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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 72 di lunedì 27 ottobre 2008

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE

La seduta comincia alle 10,05.

GIUSEPPE FALLICA, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 23 ottobre 2008.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Angelino Alfano, Berlusconi, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Buonfiglio, Carfagna, Casero, Cirielli, Colucci, Cossiga, Cota, Craxi, Crosetto, Donadi, Fitto, Frattini, Gelmini, Gibelli, Alberto Giorgetti, Giancarlo Giorgetti, Giro, La Russa, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Antonio Martino, Meloni, Miccichè, Prestigiacomo, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Soro, Stefani, Touadi, Tremonti, Urso, Vegas, Vito e Volontè sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantasette, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Zeller ed altri; Cicu ed altri; Palomba; Gozi e Zaccaria; Bocchino ed altri; Soro ed altri; Lo Monte ed altri; Zeller ed altri: Modifiche alla legge 24 gennaio 1979, n. 18, concernente l'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia (22-646-1070-1449-1491-1507-1692-1733-A) (ore 10,08).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge d'iniziativa dei deputati Zeller ed altri; Cicu ed altri; Palomba; Gozi e Zaccaria; Bocchino ed altri; Soro ed altri; Lo Monte ed altri; Zeller ed altri: Modifiche alla legge 24 gennaio 1979, n. 18, concernente l'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Annunzio di una questione pregiudiziale - A.C. 22 ed abbinate-A)

PRESIDENTE. Avverto, che ai sensi dell'articolo 40, comma 1, primo periodo, del Regolamento è stata presentata la questione pregiudiziale di costituzionalità Casini ed altri n. 1 (vedi allegato A - A.C. 22 e abbinate-A), che sarà esaminata dopo la conclusione della discussione sulle linee generali.

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(Discussione sulle linee generali - A.C. 22 ed abbinate-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Unione di Centro, Italia dei Valori e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Ha facoltà di parlare il relatore, onorevole Calderisi.

GIUSEPPE CALDERISI, Relatore. Signor Presidente, colleghi, signor Ministro, nei giorni che stiamo vivendo, l'Europa - che si usa dire lontana dal cittadino comune - è entrata nella vita concreta di noi tutti, chiamata a frenare il crollo dei mercati del Continente e a suscitare azioni comuni per la salvezza dell'economia reale: invocata in soccorso dei risparmi dei salari, guida e forza degli Stati.
Un diffuso senso comune chiede a quelle azioni di allontanare la recessione, restituire speranze e delineare una possibile uscita dal tunnel. È la stessa Europa che il cittadino comune conosce sempre più nei fatti concreti della sua vita: come responsabile del tasso di sconto, del costo del suo mutuo, del valore e dell'apprezzamento dell'euro (questo, a volte, fortemente avversato), delle tante regole che lo favoriscono o talvolta lo frenano e, da ultimo, per dire solo dell'immediata attualità, della complessa e difficile conciliazione fra la salvaguardia del proprio posto di lavoro e la tutela dell'ambiente. Tuttavia, le istituzioni europee - il Consiglio, la Commissione, la Banca centrale e persino il Parlamento - restano ancora lontane da questa percezione diffusa: le domande all'Europa si concentrano ancora e sempre più sulla rappresentanza nazionale: il Governo e i membri italiani del Parlamento europeo. Una rappresentanza che deve farsi perciò sempre più attenta e influente, capace di rappresentare la nazione in tutte le sue istanze e, insieme, forte quanto necessario per concorrere alla loro affermazione. È questo il contesto in cui la Commissione affari costituzionali inserisce il testo della riforma della legge per l'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, testo che consegna qui all'esame dell'Assemblea. D'altro canto, la riforma interviene a pochi mesi dalle elezioni politiche che sono state caratterizzate da una storica riduzione del numero dei partiti, con la nascita, su fronti contrapposti, di due grandi forze nazionali, determinate dalla confluenza, su basi programmatiche, di diverse correnti di pensiero: una semplificazione che è stata percepita come una autentica liberazione da parte l'opinione pubblica. Si tratta di un fenomeno che segna la fuoriuscita dall'età delle ideologie forti e denota una modernizzazione in senso europeo del nostro sistema politico.
Rispetto a entrambi i versanti - quello europeo e quello del sistema politico nazionale - la legge vigente per l'elezione del Parlamento europeo presenta alcune gravi anomalie, in particolare quella dell'assenza di una qualsivoglia soglia di sbarramento, assenza che consente la frammentazione esasperata della rappresentanza. Tale frammentazione non solo incide negativamente sull'efficacia della presenza dei nostri parlamentari nell'Assemblea di Strasburgo, ma ha effetti indiretti fortissimi sul nostro sistema politico, incentivando divisioni e conflittualità artificiose.
È vero che nelle elezioni per il Parlamento europeo non si pone il problema di garantire la governabilità e la formazione di una maggioranza che sostenga il Governo - ragione per la quale una decisione dell'Unione europea prevede l'adozione di un sistema proporzionale da parte degli Stati membri - ma questo non significa affatto che il principio di rappresentatività proporzionale debba essere portato fino alle sue estreme conseguenze favorendo la frammentazione. Per questa ragione, la stessa decisione dell'Unione europea consente ai Paesi membri di prevedere soglie di sbarramento esplicite fino al 5 per cento.Pag. 3
Le contingenze politiche italiane consigliano di agire in questa direzione. Nel limite del possibile, è importante che la tendenza alla riduzione della frammentazione e alla modernizzazione del sistema politico affermatasi nelle elezioni nazionali non sia contraddetta dalle prossime elezioni europee e che non sia chiuso in una parentesi quanto è accaduto il 13 aprile 2008. Per questo è opportuno e necessario che la «deframmentazione» del sistema politico si estenda alla nostra rappresentanza in Europa: per contare lì come nazione e per disinnescare qui il ritorno a pratiche antiche e superate, coltivate all'ombra della rappresentanza dello 0,67 per cento dei voti validi (la percentuale dell'ultimo seggio residuale assegnato ad una lista nelle elezioni del 2004). Del resto non deve essere un caso se la gran parte delle altre nazioni applicano la misura massima di quella soglia esplicita consentita dalla direttiva del Consiglio europeo: il 5 per cento. Così in Germania, Francia, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Lettonia, Lituania, Slovacchia. Applicano una soglia del 4 per cento Austria e Svezia, del 3 per cento la Grecia. Per altro, nei Paesi che eleggono un numero ridotto di parlamentari europei, agisce anche una soglia implicita ancora più consistente.
L'eccessiva diversità di sistemi elettorali per i diversi tipi di elezioni - diversità giustificata solo in parte dalla specificità delle elezioni medesime - sottopone ogni anno il nostro sistema politico a sollecitazioni in direzioni diverse e a volte opposte. Si tratta di un fattore negativo che è causa non secondaria delle difficoltà di chiudere il processo di transizione del nostro sistema politico. Le scelte compiute dalle principali forze politiche ed il voto degli elettori del 13 aprile scorso hanno plasmato il sistema politico in direzione di una bipolarizzazione semplificata. Si sono forse create le condizioni per portare finalmente a compimento la transizione.
Si tratta di decidere se assecondare o meno questo processo introducendo i correttivi necessari, a partire dalla legge elettorale europea con la quale si voterà il prossimo anno. Pertanto, la misura dello sbarramento nella legge elettorale europea ha inevitabilmente un carattere «sistemico» e non va determinata in rapporto ai numeri di cui si possono accreditare le forze politiche in concorso, in particolare quelle che non sono presenti in questo Parlamento, per poter patteggiare inclusioni o aggregazioni possibili.
Fino alle ultime elezioni politiche, la soglia del 5 per cento è stata ritenuta quella più opportuna, in particolare da parte di forze politiche come l'UdC e Rifondazione comunista attraverso l'indicazione del modello tedesco (che ha la soglia di sbarramento pari al 5 per cento come elemento qualificante). Una soglia la cui adozione non corrisponde affatto alla scelta di un sistema bipartitico - come esponenti dell'UdC hanno sostenuto in Commissione - ma consente l'esistenza autonoma di una pluralità di forze politiche. Una soglia che, in ogni caso, non determinerebbe l'esclusione dall'arena politica di quelle forze che non dovessero conseguire un numero sufficiente di consensi, potendo queste forze ben portare il proprio contributo ai processi aggregativi in atto tanto nel centrodestra quanto nel centrosinistra.
Non si comprende pertanto come proprio molti dei sostenitori del sistema tedesco affermino oggi che una soglia del 5 per cento metterebbe in causa la democrazia.
All'indomani delle elezioni del 13 aprile, sembrava che tanto il PdL quanto il PD volessero muoversi in questa direzione, portando a compimento la riforma del sistema politico avviata dal voto degli elettori. Da allora sembra che siano cambiate molte cose e che in casa del PD sia in atto un ripensamento in una direzione che non riusciamo a comprendere. Noi ci auguriamo che possa riannodarsi il filo interrotto di quel dialogo. È in gioco non l'interesse di parte di questa o quella forza politica, ma l'interesse generale del Paese e la modernizzazione in senso europeo del sistema politico.
Esaminiamo più da vicino il merito della riforma. Restano fermi il sistema proporzionalePag. 4con la formula dei quozienti interi e dei maggiori resti, con l'assegnazione dei seggi alle liste nel collegio unico nazionale. Poche ma determinanti le modifiche introdotte dalla Commissione: il raddoppio del numero delle circoscrizioni elettorali, da cinque a dieci (quelle della proposta del PD), l'introduzione di una soglia di sbarramento del 5 per cento per l'accesso alla ripartizione dei seggi, l'esclusione del voto di preferenza, una nuova disciplina intesa a favorire la parità di accesso alle candidature.
Altre modifiche minori sono in gran parte conseguenza delle prime. Altre o diverse modifiche sono state avanzate sia nelle proposte iniziali sia nel corso dell'esame attraverso gli emendamenti al testo che si andava formando, come riferito ampiamente nella relazione scritta.
La decisione sul numero e la dimensione delle nuove circoscrizioni ha avuto come motivo ispiratore la questione della rappresentanza dei territori. Su questo aspetto la decisione della Commissione è stata motivata dall'obiettivo di non disperdere eccessivamente la rappresentanza, collegandola a territori troppo piccoli per il numero di deputati europei spettanti all'Italia, territori che inevitabilmente farebbero assumere a quella rappresentanza un carattere troppo localistico. Inoltre, la dimensione ottimale di territori, la cui popolazione varia intorno ai quattro ed ai sei milioni di abitanti, consente di ottenere circoscrizioni a cui sono assegnati dai sei agli otto seggi. La tabella delle popolazioni e dei seggi è riportata nella relazione scritta.
Nel corso della discussione, però, la questione del numero e della dimensione delle circoscrizioni si è strettamente connessa all'abolizione del voto di preferenza, questione sulla quale - insieme a quella della soglia di sbarramento - si sono manifestate le differenze più determinate e profonde. Infatti, su queste modifiche il contrasto, argomentato e articolato anche in rapporto alle scelte sulle altre parti della legge in discussione, è stato ritenuto irriducibile e inconciliabile al punto da determinare la decisione dei deputati dei gruppi UdC e PD di abbandonare i lavori della Commissione nel corso dell'esame degli emendamenti.
Su tutte, la conservazione del voto di preferenza si è rivelata di fatto la questione pregiudiziale che ha condizionato e reso impossibile ogni altro tentativo di articolare diversamente le altre parti del testo, alla ricerca di un equilibrio che consentisse a tutta la Commissione di convergere su di un testo unitario.
La contrapposizione sul voto di preferenza, o sul livello della soglia di sbarramento non può essere condotta in termini di anatemi. Sarebbe paradossale e persino risibile non sgombrare il campo dall'accusa secondo cui la maggioranza mira ad un sistema di carattere «semifascista» perché «inteso a favorire un tendenziale bipartitismo», come ha sostenuto l'onorevole Buttiglione (le cui dichiarazioni si possono leggere nei resoconti parlamentari) o da quell'argomentare secondo cui se «forse non sarà fascismo», la legge prefigurata dalle modifiche qui proposte è simile, anzi peggiore, della cosiddetta «legge Acerbo», come affermato dall'onorevole Pisicchio. Il favore al voto di preferenza e l'avversione alla soglia di sbarramento meritano sicuramente argomentazioni più eleganti e difese di maggior pregio.
La questione del voto di preferenza non può essere affrontata in chiave ideologica o demagogico-moralistica, ma va valutata laicamente, senza tralasciare la memoria, il vissuto recente e l'esperienza attuale. La nostra contrarietà al voto di preferenza non nasce da un pregiudizio sulla sua irresistibile natura corruttrice. Infatti, dove vi è stata corruzione il voto di preferenza era soltanto uno degli strumenti di cui si serviva l'intreccio degli interessi che si raccoglievano intorno all'esito delle elezioni. La nostra contrarietà al voto di preferenza, invece, si fonda sulla valutazione degli effetti negativi che esso ha, in generale, nei sistemi di votazione che abbiamo conosciuto finora.
Coloro che si oppongono alle cosiddette liste bloccate, in particolare a proposito delle ultime elezioni politiche nazionali,Pag. 5sostengono che il ripristino del voto di preferenza rappresenta l'attribuzione di una più ampia libertà di scelta agli elettori. Il che può sembrare vero solo ad un'analisi superficiale. Nelle democrazie moderne, caratterizzate da fenomeni di interconnessione politico-economica sempre più ampi, il meccanismo delle preferenze sfugge, infatti, ad un utilizzo individuale basato prevalentemente sul convincimento e sull'individuazione della qualità, per divenire lo strumento di lobby, per lo più trasversali e non sempre di natura legale. In questo contesto il voto di preferenza provoca, inevitabilmente, un ampliamento dei costi delle campagne elettorali e, più in generale, di tutta la politica. Per quanto riguarda gli altri Stati dell'Unione europea, il voto di preferenza è escluso in tutti i più grandi Paesi e in molti di quelli medi: Germania, Francia, Inghilterra, Spagna, Portogallo, Scozia e Galles, Olanda, Grecia, Ungheria, Lettonia.
Nel nostro Paese, all'inizio degli anni Novanta, le iniziative referendarie che produssero la modifica del sistema politico-elettorale presero le mosse proprio dalla battaglia contro il sistema delle preferenze, condotta attraverso una lunga campagna moralizzatrice che spesso non esitò ad operare una meccanica ed insensata corrispondenza tra voto di preferenza e corruzione. Da quella esagerazione, sembra si sia oggi passati ad un'esagerazione di tipo opposto che invoca il ritorno al voto di preferenza contro lo strapotere dei partiti e dei loro leader, dimenticando del tutto ciò che il sistema delle preferenze effettivamente e concretamente ha significato e comportato.
Se non abbiamo perso del tutto la memoria e vogliamo trarre ammaestramento dalla nostra storia, dobbiamo ricordare che il voto di preferenza è stato lo strumento di quella che allora veniva chiamata la degenerazione correntizia dei partiti, il motore dell'esplosione delle spese della campagna elettorale per la raccolta del consenso, l'occasione di molta corruzione, del controllo del voto attraverso le preferenze multiple e di molto altro ancora.
I sostenitori incondizionati del voto di preferenza dovrebbero ripercorrere, con leggerezza d'animo, almeno gli ultimi capitoli di un esilarante e amaro pamphlet scritto dall'ambasciatore Roberto Ducci in merito alla sua esperienza di candidato nelle liste della Democrazia Cristiana. Il titolo di questo pamphlet è emblematico: Candidato a morte, editore Li Causi, 1983.
Per il tempo presente dobbiamo ricordare che nella Regione Toscana la maggioranza di centrosinistra ha voluto una legge elettorale regionale senza voto di preferenza proprio dopo aver tratto ammaestramento da alcune infelici vicende giudiziarie regionali che ancora una volta hanno messo in evidenza la lievitazione delle spese elettorali e le connesse degenerazioni prodotte dal voto di preferenza.
Considerazioni sull'oggi sono quelle che leggiamo nel Rapporto realizzato dal Gruppo di riflessione strategica insediato nell'ottobre 2007 dal Ministro degli affari esteri pro tempore Massimo D'Alema (Rapporto 2020 - Le scelte di politica estera); rapporto che a pagina 23, allegato n. 4, in tema di riforma della legge per le elezioni europee, afferma che con «l'attuale meccanismo del voto di preferenza (...) oltre a rendere costosissime le campagne elettorali (...) si limita oggettivamente la possibilità di selezionare una classe dirigente più giovane e consona alle competenze e alle complessità dell'arena comunitaria». E tra i punti indicati per una proposta di riforma il rapporto pone la riconsiderazione del voto di preferenza in circoscrizioni più numerose e più ampie di quelle attuali e la necessità di diminuzione dei costi (l'Italia - ricorda il rapporto - è l'unico tra i Paesi grandi e medi ad utilizzare il voto di preferenza).
Come tutti sappiamo bene, la decisione sul voto di preferenza incide fortemente sulla scelta della «forma-partito» e non vi è dubbio che la sua previsione, con la competizione fratricida che scatena all'interno di ciascun partito, proprio in coincidenza temporale con lo svolgimento della campagna elettorale, favorisce il modello di partito basato sui notabili e sulle correnti organizzate che mina l'unità diPag. 6indirizzo del partito politico. Una competizione fratricida che potrebbe risultare esiziale per i processi aggregativi in atto tanto nel centrodestra quanto nel centrosinistra. Come ha giustamente rilevato l'onorevole Bianconi nel suo intervento in Commissione, la scelta tra soppressione o meno del voto di preferenza dovrebbe essere compiuta soprattutto con riguardo alla necessità di salvaguardare tali processi, oggi in fase nascente, per consentire finalmente il compimento di quella transizione del nostro sistema politico verso un bipolarismo di tipo europeo, che il paese attende da sin troppo tempo.
Inevitabilmente, le preferenze finiscono per indebolire i partiti, ben lontani ormai da quelle «macchine» politiche di massa fondate sull'integrazione sociale che hanno segnato il XX secolo. Oggi che i partiti non sono troppo forti bensì troppo deboli, ma sono comunque necessari al funzionamento del sistema politico, garantirne la funzione vuol dire consentire loro di selezionare la classe dirigente attraverso processi che assicurino la trasparenza dei meccanismi decisionali, e che pongano gli elettori nella condizione di premiare o sanzionare le loro scelte.
Dovremo essere saggi e attenti. Abbiamo avviato una strada: l'aumento del numero delle circoscrizioni e il ridimensionamento della loro ampiezza accorciano la lunghezza delle liste ed offre all'elettore una scelta visibile, comprensibile e controllabile. Visibile, perché egli può rendersi più facilmente conto delle candidature, delle poche candidature che gli sono proposte. Non resta disperso e frastornato da 30, 40 o addirittura 44 nomi, come per l'elezione della Camera dei deputati, ma tra pochi nomi, in media 7 con la proposta di dieci circoscrizioni.
L'elettore, pertanto, può comprendere il senso di quelle candidature perché trova sicuramente più facile conoscere specificamente quei pochi candidati, perché - se quelli non sono usciti da qualche strana combinazione di astri - fanno parte della vita politica, economica, sociale di quella circoscrizione. Dicevo, infine, che può controllarli, nel senso che in una circoscrizione in cui il partito elegge due, tre o quattro deputati europei al più, questi possono essere seguiti e valutati nel corso dei cinque anni. Vi sono, dunque, le condizioni perché gli elettori e le formazioni sociali in cui essi si riconoscono possano attivare un effettivo rapporto di controllo e indirizzo sugli eletti. Non giova, per inveterato e facile scetticismo, sottovalutarne la portata innovativa delle liste corte. Lo ricordavamo prima: alcuni colleghi, soprattutto dell'Unione di Centro e dell'Italia dei Valori hanno fatto ricorso a toni e argomenti che ritengo francamente esagerati ed esasperati. Non contestiamo certamente la legittimità di posizioni che rispondono a finalità prettamente politiche, ma non possiamo non evidenziare la strumentalità di certi toni e argomenti esagerati ed esasperati.
Essa appare evidente se solo si considera che la soppressione del voto di preferenza era già contenuta nella proposta di testo unificato presentata nella scorsa legislatura nella Commissione affari costituzionali della Camera dal relatore, onorevole Gozi. La Commissione presieduta dall'onorevole Violante era sostanzialmente unanime nel compiere quella scelta.
In quel dibattito, tenutosi nella scorsa legislatura, non solo il gruppo dell'Ulivo era favorevole alla soppressione del voto di preferenza, ma non intervenne neppure un solo deputato dell'Unione di Centro per contrastare quella scelta. L'Unione di Centro, del resto, aveva votato poco tempo prima a favore della nuova legge per le elezioni delle Camere, che si basa su lunghe liste bloccate, senza voto di preferenza. Difficile comprendere come ora, la stessa opzione, metterebbe addirittura in causa la democrazia!
Peraltro, è singolare che proprio coloro che si battono tanto apertamente quanto legittimamente per mettere in discussione l'assetto bipolare del nostro sistema politico (e a questo fine propongono una legge elettorale nazionale priva di qualsiasi meccanismo maggioritario per sottrarre agli elettori il diritto di scegliere direttamente chi deve governare il Paese, il principale diritto politico in una democrazia, perPag. 7riconsegnarlo alle alchimie dei partiti) pongano una questione di democrazia e di sovranità popolare su una facoltà per l'elettore - quella di scegliere il candidato attraverso il voto di preferenza - che, come abbiamo visto, oltre a comportare gravi conseguenze negative, è molto aleatoria e illusoria.
Infine, proprio i dati sullo scarso uso del voto di preferenza, riportati nella relazione scritta che ora non ho tempo in questa sede di richiamare, dovrebbero farci riflettere sulla opportunità della sua conservazione. Sono dati che ne denotato un utilizzo ben scarso.
Il voto di preferenza è una risposta illusoria e, per tanti aspetti, controproducente rispetto ad un problema vero, quello dell'assenza di una disciplina sul riconoscimento giuridico, il finanziamento, i bilanci e le campagne elettorali dei partiti.

PRESIDENTE. Onorevole Calderisi, la prego di concludere.

GIUSEPPE CALDERISI, Relatore. Signor Presidente, mi avvio a concludere. Certamente una disciplina pubblica per la selezione delle candidature è particolarmente complessa e difficile da introdurre, come dimostrano i tentativi finora posti in essere dai partiti e non credo possa essere improvvisata e introdotta in questo provvedimento. Ma si affronti il toro per le corna, si ponga finalmente all'ordine del giorno questo problema, valorizzando nel frattempo la positiva novità rappresentata dalle liste «corte», costituite da pochi candidati. Questa è la strada maestra per costruire un serio sistema politico, non quella - lo ripeto - illusoria e controproducente, del voto di preferenza.
In conclusione, dobbiamo ribadire quello che a noi sembra l'interrogativo di fondo per giungere ad una riforma della legge elettorale europea in qualche modo condivisa (ma la questione riguarda anche le riforme costituzionali e quelle regolamentari). Si deve operare per consolidare e portare a compimento la riforma del sistema politico che gli elettori hanno avviato il 13 aprile, come sembrava voler fare anche il Partito Democratico all'indomani di quel voto? Ci auguriamo di «sì», che possa riannodarsi il filo di quel dialogo che sembrava possibile all'inizio della legislatura. Oppure non è così e per il Partito Democratico l'obiettivo è un altro. In tal caso, quale è tale obiettivo? Infatti, solo se è chiaro l'obiettivo da perseguire, è possibile individuare la congruità delle misure che si devono predisporre (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, ora ci sarà la relazione, visto che è stato un intervento del Popolo della Libertà!

PRESIDENTE. Onorevole Evangelisti, questa è la relazione che la Commissione ci consegna, poi ciascuno sarà libero di svolgere le sue riflessioni in sede di dibattito.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

ROBERTO CALDEROLI, Ministro per la semplificazione normativa. Signor Presidente, sarò brevissimo. Il Governo ritiene che la materia sia squisitamente parlamentare. Prima della pausa estiva aveva aperto un dibattito al proprio interno per considerare l'ipotesi di modifiche al testo esistente per l'elezione del Parlamento europeo che potesse essere da stimolo per la discussione in Commissione. La I Commissione ha invece avviato i suoi lavori immediatamente dopo la pausa estiva e, quindi, il Governo ha ritenuto di dover desistere dalla presentazione di un provvedimento di propria iniziativa.
I temi in discussione sono ovviamente quelli richiamati dal relatore: il problema della frammentazione della rappresentanza politica che non può determinare la composizione di una massa critica in grado di rappresentare veramente il Paese in quella sede, oltre a quel distacco tra eletto e liste e il territorio conseguente alle dimensioni delle circoscrizioni.
Le sei proposte di legge portano in maniera diversa differenti proposte di soluzione.Pag. 8Il Governo ha concordato sul testo unificato predisposto dal relatore e sugli emendamenti presentati che sono stati accolti. Alla luce di quanto emergerà nella discussione sulle linee generali si riserva di accogliere ulteriori perfezionamenti o migliorie nel testo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Stracquadanio. Ne ha facoltà.

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO. Signor Presidente, voglio innanzitutto ringraziare il relatore non solo per la relazione che ha illustrato in quest'Aula, ma anche per il lavoro puntuale che ha svolto in Commissione, perché, dall'inizio del dibattito sulla legge elettorale per le elezioni europee fino ad oggi, ha lavorato con scrupolo, puntiglio, precisione ed apertura mentale; pertanto, le critiche che gli sono state mosse sia in Commissione, con l'abbandono da parte della opposizione, sia adesso in modo un po' fuori dal consueto da parte di un capogruppo dell'opposizione, sono non solo ingenerose, ma soprattutto ingiuste. Si dovrebbe avere rispetto del lavoro altrui per poterlo poi liberamente contestare.
Il relatore ha illustrato in maniera ottimale in Commissione tutte le proposte che erano sul tappeto, consentendo un dibattito ampio, grazie anche al supporto ed alla pazienza del presidente della Commissione, a cui va il nostro ringraziamento ed oggi in questa relazione vi è la sintesi che la Commissione consegna all'Aula. I lavori dell'Assemblea non sono la fotocopia dei lavori in Commissione e questo l'onorevole Evangelisti dovrebbe saperlo.
Detto questo, signor Presidente - ho perso sin troppo tempo per questa precisazione - vorrei intervenire per i dieci minuti che ho a disposizione e, pertanto, la pregherei di avvisarmi quando mancano due minuti al termine.

PRESIDENTE. Onorevole Stracquadanio, il suo gruppo ha già avvisato la Presidenza che parlerà per dieci minuti.

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO. Poiché voglio attenermi all'impegno che ho preso con il mio gruppo e con tutti i colleghi, la pregherei di avvisarmi quando mancano due minuti, in modo che possa concludere il mio intervento.
Mi voglio intrattenere solo su un aspetto della questione, quello delle preferenze. Sulla questione delle preferenze mi intratterrò a sua volta solo su due aspetti, che possono sembrare marginali, ma con i quali voglio introdurre degli elementi nuovi di dibattito.
Premetto che non sono tra coloro i quali è a priori contrario alle preferenze e che, nel referendum del 1991, quello in cui si passò dalle preferenze plurime alla preferenza unica, mi trovai in quel quattro per cento di elettori che votarono «no» al referendum, mentre l'Italia intera, guidata dai suoi leader politici di allora, sembrava aver trovato nel passaggio da più preferenze ad una il passaggio dal vizio alla virtù. La storia ha dimostrato che ciò non è accaduto, anzi la preferenza unica ha scatenato per certi versi, assieme ad altri fenomeni, la dissoluzione dei partiti, perché ne ha provocato lotte intestine furibonde nei momenti elettorali a qualunque livello, come ha ben descritto il relatore.
Ritengo che, in questa fase politica, invece, rispetto all'obiettivo del Paese di darsi un nuovo sistema politico più efficace e più in linea con la velocità che i tempi richiedono, le preferenze siano un ostacolo al delinearsi di un sistema politico migliore, più moderno e più europeo.
Desidero innanzitutto contestare un'affermazione che molti fanno, ossia che gli italiani vogliono il ritorno delle preferenze, perché vogliono poter scegliere il loro eletto. Entrambe le affermazioni sono destituite di qualunque fondamento logico. A questo proposito, ho messo a punto con un gruppo di lavoro un piccolo studio sui numeri delle preferenze espresse nelle scorse elezioni per il Parlamento europeo. Cosa mi sono chiesto, con l'atteggiamento empirista dello scienziato? Ho voluto verificare se è vero che gli italiani vogliono le preferenze, andando a verificare, in una fase in cui, non solo le potevano esprimere ampiamente, ma c'era anche una grande pressione pubblicitaria affinché lo facessero,Pag. 9in che misura le hanno espresse e, quindi, se le vogliono effettivamente come strumento fondante della loro scelte elettorale; oppure, se sono solo gruppi minoritari ad esprimere preferenze sotto la pressione della propaganda politica, così come ha bene espresso il relatore nella sua relazione.
Signor Presidente, lo studio è articolato e complesso e lo presenteremo in altre sedi, voglio però fornirle solo qualche breve sintesi: sul totale delle preferenze esprimibili in questo Paese, sui voti espressi con riferimento ai partiti che hanno ottenuto eletti (si tratta di un totale di circa 28 milioni di voti) che, considerato che si potevano esprimere tre preferenze, non una sola, avevano un potenziale di circa 85 milioni di preferenze esprimibili, ne sono state espresse soltanto 18 milioni, ossia una cifra pari al 22 per cento del totale. Ma se anche considerassimo che ciascun elettore abbia espresso una sola preferenza - il che sappiamo non essere vero, per esperienza nei seggi e personale - otterremmo un dato in base al quale meno della metà degli elettori si avvale (cioè vuole) dello strumento della preferenza, e ciò in un contesto nel quale la maggior parte della propaganda politica non è nel confronto tra partiti per il Governo, ma tra candidati nella lista per poter essere eletti al Parlamento europeo. Il Parlamento europeo, infatti, non esprime un Governo, come affermano tutti coloro che si esprimono contro le soglie di sbarramento; costoro dovrebbero tener conto del fatto che, non esprimendosi un Governo, anche la campagna elettorale si dispiega in modo diverso e i candidati e i partiti svolgono, in realtà, propagande personali.
Ciononostante, in questo contesto, in maniera abbastanza uniforme, dal nord al sud, perché si passa da un tasso di espressione delle preferenze del 15 per cento del nord-ovest ad uno del 37 per cento delle isole, non abbiamo mai una prevalenza di espressione di preferenze rispetto al voto dato alle liste e ai partiti. Questo, a mio avviso, in termini scientifici, non genericamente politici, vuol dire che l'affermazione: «gli italiani vogliono le preferenze, perché vogliono esprimere il loro eletto», dal punto di vista dei numeri, è destituita di verità; allora, si dica piuttosto: «noi, di un determinato partito, vogliamo le preferenze», senza attribuire agli italiani una cosa a cui essi non credono.
La seconda considerazione che voglio svolgere è sempre di ordine numerico e riferita alle preferenze. Si sostiene che, attraverso l'espressione delle preferenze, il cittadino designa il suo rappresentante e, quindi, poi entra in contatto in qualche modo diretto con lui; ebbene, signor Presidente, se l'affermazione di prima: «gli italiani vogliono le preferenze», era destituita di fondamento, questa è quasi stellare ...

PRESIDENTE. La invito a concludere.

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO. Signor Presidente, mancano due minuti allo scadere del tempo a mia disposizione?

PRESIDENTE. Sì, onorevole Stracquadanio.

GIORGIO CLELIO STRACQUADANIO. ... per la semplice ragione che, se andiamo a considerare qual è il costo per i grandi partiti di un parlamentare, che per le elezioni europee si aggira intorno a 400-450 mila voti circa (a seconda di come i quorum scattano), risulta che gli eletti che superano in termini di preferenze questo numero di voti sono pochissimi. Nelle scorse elezioni europee, ad esempio, tale risultato è stato conseguito dall'onorevole Berlusconi, che ha ottenuto consensi personali largamente superiori a quelli che erano necessari per essere eletti, e da due protagonisti della televisione: l'onorevole Lilli Gruber e il già deputato europeo Michele Santoro, cioè persone che occupavano stabilmente, quotidianamente o settimanalmente la televisione pubblica di Stato e su quello hanno svolto la loro campagna, non hanno conquistato la preferenza in un rapporto diretto e personale con l'elettorato e nessun elettore poteva andarli a tirare per la giacchetta.Pag. 10
Se si analizzano i dati, risulta anche che è risultato eletto al Parlamento europeo, per il combinato disposto della preferenza e della soglia, un signore che ha raccolto 2.600 preferenze: questo rappresenterebbe la volontà degli italiani? Signor Presidente, lei sa che con 2.600 preferenze, a volte, non si è eletti nemmeno in un consiglio comunale! Allora, per cortesia, non si racconti che la preferenza stabilisce un rapporto diretto tra elettori ed eletti; la preferenza è un modo attraverso il quale nell'arena politica i partiti possono regolare i loro conti a spese degli elettori, facendo delle sorte di primarie interne di questo tipo.
Un sistema che voglia evolvere, in questa fase e in questo momento, non può, a mio avviso, prevedere le preferenze, perché il carattere delle stesse è disgregativo e non aggregativo e il sistema politico italiano non ha bisogno di disgregazioni, ma di crescere nell'aggregazione e nella modernità, verso un sistema bipolare o bipartitico, come quello che hanno tutti i Paesi democratici e meglio governati (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Parisi. Ne ha facoltà.

ARTURO MARIO LUIGI PARISI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nella storia dei Parlamenti ogni passaggio è rilevante, ma vi sono momenti eccezionali, che sono quelli nei quali la discussione e la decisione toccano i fondamenti stessi della democrazia, la civiltà giuridica di un Paese e la convivenza di una società: sono passaggi cruciali per la storia di tutto il Paese.
Di fronte a questo provvedimento, oggi, colleghi, ci troviamo a vivere uno di questi momenti. I tratti dominanti del testo unificato sono stati esposti in modo esplicito e trasparente dal relatore Calderisi, che voglio ringraziare almeno per la chiarezza utilizzata nell'illustrare gli intenti che si vogliono perseguire. Il testo che ci viene proposto, infatti, non nasconde in alcun modo l'intenzione di consolidare - e direi accentuare - i difetti della sciagurata riforma elettorale per il Parlamento nazionale, approvata alla fine del 2005. Non fummo noi a definire quella legge una «porcata»: è una parola che non ci piace, un termine che ancora faccio fatica a pronunciare. È un termine, tuttavia, utilizzato da chi la ideò e portò a termine.
Ebbene, se quella legge fu definita una «porcata», la legge a noi oggi proposta può essere definita a pieno titolo una «porcata-bis», una «porcata» contro la democrazia. Come quella legge, anche questa si propone, infatti, l'obiettivo di restringere ulteriormente gli spazi di decisione dei cittadini: dopo essere stati privati della possibilità di scegliere i propri rappresentanti nel Parlamento nazionale, essi vengono ora privati della scelta di chi li debba rappresentare nel Parlamento europeo. Con la conferma della lista bloccata, questo provvedimento lascia ai cittadini soltanto la possibilità di accettare o meno le decisioni di chi formerà le liste. Nella generalità, i cittadini non avranno compiuta coscienza neppure dei nomi di chi le compone; essi, infatti, non vengono neppure iscritti nella scheda elettorale, almeno al fine di informare i cittadini stessi (direi anche, per questo aspetto, in trasparente coerenza con l'ispirazione generale della proposta). Non è detto, infatti, che quelli che gli elettori potrebbero immaginare come i nomi dei nominati siano poi quelli che, alla fine, saranno mandati dai vertici dei partiti, a loro nome, nel Parlamento europeo.
La nuova articolazione territoriale delle circoscrizioni che viene proposta, infatti, non prevedendo limiti alla possibilità di essere proposti come candidati in tutte le circoscrizioni, moltiplica la possibilità di candidature multiple, con l'inevitabile esercizio di opzione tra le circoscrizioni che ne consegue: oltre ad essere, come quello nazionale, un Parlamento di nominati, quello europeo è destinato a diventare, così, un Parlamento di ripescati. Non solo: continuando in una pessima tradizione del nostro Parlamento (poco fa sono stati citati esempi illustri, il più illustre dei quali è quello dell'onorevole Berlusconi),Pag. 11non si pone alcun divieto ai parlamentari italiani di presentarsi anche a queste elezioni, pur sapendo dell'incompatibilità tra le due Assemblee. Si perpetua, consapevolmente, così la prassi delle candidature «specchietto per le allodole».
Ma vi è di più: la relazione Calderisi, con molta chiarezza, spiega il perché di queste scelte. In totale dispregio del ruolo e del significato europeo del Parlamento europeo e della necessità, per noi vitale, di avere in quell'Assemblea rappresentanze autorevoli (perché fortemente radicate nel rapporto con i nostri concittadini), il provvedimento in esame si propone di stabilizzare e rendere definitiva la concentrazione del potere di scelta dei parlamentari nelle mani dei vertici di partito (ripeto, in totale dispregio del ruolo europeo del Parlamento europeo).
Nelle ultime elezioni europee svoltesi nel 2004, facendo riferimento ai 353 milioni e mezzo di cittadini aventi diritto nell'insieme dei Paesi dell'Unione europea, su cento elettori europei, 58,4 o non hanno partecipato al voto o non hanno espresso un voto valido o hanno espresso un voto che non ha ottenuto rappresentanza. I parlamentari europei si trovano, cioè, oggi a rappresentare nemmeno quarantadue elettori europei su cento. A questa esile pattuglia di quarantadue elettori, tra i Paesi europei, l'Italia ha finora nella media offerto il contributo maggiore, quasi nove di questi quarantadue elettori europei rappresentati erano italiani, il 21,3 per cento.
Ebbene, si deve sapere che, se questa legge venisse approvata, come noi non ci auguriamo, il numero di elettori italiani rappresentati nel Parlamento europeo diminuirebbe drasticamente e con essi il totale degli europei rappresentati.
Non è difficile, infatti, immaginare che, come è già avvenuto nelle ultime elezioni nazionali, il numero di elettori che non andranno alle urne o che, in generale, non esprimeranno un voto valido o produttivo di rappresentanza subirà un'impennata. Qualcuno può forse pensare che un Parlamento europeo che fondasse la sua rappresentatività su meno del 40 per cento degli aventi diritto, cioè a dire su una minoranza assoluta dei cittadini europei, potrebbe mai essere un'istituzione forte?
Nascondendosi dietro il paravento dei precedenti di altri Paesi europei, questa legge riesce a cumulare in un solo testo tutti i meccanismi che distintamente producono, negli altri ordinamenti, l'esclusione, l'emarginazione e lo scoraggiamento dei cittadini e della rappresentanza democratica (la durata del voto, le liste bloccate, l'elevatezza della soglia, l'assenza di garanzie di democrazia interna ai partiti, cui ha fatto riferimento anche il relatore Calderisi).
Si fa in fretta a dire «Europa», quando poi, proprio nel momento nel quale, a causa delle tensioni sociali che si addensano e si affacciano all'orizzonte, le istituzioni europee avrebbero più che mai la necessità di rafforzare la loro rappresentatività, si dà un colpo di questa violenza alla democrazia rappresentativa dell'Unione. E per di più si dà questo colpo solo guidati dall'ossessione di un'ulteriore concentrazione del potere interno ai singoli Paesi, al nostro Paese, in testa ai vertici di partito, ai «capipartito», al «capopartito» per eccellenza.
La realtà è che dietro questa legge e al modo con il quale essa è presentata e sostenuta c'è un'idea della democrazia che non possiamo accettare. È l'idea devastante di una democrazia che affida il rapporto tra istituzioni democratiche ed elettori al salotto di Vespa, per quanto riguarda la comunicazione verso gli elettori, e ai sondaggi degli istituti demoscopici, per quanto riguarda l'ascolto degli elettori e delle loro volontà: i talk show o nei migliori casi le videoconferenze, in luogo del rapporto fisico e personale tra eletti ed elettori, i sondaggi in luogo dell'ascolto faticoso, paziente e rispettoso delle persone, che si può avere solo incontrando i propri elettori e parlando con loro, la democrazia della finzione contro la democrazia della realtà, che, dopo la fine dei partiti di integrazione di massa, cui è stato fatto riferimento prima, solo l'esperienza del collegio uninominale cominciavaPag. 12a farci intravedere e solo il collegio uninominale può tornare ad assicurarci.
Per questo motivo, pur considerando le preferenze un pessimo sistema per l'elezione dei rappresentanti, non ho difficoltà a riconoscere che, essendo la lista bloccata di gran lunga peggiore, esse sono in questo contesto il male minore, non un passo per tornare indietro, ma uno stop per invertire la marcia, per allontanarci da quella nuova forma di democrazia che è stata denominata giustamente «videocrazia», non «videodemocrazia», perché essa della democrazia è la negazione e la distorsione più subdola. È una realtà che, vale la pena di ricordarlo sempre, è, in questa forma e in queste dimensioni, una realtà tutta e solo italiana, alla quale rischiamo purtroppo di abituarci.
È una negazione, una distorsione, alla quale Silvio Berlusconi ha dato un contributo incomparabile e determinante, certo grazie anche al suo sapere, ma soprattutto, di gran lunga di più, grazie al suo potere. Ancor prima, è a causa della sua concezione della politica e della vita che Silvio Berlusconi ha contribuito alla distorsione della nostra democrazia, a causa di una concezione che considera le regole soltanto come modalità di funzionamento del sistema finalizzato a perseguire, dentro un quadro proprietario, la massimizzazione del profitto, a causa dell'incapacità di vedere in chi lo circonda altro che collaboratori o, nel migliore dei casi, dei consiglieri di amministrazione, o dei manager, nominati da chi detiene il pacchetto di maggioranza.
Sta qua il cuore, il motore, di questa legge. Sta qua la radice dell'estensione del potere dei capi, del potere del capo, la radice dell'espropriazione dei rappresentati di nominare i loro rappresentanti, la radice della grave malattia della nostra democrazia: nell'incapacità di apprezzare, prima ancora di capire, il ruolo della rappresentanza democratica, delle sue regole e procedure. Non è un caso che con ingenua trasparenza si sia arrivati a dichiarare di non comprendere perché siano necessari tanti parlamentari, quando basterebbe dare ai capigruppo un voto ponderato in proporzione ai risultati elettorali conseguiti dal partito.
D'altra parte come non riconoscere che procedendo di questo passo a governare per decreti-legge e voti di fiducia, questa ipotesi paradossale non possa diventare un ragionevole sviluppo delle tendenze in corso? Come non riconoscere la fondatezza dell'argomento che chiede cosa abbiano da fare, fuori da Roma, e da quest'edificio, i parlamentari tra elettori che non li hanno mai eletti? Come possiamo, noi tutti, accettare questa idea di democrazia? Come possiamo piegarci a una torsione così profonda della democrazia rappresentativa, della democrazia governante, della democrazia politica? Come possiamo accettare un'accumulazione così forte di poteri in istituzioni che rischiano di non avere più nulla di democratico, proprio mentre nel mondo torna prepotentemente alla ribalta il ruolo degli Stati a cui si chiede di tornare ad essere regolatori di mercati impazziti?
Onorevoli colleghi, questo è il nodo che il provvedimento in esame, per il modo con il quale è proposto e per il suo contenuto, ci pone oggi di fronte. Lo dico con forza a tutti, ma in modo particolare e accorato, ai tanti colleghi di maggioranza che ieri furono insieme a me, e ad altri, nel sostenere il referendum abrogativo della legge elettorale politica, un referendum promosso proprio per combattere quegli stessi limiti e distorsioni che la nuova proposta esalta in misura ancora maggiore: penso al Presidente Fini, che tanto aiutò allora la raccolta delle firme, lo dico a lei onorevole Calderisi che fu insieme a me tra i principali promotori, lo dico ai colleghi Angelino Alfano, Bocchino, Prestigiacomo, Brunetta, La Russa, Rotondi, Carfagna e Matteoli, che ci sostennero o che furono nel comitato promotore. Dove finirà la rappresentanza democratica se continueremo di questo passo? Fermiamoci finché siamo in tempo. Invertiamo la direzione di marcia intrapresa tre anni fa, invece di allungare il passo verso il baratro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

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FABIO EVANGELISTI. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente questa mattina, facendo la rassegna stampa, ho ritrovato un riferimento a ciò che ieri l'Unità riportava, ovvero la documentata notizia che l'Accordo di recente stipulato tra l'Italia e la Libia, sugli indennizzi per l'occupazione coloniale, reca anche ulteriori clausole. Tra queste, agli articoli 2 e 4 dell'Accordo, risulta, in particolare, che l'Italia rinuncia ad esprimere in sede internazionali ufficiali e in sede diplomatica bilaterale ogni valutazione sulle politiche dei diritti umani e sull'esistenza del dissenso politico in Libia.
Il gruppo dell'Italia dei Valori non è, evidentemente, inconsapevole del fatto che la politica estera richieda talora anche atteggiamenti pragmatici e compromessi, purché questi abbiano di mira chiari obiettivi di mantenimento della pace e di cura degli interessi nazionali. Posto che la tradizione dittatoriale del colonnello Gheddafi, che nel giro di pochi mesi è passato dalla lista dei Capi di Stato canaglia a quello di credibile leader del mondo arabo, senza che ne siano state soppesate pubblicamente le ragioni, dovrebbe suscitare ogni sospetto e diffidenza, non si capisce bene...

