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Resoconto dell'Assemblea

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XVI LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 21 di lunedì 23 giugno 2008

Pag. 1

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
ROSY BINDI

La seduta comincia alle 15,35.

GREGORIO FONTANA, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 16 giugno 2008.
(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Albonetti, Angelino Alfano, Berlusconi, Bocchino, Bonaiuti, Bossi, Brambilla, Brunetta, Carfagna, Casero, Cirielli, Colucci, Cota, Craxi, Crimi, Crosetto, Fitto, Frattini, Gelmini, Gibelli, Alberto Giorgetti, La Russa, Lupi, Mantovano, Maroni, Martini, Meloni, Miccichè, Prestigiacomo, Rigoni, Roccella, Romani, Ronchi, Rotondi, Soro, Stefani, Stucchi, Tremonti, Urso, Vegas, Vito e Zacchera sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
Pertanto i deputati in missione sono complessivamente quarantacinque, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, recante disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie (A.C. 1185-A) (ore 15,37).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, recante disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1185-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Partito Democratico e Unione di Centro ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.
Avverto altresì che le Commissioni V (Bilancio) e VI (Finanze) si intendono autorizzate a riferire oralmente.
L'onorevole Ravetto, relatrice per la V Commissione, ha facoltà di svolgere la relazione.

LAURA RAVETTO, Relatore per la V Commissione. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, come opportunamente reca la sua intestazione il provvedimento oggi posto all'attenzione di codesta Assemblea detta alcune misure di notevole importanza e urgenza per incrementare il reddito disponibile alle famiglie. Ciò, sia nella forma - diretta - di una subitanea mitigazione del carico impositivo percepito e dell'alleviamento dei costi sostenuti per una primaria necessità della famiglia, quale è la casa, sia nel quadro di Pag. 2interventi che - indirettamente - pongano le basi per un incremento della capacità reddituale dei componenti il nucleo familiare, premiando la maggiore e migliore produttività con un trattamento erariale più favorevole.
Il decreto-legge in parola diviene, per un verso, segno tangibile della centralità che la famiglia riveste nell'ordinamento anche quale bene da tutelare nella prospettiva della crescita economica del Paese, per altro verso, pone le basi per la cauterizzazione dei pervasivi effetti della crisi immobiliare sui tassi mutuatari. Si intende salvaguardare un risparmio che, a dispetto di quanto si registra in altre economie occidentali, in Italia si è storicamente indirizzato verso il soddisfacimento di necessità primarie della famiglia quale, appunto, l'acquisto in proprietà di un'abitazione. Per altro verso ancora, si elimina una forma di tassazione sulla mera proprietà la cui ratio non appare quasi mai evidente al cittadino, venendo nella sostanza assimilata ad un'ulteriore tassazione indiretta del reddito personale. Infine, si dà una prima concreta attuazione ad un meccanismo di tassazione premiale che riscrive in chiave meritocratica anche l'intervento fiscale nel mondo del lavoro.
Passando all'esame delle disposizioni contenute nel testo rimesso alla conversione del Parlamento, osservo che il decreto-legge procede per due direttrici di fondo, che pur compenetrandosi nei summenzionati comuni obiettivi mantengono una loro chiara individualità. Nella prima rientrano le misure su ICI e rinegoziazione dei mutui (articoli 1 e 3). Nella seconda, quelle sul regime fiscale dei redditi da lavoro (articolo 2). Rispetto a tali interventi, nonché alle modifiche del testo introdotte nel corso dell'esame da parte delle Commissioni riunite, ribadisco un giudizio positivo, ma formulerò solo poche considerazioni, consegnando la disamina dettagliata di tali articoli al relatore per la VI Commissione. Fa seguito a detti articoli un'articolata disciplina delle coperture e della cosiddetta flessibilità di bilancio (articolo 5), che propriamente ha investito il mio intervento e quello della Commissione bilancio e rispetto alla quale si avrà invece modo di esprimere alcuni approfondimenti.
Circa l'esenzione per intero dall'imposta comunale sugli immobili dell'abitazione principale, si sottolinea la responsabilità dell'intervento governativo, che ha reso disponibile il beneficio ad un'ampia categoria di abitazioni. Le motivazioni cui è ispirata la misura, equitative prima che perequative, impongono infatti una sua applicazione generalizzata, con le opportune limitazioni per i soli immobili di lusso.
È chiaro d'altra parte che occorreva evitare - nelle more di una riforma federalista dello Stato - gli indesiderati effetti negativi che la gestione finanziaria dei comuni potrebbe subire in conseguenza del venire meno dei fondi sino ad oggi loro assicurati dall'imposta di cui si tratta. Il decreto-legge dispone, dunque, l'integrazione dell'apposito Fondo già istituito nello stato di previsione del Ministero dell'interno per garantire la restituzione della minore imposta e demanda ad un accordo da definire in sede di Conferenza Stato-città ed autonomie locali i criteri e le procedure per l'erogazione del rimborso.
La tempestività del rimborso ai comuni del minor gettito ICI è stato un profilo al quale si è prestata una particolare attenzione nel corso dell'esame in sede referente.
Desidero in proposito segnalare che si è già tenuta una seduta della Conferenza Stato-città, nella quale sono state definite le modalità per il versamento di un primo acconto pari al 50 per cento del minor gettito. In ogni caso, le modifiche introdotte dalle Commissioni V e VI hanno fissato il termine di trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge per l'adozione del decreto del Ministro dell'interno con cui dovranno essere recepiti gli accordi definiti in sede di Conferenza Stato-città e per l'accreditamento ai comuni e Pag. 3alle regioni a statuto speciale a titolo di primo acconto del 50 per cento del rimborso ad essi spettanti.
Si è, inoltre, stabilito che il rimborso sia ripartito tra i comuni secondo principi che tengano conto dell'efficienza nella riscossione dell'imposta, del rispetto dei vincoli del patto di stabilità interno e delle particolari esigenze dei piccoli comuni. L'articolo 1, comma 7, prevede altresì la sospensione della facoltà per le regioni e gli enti locali di deliberare aumenti dei propri tributi ovvero delle addizionali relative ai tributi erariali. Ben si comprende come una politica coerente di limitazione del peso tributario condotta a livello statale non possa essere vanificata dall'aumento delle imposte a livello regionale e locale. Nella disposizione in esame, peraltro, si evidenzia opportunamente che la sospensione degli aumenti dei tributi locali deve essere posta in relazione con l'elaborazione di una disciplina dei rapporti finanziari tra lo Stato, le regioni e le autonomie locali, rispondente ai principi del federalismo fiscale, nell'ambito della quale l'attribuzione alle regioni e agli enti locali di risorse certe e proporzionate alla capacità fiscale dei rispettivi territori sia la premessa per una effettiva responsabilità rispetto alle modalità di gestione di queste stesse risorse.
Sempre con riferimento al tema della casa - e della stretta relazione con la quale questa si pone rispetto alla famiglia ed al suo potere di acquisto - l'articolo 3 favorisce la rinegoziazione dei mutui a tasso variabile, stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto, in modo da allineare la rata mensile dovuta all'importo medio che, in assenza dell'incremento dei tassi invece registrato, sarebbe stato corrisposto dal cittadino nel 2006. Si tratta di una previsione normativa che amplia, in modo significativo, le opzioni già disponibili al consumatore (nella specie, la surroga, la portabilità senza costi del mutuo, l'estinzione anticipata, la rinegoziazione individuale tout court), limitando gli oneri derivanti dall'incremento del costo del denaro che si è registrato negli ultimi due anni e che ha avuto pesanti conseguenze sulle rate dei contratti.
In questo quadro, si crede che proprio l'inserimento della disposizione nel decreto-legge, lungi dal costituire un orpello normativo a quella manifestazione di volontà sostanzialmente privatistica rappresentata dalla sottoscrizione della convenzione, da parte delle banche aderenti, con l'ABI, contribuisce a rafforzare la posizione giuridica del cittadino. Anche rispetto a questo intervento, nel corso dell'esame in sede referente sono state introdotte alcune modifiche finalizzate sia a prospettare condizioni di maggior favore per il mutuatario, sia a tutelare la concorrenza nel settore, in conformità con le indicazioni contenute nella segnalazione dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, trasmessa sia alla Camera che al Governo. In particolare, è stato disposto che la convenzione tra il Ministero dell'economia e l'ABI debba prevedere la possibilità per le singole banche di proporre condizioni più favorevoli per il mutuatario, con uno specifico onere informativo circa le possibili disponibilità alternative per la clientela. Accogliendo la sollecitazione proveniente dai colleghi dell'opposizione, si è altresì inserito un esplicito riferimento all'opzione della portabilità dei mutui. Si è infine precisato che l'incremento di uno spread dello 0,50 per cento a seguito della rinegoziazione non rappresenta un valore fissato in generale per tutti gli istituti di credito, ma costituisce il limite massimo entro il quale ciascun istituto potrà definire anche valori di incremento più bassi.
Per quel che concerne l'articolo 2, mi preme semplicemente sottolineare che non posso che valutare positivamente il significato che questa disposizione trasmette nell'ambito della più generale riflessione sul merito, che deve costituire la base di qualsiasi democrazia, e lascio l'analisi al collega della VI Commissione.
Per quanto riguarda l'articolo 5, di specifica competenza della V Commissione (Bilancio), per semplicità di analisi si possono ancora una volta individuare due Pag. 4grandi linee di fondo: le disposizioni relative all'individuazione della copertura finanziaria degli oneri derivanti dagli articoli 1 e 2 e quelle relative alla cosiddetta flessibilità di bilancio.
In merito alle norme di copertura finanziaria, si condivide in linea di massima l'impostazione adottata dal Governo, che, coerentemente alle premesse e agli obiettivi poc'anzi tracciati, individua con riduzioni di spesa - e non attraverso ulteriori incrementi del carico fiscale, che si porrebbero in insanabile conflitto con lo spirito di disposizioni finalizzate a ridurre il carico impositivo sulle famiglie - le coperture finanziarie delle misure su detassazioni ICI e lavoro. Questo, mentre segna un'immediata ed evidente rottura con l'operato del precedente Esecutivo, viene incontro alla sentita esigenza di una riduzione e miglior distribuzione della spesa pubblica. L'individuazione della copertura finanziaria effettuata dal Governo con il decreto-legge è pertanto, a nostro giudizio, pienamente condivisibile.
Relativamente ad alcune specifiche voci di spesa, tuttavia, è emersa l'opportunità di individuare coperture alternative che permettano di salvaguardare interventi particolarmente meritevoli.
In proposito, come relatori, abbiamo presentato un emendamento finalizzato a permettere la conservazione dei finanziamenti relativi al Fondo per gli interventi di contrasto alla violenza contro le donne e al Fondo di solidarietà per l'acquisto dei mutui per la prima casa. Pongo in evidenza anche in questa sede, come già fatto in Commissione, l'opportunità di ristabilire il Fondo contro la violenza sulle donne, che nella versione attuale del decreto-legge vede azzerata la sua già scarsa disponibilità di spesa, specie in considerazione dei numerosi fatti di cronaca - anche recentissimi - che rivelano un preoccupante accrescersi delle violenze sulle donne. Nel caso del Fondo di solidarietà per i mutui, si tratta di misure che rispondono alle medesime finalità degli interventi contenuti nel decreto-legge in esame, per quanto concerne la riduzione degli oneri relativi alla prima casa.
Ulteriori voci di spesa che l'emendamento intendeva salvaguardare interessavano le autostrade del mare, gli interventi contro il rischio sismico, i lavoratori socialmente utili nei comuni di piccole dimensioni. L'emendamento presentato dai relatori è stato respinto per l'Aula in quanto non risultava possibile, nei tempi ristretti dell'esame da parte delle Commissioni, pervenire ad una soluzione ampiamente condivisa, sia per quanto concerne le voci di spesa da mantenere, sia per quanto concerne l'individuazione delle coperture finanziarie. Tuttavia, il Governo ha assunto esplicitamente l'impegno di definire una modifica del testo del decreto-legge che permetta di conservare i principali finanziamenti relativi alle autorizzazioni di spesa come individuate nell'emendamento dei relatori.
Rimane naturalmente fermo il fatto che le misure legislative che questa Assemblea è chiamata a valutare hanno un immediato impatto su tutti i nuclei familiari e sui lavoratori italiani, senza distinzione di sorta, e un'ottica di improcrastinabile e urgente solidarietà. Pertanto rispettosamente auspichiamo e confidiamo che l'interesse nazionale possa prevalere sul particolare, finalmente gettando le basi anche in Italia per uno sviluppo di medio e lungo periodo.
Le Commissioni riunite sono invece riuscite ad approvare un emendamento dei relatori che propone una revisione del comma 3 dell'articolo 5 del decreto-legge in esame. Tale comma, al fine di accrescere la flessibilità nella gestione della spesa, prevedeva, nel testo originale del decreto-legge, la possibilità di adottare, con decreti del Ministro dell'economia e delle finanze, su proposta dei Ministri competenti, variazioni compensative tra le dotazioni di programmi compresi all'interno della medesima missione. I decreti di variazione avrebbero dovuto essere comunicati alle Commissioni parlamentari competenti e alla Corte dei conti.
Il nuovo testo del comma 3, come approvato dalle Commissioni riunite, puntualizza in primo luogo che le variazioni degli stanziamenti assegnati ai singoli programmi Pag. 5devono normalmente effettuarsi in sede di disegno di legge di bilancio ovvero di assestamento. Soltanto in caso di particolari esigenze è prevista la possibilità di rimodulazione delle dotazioni finanziarie dei programmi relativi alle singole missioni mediante decreti ministeriali. In tale ultima ipotesi si è prevista una specifica procedura volta a recuperare uno spazio per un'analisi da parte del Parlamento. Nel dettaglio è stato previsto che gli schemi dei decreti siano trasmessi al Parlamento ai fini dell'espressione del parere da parte delle Commissioni competenti per materia e per i profili di carattere finanziario. Nel caso in cui il Governo non intendesse adeguarsi alle condizioni formulate nei pareri con riferimento ai profili finanziari, esso sarà tenuto a richiedere un secondo parere da parte delle Commissioni competenti in relazione a tali profili, vale a dire da parte delle Commissioni bilancio. Qualora si tratti poi di variazioni di stanziamenti determinati direttamente da disposizioni di legge, il secondo parere dovrà ritenersi vincolante. Sono comunque mantenuti i limiti già previsti nel testo iniziale del decreto-legge, per cui le variazioni non possono comportare l'utilizzo di stanziamenti di conto capitale per finanziare spese correnti; non possono altresì modificare gli stanziamenti relativi a spese di natura obbligatoria, spese in annualità e a pagamento differito.
È evidente come si compia un ulteriore passo avanti che si riconnette al processo di riclassificazione avviato nel 2008, nel senso di superare un approccio di tipo formalistico del bilancio dello Stato, onde accentuarne la vocazione di strumento flessibile. La finalità è che le risorse siano prioritariamente indirizzate verso gli obiettivi più utili e per far fronte a spese effettivamente realizzabili, anche al fine di combattere efficacemente il fenomeno dei residui, che costituisce una patologia a cui finora non è stato possibile porre rimedio.
È altresì evidente che il testo approvato dalle Commissioni rappresenta un sensibile miglioramento, in quanto contempera la condivisibile richiesta da parte dell'Esecutivo di un'ampia flessibilità che permetta di far fronte alle necessità che emergano nel corso della gestione, con la salvaguardia del potere decisionale del Parlamento in merito alla determinazione degli stanziamenti delle unità del bilancio. Noto peraltro che, secondo informazioni pervenute, la procedura votata dalle Commissioni riunite è stata adottata dal decreto-legge di manovra approvato dal Consiglio dei ministri del 18 giugno scorso. Segnalo comunque che anche in sede di Commissioni riunite è emersa la necessità di procedere con celerità ad una riforma complessiva del bilancio e degli altri strumenti normativi in materia di finanza pubblica.
In conclusione, nell'auspicare che l'esame in Assemblea permetta di salvaguardare gli interventi di spesa che già sono stati individuati nell'emendamento dei relatori, in considerazione degli effetti positivi che sarà in grado di produrre rispetto al reddito e alla capacità di consumo delle famiglie italiane, si ribadisce la valutazione ampiamente favorevole in merito al provvedimento in esame.

PRESIDENTE. L'onorevole Fugatti, relatore per la VI Commissione, ha facoltà di svolgere la relazione.

