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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 65 di venerdì 10 ottobre 2008

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROCCO BUTTIGLIONE

La seduta comincia alle 9,30.

DONATO LAMORTE, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.

Sul processo verbale (ore 9,35).

ROBERTO GIACHETTI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, intervengo a norma del comma 3 dell'articolo 32 del Regolamento in quanto ho l'esigenza di chiarire il mio pensiero espresso nella seduta precedente, cioè quella di ieri cui si riferisce il processo verbale.
Signor Presidente, ovviamente non certo per la storia, ma perché rimanga agli atti del verbale della nostra Camera, in quanto sono intervenuto più volte nella giornata di ieri, ma in particolare in occasione della discussione, durante la quale lei presiedeva la seduta, delle mozioni riguardanti iniziative per il contrasto della povertà, alla presenza del sottosegretario Roccella. In tale circostanza ho svolto un intervento perché ritenevo che nei confronti del sottosegretario Roccella vi fosse stato, in modo particolare da parte della maggioranza, un comportamento a mio avviso assolutamente censurabile. Considerato che l'onorevole Consolo, nel suo intervento, ha esordito dicendo che qui dentro la maggioranza non intende prendere lezioni da nessuno - probabilmente le lezioni vanno prese non qui alla Camera, ma prima di entrarvi, quando ci si comporta in un determinato modo, in maniera che quando poi vi si arriva ci si comporti in un modo diverso -, vorrei soltanto che rimanesse agli atti che, grazie ai nostri eroici resocontisti, per ben dodici volte, nei cinque minuti in cui è intervenuto il sottosegretario Roccella, per salvaguardare la dignità del nostro Parlamento, si è apposta la parola: «Commenti». Se avessero dovuto scrivere quali commenti si erano sentiti dai banchi della maggioranza, probabilmente - ammesso che qualcuno possa essere interessato a questo - non sarebbe stata una giornata particolarmente qualificante per la nostra Aula, tant'è che lei stesso è dovuto intervenire più volte per segnalare che un sottosegretario che per la prima volta si trovava ad esaminare una questione peraltro complessa, forse andava trattato in modo diverso. Qualcosa è sfuggito perché poi, subito dopo, la collega Lussana, ad esempio, ha urlato nei confronti del sottosegretario, quando questa diceva che aveva qualche problema, rimarcando e sottolineando che era un sottosegretario, non una persona passata di qua per caso.
Dunque, signor Presidente, solo per lasciarlo agli atti, non certo per la storia, vorrei dire che quanto ho affermato ieri, esprimendo la nostra solidarietà al sottosegretario Roccella che pure non è certo della nostra parte politica, cioè che nei confronti della stessa vi è stato un comportamento incivile, trova conferma in quanto oggi risulta dal resoconto stenografico della seduta di ieri.
Mi permetto semplicemente di mandare una piccola «cartolina», attraverso di lei, al Presidente della Camera che giustamente ci richiama - io sono d'accordo - ad una maggiore operosità e a lavorarePag. 2non più soltanto due giorni a settimana, ma dal lunedì al venerdì; segnalo infatti che se l'agitazione comincia a crescere già da giovedì pomeriggio sarà difficile che noi, prima della fine di questa legislatura, arriveremo mai a votare e a lavorare anche il venerdì. La ringrazio.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Giachetti.
Il processo verbale deve essere comunque approvato in quanto non può rendere ragione delle osservazioni avanzate: esistono le trascrizioni del dibattito che soddisfano ampiamente l'urgenza posta dall'onorevole Giachetti.
Se dunque non vi sono ulteriori osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Aprea, Bindi, Boniver, Brugger, Calderisi, Caparini, Carfagna, Casini, Cirielli, Conte, Cosentino, Cossiga, Cota, Craxi, Crosetto, D'Ippolito Vitale, Dal Lago, Fitto, Gregorio Fontana, Frattini, Gelmini, Gibelli, Giancarlo Giorgetti, Leone, Mantovano, Mazzocchi, Milanato, Molgora, Prestigiacomo, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Soro, Stradella, Strizzolo, Taddei, Valducci, Vegas e Vito sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente settantadue, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Annunzio di petizioni (ore 9,40).

PRESIDENTE. Invito l'onorevole segretario a dare lettura delle petizioni pervenute alla Presidenza, che saranno trasmesse alle sottoindicate Commissioni.

DONATO LAMORTE, Segretario, legge:

MARINO SAVINA, da Roma, chiede:
l'abrogazione dell'articolo 71 del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, in materia di assenze per malattia e per permesso retribuito dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (326) - alla XI Commissione (Lavoro);
l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui controlli effettuati ai fini della verifica dei requisiti di eleggibilità dei candidati nelle ultime elezioni politiche e interventi in materia di decadenza dei parlamentari definitivamente condannati in sede penale (327) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
interventi per assicurare la regolarità delle prestazioni previdenziali per gli sportivi (328) - alla XI Commissione (Lavoro);

COSTANZO SACCO, da Aquino (Frosinone), chiede disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo n. 146 del 2000, in materia di riallineamento dei ruoli del personale direttivo e dirigente del Corpo di polizia penitenziaria (329) - alla XI Commissione (Lavoro);

MORENO SGARALLINO, da Terracina (Latina), chiede:
l'istituzione di un organismo internazionale per la lotta contro i virus informatici (330) - alla IX Commissione (Trasporti);
la militarizzazione e il potenziamento del Corpo forestale dello Stato, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e degli addetti alla protezione civile (331) - alla I Commissione (Affari costituzionali);

ANTONIO FRISINA, da Oppido Mamertina (Reggio Calabria), chiede una riformaPag. 3della legge elettorale in senso proporzionale, con l'introduzione di voto di preferenza e premio di maggioranza (332) - alla I Commissione (Affari costituzionali);

MATTEO LA CARA, da Roma, chiede:
la detassazione dei premi in denaro derivanti dalle medaglie olimpiche (333) - alla VI Commissione (Finanze);
il riordino delle carceri (334) - alla II Commissione (Giustizia);
l'accorpamento del servizio «118» alla protezione civile (335) - alla XII Commissione (Affari sociali);
misure a tutela dei cittadini ricoverati in strutture ospedaliere (336) - alla XII Commissione (Affari sociali);
la soppressione dei comuni con popolazione inferiore a 1.000 abitanti (337) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
la riforma dello Stato in senso federale (338) - alla I Commissione (Affari costituzionali);

RENATO LELLI, da San Floriano (Verona) chiede nuove norme in materia di conseguenze dello scioglimento del matrimonio e l'introduzione delle tematiche familiari nei programmi scolastici (339) - alle Commissioni riunite II (Giustizia) e VII (Cultura);

LUIGI MUSCAS, da San Nicolò D'Arcidano (Oristano), chiede l'equiparazione del trattamento pensionistico dei sottufficiali dell'Arma dei carabinieri a quello riconosciuto al corrispondente personale della Polizia di Stato (340) - alla XI Commissione (Lavoro);

LUCA COLAIACOVO, da Roma, chiede:
la reintroduzione del reato di plagio nel codice penale (341) - alla II Commissione (Giustizia);
nuove norme in materia di rappresentanza degli enti locali (342) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
l'istituzione della figura del giudice dell'immigrazione (343) - alla II Commissione (Giustizia);
la modifica dell'articolo 19 della Costituzione, in materia di limiti alla libertà di culto (344) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
VITTORIO GALATRO, da Nocera Inferiore (Salerno), chiede la soppressione delle norme che prevedono che la carta d'identità riporti le impronte digitali (345) - alla I Commissione (Affari costituzionali);
DIEGO PASCALE, da St. Albans (Gran Bretagna), chiede provvedimenti legislativi per la riduzione dei costi della politica (346) - alla I Commissione (Affari costituzionali);

RINALDO DI NINO, da Cuneo, chiede l'introduzione del reato di tortura nel codice penale (347) - alla II Commissione (Giustizia).

Discussione del disegno di legge: Delega al Governo in materia di lavori usuranti e di riorganizzazione di enti, misure contro il lavoro sommerso e norme in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro (Già articoli 23, 24, 32, da 37 a 39 e da 65 a 67 del disegno di legge n. 1441, stralciati con deliberazione dall'Assemblea il 5 agosto 2008) (A.C. 1441-quater-A) (ore 9,45).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Delega al Governo in materia di lavori usuranti e di riorganizzazione di enti, misure contro il lavoro sommerso e norme in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

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(Annunzio di una questione pregiudiziale - A.C. 1441-quater-A)

PRESIDENTE. Avverto che ai sensi dell'articolo 40, comma 1, primo periodo del Regolamento, è stata presentata la questione pregiudiziale di costituzionalità Damiano ed altri n. 1 (Vedi l'allegato A - A.C. 1441-quater-A), che sarà esaminata e votata nella seduta di martedì 14 ottobre 2008.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1441-quater-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto, altresì, che la XI Commissione (Lavoro) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Cazzola, ha facoltà di svolgere la relazione.

GIULIANO CAZZOLA, Relatore. Signor Presidente, il disegno di legge A.C. 1441-quater, che risultava dallo stralcio degli articoli 23, 24, 32, da 37 a 39 e da 65 a 67 del disegno di legge A.C. 1441, che è un provvedimento collegato alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2009-2013, è stato oggetto di significative modifiche ed integrazioni nel corso dell'esame in sede referente presso l'XI Commissione.
Mentre mi riservo di chiedere, signor Presidente, l'autorizzazione a depositare il testo integrale della relazione alla fine dell'esposizione orale, una relazione che dà puntualmente conto, almeno nelle intenzioni del relatore, di tutte le modifiche intervenute, mi soffermerò, per ora, su taluni aspetti che ritengo più delicati e meritevoli di approfondimento, che immagino saranno anche al centro della discussione che si svolgerà su questo disegno di legge.
L'articolo 23 prevede una delega legislativa, da esercitare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, volta a concedere ai lavoratori dipendenti impegnati in lavori o attività usuranti, che maturano i requisiti pensionistici a decorrere dal 1o gennaio 2008, la possibilità, su domanda, di accedere anticipatamente al trattamento pensionistico.
Rispetto al testo originario, la Commissione ha ridotto il termine di esercizio della delega da sei a tre mesi e, aggiungendo un nuovo comma, ha introdotto un'ulteriore delega al Governo a prevedere misure di tutela a favore di talune figure di lavoratori autonomi e di appartenenti alle forze dell'ordine impegnati in attività usuranti, tenendo in considerazione, per le forze dell'ordine, gli anni di permanenza in attività operativa.
All'articolo 37, recante alcune modifiche all'articolo 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001 in materia di reclutamento del personale delle pubbliche amministrazioni, il comma 5, introdotto dalla Commissione, dispone che le graduatorie dei concorsi pubblici per il reclutamento del personale rimangono in vigore per quattro anni, anziché tre, come previsto attualmente, dalla data di pubblicazione.
Tale comma prevede, altresì, che nella formazione delle graduatorie relative ai concorsi pubblici per il reclutamento del personale, a parità di punteggio, costituisca titolo preferenziale la residenza nelle regioni per i posti ivi banditi, nonché che i bandi di concorso prevedano, per la formazione della graduatoria, la non considerazione del punteggio del titolo di studio.
A proposto di questi due ultime modifiche, è bene precisare che, per quanto riguarda il titolo preferenziale della residenza nella regione per i posti ivi banditi, la Corte costituzionale, con sentenza n. 268 del 2001, ha stabilito che «spetta alla discrezionalità del legislatore la determinazione dei criteri di preferenza tra i candidati a parità di punteggio».
Se questo principio della Corte costituzionale vale in termini generali, è benePag. 5richiamare una serie di sentenze della Corte costituzionale stessa - i colleghi troveranno le fonti nel testo della relazione - nelle quali viene affermato che «il principio dell'accesso a parità di condizioni ai pubblici uffici può subire deroghe con specifico riferimento al luogo di residenza dei concorrenti, quando il requisito medesimo sia ricollegabile, come mezzo al fine, all'assolvimento di servizi altrimenti non attuabili o, almeno, non attuabili con identico risultato».
Sembra, quindi, prematuro al relatore parlare con sicurezza di incostituzionalità della norma. Per quanto concerne, invece, la questione della valutazione del punteggio del titolo di studio nella formazione delle graduatorie, deve essere ribadito con chiarezza che la norma non preclude affatto che il requisito di un particolare punteggio sia previsto tra quelli richiesti per l'ammissione al concorso.
L'articolo 37-bis reca disposizioni in materia di stabilizzazione. Si prevede che, a decorrere dal 1o luglio 2009, siano abrogate una serie di norme delle leggi finanziarie per il 2007 e per il 2008, che autorizzavano la stabilizzazione del personale cosiddetto precario, con contratto a termine o di collaborazione coordinata e continuativa, delle pubbliche amministrazioni.
Sono comunque fatte salve le procedure di stabilizzazione in corso per le quali si sia proceduto all'espletamento delle relative prove selettive alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, fermo restando che le medesime procedure di stabilizzazione devono essere concluse entro il 30 giugno del 2009. Si dispone quindi che, nel triennio 2009-2011, le pubbliche amministrazioni, nelle procedure concorsuali per assunzione a tempo indeterminato, possano prevedere una riserva di posti non superiore al 40 per cento per il personale con contratto a tempo determinato con anzianità di servizio almeno triennale. Inoltre, si stabilisce che, a decorrere dal 1 luglio 2009, alla data di scadenza dei relativi contratti, le pubbliche amministrazioni non possano in alcun caso proseguire i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e di lavoro dipendente a tempo determinato in contrasto con la disciplina vigente, ai sensi della quale, per esempio, le pubbliche amministrazioni non possono ricorrere all'utilizzo del medesimo lavoratore con più tipologie contrattuali per periodi di servizio superiori ai tre anni nell'arco dell'ultimo quinquennio. Si dispone tuttavia che, con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, siano stabiliti i criteri e le modalità in base alle quali le amministrazioni possono proseguire i rapporti di lavoro a tempo determinato, anche in deroga a tale disposizione e comunque non oltre l'espletamento delle sopraindicate procedure concorsuali.
L'articolo 39-quinquies, non presente nel testo originario, reca una delega al Governo per il riordino della normativa vigente in materia di congedi, aspettative e permessi fruibili dai lavoratori dipendenti. Tra i principi e i criteri direttivi figurano il riordino delle tipologie di permessi e la razionalizzazione e la semplificazione dei criteri e delle modalità per la fruizione dei congedi, delle aspettative e dei permessi.
Signor Presidente e onorevoli colleghi, a questo punto, proprio perché hanno sollevato un vivace dibattito le modifiche riguardanti il processo del lavoro e il rafforzamento del ricorso a procedure stragiudiziali, come la conciliazione e l'arbitrato per la risoluzione delle controversie di lavoro, ritengo necessario dedicare una particolare attenzione a questa delicata e complessa problematica. Le scelte compiute sono espressione della volontà del Governo e della maggioranza di meglio tutelare i diritti dei lavoratori, per nulla garantiti dall'attuale situazione della giustizia del lavoro.
Sulle clausole generali, all'articolo 65, il disegno di legge dispone che in tutti i casi nei quali le disposizioni di legge nelle materie lavoristiche contengano clausole generali, ivi comprese le norme in tema di instaurazione di un rapporto di lavoro, esercizio dei poteri datoriali, trasferimento di aziende e recesso, il controllo giudizialePag. 6sia limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali dell'ordinamento, all'accertamento dei presupposti di legittimità, e non possa essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro o al committente.
Tale principio è già affermato da diverse norme di legge vigenti in relazione a specifiche clausole generali: ad esempio, la cosiddetta legge Biagi, la legge n. 30 del 2003, lo prevede espressamente con riferimento al lavoro a progetto. La legge Biagi stabilisce che, qualora venga accertato dal giudice che il rapporto instaurato fittiziamente come lavoro a progetto, sia venuto a configurare nella realtà un rapporto di lavoro subordinato, esso si trasformi in un rapporto di lavoro subordinato corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti. La stessa legge dispone però a tale riguardo - sottolineo questo aspetto - che il controllo giudiziale sia limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali dell'ordinamento, all'accertamento dell'esistenza del progetto-programma di lavoro o fasi di esso e non possa essere esteso fino al punto di sindacare nel merito valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano al committente. Ancora, con riferimento alla somministrazione di lavoro: essa è infatti consentita unicamente in presenza di ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo. Il controllo giudiziale è espressamente limitato esclusivamente all'accertamento dell'esistenza delle ragioni che la giustificano, e non può essere esteso sino al punto di sindacare nel merito, valutazioni e scelte tecniche, organizzativo-produttive che spettano all'utilizzatore.
Ma non solo; anche laddove, in presenza di clausole che fanno rinvio a causali generali come, ad esempio, le ragioni tecniche e le ragioni produttive, la legge non disponga espressamente che il controllo giudiziale non può essere esteso all'opportunità della scelta del datore di lavoro, tale principio è comunque ritenuto pacifico dalla stessa giurisprudenza della Corte di cassazione.
Così, ad esempio, in relazione al potere datoriale di trasferire il lavoratore da un'unità produttiva ad un'altra, il codice civile stabilisce che tale potere può essere esercitato soltanto per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive, ed al riguardo la Cassazione è costante nell'affermare che «il controllo giurisdizionale sulle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive che legittimano il trasferimento del lavoratore subordinato deve essere diretto ad accertare soltanto se vi sia corrispondenza tra il provvedimento datoriale e le finalità tipiche dell'impresa, e, trovando un preciso limite nel principio di libertà dell'iniziativa economica privata (garantita dall'articolo 41 della Costituzione), il controllo stesso non può essere esteso al merito della scelta imprenditoriale né questa deve presentare necessariamente» - e sottolineo: necessariamente - «i caratteri della inevitabilità, essendo sufficiente che il trasferimento concreti una tra le scelte ragionevoli che il datore di lavoro possa adottare sul piano tecnico, organizzativo o produttivo» (si veda, da ultimo, la sentenza della Corte di Cassazione 23 febbraio 2007, n. 4265).
Si tratta, quindi, di un principio già pacifico ed assodato dall'ordinamento che ora viene espresso in via generale per tutte le volte in cui l'ordinamento, nelle materie lavoristiche, fa riferimento a clausole come quelle sopra descritte e richiede che il controllo del giudice non si estenda alla valutazione dell'opportunità delle scelte datoriali.
Quanto alla norma sui licenziamenti, il disegno di legge n. 1441-quater stabilisce che nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, il giudice tenga conto, oltre che delle fondamentali regole del vivere civile e dell'oggettivo interesse dell'organizzazione, delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi ovvero nei contratti individuali di lavoro ove stipulati con l'assistenza e la consulenza delle commissioni di certificazione (e quindi non i contratti individuali di lavoro tout court).Pag. 7
Nel definire le conseguenze da riconnettere al licenziamento, il giudice tiene ugualmente conto di elementi e di parametri fissati dai predetti contratti e comunque considera le dimensioni e le condizioni dell'attività esercitata dal datore di lavoro, la situazione del mercato del lavoro locale, l'anzianità e le condizioni del lavoratore, nonché il comportamento delle parti anche prima del licenziamento.
Anche su questo aspetto vengono ribaditi principi già elaborati dalla giurisprudenza di legittimità. Vero è che la Cassazione ribadisce costantemente che la nozione di giusta causa è nozione legale e, conseguentemente, il giudice non è vincolato alle previsioni di condotta integranti giusta causa contenute nei contratti collettivi; tuttavia la stessa Corte di Cassazione ha precisato più volte che «ciò non esclude che ben possa il giudice fare riferimento ai contratti collettivi e alle valutazioni che le parti sociali compiono in ordine alla valutazione della gravità di determinati comportamenti rispondenti, in linea di principio, a canoni di normalità».
È quanto stabilisce la norma introdotta dal disegno di legge in esame: non si mutano, infatti, le ragioni per le quali il datore di lavoro può recedere dal contratto a tempo indeterminato - che permangono la giusta causa o il giustificato motivo - ma ai fini del riscontro di tali causali dovrà tenersi conto delle tipizzazioni fatte dai contratti collettivi, le quali altrimenti - me lo consenta, signor Presidente - non avrebbero alcuna funzione né si capisce perché sarebbero state negoziate dalle parti.
Quanto alle tipizzazioni contenute in contratti certificati, anche esse costituiscono per il giudice un metro di valutazione in considerazione della volontà appositamente espressa dalle parti secondo il principio dello stare ai patti, con la garanzia di un organo certificatore che vigila affinché dette tipizzazioni non siano vessatorie per il lavoratore.
Nemmeno quanto alle conseguenze del licenziamento viene minimamente toccata la normativa sulla tutela del costo del lavoro. Risulta immutata, infatti, la tutela reale del posto del lavoro, sancita dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, e la tutela obbligatoria prevista dalla legge n. 604 del 1966. Sulle conseguenze di tipo risarcitorio stabilite da queste leggi, vengono indicati, quali parametri valutativi, gli elementi fissati dai contratti collettivi e dai contratti individuali certificati, le dimensioni e le condizioni dell'attività esercitata dal datore di lavoro, la situazione del mercato del lavoro locale, l'anzianità e le condizioni del lavoratore, nonché il comportamento delle parti anche prima del licenziamento; elementi tutti che certo vanno ad incidere sul danno patito dal lavoratore in caso di licenziamento illegittimo e che, in quanto tali, vanno presi in considerazione.
Sulla conciliazione e l'arbitrato - mi avvio rapidamente a concludere - l'unica alternativa al procedimento giurisdizionale, attualmente ingolfato dalla miriade di vertenze del lavoro riversate dalle cancellerie dei tribunali italiani, è l'arbitrato sull'esempio di quanto avviene in diverse normative; l'arbitrato, per essere appetibile, deve essere libero, stabile e conveniente e la stessa apertura contemplata dal disegno di legge ad una pluralità di modi per la definizione dell'arbitrato è funzionale ad avvicinare questa via di risoluzione dei conflitti alle parti litiganti. Il tentativo di conciliazione, come attualmente previsto, è inutile. Lo dimostrano i dati forniti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali nel rapporto sulla attività conciliative svolta dalla direzione del lavoro nel corso dell'anno 2004. In base ad essi, limitando l'indagine al settore privato, su 319.815 controversie instaurate nel corso dell'anno, le vertenze individuali conciliate sono solo 77.487, quelle non conciliate 51.268, mentre quelle che non vengono nemmeno trattate ammontano a 260.708. Insieme, così, le direzioni provinciali del lavoro, tranne rare eccezioni in alcune province, non ce la fanno. Cinque volte su sei, l'obbligatorietà del tentativo di conciliazione si traduce sostanzialmente in un'inutile attesa di sessanta giorni, prima che possa essere proposta la causa. Anche su questo aspetto, quindi, l'obiettivo delPag. 8disegno di legge è quello di eliminare inutili dilazioni dei tempi della giustizia, ma, al contempo, di agevolare la conciliazione nel caso in cui sia voluta dalle parti.
Il quarto punto riguarda la norma sulle decadenze (articolo 67 del provvedimento). Lo stesso progetto di legge elaborato dalla commissione Foglia - commissione che ha lavorato su incarico di Governi del centrosinistra -, ed anche il disegno di legge proposto la scorsa legislatura dai senatori dell'allora maggioranza Salvi e Treu, prevedevano una disposizione del tutto analoga a quella introdotta dal disegno di legge n. 1441-quater.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

GIULIANO CAZZOLA, Relatore. La norma, in realtà, dilata il termine di decadenza per l'impugnazione del licenziamento dagli attuali sessanta giorni a centoventi giorni. Al contempo, tuttavia, stabilisce che essa debba essere fatta con atto giudiziale, il che vuol dire che i lavoratori non può tenere in sospeso il datore di lavoro per un tempo illimitato. Il termine di centoventi giorni, che è il termine in cui viene ampliata la procedura per esercitare l'atto giudiziale, diventerà, presumibilmente, nei fatti, anche il termine per la definizione delle trattative fra le aziende e il lavoratore per trovare un accordo, accelerando in tal modo anche i tempi della conciliazione. In difetto, infatti, la parte datoriale sarà consapevole che quanto più si approssima il termine, tanto maggiore sarà il rischio di una proposizione dell'azione legale. Signor Presidente, avendo esaurito il tempo a mia disposizione, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della mia relazione.

PRESIDENTE. Onorevole Cazzola, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

PASQUALE VIESPOLI, Sottosegretario di Stato per il lavoro, la salute e le politiche sociali. Signor Presidente, il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fedriga. Ne ha facoltà.

MASSIMILIANO FEDRIGA. Signor Presidente, intanto mi scuso se non mi atterrò per qualche secondo all'argomento che stiamo trattando (il disegno di legge A.C. 1441-quater), ma vorrei sottolineare in Aula le dichiarazioni fatte ieri sera nel corso della discussione sulle linee generali della mozione Cota ed altri n. 1-00033 dall'onorevole Colombo, che ritengo siano vergognose per questa Assemblea. Inoltre, ritengo che sia vergognoso che ad un gruppo politico, quello della Lega Nord, vengano associate affermazioni di un certo tipo che potranno esser lette sui resoconti stenografici. Credo che tutta l'Assemblea, compreso il partito dell'onorevole Colombo, debba riprendere tale persona, perché non possiamo ritenere accettabili affermazioni di questo tipo.

PRESIDENTE. Onorevole Fedriga, la invito ad attenersi al tema all'ordine del giorno. La questione è stata dibattuta ieri, e la Presidenza ha preso fermamente posizione richiamando all'ordine e al rispetto del fatto che tutti i membri di questa Aula sono onorevoli perché rappresentano il popolo italiano: in essi si rispecchia la sovranità del popolo italiano.

MASSIMILIANO FEDRIGA. La ringrazio Presidente. Il disegno di legge che stiamo trattando rappresenta sicuramente un'importante riforma del mondo del lavoro, una riforma che, se non verrà strumentalizzata, porterà in realtà dei cambiamenti molto positivi per i nostri lavoratori e per i cittadini del nostro Paese. Voglio solo velocemente affrontare alcuni punti che abbiamo ritenuto importanti, come Lega nord, durante la trattazione del provvedimento in Commissione, che riteniamo possano veramente migliorare la situazione del nostro Paese.
Per quanto riguarda la delega sui lavori usuranti, è stata condotta una battaglia daPag. 9parte della Lega, ma anche di tutto il centrodestra e di tutta la coalizione, per far rientrare all'interno dei lavori usuranti anche gli appartenenti alle forze dell'ordine. Riteniamo, infatti, che le forze dell'ordine siano una categoria sulla quale non si può lasciar perdere, ma sulla quale bisogna intervenire, perché le forze dell'ordine garantiscono la sicurezza ai nostri cittadini. Per questo, riteniamo che tale categoria debba essere considerata dal legislatore all'interno dei lavori usuranti, garantendole quindi quei diritti che vengono riconosciuti giustamente anche ad altre categorie.
Noi, come Lega, abbiamo voluto inoltre modificare il testo originale, sottolineando che non deve trattarsi di una misura assistenzialista nei confronti delle forze dell'ordine in toto, ma deve essere una misura che tuteli i lavori che effettivamente svolgono delle attività usuranti, in altre parole deve essere riferita alle persone che agiscono sul territorio in attività operative.
Un'altra questione importante è quella del precariato. Credo che, nel dibattito, anche fuori da quest'Aula, su molte agenzie di stampa comparse in questi giorni, si stia continuando a mistificare quanto invece è previsto all'interno del disegno di legge. Questo per un semplice fatto: viene considerata da una parte politica solo una categoria debole, che lo è davvero, ovverosia quella dei precari, ma non viene assolutamente tenuta in considerazione un'altra categoria debolissima. Mi riferisco a quelle persone che hanno fatto un concorso e stanno aspettando da otto anni. Ieri mi è arrivata una e-mail da un ragazzo del centro Italia, che mi faceva presente che, da ben otto anni, sta aspettando di essere assunto. Questa categoria, evidentemente, non essendo particolarmente sindacalizzata, non è interesse di alcune parti politiche e dunque non viene tutelata. Credo che invece su questo problema sia importante agire. Penso che proprio questa serietà dimostrata dal Governo, nel decidere finalmente di porre un limite a questa deregolamentazione che esisteva nell'assunzione di precari da parte delle pubbliche amministrazioni, rappresenti una certezza data ai nostri cittadini.
Proseguendo nell'esame del provvedimento, intendo trattare delle cause di lavoro, un'altra parte del provvedimento che viene fortemente contestata dall'opposizione.
Su questo aspetto, oltre alla giusta opera che l'opposizione porta avanti, svolgendo il suo ruolo, mi inquietano invece le dichiarazioni di una parte della magistratura, Magistratura democratica. Faccio un piccolo inciso: se i cittadini italiani devono essere giudicati da questo tipo di persone che tengono tali atteggiamenti, ciò rappresenta un fatto molto preoccupante per il nostro Paese. Infatti, in una dichiarazione rappresentanti di Magistratura democratica hanno contestato il disegno di legge in esame, dichiarando che si pretende di vincolare il giudice alle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo di licenziamento, inserite non solo nei contratti collettivi ma addirittura in quelli individuali.
Sembra una piccola cosa, ma mi sembra il classico comunicato stampa fatto dai partiti politici dove si mistifica la realtà e si prende in considerazione solo ciò che si vuole. Infatti, come giustamente diceva il relatore, non si parla di tenere in considerazione in toto i contratti individuali, ma i contratti individuali stipulati con l'assistenza delle commissioni di certificazione. Dunque, la magistratura, Magistratura democratica, che dovrebbe avere ben noto come funzionano le leggi e le norme che in esse ci sono, mi domando come possa incorrere in tali omissioni assolutamente strumentali. Infatti, proprio la chiarezza fatta in questa norma garantisce maggiormente i lavoratori, perché si hanno finalmente tempi chiari e certi, si hanno finalmente tipizzazioni certe, che attualmente erano rimesse alla discrezionalità del giudice e, dunque, si vanno a tutelare entrambe le parti, sia il datore di lavoro sia lo stesso lavoratore. Rigettiamo al mittente le accuse di essere coloro che vogliono tutelare il padrone e vogliono andare contro la classe operaia, o altre affermazioni goliardiche di questo tipo.Pag. 10
Proseguendo sempre per quanto riguarda le cause di lavoro, ritengo che l'introduzione della conciliazione nell'ambito degli uffici provinciali di lavoro sia un istituto molto importante, perché in questo caso riusciamo a semplificare e a favorire sia i datori di lavoro sia, soprattutto, il lavoratore che può, senza dover andare avanti per molti anni in cause sempre più difficili, tentare di riuscire a raggiungere un accordo. Dunque, non trovo assolutamente giustificazione alle accuse rivolteci.
Rifacendomi a quanto affermato all'inizio sui lavori usuranti e sulle forze dell'ordine, ricordo che le forze dell'ordine in tutto il comparto sicurezza, compresi i Vigili del fuoco, sono stati considerati a ragione una categoria a parte per il delicato compito che svolgono e anche per i rischi che corrono recandosi sul territorio e garantendo la sicurezza dei nostri cittadini. Per tale motivo hanno un trattamento particolare per quanto riguarda i casi di malattia e, quindi, di assenza dal lavoro.
Infine, vorrei sottolineare altri due punti che ritengo molto importanti e che il relatore ha trattato in modo molto puntuale, riguardanti la territorializzazione dei concorsi pubblici. In questo caso credo che la mistificazione e, quasi, il «terrorismo» fatto dalla sinistra sia ancora più palese che negli altri casi citati in precedenza.
Leggo le dichiarazioni di una mia collega del Partito Democratico, facente parte della Commissione lavoro, l'onorevole Madia, laddove afferma, per quanto riguarda il punteggio di laurea all'interno dei concorsi pubblici, che è una «norma (...) salva-asini (...) si hanno gli stessi punteggi sia che si prenda 110 e lode, sia che ci si laurei con il minimo dei voti. Stessa cosa per la scuola. I diplomati con il massimo dei voti non avranno alcun vantaggio. Sono cose inutili» (Commenti), e segue un attacco chiaramente ideologico.
A questo riguardo vorrei invece leggere due righe scritte da un giornalista che sicuramente non si può dire vicino alla Lega o vicino al centrodestra, anzi, mi sembra che l'altra parte politica più volte lo abbia preso come esempio di correttezza, di trasparenza politica e di persona schierata contro i costi della politica. Mi riferisco all'articolo «I voti non contano? Solo una scorciatoia», pubblicato dal Corriere della sera dell'8 ottobre. Il giornalista, Gian Antonio Stella, inizia: «La Lega ha ragione» (penso che sia una delle poche volte che sia intervenuto in questo modo). «È molto difficile che Crotone abbia il triplo dei geni di Gorizia. Eppure la tabella sui risultati agli esami di maturità del 2006 pubblicata dal "1o rapporto sulla qualità della scuola" dalla rivista Tuttoscuola questo dice: gli studenti che si diplomano con il massimo dei voti nella provincia calabrese sono il 20,5 per cento: uno su cinque. Contro un miserabile 6,7 per cento dei ragazzi friulani.
Come è possibile, se tutte le analisi OCSE del PISA (...) dicono che i giovani friulani e giuliani sono addirittura "secondi al mondo (dopo i finlandesi) in scienze, e terzi in matematica e cultura generale e scientifica, dopo la Finlandia e il Canada"?». Gian Antonio Stella ha portato un esempio confrontando Crotone e Gorizia, però si potrebbero fare altri paragoni fra università del nord, università del sud, università del centro, è indifferente. Però è chiaro che, allora, la disposizione in esame va proprio nel senso contrario: premia la meritocrazia. Occorre testare quanto sanno realmente gli studenti che escono dalle scuole superiori o dall'università: non possiamo affidarci ad un mero pezzo di carta per avvantaggiare una persona che, magari, è molto meno preparata rispetto ad un'altra.
Poi tengo a sottolineare che, per l'accesso ai concorsi pubblici, come ha ribadito il relatore, i bandi possono tranquillamente continuare a prevedere un tetto minimo di voto di laurea o di scuola superiore per accedere al concorso stesso. Dunque, non si elimina assolutamente qualsiasi tipo di valutazione sul percorso di studi compiuto dallo studente, ma al contrario riusciamo a garantire alle nostre pubbliche amministrazioni e ai nostri cittadini l'offerta di un servizio e di uffici composti dalle persone che, oggettivamente,Pag. 11sembrano - chiaramente si spera sempre di fare la scelta giusta - essere la scelta migliore per svolgere quel ruolo e avere le migliori competenze e i migliori saperi per portare avanti quel compito.
Invece, se continuiamo ad andare avanti nella convinzione che il punteggio del voto di laurea o il punteggio del voto di maturità - anzi dell'esame di Stato, adesso - sia uno dei principali ed esclusivi parametri che determinano l'accesso o meno ad un concorso pubblico, ciò diventa molto grave, perché allora facciamo anche passare a tutti i nostri studenti il concetto - che ad esempio non c'è nella società anglosassone, ma nella nostra sì - che l'importante è prendere un buon voto, l'importante non è sapere. Questo è un concetto che si vede anche nelle nostre scuole, dove per esempio chi copia è considerato un furbo, perché prende un bel voto senza sapere, cosa che non avviene nel mondo anglosassone (pur con tutti i difetti che ha, comunque là ciò non avviene). Quella in esame invece è una norma che sfata questo mito, colpisce il mero punteggio su un pezzo di carta e premia il sapere dei nostri studenti e delle persone che accedono ad un concorso pubblico.
Infine, vorrei parlare dell'altra parte del medesimo articolo, che tratta della precedenza ai residenti in caso di punteggio uguale conseguito dopo il test per accedere al possibile posto di lavoro. Su questo, come ha osservato il relatore Cazzola, esistono sentenze della Corte costituzionale in cui ci si rimette al legislatore per determinare, a parità di punteggio, i criteri secondo i quali scegliere un candidato o l'altro. Allo stesso tempo, invece, vi sono altre sentenze che, a parità di punteggio, considerano perfettamente legittimo, per esempio, il ricorso all'età anagrafica del soggetto.
Quindi, mi domando, visto che ci hanno detto che siamo discriminatori, se sia più discriminatorio far accedere ad un concorso pubblico una persona che ha trent'anni e un mese, rispetto ad una persona che ha trent'anni e sei mesi, o invece non sia forse un po' più logico privilegiare un principio di residenza. Mi sembra più logico per più motivi, perché credo che se a una persona viene perlomeno data una minima possibilità o un incentivo a rimanere sul proprio territorio, essa ha tutti quei vantaggi sociali e quelle garanzie sociali (i parenti che gli sono vicini, la casa di proprietà ed altro) che ci permettono di incidere notevolmente sul costo della vita e sulla qualità della vita del lavoratore stesso. Pensiamo soltanto a quanto possa costare trasferirsi in altre città per lavorare, soprattutto, come a volte avviene, in grandi metropoli. Addirittura leggevo di casi di insegnanti che, lavorando in Lombardia, non avevano i soldi per risiedervi. Neanche con aumenti di 200 euro al mese - e sarebbe un aumento molto sostanzioso - si potrebbe risolvere questo problema.
Non viene compreso, dunque, quanto sia importante valorizzare la permanenza sul proprio territorio. In proposito la norma in esame non prevede alcun tipo di preclusione, come invece afferma la CGIL. Michele Gentile, responsabile del dipartimento settori pubblici della CGIL nazionale, dice: «ponendo, di fatto, nel nostro Paese barriere regionali tali da limitare, o addirittura impedire, la libera circolazione».
Continuano quindi questi attacchi, che mi auguro siano solo strumentali, e non derivino dal fatto che non sia stata realmente letta la norma che la Commissione ha licenziato. Essa non prevede assolutamente un limite alla circolazione dei lavoratori. Semplicemente si danno parametri in caso di parità di punteggio: si tratta, dunque, di una norma di buonsenso, che sicuramente può aiutare il lavoratore stesso ad avere una migliore qualità della vita e parimenti aiutare l'amministrazione pubblica nella quale il lavoratore presta servizio ad avere un altro parametro di scelta. Ciò in alcuni casi può sicuramente essere premiante. Faccio un esempio: in un ufficio pubblico che si occupa di ambiente in Abruzzo, credo che chi conosce il territorio, non solo in base a cartine geografiche, ma anche per una cultura ambientale che si è creata nella propriaPag. 12famiglia, nella propria storia, vivendola in prima persona, possa sicuramente svolgere in modo più adeguato il proprio lavoro. Si possono fare esempi analoghi in moltissimi altri casi che riguardano la pubblica amministrazione.
Esistono preclusioni dal momento che si tratta di un emendamento proposto dalla Lega: deve trattarsi, dunque, necessariamente di un emendamento che penalizza il sud del Paese, che va contro i meridionali. Penso che ciò sia veramente fuori da ogni logica e che non risponda alla realtà di questo provvedimento.
Per tutti questi motivi crediamo che debba essere portato avanti, con forza e decisione, il disegno di legge 1441-quater, perché ritengo che questo Governo e questa maggioranza abbiamo avuto il coraggio di apportare modifiche al nostro sistema del lavoro, al nostro Paese, che certamente possono migliorare la vita dei nostri cittadini.
Chiedo anche all'opposizione che, nel giusto ruolo delle parti all'interno di questo Parlamento, possa essere propositiva e non ostacolare in ogni modo qualsiasi tipo di provvedimento licenziato da questa parte politica. Credo che proprio qui stia il dialogo: come in Commissione abbiamo recepito molte osservazioni fatte dall'opposizione, parimenti ritengo che l'opposizione possa recepire questo provvedimento - almeno una parte, o alcune parti del medesimo - e riuscire a dimostrare al Paese che quando si lavora insieme si può proporre qualcosa di buono al Paese stesso. Ritengo che, almeno per quanto riguarda la nostra Commissione, abbiamo aperto le porte all'opposizione e a un dialogo costruttivo, e che questo disegno di legge ne sia il frutto.

PRESIDENTE. Saluto gli studenti della classe V elementare della scuola San Francesco di Sales di Roma, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi). Benvenuti e grazie della vostra visita. Siamo lieti che vi interessiate al funzionamento delle istituzioni democratiche. Trovate un'Aula vuota, ma i parlamentari che non sono qui non è che non stiano facendo niente: sono occupati nelle Commissioni e nelle altre attività che un parlamentare deve svolgere.
È iscritto a parlare l'onorevole Miglioli. Ne ha facoltà.

