulle principali questioni sorte durante l'esame in Commissione, rinviando ad una nota scritta - sin da ora chiedo alla Presidenza di volerne autorizzare la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna - l'analisi delle specifiche disposizioni che compongono il decreto-legge.
Il decreto-legge, come si legge nella sua premessa, è stato emanato per rispondere alla straordinaria necessità ed urgenza di adottare disposizioni per assicurare la funzionalità del sistema giudiziario con particolare riguardo alla esigenza di copertura delle sedi disagiate rimaste vacanti per difetto di aspiranti. Inoltre, anche a seguito delle modifiche apportate dal Senato, esso provvede alla rideterminazione del ruolo organico della magistratura ordinaria, introduce nuove disposizioni in materia di pignoramenti nella contabilità ordinaria degli uffici giudiziari e reca una più puntuale disciplina del cosiddetto Fondo unico per la giustizia.
La Commissione giustizia non ha modificato il testo approvato dal Senato. Il dibattito in sede referente si è concentrato sulla adeguatezza della nuova disciplina a dare una risposta efficace al problema della vacanza di posti nelle sedi disagiate, sulla rimozione del limite di età posto dalla normativa vigente per poter accedere alle cariche apicali della Cassazione, nonché sulla ripartizione della dotazione del Fondo unico per la giustizia.
Per quanto attiene al primo tema, la questione della difficoltà di copertura di alcune sedi giudiziarie è strettamente connessa alla sicurezza, considerato che tali sedi sono ubicate prevalentemente nelle regioni con più alto tasso di criminalità organizzata. Come è stato segnalato anche dal Consiglio superiore della magistratura con nota del 31 luglio 2008, è assolutamente necessario coprire l'elevato numero di posti in organico attualmente vacanti in sedi giudiziarie considerato che è in corso una progressiva paralisi dell'attività d'indagine e dell'intera giurisdizione penale. Si tratta di numerose sedi giudiziarie, in maggior parte del Meridione, che presentano una scopertura di organico superiore con punte del 60 per cento. È questa una situazione drammatica irrimediabilmente destinata ad aggravarsi quando saranno definite le procedure di trasferimento ordinario in corso, che determineranno verosimilmente un esodo di magistrati dalle sedi giudiziarie disagiate verso sedi più ambite.
Occorre, quindi, un intervento di natura legislativa per porre rimedio a questa situazione. Nel corso degli anni il Consiglio superiore della magistratura ha cercato di trovare una soluzione destinandovi per lo più giovani magistrati vincitori di concorso. Su questa prassi ricordo la polemica innestata dal Presidente della Repubblica dell'epoca, il senatore Francesco Cossiga, che a tale proposito parlava di «giudici ragazzini» mandati ad amministrare la giustizia in quelle realtà dove, in ragione dell'alto tasso di criminalità organizzata,Pag. 42occorrevano, invece, magistrati dotati di una solida esperienza oltre che di una profonda preparazione teorica.
Anche il legislatore è intervenuto in materia più volte. L'obiettivo è stato quello di incentivare, attraverso benefici economici e di carriera, il trasferimento e la permanenza dei magistrati nelle sedi giudiziarie disagiate. Obiettivo realizzatosi solo in minima parte, considerato che i benefici economici e di carriera previsti hanno interessato quasi unicamente gli uditori giudiziari.
Questo sistema è entrato in crisi quando nella scorsa legislatura è stato modificato il comma 2 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160 (ordinamento giudiziario) sulla base della considerazione della inopportunità di destinare magistrati di primo incarico proprio alle sedi disagiate. È stata una modifica del testo della «riforma Castelli» voluta dal Governo di centro-sinistra e da tutta la maggioranza di allora senza distinzioni, come risulta anche dai resoconti stenografici. Ritengo di dover fare questa precisazione in quanto sono proprio quelle forze politiche che oggi contestano quella scelta, che è il presupposto della nuova normativa sulle sedi disagiate introdotta dal decreto-legge in esame.
La disposizione in questione stabilisce che i magistrati ordinari al termine del tirocinio non possono essere destinati a svolgere le funzioni requirenti, le funzioni giudicanti monocratiche penali, quelle di giudice per le indagini preliminari o di giudice dell'udienza preliminare. Tali funzioni possono essere svolte soltanto da magistrati che abbiano conseguito la prima valutazione di professionalità a cui il magistrato è sottoposto dopo quattro anni dalla nomina. Ciò significa che la copertura degli uffici giudiziari rimasti vacanti non può più essere assicurata destinando a quegli uffici i giovani magistrati al termine del tirocinio, come avvenuto fino ad oggi.