MAURIZIO FUGATTI, Relatore per la VI Commissione. Signor Presidente, il provvedimento del quale oggi inizia la discussione generale in Assemblea, come già ha ben specificato la relatrice Ravetto, che mi ha preceduto, punta a dare alcune prime risposte sul tema della liquidità delle famiglie e dei loro bisogni finanziari. Per tale ragione il Governo ha deciso di utilizzare lo strumento della decretazione d'urgenza. Sappiamo che, per una serie di motivazioni che in questa sede non è possibile trattare, oggi le famiglie italiane si trovano in difficoltà economica e di liquidità; pertanto, il Governo doveva intervenire con un decreto-legge.
Si è intervenuti con l'abolizione dell'ICI, sul tema della detassazione degli straordinari, pur se con una sperimentazione per sei mesi - ma si tratta comunque di una sperimentazione importante - Pag. 6nonché su quello della rinegoziazione dei mutui per la prima casa dopo che, come è noto, a partire dal 2006 fattori di crisi a livello internazionale hanno portato ad un aumento dei tassi di interesse, che si è poi spostato sui tassi variabili dei mutui sulla prima casa delle famiglie, che hanno visto aumentare in maniera considerevole le rate dei mutui stessi.
Credo che l'approccio nelle Commissioni, da parte sia dei relatori, sia dei colleghi di maggioranza, così come di quelli di opposizione, sia stato costruttivo e dialettico, e che abbia puntato a modificare, negli aspetti sui quali si è intervenuti in quella sede, alcune parti del provvedimento che potevano essere migliorate. Ritengo che da parte dei relatori vi sia stato un approccio di questo tipo, anzi si è cercato di far approvare, o comunque di tenere in considerazione, molti emendamenti presentati dai colleghi di opposizione. I relatori, peraltro, non hanno presentato un numero considerevole di proposte emendative, proprio per assicurare alle Commissioni delle modalità e un percorso di lavoro costruttivi.
Per quel lasso di tempo in cui si è potuto lavorare nelle Commissioni, credo che ciò sia stato un obiettivo raggiunto in quanto, non su tutti gli articoli, perché il tempo a disposizione non è stato sufficiente, ma soprattutto con riferimento agli articoli 1 e 3 del provvedimento, questo approccio è stato rispettato. Già nella discussione generale svolta nelle Commissioni, con riferimento all'articolo 1, si erano rilevati alcuni margini di miglioramento del provvedimento, che riguardavano soprattutto i problemi di liquidità dei comuni. Abolire l'ICI è stata, infatti, una decisione molto importante per i cittadini italiani, che il 16 giugno non hanno dovuto pagare la prima rata, però sappiamo che i comuni hanno bisogno di quella liquidità che derivava dall'ICI. Su questo aspetto le Commissioni sono intervenute - successivamente vedremo come - su alcuni profili interpretativi del decreto-legge che potevano essere modificati, sui criteri di trasferimento, nonché sulla questione del patto di stabilità.
Elenco gli emendamenti approvati, anche per entrare nel merito della discussione e dare una maggiore chiarezza sulle modalità con cui si è lavorato. Riguardo all'articolo 1 sono stati approvati gli emendamenti Angela Napoli 1.7 e Causi 1.8, con i quali si è aggiunto il riferimento alla delibera comunale. Il provvedimento faceva infatti riferimento alle pertinenze di cui al regolamento comunale; a tal riguardo sappiamo che, molto spesso, nei regolamenti è specificata una cosa, mentre nella delibera del consiglio comunale ne sono specificate altre. Crediamo quindi che ampliare la previsione alla delibera comunale, per quanto concerne le pertinenze, abbia assicurato maggiore chiarezza al provvedimento.
È stato approvato l'emendamento Borghesi 1.32, con il quale si è previsto che dopo la Conferenza Stato-città ed autonomie locali il Governo debba emanare un decreto, prevedendo un termine certo entro il quale il decreto stesso deve essere emanato, pari a trenta giorni. Successivamente, è stato approvato l'emendamento dei relatori 1.62, che attiene alle modalità con cui il mancato gettito ICI deve essere trasferito dallo Stato ai comuni, e si sono inseriti i principi che tengono conto dell'efficienza nella riscossione dell'imposta, del rispetto del patto di stabilità interno - sul quale tornerò successivamente - per l'esercizio 2007 e della tutela dei piccoli comuni.
Successivamente, si è intervenuto approvando l'emendamento 1.37 degli onorevoli Armosino, Osvaldo Napoli, Marinello, Pagano, La Loggia e Bosi su cui vi è stata un'ampia discussione, in quanto la proposta emendativa verteva sul problema principale del provvedimento in esame, ovvero quello della liquidità dei comuni. Sappiamo che vi sono stati degli accordi tra il Governo e i rappresentanti dei comuni, affinché la prima rata sia emanata nelle prossime settimane.
Le Commissioni, comunque, si sono volute assumere il compito (che è quello che spetta loro) di dare all'interno delle proprie competenze una risposta alla problematica. Quindi, si è intervenuti stabilendo Pag. 7che, comunque, il primo acconto deve essere trasferito entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del disegno di legge di conversione. Prima con il decreto-legge in esame non si poteva intervenire tecnicamente e, quindi, si è pensato di introdurre tale aspetto, fatto salvo che non ci siano eventuali accordi precedenti a quella data tra lo Stato e i comuni attraverso la conferenza Stato-città ed autonomie locali. Ciò è stato molto discusso all'interno delle Commissioni, ma crediamo che sia stata data una risposta condivisa con i colleghi.
Sono stati approvati gli emendamenti 1.61, presentato dagli onorevoli Nannicini e Ceccuzzi e Lenzi 1.43, che miravano a sopprimere il comma 5 in ordine all'IFEL (istituto per la finanza e l'economia locale). È stato abrogato il contributo all'IFEL (che era stato aumentato nella scorsa finanziaria dallo 0,6 allo 0,8 per mille) in quanto, non essendoci l'ICI, la ratio dell'istituto è venuta meno.
Successivamente, si è intervenuti con gli emendamenti 1.45, a firma Marchi, Graziano, Marchignoli, Ria, Vannucci, Baretta, e Ciccanti 1.46 (vi era anche l'emendamento Zeller sul problema) su un aspetto di chiarezza per i contribuenti. Oggi si stabilisce che l'ICI non si paga, tuttavia molti comuni avevano già inviato lettere di pagamento e, quindi, potrebbero essere sorti dei dubbi, soprattutto sulle pertinenze (abbiamo visto che il regolamento e la delibera comunale specificano le pertinenze). Se in data 16 giugno vi sia stato un omesso versamento dell'ICI dovuta su una pertinenza (che era comunque dovuta sulla prima casa perché il regolamento non la esonerava), si è pensato di introdurre uno spostamento del termine di pagamento di 30 giorni, perché qualcuno potrebbe non avere pagato in buona fede a causa della poca chiarezza che vi era in quel momento (stiamo parlando però solamente di pertinenze sulla prima casa).
Si è, inoltre, approvato l'emendamento dei relatori 1.63 che prendeva spunto da un emendamento dell'onorevole Galletti sulla questione del patto di stabilità, o meglio sulla questione del blocco delle aliquote per gli enti locali. L'articolo 1, comma 7, del decreto-legge interviene sul blocco delle aliquote stabilendo che siano bloccate le aliquote, tranne per i comuni che hanno i problemi con i deficit sanitari che tutti conosciamo. Con l'emendamento si stabilisce, invece, che le aliquote non vengono bloccate per i comuni che non rispettano i patti di stabilità. Si tratta, quindi, di un premio ai comuni virtuosi, perché altrimenti, se il provvedimento in esame fosse passato così, i comuni che non hanno rispettato il patto di stabilità (e che quindi hanno assunto personale, non hanno tagliato le spese e non hanno attuato una razionalizzazione in senso positivo del proprio bilancio) non avrebbero ricevuto (così come prevedevano le scorse finanziarie) la sanzione dell'aumento delle aliquote. Intervenendo in questo modo, i comuni che non hanno rispettato il patto di stabilità subiranno l'aumento delle aliquote.
È stato, inoltre, approvato l'emendamento Strizzolo, Ceccuzzi 1.59. Sulla questione delle rate dell'ICI si è discusso anche in ordine alla seconda rata. Si è deciso di non intervenire con un emendamento e si valuterà nel corso della discussione e in sede di Comitato dei nove della possibilità di presentare un ordine del giorno.
Per l'Aula, la discussione si è spostata sugli emendamenti Zeller 1.14 e Picchi 1.6, in materia di mancato pagamento dell'ICI da parte di coloro che risiedono all'estero per gli immobili non locati che possiedono in Italia.
Sull'articolo 2, la discussione è stata oggettivamente meno ampia. L'aspetto su cui si è discusso in maniera sostanziale riguardava la possibilità di ampliare la detassazione degli straordinari ad alcuni comparti del settore pubblico. In questa fase, nelle Commissioni si è detto che di questo aspetto - anche su questo vi è stata una parola del Governo - si sarebbe discusso in maniera più approfondita in Aula.
Per quanto riguarda l'articolo 3, ritengo che l'approccio dei relatori, anche alla luce dei numerosi emendamenti positivi a favore Pag. 8dei mutuatari presentati dai colleghi dell'opposizione, sia stato volto a non formalizzare eccessivamente il testo del provvedimento e a non entrare troppo nel merito dello stesso.
A dire il vero, su questo aspetto si è aperta una discussione che ha dato, comunque, un frutto positivo, perché gli emendamenti Ceccuzzi, Strizzolo 3.4 - che mi sembra sia stato già citato dalla mia collega - Messina 3.6 e Tabacci, Galletti e Ciccanti 3.5 sono stati riformulati e approvati.
Si tratta, cioè, di offrire ancora maggiore concorrenza rispetto a quanto prevede il testo del provvedimento. Inizialmente, i relatori - proprio per prendere spunto in maniera positiva da quanto sosteneva l'opposizione - si erano limitati a considerare l'emendamento Tabacci 3.5, che sembrava meno formale degli altri. Successivamente, la discussione si è ampliata e si è deciso di approvarli tutti, anche il 3.4 e il 3.6. Inoltre, sono stati approvati gli emendamenti 3.25 dei relatori, Nannicini 3.10 e Borghesi 3.24.
Ritengo che nelle Commissioni, per quanto si voleva e poteva fare, si sia lavorato in maniera costruttiva sugli emendamenti presentati. In base alla minimale esperienza del sottoscritto sui provvedimenti fiscali della scorsa legislatura, credo che sia stato svolto un lavoro importante. L'auspicio è che anche in Aula si possano prendere ancora spunti importanti per portare a compimento un provvedimento a favore dei cittadini.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

NICOLA COSENTINO, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, mi riservo di intervenire nel prosieguo della discussione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ceccuzzi. Ne ha facoltà.

FRANCO CECCUZZI. Signor Presidente, le chiedo fin da ora l'autorizzazione a consegnare il mio intervento, lasciando così spazio ai colleghi iscritti a parlare. Il provvedimento che arriva oggi all'esame dell'Aula si presenta con un titolo molto ambizioso - a nostro avviso fin troppo ambizioso - sul quale avevamo espresso, sin dalle prime valutazioni, fondate riserve, che, dopo l'esame delle Commissioni riunite bilancio e finanze, si sono purtroppo trasformate in certezza.
Le misure contenute nel decreto-legge n. 93 del 2008 sono assolutamente insufficienti e, per di più, inique, perché determinano effetti soltanto marginali sulla distribuzione del reddito e sulla crescita, non affrontano il problema delle diseguaglianze e non intervengono sulle vere priorità del nostro Paese, che, a nostro avviso, sono il livello troppo basso dei salari e l'aumento dei prezzi.
Nonostante gli sforzi e il lavoro dei relatori, che abbiamo sinceramente apprezzato, complessivamente, dobbiamo dire che il Governo e la maggioranza si sono dimostrati sordi rispetto alle proposte migliorative presentate dall'opposizione, in particolare dal gruppo del Partito Democratico, che si è adoperato, con spirito costruttivo, presentando pochi ma qualificati emendamenti, affinché questo provvedimento potesse davvero contenere misure per salvaguardare il potere d'acquisto delle famiglie o che, in subordine, venissero riassorbite molte delle iniquità prodotte dall'esclusione dai benefici che in questo provvedimento sono contemplati.
Avevamo chiesto innanzitutto - lo ribadiamo ora in Aula - che il Ministro dell'economia e delle finanze venisse a riferire sull'andamento delle entrate e sui dati di finanza pubblica per poter valutare meglio gli effetti di questo provvedimento.
Vorrei per brevità soffermarmi sull'articolo 3, sul quale ho presentato diversi emendamenti durante l'esame nelle Commissioni riunite e sul quale ho inteso ripresentare ulteriori proposte emendative anche all'attenzione dell'Assemblea. Ci siamo adoperati e continueremo ad adoperarci per migliorare un provvedimento che, mi dispiace dirlo contraddicendo i relatori, così come è non è altro che un'ultima spiaggia molto onerosa, nonché Pag. 9pericolosa, per chi ormai disperato, alla soglie della morosità o già avviato al contenzioso, si dovesse affidare a questa mossa della disperazione. Si obietta che proprio in questa condizione di difficoltà e dunque di debolezza, il mutuatario ha bisogno di uno strumento che abbia forza di legge per imporre la rinegoziazione alla banca. Benissimo, ma allora si abbia almeno l'onestà intellettuale di ammettere che si tratta soltanto di un intervento tra i molteplici che si potevano, si possono e si dovranno prendere per intervenire sui mutui.
Questo provvedimento, in realtà, era - maggiormente prima del nostro intervento - ed è ancora purtroppo un compromesso pasticciato tra Governo e banche per lavarsi la coscienza nell'immediato e far pagare le conseguenze pesanti per il futuro a chi dovrà ricorrere a questo tipo di rinegoziazione.
Nel corso delle audizioni nelle Commissioni non abbiamo certo sentito le «grida di dolore» delle banche; piuttosto ne abbiamo scorto una malcelata felicità per i nuovi profitti che avranno, per di più grazie alla copertura di un provvedimento presentato come a vantaggio dei clienti.
Perché ci sarebbe bisogno di un intervento ben più ampio? Perché ci sarebbe bisogno di introdurre delle vere e proprie garanzie per i clienti? Perché ci sarebbe bisogno di innalzare la capacità di rimborso dei mutuatari, senza ricorrere a trucchi contabili, per i quali quello che oggi mi viene concesso di non pagare me lo trovo comunque a dover pagare domani maggiorato di interessi? I mutui italiani, secondo una stima delle associazioni dei consumatori che hanno elaborato i dati del bollettino della Banca centrale europea del mese di aprile 2008, sono purtroppo i più alti di Europa e non certo per colpa dei clienti. Questa differenza, sempre secondo le associazioni dei consumatori, si produce con aggravi che vanno dai 35 ai 44 euro al mese per i cittadini italiani che hanno contratto un mutuo a tasso variabile.
Dal mese di aprile scorso, secondo le associazioni dei consumatori, l'aumento medio dei mutui a tasso variabile è stato di oltre 2200 euro l'anno, una cifra considerevole. Nel mese di aprile 2008, Antonio Catricalà, presidente dell'Antitrust, ha reso noto che in Italia sono 110 mila le famiglie con problemi di insolvenza per il caro mutui e 420 mila quelle in difficoltà, per un totale di 530 mila famiglie.
Secondo il rapporto annuale del 2007 dell'ISTAT le rate per i mutui sulla casa incidono sempre di più sui bilanci delle famiglie italiane: nel 2006 il 13 cento ha sostenuto gli oneri di un mutuo per l'abitazione di proprietà (il numero era inferiore nel 2004) e ha pagato una rata (comprensiva degli interessi e della quota rimborso del capitale) di 559 euro al mese; nel 2004 la rata media era 469 euro, per un'incidenza sul reddito che è salita dal 16,5 per cento al 19,2. L'indebitamento totale dei mutui prima casa da parte delle famiglie è, nel 2007, di 265 miliardi di euro, la durata media dei mutui è di circa 25 anni (salita di dieci anni dal 1997), mentre la cifra media mutuata è passata, tra il 2004 al 2007, da 125 a 140 mila euro.
Per concludere, secondo il bollettino dell'ABI, reso noto nei giorni scorsi, i tassi di interesse medi sono ulteriormente cresciuti e hanno raggiunto il 5,75 per cento, con un aumento annuo dello 0,36 per cento, il livello più alto dal 2003 nonostante la Banca centrale europea non abbia ancora alzato il costo del denaro.
Questi dati testimoniano, quindi, in maniera inoppugnabile la necessità di un'azione molto più incisiva a sostegno del nucleo familiare per quanto riguarda la rinegoziazione dei mutui prima casa. Purtroppo, nonostante i proclami al momento della presentazione, il decreto-legge del Governo rappresenta essenzialmente un'illusione, se non una trappola, nei confronti dei cittadini. La convenzione prevista tra ABI e Ministero dell'economia e delle finanze - come si vedrà - non solo non porta benefici ma rischia addirittura di creare un cartello tra gli istituti di credito, vanificando quel minimo di concorrenza che si è riusciti ad introdurre nella legislatura precedente.Pag. 10
Così come, purtroppo, prevediamo sarà predisposta, la convenzione stabilisce, infatti, una trasformazione del mutuo a tasso variabile in fisso, con la riduzione della rata ai livelli medi dell'anno 2006.
Non si tratta, però, di un'operazione a costo zero ma di un ulteriore prestito che l'istituto di credito concede al cliente, con l'apertura di un conto accessorio dove viene accreditata la differenza, un conto che allungherà la rata del mutuo.
Secondo alcune prime stime assolutamente attendibili, con l'applicazione della convenzione ad un mutuo di 150 mila euro, a sei anni dalla stipula e con 14 anni ancora di decorso, con l'attuale situazione dei tassi, il conto accessorio alla fine delle rate salirà ad oltre 25 mila euro, pari ad una ulteriore dilazione di 26 mesi. Si tratta di una cifra spropositata che consentirà alle banche di maturare ulteriori interessi sugli interessi, causando, quindi, un ingente esborso supplementare per il cittadino.
È facilmente ipotizzabile che questa rappresenterà l'unica soluzione per quei nuclei familiari in gravissima difficoltà che, quindi, cederanno a queste condizioni degli istituti di credito per evitare morosità e contenziosi.
Secondo le previsioni degli analisti, pubblicate su molti organi di informazione e riviste specializzate, per ottenere un risultato equivalente a quello della rinegoziazione prevista dalla convenzione tra ABI e Ministero dell'economia e delle finanze, sarebbe stato sufficiente optare per la surrogazione del mutuo, prevista dalla legge 2 aprile 2007, n. 40, scegliendo per l'allungamento della rata per un periodo di circa due anni, senza quindi i rischi e gli oneri del conto accessorio.
Emerge, quindi, il dubbio che la convenzione rappresenti essenzialmente un'alternativa onerosa e, quindi, un ulteriore ostacolo verso la corretta applicazione della surroga gratuita sulla quale noi continueremo ad insistere e a vigilare.
Un sospetto che, in realtà, si è rivelato anche nei giorni scorsi quando, nel corso dell'esame nelle Commissioni riunite bilancio e finanze, sono stati respinti gli emendamenti presentati dall'opposizione, Partito Democratico, Italia dei Valori e Unione di Centro, per modificare la convenzione in senso liberale e garantista nei confronti dei clienti.
Tali emendamenti respinti recepivano le indicazioni dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, che raccomandava che i criteri dettati dalla convenzione non dovessero lasciare spazio a politiche differenziate da parte delle banche, a vantaggio della clientela, e non disincentivassero la portabilità.
Soltanto dopo una lunga e proficua discussione durante il dibattito nelle Commissioni, portata avanti congiuntamente dal Partito Democratico, dall'Italia dei Valori e dall'Unione di Centro, è stato accolto un emendamento che prevede espressamente la possibilità che le banche adottino condizioni minime migliorabili e che al cliente rimanga aperta l'opzione della portabilità, che consente di trasferire senza oneri il mutuo da una banca all'altra.
Si tratta di un piccolo passo avanti che, a nostro avviso, non è ancora sufficiente, se si considera l'inammissibilità di un ulteriore emendamento che perfezionava la portabilità dei mutui, semplificando e rendendo più fluidi e non onerosi tutti gli adempimenti necessari. Tale proposta, che ripresenteremo, prevedeva una costosa sanzione a carico delle banche che ostacolassero la portabilità: una sanzione pari al 20 per cento del mutuo concesso a carico dell'istituto mutuante. I proventi di tali sanzioni sarebbero stati destinati al Fondo di solidarietà per i mutui per l'acquisto della prima casa, istituito con la legge finanziaria per il 2008.
Il provvedimento sulle sanzioni è necessario a causa del continuo ostruzionismo con il quale gli istituti di credito stanno applicando le norme sulla surroga, della quale si sono potuti avvalere soltanto 150 mila nostri concittadini. È un'ostilità manifesta che si è trasformata in una vera e propria corsa ad ostacoli a scapito degli utenti e che la stessa Autorità antitrust ha testimoniato più volte, confermando la mancata attuazione della legge sulla portabilità e aprendo nelle scorse settimane Pag. 11ben dieci istruttorie su altrettanti gruppi bancari nazionali, procedimenti che, però, rischiano di non mutare lo scenario, se non verranno previste per legge sanzioni adeguate nei confronti degli istituti di credito inadempienti.
Vorrei, inoltre, ricordare che sono stati respinti altri emendamenti sempre relativi alla convenzione, tutti improntati ad elevare la trasparenza dell'accordo.
Continueremo la nostra battaglia in Aula per modificare i contenuti della convenzione e per chiarire se Governo e maggioranza si siano schierati a sostegno dei consumatori o dalla parte delle banche.
Certamente se le condizioni non saranno cambiate, se le indicazione dell'Autorità della concorrenza e del mercato e le norme sulla portabilità non saranno riconosciute e rese più efficaci, sarà soprattutto l'ABI a festeggiare.
Lasciatemi aggiungere che in questo momento, il Ministero per lo sviluppo economico, rinviando l'entrata in vigore della normativa sulla class action proprio quando le associazioni dei consumatori avevano annunciato un'azione collettiva nei confronti di banche e notai per i costi relativi alla portabilità dei mutui, non sembra riconoscere al Governo una posizione di neutralità.
La convenzione non è stata il solo oggetto delle nostre proposte. L'accordo tra ABI e Ministero non ci convince: seppur perfettibile, esso non rappresenta, infatti, lo strumento primario per tutelare le famiglie.
Abbiamo presentato altri emendamenti che, questa volta, non sono stati dichiarati ammissibili, ma che sottoporremmo di nuovo all'attenzione delle Commissioni e dell'Assemblea, quando giungerà la manovra economica. In particolare, ne sottolineo uno - e con ciò concludo - quello che consideriamo un altro cardine per aumentare il potere d'acquisto delle famiglie, soprattutto, mi riferisco all'aumento della possibilità dei mutuatari di pagare le rate. La detrazione attuale prevede, infatti, un rimborso del 19 per cento degli interessi, fino ad un massimo di quattromila euro. Questa soglia è stata recentemente ritoccata con la legge finanziaria per il 2008, con un incremento, dopo tredici anni, del 10 per cento. Si tratta di una modifica significativa, ma non ancora sufficiente ed adeguata all'entità dei mutui contratti.
Abbiamo proposto - e riproporremo in questo contesto - di modificare i criteri attuali, elevando l'aliquota degli interessi passivi ed i relativi oneri accessori, in dipendenza di mutui contratti per l'acquisto e la costruzione della prima casa, garantiti da ipoteca su immobili, dal 19 al 23 per cento. In questo modo, i nuclei familiari potranno recuperare annualmente fino a 1.380 euro all'anno rispetto ai 760 euro attuali. Si tratta di una differenza di oltre 600 euro, capace, quindi, di incidere realmente sui bilanci familiari.
In conclusione, questo dibattito sarà proficuo e chiarificatore e vedremo, onorevoli colleghi, chi si schiererà realmente dalla parte dei cittadini e delle famiglie e chi valuterà autonomamente di sostenere altri interessi.
Signor Presidente, chiedo che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale del mio intervento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Onorevole Ceccuzzi, la Presidenza lo consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti.
È iscritto a parlare l'onorevole Galletti. Ne ha facoltà.