IVANO MIGLIOLI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, il provvedimento che giunge all'esame dell'Assemblea - come ricordava il relatore - è un collegato alla manovra finanziaria. Affermammo allora che quella manovra era sbagliata e inefficace. Sono passati pochi mesi e il contesto internazionale - che certo non dipende solo dal Governo italiano - conferma che sarebbe stato necessario corrispondere alla gravità della situazione con misure di ben altro segno.
Se scattiamo una fotografia economica e sociale del nostro Paese cosa vediamo? Un'inflazione oltre il 4 per cento, un prodotto interno lordo a crescita zero (anzi, sotto zero: di fatto siamo in recessione), un drammatico calo dei consumi, un aumento esponenziale, come non mai, del ricorso alla cassa integrazione ed un aumento (che anche in questo caso non si registrava da anni) della disoccupazione. Insomma, la fotografia ci mostra un Paese che, se anche raffrontato al resto dell'Europa, fa passi indietro, e francamente così non va. L'ISTAT ci dice che 14 milioni di lavoratori guadagnano meno di 1.300 euro al mese, che il 15 per cento delle famiglie fatica ad arrivare alla fine del mese, che il 28 per cento delle famiglie non può fare fronte ad una spesa imprevista.
Vede, Ministro Tremonti, nessun catastrofismo: semplicemente, la realtà dei fatti. Per questo, accanto a misure utili a difendere i risparmi, a difendere risparmiatori (i risparmiatori, non i banchieri), c'è la necessità di una manovra dal segno diverso che punti alla riduzione delle imposte sui redditi da lavoro e sulle pensioni al fine di aiutare le famiglie, ma anche le imprese. Di questo non c'è traccia nel disegno di legge finanziaria che, nonostante le reiterate e solenni promesse, non prevede risorse né per la social card né per prorogare la detassazione degli straordinari.Pag. 13
Abbiamo criticato duramente quelle misure, la prima perché è un'elemosina, la seconda perché è sbagliata in quanto non sostiene né la produttività, né i redditi, in una fase recessiva in cui sono già in caduta libera le ore di straordinario. Ora il Governo contraddice se stesso e conferma che entrambe le misure erano solo bandierine ideologiche.
La manovra finanziaria - altro che Robin Hood - colpisce la parte più debole del Paese. Non è forse così per la scuola, per la sanità, per gli enti locali? Non è così quando si riducono le risorse per il rinnovo dei contratti, o quando si blocca il turn over riducendo l'occupazione in settori strategici, quale quello della sicurezza? Ma c'è un surplus a tutti questi provvedimenti, ed è quello di una deregolazione delle tutele sociali.
Dietro agli slogan che abbiamo risentito tanto volte - liberalizzare, delegificare, semplificare -, dietro alla lotta agli sprechi, ai privilegi, ai fannulloni, dietro a tutto ciò, si attua, infatti, una sostanziale riduzione dei diritti e delle tutele. Non è così per la cancellazione della norma che impediva la firma delle dimissioni in bianco? Non è così per la modifica dei contratti di lavoro a tempo determinato ed a progetto? Non è così in merito al diritto al riposo ogni sette giorni, che viene dilatato fino a quindici?
Che dire, poi, della deregolazione delle normative sulle sanzioni previste dalla legge sulla sicurezza sul lavoro? Permettetemi, su questo, un inciso: la scorsa settimana, in soli due giorni, sono morte dodici persone, e sono una parte soltanto di quegli oltre 1.200 lavoratori, donne e uomini, che l'anno scorso sono andati a lavorare e non sono più tornati a casa.
Ma non fa riflettere il fatto che in Italia il lavoro uccida due volte di più della criminalità, più della guerra del Golfo? E il Governo che fa? Inserisce, in ogni provvedimento, deroghe alla normativa sulla sicurezza sul lavoro. Si è iniziato con il decreto-legge sull'emergenza rifiuti, si è proseguito con il decreto-legge n. 112 del 2008, quello sugli appalti e subappalti, e ciò è tanto più grave, perché tali normative incideranno in un settore, quello dell'edilizia, dove vi è la più alta concentrazione di incidenti sul lavoro: oltre un terzo. E potrei continuare. Si lavora per vivere, non per morire, e non è così che si contribuisce a rendere il lavoro più sicuro.
Dicevo che il provvedimento collegato alla manovra finanziaria oggi all'esame dell'Assemblea prosegue nella direzione di modificare norme e riduce ancora una volta tutele, diritti e sanzioni. I principali obiettivi questa volta sono la stabilizzazione dei precari, la riduzione dei permessi per le aspettative a partire dai lavoratori che assistono familiari con gravi disabilità, la modifica della normativa sulla conciliazione, l'arbitrato, l'impugnabilità dei licenziamenti (con l'obiettivo, caro Cazzola, di far sì che nel nostro Paese sia più facile licenziare), la riduzione delle sanzioni per il mancato rispetto delle normative sull'orario di lavoro, sul lavoro nero e sommerso, con un assunto: più lavoratori irregolari troviamo, meno sanzioni irroghiamo.
Infine, la modifica del part-time.
I colleghi che interverranno avranno modo di approfondire parte della materia del provvedimento. Mi soffermo solo su alcune questioni. Il Governo ha disciplinato il blocco del processo di stabilizzazione del personale precario delle pubbliche amministrazioni, che per anni ha assicurato, stante il blocco delle assunzioni, il funzionamento degli uffici della pubblica amministrazione e degli enti locali. Di fatto, questo articolo abroga le norme che consentivano procedure di stabilizzazione per il personale titolare di un contratto a tempo determinato, che avesse già maturato tre anni di servizio e che avesse superato prove selettive, nel rispetto dei vincoli finanziari degli enti. Da qui, quindi, nessuna sanatoria generalizzata.
Il provvedimento in esame, invece, annulla questo processo. Ricordo che dal 2001 al 2007 il personale precario nella pubblica amministrazione è aumentato del 62 per cento e assomma a oltre 340 mila persone. Segnalo come all'interno dellaPag. 14pubblica amministrazione si annoverino, tra gli altri, anche gli enti di ricerca, nei quali il ruolo del personale precario è determinante, così come determinante è il contributo di questi ricercatori per la lotta a moltissime patologie, per la difesa delle persone nel nostro territorio dalle calamità naturali, per lo studio dei cambiamenti climatici, per lo sviluppo di nuove risorse energetiche, insomma per il futuro del Paese.
Il cosiddetto emendamento Brunetta prevedeva, inizialmente, l'abrogazione totale di tutte le disposizioni concernenti le stabilizzazioni, entro tre mesi dall'entrata in vigore del provvedimento. A seguito di numerose proteste, degli emendamenti e del nostro lavoro di gruppo in Commissione, il Ministro è stato costretto a presentare un ulteriore emendamento che rinvia al 1o luglio 2009 l'entrata in vigore delle stabilizzazioni. La norma è e rimane grave nella sua impostazione e nel suo contenuto perché significa, comunque, il blocco del processo delle stabilizzazioni che riguarda oltre sessantamila lavoratori precari.
Curioso poi è l'intervento della maggioranza sulle norme in materia di territorializzazione delle prove concorsuali. L'articolo, come ricordava il collega della Lega Nord Padania, è stato modificato con due emendamenti dei deputati della Lega. Con tali emendamenti si prevede che, in caso di parità di punteggio nelle prove concorsuali, debba prevalere la posizione di chi risiede nella sede di impiego, mentre, con una misura che continuiamo a definire «salva-asini», si è voluto escludere che il punteggio del titolo di studio costituisca titolo di merito nella formazione della graduatoria dei concorsi.
Si dice che questo nostro atteggiamento non è rispettoso delle prerogative costituzionali. Leggo testualmente: « Ritenuto che tale norma è in contrasto con il principio di parità di accesso di tutti i cittadini ai pubblici uffici, secondo i requisiti stabiliti dalla legge, previsto dall'articolo 51, primo comma, della Costituzione, nonché con il principio di ragionevolezza, di cui all'articolo 3 della stessa Carta costituzionale, si esprime parere favorevole con le seguenti condizioni: all'articolo 37, comma 4-ter, sia soppressa la disposizione...». Ripeto: parere favorevole a condizione che sia soppressa la disposizione. Non è il parere di qualcuno del centrosinistra, ma il parere della I Commissione a firma dell'onorevole Bertolini. Si tratta, con palese evidenza, di una norma anticostituzionale. Del resto, profili di incostituzionalità si ritrovano ancora all'interno del provvedimento in esame all'articolo 23 e laddove vengono disposte altre deleghe che riguardano la conciliazione e l'arbitrato e di ciò discuteremo.
A proposito di attacco ai diritti, alle tutele e alla salute, cosa dire dell'attacco alle famiglie gravate dall'onere di assistere persone con gravi disabilità? Il Governo, infatti, ha proposto e ha tentato di imporre una forte riduzione del diritto di usufruire dei permessi retribuiti, previsti dalla legge n. 104 del 1992, per assolvere alla delicata e cruciale funzione di assistenza nei confronti di persone con handicap. Ancora una volta, i diritti e le tutele verso i più deboli vengono visti come un vincolo, come un costo, un intralcio da eliminare, come un peso e le persone e i lavoratori vengono lasciati soli a dover affrontare questa incombenza. Insomma, i lavoratori che usufruiscono dei benefici previsti dalla legge n. 104 del 1992 vengono considerati - anche loro - dei fannulloni o dei privilegiati.
La nostra ferma e argomentata opposizione in Commissione, ma le stesse contraddizioni emerse nella stessa maggioranza, hanno costretto il Governo a ritirare l'emendamento, ma l'attacco alla legge n. 104 del 1992 rappresenta solo il primo tassello del programma del Governo, che prevede, subito dopo, la riduzione dei permessi sindacali, dei congedi e delle aspettative, la cui disciplina è oggetto di una delega che il Ministro ha presentato attraverso un emendamento specifico.
Anche in questo caso il lavoro del nostro gruppo in Commissione ha consentito di modificare il testo originario, passando da una riduzione ad un riordino delle tipologie.Pag. 15
Infine, cosa dire dell'articolo 24, che prevede una riorganizzazione dei diversi enti vigilati dal Ministero del lavoro e della salute, che ora non cito? Oltre all'obiettivo di semplificare e razionalizzare, in realtà lo scopo è quello di attuare uno spoil system con la volontà di sottoporre a controllo politico enti e soggetti sempre autonomi.

PRESIDENTE. Onorevole Miglioli, dovrebbe concludere.

IVANO MIGLIOLI. Concludo, signor Presidente.
Nel pieno di una crisi senza precedenti, avvenuta perché si è affidato alla finanza un compito sostitutivo, oggi si scopre da parte di tutti il valore non più dell'economia di carta, bensì dell'economia vera, fatta di prodotti, di lavoro e di imprese e si rispolvera addirittura il vecchio Carlo Marx.
Per noi - non certo da oggi - è necessario valorizzare la funzione sociale del lavoro e dei lavori, dell'impresa, dei lavori buoni e sicuri e anche di quelli flessibili. Una flessibilità sostenibile, regolata con tutele e diritti, una flex security che sappia accompagnare lo sviluppo economico con diritti, tutele e protezioni sociali. Questo provvedimento non va in questa direzione.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Saltamartini. Ne ha facoltà.

BARBARA SALTAMARTINI. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghi, oggi apriamo la discussione sulle linee generali su questo provvedimento molto importante che ci ha visto compiere un lavoro abbastanza approfondito in seno alla Commissione lavoro, dove si è sviluppato un confronto tra maggioranza e opposizione che ha consentito che arrivasse in quest'Aula il testo così come oggi lo stiamo discutendo. Sono contenta che finalmente, fuori dalle tante dichiarazioni giornalistiche che ognuno ha reso in questi giorni, finalmente si apra questa discussione, dal momento che credo sia arrivato il momento di sgombrare il campo dalle tante parole dette e dalla tanta demagogia che l'opposizione ha dimostrato sul provvedimento in esame, al fine di centrare alcuni punti importanti che riscontriamo nel testo che oggi stiamo discutendo.
In primo luogo, con il lavoro fatto abbiamo finalmente confermato la posizione della Commissione in merito alla necessità di non lasciar cadere la delega al Governo in materia di lavori usuranti. Quindi, abbiamo tenuto fede ad un impegno che avevamo preso dando una risposta che alcune tipologie di lavoratori aspettavano da ben quindici anni e, pertanto, abbiamo cercato di risolvere il problema di prevedere agevolazioni previdenziali, in particolare ad alcune categorie, tentando di far prevalere il valore della fatica del lavoro, in quanto usurante.
Su tale punto non possiamo nasconderci, cari colleghi dell'opposizione, che, proprio grazie al lavoro congiunto, abbiamo convenuto di dare al Governo non sei, ma tre mesi di tempo per attuare i decreti legislativi, dando in questo modo una risposta concreta ai lavoratori. Voglio ricordare che il Governo Prodi su questa materia ha cercato di confrontarsi, spesso e volentieri convinto - non riuscendoci e dimostrando di non esserne capace - di rappresentare l'unica grande coalizione politica in grado di essere vicina ai lavoratori, e non è riuscito a dare una risposta concreta.
L'altro punto concerne la riorganizzazione degli enti previdenziali e degli enti vigilati dal Ministero del lavoro.
L'opera di razionalizzazione e di semplificazione contenuta in questo testo ha il fine di ottenere dei risparmi che in questo momento sono assolutamente necessari per liberare le risorse da reinvestire nel pubblico impiego: non c'è null'altro dietro a questa norma, che è stata tanto criticata anche in Commissione dal centrosinistra.
Veniamo al processo del lavoro. Anche qui permettetemi di rispedire al mittente, in questo caso al centrosinistra e, in particolare, al Partito Democratico, l'accusa che ci viene mossa di voler tornare a discutere dell'articolo 18 dello Statuto deiPag. 16lavoratori. Vi posso assicurare che non è intenzione di questa maggioranza del Popolo della Libertà e, in particolare, della componente di Alleanza Nazionale del PDL, voler mettere in discussione l'articolo 18. Anzi, contrariamente a quanto si è detto in questi giorni, il licenziamento senza giusta causa è perseguito e perseguibile. L'intento del Governo è stato quello di ridurre i tempi del processo del lavoro in Italia, che ormai purtroppo hanno assunto dei rilievi drammatici: siamo nell'ordine di cinquecento, seicento giorni per ottenere giustizia nelle cause di lavoro e in questo modo si colpiscono tanto i diritti dei lavoratori, tanto i diritti dei datori di lavoro. Noi valorizzeremo gli strumenti della conciliazione e dell'arbitrato, in modo che le parti possano trovare più spesso e più facilmente un accordo senza doversi rivolgere al giudice. In questo modo non stiamo facendo altro che completare il percorso della legge Biagi, quel percorso che il Governo di centrosinistra ha tentato di seguire e che anche in questo caso non è riuscito a portare a buon fine.
L'altro elemento che ci sta particolarmente a cuore è la specificità del rapporto di lavoro delle Forze armate e delle forze di polizia; tale norma - è bene sottolinearlo - è attesa da tempo da tutto il comparto e potrà finalmente avviare una stagione di riordino delle carriere.
Infine, arriviamo al tanto discusso articolo sui precari e sulla stabilizzazione. Questo è il punto che mi è stato più a cuore, insieme ad un altro che però, collega Miglioli, non ha senso in questo momento porre all'attenzione di questa Aula (mi riferisco al dibattito sulla legge n. 104), in quanto si tratta di una norma che non c'è in questo testo e quindi, sinceramente, non credo sia giusto soffermarmi su quel punto.
Vengo all'ormai famoso articolo 37-bis: la cosa più importante è sgombrare il campo dalle tante dichiarazioni strumentali fatte in questi giorni, in quanto la tanto decantata stabilizzazione di cui parla la sinistra non era affatto garantita dalle due finanziarie 2006 e 2007 del Governo Prodi. A riprova di ciò, credo sia opportuno citare la circolare del 18 aprile 2008 a firma dell'onorevole Nicolais che, se non sbaglio, è un autorevole esponente del Partito Democratico e che nel momento in cui apponeva la sua firma alla circolare era Ministro del Governo Prodi.
La circolare esprimeva una chiara volontà di racchiudere in un ambito temporale definito la «parentesi stabilizzazione», come reclutamento speciale nel settore pubblico; la possibilità di ammettere a procedure di stabilizzazione il personale in possesso dei requisiti era circoscritto agli anni 2008 e 2009. Signori, da qui emerge chiaramente che il Governo Berlusconi e il Ministro Brunetta, che ha presentato questo emendamento, hanno anticipato solo di sei mesi il termine ultimo rispetto a quanto aveva già stabilito il Governo Prodi.
Quindi, mi raccomando, attenzione a dichiarare che il Governo Berlusconi vuole licenziare tutti i precari della pubblica amministrazione! Il Governo Berlusconi, in questo caso, sta razionalizzando e cercando di risistemare quanto demagogicamente è stato fatto con norme di bandiera dal precedente Governo Prodi. Pertanto, come è stato detto anche in Commissione, è la norma delle due finanziarie Prodi una «norma manifesto» con la quale si voleva stabilizzare le aspettative dei precari e non i precari stessi.
Quella è la norma manifesto, non la nostra! Oggi, invece, con questa norma circoscriviamo temporalmente l'intervento straordinario in materia di stabilizzazione al 30 giugno, ripristiniamo il regime ordinario del reclutamento mediante procedure concorsuali pubbliche, e permettetemi ...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

BARBARA SALTAMARTINI. ...una società degna di chiamarsi tale non può che intervenire in tal senso quando si parla di assumere nella pubblica amministrazione. Concludo, Presidente. Prevediamo inoltre l'avvio di un monitoraggio, di uno screening in tutti gli enti della pubblica amministrazionePag. 17per verificare esattamente poi quali saranno le procedure necessarie.
Infine - concludo veramente - arriviamo al tema degli enti di ricerca sul quale, anche in questo caso, la sinistra ha gridato allo scandalo. Ebbene, in questa sede voglio apprezzare quanto ha realizzato il Governo, il sottosegretario Viespoli, il Ministro Brunetta, anche a seguito dell'incontro (che c'è stato ieri o l'altro ieri, se non sbaglio) con tutti i presidenti degli enti di ricerca. A seguito di tale incontro, dalle dichiarazioni sulle agenzie di stampa dei presidenti degli enti di ricerca, risulta il loro ringraziamento per il lavoro svolto perché, finalmente, con la procedura che è stata individuata, si vuole porre un freno ad una routine tipicamente italiana che stava ormai degenerando, che era quella di tentare di stabilizzare, non si sa bene chi, non si sa bene quando, solo sulla carta, non nella realtà dei fatti. Anche gli enti di ricerca hanno espresso, dunque, l'apprezzamento per il lavoro che noi stiamo svolgendo.
Mi auguro che l'opposizione voglia contribuire a questo lavoro; da parte nostra, spero che ci sarà tutta l'intenzione di portare a termine e far diventare legge questo importante testo di riordino (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Scusi, onorevole Saltamartini, è il suo primo intervento in Aula?

BARBARA SALTAMARTINI. No.

PRESIDENTE. Allora non le faccio le congratulazioni di rito.
È iscritto a parlare l'onorevole Paladini. Ne ha facoltà.

BARBARA SALTAMARTINI. Me le può fare ugualmente, Presidente!

GIOVANNI PALADINI. Signor Presidente, gliele potrebbe fare ugualmente, come dice anche la collega, onorevole Saltamartini.
Personalmente, proprio in onore al fatto che vorrei fare un'opposizione propositiva, come dice la maggioranza, con un dialogo costruttivo, vorrei evidenziare un fatto: qui non ci sono, purtroppo, dichiarazioni giornalistiche, né c'è demagogia, ci sono degli articoli molto chiari collegati a questo provvedimento che doveva essere un collegato - ed effettivamente lo è - alla manovra finanziaria.
Colleghi, le modifiche migliorative per i lavoratori introdotte da questo provvedimento, se si va avanti così, non ci saranno più. Questo provvedimento infatti è stato oggetto di significative modifiche proprio perché la sua discussione si è caratterizzata sicuramente non per elementi positivi, ma per elementi negativi. Un aspetto importante è quello dei tagli e credo che nessuno possa affermare che questo non sia un provvedimento dove non si prevedano dei tagli - l'hanno detto prima non solo il relatore, ma anche l'onorevole Saltamartini - perché, naturalmente, occorre fare dei tagli in questo momento. Ci sono riduzioni di stanziamenti; se si va avanti così, per i dipendenti pubblici ci saranno dei licenziamenti; c'è una sperequazione fra i lavoratori; è la controriforma del processo del lavoro, perché questa è una vera e propria controriforma del processo del lavoro. Siamo nella vera propaganda, qui siamo puramente nel propagandistico tentativo di ridurre le spese, è da qui che vengono abbattute le incidenze in tema di stabilizzazione del precariato.
Il centrosinistra aveva avviato delle procedure di stabilizzazione graduale degli oltre 300 mila precari delle pubbliche amministrazioni, che venivano utilmente impiegati dalle amministrazioni per far fronte non a esigenze inventate, ma al blocco delle assunzioni nella pubblica amministrazione, e dunque ai conseguenti «buchi» nell'organico. Quindi questo è un fatto, non è demagogia.
Questo è un provvedimento che si caratterizza per la mancanza assoluta di rifinanziamento del Fondo per gli ammortizzatori sociali, la qual cosa penalizza categorie già deboli dal punto di vista previdenziale.

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PASQUALE VIESPOLI, Sottosegretario di Stato per il lavoro, la salute e le politiche sociali. Ma quando mai!

GIOVANNI PALADINI. Per quanto concerne, invece, il fenomeno del lavoro sommerso, tanto imperante in Italia, il provvedimento in esame non ha fatto altro che ridurre le sanzioni amministrative a carico dei datori di lavoro, camuffando tale riduzione come incentivo alla regolarizzazione. È previsto un sostanziale ammorbidimento del meccanismo sanzionatorio; pertanto, coloro che, pur avendo utilizzato lavoro irregolare, abbiano successivamente provveduto a regolarizzare il lavoratore, incorrono nella sanzione amministrativa più lieve. Nel contempo, viene modificata la disciplina relativa all'entità delle sanzioni civili per l'utilizzazione del lavoro sommerso. Infine, si escludono dall'applicazione delle sanzioni amministrative e civili relative all'impiego del lavoro sommerso coloro che non abbiano dolosamente occultato il rapporto di lavoro. Questa non è demagogia: purtroppo, è scritto nel provvedimento.
Passiamo, poi, nello specifico, all'articolo 37, che reca alcune modifiche all'articolo 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in materia di reclutamento del personale delle pubbliche amministrazioni. Si stabilisce il principio, nel coprire il fabbisogno di personale, della prevalenza del reclutamento dall'esterno tramite concorsi pubblici, previo ricorso alla mobilità. È chiaro che le pubbliche amministrazioni, nelle assunzioni, dovranno garantire il principio del prevalente accesso dall'esterno; nel vecchio testo, invece, si faceva riferimento ad un adeguato accesso dall'esterno.
È facile immaginare l'impatto sulle procedure concorsuali interne e sulla stabilizzazione di una simile previsione. Anche qui non siamo di fronte alla demagogia. Per fortuna, in Commissione è stata approvata la proposta emendativa da noi presentata, che prevede che le graduatorie concorsuali siano salve per un periodo di quattro anni. Questo poteva e deve essere molto interessante.
È veramente singolare che, per la formazione delle graduatorie, non si terrà conto del punteggio del titolo di studio. È anche singolare ciò che afferma la maggioranza, ossia che nella scuola - dove si incentivano le borse di studio per dare ai nostri giovani una scuola migliore, significativa e importante, ma soprattutto per dare qualcosa allo studente che si applica - si dica allo studente: «Caro studente, quando avrai finito di studiare, il tuo punteggio non servirà». È il contrario di quello che dice la maggioranza: se uno studente, andando a scuola, non si rende conto e non ha la cognizione del fatto che sarà determinante il voto - che voi volete introdurre -, voglio sapere cosa questo studente cercherà di fare nel futuro. Soprattutto, il voto non è più titolo di merito, ma addirittura risulta in una accezione negativa. Veramente, cerco di farvi capire cosa state facendo.
Per la formazione delle graduatorie a parità di punteggio, poi, il titolo preferenziale della residenza è sicuramente un'altra misura che potrebbe far discutere.
In una Repubblica fondata sul lavoro, così come prevede la nostra Costituzione, assistiamo alla predisposizione di una norma interessante, l'articolo 37-bis: lo avrei intitolato: «licenziamento dei precari della pubblica amministrazione». Avreste fatto meglio a rubricarlo con il titolo esatto di quello che avverrà. Il Governo ha riformulato l'articolo aggiuntivo presentato in Commissione, spostando il licenziamento dei precari al 30 giugno 2009, anziché entro novanta giorni dall'entrata in vigore della presente legge, ma per il resto l'abrogazione del piano di stabilizzazione dei precari rimane.
Una delle ragioni che hanno indotto il Governo a riformulare l'articolo aggiuntivo risiede nella necessità di disporre del tempo sufficiente per la quantificazione della platea dei destinatari della norma. Si ricorda come l'indagine conoscitiva sul lavoro precario, condotta dalla Commissione nella scorsa legislatura, abbia dimostrato la straordinaria ampiezza del fenomeno nella pubblica amministrazione. È bene sottolineare come la norma, unita aPag. 19quanto recita l'articolo 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001, modificato con il decreto-legge n. 112 del 2008, prevede il divieto di utilizzare il lavoratore con più contratti per un periodo superiore a tre anni: di questa norma il Governo propone una lettura retroattiva, che può portare, nel giro di un anno, ai fatidici licenziamenti, scuola a parte.
La previsione della riserva del 40 per cento nei concorsi pubblici è un'assurdità, stante il blocco delle assunzioni e le misure del Patto di stabilità per enti locali e regioni. Infatti, infinito è il numero di coloro che, pur avendo vinto un concorso pubblico, nei fatti vedono negata la possibilità dell'assunzione fino a scadenza della graduatoria. È questo che dovrebbe dire la componente della maggioranza, l'onorevole Saltamartini, che mi ha preceduto. Non deve osservare che le scrivono persone per dire: come mai. Non è un problema dei precari. È solamente un problema normativo chiarissimo, la previsione della riserva del 40 per cento nei concorsi pubblici e soprattutto il blocco dei concorsi pubblici.
Quindi, quello che dice l'onorevole di maggioranza non ha attinenza con la norma, ma soprattutto non ha attinenza con la realtà. Infatti, secondo i calcoli delle amministrazioni sottoposte al blocco, le possibili assunzioni non potranno superare le mille unità, una volta banditi i concorsi. Nel frattempo scatta il licenziamento, non ci sarà altro da fare, è chiaro. È poi utile sapere che la norma è palesemente illegittima, in quanto agisce anche sui lavoratori che erano già stati immessi nelle graduatorie per la stabilizzazione e fatti oggetto di proroga a tempo indeterminato. Quindi, questo è un altro punto che deve essere assolutamente considerato. Le norme che l'articolo aggiuntivo approvato in Commissione ha inteso abrogare, in particolare i commi dal 417 al 560 della legge finanziaria del 2007, dal 90 al 97 della legge finanziaria per il 2008, sono in vigore dal 1o gennaio 2008 e, sulla base di questo, gli enti pubblici e gli enti locali hanno già effettuato scelte ben precise, che incidono sulla vita delle persone. Qui infatti stiamo parlando della vita lavorativa delle persone! Sulla base delle norme che si vogliono oggi abrogare, gli enti hanno approvato, entro il 30 aprile 2008, piani triennali di assunzione del personale, prevedendo, oltre ai concorsi e alle selezioni, la stabilizzazione dei cosiddetti precari. I precari sono cittadini che, vincitori o idonei anche di concorsi o selezioni svolte negli anni passati, non sono stati assunti in ruolo per il blocco delle assunzioni ed hanno prestato servizio per tre anni consecutivi, alla data del 27 settembre 2006 o 27 settembre 2007, o per tre anni negli ultimi cinque anni, così come prevedeva la norma. Queste norme correttamente sanavano un'anomalia dello Stato nell'avere utilizzato per anni il lavoro di persone che avevano vinto concorsi, ma non sono mai state assunte in ruolo, a causa del continuo blocco delle assunzioni e della mancanza dei fondi. È questa la verità! È questo il fatto! Non demagogia, non aspetti giornalistici, questi sono fatti reali, chiari, veri.
Uno dei motivi della stabilizzazione consiste nell'esigenza di garantire il funzionamento di molti servizi e di uffici regionali e di enti locali, che hanno dovuto far fronte alla conseguenza del blocco delle assunzioni. La programmazione approvata con la legge n. 296 del 2006 e con la legge n. 244 del 2007 ha fatto sì che esistano atti degli enti pubblici e degli enti locali giuridicamente rilevanti che prevedono un calendario di assunzioni per gli anni 2008-2010. Si sono così costituiti diritti in favore dei cittadini, che non possono essere cancellati in questo modo.
Se questa norma venisse approvata definitivamente, circa centomila persone vedrebbero svanire la loro data di assunzione, che la legge ha stabilito, e ne deriverebbe un contenzioso certo di fronte a tutti i tribunali d'Italia, con gravi spese per la pubblica amministrazione. Inoltre, ove fossero già stati assunti i soggetti con tali caratteristiche, come di fatto è avvenuto, si chiede quale sarà la sorte del loro contratto di lavoro.
Va contestata anche con forza la veridicità della tesi in virtù della quale l'articoloPag. 20aggiuntivo approvato in Commissione stabilirebbe il principio del pubblico concorso per l'assunzione all'impiego pubblico e manterrebbe una corsia aperta, riservando posti nei concorsi ai precari. In base a questo, vi vorrei far notare che la preoccupazione del Ministro Brunetta per la legalità opera a senso unico. È singolare anche questo. Nel corso dell'esame del decreto-legge n. 112 del 2008, infatti, una proposta emendativa del Governo disponeva la stabilizzazione dei dirigenti e funzionari della protezione civile con tre anni di contratto a tempo determinato, anche senza avere sostenuto i concorsi.
È questo il vostro modello! Questa non è demagogia, questo non è giornalismo; questa è realtà, è verità. È questa la differenza. Ecco qual è la differenza, ecco come ci si comporta nella pubblica amministrazione, ecco quando si parla di amici degli amici! Per quanto riguarda la mobilità del personale delle pubbliche amministrazioni, qui si vuole accelerare la privatizzazione e la cessione a terzi dei servizi erogati dal sistema pubblico.
Lo dimostra il fatto che le procedure di mobilità, utilizzo e comando del personale si richiamano a norme già esistenti. Sul part-time, nei fatti, dà valore retroattivo alla modifica contenuta in tema di discrezionalità nella concessione del part-time, riaprendo tutto il capitolo delle trasformazioni già avvenute, in forza di una legge che subentra alle trasformazioni avvenute.
Ora vorrei parlare di un tema che mi sta molto a cuore e che qui è stato evidenziato, anche dalla maggioranza, come una conquista. Si è considerata una conquista l'avere inserito in un articolo la possibilità per le forze dell'ordine di non vedere applicato l'articolo 71 del decreto-legge n. 112 del 2008, introdotto pochi mesi fa dal Governo.
Il Governo, cioè, prima fa una norma per colpire le forze dell'ordine (ma non solo con l'articolo 71, sul turn over, togliendo fondi e tutto quello che serve per potere andare avanti nella propria attività), e poi qui dichiara che si sta interessando delle forze dell'ordine, cancellando gli effetti di quella previsione.
Prima lo introducete e poi, per fortuna, avete capito che non era applicabile al personale delle forze dell'ordine per la tipologia di servizio. L'altra bella cosa è quella che riguarda l'attività dei sei punti che hanno individuato e colpito le forze dell'ordine.
C'è un doppio taglio: uno attraverso il decreto-legge n. 112 del 2008 e uno attraverso il disegno di legge in esame. Quando si dice che tra i lavori usuranti sono state inserite le forze dell'ordine solamente in attività operativa, ci sarà da ridere.
Bisogna, infatti, assolutamente far «passare» il principio che, per la tipicità dell'attività che svolgono le forze dell'ordine, si tratta di un mestiere usurante, non per il discorso dell'attività operativa, perché l'attività operativa la svolge tutto il personale delle forze dell'ordine.
Ma la cosa «bella» è che non prevedete di ricomprendere 300 mila lavoratori all'interno delle tipologie dei lavori usuranti e, quindi, di aumentare i costi economici - si tratta di tre miliardi in 10 anni, quindi sono 300 milioni di euro - ma fate una norma dicendo che si inseriscono particolari categorie tra i lavori usuranti, ma non viene aggiunta neanche una sola lira per queste categorie.
Mi dite di cosa stiamo parlando? Quali sono tutti questi benefici che dovrebbero avere, considerato che non viene messo un solo euro al riguardo?
Anche un'altra osservazione è molto interessante: quando parlate dei concorsi nelle pubbliche amministrazioni, guardate che nei concorsi fatti nella pubblica amministrazione (vigili del fuoco, Guardia di finanza, polizia di Stato, carabinieri, pubblica amministrazione) gli idonei non è che non vengano assunti per la mancanza di vacanze di posti, ma non vengono ammessi perché non ci sono i fondi.
Perciò, anche quanto affermato prima dal relatore non è vero, perché, purtroppo, il problema degli idonei non ammessi e di tutti quelli che gli scrivono, compreso tutto il personale dei vigili del fuoco, delle forze dell'ordine, della pubblica amministrazione,Pag. 21riguarda esclusivamente e solamente un aspetto economico, non la vacanza dei posti.
Questi non vengono presi perché non ci sono i soldi per far fronte al loro ingresso nella pubblica amministrazione. Quindi, questa è un'altra verità che va assolutamente detta, va sfatato l'argomento sostenuto! Se si vuole, domani mattina, con una norma si possono fare entrare tutti e si può risolvere questo problema. Come diceva prima l'onorevole, i vincitori di concorso, tutti gli idonei non ammessi di tutte le qualifiche e di tutte le categorie possono essere assunti; basta mettere i soldi nel fondo per poterlo fare.
Quindi anche questa è demagogia, questo è aspetto giornalistico, questi sono i fatti!
Proseguendo sul problema del processo del lavoro, per parlare delle sue modifiche, devo dire che da una lettura del provvedimento emerge purtroppo un triste messaggio: si rende il giudice un semplice notaio, e si priva il lavoratore delle garanzie essenziali, al fine di attaccarne i diritti. Sta di fatto che ci troviamo di fronte a una serie di novità che non possono essere che pericolose per la sorte dei diritti dei lavoratori: a partire dalla limitazione gravissima del potere interpretativo dei giudici contenuta nell'articolo 65, al comma 1, laddove si stabilisce che in tutte le norme lavoristiche che contengono clausole generali il controllo del giudice è limitato all'accertamento della sussistenza del presupposto di legittimità, con esclusione del sindacato di merito sulle valutazioni che competono al datore di lavoro. Vi rendete conto di quello di cui stiamo parlando? Ci rendiamo conto di quanto stiamo arretrando, di che cosa stiamo dicendo? Questa disposizione produce un meccanismo per cui le decisioni del datore di lavoro sono nei fatti insindacabili anche da parte dei giudici, i quali sono chiamati a verificare la sola apparente conformità di quanto statuito. Questo è quanto dovranno fare!
Ad aggravare poi la situazione interviene l'introduzione dei contratti individuali di lavoro quali parametri a cui riferirsi ai fini della tipizzazione dei concetti di giusta causa e giustificato motivo posti alla base del licenziamento. Quanto contenuto nel contratto collettivo, nei contratti individuali diventa da questo momento vincolante anche per il giudice, in quella che appare come una radicale innovazione rispetto a quanto stabilito dall'articolo 7 dello Statuto dei lavoratori.
Al crollo della funzione garantista della legge si aggiunge la perdita del primato del contratto collettivo, laddove il giudice sarà vincolato anche a quanto diversamente stabilito nel contratto individuale: di qui un sostanziale scardinamento del principio di tutela del lavoratore posto dall'articolo 35 della Costituzione. Qui si appalesano problemi di incostituzionalità della norma e di tenuta dell'ordinamento sindacale.
Questo Governo ripropone poi sotto mentite spoglie il tentativo di abrogare l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, laddove la reintegrazione nel posto di lavoro viene sostituita da un generico risarcimento del danno. Egualmente allarmante da un punto di vista di tutela dei diritti dei lavoratori è la rivitalizzazione dell'arbitrato, sia in forma individuale che in forma collettiva. Si profila la possibilità per la contrattazione collettiva di prevedere clausole compromissorie di applicazione automatica, e poi ancora l'introduzione di clausole vessatorie di decadenza dal diritto di impugnare il licenziamento. In particolare, per quanto riguarda il contratto a termine, i contratti di collaborazione, i trasferimenti: in tutti quei casi, infatti, decorsi quattro mesi dal provvedimento senza fare ricorso, se ne perde il diritto. Questa norma produrrà solo una pioggia di ricorsi, con conseguente intasamento degli uffici giudiziari. Mi auguro che voi sappiate bene quello che state facendo.
Parlando poi del ricorso, della cassa integrazione, di ammortizzatori sociali, nel provvedimento in esame si prorogano alcuni ammortizzatori sociali per l'anno 2009, ma si lasciano intatte le somme spese per le stesse voci nel corso del 2008. In Aula si è parlato di globalizzazione e dei problemi ad essa connessi: credo chePag. 22sarebbe stato importante aumentare questo fondo, ma soprattutto sarebbe stato importante, nella sostanza dell'operazione, allargare invece a tutti gli ammortizzatori, anche con riferimento a coloro che risultano più colpiti; perché non operare una revisione anche del problema dei Cococo, dei Cocopro, e delle varie forme di precariato, già di per se stesse penalizzate?
Concludo, signor Presidente, dicendo che il provvedimento in esame purtroppo non va nella direzione che noi auspicavamo, ed essendo stato oggetto di significative modifiche fa capire quanto sia difficile per la maggioranza portarlo avanti con questi temi e questi modelli.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Berretta. Ne ha facoltà. Anche per il collega non è al primo intervento in Aula.

GIUSEPPE BERRETTA. Nella discussione sulle linee generali sì.

PRESIDENTE. Allora siamo tutti tesi per ascoltarla, e le faccio le mie congratulazioni per questo suo primo intervento nella discussione sulle linee generali.

GIUSEPPE BERRETTA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, ieri come tutti voi ricorderete, accogliendo un ordine del giorno del Partito Democratico si è deciso di distribuire agli studenti italiani una copia della Costituzione repubblicana. Reputo tale scelta saggia ed altamente condivisibile.
Sarebbe altrettanto utile - lo dico in maniera sommessa - che il Parlamento e il Governo tenessero sempre bene a mente i principi, la lettera, la ratio della nostra Costituzione (una grande Costituzione, ricchissima di spunti e moderna in maniera davvero apprezzabile).
Uno dei tratti salienti della nostra Costituzione è proprio la sua caratterizzazione in chiave lavoristica. Il lavoro in tutte le sue forme e manifestazioni ed il cittadino lavoratore sono un punto di riferimento costante della nostra Costituzione in diversi punti e con un obiettivo ben chiaro: assegnare valore al lavoro e contrapporlo alle rendite (corporative, immobiliari, finanziarie), le quali invece, sfortunatamente, persino in un momento di crisi così grave come è quella attuale che vivono l'economia mondiale ed italiana, sembrano essere il vostro punto di riferimento fondamentale.
Di questo afflato, di questa attenzione verso il mondo del lavoro, i lavoratori e i loro diritti, nel disegno di legge oggi all'esame della Camera non vi è traccia.
Tale disegno di legge è intitolato delega al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, misure contro il lavoro sommerso (in realtà, si tratta di norme che rendono meno pesanti le sanzioni per chi utilizza il lavoro sommerso) e norme in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro.
In realtà, a fronte di tale intitolazione, il disegno di legge è divenuto un provvedimento omnibus ampliato a dismisura, a mio avviso, nel corso dell'iter parlamentare. In ordine però all'iter parlamentare mi sento di dire che, con grande orgoglio per chi fa parte della Commissione a prescindere dalle appartenenze, alcuni risultati li abbiamo conseguiti.
E li abbiamo conseguiti sicuramente grazie all'attenzione del relatore, del presidente ed anche del rappresentante del Governo, che ha tentato di omettere ed anzi ci ha consentito di ovviare ad alcuni limiti particolarmente perniciosi del disegno di legge per come era stato formulato.
Ciò a riprova dell'utilità, ove ve ne fosse bisogno, del lavoro parlamentare. Il nostro Presidente del Consiglio ritiene che il Parlamento sia un inutile orpello, che bisogna procedere con decreti-legge, che i parlamentari sono tutti depressi.
Forse la ragione della depressione - per chi è depresso ed io non lo sono - risiede nel fatto che il lavoro cui siamo costretti è spesso inutile ed inefficace proprio a causa delle scelte operate da questo Governo.
Il lavoro in Commissione è stato utile perché abbiamo eliminato due punti (quelli più sbagliati, le misure più graviPag. 23contenute nel provvedimento in esame). Tra l'altro, mi sento di dire alla collega Saltamartini che, se lei oggi, piuttosto che parlare di ciò che è presente nel disegno di legge, parla di cose che non sono più contenute nel disegno di legge, in quanto modificate nel corso dell'iter parlamentare, probabilmente ciò vuol dire che non apprezza molto il contenuto effettivo di questo disegno di legge.
Il nostro ruolo è stato positivo: abbiamo avanzato proposte e presentato emendamenti, taluni dei quali sono divenuti modifiche concrete.
Meno positivo - lo dico al rappresentante del Governo - è il ruolo delle Commissioni e dei parlamentari quando si fanno portatori di interessi lobbistici. L'inserimento dell'Enasarco tra gli enti, contemplati nella delega, da sottoporre a misure di riorganizzazione e ristrutturazione è stato figlio di una scelta sbagliata e noi speriamo che, in fase di esame in Aula, possa essere modificato questo aspetto che critichiamo particolarmente.
Ma che cosa è che è stato modificato? Oggi parliamo di un norma in tema di stabilizzazione che non ci sta bene. Tuttavia, la previsione iniziale era assolutamente inaccettabile, perché interrompeva in maniera repentina e incomprensibile un processo di stabilizzazione che è utile al Paese, alle pubbliche amministrazioni, ai precari e ai lavoratori. Inoltre, anche le modifiche previste alla legge n. 104 del 1992 non sono più presenti nel provvedimento. Un'altra cosa che rivendichiamo come titolo di merito è la modifica alla normativa in tema di lavori usuranti.
Ciò nonostante, il giudizio sul provvedimento nel suo complesso rimane molto negativo, perché la filosofia di questo disegno di legge può essere così riassunta: meno diritti, più precarietà, meno controlli e, in particolare, meno controllo giudiziario. Rientra nella categoria «meno diritti» l'articolo 39-quinquies, laddove si prevede una delega al Governo per la riduzione di permessi, congedi e aspettative, in vista di una loro riorganizzazione e razionalizzazione con una norma che, peraltro, contiene una delega pressoché in bianco; tra l'altro, conoscendo le posizioni del Ministro Brunetta e l'atteggiamento che è stato più volte manifestato nei confronti di questi permessi e che si era concretizzato in una proposta di modifica della legge n. 104 del 1992, che poi, per ora, è stata - come dicevamo - accantonata, questa norma ci preoccupa.
Altrettanta preoccupazione desta l'articolo 67 in materia di decadenze. Sostanzialmente con questa norma si limitano i diritti, e i diritti possono essere limitati, attaccando le norme sostanziali, ma anche attaccando le norme procedurali, modificando le procedure che consentono la tutela dei diritti. L'articolo 67 prevede che, in qualunque caso il rapporto di lavoro - sia esso autonomo, parasubordinato o subordinato - venga interrotto, il lavoratore, di qualunque tipo esso sia, ha solo centoventi giorni per esercitare l'azione in giudizio.
Questa norma, nella sua applicazione pratica, produce degli effetti paradossali. Cito un solo esempio: il caso in cui il lavoratore è costretto ad impugnare un licenziamento inefficace, perché non sono stati comunicati i motivi. In quel caso, il lavoratore dovrà intentare una causa entro centoventi giorni, quindi, in un termine molto breve, senza che vi sia prima alcun momento per consentire al datore di lavoro di essere investito della questione e, quindi, essere messo nella condizione di riflettere. Il lavoratore, necessariamente, dovrà esercitare un'azione in giudizio completamente al buio, senza conoscere le ragioni, limitandosi ad investire il giudice del suo licenziamento. Si tratta di un fatto, obiettivamente, molto strano e molto grave.
In controluce si vede chiaramente un attacco alla giustizia, al ruolo del giudice, un tentativo di appesantire ulteriormente i ruoli in materia di lavoro, già molto appesantiti. Questa norma, inoltre, viene accompagnata da ulteriori modifiche in materia processuale, sulle quali, meglio e più approfonditamente, si soffermerà la collega Capano.
Altro punto che consideriamo molto grave è l'incremento del precariato (ilPag. 24secondo filone). Più precariato si determinerà a causa dell'articolo 37-bis, e in questo senso fa specie l'intervento della collega che mi ha preceduto, in particolare quando afferma che, sostanzialmente, non vi è differenza tra ciò che ha fatto il Governo Prodi e quello che oggi fa il Governo Berlusconi. È un insulto all'intelligenza. Basti pensare a ciò che prevede il decreto n. 112 del 2008, convertito in legge (n. 133 del 2008), laddove risulta che la possibilità di stabilizzazione è già stata ridotta, e in maniera pesantissima. Svolgo ancora alcune ultime considerazioni. Mi riferisco all'articolo 37, comma 5, che può essere considerato una norma paradigmatica, dove si prevede sostanzialmente che la residenza diventi titolo preferenziale nei concorsi pubblici, e che il punteggio del titolo di studio non valga più ai fini della composizione della graduatoria. Si tratta di una norma inaccettabile...