Per evitare che le sedi disagiate rimangano scoperte, il Governo ha utilizzato lo strumento della decretazione d'urgenza andando a modificare il regime di benefici attualmente in vigore potenziando, soprattutto sotto il profilo economico, gli incentivi riconosciuti ai magistrati che danno il proprio consenso o la propria disponibilità al trasferimento d'ufficio in una sede disagiata. Il punto di partenza della nuova disciplina è quindi proprio una norma introdotta nell'ordinamento giudiziario dal centrosinistra, che il Governo attuale condivide. In effetti, è a tutti evidente che alcune funzioni giudiziarie sono troppo delicate per essere affidate a magistrati che hanno dato prova unicamente di avere una preparazione teorica.
Occorre qualcosa di più quando si decide della libertà personale di un individuo. Ci vuole esperienza, intendendo questa non tanto in un senso materiale, quanto piuttosto come formazione di un habitus mentale che porta il magistrato ad incarnare i principi di legalità, di pienezza della prova e del contraddittorio. Si tratta di principi che ogni magistrato deve assumere come propri e non considerati come mere formule di orientamento della propria attività. Ciò è possibile solo quando vi è un vissuto in tal senso. Tale esigenza è ancora più forte in quelle realtà territoriali ove si registra un alto tasso di criminalità organizzata, come le sedi disagiate. Come si può ritenere che un magistrato che non abbia alcuna esperienza sia in grado di affrontare indagini o di ponderare decisioni quando ha di fronte a sé realtà complesse ed inquietanti come sono quelle in cui si muove la criminalità organizzata? Sono di diverso avviso i Gruppi di opposizione nonché l'Associazione nazionale magistrati, la cui giunta è stata opportunamente sentita dalla Commissione. È stato contestato sia il principio sancito dall'articolo 13, comma 2, sia la consequenziale nuova disciplina delle sedi disagiate. Sotto il primo profilo è stato detto che in realtà i magistrati di prima nomina hanno dimostrato in passato, cioè prima della riforma del 2007, di essere in grado di svolgere anche le funzioni giudiziarie più delicate. È stato poi evidenziato che oramai il concorso in magistratura è stato trasformato in un concorso di secondo grado, per cui non viPag. 43è più il rischio di far esercitare quelle funzioni a giudici di ventiquattro o venticinque anni. Queste obiezioni non sono state accolte dalla maggioranza, anche perché alla questione della esperienza nello svolgimento delle funzioni giudiziarie è del tutto estranea la tematica del grado del concorso di accesso in magistratura. Sono stati quindi respinti gli emendamenti volti a sopprimere o a sospendere l'efficacia del predetto comma 2 dell'articolo 13 del decreto legislativo n. 160 del 2006. Non è stata accolta neanche l'obiezione secondo cui la nuova disciplina degli incentivi per le sedi disagiate non sarebbe efficace, in quanto non «appetibile» per i magistrati più anziani. Sulla base di tale considerazione sia 1'ANM che le forze di opposizione hanno sostenuto la tesi di prevedere almeno per le sedi disagiate una deroga al principio di cui alla predetta disposizione. Sostanzialmente, in via residuale, cioè quando attraverso la nuova disciplina non è possibile coprire tutti i posti vacanti, si dovrebbe consentire l'utilizzazione dei giudici di prima nomina. La maggioranza non ha ritenuto di dover addivenire a tale soluzione per due considerazioni: la prima è che i nuovi incentivi appaiono essere adeguati, la seconda ci riporta alla ratio del comma 2 dell'articolo 13, ritenendo che proprio nelle sedi disagiate i magistrati di prima nomina non siano in grado di svolgere le funzioni giudiziarie più delicate.