PRESIDENTE. Scusi onorevole Evangelisti, mi dispiace doverla interrompere ma ai termini di una prassi riconosciuta dalla...

FABIO EVANGELISTI. Non mi può togliere la parola, la prego, Presidente, di farmi finire...

PRESIDENTE. Ai termini di una prassi affermata dalla Giunta per il Regolamento...

FABIO EVANGELISTI. No, guardi ne abbiamo discusso anche la scorsa settimana...

PRESIDENTE. ...questo tipo di interventi sono rimandati alla fine della seduta.

FABIO EVANGELISTI. Lei mi deve dare la possibilità di finire il ragionamento.

PRESIDENTE. Mi dispiace interromperla perché il tema che lei solleva è di grande rilievo, ma non è un intervento sull'ordine dei lavori.

FABIO EVANGELISTI. Assolutamente sì, perché stiamo parlando delle elezioni.

PRESIDENTE. Allora venga rapidamente alla parte dell'intervento che riguarda l'ordine dei lavori.

FABIO EVANGELISTI. Per quale motivo, quindi, il Governo Berlusconi gli offre invece oggi un salvacondotto su questi temi? A tal proposito volevo fare un ulteriore inciso in quanto poco fa sono stato ripreso dal collega Stracquadanio il quale, a sprezzo del ridicolo, ha addirittura accusato Santoro e l'onorevole Gruber di aver occupato gli spazi televisivi pubblici e per questo aver ottenuto...

PRESIDENTE. Onorevole Evangelisti, lei torna a sovvertire l'ordine dei lavori perché interviene su una questione personale che, per prassi, è rimandata alla fine della seduta. In quella sede avrà ampio spazio per parlare sia dei problemi dell'accordo con la Libia sia per dare le sue risposte all'onorevole Stracquadanio ove ritenga di doverle dare, ma adesso l'ordine dei lavori ci prescrive un altro tema.
È iscritto a parlare l'onorevole Luciano Dussin. Ne ha facoltà.

LUCIANO DUSSIN. Signor Presidente, Ministro, colleghi, vi era la necessità di modificare la legge elettorale europea. In Commissione di merito si è svolta un'ampia discussione e ora si sta svolgendo la discussione sulle linee generali per illustrare il testo che proponiamo al Parlamento. Mi soffermo su alcune tematiche che sono state sollevate, indicate e discussePag. 14durante i lavori della Commissione che ritengo possano portare un arricchimento alla discussione in atto.
Innanzitutto personalmente ho registrato l'attribuzione di troppa importanza alle leggi elettorali, mettendo in secondo ordine invece i valori della politica, i valori che esprimono i partiti in rappresentanza del voto popolare che ne consegue a seconda dei programmi che presentano. Non è un caso che alle ultime elezioni europee vi sia stato un tasso di partecipazione da parte dei cittadini con diritto di voto che ha rasentato il minimo storico. Ciò è accaduto a prescindere dalla legge elettorale perché probabilmente quella competizione elettorale, dalla quale doveva scaturire il nuovo Parlamento europeo, era poco vissuta e poco sentita dai cittadini, non solo del nostro Paese ma in generale dell'Unione europea. Per quale motivo? Perché probabilmente quel Parlamento è sentito - o era sentito - lontano, lento e forse troppo invischiato in meccanismi burocratici e quindi gli entusiasmi e le emozioni del corpo elettorale non si sono espressi nell'andare a votare e la gran parte dei cittadini ha optato per fare qualcos'altro durante le ore di apertura delle urne. Questa è la dimostrazione classica che, al di là delle leggi elettorali, a seconda di quello che «vende» la politica si determina il coinvolgimento del corpo elettorale.
La stessa identica cosa vale per la politica all'interno di questo Paese. Non voglio negare l'importanza di una legge elettorale, ma attribuire conquiste o perdite di fetta dell'elettorato a seconda della legge elettorale vigente corrisponde a falsare la realtà delle cose. A tal proposito ricordo - per primo a me stesso - che se si propongono dei programmi che vertono prevalentemente sui PACS o sulla risoluzione dei problemi dei campi nomadi oppure sulla apertura delle moschee in questo Paese (ignorando che vi sono altri tipi di problemi contingenti molto più stringenti) alla fin fine, quale che sia lo strumento elettorale, i voti non arrivano.
Per quale motivo? Perché si è lontani dal sentimento dei cittadini che si vorrebbero rappresentare. Lo stesso vale - ascoltavo prima l'onorevole Parisi - per quanto riguarda l'uso degli strumenti «massmediatici», soprattutto la televisione. Ricordo, anche in questo caso a me stesso, che l'onorevole Berlusconi - dal momento che è stato citato in precedenza - da possessore di televisioni è riuscito a vincere le elezioni ma è anche riuscito a perderle. Così sarà anche in futuro. Perché, comunque, è sempre il messaggio che arriva, sono le proposte e i programmi che scuotono l'interesse da parte di chi deve scegliere da chi farsi governare. Non che questo precluda forme di utilizzo dei mass media, anzi, ma non è questo il motivo che determina l'effettiva partecipazione o meno ai propri programmi dei cittadini elettori quando si traduce in voto.
È vero che le leggi elettorali possono essere migliorate: ne abbiamo avuto una prova. Noi siamo riusciti a migliorare la famosa legge che prevedeva il maggioritario e il collegio uninominale, il famoso mattarellum, la quale presentava distorsioni derivate da aperture insite in quella legge che non in prima battuta, ma già in seconda e terza - in seguito è stata sostituita - ha aperto le fantasie delle segreterie dei partiti con la presentazione delle liste civetta, con la possibilità di scorporare non un voto ma oltre dieci milioni di voti di cittadini che si erano recati a votare per un partito. Quei voti sono stati d'ufficio spostati da un partito all'altro per garantire, con molta furbizia - devo dire -, i diritti di tribuna ad altri movimenti: era una distorsione assoluta ed era giusto cancellarla.
Arriviamo all'attuale legge per l'elezione del nostro Parlamento italiano. È stata definita con tutti i termini possibili e immaginabili ma anche in questo caso, se facciamo una riflessione, ci accorgiamo che nel 2006 siamo andati a votare con la legge cosiddetta «porcata» o porcellum che ha originato ben quindici gruppi parlamentari. Siamo ritornati a votare con la stessa identica legge due anni dopo e i gruppi parlamentari sono scesi a cinque.
Dunque, che cosa è cambiato? La legge non è cambiata di una sola virgola. SonoPag. 15cambiate le scelte delle segreterie dei partiti riguardanti le alleanze da stringere o a cui rinunciare, con tutta una serie di meccanismi che ha fatto sì che il risultato, almeno in termini di rappresentanza di gruppi parlamentari, è stato completamente sovvertito e la legge è rimasta tale e quale. Per tale ragione continuo a ribadire che le leggi elettorali sono uno strumento oltremodo importante ma comunque sono le scelte che arrivano dalle segreterie dei partiti a determinare gli esiti: non solo le scelte dei nomi, ma soprattutto - come dicevo prima - scelte di programmi, di che cosa si propone di voler realizzare per il Paese.
Arriviamo al tanto discusso tema delle preferenze. Personalmente - l'ho detto anche in Commissione - ritengo che vi siano strumentalizzazioni su questo argomento, che si presenta ad essere anche speso bene presso l'opinione pubblica, per arrivare ad ottenere qualcos'altro che interessa di più e che costituirebbe il secondo passaggio, vale a dire la soglia di sbarramento. Ricordava prima il relatore che sulle preferenze si fa fatica a sostenere che senza preferenze non c'è la democrazia quando Germania, Spagna, Francia, Inghilterra, Portogallo, Olanda non le prevedono. Si fa fatica a sostenerlo, se dall'altra parte si trova chi ripristina la realtà delle cose.
C'è qualcuno che inneggia al ritorno dei collegi uninominali: visto che molti di noi sono stati eletti anche con la passata legge elettorale, penso che ci ricorderemo tutti che in ogni modo il nominativo, singolo finché si vuole, da indicare vicino alla lista uninominale era scelto dalle segreterie dei partiti.
Allora, in questo caso, avendo già indicato quanti sono i Paesi che non adottano il voto di preferenza, ricordo che è stato un referendum ad abrogarlo, perché si voleva moralizzare la politica, e ricordo altresì - come giustamente l'onorevole Calderisi accennava prima - lo studio fatto nel 2007 dall'allora Ministro degli esteri D'Alema, che indicava come obiettivi da perseguire la riduzione delle circoscrizioni, lo sbarramento da introdurre e l'eliminazione delle preferenze, tutti elementi che troviamo all'interno del provvedimento in esame.
Personalmente, per formazione, prediligo la storia e il valore dei partiti, pur con i limiti che possono avere, rispetto alle figure singole, perché comunque sono i partiti, esponendosi con loro programmi, congressi, sezioni e militanti, a determinare un messaggio che deve essere recepito dal Paese tutto. La singola figura può portare un valore aggiunto, ma in termini molto ristretti e relativi rispetto alla logica complessiva del partito; continuare a «sparare» contro i partiti per elogiare le figure singole, a me francamente sembra una deviazione dal tema sul quale si contende, la politica. Infatti, la politica, non la fa il singolo, ma un gruppo di persone, come ripeto, con i suoi congressi, le sue militanze, le sue mozioni da approvare e i relativi programmi con i quali si propone.
Quindi, le preferenze sono state abolite perché bisognava moralizzare la politica, per abbattere i costi, per evitare all'interno degli stessi partiti anche le tensioni, che possono essere provocate dal presentare una schiera di persone che devono correre l'una contro l'altra, cercando di recuperare preferenze su territori molto limitati (infatti, al di là dei pochissimi leader esistenti, gli altri candidati sono persone normali, che vivono in una sfera molto ristretta e metterli a competere l'uno contro l'altro, molto spesso, mina anche i rapporti all'interno dei partiti e dei movimenti stessi).
La necessità di sopprimere le preferenze - come accade, lo ripeto, in tutti gli altri Paesi europei di una determinata consistenza demografica - è stata registrata, come si ricordava prima, anche dalla regione Toscana (prima ad essere intervenuta al riguardo) per evitare la solita rincorsa alle lobbies per recuperare quelle poche centinaia di preferenze che possono far ottenere il posto da consigliere regionale, ma che poi costringono, per cinque anni, a vivere in collegamento telefonico diretto, per portare avanti le esigenzePag. 16una volta dei cacciatori, una volta della Coldiretti, tanto per essere espliciti, e potremmo continuare.
Quindi, seguire l'esempio della Toscana sta alla libera scelta delle altre regioni, ma sarebbe un indirizzo giusto da perseguire per liberare definitivamente la politica da tutti quegli agganci che, negli anni, hanno determinato notevoli negatività.
Le circoscrizioni raddoppiano, avremo liste di candidati di sette persone al massimo, quindi conosciute sul territorio, che potranno risolvere anche i problemi dei «listoni» a cui si accennava prima e che non hanno più motivo di esistere. Mi auguro che, per le prossime elezioni politiche, si possa anche mettere mano in termini migliorativi, sotto questo aspetto, all'attuale legge elettorale.
Quanto evidenzia di più il collegamento tra un movimento ed il proprio elettorato, al di là delle preferenze, è la dimostrazione della capacità di raccogliere le firme dei famosi sottoscrittori per presentare le liste e questo fa paura; infatti abbiamo visto, negli anni, una serie di aperture che hanno fatto sì che si sia riusciti ad esonerare dalla raccolta delle firme simboli «inventati» cinque minuti prima, che non avevano un movimento politico alle spalle, ma avevano alcuni furbi che si sono venduti bene e sono riusciti a farsi esonerare appunto dalla raccolta delle firme (ricordo che nelle cinque vecchie circoscrizioni bisognava raccogliere ed autenticare 35.000 firme per circoscrizione, cosa impossibile per queste persone).
Bastando un europarlamentare per essere esonerati dalla raccolta delle firme dei sottoscrittori, si era escogitato il meccanismo in base al quale, anche se non si aveva un eletto, ma ci si associava con chi era esonerato, a propria volta si veniva esonerati. Abbiamo assistito ad un proliferare di furbizie, che non deve più esserci. Con il sistema in discussione si premia chi è riuscito ad avere un gruppo parlamentare (di venti deputati o dieci senatori, quindi si parla di un partito che esiste già e che lo ha già dimostrato nella storia), chi ha avuto almeno dieci eletti o chi ne ha almeno tre al Parlamento europeo, senza alcun esonero per situazioni che si pongano al di fuori di questi casi. A mio avviso, questa è una posizione da sottoscrivere, perché apporta un valore aggiunto a determinate dinamiche che non devono sconfinare - come in precedenza - nel ridicolo (perché ci siamo abituati anche a questo): è ora di cambiare.
Per quanto concerne lo sbarramento, quasi tutti i Paesi europei non prevedono preferenze e quasi tutti i Paesi europei di una certa consistenza demografica prevedono una soglia di sbarramento: nel testo attuale, essa è del cinque per cento, non so se rimarrà tale o se diventerà del quattro per cento. Comunque, una soglia minima di sbarramento vi deve essere. Ricordo che lo sbarramento così basso - tra l'altro diluito dalla distribuzione dei seggi nel collegio unico nazionale anziché nelle circoscrizioni, altrimenti la soglia sarebbe stata molto più elevata rispetto al cinque per cento - è la garanzia per evitare ciò di cui ho sentito erroneamente parlare in Commissione: cioè, che si tratterebbe di sbarramento volto al raggiungimento del bipartitismo. Non è vero, perché se un altro partito esiste e raggiunge il cinque per cento a livello nazionale, vi potranno essere anche altre rappresentanze, al là dei due partiti più grandi, a raggiungere tale soglia. Pertanto, anche in relazione a questo aspetto, è necessario evitare di mandare in Europa rappresentanti che racimolino lo 0,3 o lo 0,4 per cento a livello nazionale, perché ciò sarebbe cosa poco seria.
È stata indicata una via che riteniamo corretta per il rispetto della rappresentanza dei generi nel Parlamento europeo. Sono state agevolate, sia per la raccolta delle firme, sia per avere la possibilità di ottenere un proprio rappresentante al Parlamento europeo, le minoranze linguistiche. Anche questo dato ci conforta. Per tali motivi, ci diciamo pronti a sostenere i lavori d'Aula, perché il testo base adottato dalla Commissione affari costituzionali ci sembra un buon testo (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

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Per un richiamo al Regolamento (ore 11,15).

FABIO EVANGELISTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, l'articolo 41 del nostro Regolamento recita: «I richiami al Regolamento o per l'ordine del giorno o per l'ordine dei lavori o per la posizione della questione o per la priorità delle votazioni, hanno la precedenza sulla discussione principale». Lei, poco fa, mi ha impedito di completare un mio intervento per una questione che richiamava, appunto, l'ordine dei lavori. Abbiamo discusso di ciò la settimana scorsa, quindi ero ben consapevole dell'esistenza di un autorevole parere della Giunta per il Regolamento. Tuttavia, un autorevole parere non modifica la natura, l'essenza, né la ragione stessa di un articolo del nostro Regolamento che, finché non è modificato, lei deve soltanto applicare e non interpretare. Pertanto, se non vi fosse stata anche questa interruzione, avrei potuto proseguire nel mio intervento.
Signor Presidente, ancora pochi minuti e concludo. La ringrazio e mi scuso se prima mi sono un po' alterato, ma lei capisce bene che, a volte, vi sono questioni particolari: vorrei che mi comprendesse, il mio era tutt'altro che un intervento ostruzionistico, non ve ne sarebbero né le condizioni né le motivazioni. Sono arrivato ieri sera per partecipare a questa importante discussione, a questa importante sessione del nostro ramo del Parlamento, quindi si immagini se intendo fare ostruzionismo per tre minuti.
Tuttavia, come le dicevo, la notizia pubblicata ieri da l'Unità mi ha molto colpito, perché già nelle settimane scorse si era discusso sull'opportunità della misura finanziaria dell'indennizzo, che neanche il Ministro degli esteri Andreotti, notoriamente amico della Libia, aveva concesso in passato. Oggi si aggiunge questa incredibile rinuncia alla censura internazionale, rispetto alla repressione del dissenso in Libia.
L'Italia dei Valori non crede che questo sia un prezzo da pagare ad eventuali accordi sul piano energetico, né che sia la contropartita necessaria per l'ingresso della Libia nel capitale di Unicredit. A chiarire questi aspetti non basta neanche il lungo approfondimento cui ho fatto riferimento prima sui rapporti Italia-Libia, pubblicato oggi da La Repubblica.
Per questo, signor Presidente, a nome del gruppo le chiedo di far pervenire al Governo i sensi della nostra indignazione e la richiesta al Ministro degli esteri di riferire al più presto in Parlamento, anche per non trovarci nella condizione di una nuova risibile smentita della stampa quotidiana da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri o, peggio, di un improvviso riallineamento qualora da Washington dovesse venire un'indicazione diversa.

PRESIDENTE. Mi spiace dover dissentire, però devo difendere la mia conduzione dei lavori d'Aula. Pertanto, consentitemi di leggere l'articolo 41 del Regolamento: «I richiami al Regolamento o per l'ordine del giorno o per l'ordine dei lavori o per la posizione della questione o per la priorità delle votazioni, hanno la precedenza sulla discussione principale».
Il suo intervento non riguarda l'ordine del giorno, non riguarda l'ordine dei lavori, non riguarda la posizione della questione, non riguarda la priorità delle votazioni e pertanto, ai termini di Regolamento, è un intervento che, come richiamo al Regolamento, ho consentito nella convinzione che lei volesse spiegare le ragioni per le quali riteneva di aver diritto di parlare.
Tuttavia, devo dirle che queste ragioni non sono convincenti perché il suo intervento non ricade all'interno dell'articolo 41; esso non ricade nemmeno all'interno del buon senso perché se permettessimo che chiunque - ognuno degli onorevoli rappresentanti presenti in quest'Aula - proponesse altri temi, chiedendo precedenza su quanto è contenuto nell'ordinePag. 18del giorno, potremmo anche fare a meno di un ordine del giorno. Pertanto, ciò sembra contraddire sia l'articolo 41, sia il buon senso.
Aggiungo che ciò contraddice anche l'interpretazione autorevole che del Regolamento ha dato la Giunta per il Regolamento nel suo parere del 24 ottobre 1996: «Gli interventi incidentali ai sensi dell'articolo 41, comma 1, del Regolamento sono, in linea generale, ammissibili soltanto quando i richiami al Regolamento o per l'ordine dei lavori vertano in modo diretto e univoco sullo svolgimento e sulle modalità della discussione o della deliberazione o comunque del passaggio procedurale nel quale, al momento in cui vengono proposti, sia impegnata l'Assemblea (...). Ogni altro richiamo o intervento» non è precluso ma «andrà collocato, secondo la sua natura, al termine della seduta» - è giustissimo che ognuno di noi possa proporre questioni che gli sembrano urgenti, ma non turbando l'ordinato svolgimento dei lavori, quindi al termine della seduta - «ovvero, in casi di particolare importanza e urgenza (per i quali si veda il punto 1.5), quando sia esaurita la trattazione del punto dell'ordine del giorno o prima che si passi ad un nuovo punto del medesimo» (e noi non avevamo esaurito alcun punto all'ordine del giorno).
Mi si può obiettare che nella seduta del 14 ottobre 2008 l'onorevole D'Antona ha ottenuto la parola per un intervento incidentale che non era, in realtà, un intervento di richiamo al Regolamento o sull'ordine dei lavori. Premetto che esiste una gerarchia delle fonti, per la quale sicuramente viene prima il Regolamento, poi viene l'interpretazione autorevole che esprime la Giunta per il Regolamento, poi possono venire comportamenti d'Aula, nei quali chi presiede, per facilitare l'ordinato svolgimento dei lavori, può ritenere più opportuno - come disse in quell'occasione l'onorevole Giachetti - tollerare un breve intervento extra ordinem, piuttosto che impegnarsi in una lunga controversia come sto facendo io adesso per spiegare le ragioni per le quali quell'intervento non andava consentito. Tuttavia, proprio per evitare che divenga precedente, oggi mi prendo la libertà di spiegare perché quell'intervento non andava consentito.
Successivamente, il Presidente Leone, il quale ha, anch'egli, in precedenza spiegato perché l'intervento non andasse consentito, ha in effetti consentito l'intervento stesso.
Ciò è tuttavia avvenuto dopo che l'onorevole Di Pietro ha sostanzialmente messo a disposizione un tempo che, in via regolamentare, apparteneva a lui e al suo gruppo, perché ha ritenuto opportuno farlo. Dice un antico adagio latino: «Volenti non fit iniuria». Nel momento in cui chi ha giusto diritto di rivendicare l'uso di quel tempo vi rinuncia, si crea, per il Presidente dell'Assemblea, una possibilità che lo pone al limite di quanto previsto nel Regolamento e gli conferisce una facoltà di azione che a me, in questo caso, non è data: non mi risulta infatti che né il Governo né il relatore - che sono i titolari dell'interesse all'ordinato svolgimento di questa discussione - ritengano di poter creare lo spazio per una discussione incidentale, che quindi non ritengo debba essere condotta. Date queste spiegazioni ...

FABIO EVANGELISTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Sull'ordine dei lavori? Questa volta davvero sull'ordine dei lavori!

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, vede, lei si è fatto una domanda e sia è già dato una risposta. Ciò è applicabile anche al caso di specie. Se vogliamo citare l'autorevole intervento dell'onorevole Giachetti della scorsa settimana, quanto fatto allora si poteva fare anche questa mattina e l'incidente sarebbe già stato chiuso. È opinabile la sua lettura del Regolamento, ma io posso anche accettarla. Quello che non posso accettare è che lei faccia riferimento al buon senso perché, in quel caso, io non avrei buon senso e chi non ha buon senso ha un cattivo senso o addirittura è insensato. Questo non glielo posso permettere, signor Presidente, perché io non la ho offesa.

Pag. 19

PRESIDENTE. Lungi da me ogni intenzione di offenderla! Ci sono cose inferiori al buonsenso e anche cose superiori: ci sono verità che il buonsenso non vede e che, in qualche caso, una particolare genialità o applicazione può vedere. Dunque, nessuna intenzione di offendere. Quanto all'intervento dell'onorevole Giachetti, è chiaro che se l'eccezione diventa regola, se la stessa cosa si fa in una seduta, nella seduta successiva e in quella successiva ancora, allora l'eccezione diventa regola e l'ordinato svolgimento dei lavori del Parlamento non viene assicurato.

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 22 ed abbinate-A)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gozi. Ne ha facoltà.

SANDRO GOZI. Signor Presidente, durante il dibattito sulla ratifica del trattato di Lisbona, tutte le forze politiche in questo Parlamento hanno convenuto sulla necessità di rafforzare la democrazia europea. Molti hanno insistito sulla lontananza dell'Europa dai cittadini e sul suo carattere tecnocratico. Ridurre la distanza tra istituzioni europee e cittadini ed avvicinare l'Europa ai territori costituisce, senza alcun dubbio, una vera priorità ed è urgente rafforzare il legame politico e rappresentativo tra elettori e deputati europei. Modificare l'attuale legge elettorale per le elezioni europee è dunque necessario. Lo è anche perché il Parlamento europeo non è più una semplice assemblea consultiva, come al tempo in cui fu adottata la legge elettorale vigente in Italia, ma è diventato, quattro trattati europei dopo, un'assemblea con importanti poteri legislativi. Ebbene, la legge elettorale che voi proponete non risponde a nessuna di queste esigenze. Perché? Avete totalmente ignorato la dimensione europea e avete agito unicamente per soddisfare equilibri ed esigenze interne alla vostra maggioranza. La vostra concezione della politica è leaderistica e questa legge soddisfa la volontà del vostro leader di utilizzare, a suo piacimento, le elezioni europee. Dovete fare una lista comune tra Alleanza nazionale e Forza Italia: l'eliminazione delle preferenze vi permette di garantire i vostri difficili equilibri interni e di mettervi al riparo da «spiacevoli sorprese». Perché tale, una «spiacevole sorpresa», voi considerate la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto di preferenza. L'Europa per voi è una variabile secondaria, utile capro espiatorio quando vi impedisce di stravolgere le sue regole comuni, come nel caso dell'immigrazione, del cambiamento climatico e di Alitalia, strumento di propaganda quando prende decisioni importanti, come per la crisi finanziaria a cui, peraltro, non apportate alcun contributo determinante al di là dei vostri proclami sulla stampa nostrana. L'Europa non è stata affatto considerata in questa proposta, concepita tutta in chiave interna e per fini ben diversi. La modifica della legge per l'elezione dei membri del Parlamento europeo dovrebbe essere uno strumento attraverso cui promuovere alcune funzioni fondamentali: in primo luogo, stabilire un rapporto di stretta connessione tra territori, eletti e dimensione europea.
In secondo luogo, quella di contribuire allo sviluppo di una nuova classe politica europea attiva ed influente a Strasburgo, legittimata e riconoscibile agli occhi dei cittadini. Quanto accaduto nelle ultime due elezioni europee prova che l'attuale sistema elettorale contraddice la sostanza di queste finalità ed è per questo che, l'Ulivo nella passata legislatura, e il Partito Democratico ritengono che siano necessarie delle modifiche.
L'ampiezza delle circoscrizioni vigenti non ha mai consentito di sviluppare un sistema di relazione stretta con i territori ed ha reso molto costose le campagne elettorali. La mancanza assoluta di soglia di sbarramento ha riprodotto in sede europea una eccessiva frammentazione del sistema politico che ha ridotto l'influenza del sistema Italia al Parlamento europeo. Dinanzi a tale situazione, per raggiungerePag. 20gli obiettivi che, a parole, tutte le forze presenti in questo Parlamento condividono, sono le due vie che si possono percorrere: o creare delle circoscrizioni di media grandezza (con riduzione quindi dei costi elettorali) mantenendo il voto di preferenza, o creare delle circoscrizioni, molto piccole (regionali e subregionali, in base al principio «almeno uno o due deputati per regione») ed in questo caso - e solo in questo caso - valutare possibili modifiche all'attuale sistema di preferenze multiple. È questo, onorevole Calderisi, lo spirito che aveva caratterizzato la mia proposta nella passata legislatura.
È innegabile, infatti, che l'opinione pubblica considera l'espressione della preferenza nell'attuale contesto politico italiano come un diritto che gli è stato sottratto alimentando sempre di più la concezione della classe politica come casta separata dal corpo sociale. È altresì evidente come solo in collegi piccoli si possa assicurare un forte legame tra eletti e territori.
Entrambe le soluzioni che abbiamo proposto perseguono uno scopo: rispettare e garantire un vero diritto di scelta dei cittadini. Voi invece cosa proponete? Proponete circoscrizioni grandi ed eliminate il voto di preferenza negando, quindi, due volte il diritto degli elettori di scegliere il loro rappresentante al Parlamento europeo e ignorando la necessità di avvicinare Europa e territorio. Altro che diritto di scelta dei cittadini! Vi arrogate il diritto di scegliere per tutti, di scrivere regole del gioco da soli ignorando le proposte delle opposizioni e calpestando le esigenze di partecipazione democratica sempre più sentite nel nostro Paese!
Come se non bastasse, in questo sistema totalmente bloccato che volete imporre agli italiani, non avete voluto neppure vietare le candidature multiple, rendendo ancora meno trasparenti e controllabili le liste e la decisione finale su chi sarà veramente eletto o meno. Vi abbiamo proposto di stabilire il principio della non candidabilità a parlamentare europeo per quei soggetti la cui funzione è oggi soltanto incompatibile e la cui eventuale decisione di optare per la carica di parlamentare europeo, in caso di elezione, comporterebbe l'interruzione, molto improbabile, del mandato di importanti organi istituzionali. Ciò al fine di inibire la presentazione di candidature fittizie finalizzate esclusivamente a sollecitare la partecipazione ed il voto per la lista, ma non sorrette dalla reale volontà dei candidati a svolgere il mandato parlamentare europeo. Ma che importa l'attività parlamentare europea? Con la vostra proposta, al contrario, le prossime elezioni saranno un grande sondaggio nazionale sul vostro leader cui è riservata la possibilità di candidarsi in tutte le circoscrizioni! Saranno elezioni senza passato, perché non si dibatterà certo di ciò che è stato fatto di Europa, e senza futuro, perché non si dibatterà di ciò che si dovrà fare in Europa e neppure in quel contesto di crisi finanziaria che lei, onorevole relatore, giustamente ricordava nella sua introduzione. Saranno elezioni con candidati sconosciuti perché con liste lunghe e bloccate i candidati alle europee cadranno completamente nell'anonimato.
Non avete voluto neppure considerare ipotesi di compromesso come il voto di preferenza ponderato (che ho proposto appunto per trovare una soluzione di compromesso) ispirato al sistema svedese, ed avrebbe dato la possibilità agli elettori di sovvertire, solo se insoddisfatti, l'ordine di lista proposto dal partito. Le soluzioni mediane di compromesso positivo, quindi, erano certamente possibili, ed avrebbero consentito di evitare quegli aspetti negativi degli attuali collegi molto grandi su cui tutti abbiamo convenuto.
Del resto era questo lo spirito anche di quel «Rapporto 2020» che il relatore ed i rappresentanti della maggioranza continuano incessantemente ad invocare.
Era un rapporto di un gruppo di esperti indipendenti che voleva avviare un dibattito in cui si poteva anche riconsiderare l'attuale sistema di preferenze multiple, ma in un contesto che è completamente diverso da quello che è delineato nella vostra proposta. Non c'è che dire, si tratta di un risultato eccellente! Un risultatoPag. 21che, ancora una volta, non tiene in alcun conto delle tendenze all'interno del Parlamento europeo. La Commissione affari costituzionali di Strasburgo, infatti, proprio in questo periodo, si sta orientando verso una possibile generalizzazione del voto di preferenza e verso circoscrizioni territoriali negli Stati membri più popolosi per le elezioni del 2014. L'Italia, nel 2009, va esattamente nella direzione contraria: niente preferenze e grandi collegi.
Per evitare l'eccessiva frammentazione della rappresentanza italiana in seno al Parlamento europeo abbiamo proposto di introdurre una soglia di sbarramento del 3 per cento. Voi, invece, introducete il 5 per cento e lo fate invocando il Regolamento comunitario che prevede il 5 per cento come tetto massimo (massimo, non obbligatorio!); tetto che è concepito per 27 sistemi politici diversi. Se il 5 per cento può andare benissimo - visto il loro sistema politico interno - per Paesi come la Germania o la Francia, è decisamente troppo alto per l'Italia, perché nega la rappresentanza a forze politiche consistenti, e se è vero che il carattere proporzionale dell'elezione europea non va portato alle sue estreme conseguenze, è anche vero che non è accettabile che la maggioranza imponga una soluzione che porti a conseguenze estreme negative opposte per usi strumentali interni.
Cosa dire, poi, delle cosiddette «quote rosa»? Attualmente l'Italia è al ventiduesimo posto in Europa per numero di donne elette al Parlamento europeo, con una percentuale pari al 19,2 per cento, evidenziando una situazione di forte sottorappresentazione politica femminile. Notevole è, quindi, il divario rispetto ad altri Paesi che hanno, invece, una media del 30 per cento. Solo Cipro, Malta e la Polonia fanno peggio di noi. La vostra proposta, 50 per cento di candidature femminili senza indicazione sull'ordine di lista con liste bloccate, è una vera presa in giro. Smettiamola di parlare di donne in politica, allora, perché se ogni volta che abbiamo la possibilità di migliorare la situazione non lo facciamo, noi, tutti noi, tutta la classe politica perde di credibilità agli occhi degli italiani e dell'Europa.
Le nostre proposte avrebbero senz'altro portato alla risoluzione delle principali debolezze del sistema elettorale attuale. Purtroppo, esse hanno trovato, come spesso è accaduto dall'inizio di questa legislatura, una maggioranza assolutamente indisponibile al confronto.

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Gozi. Non a termini di Regolamento, ma per cortesia, l'avviso che il suo gruppo aveva indicato, per il suo intervento, un termine di dieci minuti. Lei può proseguire poiché, come parlamentare, ha diritto a trenta minuti. Ma, ovviamente, questi minuti verranno sottratti al tempo concesso agli altri deputati del suo gruppo che intendono intervenire nella discussione sulle linee generali.

SANDRO GOZI. Grazie, Presidente. La realtà è che voi della maggioranza continuate a considerare le istituzioni europee come un vincolo e non come un'opportunità. Per questo motivo piegate la legge elettorale europea ad esigenze interne.
Cari colleghi della Lega (non li vedo più in Aula), caro Ministro Calderoli (neanche lui vedo più), ciò che non capisco è perché vi prestiate ad un gioco tutto interno al PdL. Noi, invece, vogliamo che i cittadini tornino ad avere voce e non accettiamo che la composizione dei Parlamenti e dei partiti venga decisa da una decine di persone. Così come contestiamo il vostro modello oligarchico allo stesso modo contestiamo anche i vostri metodi, che mirano ad alterare costantemente le regole del gioco secondo le vostre convenienze, né ci adagiamo sul modello che volete.
Per tale ragione rispondiamo con un duro, fermo e convinto «no» alla vostra proposta in Parlamento, nel Paese e anche in Europa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)!
Signor Presidente, chiedo, infine, che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

Pag. 22

PRESIDENTE. Onorevole Gozi, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Orsini. Ne ha facoltà.

ANDREA ORSINI. Signor Presidente, credo che ogni posizione e opinione in materia di legge elettorale sia, naturalmente, del tutto legittima e andrebbe rispettata. Sono abituato a rispettare le opinioni anche degli avversari politici e credo che nessuna opinione in materia di legge elettorale debba essere «bollata», così come amano fare alcuni nostri avversari, come nemica della democrazia, della partecipazione, dell'Europa e così via. Ciò detto, credo che sarebbe profondamente auspicabile una coerenza di comportamenti, di idee e di sistemica complessiva in materia di legge elettorale.
L'intervento del collega che mi ha preceduto, onorevole Gozi, mi pare dimostri che questo non è facile o, forse, non è possibile, anche se egli ha cercato di argomentare il perché abbia cambiato idea a centottanta gradi rispetto alle sue stesse proposte di poco tempo fa. Allo stesso modo sembra abbia cambiato idea, complessivamente, il Partito Democratico, il quale si è presentato alle elezioni di quest'anno parlando di un sistema bipolare che evolve verso il bipartitismo, di partiti a vocazione maggioritaria, di necessità di semplificazione del sistema politico ed ha orientato la sua politica delle alleanze, sia pure con una curiosa eccezione, proprio a questo, ed ora contesta una legge elettorale che è coerente con l'auspicata e auspicabile evoluzione del sistema politico italiano verso uno schema di bipolarismo mite, ma forte, europeo e funzionante.
Non sono di quelli che credono siano le leggi elettorali a delineare e a determinare lo scenario politico di un Paese, ma non arrivo neanche a credere l'opposto, cioè che le leggi elettorali possano andare in controtendenza con l'evoluzione della politica e dello scenario politico di un Paese. Credo che il corpo elettorale abbia deciso, seguendo le indicazioni in questo delle maggiori forze politiche, di andare verso un sistema non ancora di bipartitismo, ma certamente di forte bipolarismo. Credo che un sistema elettorale che vada, invece, nella direzione della frammentazione sia assolutamente in controtendenza, sia con le scelte politiche fatte finora dai maggiori partiti, sia con i desideri espressi dal corpo elettorale.
Allo stesso titolo mi chiedo perché qualche altro partito dell'opposizione - oggi mi pare non rappresentato in quest'Aula se non da chi autorevolmente presiede, ma che naturalmente non è qui per rappresentare un partito - l'Unione di Centro, nel 2006, abbia votato senza alcuna difficoltà una legge elettorale, che simpaticamente il Ministro Calderoli ha definito, con l'autoironia che lo contraddistingue, «porcellum», e che da allora tutta l'opposizione definisce «porcellum» con una certa ripetitività di argomenti che non gli fa onore. Evidentemente, quello che andava bene per l'Italia non va bene per l'Europa.
Ricordo, inoltre, a tutti quanti hanno proposto, ipotizzato e chiesto il sistema elettorale tedesco che opporsi a uno sbarramento del cinque per cento significa opporsi al criterio stabilito dal sistema tedesco. L'onorevole collega che mi ha preceduto sostiene che lo sbarramento al cinque per cento in Italia sia inaccettabile perché sopprime forze politiche consistenti. Bisogna intendersi, tuttavia, sul concetto di «consistenti». Infatti, una forza politica è consistente se rappresenta dei numeri e non lo è se non li rappresenta, ciò vale in Italia, come in Germania e negli altri Paesi europei dove esiste uno sbarramento esplicito o implicito ancora più elevato. Quindi, cosa è una forza politica consistente? È una forza politica che raggiunge una determinata soglia di consenso. Se non lo raggiunge, evidentemente, non è così consistente, il che non significa che non sia assolutamente rispettabile (come in democrazia lo è l'espressione di qualunque parere per quanto minoritario e anche individuale), ma la logica del sistema politico non può essere quella di limitarsi a fotografare l'esistente. La logica della rappresentanza è quella diPag. 23fare una sintesi dell'esistente, individuando le correnti di pensiero maggioritarie per consentire il funzionamento di un sistema politico. A ben vedere, in definitiva, la questione delle preferenze va nella stessa direzione.
Le preferenze nascono dalla logica - a mio giudizio sbagliata - che lo scopo di un'elezione sia fotografare quanto più possibile in scala la realtà complessiva del corpo elettorale. Sapete meglio di me - e illustri politologi come l'onorevole Parisi potrebbero insegnarmi - che lo scopo di una consultazione popolare è di tradurre in un sistema parlamentare sostenibile ciò che esiste nel corpo sociale. Non si tratta semplicemente di fotografarlo. Se così non fosse, le antiche battaglie dell'onorevole Parisi a favore del sistema uninominale sarebbero totalmente contraddittorie con questo tipo di approccio.
Sarebbe curioso che questo Parlamento accettasse la logica che un Parlamento eletto senza preferenze non sia rappresentativo del corpo elettorale, perché vorrebbe dire che noi stessi non siamo rappresentativi del corpo elettorale e, quindi, si arriverebbe ad un paradosso, ad un circuito logico, dal quale di fatto non si potrebbe uscire: per trovare una soluzione a questa aporia, sarebbe forse necessaria la sottigliezza filosofica del nostro Presidente!
La questione ovviamente non si pone in questi termini, anche perché tutti sappiamo - ognuno di noi ha una storia nella politica - che le preferenze non sono la fotografia della rappresentatività, ma di chi è in grado di raggiungere in un modo o nell'altro un vasto numero di elettori. Chi sono queste persone? I leader nazionali, naturalmente. Non credo che la preoccupazione dell'opposizione sia di garantire la possibilità, per esempio, all'onorevole Berlusconi di essere eletto, semmai di impedirglielo. Sono le persone che rappresentano le lobby, per quanto legittime, trasparenti ed esplicite e mi riferisco alle associazioni professionali, di categoria, rappresentanze di interessi. Purtroppo, come sapete, ci sono anche rappresentanze di interessi molto meno esplicite che in certe regioni del sud collimano e confinano anche con la criminalità organizzata. Se non mi preoccupa avere dei parlamentari espressi dalla Confindustria, dalla Confcommercio o dal sindacato, mi preoccupa avere parlamentari espressione di associazioni meno lecite e meno nobili. Se leggiamo i verbali, gli scritti e gli atti di diversi processi di criminalità organizzata del sud dovrebbe essere chiaro a che cosa mi riferisco.

PRESIDENTE. Onorevole Orsini, la prego di concludere.

ANDREA ORSINI. Concludo, Presidente. Possono raggiungere tanti elettori coloro che hanno molte risorse economiche e coloro che hanno una forte visibilità personale. Poco fa l'onorevole Parisi parlava di videocrazia. Essa è esattamente lo strumento che consente di farsi conoscere e vedere e, di conseguenza, di prendere tante preferenze. Non si spiegherebbe perché - cosa del tutto legittima - l'onorevole Gruber e l'onorevole Santoro siano stati candidati dallo stesso partito dell'onorevole Parisi al Parlamento europeo dove non mi pare si siano distinti, se non altro per una presenza assidua.
Salto tanti altri argomenti per giungere solo ad una conclusione. Chi ha un minimo di memoria storica sa che al massimo delle preferenze è coinciso il massimo di crisi della rappresentatività della politica. La crisi della Prima Repubblica, il momento in cui la politica è stata più lontana dai cittadini è stato esattamente momento nel quale vi era il massimo delle preferenze, tanto è vero che da allora si sono adottate solo soluzioni che andassero in una direzione opposta. Tale soluzione opposta comunque non prescinde dal consenso perché è del tutto evidente che chi ha la leadership di un partito si assume la responsabilità politica di proporre delle squadre da portare in Parlamento e in Europa e, eventualmente, al Governo se vince. Tuttavia, è altrettanto evidente che nessuna leadership politica sopravvive alla mancanza di consenso. La leadership non è una dittatura.Pag. 24
Credo che nessuno dubiti che Berlusconi goda di una leadership nel Popolo della Libertà; credo, inoltre, che nessuno dubiti che Umberto Bossi abbia una leadership basata sul consenso nella Lega Nord. Anche Veltroni ha provato a farsela dare ieri al Circo Massimo e gli auguro che ci sia riuscito (non sta a noi entrare nelle questioni degli altri partiti). Tuttavia, la leadership senza consenso non esiste mai: la leadership con il consenso è un atto di democrazia.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vassallo. Ne ha facoltà.