PRESIDENTE. Onorevole Berretta, devo invitarla a concludere.

GIUSEPPE BERRETTA. Su questa norma - concludo Presidente - mi limito a richiamare il parere della I Commissione (Affari costituzionali) e richiamo anche un ordine del giorno del collega Baldelli che ieri è stato sottoposto all'Aula: si chiedeva di premiare i capaci ed i meritevoli, coloro i quali hanno ricevuto un 100 al momento del diploma. Io credo che premiare i capaci e i meritevoli e poi dir loro che il punteggio conseguito nei titoli di studio non valga nulla ai fini del concorso sia un comportamento inaccettabile e, pertanto, noi combatteremo fino in fondo questa norma.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Delfino. Ne ha facoltà.

TERESIO DELFINO. Signor Presidente, signor Sottosegretario, onorevoli colleghi, nel nostro Paese la valorizzazione del lavoro come elemento costitutivo della cittadinanza si è sviluppata molto tardi ed ha seguito l'evolversi e l'affermazione del sindacalismo e della crescita economica e democratica del nostro Paese. Il diritto del lavoro viene da lontano e ha origini fin dall'Ottocento attraverso un percorso accidentato. La sua evoluzione s'intreccia profondamente con la storia del nostro Paese.
Le prime leggi sui sindacati e sull'assicurazione risalgono al 1886, e nel dopoguerra l'approvazione della Carta costituzionale, contenente proprio nel suo primo articolo il riferimento al lavoro come punto fondante dell'ordinamento repubblicano, ha dato uno straordinario corroborante valore simbolico alle tensioni politiche che sostenevano da tempo la necessità di valorizzare e riconoscere il lavoro dipendente e subordinato, e che miravano ad equilibrare in senso democratico le relazioni tra datori di lavoro e lavoratori.
La Costituzione contribuì in maniera essenziale alla strutturazione delle basi del nostro diritto del lavoro, introducendo principi, come quelli indicati agli articoli 1 e 4, che, oltre a decretare il lavoro come base stabile del nostro ordinamento repubblicano, ne sanciscono anche il diritto in capo ad ogni cittadino (lo Statuto dei lavoratori poi li recepirà integralmente e li svilupperà adeguatamente).
Non sono mancati nella nostra storia momenti molto aspri tra le forze economiche e sindacali, ma gradualmente sono venuti maturando tutele e diritti che, sfociati nella legge n. 300 del 1970, il cosiddetto Statuto dei lavoratori, sono il frutto di una storica battaglia che ha visto sempre come maggiori interpreti politici, sindacalisti e forze sociali che hanno saputo - pur nell'asprezza e nella diversità del confronto - trovare le soluzioni che hanno fatto maturare una civiltà legislativa di alto e qualificato livello. L'introduzione dello Statuto dei lavoratori provocò importanti notevoli modifiche, sia sul piano delle condizioni di lavoro sia su quello dei rapporti tra i datori di lavoro, lavoratori e le loro rappresentanze sindacali, e ancora oggi di fatto costituisce l'ossatura e la base di molte previsioni ordinamentali in questa materia.
È un patrimonio di diritti e di doveri certamente non immodificabili, ma rispettoPag. 25al quale ogni processo di cambiamento deve essere coerente e capace di ampliare ulteriormente il diritto al lavoro. Poiché non è stato facile fare avanzare questo corpus legislativo, siamo contrari all'improvvisazione legislativa e quando ci troviamo ad affrontare provvedimenti come quello oggi in esame non possiamo non ricordare che le conquiste dei lavoratori hanno alle spalle lotte, sacrifici e dolore.
Non vogliamo fare, signor Presidente, della retorica, ma vogliamo e ci battiamo perché ogni modifica normativa in questa materia sia il frutto di un vero confronto tra le parti. Abbiamo avviato l'esame di questo provvedimento senza atteggiamenti pregiudiziali, ma con l'impegno di costruire una normativa coerente con il quadro di riforme sin qui affermatesi in questo campo nel nostro Paese. Come diceva l'indimenticabile Donat Cattin, le riforme per essere veramente tali non possono occuparsi solo delle cose da fare e delle strutture da cambiare, ma devono essere accompagnate da un ampio e coinvolgente movimento di tensione politica, sociale e civile. Se questo non avviene, vince il conservatorismo, il corporativismo e il localismo e non si rinnova nulla. Siamo convinti che le riforme che si decidono nel chiuso delle stanze non producono quella tensione riformista vera di cui il nostro Paese ha bisogno.
Il provvedimento in esame riguarda diversi e distinti profili della materia lavoristica e previdenziale e deriva dallo stralcio di alcuni articoli del disegno di legge n. 1441, deliberato dalla Camera dei deputati il 5 agosto 2008. Nel suo iter parlamentare nella Commissione XI si è ampliato, a nostro giudizio, in modo abnorme, investendo molteplici aspetti del lavoro pubblico e privato. Norme e misure molto diverse, spesso messe insieme in modo disorganico, mirate più a dare risposte contingenti, anche se alcune fondate, piuttosto che ad affrontare in modo sistematico i problemi che dovrebbero risolvere. C'è un'evidente ricerca, su alcune questioni, di un facile consenso dell'opinione pubblica, mentre sarebbe molto più utile costruire norme che responsabilizzino i lavoratori e i datori di lavoro pubblico e privato.
Nel dibattito noi abbiamo valutato positivamente alcune disposizioni, a partire dall'articolo 23 riguardante il rinnovo della delega in materia previdenziale relativa ai lavoratori impiegati in lavori usuranti. Avevamo già sollecitato a suo tempo, con una mozione parlamentare specifica, la necessità urgente di aprire i termini per l'esercizio della delega già conferita con la legge 24 dicembre 2007, n. 247. Questa norma, a nostro giudizio, è urgente e necessaria e chiediamo al Governo l'impegno di attuarla nel termine previsto di tre mesi, così come è stato unanimemente accolto e deliberato dalla Commissione, rispettando - noi sollecitiamo anche - le intese faticosamente raggiunte negli anni con le parti sociali.
Apprezziamo la norma inserita nell'articolo 23, comma 2, con la quale si prevedono misure di tutela a favore di talune figure di lavoratori autonomi e di appartenenti alle forze dell'ordine impegnate in particolari lavori e attività usuranti. Questa norma di delega legislativa dovrebbe essere più articolata, con l'estensione ad altri comparti - noi presenteremo qualche proposta di modifica, almeno per il Corpo nazionale dei vigili del fuoco -, e più puntuale nella specificazione dell'oggetto e dei principi e criteri direttivi, secondo quanto previsto dall'articolo 76 della Costituzione.
La delega recata dall'articolo 24 è mirata ad operare una razionalizzazione dell'organizzazione di enti vigilati dal Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, nonché a ridefinire il rapporto di vigilanza dello stesso Ministero su tali enti. In linea generale, la norma si propone di semplificare e snellire l'organizzazione e la struttura amministrativa degli enti interessati, nonché di razionalizzare e ottimizzare i loro costi di funzionamento, secondo quanto già previsto dal comma 404 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria per il 2007), senza recare nuovi oneri per la finanza pubblica.Pag. 26
Pur apprezzando l'obiettivo generale, in Commissione abbiamo manifestato forti perplessità circa il coinvolgimento di alcuni enti, in mancanza di un preliminare dibattito nelle competenti Commissioni parlamentari. Particolarmente ingiustificato - e ciò sarà affrontato nella nostra azione emendativa - appare l'inserimento, tra le realtà istituzionali da riorganizzare, di enti e associazioni, quali la Croce Rossa Italiana e la Lega italiana per la lotta contro i tumori, che godono di ampia autonomia statutaria, così come giudichiamo del tutto improprio e inaccettabile l'inserimento dell'Enasarco, che risulta essere l'unico ente previdenziale inserito in un contesto riguardante enti vigilati che non rientrano nella sfera previdenziale: è un po' singolare questo tipo di inserimenti.
Sugli articoli 32 e 32-bis, in materia rispettivamente di sanzioni amministrative e civili previste in caso di lavoro irregolari e di sanzioni relative alla violazione della disciplina sull'orario di lavoro, riteniamo fondamentale che la semplificazione, da un lato, non determini maggiore precarietà dei lavoratori, e, dall'altro, non diminuisca l'intensità dell'azione mirata all'emersione del sommerso. La normativa, invece, secondo la decisione europea sugli orientamenti in favore dell'occupazione, dovrebbe essere finalizzata al tempo stesso alla flessibilità e alla sicurezza occupazionale, riducendo la segmentazione del mercato del lavoro e affrontando il problema del lavoro clandestino con grande determinazione.
Ricordo che nel 2006 la Commissione europea ha avviato un dibattito politico sull'evoluzione del diritto del lavoro, mirato a sostenere gli obiettivi della strategia di Lisbona e ad ottenere una crescita sostenibile con più posti di lavoro di migliore qualità. Negli otto principi comuni viene indicato, tra l'altro, la «flessisicurezza», che dovrebbe promuovere mercati del lavoro aperti, reattivi e inclusivi, anche mediante incentivi economici e misure di sostegno per un più facile accesso al lavoro verso coloro che sono ai margini nel mercato del lavoro.
Rileviamo nell'azione del Governo, a nostro giudizio, una disattenzione al tema della sicurezza - non solo nel provvedimento in esame - a fronte di dati drammatici e allarmanti sul numero dei morti sul lavoro denunciati dall'INAIL (e anche sui giornali di oggi registriamo altre vittime del lavoro).
Passando agli articoli dal 37 al 39-septies, in cui sono contenute disposizioni relative al personale delle pubbliche amministrazioni statali o degli enti pubblici nazionali, che impattano in modo rilevante su materie sulle quali si è sviluppato un profondo e largo confronto tra le parti sociali e il Governo, riteniamo che nel merito vi sia una forte possibilità di confronto e anche di modifica.
Siamo anche noi convinti che il tema della modernizzazione e dell'inefficienza della pubblica amministrazione sia cruciale per il nostro Paese, perché è strategico il ruolo dei beni e servizi pubblici offerti, in termini di quantità disponibili, di qualità e di costi, nonché di coerenza e adeguatezza con la domanda. Signor sottosegretario, abbiamo a suo tempo accolto con attenzione le linee programmatiche sulla riforma della pubblica amministrazione, il cosiddetto «piano industriale» annunciato dal Ministro Berretta.
Scusate, volevo dire Brunetta...prima aveva parlato Berretta, ma volevo dire Brunetta!
Abbiamo sottolineato fin dal principio la necessità di realizzare questo obiettivo partendo, però, da alcuni principi che fossero largamente condivisi. Responsabilità, merito, innovazione, produttività del lavoro, sistemi di misurazione e valutazione della pubblica amministrazione: tutti concetti e indicazioni che sono presenti all'interno della proposta del Ministro Brunetta. Un progetto ambizioso, profondo, da realizzare attraverso la contrattazione collettiva e integrativa in un rapporto vero, certamente serrato e dialettico, con le organizzazioni sindacali.
Giudichiamo di essere lontani da questo quadro, il Governo procede largamente per estratti in tutti i comparti della pubblica amministrazione e sembra perseguirePag. 27- lo dico con disagio - una linea che penalizza e colpevolizza il lavoro dipendente pubblico in generale. Non abbiamo in alcun modo condiviso, e abbiamo sostenuto il suo superamento, la discriminazione tra pubblico e privato fatta con la detassazione dello straordinario. Rileviamo che cresce nel Paese la difficoltà e il disagio dei lavoratori e crescono gli scioperi. C'è da guardare con preoccupazione la situazione generale sociale ed economica, tenuto conto che tutti gli enti e gli istituti di ricerca economica e sociale espongono dati drammatici. Il Governo e la maggioranza sembrano, invece, più orientati, per un certo verso a vellicare, per un altro a soddisfare un'opinione pubblica che, nei momenti di difficoltà, vuole sempre avere dei colpevoli a cui attribuire tutta la responsabilità della crisi.
Andando oltre, con questo provvedimento si interviene in materia di reclutamento, sulla normativa relativa alla stabilizzazione dei precari, sulla mobilità, sulla dirigenza, sui congedi, sulle aspettative, sui permessi, sulle certificazioni mediche, sul personale del comparto sicurezza e difesa senza che si riscontri un disegno organico (non so chi lo potrebbe trovare) e nell'assenza - torno a ripetere - di un vero confronto con le organizzazioni sindacali più rappresentative.
Certamente, lo dicevo prima, nel merito di alcune singole misure riscontriamo elementi condivisibili, ma siamo lontani, a nostro giudizio, da quell'impegno che il Ministro Brunetta aveva delineato nel suo «piano industriale». Saremo più puntuali nel merito su ogni singolo tema, su ogni singolo articolo nel corso dell'esame, ma qui rileviamo che il metodo avviato da questo Governo non può che far aumentare la conflittualità sociale. In particolare, l'intervento sulle procedure di stabilizzazione recate dall'articolo 37-bis, con l'iniziale decisione di fare tabula rasa di quanto previsto nelle ultime due leggi finanziarie per bloccare ogni ulteriore possibilità di stabilizzazione, risultava insostenibile ed anche, ritengo, incomprensibile.
Siamo, infatti, tutti consapevoli che, in larga misura, la crescita abnorme del fenomeno del precariato era stata causata dal blocco delle assunzioni nelle pubbliche amministrazioni. Pertanto, come dicevo, decidere di fare tabula rasa avrebbe presentato gravi profili di illegittimità e creerebbe, a nostro giudizio, una forte discriminazione tra quei lavoratori che hanno potuto usufruire di quelle procedure e gli altri che, in possesso degli stessi requisiti maturati successivamente nel rispetto delle norme vigenti, possono e potranno essere stabilizzati.
Una cosa è dare una conclusione ad una procedura che tutti condividiamo, e noi l'abbiamo detto in Commissione, sia essa singolare o speciale rispetto alle normali forme di reclutamento del lavoro pubblico, altro è disciplinare l'utilizzo di forme di lavoro flessibile per scongiurare ulteriori abusi, altro è tornare indietro ed azzerare diritti ormai acquisiti.
Abbiamo avuto una posizione molto chiara in Commissione e riteniamo che la riformulazione dell'articolo 37-bis rappresenti un passo in avanti sebbene, a nostro avviso, tali miglioramenti non sono ancora conclusivi e soddisfacenti. Chiediamo che le proposte del Governo vengano ulteriormente allargate nel senso di dare responsabilità, come abbiamo più volte rappresentato in Commissione e il relatore lo sa bene, alle amministrazioni locali dove, anziché essere obbligati, potrebbero essere facoltizzati a queste stabilizzazioni. Allo stesso modo, riteniamo che dovrebbe essere rafforzata la procedura che possa evitare ulteriori nuovi oneri a carico della finanza pubblica. Ci muoveremo in questa direzione con proposte emendative.
Veniamo ora all'ultima parte del provvedimento in esame, costituita dagli articoli 65, 66 e 67. Innanzitutto voglio fare una riflessione in ordine al merito. Secondo noi, siamo di fronte ad un nuovo esproprio della Commissione giustizia. Riteniamo che, dopo il dibattito sulla riforma del processo civile, surrettiziamente - lo ribadisco - già inserita nel precedente collegato alla manovra finanziaria che abbiamo discusso nei giorni scorsi, eraPag. 28stato garantito, signor sottosegretario, al Parlamento e a tutti i livelli - anche dalla Presidenza della Camera - che le competenze della Commissione giustizia sarebbero state rispettate. Puntualmente, a distanza di pochi giorni, ci troviamo in quest'Aula a discutere di modifiche al processo del lavoro, che hanno scavalcato la Commissione giustizia, sentita soltanto in via consultiva e alla quale - a nostro giudizio - è stato impedito un esame di merito su una riforma importante contenuta in questo collegato alla manovra di finanza pubblica.
Gli articoli 65, 66 e 67 del disegno di legge vanno nella direzione di ridurre il contenzioso in materia di lavoro e quindi sono coerenti, dal punto di vista del Governo e della maggioranza, con quanto già previsto nel decreto-legge n. 112 del 2008, relativo all'abbreviazione dei tempi del processo del lavoro. I nuovi interventi sembrerebbero volere scoraggiare il ricorso giudiziale, da una parte delimitando l'ambito del controllo del giudice e, dall'altra parte, valorizzando l'azione extragiudiziale, vale a dire certificazione, conciliazione e arbitrato.
Nonostante questo obiettivo sia condivisibile, per noi la questione vera rimane un'altra: fino a che punto è utile e, soprattutto, legittimo delimitare l'ambito giudiziale e valorizzare quello extragiudiziale? Proprio nell'individuazione di tale limite riteniamo che lo schema proposto dal Governo abbia alcuni preoccupanti punti di caduta. In modo particolare, ribadiamo la nostra contrarietà alla parte della normativa che, da un lato, vincola eccessivamente il controllo giudiziale su giusta causa e giustificato motivo di licenziamento, obbligando a tenere conto di quanto certificato in un contratto individuale, caricando, peraltro, l'istituto della certificazione di responsabilità eccessiva. Dall'altro lato, consegna allo stesso una discrezionalità eccessiva che sembrerebbe consentirgli - ma saremo lieti se ci verrà dimostrato il contrario - di discostarsi da quanto prescritto dall'articolo 18 della legge n. 300 del 1970.
Quanto alla trasformazione del tentativo di conciliazione da obbligatorio in facoltativo, riteniamo che possa rappresentare un modo per superare la ritualità che spesso contraddistingue le procedure di conciliazione ed arbitrato, andando potenzialmente verso una scelta deliberata e consapevole delle parti. Non è possibile esimersi dal segnalare alcune significative criticità, sia laddove si ritiene il lodo arbitrale non impugnabile per mancato rispetto della legge e dei contratti collettivi, sia perché si vincola l'arbitrato irrituale al rispetto di alcuni parametri di legge, sottraendo spazio ad una regolamentazione che, per definizione, dovrebbe essere stabilita dalla contrattazione collettiva.
Uno dei punti più controversi riguarda il ruolo della contrattazione individuale delle commissioni di certificazione rispetto alla clausola compromissoria, che viene quindi potenzialmente affidata direttamente al rapporto tra datore di lavoro e lavoratore, rendendo possibile una eliminazione tout court del ricorso al giudice del lavoro, minando in maniera significativa, anche se indiretta, la tutele previste dall'articolo 18 dello statuto dei lavoratori.
A questo riguardo, viene allargato a dismisura il ruolo degli organi di certificazione di cui all'articolo 66 del decreto legislativo n. 276 del 2003. Se si sceglie questa strada - per noi assai critica - andrebbe quantomeno ridotto il novero di tali organi, che dovrebbero limitarsi a quelli più affidabili, ad esempio enti bilaterali e università.
Concludendo, per quanto riguarda la nostra valutazione complessiva del provvedimento, siamo consapevoli che il lavoro fatto in Commissione ha portato ad alcuni miglioramenti condivisi: la delega sui lavori usuranti limitata a tre mesi e la soppressione della norma limitativa sui congedi previsti dalla legge n. 104 del 1992. Do atto al sottosegretario e alla maggioranza di essere stata sensibile ad un confronto su questi temi, dal momento che francamente - lo ribadisco - sarebbe stato inaccettabile che i diritti dei lavoratori che si prendono cura di un familiarePag. 29non autosufficiente venissero confusi dentro la più generale ricerca della lotta all'abusivismo. Se c'è dell'abusivismo anche in questo settore - lo sa il sottosegretario con cui, tra l'altro, avevamo condiviso anche le norme previste a questo specifico riguardo all'interno del decreto-legge n. 112 del 2008 -, si colpiscano gli abusi, ma non si metta in difficoltà chi, con grande umanità, va incontro alla difficoltà di un proprio familiare disabile, andando a toccare norme che, invece, sono l'espressione, a nostro giudizio, di una grande civiltà di questo Paese.
Quanto è stato fatto, a nostro giudizio, è ancora largamente inadeguato. Ci auguriamo che la discussione in Assemblea possa migliorare in modo sostanziale gli aspetti più controversi del provvedimento in esame. Vorremmo che, anche con questo provvedimento, si potesse avviare il perseguimento di quegli obiettivi indicati nel Libro verde dal Ministro Sacconi, che discuteremo certamente in sede di Commissione lavoro, laddove si ritiene indispensabile un drastico innalzamento dei tassi di occupazione regolare, soprattutto delle donne, dei giovani e degli over 50, avvicinando l'Italia ad altri Paesi europei che, attraverso robuste politiche per l'occupabilità, hanno da tempo conseguito alti livelli di partecipazione al mercato del lavoro.
Vi è una pesante crisi economica e sociale che, a nostro giudizio, richiede una grande coesione del Paese. Il Governo e la maggioranza non sembrano avvertire questa necessità e questo ci preoccupa. Siamo convinti che tutti possiamo lavorare, nei differenti ruoli, per il bene comune del Paese. Ciò richiede anche un forte confronto con le forze politiche, sociali e datoriali dei rappresentanti dell'impresa. Lo ribadiamo con forza: abbiamo assolutamente la convinzione che, continuando con tenacia la nostra opera di opposizione responsabile in questo Parlamento e nel Paese, si porteranno sicuramente dei benefici nel risolvere così grandi questioni che attanagliano la nostra comunità nazionale.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Di Biagio. Ne ha facoltà.

ALDO DI BIAGIO. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, il provvedimento che oggi ci accingiamo ad esaminare e a discutere ha ampiamente attirato l'attenzione dei media e dell'opinione pubblica, poiché affronta, nelle sue disposizioni, tematiche e questioni di forte rilevanza sociale ed economica. Proprio in virtù di ciò, è mia priorità sottolineare alcuni aspetti che mi auguro siano valorizzati e, soprattutto, compresi nel corso delle prossime battute in discussione.
Le disposizioni in esame, recanti misure in tema di lavoro pubblico relative alle procedure di stabilizzazione, hanno introdotto significative dinamiche di razionalizzazione in questo settore per cui meritano un'attenzione particolare. Poiché è forte la mia sensibilità nei confronti dei tanti lavoratori del settore pubblico che si sentono direttamente coinvolti dal provvedimento, in questa sede ribadisco il mio apprezzamento e il mio più profondo sostegno al lavoro che, con impegno e valore, il Governo porta avanti su questo settore in nome della razionalizzazione e della semplificazione e riconosco la volontà e la disponibilità da parte dell'Esecutivo ad accogliere i suggerimenti e le considerazioni formulate da molti di noi durante l'esame nelle Commissioni. Ma, allo stesso tempo, mi preme richiamare l'attenzione dei suoi componenti sull'esigenza di valorizzare e fornire una più moderata garanzia al personale precario della pubblica amministrazione, il quale per diversi anni ha assicurato, in virtù del blocco delle assunzioni pubbliche, il funzionamento degli uffici e dei molteplici servizi del settore pubblico.
Proprio tenendo in considerazione questi aspetti e i dati che li sostengono, sarebbe opportuno almeno garantire un lasso di tempo maggiore prima dell'entrata in vigore della disposizione prevista dal decreto, affinché possa essere garantito un monitoraggio capillare su tutte le tipologie di contratto cosiddetto precario in vigore presso la pubblica amministrazione e lePag. 30relative modalità di assunzione adottate dalle singole amministrazioni pubbliche, oltre che tracciare il numero dei vincitori di concorso in attesa di assunzione, al fine di predisporre le considerazioni per porre in atto il provvedimento.
Il mio pensiero è rivolto segnatamente a quei tanti lavoratori assunti tramite concorso nelle reti consolari italiane all'estero che attualmente non possono godere della stabilizzazione del contratto di lavoro, vivendo sia il disagio e le problematiche che caratterizzano i lavoratori che svolgono il loro dovere lontani dalla propria terra, sia quello di non vedersi riconosciuti diritti e garanzie che dovrebbero spettare a tutti i lavoratori.
Il mio auspicio, onorevoli colleghi, è che la razionalizzazione e la semplificazione che caratterizzano l'organizzazione del lavoro all'interno della struttura pubblica, attraverso la valorizzazione del principio costituzionale del concorso pubblico per l'accesso all'incarico, garantiscano realmente un percorso e un futuro ai lavoratori che hanno prestato servizio con impegno presso le amministrazioni.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Di Biagio, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritta a parlare l'onorevole Schirru. Ne ha facoltà.

AMALIA SCHIRRU. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il disegno di legge «Delega al Governo in materia di lavori usuranti e di riorganizzazione di enti, misure contro il lavoro sommerso e norme in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro» contiene - come hanno detto altri colleghi - diversi articoli e si presenta come un collegato alla manovra di finanza pubblica.
Si tratta di un provvedimento che presenta notevoli complessità ed eterogeneità: si propongono regolamenti, si modifica il codice civile e vi sono numerose disposizioni che modificano anche il decreto-legge n. 112 del 2008.
Riteniamo questo disegno di legge molto preoccupante perché contiene una serie di misure e atti organizzativi indirizzati alle pubbliche amministrazioni che erano stati già delegati, fin dal 1990, alla contrattazione collettiva, e che oggi portano, invece, ad una pericolosa riformulazione del rapporto di lavoro sia pubblico sia privato.
Al pubblico impiego si vogliono applicare le regole proprie del lavoro privato, s'intacca pericolosamente il ruolo del sindacato e dei poteri istruttori del giudice soprattutto nei casi di controversie, sanzioni disciplinari, licenziamento, mobilità, aspettative, permessi e congedi. Noi vediamo, quindi, nel provvedimento una sistematica azione di attacco ai diritti dei lavoratori; si vogliono mettere in bilico, o meglio aggredire, le diverse forme di tutela obbligatoria, le tutele che riguardano, in particolare, i lavoratori disabili, i genitori dei lavoratori con familiari disabili, i precari, in attesa ormai quasi agonizzante, di stabilizzazione. Vediamo nel provvedimento minori tutele e minori controlli sull'attuazione delle norme già esistenti che portano - badate bene - ad uno svilimento dei diritti di chi lavora.
Proseguo l'intervento procedendo per punti. In riferimento all'articolo 23, l'allargamento delle misure a tutela dei lavoratori autonomi e di quelli appartenenti alle forze dell'ordine impegnati in particolari lavori e attività usuranti, ci trova certamente d'accordo se a ciò segue un proporzionale allargamento delle risorse disponibili affinché lo Stato sia in grado di tutelare al meglio tutti i lavoratori penalizzati dai lavori usuranti, senza dover ripartire fra molti ciò che è già appena sufficiente per pochi.
L'impegno del gruppo del Partito Democratico in Commissione lavoro ha portato al dimezzamento dei tempi, da sei a tre mesi, per l'emanazione dei decreti legislativi in materia di lavori usuranti; tale misura è da tempo attesa da migliaia di lavoratori che svolgono le mansioni più gravose e solo l'anticipata chiusura dellaPag. 31scorsa legislatura ne ha impedito il varo definitivo da parte del precedente Governo. Riconosciamo, inoltre, la specificità del lavoro delle forze dell'ordine e di polizia nell'attività di protezione dei cittadini, nonché la fatica, le tensioni, la paura, le solitudini che questa attività comporta; per questo lavoreremo a regolamentare il loro rapporto di lavoro, ad individuare risorse aggiuntive per tutelare al massimo la loro attività.
L'articolo 37 sulla territorializzazione delle procedure concorsuali - così come l'articolo 37-bis recante «Disposizioni in materia di stabilizzazione» - già dichiarato in contrasto con gli articoli 3 e 51 della Costituzione con il parere della Commissione affari costituzionali, annuncia in modo pasticciato una formula di federalismo e di autonomia regionale, ledendo poi di fatto, però, il potere di autoorganizzazione delle pubbliche amministrazioni. Consideriamo, infatti, la territorializzazione delle prove concorsuali un provvedimento fantasioso, condizionato certamente dal dibattito in atto nel Paese sulla necessità di trovare nuovi equilibri tra globalizzazione e spinta alla regionalizzazione, inapplicabile in materia di lavoro e di diritto del lavoro, di tutela e di diritti. È una misura che conduce inesorabilmente ad un federalismo dei diritti a cui noi ci opporremo con tutte le nostre forze se al trasferimento delle funzioni dallo Stato alle regioni non si accompagneranno risorse certe per i diritti dei cittadini, quali la salute, l'istruzione, il lavoro e la sicurezza sociale.
Il gruppo del Partito Democratico ha convinto il Governo a presentare un nuovo emendamento che rinvia al 1o luglio 2009 l'entrata in vigore del blocco alla stabilizzazione; si tratta di una piccola conquista che tuttavia non può soddisfarci perché la norma permane inaccettabile nella sua impostazione e nel contenuto.
Il blocco riguarda decine di migliaia di lavoratori (si parla di 60 mila precari) - che oggi fanno funzionare la macchina amministrativa di molte amministrazioni - e si allarga a diversi settori della pubblica amministrazione.
Sempre grazie al dibattito che si è sviluppato in Commissione lavoro (del quale diamo atto), è stato approvato all'unanimità una proposta emendativa del gruppo Partito Democratico che fa salve le procedure di stabilizzazione in corso, per le quali si è proceduto all'espletamento delle prove selettive: un segno positivo per quei lavoratori per i quali la procedura concorsuale è stata già avviata e conclusa, ma pericoloso per tutti coloro che sono impiegati in quelle amministrazioni dove l'iter concorsuale non è ancora iniziato.
Non si stabilizza, da una parte, e si precarizza, dall'altra. Questo è un altro pericolo che intravediamo nell'articolo 39-ter, dove si riapre la strada delle collaborazioni autonome, creando nuove aspettative e nuove richieste di stabilizzazione, ma non si trovano, poi, gli strumenti per sanare la delicata e disumana condizione dei lavori socialmente utili, in carico ancora agli enti locali, con 600 euro al mese e senza oneri contributivi.
Riteniamo rischioso, inoltre, l'articolo 38 sulla mobilità e sull'esubero. La limitazione al sistema del controllo sia del giudice che del sindacato crea alcuni problemi, perché si fa instabile il delicato equilibrio tra i diversi istituti, ad esempio, del licenziamento collettivo, della mobilità, dell'esubero, sottoposti oggi, per fortuna, al controllo sindacale, amministrativo e giudiziario. Si tratta di misure che disegnano un'anticamera al licenziamento e l'espulsione dalla pubblica amministrazione di lavoratori a volte indesiderati, perché dietro le voci di mobilità e organizzazione produttiva si celano la riduzione di un insieme di uffici e la creazione di esuberi (si consideri il processo avviato dal comune di Roma).
È importante perseguire il miglioramento e il funzionamento dei servizi ai cittadini, attraverso la razionalizzazione della spesa pubblica, rispettando le regole dei procedimenti di assunzione con i concorsi, per avere personale sempre più qualificato, produttivo e motivato; ma respingiamo con forza e decisamente, però, l'utilizzo della mobilità e dell'esternalizzazione dei servizi come strumenti con iPag. 32quali risolvere problemi di eccedenza attraverso un'intelligente, ma perversa, gestione del personale in esubero.
Infine, l'articolo 39 sulle aspettative, i congedi e i permessi: è grave l'intervento che è stato effettuato nei confronti dei lavoratori che assistono familiari con gravi disabilità. Il Governo ha tentato di imporre una forte riduzione dei permessi retribuiti previsti dalla legge n. 104 del 1992, che contiene norme che regolano i permessi di tre giorni per l'assistenza a un familiare. Ancora una volta, in questo caso, vengono colpiti i diritti dei più deboli, che vengono visti come un vincolo e un costo da eliminare. Le persone e i lavoratori vengono lasciati soli a dovere affrontare le avversità personali e del mercato: si tratta di una semplificazione che porta a un risparmio, ma anche restringe il grado di familiarità e di affettività di cui questo Paese ha bisogno.
Grazie alla nostra opposizione in Commissione lavoro, il Governo ha ritirato la norma peggiorativa relativa ai permessi previsti dalla legge n. 104 del 1992. La delega che conferiamo al Governo all'articolo 39-quinquies, però, per il riordino, il coordinamento, la razionalizzazione e la semplificazione non ci lascia tranquilli, perché l'attacco alla legge n. 104 è stato solo uno dei primi punti che il Governo ha tentato di rimettere in discussione, ma si vuole accompagnare alla riduzione dei permessi sindacali, dei congedi e dell'aspettativa.
Qui l'opposizione ha costretto il Governo a eliminare la parola «riduzione», per passare alla parola «riordino» della tipologia dei permessi. Certamente, questo rappresenta un punto importante, perché siamo coscienti che esiste l'effettiva necessità, magari anche con un testo unico, di riorganizzare tutte le norme che oggi esistono in materia di permessi e di congedi per studio e parentali, in particolare per l'assistenza a parenti disabili. Pretendiamo, però, che la razionalizzazione e la semplificazione, che è necessaria, combaci, comunque, con la vita concreta delle persone e tuteli i diritti già acquisiti. Essere genitori e lavoratori, anche atipici e precari, nel rispetto di tutta la materia dei congedi, riposi e permessi retribuiti, spettanti a entrambi i genitori lavoratori, ai sensi della legge n. 53 del 2000 e del decreto legislativo n. 151 del 2001, fondati sul principio costituzionale di parità e di uguaglianza sostanziale e formale, nonché del diritto comunitario, è una conquista delle donne, finalizzata a creare occupazione, a riattivare l'economia, con una politica più attenta alle pari opportunità e all'uguaglianza. Per noi Democratici, la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro non è distinta dalle questioni che oggi animano il dibattito sociale, il lavoro, lo Stato sociale, le politiche dello sviluppo. La priorità è quella di dare maggiore supporto alla rete familiare allargata, potenziare l'odierna scarsità di strutture sociali, che scoraggia spesso le scelte di nuove maternità e paternità.
Mi avvio alla conclusione, abbreviando il mio intervento. Per questi motivi, esprimeremo un voto contrario su questo disegno di legge, ma invitiamo ancora il Governo a rinunciare e a sospendere l'iter di esame di tutte quelle previsioni più controverse e delicate, che necessitano di un tavolo di confronto, di raccordo e di verifica con tutte le forze sociali (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Capano. Ne ha facoltà.

CINZIA CAPANO. Signor Presidente, solo dopo una settimana, siamo qui a parlare nuovamente di riforme del processo civile, in particolare della riforma del processo del lavoro, anche questa non discussa dalla Commissione giustizia, come hanno ricordato prima i colleghi. Anche questa volta, come per la riforma del processo civile, si tratta di interventi frammentari e assai rischiosi, perché, onorevole Cazzola, non tutelano i diritti dei lavoratori. In realtà, questo intervento rende più incerto e complicato il diritto dei lavoratori, anche nella sua interpretazione. Questa incertezza nell'interpretazione potrà creare una giurisprudenzaPag. 33disomogenea, che certo non serve alla competitività delle imprese, che hanno bisogno, invece, di una giurisprudenza consolidata, per valutare i loro comportamenti, anche nell'ambito del rapporto del lavoro.
È evidente che, al contrario di quanto promesso dal Ministro Alfano nelle sue linee programmatiche, non si vuole operare una vera riforma della giustizia, ma solo far vedere di farlo, inseguendo quella politica dell'effetto ottico, che contraddistingue l'azione di questo Governo, sin dal suo insediamento. Non voglio deludere l'onorevole Fedriga, che peraltro non è più in Aula e, quindi, si risparmierà la delusione, ma non è solo Magistratura democratica, che è una corrente dell'Associazione nazionale della magistratura, ad esprimersi contro questo intervento, è anche il Consiglio nazionale forense, che invece riunisce tutti gli avvocati d'Italia.
Esso, commentando queste stesse norme, che prima erano contenute nel decreto-legge n. 112 del 2008, in un comunicato stampa del luglio scorso, dichiara: «Si introduce un vincolo alla valutazione del giudice in merito a profili di grande rilevanza sociale sul rapporto di lavoro e l'esercizio dei poteri datoriali, con formulazioni, peraltro, del tutto generiche ed onnicomprensive. Per il Consiglio nazionale forense è rischioso vincolare il giudice nelle ipotesi di esame del licenziamento a tipizzazioni di giusta causa e motivo contenute nel contratto collettivo nazionale di lavoro, esponendo al rischio di licenziamenti illegittimi laddove il contratto collettivo applicato non prevedesse la fattispecie sanzionata. Inoltre, quanto alle conseguenze da riconnettere al licenziamento, la normativa proposta vincola indebitamente il giudice a elementi e parametri fissati nei contratti collettivi, introducendo elementi di equivocità in merito all'applicazione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori».
Non lo dice un'opposizione irragionevole, ma lo dice il Consiglio nazionale forense, mettendo, cioè, d'accordo tra loro gli avvocati che tradizionalmente difendono le organizzazioni datoriali e quelli che tradizionalmente difendono le organizzazioni sindacali dei lavoratori.
Anche qui, un grande successo di questo Governo: mettete insieme questi avvocati e la magistratura nel dire quanto è sbagliato il vostro intervento. Eppure il processo del lavoro compie quest'anno 35 anni; meritava un po' più di rispetto, anche perché, in questi 35 anni, quel che abbiamo capito è che la sua struttura, dal punto di vista del codice del processo, funziona.
Quello che non funziona è l'organizzazione della macchina della giustizia. Per questo, il processo del lavoro dà risultati e statistiche assai diverse, tanto che nella mia stessa regione, la Puglia, c'è una città, Foggia, dove la prima udienza di lavoro è fissata dopo due anni dal deposito del ricorso; ce n'è un'altra, però, Taranto, dove la prima udienza è fissata, come vuole la legge, nei 60 giorni.
Questo ci fa capire che gli interventi di cui ha bisogno il processo del lavoro sono interventi sull'amministrazione della giustizia, non sulle norme processuali.
Ma vengo subito alle questioni poste dalla Commissione giustizia; anche qui, non si tratta dell'opposizione. Il parere della Commissione giustizia, benché formalmente favorevole, è assai duro, e quello non lo abbiamo approvato noi, ma la maggioranza di questo Governo.
Esso mette in luce il rischio di quella previsione di clausole generali a cui va limitato il controllo giurisdizionale. Né vale il fatto, onorevole Cazzola, che l'ipotesi prevista dall'articolo 65 sulle limitazioni del controllo giurisdizionale in presenza di clausole generali fosse prevista dalla legge Biagi, per due ordini di considerazioni: la prima è che la legge Biagi non mi pare abbia dato frutti incontestabili, anzi, è oggetto di una grande e profonda discussione nel Paese.
La seconda considerazione è costituita dal fatto che, comunque, la legge che continuate a chiamare legge Biagi, benché indebitamente, limitava quella portata,Pag. 34come lei ha correttamente ricordato nella sua relazione, solamente ai contratti di progetto.
Ma qui vogliamo dare, invece, valore e portata generale. Vi chiedo, e ve lo chiede la Commissione giustizia, chiedendo di specificare il senso di quelle clausole generali: che significa: clausola generale? Ci riferiamo alle clausole generali dei contratti di lavoro subordinato?
Sappiamo, però, che la disciplina del contratto di lavoro subordinato, proprio perché si tratta di un contratto, non si sottrae alla disciplina generale sulle obbligazioni e sui contratti. Parliamo, quindi, anche delle clausole generali del contratto. E in quale rapporto stanno le clausole generali dei contratti in generale con le clausole generali dei contratto di lavoro e con le clausole generali che verranno inserite nei contratti di lavoro certificati?
Qual è il rapporto tra esse? Quale sarà l'iter attraverso il quale sarà possibile orientarsi attraverso queste clausole, una volta che avete tolto al giudice il controllo nel merito di queste clausole?
La verità è che, attraverso l'articolo 65, si tende ad altro: l'articolo 65 è un meccanismo che limita il controllo giurisdizionale sui licenziamenti; è un modo per erodere l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, visto che non si è riusciti, nell'altra legislatura con questa maggioranza, ad abrogarlo. Questa è la risposta, onorevole Saltamartini, che questo Governo dà ai lavoratori: quando non riesce a vincere le battaglie, inventa, come dire, strategie nascoste.
E vengo nel merito della questione. Certo, sembrerebbe a prima vista che l'articolo 65 non modifichi granché, rispetto alla disciplina dei licenziamenti collettivi: tale disciplina oggi non sottrae al controllo giurisdizionale la congruità tra scelta tecnico-produttiva e scelta del personale da licenziare. Tuttavia, la circostanza che l'articolo 65 non si limiti ai licenziamenti collettivi ma si estenda ai licenziamenti individuali, e che, con il comma 2, limiti il potere di interpretazione del giudice del contratto di lavoro, e, col comma 3, ponga al giudice l'obbligo di riferirsi, nel caso dei licenziamenti, alle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo, previste nei contratti collettivi nazionali e nei contratti certificati, fa emergere il vero obiettivo: ossia la limitazione per via processuale della disciplina limitativa dei licenziamenti. Ma non ci riuscirete, perché voi non siete abituati prima di proporre le leggi a verificare la compatibilità con le precedenti pronunzie della Corte costituzionale, lodo Alfano docet: la Corte costituzionale ha già detto che non è consentito al legislatore negare la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro subordinato, perché è compito del giudice valutare lo schema contrattuale delle parti e qualificarlo correttamente. Si tratta del famoso principio del iura novit curia: abrogarlo così frettolosamente non è una cosa facile.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

CINZIA CAPANO. Tale controllo giurisdizionale, peraltro, in materia di licenziamenti, non solo frustra i diritti dei lavoratori, ma è un elemento di assoluto rischio per i datori di lavoro, che non potranno mai avere nei contratti collettivi nazionali una tipizzazione esaustiva di tutte le ipotesi di risoluzione. Questo vuol dire che questa tipizzazione sarà contenuta nei contratti certificati che vengono sottoscritti prima del rapporto di lavoro, e quindi consegneranno i lavoratori al ricatto di dover sottoscrivere i contratti che magari avranno clausole risolutive espresse. Questo è il modo attraverso il quale, da un lato, si elimina...