Altra questione affrontata in Commissione è stata quella relativa ai limiti di età per i magistrati chiamati a ricoprire le cariche più alte. Mi riferisco all'ultimo comma dell'articolo 1, introdotto dal Senato. Tale disposizione è diretta ad abrogare la norma che prevede che per i magistrati ai quali è stato prolungato o ripristinato il rapporto di impiego per lo stesso periodo di tempo che era stato sospeso nel corso di un procedimento giudiziario, che si è poi concluso con sentenza di proscioglimento pieno, è aggiunto alla data di ordinario collocamento a riposo un periodo commisurato al servizio non espletato, che, anche quando si rivestono le cariche apicali, trova un limite invalicabile nell'età di settantacinque anni. La disposizione introdotta dal Senato è diretta a rimuovere il limite di 75 anni. La ratio della norma è chiara: un soggetto che ha visto ingiustamente sospesa o interrotta la sua carriera a causa di un procedimento giudiziario dimostratosi poi infondato ha un diritto pieno a che la sua posizione sia integralmente reintegrata. Su questa norma si sono sviluppate delle polemiche, ritenendo alcuni che essa sia preordinata alla nomina di Presidente della Corte di cassazione di un determinato magistrato. Si tratta di critiche infondate che non tengono conto di due diverse considerazioni. La prima è che stiamo parlando di una norma che si ispira ad un principio sacrosanto: la restitutio in integrum di una carriera pregiudicata da un procedimento giudiziario ingiusto. La seconda riguarda le modalità di nomina alle cariche apicali della Cassazione: spetta al Consiglio superiore della magistratura valutare i candidati tenendo conto non soltanto dell'anzianità, come avveniva prima della riforma dell'ordinamento giudiziario, ma anche del merito. In sostanza, con la norma in esame si consente che soggetti che hanno visto ingiustamente interrompere la loro carriera possano concorrere all'eventuale nomina. L'esito del concorso dipenderà dalle valutazioni del Consiglio superiore della magistratura, che terrà conto anche dell'età dei candidati.
L'ultima questione attiene al Fondo unico per la giustizia, nel quale confluiscono le somme di denaro sequestrate nell'ambito di procedimenti penali o per l'applicazione di misure di prevenzione nonché le somme di denaro derivanti da irrogazione di sanzioni amministrative. Le suddette risorse sono affidate ad Equitalia.
I punti di divergenza con l'opposizione sono stati due: la destinazione di quote del fondo anche per finalità diverse da quelle della giustizia e la possibilità di modificare il riparto delle quote attraverso un atto del Presidente del Consiglio.
Sulla prima questione ricordo che il decreto-legge stabilisce che ogni anno, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economiaPag. 44e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia e con il Ministro dell'interno, sono stabilite le quote delle risorse intestate «Fondo unico giustizia», anche frutto di utili della loro gestione finanziaria, da destinare, in misura non inferiore ad un terzo, al Ministero dell'interno per la tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico, in misura non inferiore ad un terzo, al funzionamento e al potenziamento degli uffici giudiziari e degli altri servizi istituzionali del Ministero della giustizia nonché all'entrata del bilancio dello Stato. Da parte di alcuni è stato evidenziato come sarebbe opportuno che il fondo venisse dedicato in via prevalente, se non esclusiva, alle sole esigenze di giustizia. In realtà, tale tesi non tiene conto della stretta correlazione tra sicurezza e giustizia, la quale giustifica la partecipazione del Ministero dell'Interno alla ripartizione delle quote. Tuttavia, considerato che in concreto tale ripartizione è effettuata ogni anno dal Governo, si potrebbe presentare un ordine del giorno volto ad impegnare il Governo a destinare alla giustizia (nel rispetto dei limiti minimi previsti ex lege) una quota ben più ampia di quella di un terzo e di ridurre ai minimi termini il trasferimento di quote al bilancio dello Stato.
Altra norma contestata è stato il comma 7-bis, introdotto dal Senato, che prevede che le quote minime delle risorse intestate al Fondo unico giustizia, al Ministero della giustizia ed a quello dell'interno, possono essere modificate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in caso di urgenti necessità, derivanti da circostanze gravi ed eccezionali, del Ministero dell'interno o del Ministero della giustizia. La norma appare del tutto condivisibile in quanto consente di affrontare emergenze che devono comunque riguardare la giustizia o la sicurezza.
Nel concludere, vorrei sottolineare l'urgenza che abbiamo nell'approvare il disegno di legge in esame, evitando il rischio di non convertire in legge un decreto che dà delle risposte importanti ad alcune delle questioni che affliggono la giustizia in Italia.
Per quanto riguarda l'analisi delle specifiche disposizioni che compongono il decreto-legge in esame, esso si compone di cinque articoli, di cui due introdotti dal Senato.