SALVATORE VASSALLO. Signor Presidente, la discussione intorno alla riforma del sistema elettorale europeo avrebbe dovuto essere, e poteva essere, la prima prova di un dialogo di cui si è molto parlato all'inizio di questa legislatura. Fino ad ora, nello svolgimento della discussione nell'ambito della Commissione affari costituzionali, si è dimostrato invece che questo dialogo è impossibile perché la maggioranza è totalmente indisponibile a discutere. Il dialogo è fatto di persone che discutono, trovano argomenti in comune, trovano soluzioni in qualche modo apprezzabili per ciascuno di coloro che partecipa al dialogo. Questo dialogo si è dimostrato impossibile per una ragione molto semplice: la maggioranza ha deciso di sostenere senza alcuna discussione, neppure al suo interno, un'ipotesi che serve solo agli interessi attuali di una parte del Popolo della Libertà, come cercherò di dimostrare. La maggioranza, in particolare nella persona del relatore, si è dimostrata totalmente indisponibile a prendere in considerazione anche emendamenti che entravano nella logica stessa del progetto esposto all'inizio dei nostri lavori.
Su due temi in particolare questo dialogo è stato un dialogo tra sordi. Sui due elementi più qualificanti del provvedimento di cui stiamo discutendo sarebbe stato possibile, perché si partiva, almeno in apparenza, da basi comuni, dal riconoscimento di dover consolidare con questa riforma il contenimento della frammentazione (che è stato in qualche modo ottenuto grazie alle scelte del Partito Democratico nelle scorse elezioni) e perché era espresso, almeno verbalmente, un comune intendimento di qualificare la rappresentanza parlamentare nelle sedi europee.
Le proposte che invece hanno avanzato i colleghi del centrodestra sono per noi inaccettabili per due punti qualificanti: una soglia di sbarramento troppo elevata e la sottrazione agli elettori, in un momento in cui invece sarebbe necessario riconoscerlo, del diritto di scegliere i candidati attraverso le preferenze. Ma in questa sede penso che sia utile essere chiari e dire quali sono le ragioni per le quali il Popolo della Libertà ha fatto queste due scelte assolutamente incomprensibili. La prima è quella di proporre una soglia più elevata del necessario, in un momento di transizione come questo per il sistema politico italiano ed in occasione delle elezioni europee. Si tratta di una soglia troppo elevata in questa circostanza e che ha un'unica giustificazione: quella (nelle intenzioni di chi l'ha proposta) di mettere in difficoltà e di impedire eventualmente la rappresentanza ai potenziali alleati del Partito Democratico, perché ci sono solo tre partiti oggi in Italia che potrebbero forse non superare quella soglia, vale a dire l'Unione di Centro, l'Italia dei Valori e un ricostituito partito della sinistra.
Quanto alla soglia, noi non abbiamo mai proposto, almeno il Partito Democratico nelle sue posizioni ufficiali (devo correggere l'onorevole Orsini) non ha proposto un sistema elettorale con una soglia del cinque per cento; vari esponenti del PD hanno fatto propria questa ipotesi, ma come lei ricorderà, essendo attento ai dettagli, il Partito Democratico, alla fine della scorsa legislatura, ha proposto un sistema elettorale che aveva un disincentivo di peso variabile nei confronti dei partiti di piccole dimensioni che consentiva l'accesso al Parlamento anche a partiti con il 3 per cento, nonostante che in qualche misura li sottorappresentasse. Continuiamo a pensare, io personalmentePag. 25continuo a pensare che sia molto più appropriato, per contenere la frammentazione, un sistema come quello, piuttosto che un sistema con una soglia troppo alta e stupida, cioè fissa, come quella del 5 per cento.
La seconda ragione per la quale la maggioranza ha proposto un'ipotesi largamente inaccettabile per molta parte degli elettori, che in questo momento è uno schiaffo alla sensibilità di molti di essi, è che il Popolo della Libertà ha un problema interno, quello di equilibrare le forze tra esponenti di Alleanza Nazionale ed esponenti di Forza Italia, e naturalmente il Presente del Consiglio preferisce avere mano libera per poter decidere lui quale deve essere l'equilibrio giusto all'interno del suo partito. Ma ciò contraddice largamente le aspettative e la sensibilità di larga parte dell'elettorato, come sanno benissimo gli esponenti della Lega che, non a caso, si sono chiusi in un imbarazzante silenzio nel corso di tutto il lavoro svolto nella Commissione affari costituzionali.
D'altro canto, noi non ci siamo limitati ad opporci con veemenza, con forza a queste due forzature, ma abbiamo anche cercato, nonostante tutto, al contrario di quanto afferma l'onorevole Calderisi, di presentare proposte puntuali, mirate, tese in qualche modo a rendere decente la proposta avanzata dallo stesso centrodestra. Abbiamo preso sul serio quello che loro ci hanno detto, cioè che non volevano riproporre il «Porcellum», contro il quale molti di loro si sono scagliati nel corso degli ultimi mesi, sottoscrivendo anche un referendum, contro quella legge elettorale; ci avevano detto che avrebbero voluto fare una cosa che assomigliasse al sistema elettorale spagnolo.
Ebbene, noi li abbiamo presi sul serio, dicendo loro che, se volevano eliminare le preferenze, avrebbero dovuto presentare liste corte, cioè prevedere circoscrizioni piccole, che le liste dovevano essere composte di candidati veri, non fittizi, non ripetitivi, senza usare il sistema delle candidature multiple che aumenta il potere dei segretari di partito di stabilire chi viene eletto, mettendo i nomi sulla scheda ed introducendo un sistema che avrebbe favorito l'uso delle primarie per la scelta delle candidature. Nessuna di queste proposte puntuali è stata presa in considerazione. Ricordo all'onorevole Calderisi che l'articolo 46, comma 4, della legge elettorale spagnola fa chiaramente divieto della possibilità di candidature multiple e che molti autorevoli esponenti di Alleanza Nazionale contro questa indecente pratica hanno sottoscritto un referendum elettorale.
Nonostante questo, il Popolo della Libertà è andato avanti come se nulla fosse, dimostrando che c'è una totale indisponibilità ad un vero dialogo e che l'unico interesse che si vuole difendere è, ancora una volta, anche in un caso come questo così rilevante per le nostre istituzioni, quello momentaneo del Presidente del Consiglio e di chi gli sta intorno: quello di impostare una campagna elettorale come se fosse un referendum sulla sua persona, con liste elettorali che sono costruite sulla base dei suoi interessi e degli equilibri interni al Popolo della Libertà, anche se questo significa sottrarre alla democrazia un pluralismo che oggi sarebbe necessario e agli elettori quel diritto di scegliere i candidati che essi richiedono con forza da molto tempo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Santelli. Ne ha facoltà.

JOLE SANTELLI. Signor Presidente, come affermava prima l'onorevole Vassallo, quello sulla legge elettorale europea poteva essere - potrà ancora essere, speriamo soprattutto dopo che finalmente cesseranno gli echi della manifestazione di piazza - il primo tema di confronto politico fra le forze in campo. Perché ciò non è avvenuto in Commissione? Onorevole Vassallo, capisco che sia legittimo cambiare idea in politica, ma è sbagliato tentare poi di demonizzare l'altra parte, l'avversario, per giustificare questo cambiamento di idee. Noi abbiamo approcciato questo tema con una linea politicaPag. 26che era assolutamente condivisa dai maggiori partiti di questo Parlamento e parlo a nome del PdL, ma gli esponenti del PD, soprattutto nella persona del suo attuale segretario, avevano seguito un'impostazione di questo tipo: una legge elettorale che mirasse a recuperare la frammentazione del sistema politico italiano, non per fotografare l'attuale assetto né per difendere gli attuali bottini elettorali del PdL o del PD, ma perché la frammentazione era il male della politica italiana.
Cosa è accaduto nel frattempo, anche perché il Parlamento ovviamente vive di politica contingente? Peraltro, apprezzo fortemente e quasi ammiro la disinvoltura del leader Veltroni con la quale, spesso, riesce a cambiare faccia e parole, senza alcun dovere di coerenza e, soprattutto, apprezzo che egli abbia fatto di tale capacità il suo criterio di vita politica. Alla fine, però, almeno in quest'Aula, le cose vanno chiarite.
Il motivo per il quale il PD oggi non è in grado di sostenere la proposta (di cui, più volte, aveva affermato di condividere la logica, nelle linee generali) è un altro: si è aperto uno scontro interno abbastanza evidente e la linea del leader del PD, che portava alla capacità di gestire da solo l'intero arco di sinistra, purtroppo, è fallita nell'incapacità di trasformare questo obiettivo in consenso. C'è una grande parte dello schieramento di opposizione, interna al PD, che - come giustamente, con molta lealtà e franchezza, ha affermato prima l'onorevole Vassallo - ritiene di dovere recuperare, riecheggiando altre formazioni. Bisogna tentare di salvaguardare l'Italia dei Valori, alleato storico; altro discorso riguarda l'UdC, che mi auguro non abbia problemi di soglie di sbarramento, neanche al 5 per cento. Soprattutto, bisogna cercare di recuperare quella sinistra estrema che sembrava abbandonata a se stessa e che oggi, forse, una parte del PD ritiene di dover fare assolutamente resuscitare, non riuscendo, d'altronde, ad attrarre quei voti. Questo è il tema della politica di oggi. Voi siete stati costretti a capovolgere la vostra discussione e la vostra impostazione, perché diversa è la situazione politica attuale.
Sottolineo che oggi l'onorevole Vassallo ha ammesso con molta franchezza - pur accusando, alla fine, il PdL di cercare di fare una legge elettorale a proprio uso e consumo - che, sostanzialmente, la necessità da parte del PD è quella di recuperare il consenso di Italia dei Valori, ma soprattutto della sinistra radicale, e di dare uno sfogo per prospettare diverse alleanze. È legittimo il cambiamento politico, ma ciò costituisce un fallimento evidente di quella che è stata la linea politica e strategica del leader del Partito Democratico.
Accanto a ciò, però, si apre - questo, forse, è il tema che mi permetto di sottolineare - un tema che va ben oltre la questione politica contingente. Probabilmente, negli ultimi dieci anni, è vero che vi è stato un forte allontanamento non dalla politica, ma dai partiti: ripeto, non dalla politica, onorevole Parisi (perché poi la gente ha votato: abbiamo le percentuali maggiori di partecipazione al voto), ma sicuramente dai partiti.
Qui nasce l'equivoco fondante, ossia immaginare che una legge elettorale possa essere lo strumento immediato per sollevare o cambiare la qualità del personale politico. Questo è stato il leitmotiv che ha portato alle leggi attuali, perché nel 1992, a cominciare dagli allora esponenti del PDS e di altri partiti, si riteneva che lo strumento della preferenza «drogasse» il sistema politico e ci avesse ridotto, in qualche modo, ad avere una qualità di personale politico non adeguata, ma soprattutto a strumenti per attirare il consenso non adeguati a una democrazia occidentale.
Il ritorno indietro da quel sistema oggi sembra impattare con una nuova realtà: qualcuno ha deciso che le preferenze, invece, sono lo strumento di massima democrazia di un Paese. La cosa anomala è che, per sostenere una simile argomentazione, si sceglie in assoluto la competizione elettorale in cui questa argomentazione fa meno presa. Credo che non serva scomodare i grandi sondaggisti, ma se ciascuno di noi chiede alla propria cerchiaPag. 27di amici che, anche se non fanno direttamente politica, la svolgono in maniera molto attiva, chi sono i parlamentari europei, penso che solo uno su cento sarà in grado di esprimere i nomi di chi li rappresenta.
D'altronde, lo stesso scarto fra voti di lista e preferenze attribuite nelle ultime elezioni può dare il segno di quanto lontano sia quel tipo di rappresentanza e del fatto che, quindi, non vi è assolutamente alcun tipo di scelta.
Semmai quelle preferenze servono ad un'altra cosa, scusate il termine, serve all'oligarchia della politica, cioè alle strutture di partito, per gestire la propria guerra interna, magari contro la dirigenza attuale, o per riassettare sistemi di equilibrio diversi all'interno delle proprie aree di appartenenza. È legittimo, ma - non scherziamo - almeno abbiamo il coraggio di chiedere ciò che vogliamo.
Ci sono persone che ovviamente ritengono sia necessario contarsi, per vedere quanto possono valere, ma si tratta di uno strumento diverso, che non si attua con il sistema elettorale.
Probabilmente, tutti i partiti si dovranno interrogare su come ristabilire la propria democrazia interna e la propria capacità di scelta, ma non sarà sicuramente il sistema delle preferenze o la legge elettorale europea la panacea per risolvere il problema della qualità del personale politico.
Infine, credo che ci sia ancora spazio per un'interlocuzione più concreta, se si evitano facili demagogie. Dire che dobbiamo eliminare le candidature multiple dal sistema elettorale europeo oggi è inutile per un semplice motivo: nella scorsa campagna elettorale, alle ultime elezioni nazionali, i partiti sia della maggioranza e sia dell'opposizione, sia il Partito Democratico che il Popolo della Libertà, hanno totalmente evitato le candidature multiple, salvo la testa di lista dei leader. Ma soprattutto, con liste corte, in cui nella media ci sono cinque o sei nomi, spiegatemi come si fa a fare le candidature multiple, salvo poi non trovare nemmeno le persone da potere eleggere. Quindi, si tratta di un sistema già attuato.
Devo dire che in questo ho trovato - mi scuso per la vena che non intende essere polemica - abbastanza particolare il grande richiamo al divieto di candidature multiple fatto proprio dall'UdC, l'unico partito che forse ha usato in maniera massiccia lo strumento delle candidature multiple nelle ultime elezioni nazionali. Quindi, credo che, nel prosieguo della discussione, se si abbandonano i toni demagogici e populisti, soprattutto, se non si ritiene che la discussione sulla legge elettorale europea, da discussione «tecnico-politica» su quale strumento utilizzare possa diventare un attacco diretto alla politica, state attenti colleghi, non alla maggioranza, ma al sistema politico, forse potremmo intraprendere un dialogo che avrà i suoi frutti (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Amici. Ne ha facoltà.

SESA AMICI. Signor Presidente, questa mattina abbiamo ascoltato la relazione del collega Calderisi, che ha molto enfatizzato un suo punto di vista come relatore - anche questo molto legittimo - quasi fossimo di fronte ad un assioma all'interno del quale bisognava argomentare, per portare, quindi, il ragionamento a sostegno dello stesso.
L'assioma da cui partiva il collega Calderisi nella sua relazione presume che noi siamo di fronte ad un obiettivo che egli considera strategico, quello di continuare nell'operazione di ordine politico-istituzionale, nella quale i meccanismi elettorali servono sostanzialmente a determinare una situazione di netta capacità di stare dentro alle questioni relative alla politica nazionale.
In particolare, il collega Calderisi parla della questione della «deframmentazione». Quindi, l'obiettivo della legge nazionale, con la quale si è prodotto il risultato di questa Camera nelle scorse elezioni, è da perseguire nel modificare laPag. 28legge europea, perché a ciò attiene una maggiore capacità di rappresentanza, non solo del Paese. Ma soprattutto occorre che quella rappresentanza abbia addirittura caratteristiche di tipo tecnocratico in maniera assoluta. Ci serve per mandare i migliori in Europa.
Credo che, invece, siamo esattamente di fronte ad un'operazione opposta. Lo diciamo con estrema nettezza e con grande forza, perché questo equivoco sia completamente disvelato e per dire che qui si confrontano due linee politiche, due impostazioni della politica, due idee di come si ridisegna, in questo Paese, l'idea della rappresentanza politica.
Lo dico perché le regole del gioco - onorevole Calderisi e colleghi della maggioranza - sono una di quelle poche cose attorno alle quali un Parlamento dovrebbe avere la forza di fare non un passo, ma dieci passi indietro, perché quelle regole appartengono a tutti. Quando si forzano anche le regole del gioco, come con le leggi elettorali, si è di fronte esattamente all'opposto: il gioco non è più di tutti, ma di un «pezzo», di una parte. Questo è ciò che è avvenuto esattamente nella proposta del testo che viene consegnato alla discussione in questa Aula e che riguarda fondamentalmente i tre ambiti elettorali: la circoscrizione, la preferenza e lo sbarramento.
Noi non vogliamo fare una discussione fittizia, né, tanto meno, una discussione pezzo per pezzo, perché la questione del numero delle circoscrizioni, il mantenimento delle preferenze, la soglia di sbarramento per noi sono un unicum. Sono un unicum, perché, altrimenti, vi sarebbe il rischio di imbatterci in un ragionamento che non tenga conto della fattualità che avviene in politica e che non si può forzare con asserzioni di tipo assiomatico. Questo è l'errore del collega Calderisi, lo stesso errore che l'ha portato in Commissione ad avere, di fronte a proposte di ragionamento anche dialettico, una rigidità tale da testimoniare, anche in queste sede, non la volontà di riaprire un dialogo, ma l'idea di avere una sorte di missione volta a convincere l'opposizione della giustezza della sua analisi politica.
È avvenuto proprio il contrario di ciò che si sarebbe dovuto fare, soprattutto, perché siamo di fronte, in questa democrazia, ad un problema vero dopo la riforma del 2005: il tema delle preferenze non è un tema salvifico, ma è, sicuramente, un tema che attiene alla qualità e alla qualificazione della rappresentanza. La rappresentanza, colleghi della maggioranza, sta dentro il nostro ordine costituzionale, costituito da un triangolo composto da eletti, partiti ed elettori. Noi abbiamo assistito nel corso di questa lunghissima transizione ad un triangolo che si è indebolito, addirittura, dissolvendosi: non esistono più gli elettori, esiste una funzione del «partito elettore», e all'interno dell'idea stessa della rappresentanza, il rappresentato - con un'espressione molto felice del professor Luciani - si trova spaesato, ha perso la coscienza di sé.
In questo triangolo tra eletti, partiti ed elettori, noi vogliamo inserire il tema di come si determina la questione della rappresentanza. Siamo di fronte ad una crisi della politica che induce i partiti, che oggi non sono più solo macchine elettorali, non sono più quelli conosciuti nel Novecento, a chiedere alla politica di ridisegnare la sua missione. La crisi della politica, infatti, induce i partiti a cercare rifugio entro la società, seguendone le pulsioni, gli egoismi, non riuscendo più a indirizzarli, trasformandoli e fornendo ad essi forma politica, venendo così meno a ciò che deve considerarsi l'essenza della rappresentanza politica ovvero la capacità di orientare i comportamenti umani e definire i bisogni generali e produttivi di senso.
Questa del resto era la vera essenza della politica, quella che una grande filosofa, Hannah Arendt, ha chiamato la possibilità dell'agire concreto e dell'agire politico. L'agire politico - qui è il tema vero onorevole Calderisi - non è il fatto che un partito, così debole ma così forte nel decidere la propria rappresentanza, sia conforme intorno al leader. Questa è una tendenza dentro la quale viene meno, nonPag. 29solo l'individualità, la libertà del singolo rispetto allo stesso partito, ma di quel singolo a costruire nel partito un grande orientamento comune. Quello che voi mettete in discussione con questa proposta di legge è esattamente questo: il venir meno di questa libertà individuale, che è la libertà non dell'arbitrio, ma della condivisione di un progetto politico che riguarda non la nazione, ma, addirittura, la forma del Parlamento europeo.
Il collega Gozi, e gli altri colleghi, sono entrati nel merito di alcune questioni ricordando, anche qui, questa volta, un atto di indirizzo che si sta determinando nella Commissione affari costituzionali del Parlamento europeo. Non siamo impazziti; riteniamo che oggi la questione della preferenza stia dentro la dinamica di un rapporto che ridia senso alla politica e ad una democrazia che si confronta.
E ancora una questione: vede collega Calderisi, anche la visione ragionieristica degli sbarramenti non può rappresentare solo una questione numerica. Noi affermiamo che con quello sbarramento così alto e con quella soglia così rigida viene meno l'idea dell'accesso alla rappresentanza. Infatti in questo Paese, per la sua modalità e per la sua storia, esistono grandi schieramenti politici che non raggiungono lo zero ma che vivono quasi alla soglia del 3 e del 4 per cento.
Allora il tema di una politica in grado di rispondere a queste esigenze è proprio il bisogno di cogliere le pulsioni e di trovare, all'interno di quelle pulsioni della società civile, una ricomposizione unitaria che è proprio il compito della politica.
Un'ultima questione: il collega Calderisi nella sua relazione ha fatto un lapsus freudiano, ma non è molto freudiano. Si tratta di un lapsus che riguarda esattamente la modifica al testo apportata in Commissione di merito circa la rappresentanza femminile. Lo ha fatto per una questione sicuramente di tempo. È nella relazione, dentro la quale però vi è un elemento che attiene alla cultura politica, non solo dei partiti, e che fa riferimento a quella prova, non proprio orgogliosa, che il Parlamento ha dato all'indomani della legge elettorale del 2005. La proposta che è stata avanzata è offensiva per le donne, soprattutto perché, evitando intenzionalmente di affrontare il nodo delle candidature plurime, immette la presenza del 50 per cento tenendo conto anche delle candidature plurime. Una rappresentanza che non ha al proprio interno un'alternanza corre il rischio di essere riposta nelle mani di chi decide le liste, dove non c'è nessun tipo di certezza né l'investimento di un'azione positiva.
Il secondo elemento da considerare è una negazione di quell'aspetto che si impone oggi e che richiederebbe atti di coraggio, forzature democratiche - sottolineo quest'ultima espressione - perché il livello della democrazia in questo Paese, come in gran parte dell'Europa, non può oggi non fare i conti con la presenza femminile nelle istituzioni. È un dato non rivendicativo, è un dato che connota e identifica la democrazia e rappresenta anche il riconoscimento ad un talento femminile che ormai nella società è molto più avanti e che, invece, si trova di fronte ancora una volta ai passi indietro della politica, della sua conservazione, e mette nelle mani di una persona sola la decisione di chi deve stare nelle liste, anche per quanto riguarda le donne.
Su questi argomenti noi non solo faremo una battaglia di tipo emendativo ma riusciremo a costruirvi intorno un senso comune che riguardi effettivamente il valore che è dietro questa vostra riforma, alla quale, proprio perché vostra, noi con tutte le nostre forze consentite dai Regolamenti e dalla stessa politica, ci opporremo, ma ci opporremo con argomenti e con contenuti (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bianconi. Ne ha facoltà.

MAURIZIO BIANCONI. Signor Presidente, le problematiche che hanno infiammato questo dibattito sono soprattutto due: quella del voto di preferenza e quella della soglia di sbarramento. Io parlerò delPag. 30voto di preferenza, anche perché alcuni hanno fatto di tale questione il baluardo delle libertà democratiche conculcate in caso di sua abolizione, e vi sono altri che hanno detto che tale soluzione rappresenta il sistema per moralizzare la vita politica e le sue spese. Io non sono tifoso né dell'una né dall'altra fazione e vorrei, Presidente, cercare di ragionare su questo problema con un minimo di raziocinio.
Intanto incominciamo a vedere di cosa stiamo parlando. Stiamo parlando di uno strumento che è stato usato nelle ultime elezioni europee dal 21,5 per cento degli elettori. In altre parole otto elettori su dieci pur avendo a disposizione il voto di preferenza non lo hanno adoperato. Ciò vuol dire che nel sistema complessivo si tratta di un aspetto numericamente marginale.
Intendo mettere in evidenza un altro aspetto: il diritto elettorale è una materia composita e per specializzati, ma ognuno sa che nel diritto elettorale, nella costruzione di un sistema elettorale, la questione del voto di preferenza rappresenta una questione accessoria e non strutturale; non è centrale in nessun sistema giuridico, ed è una questione di buonsenso (lo dice la letteratura, lo dice la dottrina e lo dice il buonsenso stesso).
Il terzo elemento è che il voto di preferenza è indubbiamente poco diffuso nel mondo, in Europa quasi inesistente. Dunque, se vogliamo dire di cosa parliamo, si tratta di un elemento secondario dei diritti elettorali, pochissimo diffuso in Europa e nel mondo e che, una volta inserito nel diritto elettorale italiano e nella legge per le elezioni europee, hanno usato due elettori su dieci: poca cosa davvero.
Ci sono, poi, i detrattori - e qui veniamo alle due fazioni circa l'uso del voto di preferenza - che portano questo elemento per affermare che il voto di preferenza non va usato per questi motivi. Vorrei dire a questi signori che il diritto elettorale, però, ci insegna un'altra cosa: nessuno dei cinquanta o sessanta Paesi democratici nel mondo (più o meno sono cinquanta o, ad essere generosi, sessanta) ha un sistema elettorale uguale, sono tutti diversi. Quasi tutti questi Paesi hanno più volte cambiato il loro sistema elettorale.
Se poi facciamo uno sforzo, addentrandoci ancora di più nella dottrina del diritto elettorale, e dividiamo i sistemi elettorali, come è d'uso che si distinguano per farsi capire quando scriviamo e quando leggiamo, vi sono i sistemi elettorali proporzionali, maggioritari e quelli misti. Tuttavia all'interno di queste categorie, vi sono infiniti numeri di sistemi elettorali adoperati ed in vigore. Ma se andiamo ancora a vedere, vi è un n numero di sistemi elettorali fruibili. Questo cosa significa? Che il sistema elettorale per sua natura è flessibile, non è rigido. Ed è costruito a seconda della storia di un popolo e delle sue tradizioni, delle sue volontà ma anche delle contingenze storico-politiche che suggeriscono un sistema elettorale piuttosto che un altro, un particolare piuttosto che un altro.
Potremmo dire, senza tema di essere smentiti, che i sistemi elettorali per loro natura sono tendenzialmente flessibili quanto e nella stessa misura nella quale i principi costituzionali sono assolutamente rigidi. I principi costituzionali sono tendenzialmente generali ed universali e i sistemi elettorali sono per loro natura particolari o, meglio, peculiari. Siamo proprio su due fronti diversi: da una norma flessibile sicuramente non si può difendere una norma rigida.
Se questo è vero, è altrettanto vero che se c'è flessibilità, non è possibile portare il diritto elettorale comparato a difesa dell'abolizione del voto di preferenza. Se è secondario, non è possibile portarlo a difesa di quell'argomentazione.
D'altra parte, bisogna anche dire che nell'Italia prefascista unitaria dal 1861 al 1922 il sistema elettorale è stato cambiato, salvo errore, quattro volte. In tutte e quattro le volte, il voto di preferenza non c'era. Nell'Italia postfascista è stato cambiato altre quattro volte, anzi cinque per la verità, perché fu approvata la legge 31 marzo 1953, n. 148, la famosa «legge truffa» che determinava, per la Camera, il premio di maggioranza e le liste apparentate.Pag. 31Allora fu definita «legge truffa» ma da quelle stesse forze politiche, anni dopo, invece, l'apparentamento e il premio di maggioranza fu definito un elemento salvifico dell'efficienza della democrazia. E dico ciò non per criticare le posizioni ma per affermare come nei sistemi elettorali le posizioni siano variate e variabili.
Dunque, se compiamo un'analisi delle peculiarità dello Stato italiano e della nostra storia, si sente dire che il voto di preferenza appartiene alla tradizione del popolo italiano: non è vero. Per l'Italia prefascista abbiamo già visto; per l'Italia postfascista dimostreremo, ora, con molta facilità che il voto di preferenza è stato un'evenienza, un accidente, un particolare. Perché, se il voto di preferenza è il discrimine per il quale gli eletti non sono eletti ma nominati, ci avvediamo che dal 1948 ad oggi i senatori sono stati tutti nominati perché sono stati scelti dalle oligarchie dei partiti che li hanno candidati nel collegio e ci accorgiamo che i consiglieri provinciali, dal 1952 ad oggi, sono stati sempre nominati perché nessuno ha mai goduto di voto di preferenza.
Ci accorgiamo anche che, dal 1994 ad oggi, i deputati sono stati tutti nominati, anche quelli eletti nelle liste proporzionali, e non ho visto scudi levati, quando vi era il «listino» proporzionale senza preferenze: tutti lo hanno votato con tranquillità. I presidenti di provincia e i loro antagonisti, i presidenti di regione e i loro antagonisti, i sindaci e i loro antagonisti, perdenti e vincenti, sono stati tutti scelti dalle oligarchie dei partiti.
E che dire dei «listini» delle elezioni regionali? Anche in quel caso, sono tutti scelti dalle oligarchie dei partiti. Allora vuol dire che il voto di preferenza non appartiene alla storia, nell'ambito di tutti i sistemi elettorali nazionali, ma tanto meno serve per fare il discrimine fra l'elezione e la nomina, fra il vincere l'oligarchia dei partiti e l'esserne invece schiavi, perché troppi sono stati i nominati.
Si è poi detto che questo vulnus della scelta sull'uninominale e via dicendo sarebbe stato vinto dalle primarie: ebbene, le primarie sono state un plebiscito mediatico in alcuni casi; in altri casi, quando contava - a queste elezioni, per esempio - non sono state fatte da chi le voleva fare, perché tutti sono nominati secondo questo criterio, anche tutti i deputati dell'opposizione (che ben si guardarono dal contestare il sistema, quando il partito li chiamò e fece loro firmare la candidatura, e anche questa è una contraddizione che ci si dovrebbe spiegare) e, quando invece dovevano essere fatte per legge, come in Toscana, sono state compiute, ma quando il Partito Democratico (anzi, i Democratici di Sinistra all'epoca) hanno visto che il risultato non era quello gradito, hanno puntualmente cambiato i risultati e hanno messo dove hanno voluto chi hanno voluto. Dico ciò non per condannare queste posizioni, ma per dire che si parla di una cosa veramente del tutto relativa.
Gli avversari del voto di preferenza, avendo questo eccesso di difensori, fanno un'altra operazione, anch'essa non gradevole, facendosi forti di quanto è successo nel 1991-1992, quando un referendum contro la preferenza plurima, ma in realtà contro il voto di preferenza, ebbe il 92,5 per cento dei consensi con il 62 per cento di partecipanti al voto. Allora chi prendeva il voto di preferenza, come il deputato «centomila preferenze», veniva indicato al ludibrio della gente. Vi sono state persone indagate e condannate per il voto di preferenza. Tutti dicevano che il voto di preferenza era quello che aveva massacrato il sistema della democrazia italiana. Forti di questo, si buttò via tutto: quelli che facevano male e quelli che facevano bene e furono tolte di mezzo anche bravissime persone che, nel loro territorio, diuturnamente si conquistavano il consenso. Era diventata quasi un'offesa avere consenso personale. Si finì per travolgere tutto, la credibilità personale delle persone e la fiducia che molti avevano, solo perché si diceva che questo era il modo per salvare il sistema. Forti di questo concetto, oggi si ripropone la stessa cosa.
Mi rifiuto di pensare che si debba demonizzare così il consenso territoriale. L'ho già detto in Commissione e lo ripetoPag. 32qui: se una macchina va forte e ha un motore potente, il difetto non è nella macchina, ma in chi la guida. Se vi è una persona che la sa guidare, la macchina è un buon oggetto, se vi è uno che non la sa guidare, la guida male o la guida da ubriaco, la macchina diventa uno strumento di maleficio. E così in questo caso, il voto di preferenza, di per sé, non è portatore di corruzione, non è portatore di distruzione del sistema democratico. Secondo me, ci vorrebbe un po' di misura. Bisogna dire - e ciò è vero - che per muovere il sistema delle preferenze, specialmente in certe zone del Paese, occorre molta attenzione, bisogna stare molto attenti, ma non per questo dobbiamo condannare il voto di preferenza.
Come vedete, le posizioni sono inutilmente estremistiche su un fatto che invece va valutato soltanto per quello che è. Il voto di preferenza ha un danno obiettivo per il sistema: dilata a dismisura le spese. Le spese sono enormi; specialmente quando vi sono le circoscrizioni grandi, come quelle europee, le spese sono incredibili e ciò bisogna tenerlo presente. Ma possiamo sicuramente dire che il voto di preferenza, lungi dal costituire un baluardo di libertà, offre un'opzione in più nelle mani del cittadino elettore.
Contribuisce però ad una dilatazione certa delle spese elettorali e richiede maggiori presidi di sicurezza sulla tenuta del sistema.
Questa questione così variegata va analizzata soltanto con un unico criterio con cui si può analizzare una norma flessibile: oggi è opportuno mantenere il voto di preferenza o è inopportuno? È conveniente per il sistema democratico italiano o non è conveniente? È utile o è inutile? In relazione a tale discorso, è necessario svolgere un ultimo ragionamento. Stiamo andando verso un sistema semplificato: gli italiani ci chiedono un sistema semplificato. La semplificazione del sistema è un'esigenza programmatica del Partito Democratico che, evidentemente, lo ha dimenticato, perché oggi difende «l'ammucchiata». Oggi ho sentito dire che vi è anche un'alleanza con l'Unione di Centro e non capisco su quali basi programmatiche l'onorevole Vassallo abbia auspicato tale alleanza programmatica. Ne prendo atto; tuttavia, il Partito Democratico è stato il soggetto che ha iniziato questo processo, cioè la semplificazione del sistema.
La semplificazione del sistema si ottiene - come affermava l'onorevole Santelli - con l'innalzamento delle soglie di sbarramento, questo è indubbio. Tuttavia, essa si ottiene anche con l'inizio di un processo di aggregazione e con un suo rinforzamento. Rinforzare il processo di aggregazione - che è stato iniziato dal centrosinistra, ma che ora è portato avanti dal centrodestra - significa non soltanto mettere insieme, ma amalgamare e regolare più culture, più orientamenti, più partiti, più movimenti e più persone in un partito unitario. Si tratta di un processo indispensabile condiviso dalla stragrande maggioranza del popolo italiano; un processo che necessita - questo è il punto - soprattutto nella sua fase iniziale, di momenti di unione e non di divisione; un processo che cresce e si consolida se evita scontri interni, risentimenti, il rinsaldo di vecchie fazioni e la creazione di nuove fazioni all'interno dei grandi partiti. Si tratta di un processo che, dunque, deve accuratamente evitare i momenti di conflittualità interna, capaci spesso di lasciare segni indelebili e provocare sbandamenti pericolosi.
Il voto di preferenza apre, di per sé, una tenace, anche se leale, conflittualità interna. Tifare per il voto di preferenza, in questo momento, per chi vuole il compiersi dei processi di aggregazione come programmaticamente ha dichiarato, sarebbe come decidere di iniettare potenti zolle di zucchero ad un diabetico. È la cosa più sbagliata che si possa fare.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

MAURIZIO BIANCONI. Comprendo le ragioni dell'Unione di Centro; tale forza ha sempre dichiarato che il sistema bipolare e bipartitico non le apparteneva. L'Unione di Centro gioca, coerentemente, al «tantoPag. 33peggio, tanto meglio», perché il voto di preferenza sfalda il processo bipolare, sfalda l'unità dei partiti e sfalda il processo di aggregazione. Si tratta, quindi, di una posizione non solo culturalmente sostenibile, ma politicamente legittima, perché opportuna nel disegno politico di tale forza. Quanto non riesco a capire è l'arrampicarsi sugli specchi del Partito Democratico, che ha fatto per primo il passo più coraggioso verso il bipartitismo, ma che oggi, di fronte ad un fallimento clamoroso della sua politica, tenta affannosamente di percorrere i vecchi sentieri, che possono portare ad un'unificazione dei «no», ma che poi possono portare - lo abbiamo visto - ad un'impossibilità di governare questo Paese (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Commercio. Ne ha facoltà.

ROBERTO MARIO SERGIO COMMERCIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci dispiace dover constatare in questa sede che il lavoro svolto in Commissione sulla revisione del sistema elettorale per l'elezione dei rappresentanti italiani al Parlamento europeo non ha prodotto l'esito che inizialmente si sperava. Siamo ben lontani delle larghe intese e, a ben guardare, molte forze politiche, compreso il Movimento per l'Autonomia, non condividono nemmeno i principi basilari cui si è ispirato il testo base oggi in discussione in quest'Aula. È comprensibile che i partiti tendano a mantenersi in vita, tentando di promuovere il sistema elettorale che meglio ne garantisca l'esistenza e la crescita, ma il legislatore deve avere la capacità di porsi anche in un'ottica più generale.
Bisogna guardare al rapporto complessivo tra elettori e forze politiche, tra territori ed espressione politico-parlamentare di questi. Ci piacerebbe capire se questo Parlamento vuole perseguire, anche attraverso il federalismo, l'obiettivo della massima rappresentatività delle diverse realtà territoriali che caratterizzano la nostra penisola, oppure se si vuole puntare a sistemi elettorali che favoriscono esclusivamente partiti nazionali, partiti che per loro natura sono meno sensibili ad esprimere peculiarità delle realtà locali.
Le leggi elettorali - tutte le leggi elettorali - rappresentano una materia delicatissima. Pur non essendo leggi costituzionali, esse incidono sull'aspetto fondamentale del sistema democratico: il meccanismo della rappresentanza. Quando ci si vuole assumere la responsabilità di modificarne una, anche se si tratta di quella per l'elezione dei membri del Parlamento europeo, guai a farsi tentare dall'idea di ottenerne solo un vantaggio politico!
In seguito parleremo del lavoro svolto in Commissione, ma entrando nel merito del testo in discussione vorremmo sgombrare il campo dalla solita obiezione sulla governabilità o eccessiva frammentazione che viene sollevata puntualmente quando si tenta di proporre un ragionamento che guardi oltre l'idea eccessivamente rigida in base alla quale quel che conta è che vi debbono essere soltanto due grandi partiti.
In primo luogo, come molti colleghi hanno già osservato durante il dibattito in Commissione, la legge elettorale per l'elezione dei parlamentari europei non dev'essere condizionata dalle stesse esigenze cui è doverosamente soggetta la legge elettorale per le elezioni politiche. Semmai, proprio per la direzione che ha preso nel corso dei decenni il processo di unificazione europea, sarebbe più utile garantire che le regioni del nostro Paese - e possibilmente non soltanto quelle cui fa riferimento l'articolo 131 della nostra Costituzione - trovassero una rappresentanza in ambito europeo, in modo che i rappresentanti di questi territori possano sempre far valere quelle specificità di cui l'Europa deve sempre tener conto in ogni sua azione e in ogni provvedimento normativo adottato.
In secondo luogo, spesso coloro che fanno un gran parlare di governabilità, dimenticano il fatto che, se in Italia il risultato elettorale delle ultime elezioni politiche è stato netto ed ha comportato una semplificazione del quadro politico, con la conseguente riduzione del numeroPag. 34dei partiti politici oggi presenti in Parlamento, ciò non è stato certamente dovuto alla modifica della legge elettorale. Semmai, se è possibile affermare qualcosa con sicurezza, la legge elettorale non ha inciso in alcun modo sul processo che ha portato ad una svolta storica nel sistema politico italiano. Con la medesima legge elettorale, a distanza di soli due anni, la situazione politica e la rappresentanza parlamentare sono mutate radicalmente e vorremmo osservare per inciso che forse non è un caso che, dei sei partiti rappresentati oggi nei due rami del Parlamento, ben due - la Lega Nord Padania e il Movimento per l'Autonomia - sono espressione dei territori ed hanno accresciuto i loro consensi elettorali.
Quindi, non soltanto la legge per l'elezione dei membri del Parlamento europeo non deve perseguire la governabilità o la deframmentazione, ma né la governabilità, né la semplificazione del quadro politico passano da una modifica della legge elettorale. La posizione del Movimento per l'Autonomia, espressa nella nostra proposta di legge e in Commissione, tendeva a tre risultati: il mantenimento del voto di preferenza, l'aumento delle circoscrizioni elettorali e la previsione di una doppia soglia di sbarramento, circoscrizionale e nazionale. Questi fattori erano rivolti all'elaborazione di un sistema elettorale che fosse quanto più rappresentativo del corpo elettorale.
Ciò che è poco comprensibile non è la scelta della maggioranza di non condividere le soluzioni tecniche da noi prospettate, ma il disconoscimento della valenza politica dei princìpi che stanno dietro le soluzioni concrete da noi individuate.
Entrando nel merito del testo adottato dalla Commissione, se da un lato siamo soddisfatti dell'aumento del numero delle circoscrizioni e del fatto che regioni come la Sardegna, con le sue marcate peculiarità, possono finalmente avere, in sede europea, una loro rappresentanza, non comprendiamo perché si debba negare lo stesso diritto a regioni come le Marche, l'Umbria, l'Abruzzo, il Molise e la Basilicata. Perché gli elettori che risiedono in queste regioni non potranno avere la certezza che, in sede europea, possa sedere almeno un rappresentante espressione di quel territorio? La nostra idea è che il diritto di rappresentanza debba essere non soggetto all'arbitrio dei partiti ma riconosciuto per legge. È questa l'idea che ha ispirato il Movimento per l'Autonomia: fondare, in un'ottica veramente federalista, la rappresentanza su un modello regionale. Perché, al di là del fatto di essere, come Movimento per l'Autonomia, presenti o meno in alcune regioni del nostro Paese, riteniamo che, specialmente in Europa, tutti i territori debbano essere pienamente rappresentati. In realtà, è significativo, in tal senso, che i nostri padri costituenti si siano preoccupati sin dall'inizio di dare piena rappresentanza a tutte le regioni, stabilendo, all'articolo 57, comma 3 della Costituzione che «Nessuna regione può avere un numero di senatori inferiore a sette; il Molise ne ha due, la Valle d'Aosta, uno». Ben prima che si iniziasse a parlare di Senato federale o di Senato delle regioni, il costituente si preoccupava, rispetto al sistema elettorale, di sovrarappresentare i territori meno popolosi e non certamente di negare loro la rappresentanza. Non possiamo nascondere il nostro grande stupore rispetto alla posizione di certe forze politiche fortemente radicate nei territori che hanno, da sempre, contribuito a dare un'accelerazione al percorso che porta al federalismo. Non crediamo che contribuire all'approvazione di una legge elettorale di questa natura sia un motivo di orgoglio di fronte agli elettori. Questa, in verità, ha tutto l'aspetto di essere una legge marcatamente centralista, che non consente ai territori di esprimersi, e che nega la rappresentanza alle forze che sono espressione delle regioni o di certe aree del Paese. Sempre al fine di dare rappresentanza a tutti i territori, avevamo proposto anche una doppia soglia di sbarramento, una nazionale, più bassa, e una regionale, significativamente più alta. Consentire a una forza politica fortemente radicata in un'area o in una regione del nostro Paese di esprimere un proprio rappresentante, è un principio chePag. 35nessuno si sognerebbe di mettere in discussione in altri Paesi: basti ricordare il caso della Spagna.
L'aspetto del testo licenziato dalla Commissione che ci lascia maggiormente perplessi è l'eliminazione del voto di preferenza. Al riguardo, oggi è iniziato un ampio dibattito che apre la strada a un pericoloso meccanismo in cui vengono scelti solamente i preferiti dei leader. Sembra che nel nostro Paese si debba, tutto ad un tratto, dubitare della bontà delle scelte dell'elettore. Si sostiene addirittura, nella relazione, che l'elettore che sceglie un candidato anziché partecipare al processo di selezione della classe dirigente, incentivi i fenomeni peggiori quali il finanziamento illecito ai partiti, gli aumenti dei costi della politica e il sistema clientelare. La preferenza è quindi perversa e va abolita: questa è la filosofia che sta dietro al progetto di modifica della legge elettorale oggi in discussione. Ci verrebbe da chiedere: perché non aboliamo allora anche il voto di preferenza nelle elezioni comunali, provinciali e regionali? Perché non stabilire una lista unica dei sindaci d'Italia? Perché alcuni voti di preferenza sono un diritto indiscutibile e altri, invece, rappresentano cause della degenerazione del sistema politico? Sulla preferenza riteniamo doveroso esprimere una considerazione di natura squisitamente politica: sono veramente sicuri i colleghi della maggioranza che sia utile, per la seconda volta in tre anni, approvare una modifica della legge elettorale che porta all'eliminazione del voto di preferenza? I sondaggi dicono con certezza che gli italiani non hanno nessuna voglia di scegliersi il loro candidato?
È la stessa cosa, onorevole Calderisi, avere un diritto e scegliere di non esercitarlo e, invece, non avere affatto un diritto?
Si è deciso che per gli italiani è meglio lasciar decidere ai segretari di partito, ai leader?
Come Movimento per l'Autonomia, abbiamo sempre sostenuto la necessità del voto di preferenza quale irrinunciabile strumento che esalta la democrazia e che riduce sensibilmente la distanza tra elettori ed eletti. Così è stato nella passata legislatura, quando abbiamo preso posizione sulla possibilità di modifica della legge elettorale per le elezioni politiche nazionali, e ora coerentemente per la legge elettorale per le «europee».
D'altra parte, signor Presidente, onorevoli colleghi, nutriamo qualche perplessità rispetto alle posizioni di alcune forze politiche di opposizione che oggi si ergono a paladini del voto di preferenza.
Non crediamo che certi leader si strappino le vesti perché costretti a dover scegliere gli eletti sostituendosi agli elettori. Non sono poi così contrari al fatto a che la legge elettorale neghi il diritto di esprimere la preferenza, ma davanti agli elettori se ne lavano le mani.
Diciamo francamente che l'attuale maggioranza, approvando questa legge elettorale nella attuale stesura, sta offrendo alle forze politiche di opposizione argomento di propaganda sin troppo ghiotto di fronte agli elettori. Non vorremmo che la battaglia in favore della preferenza possa costituire un collante per l'opposizione ed un boomerang per la maggioranza.
In conclusione, è per queste regioni che non condividiamo la scelta politica fatta dagli altri partiti di maggioranza e sollecitiamo con forza che continui il confronto al fine di giungere all'approvazione di una legge che sia quanto più condivisa.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ciccanti. Ne ha facoltà.