PRESIDENTE. Onorevole, devo invitarla a concludere. Il tempo assegnato è finito.

CINZIA CAPANO. Concludo. Si elimina l'elemento di certezza del diritto anche per i datori di lavoro, e dall'altro si indebolisce il diritto di difesa dei lavoratori.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento.

Pag. 35

PRESIDENTE. Onorevole Capano, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritta a parlare l'onorevole Pelino. Ne ha facoltà.

PAOLA PELINO. Signor Presidente, sottosegretario, onorevoli colleghi, dopo il controverso iter della scorsa legislatura, caratterizzato da forti contrasti politici, che portò alla mancata approvazione dello schema di decreto legislativo di delega al Governo in materia di lavori usuranti e alla scadenza della delega stessa - rammento i punti di criticità: allargamento della platea dei beneficiari, lavoratori dipendenti notturni, confine tra fase transitoria e andata a regime, definizione degli stanziamenti -, finalmente siamo all'approvazione del provvedimento del nostro Governo, che contiene importanti norme; tra cui quelle in materia di proroga per i lavori usuranti, di riordino di alcuni enti sottoposti alla vigilanza del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, e disposizioni di riforma del codice del lavoro, per snellire le procedure in materia di processo, valorizzando il ruolo della conciliazione e dell'arbitrato.
Rilevo positivamente che si amplia la platea dell'incentivo del prepensionamento per lo svolgimento di attività usuranti; infatti, grazie ad un emendamento del relatore, l'onorevole Cazzola, ne potranno usufruire non soltanto i lavoratori dipendenti, ma anche alcuni profili di lavoratori autonomi (ad esempio gli autotrasportatori) nonché le forze dell'ordine.
Quindi, l'attuale Governo ha deciso di procedere con una nuova delega di valore assolutamente positivo, anche più ampia rispetto alle previsioni della legge n. 247 del 2007, attuativa del Protocollo sul welfare.
Rilevo, altresì, la modifica positiva al testo originario nel senso di ridurre da sei a tre mesi il termine per l'esercizio della delega, che potrebbe arrivare anche entro fine anno con beneficio dei lavoratori.
È da rilevare inoltre che, in base all'articolo 39-septies le forze di polizia, le Forze armate e i vigili del fuoco saranno con provvedimento aggiuntivo esentati dalle norme contenute nel decreto-legge n. 112 del 2008 relative alla «stretta» sulle assenze per malattia.
Il provvedimento nell'ottica del Governo è mirato, nel complesso generale, a razionalizzare la spesa pubblica ed a riorganizzare alcuni aspetti della pubblica amministrazione (si vedano le norme sul riordino degli enti vigilati dal Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, con risparmi di spesa per la gestione dei predetti volte a garantire un miglioramento dal punto di vista organizzativo).
Posso quindi tranquillamente affermare che ad importanti norme di particolare contenuto sociale - come quelle sui benefici per i lavoratori sottoposti a particolari condizioni durante l'orario di lavoro (lavori usuranti), sulle proroghe per gli ammortizzatori sociali, nonché sulle misure per il lavoro sommerso e sulle modifiche alla disciplina sull'orario di lavoro - si affiancano altrettante importanti disposizioni volte a snellire le procedure per le controversie di lavoro.
Infatti, a vantaggio anche della giustizia, novità fondamentale del provvedimento è rappresentata dalla riforma per cui il lavoratore può ricorrere agli strumenti alternativi al giudizio ordinario, quali l'arbitrato e la conciliazione.
Per il primo è prevista la possibilità delle parti, in qualunque fase, del tentativo di conciliazione o, al suo termine, in caso di mancata riuscita, di poter indicare la soluzione anche parziale sulla quale esse concordano, riconoscendo, quando è possibile, il credito che spetta al lavoratore, e di potersi accordare per la risoluzione della lite, affidando alla commissione di conciliazione l'incarico di risolvere in via arbitrale la controversia.
È un importante passo per accelerare, anche a vantaggio dei lavoratori, la definizione delle liti di lavoro, visto che il termine per la conclusione del procedimento è di sessanta giorni dal conferimento del mandato, dopo di che l'incarico deve intendersi revocato (nuovo articolo 412 del codice di procedura civile).Pag. 36
Infine, la conciliazione assume veste unica per tutti i rapporti di lavoro, pubblici e privati, il cui tentativo viene previsto che vada promosso, in linea di principio, presso le direzioni provinciali del lavoro e solo successivamente in sede sindacale o presso le sedi di certificazione dei contratti di lavoro.
Il Governo ha anche voluto realizzare un ruolo centrale degli organismi di certificazione allo stesso fine di ridurre il contenzioso in materia di lavoro.
Sono stati quindi attuati dal nostro Governo i propositi di innovazione giuridica, integrando i sistemi di tutela di cui possono usufruire i lavoratori ed i vantaggi a favore di essi (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Per dare ordine ai nostri lavori, avverto che non vi sarà la pausa pranzo e pertanto proseguiremo fino ad esaurimento dell'ordine del giorno previsto.
È iscritta a parlare l'onorevole Binetti. Ne ha facoltà.

PAOLA BINETTI. Signor Presidente, vorrei intervenire in merito all'articolo 24 di questo disegno di legge. Questo articolo prevede delle norme di delega al Governo per la riorganizzazione degli enti vigilati dal Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali. Attraverso questa norma di delega, che a mio avviso appare come una sorta di delega in bianco, si viene ad attuare una rivoluzione che potrà essere scarsamente percepita, forse, all'inizio, ma che potrebbe avere delle conseguenze molto gravi su diversi fronti che considero assolutamente strategici. Con riferimento al campo concreto della salute, a tutto ciò che riguarda, ad esempio, la prevenzione, molti di questi enti hanno tra i loro obiettivi specifici proprio la prevenzione. Un altro obiettivo che verrà fortemente messo in discussione sarà, inoltre, quello della ricerca e molti di questi enti hanno come obiettivo specifico la ricerca; inoltre, verrà messo in discussione un altro aspetto importante in termini di farmacoeconomia attraverso la revisione delle caratteristiche dell'Aifa, Agenzia italiana del farmaco. A tutti gli enti che sono in discussione va inoltre aggiunta anche la Lega italiana per la lotta contro i tumori.
Non si tratta di poche misure, se ci poniamo dal fronte della salute. Sono in gioco, infatti, la prevenzione, alcune delle malattie più pregnanti per quanto riguarda il sistema salute, tutto quello che riguarda la ricerca scientifica su questi campi e, attraverso il rapporto con l'Agenzia italiana del farmaco, tutto quello che riguarda il tema della terapia. Mettiamo in gioco, quindi, la prevenzione, la terapia, le patologie sociali, e, attraverso l'intervento dell'Istituto italiano di medicina sociale, il sistema complessivo della salute.
Non a caso, sette di questi enti rientrano sotto quello che è attualmente il grande controllo del Ministero della salute. Si tratta di sette enti che già costituiscono enti di consulenza tecnica, tra cui risulta primo per eccellenza l'Istituto superiore di sanità, che è il più importante istituto a cui sono affidati obiettivi assolutamente strategici nel campo della salute.
Da un lato, abbiamo questo obiettivo: mettere la salute al centro del sistema. Dall'altro, però, attraverso altri enti, come ad esempio, l'Isfol, ed in parte lo stesso vecchio Istituto di medicina sociale (attualmente Istituto per gli affari sociali, lo Ias) abbiamo messo nel mirino la legge n. 626 del 1994 ovvero la gestione e la sicurezza della salute attraverso le strategie di formazione.
Ci troviamo ad aver affidato al Governo, con questo riordino degli enti che fanno riferimento al Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali (è attualmente un unico ministero), una delega su una questione che non è piccola cosa. Non si tratta di enti di secondaria importanza; rappresentano il sistema strutturale su cui il Ministero costruisce giorno per giorno le sue politiche - insisto - di prevenzione, di cura, di intervento. Tra questi enti - scusate se lo cito solamente adesso - vi è anche quello che gestisce i rapporti con le regioni (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali).Pag. 37
Entrando nel merito di ognuno di questi enti, mi sono detta: questa è una rivoluzione. È una delega in bianco quella che prevediamo, senza sapere qual è il modello di salute al quale vogliamo riferirci; senza aver detto nulla rispetto al modello di ricerca che in questo campo specifico della salute rappresenta l'orizzonte della speranza per tutti noi. Si può prevedere una delega che, in qualche modo, modifica completamente l'orizzonte di senso nel quale siamo abituati a muoverci senza avere altro criterio (questo è il punto chiave)? Tra gli obiettivi del ripensamento, del riaggiustamento, del rimaneggiamento di questi enti, vi è, infatti, solo il criterio dell'efficacia, dell'efficienza e dell'economicità e, a conferma di ciò, vi è l'idea di spostare lo Ias e l'Isfol verso l'Agenzia, che dipende direttamente dal Ministero delle economie e delle finanze.
Quindi, vi è un iperpotenziamento delle risorse di controllo economico ed è quel che ci preoccupa più di tutto. In una politica come quella che stiamo vivendo in questi giorni, una politica sostanzialmente dei tagli, riportare tutte queste competenze attraverso la risistemazione degli enti sotto questo tipo di controllo significa tagliare. Ma tagliare che? Tagliare ricerca? Tagliare prevenzione? Tagliare quello che è il rapporto con i farmaci? Mi sembra che veramente sia una scommessa al buio che non possiamo in alcun modo sottoscrivere. Ma vorrei che non fossimo soltanto noi a non sottoscriverla, come se fosse, per così dire, un posizionamento politico dell'opposizione. Vorrei che l'intera maggioranza e l'intera compagine parlamentare fossero sollecitate a riflettere su questo aspetto e chiedessero molte più garanzie. Non è che non vi sia bisogno di garanzie; non è che nessuno di noi non lo intraveda per alcuni di questi enti e penso all'ente storico come la Croce rossa italiana (oltre 100 anni di storia), ma anche allo stesso Ias, fondato nel 1922, enti non tutti moderni e che hanno alle spalle decenni di storia; non c'è chi non veda che bisogna in qualche modo intervenire probabilmente nella dinamica organizzativa. Ma, di tutto quello che prescrive l'articolo di cui sto parlando, parole come «qualità della salute» o «obiettivo» e il venire veramente incontro ai nuovi emergenti bisogni di salute non vengono fuori mai. Si intravede che la logica è meramente amministrativa, ma in questa logica amministrativa noi corriamo il rischio di travolgere la mission specifica di questi enti.
Credo che non sia possibile, per nessun uomo di buona volontà, per nessun uomo che si senta responsabilmente parte integrante del sistema di tutela della qualità di vita dei pazienti, ma anche della qualità di vita dei cittadini, sottacere i rischi cui si va incontro attraverso tali misure. Perché a molti può sembrare che la logica potrebbe anche essere semplicemente quella di una revisione dei consigli di amministrazione, o quella di creare una nuova classe dirigente per questi enti, ma non è di questo che noi abbiamo bisogno. È sotto gli occhi di tutti noi l'insuccesso di una managerialità che non sia intrinsecamente controllata, che non sia in qualche modo controllata dal basso, intendo dire dall'utenza, ma anche da coloro che lavorano in quegli enti (quindi da organi di controllo interni), oltre che da organi di controllo superiori. È un movimento doppio. Ciò che a noi stupisce dello scandalo che sta succedendo in questi giorni intorno, per così dire, a questo cataclisma delle banche, non sono tanto gli errori dei manager, talmente forti e plateali che veramente rimaniamo sbalorditi e senza parole, quanto il sistema di controllo interno, il sistema dei funzionari, quel sistema di rimandi reciproci dall'una all'altra delle istituzioni che dovrebbe fungere da garanzia per i cittadini.
Ebbene, mi chiedo perché smantellare questo sistema, fatto di pluralità di enti, che già istituzionalmente sono chiamati a collaborare tra di loro, perché già istituzionalmente il Ministero della salute, piuttosto che il Ministero del lavoro, detta le sue direttive a questi enti, e già istituzionalmente questi enti rispondono in qualche modo degli obiettivi raggiunti ai Ministeri di rispettiva competenza. Esiste già un sistema, ma allora perché non verificarePag. 38il motivo per cui si è inceppato, dove si è inceppato, come si è inceppato, e perché non offrire nello stesso tempo garanzie che non vadano solo sul fronte meramente economico? Non ci sembra sufficiente; ci sembra che vi possa essere davvero il rischio di una leggerezza e di un «taglia e cuci» che poi non riuscirà davvero a garantire a tutti quello che ognuno di noi auspica per sé stesso, per la società, per le propria famiglia, per l'attività di ricerca, per l'attività di assistenza e per l'attività di prevenzione, ovverosia un maggiore e più profondo senso di responsabilità e di tutela della cura (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, discutiamo oggi sul disegno di legge collegato riguardante il lavoro, su un terreno di confronto che pure nella scorsa legislatura è stato un terreno di confronto acceso, e che in essa ha prodotto poco e male, a nostro giudizio, con l'approvazione di un collegato alla legge finanziaria per il 2008 che ha sancito e raccolto le norme del Protocollo del luglio dello scorso anno.
Oggi si interviene sulla materia del lavoro all'interno di un quadro completo, complesso, che ha visto sostanzialmente anticipare la manovra finanziaria per il prossimo triennio e ha visto presentare un collegato che, con gli stralci deliberati da questa Assemblea, ha distinto le discipline per materie, assegnandole alle Commissioni in sede referente e offrendo a queste la possibilità di intervenire nel merito dei provvedimenti.
Ritengo che vi sia stato un confronto di merito importante - in parte è emerso anche da questo dibattito, signor Presidente - nella Commissione, e che vi sia stato un lavoro attento da parte del relatore Cazzola e del Governo, qui presente nella persona del sottosegretario Viespoli, attento non solo al merito delle questioni ma anche alle dinamiche e alle posizioni che sono state poste dall'opposizione con forza e con ragionevolezza, in alcuni casi solo con l'una, in altri casi solo con l'altra, in altri casi ancora con entrambe queste qualità, in altri senza l'una né l'altra. È stato dato atto al relatore e al Governo di aver avuto la sensibilità di accogliere alcune elementi «correttivi» o, comunque, su cui si poteva registrare il consenso del Governo, del relatore e della maggioranza nell'organizzazione, nella composizione e nel perfezionamento del provvedimento per l'Assemblea.
Su tale provvedimento, tuttavia, sono stati presentati numerosi emendamenti importanti, che toccano materie per alcuni aspetti delicati e per altri molto controversi, su cui c'è stato un grande dibattito - si pensi alla questione della stabilizzazione - e su cui riteniamo che il Governo abbia preso posizioni importanti e, soprattutto, abbia preso delle posizioni.
Cito pochi esempi, per brevità. Il dibattito sulle stabilizzazioni, in quest'Aula e fuori di essa, si è intersecato con altri elementi di natura sociale e di relazioni industriali, negli ultimi due anni in cui ha governato il centrosinistra. Noi abbiamo ereditato una situazione molto confusa, con un rischio di contenzioso amplissimo, con un'incertezza delle norme, con un'irragionevolezza delle norme, con uno scavalcamento sostanziale di decine di migliaia di vincitori di concorsi e di almeno altrettanti idonei - circa 140 mila unità, complessivamente - per favorire un meccanismo che andava a sanare non solo sacche di vero precariato che si erano venute a creare all'interno della pubblica amministrazione, ma anche situazioni che erano poco assimilabili al concetto di precariato, che sappiamo essere molto elastico. In realtà è tutto da dimostrare che coloro che avevano un contratto al 29 settembre 2007 nella legge finanziaria 2008 potessero essere effettivamente definiti precari.
Dunque, si pone un termine a questa vicenda, come ad esempio, per altri aspetti, si riduce il termine della delega sui lavori usuranti. Si dice: adesso facciamo un monitoraggio e portiamo a termine le stabilizzazioni, che sono attualmente in corso secondo le norme vigenti. Quindi, daPag. 39questo punto di vista, non viene toccata la norma vigente, ma impediamo che si creino sacche di precariato ulteriori su cui dover andare a riaprire un altro contenzioso politico, di relazioni industriali, sociale ed anche giuridico.
Tale questione infatti dà adito a contenzioso giuridico e a ricorsi: è sostanzialmente sospettabile di essere incostituzionale un meccanismo per cui nella pubblica amministrazione si accede non per concorso, come prevede la Costituzione, ma attraverso la chiamata diretta e una successiva stabilizzazione. Quindi, è un meccanismo perverso.
Poi, se volessimo fare una riflessione ulteriore - ma ci sarà spazio per farlo: anche in Commissione lavoro vi sono risoluzioni sul tema del precariato e vi è un'indagine che è durata due anni su questo fenomeno, svolta in Commissione lavoro e che non ha, per questioni di opportunità della maggioranza politica di allora, avuto una relazione finale e una conclusione ufficiale - e se volessimo anche andare a vedere perché nella pubblica amministrazione si ricorre così tanto alla flessibilità, dovremmo risponderci probabilmente che abbiamo una pubblica amministrazione troppo rigida, troppo sindacalizzata, dove troppo spesso, per ottenere un dinamismo minimo, si è costretti a ricorrere a forme di lavoro di natura temporanea, prese dall'esterno. Ma il principio per cui si entra nella pubblica amministrazione da lavoratore a tempo determinato e prima o poi si viene sanati è un principio che va sfatato ed è una situazione alla quale occorre porre fine, quindi ben vengano queste norme sulle stabilizzazione.
L'altro aspetto che voglio toccare è la questione del processo del lavoro, riconosciuto unanimemente come un meccanismo in qualche modo da superare. Ebbene, così come su un altro collegato, che poi era originariamente il medesimo, si è data un'impronta importante alla velocizzazione del processo civile, per altri aspetti in questo si tocca la questione del processo del lavoro. È una questione aperta, nota, con diversi punti di vista spesso a confronto, ma è una questione che il Governo ha avuto il pregio di affrontare e che è stata affrontata in questo caso nella Commissione di merito: quindi, non vi sono neanche le polemiche che si sono avute, come i colleghi che sono qui presenti sanno, in merito alla competenza o meno della Commissione giustizia, perché in questo caso la Commissione lavoro ha affrontato effettivamente nel merito la questione.
Sono vicende antiche di un processo del lavoro su cui pure vi sono stati pronunciamenti autorevoli. Cito tra tutti, mi si permetta di leggerlo, un testo della Commissione Foglia, che in premessa afferma: «Sulla crisi del processo del lavoro, tra gli aspetti più allarmanti della crisi della giustizia civile, e sulle sue ragioni di fondo, si dibatte, da anni, concordandosi sulla molteplicità di cause - da quelle socio-economiche, a quelle culturali, dall'accresciuto accesso alla giustizia, alle ragioni politico-normative, ai difetti strutturali del sistema giudiziario eccetera -, senza escludere fenomeni che documentano talora un "abuso" del processo del lavoro, come dimostrano recenti esperienze (si pensi all'esorbitante numero di controversie dei dipendenti delle ferrovie, e a quelle, nondimeno, a carattere alluvionale, concernenti le integrazioni al trattamento minimo delle pensioni e l'indebito previdenziale, per citarne solo alcune) che hanno ulteriormente messo a dura prova la gestione, già sofferente, di un processo che il legislatore del 1973 voleva particolarmente celere, e che, tra l'altro, non ha potuto fruire dei benefici connessi all'introduzione del giudice di pace e del "giudice unico»"". Questo solo per citare una fonte autorevole, che ci dà la misura della necessità dell'intervento sottoposto alla nostra attenzione.
Poi vi sono misure che possono essere considerate più o meno di dettaglio: il relatore le ha difese con competenza e con grande chiarezza. Sono questioni su cui vi è stato un dibattito abbastanza acceso in Commissione, ma credo che, anche grazie alla competenza e alla puntigliosità con la quale il relatore è andato alla ricerca diPag. 40sentenze della Corte costituzionale, vicende come quella delle procedure concorsuali e dei requisiti di residenza siano, almeno in questa sede, chiarite. Se sarà necessario ritengo sarà forse utile ribadire questi chiarimenti in sede di dibattito in Assemblea, perché comunque sul profilo costituzionale non vi è eccezione.
Del merito si può discutere - noi rimaniamo ovviamente della nostra opinione, perché anche il collega Berretta citava un mio ordine del giorno di ieri, purtroppo a sproposito - ma altro è parlare di eccellenza e altro è parlare del valore legale dei titoli di studio.
Ci sono alcune questioni che spero verranno approfondite. Ringrazio il relatore per la competenza con la quale ha affrontato, in questa sede, l'esposizione della relazione, che ha già dato alcuni elementi importanti che potrebbero essere acquisiti dall'opposizione come chiarimenti definitivi in vista del prossimo dibattito. Ho il vago sospetto che dovremo tornare a chiarire questi punti. Ringrazio anche il Governo per la competenza, la presenza, il dinamismo con il quale è stato in grado di seguire questo provvedimento così importante (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 1441-quater-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Cazzola. Avendo esaurito il tempo a sua disposizione, devo chiederle la cortesia di essere brevissimo.

GIULIANO CAZZOLA, Relatore. Signor Presidente, cosa vuol dire in termini concreti?

PRESIDENTE. Che a termini di Regolamento aveva venti minuti, che ha utilizzato nello svolgimento della relazione.

GIULIANO CAZZOLA, Relatore. Signor Presidente, mi lasci solo ringraziare i colleghi che sono intervenuti e che hanno dato un contributo alla discussione, il Governo, in particolare il sottosegretario Viespoli, che ha seguito con saggezza e moderazione i nostri lavori, e gli uffici, che hanno fatto da supporto alla Commissione. Ringrazio inoltre i colleghi dell'opposizione, ed in particolare gli onorevoli Berretta, Delfino e Schirru, che hanno voluto riconoscere alla maggioranza il tentativo di aprire un dialogo. In generale, avendo sempre prevalso nelle votazioni, mi pare evidente che la maggioranza non abbia subito delle «violenze». Le modifiche apportate dimostrano che essa era peraltro sensibile alle argomentazioni dell'opposizione: non ci crediamo perfetti e quando ci vengono offerti dei consigli accettabili li accettiamo. Ci attribuiamo, comunque, anche il merito delle modifiche intervenute.
La ringrazio per il tempo che mi ha concesso, e chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento.

PRESIDENTE. Onorevole Cazzola, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

PASQUALE VIESPOLI, Sottosegretario di Stato per il lavoro, la salute e le politiche sociali. Signor Presidente, innanzitutto mi associo ai ringraziamenti del relatore. Utilizzerò il tempo a disposizione in primo luogo per esprimere una valutazione, e in secondo luogo un auspicio. La valutazione è che il dibattito in Commissione è stato utile, importante e reciprocamente improntato - sia da parte della maggioranza che dell'opposizione - alla ricerca di un confronto positivo e di merito rispetto alle questioni rilevanti che il provvedimento pone.
Il dibattito in Assemblea non sempre ha mantenuto questo taglio, questa caratterizzazione, questa impostazione: pertanto,Pag. 41da una parte esprimo tale valutazione, dall'altra, poiché il provvedimento - come è giusto che sia - è ancora aperto al confronto, alle modifiche e alle riflessioni da parte del Governo, della maggioranza e dell'opposizione, l'auspicio che ci sia il recupero di un clima di confronto che, pur nelle diversità, punti alla contrapposizione o alla convergenza di merito su questioni non irrilevanti. Si tratta, infatti, di questioni che meritano più il giudizio che non il pregiudizio che a volte, invece, si evince da alcuni interventi, anche nel dibattito di oggi.
A proposito delle scelte che il provvedimento esprime ci sono state valutazioni che, appunto, a mio avviso, si collocano più nella categoria del pregiudizio o, in alcuni casi, in particolare in relazione ad alcune riflessioni sulle modifiche del processo del lavoro, più che del processo del lavoro, del processo alle intenzioni. L'impostazione del provvedimento ha, a mio avviso, una sua coerenza. Essa può essere, come è giusto, contestata, ma, in qualche modo, esplicita un atteggiamento, una posizione, una scelta da parte del Governo che, prima ancora che di carattere normativo, è di impostazione, di carattere politico-culturale rispetto ai mutamenti che si ritiene che il lavoro e il mondo del lavoro debbano continuare a conoscere.
Allora, per essere chiaro almeno su due punti, da una parte non c'è alcun tentativo di determinare condizioni di riduzione a strumentalità di alcuni enti ed alcuni soggetti. Lo stesso dibattito e confronto in Commissione ha visto emergere con nitidezza l'esigenza di preservare il valore strategico, in particolare di alcuni enti. Tuttavia, questi enti e questi soggetti vanno considerati con attenzione (da qui la richiesta di delega) per quei profili riorganizzativi necessari, non per intaccarne l'autonomia o la funzione scientifica, ma perché, nel corso degli anni, non si è fatto sempre buon uso di questi enti, degli spazi, delle opportunità e delle possibilità. Molte volte questi enti sono stati, in questo caso sì, strumentalmente utilizzati, non per valorizzarne il fine, ma per occuparne lo spazio e per determinarne il governo, più ridotto alla gestione che non alla valorizzazione strategica.
Pertanto non c'è, credo, da sottolineare con particolare enfasi di pericolosità il fatto che ci si ponga l'obiettivo di affrontare il tema della riorganizzazione di alcuni enti e si chieda la delega per riuscire a raggiungere l'obiettivo di una valorizzazione degli stessi in un quadro, però, di maggiore attenzione, non solo ai profili di carattere economico, ma alla qualità e all'efficienza degli enti stessi. Ciò al fine di evitare sovrapposizioni, per determinare elementi di maggiore organicità e per determinare meglio il supporto che questi enti possono dare, anche rispetto al raccordo con il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali.
Tra l'altro, sempre per restare sul punto, perché resti agli atti, proprio attraverso il confronto in Commissione, anche dal punto di vista di una procedura quanto più partecipata e attenta possibile in sede di decreti legislativi attuativi, in Commissione si è determinato un percorso che tiene conto del rapporto con le parti sociali, col sistema istituzionale e con le Commissioni parlamentari. Ciò proprio perché si tratta di questioni delicate, di materia complessa e tuttavia, a dimostrazione del fatto che l'obiettivo non lo si vuole raggiungere e cogliere con forzature, si è determinato un procedimento per il percorso dei decreti legislativi che è quello previsto dall'articolo 24 di questo provvedimento.
Una sola considerazione ulteriore: è evidente che stiamo perseguendo l'obiettivo di valorizzare il ruolo e la funzione delle parti e di determinare delle scelte che mettano al centro il ruolo e la funzione delle parti sociali, e ciò con un approccio che si esprime e che si manifesta nei vari provvedimenti e anche attraverso l'attenzione che è stata posta all'intervento a proposito del processo del lavoro.
Tale intervento cerca di valorizzare questa funzione e questo ruolo, come in generale cerca di valorizzare la funzione della bilateralità, per richiamare le parti ad un rapporto che insieme sia di responsabilità,Pag. 42che costruisca relazioni più improntate alla collaborazione e alla cooperazione e che determini un sistema di relazioni e di rapporti, anche all'interno dell'impresa e nel rapporto con la stessa, orientato più verso una cultura partecipativa che non antagonista.
Tutto ciò comporta delle scelte che devono essere valutate anche in questo senso e in questa direzione e che hanno un carico innovativo che apre, ovviamente, uno spazio di dialogo e di confronto attenti, perché vi è un limite e un confine da rispettare. Si deve far sì che l'equilibrio tra le parti, soprattutto in tema di processo del lavoro e rispetto ai diversi soggetti coinvolti, rimanga dentro al sistema, all'ordinamento e alle rispettive capacità, nel rispetto e nella valorizzazione dei diversi ruoli, evitando che tale equilibrio si rompa senza trovare il punto di sintesi più appropriato, opportuno e coerente anche con l'impostazione che si intende dare. Tutto ciò deve avvenire sia nel rispetto e nella valorizzazione del ruolo delle parti e sia nel rispetto della funzione della magistratura del lavoro, in particolare della sua autonomia, all'interno della quale essa deve svolgere il suo ruolo e la sua funzione, nell'ambito di scelte non sempre facili da compiere e da determinare.
In conclusione, un'ultima riflessione. Nel corso del dibattito non è emerso un elemento che ritengo significativo, contenuto all'interno del provvedimento in esame. Si tratta della concretizzazione, grazie al disegno di legge in esame, di impegni già definiti in sede di provvedimenti precedenti. Mi riferisco, per esempio, alla quantificazione del Fondo per l'occupazione.
Con il provvedimento in esame e con l'articolo 67-ter, che è stato scarsamente posto alla nostra attenzione, si determina la possibilità di avere un quadro di risorse e di tutele molto importanti per fronteggiare le situazioni di criticità e per inserire anche alcuni elementi: si tratta della valorizzazione della responsabilità dei soggetti, del riferimento al patto di servizio e dell'utilizzazione degli ammortizzatori in deroga, che si sono rivelati importanti per accompagnare le criticità nel corso di questi anni, nonché di elementi utili ad affrontare il tema dei servizi dell'impiego e la questione dell'apprendistato e per cercare di migliorare il quadro normativo, in continuità con quanto effettuato, per diversi anni e per diverse leggi finanziarie, sia dal Governo di centrodestra, sia da quello di centrosinistra.
Con l'ultimo articolato si è introdotto qualche cambiamento migliorativo e positivo, che fa da sfondo all'esigenza di affrontare il tratto ultimo indicato nel provvedimento, ossia la possibilità di disporre di maggior tempo per esercitare le deleghe conferite, in modo da affrontare, in maniera organica, soprattutto il tema degli ammortizzatori sociali e le altre questioni definite dai provvedimenti attuativi del Protocollo sul welfare.
Il tema della riforma degli ammortizzatori sociali rimane un elemento fondamentale all'interno del percorso di cambiamento e di riforma del mercato del lavoro, che ha come sfondo e riferimento (anche in questo caso, prima politico-culturale e, poi, da tradurre sul terreno programmatico e normativo) l'itinerario avviato con il Libro bianco sul mercato del lavoro, che deve trovare, in ordine alle nuove tutele, una concretizzazione che in un qualche modo renda più funzionale il disegno complessivo di cambiamento e di riforma che il Governo intende portare avanti (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Trasmissione dal Senato di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissione in sede referente.

PRESIDENTE. Il Presidente del Senato ha trasmesso alla Presidenza il seguente disegno di legge, che è assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alla II Commissione (Giustizia):

S. 1018 - «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 16 settembrePag. 432008, n. 143, recante interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario» (Approvato dal Senato) (1772) - Parere delle Commissioni I, V, VI, e XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale).

Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dall'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, è altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 13).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.

(Rinvio dell'interpellanza urgente Lo Monte - n. 2-00163)

PRESIDENTE. Avverto che, su richiesta dei presentatori e con il consenso del Governo, lo svolgimento dell'interpellanza urgente Lo Monte n. 2-00163, riguardante iniziative concernenti attività esercitate dal Banco di Sicilia nell'ambito del mercato siciliano in relazione alla gestione dei mutui casa riservati alle famiglie, è rinviato ad altra seduta.

(Dati e iniziative con riferimento all'esposizione delle aziende pubbliche, dei ministeri e dei piccoli risparmiatori in relazione al fallimento della banca d'affari Lehman Brothers - n. 2-00132)

PRESIDENTE. L'onorevole Boccia ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00132, concernente dati e iniziative con riferimento all'esposizione delle aziende pubbliche, dei ministeri e dei piccoli risparmiatori in relazione al fallimento della banca d'affari Lehman Brothers (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti).

FRANCESCO BOCCIA. Signor Presidente, questa interpellanza è stata molto sofferta; abbiamo aspettato invano il Governo la scorsa settimana e lo abbiamo aspettato anche questa settimana attraversando giorni complessi e burrascosi per gli effetti che i prodotti derivati (che caratterizzano la composizione del debito finanziario di parte pubblica) avevano in qualche modo provocato.
Il 23 settembre abbiamo presentato al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro dell'economia e delle finanze una interpellanza urgente firmata da oltre trenta parlamentari del Partito Democratico che era molto puntuale e dettagliata. Non casualmente, l'avevamo presentata il 23 settembre, nel momento in cui la crisi non si era aggravata e volevamo capire meglio, con l'aiuto del Tesoro, quali erano le caratteristiche di alcune operazioni finanziarie che caratterizzano la composizione del nostro debito pubblico e, in particolar modo, della parte finanziaria del nostro debito pubblico, i cui dati non sono conosciuti dal mercato, dagli operatori specializzati, e noi abbiamo il sospetto che non siano neanche conosciuti dalle Autorità di vigilanza.
Per questo motivo, il 23 settembre, qualche giorno dopo le procedure di amministrazione controllata che erano state avviate in base all'articolo 11 della legge fallimentare americana, avevamo chiesto al Governo e, in particolar modo, al Ministro Tremonti, innanzitutto quale fosse il mark to market nei confronti di Lehman Brothers. Infatti, dalle nostre informazioni, c'era la possibilità che fosse negativo e volevamo capire le dimensioni del mark to market, mentre nel caso in cui fosse stato positivo, come è noto, Lehman Brothers non sarebbe stata nella condizione di restituire gli eventuali flussi attivi del Tesoro.
Sono stati fatti molti numeri sulla stampa, ma mai nelle Commissioni competenti e mai in Aula. Il Ministro TremontiPag. 44ci ha onorato della sua presenza più di una volta, l'ultima ieri, per la verità, quando ci ha fatto anche una bella rassegna stampa su ciò che è successo negli ultimi tre mesi - e noi lo abbiamo anche ringraziato - e ci ha chiesto di assumerci delle responsabilità in nome e per conto del Paese, cosa per la quale noi, attraverso l'onorevole Bersani, abbiamo detto di essere pronti. Aspettavamo ieri i numeri, come continuiamo ad aspettarli oggi.
Quindi, il sottosegretario, che ringrazio per la presenza e per la disponibilità, dovrebbe rispondere alle domande rivolte il 23 settembre e ad un altro paio di domande che ho il dovere di farle per quanto successo da quella data ad oggi: chiedevamo al Tesoro quale fosse l'ammontare del mark to market con Lehman Brothers e i dettagli di alcune operazioni specificate nell'interpellanza. Si tratta di operazioni tutte sottoscritte, nate e originate nel 2003, quando il Ministro dell'economia era sempre l'onorevole Tremonti. Tali operazioni erano caratterizzate da una creatività evidente.
Personalmente, all'epoca mi trovavo dall'altra parte della barricata, dentro le aule universitarie, dove tentavamo di spiegare come non si dovessero fare operazioni di finanza creativa. Tuttavia, fummo travolti: l'accademia italiana e tutti coloro che si occupano di finanza pubblica locale e, soprattutto, i sostenitori della prudenza passarono per vecchi e superati dal tempo, perché il Ministro Tremonti spiegava al Paese intero come quello fosse il tempo della creatività.
Tale creatività portò l'Italia ad essere il primo mercato di cartolarizzazioni al mondo e il primo mercato europeo di cartolarizzazioni «swappate» e di Stato. L'Italia diventò l'Eldorado. Tra il 2002 e il 2005 questo Paese diventò la Mecca delle principali banche d'affari, che si trasferivano tutte in Italia, dal momento che qui si realizzava un business impensabile nel resto del mondo e per di più con lo Stato.
Quindi, nell'interpellanza abbiamo chiesto notizie di Scic Research, del portafoglio Aem, del portafoglio Poste, del portafoglio Tav, del portafoglio P1, degli Swap su Fip: abbiamo chiesto informazioni per alcuni miliardi di euro. Vogliamo sapere qual è il mark to market perché quella controparte non esiste più; vogliamo sapere a quanto ammonti parallelamente l'esposizione dei piccoli risparmiatori italiani nei confronti dei bond Lehman e, qualora i dati riportati anche in questi giorni dagli organi di stampa fossero confermati, quali sono le misure che si intendano adottare. Infatti, anche dall'intervento di ieri del Ministro dell'economia, abbiamo capito che dovremo dire «sì» al buio ad un ipotetico intervento volto a rassicurare i mercati, ma a questa mattina non abbiamo ancora capito qual è.
Tuttavia, voglio essere ancora più specifico e chiederle, signor sottosegretario, quanta parte del debito finanziario pubblico italiano è trattata con derivati. Le faccio ufficialmente questa domanda, a nome mio e del gruppo del Partito Democratico, perché abbiamo bisogno di capire e di spiegare bene ai risparmiatori italiani, ai mercati e agli operatori specializzati, quanta parte del debito pubblico finanziario italiano è trattata con derivati e se, in caso, sia stata trattata con derivati una certa parte. Poiché i numeri li vogliamo sentire dal Tesoro, dal momento che non possiamo darli noi, né possiamo consentire che i giornalisti giochino ad indovinare, vorremmo sapere l'ammontare dell'hedging in chiave tecnica.
Vorremmo, inoltre, sapere se tra le controparti, oltre a Lehman Brothers, vi sono tutte quelle banche a rischio come Goldman Sachs e Morgan Stanley o come le banche europee che stanno traballando in questi giorni. Infatti, se così fosse, sarebbe necessaria l'onestà intellettuale di ammettere che una parte del nostro debito finanziario pubblico ha prodotto perdite che si stanno coprendo in questi giorni. Peraltro, una parte di quelle perdite e di quelle operazioni sono state poi oggetto della carta finanziaria scontata dei principali gruppi bancari italiani che oggi sono preoccupati.
Signor sottosegretario, le ricordo che alcune grandi banche italiane hanno diPag. 45fatto venduto ad alcuni grandi gruppi industriali del nostro Paese una parte di quella carta finanziaria.
La sensazione che abbiamo è che questo provvedimento annunciato al Paese sia probabilmente utile, ma che salva la coscienza a coloro che hanno fatto errori gravissimi, molto gravi, negli anni della finanza creativa (rispetto ai quali abbiamo ricostruito alcune operazioni sulle quali vogliamo conoscere i dettagli) ma nulla ha a che fare con il Paese reale, perché le piccole banche, le banche di credito cooperativo, le banche popolari che finanziano l'economia reale, i piccoli imprenditori e i piccoli artigiani, oggi non stanno traballando; i piccoli imprenditori che ogni giorno alzano e chiudono la saracinesca possono avere un problema di accesso al credito per una contrazione generale della liquidità complessiva causata dai danni fatti dalle grandi banche d'affari che ho citato (rispetto alle quali vorrei sapere se sono ancora controparte del Tesoro italiano) e dei grandi gruppi bancari italiani che hanno giocato con le «matrioske» finanziarie dei grandi gruppi industriali.
Quella finanza che doveva essere ancella dell'impresa, come ci ricordava Adriano Olivetti, si è trasformata in realtà in una finanza fine a se stessa, che produceva solo profitti di breve termine. Questa era la finanza creativa, il Ministro dell'economia lo ha dimenticato con un po' troppa facilità; è venuto due volte in Aula a raccontarci che cosa è successo nei mesi che abbiamo alle spalle: ce ne eravamo accorti, avevamo seguito anche noi i mercati e le dinamiche che hanno caratterizzato l'economia e la finanza in Italia, in Europa e nel mondo. Nelle due giornate che ci ha onorato della sua presenza qui alla Camera ed oggi noi chiediamo semplicemente al Tesoro, e quindi al Governo italiano, i numeri con trasparenza.
Mi auguro, signor sottosegretario, che lei oggi possa rispondere alla nostra interpellanza aiutandoci a capire esattamente la dimensione di questa vicenda.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Nicola Cosentino, ha facoltà di rispondere.