GIAN LUCA GALLETTI. Signor Presidente, vorrei iniziare questo mio intervento con una domanda: il buon governante è quello che fa ciò che piace alla gente o quello che adotta misure anche un po' spiacevoli, ma utili alla gente e al Paese? Non sempre ciò che piace è anche utile, anzi, purtroppo, quasi mai ciò che piace è utile.
Nessuno può dichiarare a priori che l'abolizione di una tassa sia sbagliata, nel caso specifico l'ICI. Sono in disaccordo con l'ex Ministro dell'economia, il professor Padoa Schioppa, che sostenne che le Pag. 12tasse sono bellissime. Le tasse non sono bellissime: sono utili, sono uno strumento di giustizia e di equità fiscale, ma non piacciono alla gente, soprattutto in un Paese in cui la spesa pubblica è ai massimi livelli e non è neppure qualificata.
Pertanto, mi sorge davvero il dubbio che la manovra che il Governo sta realizzando non sia tanto utile, ma fatta per compiacere la gente. Affermo ciò, perché essa non è controbilanciata da un contenimento o da una riqualificazione della spesa pubblica, ma dalla sparizione di fondi che - quelli sì! - erano utili. Vorrei ricordare a quest'Aula che, per coprire l'ICI, sono venuti meno alcuni fondi importanti per alcune categorie di persone, guarda caso, proprio per quelle più deboli. Ci si è rivolti - lo ricordo - ai fondi per le forze dell'ordine. In questo Paese, si parla di sicurezza, si sostiene che essa costituisce il problema degli italiani e, contemporaneamente, si tolgono i fondi proprio al settore della sicurezza. Ci si è rivolti alle infrastrutture e non mi riferisco solo alle risorse tolte a quelle del sud: sono state sottratte risorse, infatti, anche alle infrastrutture del nord (ricordo la metropolitana di Bologna, di Torino, di Firenze). È stato fatto un grande sforzo per realizzare una manovra che, in questo momento, non ci potevamo permettere, solamente per compiacere la gente - lo ripeto - non per fare qualcosa di utile.
Credo che, in questo momento, le priorità di questo Paese siano altre. Sia nella relazione del relatore Ravetto che in quella del relatore Fugatti, ho ascoltato che si fa riferimento - così come nel titolo del provvedimento in discussione - alla famiglia. Si dice che questa manovra sia fatta nell'interesse della famiglia. Ritengo davvero, colleghi, che ciò non sia vero. Questo è un provvedimento che alla famiglia non dà nulla. Dobbiamo distinguere e dirci chiaramente cosa intendiamo per famiglia: per noi la famiglia è quella composta da padre, madre e, spesso - guarda caso - vi sono anche dei figli. E tale famiglia, mettendo al mondo quei figli, ha fatto uno sforzo ed un investimento sul futuro.
Noi vogliamo riconoscere un valore aggiunto a questo nucleo e pensiamo che gli interventi debbano essere mirati a ciò. Non a caso, infatti, il nostro programma elettorale non prevedeva l'abolizione dell'ICI, mentre prevedeva, invece, altri interventi sulla famiglia. Ritengo che uno dei problemi che le famiglie italiane incontreranno da qui a breve - da qui a settembre - sarà quello dell'acquisto dei libri di testo per i propri figli. Vi saranno famiglie - quelle che fanno fatica ad arrivare alla quarta settimana - che, a settembre, si troveranno in difficoltà ad acquistare i libri di testo. Quell'acquisto porterà via, ad alcune famiglie, circa il 30 per cento del reddito disponibile di quel mese. Ritengo che una politica familiare tesa a restituire potere d'acquisto alle famiglie, doveva andare in quella direzione, e così tanti altri interventi, come ricorderà più avanti il collega Pezzotta.
Per convincervi ancora di più che non si tratta di un provvedimento per la famiglia, vi voglio raccontare, molto brevemente, tre storie: la storia del signor Rossi, quella della famiglia Verdi e quella della mia famiglia, la famiglia Galletti.
Il signor Rossi ha uno stipendio di 30 mila euro, lavora nel privato ed ha una casa di proprietà con una rendita catastale di 200 mila euro. Con la detassazione degli straordinari, il signor Rossi, single, che ha un reddito disponibile pro capite di 30 mila euro, avrà un vantaggio fiscale - se farà le ore di straordinario consentite detassabili dalla legge - di circa 300 euro da qui a fine anno. Non è molto, però, ripeto, da qui a fine anno egli avrà a disposizione 300 euro in più.
La famiglia Verdi, invece, è composta da due persone - padre e madre - che lavorano. Hanno un reddito complessivo di 50 mila euro, sono entrambi dipendenti pubblici, hanno una casa di proprietà del valore catastale di 300 mila euro (un po' più grande di quella del signor Rossi) ed hanno due figli. Questa famiglia non avrà alcun beneficio dalla manovra che stiamo approvando: non pagava l'ICI prima e non lo paga oggi, non potrà fare gli straordinari perché i dipendenti pubblici sono Pag. 13esclusi da questa manovra; potrà ricontrattare il mutuo ma, come diceva poc'anzi anche l'onorevole Ceccuzzi, sappiamo che quella manovra non fa altro che allungare il tempo del mutuo.
Infine, vi faccio un altro esempio: la famiglia Galletti, la mia. Ho quattro figli, ho un reddito medio-alto ed ho la fortuna (e penso anche un po' il merito) di avere una bella casa nel centro di Bologna. Io pagavo l'ICI (1.500 euro di ICI). Ho una moglie che lavora nel privato, guadagna 30 mila euro e, quindi, avrò anche la possibilità - se mia moglie farà qualche straordinario in più - di avere un ritorno economico da questo. Da questa manovra, quest'anno avrò un ritorno economico di circa 1.800 euro. Sono molto contento, ma vi assicuro che la mia famiglia, pur numerosa, non è tra quelle che oggi hanno il problema della quarta settimana, per mia fortuna. La famiglia Verdi ha questo problema, il signor Rossi non ce l'ha.
Pertanto, stiamo penalizzando di più, o non stiamo aiutando completamente - anzi, non stiamo aiutando per nulla - quella famiglia che più soffre, la famiglia che ricordavo prima, la quale avrà il problema della quarta settimana e lo avrà, in particolare, nei prossimi mesi.
Dunque, vi chiedo di togliere dal titolo di questo provvedimento il riferimento alla famiglia, perché non ha nulla a che vedere con la famiglia. Ripeto, può essere di impatto, può essere piacevole, per i cittadini italiani, non pagare più l'ICI - su questo non ho dubbi - ma non è, oggi, la priorità primaria per questo Paese e soprattutto per le famiglie italiane.
Esiste un altro problema con riferimento all'ICI: il problema dei comuni e dell'insegnamento che stiamo dando loro. Io sono soddisfatto e voglio ringraziare i relatori, i presidenti di Commissione e le Commissioni (V e VI) per il lavoro svolto in queste sette settimane. In tale sede, è stata approvata una proposta emendativa che, almeno in parte, permette ai comuni non virtuosi, di non usufruire di ulteriori agevolazioni.
Tuttavia, tutto ciò non basta, perché i comuni - questo dev'essere chiaro - i quali avevano alzato l'ICI al massimo (arrivando, ad esempio, al 7 per mille sulla prima casa), oggi sono quelli più avvantaggiati. In altre parole, i comuni che hanno aumentato la spesa pubblica negli anni precedenti, portandola al massimo (e noi non sappiamo se si tratta di spesa qualificata o spesa non qualificata, nella stragrande maggioranza dei casi non sarà neppure qualificata), hanno stratificato la spesa pubblica.
Oggi si vedono premiati rispetto a quei comuni che hanno tenuto bassa l'aliquota ICI, al 5 per mille, alcuni al 4 per mille, per scelta, facendo sacrifici, casomai non incrementando determinati servizi, che invece altri hanno incrementato.
Mi chiedo: è giustizia questa? Stiamo dando un insegnamento giusto ai comuni? I più virtuosi saranno penalizzati rispetto a quelli meno virtuosi; penso che quello che stiamo facendo sia un grave errore. L'imposta dell'ICI, pur essendo odiosa - ripeto - presenta un forte carattere federale; vi è una correlazione forte tra i servizi che il comune rende e l'imposta pagata.
Se pago l'ICI sulla prima casa, pretendo di avere dai miei amministratori servizi che funzionano, anche in funzione della mia casa: strade più pulite e messe a posto, una scuola vicino alla mia abitazione. Se non li avrò, potrò penalizzare gli amministratori che mi fanno pagare l'ICI e non mi danno dei servizi adeguati all'ICI che pago. Bene, facciamo sparire anche questo concetto!
Penso, quindi, che, pur sostenendo che abrogare un'imposta è sempre piacevole per i cittadini, in questo caso, davvero, non c'erano le condizioni. Ma voglio aggiungere un'altra considerazione: non me la sento di prendermela solo con il Governo attuale, perché qualcuno aveva già incominciato a muoversi in questa direzione, ed è stato il Governo di centrosinistra, che ha preceduto questo Governo.
Penso che sia stato un errore allora - e lo abbiamo detto, votando contro allora - e votiamo contro anche oggi, perché questo è un provvedimento che piace alla gente - ripeto - ma non è utile al Paese.Pag. 14
Sulla detassazione degli straordinari sarò molto breve. Penso che la strada sia giusta; in questo provvedimento, però, vi sono due problemi. Uno è l'esiguità della misura: 30 mila euro di tetto massimo per coloro che possono accedere al beneficio della detassazione, da una parte, e un massimo di 3 mila euro detassabili. Penso che così non abbia alcuna incidenza né sul bilancio del lavoratore né sull'aumento di produttività dell'impresa. È troppo poco!
Mi si dirà che non vi sono risorse per fare meglio. Vi ricordo solo che una settimana fa, in quest'Aula, abbiamo previsto di spendere 300 milioni per l'Alitalia. Il provvedimento per la detassazione degli straordinari ne costa 600, il doppio, ma quei 300 milioni che abbiamo speso ci dicono che, quando i soldi li vogliamo trovare, è possibile trovarli.
Penso che questo sia stato uno specchietto per le allodole, per dire che si fa qualche cosa; sia chiaro, però, che questo provvedimento non ha niente a che fare con il rilancio della produzione, perché è troppo minimale.
Secondo aspetto negativo, questo davvero negativo: abbiamo escluso dal provvedimento tutto il settore pubblico. Capisco le ragioni di costo, ma all'interno di quel settore vi sono due comparti che non si possono lasciare fuori. Presenteremo gli stessi emendamenti che abbiamo presentato in Commissione, che riguardano le forze dell'ordine e il comparto della sanità.
Non possiamo sostenere, tutti i giorni, che il problema della sicurezza è il vero problema degli italiani e poi chiedere ai nostri militari, alle nostre forze di polizia, ai nostri carabinieri di fare ulteriori sacrifici, senza riconoscere il loro valore aggiunto rispetto alla sicurezza. Dobbiamo includere almeno questo comparto e quello della sanità; i fondi - ripeto - si possono trovare.
Il terzo capitolo è quello dei mutui. Lo ha già detto bene il collega Ceccuzzi, che mi ha preceduto: vi sono due controindicazioni molto forti in questo provvedimento. La prima, sostanziale, è fare credere alle famiglie italiane che avranno un ritorno positivo da questo provvedimento. Lo dico: state attenti a questo provvedimento, perché per alcuni bilanci delle famiglie italiane può essere addirittura dannoso.
Sono sempre del parere che un buon padre di famiglia è quello che non lascia debiti ai propri figli, che gli lascia la casa, ma non i debiti. Questo è valido per gli amministratori ed è valido per la famiglia.
Stiamo allungando, ancora una volta, i nostri debiti; abbiamo allungato quelli dei comuni, abbiamo allungato quello dello Stato e oggi chiediamo alle famiglie italiane di allungare il loro, ma non gli diamo dei soldi in più, glieli sottraiamo, perché il conto accessorio che le banche faranno fare alle famiglie italiane sarà un costo ulteriore per le famiglie, ci pagheranno sopra gli interessi.
Dico di stare attenti; non solo, dico anche che questo è un limite forte alla concorrenza.
La portabilità dei mutui, prevista dal Governo precedente, aveva un aspetto positivo, quello di mettere in concorrenza le banche: potevo trasferire il mio mutuo da una banca ad un'altra perché era più vantaggioso. Così facendo, le banche si metteranno d'accordo, faranno un cartello e non vi sarà alcun vantaggio per nessuno.
Concludo, con la seguente considerazione: facevo riferimento al buon governante all'inizio, e vorrei concludere, facendo riferimento al buon padre di famiglia. Il buon padre di famiglia è colui che fa le cose utili per la propria famiglia. Se i figli gli chiedono di andare alle Maldive, ma deve decidere se portarli alle Maldive o comprare libri di testo, è quello che ha il coraggio di dire che bisogna comprare i libri di testo, perché le risorse sono scarse. I libri di testo saranno utili per il proprio futuro, mentre il viaggio alle Maldive forse «no». Chiedo allora al Governo di comportarsi come il buon padre di famiglia, non come quello cattivo (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Leo. Ne ha facoltà.

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MAURIZIO LEO. Signor Presidente, penso che la maggioranza di questo Parlamento debba un sentito ringraziamento al Governo che, col provvedimento in esame, ci toglie dall'oppressione fiscale; un'oppressione fiscale datata che subiamo dal primo provvedimento (dal decreto Visco-Bersani del 2006), che probabilmente poteva essere evitato in una fase in cui già si avviava una crescita economica, inquadrabile a far data dal 1o gennaio 2006: anziché assecondare, attraverso misure fiscali, la crescita economica, si preferì intervenire in modo pesante con la tassazione, creando dei seri problemi sia al sistema imprenditoriale sia alle famiglie.
Col provvedimento in esame invece si vede uno spiraglio di uscita dall'oppressione fiscale. Sicuramente vi saranno ulteriori interventi: ad esempio, la manovra economica, che è già stata varata dal Consiglio dei Ministri e che sarà sottoposta all'esame dell'Aula, approfondirà ulteriori aspetti, ci libererà da quei lacci e lacciuoli che hanno costretto il sistema imprenditoriale in questi due anni e dei quali le imprese non sono riuscite a liberarsi. Si sta avviando una fase nuova, una fase che ha come primo pilastro proprio il provvedimento di cui discutiamo; provvedimento il cui primo articolo riguarda l'eliminazione dell'imposta comunale sugli immobili, dell'ICI.
Già con la legge finanziaria per il 2008, si è detto, erano stati fatti dei passi in avanti verso l'eliminazione dell'ICI per una gran parte dei contribuenti; non può essere negato, ma bisogna dare atto al Governo Berlusconi di aver compiuto il passo ulteriore, di aver eliminato completamente l'imposta comunale sugli immobili con riferimento alle unità abitative adibite a prima casa, per meglio dire alle unità immobiliari adibite ad abitazione principale. Su questo punto prego i colleghi di porre la massima attenzione e fare chiarezza: non si tratta della prima casa, bensì dell'unità immobiliare adibita ad abitazione principale nell'accezione dell'articolo 43 del codice civile, vale a dire l'unità immobiliare dove si dimora abitualmente. Il Governo ha quindi cercato di tutelare proprio quella che è la funzione sociale dell'unità immobiliare, quella dove il nucleo familiare vive, indipendentemente da quelle che ne sono le caratteristiche e le conseguenze reddituali. Ha tenuto a parte solamente le unità immobiliari di pregio, quelle classificate nelle categorie catastali A1, A8 e A9; e a me sembra che il modus operandi del Governo sia sicuramente apprezzabile, perché non dobbiamo dimenticare che, indipendentemente dalle caratteristiche, quando l'unità immobiliare ha una funzione sociale - e questo è il caso della prima casa - deve essere sicuramente posta fuori da meccanismi di tassazione: come avvenne già in passato ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, e se non vado errato è lo stesso Governo del centrosinistra del tempo che eliminò la tassazione IRPEF sulla prima casa. Il Governo Berlusconi non ha fatto nient'altro che completare questo disegno, eliminando anche un'imposta di natura patrimoniale qual è appunto l'ICI.
Il testo licenziato dalle Commissioni riunite migliora l'assetto della materia, perché vengono escluse dalla tassazione non solo le unità immobiliari adibite ad abitazione principale, ma anche quelle che, in base al regolamento comunale o - come dice il testo approvato dalle Commissioni riunite - con delibera comunale vigente anteriormente all'entrata in vigore del presente decreto-legge, ne sono sostanzialmente assimilate. Anche qui, è stata messa in evidenza la sensibilità che i commissari hanno posto nell'estendere alle delibere comunali il meccanismo di agevolazione e di esenzione ai fini ICI.
Inoltre, anche i soggetti titolari di immobili assegnati da cooperative non a proprietà indivisa, come pure coloro i quali, in conseguenza di separazione o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, non sono assegnatari dell'unità immobiliare, essendone assegnatario l'altro coniuge, sono esentati dal pagamento dell'ICI.
Forse si potrebbe fare una riflessione con riferimento ai soggetti non residenti nel territorio dello Stato che dispongono Pag. 16di un'unità immobiliare sul territorio stesso: si potrebbe pensare ad esonerare anche loro. Ritengo però che in un successivo intervento normativo si potrà correggere tale anomalia.
Vorrei riprendere un punto del ragionamento di poco fa del collega Galletti. Si dice che in questo provvedimento non si trovi nulla a favore delle famiglie. Io direi, invece, che il provvedimento al nostro esame contiene disposizioni che eliminano le anomalie generate per effetto dei precedenti interventi normativi: mi riferisco al blocco dell'incremento delle addizionali comunali e regionali.
A tale riguardo, nell'ultimo biennio abbiamo assistito ad una situazione a dir poco kafkiana che ha inciso pesantemente sulle famiglie: mi riferisco alla sostituzione delle deduzioni dalla base imponibile IRPEF con delle detrazioni d'imposta. In precedenza, laddove nel nucleo familiare si trovassero dei cosiddetti familiari a carico (moglie o figli) le spese figurative sostenute per tali soggetti andavano a riduzione della base imponibile IRPEF. Con la legge finanziaria per l'anno 2007 le deduzioni dalla base imponibile IRPEF vennero sostituite con delle detrazioni di imposta, cosicché, laddove vi fossero figli, moglie o altri soggetti a carico, anziché verificarsi un abbattimento dall'imponibile, veniva a generarsi un abbattimento dell'imposta.
La conseguenza sembrava di poco conto, ma è stata rilevantissima per le famiglie. Infatti, oltre ad averne ricavato una base imponibile più elevata, esse hanno pagato un'addizionale comunale e regionale più pesante, perché entrambe le imposte si applicano sulla base imponibile IRPEF. Se, pertanto, per i carichi familiari non è prevista una deduzione dall'imponibile, ma una detrazione d'imposta, la conseguenza sarà quella di avere un imponibile più elevato. Per effetto di ciò, i contribuenti con familiari a carico hanno pagato più imposte: ecco la risposta al collega Galletti. Egli lo sa bene, perché ricopre anche la carica di amministratore comunale. Quanto ho affermato è tanto vero che alcuni lavoratori dipendenti, iscritti ad un sindacato non proprio di centrodestra (la CGIL), all'indomani dall'introduzione di queste misure si recarono con la loro busta paga presso il loro sindacato chiedendo: ma cosa avete combinato? Vi rendete conto che, cambiando il meccanismo da un sistema di deduzioni ad uno di detrazioni, avete reso più pesante il carico impositivo a fini dei tributi locali, facendoci pagare un'addizionale comunale e regionale IRPEF più elevata?
Ecco il motivo per cui va salutata sicuramente con favore la misura introdotta dal Governo, volta a bloccare le addizionali in vista del futuro assetto del federalismo fiscale, sul quale occorre intervenire e occorrerà che vi sia un confronto anche con l'opposizione. Infatti, come è stato già ribadito, non si può pensare ad un federalismo fiscale senza un contributo fattivo e propositivo da parte dell'opposizione.
Il federalismo fiscale cui pensiamo è un federalismo solidale che sicuramente non creerà sperequazioni tra i vari contesti territoriali e che dovrà fare in modo di tenere conto della realtà dei cespiti e dei beni su cui si deve applicare la tassazione. In sede di dibattito nelle Commissioni riunite, i colleghi dell'opposizione avevano presentato alcune proposte emendative con le quali intendevano trasferire agli enti locali i tributi che gravano sugli immobili (l'imposta di registro sugli immobili).
Anche il centrodestra ed il Popolo della Libertà sono orientati a sposare questo percorso, però va fatto con attenzione: non possiamo trasferire solamente l'imposta di registro relativa al comparto immobiliare, ma dobbiamo trasferire anche l'IVA relativa al comparto immobiliare, perché nel caso di un imprenditore che ceda un'unità immobiliare ad un privato non si paga l'imposta di registro, ma l'IVA. Allo stesso modo, vanno attribuite all'ente locale le imposte ipotecarie e catastali. Quindi, quella di un ridisegno organico di tutta la fiscalità immobiliare con attribuzione all'ente locale - in specie al comune - è la strada che sicuramente bisognerà perseguire. Un'altra misura pro-crescita e che Pag. 17stimolerà la ripresa dell'economia è quella della detassazione degli straordinari. Molti colleghi - alcuni di quelli che mi hanno preceduto e molti di quelli in Commissione - hanno manifestato perplessità in ordine a tale misura, mentre ritengo che questa sia una misura sicuramente efficace per la ripresa dell'economia.
Teniamo presente che più è pesante il carico fiscale e maggiore è la propensione all'evasione o all'elusione fiscale. Quindi, ridurre il carico fiscale sull'incremento di reddito - qual è quello derivante dagli straordinari - comporta sicuri effetti benefici, sia in termini di ripresa dell'economia, sia in termini di maggiore disponibilità di denaro che viene lasciata nelle tasche dei contribuenti, la quale verrà necessariamente indirizzata sui consumi con un effetto benefico e positivo anche sui conti pubblici.
Non dimentichiamo, infatti, che se i nuclei familiari con scarsa redditività e poco reddito disponibile decidono di convogliare le risorse detassate verso i consumi, si realizza un effetto positivo e benefico sia sul versante dell'imposta sul valore aggiunto (considerato che il consumatore finale è soggetto passivo dell'IVA), sia sul versante del soggetto che venderà i beni e i servizi a favore di tali soggetti (dal momento che si pagheranno più imposte dirette, più IRPEF e più IRES). Si tratta, quindi, di misure che stimolano e fanno crescere la nostra economia: anzi, auspicherei misure di detassazione del reddito incrementale in relazione a tutti i comparti produttivi, non solo al lavoro dipendente, ma anche alle imprese e ai lavoratori autonomi. Che c'è di male nel dire che, se nel 2009 un lavoratore autonomo, un professionista o un imprenditore realizza 100 euro in più rispetto al 2008, quei 100 euro in più, anziché essere tassati con aliquota ordinaria, vengano tassati con imposta sostitutiva? Con questa misura che cosa si fa? Non si contrasta forse l'evasione fiscale? Non si stimola forse la ripresa economica? Il soggetto che cercava di occultare il reddito, nel momento in cui sa di avere 100 euro in più rispetto al 2009, su quei 100 euro in più, sapendo di pagare meno tasse, ha tutto l'interesse a pagare il suo debito tributario.
La detassazione degli straordinari rappresenta, quindi, un primo passo, anche se si deve procedere oltre e fare qualcosa di più (come dicevo, immaginerei tale misura anche per il lavoro autonomo e per le imprese, soprattutto quelle di piccole dimensioni). Tuttavia, spiragli certamente favorevoli e positivi li troviamo già nella manovra economica che ci apprestiamo ad approfondire da qui a qualche giorno.
Voglio concludere ricordando altri punti sui quali probabilmente sarebbe opportuno un intervento tecnico da parte del Governo, magari attraverso l'approvazione di ordini del giorno o anche in un passaggio successivo.
Per fruire del meccanismo di detassazione degli straordinari occorre avere percepito nell'anno solare precedente, il 2007, un reddito che non eccede i 30 mila euro. Ebbene, in ordine a tale punto sarà necessario precisare che i 30 mila euro devono essere ragguagliati ad anno, perché se ad esempio il contribuente inizia la propria attività nel mese di dicembre 2007 e consegue solo in quel mese, paradossalmente, i 30 mila euro di cui si parlava, mi sembra che egli non possa aver diritto ad una detassazione degli straordinari con pagamento dell'imposta sostitutiva al 10 per cento: pertanto sarà necessario che i 30 mila euro cui si riferisce la norma vengano ad essere ragguagliati ad anno.
Inoltre, voglio richiamare l'attenzione del Governo su un altro punto relativo alle somme erogate a titolo di retribuzione del lavoro straordinario. Ebbene, noi sappiamo che il sistema delle imposte dirette (in particolare, il testo unico delle imposte sui redditi) quando si riferisce al presupposto di imposta - ossia al fatto generatore del tributo - parla di redditi pecuniari o di natura. Pertanto, laddove viene erogato un bene non in numerario, ma per remunerare la prestazione del lavoro straordinario e si utilizza un bene di altra natura (tradotto sulla base del cosiddetto Pag. 18valore normale), esso deve poter essere assoggettato alla tassazione al 10 per cento.
Tuttavia, sono technicality, accorgimenti che potranno essere perfezionati cammin facendo. Infatti, sappiamo che si tratta di una misura sperimentale, che dovrà essere testata nel mese di novembre e sarà necessario verificare se sia possibile la sua estensione anche al comparto pubblico. Noi ne auspichiamo l'estensione anche a quest'ultimo settore e in particolar modo alle forze di polizia. Tenuto conto della natura sperimentale della misura, si potrà pensare ad una sua stabilizzazione proprio all'esito degli effetti che essa produrrà in questo lasso temporale.
In conclusione, i giudizi che si possono riservare e che possono essere espressi in ordine al provvedimento in esame sono indubbiamente positivi. Si sta avviando un percorso virtuoso, attraverso il quale si utilizza la leva fiscale non in una logica oppressiva e di penalizzazione del contribuente, ma in una logica espansiva: riducendo il carico fiscale si dà maggior benessere ai cittadini e alle imprese e in questo modo si fa crescere sicuramente il sistema Paese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Occhiuto. Ne ha facoltà.