AMEDEO CICCANTI. Signor Presidente, signor Ministro Calderoli, onorevoli colleghi ed in particolare signor relatore Calderisi, la nostra Carta costituzionale si apre con i principi fondamentali ed il primo articolo di questi principi stabilisce che la sovranità della nostra Repubblica appartiene al popolo.
In questa affermazione solenne è incorniciato il volto della nostra democrazia, questo articolo fu proposto dai costituenti Fanfani, Grassi e Moro.
Durante i lavori della costituente si discusse molto su questo verbo «appartiene».Pag. 36Si proposero altre formulazioni: «emana», «risiede», «è del», «spetta» eccetera. Passò invece questa parola, che evoca il senso della proprietà, del possesso; di qualcosa che è intrinsecamente connesso come parte di un insieme e quindi inalienabile, che non è possibile scindere, staccare, separare.
C'è in questa parola il senso della difesa di una conquista da non disperdere, la conquista della libertà costata lotte, sangue e fatica a chi ha dato la propria vita per noi, per gli italiani, per questo Parlamento, per la democrazia e le sue istituzioni.
Questa premessa è necessaria per dire al relatore e alla sua maggioranza che questa sovranità non è negoziabile, non è amputabile, non è manipolabile, non è conculcabile.
Questa sovranità del popolo deve essere lasciata libera nell'esprimersi, senza limiti, senza condizionamenti, senza parametri, senza calcoli elettorali, senza convenienze di una maggioranza di partito o di cricche.
Il popolo sovrano, secondo l'articolo 1 della nostra Costituzione, decide se frammentare il voto o semplificarlo, se avere due partiti o averne venti; decide con il proprio voto quali e quanti partiti e quali e quanti candidati devo essere degni di rappresentare l'Italia nel Parlamento europeo.
Con il testo di legge di riforma elettorale per le elezioni europee che avete approvato nella Commissione affari costituzionali e presentate oggi al vaglio di quest'Aula potete modificare le circoscrizioni portandole da cinque a dieci perché avvicinate di più le liste agli elettori.
Tuttavia, non potete alzare lo sbarramento al 5 per cento e togliere la preferenza, perché limitate la rappresentanza e restringete la sovranità del popolo. Che diritto avete di cambiare le regole del gioco per le elezioni europee, dal momento che lo fate con una maggioranza parlamentare eletta sulla base di un programma che non prevedeva questo punto?
Gli italiani vi hanno concesso un mandato per le riforme economiche e sociali e per le riforme istituzionali interne, riguardanti il sistema Paese, non per cambiare la rappresentanza parlamentare al Parlamento europeo. Non avete ricevuto questo mandato dagli elettori! Anzi, durante la campagna elettorale anche la base del Popolo della Libertà e della Lega Nord chiesero il ripristino delle preferenze per l'elezione del Parlamento nazionale. Per tutta risposta, togliete il meccanismo delle preferenze anche là dove erano già previste e, per di più, in ordine ad un punto che non fa parte del vostro programma elettorale. Togliete le preferenze per un Parlamento europeo che ha dettato principi a favore di una legge elettorale dei Paesi membri di tipo proporzionale, proprio per favorire la rappresentanza, cioè la più ampia partecipazione popolare. Si badi bene, il sistema proporzionale è adottato anche da Paesi che storicamente adottavano sistemi maggioritari attraverso collegi uninominali. Non solo, togliete la preferenza in un Paese come l'Italia che già la adottava proprio mentre l'Europa consiglia e auspica, a tutti i Paesi membri, tale sistema.
Non sfugge ai colleghi il documento di lavoro dell'onorevole Andrew Duff, del gruppo dell'Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l'Europa - noti bene, signor relatore, Liberali per l'Europa - che, per conto della Commissione affari costituzionali del Parlamento europeo, ha presentato il documento alla stessa Commissione, lo scorso 18 gennaio, per porlo in discussione in questi giorni. In tale documento di lavoro, tra le questioni e le opzioni che si evidenziano vi è quella di incoraggiare l'introduzione del voto di preferenza. Allora, perché questa ostinazione sulle liste bloccate? Eppure, ho con me il testo delle risolute e insultanti dichiarazioni dei dirigenti regionali e nazionali di Alleanza Nazionale e di Forza Italia che usarono parole di fuoco per condannare il centrosinistra della Toscana, che aveva eliminato le preferenze alle elezioni regionali del 2005. Se le preferenze dovevano esservi in una regione, nonostante le esigenze di semplificazione per favorire la governabilità di un ente che ha necessità di decisione, a maggior ragione devono esserePag. 37garantite per un Parlamento europeo che ha un tasso di decisione prossimo allo zero.
È consapevolezza di noi tutti che l'organo legislativo europeo è il Consiglio europeo e l'organo esecutivo è la Commissione europea, i cui membri sono di appartenenza degli Stati membri dell'Unione europea. Queste contraddizioni, nella logica dei vostri comportamenti, questa caparbietà con cui vi siete concentrati sulla riforma delle regole elettorali per il Parlamento europeo affermano alcune intuizioni che diventano, via via, sempre di più scomode verità per il Paese e per la vostra credibilità.
La prima intuizione riguarda la necessità di far rispettare gli accordi tra Alleanza Nazionale e Forza Italia per dare vita al Popolo della Libertà. Lo devono sapere i nostri elettori italiani. Infatti, è noto che l'accordo firmato da Fini e Berlusconi dinanzi al notaio ha affidato il 70 per cento della dirigenza del nuovo partito a Forza Italia e il 30 per cento ad Alleanza Nazionale. Se tale accordo si riporta alle liste per le elezioni europee, ad ogni due candidati di Forza Italia dovrebbe seguirne uno di Alleanza Nazionale, al fine di eleggerne due terzi e un terzo di ciascuna appartenenza. Questo schema può essere rispettato solo se vi è una lista bloccata, perché se gli elettori del Popolo della Libertà potessero esprimere una preferenza, potrebbe cambiare non solo l'ordine degli eletti rispetto alle candidature, ma anche il rapporto fra le componenti di Forza Italia e di Alleanza Nazionale, sicuramente a favore di quest'ultima perché più organizzata nelle città d'Italia.
La seconda intuizione è l'interesse di Alleanza Nazionale ad eliminare La Destra di Storace quale concorrente alla sua destra e l'interesse di Forza Italia ad eliminare l'UdC alla sua sinistra quale concorrente dei delusi di Berlusconi in questa prima parte dell'esperienza di Governo che, secondo i dati di Mannheimer di ieri, cominciano già a far pesare in modo rilevante la loro delusione.
La terza intuizione è dettata dalla prevedibile perdita di voti del Popolo della Libertà nelle prossime elezioni europee a causa del depotenziamento del richiamo al voto utile. Il Popolo della Libertà con l'eliminazione de La Destra di Storace, da una parte, e dell'Unione di Centro, dall'altra, potrebbe ottenere un alto numero di eletti, nonostante una flessione elettorale. Ecco perché vi è uno sbarramento del cinque per cento, addirittura superiore al quattro per cento previsto per le elezioni politiche nazionali. Oltre il cinque per cento non potete andare perché è il limite massimo imposto dall'Unione europea. Se non ci fosse stato questo limite lo avreste sicuramente superato.
Avete detto che modificate la legge elettorale per le elezioni al Parlamento europeo al fine di capitalizzare sul piano istituzionale (queste le parole del relatore in Commissione affari costituzionali) la semplificazione del voto dello scorso 14 aprile per il Parlamento nazionale. Dimenticate, ovvero siete in palese contraddizione con i fatti, che la semplificazione l'ha fatta il popolo italiano con il proprio voto, pur in presenza di una legge elettorale che favoriva la frammentazione! Lasciate, pertanto, al popolo sovrano anche per le europee la stessa decisione, se la ritiene opportuna. Ma dimenticate anche che, nonostante la legge proporzionale favorisca la frammentazione in tutti i 27 Stati membri dell'Unione europea, al Parlamento europeo ci sono lo stesso due grandi famiglie politiche: il Partito Popolare europeo e il Partito Socialista europeo.
Quanto detto dimostra che la frammentazione o la semplificazione non dipendono dalle regole elettorali, ma dalla capacità politica degli elettori o della classe dirigente che li rappresenta. La vostra soluzione di costringere gli uni e gli altri a logiche obbligate da regole imposte secondo convenienze di parte (cioè la vostra parte politica, per le ragioni dette) dimostra che non avete fiducia né negli elettori, né nella nostra della vostra capacità politica di fare sintesi.
Noi dell'UdC ci auguriamo che questa battaglia contro lo scippo di un'importante pezzo di libertà del popolo italiano siaPag. 38fatta con convinzione e tenacia da tutta l'opposizione, soprattutto dal Partito Democratico, perché onori l'impegno preso da Veltroni sabato scorso di fronte al suo popolo, al Circo Massimo, e agli italiani che lo hanno ascoltato.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

AMEDEO CICCANTI. Spero che un eventuale voto segreto sulle preferenze serva a dare più libertà di coscienza alla destra che ad affermare qualche furbizia a sinistra. Comunque vadano le cose, l'Unione di Centro farà questa battaglia parlamentare con forza e decisione, soprattutto per aprire gli occhi agli italiani perché capiscano chi li usa per fini elettorali e chi li difende per la loro dignità di uomini liberi (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zaccaria. Ne ha facoltà.

ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, volevo, prima di tutto, rassicurare l'ultimo collega intervenuto, l'onorevole Ciccanti, sul fatto che il Partito Democratico farà, come d'altra parte ha fatto in Commissione e come hanno fatto già in questa sede i primi interventi di esponenti del partito, una opposizione molto determinata su questo punto.
Non si tratta di una questione come le altre. È una questione, senza usare parole enfatiche, che veramente attiene (come è stato detto da più parti) alle regole del gioco; che sia vitale per la democrazia e in quale misura lo sia, ciascuno ha il diritto di ritenerlo nella maniera significativa che ritiene.
Certo è che questo è il primo terreno sul quale il dialogo non si è rivelato possibile. Questo è un dato significativo dal momento che - mi pare che lo abbia spiegato bene l'onorevole Vassallo - è inutile discettare su cosa voglia dire la parola dialogo, anche perché quando si parla di riforme costituzionali e di legge elettorale il parlare serve a trovare dei nuovi punti di incontro. In questo caso, la sensazione (e non solo) è stata molto diversa. Si è entrati con una proposta e si è usciti con quella proposta.
Abbiamo ascoltato sia nelle parole del relatore che di alcuni colleghi della maggioranza il tentativo di fare una sorta di dialogo retrospettivo: ho sentito qui parlare e discutere delle posizioni dell'Unione di Centro in altre circostanze, del Partito Democratico con riferimento alla legge elettorale europea nell'ipotesi che era stata affrontata dal relatore Gozi nella scorsa legislatura. Addirittura si è cercato di misurare la coerenza degli altri. Ma questo cos'è? È un dialogo retrospettivo nel tentativo di cercare le coerenze? Queste tecniche sono molto frequenti che si usano non quando si vuole trovare un punto di incontro ma quando si vuole stare sulle proprie posizioni.
Addirittura l'onorevole Bianconi ha cercato di dimostrare una tesi abbastanza dura, ovvero che nel nostro Paese la preferenza è una specie di accidente capitato per caso in un certo momento, ma non è affatto una tendenza costante. A parte che si potrebbe discutere del fatto che vi sono preferenze a tutti i livelli istituzionali e addirittura del fatto che quando sono state abolite le preferenze è stato sostituito il collegio uninominale e, quindi, un meccanismo che certamente configurava in modo diverso la scelta dell'eletto da parte delle elettori, guardate che su questo piano quello che conta è che se volete affrontare il discorso dovete cercare di dimostrare ai cittadini italiani (il dibattito si fa qui ma, attraverso quelle tribune, nelle televisioni anche nel Paese, dal momento che questi temi interessano i cittadini italiani) che, mentre la legge fino ad oggi prevedeva le preferenze e ora vengono tolte, ciò conferisce all'elettore italiano una maggiore possibilità di scelta.
A questo proposito, se volete discutere realmente degli argomenti, è dura battere la tesi del principio certamente democratico che la rappresentanza si gioca sulla scelta del partito e degli eletti bilanciata a seconda dei vari sistemi elettorali. Il testo che stiamo esaminando, invece, propone di togliere questa scelta e si dice che c'è unaPag. 39maggiore libertà del cittadino italiano elettore. Non posso rivolgermi alle tribune, ma se qualcuno ci ascolta penserà siamo impazziti, dal momento che qui si pensa che questa modifica renda l'elettore più padrone di scegliere gli eletti. Poi qualcuno dice che in alcune circoscrizioni sono quattro e allora si sa chi sono e che cosa fanno, ma non si sa chi li ha scelti!
Per quanto riguarda il secondo problema, debbo dire al sempre meticoloso relatore, onorevole Calderisi, che in tema di sbarramento ho ascoltato con grande attenzione la ricerca di una motivazione solida. Di motivazioni ce ne sono tante, compresa quella anche che sinceramente ritengo fragile (non voglio usare altre espressioni) per cui l'Unione di Centro e Rifondazione Comunista che nella scorsa legislatura per la legge nazionale puntavano al sistema tedesco, oggi non possono essere contrarie allo sbarramento al 5 per cento.
Ma è come prendere un punto di un sistema complessivo, misurato sulla dimensione nazionale, e calarlo come principio generale. Avete fatto, onorevole Calderisi, un'operazione che ritengo patetica, avete detto «abbiamo preso le circoscrizioni del Partito Democratico, abbiamo preso le dieci della proposta Soro». Sì, ma la proposta Soro ne prevede dieci con le preferenze, qui voi le avete prese senza le preferenze.
Ritengo che sia inutile citare i Paesi europei dove c'è lo sbarramento al 5 per cento. Come ha detto l'oratore che mi ha preceduto, quello è lo schema massimo ma noi veniamo - e qui Calderisi lo ha detto - da uno schema nel quale lo sbarramento era allo 0,67. Di colpo si va al 5 per cento. Questa scelta non è motivata! Si poteva anche dire che siccome c'è tutto un dibattito nel nostro Paese introduciamo uno sbarramento, ma non c'è motivazione che tenga nel passare dallo sbarramento minimo possibile a quello massimo; è un'affermazione di principio, una pura tautologia, si dice: è così e quindi credeteci.
Terzo ordine di considerazioni sulle quali vorrei dire qualcosa che mi riguarda perché si tratta di emendamenti ai quali tengo, li ho proposti in Commissione e li riproporrò per l'Aula. Abbiamo sentito dire tante cose sulle preferenze, non lo si dice apertamente ma si insinua che siano possibile fonte di corruzione; si dice che non sono fonte di corruzione, ma secondo alcuni lo sono. Sostanzialmente viene fatta balenare l'idea che fisiologicamente la scelta dei cittadini sia una fonte di corruzione. Il rischio che si accrediti una cosa di questo genere è molto pericoloso. Se ci sono aspetti degenerativi parliamo di quelli, ma in una legge di questo tipo, dove si invocano i principi della trasparenza, delle regole, si intravede un embrione di disciplina dei partiti (mi pare che lo abbia detto in Commissione il collega Pisicchio), d'altronde nelle leggi elettorali è frequente.
Prima di tutto credo che vada detto chiaramente che le elezioni europee sono le uniche nelle quali non ci sono limiti alle spese elettorali; ci sono in tutte le elezioni ma non in quelle europee: il candidato può spendere quello che vuole, i partiti (che è ancora peggio) possono spendere quello che vogliono. Credo che su questo punto mettere, come ci sono in tutte le altre nazioni, dei tetti alla spesa elettorale sia un fatto di moralizzazione evidente, è una lacuna grave da colmare. Il relatore, gli va dato atto, aveva parzialmente accettato l'emendamento che ho presentato e che in Aula ripresenterò con dei limiti un po' più stringenti, perché naturalmente le circoscrizioni sono ampie e se i limiti sono modellati o ampliati su quelle nazionali si arriva a tetti di spesa dell'ordine di 300 mila euro per i candidati e di dieci milioni di euro per i partiti, quindi bisogna ovviamente essere un pochino più prudenti. Ma mi ha colpito, quando il relatore ha parzialmente accettato il mio emendamento in Commissione, che abbia detto: «al Parlamento nazionale hanno fatto le cose seriamente e per chi viola i limiti di spesa, per il limite estremo di violazione, c'è la decadenza; però per il Parlamento europeo non lo possiamo fare perché è un altro Parlamento». Ma guardate che i limiti di spesa o sono seri o non lo sono;Pag. 40se noi poniamo un limite di spesa e poi chi lo viola ha un buffetto sulla guancia ciò è ridicolo.
Allora, credo che si debbano prevedere gli stessi limiti, con le stesse sanzioni. Non voglio essere scortese, ma la teoria per la quale il legislatore italiano non può stabilire delle decadenze mi pare molto debole, perché se il Parlamento nazionale con la legge volesse stabilire delle forme di ineleggibilità, nessuno glielo impedirebbe. Il Parlamento ha stabilito delle forme di incompatibilità che possono arrivare fino alla decadenza, se non esercitate, allora può stabilire che se qualcuno viola la regola di trasparenza vi sia una sanzione. D'altra parte, se leggete bene le regole europee si dice chiaramente che questi criteri li stabilisce il legislatore nazionale.
Quindi, ringrazio il relatore per aver preso in considerazione questo aspetto, però prenderlo in considerazione e poi ridurlo in una cosa puramente simbolica non mi convince.
Svolgo un'ultima considerazione, credo di avere ancora un minuto...

PRESIDENTE. Onorevole Zaccaria, ha due minuti.

ROBERTO ZACCARIA. Allora posso spiegarla bene. Si tratta di una questione che non vorrei che fosse intesa come una battaglia donchisciottesca o da Pierino: io, e credo anche alcuni colleghi che mi stanno ascoltando, mi accorgo che l'eliminazione delle preferenze in un sistema e in un Parlamento di persone di fatto nominate, lo dico in senso non dispregiativo...

PRESIDENTE. Onorevole Zacchera, devo invitarla a concludere. Mi sono sbagliato, lei è già due minuti oltre il tempo a sua disposizione.

ROBERTO ZACCARIA. Signor Presidente, anche se lei si è sbagliato mi deve dare comunque un minuto perché l'errore mi ha tratto in inganno.

PRESIDENTE. Onorevole Zaccaria, le concedo quaranta secondi.

ROBERTO ZACCARIA. Per le elezioni nazionali ci sono delle tariffe di ingresso, i parlamentari pagano, più o meno spontaneamente, cifre che vanno da 50 mila a 150 mila euro per sedere in questo Parlamento. Ho sentito dire che per il Parlamento europeo si introdurrà una fiche di 450 mila euro (qualcuno parla di 500 mila); occorre fare attenzione: noi stiamo andando verso un sistema a liste bloccate in cui i partiti vendono le cariche elettive e questo è un fatto gravissimo! L'emendamento suona così: è illecito qualsiasi obbligo preventivo di versare una quota ai partiti che ti candidano nel Parlamento europeo. Voglio vedere se questo principio banale, costituzionalissimo, avrà qualche difficoltà; mi auguro che possa averla solo nella forma, perché quando ci sarà il voto segreto ciascuno, nel segreto dell'urna, potrà esprimere l'opzione che preferisce. La ringrazio, signor Presidente (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pisicchio. Ne ha facoltà.

PINO PISICCHIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole Ministro, una speciale furia iconoclasta sembra voler fare piazza pulita di tutto ciò che nell'ordinamento non è sfiorato dal tocco benefico del Popolo della Libertà. Questa furia si abbatte anche sulla legge elettorale europea; è una furia, in verità, ben poco istintuale, invece, è molto lucida e coerente poiché si propone di produrre un ulteriore slittamento del sistema verso quella sorta di normalizzazione populistica che già ha avvolto il Parlamento e il Paese con le forme della democrazia docile.
La democrazia docile rispetta le procedure formali della democrazia, ma svuotandole dal di dentro, disseccandole, inducendo una torsione che tramuta le istituzioni fondamentali del processo democratico in una pallida ombra, che evoca le regole supreme della Costituzione trasmutandole, però, in regole domestiche. Così, per esempio, risuonerà oggi beffardo il richiamo, che è stato fatto più volte quest'oggi,Pag. 41all'articolo 49 della Costituzione e alla democrazia dei partiti, quando di fronte non abbiamo più partiti, ma solo fievoli simulacri retti da ineffabili oligarchi, costruiti con dosi massicce di carisma. Che grado di parentela hanno questi partiti di oggi con quelli designati da Moro, Mortati, Calamandrei, nella stagione costituente? Nessuna, come non vi è nessuna continuità tra gli ordinamenti elettorali che consegnavano al cittadino il diritto di scegliere i propri rappresentanti e di revocare loro il mandato, e quelli attuali che confiscano al corpo elettorale il diritto di essere mandante di una delega personale ai parlamentari.
Nel corso del dibattito in Commissione, ho compreso quanta strada abbia compiuto il processo di straniamento della rappresentanza parlamentare rispetto al suo popolo. Solo una ventina di deputati in questa Camera (venti su seicentotrenta) hanno conosciuto il privilegio di essere scelti dal popolo con il voto di preferenza. Com'è possibile comprendersi, allora, quando non si capisce la fatica della democrazia, la meravigliosa e appagante consapevolezza di rappresentare il popolo e non solo il suo capo, il senso del radicamento ad un territorio, l'attenzione ai suoi problemi concreti, alle sofferenze, alle gioie e alle aspettative delle comunità?
Comprendo, cari colleghi, l'estraneità di molti rispetto a procedure di elezione sconosciute e la preoccupazione di non compiere gesti sgraditi ai capi, gli unici autori dell'inclusione di ognuno nell'Assemblea parlamentare.
Dunque, la proposta di legge elettorale europea replica in modo coerente la filosofia della legge elettorale oggi vigente alla Camera e al Senato, eliminando il voto di preferenza, innalzando la soglia elettorale al 5 per cento e moltiplicando per due il numero delle circoscrizioni.
Si è argomentato sull'eliminazione del voto di preferenza con il solito armamentario di argomenti giustificativi, ma si tratta di obiezioni fragili, ascoltate senza troppo profitto e ripetute senza troppa consapevolezza, in primo luogo perché le preferenze, in Italia, sono previste - come veniva ricordato - per le regioni e anche per i comuni, e non ci pare che esse abbiano generato particolari problemi inflattivi quanto ad impegni di spesa (non maggiori, almeno, di quelli incontrati nelle liste bloccate con i meccanismi evocati dal collega Zaccaria). In secondo luogo, non ci sembra che il voto di preferenza possa essere considerato in sé criminogeno a motivo della possibile influenza esercitabile da organizzazioni malavitose.
Domandiamoci, allora, che ruolo mafia, camorra, 'ndrangheta e altre società criminali potrebbero svolgere, ad esempio, nei collegi uninominali, dove basta lo spostamento di pochi voti a determinare un'elezione e domandiamoci che cosa potrebbe accadere nel sistema delle liste bloccate, dove la maggior parte dei candidati è sconosciuta e la buona fede di ognuno è garantita solo dalla magnanima e specchiata lungimiranza del capo, considerato infallibile (a questo punto per dogma).
È evidente come ogni formula elettorale possa presentare inconvenienti e zone di fragilità. Di certo, quella che mette alla base il voto di preferenza garantisce quanto meno una scelta consapevole dal basso, revocabile nel turno successivo. Quella a lista bloccata, invece, rappresenta - senza il lenimento della regolazione giuridica del partito politico, capace di spostare in chiave endoassociativa la procedura di selezione delle candidature - soltanto un grave ed intollerabile sopruso ad opera di un sinedrio di capi, collocati dalla legge al di sopra del controllo democratico: una sorta di regime assolutistico.
È il caso colleghi, forse, di domandarci che cosa abbiamo fatto della politica, della democrazia rappresentativa, del rapporto tra candidati e popolo, tramutando le nostre campagne elettorali in orribili spot televisivi in cui si agitano cinque o sei superstar, mentre un folto gruppo di coristi recita parti da primo attore che tutti sanno già negate dalle posizioni in graduatoria. Tutto è virtuale, recitato e finto. Le liste bloccate sono già cariche di nominati. I requisiti per la nomina? CertamentePag. 42non il merito, non la rappresentatività, non la competenza, non il rapporto con il territorio (condimenti essenziali in una democrazia normale), ma solo la fedeltà al capo, una specie di sturmtruppen della politica.
Folgoranti carriere sono state costruite tutte sul filo della nomina. Un grande studioso, il Loewenstein, che non è estraneo all'esperienza culturale del Presidente, racconta come il potere possa degenerare con l'uso della cooptazione, criterio in auge negli antichi regimi autoritari.
La cosa singolare è che per lunghi mesi abbiamo assistito ad una surreale presa di distanze da parte degli stessi autori del cosiddetto «porcellum» dalla loro mostruosa creatura, che aveva come più prossimo ispiratore Benito Mussolini con la legge Acerbo. Solo che la legge Acerbo almeno accettava che si potessero cancellare dalla lista i candidati indesiderati. Ci è capitato di dibattere in pubblico con autorevoli esponenti della destra, che approvarono questo capolavoro di illiberalità: neanche a dirlo, solo qualche mese fa, parlavano di legge da cambiare! Appena cominciata la legislatura, con una fretta degna di ben altre impellenze, il primo provvedimento che incrocia gli ordinamenti elettorali è una replica del «porcellum» formato Europa.
Abbiamo ascoltato parole bislacche dal relatore - ci permetta di dirlo - per motivare la scelta delle liste bloccate. La prima argomentazione riguarda l'adozione del medesimo sistema in nove dei ventisette Paesi dell'Unione europea. È vero, ma non viene aggiunto che in quei Paesi, dove vige la lista bloccata, esiste un sistema di rigorosa regolazione giuridica dei partiti, per cui non sono i sultani a decidere chi mandare in Europa, ma i militanti che scelgono le candidature.
Facciamo prima una legge che regolamenti la democrazia di partito e poi siamo disposti a discuterne. Abbiamo ascoltato parole bislacche: il relatore, ma non solo lui, poiché il medesimo leitmotiv è stato ripetuto da autorevoli esponenti del Popolo della Libertà, ha detto che le liste bloccate garantiscono la scelta dei rappresentanti migliori, perché più competenti, magari perché parlano le lingue. C'è da restare allibiti: è questa una concezione antitetica rispetto alla sensibilità democratica, che trova accoglimento nella nostra Costituzione e nel minimo buon senso comune.
Se non intravedessi in queste incaute parole una mal riproposta considerazione schizzata via dalle teorie del carisma, recuperate dai maestri della scienza politica come Weber, Mosca e Michels, da uno studioso di Ostrogorski come Quagliariello, maître à penser del Popolo della Libertà, ci sarebbe da sentirsi offesi. Ma cos'è questo balzo indietro nella storia, con la consegna di tutta la scena pubblica agli uomini della provvidenza? Siamo disposti certamente a discutere sul piano teorico del nuovo peso del carisma nel processo politico, comprendendo che, dopo il crollo delle ideologie e della fidelizzazione ai partiti per via delle adesioni ideali, l'identità morganatica è spesso data dal capo. La modalità non ci piace affatto, ma siamo disposti a discuterne, per comprendere, però, come limitarne l'attitudine a straripare in ambiti riservati alla democrazia. Ma di qui a fondare l'intero sistema politico, l'intero ordinamento, sul valore assoluto del carisma, costruendone una teorica con precipitati effettuali così rilevanti, francamente è troppo. È un troppo che va ben oltre la cosiddetta presidenzializzazione strisciante, cui tende il nostro sistema, denunciata più volte dal compianto Leopoldo Elia.
Questa proposta formulata dal relatore contiene un altro formidabile vulnus alla rappresentanza democratica. Questa volta non riguarda i singoli mandatari parlamentari europei, ma i partiti per intero. Un robusto sbarramento al 5 per cento, il più alto possibile, senza debordare dal registro degli orientamenti dell'Unione europea. Domandiamoci perché.
Il Parlamento europeo non deve esprimere una maggioranza di Governo, ma solo una rappresentanza, non deve promuovere un Esecutivo, ma solo consentirePag. 43che tutte le voci rilevanti presenti nei singoli Stati membri abbiano una possibile tribuna europea.
D'altronde, la riduzione del numero complessivo dei rappresentanti italiani è di per sé un significativo sbarramento. E, allora, qual è la ragione per cui viene adottato uno sbarramento al 5 per cento, se non quella di tagliare fuori forze significative nel panorama italiano, come la sinistra arcobaleno, la destra radicale, e, non si sa mai, magari anche qualche forza intermedia, per dividere le spoglie residue?
Credo sia un grande errore cercare di espungere dalle istituzioni europee forze come la sinistra antagonista e la destra radicale, che già sono state espunte dal Parlamento italiano a causa dell'applicazione anticoalizionale del «porcellum».
Vi sono segmenti elettorali di quelle culture che vanno aiutati a stare nelle istituzioni e non a scivolare verso aree extraparlamentari, perché questo va a beneficio della tenuta democratica del Paese.
Illustri colleghi sia chiaro: ben al di là della portata del provvedimento, che pure ha un'importanza decisiva ai fini della qualità della nostra rappresentanza in Europa, la partita della legge elettorale europea mette in gioco valori fondamentali. Dopo la legge del 2005, dopo alcune scellerate leggi regionali, come quella toscana, dopo quella europea, se verrà approvata nella forma proposta dal relatore, non creerà più scandalo la circostanza di vedere abolito il diritto di scelta dei cittadini anche a livello comunale, prevedendo, anche qui, la devoluzione al partito delle liste degli eligendi. Spostamenti progressivi verso la normalizzazione di un sistema che vedrà alla fine solo il capo e i sudditi all'interno di uno schema plebiscitario. È un disegno lucido e coerente che il Governo e la sua maggioranza mitridatizzata stanno perseguendo, cui le opposizioni devono contrapporre un disegno altrettanto consapevole e alternativo. I sistemi elettorali sono parte della costituzione materiale: da essi promana la rappresentanza e scaturisce la politica. Non possiamo, dunque, consentire che un disegno di espropriazione del diritto di scelta del cittadino, che è parte integrante del diritto di cittadinanza, continui a farsi strada, senza che nel Paese nessuno denunci tutto questo. Non possiamo consentire che una maggioranze, in forza soltanto dei sui numeri, cambi la legge elettorale, che è la regola del gioco di tutti e non solo di una parte, a proprio piacimento. Faccia l'opposizione la sua parte e facciano le donne e gli uomini liberi della maggioranza la loro: dimostrino che questo Parlamento rispetta ancora l'articolo 67 della Costituzione e non accetta il mandato imperativo. Questo sì sarebbe un bel gesto controcorrente (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare, a titolo personale, l'onorevole Ciocchetti. Ne ha facoltà.

LUCIANO CIOCCHETTI. Signor Presidente, quanti minuti ho a disposizione per svolgere il mio intervento?

PRESIDENTE. Onorevole Ciocchetti, a me risultano 15 minuti.

LUCIANO CIOCCHETTI. Signor Presidente, ritengo che questo sia un argomento particolarmente importante e che ogni singolo deputato debba porsi il problema di riflettere e di ragionare su quali decisioni assumere in merito alla definizione di una nuova legge elettorale per le elezioni europee, che è, chiaramente, strettamente legata ad una filosofia di costruzione della democrazia di un Paese. È chiaro, infatti, che questo argomento non possa avere una valenza soltanto legata alla scadenza specifica delle elezioni europee, ma è un disegno politico che alcuni partiti, alcune realtà, alcuni personaggi importanti di questo Paese portano avanti nella costruzione e nella definizione della democrazia dell'Italia nei prossimi anni.
Credo che questa questione, quindi, tocchi direttamente il ruolo di ogni singolo parlamentare, il ruolo di ogni singola persona, che in qualche modo crede e ha fondato la sua storia, la sua crescita, laPag. 44sua battaglia politica sulla democrazia, sulla difesa delle istituzioni e su un sistema democratico che fosse in grado di rappresentare realmente la volontà dei cittadini, degli elettori certamente all'interno di una cultura legata anche alla presenza e all'esistenza dei partiti, ma anche, e soprattutto, di un collegamento e di una mediazione da parte dei partiti stessi nei rapporti con la gente, con i cittadini, con le classi sociali, con gli ambienti, con il territorio, con tutto quello che, in qualche modo, nella nostra società vive e convive. Parrebbe strano, quindi, che, anche di là degli interventi strutturati di gruppo, dei nostri, dei miei colleghi presenti nelle Commissioni parlamentari, che hanno esaminato direttamente questa proposta di legge, non vi sia anche la voglia e la possibilità di poter discutere, di poter confrontare, di poter esprimere, le proprie opinioni in merito ad un argomento che riguarderà non solo le elezioni europee del prossimo anno, ma anche il futuro di questo Paese.
È chiaro che da parte di qualcuno, in particolare da parte del Presidente del Consiglio e di molti esponenti del Popolo della Libertà, vi è l'idea di andare verso un bipartitismo costruito non con regole scritte, costituzionali e definite in un modello organico (che possa eventualmente andare oltre al fatto se condividiamo o meno questo tipo di scelta, e che dovrebbe però necessariamente costruire un'architettura istituzionale in grado di garantire la democrazia di questo Paese), ma attraverso delle forzature istituzionali, delle forzature elettorali, che hanno chiaramente uno scopo: realizzare tale sistema senza creare i pesi e i contrappesi che normalmente nelle democrazie a prevalenza bipartitica esistono e garantiscono tutto il corpo sociale del Paese, le forze che in quel momento non governano, e in particolare una rappresentanza per gli elettori tramite la quale possono partecipare a forme, come quella delle primarie negli Stati Uniti, garantite dallo Stato che assicurano la democrazia, ovverosia il fatto che non sia un'unica persona a decidere chi sono gli eletti, cioè i benedetti dal leader di turno.
È questo il punto, la costruzione forzosa di un sistema costituzionale e istituzionale di un Paese senza passare attraverso una modifica costituzionale, che almeno avrebbe la dignità di rappresentare una questione confrontata e verificata con un duplice passaggio in Parlamento, come previsto in Costituzione, e anche con un eventuale referendum da parte dei cittadini italiani. Si cerca di prendere una scorciatoia che serve all'interno del costituendo Popolo della Libertà per certificare le quote esistenti all'interno di questo nuovo soggetto politico, e per limitare gli spazi di democrazia e di rappresentanza al di fuori del PdL.
Questo tipo di ragionamento ha pervaso, fino a poco tempo fa, anche il Partito Democratico. Le vicende della legge regionale toscana in qualche modo lo dimostrano, anzi alcuni esponenti e alcune correnti del Partito Democratico sono stati fautori iniziali di un ragionamento di questo genere, e anche il loro leader attuale, Walter Veltroni, fino a qualche tempo fa è stato il pervicace portatore di questo tipo di ragionamento e di concerto politico.
Bisogna fare un ragionamento a trecentosessanta gradi che in qualche modo individui le cause che hanno portato a questa situazione. Se Veltroni nella passata legislatura avesse appoggiato la nostra proposta di riforma elettorale con un sistema alla tedesca - c'erano i numeri per farla passare, se ci fosse stato un accordo tra la precedente maggioranza e chi in molte parti dell'opposizione portava avanti questa proposta - non saremmo in queste condizioni e ci sarebbe stata una legge elettorale più corrispondente alla cultura del nostro Paese. La logica è certamente di semplificare il sistema politico, perché i ventiquattro partiti prima esistenti erano troppi. Ma arrivare addirittura al punto di chiudere gli spazi politici e culturali ai quattro o cinque movimenti o punti di riferimento che hanno una forte identità culturale e diPag. 45presenza istituzionale tra la gente, nella società italiana, credo che sia un fatto profondamente sbagliato, perché noi non siamo un paese anglosassone, siamo un paese latino e, dunque, vi è una serie di differenze che ci distinguono dai Paesi anglosassoni.
Abbiamo la necessità di identificare un sistema politico, elettorale ed istituzionale semplificato, ma tale da garantire che le realtà culturali, politiche e sociali e le identità culturali, sociale e politiche esistenti nel Paese possano avere una rappresentanza parlamentare, in questo caso particolare, all'interno del Parlamento europeo.
Per quale motivo siamo contrari all'abolizione delle preferenze? Sono contrario perché ritengo che sia profondamente ingiusto lasciare ai pochi leader esistenti nel nostro Paese, prima delle elezioni, la scelta di chi viene eletto.
Oggi, il sottoscritto che proviene da un'esperienza politico-sociale sul territorio, partendo dai comitati di quartiere, dai consigli circoscrizionali, dai consigli comunali e che è arrivato sin qui per il fatto che gli elettori hanno creduto a ciò che in qualche modo è stato espresso in questi anni, invece di pensare ai cittadini, invece di pensare a rappresentare la società civile, invece di collegarsi con le istanze, gli ambienti, le associazioni, le realtà, i comitati di quartiere che vivono nel mio collegio, deve stare ogni giorno insieme a Pier Ferdinando Casini, a Lorenzo Cesa, a Rocco Buttiglione, sperando che la prossima volta mi inseriscano di nuovo in lista. E ciò vale per tutti i colleghi seduti in questo emiciclo e per tutti coloro che domani vorranno essere eletti al Parlamento europeo, perché non conta il rapporto con la gente, con le associazioni, con i cittadini, con le associazioni di volontariato, con le parrocchie, con tutto quello che si muove nel proprio collegio e nel proprio territorio ma conta quanto tempo passerò con il mio leader o con i leader che ad un certo punto dovranno decidere le liste elettorali.
Ritengo che sia sbagliato, profondamente sbagliato, antidemocratico un sistema come questo che allontana sempre di più gli eletti dalla gente, dai cittadini, dalle istanze del territorio. Ritengo che sia profondamente sbagliato e profondamente antidemocratico e che il fine ultimo non sia sopprimere le preferenze ma, come abbiamo detto prima, forzare il sistema costituzionale e istituzionale di questo Paese, portarlo allo stress definitivo senza aver creato i pesi e contrappesi che esistono nelle altre grandi democrazie occidentali.
Si è detto molte volte che anche gli altri Paesi non utilizzano il voto di preferenza per le elezioni europee. Ebbene, negli altri Paesi vi sono regole democratiche di vita dei partiti. In Italia negli ultimi anni nessun partito ha regole di vita democratica. Le regole democratiche devono essere riconosciute. Negli Stati Uniti esistono le primarie che sono gestite dallo Stato. Negli altri Paesi vi sono regole, leggi dello Stato che garantiscono la democrazia della vita all'interno dei partiti. Nel nostro Paese i partiti si costituiscono dal notaio anche con le quote di rappresentanza dei singoli soggetti che vi aderiscono. Ritengo che questo non sia un modello: lo può essere per una società per azioni, per una società a responsabilità limitata o per qualsiasi altra società di capitali ma non può esserlo per chi deve rappresentare il Paese e per chi deve rappresentare i cittadini.
Vorrei far notare ai colleghi del Popolo della Libertà che nel consiglio comunale di Roma, dove è notoriamente in maggioranza il Popolo della Libertà, il consiglio comunale di Roma ha votato a larga maggioranza un ordine del giorno in cui si chiede di mantenere le preferenze nel sistema elettorale per le elezioni europee. Cito il consiglio comunale di Roma ma potrei citare migliaia di consigli comunali d'Italia dove in questi giorni si sono votati ordini del giorno, centinaia di consigli provinciali, quasi tutte le regioni, anche quelle dove il Popolo della Libertà è in maggioranza, in cui si è votato a larghissima maggioranza, compresi esponenti del Popolo della Libertà a livello locale, per il mantenimento delle preferenze e anchePag. 46per la reintroduzione delle preferenze nel sistema elettorale della Camera dei deputati.
Credo che questo sia un grande movimento di base e ho citato il consiglio comunale di Roma perché la maggioranza era in grado di poter fare una scelta diversa. Invece, si è dimostrato che quando si lascia libertà di espressione ai singoli esponenti del Popolo della Libertà, prevale il senso comune, il buon senso comune: in quel caso si sono lasciati i consiglieri liberi di esprimersi ed i consiglieri comunali, in maggioranza, anche del Popolo della Libertà, hanno espresso il voto favorevole ad un ordine del giorno che prevedesse il mantenimento delle preferenze per le elezioni europee e anche l'introduzione delle preferenze per l'elezione dei rappresentanti della Camera dei deputati. Credo che sia un segnale importante.
L'appello è che i deputati del Popolo della Libertà possano essere liberi di esprimersi nell'esame di questo provvedimento, perché abbiamo di fronte una grande questione, che riguarda il futuro di questo Paese e della democrazia.
Concludo, signor Presidente: il tema della democrazia non deve essere usato in termini vecchi, come in qualche modo la retorica politica italiana lo rappresenta (fascismo, comunismo e così via); non è questo il ragionamento. Noi siamo scevri, e la nostra storia lo dimostra, siamo liberi da questi condizionamenti, che dopo tanti anni devono essere superati: il tema della democrazia riguarda la questione delle modalità e dell'esercizio delle funzioni di Governo e quale sia la forma per dare la possibilità alla gente e al popolo di esprimere le proprie opinioni, il proprio interesse e quindi di scegliere lo schieramento, il partito, ma anche l'eletto, anche il candidato. È quello che volete togliere e credo che sia una cosa che va contro la democrazia (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. Il prosieguo della discussione sulle linee generali è rinviato alla ripresa pomeridiana della seduta.
Sospendo la seduta che riprenderà alle ore 15.

La seduta, sospesa alle 13,40, è ripresa alle 15.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, il deputato Crimi è in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Sull'ordine dei lavori.

FABIO EVANGELISTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, come ricorderà stamattina sono intervenuto prima con una richiesta sull'ordine dei lavori e, poi, per un richiamo al Regolamento, citando un documento che, parzialmente, è stato pubblicato ieri da l'Unità. Ho svolto una ricerca: tale documento non risulta pubblicato sul sito del Governo, non risulta trasmesso né alla Camera né al Senato, nonostante le rassicuranti affermazioni del Ministro Frattini che, in data 2 ottobre, aveva promesso di trasmettere tempestivamente l'atto, soggetto ad una ratifica parlamentare - vorrei sottolinearlo -, entro quindici giorni e avrebbe richiesto per lo stesso provvedimento una corsia preferenziale per la sua ratifica.
Trattandosi di un atto particolarmente significativo, agganciato non soltanto alla disputa decennale che abbiamo avuto nei rapporti con la Libia, ma anche in riferimento ai continui sbarchi di clandestini sulle coste di Lampedusa, le sarei grato se,Pag. 47a nome della Camera (ovviamente io rappresento un gruppo), lei si facesse interprete di questa richiesta, affinché almeno i parlamentari italiani siano a conoscenza del documento originale ed integrale di cui stiamo parlando.

PRESIDENTE. Onorevole Evangelisti, certamente farò presente al Presidente della Camera e al Governo la sua importante sollecitazione che, credo, lei esprima anche autorevolmente come vicepresidente del gruppo dell'Italia dei Valori.
Mi permetto di ricordare che vi sono anche strumenti di sindacato ispettivo che, in questo caso, potrebbero utilmente essere impiegati per chiamare il Governo a spiegare al Parlamento quale sia l'effettivo stato delle cose.

FABIO EVANGELISTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, immagino che gli strumenti siano messi a disposizione dei parlamentari, i quali hanno facoltà di scegliere quali adoperare. Ho adoperato questo facendo riferimento alle mie facoltà e alla sua sensibilità.

PRESIDENTE. Onorevole Evangelisti, senz'altro questo era il senso delle mie parole.

MARIO TASSONE. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, anche rispondendo al collega Evangelisti, quando fa riferimento al sindacato ispettivo, devo rilevare il venir meno di una consuetudine (tanto per usare una parola che, certamente, non si addice al Parlamento): quella dell'uso del sindacato ispettivo in quest'Aula di Montecitorio (Commenti del deputato Calderisi). Onorevole Calderisi, la vicenda relativa al sindacato ispettivo è rilevante per chi crede nel Parlamento e, in seguito, ne discuteremo. Credo che i suoi commenti siano certamente indicativi di un cuore che si trova altrove rispetto a questo Parlamento (anche se ci si trova qui, forse, per dovere di copione: ognuno di noi ha un copione ed io parlo soltanto del mio).
Signor Presidente, tempo fa vi è stata una riforma del Regolamento, in cui si dava uno spazio importante al controllo del Parlamento sugli atti del Governo. In questa sede, ci siamo limitati semplicemente allo svolgimento del question time e delle interpellanze urgenti, che vengono svolte nei ritagli di tempo. Molte volte, infatti, i lavori dell'Aula - e, quindi, i provvedimenti che sono all'ordine del giorno - prendono e occupano spazi che erano dedicati o, meglio, dovrebbero essere dedicati, agli strumenti di sindacato ispettivo.
Per quanto ricordo, non vi è uno spazio per le «classiche» interrogazioni: ad esse è dedicato poco, pochissimo spazio. Signor Presidente, dal momento che conosco la sua sensibilità e la sua attenzione, se lei fosse così cortese da far conoscere al Parlamento - come si faceva un volta, secondo una vecchia e apprezzabilissima consuetudine - quanto siano evasi gli strumenti del sindacato ispettivo e quante siano le risposte fornite alle interrogazioni (sia quelle a risposta scritta che orale) ed alle interpellanze, credo che avremmo ovviamente un quadro ben preciso rispetto a quello che è un ruolo insostituibile del Parlamento.
Infatti, il Parlamento è certamente chiamato a varare le leggi, ossia ad avviare i procedimenti legislativi e ad approvare o meno le leggi, ma uno degli strumenti più forti e più importanti della democrazia all'interno del nostro Paese consiste nell'attività e nell'impegno del Parlamento stesso a controllare l'attività dell'Esecutivo. Fino ad oggi credo che questo aspetto, questo dato si sia affievolito e, ovviamente, manchi di un'attenzione che nel passato avevamo riscoperto e anche «sacralizzato» attraverso le norme regolamentari.