È modificata, in primo luogo, la disciplina del trasferimento d'ufficio dei magistrati a sedi disagiate. Il testo previgente definiva «trasferimento e destinazione d'ufficio» ogni tramutamento dalla sede di servizio per il quale non fosse stata proposta domanda dal magistrato, ancorché egli avesse manifestato il consenso o la disponibilità. Ai fini dell'applicazione della legge tale tramutamento della sede doveva essere tale da determinare lo spostamento in sedi disagiate, il mutamento di regione e una distanza, eccezione fatta per la Sardegna, superiore ai 150 chilometri da quella ove l'uditore giudiziario avesse svolto il tirocinio o il magistrato avesse prestato servizio. Il testo in esame porta a cento chilometri la distanza, non prevede più il mutamento di regione, esclude dall'ambito di applicazione della legge i magistrati destinati alle sedi di servizio al termine del tirocinio, prevede che alle sedi disagiate possono essere trasferiti d'ufficio magistrati provenienti da sedi non disagiate che abbiano conseguito almeno la prima valutazione di professionalità e porta a cento unità il numero di magistrati che possono essere destinati d'ufficio alle sedi disagiate, in luogo delle cinquanta indicate dal testo previgente. Resta confermata la disposizione che esclude dall'ambito di applicazione della legge i trasferimenti d'ufficio per incompatibilità ambientale. Il Senato ha escluso, ai fini del tramutamento nelle sedi disagiate, l'applicazione del termine triennale secondo cui un magistrato destinato, per trasferimento o per conferimento di funzioni, ad una sede da lui chiesta, non possa essere trasferito ad altre sedi o assegnato ad altre funzioni prima di tre anni dal giorno in cui ha assunto effettivo possesso dell'ufficio, salvo che ricorrano gravi motivi di salute ovvero gravi ragioni di servizio o di famiglia.
È stata rivista anche la definizione di sede disagiata. In primo luogo, è statoPag. 45eliminato il riferimento geografico alle Regioni Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna, per cui la disciplina delle sedi disagiate può trovare applicazione su tutto il territorio nazionale, laddove se ne verifichino i presupposti. L'ufficio giudiziario è definito sede disagiata quando, ferma restando la mancata copertura dei posti messi a concorso nell'ultima pubblicazione, la quota di posti vacanti sia non inferiore al 20 per cento dell'organico. È stato eliminato il riferimento all'elevato numero di affari penali con particolare riguardo a quelli relativi alla criminalità organizzata nonché di affari civili in rapporto alla media del distretto ed alle consistenze degli organici.
Nell'ambito delle sedi disagiate, non più di sessanta, individuate annualmente dal Consiglio superiore della magistratura sono ora selezionate non più di dieci sedi definite «a copertura immediata», che sono individuate tra quelle rimaste vacanti per difetto di aspiranti dopo due successive pubblicazioni e sono destinatarie di una nuova specifica disciplina. Questo tipo di trasferimento (al contrario del trasferimento d'ufficio) prescinde dall'esistenza di manifestazioni di consenso o di disponibilità da parte del magistrato. Esso può riguardare magistrati che: svolgono da oltre 10 anni le stesse funzioni o, comunque, si trovano nella stessa posizione tabellare o nel medesimo gruppo di lavoro nell'ambito delle stesse funzioni; alla scadenza del periodo massimo di permanenza non hanno presentato domanda di trasferimento ad altra funzione o ad altro gruppo di lavoro all'interno dell'ufficio o ad altro ufficio o che tale domanda abbiano successivamente revocato; prestano servizio nel distretto nel quale sono compresi i posti da coprire, ovvero, se ciò non è possibile, nei distretti limitrofi. I requisiti per il trasferimento nelle sedi a copertura immediata debbono essere posseduti simultaneamente alla data di pubblicazione della delibera di individuazione annuale delle sedi disagiate da parte del Consiglio superiore della magistratura.
Il Consiglio superiore della magistratura nel disporre i trasferimenti d'ufficio nelle dieci sedi a copertura immediata è autorizzato a derogare alla disciplina dell'articolo 19 del decreto legislativo 160/2006 in materia di permanenza nell'incarico presso lo stesso ufficio. Al contrario, viene fatto salvo il disposto dell'articolo 13 dello stesso decreto legislativo n. 160 e pertanto il trasferimento d'ufficio non potrà determinare passaggi dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti o viceversa.