ROBERTO OCCHIUTO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, in verità oggi avrei voluto intervenire per esprimere un giudizio del tutto favorevole su un decreto-legge che, in realtà, reca un titolo estremamente ambizioso, troppo ambizioso rispetto al suo contenuto. Tuttavia, tale provvedimento era straordinariamente atteso dai cittadini ed è evidente che ciascuno di noi, al di là delle rispettive appartenenze, è sicuramente convinto che ogni intervento che vada nella direzione di accrescere o almeno salvaguardare il potere di acquisto dei cittadini vada assecondato e considerato con interesse.
Pertanto, non sono contrario all'abolizione dell'ICI. Tuttavia, mi permetto sommessamente di rilevare che il Governo che propone l'abolizione dell'ICI è lo stesso che ha come elemento fondativo - direi quasi costituente - il federalismo fiscale e la sua attuazione. Eppure, con questo provvedimento il Governo ha cancellato l'unica imposta completamente federalista del nostro ordinamento. È una vicenda davvero singolare e, secondo me, estremamente contraddittoria e chiarisce in modo ineludibile e inoppugnabile che per il Governo ogni intervento è necessario e possibile, anche se nega i caratteri distintivi del Governo stesso, purché sia utile ad allungare la luna di miele con il suo elettorato.
Affari del Governo e della maggioranza che lo sostiene: il nostro compito è quello di svolgere un'opposizione senza pregiudizi e senza riserve, ancorando il nostro giudizio unicamente all'interesse del Paese e dei cittadini.
Per questo in Commissione abbiamo cercato di partecipare alla discussione senza riserve e senza pregiudizi, presentando nostre proposte emendative ed evidenziando le questioni che, secondo noi, meritavano un ulteriore approfondimento ed una considerazione ulteriore.
Abbiamo evidenziato anche alcune criticità che rischiano di produrre effetti negativi per i cittadini e di trasformare le speranze che il Governo ha acceso con questo decreto-legge in dolorose illusioni. Non ci piace che, nel decreto-legge che si chiede di convertire in legge, non si stabilisca, come diceva l'onorevole Galletti, un principio di merito per gli enti locali e che siano penalizzati in questo modo i comuni più virtuosi, ponendo sullo stesso piano i comuni che hanno già abbassato le aliquote ICI con quelli che, grazie al vostro provvedimento, otterranno di più perché hanno finora costretto i propri cittadini ad aliquote più alte.
Un Paese moderno e un Governo che asserisce di voler svecchiare l'Italia non dovrebbe comportarsi così. Su questo aspetto sono interessato ad ascoltare, nella discussione sulle linee generali, anche le valutazioni dei colleghi della Lega, che legittimamente si oppongono al principio della spesa storica nell'attribuzione delle Pag. 19risorse agli enti locali e che poi però, contemporaneamente, sostengono un Governo che rimborsa i comuni per il mancato introito dell'ICI esclusivamente in base al principio della spesa storica. Chi ha speso peggio e ha fissato aliquote ICI più alte avrà di più di quanti hanno speso meno e meglio e che, per questo motivo, avevano imposto ai cittadini aliquote più basse.
Inoltre, non ci piace che non vi siano garanzie in ordine alla reale erogazione dei rimborsi spettanti e, soprattutto, alla parte che dovrà essere rimborsata a fine anno, perché ciò può determinare pericolosi squilibri di cassa per i comuni e la fuoriuscita dal patto di stabilità di molti di essi.
Sono favorevole all'abolizione dell'ICI, ma credo che il provvedimento con il quale è stata prevista abbia troppi limiti. Sembra un provvedimento scritto in fretta, con l'ansia di chi vuole ottenere il risultato di giustificare uno slogan, non con l'atteggiamento e l'approfondimento necessari a rimodulare in modo virtuoso la finanza locale nell'interesse dei cittadini.
Sembra un provvedimento utile solo a far dire che il Governo ha cancellato l'ICI e che l'ha fatto da subito. Poco importa se il modo nel quale ciò è stato fatto produrrà effetti negativi per i cittadini in avvenire.
Mi sembrano insufficienti ed utili a coniare solo degli slogan per i tifosi del Governo anche le iniziative sulla detassazione degli straordinari e sui mutui.
In generale, il complesso degli interventi di questo decreto-legge non mi pare destinato alle famiglie, come è scritto nel titolo. Lo dicevamo: è un titolo troppo ambizioso rispetto al reale contenuto del decreto stesso. Gli interventi in favore del potere d'acquisto delle famiglie avrebbero dovuto imperniarsi sul quoziente familiare, che non esiste nel decreto-legge, nonostante gli impegni assunti in campagna elettorale, anche dalla maggioranza che sostiene questo Governo, e non esiste neanche nella manovra che avete da qualche giorno licenziato.
Provvedimenti in favore del potere d'acquisto della famiglia avrebbero dovuto essere imperniati sulla deducibilità di tanti costi che ingiustamente le famiglie italiane non possono dedurre dalle tasse. Abbiamo provato ad introdurre nel testo in Commissione iniziative realmente a favore delle famiglie attraverso specifici emendamenti, ma la maggioranza li ha ritenuti inammissibili perché non omogenei con il contenuto del decreto-legge.
Però, se non sono omogenei con il contenuto del decreto-legge, sarebbe allora onesto, da parte della maggioranza, ammettere che questo decreto merita di essere modificato a cominciare dal titolo. Infatti, esso non riguarda il potere d'acquisto delle famiglie, ma soltanto alcuni interventi sganciati dal contesto dei bisogni reali delle famiglie italiane. In sostanza si tratta, secondo me, di interventi superficiali, più utili ad essere suggestivi che a risolvere problemi concreti.
Per quanto riguarda gli straordinari, per esempio, le misure adottate rappresentano solo un intervento parziale e non producono un beneficio significativo per i lavoratori. Soprattutto, lo faceva emergere il collega Galletti, sono esclusi i lavoratori del pubblico e, in particolare, ci pare ingiusto che siano esclusi i lavoratori che prestano la loro attività nelle forze dell'ordine. Anche su questo abbiamo presentato degli emendamenti e li riproporremo in Assemblea. Ci sembra infatti strano che da un lato il Governo presenti un decreto-legge sulla sicurezza e dall'altro, invece, varando il decreto-legge al nostro esame, escluda dalla detassazione degli straordinari coloro i quali, con grande sacrificio e poche soddisfazioni economiche, si sforzano ogni giorno di garantire la sicurezza stessa.
Anche con riferimento ai mutui, gli interventi previsti sono utili soltanto a produrre slogan, ovvero a dire che il Governo ha abbassato le rate dei mutui. Poco importa se, come diceva il collega Ceccuzzi, per effetto del decreto-legge in esame, la durata del mutuo dovrà essere allungata di altri cinque o dieci anni o se a guadagnare da questo intervento saranno Pag. 20solo le banche. Evidentemente, quando questo decreto-legge è stato scritto, Robin Hood era un po' distratto. L'importante però è che si possa dire che il Governo si è occupato del «caro mutui».
Quindi, onorevole Presidente, onorevoli colleghi, comprendiamo l'ansia del Governo di non deludere le attese e le speranze che ha catalizzato in campagna elettorale. Riteniamo questo un atteggiamento normale, anche virtuoso; apprezziamo lo spirito del Governo che ha voluto sintonizzarsi sugli umori e sulle difficoltà degli elettori. Anzi, riteniamo questo atteggiamento, ovvero interpretare le ansie e bisogni dei cittadini, un dovere di chi governa. Siamo convinti però che non sia l'unico dovere sull'altare del quale sacrificare ogni altro obbligo per chi governa. Chi come noi dell'Unione di Centro ha l'ambizione di replicare in chiave moderna, nella storia di oggi, la migliore tradizione del popolarismo italiano, sa che c'è un altro dovere per chi governa, importante almeno quanto il primo. Si tratta del dovere della responsabilità e consiste nell'atteggiamento di chi, governando, non si limita a parlare alla «pancia» degli elettori, ma utilizza le categorie della responsabilità per fare, anche quando non fosse popolare, ciò che è giusto e non solo ciò che è popolare. Il fine di chi governa deve essere quello di costruire le condizioni migliori per il futuro del Paese e non solo assecondare gli umori contingenti per allungare il più possibile la luna di miele con gli elettori. Tra l'altro, ogni luna di miele prima o poi finisce e rimane solo ciò che si è costruito con serietà e responsabilità, orientandolo al bene delle generazioni future.
Invece, colleghi della maggioranza, il Governo ha cominciato a governare con l'ossessione dei sondaggi e non con l'interesse per il futuro del Paese. Sta facendo solo ciò che è popolare nei sondaggi e lo fa a danno di chi e di ciò che è meno popolare. Il presente decreto-legge è emblematico di codesto modo di agire. Avete scaricato il costo di queste iniziative su chi oggi non dà opinione, su chi, anche per proprie responsabilità, genera invece un'opinione negativa nella comunità nazionale. Avete scaricato il costo di queste iniziative sugli enti locali e sul Mezzogiorno, in particolare su quest'ultimo: quasi tutto l'onere della riduzione dell'ICI grava sulle opere infrastrutturali della Calabria e della Sicilia.
Il messaggio che inviate alle popolazioni del sud è deprimente. I cittadini della Calabria e della Sicilia dovranno pagare l'abolizione dell'ICI per tutti i cittadini italiani e dovranno farlo perché il Mezzogiorno, a causa dell'inadempienza dei propri gruppi dirigenti - è vero - non è più avvertito come una priorità nei sondaggi e nel Paese. Eppure si tratta di quegli stessi cittadini che, forse proprio in reazione alle insufficienze degli uomini delle loro istituzioni, vi hanno consegnato una larga vittoria al sud, alla Camera e al Senato, investendo fiducia sul vostro Governo.
Il Governo oggi li ripaga togliendo loro risorse già stanziate nel bilancio dello Stato. So che ci direte che si farà un ordine del giorno che impegnerà il Governo a ripristinare quelle risorse, ma il fatto è che prima, queste risorse, nel bilancio dello Stato c'erano, mentre oggi non ci sono più. Erano opere infrastrutturali di straordinaria importanza; a mio personale giudizio, persino più utili del ponte sullo stretto.
Anche a tale riguardo, si pone un'evidente contraddizione con l'approccio federalista che dovrebbe avere questo Governo. Mi chiedo, come si può attuare il federalismo fiscale se poi si tagliano quegli investimenti che sono per loro natura propedeutici allo sviluppo e quindi all'ampliamento della base fiscale? Ai colleghi della Lega dico: siate esigenti, giustamente esigenti, con i gruppi dirigenti del Mezzogiorno che troppo spesso hanno sprecato risorse a danno dei loro amministrati. Io provengo dal Mezzogiorno, ne conosco i limiti e anch'io spero in una riforma federale dello Stato in senso solidale, ma soprattutto responsabile. È innanzitutto chi è chiamato a governare le realtà locali del Mezzogiorno che deve essere responsabile, dovendo dimostrare più coraggio e Pag. 21maggiori competenze e dovendo dimostrare di avere la capacità di saper assicurare gli stessi diritti e le stesse prestazioni con gli stessi costi, a Cosenza come a Brescia. Attenzione, però, a non confondere nel giudizio chi ha dilapidato risorse utili allo sviluppo con i cittadini del Mezzogiorno, che sono stati invece vittime essi stessi, e più di chiunque altro, di tali sprechi e della mala politica.
Signor Presidente, concludendo, il decreto-legge al nostro esame dimostra a mio giudizio che il Governo non ha iniziato con il passo giusto. Mi pare che abbia iniziato con la finta forza di chi si fa guidare dagli umori prevalenti, ossessionato solo dall'interrompere il feeling con gli elettori, come se la politica fosse un prodotto il cui ciclo di vita deve essere allungato con ogni mezzo. È un Governo che vuole essere decisionista; infatti si bea di aver licenziato una manovra di oltre cento articoli in nove minuti. Ci chiediamo quanto abbia impiegato a licenziare questo decreto-legge, forse quindici secondi! Forse con noi dell'UdC ciò non sarebbe stato possibile, questo è vero.
Tuttavia il decisionismo, per quanto popolare possa essere nei sondaggi, credo sia non un fine, ma un mezzo, perché se fosse un fine allora neanche il Parlamento servirebbe, basterebbe un uomo solo al comando. Concludo con l'auspicio che la Camera, nella sua alta funzione, possa trasformare questo decreto-legge in un provvedimento realmente utile ai cittadini, e non solo in un provvedimento spot (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fluvi. Ne ha facoltà.