Pag. 48

PRESIDENTE. Onorevole Tassone, la questione da lei sollevata è di grandissima importanza perché l'attività di sindacato ispettivo è una delle funzioni fondamentali del Parlamento. Comunicherò, pertanto, le sue riflessioni al Presidente della Camera e credo che sarà opportuno riflettervi anche a livello di Conferenza dei presidenti di gruppo.

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 22 ed abbinate-A)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bocchino. Ne ha facoltà.

ITALO BOCCHINO. Signor Presidente, siamo arrivati alla fase finale di questo provvedimento, siamo cioè giunti, dopo l'approvazione da parte della I Commissione, alla fase della discussione sulle linee generali in Assemblea entrando, quindi, nel vivo di un grande tema che è al centro del dibattito e anche, a volte, dalla contrapposizione politica.
Anche in qualità di primo firmatario della proposta di legge che il gruppo del PdL ha presentato alla Camera (e che rappresenta buona parte del testo che il lavoro del relatore Calderisi insieme con il presidente Bruno e con tutta la Commissione hanno portato in Aula), ho il dovere, innanzitutto, di chiarire quali siano le ragioni che ci hanno mosso: e cioè perché, innanzitutto, proponiamo di modificare la legge elettorale per le elezioni dei membri del Parlamento europeo e perché proponiamo di modificarla così com'è.
Proponiamo di modificare la legge elettorale per le elezioni europee in quanto è evidente a tutti - da destra a sinistra, da centrodestra a centrosinistra, dagli opinionisti agli addetti ai lavori ed agli osservatori internazionali - che la nostra legge, attualmente vigente, crea danni e problemi al nostro Paese, a livello di Parlamento europeo.
Noi abbiamo una legge elettorale che consente una frammentazione amplissima in quanto, avendo un sistema proporzionale a resti concorrenti, senza alcuno sbarramento, essa consente anche a chi prende lo «zero virgola qualche decimo» di poter accedere con un seggio al Parlamento europeo. Da un lato, questo aspetto sicuramente costituisce un pregio, in quanto i sistemi che garantiscono la rappresentanza anche a minoranze esigue rappresentano sicuramente un pregio quanto a pluralismo. D'altra parte, noi che abbiamo bisogno di pluralismo magari in tutte le Assemblee che vi sono oltre a quella del Parlamento europeo (a partire dal consiglio circoscrizionale fino a quello comunale, quello provinciale, quello regionale e quello nazionale, ove abbiamo degli sbarramenti al comune, alla provincia, alla regione e a livello nazionale), mi chiedo se sia possibile che l'unica tornata elettorale in cui la nostra normativa non preveda gli sbarramenti debba essere proprio quella dove ve ne è più bisogno, ossia laddove è più importante, per gli interessi della nostra nazione, evitare la frammentazione.
Che cosa accade? Chi conosce i meccanismi delle Assemblee internazionali, del Parlamento europeo in particolare, sa che oggi questi poggiano moltissimo sui gruppi parlamentari. Essendo una rappresentanza proveniente da numerosissimi Paesi, è evidente che il filtro tra il momento decisionale e il momento elettorale viene svolto sostanzialmente dai gruppi parlamentari.
La forte frammentazione della rappresentanza dell'Italia determina un indebolimento di tutti i gruppi italiani che vanno a costituirsi all'interno dei grandi gruppi parlamentari europei. Questo porta come conseguenza l'impossibilità di incidere su determinate scelte. L'ultimo esempio - non sono mie parole; vi spiegherò poi chi ha sostenuto questa tesi - è stata la riduzione del numero di parlamentari europei che l'Italia ha dovuto subire, a suo danno, rispetto alle logiche che sono state scelte, a favore di altri Paesi che erano più forti all'interno dei due grandi gruppi -Pag. 49soprattutto i popolari e i socialisti - e che hanno potuto determinare delle scelte che hanno danneggiato l'Italia.
Quindi, vogliamo cambiare questa legge elettorale perché abbiamo come primo obiettivo quello di superare la logica della frammentazione che fa sì che vi siano singoli parlamentari che si iscrivono a gruppi diversi e l'Italia non sia fortemente rappresentata in nessun gruppo e, quindi, al Parlamento europeo non eserciti un ruolo dignitoso rispetto al numero della popolazione, alla sua forza politica e alla sua storia. Perciò, conseguenza della scelta di combattere la frammentazione è quella di introdurre la soglia di sbarramento. Cosa c'è di anomalo in questo, se abbiamo la soglia di sbarramento al comune, alla provincia, alla regione, per le elezioni politiche? Non comprendo per quale ragione dobbiamo discutere dell'utilità della soglia di sbarramento laddove, invece, è dimostrabile che essa serva molto di più al nostro Paese.
La seconda questione è quale sia la soglia di sbarramento da scegliere. Per questo ovviamente non esiste la ricetta. Si danno i numeri quando si parla di soglia di sbarramento. Ascoltando molto e con molto interesse esponenti dell'opposizione (mi riferisco ad esempio agli onorevoli D'Alema e Casini che sono contrari oggi alla nostra proposta di legge) che da mesi ci dicono che l'Italia ha bisogno del sistema elettorale tedesco, ci siamo ispirati a questo modello. Infatti, il sistema elettorale tedesco ha uno sbarramento al 5 per cento e non prevede il voto di preferenza. Quindi se si è d'accordo, in relazione ad un sistema elettorale nazionale, a prevedere che ci sia uno sbarramento e non ci siano preferenze, non si comprende perché, laddove è più utile avere una soglia di sbarramento per evitare la frammentazione e non avere preferenze per qualificare la rappresentanza che mandiamo in consesso delicato, nel quale la qualificazione della rappresentanza italiana...

FABIO EVANGELISTI. Non confondere le mele con le pere, sono due cose diverse! Sono due ruoli diversi!

PRESIDENTE. La prego di continuare, onorevole Bocchino.

ITALO BOCCHINO. Signor Presidente, doveva dapprima pregare di non interrompermi.

PRESIDENTE. L'interruzione c'è stata. Invito a non interrompere e invito l'oratore a proseguire.

MARIO TASSONE. Era un problema di frutta.

ITALO BOCCHINO. Infatti, è stato posto un problema ortofrutticolo!
Il motivo dello sbarramento è nobile: evitare la frammentazione e far contare di più l'Italia. Diteci che siete per la frammentazione e a favore del fatto l'Italia conti meno nel Parlamento europeo e convincete gli italiani che avete ragione al riguardo!
La seconda questione che vi porta a non essere d'accordo è l'abolizione del voto di preferenza. Premesso che il voto di preferenza nel sistema elettorale tedesco (che D'Alema e Casini dicono di volere per l'elezione di Camera e Senato) non esiste, occorre capire le ragioni per cui siamo ad esso contrari. Ci sono due tipi di ragioni: la prima è l'omogeneizzazione del nostro sistema elettorale con quelli degli altri grandi Paesi europei. L'Italia è l'unico grande paese europeo che prevede la preferenza per questo tipo di elezioni. Se si resta da soli a sostenere una tesi significa che forse qualcosa non va.
Qual è la differenza tra prevedere e non prevedere il voto di preferenza? Sappiamo tutti che la preferenza è uno strumento che facilita l'accesso, nel senso che esso diventa diretto, rivolgendosi il candidato agli elettori senza la mediazione dei partiti. Questo è un aspetto sicuramente a favore del voto di preferenza. Vediamo quali sono i punti a sfavore: il primo è che se abbiamo l'obiettivo di qualificare laPag. 50rappresentanza italiana al Parlamento, sicuramente il sistema senza preferenze garantisce maggiore qualificazione di coloro che saranno eletti al Parlamento europeo.
Il secondo punto - e ve lo dice un parlamentare del Mezzogiorno - è che in alcune aree del Paese, il voto di preferenza, specialmente con circoscrizioni amplissime come sono quelle attualmente vigenti, permette una sensibilizzazione delle scelte politiche che spesso viene da ambienti esterni alla politica, che è utile che siano completamente separati dalle scelte elettorali.
Queste sono le due ragioni che ci spingono a dire «no» al voto di preferenza, non c'è altra ragione, tanto non cambiano gli equilibri tra i partiti a seconda che ci siano o meno le preferenze.
Ci meraviglia ancora di più, poi, che ci siano forze politiche che hanno votato la legge elettorale vigente per Camera e Senato senza il voto di preferenza e che oggi si dicono contrarie ad eliminare le preferenze anche al Parlamento europeo. Stranamente hanno votato a favore di questa legge quando riguardava se stesse ed oggi sono contrarie quando il problema riguarda altri, sia con l'impatto su territori difficili sia per il problema della qualificazione.
Per rendere più forte questa mia riflessione vi sottopongo - le sottopongo, Signor Presidente - una riflessione che fu svolta, su questo tema, dal Ministro degli affari esteri del Governo Prodi, Massimo D'Alema. Egli, quando ricoprì la carica di titolare alla Farnesina, diede vita ad un gruppo di riflessione strategica dell'unità di analisi e di programmazione del Ministero degli affari esteri per cercare di capire come l'Italia si potesse muovere per contare di più in Europa. Ciò originò il Rapporto 2020 - Le scelte di politica estera.
Nell'introduzione D'Alema scrive (del rapporto che lui ha voluto, che ha seguito, che ha battezzato pubblicandolo con la sua introduzione) che questo rapporto è basato sulla convinzione - da me fortemente condivisa, scrive D'Alema - che l'Italia sia ancora in grado di far prevalere le opportunità sui rischi. E conclude scrivendo che questo rapporto è anche un invito ad investire di più o meglio - ossia in modo più razionale - nella sfera dell'azione esterna. Se l'Italia non intende diventare marginale, ma vuole invece restare fra i principali autori europei dovrà farlo.
Quali sono le idee che ci fornisce D'Alema nel Rapporto 2020, con il suo gruppo di riflessione strategica, per fare in modo che l'Italia non continui ad essere marginale? C'è l'allegato 4 al primo capitolo, a pagina 23, proprio dedicato alla riforma della legge elettorale per le europee; vediamo cosa sostiene in proposito il gruppo di riflessione strategica.
Esso afferma che dobbiamo «contribuire allo sviluppo di una nuova classe politica europea, esperta dei processi decisionali europei ed intenzionata a spendere in Europa la propria carriera politica, sull'esempio di altri principali Stati membri dell'Unione Europea». D'Alema afferma, pertanto, che dobbiamo migliorare la nostra delegazione al Parlamento europeo e che dobbiamo generare dei politici particolarmente preparati e qualificati che si dedichino esclusivamente alle istituzioni europee.
Il rapporto continua poi sostenendo che «la presenza italiana all'interno del Parlamento europeo non è sufficientemente influente ed efficace (come in fondo mostrato dalla controversia sui seggi spettanti all'Italia)». D'Alema afferma, dunque, quello che diciamo noi, ossia che questo sistema elettorale fa sì che noi non siamo influenti all'interno del Parlamento europeo e quando arrivano le battaglie, come quella sul numero dei seggi spettanti all'Italia, rischiamo di perderle.
Il gruppo di riflessione strategica del Ministro degli affari esteri di allora, D'Alema, aggiunge poi che «con l'attuale meccanismo del voto di preferenza (...) oltre a rendere costosissime le campagne elettorali (di gran lunga le più costose in Europa), si limita oggettivamente la possibilità di selezionare una classe dirigente più giovane e consona alle competenze e alle complessità dell'arena comunitaria».Pag. 51
Dunque è semplicissimo: noi la pensiamo come il gruppo di riflessione strategica di D'Alema nel senso che, con il meccanismo del voto di preferenza che determina le campagne elettorali più costose d'Europa per le elezioni europee in Italia, si rischia di dequalificare la nostra presenza al Parlamento europeo.
Vediamo cosa propone il gruppo di riflessione strategica del Ministro degli affari esteri di allora, Massimo D'Alema. Innanzitutto afferma che «una riforma della legge deve affrontare quattro punti fondamentali», il primo dei quali è indicato nella «possibilità che ogni regione d'Italia sia rappresentata da almeno un deputato nel Parlamento europeo».
La nostra proposta di legge, con quindici circoscrizioni, tendeva a fare quello che D'Alema ci ha chiesto con il gruppo di riflessione strategica, poi siamo venuti incontro alla vostra proposta di dieci circoscrizioni e siete stati voi a discostarci dal pensiero di D'Alema.
In secondo luogo tale rapporto prevede aggiustamenti sulla ripartizione dei seggi a favore delle minoranze linguistiche e ciò mi sembra giustissimo.
In terzo luogo, il Gruppo di riflessione strategica scrive: «la 'riconsiderazione' del voto di preferenza in circoscrizioni più numerose e più piccole di quelle attuali e la necessità di diminuzione dei costi (l'Italia è l'unico tra i grandi e medi Paesi europei ad utilizzare il voto di preferenza)». Allora mi chiedo: perché quando redigete il documento Rapporto 2020, di riflessione strategica, vi esprimete in un certo senso e quando, invece, siete in Parlamento ci dite l'esatto contrario e, se sosteniamo le vostre tesi, che sono state frutto di una riflessione addirittura «strategica», venite a dirci che stiamo imbrogliando il Paese e che stiamo per varare una «legge-truffa»? Dunque, ispirandoci a questo saggio lavoro voluto dall'ex Ministro degli esteri, D'Alema, ci siamo presentati con la proposta di legge in esame.
Per quanto riguarda il numero delle circoscrizioni, ritenevamo che avrebbero dovuto essere quindici; voi, invece, avete previsto dieci circoscrizioni e siamo venuti incontro alla vostra proposta. Sono del parere che più circoscrizioni si istituiscono, allorché non si debba indicare la preferenza, e meglio è, perché in questo modo si risolve il problema di avvicinare l'elettore all'eletto. Infatti, è evidente che la lista diventa così «corta», come si dice in gergo, che il meccanismo elettorale si risolve in una scelta diretta delle persone inserite nella lista.
Non comprendiamo, invece, l'ostruzionismo su alcune questioni. Oggi il collega Vassallo, prima in Commissione, ha affermato che è meglio far rimanere in vigore il meccanismo delle preferenze perché esse fanno parte di una tradizione radicata in Italia. Non riteniamo che tutto ciò che fa parte della tradizione radicata debba restare, perché così non si riformerebbe mai nulla nel nostro Paese. Inoltre, oggi stesso il collega Vassallo ha sostenuto che la legge elettorale è stata pensata per danneggiare gli alleati del Partito Democratico, l'Italia dei valori, l'Unione di Centro e i partiti alla propria sinistra. Innanzitutto, aspettiamo da Giordano e da Casini la notizia di alleanza con il Partito Democratico, che al momento non ci risulta. Nel momento in cui dovesse arrivare la notizia di alleanza, da parte di Giordano e di Casini, saremo pronti a dire che Casini ha votato a favore di una legge elettorale che prevede lo sbarramento e l'abolizione della preferenza e che Giordano è il più proporzionalista tra tutti coloro che sono stati in quest'Aula negli ultimi vent'anni. Invitiamo, pertanto, i colleghi del centrosinistra ad utilizzare degli argomenti ragionevoli per rifiutare la nostra proposta di legge. Tra l'altro, chi ha abolito le preferenze in Italia? Ossia, chi ha «inventato» la cosiddetta lista bloccata? È stata la regione Toscana. Vi è una sola regione dove non si esprimono le preferenze in Italia - ripeto, una sola regione - ed è la Toscana, che a guida del centrosinistra propose a noi del centrodestra il medesimo impianto della legge elettorale attualmente al nostro esame e finimmo per votare insieme la legge elettorale della Toscana, così come è giusto che sia per tutte le leggi elettorali. Sostanzialmente,Pag. 52dunque, si è trattato di una vostra iniziativa. L'attuale Partito Democratico è quello che ha «inventato» la lista bloccata in Italia, adoperandola per la prima volta in Toscana. L'attuale Unione di Centro, che sta all'opposizione, è il partito che ha votato a favore dell'approvazione della legge che abolisce le preferenze nel Parlamento italiano. Oggi, invece, scopriamo che siete diventati entrambi contrari. Spiegateci le ragioni oggettive per cui siete contrari all'abolizione della preferenza e i motivi per cui non lo eravate, gli uni quando si trattava di varare la legge elettorale del Parlamento nazionale e gli altri quando si trattava della legge elettorale per l'elezione del consiglio regionale della Toscana.
Concludo svolgendo una riflessione politica da cui, purtroppo, emerge il vero problema. Il vero problema che sta alla base della vostra posizione contraria sulle proposte di legge in esame è che nel merito non sapete cosa dirci, perché sono proposte su cui avete espresso un voto favorevole o che addirittura avete avanzato voi stessi, nel documento contenente le riflessioni strategiche. Il problema è che, a causa di alcune scelte elettorali e post-elettorali del centrosinistra, vi è un tentativo di far «passare», nel centrosinistra, il virus «dell'antiberlusconismo».
A differenzia di molti altri esponenti, sono molto contento della boccata di ossigeno arrivata a favore del leader del Partito Democratico, Veltroni, grazie alla manifestazione di sabato scorso. Ho ascoltato con molto interesse le sue parole e mi ha colpito soprattutto una sua frase, ossia che vuole tornare ad essere il riformatore della campagna elettorale. Allora, attendo Walter Veltroni e il Partito Democratico con quello spirito riformatore. Auspico che possano sedersi e discutere nel merito. Invece, in questa sede non si discute nel merito e vi è il condizionamento di chi sostiene che il collante dell'opposizione debba essere ancora l'antiberlusconismo e, dunque, essendo contro Berlusconi, a prescindere, si è contrari all'abolizione della preferenza nonostante in passato sia stata votata o proposta, si è contrari alla soglia di sbarramento presente in tutte le leggi elettorali, si è favorevoli ad un voto di preferenza che rende le campagne elettorali le più costose d'Europa e che non è presente in alcun Paese, grande o medio, d'Europa.
Infine, siete contrari ad uno sbarramento che tutti i Paesi d'Europa hanno. Si vuole, cioè, fare un danno all'Italia nella sua rappresentanza al Parlamento europeo, pur di fare un piccolo danno politico a Berlusconi. Qual è il percorso riformatore? Questo è il vecchio percorso dell'antiberlusconismo militante. Ci avete messo lo zampino dell'antiberlusconismo militante; infatti, quando presentate una proposta che prevede l'incandidabilità di Berlusconi alle elezioni europee (una assurdità rispetto a quanto accade nel mondo), significa che avete messo la firma sull'unica logica che vi muove, che non è la logica che muove noi.
Quindi, concludendo, noi siamo mossi da due obiettivi: evitare la frammentazione e migliorare la qualificazione della rappresentanza italiana al Parlamento europeo. Voi siete mossi da due obiettivi, rinnegando tutto quello che avete sostenuto finora: cercare di creare divisioni all'interno della maggioranza e, come secondo obiettivo, cercare di danneggiare Berlusconi, il suo Governo e la sua coalizione anche facendo pagare un costo molto alto al sistema politico italiano.
Per tale ragione, porteremo avanti questa proposta, utilizzeremo i numeri che la maggioranza degli italiani democraticamente ci ha garantito e con quei numeri offriremo al Paese una legge elettorale che renderà l'Italia più forte e più qualificata all'interno della prossima legislatura del Parlamento europeo (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, signor Ministro, signor relatore, signor presidente della Commissione, potrei fare riferimento singolarmente ad ogni collega presente in quest'Aula perché ciò nonPag. 53comporterebbe molto tempo. Non avrò il supporto di una memoria circa gli interventi dei Ministri degli affari esteri per affermare le nostre posizioni.

ITALO BOCCHINO. Tieni, ora ti faccio una fotocopia.

MARIO TASSONE. Grazie.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, non si deve interrompere un oratore!

MARIO TASSONE. Certamente farò forza sui miei ricordi, sulla storia, ma soprattutto sulle posizioni portate avanti dal nostro partito, non da adesso e non alla vigilia della presentazione del provvedimento in esame. Non c'è dubbio che la nostra posizione viene da lontano e siamo convinti, signor Presidente e signor Ministro, che qui non si discute di un fatto tecnico, di una sistematica sulla legge elettorale o della riforma di una legge elettorale (non è stato mai così nella storia della Repubblica quando ci vedevamo, discutevamo e approvavamo delle leggi elettorali e mi riferisco alle leggi elettorali che riguardavano l'elezione del Parlamento nazionale).
C'è sempre, dietro la legge elettorale, un riferimento alla storia, a tendenze, tensioni, opzioni, scelte, progetti, filosofie e culture. Dunque, quello che oggi è in piedi è un confronto tra due visioni che riguardano la nostra storia e l'organizzazione del nostro ordinamento e che investe il ruolo del Parlamento, ma soprattutto il cittadino nella sua individualità inserito nella comunità sociale.
C'è questo: il modo di capire e di comprendere che forza diamo alla persona umana, alla sua dignità, quale ruolo debba recitare e quale tipo di incidenza abbia il cittadino. Posso tranquillizzare il collega che ha parlato prima di me, l'onorevole Bocchino, che, per quanto mi riguarda, non c'è nessuna azione contro, nessun preconcetto; questa ossessione non l'ho mai avuta, non mi è mai appartenuta e non è mai appartenuta al mio partito.
Qui si deve soltanto discutere in termini sereni quanto noi volevamo fare in Commissione affari costituzionali. Lei che è stato presente, signor Presidente - signor Ministro mi rivolgo anche a lei -, sa che abbiamo trovato una chiusura e soprattutto l'indisponibilità ad un colloquio come se si fosse preventivamente confezionato un progetto di riforma e, quindi, il Parlamento non avrebbe avuto alcun ruolo, né avrebbe avuto seguito nel dibattito e nella discussione quanto avevamo sostenuto in Commissione.
In fondo, ciò è nella logica di questo provvedimento, che tende di fatto ad esautorare il Parlamento e quindi, a mio avviso, a toglierne la centralità. In questo caso, non vi è un problema di maggioranza o di minoranza; se l'avete posto come tale, è profondamente sbagliato questo tipo di confronto o di scontro tra maggioranza e minoranza. Più volte ci siamo trovati di fronte all'esame di leggi elettorali che dovevano ovviamente preludere a delle riforme istituzionali, tanto è vero che oggi ci troviamo di fronte ad una Costituzione immutabile e a una legge elettorale che ha introdotto ovviamente o avviato una Costituzione materiale di fatto, un presidenzialismo di fatto che certamente contraddice ed è confliggente con la Costituzione formale.
Signor Presidente, signor Ministro, il discorso in questo caso viene da lontano, dal referendum sulla preferenza unica del 1991, dal movimento referendario di Segni e dal referendum del 1993, quando certamente i cittadini votarono a favore sui quesiti referendari non rendendosi conto ovvero non ponendo alcuna attenzione ai quesiti stessi. Tuttavia, vi era un particolare clima, quello contro i partiti, quello di una svolta dei partiti e della politica all'interno del nostro Paese. Da allora - se la politica è migliorata o peggiorata, lo diranno i posteri - ancora, a mio avviso, l'attualità in cui viviamo è quella di una situazione transitoria.
Con questo provvedimento, si guarda all'Europa, ma a fini interni, perché si cerca di radicalizzare e di rafforzare un bipolarismo che per noi restringe gli idealiPag. 54della democrazia; un bipolarismo che per noi vanifica un po' la storia del nostro Paese, e voler accostare la storia del nostro Paese con quella di altri Paesi europei che hanno storie differenti e difformi dalla nostra, per giustificare anche l'introduzione dello sbarramento e l'eliminazione delle preferenze, è un errore e, più che un errore, una stupidità e un'ottusità - mi dispiace dirlo - sul piano politico che certamente non dovrebbe avere alcun tipo di riscontro e di riferimento in questo Parlamento.
Ho anche sentito delle dichiarazioni incredibili. Cosa significa che finiscono le ideologie? Le ideologie non sono mai appartenute ai partiti politici, almeno per quanto riguarda la nostra storia, quella dei cattolici democratici. Abbiamo avuto dei principi ispiratori e ciò significa avere la possibilità di far circolare idee, di confrontarsi, socializzare, dialogare e questa è stata la tendenza caratterizzante della storia della nostra Repubblica. Le ideologie non ci sono mai appartenute.
Inoltre, ho sentito dire che dobbiamo togliere le preferenze perché bisogna qualificare il Parlamento europeo. Ciò significa che non abbiamo fiducia nella sovranità popolare degli elettori. Abbiamo sempre detto, signor Presidente - signor Ministro, il suo partito, ma anche il Popolo della Libertà -, che l'Europa è in mano ai burocrati che confezionano tutto, che è un dispendio di risorse, ma soprattutto una limitazione alla agibilità dei parlamentari stessi e poi diciamo che dobbiamo dare alla centralità delle oligarchie dei partiti, svuotando ovviamente le potenzialità del cittadino, la possibilità di incalzare e qualificare l'Europa. Vuol dire che un Parlamento eletto democraticamente a suffragio universale con le preferenze è dequalificato perché c'è la sfiducia nei confronti dei cittadini e del cittadino elettore.
Questo è un fatto di un'assurdità e di una gravità incredibile, come è assurdo anche sostenere che se stabiliamo una soglia avremo poche possibilità di frammentazione. La frammentazione si evita con la maturità politica, con il risultato elettorale. Nel 2006, non c'era la stessa legge elettorale? Abbiamo avuto diciotto partiti e nessuno può escludere che questi partiti si possano moltiplicare anche nel corso di questa legislatura. Questo atteggiamento fideistico ritengo sia più un ripetere un copione e una procedura consolidata che un convincimento di alcune forze politiche, che in ogni caso dovrebbe avere un suo riscontro e una sua verifica.
Dico subito che ho avuto qualche perplessità quando in Commissione l'onorevole Vassallo ha detto che il problema della preferenza non attiene alla democrazia. Io contesto questo assunto. Certo, non dico che, se non c'è la preferenza, non siamo in democrazia, ma non è democratico questo rapporto tra rappresentanti e rappresentato così come l'abbiamo inteso, con questo tipo di coinvolgimento dei cittadini. Oggi la politica non esiste e i cittadini sono semplicemente degli spettatori delle trasmissioni televisive che parlano di politica, non sono protagonisti. C'è un aspetto forte che affievolisce il ruolo e la presenza dei cittadini nell'area della partecipazione e del coinvolgimento delle energie e delle intelligenze che rimangono sospinti ai margini. Molte volte le cooptazioni nelle scelte e nelle nomine dei partiti per comporre il Parlamento non aiutano questo nostro Paese a crescere. È un Paese sempre stanco e avvilito che può avere qualche entusiasmo e qualche manifestazione di letizia per le grandezze esteriori che si manifestano, ma certamente è un Paese che non avverte il peso della responsabilità e del coinvolgimento. Questo è un fatto estremamente grave.
Signor Presidente, signor Ministro, questi aspetti, noi li abbiamo evidenziati e li vogliamo ancora ribadire con la speranza che il dibattito parlamentare apra qualche spiraglio al confronto. Le chiusure non sono utili. Si vuole chiudere il dibattito e procedere con la forza della maggioranza? Questo discorso viene da lontano, lo debbo dire anche agli amici della sinistra, viene dal cosiddetto «Mattarellum» del 1994 quando vennero meno le preferenze; di fatto, venne meno la scelta dei candidati.Pag. 55Allora, nel 1994, ci fu, di fatto, un accordo tra un aerea della sinistra e la Casa della Libertà...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

MARIO TASSONE. ...per fare una feroce critica nei confronti della Democrazia Cristiana e di altri partiti. Vi fu un'alleanza di fatto che c'è stata anche all'inizio di questa legislatura tra Veltroni e Berlusconi per confezionare due blocchi o contenitori di poli, che poi non sono diventati partiti. Perché si è fatto ciò? Per sconfiggere cosa? Bocchino e il relatore dicono: i piccoli partiti. Debbo dire a qualche collega del Partito Democratico che non c'è alcun tipo di alleanza. Se qualcuno ha una visione satellitare dell'Unione di Centro nei confronti di una linea di tendenza dalla quale noi certamente, per quanto mi riguarda, siamo distanti per le cose che ho detto, sul piano culturale e della vocazione...

GIUSEPPE CALDERISI. Quindi, non siete alleati del Partito Democratico...

MARIO TASSONE. ...certamente costui si sbaglia, perché nessuno è satellitare. Caro signor relatore, noi siamo stati contrapposti in quest'Aula venticinque anni fa, ognuno con il proprio ruolo: io sono rimasto dov'ero; dove mi ha lasciato, mi ha ritrovato con un mio ruolo, una mia tensione, un mio sentimento.
Se la politica non ha sentimenti e se non ha riferimenti ideali, si svuota tutto; giocheremo sui numeri e sulle percentuali, ma certamente non giocheremo sui grandi disegni e sulle grandi passioni politiche.
Noi, con questa nostra posizione, abbiamo voluto portare nel dibattito un modo di intendere e di essere della politica, ma soprattutto un modo di intendere e di essere dei rapporti tra i cittadini, ossia gli elettori, e i loro rappresentanti (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Piccolo. Ne ha facoltà.

SALVATORE PICCOLO. Signor Presidente, il testo unificato al nostro esame ha già ricevuto da parte del Partito Democratico un riscontro negativo nella Commissione affari costituzionali, al punto che, di fronte alla chiusura intransigente e - lo vorrei dire - per certi versi prepotente, della maggioranza di Governo ad ogni ipotesi di confronto e di dialogo, il Partito Democratico è stato costretto, insieme agli altri gruppi di opposizione, ad abbandonare i lavori in Commissione per denunciare la gravità dello strappo che si tenta di perpetrare.
Il sistema elettorale che si vuole imporre oggi costituisce, nel suo complesso, attraverso le combinazioni dei vari disposti, un colpo alla democrazia partecipativa e non è uno scandalo affermarlo: è un vero e proprio esproprio alla sovranità del corpo elettorale, che sostanzialmente viene privato della possibilità di scegliere i suoi rappresentanti. L'opinione pubblica è disorientata e scossa: essa, era già stata segnata negativamente dalla legge elettorale approvata e voluta dal precedente Governo Berlusconi e ora vede limitato il suo diritto di esercitare pienamente il diritto di voto. La fiducia della gente nelle istituzioni, nei partiti e nella politica più complessivamente intesa rischia di essere effettivamente compromessa.
Le motivazioni addotte dal relatore, dalla maggioranza di Governo e dall'onorevole Bocchino sono strumentali. L'onorevole Bocchino, poco fa, intervenendo nel dibattito - mi dispiace che ora non sia presente in Aula - è ricorso, per l'ennesima volta, ad un giochino dialettico che ha già usato maldestramente nella Commissione affari costituzionali, tentando di attribuire all'onorevole D'Alema affermazioni che questi non ha mai fatto, cioè ricavando da un documento elaborato da un gruppo tecnico alcune espressioni e attribuendole confusamente all'onorevole D'Alema. Io qui non voglio stare a polemizzare, perché se volessimo ricordare il pensiero di alcuni anni fa dei dirigenti, a cominciare dal nostro Presidente della Camera, Fini, verrebbe da dire che laPag. 56maggiore contraddizione non è certamente nel Partito Democratico, ma nella Casa delle Libertà, nel PdL.
Come affermavo prima, le motivazioni che vengono addotte sono strumentali e deboli; la verità è che la questione che affrontiamo è estremamente seria e dedicata in quanto coinvolge l'assetto e la prospettiva della nostra democrazia. I meccanismi elettorali sono l'espressione di una concezione culturale e politica di una classe dirigente e inevitabilmente definiscono il percorso e l'evoluzione del sistema. Dunque, un problema simile andrebbe affrontato in un contesto dialogante e condiviso, con equilibrio e senso di responsabilità, in un confronto aperto e proficuo tra maggioranza e opposizioni, perché le istituzioni stanno a cuore a tutti e le decisioni che ne investono la configurazione e l'articolazione non possono essere appannaggio esclusivo di chi governa e detiene la maggioranza numerica in Parlamento.
Voglio innanzitutto esaminare un aspetto che per me è pregiudiziale, come ho già sottolineato in Commissione affari costituzionali. La discussione sull'adozione legislativa di un metodo elettorale sconta, a mio avviso, un grave limite: viene affrontata isolatamente, a prescindere dalla considerazione complessiva dei molteplici diversi meccanismi elettorali che vigono nel nostro Paese. Si legifera - e si continua a legiferare - sostanzialmente al di fuori di una logica di sistema e, perciò stesso, eludendo l'esigenza di un'omogeneizzazione complessiva degli strumenti elettorali.
Si persiste in questa pratica di riformare, spesso in peggio, il singolo meccanismo elettorale, ieri quello concernente il Parlamento nazionale, oggi quello concernente il Parlamento europeo e, prima ancora, quello per i comuni, le province e le regioni, con una dinamica disordinata, contraddittoria e, talora, quasi schizofrenica.
La verità è che, in questo Paese, c'è stata sempre una grande sottovalutazione dei modelli elettorali, quasi sempre ritenuti, ingiustamente, come un elemento accessorio e marginale dell'impianto istituzionale e dell'organizzazione della democrazia: si tratta di un enorme errore, che ha prodotto gravi conseguenze sul funzionamento del nostro sistema politico, spalancando le porte a una frammentazione partitica senza limiti e senza regole.
La polverizzazione delle forze politiche ha alimentato la formazione di molti partiti e partitini, talora addirittura a carattere parentale e personalistico, con inevitabili negative ripercussioni sulla stabilità dei governi nazionali e locali.
Conseguenze nefaste sono anche ricadute sulla qualità della rappresentanza politica e istituzionale e, ancora di più, sul costume e sull'etica dei comportamenti, che con troppa frequenza hanno logorato i principi di un modello ordinamentale virtuoso, efficiente e trasparente. In questo quadro, quindi, una discussione sulle modifiche elettorali fatta per pezzi - con riguardo, di volta in volta, ai singoli livelli istituzionali - è viziata alla base ed è destinata inevitabilmente a produrre soluzioni pasticciate e, comunque, inadeguate.
È il caso, appunto, del testo in esame, che arriva nell'imminenza della scadenza elettorale delle elezioni europee e, perciò, non agevola una decisione neutrale e obiettiva, in quanto prevale, chiarissima ed evidente, la tentazione, la tendenza a varare una normativa che al momento appare la più conveniente per la maggioranza di Governo e, soprattutto, per il suo leader.
Fatta questa premessa, affermo con chiarezza, per sgombrare il campo da equivoci (come poc'anzi ha fatto il vicepresidente del gruppo PdL), che il Partito Democratico è decisamente favorevole a realizzare l'obiettivo della riduzione della frammentazione partitica, senza «se» e senza «ma». Ciò è dimostrato da una scelta coraggiosa compiuta dall'onorevole Veltroni alle recenti elezioni politiche: è una scelta inequivocabile ed emblematica, che sicuramente ha consentito di avviare un processo fortemente innovativo nella direzione positiva della semplificazione.
Vale la pena di ricordare che è stato proprio il PD a mettere in moto unaPag. 57dinamica sostanzialmente correttiva del sistema, anche a costo di pagare un salato prezzo elettorale. Siamo persuasi profondamente, quindi, che occorra fissare una soglia di sbarramento per accedere all'assegnazione dei seggi, facendo però attenzione che essa non sia eccessivamente alta, per non cancellare del tutto una rappresentanza plurale della nostra società. Eliminare la frammentazione non significa irrigidire il sistema a tal punto da trasformarlo in un bipartitismo perfetto. Occorre, sì, modernizzare la nostra democrazia e, quindi, adeguare gli strumenti elettorali, evitando però di organizzare una trama normativa che si traduca in una sorta di conventio ad excludendum.
In questa pericolosa logica il PD non si lascerà intrappolare e, quindi, contrasterà, come ha già fatto in Commissione, il malizioso disegno che punta ad annientare tutti - o quasi - i partiti minori, attraverso il combinato disposto di una soglia molto alta di sbarramento e della contestuale abolizione del voto di preferenza. Il nostro «no» su questo punto è netto e fermo, come è netto, categorico e irriducibile il nostro «no» all'abolizione del voto di preferenza.
Dove ci stiamo avviando con sistemi elettorali che lasciano nelle mani di pochi leader di partito la composizione delle assemblee elettive?
A quale deriva plebiscitaria vogliamo condurre la nostra democrazia? La nomina di deputati, senatori, parlamentari europei e la prevedibile graduale estensione di questo modello ai livelli istituzionali locali diventa un attentato all'esercizio corretto e normale del sistema democratico.

PRESIDENTE. Onorevole Piccolo, la prego di concludere.

SALVATORE PICCOLO. Prevale e si radica, attraverso questa strada, un modello di personalizzazione estrema della politica, che affida ogni decisione all'uomo solo al comando, al predestinato, all'unto dalla provvidenza, a colui che alimenta la speranza e nutre sapientemente l'illusione che l'imperio assoluto possa risolvere di per sé tutti i problemi e far fronte a tutte le emergenze. Per questa via, si forma e si impone un ceto politico autoreferenziale e distante dalla sensibilità e dai bisogni del territorio, quella casta tanto deprecata quanto invisa all'opinione pubblica.
Non appaiono convincenti le motivazioni addotte, anche dal relatore, per giustificare l'abolizione del voto di preferenza. Voglio subito dire, per chiarezza, che nessuno pensa che il voto di preferenza sia la soluzione ideale e perfetta per assicurare l'efficienza, la trasparenza e la correttezza del sistema democratico. Ne conosciamo i difetti ed i limiti, ma parimenti nessuno suppone che sia migliore e più virtuoso un modello elettorale nel quale l'elettore non ha alcun potere di controllo e di sanzione sugli eletti e che, per converso, potenzia al massimo le oligarchie di partito e, di fatto, esclude la partecipazione reale dei cittadini dal processo democratico.
Nell'attuale contesto storico politico il voto di preferenza è necessario. In questo sistema così congegnato il voto di preferenza è ineludibile, a meno di non volere immaginare complessivamente un sistema alternativo dove, comunque, vi è un controllo democratico da parte del corpo elettorale. Con questo sistema sostanzialmente si privilegia - il relatore lo ha detto anche nella sua relazione in Commissione - l'idea di un partito unitario, anzi unanimistico, che è «posseduto» dal suo capo, il quale pensa, sintetizza, decide e agisce per tutti, con buona pace di ogni esigenza di confronto dialettico e di contraddittorio democratico. Così la convinzione e l'interesse del leader diventano la convinzione e l'interesse di tutto il partito, anzi di tutta la coalizione, anzi di tutto il Paese.
È questa la configurazione che si intende dare alla nostra democrazia. Certamente...

PRESIDENTE. Onorevole Piccolo, lei ha il diritto di continuare il suo intervento, però devo avvisarla che ha superato di due minuti il tempo a sua disposizione e che tale tempo verrà sottratto al suo gruppo.

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SALVATORE PICCOLO. Signor Presidente, salto gli altri punti che volevo sottolineare e vado subito alla conclusione, che costituisce un invito pressante ad una riflessione serena e responsabile sul provvedimento in esame.
Evitiamo di immetterci in un percorso pericoloso, che ferisce ulteriormente il sistema della rappresentanza democratica e lacera ancora di più il fragile tessuto del rapporto con l'opinione pubblica. Se così non fosse e la maggioranza intendesse ostinatamente mantenere una posizione chiusa, blindando il testo unificato, allora la nostra contrarietà sarà ferma ed irriducibile. Sarà un'opposizione - sia chiaro a tutti - senza sconti e senza cedimenti. Saremo in prima fila nel Paese a denunciare la gravità di questo comportamento, che indebolisce le istituzioni e le piega agli interessi di una parte. Non saranno certo l'insofferenza e l'intolleranza del Presidente del Consiglio verso ogni forma di dissenso a farci cambiare idea (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Piccolo, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Rampelli. Ne ha facoltà.