Il regime dei benefici economici riconosciuti ai magistrati trasferiti d'ufficio non ha finora dato i risultati sperati, considerato che è stato ritenuto incentivante solamente per i magistrati di prima nomina. È stato quindi modificato. Il decreto-legge prevede che al magistrato trasferito d'ufficio viene riconosciuta una indennità mensile (determinata in misura pari all'importo mensile dello stipendio tabellare previsto per il magistrato ordinario con tre anni di anzianità) ed una indennità fissa corrisposta all'atto del trasferimento e finalizzata a compensare i costi del mutamento di sede: cosiddetta «indennità di prima sistemazione». Si prevede, al riguardo, che l'indennità mensile venga erogata per un massimo di quattro anni di effettivo servizio prestato nella sede disagiata. Stando alla relazione tecnica, il Governo stima per ogni magistrato trasferito un'indennità di prima sistemazione pari a 11.720,61 euro lordi.
Sono stati previsti anche nuovi benefici di carriera. Al magistrato trasferito d'ufficio viene riconosciuta un'anzianità di servizio in misura doppia per ogni anno di effettivo servizio prestato nella sede disagiata, fino al sesto anno di permanenza in quella sede. Inoltre, se l'effettivo servizio prestato presso la sede disagiata supera i quattro anni, il magistrato ha diritto ad essere riassegnato alla sede di provenienza, con le precedenti funzioni, anche in soprannumero rispetto ai posti in organico.
È poi prevista una disciplina transitoria. Si prevede in primo luogo che disposizioni concernenti l'individuazione delle sedi disagiate e il procedimento di trasferimento si applichino esclusivamente ai procedimenti di trasferimento d'ufficio aPag. 46sedi disagiate avviati successivamente alla data di entrata in vigore del decreto-legge. Si segnala una eccezione. Rispetto alla disposizione sulla valutazione dei servizi prestati nelle sedi disagiate a seguito di trasferimento d'ufficio, si prevede che continui a trovare applicazione il testo antecedente alle modifiche apportate dal decreto-legge, nei confronti dei magistrati i quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto, sono già stati trasferiti, assegnati o destinati a sedi disagiate; si limita tuttavia il diritto di essere preferiti a tutti gli altri aspiranti al 50 per cento dei posti, di pari grado, messi a concorso nell'ambito di ciascun ufficio. Nel caso in cui i posti messi a concorso siano di numero dispari, si prevede che il diritto di preferenza non operi, altresì, in relazione al posto eccedente il 50 per cento. In tale modo si intende contemperare le esigenze dei magistrati provenienti dalle sedi disagiate, che vantano un diritto alla prescelta, con quelle degli altri magistrati, spesso con notevole anzianità di servizio, che per effetto del regime di prescelta assoluta accordata ai primi vedono da molto tempo frustrate le proprie legittime aspettative di scelta della sede di servizio.
Il comma 7 contiene una disposizione transitoria, in base alla quale le disposizioni sul trasferimento d'ufficio dei magistrati che abbiano superato il termine decennale di permanenza nelle medesime funzioni non si applicano a coloro che, entro un anno dalla data di entrata in vigore del provvedimento, presentano domanda di trasferimento ad altra funzione o ad altro gruppo di lavoro all'interno dell'ufficio ovvero ad altro ufficio, senza revocarla prima della definizione della relativa procedura.
Il comma 8 dispone la soppressione del secondo periodo del terzo comma dell'articolo 192 dell'ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, il quale stabiliva che le domande di tramutamento ad altra sede conservavano validità fino alla revoca, da effettuarsi con successiva dichiarazione o con altra domanda. La norma in oggetto è quindi finalizzata ad evitare un inutile aggravio di lavoro per il Consiglio (chiamato ad esaminare domande presentate da magistrati che - a distanza di anni - non hanno verosimilmente più interesse al trasferimento richiesto a suo tempo), consentendo al Consiglio di esaminare le sole domande che corrispondono ad un interesse concreto ed attuale del magistrato al trasferimento.
Nel corso dell'esame al Senato è stato aggiunto nell'articolo l del decreto-legge il comma 8-bis, con il quale viene abrogato l'articolo 36 del decreto legislativo n. 160 del 2006.
La norma oggetto di abrogazione prevede che in relazione alla copertura delle più elevate funzioni direttive (da elevate di primo grado ad apicali di legittimità), per i magistrati ai quali è stato prolungato o ripristinato il rapporto di impiego ai sensi degli articoli 3, commi 57 e 57-bis, della legge finanziaria 2004 (legge n. 350 del 2003) e 2, comma 3, del decreto-legge n. 66 del 2004 (legge n. 126 del 2004), alla data di ordinario collocamento a riposo è aggiunto un periodo commisurato al servizio non espletato per l'anticipato collocamento in quiescenza, comunque non oltre i settantacinque anni di età.