ALBERTO FLUVI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, membri del Governo, utilizzerò pochi minuti per svolgere alcune considerazioni di carattere generale e preliminare, lasciando il merito degli interventi sui singoli articoli agli altri colleghi di gruppo. Vorrei svolgere alcune brevissime considerazioni preliminari circa i provvedimenti adottati dal Governo nelle ultime settimane in materia economica e fiscale. Penso al provvedimento che abbiamo al nostro esame in Aula che interessa l'ICI, la detassazione degli straordinari, la questione dei mutui, oppure a quello che sta per essere trasmesso dal Senato e che riguarda la proroga dei termini e il credito di imposta (la cosiddetta «Visco sud», tanto per intenderci) oppure il decreto che anticipa la manovra per l'anno 2009 e per il prossimo triennio.
Vorrei porre qui in Aula prima di tutto un problema politico, un problema di metodo prima ancora che di merito. Vorrei domandare ai colleghi se è opportuno che una tale quantità di interventi, come quella che ho appena illustrato, che affrontano i temi più disparati, come abbiamo avuto modo di apprendere dalla stampa, vengano adottati attraverso la decretazione d'urgenza e di conseguenza con tempi di discussione molto stretti.
Sostengo che questo metodo attiene ad un problema di rapporti fra Governo e Parlamento, prima ancora che fra maggioranza e opposizione. Invero, credo che nessuno di noi, appartenga alla maggioranza o all'opposizione, abbia molte armi a sostegno del percorso a noi tutti noto dei disegni di legge finanziaria, con migliaia di emendamenti e la questione di fiducia posta poco prima di Natale. Di fatto, da anni il Parlamento è bloccato, per tre o quattro mesi, a causa delle sessioni di bilancio; tant'è che, anche nell'ultima legislatura, maggioranza e opposizione avevano avviato un confronto iniziando a lavorare ad una revisione del processo legislativo relativo alle leggi di bilancio. Certo, è da comprendere - lo riconosco - la voglia della maggioranza di mettere «gambe» alle promesse fatte in campagna elettorale, così come comprendo la volontà di misurarsi, dal vostro punto di vista, con i problemi del Paese, e l'ansia di fornire risposte alle difficoltà di tante e tanti italiani. Tuttavia, un conto è dire questo, riprendendo magari un confronto che definisca i tempi e i modi della sessione di bilancio, un altro conto è impedire al Parlamento di affrontare in maniera approfondita temi così importanti. Vorrei Pag. 22comprendere - è una domanda che rivolgo a me stesso, ma soprattutto a voi - come intendete organizzare i lavori di questa Camera per riuscire ad approvare tutti i provvedimenti prima della pausa estiva. Faccio riferimento al provvedimento che abbiamo oggi all'ordine del giorno, a quello che interessa la proroga dei termini fiscali e che contiene la modifica della cosiddetta «Visco Sud», nonché al DPEF e alla manovra economica che il Governo ha approvato la scorsa settimana. Vorrei inoltre ricordare che nel mezzo vi è anche il provvedimento sulla sicurezza. Noi non rinunceremo a svolgere il nostro ruolo di opposizione, mi auguro solo che il Parlamento sia messo in condizione di lavorare e che il Governo non riduca ulteriormente gli spazi di lavoro.
Venendo al merito della discussione, osservo, molto brevemente, che il provvedimento al nostro esame - ma la cifra mi sembra la stessa di tutti quelli approvati dal Governo - si possa sintetizzare in due punti. Il primo: a mio avviso, il grande assente in questi provvedimenti, da quello fiscale che iniziamo oggi a discutere a tutti gli altri che l'attuale Governo ha varato, è il tema del potere di acquisto dei salari e delle pensioni. Nonostante i proclami del Ministro Tremonti, non vi è un solo intervento che vada in questa direzione, eppure sappiamo tutti che l'assenza di un'efficace manovra redistributiva rischia di comprimere ulteriormente i consumi delle famiglie e di condizionare negativamente l'economia e il mercato interno con riflessi sull'andamento dell'economia italiana.
Vorrei ricordare a tutti i colleghi - solo per memoria, perché so che lo sapete - che la legge finanziaria per il 2008 non a caso aveva inserito nell'articolo 1 la previsione per cui l'extragettito doveva essere destinato alle detrazioni per lavoro dipendente. Lo sapete anche voi, perché è scritto nella relazione unificata e nei comunicati del Ministero dell'economia e delle finanze, dove si dimostra chiaramente la presenza dell'extragettito. Non ritengo sufficienti le dichiarazioni rese del sottosegretario Casero in Commissione, laddove ha affermato che l'extragettito, pur presente, non sarebbe a suo avviso utilizzabile in quanto non strutturale e derivato in gran parte dal gettito degli accertamenti con adesione.
A parte il fatto che questa tipologia di entrate (basta vedere i numeri) rappresenta una parte, nemmeno maggioritaria, dell'extragettito, io non vorrei che questa dichiarazione nascondesse la volontà di non affrontare un altro tema importante, la lotta all'evasione fiscale.
Sappiamo tutti (perché ce lo ha ricordato tra l'altro l'ISTAT la scorsa settimana) che nel nostro Paese oltre 250 miliardi di euro sfuggono all'imposizione fiscale. A ciò si aggiungono le anticipazioni, sempre di stampa, sul DPEF circa l'inflazione programmata, che dal 1993 costituisce (lo sappiamo tutti) la base per il rinnovo dei contratti e che sarebbe stata fissata attorno all'1,7 per cento per il 2008 e all'1,5 per cento per gli anni successivi. Tuttavia, sappiamo tutti che l'inflazione tendenziale per il 2008 si attesta al 3,6 per cento e l'inflazione che riguarda i generi di prima necessità ormai sfiora il 5 per cento. È un modo ben strano di comportarsi per quel Robin Hood: con una mano si dà e con l'altra si prende, impedendo di portare a termine il rinnovo dei contratti in maniera adeguata.
Il secondo aspetto, che a mio avviso caratterizza tutti i provvedimenti, è la penalizzazione del Mezzogiorno su tre fronti: l'abolizione dell'ICI, che è sostanzialmente finanziata con un taglio agli investimenti per le infrastrutture della Sicilia e della Calabria - vorrei ricordare che la misura sull'abolizione dell'ICI costa in questo provvedimento 1,7 miliardi di euro ed è finanziata per ben 1,4 miliardi di euro da tagli alle spese di investimento in queste due regioni -; il decreto che abolisce nella sostanza il credito di imposta automatico di cui alla cosiddetta «Visco-Sud» e che reintroduce discrezionalità, opacità e incertezza per gli investimenti in gran parte del Meridione; infine, nella manovra economica per l'anno prossimo e per il prossimo triennio, è previsto l'azzeramento delle decisioni del CIPE sui Pag. 23fondi delle aree sottoutilizzate prese negli ultimi due anni. Queste sono, a nostro avviso, le cifre del provvedimento in esame. Da un lato non si affronta il tema del potere d'acquisto dei lavoratori e dei pensionati e, dall'altro, si penalizza il Mezzogiorno.
Siamo favorevoli all'abolizione dell'ICI sulla prima casa; si tratta di una misura che, peraltro, abbiamo avviato noi. Infatti, con la legge finanziaria per l'anno 2008 abbiamo anticipato la manovra che voi state concludendo, esentando di fatto oltre il 40 per cento delle abitazioni principali dal pagamento dell'imposta comunale sugli immobili. Tuttavia, a fianco a tale misura noi, per una ragione di equità, introduciamo - sarà oggetto di uno dei nostri emendamenti - la previsione di detrazioni per gli inquilini: gli stessi interventi per le abitazioni di proprietà, li abbiamo estesi anche alle famiglie che abitano in affitto. Dall'altra parte, vorrei sottolineare il fatto (e lo dimostra il servizio studi della Camera) che il gettito che dovrà essere trasferito ai comuni in sostituzione dell'imposta abolita è sottostimato di circa 500 milioni di euro. A ciò si aggiunge un taglio agli enti locali e alle regioni, contenuto nella manovra economica che verrà discussa in Parlamento nei prossimi giorni, di oltre 9 miliardi di euro in tre anni: 5 miliardi di euro per i comuni e gli enti locali e 4 miliardi di euro per le regioni.
Infine, per finanziare il taglio dell'ICI, avete azzerato le risorse destinate agli investimenti del trasporto pubblico locale. Attenzione allora, in quanto si rischia di costringere gli enti locali a tagliare i servizi e di consegnare al mercato servizi, con costi aggiuntivi per la famiglia.
Concludo apprezzando, invece, una dichiarazione del Governo nelle Commissioni riunite, che riguarda il capitolo della detassazione sugli straordinari. Altri dopo di me entreranno nel merito, ma io voglio dire solamente due cose: non siamo d'accordo sull'intervento e non pensiamo che l'incremento della produttività passi attraverso l'incremento degli straordinari. Molto spesso è vero il contrario. Attenzione, stando alla logica del vostro provvedimento, abbiamo apprezzato due aspetti del Governo, nella dichiarazione del sottosegretario Casero, a conclusione dei lavori delle Commissioni riunite la scorsa settimana. Abbiamo preso sul serio quelle dichiarazioni e su quelle intenderemo lavorare, ossia sull'applicazione di quegli interventi attraverso la contrattazione aziendale e territoriale. Il secondo punto riguarda l'estensione della misura a comparti del pubblico impiego, quali la sicurezza e la sanità.
Vorrei sottolineare un aspetto che riguarda il comparto sicurezza: per molti di questi lavoratori non sempre la scelta dello straordinario è libera, ma molto spesso è un obbligo per mantenere aperti certi servizi. In conclusione, ribadisco che proseguiremo il confronto iniziato nelle Commissioni riunite e il nostro lavoro, a cominciare dalla discussione sulle linee generali di oggi e dal lavoro sugli emendamenti, delineando una nostra proposta chiaramente alternativa, a nostro avviso più equa e utile ad affrontare il tema vero che abbiamo davanti, ossia la tutela del potere d'acquisto di salari e pensioni.
Non siamo interessati e non ci costringerete all'ostruzionismo, ma intendiamo proseguire il confronto per migliorare il provvedimento per il bene del Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tassone. Ne ha facoltà.

MARIO TASSONE. Signor Presidente, tenterò di svolgere un commento e qualche mia riflessione su questo provvedimento. Ho ascoltato i colleghi che si sono succeduti, le loro valutazione e le posizioni che sono state assunte, ma voglio ricordare a me stesso che il tema del sostegno alle famiglie si ripropone puntualmente all'avvio di ogni legislatura.
Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, su questo dovremmo anche metterci d'accordo e comprendere fino in fondo cosa significhi sostegno alle famiglie. Questo provvedimento può anche Pag. 24avere qualche obiettivo e conseguire qualche risultato apprezzabile, ma, quando parliamo di famiglia, non si può far riferimento semplicemente ad alcune vicende o ad alcune circostanze.
Quando parliamo di famiglia - visto che noi la consideriamo un momento fondante e fondamentale del divenire storico dell'essere oggi una comunità nazionale - non c'è dubbio che il problema non è riferito soltanto a un alleggerimento di imposta (certamente anche a questo), ma va valutato nel suo complesso. Quando ci si riferisce alla famiglia, si richiamano anche alcuni temi particolari, come la bioetica o la difesa della vita. Questo è giusto, ma la difesa della famiglia coinvolge tutta la società e significa difesa della casa, dell'occupazione, della sicurezza, della salute, dei servizi, del futuro.
Se, invece, facciamo un discorso di spezzettamento e di disarticolazione, esaminiamo semplicemente un aspetto, che è anche un dato di verità, ma che non è tutta la verità.
Ecco perché ci sono delle preoccupazioni su questo provvedimento. Vi è da dire inoltre che l'abolizione dell'ICI sulla prima casa, per dire la verità, venne promessa al termine della quattordicesima legislatura, in campagna elettorale e che noi facevamo parte di quel Governo, di quella maggioranza che promise quel provvedimento sul quale da nessuna parte vi fu polemica, dissenso o dissonanza.
Non vi è dubbio che dobbiamo valutare se il decreto-legge e gli altri provvedimenti collegati definiscono un'articolazione nuova anche dei poteri dello Stato rispetto agli obiettivi e ai traguardi che intendiamo raggiungere. Non si può partire da provvedimenti particolari senza avere una visione complessiva di come si articola il nostro Stato rispetto ai poteri e agli interessi prevalenti soprattutto perché nel nostro Paese prevalgono sempre più le corporazioni, il nucleo degli interessi settoriali consolidati e forti. Anche sotto questo aspetto la famiglia è debole così come lo sono i poteri dello Stato dove la politica e le istituzioni non decidono più e rischiano di essere un passaggio obbligato, una pura ratifica priva di grande fantasia, di creatività e di potere decisionale. Se questo è il dato, dobbiamo capire se il provvedimento si inserisce all'interno di una più ampia ristrutturazione sul piano economico del nostro Paese dove la famiglia sia veramente posta al centro e non sia più un dato di pura propaganda, che si esaurisce in una discussione limitata anche sul piano temporale.
Ritengo che il discorso vada portato avanti e che bisogna capire quale sia il potere delle regioni e dei comuni, cosa significa il Mezzogiorno, cosa rappresenti una politica delle infrastrutture e dei trasporti nel nostro Paese, quale sia il potere delle banche, del credito e della Banca d'Italia sul piano della vigilanza. Bisogna capire se questo nostro Paese ha delle regole e dei poteri che le fanno rispettare. Altrimenti, stabiliamo dei provvedimenti che possono risultare importanti e utili, in quanto attesi, ma perdiamo di vista quella che è la costruzione di una società, di un Paese che non può prescindere da questi temi e argomenti. Non si tratta di un dato o di una variabile indipendente, si tratta di aspetti collegati ad un disegno più ampio; non vi è mai un processo economico svincolato da uno umano con il quale si capiscono le forze e gli interessi, forti, di riferimento. Vi sono state polemiche su questo aspetto, signor Presidente. Io sono meridionale, calabrese e vorrei svolgere un ragionamento che mi auguro il rappresentante del Governo possa seguirmi compatibilmente con l'uso dei telefoni, che rappresentano sempre un aiuto per passare la giornata e i tempi morti delle discussioni sulle linee generali. Dobbiamo svolgere un discorso serio sul Mezzogiorno. Nella mia regione si è avuta la grande mobilitazione dei sindaci, giustamente preoccupati. I consigli comunali, quelli provinciali, i consigli comunali allargati, sono stati tutti impegnati a denunciare i limiti di questo provvedimento e ad esprimere una grande preoccupazione sia perché si tolgono alcuni servizi, o quantomeno la capacità di spesa e di intervento per alcuni servizi Pag. 25consolidati, e sia per la questione della Fintecnica che rappresenta un problema vero.
Dunque, bisogna capire se c'è una politica per il Mezzogiorno. Ma neanche io sono più disposto alla vecchia politica del Mezzogiorno! Non c'è un Mezzogiorno «piagnone» che contesta, pretende di avere risorse, e così dicendo. Ritengo che sia necessario guardare in termini complessivi e capire quali sono state le responsabilità all'interno del Mezzogiorno, quali sono stati gli alibi che altri hanno assunto sulle difficoltà e sulle insufficienze del Mezzogiorno e come sono state distribuite le ricchezze e le risorse di questo nostro Paese sul territorio nazionale.
Non ci sto più all'assistenzialismo! E se qualcuno pensa di dire che nel Mezzogiorno - non per fare vecchia letteratura romantica e impegnativa, quella dei Saraceno e di altri - ma per continuare a vivere e sopravvivere attraverso i meandri, anche oscuri e poco sereni rispetto ai percorsi che ci troviamo innanzi, sbaglia.
Il Mezzogiorno deve far capire che i problemi delle infrastrutture, i Fondi della Fintecna non riguardano soltanto la Calabria e la Sicilia ma il territorio nazionale e l'Europa. Vi è il problema dei corridori: il corridoio 1, il corridoio 5, il corridoio Berlino-Palermo e, quindi, l'attraversamento stabile dell'Europa e la serie di infrastrutture in collegamento, in una visione intermodale dove certamente devono essere raccordate le ferrovie, i porti, gli aeroporti e il trasporto su gomma e, quindi, anche le metropolitane attraverso una nuova riorganizzazione dell'uomo sul territorio urbano, dove certamente le metropolitane non devono essere abbandonate.
Se questo è l'aspetto della questione, non vi è dubbio che costituisce un obiettivo e un dato significativo. Non ci sto più alle vecchie politiche del Mezzogiorno.
Dobbiamo anche prendere atto del fatto che gli interventi nel Mezzogiorno sono in gran parte bloccati dalla criminalità organizzata, se è vero com'è vero che ormai le famiglie mafiose della mia Calabria si sono spartite le competenze per chilometro di strada: dal chilometro 1 al chilometro 10 a quella famiglia, dal chilometro 10 a quell'altra famiglia, attraverso la politica dei subappalti e anche dei fornitori, dove si conoscono uomini e cose ma molte volte non si interviene e dove ci sono territori sotto sequestro. Ci sono sempre stati.
Certo che quando qualche collega mi dice: «Tu hai bisogno di infrastrutture e di finanziamenti ma, poi, questi finanziamenti vanno alle infrastrutture o altrove?». Questo è un vero problema, riguarda il problema del Mezzogiorno, comprende certamente la responsabilità della classe politica, anche della politica complessiva a livello nazionale del nostro Paese. È un aspetto della questione che sottopongo a voi in questo momento.
Con il passato Governo si era eliminata la priorità del ponte sullo Stretto e si era stabilito che i Fondi della Fintecna erano destinati alle infrastrutture della Calabria e della Sicilia. Ma non è che, poi, il Governo Prodi avesse fatto qualcosa: aveva cambiato il titolo. Il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti aveva cambiato il titolo: dal ponte sullo Stretto a politiche delle infrastrutture. Ma io credo al ponte sullo Stretto nella misura in cui si realizzano le infrastrutture. Non può essere una cattedrale «appesa»: abbiamo tante cattedrali cosiddette nel deserto, che si sono più volte «realizzate» anche nelle regioni meridionali. Una parola sulla politica delle infrastrutture bisogna pure dirla.
È un problema della Fintecna? Mi metto a capire se Tremonti per ridurre l'ICI, toglie i Fondi alla Fintecna e, quindi, fa venire meno gli impegni sullo sviluppo, per il sostegno delle aree in crisi, in difficoltà, per le infrastrutture? Questo è un impegno del Governo. Il problema delle infrastrutture non riguarda una regione, ma l'Italia nel suo insieme e anche una svolta di politica economica e di politica culturale, se vogliamo, un dato culturale che riguarda anche il Mezzogiorno.
Vi è, inoltre, il problema delle banche e dei mutui: perché dobbiamo far polemica tra l'ABI e la Banca d'Italia? La Banca d'Italia non si è assunta mai alcuna Pag. 26responsabilità sul piano della vigilanza. Dai mutui flessibili a quelli a tasso fisso, dov'è il controllo della Banca d'Italia? Allo stesso modo, non vi è stato mai il controllo della Banca d'Italia sul credito delle ore del Mezzogiorno, dove, molte volte, i grandi istituti di credito sono stati alla logistica per le azioni d'usura e gli atti criminali. Ritengo che questo sia un dato vero ed ecco perché è necessario realizzare tutti i provvedimenti e capire con quale politica, con quali strumenti e con quali mezzi farlo, anche in relazione ad una ridefinizione di un disegno più vasto.
Non mi sento di contestare il provvedimento in discussione: non ho contestato, alla fine della quattordicesima legislatura, proprio allo scadere della campagna elettorale, l'annuncio relativo alla volontà di eliminare l'ICI, non lo faccio nemmeno oggi. Tuttavia, vorrei capire se questa mobilitazione che vi è nel Mezzogiorno ha un suo riscontro, una sua accettazione oppure se s'intende approvare a maggioranza il provvedimento. Esso verrà approvato. Vorrei, inoltre, comprendere se vi sia un supplemento di confronto, per capire come tutto ciò si colleghi con gli altri provvedimenti che sono venuti alla luce, che riguardano anche la pubblica amministrazione, l'assenteismo? In relazione a ciò, è necessario verificare i risultati dell'attivismo del Ministro Brunetta: ci auguriamo, naturalmente, che egli ottenga qualche successo, ma con la speranza che, quando egli si riferisce ai «fannulloni», non lo faccia anche in relazione ai componenti di questa Camera. Un paragone con la pubblica amministrazione si potrebbe anche fare, ma significherebbe decretare definitivamente la fine di una concezione democratica che ha alimentato molti di noi in quest'Aula parlamentare.
Vi sono tagli e trasferimenti alle regioni e agli enti locali. Ma pensiamo di poter andare avanti in questo modo in relazione alle regioni e agli enti locali? Certo, vi sono comuni virtuosi e meno virtuosi; ne ha parlato il collega Occhiuto, gli altri colleghi del mio gruppo - come l'onorevole Galletti - e ne parleranno dopo di me i colleghi Mannino e Tabacci, ma vogliamo coprirci gli occhi nel capire quali siano, molte volte, le risorse disperse da parte delle regioni, anche per quanto riguarda l'utilizzazione dei Fondi europei?
Le cattive amministrazioni: si dovrebbe avere una visione delle regioni corretta. Non faccio riferimento soltanto alla mia regione, sarebbe molto facile, perché vi è una difficoltà - tanto per usare un eufemismo e per non parlare di «sfascio» - in tutti i sensi, ma faccio riferimento alle regioni in genere. Pensiamo veramente di costruire una struttura statuale, in cui ci si impegna e vi sia un epicentro soltanto nel capo dell'amministrazione, senza prevedere, quantomeno, un affievolimento e una controspinta ai poteri presidenti delle regioni, della provincia - nel caso in cui debbano restare - o dei sindaci dei comuni? Una struttura in cui i consigli regionali, provinciali e comunali non contano nulla, ma sono sotto sequestro del capo dell'amministrazione, per paura dello scioglimento? Tutto ciò non fa che affievolire la democrazia, perché nessuno esprime mai per intero la propria idea né assume mai per intero la propria posizione per paura dello scioglimento. Perché non possiamo prevedere - ho anche avanzato una proposta in tal senso - un sistema di sfiducia costruttiva, in cui anche il voto che l'elettore ha espresso per i consigli regionali, provinciali o comunali abbia qualche peso e qualche dignità? Altrimenti, vi è semplicemente una gestione unica, in cui il sindaco deve avere a che fare con l'ICI e con l'IRPEF. Il mio collega Tabacci in Commissione di merito ha avanzato la proposta - o, comunque, ha posto anche tale questione - relativa al fatto che sarebbe stato meglio realizzare una manovra sull'IRPEF e non sull'ICI. Certamente, ma i comuni sono stati lasciati così, senza alcun tipo di collegamento né di raccordo.
Signor Presidente, le posso dire che i comuni si sono mobilitati anche su questa prospettiva dell'ICI, anche in considerazione della paura che la Calabria (la mia regione), ad esempio, ma anche la Sicilia, possano essere depauperate di risorse. Ma quante risorse sono state conferite a queste Pag. 27regioni meridionali, che non sono state assolutamente utilizzate? Chi paga per questa disattenzione? Ecco il perché della politica, del ruolo e della dignità della politica!
Concludo qui il mio intervento, signor Presidente. Credo di aver fornito un'indicazione, ma, soprattutto, di avere espresso ciò che penso in questo momento. Abbiamo parlato e introdotto anche il tema della sicurezza; potevamo parlare anche della detassazione degli straordinari e di tutte queste misure di aiuto, a fronte di un impegno forte per quanto riguarda il potere d'acquisto della moneta (ma questo è un discorso che viene un po' da lontano).
Dovremo parlare anche di questa nostra Europa, ovviamente, degli entusiasmi e, soprattutto, anche delle disillusioni che vi sono state nel corso degli anni, ma questo è un altro argomento, un altro tema, che tuttavia si inserisce, certamente, anche in questa politica che dovremo cercare di costruire.
Mi auguro, dunque, che, anche nello svolgimento del dibattito e nell'esame delle proposte emendative, qualcuno possa far chiarezza sugli intendimenti del Governo, per agganciare questo provvedimento ad un disegno più vasto, di cui spesso si avverte l'assenza e la mancanza, ma di cui si ha il sentore che esso vi sia. Vedremo se il disegno più vasto della manovra economica potrà recuperare realmente la famiglia, il suo potere d'acquisto e il suo ruolo nel nostro Paese sul piano della formazione e dell'avanzamento civile, culturale e umano (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Italia dei Valori).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Comaroli. Ne ha facoltà.