FABIO RAMPELLI. Signor Presidente, Ministro Calderoli, onorevoli colleghi, diversamente da ciò che ho ascoltato in alcuni interventi di questa mattina, penso che il lavoro svolto fin qui, su una materia comunque assai complessa, sia positivo e mi auguro possa dare frutti altrettanto positivi e ammagliare nuovamente una discussione che si è «annodata» nel corso degli anni e che ha attraversato più legislature e più Governi.
Vi sono questioni importanti sul tavolo, sulle quali siamo chiamati a svolgere una riflessione oggettiva, libera da condizionamenti, presupposti e pregiudizi di carattere quasi ideologico. Quando si entra nell'ambito delle grandi riforme, bisogna poterlo e saperlo fare nel modo più libero possibile, perché l'obbiettivo è arrivare ad una sintesi che sia maggiormente rappresentativa rispetto a quella di un partito, di una coalizione o di un Governo. Questo non è ciò che afferma chi vi sta parlando, ma quello che, per tante volte, abbiamo ascoltato dai leader di tutti i partiti e di tutte le coalizioni che hanno governato questa nostra nazione.
Penso, dunque, che il lavoro portato innanzi fin qui dalla Commissione sia stato proficuo nella misura in cui è stata raggiunta una tappa importante, quella di individuare uno sbarramento che è utile a correggere autentiche degenerazioni del sistema, più che delle anomalie. Sappiamo, infatti, che all'interno del Parlamento europeo, in barba anche al principio democratico della sovranità popolare, siedono persone che, sia in termini numerici assoluti, sia in termini di preferenze raccolte, possono esibire un portafoglio di consenso davvero limitato, forse poco dignitoso per la nostra nazione.
In questo testo unificato è stato svolto un lavoro altrettanto positivo nella ridefinizione dei collegi elettorali. Sarebbe stato meglio, forse, accedere alla proposta iniziale, quindi, a una maggiore articolazione che desse a ciascuna regione la possibilità di individuare un proprio parlamentare europeo di riferimento, ma, comunque, già questa configurazione abbatte il costo di una campagna elettorale, anche nel caso in cui venissero mantenute le preferenze. La ridefinizione dei collegi elettorali, dunque, costituisce un lavoro utile (anche nel caso del mantenimento dell'istituto della preferenza) per combattere i costi eccessivi che hanno procurato altre e ulteriori degenerazioni e, in taluni casi e in alcune aree geografiche del Paese, anche delle indigeribili commistioni con i poteri criminali.
Vi è sicuramente un altro risultato positivo, che è quello di rendere maggiormente compatta la rappresentanza italiana al cospetto del Parlamento europeo e, dunque, un ritorno ad una logica - che noi sentiamo particolarmente vicina allaPag. 59parte politica che rappresento - capace di rappresentare gli interessi nazionali. Infatti, quando si cede la sovranità a organismi compositi, più estesi rispetto a quelli rappresentati istituzionalmente all'interno dei confini nazionali, bisogna avere la capacità di riscoprire il senso di appartenenza. Da un lato, bisogna lavorare per arrivare a delle sintesi con gli altri Paesi ma, dall'altro lato, bisogna anche avere la capacità di manifestare il proprio punto di vista, tutelando e garantendo l'interesse nazionale; questo è un altro importante obiettivo conseguito.
Esiste, però, una domanda che va posta, perché attraversa la legge elettorale, e che entra nel «collo» di questa legislatura e di questa fase storica; ciascuno di noi deve porsela per tentare di comprenderla nella maniera che le è più propria: è la grande questione del futuro della democrazia, la grande questione della rappresentatività e dell'aggregazione dei partiti e del loro funzionamento. Giustamente - a mio giudizio - il sistema si è bipolarizzato e riteniamo che questa scelta debba e possa essere irreversibile.
È una scelta che chiarisce alcuni processi e che offre al cittadino il diritto, finalmente, di vedere manifestarsi anche alcune opzioni in maniera lineare, quindi al riparo da alambicchi, bilancini e trasformismi.
Penso che questa conquista, per coniugarsi con presupposti democratici e forme di partecipazione, debba porsi tendenzialmente al centro del meccanismo di partecipazione dei partiti, in particolare del meccanismo di selezione dei partiti.
In questa fase la capacità del bipolarismo di affermarsi, di metabolizzarsi, di entrare dunque nel tessuto vivo della nostra nazione si sta realizzando sempre più rapidamente. Il processo di composizione, a sinistra, del Partito Democratico, frutto di un'unione di tanti e vari partiti, ha dimostrato e testimoniato una capacità di stabilizzare questa aggregazione inizialmente solo movimentista. Dall'altra parte, anche il Popolo della Libertà si sta attrezzando per formalizzare una unione che di fatto è già stata battezzata dall'elettorato di centrodestra in maniera virtuosa e positiva.
Allora, quando queste situazioni consentono comunque a più partiti di aggregarsi, semplificando in buona sostanza il quadro politico e parlamentare per come noi lo conosciamo e lo stiamo vivendo, si rileva certamente un aspetto positivo (che non sfugge a nessuno), ma vi è anche un rischio che bisogna in qualche maniera affrontare di petto. Il rischio è quello che nei grandi contenitori si perda quel principio di partecipazione che è parte integrante del concetto di democrazia.
Io o non sono pregiudizialmente favorevole o contrario all'istituto della preferenza. Penso che obiettivamente, se potessimo liberarci di questo fardello, potremmo rendere un servigio alla nazione, soprattutto ad alcune aree geografiche del Paese che hanno bisogno di riscattarsi e, quindi, necessitano di un aiuto in termini di individuazione di regole virtuose.
Penso, però, che questo processo di abolizione delle preferenze, per coniugarsi con il concetto di partecipazione e, quindi, con il principio di sovranità popolare (che in democrazia tutto è fuorché un'appendice), debba rafforzare i partiti, debba far vedere un processo di riforma dei partiti e debba far capire al cittadino come funzionano i partiti, come fanno selezione, quali regole adottano, ed in che modo tali regole sono difese e rappresentate al cospetto dei cittadini, condivise o meno dai cittadini stessi.
Finché questo processo di riforma nell'organizzazione dei partiti non sarà comunque un fatto compiuto, una conquista di questa fase storica, la preferenza rischia di diventare l'unica arma di difesa del cittadino.
Quindi, da questo punto di vista, la riflessione deve essere a tutto campo; e deve essere una riflessione sicuramente positiva, che metta in evidenza i vantaggi che possono conseguire dall'abolizione della preferenza, ma anche i profili di critica nel momento in cui si analizza quanto potrebbe accadere in assenza diPag. 60preferenze e in assenza di regole trasparenti e lineari nella selezione da parte dei partiti della propria classe dirigente.
Un'altra riflessione che voglio svolgere è quella del rapporto tra democrazia e tecnocrazia. Infatti, fino ad un certo momento della storia del mondo, non soltanto di quella italiana e dell'Occidente, vi sono state ideologie che hanno prodotto altrettante degenerazioni rispetto a quelle evocate fin qui (potremo ancora allungarne la lista) e che, però, hanno posto una sorta di riparo, un vero e autentico scudo, rispetto al tentativo dei poteri economici, finanziari e tecnocratici di impossessarsi della cabina di regia attraverso la quale la democrazia si rappresentava, tentando così di orientare le scelte del Paese e del sistema.
In epoca grama, in cui giustamente le ideologie sono tramontate e hanno lasciato il posto ad un realtà più nobile, che è la concezione del mondo ispiratrice (il sistema dei valori verso i quali ciascuno si orienta anche quando compie delle scelte politiche), quando, dunque, le ideologie vengono meno e ci si riferisce alle concezioni del mondo e ai sistemi di valore, evidentemente bisogna fare attenzione perché vi è una fase altrettanto critica, vi è un punto di debolezza.
Se in Europa - davvero è l'ultima riflessione che voglio concedermi - si dice che le preferenze possono ancor meno servire rispetto a qualunque altro tipo di contesto perché, comunque, in Europa servirebbero altri profili, personalità che magari possano conoscere meglio il meccanismo di Bruxelles (peraltro chiunque tra noi sarebbe nelle condizioni di imparare nel minor tempo possibile perché non parliamo certamente di questioni complicatissime dal punto di vista tecnico, aritmetico, scientifico, bensì di materie che tutti possono imparare) bisogna fare attenzione perché, a mio giudizio, vi è sempre dietro l'angolo il rischio da parte delle tecnocrazie di occupare il cuore del sistema, laddove questo non può che essere ciò che si rappresenta attraverso l'impegno civico.
Che cosa si va a fare in Europa, piuttosto che nel Parlamento italiano, piuttosto che in un consiglio regionale o in un consiglio comunale quando non si ha una visione? Un tecnico, una persona che ha un curriculum vitae e un curriculum professionale eccezionale, come si comporterà rispetto alla nota questione dei diritti civili piuttosto che rispetto alla geopolitica e ai rapporti internazionali? Porterà il suo contributo di grande conoscitore dei meccanismi dei Fondi strutturali? Penso che non sia comunque sufficiente: è sempre la politica con la «p» maiuscola che sceglie. È sempre la politica che deve difendersi rispetto alla tentazione che sta sempre lì dietro l'angolo da parte delle tecnocrazie di impossessarsi del centro del campo e di dettare le regole del gioco per piegare il sistema alle proprie convenienze.
Quindi, come avete potuto constatare, non ho dato grandissime indicazioni in termini concreti. Vi è una serie di dubbi, il dibattito si sta aprendo in queste ore dal punto di vista parlamentare. Spero che anche l'UdC e il Partito Democratico abbiano la capacità di superare una certa volontà di manifestare la propria contrarietà aprioristica a quanto afferma e propone il Popolo della Libertà, al fine di costruire un percorso condiviso perché su determinate questioni non ci può essere davvero differenziazione che tenga: è necessario rappresentare tutti e compattamente gli interessi del popolo italiano, traguardando quelli che oggi sono sotto gli occhi di tutti e che rappresentano le ore che viviamo in questo Parlamento, ciò che resta e ciò che, disegnato da noi, potrà attraversare anche fasi storiche e politiche differenti.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiti. Ne ha facoltà.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, rappresentante del Governo, colleghi, credo che vadano apprezzati i dubbi del collega Rampelli che mi ha preceduto e anche l'auspicio finale di avere una legge elettorale condivisa che questo Parlamento, la Camera e il Senato della Repubblica, dovrebbe approvare.Pag. 61
Sta di fatto, però, che la maggioranza di questo Parlamento, in particolare la maggioranza relativa, e addirittura i deputati del Popolo della Libertà da soli, hanno licenziato in Commissione affari costituzionali una proposta di legge per l'elezione dei parlamentari europei che ricalca il solco già percorso dalla legge elettorale nazionale italiana.
La legge elettorale per le elezioni politiche in Italia ha arrecato un danno incalcolabile all'immagine della politica nella società italiana. Il distacco dei cittadini dalla politica è cresciuto, mentre la condanna di quel che rimane dei partiti di vecchio stampo non è stata mai così generalizzata.
Nonostante il clima che si vive nel Paese, la presentazione di una simile proposta per le elezioni europee non è assolutamente spiegabile, se non c'è dietro un disegno innominabile di costruire per il futuro una società di sudditi senza i diritti fondamentali riconosciuti in tutte le società civili.
Il Governo - e per esso il Ministro Calderoli - ha chiarito che in questo caso intendeva presentare un suo disegno di legge, da prendere solo come stimolo alla discussione parlamentare, per avere una nuova legge elettorale per le elezioni di primavera del Parlamento europeo.
Avendo, tuttavia, il Parlamento nazionale autonomamente avviato l'esame di provvedimenti in materia, i quali prospettano un ampio ventaglio di soluzioni, il Governo stesso, per bocca del Ministro Calderoli, ha rinunciato a presentare un proprio testo, riservandosi di esprimere le proprie valutazioni a conclusione del dibattito parlamentare. Questo, a mio avviso, può essere un varco in cui inserirsi per migliorare effettivamente il testo e per rispondere a quell'auspicio cui faceva riferimento il collega che mi ha preceduto.
Intanto, vi è da domandarsi se vi sia una reale necessità di provvedere a rendere il sistema elettorale per le elezioni europee omogeneo a quello per il Parlamento italiano. I due Parlamenti sono chiamati a compiti assai diversi: il Parlamento europeo non deve esprimere una maggioranza di Governo, ma solo una rappresentanza, non deve promuovere un Consiglio dei Ministri o ratificarne le decisioni. Perciò, essendo soltanto di rappresentanza, diventa sacrosanto il diritto di tutte le voci rilevanti in ogni Stato membro di esprimere il proprio pensiero da quell'autorevole tribuna. Quindi, non vi è alcuna ragione per approvare una legge omogenea a quella nazionale che, detto tra noi, risulta la peggiore delle leggi possibili per confessione di uno dei suoi autori, che è proprio il Ministro Calderoli (il quale l'ha definita proprio con una parolaccia).
Ecco perché ci risulta incomprensibile la scelta di inserire una soglia di sbarramento, sul piano nazionale, del 5 per cento dei voti validi.
Ma ancora più incomprensibile risulta l'abolizione del voto di preferenza. Sia la prima sia la seconda scelta sono state giustificate dal rappresentante della maggioranza Bocchino, vicecapogruppo del Popolo della Libertà, con questi argomenti: si evita la preferenza per tentare di qualificare la rappresentanza. Capite che in questa situazione - in cui, come diceva bene l'onorevole Rampelli, il Partito Democratico ha fatto già un passo avanti nella sua riorganizzazione e il Popolo della Libertà adesso si sta avviando a costituire un embrione di partito, anche se si dice che è stato qualificato da un risultato elettorale - qualificare la rappresentanza vuol dire compiere la scelta attraverso una decisione di vertice, che sappiamo essere molto limitata nel numero (secondo me il numero delle dita di una mano è troppo elevato: in altre parole, una persona, grosso modo).
Quindi, ciò significa che chi presenta una valutazione di questo genere ritiene che il popolo, il cittadino, l'elettore non sceglie in modo qualificato la rappresentanza e, quindi, la rappresentanza deve essere scelta dai rappresentanti di questi partiti, che in questo momento non godono di popolarità.
L'altra ragione espressa dall'onorevole Bocchino è quella di dire: io rappresento un elettorato meridionale e posso garantire che l'espressione della preferenza alimentaPag. 62le varie mafie nel Mezzogiorno. Queste certamente non sono confessioni da rappresentante di una maggioranza di Governo che in questo momento governa. Piuttosto, si potrebbe dire di voler realizzare l'espressione della preferenza e di voler combattere contestualmente - o, prima - qualunque tipo di connessione tra politica e malavita. In tal caso, accetterei questo discorso, altrimenti mi sembra veramente di abdicare proprio alla malavita.
Cari amici del centrodestra, non illudetevi nemmeno voi sul giudizio dei cittadini. Rivolgo un appello proprio gli amici dei grandi partiti di destra e di sinistra, che potrebbero avere la tentazione di dire: ci presentiamo e vinciamo solo noi. Il passaggio di una siffatta legge contribuirà a far crescere l'attacco qualunquista alla democrazia, che non risparmierà nessuno e, prima di tutto, voi.
Se si superano certi limiti, si fa un salto nel buio. In Italia abbiamo una tradizione: votiamo attraverso l'espressione delle preferenze, abbiamo una tradizione a partire dal dopoguerra e non possiamo passare dai parlamentari italiani nominati a quelli europei nominati. Si potrebbe anche realizzare questo passaggio, ma non crediate che l'opinione pubblica si possa manovrare sempre.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, mi avvio alla conclusione. Nell'attuale situazione di crisi economica, ormai evidente, basta poco per accendere dei focolai di tensione. Tutti sappiamo quanto sia cresciuta la nostra impopolarità a cagione di questo nostro comportamento. Finiamola, quindi, di alimentare questo ingiusto attacco alle istituzioni repubblicane. Svolgiamo le elezioni europee con una legge democratica: è il nostro dovere di maggioranza e di opposizione (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Misiti, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Duilio. Ne ha facoltà.

LINO DUILIO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, se posso, vorrei rivolgermi anche ai cittadini che ascoltano (magari vi è qualcuno in ascolto in giro per l'Italia) i quali, non potendo vedere, possono beneficiare di una descrizione plastica della situazione in cui ci troviamo: un'Aula deserta, in cui vi sono cinque o sei deputati e non vi è il Ministro competente a seguire la nostra discussione, mentre stiamo affrontando un tema estremamente rilevante come quello del cambiamento della legge elettorale per il Parlamento europeo.
Direi che questa situazione plastica rappresenta un po' un segno dei tempi, di un decadimento progressivo della nostra democrazia, di un deperimento qualitativo all'interno del quale la condizione del cittadino si pone sempre più come irrilevante ai fini delle scelte dei rappresentanti del popolo.
Alla luce della provvedimento che si va ad approvare - il cui destino è segnato, nel senso che in Commissione abbiamo constatato che non vi è stata alcuna possibilità di modificare il contenuto della proposta del relatore - credo che quanto stiamo facendo contribuisca ad accrescere ulteriormente il deperimento qualitativo dell'idea democratica nel nostro Paese, perché determina un'ulteriore separatezza tra i cittadini ed i propri rappresentanti.
Siamo contrari a tutti e tre i punti qualificanti di questa proposta di legge che intende innovare e che riguardano il tema delle preferenze (o meglio, dell'abolizione delle preferenze, con la predisposizione di una lista bloccata in cui i cittadini non possono mettere il naso, se così si può dire, e peraltro con una scheda elettorale che non contiene nemmeno l'elenco dei nominativi dei candidati), il numero delle circoscrizioni e la percentuale che rappresenta la soglia di sbarramento. Siamo in dissenso su tutti e tre questi punti; nonPag. 63avendo molto tempo a disposizione, illustrerò rapidamente le ragioni del dissenso sui primi due.
Siamo in dissenso rispetto alla fissazione di una soglia del 5 per cento perché la consideriamo troppo alta: occorrono, infatti, quasi due milioni di voti per poter avere una rappresentanza in seno al Parlamento europeo. Penso che questa soglia sia, peraltro, non congruente con la soglia che è individuata, a livello di legge elettorale, per il Parlamento nazionale, e ritengo che la rappresentanza in seno al Parlamento europeo sarà ulteriormente penalizzata - come è stato osservato già da alcuni colleghi - senza peraltro che vi sia nemmeno una ragione plausibile perché ciò accada, in quanto stiamo parlando di elezioni di rappresentanti in seno ad un Parlamento (quello europeo) che non ha la funzione legislativa e che non esprime un Governo.
La seconda ragione di dissenso riguarda il numero delle circoscrizioni. Abbiamo provato a presentare alcuni emendamenti in Commissione che ampliavano il numero delle circoscrizioni, ma tutte le nostre proposte sono state bocciate. Non è stata nemmeno accettata la proposta di portare le circoscrizioni da dieci - come prevede il testo in esame - ad undici, stabilendo che la Lombardia venisse divisa in due circoscrizioni. Io vivo in Lombardia, è una regione che ha circa nove milioni di abitanti ed avevamo proposto di dividerla almeno in due circoscrizioni, perché si può immaginare quale rapporto vi possa essere tra il cittadino e i suoi rappresentanti in una regione così vasta. Ebbene, nemmeno questa proposta è stata accettata. Avevamo immaginato che ampliare il numero delle circoscrizioni, se anche si fossero abolite le preferenze, avrebbe potuto consentire di avere un rapporto più diretto e con le liste cosiddette corte si sarebbe potuto consentire di far esprimere scelte un poco più consapevoli ai cittadini. Tuttavia, come dicevo, nemmeno questa proposta è stata accolta.
E vengo alla ragione (su cui mi vorrei soffermare, sia pure brevemente, un po' di più) di dissenso ulteriore - last but not least, anzi, direi la principale - e cioè l'abolizione delle preferenze e la presentazione di liste bloccate. Che cosa accadrà una volta approvata questa proposta di legge? I cittadini andranno a votare, troveranno una lista su cui non sono nemmeno indicati i nomi dei candidati (perché se li si vogliono conoscere, bisogna andarli a vedere fuori, sui manifesti) e potranno votare semplicemente il partito, a prescindere dal fatto che in lista vi sia Tizio, Caio o Sempronio: si tratta, sostanzialmente, di una delega ai partiti.
Nel frattempo è arrivato anche il Ministro e, quindi, lo saluto (lo dico a beneficio dei cittadini che sono in ascolto perché, come dicevo, forse è bene che abbiano anche contezza della situazione plastica che vi è in quest'Aula del Parlamento così deserta).
Ebbene, i cittadini sostanzialmente dovranno scegliere semplicemente il partito, il quale deciderà quali sono i rappresentanti che verranno - usiamo la parola esatta - non eletti, ma designati dal capo del partito in seno al Parlamento europeo. È bene richiamare il fatto che non abbiamo nemmeno partiti democratici che hanno meccanismi di selezione della classe dirigente al proprio interno, procedure codificate, dibattiti veri, ma abbiamo sostanzialmente una situazione quasi monarchica o tirannica (come direbbe qualcuno che forse è un poco più pessimista, anche se credo che questo discorso non sia lontano dal vero), sicuramente delle oligarchie. Diciamo così: dieci persone e i loro cari designeranno quelli che sono i rappresentanti in seno al Parlamento europeo.
Il relatore si è addirittura avventurato, nella relazione che ci ha proposto in Commissione, a giustificare sul piano «teorico-filosofico» questa scelta, sostenendo che bisogna domandarsi - evidentemente era una domanda retorica - se la previsione delle preferenze non confligga con l'idea di un partito la cui immagine e unitarietà sono assicurate dalla presenza del leader. Quindi, evidentemente, prevedere le preferenze potrebbe comportare, come è stato ribadito anche questa mattinaPag. 64nella relazione, lotte fratricide che danneggiano il partito, per cui - udire, udite - quale soluzione troviamo?
Si elimina ogni possibilità di competizione all'interno dei partiti tra i candidati e si consegna il potere di nominare i rappresentanti in seno al Parlamento europeo ad una persona sola, che è il capo del partito. Si è anche detto, come seconda motivazione, che pure dovrebbe servire a portare acqua al mulino di un'esegesi teorico-filosofica per giustificare questa innovazione, che, se ci fossero le preferenze, i rappresentanti del popolo dovrebbero impiegare un po' di tempo a curare i rapporti con i propri elettori. Questo, evidentemente, farebbe perdere tempo e non potrebbe consentire di concentrarsi sulle questioni molto complesse e rilevanti che devono essere affrontate in seno al Parlamento europeo. Questa considerazione allude a quanto si è sostenuto e ho visto essere oggetto di riflessione di qualche esegeta che si è diffuso in qualche editoriale di giornale, e cioè che, dal momento che in Europa occorre mandare persone competenti, è chiaro che ciò non può avvenire in seguito a una scelta fatta dai cittadini.
Quindi, si sostituisce il discorso della competenza a quello della libertà del cittadino che è sovrano e che deve selezionare la sua classe dirigente. Non si pensa nemmeno lontanamente a trovare degli accorgimenti che permettano di selezionare al meglio la classe dirigente lasciando però al cittadino, reso consapevole della situazione, la possibilità di scegliere tra i vari candidati che sono in lista.
Potrei dire: altro che - come si affermava a suo tempo - restituire lo scettro al principe! Forse oggi è considerata un po' romantica la visione che mira a restituire il potere al cittadino messo in condizione di poter eleggere i propri rappresentanti. Se posso affermare in modo un po' ironico - un po' di ironia e forse anche un po' di autoironia, credo, ci vuole sempre - il motto «Restituire lo scettro al principe» dovrebbe essere sostituito da quello «Abolire il popolo». Questo è il vostro motto!

PRESIDENTE. La prego di concludere.

LINO DUILIO. Bisogna abolire il popolo, se per popolo intendiamo cittadini che sono titolari di diritti e che possono compiere le proprie scelte. Non è nemmeno vero che tale scelta viene realizzata per evitare che ci siano competizioni che richiedono enormi risorse finanziarie: sarebbe infatti interessante verificare quanti soldi si chiederanno a coloro che saranno nominati in seno al Parlamento europeo. Si fanno allusioni a cifre molto preoccupanti. Sarebbe interessante verificarle, per evitare di giungere al paradosso di doversi comprare la nomina - non l'elezione - a parlamentare europeo. Arriveremo ad avere rappresentanti che saranno nominati e che dovranno disporre di ingenti risorse da pagare, versandole a chi ha avuto la bontà di nominarli all'interno di queste liste.
Concludo con una citazione, signor Presidente: lei è un filosofo e mi permetto di ricordare Alexis De Tocqueville che, con riguardo alla situazione politica ai tempi del re Luigi Filippo, diceva più o meno così: «la situazione si immiserisce nella credenza, sempre più diffusa nella massa, che si tratta di uno spettacolo nel quale gli attori non sono tanto interessati al successo della commedia ma al proprio tornaconto personale, e chi si innamora della politica si deve quasi vergognare della sua stupidità».
Ritengo che dobbiamo continuare a fare di tutto, con un po' di sentimento, che è stato richiamato dall'onorevole Tassone, per contrastare questa deriva tecnocratica ed efficientistica che, in nome di una presunta razionalità, arriva alla conclusione paradossale di identificare la democrazia non più con la sovranità del popolo ma con la sovranità di qualche capo di partito che decide per conto del popolo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Nicco. Ne ha facoltà.

ROBERTO ROLANDO NICCO. Signor Presidente, signor Ministro, onorevole relatore,Pag. 65colleghi, abbiamo recentemente discusso in quest'Aula della ratifica del Trattato di Lisbona. Esso, pur con tutti i limiti allora da più parti evidenziati, rappresenta comunque un ulteriore passo verso la costruzione di quell'Europa unita la cui necessità quale essenziale fattore di equilibrio è ampiamente dimostrata tanto dalla crisi finanziaria di queste settimane quanto dalle ricorrenti crisi politiche internazionali.
Un'Europa che, con le sue direttive, incide direttamente sulla vita di tutti noi, singoli cittadini ed imprese. È evidente, quindi, l'importanza delle prossime elezioni per il Parlamento europeo, pure in un assetto istituzionale che presenta ancora troppi livelli decisionali: Consiglio europeo, Commissione, Consiglio ed, appunto Parlamento.
Come Minoranze linguistiche rivendichiamo da anni il diritto di avere voce diretta in quel consesso, ed è su questo punto che intendo soffermarmi senza entrare, per ragioni di tempo, in altre pur decisive questioni poste dalla proposta in discussione. Non ripercorro qui tutte le tappe delle nostre iniziative parlamentari, ricordo solo che nella scorsa legislatura abbiamo presentato una nostra proposta di legge, l'Atto Camera n. 199, per inserire sia la Valle d'Aosta, sia la Provincia autonoma di Bolzano nell'elenco delle circoscrizioni elettorali. Tale proposta è stata discussa insieme ad altre dalla I Commissione che, dopo un lungo esame, era infine giunta, il 20 dicembre 2007, al noto testo base unificato che ridisegnava le circoscrizioni elettorali su base regionale e delle province autonome e assicurava comunque un seggio ad ogni circoscrizione.
Si tratta di un'impostazione politica della questione peraltro non nuova: voglio ricordare che già nella XIV legislatura vi erano state proposte di legge in tal senso a firma di deputati di differenti gruppi, da Alleanza Nazionale ai DS, da Forza Italia alla Margherita. Essendo poi stato interrotto l'iter di quel testo base unificato dalla crisi di Governo e dalle successive elezioni, la componente delle Minoranze linguistiche ha ritenuto opportuno farlo proprio e ripresentarlo. Abbiamo dovuto constatare che altro era l'orientamento della maggioranza espresso nella proposta di legge n. 1491 e consolidatosi poi nel testo base approvato dalla I Commissione. Devo dire che qualche sconcerto ha destato in noi, in particolare, l'affermazione che l'attribuzione di un seggio alla regione Valle d'Aosta ed alla provincia autonoma di Bolzano sarebbe «una sorta di privilegio che forza il criterio della ripartizione proporzionale e dell'uguaglianza del voto senza alcuna copertura costituzionale».
Sul piano politico vorrei osservare che in quell'ottica federalista cui tutti da più parti ci si richiama spesso e volentieri tutte le regioni e le province autonome dovrebbero avere pari dignità istituzionale. L'ottica federalista non può avere come criterio unico quello quantitativo, anzi, negli Stati Uniti il Senato è composto da due senatori per ogni Stato e nel Bundesrat tedesco vi è, sì, un rapporto con il numero degli abitanti, ma la differenza va dai tre voti di cui dispongono i länder più piccoli ai sei di quelli maggiori, proprio perché i territori sono riconosciuti in quanto tali. Il nostro ordinamento non è evidentemente né quello degli Stati Uniti, né quello della Germania, ma se quella federalista è effettivamente, e non a parole, la direzione che vogliamo seguire, occorre pur compiere qualche passo concreto, e questa poteva essere l'occasione.
Per quanto concerne, poi, il piano costituzionale è vero che non c'è una diretta e specifica copertura (e non poteva essere diversamente nel 1947), ma il principio era allora stato introdotto molto chiaramente con la garanzia di una rappresentanza, nel Parlamento italiano, della Valle d'Aosta indipendentemente dalla sua consistenza numerica. Tale principio era stato introdotto, ancor prima della Costituzione, con il decreto luogotenenziale 7 settembre 1945, n. 545, che recita testualmente: «qualunque sia il futuro sistema elettorale italiano, la Valle d'Aosta avrà diritto ad una rappresentanza di almeno un deputato all'Assemblea Costituente». Quindi diritto, non privilegio.Pag. 66
Stupore ha destato in noi anche l'affermazione che la rappresentanza dei territori del Parlamento europeo favorirebbe «un rafforzamento tecnocratico delle istituzioni europee». Ci pare francamente che la tecnocrazia sia già oggi, anche senza quel tipo di rappresentanza, quanto mai determinante ed invasiva.
Ciò detto sulla via maestra di una rappresentanza diretta di quella regione nel Parlamento europeo, in quanto regione, appunto, e minoranza costituzionalmente garantita, la legge n. 18 del 1979 ha introdotto, per le minoranze linguistiche, una via subordinata tramite il meccanismo dell'apparentamento.
È una via di cui abbiamo peraltro più volte indicato i limiti, comportando una scelta precisa di riferimento ad un partito nazionale che contrasta, o può contrastare, con le particolari e specifiche situazioni politiche della Valle d'Aosta e della Provincia autonoma di Bolzano e delle rispettive minoranze linguistiche.
Per quanto riguarda nello specifico la Valle d'Aosta, a differenza della Provincia di Bolzano anche questa via subordinata è tuttavia puramente illusoria, dato che il meccanismo dell'apparentamento scatta solo se la lista di minoranza linguistica collegata ottiene 50 mila voti. Il che, a fronte di 102 mila aventi diritto e di 76 mila voti espressi (dati delle ultime elezioni regionali), rappresenta, evidentemente, una soglia irraggiungibile. Da qui l'emendamento da noi presentato che prevede di ridurre tale soglia a 25 mila voti, come espressamente richiesto all'unanimità dal consiglio regionale della Valle d'Aosta con un'apposita risoluzione che sarà domani direttamente illustrata da una delegazione del consiglio stesso alla I Commissione.
Concludo dando atto al presidente Bruno e al relatore di aver consentito, con la richiesta di ritiro dell'emendamento in Commissione in luogo del parere contrario, un'ulteriore fase di riflessione su tale questione, che rappresenta per la Valle d'Aosta la condicio sine qua non per tenere aperta almeno una qualche speranza, ancorché di assai difficile realizzazione, di essere rappresentata nel Parlamento europeo. Mi auguro, ovviamente, che tra quelle modifiche migliorative recepibili, a cui il Ministro Calderoli ha fatto oggi riferimento, vi sia anche questa.
Allo stesso modo ringrazio il relatore per aver accolto la richiesta di riformulare in Commissione l'emendamento che avrebbe imposto la raccolta di almeno 15 mila firme per la presentazione di una lista collegata, cifra del tutto sproporzionata con riferimento alla consistenza del corpo elettorale della Valle d'Aosta e, dunque, sarebbe stato per noi un ulteriore e inaccettabile paletto preliminare.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rota. Ne ha facoltà.

IVAN ROTA. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi (pochi, a dire il vero), intendo svolgere una riflessione, prima di toccare il tema dell'ordine del giorno, su argomenti che sono, comunque, attinenti al merito del provvedimento in esame.
In questi cinque mesi abbiamo registrato la progressiva e muscolare azione di una maggioranza allergica al confronto. Noi, dell'Italia dei Valori, abbiamo espresso la nostra contrarietà e abbiamo utilizzato il Regolamento per lanciare un messaggio agli italiani, volto ad aprire le menti per non cadere nel trabocchetto mediatico che - lanciando slogan rassicuranti, enfatizzando soluzioni virtuali ai problemi e screditando invece chi, Italia dei valori in primis, ha cercato e cerca di svolgere il proprio ruolo di minoranza (così come richiesto dalla Costituzione) - ha come obiettivo finale l'indisturbato controllo del potere.
I cittadini che ci stanno ascoltando e che seguono queste vicende con molto scetticismo hanno della politica un'opinione: che è tutto un «magna magna». Hanno questa opinione e, dunque, metaforicamente ricordo l'assaggio di uno stuzzichino non digeribile quale il decreto-legge «salva Retequattro», alla faccia di quelle che sono le norme europee e delle questioni sollevate dalla Corte di giustizia europea.Pag. 67
Dopo questo stuzzichino ecco servito un antipasto costituito dalla trasformazione in capitale del debito dei 300 milioni di Alitalia, anche in questo caso contro qualsiasi norma europea e contro le deliberazioni della Corte di giustizia. Poi avanti con le portate succulenti e sostanziose, però solo per alcuni e non certo per gli italiani: una manovra economica triennale, approvata grazie alla posizione della questione di fiducia, ma perché gli emendamenti erano 1.630 di cui oltre 1.300 presentati proprio della stessa maggioranza. E ancora il miracolo Alitalia, scorporando una bad company e caricandola addosso agli italiani ma vendendola poi come il miracolo agli italiani, perché invece la good company per diciotto doveva servire a rilanciare il trasporto aereo italiano.
Ad oggi, non ancora si è versato un euro e non ancora si è detto come si farà a risolvere la questione. Vi è, inoltre, il cosiddetto lodo Alfano, questo smantellamento, goccia dopo goccia, della Costituzione (Costituzione importante per noi dell'Italia dei Valori): si pongono quattro persone in posizione diversa rispetto agli altri. L'Italia dei Valori proprio in questi giorni è sommersa da una valanga di cittadini che vogliono firmare la richiesta di un'iniziativa referendaria contro questo provvedimento.
E dopo viene il «dolce». Il dolce normalmente si dà ai bambini; meglio: questa volta, si dà contro i bambini, soprattutto quelli di famiglie povere o extracomunitarie. Infatti, la cosiddetta legge Gelmini - anche questa «passata» con la fiducia - è stata una dimostrazione di un'altra prova muscolare. Ed ora, eccoci alla frutta: ancora un'azione di maggioranza, questa volta finalizzata a sfoltire ulteriormente la già esigua schiera di quanti hanno libertà di pensiero. Infatti, la legge elettorale qui in discussione, quella dell'elezione dei membri del Parlamento europeo, è un'altra offesa alla democrazia.
Ho ascoltato l'intervento dell'onorevole Bocchino il quale ha detto di non comprendere per quale ragione dobbiamo discutere. Chissà come mai il Parlamento dovrebbe discutere di questioni che attengono al Parlamento e agli italiani! Non comprendeva - e non comprende, l'onorevole Bocchino - perché bisogna discutere di percentuali e di preferenze. Probabilmente l'onorevole Bocchino, come questa maggioranza - mi correggo, come il suo Presidente -, è infastidito da chi esprime un pensiero diverso. L'onorevole Bocchino dice di no alle preferenze perché questo garantisce la qualità dell'eletto. Ma dove? Ma quando? Ma quando mai il fatto di non avere preferenze migliora la qualità dell'eletto o introduce una garanzia?
L'onorevole Bocchino (e questo mi fa un po' specie) ha detto che dalle sue parti, nel sud, c'è il rischio che vengano elette persone lontane dalla politica e che vengano eletti dei rappresentanti del popolo soltanto attraverso il controllo di pacchetti di voti. Probabilmente, l'onorevole Bocchino voleva dar ragione alla Lega, quella della prima ora, che evidenziava il malcostume dei politici del sud. Ne prendiamo atto. Io, da cittadino italiano residente al nord, lo trovo irrispettoso rispetto ai colleghi del sud e ai cittadini del meridione.
Diceva anche che ci sono dei costi troppo alti per la campagna elettorale e con questa motivazione sosteneva le ragioni di questa proposta di legge, che diventerà sicuramente legge, perché, tanto, è stato deciso. Ma, visto che si temono eccessivi costi per la campagna elettorale, non era meglio fissare, beneficiando alcuni rispetto ad altri, un tetto massimo di spesa per la campagna elettorale per porsi di fronte al proprio elettorato? Mi pongo una domanda: quanto costerà essere eletto al Parlamento europeo? Quanto costerà essere nominato al Parlamento europeo, visto che evocando il rischio di costi della campagna elettorale troppo alti alla fine ci sarà una rincorsa da Sotheby's per battere all'asta una candidatura certa alle europee?
È una riflessione. Nell'intervento a nome dell'Italia dei Valori, l'onorevole Pisicchio, il 18 settembre, evidenziava l'innalzamento della soglia di sbarramento al cinque per cento e l'introduzione di listePag. 68bloccate come parte di un ampio disegno, messo a punto dalla maggioranza, di democrazia docile, di un popolo imbonito dalla comunicazione televisiva e di un corpo elettorale ammaestrato dal marketing politico.
Vogliamo pensare che questo non accada. Si tratta di una riflessione, ma che viene spontanea ogni volta che viene posto un argomento nell'interesse della polis e dei cittadini e questo viene liquidato a colpi di fiducia. Il Parlamento ha un mandato da parte degli italiani e dei cittadini ed è quello di discutere delle modalità costituzionali, regolamentari, legislative, morali ed etiche per portare avanti leggi che siano eque nei confronti di tutti e rispettose della democrazia.
Quindi, cosa chiede Italia dei Valori su questa proposta di legge? Non siamo d'accordo e vorremmo dare il nostro contributo. Lo abbiamo fatto con pochi emendamenti, attraverso i nostri parlamentari. Italia dei valori lo ha fatto chiedendo un abbassamento della soglia di sbarramento ponendola tra il 3 e 4 per cento, lo ha fatto chiedendo, in un altro emendamento, l'introduzione della preferenza unica, la possibilità del cittadino di eleggere il proprio rappresentante sul proprio territorio, visto che le circoscrizioni sono aumentate e diventeranno (non è ancora la legge) dieci. Si chiede quanto meno la possibilità di indicare una preferenza. Inoltre, un altro emendamento propone - previsione che era ipotizzata, ma è stata tolta - l'alternanza dei sessi, la possibilità di dare spazio e seguito ai buoni intendimenti dichiarati da tutti davanti alla telecamera o dinanzi a un giornalista ma che poi non trovano riscontro nell'azione. Quindi, Italia dei Valori chiede che ci sia un riscontro alle parole profuse, prevedendo un'alternanza vera dei sessi all'interno della costituzione delle liste, non un generico 50 per cento all'interno della lista. Infatti, se quel 50 per cento è collocato in coda alla lista, un sesso sarà ancora escluso.

PRESIDENTE. Onorevole Rota, la prego di concludere.

IVAN ROTA. Signor Presidente, un'ultima considerazione e concludo. Vi è una proposta emendativa che stabilisce, come abbiamo chiesto più volte per altre tipologie di elezioni, l'incandidabilità di persone che abbiano una sentenza definitiva di condanna, che siano stati condannati dalla giustizia nei vari gradi. Quindi, con questi riferimenti agli emendamenti e alla possibilità che vengano recepiti, ringrazio il Presidente e il Ministro per l'attenzione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zinzi. Ne ha facoltà.

DOMENICO ZINZI. Signor Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghi, l'esito della competizione elettorale svoltasi lo scorso aprile richiede una attenta ed approfondita analisi al fine di valutarne compiutamente le conseguenze sul versante dei rapporti tra partiti, elettori e loro rappresentanti. La principale riflessione va operata in riferimento al sistema elettorale con il quale si è votato. Nei Paesi europei (tra i quali l'Italia) e nordamericani, nei quali il sistema democratico ha una consolidata tradizione e consuetudine, è possibile constatarne le virtù, i pregi e i difetti. In particolare, in Italia il sistema elettorale dopo circa un cinquantennio di «proporzionale» all'inizio degli anni Novanta ha subito una profonda e significativa trasformazione con l'introduzione del sistema maggioritario uninominale.
È stato poi introdotto un nuovo metodo che ha ripristinato nuovamente il sistema proporzionale, abolendo le preferenze e introducendo le liste bloccate con uno sbarramento del 4 per cento per la ripartizione dei seggi. Non va sottaciuto che il sistema elettorale proporzionale vigente fino al 1992 ha provocato tra gli altri due risultati. Il primo è negativo, connesso all'eccessiva proliferazione dei partiti, l'altro positivo collegato alla massiccia affluenza alle urne degli elettori. Tuttavia, con il passare degli anni e con l'abitudine al metodo democratico nella scelta dei rappresentanti nazionali e periferici, anche in Italia le regole per l'elezione dei parlamentari tendono ad omologarsi conPag. 69quelle vigenti in altre democrazie europee, con la conseguenza che l'elettorato tende ad impigrirsi con un'affluenza al voto sempre più modesta. Accanto ai risultati virtuosi di tale scelta e in particolare alla governabilità, si produce nell'opinione pubblica la consapevolezza di affidare la responsabilità della gestione politica solamente alla coalizione vincente.
La legge elettorale vigente, con le quote di sbarramento adottate che hanno provocato la semplificazione del quadro dell'offerta politica, merita pertanto un apprezzamento perché ha favorito la cancellazione dalla scena politica dei partiti personali, distanti dagli interessi dei cittadini, e di quelli che raccolgono scarsi consensi, pur essendo ancora lontana dal sistema tedesco da noi invocato che rispetterebbe ancora più fedelmente la volontà degli elettori.
Il risultato delle ultime elezioni ha dunque il merito di aver determinato lo snellimento della rappresentanza parlamentare affidata dagli elettori a cinque gruppi parlamentari, a fronte dei sedici della scorsa legislatura che ingiustificatamente affollavano le aule parlamentari, ed il demerito di aver rafforzato la rigidità con la quale gli elettori eleggono i propri rappresentanti. Con questo sistema l'elettore in realtà esprime una preferenza politica e non sceglie il candidato più adatto a rappresentarlo e più vicino al territorio. Tale sistema limita la libertà dell'elettore di scegliere il candidato preferito sicché la sua capacità si riduce ad un'unica dimensione, quella ideologica. La mancata possibilità per l'elettore di scegliere la persona che lo rappresenti produce, come più grave conseguenza, l'assenza di meccanismi volti a premiare o punire l'operato di un parlamentare durante il suo mandato. L'elettore non ha dunque la possibilità di punire il cattivo operato politico di un parlamentare ed allo stesso tempo di sostenere con il voto la propria opzione preferita, cosa che inevitabilmente con il passare degli anni favorirà la sempre maggiore astensione di una fascia dell'elettorato.
Si rendono dunque necessari ed urgenti alcuni correttivi da individuarsi innanzitutto nella introduzione della preferenza, al fine di conferire solamente agli elettori la scelta dei parlamentari, giustamente definiti dalla Costituzione rappresentanti del popolo e non già dei partiti, ed impedire che questi ultimi siano nominati anziché eletti. Il rimedio a tale anomala condizione va individuato nell'attribuire agli elettori lo scettro della scelta della rappresentanza parlamentare.
L'Unione di Centro è il solo partito che vuole realmente l'introduzione della preferenza ed il solo che ha giocato con successo la partita elettorale al di fuori delle coalizioni, superando lo sbarramento del quattro per cento per la Camera e riuscendo ad eleggere 36 deputati e 3 senatori. La posizione politica dell'unico partito esterno alle due coalizioni, giustamente sopravvissuto allo schiacciamento dei due maggiori contendenti, assume in questo contesto un significato di assoluto rilievo. L'Unione di Centro, facendosi portatore dei suoi valori tradizionali e della sua proposta politica, continuerà ad assumere una funzione rilevante nel dibattito politico sui temi che più lo caratterizzano, in particolare quelli della politica sociale, della famiglia, della tutela dei meno abbienti, della riorganizzazione e diffusione dei servizi sociali e del miglioramento qualitativo e quantitativo del trattamento pensionistico degli anziani.
Venendo al tema in discussione, affermiamo con assoluta determinazione la nostra contrarietà all'ipotesi contenuta nella proposta legislativa sottoposta all'esame della Camera di sopprimere il voto di preferenza per l'elezione dei deputati al Parlamento europeo; mentre esprimiamo una qualche perplessità in ordine all'introduzione dello sbarramento nella misura proposta del 5 per cento. Lo sbarramento, se introdotto in tale misura, snatura il concetto stesso della proporzionalità laddove esclude di fatto larghe fasce di elettori che, seppure in esiguo (ma non irrilevante) numero, rappresentano idee e valori che meritano la tribuna parlamentare; la loro esclusione segnerà un deficitPag. 70di democrazia e di rappresentatività popolare. Tuttavia, su tale aspetto della normativa proposta non vi sono preconcetti né si sollevano questioni di principio, anche se invitiamo le forze politiche a valutare con attenzione le conseguenze dell'espulsione dalla rappresentanza parlamentare di forze politiche di lunga e consolidata tradizione democratica.
Avviandomi alla conclusione del mio intervento intendo sottoporre all'attenzione dei colleghi alcune considerazioni che riguardano in linea generale il tema in discussione. La Camera dei deputati discute, per poi approvarle, le regole per la formazione della rappresentanza parlamentare oggi per il Parlamento europeo ed in un prossimo futuro per il Parlamento nazionale. Al riguardo va osservato che allorché si dettano queste regole esse non possono essere il frutto della valutazione della sola maggioranza.
Le regole vanno approvate in un contesto che sia il più ampio possibile perché esse non riguardano certamente il Governo e neppure la maggioranza parlamentare, che oggi governa ma che domani potrebbe essere minoranza, ma l'intera rappresentanza parlamentare e, direi, l'intero corpo elettorale. Va quindi scongiurata con l'approvazione di tali norme l'ipotesi di golpe di maggioranza, che porterebbe all'irrigidimento dei rapporti tra i partiti e a rendere sicuramente un pessimo servizio alla credibilità della classe politica.
Nel Paese monta un'ampia, insistente e diffusa richiesta di scegliere, con l'espressione della preferenza, la rappresentanza parlamentare; ne è prova il successo che ha riscosso la nostra iniziativa volta alla raccolta di firme per la reintroduzione della preferenza stessa. Mi auguro che il Parlamento non deluda le aspettative di tanti (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

Per un richiamo al Regolamento (ore 17).