Il Senato ha, inoltre, introdotto gli articoli 1-bis e 1-ter. Il primo è diretto alla rideterminazione del ruolo organico della magistratura ordinaria. In particolare è sostituita, a decorrere dal 1o luglio 2008, la tabella B contenente il ruolo organico della magistratura ordinaria, in attuazione dell'articolo 2, comma 606, lettera a), della legge finanziaria per il 2008, la quale prevede la ridefinizione delle piante organiche della magistratura ordinaria, in conseguenza della riduzione dell'organico della magistratura militare disposta dalla medesima legge finanziaria. Si segnala che nella stessa tabella è inserita una nuova voce che fissa il numero dei magistrati destinati a funzioni non giudiziarie in duecento unità. In base a quanto specificamente previsto al comma 4, tale limite numerico non si applica ai magistrati destinati a funzioni non giudiziarie destinati alla Presidenza della Repubblica, allaPag. 47Corte costituzionale, al Consiglio superiore della magistratura ed agli incarichi elettivi.
Per gli incarichi dei magistrati destinati a funzioni non giudiziarie si prevede un limite temporale di dieci anni, anche continuativi, salvo il maggior termine previsto da specifiche disposizioni legislative. La durata dei collocamenti fuori ruolo per incarichi di diretta collaborazione con gli organi di Governo ha il limite di cinque anni consecutivi.
L'articolo 1-ter estende l'applicazione della disciplina dei pignoramenti sulle contabilità speciali delle prefetture, delle direzioni di amministrazione delle Forze armate e della Guardia di finanza alla contabilità ordinaria del Ministero della giustizia, degli uffici giudiziari e della Direzione nazionale antimafia. In base all'applicazione della norma richiamata, non sono dunque più soggetti ad esecuzione forzata i fondi destinati al pagamento di spese per servizi e forniture aventi finalità giudiziaria o penitenziaria, nonché gli emolumenti di qualsiasi tipo dovuti al personale amministrato dal Ministero della giustizia, accreditati mediante aperture di credito in favore dei funzionari del Ministero della giustizia, degli uffici giudiziari e della Direzione nazionale antimafia.
L'articolo 2 interviene sulla disciplina del Fondo unico giustizia, istituito dall'articolo 61, comma 23, del decreto-legge n. 112 del 2008. Si ricorda che in esso confluiscono le somme di denaro sequestrate nell'ambito di procedimenti penali o per l'applicazione di misure di prevenzione nonché le somme di denaro derivanti da irrogazione di sanzioni amministrative. Le suddette risorse sono affidate ad Equitalia.
Tra le novità più rilevanti si segnala l'ampliamento della tipologia delle risorse che affluiscono al Fondo unico giustizia, estendendone l'ambito alle varie «attività finanziarie a contenuto patrimoniale o monetario», quali, a titolo esemplificativo, i titoli al portatore, i libretti di deposito, i conti correnti, i conti di deposito titoli ed altri crediti pecuniari.
Al fine di dare concreta attuazione alla previsione normativa, si stabilisce che, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge in esame, Poste Italiane Spa, banche e altri operatori finanziari depositari delle somme di denaro, dei proventi, dei crediti, nonché dei beni oggetto del fondo , devono intestarli al «Fondo unico giustizia».
Il comma 7 è stato riscritto nel corso dell'esame al Senato. Ogni anno, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia e con il Ministro dell'interno, sono stabilite le quote delle risorse intestate «Fondo unico giustizia», anche frutto di utili della loro gestione finanziaria, da destinare in misura non inferiore ad un terzo, al Ministero dell'interno per la tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico, in misura non inferiore ad un terzo, al funzionamento e al potenziamento degli uffici giudiziari e degli altri servizi istituzionali del Ministero della giustizia nonché all'entrata del bilancio dello Stato.
Il comma 7-bis, introdotto dal Senato, prevede che le quote minime delle risorse intestate al Fondo unico giustizia, al Ministero della giustizia ed a quello dell'interno possono essere modificate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in caso di urgenti necessità, derivanti da circostanze gravi ed eccezionali, del Ministero dell'interno o del Ministero della giustizia.
L'articolo 3 reca la norma di copertura finanziaria, mentre l'articolo 4 dispone l'entrata in vigore del decreto-legge, il giorno successivo alla sua pubblicazione e dunque il 17 settembre 2008.