NICOLA COSENTINO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, con l'interpellanza in esame gli onorevoli interpellanti chiedono elementi informativi in ordine all'impatto sul nostro Paese del recente dissesto finanziario della banca d'affari Lehman Brothers. Gli onorevoli interpellanti chiedono, in particolare, elementi informativi riguardo: all'esposizione in swap della Repubblica italiana e degli altri enti pubblici con Lehman Brothers, con particolare riferimento al segno positivo o negativo del mark to market nei confronti della citata controparte; quali misure e iniziative si intendano adottare in tema di regolamentazione dei contratti swap, con particolare riferimento alla loro possibilità di utilizzo da parte di enti pubblici (allo stato soltanto sospesa per un anno dall'articolo 62 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133); a quanto ammonti l'esposizione dei piccoli risparmiatori italiani nei confronti dei bond Lehman e quali misure si intendano adottare a loro tutela, considerando che le agenzie di rating continuavano ad attribuire a Lehman Brothers un rating A+.
Il dipartimento del Tesoro ha fatto presente che alla data dell'apertura delle procedure di amministrazione controllata nei confronti della banca d'affari Lehman Brothers i contratti swap in essere con controparti appartenenti alle gruppo Lehman conclusi dal Ministero dell'economia e delle finanze per conto della Repubblica italiana sono complessivamente dodici. Tali contratti sono stati sottoscritti negli anni 2005, 2006 e 2007, sulla base delle vigenti disposizioni in materia di utilizzo degli strumenti derivati (vedasi al riguardo l'articolo 3, comma 1, lettera c), del testo unico sul debito pubblico), nell'ambito di attività di gestione del debito pubblico.
Il valore di mercato complessivo netto della posizione nei confronti del gruppo Lehman alla data del 15 settembre 2008,Pag. 46giorno di apertura delle procedure fallimentari, è di segno negativo ed è pari a circa 1,25 miliardi di euro.
Tale occorrenza comporta che la Repubblica italiana non risulti esposta all'insolvenza delle controparti stesse. Tuttavia, al fine di ricostruire la copertura delle posizioni esistente nei contratti con Lehman, si sta procedendo alla riassegnazione delle stesse ad altra controparte qualificata, in maniera tale da realizzare la neutralità per il Dipartimento del Tesoro rispetto al normale evolversi delle posizioni stesse.
Per quanto concerne i veicoli costituiti nell'ambito delle varie operazioni di cartolarizzazione poste in essere dal MEF dal 1999 in poi, SCIC Research è l'unico che, al momento del default, aveva in essere un contratto di swap con Lehman Brothers Holding Inc., quale garante. L'outstanding dei titoli a tale data era pari a 460 milioni euro, ma solo la metà di detto nozionale era oggetto del contratto derivato. Il veicolo ha reso nota l'esposizione verso la controparte attraverso i meccanismi di comunicazione previsti per strumenti quotati, ovvero la Borsa italiana Spa e la Borsa valori di Lussemburgo, stante il fatto che detti titoli sono quotati anche su queste due piazze.
I relativi comunicati informano i portatori dei titoli che: il valore corrente di mercato dell'operazione di swap con Lehman Brothers Financial Inc. ammonta a circa 8 milioni di euro in favore della SCIC e che buona parte di detto credito deriva per circa 7,527 milioni di euro dal beneficio di un deposito in denaro presso HSBC costituito a favore della SCIC dalla medesima controparte attraverso apposita lettera di trust. Il veicolo informa altresì che detta posizione swap (ovvero il 50% dei 460 milioni di euro) sarà assegnata ad altra controparte swap qualificata al fine di conservare il rating AAA attualmente attribuito ai titoli.
In relazione all'operazione FIP - Fondo Immobili Pubblici si evidenzia che non esiste alcun rapporto tra il veicolo di cartolarizzazione FIP Funding Srl e la Lehman Brothers. L'operazione di copertura, ed esattamente l'interest rate swap in essere, è stato stipulato tra il Fondo e Lehman Brothers Special Financing; di conseguenza, il fondo ha provveduto ad effettuare prontamente la copertura venuta a mancare, mediante sostituzione della Lehman Brothers Special Financing. Va comunque sottolineato che non esiste, anche potenzialmente, alcuna esposizione né diretta né indiretta per il Tesoro nell'operazione in questione.
La Banca d'Italia ha fatto presente, per quanto di competenza (le informazioni sopra indicate sono state rese dalla Banca d'Italia al comitato per la salvaguardia della stabilità finanziaria nella riunione del 24 settembre scorso), che, secondo un'indagine dalla stessa svolta presso venti grandi gruppi bancari, rappresentativi di circa l'80 per cento dell'attivo delle banche italiane, il valore dei titoli Lehman depositati dal settore delle famiglie è pari a circa 1.350 milioni di euro. Se a questo dato si aggiungono anche i titoli in gestione patrimoniale e quelli nel portafoglio dei fondi comuni, l'ammontare è di circa 1.800 milioni di euro. Per il complesso della clientela delle banche interpellate il valore nozionale delle polizze index-linked, il cui capitale è stato investito in titoli Lehman o che comunque espongono l'investitore al rischio di insolvenza di Lehman, è di circa 1.270 milioni di euro.
Si precisa che, per quanto concerne il rating attribuito alla citata banca americana dalle principali agenzie internazionali, l'organo di vigilanza ha fatto preliminarmente presente che i rating costituiscono valutazioni del merito creditizio rilasciate da soggetti specializzati; gli investitori ne fanno uso, ai fini delle proprie scelte di investimento, sotto la propria responsabilità, fermo restando che gli intermediari sono tenuti a prestare alla clientela, soprattutto se non professionale o non qualificata, l'assistenza necessaria per una consapevole assunzione dei rischi, in conformità delle regole di trasparenza e condotta previste dalla disciplina del Testo unico della finanza e dalla regolamentazione attuativa della Consob.Pag. 47
Tuttavia, il diffuso ricorso ai rating nei mercati finanziari e il ruolo che tale uso potrebbe aver ricoperto nelle recenti turbolenze finanziarie, hanno sollecitato diverse sedi internazionali a condurre riflessioni sulla materia e, in particolare, a valutare l'opportunità di introdurre un regime di controlli pubblicistici sulle agenzie di rating.
In tale ambito, nel luglio scorso, gli uffici della Commissione europea hanno pubblicato un documento di consultazione, contenente, tra l'altro, un primo schema di proposta di regolamento o direttiva. La Banca d'Italia ha fatto presente, infine, che, in relazione alle operazioni di cartolarizzazione della Cassa depositi e prestiti richiamate nell'interpellanza in parola, la Cassa medesima ha reso noto (con comunicato stampa del 18 settembre scorso) che il valore di mercato attuale delle stesse «risulta debitorio per il veicolo CPG nell'ordine di 500 mila euro». Nell'occasione, la Cassa ha altresì precisato che, tra le operazioni elencate nell'atto parlamentare, vi sarebbero «titoli estinti da tempo».
A seguito delle informazioni pervenute dalla Consob, si comunica che i dati relativi all'esposizione dei piccoli risparmiatori nei confronti dei titoli Lehman Brothers, acquisiti dall'istituto stesso nell'esercizio dei suoi compiti di vigilanza, sono coperti dal segreto d'ufficio, ai sensi dell'articolo 4, comma 10, del Testo unico della finanza, «anche nei confronti delle pubbliche amministrazioni, ad eccezione del Ministro dell'economia e delle finanze». I suddetti dati in parola sono stati forniti al signor Ministro in occasione delle riunioni del Comitato per la salvaguardia della stabilità finanziaria del 19 e del 24 settembre; per la divulgazione degli stessi non è stato dato l'assenso, come risulta dal comunicato stampa emesso al termine della riunione del 24 settembre scorso.
È stata interpellata anche la Cassa depositi e prestiti, che, per quanto di competenza, in relazione all'ammontare ed al segno (positivo o negativo) del mark to market delle operazioni swap relative alla cartolarizzazione attuata da Cassa depositi e prestiti mediante la società veicolo denominata CPG Srl, ha fatto presente che nell'aprile del 2003 la stessa ha effettuato un'operazione di cartolarizzazione avente ad oggetto crediti derivanti da finanziamenti concessi a soggetti gestori di pubblici servizi; tali crediti sono stati distinti, in base alla tipologia di debitori, in sei diversi portafogli, ceduti da Cassa depositi e prestiti alla società veicolo CPG, che hanno dato luogo a sei diversi patrimoni segregati, destinati ciascuno al soddisfacimento dei portatori dei titoli emessi da CPG per finanziare l'acquisto dei menzionati crediti.
Il primo portafoglio (denominato CPG-P1) è composto da crediti relativi a finanziamenti concessi da Cassa depositi e prestiti alle aziende speciali o consortili di enti locali o consorzi di enti locali, società per azioni o società a responsabilità limitata che sono gestori di pubblici servizi, ed i cui debitori sono amministrazioni dello Stato, regioni, province autonome ed enti locali.
Delle due serie di titoli emesse in relazione all'acquisto di tali crediti, per un ammontare nominale complessivo di 1087 milioni di euro (classe Al: 300 milioni di euro e classe A2: 787 milioni di euro) residuano ad oggi, dopo l'avvenuto rimborso dei titoli della classe Al, titoli della classe A2 per un ammontare in linea capitale di circa 290 milioni di euro.
Il secondo portafoglio (denominato CPG-AEM) è composto da crediti relativi a finanziamenti concessi da Cassa depositi e prestiti ad AEM Elettricità Spa. Delle due serie di titoli emesse in relazione all'acquisto di tali crediti, per un ammontare nominale complessivo originario di 270 milioni di euro residuano ad oggi titoli per un ammontare in linea capitale di circa 134 milioni di euro.
Il terzo portafoglio (denominato CPG-ACEA) è composto da crediti relativi a finanziamenti concessi da Cassa depositi e prestiti ad ACEA Distribuzione Spa. I titoli emessi in relazione all'acquisto di tali crediti sono già stati integralmente rimborsati.Pag. 48
Il quarto portafoglio (denominato CPG-TAV) è composto da crediti relativi a finanziamenti concessi da Cassa depositi e prestiti a TAV Spa. Dei titoli emessi in relazione all'acquisto di tali crediti, per un ammontare nominale complessivo originario di 495 milioni di euro, residuano ad oggi titoli per un ammontare in linea capitale di circa 374 milioni di euro.
Il quinto portafoglio (denominato CPG-Poste) è composto da crediti relativi a finanziamenti concessi da Cassa depositi e prestiti a Poste Italiane Spa. Dei titoli emessi in relazione all'acquisto di tali crediti, per un ammontare nominale complessivo originario di 308,5 milioni di euro, residuano ad oggi titoli per un ammontare in linea capitale di circa 127 milioni di euro.
Il sesto portafoglio (denominato CPG-P6) è composto da crediti relativi a finanziamenti concessi da Cassa depositi e prestiti ad aziende speciali o consortili di enti locali, società per azioni o società a responsabilità limitata gestori di pubblici servizi, ed i cui debitori sono le stesse aziende speciali o consortili di enti locali, consorzi di enti locali, società per azioni (diverse da AEM Elettricità Spa, ACEA Distribuzione Spa, TAV Spa e Poste Italiane Spa) o società a responsabilità limitata. Dei titoli emessi in relazione all'acquisto di tali crediti, per un ammontare nominale complessivo originario di 683 milioni di euro residuano ad oggi, dopo l'avvenuto rimborso dei titoli delle classi Al, A2 e B, titoli per un ammontare in linea capitale di circa 11,5 milioni di euro, che saranno integralmente rimborsati il 25 gennaio 2009.
Al momento dell'emissione dei titoli (tutti a tasso variabile) CPG, per proteggere gli investitori dal rischio di tasso di interesse, così come richiesto dalle agenzie di rating, ha concluso contratti con controparti bancarie aventi un rating minimo pari a A-1/F-1/P-l, rispettivamente, per S&P, Fitch e Moody's. Ad oggi, i contratti di copertura sottoscritti tra CPG e la società Lehman Brothers Special Financing Inc. appartenente al gruppo Lehman, società di diritto americano, e garantiti da Lehman Brothers Holdings Inc., riguardano solo quattro dei portafogli oggetto dell'operazione ed, in particolare, il portafoglio CPG-P1, per un nozionale pari a euro 72.604.862, il portafoglio CPG-AEM, per un nozionale pari a euro 35.573.551, il portafoglio CPG-TAV, per un nozionale pari a euro 93.656.972, ed il portafoglio CPG-POSTE, per un nozionale pari a euro 32.014.901.
Le menzionate operazioni swap sono state concluse tra CPG e LBSF ai sensi degli accordi quadro sottoscritti tra le due società il 23 Aprile 2003 ed il 25 Aprile 2003 (POSTE, TAV, AEM) secondo lo standard dell'ISDA (1992) Master Agreement. La documentazione contrattuale prevede altresì, che, qualora LBH venga sottoposta ad una procedura concorsuale, CPG debba sostituire i contratti swap da esso garantiti con analoghi contratti stipulati con controparti bancarie di adeguato merito creditizio.
In particolare per il P1, unico portafoglio soggetto a rating, tale sostituzione risulta necessaria ai fini del mantenimento del rating dei titoli emessi. A seguito dell'apertura di una procedura concorsuale di cui al Chapter 11 della legge fallimentare americana nei confronti di LBH, CPG ha preso contatto con le agenzie di rating e definito la strategia per la nuova copertura. Prima di procedere alla risoluzione delle operazioni swap attualmente in essere con LBSF ed alla stipula dei nuovi contratti di copertura, si attende l'esito positivo dei comitati delle agenzie di rating, che si pronunceranno ai fini della conferma del rating dei titoli. A seguito di tale conferma, CPG procederà a risolvere le operazioni di swap in essere con LBSF ed a sostituirle mediante la sottoscrizione di nuovi ed analoghi accordi.
L'esposizione di CPG nei confronti di LBSF verrà dunque cristallizzata solamente nel momento in cui saranno risolte le operazioni swap, e ciò, in assenza di una clausola di risoluzione anticipata automatica dei contratti di copertura in essere tra CPG e LBSF, avverrà solo a seguito dell'invio a LBSF e LBH di una specifica comunicazione di «termination». Il valorePag. 49delle operazioni chiuse sarà calcolato, così come previsto dall'ISDA Master Agreement, richiedendo a quattro dealers il mark to market delle operazioni (secondo il metodo di calcolo definito «market quotation») e verrà indicato nella stessa comunicazione di risoluzione dei relativi contratti.
Attualmente, in attesa della pronuncia dei comitati delle agenzie di rating e della conseguente risoluzione e sostituzione delle operazioni swap in essere con LBSF, le posizioni in oggetto vengono costantemente monitorate. Si riporta di seguito uno schema che indica in dettaglio il mark to market delle singole operazioni di CPG con LBSF, con riferimento ai quattro portafogli sopra menzionati.
Dallo schema emerge che, al 16 settembre 2008, a seguito della notizia del default delle società del gruppo Lehman Brothers, CPG presentava un'esposizione complessiva netta debitoria nei confronti di LBSF pari a circa 360 mila euro, mentre, al 24 settembre 2008, CPG risultava titolare nei confronti di LBSF di una posizione complessiva netta creditoria pari a circa 840 mila euro.
Con riferimento a quanto sopra, sebbene il mark to market effettivo delle operazioni con LBSF potrà essere determinato con esattezza solamente al momento della risoluzione delle operazioni swap, si evidenzia che le somme in questione, siano esse a debito o a credito, non appaiono di tale entità da compromettere il regolare pagamento degli interessi ed il rimborso di capitale in relazione ai titoli emessi, fermo restando che tale valutazione rimane soggetta alla conferma dalle agenzie di rating.
Con riferimento invece al numero ed ammontare finanziario di contratti derivati aventi come controparte società del gruppo Lehman Brothers stipulati da aziende pubbliche italiane, per quanto di nostra competenza, si segnala che la Cassa depositi e prestiti, al momento del default del gruppo Lehman Brothers, aveva in essere sei operazioni di swap con la Lehman Brothers International (Europe) (in seguito «LBI»), società di diritto inglese, che è stata assoggettata in data 15 settembre 2008 ad una procedura concorsuale di amministrazione straordinaria.
Si tratta in tutti i casi di operazioni di interest rate swap plain vanilla, a copertura del rischio tasso derivante dall'attività di raccolta e finanziamento della Cassa depositi e prestiti, come dettagliato nella tabella seguente: buoni fruttiferi e postali, gestione separata, nozione residuo 157,5 milioni di euro, data di transazione 7 settembre 2005, data di scadenza 17 febbraio 2022; covered bond, gestione separata, nozionale residuo 332 milioni di euro, data di transazione 17 marzo 2005, data di scadenza 31 luglio 2010; mutui a carico dello Stato, gestione separata, nozione residuo 682,1 milioni di euro, data di transazione 27 giugno 2006, data di scadenza 31 dicembre 2035; mutui a carico dello Stato, gestione separata, nozione residuo 350,8 milioni di euro, data di transazione 3 agosto 2006, data di scadenza 31 dicembre 2035; mutui a carico dello Stato, gestione separata, nozione residuo 452,7 milioni di euro, data di transazione 31 agosto 2006, data di scadenza 31 dicembre 2035; mutuo gestore servizi, gestione ordinaria, nozione residuo 34 milioni di euro, data di transazione 13 dicembre 2006, data di scadenza 31 dicembre 2016.
Le suddette operazioni sono state concluse con LBI sulla base di un accordo quadro sottoscritto il 16 marzo 2005 tra la Cassa depositi e prestiti e LBI, secondo lo standard dell'ISDA (2002) Master Agreement. Nell'ambito delle menzionate relazioni contrattuali, LBH, che in data 15 settembre 2008 è stata assoggettata a procedura concorsuale, ha prestato a favore della Cassa depositi e prestiti una garanzia a prima domanda qualificandosi come credit support provider ai sensi dell'ISDA (2002) Master Agreement.
A seguito dell'ammissione di LBI ad amministrazione straordinaria, in conformità con quanto previsto dall'ISDA (2002) Master Agreement, in data 22 settembre 2008, la Cassa depositi e prestiti ha inviato una lettera a LBI (nonché a LBH in qualità di credit support provider) al fine diPag. 50comunicare la sua intenzione di risolvere tutte le operazioni in essere, indicando il 22 settembre stesso quale data di efficacia della risoluzione (Early termination date) e data di calcolo del close-out amount (valore complessivo delle posizioni in termini di mark to market).
Il close-out amount, comunicato a LBI e a LBH mediante lettera del 25 settembre 2008, è stato calcolato sulla base sia di rilevazioni dei sistemi interni di valutazione della Cassa depositi e prestiti, sia di quotazioni di alcune controparti di mercato, e risulta di segno positivo per la Cassa depositi e prestiti per un importo pari ad euro 91.526.640,12.
Quanto alle possibili misure ed iniziative volte a prevenire eventuali squilibri nei bilanci degli enti e delle amministrazioni dello Stato, al fine di ridurre l'impatto del default delle società del gruppo Lehman Brothers sul sistema di finanza pubblica, potrebbe essere opportuno valutare la fattibilità di operazioni tra tali enti quali, ad esempio, cessioni di posizioni debitorie, creditorie o compensazioni.

PRESIDENTE. L'onorevole Boccia ha facoltà di replicare.

FRANCESCO BOCCIA. Signor Presidente, è evidente che non possiamo essere soddisfatti. Ringrazio il sottosegretario per la lettura complessa e sofferta della relazione, ma, come può aver capito egli stesso durante la lettura di questa infinita sequela di titoli di operazioni, non siamo assolutamente soddisfatti.
La ringrazio però, perché finalmente abbiamo capito a quanto ammonta il problema legato alle famiglie italiane - e quindi ai risparmiatori - in relazione a Lehman Brothers: finalmente abbiamo capito che sono di un miliardo 350 milioni le obbligazioni Lehman che devono essere di fatto «rifuse» da qualcuno, dal momento che le hanno sottoscritte i risparmiatori italiani, in particolar modo le famiglie. Vorremmo capire dal Governo chi paga che cosa! Molti dei risparmiatori non se ne sono ancora accorti semplicemente perché non sono arrivate a scadenza.
La somma di questo miliardo 350 milioni e del valore delle polizze che ammonta ad un altro miliardo 270 milioni ci porta a ben due miliardi 600 milioni: stiamo parlando di un'esposizione enormemente più grande di Cirio e Parmalat messe insieme!
Aspettavamo questi numeri perché non li avevamo capiti; ora, se non li capisce chi sta fuori dei due rami del Parlamento, signor Presidente, la cosa non è normale, non è giusta ma è comprensibile; ma il fatto che noi ci abbiamo messo venti giorni per capirlo, se me lo consente e me lo permette, è una cosa abbastanza grave.
Rivolgo una domanda al signor sottosegretario, ma a questo punto ho la sensazione che abbiamo il dovere di presentare un'interpellanza di tre righe e non di più, se l'effetto è quello di una risposta scritta, mi auguro, con buona fede ma con molta malizia, perché parte dicendo che le dodici operazioni con Lehman si riferiscono al 2005, 2006 e 2007 (una parte degli swap in realtà è concentrata sul periodo 2005-2006), mentre in realtà la nostra domanda riguardava l'origine di quelle operazioni poste alla fine della risposta che sono tutte relative al 2003, e quindi targate Governo Berlusconi, Ministro dell'economia Tremonti.
Rispetto a quelle operazioni non ho sentito nulla di nuovo. Ho sentito le parole «segreto d'ufficio» ma io, che non sono un giurista ma un economista (c'è qualcuno qui molto più autorevole di me), non so se il segreto d'ufficio esista con riferimento alle operazioni finanziarie sui derivati legati al debito pubblico (e, se esiste, è una novità assoluta per il sottoscritto).
Le abbiamo fatto una domanda, signor sottosegretario: sapevamo che non c'era mark to market positivo con Lehman Brothers, ma volete spiegare agli italiani che il mark to market negativo significa perdita? Perché invece state spiegando agli italiani che significa credito e che noi dobbiamo dare a Lehman Brothers! Che significa dare soldi a Lehman Brothers? Significa che alla data del fallimento Lehman le posizioni si chiudono e che a quella data la Repubblica italiana ha persoPag. 51un miliardo 250 milioni! A casa nostra si chiamano perdite, che state tentando di occultare facendo altre operazioni di swap con altre banche allungando i debiti! Vogliamo sapere quanta di questa roba c'è sul debito pubblico italiano, lo chiediamo da venti giorni!
Non diteci che dobbiamo pagare noi e che quindi, siccome Lehman è fallita, non c'è un rischio! L'abbiamo capito, gli swap hanno una gamba «attiva» ed una «passiva», ma qual è la novità assoluta di questa crisi finanziaria? È che, per la prima volta, le banche americane stanno fallendo e che se una banca fallisce viene meno con conseguenze nei nostri bilanci. Cosa abbiamo iscritto infatti nei bilanci delle regioni, dei comuni, dello Stato? Il flusso attivo e il flusso passivo, cioè quello che dobbiamo dare o quello che dobbiamo ricevere.
Ma io le ho fatto una domanda precisa: abbiamo intenzione di iscrivere contabilmente il rischio? Se salta una banca, infatti, il flusso attivo non è più di 50 milioni ma è di un miliardo 250 milioni, come nel caso di Lehman! Ma dove discutiamo di queste cose se non in Parlamento, ce lo volete spiegare? In Commissione bilancio non si discute, in Commissione finanze non si discute; ci dite dove dobbiamo andare? Poi mi sento dire che c'è il segreto d'ufficio di cui, per la verità, non avevo mai sentito prima (per me è una novità assoluta, ma l'onorevole Di Pietro è certamente più autorevole di me in questo campo).
Ci dite che il comitato per la stabilizzazione della finanza aveva fornito alcuni dati il 24 settembre, ma oggi siamo al 10 ottobre. Gli organi di vigilanza che, in questi ultimi giorni, si stanno abbracciando mortalmente al Governo, tanto che non si capisce più chi controlla chi, avrebbero potuto darle ai mercati queste informazioni.
La nostra preoccupazione, che è legata alla volontà di assumerci la nostra responsabilità nell'interesse nazionale, è quella di capire a quanto ammonta la «carta straccia» attaccata al nostro debito pubblico: volete dircelo sì o no? O è un segreto d'ufficio? Quanti titoli con quelle caratteristiche fanno riferimento a controparti che sono a rischio come la Lehman? Vi sono una serie di banche che stanno saltando, o erano in procinto di esaltare, che sono in piedi solo perché sono intervenuti alcuni Stati. Vogliamo sapere: quante di queste banche sono controparte del Tesoro? Quanti altri mark to market negativi esistono, signor sottosegretario? Uno, due, tre, cinque o dieci. Quant'è la parte «swappata» e che tipo di hedging esiste sul nostro debito pubblico; possiamo saperlo o no? O è un segreto di Stato? Perché se fosse un segreto di Stato, sarebbe una novità assoluta (Commenti del deputato Evangelisti). L'hedging è oggetto di attenzione al Ministero dell'economia e della finanze in queste settimane, tanto che poi il Ministro dell'economia, ci tiene lezioni su dove stanno andando i mercati.
Signor sottosegretario Cosentino, francamente, non ce l'ho con lei, e non ne vorrei approfittare. Lei è così disponibile, ma l'altra volta non era presente il Governo e questa volta, invece, lei è presente. Però ho bisogno di capire se è in grado di rispondermi. State pensando a forme di iscrizione nei bilanci pubblici del rischio legato ai derivati o no? Perché nei bilanci delle regioni, dei comuni, dello Stato, vi sono i flussi attivi e passivi, ma se una contropartita fallisce, il liquidatore o non ci pagherà, o ci pagherà al termine della procedura, ma se dobbiamo pagare noi, vogliamo spiegare che perdite sono quelle? Sono perdite perché qualcuno nel 2002, 2003, 2004, 2005, si è messo a giocare con la finanza, si è messo a fare le cose che noi oggi critichiamo. Critichiamo il mondo anglosassone, ma lo abbiamo copiato in Italia.
Mi auguro che lei possa rispondermi adesso, altrimenti ce lo dica, perché il nostro gruppo, probabilmente con gli altri gruppi di opposizione, presenterà un'interpellanza di tre righe. Perché se il risultato di questa interpellanza urgente è la lettura di un documento sofferto e tecnico, nel quale francamente l'unica novità ufficiale è l'esposizione complessiva del danno di Lehman Brothers alla finanza italiana,Pag. 52non ci siamo. Concludendo, vorrei esprimere due parole sulla Cassa depositi e prestiti, sulla quale annunciamo un'interrogazione che presenteremo a breve. Non so chi ha scritto quel documento ma chi l'ha scritto...

PRESIDENTE. Onorevole Boccia, devo invitarla a concludere perché il suo tempo è esaurito.

FRANCESCO BOCCIA. Mi avvio alla conclusione, però devo toccare tutti i punti che ha toccato il sottosegretario Cosentino. La Cassa depositi e prestiti raccoglie il risparmio postale, questa era la funzione storica della Cassa per finanziare gli enti locali, in modo particolare i piccoli enti locali. Non ci raccontate che quelle operazioni di finanza creativa targate 2003, soprattutto, 2004 e 2005, sono servite a finanziare i piccoli enti. Oggi, purtroppo, per gli enti locali, la Cassa con il proprio budget incide marginalmente sul finanziamento degli enti locali; magari avesse di nuovo voglia di tornare a finanziare i piccoli comuni; purtroppo, non lo fa più. La Cassa fa la sponda ad operazioni di finanza creativa e fantasiosa dello stesso Tesoro. Vi è un rapporto molto preoccupante tra la Cassa depositi e prestiti e il Ministero dell'economia e delle finanze (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori)

(Iniziative anche di carattere normativo per tutelare tutti i «testimoni di giustizia» e misure per incentivare le testimonianze delle persone offese dai reati commessi dalla criminalità organizzata - n. 2-00162)

PRESIDENTE. L'onorevole Di Pietro ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00162, concernente iniziative anche di carattere normativo per tutelare tutti i «testimoni di giustizia» e misure per incentivare le testimonianze delle persone offese dai reati commessi dalla criminalità organizzata (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti).

ANTONIO DI PIETRO. Signor Presidente, prima di aprire la tematica dell'interpellanza urgente vorrei ringraziare e scusarmi con il sottosegretario Mantovano, perché in effetti, per una questione tecnica, si poteva e forse si doveva svolgere questa interpellanza la settimana prossima, ma proprio perché con gli uffici non si è trovata altra soluzione il sottosegretario Mantovano, con encomiabile rispetto per il Parlamento, ha fatto salti mortali per trovarsi qui oggi. Quindi, devo ringraziarlo e scusarmi con lui proprio perché ha fatto il possibile.
Intendo introdurre questo tema con assoluta mancanza di ogni forma preconcetta di contrasto a ciò che sta facendo il Governo e soprattutto il sottosegretario Mantovano che si sta occupando da anni di questo tema. Chi di noi si è occupato di giustizia conosce bene il tema dei testimoni di giustizia, quindi mi limiterò ad alcune brevi osservazioni. Qual è la premessa? È una riflessione in Parlamento sulla questione se il ruolo del testimone di giustizia sia ancora un ruolo ritenuto importante dallo Stato, se al cittadino convenga fare il testimone di giustizia, se il cittadino, che rispetta le leggi e si fa carico di riferire all'autorità giudiziaria o comunque all'autorità ciò di cui viene a conoscenza rispetto ad altri cittadini che non rispettano le leggi, sia sufficientemente tutelato per questo, e se e cosa possa fare il Governo, il Parlamento, le istituzioni tutte per venire incontro a quelle persone che, facendo il loro dovere, ne pagano le conseguenze.
È un tema importante, è un tema che oggi poniamo all'attenzione con riferimento ad un caso specifico, quello di Pino Masciari, di cui parleremo a breve, ma in relazione al quale non vorrei che questa discussione si esaurisse con la trattazione del caso specifico, perché credo che questo tema meriti attenzione. Vi sono, infatti, situazioni delicatissime denunciate da coloro che sono testimoni di giustizia.
Ricordo a me stesso - non certo al sottosegretario Mantovano che credo sia uno di quelli che ha contribuito a scrivere la norma in materia - che ci si riferiscePag. 53non ai collaboratori di giustizia, seppure la normativa sui testimoni di giustizia equipara la loro posizione, rispetto alla giustizia, ai collaboratori di giustizia. Di fatto è così; possiamo discuterne come ci pare, ma ai fini delle tutele, dei benefici e degli interventi, collaboratori e testimoni vengono visti allo stesso modo. Invece, sappiamo bene che il testimone non è colui che, dopo aver commesso il fatto, con atto di resipiscenza operosa si attiva, ma è colui che, senza aver fatto parte di organizzazioni criminali - dice espressamente la legge n. 45 del 2001 - anzi essendone a volte vittima, come esplica ancora la legge, ha sentito il dovere di testimoniare per ragioni di sensibilità istituzionale e rispetto delle esigenze della collettività, esponendo se stesso e la sua famiglia alla reazione degli accusati e alle intimidazioni della delinquenza. Mica è uno qualsiasi questo testimone di giustizia.
Per intenderci vorrei ricordarne qualcuno, anzi forse mi basterebbe ricordare una sola testimone di giustizia, una diciassettenne - credo che il sottosegretario Mantovano la ricordi bene anche lui - Rita Atria. È una ragazza che nasce da una famiglia mafiosa, a undici anni perde il padre, nel senso che il padre viene ucciso dalla mafia perché è un mafioso della famiglia di Partanna; lei è una ragazzina e il padre è un mafioso. Lei a questo punto si lega al fratello Nicola e alla cognata Piera Aiello, e ovviamente anche il fratello Nicola fa parte della famiglia mafiosa. Nel giugno del 1991 uccidono anche il fratello.
Si ritrova così a diciassette anni senza arte né parte e le due donne non sanno da chi andare e vanno da una persona che cominciano da subito a chiamare zio: è Paolo Borsellino. Questi raccoglie tutte le loro testimonianze perché Nicola si fidava della moglie e della sorella e ha raccontato loro tutto ciò che faceva insieme al padre e tutto ciò che faceva quella famiglia mafiosa di Partanna. Loro si affidano a questo zio, che sarà ucciso. Lei, disperata, una settimana dopo la bomba di via d'Amelio si uccide a Roma, dove viveva in segretezza.
Ricordo che la cognata disse queste parole, ricordando Paolo Borsellino: «Dopo la morte di zio Paolo mi sono scontrata con una realtà paradossale: oltre alla mafia dovevo combattere con i funzionari e gli apparati dello Stato per ottenere il mio diritto ad essere cittadino. Per anni ho subito bugie su bugie, umiliazioni su umiliazioni, sopraffazioni su sopraffazioni, macchine da tribunale sempre pronte a partire e ad arricchire verbali di interrogatori. Insomma, servivamo soltanto per riempire verbali di interrogatorio. Non persone, non cittadini, non pesi da trascinarsi, piuttosto pesi che di tanto in tanto vengono tirati fuori dagli armadi, vengono rispolverati con una telefonata ipocrita da parte di qualche funzionario dello Stato, poi il silenzio che uccide le speranze, lo spirito, la voglia di vivere, quel silenzio e quella solitudine che, secondo me, hanno spinto la mia cara cognata, Rita Atria, a spiccare il volo verso la libertà senza vincoli, la morte».
Questi sono i testimoni di giustizia: persone che mettono concretamente a rischio loro stessi per aiutare lo Stato a combattere la criminalità. Lo Stato ha approvato una legge molto chiara, la legge 13 febbraio 2001, n. 45, che afferma molti principi. Stabilisce che devono esservi misure di protezione fino all'effettiva cessazione del servizio e del pericolo per sé e per i familiari. Quindi, una protezione vera, reale ed effettiva. Dice che vi devono essere misure di assistenza anche oltre la cessazione di questo pericolo e interventi per dare un tenore di vita personale e familiare non inferiore a quello che esisteva prima per quanti si sono recati dalla giustizia. Afferma appunto che vi devono essere una serie di interventi anche finanziari per mettere queste famiglie in condizione di vivere. Insomma, tutto sommato, la legge cerca di venire incontro a tutto questo e all'articolo 12, introducendo l'articolo 16-ter nella legge 15 marzo 1991, n. 82, chiude con una norma quadro: se lo speciale programma di protezione include il definitivo trasferimento in altra località,Pag. 54il testimone ha diritto ad ottenere tutte quelle stesse speranze di vita che aveva prima.
Dunque, oggi, quale questione vogliamo introdurre parlando del caso Pino Masciari, di cui vogliamo discutere, ma è soltanto l'occasione? Vogliamo cercare di dialogare con il Governo - ripeto, sottosegretario Mantovano, non è per criticare il Governo ma per dialogare con il Governo, per confrontarci con il Governo - per vedere se si può fare qualcosa di più e di meglio rispetto a ciò che si è fatto in questi anni perché non c'è testimone di giustizia che sia rimasto soddisfatto di aver fatto il suo dovere. Ogni persona che ha fatto il suo dovere (ho un elenco, ma non voglio leggerlo perché non voglio apparire patetico) dopo aver fatto il testimone di giustizia si è ritrovata a fare la fine del - come si dice dalle mie parti - «cornuto e mazziato».
Lei sa meglio di me, sottosegretario Mantovano, che non molto tempo fa a Castel Volturno ne è stato ammazzato uno che, facendo il testimone di giustizia, ha riferito tanti fatti che servivano allo Stato, dopodiché lo Stato ha revocato la sua protezione e poco tempo fa Domenico Coviello è andato in paradiso.
Dunque, ritengo che dobbiamo trovare un sistema per fare in modo che queste persone si sentano protette dallo Stato. Lei, l'altro giorno, il 6 ottobre, a Palermo, ha detto una cosa importante. È un'affermazione che forse qualcuno le ha contestato ma io credo che lei abbia ragione. Lei ha detto che il Governo proporrà l'introduzione di sanzioni all'imprenditore che gestisce apparati pubblici e non segnala la pressione delle cosche. Ha detto inoltre che intendete farlo con un emendamento al cosiddetto pacchetto sicurezza.
In altre parole voi dite all'imprenditore: «Caro signore, se qualche mafioso ti avvicina tu non devi più fare solo il testimone di giustizia se vuoi, lo devi fare obbligatoriamente, altrimenti ti vengono revocati gli appalti, avrai la risoluzione dell'appalto e vieni interdetto dall'attività di impresa». Guardi che è durissimo quello che sta dicendo lei, ma credo che abbia ragione, perché è l'unico modo per contrastare la mafia. Noi in Parlamento ci confronteremo su questo emendamento, quando lo presenterà. Noi dell'Italia dei Valori non vogliamo opporci a questo emendamento, ma vorremmo che fosse aggiunto qualcosa in più: ossia evitare che quelli che fanno il loro dovere non si trovino in braghe di tela, perché questo è il dramma.
Se prendiamo il caso di Pino Masciari, si può condividere o meno ciò che ha fatto, ma certamente, da atti non miei, ma della apposita commissione addetta al programma di protezione, ancora nel 2008 viene riferito che Pino Masciari è a tutti gli effetti inserito nel programma di speciale protezione e quindi è persona che è considerata a tutti gli effetti testimone di giustizia. E non lo è perché se lo è inventato lui o perché è stato favorito in qualcosa, ma lo è perché lo stesso Ministero dell'interno, il 24 aprile 2008 e quindi non molto tempo fa, scrive testualmente: «Il Masciari, imprenditore edile, ha reso un eccezionale contributo testimoniale all'autorità giudiziaria, consentendo la disarticolazione delle pericolose aggressioni criminali che si erano rese responsabili di continue estorsioni e vessazioni nei suoi confronti. Tali fatti hanno determinato una rilevante esposizione debitoria del Masciari (...)».
Con questo voglio dire che ci troviamo di fronte ad un altro testimone di giustizia, come tanti testimoni di giustizia, e Masciari è per me solo un'occasione per parlare di un tema importante, per vedere se si può trovare una soluzione a tutto ciò. Orbene, nel caso di Masciari il 19 settembre, poi ribadito anche il 2 ottobre, la commissione ha deciso. Masciari ha chiesto l'accompagnamento e la scorta per i suoi viaggi, ma ha chiesto l'accompagnamento e la scorta per i suoi viaggi non per motivi di giustizia, ma perché vuole andare a fare cose sue: in questo caso voleva andare a fare convegni all'università per spiegare ai giovani il dovere, oltre che il diritto, di rispettare la legge e il dovere civico di denunciare le angherie e le superbie che si possono fare da parte dellaPag. 55criminalità mafiosa, e quindi andava a fare anche qualcosa di nobile. Rispetto a tutto ciò gli è stato risposto che gli veniva concessa la possibilità di essere assistito, ma poi il teste avrebbe potuto in ogni caso effettuare spostamenti in piena autonomia. Per il resto, le sue istanze di essere scortato non sono accolte. Qui c'è un problema: se noi decidiamo che il testimone di giustizia è tale soltanto quando ci serve, se nei confronti di coloro che fanno il loro dovere li accompagniamo, li tuteliamo, offriamo loro il cappuccino la mattina solo quando devono andare in tribunale e non quando devono vivere una vita normale, poi è difficile dir loro nello stesso tempo: «Però, se sbagli, ti ritiro l'appalto, ti tolgo il contratto e non puoi fare più l'imprenditore». Diventa difficile tutto ciò.
Ripeto: signor sottosegretario Mantovano, sarebbe davvero ingiusto criminalizzare questo Governo o dire che altri Governi hanno fatto meglio. È un tema vero, concreto, reale, con cui ci scontriamo tutti i giorni, perché è davvero difficile assicurare l'incolumità a una persona nei cui confronti la criminalità mafiosa ha deciso di regolare i conti. E siccome è difficile tutto ciò, dobbiamo tutti insieme trovare una soluzione. Allora la mia domanda è questa: che cosa - oltre al fatto che, come ha detto lei, dobbiamo costringere gli imprenditori a venire fuori e a dichiarare quanto hanno da dichiarare - possiamo fare per dare più garanzie, per farli sentire più tranquilli e più sereni, per far loro capire che non sono soltanto uno straccetto usa e getta, ma che dopo possiamo fare qualcosa con loro.
In particolare, per quanto riguarda la vicenda di Masciari se sia vero o non sia vero che c'è una discrasia tra ciò che le carte dicono che deve essere tutelato e ciò che di fatto è: ovvero che ancora oggi Masciari è senza scorta quando si sposta non per motivi di servizio. Signor sottosegretario, so che mi dirà che non è così. Prima di dirlo però - la prego - insieme a me, se vuole, di usare il videotelefonino per vedere dove si trova Masciari, in questo momento, senza scorta: in Calabria, dove nessuno lo sta scortando (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'interno, Alfredo Mantovano, ha facoltà di rispondere.