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, intervengo per un richiamo al Regolamento, in particolare agli articoli 86, comma 1 e seguenti e all'articolo 123-bis. Apprendiamo che nella giornata di oggi il Governo avrebbe presentato ulteriori emendamenti al disegno di legge collegato alla manovra economica, il numero 1441-ter, che riguarda, e dovrebbe riguardare, lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché la materia dell'energia. Considerato che in base al nostro calendario dei lavori domani dovremo cominciare l'esame del provvedimento in Aula, si tratta di emendamenti che chiaramente vengono sottratti all'esame della Commissione. Questo è un metodo che viene utilizzato spesso e volentieri anche in occasioni passate, ma noi non intendiamo abituarci a tale sistema.
Ma c'è di più e di più grave: è palese ed evidente che la stragrande maggioranza di questi emendamenti, signor Presidente, sono chiaramente estranei alla materia del collegato, direi assolutamente estranei ad esso. Non essendoci più la possibilità neanche della discussione all'interno della Commissione risulta del tutto evidente che la Presidenza diventa per noi, minoranza, ma ovviamente per tutto il Parlamento, il punto nodale di garanzia rispetto all'ammissibilità di questi emendamenti presentati dal Governo. Quindi, il mio intervento è volto a stigmatizzare ancora una volta come si intervenga su materie, che peraltro sono «protette» dal Regolamento in quanto fanno parte della manovra economica - di qui il mio richiamo all'articolo 123-bis del Regolamento - per le quali il vaglio di ammissibilità, com'è noto, è ancora più restrittivo proprio perché sono collegate ad essa.
Dunque, la richiesta che le rivolgo, signor Presidente, e che le chiedo di trasmettere anche al Presidente Fini, è che prima che si inizi la discussione su questo provvedimento sia operato un vaglio molto attento degli emendamenti che sono stati presentati. Solo a titolo di esempio, cito il fatto che viene inserita come emendamentoPag. 71a questo provvedimento la difesa della Servizi Spa, ovvero la valorizzazione ambientale degli immobili militari che, notoriamente, hanno una stretta attinenza specifica con le materie che vengono in discussione con il disegno di legge!
Dal momento che, lo ripeto, qualunque analisi in Commissione ormai non ha più alcun valore, essendo giunto il provvedimento all'esame dell'Aula, rivolgo a lei, signor Presidente, un appello stringente affinché, ovviamente anche attraverso l'interessamento del Presidente della Camera Fini, ci garantisca che ci sarà una strettissima attenzione all'ammissibilità delle proposte emendative presentate, come è ormai norma da parte del Governo, all'ultimo momento, che rischiamo di trovarci «rimbalzate» in Aula e che ci fanno ulteriormente dirottare provvedimenti che abbiamo già visto nelle settimane scorse quanto abbiano creato confusione nel dibattito parlamentare e siano state anche frutto della stessa.
Quindi, il mio è un invito ad una vigilanza attenta da parte della Presidenza, così come d'altra parte il Regolamento garantisce e prevede. La ringrazio, signor Presidente.

PRESIDENTE. Onorevole Giachetti, le sue osservazioni saranno fatte presenti al Presidente della Camera con la dovuta energia.
Prima che l'onorevole Evangelisti mi richiami al fatto che l'ho lasciata parlare - e non avrei dovuto farlo -, segnalo all'Aula che non darò più la parola, con il pretesto del richiamo al Regolamento, per interrompere il dibattito in corso. È chiarissimo, in virtù di un'abitudine consolidata, che questo tipo di interventi, peraltro molto importanti - condivido con lei la tesi dell'importanza dell'intervento -, deve essere svolto all'inizio o alla fine, perlomeno, quando si passa da un punto all'altro dell'ordine del giorno, perché dobbiamo privilegiare lo svolgimento ordinato dei lavori sul punto in questo momento all'ordine del giorno.

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 22 ed abbinate-A)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Evangelisti. Ne ha facoltà.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, a questo punto si impone un inciso. Io non sarei intervenuto per contestare il modo in cui lei, nell'occasione, ha dato la parola all'onorevole Giachetti, perché mi è sembrato un intervento non soltanto opportuno dal punto di vista politico e istituzionale, ma quanto mai centrato dal punto di vista regolamentare, perché ovviamente il riferimento non vale soltanto alla seduta in corso, ma anche a quelle che ci apprestiamo a svolgere domani e dopodomani. Poiché stiamo preparando anche il lavoro di domani e dopodomani, ho trovato quanto mai opportuno questo tipo di intervento e lei ha fatto benissimo a concedergli la parola. Ovviamente, io non sono il giudice sovrano né l'interprete del Regolamento, ma mi permetto, in questo caso, di apprezzare il suo comportamento: sicuramente non può suonare come un precedente, ma lei sa benissimo che vi sono momenti in cui il rilievo delle questioni che si sollevano alla Presidenza può avere precedenza sulla discussione sulle linee generali.
Prima di entrare nel merito del testo oggi al nostro esame, vorrei chiedere la cortesia di ricordare anche un altro aspetto, che non è, ovviamente, regolamentare, ma che attiene al nodo e al costume con cui ci si propone.
Questa mattina, magari in maniera impropria, ho sottolineato come il relatore, più che parlare a nome della Commissione per la quale è stato chiamato ad illustrare il provvedimento, abbia parlato - più che altro - a favore della maggioranza di cui è espressione. Signor Presidente, mi rivolgo a lei, al rappresentante del Governo, al presidente della Commissione e al relatore (di cui, quanto meno, posso dire di aver apprezzato la franchezza): questo non è formalismo, ma è una questione diPag. 72forma, che diventa sostanza se chi è chiamato a rivestire un ruolo istituzionale ne fa poi strame.
Lo dico a lei, signor Presidente, perché, al pari di altri suoi colleghi, quando siede sullo scranno più alto di quest'Aula, di fatto, cessa di essere un deputato dell'Unione di Centro, ma svolge le funzioni istituzionali del Presidente. Allo stesso modo devono - o meglio dovrebbero - comportarsi relatore, presidente di Commissione e chiunque di noi sia chiamato a svolgere una funzione propriamente istituzionale. Lo affermo perché davvero, quando stamattina ho ascoltato con attenzione l'onorevole Calderisi, ero interessato, al pari di chi era in Aula e di chi ci ascolta da casa, a cogliere il senso profondo delle proposte presentate all'Aula. Invece, ho riscontrato soprattutto un polemizzare con le opposizioni più che l'illustrazione della proposta.
Tuttavia, ai fini della nostra discussione non sono importanti queste schermaglie dialettiche, ma è importante, forse, partire da un'osservazione, che farebbe proprio monsieur De La Palisse: non esiste un sistema elettorale perfetto. Ogni democrazia - o meglio, ciascun sistema politico - si dota di un proprio meccanismo di selezione della classe dirigente, ma vi è un principio cardine alla base di ogni democrazia: una testa, un voto. Anzi, potremmo addirittura stabilire che questo è il vero assioma della democrazia.
Tuttavia, la storia, il contesto politico e l'insieme delle convenienze e delle convinzioni giuridiche ci hanno insegnato che ogni meccanismo elettorale ha un valore se preso qui ed ora, ovvero ci sono momenti in cui il sistema proporzionale puro è più adatto, più opportuno e più conveniente del sistema maggioritario. Ci sono momenti in cui una soglia di sbarramento può essere salutare per una democrazia contro la frammentazione eccessiva e l'ingovernabilità e poi ci sono momenti in cui quella stessa soglia di sbarramento o un meccanismo premiale possono addirittura trasformarsi in una legge truffa; così come vi sono momenti in cui l'espressione della preferenza può essere auspicabile ed altri in cui le condizioni suggeriscono di prescinderne.
Vi sono poi meccanismi elettorali che, se penso, ad esempio, agli Stati Uniti d'America, pur presentando i segni del tempo di quando si viaggiava con le diligenze a cavallo, dopo duecento anni reggono ancora alla prova del passaggio elettorale. Ci sono altri Paesi non lontanissimi da noi - penso, ad esempio, anche se in un contesto particolarmente difficile, ad Israele - in cui con più frequenza negli ultimi anni si è andati alla ricerca del meccanismo elettorale più funzionale.
Ecco, qui ed ora avevamo una ghiotta occasione, quella di compiere un passo in avanti nella direzione di un più adeguato sistema di rappresentanza politica. Si sta perdendo questa occasione e vi è una responsabilità unica della maggioranza in questa perdita. È una maggioranza che si è chiusa al confronto, sulla presunzione e sulla prepotenza dei numeri, immaginando che i numeri possano essere tutto in politica e in democrazia. Ah, democrazia - verrebbe da dire -, quanti crimini si commettono in tuo onore e in tuo nome!
Sia chiaro che nessuno mette in discussione il principio, il diritto e il dovere della maggioranza di proporre e di scegliere. La maggioranza ha il diritto e il dovere - aggiungo anche la responsabilità - di governare e di scegliere, ma la democrazia è al tempo stesso, anche se non soprattutto, rispetto e tutela delle minoranze.
Allora, come non vedere che imporre qui ed ora una soglia di sbarramento per il Parlamento europeo non significa giustificare tale scelta con esigenze di governabilità? Questo era il senso della mia obiezione nei confronti dell'onorevole Bocchino, quando gli ho parlato delle mele e delle pere, perché a scuola, alle elementari, con il maestro unico, si insegnava che non bisognava e non si potevano sommare, dividere o sottrarre le mele con le pere. Non si può fare riferimento al Parlamento europeo e al Parlamento nazionale, non si può parlare del Parlamento nazionale riferendosi al sistema in vigore in una provincia, non si può parlare del sistemaPag. 73di elezione dei rappresentanti in un quartiere con quello del comune o della regione.
Dicevo, quindi, che non c'è niente che giustifichi (esigenze di governabilità in primis), questa soglia sbarramento, che assume anzi un significato e un carattere penalizzante per una parte del Paese, che rischia di trovarsi privo di rappresentanza. Allora, altro che una testa e un voto! Qui ci saranno teste con tre, quattro o cinque voti e teste senza diritto di voto.
Lo dico anche all'onorevole Vassallo, che ho sentito preoccupato per le sorti dell'UdC e dell'Italia dei Valori di fronte allo sbarramento del 5 per cento. Si tranquillizzi l'onorevole Vassallo e si tranquillizzino tutti, perché noi salteremo agevolmente l'asticella posta a quella altezza. La nostra battaglia, la discussione che impostiamo e il dibattito che affrontiamo, infatti, non sono fatti per tutelare un interesse di parte, ma per farci carico dell'interesse generale della rappresentanza, così come, con l'emendamento a favore della reintroduzione di almeno una preferenza, l'Italia dei Valori ha inteso non richiamare deteriori e vecchie pratiche clientelari, ma riportare la possibilità di scelta nelle mani dei cittadini.
Anche su questo aspetto, l'onorevole Bocchino ci ha dato un ulteriore saggio della sua concezione della democrazia. Ha detto, infatti, che le preferenze non cambiano gli equilibri fra i partiti. Capito a cosa si riferisce, cosa teme e cosa lo preoccupa? Gli equilibri tra i partiti. A lui non interessa, invece, quanto qui ed ora possa cambiare il rapporto tra l'opinione pubblica e i cittadini, che lamentano già oggi, con la mancata elezione di questo Parlamento, in quanto siamo tutti nominati come al Grande fratello, la necessità di recuperare un ruolo positivo nella scelta proposta dai partiti.
Alle nostre obiezioni, l'onorevole Bocchino ha saputo soltanto rispondere che egli non è per l'antiberlusconismo. Se non l'avesse fatto, avremmo anche potuto confonderlo con Marco Travaglio...
Insomma, quello che stiamo facendo tutti insieme, perché poi la responsabilità sarà dell'insieme del Parlamento, è prepararci all'esportazione del «Porcellum-bis», per i cultori della lingua di Cicerone, o della «Porcata-parte seconda», per chi è più abituato a frequentare i palinsesti televisivi e le veline che non le Aule parlamentari.
Ma una cosa la voglio dire, oltre che alla maggioranza, anche...

PRESIDENTE. Onorevole Evangelisti, la avviso, cortesemente, del fatto che il suo gruppo ha indicato per il suo intervento un tempo che adesso è concluso. A termini di Regolamento, lei ha diritto di continuare la sua esposizione per 30 minuti, ma, ovviamente, questo tempo verrà detratto dai tempi del suo gruppo.

FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, la avviso, cortesemente, di una lettera inviata al Presidente della Camera, con la quale non abbiamo chiesto soltanto di allargare gli spazi per il dibattito, ma anche un allungamento dei tempi. Ci è stato assicurato che avremmo avuto tutto il tempo a disposizione. Comunque, essendo l'ultimo del mio gruppo ad intervenire, non «rubo» niente a nessuno e, quindi, ho intenzione di esaurire tutto il tempo a mia disposizione che è consentito dal Regolamento.

PRESIDENTE. Ne ha pienamente diritto: il mio era un avviso di cortesia, secondo le indicazioni del suo gruppo.

FABIO EVANGELISTI. La ringrazio molto, signor Presidente.
Ho parlato finora verso i banchi della maggioranza, ma mi rivolgo, ovviamente, anche ai banchi dell'opposizione, e, in particolare, al Partito Democratico, perché in un passaggio del discorso che ho molto apprezzato, sabato scorso (il 25 ottobre), l'onorevole Walter Veltroni ha annunciato la prossima battaglia parlamentare del Partito Democratico, quella, appunto, contro la legge elettorale per le elezioni europee, così come uscita dalla Commissione parlamentare.Pag. 74
Il testo - lo ricordiamo - conferma l'impossibilità di esprimere voti di preferenza, lo sbarramento al 5 per cento, le candidature multiple, il raddoppio del numero delle circoscrizioni (da cinque a dieci), mentre è stata approvata una norma fasulla che garantirebbe la presenza di almeno il 50 per cento di candidature femminili, ma senza la contestuale previsione dell'alternanza tra i sessi nella composizione delle liste, ovvero una norma senza alcun significato.
Voglio dire al Partito Democratico che questa sua battaglia sarebbe tanto più efficace, tanto più coerente, tanto più sincera, se intanto il Partito Democratico avesse avviato i meccanismi necessari per modificare la legge elettorale di una regione - la mia, la regione Toscana - dove per le elezioni regionali l'allora Partito dei Democratici di Sinistra aveva per primo eliminato il meccanismo delle preferenze. Se questa legge «porcata» ha una madre o un padre, questi, purtroppo, sono da ricercare nella terra di Dante.
Infine, onorevole Presidente, onorevoli colleghi, la modifica della legge per l'elezione dei rappresentanti italiani al Parlamento europeo costituisce davvero per il nostro Paese, in questo momento, uno snodo particolarmente importante, perché investe aspetti che vanno al di là del semplice meccanismo tecnico. È un'occasione importante per testare la reale volontà dell'attuale maggioranza di avviare il Paese verso quella serie di riforme strutturali di cui da tempo si lamenta la necessità. Tali riforme dovrebbero puntare a riequilibrare l'assetto politico e costituzionale del nostro Paese per renderlo più efficace e adatto ai tempi.
Ovviamente, va da sé, che responsabilmente, nell'ottica della ricerca di un nuovo e più efficace equilibrio, questo piano di riforme dovrebbe essere caratterizzato dalla più larga e generale condivisione. In altre parole - sono lieto dell'attenzione che mi riserva il Ministro Calderoli -, le regole si iscrivono insieme, poi, ovviamente, ciascuno gioca la propria partita. Se, viceversa, si pensa di riformare il Paese a maggioranza, si commette un gravissimo errore: in questo modo si ottiene soltanto un equilibrio parziale e temporaneo, destinato a durare fino a che questa maggioranza o una nuova maggioranza non intervenga a modificare, secondo le sue proprie esigenze, le regole del confronto politico o, magari, finché la medesima maggioranza non decida di modificarle di nuovo in virtù di sue nuove convenienze.
Negli ultimi quindici anni il nostro Paese ha già pagato il prezzo di una continua oscillazione tra riforme e controriforme, che, tra le altre cose, ne hanno indebolito la capacità di competitività internazionale. Siamo diventati un Paese dal cronico equilibrio instabile. È necessario, quindi, che si lavori affinché una serie di regole fondanti e di riforme necessarie possa assumere il carattere della stabilità per poter essere davvero punti di riferimento assodati e indiscutibili.
È fondamentale, ad avviso dell'Italia dei Valori, che si delinei una serie di riforme che possano diventare patrimonio comune di tutte le forze politiche rappresentative. Oggi questa esigenza è particolarmente stringente, perché non possiamo - lo dico, soprattutto in questo passaggio, ai colleghi della maggioranza - essere miopi. Sappiamo tutti benissimo che l'attuale Parlamento - quello cui apparteniamo - manca di rappresentare una parte importante del Paese, e dunque, oggi, leggi di riforma fondamentali come quella che siamo chiamati ad approvare in questi giorni dovrebbero necessariamente avere un carattere di condivisione che vada al di là delle Aule e della rappresentanza parlamentare.
Questo ovviamente accadrebbe se si guardasse agli interessi generali dell'Italia, alla necessità di creare un sistema di regole condivise, che delinei il campo del confronto politico e permetta di raggiungere un adeguato livello di coerenza istituzionale, il cui primo indice - non dimentichiamolo - è il suo grado di inclusività.
Purtroppo - a quanto pare, stando al dibattito di oggi -, la sensazione è che si sia molto lontani da tutto ciò. Questa maggioranza, ad esempio, quando era opPag. 75posizione (ciò accadeva - sarebbe il caso di ricordarlo - soltanto pochi mesi fa), lamentava la mancanza di senso istituzionale di chi governava allora, perché - a dire di quella che oggi è la maggioranza - lo faceva senza accettare il peso del giusto coinvolgimento delle opposizioni. Oggi voi che fate? Vi comportate allo stesso modo. Oggi siamo a parti invertite nella medesima situazione. È un dato che dovrebbe davvero farci riflettere e far riflettere tutti al di là delle singole appartenenze. È un dato che dovrebbe portarci ad un'assunzione di responsabilità collettiva, in particolare - lo ripeto - dovrebbe riflettere l'attuale maggioranza, che invece, a quanto pare, ha deciso di risolvere la questione delle elezioni dei rappresentanti italiani al Parlamento europeo esclusivamente attraverso una ricerca di equilibrio al suo interno.
Onorevoli colleghi, questo tipo di impostazione disvela il rischio che l'attuale maggioranza coltivi il sogno dell'autosufficienza perenne, l'idea malsana di rappresentare tutto il rappresentabile. È, a mio avviso, una debolezza culturale che può diventare però una pericolosa deriva, in particolare in un momento come quello attuale caratterizzato, da un punto di vista istituzionale, da un'evidente dinamicità ed instabilità. Lungi dal voler essere questa polemica spicciola, credo che su trasformazioni di questo genere si dovrebbe davvero riflettere in maniera approfondita, così come si dovrebbe riflettere sulla modifica surrettizia del nostro sistema elettorale per l'elezione del Parlamento nazionale, che di fatto è stato arricchito di un carattere presidenzialistico che non dovrebbe invece avere, con le conseguenze che tutti conosciamo, per esempio, sul meccanismo dell'incarico da parte del Presidente della Repubblica.
Siamo dunque - ho concluso, signor Presidente - di fronte a tutta una serie di elementi (si potrebbe ormai ricordare l'ormai sistemico ricorso alla decretazione d'urgenza) che paiono mettere in discussione lo schema di democrazia parlamentare classico, quello schema sancito dai Costituenti ed espresso nella Costituzione, di cui ricorrono i sessant'anni, inserendovi continui richiami a sistemi presidenzialistici, il tutto mentre la maggioranza - come detto - appare non solo coltivare la certezza dell'autosufficienza, ma anche l'ambizione a rappresentare tutto il rappresentabile.
In questo quadro, per l'elezione del Parlamento europeo, il cui grado e senso di rappresentatività è massimo e ancor più di quello nazionale (il Parlamento europeo - lo dico per inciso e per l'ennesima volta - è istituzione squisitamente rappresentativa), si propone di eliminare le preferenze e di alzare la soglia di sbarramento. Tale proposta è avanzata con tale forza da non accettare né dibattito né confronto.
Domani - lo ripeto anche in questo caso - un'altra maggioranza potrebbe comportarsi allo stesso modo e sarebbe sbagliato, così come è sbagliato oggi il vostro comportamento. È evidente quindi il rischio di una deriva. Siamo infatti di fronte, contemporaneamente, da una parte, alla possibilità sempre più concreta che la nostra democrazia parlamentare venga trasformata surrettiziamente in qualcos'altro, senza che ci si assuma la responsabilità costituzionale di una sua trasformazione.
Dall'altra, sta progressivamente diminuendo il grado di democrazia in entrata con l'abolizione delle preferenze, le liste bloccate, l'introduzione di sbarramenti sempre più alti e l'obbligo della raccolta delle firme solo per alcune forze politiche che in questa sede non sono rappresentate.
Onorevoli colleghi, un sistema democratico necessita del giusto equilibrio tra democrazia in entrata, ovvero le elezioni, la rappresentanza e democrazia in uscita ovvero la capacità di decisione: è evidente che il rapporto si sta incrinando. L'introduzione di ulteriori elementi presidenzialistici, estranei ad un sistema parlamentare, sta avvenendo giorno dopo giorno senza che vengano attivati i necessari contrappesi a sostegno della rappresentanza.
Pensate a cosa è successo nei comuni. Abbiamo introdotto - non mi ricordoPag. 76quando - un meccanismo che ha senz'altro garantito nei comuni la stabilità, l'elezione diretta dei sindaci, ma ha di fatto svuotato le assemblee elettive. Sullo sfondo di questo percorso resta la deriva ipotizzata da Tocqueville e sarebbe davvero meglio per tutti, anche per chi oggi governa, cambiare al più presto rotta.
L'Italia dei Valori - ho davvero concluso - ha avanzato in Commissione una serie di proposte, a nostro avviso, assolutamente ragionevoli a difesa di un compromesso possibile tra principio di rappresentanza e necessità di funzionamento, una proposta invero molto poco vincolata al Parlamento europeo la cui funzione è, come detto, di rappresentanza pura.
Abbiamo proposto soglie di sbarramento più eque, più giuste, più congrue e il mantenimento di almeno una preferenza. Queste proposte non sono state accettate: sono state respinte. Spero che l'Aula e il dibattito di oggi possano far ravvedere il Governo su questo punto nelle sue posizioni, anche se so che il Ministro mi dirà che è materia affidata al dibattito e alla dialettica parlamentare e che il Governo non ha una sua posizione precisa o, meglio, ha lasciato che si svolgesse il dibattito. Spero che il Governo tenga conto delle proposte e possa modificare l'atteggiamento di fronte agli emendamenti che verranno riproposti in Aula.
Tuttavia, non è stata presa nemmeno in considerazione la proposta di impedire la candidatura di candidati condannati con sentenza passata in giudicato per reati non colposi, proposta avanzata a sostegno della legittima aspirazione dei cittadini a istituzioni degne e davvero rappresentative. Una garanzia di civiltà che evidentemente l'attuale maggioranza non ritiene necessaria per l'indicazione: purtroppo, infatti, in questo modo si tratta di indicazione, come dicevo, di nomina e non più di elezioni dei rappresentanti italiani al Parlamento europeo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare, a titolo personale, l'onorevole Pionati. Ne ha facoltà.

FRANCESCO PIONATI. Signor Presidente, colleghi, rappresentante del Governo, vorrei dare un contributo di idee con moderazione, senza drammi, cercando di non ripetere le tante buone argomentazioni che ho già ascoltato a sostegno delle nostre tesi e contro questo abbozzo di riforma che sta per arrivare in Parlamento.
Non tengo a drammatizzare la situazione, ma ad esporre alcune questioni che dovrebbero far riflettere tutti nella maggioranza, nel Governo e nell'opposizione. L'ex-Ministro Ferrero, pochi giorni fa, ha affermato che questa riforma rappresenta un colpo di Stato. Ritengo che sia un'esagerazione: parlerei, piuttosto, di un colpo allo Stato e, quindi, ridurrei la portata del dramma, ma senza per questo eliminare gli elementi di riflessione.
La prima cosa che viene da dire è che, soprattutto in relazione alla drammatica crisi economica del nostro Paese e internazionale, nessuno sentiva il bisogno di questa riforma. Il combinato disposto tra la soglia di sbarramento, che tende a ridurre la rappresentanza nell'ambito delle istituzioni europee, e l'eliminazione delle preferenze, costituisce oggettivamente un vulnus al rapporto democratico tra cittadini e istituzioni di cui proprio in questa fase davvero nessuno sentiva il bisogno, preferendo invece immaginare la classe politica e la classe di Governo concentrate nel tentativo di arginare la drammatica crisi economica del Paese.
Ed è per questo motivo che invito il Governo, in questa vigilia di confronto parlamentare, a dare anche ascolto a chi, all'interno del centrodestra, si è speso a difesa del sistema elettorale attuale, contro questa ipotesi di riforma: mi riferisco, per esempio, al Vicepresidente del Senato Nania e al sindaco di Roma Alemanno. Credo che sia il caso di dare ascolto a queste persone, che credo siano insospettabili e diano semplicemente un contributo di idee e di ragionevolezza.
Consiglio anche di ascoltare i tanti italiani che hanno firmato la nostra proposta di legge di iniziativa popolare e che devono comunque essere tenuti nella giustaPag. 77considerazione, e di ascoltare anche - questo è un punto che mi pare particolarmente interessante - le tante amministrazioni locali, comunali, provinciali e regionali che, in modo trasversale, hanno firmato ordini del giorno contro questa ipotesi di riforma.
Se vi è un movimento di opinione pubblica così diffuso e così trasversale, credo che sia il caso di darvi ascolto, per evitare una riforma che nel breve periodo potrebbe essere sicuramente utile ad alcuni esponenti della maggioranza e del Governo, ma nel medio e lungo periodo credo possa essere controproducente e dannosa anche per loro.
Ritengo che il problema complessivo riguardi, così come è stata impostata la riforma in discussione, la riduzione degli spazi di scelta dei cittadini e, dunque, di libertà del nostro Paese. Ripeto: non amo le drammatizzazioni, quindi non sono fra coloro che pensano che la riforma elettorale in esame debba essere caricata di significati negativi eccessivi. La democrazia italiana certamente non sta finendo e non finirà per questa riforma. Direi piuttosto che sta cambiando, che sta avendo un'evoluzione, a mio giudizio, non positiva.
Credo che con questa riforma elettorale si completi un disegno sbagliato alla radice, perché applica al nostro Paese modelli elettorali e politici che non appartengono alla tradizione e all'evoluzione del quadro democratico italiano. Importiamo modelli senza avere la base di riferimento su cui poi poggiarli in maniera compiuta: credo che questo sia l'elemento più pericoloso e più insidioso della riforma sottoposta alla nostra attenzione. Completiamo un percorso per cui trasferiamo in Italia un modello che non ci appartiene. Con tutte le proporzioni del caso, mi viene in mente il tentativo di Bush di esportare, in un Paese che ha una tradizione culturale e politica assolutamente diversa dalla nostra, il modello della democrazia: si è visto come è andata a finire e credo che - lo ripeto, con tutte le proporzioni del caso - siamo più o meno nelle medesime condizioni.
Cosa sta avvenendo, a mio avviso, complessivamente, in particolare con la riforma in esame? Stiamo rispondendo male ad un bisogno di semplificazione che l'opinione pubblica matura in risposta alle mancate riforme istituzionali del Paese. Qui, probabilmente, vi è una responsabilità forte della sinistra, che in questo caso deve fare un esame di coscienza: chi ha impedito di affrontare per tempo le riforme istituzionali del nostro Paese, adesso deve anche pagare la conseguenza negativa di una semplificazione eccessiva, che è una risposta sbagliata e sotto misura ad un bisogno reale di governabilità.
Questo avviene con la riforma elettorale in discussione, sta avvenendo con la governabilità sul modello Berlusconi, che è una governabilità esasperata, che tende a svuotare la funzione del Parlamento. Non vedo i singoli episodi scollegati dagli altri: li vedo come un filo logico di una forza politica e di una maggioranza di Governo che stanno cercando di dare una risposta al bisogno di governabilità, in termini però profondamente sbagliati, portando ad una semplificazione che non rappresenta né garanzia di democrazia né garanzia di governabilità.
Quindi, iscrivo la riforma del meccanismo elettorale per le elezioni europee in esame in questo scenario, che a mio giudizio è assolutamente negativo.
Vi è, da parte di chi difende la riforma sottoposta alla nostra attenzione - che ovviamente va rispettato per le opinioni che porta, come tutti noi - il tentativo di paragonare questo meccanismo ai meccanismi degli altri Paesi europei, dove vige la doppia barriera dello sbarramento e della non preferenza. Direi, però, che è un paragone assolutamente improprio: infatti, in quel caso, vi sono meccanismi di compensazione che portano alla scelta dei candidati in modo molto democratico e molto partecipato. Il vulnus della riforma in esame, secondo me, è la mancanza di partecipazione: in alcuni Stati e in alcuni Paesi vi sono le primarie, che sono regolate per legge, in altri vi sono leggi, come in Germania, che invece attribuiscono ai partiti, sotto il controllo pubblico, la capacitàPag. 78di selezionare la classe dirigente, però con un equilibrio e con regole di garanzia che, invece, nel nostro sistema italiano non vi sono.
Questo è il motivo per il quale credo che vi sia un'inopportuna volontà di trasferire e di paragonare questa riforma elettorale ad altri sistemi che operano, invece, correttamente nel nostro Paese. È un aspetto che ha sottolineato, ad esempio, in un dibattito che si è già svolto (l'ho citato e lo faccio volentieri di nuovo), il Vicepresidente del Senato Nania: quando il meccanismo di compensazione e, quindi, di partecipazione democratica è, comunque, garantito, anche se non nell'espressione diretta del voto popolare, le cose funzionano.
In questo caso, invece, andiamo davvero ad affidare ad oligarchie di partito la capacità di scelta di vita o di morte della rappresentanza parlamentare del nostro Paese, in questo caso, in ambito europeo, come più o meno già avviene nell'ambito del Parlamento nazionale. Ritengo che questo sia un elemento negativo che rappresenta una fase involutiva della nostra democrazia parlamentare.
In altri Paesi - lo ripeto - esistono queste compensazioni: a noi dell'Unione di Centro non interessa a quale livello intervenga la partecipazione, è un aspetto secondario. L'importante è che intervengano, a qualche livello, la partecipazione democratica e la capacità di scelta dei cittadini. In questo caso, invece, in nessuna fase della creazione e dell'espressione del consenso vi è questo elemento fondamentale e fondante della vita democratica.
Vorrei avviarmi alla conclusione con un'altra valutazione che è strettamente collegata alla fase di sviluppo della nostra democrazia e, segnatamente, alla formazione dei due grandi partiti che stanno tentando di darsi un corpo e un'anima da una parte e dall'altra. Probabilmente, è questa la chiave di lettura della riforma elettorale in discussione.
Ogni meccanismo elettorale, dal punto di vista istituzionale e logico, dovrebbe essere una cinghia di trasmissione fra il partito e l'opinione pubblica. In altre parole, deve dare la possibilità all'opinione pubblica e ai cittadini elettori di scegliere la classe dirigente di un partito. In questo momento, però, in Italia vi è un'anomalia, nel senso che i partiti o, meglio, il partito che sta proponendo questa riforma ancora non è costituito: è una somma di altri partiti che stanno cercando, anche attraverso le vie notarili, il meccanismo per potersi aggregare e per poter generare questa nuova formazione politica. Pertanto, se non esiste il partito che propone la riforma elettorale, se ne deduce in maniera abbastanza logica e lineare che la riforma elettorale non è funzionale all'interesse dei cittadini elettori, ma è funzionale al partito che deve ancora costituirsi. Credo che sia questa la chiave di lettura: si tratta di una riforma elettorale che viene proposta per dare un aiuto surrettizio - un aiutino o un aiutone questo poi lo vedremo - a partiti che stanno trovando difficoltà maggiori del previsto a costituirsi.
Presentare liste con la preferenza e, magari, senza uno sbarramento più alto rispetto al resto d'Europa (come quello che si ipotizza del 5 per cento) darebbe effettivamente ai cittadini elettori la possibilità di un intervento indiretto, ma molto pesante, nella strutturazione di questi partiti: per tale motivo, con la riforma in discussione si preferisce mettere al riparo da questo rischio il partito che si sta costituendo e assegnare ai soliti noti la capacità di scegliersi la classe dirigente, anche per la rappresentanza nell'ambito delle istituzioni europee. Questo rappresenta un elemento di grave preoccupazione, perché è un'alterazione - lo ripeto - del senso istituzionale e costituzionale che deve avere una riforma elettorale. Essa non è concepita per aiutare la capacità di espressione dei cittadini, ma è concepita per limitare la capacità di scelta dei cittadini assegnando, invece, quasi l'intero percorso elettorale nelle mani di chi controlla - lo ripeto - questi partiti che stanno tentando di formarsi.
Quindi, se la riforma non è fatta, non è creata e non è immaginata come elemento di utilità per il cittadino elettore,Pag. 79essendo appunto una riforma elettorale, ha oggettivamente una motivazione diversa, meno nobile e meno rispettosa, della nostra democrazia parlamentare e delle nostre istituzioni. Pertanto, denunciamo ciò come un elemento di pericolo e di alterazione del rapporto tra pubblica opinione e partiti.
Per questo motivo, confermiamo le nostre critiche, che abbiamo già sviluppato in sede di Commissione, che stiamo portando - e che porteremo - all'attenzione dell'opinione pubblica nel Paese durante tutto il percorso di formazione di questa riforma. Ovviamente, in via precipua, essendo qui nelle aule del Parlamento, assicuriamo di volerle portare avanti anche e, soprattutto, nel confronto parlamentare che si aprirà domani mattina.
Io che faccio sempre affidamento, anche a nome del mio gruppo, sulla capacità autocritica delle personalità politiche che abbiamo di fronte, segnatamente degli esponenti del Governo, rinnovo in chiusura l'appello a riflettere davvero bene su quello che si sta facendo perché, probabilmente, il rumore della drammatica situazione economica coprirà in buona parte la dinamica parlamentare che accompagnerà questa riforma.
Pertanto, ripeto, come ho già detto, nel breve e nel medio periodo potremmo avere difficoltà a farci comprendere dall'opinione pubblica, ma sono convinto che, invece, nel periodo più lungo, le nostre ragioni avranno ampia possibilità di farsi spazio e di trovare nel Paese e nel Parlamento il sostegno che meritano (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare, a titolo personale l'onorevole Mannino. Ne ha facoltà.

CALOGERO MANNINO. Signor Presidente, è fin troppo ovvio che ogni intervento che si sta svolgendo questo pomeriggio in quest'Aula obbedisce soltanto alla ragione dell'obbligo morale e politico della testimonianza. La maggioranza, che ritiene di poter governare il Paese e ritiene - questo è il punto più inquietante - di affrontare anche riforme di sistema semplicemente con la sua forza, ha già deciso di portare ad approvazione questo provvedimento di riforma del sistema elettorale europeo.
Avevamo coltivato qualche illusione, prima ancora che la discussione dei progetti di legge di iniziativa parlamentare prendesse l'avvio in Commissione, e l'avevamo coltivata quando il Ministro Calderoli, compiendo il cosiddetto «giro delle sette chiese» (gli si deve rendere onore e merito di questa iniziativa), cioè avendo promosso incontri con tutte le forze politiche presenti in Parlamento sui due temi sui quali gioca la sua partita ministeriale (il federalismo fiscale e la riforma del sistema elettorale), aveva affermato che il sistema elettorale proporzionale per le elezioni del Parlamento europeo sarebbe stato mantenuto e che l'introduzione di uno sbarramento non avrebbe sacrificato la preferenza.
La preferenza è ritenuta criterio fondamentale per dare corpo concreto al sistema elettorale proporzionale. Privato della preferenza, infatti, il sistema elettorale che si vuole qui introdurre non rimane più un sistema elettorale proporzionale: in forza della combinazione con il criterio dello sbarramento e la modifica dell'ampiezza dei collegi, si determina uno strumento elettorale capace di piegare gli elettori a quel corso bipartitico al quale si presta moltissimo impegno, non soltanto da parte della maggioranza, ma anche da parte di altri.
Noi riteniamo che in questo modo si compiano tanti errori e riteniamo che il primo errore, del quale un giorno dovrà lamentarsi lo stesso Ministro Calderoli, è quello di aver assecondato questo corso, per la semplice ragione che esso, volto a realizzare un assetto bipartitico nel Paese, può andare se il Governo del Paese assicura soluzione ai problemi drammatici che il Paese, invece, ha; e noi sappiamo che, al di là della propria volontà o, peggio ancora, quando il Governo compie scelte a nostro giudizio erronee, le cose non sono facili. Le cose non sono facili e annuncianoPag. 80nubi e tempesta non soltanto nel cielo dell'Italia, purtroppo. È spiacevole e preoccupante doverlo dire.
Le cose non sono facili, al punto tale che il partito della Lega sarà ben presto costretto a dover misurare la propria differenza - non parlo di diversità, ma di differenza - con il PdL. Infatti, sotto l'egida della leadership personale di Berlusconi, il PdL si viene configurando sempre più come un partito radical-populista, che risolve il tema, delicatissimo per la democrazia, del rapporto tra una leadership politica, un partito, una maggioranza e la società, nei termini in cui lo sta risolvendo, durante questo quasi ventennio, l'onorevole Silvio Berlusconi.
Questo modello non può star bene alla Lega, per la semplice ragione che la Lega non è un partito populista, ma è un partito popolare. Non le faccio nessun torto, onorevole Calderoli. Poiché, in qualche modo, conosco la realtà dove il vostro partito è presente in modo molto significativo ed esercita, oggi, un ruolo di governo locale, mi posso permettere di dire che la Lega, per certi versi, è un pezzo di Democrazia Cristiana degli anni Sessanta e Settanta. Se posso dirlo, ma con molto riguardo, è quel pezzo di Democrazia Cristiana della Val Brembana che ricordo proprio come partito popolare, portavoce e strumento di espressione degli interessi popolari del territorio.
Orbene, la situazione economica metterà in rotta di collisione le scelte che il Governo nazionale farà - anche quelle del Ministro dell'economia e delle finanze, Tremonti, pur vicino, si fa per dire, idealmente alla Lega - e la realtà della Lega. Quando, tra qualche mese, i percettori di redditi che non vengono ritenuti più sufficienti per fronteggiare il costo della vita, presenteranno, nei vari comuni in cui la Lega è partito popolare, le proprie doglianze e lamentele (e il mio linguaggio si ferma soltanto a questo tipo di espressione, perché è prevedibile che, dopo Natale, in Italia, la situazione sociale sarà estremamente difficile), la Lega non potrà condividere la linea di politica economica e finanziaria di questo Governo. Dovrà prendere atto dell'impostazione che chiamo radical-populista. Se proprio volete un'immagine di questa definizione basterebbe dire che, oggi, l'immagine politica del PdL in quest'Aula è rappresentata dall'onorevole Calderisi: lo trovo estremamente corrispondente al modello e al disegno berlusconiano.
Certo, questo modello si è imposto perché è stato commesso un grave errore da parte della sinistra, da parte dell'onorevole Veltroni, quando ha ritenuto di dover affrontare lo showdown che avrebbe dovuto affrontare con la sua sinistra, offendo a Berlusconi un gioco che non andava offerto: un minuetto, una danza che poi, in quest'Aula, non ha avuto corso né seguito, e non poteva averne. La conclusione è che alla piazza di San Giovanni oggi si contrappone un'altra piazza.
È facile fare una domanda: voi ritenete che il sistema che volete realizzare, bipartitico, possa essere costruito opponendo una piazza ad un'altra? A turno vincerà le elezioni chi è stato all'opposizione, a turno chi andrà all'opposizione avrà da organizzare o San Giovanni o il Foro Italico. Questa rappresentazione dovrebbe indurvi a una seria riflessione e a porvi una domanda, la stessa alla quale De Gasperi diede una grande risposta, con la semplicità del linguaggio che lo contraddistingueva: egli diceva che questo è un Paese lungo lungo, fatto di differenze, anche culturali e di interessi.
Una politica nazionale - sottolineo positivamente che neanche la Lega rinuncia ad una dimensione e a una visione nazionale della politica - si fa allora con la combinazione degli interessi e, sotto questo aspetto, il sistema elettorale proporzionale è insostituibile, a maggior ragione per le elezioni europee.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

CALOGERO MANNINO. Concludo, signor Presidente. Se vogliamo costruire un' Europa dal basso, se vogliamo che il Parlamento di Strasburgo prenda sempre più forza nel ruolo che deve esercitare (oggi un ruolo per nulla incisivo sotto ilPag. 81profilo della governabilità dell'Unione europea, affidata ad altri meccanismi) il Parlamento europeo dovrebbe essere fatto con le voci di tutti. Dovrebbe comprendere anche le voci di quella sinistra radicale che non è entrata in Parlamento e che tutti dovremmo avere interesse ad avere qui in Parlamento e ad avere in Parlamento a Strasburgo, se vogliamo evitare che l'antico vizio italiano del ribellismo rianimi un dissenso alla sinistra del PD (ed è il problema con cui il PD deve fare i suoi bravi conti) che riaprirà in Italia una fase di lotta politica molto difficile, se questa coinciderà con una fase di lotta sociale, come quella che è prevedibile si svolgerà in Italia a cavallo della fine dell'anno.
Dunque, onorevole Ministro, continuo ad illudermi che il suo partito trovi il coraggio di arrestare questo cammino, se Berlusconi avesse veramente l'ambizione di essere l'uomo politico che ha risolto una crisi istituzionale di questo Paese dando luogo alla costruzione di un partito democratico. Il suo, per ora, non è democratico, perché il partito che ha annunciato è costruito sul predellino di una Mercedes, non è un partito democratico, costruito col consenso dalla base, con un consenso faticoso e travagliato che la procedura di partito deve contemplare.
E non si di demonizzino i partiti, perché è dimostrato dalla storia che dove non ci sono partiti non c'è democrazia: dove si vogliono ridurre i partiti soltanto ad un gioco artificioso come quello del tendenziale bipartitismo italiano, la democrazia - lo dico al mio collega Pionati - certo non è minacciata, non è esposta al rischio, ma è messa lungo una china estremamente pericolosa.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI (ore 17,50)

CALOGERO MANNINO. Abbiamo il dovere di fermare questa corsa verso il pericolo, perché tutti dobbiamo avere l'interesse a mantenere la democrazia italiana con la centralità del Parlamento.
Questa immagine di oggi, se anche sconfortante, rimane un'immagine alla quale non rinunciare, un'Aula parlamentare, anche se vuota - qualcuno disse un'Aula grigia - rimane il perno della democrazia.
Stiamo attenti: evitiamo di compiere scelte che potrebbero essere profondamente errate e, purtroppo, irreversibili (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, ho ascoltato con grande attenzione gli interventi che si sono susseguiti oggi in quest'Aula, alcuni dei quali sono entrati nel merito della questione che si affronta in questo provvedimento, mentre altri hanno risentito evidentemente di dinamiche politiche esterne e non sono entrati nel merito.
Stiamo discutendo della legge elettorale per le elezioni europee, e credo vada svolta qualche riflessione anche sull'origine e sull'interpretazione di questa legge. Nella prima Repubblica - parliamo ormai del secolo scorso - l'elezione al Parlamento europeo era spesso interpretata come un'occasione per giubilare esponenti di partito, anche con un cursus honorum importante, per far compiere loro l'ultima tappa del cursus honorum e quindi fare del Parlamento europeo una sorta di cimitero degli elefanti.
Poi il potere sempre più ampio che l'Unione europea ha raggiunto, nel corso di questi anni, e la maggiore incisività sulla vita concreta dei cittadini nonché il maggior peso delle istituzioni europee hanno profondamente modificato anche il ruolo delle istituzioni stesse e l'interpretazione che i vari Paesi - Italia compresa - hanno dato e stanno dando al meccanismo delle elezioni e alla partecipazione democratica alle istituzioni europee.
Non sfugge che il meccanismo elettorale per le elezioni europee è atipico: l'ampiezza delle circoscrizioni, l'assenza di un vero e proprio sbarramento e il sistema delle preferenze - per di più multiple - ci hanno regalato un'irrazionale proliferazionePag. 82di liste, alcune delle quali varate solo nella speranza di raggiungere un seggio (anche con una percentuale dello 0,6 per cento), e ciò ha evidentemente contribuito a confondere e frammentare il sistema politico.
Abbiamo assistito a campagne elettorali molto costose e molto faticose, ad eletti che, salvo i casi di personaggi noti della televisione, che pure sono stati citati in questa discussione, o di leader di partito, hanno dovuto faticare e spendere molto per guadagnarsi un consenso. Credibilmente questi eletti trascorrono larga parte del tempo del loro mandato non nelle istituzioni europee, non nelle Commissioni, non a seguire i dossier, non nelle sedute plenarie ma, invece, nelle loro segreterie, presso i comuni capoluogo dei loro immensi e vasti collegi, a coltivare il proprio elettorato, perché questo è il meccanismo che impone la legge per l'elezione dei membri del Parlamento europeo.
Pertanto, in questa occasione dobbiamo compiere una scelta di merito, ossia se i nostri deputati europei debbano essere tali e debbano fare sistema Italia a Bruxelles e a Strasburgo. Infatti, soffriamo di una debolezza strutturale e anche per questo, come ricordava il collega Bocchino, l'esame del lavoro svolto dalla commissione voluta dall'allora Ministro degli esteri, Massimo D'Alema, suggeriva che per dare forza al sistema Paese anche la legge elettorale per le elezioni europee doveva cambiare e i deputati europei dovevano essere più presenti: bisogna fare sistema per far valere gli interessi legittimi e condivisi, non solo di un territorio né di una regione o di un gruppo di regioni, ma di un intero Paese, in un sistema europeo e nelle istituzioni europee che con il Trattato di Lisbona assumono e assumeranno sempre più importanza.
In questo quadro abbiamo alcuni paradossi. Il primo, come diceva con grande chiarezza l'onorevole Calderisi, è che alcuni di coloro che non oltre dieci anni fa facevano la guerra alle preferenze, indicando in esse un sistema di corruzione e malcostume del sistema politico, oggi sono coloro che paradossalmente individuano nelle preferenze la panacea della salvaguardia del rapporto tra elettore ed eletto. Questo è il primo paradosso, e ci sembra veramente singolare. Peraltro, non possiamo ridurre al mantenimento o meno delle preferenze la salvaguardia del rapporto tra elettore ed eletto: è compito dei partiti raccogliere questa sfida e non tirarsi indietro con pigrizia o vigliaccheria di fronte ad essa, ma invece autoriformarsi, guardare ad un sistema che cambia, rivedere le proprie regole di partecipazione interna (abbiamo oltre 20 sistemi elettorali diversi, e quindi questo può essere anche un elemento di omogeneizzazione del sistema elettorale) e non abbandonare alla persistenza o meno del sistema delle preferenze ai più vari livelli la salvaguardia del rapporto tra eletto ed elettore.
Il secondo paradosso è il fatto che in questo Parlamento siedono parlamentari nazionali eletti senza preferenze, in circoscrizioni piccole, senza aver sostenuto grandi spese elettorali, che vorrebbero mantenere, per il Parlamento europeo (ossia per un livello territoriale decisamente più da ampio di quello nazionale), delle preferenze multiple, in territori vastissimi, con campagne elettorali onerose, sia sul piano politico sia su quello economico, quando sappiamo benissimo, tra l'altro, che in questo Paese, spesso e volentieri, come si evince dai dati citati anche nel corso di questa discussione, la preferenza è stata ed è segnale di divisione tra nord e sud, tra ricchi e poveri, tra candidati ricchi e candidati poveri, tra elettori ricchi e elettori più bisognosi, che si appellano forse a speranze molto diverse da quelli, più benestanti, che possono invece esprimere il loro voto d'opinione, o sulla simpatia, per un partito o per un leader. Sappiamo benissimo, anche grazie al contributo della magistratura, quante zone d'ombra ci siano su questo piano.
Il terzo paradosso è proprio il fatto che il sistema, all'inizio di questa nuova stagione politica, con l'ultima campagna elettorale, si andava avviando verso un bipolarismo che è stato frutto non tanto di una legge elettorale - che pure molti colleghiPag. 83presenti in quest'Aula e che oggi hanno parlato a favore delle preferenze hanno sostenuto - ma che quella legge elettorale ha stimolato, ed ancor prima e con ancor più forza le forze politiche e i partiti hanno scelto di assecondare, facendo un ulteriore salto di posizione, lanciando il cuore oltre l'ostacolo, scegliendo l'indicazione diretta di un leader e quindi l'indicazione di chi avrebbe dovuto o non dovuto governare.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

SIMONE BALDELLI. È stato fatto anche dal centrosinistra, e dal Partito Democratico in particolare. Il paradosso è che proprio quello stesso Partito Democratico e quello stesso Veltroni (direbbe Di Pietro: il Veltroni che non c'è, il PD che non c'è, perché non c'è più nessuno del PD in quest'Aula) si tirano indietro da una sfida bipolare che riguarda il livello europeo, dove il bipolarismo è ancora più antico e più consolidato, avendo, da un lato, una grande famiglia socialdemocratica e riformista e, dall'altro, una grande famiglia popolare ed europea.
Pertanto, crediamo che, da questo punto di vista, si debba superare la logica dei veti incrociati ed approfittare di questa occasione per fare un salto in alto, scavalcando le divisioni interne ai partiti e cercando di entrare nel merito della vicenda per capire se vogliamo eleggere i nostri parlamentari europei in un modo o in un altro, confrontandoci sul merito, come sul merito sono stati la relazione dell'onorevole Calderisi e il contributo di tanti colleghi, che ringrazio. Ringrazio anche il Governo, per la presenza attenta a questo dibattito.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 22 ed abbinate-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Calderisi.