SILVANA ANDREINA COMAROLI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci troviamo qui, oggi, a svolgere la discussione sulle linee generali del provvedimento di conversione in legge del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, recante disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie.
Tale decreto-legge costituisce la prima, se pur parziale, risposta alle sempre maggiori difficoltà economiche che le famiglie devono affrontare. L'introduzione della moneta unica europea, la difficile congiuntura economica internazionale, l'impennata del prezzo dei prodotti petroliferi e il rialzo dei tassi d'interesse hanno sempre provocato una forte diminuzione del potere d'acquisto delle famiglie, le quali riescono ad arrivare a fine mese sempre più a fatica.
Alle variabili macroeconomiche, si sono poi sommati gli effetti delle azioni di politica economica dell'ultimo Governo Prodi: modifica degli scaglioni IRPEF e passaggio dal sistema delle deduzioni a quello delle detrazioni, con conseguente aumento del prelievo attraverso le addizionali regionali e comunali. Nuovi ed ulteriori adempimenti fiscali a carico dei contribuenti hanno depresso ulteriormente i consumi e hanno contribuito a generare quel senso di sfiducia che è ormai diffuso tra i cittadini.
Il nostro primo obiettivo è sempre stato - e lo abbiamo ribadito fortemente nell'ultima campagna elettorale - quello di introdurre nel nostro ordinamento il principio del federalismo fiscale. L'imponente quantità di voti che la Lega Nord Padania ha raccolto è la testimonianza che la nostra attenzione verso i bisogni economici di tutte le categorie - dagli operai alle piccole imprese, dai commercianti ai professionisti - e la nostra proposta di riforma del sistema fiscale costituiscono la rotta da seguire verso il risanamento dei conti pubblici ed il recupero del potere d'acquisto delle famiglie.
Il provvedimento in esame vuole fornire belle risposte, nel più breve tempo possibile, alle famiglie che hanno difficoltà ad arrivare alla quarta settimana del mese, contemplando una serie di misure volte proprio a contrastare la sofferenza delle nostre famiglie e al sostegno della produttività del lavoro. Tali misure sono: l'abolizione dell'imposta comunale sugli immobili (ICI), senza naturalmente intaccare la capacità finanziaria dei comuni, la detassazione degli straordinari e premi di produttività e la rinegoziazione dei mutui assunti per la prima casa.Pag. 28
Il primo intervento riguarda l'esclusione, a decorrere dall'anno 2008, dell'unità immobiliare adibita ad abitazione principale, dall'imposta comunale sugli immobili e completa l'opera lasciata a metà dal Governo Prodi. L'ICI, nata nel 1992 come imposta straordinaria (infatti, in precedenza, si chiamava ISI: imposta straordinaria sugli immobili), è divenuta, come spesso è accaduto nel nostro Paese, imposta ordinaria, e colpisce il bene per eccellenza: il mattone. Essa grava, quindi, non solo sugli immobili oggetto di speculazioni o sulle seconde e terze case, ma anche sul bene primario della maggior parte delle famiglie italiane: la prima casa.
Si tratta di un'iniziativa a difesa delle famiglie e delle fasce deboli, come, ad esempio, tanti pensionati per i quali il pagamento delle imposte incide sul tenore di vita.
Non rientrano tra le unità immobiliari escluse gli immobili di lusso, le ville e i castelli, mentre rientrano nell'esenzione gli immobili non assegnati come abitazione ai coniugi separati legalmente e gli immobili appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa, adibiti ad abitazione principale dei soci assegnatari, nonché gli alloggi regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi per le case popolari.
L'esenzione dal pagamento dell'ICI è riconosciuta anche alle eventuali pertinenze della prima casa, che il regolamento comunale considera come tali, nel rispetto dell'articolo 817 del codice civile, dove le pertinenze sono assoggettate allo stesso trattamento dell'abitazione principale.
Il minor gettito viene stimato in 1.700 milioni di euro per l'anno 2008 e sarà rimborsato ai singoli comuni in aggiunta alla maggiore detrazione introdotta dalla finanziaria per il 2008. Le modalità di erogazione del rimborso verranno stabilite in sede di Conferenza Stato-città entro 60 giorni dall'entrata in vigore del presente decreto.
Per il 2008, al fine di non penalizzare le entrate dei comuni, il Ministero dell'interno accredita ai comuni il 50 per cento del rimborso loro spettante entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione.
In funzione dell'attuazione del federalismo fiscale e in attesa di definire il nuovo Patto di stabilità interno, le regioni e gli enti locali non possono deliberare aumenti dei tributi, delle addizionali, delle aliquote o delle maggiorazioni di aliquote di tributi ad essi attribuiti con legge di Stato; ciò per evitare che lo sforzo di incidere il meno possibile sulle tasche delle famiglie sia vanificato da un aggravio delle imposte regionali e locali.
Non rientrano in questo blocco le disposizioni sugli squilibri economici-finanziari delle spese sanitarie regionali, introdotte con le finanziarie 2005-2007, e gli aumenti già deliberati dagli organi esecutivi degli enti locali in sede di bilancio preventivo. La sospensione degli aumenti sarà effettiva solo a partire dal 2009.
Ricordiamo che l'eliminazione dell'ICI è l'eliminazione di una tassa patrimoniale ingiusta, perché colpisce il bene fondamentale delle famiglie, e la Lega Nord ha sempre sostenuto tale eliminazione nelle sue azioni.
Taluni hanno evidenziato come tale manovra sia antifederalista, in quanto l'ICI è tributo di competenza comunale, ma il provvedimento deve essere visto in un'ottica di federalismo fiscale che il Governo, formato dalla coalizione PdL-Lega Nord, sta configurando per questo autunno.
Il secondo provvedimento riguarda, a titolo sperimentale, l'introduzione, per il periodo 1o luglio 2008-31 dicembre 2008, di un'imposta sostitutiva dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e delle addizionali regionali e comunali, pari al 10 per cento, entro il limite di 3 mila euro lordi, per le prestazioni di lavoro straordinario, per le prestazioni di lavoro supplementare, per le prestazioni legate ad incrementi di produttività, innovazione ed efficienza organizzativa o altri elementi di competitività e redditività legati all'andamento economico dell'impresa.
I redditi derivanti da tali prestazioni non concorrono alla formazione del reddito complessivo del percipiente o del suo Pag. 29nucleo familiare entro il limite massimo di 30 mila euro. L'imposta sostitutiva si applica con esclusivo riferimento al settore privato e per i titolari di reddito da lavoro dipendente non superiore a 30 mila euro nell'anno 2007.
La misura ha un duplice effetto positivo: sgrava il reddito percepito dal lavoratore di un'importante fetta di imposta e premia la produttività del lavoratore stesso. Siamo di fronte ad un primo passo verso la valorizzazione della produttività dei lavoratori e verso un aumento della loro busta paga.
La defiscalizzazione del lavoro straordinario e dei premi di produttività è una battaglia che da molti anni la Lega Nord sta portando avanti e questa misura, prevista dal decreto, permetterà al lavoratore di guadagnare fino a mille euro netti in un anno.
Il terzo provvedimento cerca di limitare il peso dell'aumento dei tassi dei mutui sui bilanci familiari, stabilizzando la rata mensile a carico dei proprietari. Il rialzo dei tassi di interesse dalla fine del 2005, a seguito delle politiche monetarie adottate dalla Banca Centrale Europea, e la riduzione del potere di acquisto delle famiglie, hanno creato notevoli problemi di gestione finanziaria per molti mutuatari.
Si introduce quindi la rinegoziazione dei contratti di mutuo a tasso variabile stipulati per l'acquisto, la costruzione, la ristrutturazione dell'abitazione principale anteriormente all'entrata in vigore del presente decreto. La rinegoziazione consente la riduzione delle rate del mutuo ad un ammontare pari a quello della rata che si ottiene applicando all'importo originario del mutuo il tasso di interesse derivante dalla media aritmetica dei tassi applicati ai sensi del contratto nell'anno 2006; tale importo rimane fisso per tutta la durata del contratto di mutuo. La differenza tra l'importo della rata originale e quello derivante dalla rinegoziazione è addebitata su un conto di finanziamento accessorio, regolato ad un tasso uguale all'IRS a dieci anni vigente alla data di rinegoziazione, maggiorato di uno spread dello 0,50. Il debito risultante alla data di scadenza originaria del contratto è rimborsato dal cliente sulla base di rate costanti, il cui importo è uguale all'ammontare della rata risultante dalla rinegoziazione, e l'ammortamento è calcolato sulla base dello stesso tasso a cui è regolato il conto accessorio, purché più favorevole al cliente. Le banche e gli intermediari dovranno aderire ad una convenzione stipulata tra Ministero dell'economia e ABI entro 30 giorni dall'approvazione del presente decreto, e dovranno formulare ai clienti la proposta di rinegoziazione entro tre mesi dalla stessa approvazione. Entro i successivi tre mesi il mutuatario dovrà comunicare l'accettazione della proposta alla banca; la rinegoziazione dovrà essere esente da imposte e spese per i clienti; essa si applica a partire dalla prima rata in scadenza successivamente al 1o gennaio 2009.
L'articolo 5 del decreto riguarda la copertura degli interventi previsti per la salvaguardia del potere di acquisto delle famiglie, ed è effettuata attraverso tagli di spesa e non con aumenti della pressione fiscale, come recentemente è stato fatto dal Governo Prodi; ed è quindi una manovra da apprezzare: è una politica che da sempre la Lega Nord persegue, quella dei tagli alle spese.
Concludendo, il provvedimento in esame genera maggiori risorse ai cittadini, dato che non effettueranno il pagamento dell'ICI, avranno detassati gli straordinari e potranno rinegoziare i mutui; e potranno utilizzare quanto risparmiato per altre necessità, come ad esempio arrivare a fine mese (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Capodicasa. Ne ha facoltà.

ANGELO CAPODICASA. Signor Presidente, vorrei utilizzare il poco tempo che ho a disposizione per concentrare la mia attenzione, e richiamare quella del Governo e dei colleghi della maggioranza intorno a un tema che è venuto già in luce nel corso di questi primi interventi nella discussione sulle linee generali, e che, a Pag. 30mio giudizio, merita un ulteriore approfondimento: quello relativo alle coperture finanziarie previste dall'articolo 5, in base al quale vengono utilizzati, tra gli altri, fondi derivanti da riduzione di autorizzazione di spesa a valere sulle leggi finanziarie passate per coprire buona parte dell'onere finanziario necessario per l'abolizione dell'ICI. Mi riferisco soprattutto ad alcune voci che interessano investimenti per infrastrutture nel Mezzogiorno, segnatamente la Calabria e la Sicilia, e anche ad alcune misure a sostegno di interventi di carattere sociale.
Ci riferiamo, in primo luogo, al piano di investimenti per infrastrutture finanziate con i fondi ex-Fintecna ed ai finanziamenti relativi alla viabilità secondaria in Sicilia e Calabria a valere sui fondi FAS previsti dalla legge finanziaria 2007.
Vi sono poi alcuni interventi che, anche se di entità finanziaria minore, sono altrettanto importanti dal punto di vista dogale e qualitativo: penso al risarcimento dei danni subiti dalle aziende agricole siciliane colpite dalla peronospera che hanno comportato danni alla produzione ed agli impianti di notevole entità o alla proroga delle attività dei lavoratori socialmente utili attualmente impegnati presso alcune amministrazioni locali.
Infine, insistono sulla Sicilia anche taluni aspetti di provvedimenti di carattere generale, quale quello relativo agli investimenti dell'INAIL, che comportano, fra l'altro, la revoca della realizzazione di un campus universitario nella regione siciliana. Sarebbe sufficiente evidenziare l'entità finanziaria di queste misure che riguardano la Calabria e la Sicilia per dimostrare la gravità di questo provvedimento.
Qualche collega, intervenendo, ha sottolineato che questo provvedimento sottrae a quelle due regioni una quantità di risorse pari alla quasi totalità della copertura finanziaria necessaria per l'abolizione dell'ICI. Per la sola Sicilia, si tratta di una sottrazione di risorse pari a circa un miliardo e 700 milioni; per Sicilia e Calabria insieme arriviamo ad un totale che supera di gran lunga i 2 miliardi.
Bastano queste cifre per evidenziare il significato non troppo recondito di questo provvedimento: l'assenza di una politica per il Mezzogiorno di questo Governo e di questa maggioranza. Il Mezzogiorno è dimenticato. Non solo non vi è alcuna politica per il Mezzogiorno di carattere strutturale, di prospettiva: ma anche sotto il profilo delle scelte contingenti ed immediate, non si prevede alcun intervento di qualche rilevanza. Al contrario, si sottraggono risorse importanti per la realizzazione di quelle infrastrutture che sono finalizzate allo sviluppo e alla crescita di Sicilia e Calabria e che hanno un valore strategico per l'economia di quelle regioni. Non si tratta di opere ed investimenti finanziati al di fuori di scelte di programmazione, a pioggia. In taluni degli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto ho avvertito quasi un senso di imbarazzo nel sottolineare la gravità di questo provvedimento: gli onorevoli Tassone e Occhiuto hanno sentito il bisogno di sottolineare, nel criticare le scelte del Governo, che non si vogliono riproporre le vecchie politiche di intervento a pioggia per il Mezzogiorno, ed hanno sentito il bisogno di richiamare nel contenuto le responsabilità - cosa del tutto ovvia e condivisa - delle classi dirigenti del Mezzogiorno nella gestione delle risorse pubbliche e nella commistione fra affari, politica, istituzioni e criminalità organizzata. Nel caso di specie va detto che i finanziamenti attraverso i fondi ex Fintecna e sulla viabilità secondaria non hanno nulla a che vedere con le vecchie politiche per il Mezzogiorno, con gli interventi a pioggia al di fuori di politiche di programmazione concertata.
Parliamo di interventi contenuti in atti di programmazione di carattere nazionale, concertati con gli enti locali e con le regioni interessate, che fanno parte, quasi tutti, del programma nazionale delle infrastrutture prioritarie allegato al DPEF 2008-2011, approvato dal Governo e dal Parlamento, e che hanno visto il concorso non solo del Governo nazionale, ma anche delle regioni, le quali hanno contribuito Pag. 31con il proprio intervento a selezionare le opere prioritarie da inserire nei programmi.
Inoltre, queste opere sono parte di un piano più generale che comprende finanziamenti a valere sui fondi del Programma operativo nazionale reti e mobilità per un ammontare di un miliardo e 800 milioni di euro; fanno parte di una concertazione con le regioni - in particolare, la regione Sicilia e la regione Calabria - per l'utilizzo dei fondi dei piani operativi regionali, quindi, a valere sui fondi strutturali europei.
Con il provvedimento al nostro esame, definanziando opere che compongono un quadro generale di programmazione, non si è dato solo un colpo all'economia del Mezzogiorno, ma si è vanificato uno sforzo di programmazione e di concertazione che è durato mesi, anni ed ha visto protagonisti enti locali e regioni interessate e che ha portato ad un risultato condiviso, che è quello consegnato nei documenti ricordati. Come conseguenza se ne ricava un abbassamento delle qualità della spesa, non solo sotto il profilo, che è stato già più volte rilevato, della dequalificazione della spesa, dal momento che si utilizzano fondi per investimenti per alimentare un fondo di parte corrente (così come recita la legge n. 468). Ma nell'ambito delle spese si tratta anche di un attacco ad una spesa di qualità produttiva di carattere infrastrutturale capace di innescare sviluppo, come più volte auspicato e richiesto dalle istituzioni locali.
Parliamo di interventi molto attesi. I fondi ex Fintecna erano destinati originariamente alla realizzazione del ponte sullo Stretto, essendo le uniche disponibilità reali dal momento che le altre fonti di finanziamento erano solo virtuali, sulla carta. Il Governo Prodi aveva deciso di utilizzarle, per un ammontare di un miliardo e 400 milioni di euro, in infrastrutture prioritarie non alternative al Ponte ma propedeutiche alla sua realizzazione. Considerare queste infrastrutture prioritarie rispetto al Ponte, finanziarle con i fondi Fintecna, integrare questo intervento per le reti e la grande viabilità è stata una scelta strategica significativa. Le opere finanziate con questi fondi sono le metropolitane di Palermo, Messina e Catania, il secondo tratto della Agrigento-Caltanissetta, il secondo attracco di Messina-Tremestieri, il passante ferroviario di Palermo.
Si tratta di opere decisive per la mobilità e lo sviluppo delle grandi direttrici di traffico siciliane e nazionali. Poi vi sono i fondi per la viabilità secondaria in Sicilia e Calabria. Erano parecchi decenni che non si investiva più sulla viabilità secondaria.
Allorché venne adottato il provvedimento in questione, qualcuno obiettò che non rientrava tra le competenze dello Stato intervenire in una materia che rimane di stretta competenza delle regioni. Tale obiezione ha un suo fondamento, ma occorre ricordare che in questo campo il Mezzogiorno vive una sorta di emergenza. Lo stato generale della viabilità secondaria, che - per dire solo della Sicilia - collega fra di loro i quasi 400 comuni siciliani, si trova in uno stato pietoso. In tale ambito è intervenuto un provvedimento che ha suscitato attese, mobilitazione e interesse al punto che, quando il CIPE ritardò solo di un paio di mesi - dal 3 agosto alla fine di ottobre o forse i primi giorni di novembre - l'adozione della delibera per l'utilizzo dei fondi e per l'attribuzione delle somme, l'attuale presidente della regione, all'epoca presidente della provincia di Catania nonché dell'Unione regionale delle province siciliane, organizzò insieme agli altri presidenti delle province una manifestazione a Roma (davanti al Parlamento) con una grande mobilitazione, per rivendicare che tali fondi fossero definitivamente assegnati. I fondi vennero assegnati nel mese di novembre e conseguentemente il Ministro Di Pietro adottò i relativi decreti di ripartizione e assegnazione. Oggi che quegli interventi vengono definanziati non notiamo una analoga reazione.
Credo che dinanzi all'attesa che si è creata e di fronte alla circostanza che le province hanno approvato i piani di utilizzo di tali somme, indicando le loro Pag. 32priorità, occorra dare una risposta. Qualche membro del Governo, manifestando un evidente imbarazzo di fronte alle proteste più o meno vibrate che sono apparse sulla stampa, ha dichiarato che tali somme saranno reintegrate e sembra, così come è apparso nella discussione avvenuta in Commissione, che alcuni colleghi - soprattutto tra i parlamentari siciliani appartenenti alla maggioranza - si siano quasi sentiti tranquillizzati al cospetto di vaghi impegni che peraltro sono stati assunti in sedi informali e che nessun rappresentante del Governo ha voluto confermare in sedi ufficiali.
Onorevoli colleghi, credo che non possano bastare generici impegni di un reintegro futuro delle somme sottratte. Lo dico rivolgendomi ai colleghi parlamentari siciliani e meridionali. Parliamo di somme ragguardevoli che sarà molto difficile vengano reintegrate. Basterebbe leggere le notizie apparse sulla stampa nelle ultime settimane per riscontrare le contraddizioni che emergono nelle dichiarazioni dei vari rappresentanti del Governo. Qualcuno sostiene che saranno reintegrate attraverso i fondi FAS, senza spiegare in quale modo; c'è chi afferma che lo si farà con la legge finanziaria 2009 (sembra che il Presidente del Consiglio abbia preso un impegno in tal senso durante un colloquio con il presidente della regione); c'è chi afferma - come il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti - che lo si farà con i fondi della legge obiettivo. Mi sembra evidente che proprio la genericità di queste dichiarazioni indichi che non vi è ancora nulla di certo in proposito.
Allora, come dobbiamo spiegarci un atteggiamento così contraddittorio se non con l'imbarazzo di chi sente il peso di una decisione che ha penalizzato le parti più deboli del nostro territorio, che attendono da tempo investimenti nel settore delle infrastrutture per il loro sviluppo e che oggi, avendole ricevute, le vedono di nuovo sottratte?
Credo che la scelta compiuta dal Governo con il provvedimento in esame debba essere chiamata con il proprio nome e cognome: si è consumato un misfatto ai danni della Sicilia e della Calabria.
Onorevoli colleghi, occorre porre un rimedio immediato; rivolgo un invito al Governo affinché, nel corso della discussione sul provvedimento, dica parole chiare a tale proposito, chiarendo quali siano gli intendimenti in materia nell'immediato futuro. Non più tardi di otto giorni fa, la Sicilia ha tributato un ulteriore successo al Popolo della Libertà, consegnando tutte le otto province siciliane che andavano al rinnovo alla coalizione di centrodestra. L'atto che state per compiere è il modo di ripagare tanta generosità da parte dei siciliani verso il vostro schieramento politico.
Concludo con due notazioni. Oltre al profilo del merito, che abbiamo cercato di sottolineare, vi sono due profili di carattere istituzionale ed anche costituzionale. Il primo riguarda una violazione probabile - uso questo aggettivo perché è in corso un approfondimento - dello statuto autonomistico siciliano che, all'articolo 21, prevede che il presidente della regione partecipi, con il rango di Ministro, alla riunione del Consiglio dei ministri che abbia all'ordine del giorno provvedimenti che riguardano la Sicilia.
Vero è che il titolo del decreto-legge non riguarda direttamente la Sicilia, ma reca «disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie»; tuttavia, è vero anche che, all'articolo 5, vengono drenate risorse stanziate con apposito atto di legge specificamente destinate alla Sicilia e che, quindi, tale provvedimento riguarda direttamente quella regione.
Per tale motivo ricorrevano tutte le condizioni statutarie perché il presidente della regione partecipasse al Consiglio dei ministri che trattava l'argomento. Il presidente Lombardo ha dichiarato che impugnerà il provvedimento davanti alla Corte costituzionale per violazione dell'articolo 21 dello Statuto. Mi pare che ci sia materia perché il Governo autonomamente rifletta anche su questo profilo di carattere istituzionale e costituzionale.Pag. 33
La seconda notazione riguarda - e concludo - un'altra violazione che, nell'ambito del provvedimento in esame, tocca i rapporti tra lo Stato e le regioni. Lo Stato e la regione siciliana nel settembre del 1999 hanno sottoscritto l'intesa istituzionale di programma che regola i rapporti tra lo Stato e la regione stessa in materia di investimenti nei vari settori produttivi e nelle infrastrutture.
Tale intesa istituzionale prevede un'attuazione mediante accordi di programma quadro. Uno degli otto accordi di programma quadro previsti dall'intesa riguarda specificamente il settore delle infrastrutture, della mobilità e delle reti e, in virtù di questo articolo e di questa intesa, è stata siglata una rivisitazione del programma-quadro tra la Sicilia e lo Stato, che contiene alcune opere interessate dal provvedimento. Le firme apposte in calce all'accordo di programma quadro sono quelle del Presidente del Consiglio, del Ministro delle infrastrutture e del presidente della regione Sicilia.
Nell'annullare, di fatto, un atto di programmazione di tale importanza si è ulteriormente vulnerato un patto sottoscritto tra lo Stato e la regione, sul quale si sono basati i rapporti tra Stato e regione in alcuni ambiti di intervento. Tutto ciò, da parte di un Governo che si proclama federalista e che tende a fondare il proprio rapporto con le varie articolazioni istituzionali del nostro Paese su base federale. Mi pare una contraddizione di non poco conto.
In conclusione vorrei rivolgere un appello agli altri colleghi della maggioranza, soprattutto ai colleghi siciliani e calabresi; siamo di fronte ad un provvedimento grave che sottrae risorse importanti a quelle regioni in un momento di estremo bisogno; la sua rilevanza non è indifferente per l'economia di quelle regioni, perché oggi, nel momento in cui tutti i consigli provinciali della regione siciliana, rinnovati appena otto giorni fa, si insediano, si aspettano che intervenga una correzione da parte del Parlamento.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bragantini. Ne ha facoltà.