ALFREDO MANTOVANO, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, benché non riguardi l'interpellanza in esame, sento il dovere di far presente alla Presidenza e ai firmatari di altri atti di sindacato ispettivo per la giornata di oggi, alcuni impegni istituzionali, ovviamente documentabili. Facevo prima accenno all'onorevole Di Pietro al disegno di legge sulla sicurezza: c'è infatti la necessità oggi, in sede di Presidenza del Consiglio, in coincidenza con la scadenza dei termini per la presentazione degli emendamenti, di coordinare la presentazione dei medesimi. Io non avevo dato disponibilità alla mia presenza e in tal senso avevo concordato con l'onorevole Di Pietro un rinvio della sua interpellanza. Le cose sono andate diversamente e la mia disponibilità, purtroppo, pur essendo di massima costante - come, credo, gli atti parlamentari dimostrano - deve limitarsi alla sua interpellanza. Ciò non significa assolutamente mancare di rispetto a chi ha presentato altri atti di sindacato ispettivo. Intendo ricordare che in questo momento il Ministro dell'interno - che ha risposto comunque su queste vicende nelle linee generali nel corso della giornata di ieri - è al Consiglio dei ministri di Napoli; altri due colleghi hanno altrettanti impegni seri e istituzionali. Io mi trovo pertanto in queste condizioni e devo ringraziare il collega Menia per la sua presenza nelle risposte.
Vengo alla interpellanza in oggetto. Uno dei limiti principali della legge 13 febbraio 2001, n. 45, che in quegli anni aveva disciplinato il sistema delle protezioni, è stato quello della mancata distinzione tra i collaboratori di giustizia (i cosiddetti pentiti) e i testimoni ovvero fra chi, al di là dei drammi interiori, ha commesso delitti e punta ai premi derivanti dalla collaborazione e chi, da personaPag. 56onesta, non può e non deve subire danni per le dichiarazioni che rende su gravi fatti criminali. Il risultato è stato che, per troppo tempo, circa un decennio, i testimoni di giustizia sono stati considerati alla stregua dei cosiddetti pentiti, con profonde ferite della dignità personale unitamente a gravi disfunzioni operative.
Ritengo - e ringrazio l'onorevole Di Pietro per averlo ricordato - di aver avuto una «minuscola» parte nella modifica di questo sistema: ho infatti redatto, nel corso della tredicesima legislatura, per la Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia e delle altre associazioni criminali similari, una relazione sui testimoni di giustizia, approvata all'unanimità nel 1998, nella quale si descrivevano queste anomalie, partendo dall'esame di casi concreti; ho inoltre presentato, sempre nel corso della tredicesima legislatura, una proposta di legge tesa al riconoscimento di un vero e proprio statuto del testimone di giustizia, poi recepito nella legge n. 45 del 2001, di riforma del sistema di protezione. Quella legge ha introdotto - anche questo è stato ricordato - profonde innovazioni in materia, partendo dal presupposto che i testimoni di giustizia non hanno soltanto un indubbio valore processuale, dal momento che la loro parola non necessita, a stretto rigore, di riscontri, ma hanno un valore civile ancor più certo, soprattutto nelle aree di consolidata tradizione omertosa, nelle quali sono rari i casi di testimoni oculari di delitti. Proprio per questo, la legge di riforma ha differenziato in modo netto la posizione dei testimoni da quella dei collaboratori, con le disposizioni a tutti note. La legge è poi stata seguita, nel 2004, da un decreto ministeriale di attuazione. Dall'ottobre 2001 fino al maggio 2006 e poi a partire dal luglio 2008, sono chiamato quotidianamente ad applicare queste norme quale presidente della commissione sui programmi di protezione. Nel periodo intermedio tale compito è stato svolto dall'onorevole Minniti, quale viceministro dell'interno. Vorrei ricordare questo per sottolineare l'assoluta continuità: non si parla di questo o dell'altro Governo, si parla dello Stato e della sua posizione nel confronti dei testimoni di giustizia. In tale veste posso dire, con assoluta serenità - ma cercherò di documentarlo con dati oggettivi - che nell'atto di sindacato ispettivo vi è una serie di inesattezze.
Per cominciare non risponde al vero che, come si scrive nell'interpellanza, la delibera che assegna le condizioni di protezione e mantenimento deve essere accettata, pena il decadimento di tutti i diritti di protezione. I diritti e i doveri derivanti dalla condizione di soggetto protetto derivano dalla legge, non da una delibera di commissione, e sono contenuti, come certamente l'interpellante sa, nell'articolo 12 della legge, così come modificata nel 2001, e nell'articolo 9 del decreto ministeriale 23 aprile 2004. Le disposizioni contenute nelle due fonti appena enunciate vengono trasferite nel contratto che il testimone è chiamato a sottoscrivere all'atto dell'ingresso nel programma.
Dall'insieme di norme primarie e secondarie va detto ancora che non risponde al vero che i testimoni di giustizia abbiano un trattamento parificato, se non addirittura inferiore, a quello dei collaboratori di giustizia: ci sono delle differenze importanti. Segnalo che i testimoni di giustizia hanno accesso a mutui agevolati senza dover prestare garanzie, in virtù di una convenzione stipulata con un importante istituto bancario e questo non accade per i collaboratori. Hanno facoltà di chiedere allo Stato l'acquisizione, a prezzi di mercato, dei beni che lasciano nella località di origine se si sono trasferiti, e anche questo non accade per i collaboratori.
Possono, inoltre, servirsi di consulenti di loro fiducia, le cui prestazioni sono integralmente a carico del servizio centrale di protezione, per qualsiasi problema legato alle pregresse attività lavorative e a quelle future da intraprendere. Ricevono assegni mensili di mantenimento di importo superiore - ma per delibera oggettiva - del 50 per cento, a parità di consistenza del nucleo familiare, rispetto a quello dei collaboratori di giustizia, conPag. 57possibilità di integrazione maggiore in presenza di un reddito pregresso documentato.
Godono del rimborso delle cure mediche, comprese quelle odontoiatriche, effettuate in regime privatistico, di contributi straordinari relativi al tenore di vita preesistente, rimborso vacanze, acquisto testi e attrezzature scolastiche e della possibilità, come è giusto che sia, di visionare preventivamente gli alloggi scelti per loro dal servizio centrale di protezione che sono sempre di livello almeno pari a quello occupato nella località di origine. Possono, inoltre, fruire, a richiesta, di colloqui di orientamento e sostegno con i direttori tecnici psicologi del servizio centrale di protezione e del risarcimento del danno biologico, in merito all'accertamento del quale vige da tempo una convenzione con il servizio medico legale dell'INPS.
Dall'approvazione della legge 13 febbraio 2001, n. 45 si è molto lavorato sul terreno del reinserimento socio - lavorativo del testimone, nella consapevolezza che esso non può prescindere, così come prescrive la legge, dal tenore di vita e dal tipo di attività che ha preceduto l'ingresso nel programma di protezione.
Il discorso è relativamente più agevole quando il testimone, in precedenza, aveva svolto un lavoro autonomo, per esempio aveva gestito un esercizio commerciale o aveva condotto una azienda, mentre presenta aspetti più problematici nelle ipotesi in cui l'attività antecedente alla deposizione era alle dipendenze dei privati, ma anche da questo punto di vista si è lavorato per reinserire chi aveva questa condizione pregressa.
La trattazione dei singoli casi riguardanti i testimoni è avvenuta e avviene col coinvolgimento attivo degli stessi interessati ai quali è chiarito, nel corso delle audizioni svolte in commissione, che non devono in alcun modo in sentirsi controparte rispetto allo Stato, bensì protagonisti delle scelte relative al proprio futuro, contribuendo in modo propositivo alla formazione delle decisioni che li riguardano. Le audizioni, peraltro, permettono alla commissione di avere l'esatta cognizione della condizione dei testimoni di giustizia e quindi di poter adottare i provvedimenti ritenuti più aderenti alla soluzione dei problemi rappresentati.
Sui testimoni giochiamo una partita difficile: quella della credibilità delle istituzioni nella lotta la criminalità. La garanzia di un adeguato futuro ai testimoni e alle loro famiglie è in grado di incoraggiare altri a non avere remore nel riferire quanto è a propria conoscenza alle forze dell'ordine e all'autorità giudiziaria. Obiettivo primario, peraltro, è consentire il più possibile, se ovviamente il testimone lo desidera o lo chiede, la permanenza nel luogo di origine attraverso adeguate misure delle quali, in ogni caso, va sempre verificata la possibilità.
Attualmente il numero dei testimoni protetti in loco è in totale di ventuno: non c'erano prima della legge 13 febbraio 2001, n. 45. Dodici si trovano in Campania, quattro in Calabria, tre in Sicilia e due in altre regioni.
Questo, a mio avviso, rappresenta un segno di vittoria dello Stato in tutti questi casi specifici, pur nelle obbiettive difficoltà di tutela, perché quando un testimone viene ammesso al programma, la sua protezione, con il trasferimento in una località protetta, è garantita dalla mimetizzazione. Si porta il testimone a mille chilometri di distanza in un luogo dove nessuno, perlomeno in teoria, lo conosce.
La protezione in loco, dove invece è conosciuto, richiede un meccanismo di tutela imponente per uomini (scorta per più turni) e per mezzi (spesso anche impianti articolati e complessi di video sorveglianza). Tuttavia, si affronta questo tipo di sacrificio perché va nella direzione di garantire il minor disagio possibile al testimone, ma anche di trasmettere un messaggio di forte presenza dello Stato che non costringe chi collabora per l'accertamento dei fatti delittuosi ad allontanarsi e a lasciare il luogo d'origine.
Intendo, più in generale, ricordare un solo dato relativo proprio all'applicazione della nuova legge. Si tratta del dato relativo alle nuove ammissioni a programma di testimoni di giustizia dal momento inPag. 58cui è iniziata l'applicazione della legge n. 45 del 2001. Nel periodo compreso tra il secondo semestre 1996 e il primo semestre 2001, quindi prima che entrasse in vigore la suddetta legge n. 45, i nuovi testimoni ammessi al programma furono complessivamente ventisette, in media poco più di cinque all'anno. Dal secondo semestre 2001, ossia da quando è operativa la nuova legge, fino ad oggi, vi sono state 116 nuove ammissioni, con una media di più di sedici all'anno e cioè più del triplo rispetto a prima del varo della legge n. 45 del 2001, a dimostrazione del successo delle nuove disposizioni. Grazie a Dio, ma soprattutto grazie a chi ha lavorato - in particolare tra le forze di polizia - per l'attuazione della nuova legge, viviamo tempi ben lontani da quelli della giovane Rita Atria che lei prima ha ricordato.
Veniamo ora a trattare l'argomento relativo a Giuseppe Masciari. Egli viene ammesso al programma di protezione, con delibera della commissione centrale, il 17 marzo 1998, su proposta della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. Nel programma erano inclusi la moglie e i due figli minori. L'imprenditore edile aveva riferito, in qualità di testimone, di essere stato oggetto di estorsioni che gli avevano provocato una grave esposizione debitoria, anche per effetto dei prestiti usurari contratti nei confronti di appartenenti a organizzazioni criminali, ai quali era stato costretto a rivolgersi. Tale situazione debitoria aveva provocato il dissesto della sua impresa e, quindi, la dichiarazione di fallimento nell'ottobre del 1996.
Non risponde al vero che è mancato il sostegno per l'inserimento lavorativo della moglie di Masciari, odontoiatra. Ella, infatti, ha ricevuto, poco dopo l'ingresso nel programma, un contributo pari a lire (all'epoca vi erano le lire) 388.631.000, oltre alle spese necessarie per il trasferimento delle attrezzature di lavoro. Tale contributo è stato incassato e mai utilizzato secondo la destinazione, nonostante la legge preveda che esso debba essere impiegato e che l'impiego debba essere documentato. Ella ha, altresì, rifiutato di lavorare presso una ASL, lavoro che le era stato procurato, e ha altresì rifiutato un impiego in uno studio privato e una collaborazione di odontoiatra con un docente universitario.
Non risponde al vero che è mancato il sostegno per il reinserimento lavorativo di Masciari. È vero il contrario. Proprio al fine di permettere il pieno reinserimento nella vita economica e sociale, la commissione ha anzitutto acquisito elementi che provassero il collegamento tra l'estorsione e l'usura subita e il precipitare della sua condizione fino al fallimento. Tali elementi in origine erano assenti. Inoltre, ha puntato ad articolare una via d'uscita al fallimento in assenza della quale il pregiudizio a suo danno derivante dalle inibizioni collegate allo status di fallito avrebbe precluso ogni seria ripresa di attività.
Ciò ha impegnato la commissione in un lungo e complesso lavoro di audizioni e di contatti fra i vari soggetti istituzionali interessati, colmando lacune comunicative da parte di più di un ufficio giudiziario e colmando documentazioni inadeguate da parte di Masciari.
Fra il 2001 e il 2004 la commissione ha ascoltato in audizione Masciari per ben sette volte (per brevità evito di citare le date, ma sono disponibile a fornirle). La commissione ha, altresì, ascoltato in audizione il giudice delegato e il curatore del fallimento di Masciari il 22 gennaio 2003. Il 6 ottobre 2004 ha ascoltato, sempre in audizione, il pubblico ministero delegato a seguire i procedimenti che interessavano Masciari quale testimone.
Benché il magistrato avesse sostenuto che il collegamento fra la testimonianza e il fallimento non fosse munito di specifici riscontri, tuttavia la circostanza che alcuni immobili, già intestati alla Masciari costruzioni, fossero nella disponibilità degli imputati da lui accusati, ha fatto propendere la commissione per una indiretta conferma del nesso causale tra le estorsioni subite e l'esposizione debitoria che aveva condotto al fallimento.
Tale conclusione, lo ripeto, è stata frutto di un approfondimento svolto dallaPag. 59commissione più che dall'autorità giudiziaria proponente. A seguito dell'istruttoria complessa prima descritta, esito di contatti con gli organi del fallimento, il 27 ottobre 2004 a Masciari è stata proposta una definizione della posizione, incaricando il servizio centrale di protezione: di porre a disposizione degli organi del fallimento una copertura finanziaria pari a 1.293.418,60 euro per la chiusura della procedura concorsuale mediante concordato fallimentare; di erogare a Masciari, a chiusura (cioè dopo la procedura concorsuale e non prima, altrimenti ci sarebbe stato l'assorbimento dal passivo fallimentare) della capitalizzazione delle misure di assistenza economica nella misura massima prevista dalle determinazioni riguardanti i testimoni di giustizia. In base al decreto ministeriale la capitalizzazione può avvenire da un minimo di due anni di assegno mensile di mantenimento (con tutte le integrazioni, locazioni eccetera) fino a un massimo di dieci anni, ed è stata proposta la misura massima per un totale di 267.400 euro; di erogare a Masciari e alla moglie, a chiusura della procedura concorsuale, le somme determinate a titolo di danno biologico risultanti dalla perizia medico legale dell'INPS, eseguita su incarico della Commissione, sulla base delle tabelle del tribunale di Roma secondo gli indici ISTAT, pari rispettivamente a euro 18.870 per Masciari e 29.670 per la moglie; di fare salvi gli effetti della delibera del 23 marzo 2000, in quanto finalizzata alla realizzazione del reinserimento sociale della moglie di Masciari e, quindi, di mantenere a suo favore il contributo straordinario all'epoca erogato di 388.631.000 lire oltre a quelli necessari per il trasporto e il montaggio delle attrezzature; di prorogare, nelle more della definizione della procedura concorsuale, il programma speciale di protezione nei confronti di Masciari e del suo nucleo familiare per ulteriori cinque anni a decorrere dal marzo 2000 (siamo all'ottobre del 2004), fatte salve le ulteriori determinazioni.
La commissione non si pronunciava sul mancato guadagno di cui all'articolo 16-ter della legge sui collaboratori di giustizia, ritenendo gli elementi informativi acquisiti, in assenza di un valido contributo anche da parte dell'interessato, insufficienti per pervenire alla valutazione; l'accertamento, però, limitatamente a tale aspetto, veniva demandato al commissario per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura, organo competente in merito alla concessione delle provvidenze relative. Quindi, non vi era un rifiuto a considerare tale aspetto (il mancato guadagno), ma un rinvio all'autorità competente, peraltro più volte presente in commissione per esaminare congiuntamente alla commissione il caso e, quindi, a conoscenza, in dettaglio, dello stesso.
Contro questo provvedimento Masciari e la moglie hanno presentato ricorso al TAR del Lazio e il TAR del Lazio fino ad oggi non si è pronunciato. Tale pendenza giudiziaria - credo che vada sottolineato - non ha causato nessun danno a Masciari, il quale è rimasto nella pienezza del programma assistenza e protezione, in attesa della definizione del giudizio.
Concludendo sul punto, il reinserimento di Masciari sarebbe avvenuto già da quattro anni se lo stesso Masciari non avesse rifiutato, impugnandola, la delibera della commissione che riportava le voci prima elencate; e sarebbe avvenuto restando impregiudicata la protezione personale e la definizione mancato guadagno per un importo complessivo di 1.810.069,76 euro.
Lo Stato, quindi, già da quattro anni, ha proposto a Masciari, ricevendo un rifiuto, una definizione non inferiore, lo ripeto, a più di 1.800.000 euro. La sua posizione è stata ripresa sotto il precedente Governo dalla commissione presieduta dal Viceministro, onorevole Minniti.
Essa ha nuovamente disposto il 29 novembre 2006 l'audizione di Masciari alla presenza della moglie e dei legali. In quella sede, l'interessato e i legali insistevano per l'individuazione della voce «mancato guadagno» anche a titolo transattivo, in pendenza del ricorso al TAR ePag. 60chiedevano, a tal fine, la costituzione di un tavolo tecnico per elaborare i relativi parametri di valutazione.
Tale tavolo tecnico veniva istituito e nel corso dei suoi lavori - tenutisi il 17 e il 31 gennaio 2007 e l'11 giugno 2007 - veniva individuato quale possibile parametro di riferimento per l'accertamento del mancato guadagno il valore medio del volume di affari dell'impresa del testimone di giustizia, risultante dalle dichiarazioni dei redditi e dalla documentazione relativa alla sentenza di fallimento del tribunale di Vibo Valentia, quale indicatore obiettivo per ricostruire le possibilità di sviluppo e la conseguente redditività dell'impresa del testimone, facendo ricorso a studi specifici nel settore dell'edilizia. Né Masciari, né i suoi legali, benché sollecitati, hanno mai fatto conoscere le proprie indicazioni o documentazioni in ordine a quanto prospettato nel corso delle riunioni del tavolo tecnico.
Masciari nel luglio del 2007 ha presentato un progetto di reinserimento lavorativo che riteneva confacente alle esigenze proprie della famiglia, relativo alla proposta di acquisto di una struttura alberghiera del costo di circa 4 milioni e mezzo di euro, più oneri fiscali. In ragione dell'entità dell'investimento e della complessità dell'operazione economica, la commissione disponeva con delibera del 17 dicembre 2007 di incaricare un professionista al fine di verificare la stima e la congruità del valore del compendio immobiliare oggetto della proposta di acquisto. È stato, altresì, dato incarico al consulente della commissione e al segretario di essa di svolgere le opportune attività di raccordo al fine di accelerare l'attività istruttoria. Sono stati svolti anche dei sopralluoghi.
Dalla relazione compilata dal professionista emergeva con estrema chiarezza una valutazione negativa dell'attività in questione. Infatti, alla luce dei bilanci definitivi disponibili nel triennio 2004-2006, la società cedente questo albergo risultava aver costantemente realizzato non utili bensì perdite di esercizio e non vi erano elementi oggettivi per stimare la realizzazione di un potenziale reddito prospettico, anche nel caso in cui l'acquisto fosse avvenuto al netto di oneri finanziari, che però gravavano sull'azienda.
Qualora poi si fosse inteso prendere a riferimento il risultato positivo dell'ultimo esercizio, pari a circa 60 mila euro, il reddito prospettico sarebbe stato comunque inferiore al capitale investito nell'impresa e, pertanto, non remunerativo. Inoltre, da parte dello stesso cedente dell'albergo si stava profilando un'iniziativa imprenditoriale concorrenziale a breve distanza e meglio collegata con i servizi di pubblica utilità. Vogliamo chiamarlo un tentativo di truffa? Quindi, il rifiuto del progetto era nell'interesse dello stesso Masciari, che non avrebbe potuto far fronte alla gestione di un cespite anche potenzialmente, non sono attualmente, in passivo.
Con delibera del 24 aprile 2008 la commissione confermava le valutazioni di quella delibera dell'ottobre 2004 e incaricava il servizio centrale di protezione di porre nuovamente a disposizione degli organi del fallimento 1.293.418,60 euro per la definizione del fallimento. Inoltre, erano previsti: capitalizzazione, 287.200 euro (la differenza rispetto a quella della precedente commissione è semplicemente l'indicizzazione ISTAT); danno biologico (grosso modo le stesse cifre: 25.287 euro per Masciari e 39.760 euro per la moglie); mancato guadagno della moglie (200.000 euro abbondanti). Inoltre, era prevista una somma forfettaria per i figli (200.000 euro, calcolata in via equitativa al ristoro dei disagi e di ogni altro danno); nonché il mancato guadagno (non soccorrevano i dati che si rinvengono nelle dichiarazioni dei redditi di Masciari in quanto evidenzianti utili netti modestissimi o inesistenti).
Sulla base dei dati acquisiti e della comunicazione dell'Agenzia delle entrate, è stato possibile determinare la redditività media dell'impresa, come si diceva prima, con caratteristiche analoghe nel settore e in base ad un complesso sistema di calcolo fondato su criteri di equità e a titolo risarcitorio si è pervenuti ad una quantificazionePag. 61di mancato guadagno pari a 1.639.131,88 euro; autorizzazione per Masciari e la moglie, previa loro richiesta, di avvalersi della convenzione per l'accesso a mutui a tassi agevolati per l'importo massimo di trecentomila euro, lasciando impregiudicato il diritto degli interessati ad ottenere l'acquisizione di eventuali beni immobili di loro proprietà al patrimonio dello Stato; prosecuzione delle misure di protezione e di assistenza per un ulteriore biennio.
Le misure di protezione erano assicurate anche per gli ulteriori impegni giudiziari cui Masciari dovesse essere chiamato e insieme ad esse veniva confermata l'assistenza legale nei procedimenti nei quali sia eventualmente ancora chiamato a rendere dichiarazioni ovvero eserciti le facoltà e i diritti riconosciuti dalla legge quale persona offesa o parte civile.
L'interessato e la moglie, all'atto della notifica di questa delibera, hanno apposto la dicitura «firmo per ricevuta della notifica con ogni più ampia riserva di azione». Il precedente presidente della commissione, preso atto di quanto sopra, ha comunicato al servizio centrale di protezione che la delibera del 24 aprile 2008 risultava eseguibile solo con piena e incondizionata accettazione da parte dell'interessato, previo il verificarsi delle condizioni in essa contenute. Contro la seconda delibera di capitalizzazione è stato presentato ricorso per motivi aggiunti con richiamo al ricorso pendente. Risulta fissata per il 18 dicembre 2008 l'udienza dinanzi al TAR Lazio per la discussione del ricorso amministrativo proposto da Masciari e dalla moglie.
Pertanto, sul reinserimento - e mi avvio alla conclusione - esso finora è mancato esclusivamente per volontà di Masciari - glielo posso assicurare conoscendo dati riservati, ma la comparazione non è riservata - in presenza dell'ipotesi di definizione più ampia mai riconosciuta ad un testimone di giustizia: siamo in totale a 3.685.508,64 euro. La commissione, cioè lo Stato, ha posto a disposizione di Masciari più di tre milioni e mezzo di euro - lo ripeto: la cifra più alta in assoluto - e Masciari ha rifiutato.
Infine, non risponde al vero che Masciari sia rimasto privo di tutela. Intanto, ribadisco che in questo momento, in pendenza del giudizio amministrativo e in ossequio a quanto previsto dall'articolo 10 della legge del 1991 così come modificata, il testimone è tuttora inserito nel programma speciale di protezione e, quindi, continua a fruire dell'assegno di mantenimento, dell'alloggio protetto e delle altre misure di assistenza e tutela previste per le persone soggette a programma speciale di protezione.
Vorrei poi richiamare la delibera di massima sulle trasferte dei testimoni di giustizia adottata il 18 dicembre 2006 dalla precedente commissione che quella attuale condivide (perché, lo ripeto, non stiamo facendo questione di Governi, ma di interlocuzione che avviene sempre con lo Stato), all'insegna della trasparenza e della conoscibilità.
Con tale delibera la commissione ha disposto di inserire nel programma di protezione dei testimoni di giustizia, tra le misure di assistenza, una voce riguardante le modalità di rimborso delle spese di viaggio, di pernottamento e di vitto (fatta eccezione per le spese extra che restano a carico del testimone di giustizia) sostenute sul territorio nazionale incondizionatamente, nel caso di trasferta per motivi di giustizia connessa alla testimonianza prestata, ivi compresi gli incontri con gli avvocati; sempre, nel caso di trasferta in località di origine, a condizione che sia stata previamente autorizzata dall'autorità giudiziaria, che sia circoscritta sotto il profilo temporale e che non abbia carattere di periodicità, ciò per evidenti esigenze di sicurezza; solo a seguito di specifica autorizzazione della commissione, nel caso di trasferte per motivi professionali.
Sono state disciplinate anche le spese connesse alle ferie, di volta in volta valutate dalla commissione centrale anche alla luce del precedente tenore di vita del testimone e della congruità della somma richiesta, e che in ogni caso non superinoPag. 62il doppio dell'assegno di mantenimento. È stato stabilito che le spese sostenute dal testimone di giustizia a titolo diverso restino a carico esclusivo dell'interessato.
Alla stregua di tale deliberazione, che risponde al criterio generale di correttezza nell'uso delle risorse pubbliche e che vale per tutti, sono state decise negativamente di recente numerose istanze con le quali il Masciari e la moglie nel comunicare impegni in una località italiana e all'estero, a New York, per il Columbus day hanno chiesto la corresponsione di somme in denaro trattandosi di impegni in località diversa da quella d'origine per ragioni diverse da quella di giustizia.
La commissione ha quindi disposto che, qualora Masciari ritenga comunque di muoversi sul territorio nazionale, pur in contrasto con le cautele che sottendono all'esecuzione di ogni programma speciale di protezione, il medesimo continuerà a fruire di un dispositivo di sicurezza a cura del servizio centrale di protezione, quindi avrà tutela senza alcun limite. A carico del medesimo servizio non graverà, invece, alcun altro onere (rimborsi, alberghi o altro) derivante da appuntamenti che non siano connessi ad eventuali impegni di giustizia del testimone, così come risulta dalla delibera prima ricordata. Il fatto che poi attraverso il videotelefonino risulti privo di protezione questa è una scelta - se è effettivamente tale - di Masciari che, come tutte le persone sottoposte a tutela, è tenuto a comunicare i propri spostamenti a chi è preposto alla sua tutela; lo sa lei onorevole Di Pietro, che credo ne abbia fruito, e forse ne fruisca ancora, per ragioni obiettive, lo so io e lo sanno tante altre persone, purtroppo.
Concludo Presidente, osservando che spiace che, a seguito di queste polemiche che ruotano soprattutto attorno a Masciari, si veicoli l'immagine che vede, da un lato, presunti difensori del testimone di giustizia e, dall'altro, lo Stato che si mostrerebbe indifferente, se non ostile; non vi sono fronti contrapposti, ma un unico e comune terreno di lotta contro la criminalità che vede la valorizzazione nei fatti della figura del testimone di giustizia. Mi chiedo, e le chiedo, in spirito di costruttivo confronto, onorevole Di Pietro, perché, a distanza di sette anni dall'approvazione di una legge che ha dato buona prova di sé (se è vero che le nuove ammissioni sono più che triplicate) non si debbano valorizzare le positive esperienze di decine e decine di testimoni di giustizia pienamente inseriti che rappresentano la regola e che nel corso del programma non hanno avuto nulla da ridire sul comportamento della commissione, del servizio di protezione, e quindi dello Stato, nonostante la drammaticità della loro condizione.
A proposito di elenchi, io sono disponibile a rispondere in qualsiasi momento, posizione per posizione, purché abbia il tempo di valutarle e questo vale anche, e soprattutto, per il riferimento che lei ha fatto a Castel Volturno. Mi chiedo, in definitiva, perché si debba veicolare esclusivamente un messaggio negativo, profondamente ingiusto perché contrario alla realtà, secondo il quale chi si affida all'autorità giudiziaria e allo Stato subisce solo danni.
Resta fermo che l'intera attività della commissione sui programmi di protezione può essere in qualsiasi momento esaminata da parte del Parlamento, come è già avvenuto in più occasioni ad opera della Commissione parlamentare antimafia, la cui procedura è la più idonea a garantire questo tipo di interlocuzione perché garantisce audizioni non pubbliche, e quindi anche la possibilità di ostendere dati riservati, mentre le informazioni sull'intero sistema sono fornite semestralmente al Parlamento dalla relazione che per legge il servizio centrale di protezione trasmette alle due Camere.

PRESIDENTE. L'onorevole Di Pietro ha facoltà di replicare, per dieci minuti.

ANTONIO DI PIETRO. Signor Presidente la ringrazio, e ringrazio soprattutto il sottosegretario Mantovano per la risposta completa che ha dato; nel merito adesso ne discuteremo, ma non vi è dubbio che ha risposto a ciò che avevo chiesto. Mi lasci fare una premessa però: mi parePag. 63che la parte finale del suo discorso cozzi un po' con lo spirito iniziale con cui ho proposto questa interpellanza urgente. Se ricorda bene ho detto che la mia iniziativa non è contro questo istituto, non è contro l'azione del Governo, che non intendo pormi contro ciò che si sta facendo, né mandare un messaggio negativo, ma intendo chiedere se non sia tempo di fare una valutazione o, meglio ancora, di compiere una valutazione sull'effettiva riuscita di questo istituto così com'è formulato.
Lo dico perché lei è stato il relatore che in quest'Aula, in altra occasione, si è fatto carico di andare a valutare come andavano le cose, e quindi di proporre una serie interventi dal momento che, grazie al lavoro parlamentare che allora fu svolto, valutò che bisognava fare qualcosa in più, tant'è che poi qualcosa in più è stato fatto.
Quindi, la mia richiesta - che è poi una doppia richiesta - riguarda la valutazione specifica del caso Masciari, di cui a breve discuteremo, e la valutazione specifica di questo istituto, alla luce dell'esperienza, dei risultati e di ciò che sta accadendo.
Le ribadisco: credo che di questa legge ci sia bisogno e che noi tutti dobbiamo fare in modo che funzioni al meglio. Quindi, come vede, sfonda una porta aperta. Credo che questa legge preveda tante cose importanti, ma, allora, mi permetta di iniziare partendo dalla fine, ossia dal caso Masciari. Lei ha tenuto una discussione importante ed ha effettuato una ricostruzione analitica dei fatti, arrivando a una conclusione. Al signor Masciari e alla sua famiglia abbiamo dato la disponibilità di ben tre milioni e mezzo di euro, che lo stesso non ha voluto. È questo che vi deve far pensare! Che cosa è successo se a una persona sono stati messi in mano tre milioni e mezzo di euro e la persona stessa dice che non li vuole? C'è qualcosa che non va! Evidentemente, ci sono altri problemi che prescindono dai soldi. Lei mi dice che a tutt'oggi il signor Masciari è sottoposto a tutela e protezione completa. Provi a guardare: andando sul sito Internet vedrà che in questo momento viene assistito da cittadini privati, perché non c'è il servizio (vedrà allegata anche la sua richiesta di essere assistito nei suoi spostamenti), perché chi lo deve assistere ha ricevuto questo documento della Direzione centrale della polizia criminale, in cui c'è scritto che la richiesta di accompagnamento e di scorta durante i suoi viaggi non è accolta e che il teste potrà in ogni caso effettuare tali spostamenti in piena autonomia.

ALFREDO MANTOVANO, Sottosegretario di Stato per l'interno. Ma che sta leggendo?

ANTONIO DI PIETRO. Gli uffici periferici hanno ricevuto questo documento, che è carta: ma ancora oggi il Masciari, mentre si sta recando in una località pubblica per tenere un seminario sull'etica e sulla responsabilità degli imprenditori e dei cittadini, per farsi sentire e per fare il proprio dovere, non viene tutelato, scortato e difeso.
Purtroppo, è questo il dato di fatto. Ci sarà un equivoco, un'insufficienza di informazione, un errore dall'una e dall'altra parte. Né io né lei, poiché siamo tutti e due in buona fede, possiamo andare a discuterne. Chiudo sulla prima parte del caso Masciari: se c'è questa lamentela, possiamo dare disposizioni affinché ci sia più attenzione? Lei non può mai pensare per un momento solo che io, da ex poliziotto e da ex magistrato, pensi che la polizia e gli organi di vigilanza e di sicurezza, per fare un dispetto a qualcuno - addirittura a un testimone di giustizia -, non facciano il loro dovere! Non lo penso neanche lontanamente! Ci deve essere, evidentemente, un equivoco interpretativo, per il quale ciò che viene detto in un modo viene detto in un altro e quello che deve essere un rapporto di collaborazione non lo è. Va ristabilito, quindi, un rapporto di fiducia. Quella che rivolgo è una preghiera, un'istanza, non un'accusa: ci mancherebbe altro! Non mi gira neanche per la testa che, dopo tutto quello che si cerca di fare con i testimoni di giustizia, si voglia fare un dispetto. Ma poi, da parte di chi? Di un poliziotto o di una pattuglia di carabinieri che si nasconde per non farsiPag. 64vedere? Non ci penso neanche lontanamente!
Allora, raccolga questo dato di fatto e disponga affinché una condizione che oggi lei ha ribadito - e che non si sta verificando - si possa verificare. È evidente che qui stiamo parlando non di soldi: non li ha voluti...

ALFREDO MANTOVANO, Sottosegretario di Stato per l'interno. Non è che non ne ha voluti: ne ha chiesti in più!

ANTONIO DI PIETRO. Stiamo parlando di qualcosa in più, che ricordavo prima, cioè la voglia di vivere, di ritornare ad essere una famiglia normale, una persona. Lei ha detto che tutto questo è avvenuto perché Masciari e tanti altri come lui (di alcuni parlerò) si lamentano del fatto che non gli diamo l'assistenza, la tutela e la protezione quando si recano in località diverse da quelle di origine o di giustizia ovvero quando si recano in località estere.
Ma proprio questo è il tema che dobbiamo affrontare non in contrapposizione, ci mancherebbe altro. Il tema che intendo proporre a quest'Aula riguarda se al testimone di giustizia si deve dare la possibilità di essere sereno soltanto quando torna al luogo di origine o quando va a testimoniare oppure si deve dare la serenità per vivere, se vuole andare a Roma o a fare un'altra cosa in un altro Paese, se vuole andare addirittura in una università o in una scuola elementare ad insegnare e testimoniare la sua esperienza. Perché non deve tornare a vivere? Perché gli diciamo: ti accompagno se vai in quel posto, ma non ti accompagno se vai in un altro posto? Il testimone ha ventiquattro ore al giorno da vivere. Se gli togli tutto il resto e gli dici che si deve sentire sicuro solo quando va in dibattimento, capite che lo fate sentire, come ha detto quella ragazza, in esilio.
Lei dice che ci sono già 114 o 115 casi. Ecco forse sarebbe il caso di sentire uno per uno come è la situazione. Lei dice che gli uffici di protezione ci dicono che sono tutti soddisfatti. Io credo che, alla luce di tutte queste istanze e lamentele che stanno venendo fuori, forse è il caso che la Commissione parlamentare antimafia - ha detto bene, anche io la penso così e prego davvero la Presidenza della Camera di riflettere su questo e di valutare ciò - venga incaricata (noi ne faremo come gruppo espressa richiesta) di svolgere un'indagine conoscitiva sui risultati ottenuti da questi istituti in questi anni. Certo che i testimoni sono aumentati da quando c'è la legge. Sono aumentati per forza se c'è la legge. Se prima la legge non c'era, come facevano ad esserci. Tutto questo è tautologico: da quando c'è la legge ci sono stati testimoni di giustizia ammessi al trattamento. Per forza, da quando c'è la legge. Se ci fosse stata prima, ci sarebbero stati anche prima. Che ragionamento è questo? Tutto questo è tautologico.

PRESIDENTE. Onorevole di Pietro, la prego di concludere.

ANTONIO DI PIETRO. Il problema è un altro, cioè se questi testimoni di giustizia stanno vivendo o stanno morendo non solo delle paure che tutti i giorni avvertono, ma per le difficoltà riscontrate nel reinserimento nel contesto socio-lavorativo, per l'inadeguatezza delle misure di protezione, per le difficoltà nell'accesso ai vari benefici che ne sono derivati. Allora, mi permetto di avvicinarmi subito alla conclusione. Giuseppe Verbaro, un altro testimone di giustizia, dice: eravamo soddisfatti, dopo che nel 2000 erano stati arrestati e condannati a diversi ergastoli, per tutta una serie reati di estorsione e di omicidi; eravamo soddisfatti, avevamo fatto il nostro dovere di testimoni di giustizia e la giustizia ci aveva dato ragione, ma qui doveva, invece, cominciare il nostro calvario quotidiano, per le disfunzioni, la mancata applicazione da parte della polizia degli uffici centrali del programma del Ministero dell'interno, che non ci riconosceva tutto ciò che ci doveva essere riconosciuto. Il servizio di scorta era spesso insufficiente, oltretutto con auto non blindate, vecchie e malfunzionanti. Non potevo andare a trovare mio figlio.

Pag. 65

PRESIDENTE. Onorevole Di Pietro, deve concludere.

ANTONIO DI PIETRO. Non voglio rubare più tempo. Insomma, quel che viene fuori da tutto questo è la necessità di verificare in concreto se fra il dire e il fare ci sia qualcosa, nelle maglie di questa giusta legge, che non funziona e non rende ben fruibile questo servizio. Se un imprenditore rinuncia a ben tre milioni e mezzo di euro, che gli date, forse è perché c'è qualcosa in più, ossia la libertà di potersi muovere e la volontà di riconquistare la dignità, che dobbiamo tutelare.
Mi creda, so quanto lavoro fa lei su tutto questo fronte e confido nella sua azione, affinché alla Commissione parlamentare antimafia, che chiedo che il Presidente possa attivare al più presto, possa nascere un dibattito serio, concreto e approfondito su questo tema (Applausi dei deputati del gruppo Italia dei Valori).

(Iniziative relative al danno ambientale causato dal cattivo funzionamento del depuratore nel comune di Castellaneta - n. 2-00145)

PRESIDENTE. L'onorevole Patarino ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00145, concernente iniziative relative al danno ambientale causato dal cattivo funzionamento del depuratore nel comune di Castellaneta (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti), per quindici minuti.

CARMINE SANTO PATARINO. Signor Presidente, ho ritenuto, assieme ad altri trentacinque colleghi del Popolo della Libertà, di presentare l'interpellanza urgente ora in svolgimento partendo dalla convinzione secondo la quale, se è assolutamente vero che al Governo e al Parlamento spetti il compito di occuparsi di materie che riguardano l'intera nazione con provvedimenti legislativi in grado di assicurare a tutti i cittadini ciò di cui hanno bisogno per vivere decorosamente in armonia tra loro nelle condizioni di sicurezza e di libertà, nel pieno e legittimo godimento dei propri diritti e, ovviamente, in altrettanto piena ed assoluta osservanza dei doveri, è altresì risaputo che attraverso gli atti ispettivi previsti dai Regolamenti e dalle disposizioni vigenti ad ogni parlamentare, singolarmente o in unione con altri, è concessa la facoltà di rivolgersi al Governo per investirlo di questioni che, pur non interessando l'intera nazione, perché circoscritti in ambiti geografici ed antropici più o meno delimitati, non possono tuttavia essere sottovalutate o, peggio ancora, trascurate ed ignorate, per l'impatto e gli effetti non di rado molto preoccupanti che esse possono avere su una comunità, piccola o grande che sia.
È proprio questo il caso cui si riferisce l'interpellanza al nostro esame. A ciò risalgono le ragioni di merito per le quali, assieme ad altri colleghi, ho pensato di rivolgermi al Governo. La provincia ionica, nella quale vivo e della quale seguo più da vicino le vicende e i tanti problemi, soprattutto quelli ambientali con i quali da moltissimi anni è costretta a fare i conti anche con pesanti costi di vite umane per la presenza di aziende a grandissimo rischio per l'ambiente e la salute dei cittadini a causa dell'alto tasso di inquinamento che producono (come l'Ilva, la Cementir, la Raffineria), da un po' di tempo trova qualche motivo di consolazione nel fatto che la quasi totalità delle sue località marine (da Torre Colimena a Campomarino, da Torre Ovo a Marina di Lizzano, da Talsano a Chiatona, da Castellaneta Marina a Ginosa Marina fino a Metaponto, in provincia di Matera ed oltre verso la Calabria) per la bellezza delle spiagge e la limpidezza del mare si sono visti assegnare importanti riconoscimenti come la «bandiera verde» e, in alcuni casi, anche quella «blu», diventando mete molto ambite da parte dei turisti.
Qualche settimana fa purtroppo, come un fulmine a ciel sereno è apparsa su un quotidiano locale molto diffuso, il Corriere del giorno, una notizia davvero preoccupante. A tutta pagina, sotto un grosso titolo aggressivo e allarmante che ho riportato parola per parola nel testo dell'interpellanza, seguiva un'intervista rilasciataPag. 66al caporedattore del giornale dal vice coordinatore cittadino di un movimento civico presente nel consiglio comunale di Castellaneta, il quale aveva denunciato al comando di polizia provinciale il cattivo funzionamento di un depuratore e i gravi danni procurati alla salute dei cittadini.
Senza usare mezzi termini o sottintesi, ricorrendo frequentemente ad espressioni forti e colorite, intervistato ed intervistatore lanciavano pesantissime accuse ed esprimevano durissimi giudizi sulle inadempienze dei rappresentanti degli enti interessati alla gestione ed al controllo del depuratore di Castellaneta Marina. Secondo quelle accuse, le acque venivano depurate male e, dopo essere passate attraverso un canale, sfociavano in un fiume (il fiume Lato) e poi nel mare, inquinando fiume e mare.
Ho aspettato qualche settimana prima di interessare formalmente il Governo ed avrei voluto evitarlo. Mi attendevo da parte dei destinatari delle accuse un tempestivo e documentato intervento in grado di fare chiarezza sull'incresciosa vicenda. Una denuncia così grave, come era prevedibile, ha destato grandissime preoccupazioni tra i cittadini, tra i turisti anche stranieri e, soprattutto, tra gli operatori del settore che, oltre a vedersi ridurre di colpo le presenze nell'ultimo scorcio di una stagione balneare che, dato il permanere del bel tempo, prometteva di durare più a lungo degli anni passati, sono tuttora molto preoccupati per un possibile calo per il prossimo anno, ed avrebbe meritato, credo, una maggiore attenzione da parte dei rappresentanti delle istituzioni e degli enti chiamati in causa, che invece non c'è stata.
Non vi è stata alcuna risposta a quei rilievi, non vi sono state smentite, non vi sono state spiegazioni, non sono state portate prove, che ufficiosamente sono in molti a dire che esistono, per dimostrare l'infondatezza di quella pesante denuncia, e, quello che è peggio, non vi è stata una sola parola per rassicurare i cittadini, per dare garanzia sul corretto funzionamento del depuratore; insomma, nessuno ha ritenuto opportuno fare chiarezza.
Eppure, sarebbe stato molto semplice: o quello che sostenevano l'intervistato e l'intervistatore su quel giornale risultava vero, perché dimostrato da certificazioni tecniche autorevoli e attendibili e, quindi, le istituzioni, individuati i responsabili, dovevano assumere nei loro confronti gli appropriati provvedimenti, o era solo allarmismo creato per ragioni di protagonismo o di bassa speculazione politica e, allora, con dati alla mano altrettanto certi, autorevoli e attendibili, chi era ingiustamente accusato doveva dire esattamente come stavano le cose con lo stesso sistema, dando risalto sulla stampa e facendosi valere a difesa della propria immagine e del proprio ruolo istituzionale nelle sedi opportune.
Per questi motivi, ho inteso rivolgermi al Governo, nella certezza che l'attendibilità e l'autorevolezza delle informazioni che saranno fornite dal signor sottosegretario nella sua risposta serviranno a stabilire la verità e - mi auguro - a ridare finalmente fiducia ai cittadini che l'attendono.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, Roberto Menia, ha facoltà di rispondere.