GIUSEPPE CALDERISI, Relatore. Signor Presidente, immagino di avere pochi minuti in sede di replica, e quindi utilizzerò il tempo per rispondere solo ad alcuni colleghi. In ogni caso, avremo occasione di rispondere anche a tutti gli altri colleghi nell'ambito della discussione degli emendamenti. Utilizzerò due interventi per rispondere in termini anche più generali: uno è quello dell'onorevole Parisi, l'altro è quello dell'onorevole Vassallo, e mi dispiace che non siano qui ad ascoltare.
Devo dire che sono rimasto molto colpito dall'intervento dell'onorevole Parisi, ma non positivamente, purtroppo. Anche Parisi ha usato il termine «porcata», ha detto che è una parola che non gli piace, un termine che ancora fa fatica a pronunciare, ma che poi ha pronunciato ripetutamente nel suo intervento. Anche a me questo termine non piace, faccio fatica a pronunciarlo, come facevo fatica a sentirlo da tanti esponenti della sinistra negli anni Novanta, quando usavano il termine «porcata» per parlare del sistema delle preferenze. Non mi piaceva allora e non mi piace adesso, perché vorrei che la discussione su un sistema di voto o un altro venisse condotta in altre termini, con altre logiche e con altri argomenti, che non questo.
L'onorevole Parisi sa benissimo, lui che è cultore del collegio uninominale, come tanti, che nel sistema delle elezioni europee non si può utilizzare il collegio uninominale maggioritario. Proprio questi esponenti, che sono cultori del collegio uninominale come strumento per avvicinare il rapporto fra cittadini ed eletti, sostengono ed hanno sempre sostenuto, per le elezioni europee in particolare, un sistema per l'appunto come quello che proposero due esponenti della cultura riformista e della cultura cattolico-democratica, quali l'onorevole Barbera e l'onorevole Bodrato, nel 1993 in questa Camera dei Deputati.
Si trattava di una proposta che, non a caso, prevedeva il 5 per cento di soglia di sbarramento, sia pure implicita e nonPag. 84esplicita, con circoscrizioni molto piccole, calcolo circoscrizionale non nazionale e senza preferenze, con circoscrizioni che avevano, appunto, sei, sette, otto seggi ciascuna. Se, lo ripeto, avessimo voluto condurre una discussione più argomentata su questa materia, da parte dell'onorevole Parisi mi sarei aspettato un contributo diverso.
Inoltre, vorrei ricordare anche un'altra argomentazione, quella seconda la quale il distacco che i cittadini avvertono dall'Europa possa dipendere dal fatto che c'è o meno una soglia di sbarramento oppure un sistema con o senza preferenze.
Mi sembra che il problema del distacco dipenda da ben altre ragioni politiche, da un ruolo dell'Europa che i cittadini avvertono mancare e che non sia certo quello della soglia di sbarramento o del sistema delle preferenze a generare o meno il distacco dall'Europa.
Passo, quindi, all'intervento dell'onorevole Vassallo. Nel mio intervento avevo rivolto una domanda di fondo al Partito Democratico, ricordando come all'indomani del 13 aprile sembrava che tanto il Popolo della Libertà, quanto il Partito Democratico volessero muoversi nella direzione di portare a compimento la riforma del sistema politico avviata dal voto degli elettori e ho aggiunto che da allora sembra che siano cambiate molte cose e che in casa del Partito Democratico sia in atto un ripensamento in una direzione che non riusciamo a comprendere. Noi ci auguriamo che possa riannodarsi il filo interrotto di quel dialogo.
Debbo dire che, sentendo l'intervento dell'onorevole Vassallo, avverto che c'è questo cambiamento e non ho capito bene - spero ancora di non aver capito bene - qual è la nuova direzione di marcia e l'obiettivo. Infatti, dall'onorevole Vassallo non ho più sentito parlare di partiti a vocazione maggioritaria, di aggregazioni su basi programmatiche, ma di alleanze che dovrebbero andare dall'Unione di Centro, all'Italia dei Valori sino ad un ricostituito partito dell'estrema sinistra, non più su basi programmatiche, evidentemente solo con il cemento dell'antiberlusconismo. È così? Ho sentito bene? Signor Presidente, spero che non sia così, di aver capito male e che, lo ripeto, non sia mutata quell'impostazione che ha prodotto una radicale riforma del nostro sistema politico che gli elettori hanno decretato e che va evidentemente perfezionata con corrispondenti e adeguate modifiche a tutti i livelli delle leggi elettorali, dei regolamenti parlamentari, della nostra Costituzione, per arrivare finalmente ad un moderno sistema bipolare di tipo europeo.
Ci eravamo incamminati su una strada giusta. Si vuole tornare indietro come il gambero? Ho l'impressione che quando l'onorevole Vassallo dice che il Popolo della Libertà vorrebbe fare una riforma su misura delle esigenze proprie credo che forse stia parlando proprio per il Partito Democratico. Infatti, i termini della riforma che ha prefigurato - mi sembra, spero che non sia così lo ripeto - sembrano apparire un vestito cucito su misura della nuova strategia di alleanze non più su basi programmatiche ma dell'antiberlusconismo, cuciti addosso alle esigenze di nuove alleanze del Partito Democratico, fino a questa diversa strategia e delle lotte intestine al Partito Democratico stesso, che evidentemente condizionano tanto il problema dell'approvazione di questa legge elettorale.
Quindi, lo ripeto, sono molto amareggiato di questo, spero di aver capito male, che non sia così e che si possa riannodare un dialogo, per portare a compimento questa legge nella direzione che è necessaria. Le proposte al nostro esame sono quelle che riguardano la quasi totalità o comunque tutti i maggiori Paesi europei che hanno lo sbarramento al 5 per cento e non hanno il sistema delle preferenze. Abbiamo proposto una riforma basata su elementi di sistema, non abbiamo guardato al nostro interesse particolare, ma alle esigenze di modernizzazione del sistema politico, di un sistema bipolare maturo. Questo è il criterio che ci haPag. 85guidato e mi auguro che possa essere il criterio cui si ispirerà tutta l'Assemblea e, in particolare, il Partito Democratico.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo rinuncia alla replica.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Sull'ordine dei lavori (ore 18,05).

SIMONE BALDELLI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, in riferimento alla questione sollevata dall'onorevole Tassone sul sindacato ispettivo in questo Parlamento, quindi immagino anche relativamente alle Commissioni, vorrei rilevare che i dati relativi agli atti di sindacato ispettivo sono disponibili sia sul sito della Camera che su quello del Ministero per i rapporti con il Parlamento. Credo che in questo Parlamento, la cui attività è disciplinata dalla Conferenza dei presidenti di gruppo nel calendario e nel programma dei lavori, il sindacato ispettivo si svolga credibilmente anche in maniera sostanziosa. Giusto per citare alcuni dati al 19 settembre di quest'anno, che credibilmente saranno anche aggiornati nei rispettivi siti che citavo prima: 127 interpellanze, 136 question time, 339 interrogazioni a risposta in Commissione, 35 mozioni, 5 risoluzioni in Aula, 39 risoluzioni in Commissione; gli atti conclusi sono stati 279.
Pertanto, signor Presidente, credo, nell'economia generale, di poter rispondere al collega Tassone, anche se non c'è, con grande serenità e cordialità, controllando effettivamente i dati sugli atti di sindacato ispettivo, che è stato svolto da questo Parlamento, dai colleghi e anche dal Governo che ha risposto a questi atti, un lavoro importante e nobile, a cui vorrei rendere merito in quest'Aula personalmente.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 28 ottobre 2008, alle 11:

1. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Delega al Governo in materia di lavori usuranti e di riorganizzazione di enti, misure contro il lavoro sommerso e norme in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro (Già articoli 23, 24, 32, da 37 a 39 e da 65 a 67 del disegno di legge n. 1441, stralciati con deliberazione dall'Assemblea il 5 agosto 2008) (1441-quater-A).
- Relatore: Cazzola.

2. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia (Già articoli 3, da 5 a 13, da 15 a 18, 22, 31 e 70 del disegno di legge n. 1441, stralciati con deliberazione dell'Assemblea il 5 agosto 2008) (1441-ter-A).
- Relatore: Raisi.

3. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di inchiesta parlamentare:
LIVIA TURCO ed altri; BARANI ed altri; MOLTENI ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sugli errori in campo sanitario e sulle cause dei disavanzi sanitari regionali (Doc. XXII, nn. 1-2-4-A).
- Relatore: Binetti.

4. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 25 settembre 2008, n. 149, recante disposizioni urgenti per assicurare adempimenti comunitari in materia di giochi (1707-A).
- Relatore: Conte.

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5. - Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge (previo esame e votazione della questione pregiudiziale presentata):
ZELLER ed altri; CICU ed altri; PALOMBA; GOZI e ZACCARIA; BOCCHINO ed altri; SORO ed altri; LO MONTE ed altri; ZELLER ed altri: Modifiche alla legge 24 gennaio 1979, n. 18, concernente l'elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia (22-646-1070-1449-1491-1507-1692-1733-A).
- Relatore: Calderisi.

La seduta termina alle 18,10.

TESTO INTEGRALE DEGLI INTERVENTI DEI DEPUTATI SANDRO GOZI, SALVATORE PICCOLO E AURELIO SALVATORE MISITI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI SUL TESTO UNIFICATO DELLE PROPOSTE DI LEGGE NN. 22-646-1070-1449-1491-1507-1692-1733-A

SANDRO GOZI. Onorevoli colleghi, durante il dibattito sulla ratifica del Trattato di Lisbona, tutte le forze politiche in questo Parlamento hanno convenuto sulla necessità di rafforzare la democrazia europea. Molti hanno insistito sulla lontananza dell'Europa dai cittadini e sul suo carattere tecnocratico.
Ridurre la distanza tra istituzioni europee e cittadini, avvicinare l'Europa ai territori costituisce, senza alcun dubbio, una vera priorità. Ed è urgente rafforzare il legame politico e rappresentativo tra elettori e deputati europei.
Modificare l'attuale legge elettorale per le europee è dunque necessario. Lo è anche perché il Parlamento europeo non è più una semplice assemblea consultiva, come al tempo in cui fu adottata la legge elettorale vigente in Italia, ma è diventato - quattro trattati dopo - un'assemblea con importanti poteri legislativi.
Ebbene, la legge elettorale che voi proponete non risponde a nessuna di queste esigenze. Perché?
Perché avete totalmente ignorato la dimensione europea e avete agito unicamente per soddisfare equilibri ed esigenze interne alla vostra maggioranza.
La vostra concezione della politica è leaderistica, e questa legge soddisfa la volontà del vostro leader di utilizzare a suo piacimento le elezioni europee. Dovete fare una lista comune tra AN e FI, e l'eliminazione delle preferenze vi permette di garantire i vostri difficili equilibri interni e vi mette al riparo da spiacevoli sorprese, perché così - «una spiacevole sorpresa» - voi considerate la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto di preferenza. E l'Europa è per voi una variabile secondaria, utile capro espiatorio quando vi impedisce di stravolgere le sue regole comuni - come nel caso dell'immigrazione, del cambiamento climatico o di Alitalia - strumento di propaganda quando prende decisioni importanti, come per la crisi finanziaria, a cui peraltro non apportate alcun contributo determinante, al di là dei vostri proclami sulla stampa nostrana. E l'Europa non è stata affatto considerata in questa proposta, concepita tutta in chiave interna e per fini ben diversi.
La modifica della legge per l'elezione dei membri del Parlamento europeo dovrebbe essere uno strumento attraverso cui promuovere alcune funzioni fondamentali: in primo luogo stabilire un rapporto di stretta connessione tra territori, eletti e dimensione europea. In secondo luogo, contribuire allo sviluppo di una nuova classe politica europea, attiva e influente a Strasburgo, legittimata e riconoscibile agli occhi dei cittadini.
Quanto accaduto nelle ultime due elezioni europee prova che l'attuale sistema elettorale contraddice la sostanza di queste finalità e per questo il Partito Democratico riteneva nella passata legislatura e ritiene oggi che siano necessarie delle modifiche.
L'ampiezza delle circoscrizioni vigenti non ha mai consentito di sviluppare un sistema di relazione stretta con i territori e ha reso molto costose le campagne elettorali.Pag. 87
Voi parlate di carattere localistico facendo riferimento a una realtà - la regione - che è ormai un attore chiave nella governance europea, protagonista di buona parte dell'attuazione delle politiche europee.
La mancanza assoluta di soglie di sbarramento ha riprodotto in sede europea una eccessiva frammentazione del sistema politico che ha ridotto l'influenza del sistema Italia al Parlamento europeo.
Innanzi a tale situazione, per raggiungere gli obiettivi che - a parole - tutte le forze presenti in questo Parlamento condividono, sono due le vie che si possono percorrere: o creare delle circoscrizioni di media grandezza, con riduzione quindi dei costi, mantenendo il voto di preferenza, o creare delle circoscrizioni molto piccole, regionali o subregionali, in base al principio «almeno 1 o 2 deputati per regione». E in questo caso - e solo in questo - valutare possibili modifiche dell'attuale sistema di preferenze multiple. Questo, onorevole Calderisi, era lo spirito della mia proposta presentata nella precedente legislatura.
È innegabile infatti che l'opinione pubblica considera l'espressione della preferenza come un diritto che gli è stato sottratto alimentando sempre di più la concezione della classe politica come «casta» separata dal corpo sociale. Ed è altresì evidente come solo in collegi piccoli si possa assicurare un forte legame tra eletti e territori. Entrambe le soluzioni - che noi abbiamo proposto - perseguono uno scopo: rispettare e garantire un vero diritto di scelta dei cittadini.
E voi invece cosa proponete? Proponete circoscrizioni grandi ed eliminate il voto di preferenza, negando quindi due volte il diritto degli elettori di scegliere i loro rappresentanti al Parlamento europeo e ignorando la necessità di avvicinare Europa e territori. Altro che diritto di scelta dei cittadini: voi vi arrogate il diritto di scegliere per tutti, di scrivere le regole del gioco da soli, ignorando le proposte delle opposizioni e calpestando le esigenze di partecipazione democratica sempre più sentite nel nostro Paese.
Come se non bastasse, in questo sistema totalmente bloccato che volete imporre, non avete neppure voluto vietare le candidature multiple, rendendo ancor meno trasparenti e controllabili le liste e la decisione su chi sarà veramente eletto o meno.
Noi vi abbiamo proposto di stabilire il principio della non candidabilità a parlamentare europeo per quei soggetti la cui funzione è oggi soltanto incompatibile. Ciò al fine di inibire la presentazione di candidature fittizie, finalizzate esclusivamente a sollecitare la partecipazione e il voto per la lista, ma non sorrette dalla reale disponibilità dei candidati a svolgere il mandato parlamentare europeo. Ma che importa l'attività parlamentare europea?
Con la vostra proposta al contrario le prossime elezioni saranno un grande sondaggio nazionale sul vostro leader, a cui è riservata la possibilità di candidarsi in tutte le circoscrizioni; saranno elezioni senza passato, perché non si dibatterà di ciò che è stato fatto e senza futuro, perché non si dibatterà di ciò che si dovrà fare in Europa; saranno elezioni con candidati sconosciuti, perché con liste lunghe e bloccate i candidati alle europee cadranno completamente nell'anonimato. Non avete neppure voluto considerare ipotesi di compromesso come il voto di preferenza ponderato, che ho proposto, ispirato al sistema svedese, e che avrebbe dato la possibilità agli elettori di sovvertire, solo se insoddisfatti, l'ordine di lista proposto dal partito: un sistema che responsabilizza i partiti - che devono presentare candidati adeguati - e che dà la possibilità ai candidati radicati territorialmente di modificare l'ordine di lista.
Le soluzioni mediane - di compromesso positivo - quindi, erano possibili. Soluzioni che avrebbero anche evitato aspetti negativi delle preferenze multiple in grandi collegi.
Non c'è che dire: un risultato eccellente, un risultato che ancora una volta non tiene alcun conto delle tendenze all'interno del Parlamento europeo: la Commissione affari costituzionali di Strasburgo, infatti, si sta orientando verso unaPag. 88possibile generalizzazione del voto di preferenza e verso circoscrizioni territoriali negli Stati membri più popolosi per le elezioni del 2014. E l'Italia, nel 2009, va esattamente nella direzione contraria: niente preferenze e grandi collegi.
Per evitare l'eccessiva frammentazione della rappresentanza italiana in seno al Parlamento europeo noi abbiamo proposto di introdurre una soglia di sbarramento del 3 per cento. Voi introducete il 5 per cento, e lo fate invocando il regolamento comunitario che prevede il 5 per cento come tetto massimo. Tetto massimo, non obbligo. Tetto che è concepito per 27 sistemi politici diversi: se il 5 per cento può andare benissimo per paesi come la Germania o la Francia, è troppo alto per l'Italia, perché nega la rappresentanza a forze politiche consistenti. Se è vero che il carattere proporzionale non va portato alle sue estreme conseguenze, è anche vero che non è accettabile che la maggioranza imponga una soluzione che porti a conseguenze negative opposte, per usi strumentali interni.
E che dire delle quote rosa? Attualmente l'Italia è al ventiduesimo posto in Europa per numero di donne elette al Parlamento europeo, con una percentuale pari al 19,2 per cento, evidenziando una situazione di forte sottorappresentazione politica femminile. Notevole è quindi il divario rispetto agli altri Paesi (media dell'Unione europea: 30,3 per cento): solo Cipro e Malta (senza rappresentanza femminile) e la Polonia registrano un numero inferiore di elette, rispetto alla nostra delegazione parlamentare.
Per promuovere la rappresentanza femminile abbiamo proposto che nessun sesso possa essere rappresentato nelle liste in misura superiore al 60 per cento stabilendo inoltre che, nel caso siano espresse due preferenze, l'elettore debba esprimerle a favore di candidati di genere diverso, a pena di nullità di entrambe le preferenze.
La vostra proposta invece - 50 per cento di candidature femminili senza indicazioni sull'ordine di lista con liste bloccate - è una vera presa in giro. Smettiamola di parlare di donne in politica, allora, perché se ogni volta che abbiamo la possibilità di migliorare la situazione non lo facciamo, tutti noi, tutta la classe politica perde di credibilità agli occhi degli italiani e dell'Europa.
Le nostre proposte avrebbero senz'altro portato alla risoluzione delle principali debolezze del sistema elettorale attuale. Purtroppo abbiamo trovato, come spesso è accaduto dall'inizio di questa legislatura, una maggioranza assolutamente indisponibile al confronto. Inutile anche evocare il dialogo con una maggioranza che non ne sente alcuna necessità.
Mi sorprende quindi che dopo aver respinto tutte le nostre richieste, anche oggi il relatore abbia parlato di dialogo. La vostra concezione di dialogo è alquanto originale.
Il testo di riforma della legge elettorale su cui impegnate questo ramo del Parlamento non solo rende palese la scarsissima considerazione che questa maggioranza ha nei confronti delle istituzioni europee ma, più in generale, rivela la sua - davvero bizzarra - concezione di democrazia e di Europa.
La realtà è che voi della maggioranza continuate a considerare le istituzioni europee un vincolo e non una opportunità e per questo piegate la legge elettorale europea ad esigenze interne: garantire gli equilibri interni alla futura della lista PDL; tentare di eliminare un ex alleato scomodo innalzando la soglia di sbarramento.
Cari colleghi della Lega, onorevole Dussin, caro Ministro Calderoli, quello che non capisco è perché voi vi prestiate a un gioco tutto interno alla PDL.
Del resto, Ministro, nei suoi documenti preparatori per il Governo - poi interrotti - si parlava del 4 per cento per lo sbarramento e di mantenimento delle preferenze.
Noi invece vogliamo che i cittadini tornino ad avere voce. Non accettiamo che la composizione dei Parlamenti e dei partiti venga decisa da una decina di persone.
Poiché contestiamo il vostro modello oligarchico, contestiamo anche i vostri metodi,Pag. 89che mirano ad alterare costantemente le regole del gioco secondo la vostre convenienza.
Né ci adagiamo sul vostro modello voluto.
A questo uso arrogante del potere e delle istituzioni che guarda non all'interesse generale, che non si preoccupa dei veri interessi del nostro Paese, che ignora totalmente la dimensione democratica dell'Europa non si può che rispondere con un duro, fermo e convinto «no», in Parlamento, nel Paese e in Europa.

SALVATORE PICCOLO. La proposta di legge per la modifica della legge per le elezioni europee ha già trovato, in Commissione affari costituzionali, la netta e ferma opposizione del Partito Democratico che, di fronte alla chiusura intransigente e prepotente della maggioranza di Governo ad ogni ipotesi di confronto e dialogo, è stato costretto ad abbandonare i lavori in Commissione per denunciare la gravità di uno strappo violento che si vuole scientemente perpetrare.
Il sistema elettorale che si tenta di imporre è, difatti, un colpo secco alla democrazia partecipativa: un vero e proprio esproprio alla sovranità del corpo elettorale che viene privato della possibilità di scegliere i suoi rappresentanti istituzionali.
Già segnata dal varo della legge elettorale per l'elezione del Parlamento nazionale, voluta e pretesa dal precedente Governo Berlusconi, l'opinione pubblica è fortemente scossa e disorientata da questo ulteriore, sciagurato proposito di limitare l'esercizio del diritto di voto; la fiducia della gente nelle istituzioni e nei partiti rischia di uscirne definitivamente compromessa!
Debolissime, contraddittorie e strumentali sono le argomentazioni addotte a sostegno di questa inquietante volontà prevaricatrice del Popolo della Libertà che mira a consolidare definitivamente un sistema blindato ed oligarchico, del tutto ripiegato e sottomesso alla discrezionalità assoluta del leader politico.
La questione in esame è estremamente seria e delicata in quanto coinvolge l'assetto e la prospettiva della nostra democrazia: i meccanismi elettorali sono l'espressione di una concezione culturale e politica della classe dirigente del Paese e, inevitabilmente, definiscono il percorso e l'evoluzione del sistema.
Ecco perché essa andrebbe affrontata in un contesto dialogante e condiviso, con equilibrio e senso di responsabilità, in un confronto aperto e proficuo tra maggioranza ed opposizione: le istituzioni devono stare a cuore a tutti e le decisioni che ne investono la configurazione e l'articolazione non possono - in una democrazia salda ed effettiva - essere appannaggio esclusivo di chi governa e detiene la maggioranza numerica in Parlamento.
Qui voglio sottolineare subito un primo e pregiudiziale aspetto: la discussione sulla definizione legislativa del metodo elettorale da adottare per le elezioni europee sconta, a monte, il grave limite di essere affrontata «isolatamente», a prescindere dalla considerazione dei molteplici, diversi meccanismi elettorali adottati nel nostro Paese. In pratica, si legifera al di fuori di una «logica di sistema» e, per ciò stesso, eludendo l'esigenza di un'omogeneizzazione complessiva degli strumenti elettorali che costituisce, a mio avviso, la condizione imprescindibile per organizzare una democrazia moderna ed efficiente, al passo con quelle più avanzate e sviluppate.
Si persiste nella pratica di «riformare», spesso in peggio, il singolo meccanismo elettorale: ieri quello concernente il Parlamento nazionale, oggi quello per il Parlamento europeo, prima ancora quello per i comuni, le province, le regioni, con una dinamica disordinata, contraddittoria, a volte quasi schizofrenica.
La verità è che in questo Paese c'è stata sempre una grande sottovalutazione dei modelli elettorali, ritenuti come un elemento accessorio e marginale dell'impianto istituzionale e dell'organizzazione della democrazia. Un enorme errore che ha prodotto conseguenze disastrose sul funzionamento del nostro sistema politico e istituzionale, spalancando le porte a unaPag. 90frammentazione partitica senza limiti e senza regole. La polverizzazione delle forze politiche ha alimentato la formazione di tanti partiti e partitini, spesso a carattere personalistico e parentale, con inevitabili, negative ripercussioni sulla stabilità dei governi, nazionali e locali.
Di tale pessima condizione hanno risentito la tenuta politica, la coesione e l'affidabilità delle maggioranze, scaturite sistematicamente da un confuso assemblaggio elettorale di una quantità incredibile di partiti, partitini, movimenti vari e liste civiche.
E conseguenze nefaste sono ricadute sulla qualità della rappresentanza politica ed istituzionale e, ancor di più, sul costume e sull'etica dei comportamenti che, con troppa frequenza, hanno logorato i principi di un modello ordinamentale virtuoso, efficiente e trasparente.
In questo quadro una discussione sulle modifiche elettorali fatta per pezzi, con riguardo di volta in volta a singoli livelli istituzionali, è viziata alla base ed è destinata inevitabilmente a produrre soluzioni pasticciate e, comunque, inadeguate.
È il caso, appunto, della proposta in esame che arriva nell'imminenza della scadenza elettorale delle europee e, perciò, non agevola una decisione «neutrale» ed obiettiva in quanto prevale, chiarissima ed evidente, la tendenza a varare quella normativa che, al momento, appare la più conveniente per la maggioranza di Governo e, soprattutto, per il suo leader.
Fatta questa necessaria premessa, ci preme chiarire che il Partito Democratico è decisamente favorevole a realizzare l'obiettivo della riduzione della frammentazione partitica, senza «se» e senza «ma».
D'altronde, la coraggiosa scelta fatta da Veltroni alle recenti elezioni politiche è stata emblematica ed inequivocabile, consentendo di avviare un processo fortemente innovativo nella direzione positiva della semplificazione, nonostante la vigenza di una pessima e iniqua legge elettorale.
Vale la pena di ricordare che è stato proprio il Partito Democratico a mettere in moto una dinamica sostanzialmente correttiva del sistema, anche a costo di pagare un prezzo elettorale.
Siamo, quindi, persuasi che occorra sicuramente fissare una soglia di sbarramento per accedere all'assegnazione dei seggi (peraltro prevista dalla Decisione 2002/772/CE/Euratom), facendo attenzione, però, che essa non sia eccessivamente alta per non cancellare del tutto una rappresentanza plurale della nostra società.
Eliminare la frammentazione non significa «irrigidire» il sistema a tal punto da trasformarlo in un bipartitismo perfetto!
Occorre, sì, modernizzare la nostra democrazia e, quindi, adeguare gli strumenti elettorali, evitando però di «organizzare» una trama normativa che si traduca in una sorta di conventio ad excludendum.
In questa pericolosa logica il Partito Democratico non si lascia intrappolare e, quindi, contrasta il malizioso disegno che punta ad annientare tutti o quasi i partiti minori attraverso il combinato disposto di una soglia molto alta di sbarramento e della contestuale abolizione del voto di preferenza.
Il nostro «no» su questo punto è netto e fermo. Come netto, categorico e irriducibile è il nostro «no» all'abolizione del voto di preferenza.
Dove ci stiamo avviando con sistemi elettorali che lasciano esclusivamente nelle mani di pochi leaders di partito la composizione delle Assemblee elettive? A quale deriva plebiscitaria vogliamo condurre la nostra democrazia?
La «nomina» di deputati, senatori, parlamentari europei e la prevedibile, graduale estensione di questo assurdo modello ai livelli istituzionali locali diventa un vero e proprio attentato all'esercizio corretto e normale del sistema democratico. Di fatto, ai cittadini viene sottratta del tutto la facoltà di «eleggere» i propri rappresentanti, con la conseguenza che questi ultimi, svincolati da un rapporto diretto e visibile con gli elettori, finiscono per indirizzare e svolgere la loro attivitàPag. 91politica e istituzionale in funzione del gradimento e dell'interesse della leadership del proprio partito piuttosto che dei doveri di «rappresentanza» delle comunità locali e dei loro problemi.
Prevale e si radica, in tal modo, il modello della «personalizzazione estrema» della politica che affida ogni decisione «all'uomo solo al comando», al «predestinato», all'unto dalla provvidenza, a colui che alimenta la speranza e nutre sapientemente l'illusione che l'imperio assoluto possa risolvere, di per sé, tutti i problemi e far fronte a tutte le emergenze.
In pratica, con un sistema elettorale così congegnato, l'elettore non seleziona più una classe dirigente: il voto serve unicamente a scegliere il comandante in capo al quale si demanda e, di fatto, si trasferisce la potestà di scegliere «gli eletti», a sua discrezione e piacimento.
Così si snatura l'identità stessa della democrazia, convogliandola verso prospettive incerte e pericolose.
Per questa via si forma e si impone un ceto politico autoreferenziale e distante dalle sensibilità e dai bisogni del territorio: quella «casta» tanto deprecata quanto invisa all'opinione pubblica.
La soppressione del voto di preferenza alimenta e consolida definitivamente questa perversa tendenza, anche in ragione del contesto storico-politico del nostro Paese, dove solo di recente ha cominciato a svilupparsi una tendenza bipolare e dove non c'è alcuna consuetudine culturale e sociale con il bipartitismo «perfetto».
Non ha senso, quindi, fare riferimento alle esperienze di alcuni Stati nei quali non è previsto il voto di preferenza, in quanto - quasi sempre - si tratta di paesi nei quali sostanzialmente vige un sistema prevalentemente bipartitico.
Né appaiono convincenti alcune motivazioni addotte dal relatore per giustificare l'abolizione del voto di preferenza, a cominciare da quella che gli conferisce un valore salvifico e moralizzatore del sistema politico che verrebbe protetto dal rischio dell'inquinamento e della corruzione del voto e salvaguardato dalla spirale maligna del «correntismo di partito».
Nessuno pensa che il voto di preferenza sia la soluzione ideale e perfetta per assicurare l'efficienza, la trasparenza e la correttezza del sistema democratico. Ne conosciamo i difetti ed i limiti. Ma, parimenti, nessuno suppone che sia migliore e più virtuoso un modello elettorale nel quale l'elettore non ha più alcun potere di controllo e di sanzione sugli «eletti» e che, per converso, potenzia al massimo le oligarchie di partito e, di fatto, esclude la partecipazione reale dei cittadini dal processo democratico.
Nell'attuale contesto storico-politico del nostro Paese, anzi, il voto di preferenza diventa assolutamente necessario ed irrinunciabile!
Ancora più discutibile appare il ragionamento sulla scelta della «forma-partito» che, a parere della maggioranza (per meglio dire, dell'onorevole Berlusconi), dovrebbe essere orientata verso un modello di «partito unitario che si raccoglie intorno ad un leader che ne costituisce la sintesi e l'immagine unitaria», anziché verso «un partito dei notabili e delle correnti organizzate», quale sarebbe quello che potrebbe scaturire da un sistema elettorale con le preferenze.
Si ipotizza e si privilegia, in fin dei conti, l'idea di un partito unitario, anzi unanimistico, che è «posseduto» dal suo Capo che «pensa, sintetizza, decide e agisce» per tutti, con buona pace di ogni esigenza di confronto dialettico e di contraddittorio democratico.
Così la convinzione e l'interesse del leader diventano la convinzione e l'interesse di tutto il partito, anzi di tutta la coalizione, anzi di tutto il Paese!
È questa la configurazione che si intende dare alla nostra democrazia?
È questo il partito che piace al Presidente del Consiglio?
Certamente non è quello che auspica e desidera la gente comune; e non è quello che può affascinare e motivare le nuove generazioni.
Poco persuasiva si rivela, poi, la motivazione - alquanto debole, per non dire effimera - che l'aumento delle circoscrizioni, peraltro assolutamente limitato edPag. 92insufficiente, offrirebbe all'elettore la possibilità di una scelta «visibile, comprensibile e controllabile» per il ridotto numero di candidature,
Candidati visibili e comprensibili? Ma che cosa significa, se l'elettore - dopo averli «visti e compresi», non può scegliere tra essi, ma deve subirli?
A rafforzamento e suggello dell'argomentazione, si aggiunge e precisa che sono finanche controllabili. Come? «A posteriori», alla scadenza del mandato e solamente in quelle circoscrizioni in cui sono eletti non più di due o tre deputati europei. Essendo pochi possono «essere seguiti e valutati». E nelle altre circoscrizioni più grandi dove i candidati sono molti di più? E che succede se il partito, indifferente o incurante dell'attività svolta dai parlamentari, li ricandida in blocco? Li bocciamo entrambi o li promuoviamo per spirito di partito?
E che dire di quella ineffabile considerazione (pure essa sostenuta dal relatore) che, per rimediare ai gravi inconvenienti delle liste bloccate, suggerisce di intervenire sui partiti per giungere - attraverso un'autoregolamentazione - a « procedure trasparenti e pubbliche per la selezione delle candidature». Non c'è che dire: una soluzione provvidenziale e palingenetica!
Al di là delle tante obiezioni e difficoltà che si possono realisticamente sollevare su questa ipotesi, mi viene da chiedere: c'è qualcuno in quest'aula che pensa che il signor Presidente del Consiglio possa essere d'accordo su un sistema che a lui, «uomo del fare», apparirebbe un'inutile perdita di tempo, uno sterile e macchinoso esercizio burocratico, buono per i perditempo e i politicanti?
E, allora, guardiamo in faccia la realtà: le motivazioni e le giustificazioni assunte dalla maggioranza e dal Governo sono pretestuose e infondate.
La verità è che si vuole perseguire un preciso e chiaro obbiettivo: impiantare un sistema controllato e «governato» da pochi, anzi da pochissimi; un sistema che riduce sempre di più gli spazi di democrazia e di partecipazione e che, sostanzialmente, denota un'irrefrenabile vocazione al plebiscitarismo.
Questo spiega anche perché la maggioranza si rifiuta - illogicamente e immotivamente - di affrontare il problema molto serio della «incandidabilità» di alcuni soggetti che già ricoprono rilevanti incarichi istituzionali, dando la possibilità agli elettori di avere la certezza di eleggere candidati che, dopo aver richiesto il voto, effettivamente andranno al Parlamento europeo; candidati - cioè - che non siano lo specchietto per le allodole, messi lì solamente per trainare voti alla propria lista.
Da qui un invito pressante ad una riflessione serena e responsabile sul provvedimento in esame. Evitiamo di immetterci in un percorso pericoloso che ferisce ulteriormente il sistema della rappresentanza democratica e lacera ancor più il già fragile tessuto del rapporto con l'opinione pubblica.
Se così non fosse e la maggioranza intendesse ostinatamente e pervicacemente mantenere una posizione chiusa, blindando la proposta di legge, allora la nostra contrarietà sarà ferma ed irriducibile; sarà un'opposizione - sia chiaro a tutti gli italiani - senza sconti e senza cedimenti!
Saremo in prima fila, nel Paese, a denunciare la gravità di questo comportamento che indebolisce le istituzioni e le piega agli interessi di una parte che sempre più manifestamente inclina alla tentazione della «dittatura della maggioranza».
E non saranno certo l'insofferenza e l'intolleranza del Presidente del Consiglio verso ogni forma di dissenso a farci cambiare idea!

AURELIO SALVATORE MISITI. Signor Presidente, la maggioranza di questo Parlamento ha votato in Commissione affari costituzionali una proposta di legge per la elezione dei parlamentari europei che ricalca il solco percorso già dalla legge elettorale nazionale italiana.
Questa legge elettorale ha arrecato un danno incalcolabile all'immagine della politicaPag. 93nella società italiana. Il distacco dei cittadini dalla politica è cresciuto mentre la condanna di quel che rimane dei partiti di vecchio stampo non è stata mai così generalizzata. Nonostante questo clima che si vive nel paese la presentazione di una simile proposta per le europee non è assolutamente spiegabile se non con un disegno innominabile di costruire per il futuro una società di sudditi senza i diritti fondamentali riconosciuti in tutte le società civili.
Il Governo e per esso il ministro Calderoli ha chiarito che intendeva presentare un suo testo soltanto come stimolo alla discussione parlamentare per avere una nuova legge in tempo utile per le elezioni di primavera. Avendo, tuttavia, il Parlamento autonomamente avviato l'esame di provvedimenti in materia, i quali prospettano un ampio ventaglio di soluzioni, il Governo ha rinunciato a presentare un proprio testo, riservandosi di esprimere le proprie valutazioni a conclusione del dibattito parlamentare.
Intanto c'è da domandarsi se ci fosse una reale necessità di provvedere a rendere omogeneo a quello per il Parlamento il sistema elettorale per le europee.
I due Parlamenti sono chiamati a compiti diversi. Il Parlamento europeo non deve esprimere una maggioranza di Governo ma solo una rappresentanza; non deve promuovere (o ratificare) un Governo, perciò, essendo di rappresentanza, è sacrosanto il diritto di tutte le voci rilevanti in ogni Stato membro di esprimere il proprio pensiero da quella autorevole tribuna.
Quindi non vi è alcuna ragione di approvare una legge omogenea a quella nazionale, che, detto fra noi, è la peggiore delle leggi possibili, per confessione di uno dei suoi autori (Calderoli).
Ecco perché ci risulta incomprensibile la scelta di inserire una soglia di sbarramento sul piano nazionale del 5 per cento dei voti validi.
Ma ancora più incomprensibile risulta l'abolizione del voto di preferenza per qualificare la rappresentanza ed evitare la mafia.
Cari amici del centrodestra, non illudetevi sul giudizio dei cittadini e, se si preferisce, amici dei grandi partiti di destra e di sinistra, il passaggio di una siffatta legge contribuirà a far crescere l'attacco qualunquista alla democrazia, che non risparmierà nessuno.
Se si superano certi limiti si fa il saldo nel buio: dai parlamentari italiani nominati a quelli europei si può pure passare, ma non crediate che l'opinione pubblica si possa manovrare sempre.
Si potrebbe creare un clima esasperato e di scontro tale da richiedere la presenza al vertice dello Stato di uomini forti per mettere ordine.
Approfittiamo invece della discussione di questa legge per alleggerire il clima e disinquinare l'ambiente dall'antipolitica.
L'opposizione parlamentare sui punti principali (la riduzione dello sbarramento al 3 per cento come proponeva la Lega Nord Padania, l'introduzione di almeno una preferenza, il raddoppio del numero delle circoscrizioni) si può trovare compatta, mentre la Lega Nord Padania, per bocca dell'onorevole Dussin, si dice disponibile a discutere l'entità della soglia di sbarramento.
Spetta al gruppo di maggioranza relativa fare un passo decisivo per accogliere i suggerimenti e le proposte unitarie di destra e di sinistra, che provengono da tutto il territorio nazionale (consiglio comunale di Roma).
Le argomentazioni ascoltate in quest'aula a favore del testo approvato nella I Commissione dai soli deputati del Popolo della Libertà non sono per nulla convincenti. Paragonare le elezioni in Italia con quelle che si tengono in paesi in cui i partiti scelgono i candidati con regole legali oppure con vere primarie, è come mettere insieme e sommare patate con lenticchie.
In questa situazione di crisi economica ormai evidente basta poco per accendere dei focolai di tensione. Non è il caso di impedire l'accesso alla tribuna europea néPag. 94alla sinistra estrema né alla destra estrema. Il pericolo di passare dall'estremismo politico a quello violento non va dimenticato da nessuno, né dal Governo né dal Parlamento.
È questo un invito a tutti noi di trattare l'argomento con molta attenzione, perché la bufera mediatica scatenata contro il Parlamento da importanti giornalisti con libri ormai divenuti popolari come La Casta, non solo continua ma diviene di giorno in giorno più incisiva e penetrante.
Non credo che tutto quanto riportato da costoro sia oro colato, ma certamente una legge simile, dopo le proteste diffusissime contro la cosiddetta «porcata» del ministro Calderoli, dimostra l'insensibilità assoluta del Palazzo per ciò che si muove nella società.
Tutti sappiamo quanto è cresciuta la nostra impopolarità a cagione di questo. Finiamola di alimentare questo ingiusto attacco alle istituzioni repubblicane! Facciamo le elezioni europee con una legge democratica! È il nostro dovere di maggioranza e di opposizione.