MATTEO BRAGANTINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, illustri rappresentanti del Governo, con soddisfazione partecipo a questo dibattito, certamente non solo perché è la prima volta che parlo in quest'Aula (dunque, vi è un po' di emozione), ma principalmente perché stiamo discutendo un decreto-legge che risponde ad una promessa elettorale e ad un programma elettorale, quello di questa maggioranza, ma anche dell'opposizione. Ultimamente i cittadini non si aspettano che noi politici rispondiamo di ciò che promettiamo durante la campagna elettorale. Dunque, è un bel messaggio che diamo allo Stato e ai cittadini: i politici, per farsi votare, presentano un programma serio e concreto e debbono mantenerlo nel più breve tempo possibile.
A mio avviso, ciò è dovuto anche al fatto che in questa maggioranza è presente una forza politica molto determinata e molto forte: la Lega Nord. È un movimento politico tutto sommato ancora giovane, almeno con riferimento all'età dei partecipanti, che quando amministra e governa mantiene la parola data.
È vero, come dicono i colleghi dell'Unione di Centro, che si poteva adottare un provvedimento più forte, che prevedesse maggiori utilità per le famiglie, e più complessivo, che riguardasse tutti i problemi delle famiglie nel senso lato e completo.
Tuttavia, invece di continuare a discutere, questo Governo ha voluto assumere dei provvedimenti seri, immediati e con risorse recuperate in tempi brevi. Riuscire ad abolire l'ICI sulla prima casa è stato un primo grande risultato. Si tratta dell'abolizione di una tassa iniqua, che quando è stata creata - come ci è stato detto - si chiamava «imposta straordinaria sugli immobili». Non è una tassa sul reddito, ma semplicemente su una proprietà, laddove i cittadini hanno già pagato le tasse per acquistare la propria casa, soprattutto la prima, quella dove risiedono. Si tratta, quindi, di una tassa totalmente ingiusta.Pag. 34
È per questo che, come dicevo prima, sono contento. Infatti, finalmente è stata abolita l'ICI sulla prima casa, senza danneggiare i comuni: questo è un altro aspetto importante.
In questo decreto-legge è prevista una detassazione degli straordinari. Tutto ciò significa dare una mano a chi fa lavoro straordinario, dunque ai lavoratori, e che ha un reddito complessivo fino a 30 mila euro annui. Quindi, sono interessate le fasce di lavoratori di profilo basso: vuol dire aiutare le nostre famiglie; vuol dire cominciare a rilanciare un po' l'economia.
Come dicevo prima, mi fa specie vedere che la sinistra si sta stracciando le vesti, dicendo che si doveva fare di più, che questi soldi si potevano utilizzare per i lavoratori e per i pensionati.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANTONIO LEONE (ore 18,16)

MATTEO BRAGANTINI. Una sinistra che ha governato fino all'altro ieri e ha varato solo provvedimenti di aumento delle tasse, soprattutto per le fasce più deboli; per questo ha perso le elezioni, ma se ne deve ancora rendere conto.
Si tratta di un provvedimento che ha risolto anche la questione dei mutui a tasso variabile che stava diventando un problema sociale per moltissime famiglie. È vero, ci saranno più rate da pagare, però se si doveva fare a costo zero per lo Stato si è già trovata una mediazione, perché per i cittadini e per molte famiglie trasformare a tasso fisso un mutuo a tasso variabile, a costo zero, è già un vantaggio.
Dunque, sono veramente soddisfatto di questo decreto-legge che è un primo passo. Si è dovuto fare qualche sacrificio, si è previsto qualche taglio, ma era necessario perché erano fondi utilizzati in maniera non consona ad un Governo serio, fondi che non servivano per i cittadini ma che forse venivano sperperati. In ogni caso, questo è un primo provvedimento e di sicuro dovremmo vararne molti di più, tuttavia l'iniziò è buono.
Per concludere, onorevole Presidente, onorevoli colleghi e illustre rappresentante del Governo, devo fare i complimenti a questo Governo. In così poco tempo è riuscito a dare risposte concrete a questo Stato. In futuro si dovrà fare di più, soprattutto per le famiglie, si dovrà realizzare il quoziente familiare, si dovrà attuare il federalismo fiscale, si dovrà veramente cambiare questo Stato, per farlo diventare veramente moderno, efficiente e dove - ricordo agli onorevoli colleghi dell'Unione di Centro - non si parla e basta: si dice che si fanno grandi progetti, com'è successo negli ultimi cinquant'anni, ma dopo non cambia niente per il cittadino (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cambursano. Ne ha facoltà.

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, colleghi, avrei immaginato e sperato che il superministro Tremonti si sentisse in dovere di venire in Parlamento a dirci quale politica economica, finanziaria e fiscale intendesse attivare in questo avvio di legislatura, ma mi sono illuso. Anche in sede di Commissioni riunite V e VI ho chiesto la presenza del Ministro. Questo non vuol dire, naturalmente, non tenere conto della presenza di un rappresentante del Governo importante e significativo, ma credo che era buona tradizione - è avvenuto in passato: non ero presente in Parlamento nella quindicesima legislatura, ma nelle due precedenti sì - per il Ministro dell'economia e delle finanze venire in Parlamento a riferire su alcune questioni. Ad esempio, per spiegare quali fossero le linee di politica economica che intendeva attivare in questa legislatura, quale fosse lo stato di salute dei conti pubblici di questo nostro Paese, come intendesse rispondere alle paure degli italiani e alle loro speranze.
Come vede, Presidente, ho citato il noto pamphlet del Ministro Tremonti, La paura e la speranza, ma attenzione: quando parlo di paura, non mi riferisco soltanto a quella che il giorno in cui si verifica leggiamo, magari, sulla prima pagina dei quotidiani, ma che nei giorni immediatamente successivi Pag. 35viene relegata alla diciassettesima pagina. No, mi riferisco alle paure - al plurale - degli italiani, quelle che si trovano nelle prime sedici pagine dei quotidiani. Voglio spiegarmi, mi riferisco alle paure che bussano alle nostre porte, alle emergenze nazionali e internazionali che picchiano alle nostre porte, come la crisi petrolifera.
Parlo dell'aumento della popolazione, non nel nostro Paese, ma a livello mondiale, dell'aumento delle persone che giustamente si affacciano ai consumi, quali l'India e la Cina - ma non mi riferisco soltanto a queste grandi nazioni, che da sole contano due miliardi e mezzo di persone -, della crisi alimentare, della crisi ambientale, della crisi finanziaria mondiale e di quello che sta avvenendo in America e nei Paesi del sud est asiatico, nonché del problema dei subprime e dei derivati. Ingenuamente, mi sarei atteso che il Ministro dell'economia venisse a riferire al Parlamento in ordine alla situazione del paese, a dove stiamo andando, alla rotta che ci indica, per poi valutarla insieme, ma ciò non è avvenuto. Pensavo che fosse un dovere del Ministro dell'economia avere più rispetto del Parlamento, invece constatiamo che ciò non è accaduto. Anzi, non vedo neanche più alcun rappresentante del Governo in questo momento; forse sta dialogando con la Presidenza, ma ritengo che dovrebbe avere almeno un po' più di attenzione e meno distrazione per riferire, non ciò che dice il povero Renato Cambursano, bensì sui problemi che mi sono limitato ad elencare. Problemi a mio avviso di una gravità enorme, che fanno rabbrividire al solo pensiero.
Oppure, signor Presidente, rappresentante del Governo, ma soprattutto colleghi, dobbiamo leggere lo schiaffo istituzionale del superministro come un modo poco corretto ed elegante di nascondere una situazione ereditata dal precedente Governo Prodi, che - lo riconosco - non ha adottato alcuni provvedimenti, perché gliene è mancato il tempo, ma ha privilegiato altri tipi di intervento, quali quello sull'assetto dei conti pubblici. Ad esempio, il PIL nel primo trimestre di quest'anno è stato certificato come superiore alle previsioni: più 0,5 per cento. Lo ripeto: il prodotto interno lordo su base trimestrale è più 0,5 per cento; mentre sappiamo che, per un lungo quinquennio, si era attestato intorno allo 0,0 o allo 0,3 per cento, quindi non aveva mai sforato quella percentuale. La procedura di infrazione è rientrata grazie al lavoro del superministro che era all'opera prima, in via XX settembre, ed i benefici connessi al ritiro della procedura si sono prodotti immediatamente. Il grande lavoro svolto non viene riconosciuto da nessuno, però se ne godono i frutti: spero che ne godano gli italiani. Il debito è tornato a diminuire negli ultimi due anni, mentre nei cinque anni ad essi precedenti o si era fermato o addirittura aveva ripreso a crescere. Voglio ricordare - perché sarebbe opportuno che ci riflettessimo, perciò mi sarebbe piaciuto davvero che fosse stato presente in Aula il Ministro - che, come sapete, il debito che ogni italiano, da quello nato in questo istante all'ultracentenario, si porta dietro per colpa di tutti e di nessuno al tempo stesso è di 25 mila euro cadauno. Ecco perché un signore, che è diventato recentemente nonno e che disponeva - bontà sua - di qualche risparmio mi ha detto che l'ha messo a disposizione del neonato nipote, accantonandolo in un libretto di deposito postale per diciotto anni, ossia dalla data di nascita del neonato fino al compimento della maggiore età, con un rendimento del 5 per cento garantito. Provate a fare i conti di cosa rendano per diciotto anni quei 25 mila euro: 1.250 euro annui, cioè poco più di 100 euro al mese che, per una famiglia media, considerato il numero dei suoi componenti, sono esattamente pari a ciò che manca per arrivare a fine mese. È così per la stragrande maggioranza degli italiani oggi.
Ad esempio, per una famiglia di tre componenti per arrivare a fine mese sono 300 euro. Ecco perché sarebbe importante parlare del debito, oppure dell'avanzo primario che avevamo riportato a crescere e che, invece, negli anni precedenti si era esaurito. Vi è un extragettito e avrei voluto che fosse riconosciuto. Gli amici della Pag. 36Commissione bilancio ricorderanno che in un pezzettino di carta anonimo, che si riteneva (non so con quale fondamento, ma non me ne assumo la responsabilità) provenisse dalla Ragioneria dello Stato, tra le righe si riconosceva ampiamente che la copertura del provvedimento su Alitalia c'era perché vi era un extragettito. Allora, se c'è l'extragettito di tre miliardi di euro, Presidente, sarebbe bene che venisse riconosciuto e che venisse destinato al sostegno dei salari così come previsto dall'articolo 1, comma 4, della legge n. 224 dello scorso anno.
Presidente, credo che si debba far carico lei (che so persona perbene ed attenta al ruolo delle istituzioni) nei confronti del Presidente della Camera affinché il Ministro Tremonti venga a riferire su questi temi e a rispondere a tali interrogativi. È un dovere ed è un nostro dovere conoscere.
Colleghi, vi ricordate invece tutti che il 13 maggio, quando in Aula si discuteva della fiducia al Governo, il Presidente del Consiglio (che stava chiedendo al Parlamento la fiducia) disse esattamente: «il problema principale del nostro Paese è di ricominciare a crescere, dopo una lunga e deludente fase di riduzione delle prestazioni del nostro sistema economico e sociale». Come non essere d'accordo!
Tuttavia, inquadro questa affermazione (che condivido totalmente) con quanto ho detto prima sugli ultimi sette anni (cinque più due) di politica economica e finanziaria. Far crescere il nostro Paese vuol dire raggiungere alcuni obiettivi che fondamentalmente sono tre: fare un'iniezione di domanda aggregata per contrastare la flessione del PIL; sostenere il potere d'acquisto delle famiglie, soprattutto di quelle in difficoltà; incentivare la crescita della produttività.
Vediamo allora se il disegno di legge di conversione del decreto-legge in esame raggiunge tali obiettivi e vediamo quali sono gli strumenti messi in campo. Il primo è l'abolizione totale dell'ICI e non ripeto che era già stata avviata nella passata e breve legislatura e che il 40 per cento degli italiani già beneficiano di tale misura. Ovviamente mi riferisco alle prime case che non hanno un valore catastale alto e che sono abitate da famiglie che per lo più hanno assunto degli oneri finanziari con le banche e sappiamo anche cosa ciò significhi.
Mi domando chi non possa essere d'accordo sulla proposta abolizione totale dell'ICI. Io, Presidente, sono d'accordo, io Renato Cambursano, cittadino italiano, sono favorevole! Sa perché, Presidente? Perché risparmio 2.500 euro. Ma mi chiedo, Presidente, se era necessario far risparmiare i Renato Cambursano d'Italia - lei dirà che uno basta e avanza, e posso anche convenirne! - e se era necessario far risparmiare questi cittadini.
Sa perché risparmio 2.500 euro? Perché 1.300 euro li risparmio sulla mia prima casa, dove abito, e 1.200 euro li risparmia mia figlia, perché la casa è mia, regolarmente denunciata, ma vi abita lei e beneficia quindi della misura, visto che il provvedimento ne dà la possibilità. Grazie Giulio Tremonti, Renato Cambursano ringrazia.
Non aumenta, però, la domanda aggregata di Renato Cambursano e di coloro cui mi riferivo dianzi; l'abolizione dell'ICI, quindi, non aiuta in alcun modo a contrastare la flessione del tasso di crescita del PIL.
Dunque, non Renato Cambursano, ma il responsabile capo economista dell'OCSE, il 4 giugno, scriveva alla agenzia Radiocor (leggo testualmente per evitare equivoci): «Se l'obiettivo è quello di rafforzare il tasso di crescita dell'economia», un altro intervento sull'ICI «non è un punto di partenza ovvio», perché «le tasse più distorsive per lo sviluppo sono quelle sulle aziende e sul capitale, e poi quelle sul lavoro», poi seguono le altre, ma poi, poi, poi...
Tanto meno, l'abolizione dell'ICI incentiva la crescita della produttività, perché non c'è alcun nesso con la medesima. Quindi, questa misura non raggiunge il secondo obiettivo, perché proprio «non ci azzecca» direbbe Di Pietro.
In terzo luogo, essa non sostiene, oltre a quanto già avviene di fatto, il potere Pag. 37d'acquisto delle famiglie in difficoltà, perché queste sono già escluse dal pagamento dell'ICI. Come ho affermato prima, si «amputa» l'ICI, sostituendola con trasferimenti provenienti dal prelievo sul reddito. Chi paga le tasse in Italia, se non, per lo più, i lavoratori dipendenti e i pensionati? Per fortuna, non soltanto loro, ci mancherebbe altro!
Allora, questi signori pagano anche il conto per quei signori che potrebbero fare a meno dell'abolizione dell'ICI e pagarla tranquillamente.
In poche parole, i più poveri pagheranno per chi sta meglio, ma a loro - lo abbiamo appreso recentemente - verrà consegnata una carta prepagata. Bella trovata! Avremo italiani di serie A, di serie B, di serie Z e l'oligarchia, ristretta, che si riduce sempre più, ma di questo parleremo più avanti. La povertà o la ricchezza di ogni individuo è data da due fattori: il reddito e il patrimonio. L'ICI è una delle poche imposte che individua come base imponibile - veniva ricordato prima dagli amici della Lega Nord - il patrimonio dell'individuo. In tutti i Paesi sviluppati esiste qualcosa di simile all'ICI, compresi gli Stati Uniti d'America, dove la property tax ha un'incidenza effettiva superiore a quattro volte l'ICI in Italia.
Il secondo rapporto ISTAT 2007, che è stato fatto pervenire a tutti i colleghi, dice che il reddito degli italiani è crollato del 13 per cento rispetto ai Paesi dell'Unione europea. Si vive con salari greci e prezzi tedeschi!
A percepire i redditi più bassi sono gli anziani soli, i quali, se hanno una propria abitazione, sono per lo più già esenti, mentre, se sono in affitto, non avranno nulla.
La legge finanziaria per il 2008, invece, prevedeva una detrazione fino a 300 euro per queste categorie, che poteva arrivare addirittura a circa 991 euro, quasi mille euro, per i giovani che avessero necessità per creare una famiglia. E poi si parla di famiglia! Diamo ai nostri giovani gli strumenti per poter mettere su una famiglia.
Nell'ultimo anno, i prezzi al consumo sono aumentati di circa il 3,3 per cento, un punto in più rispetto all'inflazione programmata, ma adesso abbiamo letto, almeno sui giornali - quando verrà poi consegnato il documento ufficiale, anche noi poveri mortali lo scopriremo -, che l'inflazione è telecomandata all'1,7 per cento, quando sappiamo che vola verso lidi purtroppo ben più alti.
Il peggioramento ha toccato soprattutto i consumi quotidiani: il pane, la pasta, la luce e il riscaldamento; riscaldamento non utile in questa stagione, ovviamente, ma per noi del nord è stato necessario fino a pochi giorni fa.
Questi aumenti toccano pesantemente le famiglie più povere. Allora, rispetto a questo aspetto, bisognava provvedere diversamente.
Si può ancora fare: si possono aumentare le detrazioni IRPEF a favore dei pensionati e dei lavoratori dipendenti. Vi è poi un effetto distributivo regressivo in questo provvedimento. L'ho fatto capire attraverso il mio esempio personale, sul quale non voglio ritornare. Ma si potrebbe parlare del prezzo delle abitazioni a Piazza di Spagna - il presidente Conte è in possesso dei quotidiani di oggi - che è arrivato a 35 mila euro al metro quadro (70 milioni di vecchie lire al metro quadro). A piazza di Spagna esiste un'abitazione di tale valore che sarà assoggettata all'abolizione dell'ICI. Voi direte che la colpa è dei comuni che non hanno provveduto. Sì, e chi vi parla è stato anche sindaco. Sì, ma perché non sono stati forniti ai comuni gli strumenti idonei? Adesso poi li togliete tutti. Caro amico della Lega, quale incentivo avrà il neosindaco di Roma di andare ad accertare a quale categoria appartiene quell'immobile quando non ricade nulla, in termine di cassa e di competenza, nelle casse del comune di Roma? Non avrà più stimoli, questa è la verità. È un intervento che va contro l'autonomia fiscale dei comuni e che rende impossibile la programmazione pluriennale perché l'ICI la si poteva - mi permetta il termine signor Presidente - giocare, nel senso buono del termine, diversamente, come ha fatto il comune di Brescia. Chi vi parla proviene dal profondo Pag. 38nord; anch'io sono del profondo nord. Il comune virtuoso di Brescia - che ha cambiato la maggioranza politica, evidentemente la virtù non conta in questo Paese - non aveva più l'ICI, i cittadini di Brescia non pagavano più l'ICI. Qual è il comune d'Italia, fra gli oltre 8 mila, che sarà più penalizzato da questo provvedimento? Sarà il comune di Brescia perché non avrà alcun ritorno; è questa la verità.