ROBERTO MENIA, Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare. Signor Presidente, l'onorevole Patarino insieme agli altri interpellanti pone una questione - quella appena illustrata - che riguarda l'inquinamento causato, presumibilmente dal malfunzionamento del depuratore di Castellaneta, di proprietà del Comune, gestito dallo stesso e condotto dal Consorzio ATI di Giovanni Putignani e figli Srl.
Sulla scorta di quanto comunicato dagli enti ed organi locali, prontamente coinvolti al fine di dare un pronto riscontro alle preoccupazioni manifestate dagli interpellanti e per porre rimedio al problema prospettato, cercherò di fornire unaPag. 67serie di dati che sono le uniche cose che contano in casi di questi genere.
I primi dati a cui mi riferisco sono quelli che sono stati dati trasmessi dalla regione Puglia all'ISPRA, riferiti al 31 dicembre 2007, dai quali risulta che il depuratore di cui trattasi è conforme ai valori limite di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006. Sull'argomento, il comune di Castellaneta ha riferito che l'ARPA ha, comunque, eseguito una serie di sopralluoghi in sito, dal mese di gennaio 2008 al mese di settembre 2008; è evidentemente a questi dati che ci dobbiamo riferire. I tecnici dell'ARPA (Dipartimento di Taranto) hanno proceduto al prelevamento dei reflui, in contraddittorio con un delegato del gestore dell'impianto e, confrontando i dati forniti dalla ditta che gestisce l'impianto con i verbali di prelievo eseguiti dall'ARPA Puglia, è emerso che il processo di depurazione sarebbe stato efficace.
Il Dipartimento dell'ARPA, da parte sua, ha fatto presente che il depuratore di Castellaneta Marina viene costantemente monitorato in base a quanto previsto dalle norme vigenti (di cui all'allegato 5, parte III, del decreto legislativo n. 152 del 2006) e, in particolar modo, viene verificato il rispetto dei valori limite allo scarico, secondo i parametri indicati nelle tabelle di riferimento: tabella 1, per conformità di emissione di solidi sospesi, BOD5 e COD, e tabella 3.
I rapporti di prova indicano che per il triennio 2005-2007 la «conformità» vi è stata alla tabella 1, ai sensi della direttiva 91/271/CE, e per l'anno 2008, in base ai controlli già effettuati, si è rilevato il rispetto dei limiti in tabella 1 e in tabella 3, tranne che per alcuni occasionali superamenti. In particolare, il controllo analitico sui reflui in uscita del depuratore prelevati in data 6 agosto evidenzia valori di «Escherichia coli» di 340.000 ufc su 100 millilitri (ufc sta per unità formanti colonia), mentre nel prelievo di settembre i limiti sono stati pienamente rispettati quindi i valori sono rientrati nei limiti; l'azoto ammoniacale e quello nitroso risultano superare i limiti rispettivamente nel prelievo di agosto e di settembre. A questo punto, sulla base dei suindicati dati forniti dall'ARPA, la provincia di Taranto ha comunicato che avrebbe provveduto ad inoltrare formale diffida e ad accertare le cause che hanno determinato tale superamento dei limiti.
Riguardo, invece, all'area marina della foce del fiume Lato, interessata al turismo balneare, l'ARPA della Puglia ha riferito che la zona viene controllata ai fini della balneazione attraverso il punto di monitoraggio codificato come «Foce Fiume Lato (codice 073021074)» e che i risultati analitici riferiti a tale sito di campionamento non hanno mai evidenziato, nella stagione balneare in corso, situazioni anomale o valori dei parametri fisico-chimici e batteriologici fuori dalla norma. Il fiume Lato rientra fra i corpi idrici superficiali monitorati nell'ambito di un programma quadro della regione Puglia, allo scopo di valutarne l'idoneità delle acque per la vita dei pesci ai sensi del più volte citato decreto legislativo n. 152 del 2006, parte III, allegato 2, tabella 1/B. I campionamenti nel fiume hanno una frequenza mensile; nel periodo gennaio-agosto 2008 si è rilevato che i risultati analitici rientrano nei limiti consentiti dalla normativa vigente, ad eccezione del parametro «ammoniaca totale» che eccede i valori tabellari nei mesi di gennaio e di agosto. I campionamenti di luglio ed agosto hanno invece evidenziato un incremento dei valori del «cromo» rispetto ai mesi precedenti, seppure gli stessi siano rimasti comunque nei limiti consentiti per la vita dei pesci.
Anche l'area marino-costiera antistante alla foce è costantemente monitorata, sino a circa 3000 metri dalla linea di costa. I risultati del monitoraggio mensile delle acque marine nella località in oggetto sono stati abbastanza confortanti per quanto riguarda la qualità ambientale del sito, con i valori dei parametri oceanografici che seguono il naturale andamento stagionale. In particolare, per quanto riguarda l'ossigeno, la percentuale di saturazione è variata tra 1'85 ed il 105 per cento in tutto il periodo compreso tra gennaio 2008 edPag. 68agosto 2008, dato che è comunque assolutamente in linea con quanto previsto per un ambiente di questo tipo.
Alla luce dunque delle presenti considerazioni si afferma, come è giusto e doveroso, l'interesse e l'impegno del Ministero dell'ambiente e della tutela del mare e del territorio a continuare a monitorare la situazione e, qualora dovessero essere accertati ulteriori superamenti tabellari, saranno adottati gli opportuni provvedimenti, coinvolgendo, se del caso e come richiesto, anche il comando carabinieri per la tutela dell'ambiente.

PRESIDENTE. L'onorevole Patarino ha facoltà di replicare.

CARMINE SANTO PATARINO. Signor Presidente, signor sottosegretario, la ringrazio per la sua relazione, una relazione ampia, approfondita e ricca di informazioni tecniche che risultano essere confortanti. Aggiungo che le stesse possono anche smentire quanto era stato dichiarato su quel giornale dall'intervistato e dall'intervistatore. Ci conforta soprattutto perché veniamo a conoscenza delle condizioni ambientali sia del fiume sia del mare. Le notizie allarmanti avevano spaventato - come ho detto anche nella presentazione dell'interpellanza - i cittadini e, quel che temevamo e temiamo di più, è che anche per il prossimo anno possano avere delle conseguenze negative sul movimento del turismo.
Non trovo difficoltà nel dichiararmi ampiamente soddisfatto della sua risposta.
La sua risposta è di assoluta condanna, come si è visto nel testo, all'allarme che è stato lanciato ingiustificato, dovuto forse più a voglia di protagonismo o a voglia di bassa speculazione politica che non dovrebbe avere alcuno spazio, né dovrebbe essere sostenuta in situazioni come queste, soprattutto allorquando si parla di questioni delicate come quelle dell'ambiente che riguardano la salute pubblica.
Nel dichiararmi soddisfatto devo svolgere soltanto alcune considerazioni. Se chi ha lanciato questo allarme ingiustificato e assurdo, merita di essere condannato se è il caso anche nelle sedi opportune, nondimeno va censurato il comportamento di quei soggetti che pure sono stati chiamati in causa e sono stati accusati addirittura in quel modo e non hanno ritenuto opportuno far sentire la propria voce, di quei soggetti, cioè, che hanno preferito fare la parte degli spettatori piuttosto che quella degli attori che, invece, spettava loro fare. Hanno ritenuto di dover tacere quando, pur leggendo il giornale, come io credo tutti quanti fanno: per altro gli enti interessati sono essi pure rappresentati da persone che ogni giorno vedono la rassegna stampa e possono anche da questa venire a conoscenza di quello che si dice e ritengo che abbiano letto un giornale così diffuso come il Corriere del giorno. Poiché alcuni soggetti sono stati anche sollecitati - mi riferisco, ad esempio, al conduttore, alla provincia - se avessero assunto prima l'impegno di far sentire la propria voce, di dire cioè ai cittadini come effettivamente stavano le cose, avremmo risparmiato tanto tempo e sicuramente io non avrei incomodato il Governo che, invece, poi, è stato costretto a svolgere indagini in loco, impegnando quelle istituzioni e quegli enti che avrebbero potuto per proprio conto fare il lavoro che a loro spettava. Oggi con mia meraviglia - concludo - la provincia dice così come lei correttamente ha detto nella sua relazione, signor sottosegretario, che adesso diffiderà, farà una diffida: rivolta a chi, anzitutto?
Mi chiedo ancora: se non avessimo presentato questa interpellanza urgente, se non vi fosse stato l'impegno del Governo a rispondere, la provincia che cosa avrebbe fatto? Avrebbe continuato a rimanere in silenzio? Avrebbe continuato a riposare e a dormire? C'era bisogno di un sollecito del genere per fare le diffide quando era necessario farlo?

(Rinvio dell'interpellanza urgente Lo Monte - n. 2-00148)

PRESIDENTE. Dovremmo ora passare all'interpellanza urgente Lo Monte e BruggerPag. 69n. 2-00148, riguardante compatibilità ambientale di un progetto presentato dalla Snam rete gas spa relativo alla realizzazione di una centrale di compressione del gas nel comune di Monforte San Giorgio (Messina).
Avverto che, su richiesta dei presentatori e con il consenso del Governo, lo svolgimento dell'interpellanza urgente Lo Monte e Brugger n. 2-00148 è rinviato ad altra seduta.

(Chiarimenti in merito alle modalità di esercizio delle funzioni di pubblica sicurezza da parte del sindaco della città di Parma, con particolare riferimento all'episodio denunciato dal giovane Bonsu Emmanuel Foster - n. 2-00158)

PRESIDENTE. L'onorevole Motta ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00158, concernente chiarimenti in merito alle modalità di esercizio delle funzioni di pubblica sicurezza da parte del sindaco della città di Parma, con particolare riferimento all'episodio denunciato dal giovane Bonsu Emmanuel Foster, per quindici minuti (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti).

CARMEN MOTTA. Signor Presidente, intendo illustrare l'interpellanza da me presentata. Prima di entrare nel merito dell'interpellanza, però, signor Presidente, la ringrazio perché lei ha voluto prestare attenzione alla mia manifestazione di profondo dispiacere - devo dire - per il fatto che a rispondere non è presente il sottosegretario di Stato per l'interno, con tutto il rispetto e la stima che io porto per il sottosegretario Menia ovviamente, che è competente per altro Ministero.
Considero questa assenza, nonostante le parole che ha detto poc'anzi il sottosegretario Mantovano, una manifestazione di scarsa attenzione e una scarsa volontà di attenzione nei confronti dei parlamentari dell'opposizione.
Lo dico, signor Presidente, perché capisco che il sottosegretario Mantovano potesse avere altri impegni, così come il Ministro, ma ho anche capito e abbiamo capito un'altra cosa: che il Governo è in difficoltà a rispondere a questa interpellanza urgente e che, per così dire, si è cercato un po' di rimandare a tutti i costi la sua discussione. Sarebbe stato meglio, allora, da parte del Governo, dirlo apertamente e così avremmo potuto addivenire anche ad un'altra soluzione.
Così stanno le cose, perché quello che dico è confermato da quanto ha detto ieri il Ministro in quest'Aula, quando afferma: «Sulla vicenda» - quella di cui è oggetto l'interpellanza urgente, leggo testualmente dal resoconto stenografico della seduta di ieri - «sono in corso accertamenti da parte dell'autorità giudiziaria ed è prematuro esprimere valutazioni su questo caso». Questo è il punto.
Vado al merito: l'interpellanza urgente in esame, signor Presidente, è stata firmata da quarantanove deputati del gruppo del Partito Democratico e si riferisce all'episodio avvenuto a Parma il 29 settembre ultimo scorso nei confronti di Emmanuel Bonsu Foster. Ieri appunto, come dicevo poc'anzi, il Ministro dell'interno, Maroni, durante l'informativa urgente in questa Camera sui recenti episodi di intolleranza e di violenza di matrice xenofoba e razzista, ha citato, in apertura del suo discorso, proprio i due fatti accaduti a Parma: quello relativo al fermo della prostituta nigeriana fotografata nella cella di sicurezza del comando dei vigili urbani e quello relativo al caso di Emmanuel. Su questo caso il Ministro ha detto che si devono attendere gli esiti dell'indagine della magistratura. Ci mancherebbe altro: certo, anche noi li attendiamo, ma forse non era stato informato delle ultime notizie uscite ieri sulla stampa locale, che riferivano dell'interrogatorio avvenuto mercoledì, in carcere, dello spacciatore arrestato il 29 settembre.
Durante l'interrogatorio, questa persona afferma di aver agito in solitudine quel 29 settembre e di non conoscere Emmanuel, il quale, invece, era stato sospettato dai vigili della polizia municipale di essere il palo del pusher. Questo sospettoPag. 70è stato il motivo che ha provocato l'intervento degli agenti nei confronti del ragazzo ghanese.
Sempre ieri, tanto per restare in tema di precisazioni, è uscita la precisazione di la Repubblica, edizione di Parma, che nessun giornalista di questo giornale avrebbe sollecitato la prostituta uruguayana a dichiarare maltrattamenti nei confronti della prostituta nigeriana ritratta nella famosa foto comparsa su tutta la stampa nazionale. Tale precisazione fornisce un'altra versione dei fatti. Cito questa vicenda perché anche di questo abbiamo fatto un breve cenno nella nostra interpellanza urgente ed è in corso un'inchiesta della magistratura. La stampa locale ha pubblicato il verbale integrale della deposizione fatta ad un agente di pubblica sicurezza dalla prostituta uruguayana ad inchiesta aperta.
Le chiedo, signor sottosegretario, se si può considerare normale questo fatto e se è altrettanto accettabile che un'operazione antiprostituzione sia seguita da giornalisti e fotografi, una spettacolarizzazione i cui responsabili non mi pare possano essere i giornalisti, ma chi ha pensato, in un eccesso di protagonismo, di condurre un'operazione con tali modalità. Seguiremo gli sviluppi anche di questa vicenda, sulla quale ho presentato un'interrogazione che attende risposta.
Ma veniamo alla vicenda oggetto della presente interpellanza urgente: Emmanuel Bonsu Foster è un ragazzo ghanese che vive a Parma con la sua famiglia. Il padre è operaio. Una famiglia normale, che lavora per vivere dignitosamente e non ha mai avuto problemi con la giustizia. Emmanuel, la sera del 29 settembre, si trovava nei pressi della scuola, un noto istituto tecnico della città, in attesa di recarsi al corso serale che frequenta per acquisire il diploma di perito meccanico. Dalle sue dichiarazioni, rese al comando dei carabinieri, aveva lasciato il suo zaino all'interno della scuola, zaino nel quale aveva i suoi documenti di riconoscimento. È uscito nel parco attiguo alla scuola per una passeggiata, in attesa dell'inizio delle lezioni. Il preside della scuola lo descrive come un ragazzo timido e riservato. Era stato selezionato per andare come volontario del servizio civile in una comunità di recupero per tossicodipendenti della città: insomma, un ragazzo normale. Quella sera, un gruppo di agenti della polizia municipale di Parma, nel corso di un'operazione antidroga nel parco cittadino, vicino alla scuola, valutano che Emmanuel sia lì come palo del pusher che hanno individuato e poi arrestato e decidono di bloccarlo.
I particolari della vicenda sono stati riportati con grande evidenza su tutta la stampa locale e nazionale. Emmanuel ha dichiarato di aver visto due uomini che parlavano dietro di lui al cellulare e di essere stato avvicinato da un terzo uomo. L'agente di polizia municipale, in borghese, come tutti gli altri colleghi, si è avvicinato e non si è identificato. Sono arrivati altri due colleghi e hanno cercato di trattenerlo. Il ragazzo, impaurito, ha tentato la fuga ma è stato rincorso, picchiato, ammanettato e trasferito al comando dei vigili. Durante la colluttazione, o forse dopo - questo è uno degli elementi più seri da appurare - è stato colpito violentemente al viso e ha riportato una grave contusione ad un occhio. Al pronto soccorso il medico ha diagnosticato due giorni di prognosi. Il medico legale incaricato di valutare le lesioni subite ha stabilito dieci giorni di prognosi. Lunedì scorso, 6 ottobre, Emmanuel è stato operato al reparto maxillo-facciale dell'ospedale di Parma per una frattura della parete orbitale dell'occhio sinistro. L'intervento si è reso necessario dopo che, durante lo scorso fine settimana, il ragazzo aveva accusato perdita di equilibrio e problemi di vista. La TAC ha diagnosticato la frattura. I vigili hanno sostenuto che il ragazzo si è fatto male cadendo durante la colluttazione (cito testualmente: «ematoma per caduta accidentale»). Hanno sostenuto di non averlo mai picchiato, né offeso con parole insultanti, né di aver scritto «Emmanuel negro» sulla busta riconsegnatagli dopo il rilascio avvenutoPag. 71intorno alle 23, dopo un fermo di quasi cinque ore, con l'accusa di resistenza a pubblico ufficiale.
Tra le versioni fornite dal ragazzo nella denuncia presentata ai carabinieri il giorno seguente e la ricostruzione del comando dei vigili urbani le differenze sono troppe: sono due storie molto differenti. Non coincidono l'ora in cui i vigili hanno visto Emmanuel, non coincide la modalità di identificazione del ragazzo, né i modi utilizzati per bloccarlo, né tanto meno il trattamento riservatogli una volta portato al comando. Su tutta la vicenda il sindaco ha preannunciato un'inchiesta interna e sono state avviate indagini dalla procura di Parma. RAI Tre, nella trasmissione Chi l'ha visto? di lunedì scorso, 6 ottobre, ha raccolto testimonianze oculari che confermano la versione di Emmanuel. Si tratta di tre versioni pressoché coincidenti: il ragazzo è stato picchiato e un agente avrebbe anche impugnato la pistola. Le indagini in corso chiariranno la dinamica dei fatti. Resta tuttavia il dato che questa operazione, definita dal comando dei vigili e dall'amministrazione comunale una «normale operazione antidroga» contiene in sé qualcosa di inquietante che va chiarito fino in fondo allo scopo di accertare tutte le responsabilità. Nessuno vuole strumentalizzare nulla. Siamo interessati alla verità in vista di restituire certezze ai cittadini di Parma e non solo di quella città. Parma possiede una forte tradizione di pacifica convivenza: lo posso dire perché io sono nata lì. Sarebbe un errore rompere quel rapporto di fiducia tra agenti e cittadinanza che ha consentito di vivere l'agente di polizia municipale come una figura vicina ai cittadini, garante delle regole e non come qualcuno che le contravviene.
Per questo è necessario fare piena luce sull'episodio, senza remore, paure o, peggio, tentando di sminuire i fatti. Le azioni di singoli agenti non possono certo essere fonte di generalizzazione nei confronti di tutti gli altri operatori che svolgono quotidianamente il loro lavoro con serenità e spirito di servizio. Ad essi è sempre andato il nostro apprezzamento e la nostra vicinanza, ad essi, come a tutte le forze dell'ordine. Il Corpo dei vigili urbani di Parma rifiuta le accuse di razzismo e di xenofobia e questo significa che sente di appartenere ad un'altra cultura. Ciò è sicuramente importante e ci conforta. Proprio per questo se, come ha dichiarato il direttore del più importante quotidiano locale - riporto testualmente: la scritta «negro» l'ha fatta un vigile, ho più che una sensazione - allora perché possa accadere una cosa del genere è una domanda che ci investe tutti, a cominciare da chi porta la responsabilità di Governo, a tutti livelli. La giunta della città di Parma si è caratterizzata per una grande attenzione ai temi della sicurezza: ha promosso la Carta sulla sicurezza e sono state emanate ben sette ordinanze per contrastare di tutto e di più, affidando ai vigili urbani nuovi compiti, che si avvicinano sempre più a compiti svolti dalla Polizia di Stato e dai carabinieri. Questi agenti - mi chiedo, sottosegretario - sono adeguatamente formati per tali compiti? Siamo sicuri che li debbano svolgere? Siamo sicuri che il clima politico, fortemente enfatizzato sul tema sicurezza, non stia esaltando qualche presunto Rambo a corto di equilibrio e competenza? Siamo proprio sicuri che compiti analoghi all'operazione antidroga che ha portato all'episodio di Emmanuel siano da affidare alla polizia municipale senza che la Polizia di Stato ne sia stata opportunamente informata - come ha dichiarato il questore di Parma - né prima né dopo?
La legge non obbliga a farlo, ma l'opportunità sì, e tanto anche, perché se davvero si vuole dare più sicurezza ai cittadini la certezza del diritto sempre nel rispetto della dignità delle persone, è indispensabile fissare con chiarezza e precisione gli ambiti di intervento della polizia municipale rispetto alle altre forze dell'ordine, coordinare e concordare le operazioni che il buonsenso, prima ancora che la norma, suggerisce di compiere congiuntamente.
Come vede, signor sottosegretario, questa interpellanza, come ha potuto ascoltare, non è stata dettata da posizioniPag. 72pregiudiziali con intenti speculativi, ma da una grande preoccupazione per quello che succede nelle città e nel nostro Paese, da un dispiacere sincero che in luoghi conosciuti per la loro buona qualità di vita possano accadere fatti così gravi. Essa è dettata da un bisogno di giustizia che non vuole condanne a priori, ma nemmeno soluzioni a prescindere e che soprattutto risponda a domande quali: «È normale che, in assenza di comportamenti visibilmente pericolosi e non sospetti agenti in borghese blocchino una persona sola, la scaraventino a terra, le diano calci (come hanno detto i testimoni oculari) e alla fine questa persona, anziché vedere scritto su una busta il proprio cognome si senta riconosciuto dal colore della sua pelle?».
Attendiamo che la magistratura faccia il suo corso e ci aspettiamo dal Governo una risposta adeguata alla gravità dell'episodio, quello di un ragazzo che si è trovato, per caso, nell'ora sbagliata, nel luogo sbagliato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, Roberto Menia, ha facoltà di rispondere.

ROBERTO MENIA, Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare. Signor Presidente, onorevole Motta voglio risponderle affermando lo stesso rispetto e la stessa stima che ha manifestato nei miei confronti e proprio per questo parto da una considerazione.
Il Governo, a differenza di quanto da lei affermato, non è in difficoltà a rispondere a questa interpellanza, anche perché essa riprende, tra l'altro, nella risposta che a breve andrò a leggere, i dati enunciati già ieri nel corso di una informativa che il Ministro ha ritenuto di dare e che stava evidentemente ad indicare una sensibilità particolare sui fatti
Sotto questo profilo, devo dire che quando il Ministro ha giustamente - e correttamente, penso - affermato che è inopportuno esprimere valutazioni che suonino già come giudizi prima di avere riscontri dalla magistratura che su ciò sta lavorando, non ha fatto altro che dimostrare rispetto per il lavoro della magistratura e delle istituzioni. Tale rispetto è necessario e non può essere sostenuto a corrente alternata, a seconda dei fatti e di come si ritenga di interpretarli.
A proposito dei fatti enunciati nell'atto di sindacato ispettivo in esame è opportuno, prima di tutto, riaffermare che l'oggetto della sua interpellanza, onorevole Motta, è anche oggetto di indagine da parte della magistratura. Il 29 settembre scorso, nell'ambito di una operazione volta al contrasto dell'attività di spaccio di sostanze stupefacenti, la polizia municipale ha arrestato un cittadino straniero nel parco Falcone e Borsellino, per violazione della legge sugli stupefacenti. La stessa polizia municipale ha riferito che in quella circostanza un altro cittadino straniero di nazionalità ghanese, presente sul luogo dove era avvenuta la presunta attività di spaccio, aveva opposto resistenza agli agenti che intendevano controllarne l'identità. Il giorno successivo quest'ultimo presentava una denuncia presso la locale stazione dei carabinieri affermando di essere stato percosso ed insultato dagli agenti della polizia municipale, che agivano in borghese, sia nel suddetto parco sia presso il comando della polizia municipale ove era stato condotto per l'identificazione.
Nella denuncia affermava che si trovava nel parco in attesa dell'inizio delle lezioni presso una vicina scuola serale. Riferiva anche di trovarsi a poca distanza dal cittadino straniero arrestato, che non conosceva, quando aveva visto due o tre persone dirigersi verso di lui e, dal momento che non si era reso conto che si trattasse di vigili urbani, era fuggito. In seguito alla denuncia dell'interessato la procura della Repubblica disponeva una consulenza di un medico legale al fine di stabilire l'entità del lesioni, la più grave delle quali è stata dichiarata guaribile in dieci giorni. Alla denuncia allegava una busta consegnatagli al momento del rilascioPag. 73con l'intestazione del comune di Parma sulla quale era riportata la scritta: «Emanuel negro».
Il cittadino ghanese è stato ricoverato presso la clinica oculistica dell'ospedale maggiore di Parma ove lo scorso 7 ottobre è stato sottoposto ad intervento chirurgico.
Secondo quanto riferito dalla procura della Repubblica di Parma anche i vigili urbani depositavano un'informativa con la quale denunciavano lo studente ghanese per resistenza a pubblico ufficiale.
Si precisa, infine, che i sindaci dispongono l'impiego sul territorio comunale del personale della polizia municipale che, ai sensi dell'articolo 5 della legge 7 marzo 1986, n. 65 (legge quadro sull'ordinamento della polizia municipale), espleta, in tale contesto, le funzioni di agente e di ufficiale di polizia giudiziaria e di agente di pubblica sicurezza.
È evidente che eventuali responsabilità penali per abusi commessi nell'esercizio di dette funzioni sono naturalmente personali e dovranno essere accertate dalla competente autorità giudiziaria.

PRESIDENTE. L'onorevole Touadi, cofirmatario dell'interpellanza, ha facoltà di replicare, per dieci minuti.

JEAN LEONARD TOUADI. Signor Presidente, non siamo soddisfatti della risposta perché abbiamo ascoltato in quest'Aula, dalla bocca del sottosegretario, le stesse parole e la stessa ricostruzione compiuta ieri dal Ministro Maroni. Tra l'altro siamo fuori tema; infatti, l'argomento trattato ieri era l'approfondimento del Parlamento in ordine ai rigurgiti di razzismo e di intolleranza che tante, altissime e nobili autorità di questo Paese hanno denunciato. Il tema non era, quindi, l'approfondimento di fatti singoli che, invece, è il tema di questa nostra interpellanza.
Si tratta di un fatto singolo la cui gravità è stata sottolineata dalla collega che ha illustrato l'interpellanza. Tuttavia, il sottosegretario ci ripete esattamente ciò che abbiamo sentito ieri, senza tener conto, tra l'altro, dei fatti nuovi che sono avvenuti nel frattempo, delle testimonianze di persone che hanno assistito all'episodio e di altri fatti ancora che sono accaduti, e avremmo voluto che il sottosegretario, su questo punto, ci fornisse delle risposte più puntuali.
Tuttavia, vorrei riflettere sul fatto che, ancora una volta, è un peccato che il Ministro e il sottosegretario competente non siano presenti perché la domanda che poniamo è di rilevanza fondamentale per quanto riguarda il ruolo, l'identità e le prerogative della polizia municipale. Si tratta di un tema di grande importanza, soprattutto da quando il Governo, con il decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, ha attribuito funzioni, prerogative e un potere di ordinanza ai sindaci. Tale potere di ordinanza era stato richiesto da molto tempo. Tutti ricordiamo la polemica che nella vulgata giornalistica venne rubricata come la richiesta di sindaci-sceriffo.
Ebbene, questi sono riusciti ad ottenere tali poteri di ordinanza. Tuttavia, si tratta di un potere di ordinanza che è andato oltre le stesse richieste dei sindaci. Ricordo in questa sede e solo per memoria le due richieste contenute nella Carta di Parma, firmata da sindaci di centrodestra e di centrosinistra. Rilevo due punti delle loro richieste: un fattivo contributo alla sicurezza delle loro città (su questo punto è impossibile non essere d'accordo con loro) e, inoltre, il potenziamento della collaborazione tra polizia municipale e forze dell'ordine, non certamente quella di sostituirsi alle forze dell'ordine né tanto meno di diventare una quarta polizia, o ancora peggio, un surrogato della Polizia di Stato, senza la necessaria formazione e senza che il quadro giuridico che disciplina, nel nostro ordinamento, l'identità e le prerogative della polizia municipale sia ritoccato.
Questo potere di ordinanza, signor Presidente, rappresentante del Governo, come dicevo ieri durante l'informativa urgente in materia di razzismo e di intolleranza, rischia di scardinare un impianto, quelloPag. 74che vede nel Ministero dell'interno un ente centrale e i prefetti come rappresentanti del Governo nel territorio (un istituto importantissimo che garantisce l'uniformità dell'azione soprattutto in materia di ordine pubblico in tutto il territorio nazionale).
C'è un tentativo di indebolire, a mio avviso, le prerogative e la figura stessa del prefetto laddove, senza dirlo, la potestà dell'ordine pubblico che sta in capo al prefetto e, attraverso di lui, in modo operativo al questore, sta scivolando verso questi sindaci che emanano ordinanze a macchia di leopardo e in alcuni comuni ordinanze esclusivamente destinate a una categoria della popolazione, fatto che può configurarsi, davvero, come una sorta di licenza di discriminare, come abbiamo detto ieri.
La legge n. 121 del 1981 sull'amministrazione della pubblica sicurezza chiarisce che simili poteri spettano solo ai carabinieri e alla guardia di finanza (e alla Polizia di Stato ovviamente), coordinati dal questore e nella sede istituzionale che è il comitato per l'ordine e la sicurezza. Vengo, invece, a sapere che queste ordinanze bypassano il comitato per l'ordine e la sicurezza che è l'unico che può programmare e assicurare la concretezza e l'operatività delle azioni di ordine pubblico.
Quindi, vi è una confusione che sta permettendo a molti sindaci di gran parte del nostro Paese di sguinzagliare sul territorio e mandare la polizia municipale in un quadro giuridico assolutamente confuso e una operatività non adeguata rispetto alle altre forze di polizia. C'è uno snaturamento dell'identità della polizia municipale, che ricordo essere un corpo di polizia di prossimità, dedito alla gestione della viabilità, alla lotta all'abusivismo edilizio, al controllo dei temi ambientali e al controllo del commercio abusivo.
La legge n. 121 alla quale facevo riferimento chiede un raccordo tra le forze di polizia nel territorio che devono intervenire d'intesa. Nel caso specifico di Parma veniamo a sapere dalla questura stessa che la questura e le altre forze dell'ordine non sono state informate di una operazione così rilevante come il contrasto allo spaccio di droga in una città come Parma.
Si desume, quindi, che dalla lettura della legge n. 121 del 1981 la polizia municipale di Parma avrebbe dovuto informare le altre forze di polizia e quanto meno concordare questa operazione con la questura.
Tutto ciò per dire, signor Presidente, rappresentante del Governo, che questo potere di ordinanza dovrebbe essere completato, se avrete il coraggio politico di farlo, con una chiara, palese e discussa legge che modifichi sostanzialmente i poteri dei prefetti e dei questori e la configurazione del comitato per l'ordine e la sicurezza, che è l'unico organo, a quanto sappia, deputato a coordinare sul territorio le operazioni di ordine pubblico.
In realtà, più che di ordine pubblico in questo caso si vogliono lanciare dei messaggi. L'abbiamo stigmatizzato ieri e fortemente denunciato. Il clima nel quale viene a determinarsi anche questa concessione di potere di ordinanza ai sindaci non ci piace. È un clima in cui una fetta di cittadini, anche di passaporto non italiano, ma cittadini di quella cittadinanza allargata che fa parte della civiltà giuridica di questo Paese...

PRESIDENTE. La prego di concludere.

JEAN LEONARD TOUADI. Questa cittadinanza allargata è anch'essa portatrice di diritti inalienabili che non possono essere violati da un potere di ordinanza dato in modo confuso e applicato in modo non coordinato da sindaci di tanta parte del nostro Paese.
Noi vogliamo una polizia che agisce nel rispetto delle norme e della dignità dei cittadini. Questa è la polizia che ci piace ed è la polizia di un Paese democratico (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

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(Intendimenti del Governo in ordine all'inserimento del sito di Mantova nell'elenco che individua i siti contaminati da reindustrializzare - n. 2-00164)

PRESIDENTE. L'onorevole Marco Carra ha facoltà di illustrare la sua interpellanza urgente n. 2-00164, concernente gli intendimenti del Governo in ordine all'inserimento del sito di Mantova nell'elenco che individua i siti contaminati da reindustrializzare (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti).

MARCO CARRA. Signor Presidente, desidero illustrare l'interpellanza presentata da me ed altri colleghi. Pur comprendendo, signor sottosegretario, che il tema in esame si intreccia maggiormente con le responsabilità specifiche che ella ricopre rispetto al tema affrontato precedentemente, non c'è alcun dubbio che l'interpellanza è stata rivolta al Ministro per lo sviluppo economico, dal momento che questo aveva ed ha tuttora un significato pregnante. Detto questo, sono consapevole che proprio qualche giorno fa - su questo poi tornerò - in Commissione ambiente è stata approvata una risoluzione importante su questo tema e, quindi, lo ribadisco, comprendo già di più la sua presenza al posto del suo collega allo sviluppo economico.
Questa vicenda ha forti implicazioni locali. Mi riferisco al mantovano, in particolare. Tuttavia, non può essere assolutamente disgiunta dal contesto nazionale, in relazione al futuro della chimica. Pertanto, tengo a precisare e a premettere che il Partito Democratico considera la chimica strategica nelle politiche industriali del nostro Paese. Se pensiamo al tracollo della finanza, oggi più di ieri, c'è bisogno di investire e di rilanciare il secondario e l'industria di trasformazione.
Credo che in questo quadro vada ricordato che Mantova è sede di un polo chimico, in particolare della Polimeri Spa, società del gruppo ENI, che - lo ricordo - a sua volta è di proprietà per il 30 per cento del Ministero dell'economia e delle finanze, che mi pare sia il principale azionista. Non più tardi di qualche settimana fa, nel contesto della Polimeri Spa è giunta alle organizzazioni sindacali una comunicazione - peraltro in una riunione, quindi verbalmente, in via non ufficiale e non scritta - relativa alla chiusura di un impianto PR5, che produce anche i fenoli, che riguarda quindici dipendenti. Contestualmente, è stato deciso il blocco delle assunzioni per tutto il 2008, la riorganizzazione della logistica, dei laboratori e della programmazione della produzione, mentre gli appalti e gli approvvigionamenti vengono trasferiti all'ENI.
Non c'è dubbio che questa comunicazione ha destato grande preoccupazione tra i lavoratori, al di là del dato numerico, che comunque non considero irrilevante. Infatti, quando vi è in gioco anche un solo posto di lavoro credo che per quella famiglia la questione sia davvero drammatica ed è anch'essa meritevole di grande attenzione da parte della politica e delle istituzioni, ma su questo non c'è alcun dubbio. Si consideri che questa azienda occupa 1.100-1.200 lavoratori e che, nel corso di questi ultimi anni, sono stati persi 800 posti di lavoro. Si consideri tutto l'indotto che intorno ad essa si sviluppa.
Bisogna, altresì, considerare che a Mantova si è recentemente consumata la vicenda della Sogefin del gruppo De Benedetti (abbiamo affrontato anche quel caso in quest'Aula) che ha coinvolto decine e decine di dipendenti. È di queste ore un'altra notizia drammatica relativa allo stabilimento FIAT Iveco di Suzzara, dove dalla sera alla mattina vengono lasciati a casa decine di lavoratori precari. Ebbene è in questo contesto che i lavoratori della Polimeri Spa hanno proclamato uno sciopero di otto ore che si è tenuto la settimana scorsa.
Io credo che si debbano scongiurare ipotesi di ridimensionamento e si debba rilanciare e sostenere la chimica: questo non significa solo salvaguardare un sistema produttivo e l'occupazione, ma credo che significhi costruire le condizioniPag. 76affinché questi siti vengano bonificati, ovviamente con il concorso decisivo dei privati.
A questo proposito, come dicevo prima, va ricordato che è stata presentata una risoluzione nel luglio scorso a firma mia e di un collega mantovano della Lega Nord, quindi della maggioranza, sostenuta peraltro da altri parlamentari. Si tratta di una risoluzione che fa esplicito riferimento a degli impegni precisi che il Governo avrebbe dovuto assumere relativamente agli interventi di bonifica attraverso il coinvolgimento dei privati e relativamente alla realizzazione del nuovo centro ricerche di Polimeri Europa, con tutto quello che significa questa realizzazione. Questa risoluzione è stata approvata all'unanimità e io credo che questo sia un fatto importante che impegna il Governo da qui in avanti ad ottemperare alla risoluzione stessa.
Credo sia, altresì, opportuno ricordare che questa risoluzione è il frutto di un ragionamento collegiale e collettivo che si è tenuto in loco a Mantova tra i parlamentari mantovani, gli enti locali, quindi l'amministrazione provinciale e il comune capoluogo, altri enti locali dell'hinterland, l'associazione industriale, le organizzazioni sindacali: è il frutto davvero di un fecondo gioco di squadra. Credo sia altrettanto importante rammentare che già nel 2007 con il Ministero dell'ambiente è stato siglato un accordo di programma, sempre con gli enti locali, relativo agli interventi di bonifica.
In questo contesto da parte nostra si chiede al Governo che tipo di atteggiamento intenda tenere in relazione al rilancio della chimica nel nostro Paese e di attivarsi affinché il sito di Mantova sia inserito nell'elenco previsto dal decreto interministeriale che individua i siti contaminati da reindustrializzare, ai sensi dell'articolo 252-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006.
So bene, signor sottosegretario, che un qualche riferimento importante è stato già svolto, come ha detto nella risposta che ha dato al dibattito in Commissione ambiente in riferimento alla risoluzione. Quindi, in qualche modo interpreto quel ragionamento come una sorta di anticipazione rispetto alla risposta che mi auguro possa essere positiva e che vorrà dare a nome del Governo.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, Roberto Menia, ha facoltà di rispondere.

ROBERTO MENIA, Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare. Signor Presidente, onorevole Carra, anch'io mi auguro che la risposta alla sua interpellanza sia positiva. In realtà essa ha due profili, uno di carattere generale che riguarda le finalità e le intenzioni del Governo, l'altro più specifico riguarda la questione di Mantova.
Suddividerei in due parti la mia risposta. Per quanto riguarda gli elementi di carattere generale, la politica del Governo a proposito dell'industria chimica è finalizzata alla riqualificazione dei poli chimici e alla promozione dei processi di reindustrializzazione, ovviamente compatibili con l'ambiente, attraverso il consolidamento della chimica di base e lo sviluppo delle filiere a valle.
In considerazione dell'importanza strategica che la chimica, soprattutto quella di base, riveste per la crescita e lo sviluppo dell'intero sistema produttivo nazionale, è opportuno rimarcare come il Ministero dello sviluppo economico abbia dato avvio a un tavolo nazionale per lo sviluppo ecocompatibile del settore per definire appunto nel rispetto dell'ambiente, le azioni a sostegno dello sviluppo del comparto, della competitività delle produzioni e della crescita dell'industria italiana influenzata, in misura considerevole, dall'andamento dell'industria chimica nazionale.
A tale riguardo, è opportuno ricordare che il primo incontro del tavolo nazionale per la chimica, convocato dal Ministro Scajola il 9 luglio scorso, ha riguardato il petrolchimico di Marghera, che serve con i suoi prodotti gli impianti localizzati a Mantova, a Ferrara e a Ravenna e che è inserito, con i predetti poli chimici, nelPag. 77cosiddetto quadrilatero padano in cui si concentra buona parte della chimica di base del centro-nord.
A Marghera, infatti, è presente un cracking di proprietà di Polimeri Europa (ENI) i cui prodotti principali sono l'etilene e il propilene inviati tramite pipeline a Ferrara e a Mantova dove vengono impiegati dalla stessa Polimeri per produrre plastiche (polietilene e stirene) e gomme (elastomeri, EPDM) e dalla Basell per alimentare l'impianto di polipropilene.
Nelle prossime settimane verrà convocato, nuovamente, il tavolo nazionale per la chimica con l'obiettivo di delineare il quadro di riferimento settoriale dal quale partire per individuare le azioni da promuovere per favorire il consolidamento e lo sviluppo del settore chimico. In tale ambito, particolare attenzione verrà dedicata al piano che il gruppo ENI si è impegnato a presentare.
Tutto ciò premesso, passo alla seconda parte della risposta alle questioni da lei sollevate e faccio presente che a tal proposito è stata interpellata la Polimeri Europa la quale ha ribadito quanto ha già avuto modo di comunicare alle organizzazioni sindacali di stabilimento il 30 settembre scorso e confermando, quindi, in primo luogo, la sospensione della produzione dell'impianto PR5 per difficoltà di mercato e per la non economicità di tale produzione; in secondo luogo, la ricollocazione immediata sui propri impianti dei quattordici lavoratori addetti al PR5; in terzo luogo, il mantenimento degli assetti produttivi per il futuro ed, infine, il completamento degli investimenti approvati ed in corso.
L'azienda ha, altresì, precisato di voler procedere alla riorganizzazione della struttura dello stabilimento e al completamento dell'accentramento in ENI Spa delle attività di approvvigionamento. Inoltre, Polimeri Europa ha reso noto che dall'inizio dell'anno sono stati assunti cinquantatré lavoratori e ha riconfermato la strategicità del sito di Mantova, in particolare, del centro ricerche quale elemento di eccellenza del business.
Per quanto riguarda più specificamente la richiesta di attivarsi affinché il sito chimico di Mantova sia inserito nel decreto interministeriale che individua i siti contaminati da reindustrializzare, ai sensi dell'articolo 252-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006, si comunica che il Ministero dello sviluppo economico ha attivato le procedure previste dal progetto strategico speciale di attuazione del programma straordinario nazionale per il recupero economico produttivo di siti industriali inquinati, di cui al citato provvedimento.
In ossequio a tali procedure, pertanto, sono state acquisite le indicazioni delle regioni e le informazioni sulle potenzialità di reindustrializzazione dei siti indicati e sui relativi interventi di risanamento e bonifica ambientale. Entro i termini previsti dal programma (quindi il 15 novembre 2008), il Ministero completerà l'istruttoria e formulerà una selezione dei siti più idonei a far parte dello stesso. Al termine dell'istruttoria sarà adottato un provvedimento che verrà assunto dal Ministro dello sviluppo economico di concerto con il Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare, previo parere della Conferenza Stato-regioni, ai sensi dell'articolo 252-bis del citato decreto legislativo e successive modificazioni ed integrazioni.
È da segnalare, infine, che il sito di Mantova, assieme ad altri quattro siti, è stato candidato dalla regione Lombardia per l'inserimento nell'elenco sopra riportato e, attualmente, è all'esame istruttorio della struttura ministeriale.

PRESIDENTE. L'onorevole Marco Carra ha facoltà di replicare, per dieci minuti.

MARCO CARRA. Signor Presidente, signor sottosegretario, innanzitutto ho tenuto insieme l'aspetto particolare e quello generale perché sono due facce della stessa medaglia; non vi è dubbio che, ad esempio, nei momenti di crisi dello stabilimento di Marghera, avveniva l'effetto domino, per cui «a cascata» queste situazioni di crisi si determinavano anche negli altri siti, quali quelli di Mantova, Ferrara e Ravenna.Pag. 78
Non c'è alcun dubbio che sono interessanti alcune delle sue risposte, ricavate, peraltro, dal confronto avuto con Polimeri stessa. Non sarà disperso nessuno degli attuali posti di lavoro e vi sarà il mantenimento degli assetti produttivi e degli investimenti. Non c'è altrettanto dubbio che, quando si parla di riorganizzazione e di accentramento, in questo caso mi deve consentire elementi di preoccupazione, perché dietro questi concetti e questi termini si nascondono sempre delle trappole. Seguirò con grande attenzione questa vicenda, insieme al sindaco di Mantova, al presidente dell'amministrazione provinciale, alle organizzazioni sindacali e alle associazioni industriali.
Ho apprezzato la sottolineatura relativa al centro ricerche. In sostanza, in un quadro che viene presentato a luci ed ombre, credo che vi siano gli estremi - la risoluzione presentata in Commissione ambiente lo conferma - per praticare in loco, ma anche sul piano più generale, un'iniziativa politica bipartisan. Entrambi gli schieramenti politici, infatti, riconoscono il valore strategico della chimica, in un quadro di compatibilità ambientale e di rispetto della salute del cittadino. Lo affermo, non a caso, perché non ho mai considerato particolarmente adeguata l'iniziativa del precedente Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sul tema. Credo, quindi, che di qui in avanti possa iniziare - me lo auguro, quanto meno - una storia nuova, così come continueremo, considerato che si tratta di una risposta che conferma un iter, a seguire con grande attenzione la fase istruttoria, che ci porterà al 15 novembre, ossia alla definizione dell'elenco dei siti inquinati, di cui al Ministero per lo sviluppo economico, rispetto al quale la regione Lombardia ha candidato il sito di Mantova.
Il quadro, quindi, come affermavo prima, è a luci ed ombre. Certo è che non verrà meno la nostra grande attenzione per salvaguardare la chimica a Mantova, per fare in modo che le bonifiche siano realizzate e i posti di lavoro siano tutelati e per far sì che, attraverso il centro ricerche, ci possa essere un ulteriore elemento di forte specializzazione che possa valorizzare la ricerca e, quindi, anche risorse intellettuali nuove per il contesto mantovano.

(Ritiro dell'interpellanza urgente Giachetti n. 2-00149)

PRESIDENTE. Avverto che l'interpellanza urgente Giachetti ed altri n. 2-00149, riguardante iniziative per sbloccare i trasferimenti statali a favore del servizio sanitario della regione Lazio, è stata ritirata dai presentatori.
È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 18 ottobre 2008, alle 14:

(ore 14 e dopo lo svolgimento dei punti 2 e 3)
1. - Seguito della discussione del disegno di legge (previo esame e votazione della questione pregiudiziale presentata):
Delega al Governo in materia di lavori usuranti e di riorganizzazione di enti, misure contro il lavoro sommerso e norme in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro (Già articoli 23, 24, 32, da 37 a 39 e da 65 a 67 del disegno di legge n. 1441, stralciati con deliberazione dall'Assemblea il 5 agosto 2008) (1441-quater-A).
- Relatore: Cazzola.

(ore 18)
2. - Seguito della discussione delle mozioni Cota ed altri n. 1-00033, Capitanio Santolini ed altri n. 1-00049, De Torre ed altri n. 1-00050 e Evangelisti e DonadiPag. 79n. 1-00051 concernenti iniziative in materia di accesso degli studenti stranieri alla scuola dell'obbligo.

(ore 18,30)
3. - Discussione del disegno di legge (per l'esame e la votazione della questione pregiudiziale presentata):
S. 999 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 agosto 2008, n. 134, recante disposizioni urgenti in materia di ristrutturazione di grandi imprese in crisi (Approvato dal Senato) (1742).

La seduta termina alle 15,50.

TESTO INTEGRALE DELLA RELAZIONE DEL DEPUTATO GIULIANO CAZZOLA SUL DISEGNO DI LEGGE N. 1441-QUATER-A.

GIULIANO CAZZOLA, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il disegno di legge A.C. 1441-quater, che risultava dallo stralcio degli articoli 23, 24, 32, da 37 a 39 e da 65 a 67 del disegno di legge A.C. 1441 (provvedimento collegato alla manovra di finanza pubblica per gli anni 2009-2013), è stato oggetto di significative modifiche ed integrazioni nel corso dell'esame in sede referente presso la XI Commissione.
Il testo licenziato dalla XI Commissione (A.C. 1441-quater-A) reca disposizioni che intervengono in svariati settori della materia lavoristica e previdenziale.
L'articolo 23 prevede una delega legislativa, da esercitare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, volta a concedere ai lavoratori dipendenti impegnati in lavori o attività connotati da un particolare indice di stress psico-fisico (cosiddette «attività usuranti»), che maturano i requisiti pensionistici a decorrere dal 1o gennaio 2008, la possibilità, su domanda, di accedere anticipatamente al trattamento pensionistico. Rispetto al testo originario, la Commissione ha ridotto il termine per l'esercizio della delega (portandolo da sei a tre mesi) e, aggiungendo un nuovo comma, ha introdotto un'ulteriore delega al Governo a prevedere misure di tutela a favore di talune figure di lavoratori autonomi e di appartenenti alle Forze dell'ordine impegnate in attività usuranti, tenendo in considerazione, per le Forze dell'ordine, gli anni di permanenza in attività operativa.
L'articolo 24 prevede una delega legislativa, da esercitare entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, volta a riorganizzare una serie di enti vigilati dal Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, nonché a ridefinire il rapporto di vigilanza del menzionato Ministero sugli stessi enti. L'articolo in esame, inoltre, prevede l'emanazione, entro tre mesi dall'entrata in vigore della legge, di regolamenti per il riordino degli organi collegiali e degli altri organismi istituiti con legge o con regolamento nell'amministrazione centrale della salute. Tra le modifiche introdotte dalla Commissione a tale articolo, occorre segnalare l'inserimento dell'Enasarco tra gli enti vigilati dal Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali oggetto di riorganizzazione, nonché la previsione, tra i criteri direttivi della delega, del riordino delle competenze dell'Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori, dell'Istituto per gli affari sociali e di Italia Lavoro Spa, nonché l'eventuale trasformazione di quest'ultima in ente pubblico economico, ferme restando le specifiche disposizioni vigenti per il relativo personale alla data di entrata in vigore della legge.
L'articolo 24-bis, introdotto dalla Commissione, reca modifiche all'allegato A del decreto-legge n. 112 del 2008, richiamato dalla norma «taglia-leggi» di cui all'articolo 24 del medesimo decreto. In particolare, viene soppresso nel menzionato allegato il riferimento alla legge n. 370 del 1934 («Riposo domenicale e settimanale») e al connesso decreto del Presidente della Repubblica n. 1183 del 1954.
L'articolo 32 modifica la disciplina di cui ai commi da 3 a 5 dell'articolo 3 del decreto-legge n. 12 del 2002, relativa alle sanzioni amministrative e civili previste inPag. 80caso di utilizzo di lavoro irregolare. Viene introdotta una sanzione amministrativa più lieve per coloro che, dopo aver utilizzato lavoro irregolare, abbiano successivamente regolarizzato il lavoratore in tal modo impiegato e, al contempo, si modifica la disciplina relativa all'entità delle sanzioni civili per l'utilizzazione di lavoro sommerso. Inoltre, si escludono dall'applicazione delle sanzioni amministrative e civili relative all'impiego di lavoro sommerso coloro che non abbiano dolosamente occultato il rapporto di lavoro e ciò risulti, fra l'altro, dall'effettuazione degli adempimenti di carattere contributivo.
Nel corso dell'esame in sede referente è stato introdotto il comma 3, ai sensi del quale viene ritenuto applicabile l'articolo 2116 del codice civile - che garantisce le prestazioni previdenziali anche qualora il datore di lavoro non abbia versato i contributi - anche ai lavoratori iscritti alla gestione separata presso l'INPS di cui all'articolo 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995 (si tratta sostanzialmente dei collaboratori coordinati e continuativi), nel caso in cui il committente titolare dell'obbligo contributivo risulti inadempiente.
L'articolo 32-bis, introdotto dalla Commissione, reca modifiche alle sanzioni relative alla violazione della disciplina sull'orario di lavoro. In particolare, novellando l'articolo 18-bis del decreto legislativo n. 66 del 2003, si provvede a rimodulare le sanzioni previste in caso di violazione delle norme sui riposi settimanali e sul riposo giornaliero.
L'articolo 37 reca alcune modifiche all'articolo 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001, in materia di reclutamento del personale delle pubbliche amministrazioni, in particolare prevedendo, al comma 1, il principio della prevalenza, nella copertura del fabbisogno di personale, del reclutamento dall'esterno tramite concorsi pubblici, previo ricorso alla mobilità. Inoltre si precisa, al comma 2, che le determinazioni relative all'avvio delle procedure di reclutamento da adottare da ciascuna amministrazione o ente sulla base della programmazione triennale del fabbisogno di personale debbano tener conto dell'articolazione delle dotazioni organiche per area o categoria, profilo professionale e posizione economica. L'articolo reca altresì, al comma 3, l'obbligo, per le amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici non economici, di individuare i posti da ricoprire, in sede di programmazione triennale del fabbisogno di personale, con riferimento alle sedi di servizio ovvero all'ambito regionale, nonché l'obbligo, per i vincitori delle procedure di progressione verticale, di permanenza nella sede di destinazione per un periodo di almeno cinque anni: si prevede inoltre quale titolo di preferenza nelle stesse procedure di progressione verticale la permanenza in sedi carenti di organico. Il comma 5, introdotto dalla Commissione, attraverso una novella dell'articolo 35, comma 5-ter, del decreto legislativo n. 165 del 2004, dispone che le graduatorie dei concorsi pubblici per il reclutamento del personale rimangano in vigore per quattro anni (anziché tre come previsto attualmente) dalla data di pubblicazione, che nella formazione delle graduatorie relative ai concorsi pubblici per il reclutamento del personale, a parità di punteggio, costituisca titolo preferenziale la residenza nelle regione per i posti ivi banditi, nonché che i bandi di concorso prevedano per la formazione delle graduatorie la non considerazione del punteggio del titolo di studio. A proposito di questi due ultimi emendamenti è bene precisare che, per quanto riguarda il titolo preferenziale della residenza nella regione per i posti ivi banditi, la Corte costituzionale, con sentenza n. 268 del 2001 ha stabilito che «spetta alla discrezionalità del legislatore (...) la determinazione dei criteri di preferenza tra i candidati a parità di punteggio». Se questo principio della Corte vale in termini generali è bene richiamare una serie di sentenze della Consulta stessa (sentenze n. 158 del 1969, n. 86 del 1963, n. 13 del 1961, n. 15 del 1960) nelle quali viene affermato che «il principio dell'accesso a parità di condizioni ai pubblici uffici può subire deroghe, con specifico riferimento al luogo di residenza dei concorrenti, quando il requisito medesimo siaPag. 81ricollegabile, come mezzo al fine, all'assolvimento di servizi altrimenti non attuabili o almeno non attuabili con identico risultato». Sembra quindi prematuro parlare con sicurezza di incostituzionalità della norma. Per quanto concerne, invece, la questione della valutazione del punteggio del titolo di studio nella formazione delle graduatorie, deve essere ribadito con chiarezza che non è affatto precluso che un particolare punteggio sia incluso tra i requisiti per l'ammissione al concorso.
L'articolo 37-bis reca disposizioni in materia di stabilizzazione. Si prevede che a decorrere dal lo luglio 2009 siano abrogate una serie di norme delle leggi finanziarie per il 2007 e per il 2008 che autorizzavano la stabilizzazione del personale «precario» (con contratto a termine o di collaborazione coordinata e continuativa) delle pubbliche amministrazioni; sono comunque fatte salve le procedure di stabilizzazione in corso, per le quali si sia proceduto all'espletamento delle relative prove selettive alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, fermo restando che le medesime procedure di stabilizzazione devono essere concluse entro il 30 giugno 2009. Si dispone quindi che, nel triennio 2009-2011, le pubbliche amministrazioni, nelle procedure concorsuali per assunzioni a tempo indeterminato, possono prevedere una riserva di posti non superiore al 40 per cento per il personale con contratto a tempo determinato con anzianità di servizio almeno triennale. Inoltre, si stabilisce che, a decorrere dal 1o luglio 2009, alla data di scadenza dei relativi contratti, le pubbliche amministrazioni non possono, in alcun caso, proseguire i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e di lavoro dipendente a tempo determinato in contrasto con la disciplina vigente (ai sensi della quale, per esempio, le pubbliche amministrazioni non possono ricorrere all'utilizzo del medesimo lavoratore con più tipologie contrattuali per periodi di servizio superiori ai tre anni nell'arco dell'ultimo quinquennio); si dispone tuttavia che con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da adottare entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, siano stabiliti i criteri e le modalità in base alle quali le amministrazioni possono proseguire i rapporti di lavoro a tempo determinato anche in deroga a tale disposizione e comunque non oltre l'espletamento delle sopraindicate procedure concorsuali.
L'articolo 38, recante disposizioni in materia di mobilità del personale delle amministrazioni pubbliche, al comma 1 dispone che, se a seguito di conferimento di funzioni statali alle regioni ed agli enti locali ovvero di trasferimento di attività svolte da pubbliche amministrazioni ad altri soggetti pubblici ovvero di esternalizzazione di attività e servizi il personale adibito a tali funzioni risulta in eccedenza, a tale personale si applicano le disposizioni in materia di mobilità collettiva e di collocamento in disponibilità di cui all'articolo 33 del decreto legislativo n. 165 del 2001. Ai sensi del comma 2, il personale che rifiuta, per due volte in 5 anni, il trasferimento per giustificate ed obiettive esigenze di organizzazione dell'amministrazione, si considera in posizione di esubero e viene conseguentemente collocato in disponibilità. Il comma 3 dispone che le pubbliche amministrazioni, per motivate esigenze organizzative, possano utilizzare in assegnazione temporanea personale di altre amministrazioni per un periodo non superiore a 3 anni, fermo restando quanto già previsto da norme speciali in materia.
L'articolo 38-bis, introdotto dalla Commissione, dispone che nel caso di conferimento di incarichi di livello dirigenziale generale a dirigenti di seconda fascia assegnati in posizione di prestito, non si applica la norma ai sensi della quale i dirigenti della seconda fascia transitano nella prima qualora abbiano ricoperto incarichi di direzione di uffici dirigenziali generali per un periodo pari almeno a tre anni senza essere incorsi nelle misure previste per le ipotesi di responsabilità dirigenziale. Tale disposizione si applica agli incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della legge.Pag. 82
L'articolo 38-ter, anch'esso introdotto dalla Commissione, prevede la possibilità, per il dipendente in servizio in posizione di comando o di fuori ruolo presso amministrazione dello Stato diversa da quella di appartenenza, di essere trasferito, su domanda, nei ruoli dell'amministrazione in cui presta servizio.
L'articolo 38-quater, inserito nel corso dell'esame in sede referente, prevede che, in sede di prima applicazione della nuova disciplina relativa alla trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale introdotta dal decreto legge n. 112 del 2008, le pubbliche amministrazioni possono sottoporre a nuova valutazione i provvedimenti di concessione della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale già adottati prima dell'entrata in vigore del menzionato decreto.
Il nuovo articolo 38-quinquies, inserito nel corso dell'esame in sede referente, dispone che al personale dirigenziale e non, trasferito ed inquadrato nei ruoli della Presidenza del Consiglio dei ministri in attuazione del decreto-legge n. 181 del 2006 sul riordino dell'organizzazione del Governo e del decreto-legge n. 262 del 2006, recante disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria, si applicano, a decorrere dal 1o gennaio 2009, i contratti collettivi di lavoro del comparto Presidenza del Consiglio dei ministri.
L'articolo 39 prevede la possibilità, per i dipendenti pubblici, di essere collocati in aspettativa non retribuita e senza decorrenza dell'anzianità di servizio, per un periodo massimo di dodici mesi, anche per avviare attività professionali e imprenditoriali, precisando che nel periodo di aspettativa non trovano applicazione le disposizioni in tema di incompatibilità per i dipendenti pubblici.
L'articolo 39-bis, introdotto dalla Commissione, reca una norma di principio che riconosce la specificità del ruolo delle Forze armate e delle Forze di polizia ai fini della tutela economica e previdenziale del relativo personale.
L'articolo 39-ter, anch'esso non presente nel testo originario, è volto a novellare l'articolo 46 del decreto-legge n. 112 del 2008, che reca misure in tema di collaborazioni e consulenze nelle pubbliche amministrazioni e negli enti locali, prevedendo che si prescinda dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in caso di stipulazione di contratti di collaborazione coordinata e continuativa per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino anche nel campo dell'attività informatica, nonché a supporto dell'attività didattica e di ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione dei contratti di lavoro.
L'articolo 39-quater, introdotto in sede referente, dispone che le pubbliche amministrazioni che si avvalgono della norma di cui all'articolo 72, comma 11, del decreto-legge n. 112 del 2008 - che permette, in caso di compimento dell'anzianità massima contributiva di 40 anni del personale dipendente, di risolvere il rapporto di lavoro con un preavviso di sei mesi - possono corrispondere al personale dirigenziale un'indennità sostitutiva di preavviso ovvero conferire al medesimo un incarico ispettivo, di consulenza, studio e ricerca.
L'articolo 39-quinquies, non presente nel testo originario, reca una delega al Governo per il riordino della normativa vigente in materia di congedi, aspettative e permessi fruibili dai lavoratori dipendenti. Tra i principi e criteri direttivi figurano il riordino delle tipologie di permessi e la razionalizzazione e semplificazione dei criteri e delle modalità per la fruizione dei congedi, aspettative e permessi.
L'articolo 39-sexies prevede, a decorrere dal 1o gennaio 2009, l'invio per via telematica della certificazione medica relativa alle assenze per malattia, da parte del medico o della struttura sanitaria che la rilascia, all'INPS, che a sua volta la inoltra all'amministrazione o al datore di lavoro interessati. Inoltre, novellando l'articolo 71, comma 2, del decreto-legge n. 112 del 2008, si prevede esplicitamente che, in caso di assenza per malattia protratta per un periodo superiore a dieciPag. 83giorni, e, in ogni caso, dopo il secondo evento di malattia nell'anno solare, si ricorra esclusivamente ad una struttura sanitaria pubblica per il rilascio della certificazione medica e che tale certificazione possa essere rilasciata anche da un medico convenzionato con il SSN.
L'articolo 39-septies dispone, attraverso la novella al comma 1-bis dell'articolo 71 del decreto-legge n. 112 del 2008, che al personale del comparto sicurezza e difesa non si applichi la norma relativa alla corresponsione ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni, per i periodi di assenza per malattia di qualunque durata, nei primi dieci giorni di assenza, del solo trattamento economico fondamentale con esclusione di ogni indennità o emolumento, comunque denominati, aventi carattere fisso e continuativo, nonché di ogni altro trattamento accessorio. Inoltre, l'articolo in esame abroga il comma 5 del menzionato articolo 71, che dispone, per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, la non equiparabilità delle assenze dal servizio alla presenza in servizio ai fini della distribuzione delle somme dei fondi per la contrattazione integrativa, ad eccezione di determinate tipologie di assenze.
L'articolo 65, al comma 1, dispone che il controllo giudiziale sulla ricorrenza dei presupposti previsti dalle «clausole generali» contenute nelle norme di legge relative ai rapporti di lavoro subordinato e «parasubordinato» deve limitarsi esclusivamente all'accertamento del presupposto di legittimità e non può estendersi al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che spettano al datore di lavoro o al committente. Il comma 2 prevede che il giudice, nella qualificazione del contratto di lavoro e nell'interpretazione delle clausole in esso contenute, non possa discostarsi dalle valutazioni delle parti espresse nell'ambito della certificazione dei contratti di lavoro, salvo nei casi di erronea qualificazione del contratto, di vizi del consenso o di difformità tra la previsione negoziale certificata e la sua attuazione. Il comma 3 dispone che il giudice, nel valutare le motivazioni poste alla base del licenziamento, debba tener conto delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro ovvero nei contratti individuali di lavoro se stipulati con l'assistenza delle commissioni di certificazione. Analogamente, il giudice, nello stabilire le conseguenze da riconnettere al licenziamento ingiustificato, deve tener conto degli elementi e dei parametri appositamente individuati dai suddetti contratti nonché di una serie di elementi di fatto direttamente indicati dalla disposizione in esame. L'articolo poi, riformulando l'articolo 75 del decreto legislativo n. 276 del 2003, che individua la finalità della procedura di certificazione, amplia sul piano definitorio l'ambito di intervento della certificazione. A seguito delle modifiche introdotte dalla Commissione, l'articolo specifica, in riferimento all'abilitazione alla certificazione dei contratti da parte dei consigli provinciali dei consulenti del lavoro, esclusivamente per i contratti di lavoro instaurati nell'ambito territoriale di riferimento senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, che tali consigli possono comunque procedere alla certificazione nell'ambito di intese definite tra il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali e l'Ordine nazionale dei consulenti del lavoro, con l'attribuzione a quest'ultimo delle funzioni di coordinamento e vigilanza per gli aspetti organizzativi.
L'articolo 66 interviene sulla disciplina del processo del lavoro contenuta nel codice di procedura civile introducendo, in particolare, nuove modalità di conciliazione ed arbitrato. Tra l'altro, si dispone la facoltatività del tentativo di conciliazione di modo che le procedure di conciliazione siano esperite dalle parti che siano effettivamente interessate a raggiungere un accordo senza percorrere la via giudiziale. Il tentativo di conciliazione resta obbligatorio nei casi di certificazione dei contratti.
L'articolo 67, comma 1, sostituendo l'articolo 6, primo comma, della legge n. 604 del 1966, allunga da sessanta giorni a centoventi giorni dal ricevimento della sua comunicazione (ovvero della comunicazionePag. 84dei motivi se non contestuale) il termine, previsto a pena di decadenza, per l'impugnazione del licenziamento. Tuttavia, allo stesso tempo, si dispone che tale impugnazione possa essere effettuata esclusivamente con ricorso al giudice del lavoro e non più (come nella normativa vigente) con qualsiasi atto scritto anche stragiudiziale. Il comma 2 precisa che il termine previsto a pena di decadenza dal precedente comma per l'impugnazione del licenziamento si applica anche ai casi di nullità del licenziamento, nonché alle ipotesi di licenziamento inefficace. Il comma 3 estende l'ambito di applicazione del predetto termine di decadenza anche: ai licenziamenti che presuppongano la risoluzione di questioni attinenti alla qualificazione del rapporto lavorativo ovvero alla legittimità del termine apposto al contratto; al recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto; al trasferimento del lavoratore subordinato da un'unità produttiva ad un'altra; alla impugnazione del termine apposto illegittimamente nei contratti di lavoro a tempo determinato.
L'articolo 67-bis, introdotto dalla XI Commissione, detta disposizioni in materia di spese di giustizia nei processo del lavoro, prevedendo che per tali processi il contributo unificato è dovuto nella misura di euro 103,30.
L'articolo 67-ter, introdotto dalla XI Commissione, rinnova, anche per l'anno 2009, la possibilità di concessione «in deroga» dei trattamenti di integrazione salariale straordinaria, di mobilità e di disoccupazione speciale subordinatamente alla realizzazione di programmi finalizzati alla gestione di crisi occupazionali definiti con specifici accordi in sede governativa, disponendosi altresì l'autorizzazione per la proroga dei menzionati ammortizzatori sociali a condizione che i piani di gestione delle eccedenze abbiano portato ad una riduzione del numero dei destinatari dei medesimi trattamenti. Inoltre, si prevede la possibilità di concedere, anche per l'anno 2009, i trattamenti di integrazione salariale straordinaria e di mobilità ai lavoratori subordinati delle imprese del commercio con più di 50 dipendenti, delle agenzie di viaggio e turismo con più di 50 dipendenti e delle imprese di vigilanza con più di 15 dipendenti. Si prevede altresì la proroga anche per l'anno 2009, per le imprese non comprese nell'ambito ordinario di applicazione della disciplina dei contratti di solidarietà, del termine entro il quale esse possono stipulare i predetti contratti (in particolare, contratti di solidarietà «difensivi»), beneficiando di determinate agevolazioni. Inoltre, si proroga a tutto il 2008 la possibilità di iscrizione nelle liste di mobilità per i lavoratori delle piccole imprese licenziati per giustificato motivo oggettivo connesso a riduzione, trasformazione o cessazione di attività o di lavoro.
L'articolo 67-quater, introdotto dalla XI Commissione, è volto a prorogare il termine per l'esercizio di deleghe previste dalla legge n. 247 del 2007, di attuazione del Protocollo sul welfare del 23 luglio 2007. Si tratta, in particolare, delle deleghe finalizzate al riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, nonché in materia di occupazione femminile.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, proprio perché hanno sollevato un vivace dibattito le modifiche riguardanti il processo del lavoro e il rafforzamento del ricorso a procedure stragiudiziali come la conciliazione e l'arbitrato per la risoluzione delle controversie di lavoro, ritengo necessario dedicare una particolare attenzione a questa delicata e complessa problematica. Le scelte compiute sono espressione della volontà del Governo e della maggioranza di meglio tutelare i diritti dei lavoratori, per nulla garantiti dalla attuale situazione della giustizia del lavoro.
Queste le principali critiche alle norme del disegno di legge riguardanti il processo: verrebbero vincolati i giudici nella loro attività di controllo sull'esercizio dei poteri datoriali; la norma sui licenziamenti smonterebbe lo statuto dei lavoratori e metterebbe in discussione l'articolo 18; il ricorso alle procedure arbitrali conciliativePag. 85sarebbe eccessivo; le norme che impongono decadenze abolirebbero la possibilità, ora prevista, di impugnare il licenziamento con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale.
Per quanto riguarda le clausole generali, il disegno di legge dispone che in tutti i casi nei quali le disposizioni di legge nelle materie lavoristiche contengano clausole generali, ivi comprese le norme in tema di instaurazione di un rapporto di lavoro, esercizio dei poteri datoriali, trasferimento di azienda e recesso, il controllo giudiziale sia limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali dell'ordinamento, all'accertamento del presupposto di legittimità e non possa essere esteso al sindacato di merito sulle valutazioni tecniche, organizzative e produttive che competono al datore di lavoro o al committente.
Non è una norma innovativa. II principio è già affermato da diverse norme di legge in relazione a specifiche clausole generali. Ad esempio, la legge Biagi lo prevede espressamente con riferimento al lavoro a progetto. La legge Biagi stabilisce che qualora venga accertato dal giudice che il rapporto instaurato fittiziamente come lavoro a progetto sia venuto a configurare, nella realtà, un rapporto di lavoro subordinato, esso si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti. La stessa legge dispone però, a tale riguardo, che il controllo giudiziale sia limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali dell'ordinamento, all'accertamento della esistenza del progetto, programma di lavoro o fase di esso e non possa essere esteso fino al punto di sindacare nel merito valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano al committente.
Ciò è inoltre previsto con riferimento alla somministrazione di lavoro. Essa è infatti consentita unicamente in presenza di ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo; il controllo giudiziale è espressamente limitato esclusivamente all'accertamento della esistenza delle ragioni che la giustificano e non può essere esteso fino al punto di sindacare nel merito valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano all'utilizzatore.
Ma non solo. Anche laddove, in presenza di clausole che fanno rinvio a causali generali (come ad esempio appunto le «ragioni tecniche», le «ragioni produttive», eccetera), la legge non disponga espressamente che il controllo giudiziale non può essere esteso alla opportunità della scelta del datore di lavoro, tale principio è comunque ritenuto pacifico dalla stessa giurisprudenza della Corte di Cassazione. Così, ad esempio, in relazione al potere datoriale di trasferire il lavoratore da una unità produttiva ad un'altra, il codice civile stabilisce che tale potere può essere esercitato soltanto per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, ed al riguardo la Cassazione è costante nell'affermare che «il controllo giurisdizionale sulle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, che legittimano il trasferimento del lavoratore subordinato, deve essere diretto ad accertare soltanto se vi sia corrispondenza tra il provvedimento datoriale e le finalità tipiche dell'impresa, e, trovando un preciso limite nel principio di libertà dell'iniziativa economica privata (garantita dall'articolo. 41 della Costituzione), il controllo stesso non può essere esteso al merito della scelta imprenditoriale, né questa deve presentare necessariamente i caratteri della inevitabilità, essendo sufficiente che il trasferimento concreti una tra le scelte ragionevoli che il datore di lavoro possa adottare sul piano tecnico, organizzativo o produttivo» (da ultimo, Corte di cassazione 23 febbraio 2007, n. 4265).
Si tratta quindi di un principio già pacifico, che ora viene espresso in via generale per tutte le volte in cui l'ordinamento, nelle materie lavoristiche, fa riferimento a clausole come quelle sopra descritte.
D'altra parte, il passaggio da disposizioni formaliste e rigide a norme con finalità antifraudolenta (si pensi al lavoro a termine, in cui si è passati da un elenco tassativo di casi nei quali esso era consentito,Pag. 86ad una previsione di carattere generale che ammette il ricorso a questo tipo di rapporto in tutti i casi in cui vi sia una ragione espressamente indicata) richiede che il controllo del giudice non si estenda alla valutazione delle opportunità delle scelte datoriali. Ove ciò avvenisse sarebbe violato il principio di libertà di iniziativa economica e la norma diverrebbe fonte di incertezza, in quanto suscettibile di valutazioni sul merito della scelta imprenditoriale, valutazioni soggettive in quanto tali.
Per quanto riguarda la norma sui licenziamenti, il disegno di legge stabilisce che nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, il giudice tiene conto, oltre che delle fondamentali regole del vivere civile e dell'oggettivo interesse dell'organizzazione, delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi ovvero nei contratti individuali di lavoro ove stipulati con l'assistenza e la consulenza delle commissioni di certificazione. Nel definire le conseguenze da riconnettere al licenziamento, il giudice tiene ugualmente conto di elementi e di parametri fissati dai predetti contratti e comunque considera le dimensioni e le condizioni dell'attività esercitata dal datore di lavoro, la situazione del mercato del lavoro locale, l'anzianità e le condizioni del lavoratore, nonché il comportamento delle parti anche prima del licenziamento. Anche su questo aspetto, vengono ribaditi principi già elaborati dalla giurisprudenza di legittimità. Vero è, infatti, che la Cassazione ribadisce costantemente che la nozione di giusta causa è nozione legale e conseguentemente il giudice non è vincolato alle previsioni di condotte integranti giusta causa contenute nei contratti collettivi. Tuttavia, la stessa Corte di cassazione ha precisato più volte che «ciò non esclude che ben possa il giudice far riferimento ai contratti collettivi e alle valutazioni che le parti sociali compiono in ordine alla valutazione della gravità di determinati comportamenti rispondenti, in linea di principio, a canoni di normalità». È quanto stabilisce la norma introdotta nella proposta di legge. Non si mutano, infatti, le ragioni per le quali il datore di lavoro può recedere dal contratto a tempo indeterminato, che permangono la giusta causa ed il giustificato motivo, ma ai fini del riscontro di tali causali dovrà tenersi conto delle tipizzazioni fatte dai contratti collettivi, le quali - altrimenti - non avrebbero alcuna funzione.
Quanto alle tipizzazioni contenute in contratti certificati, anche esse costituiscono per il giudice un metro di valutazione, in considerazione della volontà appositamente espressa dalle parti secondo il principio dello «stare ai patti», con la garanzia di un organo certificatore che vigila affinché dette tipizzazioni non siano vessatorie per il lavoratore.
Nemmeno quanto alle conseguenze del licenziamento viene minimamente toccata la normativa sulla tutela del posto di lavoro.
Resta immutata, infatti, la tutela reale del posto di lavoro sancita dall'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e la tutela obbligatoria prevista dalla legge n. 604 del 1966. Sulle conseguenze di tipo risarcitorio stabilite da queste leggi vengono indicati quali parametri valutativi gli elementi fissati dai contratti collettivi e dai contratti individuali certificati, le dimensioni e le condizioni dell'attività esercitata dal datore di lavoro, la situazione del mercato del lavoro locale, l'anzianità e le condizioni del lavoratore, nonché il comportamento delle parti anche prima del licenziamento, elementi tutti che certo vanno ad incidere sul danno patito dal lavoratore in caso di licenziamento illegittimo e che in quanto tali vanno presi in considerazione.
Sulla conciliazione e l'arbitrato. L'unica alternativa al procedimento giurisdizionale, attualmente ingolfato dalla miriade di vertenze di lavoro riversate nelle cancellerie dei tribunali italiani, è l'arbitrato, sull'esempio di quanto già avviene in diverse normative. L'arbitrato, per essere appetibile, deve essere libero, stabile e conveniente, e la stessa apertura - contemplataPag. 87dal disegno di legge - ad una pluralità di modi per la definizione dell'arbitrato è funzionale ad avvicinare questa via di risoluzione dei conflitti alle parti litiganti.
Il tentativo di conciliazione, come attualmente previsto, è inutile. Lo dimostrano i dati forniti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali (Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro - Divisione IV) nel rapporto sulla attività conciliativa svolta dalle Direzioni del lavoro nel corso dell'anno 2004. In base ad essi, limitando l'indagine al settore privato, su 319.815 controversie instaurate nel corso dell'anno le vertenze individuali conciliate sono solo 77.487, quelle non conciliate 51.268, mentre quelle che non vengono nemmeno trattate ammontano a 260.708. Insomma, così le DPL, tranne rare eccezioni in alcune province, non ce la fanno: cinque volte su sei la obbligatorietà del tentativo di conciliazione si traduce sostanzialmente in una inutile attesa di sessanta giorni prima che possa essere proposta la causa. Anche su questo aspetto, quindi, l'obiettivo del disegno di legge è quello di eliminare inutili dilazioni dei tempi della giustizia, ma al contempo di agevolare la conciliazione ove voluta dalle parti.
Per quanto riguarda la norma sulle decadenze, lo stesso progetto di legge elaborato dalla Commissione Foglia ed anche il disegno di legge proposto la scorsa legislatura dai senatori dell'allora maggioranza Salvi e Treu prevedevano una disposizione del tutto analoga a quella introdotta dal disegno di legge n. 1441-quater.
La norma, in realtà, dilata il termine di decadenza per la impugnazione del licenziamento, dagli attuali 60 giorni a 120 giorni. Al contempo, tuttavia, stabilisce che essa debba essere fatta con atto giudiziale. Il che vuol dire che il lavoratore non può tenere in sospeso il datore di lavoro per un tempo illimitato. Chi lamenta la illegittimità del comportamento datoriale (non solo in caso di licenziamento, ma anche in caso di apposizione del termine, di trasferimento, di recesso nelle collaborazioni a progetto) deve decidersi: o propone la causa entro 120 giorni, oppure non la propone più.
Il termine di centoventi giorni diventerà, presumibilmente, nei fatti, anche il termine per la definizione delle trattative fra l'azienda ed il lavoratore per trovare un accordo, accelerando in tal modo anche i tempi della conciliazione; in difetto, infatti, la parte datoriale è consapevole che quanto più si approssima il termine, tanto maggiore è il rischio della proposizione di un'azione legale.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO ALDO DI BIAGIO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE N. 1441-QUATER-A

ALDO DI BIAGIO, Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento che oggi ci accingiamo ad esaminare e a discutere ha ampiamente attirato l'attenzione dei media e dell'opinione pubblica, poiché affronta, nelle sue disposizioni, tematiche e questioni di forte rilevanza sociale ed economica, e proprio in virtù di ciò è mia priorità sottolineare alcuni aspetti che mi auguro siano valorizzati e soprattutto compresi nelle prossime battute della discussione.
Le disposizioni in esame, recanti misure in tema di lavoro pubblico, segnatamente relative alle procedure di stabilizzazione, hanno introdotto significative dinamiche di razionalizzazione in questo settore per cui meritano un'attenzione particolare, poiché è forte la mia sensibilità nei confronti dei tanti lavoratori del settore pubblico che si sentono direttamente coinvolti dal provvedimento.
In questa sede, ribadisco il mio apprezzamento ed il mio più profondo sostegno al lavoro che con impegno e valore il Governo porta avanti su questo settore, in nome della razionalizzazione e della semplificazione,Pag. 88e riconosco la volontà e la disponibilità da parte dell'Esecutivo di accogliere i suggerimenti e le considerazioni formulate da molti di noi durante l'esame nelle Commissioni.
Ma allo stesso tempo mi preme richiamare l'attenzione dei suoi componenti sull'esigenza di valorizzare e fornire una pur moderata garanzia al personale precario della pubblica amministrazione che per diversi anni ha assicurato, in virtù del blocco della assunzioni pubbliche, il funzionamento degli uffici e dei molteplici servizi del settore pubblico.
Proprio tenendo in considerazione queste aspetti e i dati che li sostengono, sarebbe opportuno almeno garantire un lasso di tempo maggiore prima dell'entrata in vigore delle disposizioni previste dal decreto affinché possa essere garantito un monitoraggio capillare su tutte le tipologie di contratto cosiddetto precario in vigore presso la pubblica amministrazione e le relative modalità di assunzione adottate dalle singole amministrazioni pubbliche, oltre che tracciare il numero di vincitori di concorso in attesa di assunzione, al fine di predisporre le condizioni per porre in atto il provvedimento. Il mio pensiero è rivolto, segnatamente, a quei tanti lavoratori assunti nella rete consolare italiana all'estero, tramite concorso, che attualmente non possono godere della stabilizzazione del contratto di lavoro, vivendo sia il disagio e le problematiche che caratterizzano i lavoratori che svolgono il loro dovere lontani dalla propria terra, sia quello di non vedersi riconosciuti diritti e garanzie che spetterebbero a tutti i lavoratori.
Il mio auspicio, onorevoli colleghi, è che la razionalizzazione e la semplificazione che caratterizzeranno l'organizzazione del lavoro all'interno della struttura pubblica, attraverso la valorizzazione del principio costituzionale del concorso pubblico per l'accesso all'incarico, garantisca realmente un percorso e un futuro ai lavoratori che hanno prestato con impegno servizio presso le amministrazioni.

CONSIDERAZIONI INTEGRATIVE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO CINZIA CAPANO IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE N. 1441-QUATER-A

CINZIA CAPANO. Si pensi al criterio di proporzionalità cui ha dovuto far riferimento la giurisprudenza per dare applicazione alla ipotesi di licenziamento per gravi mancanze. Esse infatti non possono che essere individuate in relazione alla specifica dinamica dei fatti contestati e sono difficilmente definibili in via generale ed astratta. L'effetto che si produce, quindi è da un lato l'incertezza nel prefigurare gli effetti del licenziamento, sicuramente dannosa anche per i datori di lavoro, e dall'altro una consistente limitazione del diritto di difesa del lavoratore licenziato, con il risultato di mettere sullo stesso piano comportamenti assai diversi tra loro. Il parere della Commissione giustizia invita la Commissione di merito a «meglio definire l'ambito del controllo giudiziario sulle motivazioni poste a base del licenziamento».
Ed a questo indebolimento del diritto di difesa fa riscontro la nuova disciplina della decadenza dall'esercizio del diritto di impugnare il licenziamento.
La previsione di raddoppiare il termine e nello stesso tempo di vincolare l'esercizio all'instaurazione del giudizio elimina per il lavoratore la possibilità di ricercare soluzione transattive in un tempo ragionevole, anche dopo aver adempiuto all'impugnazione stragiudiziale, e dall'altro «sperpera» le risorse della giurisdizione per cause che avrebbero potuto trovare esiti conciliativi in tempi più ragionevoli dei 120 giorni.
Né peraltro assicura al datore di lavoro la possibilità di non rimanere «sospeso» nell'incertezza sulla esistenza della instaurazione del giudizio. Infatti la norma, disattendendo la consolidata giurisprudenza che qualifica l'atto di impugnazione «a carattere recettizio», collega la decadenza con il deposito del ricorso, cioè ad una circostanza che può benissimo rimanerePag. 89ignota al datore di lavoro anche per anni se la prima udienza, come capita in molte sedi giudiziarie, è successiva di anni al deposito di ricorso. Non a caso il parere della Commissione giustizia, votato non da noi ma dalla maggioranza di Governo, invita la Commissione di merito a riformulare l'istituto al fine di renderlo compatibile con la ratio deflattiva del complessivo intervento sul processo del lavoro.
Ciò senza far riferimento alla assoluta incertezza e indeterminatezza che porterebbe la previsione del termine anche per i licenziamenti inefficaci e nulli che collega effetti giuridici a comportamenti che per la legge sono tamquam non esset. Ma con questo Governo dell'«effetto ottico» conta poco.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL RELATORE GIULIANO CAZZOLA IN SEDE DI REPLICA SUL DISEGNO DI LEGGE N. 1441-QUATER-A

GIULIANO CAZZOLA, Relatore. Ringrazio i colleghi che sono intervenuti, il sottosegretario onorevole Viespoli che ci ha seguito con competenza e moderazione, gli uffici che hanno dato un prezioso supporto al lavoro della Commissione. Ringrazio in particolare gli onorevoli Berretta, Delfino e Schirru che hanno voluto riconoscere una capacità di dialogo alla maggioranza ed al relatore.
Nelle votazioni in Commissione la maggioranza è sempre prevalsa. Se non fossimo stati convinti delle modifiche proposte alle norme sicuramente non avremmo subito la «resistibile offensiva» della opposizione.
Ricordo per inciso che la proposta di allargare la tutela dei lavori usuranti a talune figure di lavoratori autonomi e di appartenenti alle forze dell'ordine è venuta dal relatore.
L'onorevole Paladino sa benissimo che l'ordinamento pensionistico delle forze dell'ordine già tiene conto della loro specificità nel senso che, in via generale, quelle categorie già godono di requisiti di età e di anzianità più favorevoli. Voglio altresì ricordare la proposta, votata all'unanimità, di fornire un'interpretazione autentica dell'articolo 2116 del codice civile che dia una tutela fondamentale ai collaboratori nel caso in cui il committente evada il versamento dei contributi.
Non sono riuscito a comprendere le critiche che l'onorevole Binetti ha rivolto all'articolo 24 ed al disegno di riordino degli enti vigilati dal Ministero del welfare, come se la loro attuale regolazione fosse per sua natura immodificabile, mentre non sembra proprio che il sistema sanitario non funzioni nel migliore dei modi.
Quanto all'articolo 37-bis vorrei capire perché l'opposizione si vanta di aver introdotto una norma nella legge n. 247 del 2007 che limita a trentasei mesi la durata complessiva dei contratti a termine, mentre una norma analoga nel pubblico impiego sarebbe un attacco ai diritti dei precari.
Vorrei altresì capire perché un giovane laureato da pochi mesi dovrebbe vedersi precluso l'accesso alla pubblica amministrazione perché costretto ad aspettare la stabilizzazione di quanti sono stati assunti brevi manu e sono rimasti nella pubblica amministrazione nella speranza di non uscirne mai più.
Noi siamo consapevoli che nella pubblica amministrazione si sia creata una situazione insostenibile.
La proposta del Governo intende uscire dal caos, portare ordine, fare luce nelle tenebre.
Quanto alle misure sulla territorializzazione dei concorsi io ho citato delle sentenze della Corte costituzionale e non ho ricevuto repliche di analogo tenore.
Con tutta l'autorevolezza che le va riconosciuta, quello della Commissione affari costituzionali è un parere.
Vedremo come andrà il voto sulla pregiudiziale di costituzionalità che affronta anche questa materia.
Arriviamo così al processo del lavoro. Noi siamo aperti al confronto, come lo siamo stati in Commissione. DifendiamoPag. 90però la scelta strategica di dare più spazio alle conciliazioni ed all'arbitrato e al ruolo delle parti contrattuali.
Non condividiamo il pregiudizio dell'opposizione nei confronti della certificazione corredata nella norma di adeguate garanzie per il lavoratore.
E respingiamo il tentativo surrettizio di evocare il fantasma dell'articolo 18 della legge n. 300 del 1970, soltanto per difendere lo status quo di un processo che, per quelli che sono i suoi risultati (si vedano i documenti della Commissione Foglia), non può essere annoverato tra i presidi a garanzia del lavoratore.

ERRATA CORRIGE

Nel resoconto stenografico della seduta del 9 ottobre 2008, a pagina 102, prima colonna, ventiseiesima riga, le parole: «senza alcun», si intendono sostituite dalla seguente: «avevano».