MAURIZIO FUGATTI. Relatore per la VI Commissione. Il primo anno no!

RENATO CAMBURSANO. Bene, esamineremo il testo e mi dirà come succederà a meno che ovviamente lei, che ne ha titolo come relatore per la VI Commissione, presenterà degli emendamenti - io la sosterrò - che vanno nella direzione di favorire finalmente i comuni e i sindaci virtuosi e di penalizzare quelli che hanno fatto i lavativi, perché ve ne sono al nord come al sud. Allora potremmo anche convenirne.
Non voglio ripetere alcune considerazioni svolte ma voglio solo soffermarmi sui costi di minor gettito che graveranno sui comuni. Signor Presidente, mi piacerebbe - anzi, ho sbagliato verbo - è mio dovere come parlamentare sapere a quanto ammonta la cifra esatta di quanto non andranno a incassare i comuni con l'abolizione dell'ICI. Ho letto tre cifre, di cui una inserita nel provvedimento in esame e riguarda la stima di 2.604 milioni di euro (1.700 di questo provvedimento più i 904 previsti dal Governo Prodi). Il Sole 24 Ore che, anche se è vero che non è il Vangelo, parla di 2 mila 800 milioni di euro e la previsione del vicepresidente dell'ANCI, il nostro collega onorevole Osvaldo Napoli, secondo cui si sale addirittura a 3.000 milioni di euro; sarebbe bello sapere qual è la cifra esatta perché non devono essere i comuni a pagare sui numeri fasulli - tanto che si dice « non dare i numeri» - che vengono forniti al Parlamento.
Sulla seconda questione che riguarda la detassazione degli straordinari vi è da dire che, a parte la palese incostituzionalità, sulla quale si è già pronunciata la I Commissione, ovviamente a maggioranza, si tratta di un diritto sancito dalla nostra Carta costituzionale che i cittadini siano uguali davanti alla legge. Non è così in questo provvedimento e mi riferisco ai dipendenti dello Stato nelle varie categorie come chi lavora nelle forze dell'ordine, nella sanità, nei comuni. Ci sono dei fannulloni: puniamoli, è giusto e ogni provvedimento che andrà in quella direzione non potrà che avere il nostro voto favorevole.
Ma i fannulloni sono una cosa, la funzionalità degli enti e delle pubbliche amministrazioni è un'altra. Facciamoli funzionare e riconosciamo pari diritti ai dipendenti pubblici.
Questo potrebbe sembrare lo strumento più efficace per il raggiungimento di quei tre obiettivi che ricordavo prima o, meglio, che ricordava il Presidente del Consiglio il 13 maggio. Ma lo è solo in apparenza. Non è detto che la domanda aggregata aumenti. In un Paese che conserva uno dei tassi di occupazione femminile più bassi d'Europa, un tasso di disoccupazione elevato e crescente - lo abbiamo visto negli ultimi giorni, quando tali dati sono stati riportati da tutti i quotidiani - si introduce una misura che non incide minimamente sui salari e sugli stipendi bassi, soprattutto nelle aree sottosviluppate. Molto meglio sarebbe stato incentivare l'occupazione stabile e l'aumento degli stipendi e dei salari collegati alla crescita della produttività. È questo l'obiettivo: far crescere la produttività nel nostro Paese. Dunque, eccoci al punto: su tale obiettivo anche noi convergeremo, ma individuiamo gli strumenti che per davvero creeranno una maggiore produttività.
Il provvedimento in esame sostiene il potere di acquisto delle famiglie? Di una piccola, esigua minoranza. Sono esclusi i pubblici dipendenti - lo abbiamo visto - le donne, i lavoratori atipici, gli immigrati. Accresce la produttività? Credo che queste misure non abbiano assolutamente nulla a che fare con essa. Ritengo che sia un marchiano errore affermare che si accresce la produttività. Credo che sia noto a tutti i colleghi, per gli studi e le indagini Pag. 39svolte, che le ore più produttive non sono le ultime della giornata, ma le prime. Dunque, se lavoro le prime ore e, poi, faccio lo straordinario, a meno che non inizi con lo straordinario, non sono più produttivo alla fine. Girando il discorso come si vuole, relatore, è la stessa cosa: il prodotto cambia, la proprietà commutativa non vale. Cambia il risultato.
Gli straordinari erano già stati sgravati dai contributi dal Protocollo sul welfare. Inoltre, in Italia, gli straordinari costavano meno già prima del decreto-legge in esame, meno delle ore lavorative ordinarie non solo per lo sconto contributivo citato, ma perché sul loro costo non incidono i cosiddetti istituti differiti, la tredicesima, la quattordicesima, le ferie e il TFR: questi sono già sgravati da imposte. Le stesse voci, invece, incidono sul costo delle ore ordinarie di lavoro.
Il vero vantaggio è solo per le aziende ma non in termini di maggiore produttività. Tale misura stimolerebbe, invece, comportamenti elusivi quali far passare parte della retribuzione normale per retribuzione di ore di straordinario o stipulare contratti part-time e far passare il resto dell'orario per straordinario o quello di chiamare ore di straordinario i futuri aumenti salariali: in questi casi, oltre al danno, si avrebbe la beffa. I costi sarebbero maggiori e gli effetti sulla produttività minori.
Ho ascoltato prima il collega Leo e condivido ciò che ha detto. Sarebbe bene che venisse chiarito che il tetto dei 30 mila euro è rapportato su base annua, altrimenti si assumono lavoratori nell'ultimo mese di dicembre - anch'io come il collega Leo sto forzando l'esempio - e poi si potrebbero far lavorare tutte le ore di straordinario in quel mese e comunque non si raggiungeranno i 30 mila euro di stipendio all'anno, perché si lavora solo quel mese e, ovviamente, avremo un'elusione ancora più grande.
In alternativa, si potrebbe intervenire con sgravi sui premi di rendimento definiti per l'appunto in sede di contrattazione aziendale, come ricordava il collega del Partito Democratico in precedenza. Nel caso del premio di risultato, l'obiettivo non è quello di incentivare il maggior prodotto che richiede maggior lavoro, ma il maggior valore aggiunto che si ottiene lavorando il medesimo monte-ore: questa è la produttività.
Il provvedimento in esame, incentivando il lavoro straordinario, mina la sicurezza del lavoro. Dunque, non veniamo in questa sede a ricordare - per carità, continueremo purtroppo a farlo ogni tanto, anzi sempre più spesso, perché accade sempre più spesso - le vittime della sicurezza sul lavoro, quando non garantiamo la sicurezza e sappiamo che la sicurezza è più a rischio nelle ultime ore di lavoro, proprio quando coincidono con il lavoro straordinario e, forse, anche con il lavoro nero.
L'impatto distributivo è regressivo, perché chi se ne avvantaggia di più sono naturalmente coloro che hanno già stipendi più alti, quelli che sono più prossimi ai 30 mila euro o ai 27 mila euro; se si aggiungono, poi, i 3 mila euro di cui verrebbero beneficiati, godrebbero della differenza - mi sembra - tra il 37-38 per cento (tanto è l'aliquota) e il 10 per cento (perché le ore straordinarie sono tassate del 10 per cento). Vi sarebbe, quindi, un valore favorevole di ventotto punti percentuali.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

RENATO CAMBURSANO. Signor Presidente, passo al terzo strumento, cioè quello relativo alla rinegoziazione dei mutui per la prima casa. Va subito detto che non si tratta di una rinegoziazione che trasforma un mutuo da tasso variabile a tasso fisso, ma di una rinegoziazione che trasforma un mutuo a tasso variabile in un periodo di tempo determinato in un mutuo a rata fissa ad un tasso stabilito in un periodo indeterminato. Il mutuatario sarà indebitato per un periodo più lungo e su tale debito d'interesse sarà calcolato un ulteriore interesse ed anche l'ipoteca avrà una durata maggiore.
I colleghi della V e della VI Commissione ricorderanno che nell'audizione del Pag. 40direttore generale dell'ABI si citava l'esperienza recente del primario istituto bancario - banca, che dir si voglia, italiana - che non ha svolto un sondaggio, ma ha scritto a tutti i suoi clienti mutuatari di mutui per la prima casa. Sapete qual è stata la risposta delle famiglie che si sono dette interessate, previa verifica delle condizioni? Il 5 per cento. Ho fatto personalmente alcuni studi (non ci crederete, ma lo vedremo a risultati acquisiti, come si dice «a babbo morto»): altri istituti si attestano su percentuali ancora più basse. Era uno strumento necessario? Sì, ma doveva essere realizzato diversamente, esattamente come noi ci siamo cimentati, abbiamo provato - e riproveremo - presentando proposte emendative e mi auguro che anche la maggioranza le faccia proprie, ma non mi dilungo su ciò.

PRESIDENTE. Onorevole, deve concludere.

RENATO CAMBURSANO. Concludo, anche per non tediarvi davvero tanto, con le coperture. È già stato detto che si dequalifica la spesa, perché si usano risorse destinate a spese d'investimento per spesa corrente. Infatti, esse derivano da riduzioni di spese varie in conto capitale - non ricordo più quali siano - e dalla revoca di un miliardo 400 milioni di euro destinati al sud, in particolare a Calabria e Sicilia; si fanno tagli sconsiderati su vari capitoli, si toglie al sud dal nord - ed io non potrei che essere felice - si azzerano gli investimenti per il trasporto pubblico locale. È stato presentato in Commissione...

PRESIDENTE. Onorevole, le chiedo scusa, capisco che trenta minuti sono pochi, ma deve concludere.

RENATO CAMBURSANO. La ringrazio signor Presidente, vorrà dire che mi avvarrò di altri tempi...

PRESIDENTE. Cambieremo il Regolamento e aumenteremo i tempi!

RENATO CAMBURSANO. No, ci mancherebbe. Mi attengo alle regole, sempre. Mi interrompo qui. Ho apprezzato lo sforzo fatto dai relatori di riscrivere alcuni tagli per rimpinguare quei capitoli di bilancio. Peccato, che il modo in cui siete andati a colpire, peggiori ancora di più la situazione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Causi. Ne ha facoltà.

MARCO CAUSI. Signor Presidente, è chiaro a tutti che una misura che restituisce due miliardi 600 milioni di euro alle famiglie italiane sarebbe ben accolta da tutte le componenti politiche di questo Parlamento. Perché il Partito Democratico ed io personalmente vogliamo qui esprimere una forte perplessità su questo provvedimento? Perché, in realtà, a me - e a noi - sembra che l'impatto effettivo delle misure proposte sul potere d'acquisto sia ampiamente sovradimensionato dalle ipotesi governative.
Infatti, guardiamo il principale strumento messo in campo da questo decreto-legge: il completamento dell'abolizione dell'ICI sulla prima casa. Ricordiamoci che già la legge finanziaria vigente aveva abolito l'ICI per tutti quanti i pagamenti fino a 200 euro: l'1,33 per cento del valore catastale fino a 200 euro. Questo beneficio si sommava alla detrazione già esistente e, quindi, in sostanza, noi oggi - senza questo decreto-legge che si chiede al Parlamento di convertire in legge - viviamo in un mondo in cui non si paga più l'ICI fino a circa 300 euro. Ciò significa, sostanzialmente, che il 40 per cento dei proprietari di case, in Italia, sono già, di fatto, esenti dall'ICI.
Sappiamo che i proprietari di case, in Italia, costituiscono circa i due terzi della popolazione: siamo un Paese in cui i due terzi delle famiglie possiedono la casa in cui abitano, mentre circa un terzo delle famiglie vive in affitto. A questo terzo - circa 6 milioni di famiglie - che vive in affitto (e che ha, mediamente, livelli di reddito e di affluenza patrimoniale inferiori ai restanti due terzi delle famiglie Pag. 41proprietarie della prima casa), questo provvedimento non porta nulla.
Pertanto, facciamo nuovamente i conti: ad un terzo delle famiglie - costituito da non proprietari, quindi da soggetti mediamente meno affluenti - il provvedimento non mette niente in tasca; per il 40 per cento dei restanti due terzi - quindi, circa per un altro 35-36 per cento di famiglie italiane - questo provvedimento non genera nulla, perché si tratta di famiglie che abitano in case già comprese nell'ambito del complesso delle detrazioni previste dalla legge finanziaria in corso. In conclusione: questi soldi non vengono messi in tasca a tutte le famiglie italiane, ma a meno della metà - circa il 45 per cento di esse - non un soldo in tasca va a chi sta in affitto, né un soldo in più in tasca va a quel 40 per cento di famiglie proprietarie già beneficiate dalla detrazione fino a 300 euro.
Ma il secondo aspetto, ancora più importante, è il seguente: questo 45 per cento delle famiglie italiane (che sono meno della maggioranza, meno della metà delle famiglie italiane beneficiate da questo provvedimento) non sono quelle che esprimono il più elevato livello di propensione al consumo, perché sono, in generale, le famiglie che possiedono un cespite immobiliare di maggior pregio, o di pregio medio e alto.
Pertanto, sempre fermo restando che possono benissimo esservi famiglie povere che abitano in grandi appartamenti (ma si tratta di casi molto isolati), in generale il provvedimento al nostro esame mette in tasca questi soldi non a tutte le famiglie, ma soltanto a meno della metà di esse e, in più, a quelle che, forse, mediamente, ne hanno meno bisogno ed esprimono, quindi, una minore propensione al consumo.
Mi rivolgo al Governo che ci ascolta, a tutte le colleghe e i colleghi della maggioranza: non ne facciamo un punto di tipo redistributivo e, se volete, etico; ne facciamo un punto di tipo macroeconomico. Infatti, la situazione socio-economica del Paese è complessa. Esistono fabbisogni rilevanti di aumento del potere d'acquisto in componenti importanti del Paese: i salari, le pensioni, tanti nuclei familiari che davvero non arrivano alla quarta settimana, il sud.
Ebbene, questo è un provvedimento che, per quanto riguarda la parte sull'ICI (che però costituisce la parte prevalente dal punto di vista finanziario), non coglie l'obiettivo macroeconomico, né quello redistributivo. Direi, se potessi fare una battuta, che esso è l'esatto contrario di Robin Hood, ripeto, l'esatto contrario di Robin Hood: si danno i soldi a chi ne ha meno bisogno. Da questo punto di vista, anche gli stessi impatti effettivi sul territorio di questo provvedimento sono molto difficili da comprendere. Non vi è soltanto una questione sud-nord. Prima di me, il collega Capodicasa ha ricordato (ma anch'io lo voglio ricordare) che questo provvedimento, nel modo in cui è coperto, è profondamente antimeridionalista.
È profondamente antimeridionalista perché toglie importanti coperture finanziarie ad infrastrutture per la Sicilia, per la Calabria, ma anche ad infrastrutture importanti per la qualità della vita e la competitività delle grandi città della Sicilia e di grandi e importanti porzioni di territorio meridionale.
È antimeridionalista anche dal lato dei destinatari delle risorse, perché, dato che i valori catastali degli immobili sono in generale più bassi nel sud che nel centro-nord, le famiglie che ne beneficeranno sono più al centro-nord che al sud. Voglio dirlo a tutti quanti: vi è anche una redistribuzione perversa fra grandi e piccole città, fra aree urbane e aree rurali, perché, dato che i valori catastali sono generalmente più elevati nelle grandi aree metropolitane del centro-nord, questo provvedimento darà più soldi in tasca ai proprietari di case medio-alte di Torino, Milano, Bologna, Firenze e Roma rispetto alle famiglie che abitano nelle zone rurali, nelle piccole città o nei piccoli paesi.
Gli impatti di questo provvedimento, dal punto di vista della volontà dichiarata del Governo di dare una scossa positiva ai consumi tramite un aumento del potere Pag. 42d'acquisto delle famiglie, sono fortemente inficiati da queste caratteristiche ed è per questo che non ne siamo convinti.
Avremmo preferito - lo hanno già detto tanti colleghi prima di me e non voglio dilungarmi - innanzitutto che il Governo prendesse atto del comunicato che lo stesso Ministero dell'economia e delle finanze ha fatto pochi giorni fa. Si trova sul sito del MEF: il fabbisogno di maggio, stimato o reso pubblico dal MEF, è un ottimo dato, che, proiettato a livello annuale, implica una quantità di risorse aggiuntive, rispetto ai quadri tendenziali di finanza pubblica, pari a 15 miliardi di euro.
Se anche scontassimo una riduzione del tono economico e delle entrate nella seconda parte dell'anno, tale dato implica comunque che 6-7 miliardi sono già da parte, grazie alle politiche di risanamento e alle politiche di contrasto all'evasione e all'elusione che questo Governo eredita dal precedente; avremmo preferito che il Governo avesse detto: i soldi ci sono e saranno stanziati per intervenire davvero sul potere d'acquisto tramite un intervento massiccio sulle detrazioni per il lavoro dipendente, sulle detrazioni familiari e sulle detrazioni per la casa.
Noi, come Partito Democratico, così come abbiamo già fatto in Commissione, intendiamo presentare in Aula almeno cinque proposte emendative, che vanno nella direzione di un'opposizione non di tipo ostruzionistico, ma di un'opposizione che lancia nel Paese e in quest'Aula idee e progetti attuabili anche oggi, se il Governo e la maggioranza vorranno cogliere l'opportunità della conversione di questo decreto-legge, ma attuabili anche domani, quando discuteremo di provvedimenti come, ad esempio, la manovra finanziaria ovvero il federalismo fiscale.
Il primo emendamento che presentiamo aumenta, con adeguata e apposita copertura finanziaria, le detrazioni per gli affitti; esso dà, quindi, un beneficio a quel 25-30 per cento di famiglie italiane che abitano in una casa in affitto, che sono, invece, escluse da qualsiasi beneficio previsto dall'articolo 1 di questo provvedimento.
Con questo emendamento intendiamo aumentare fino a 500 euro la detrazione già vigente per i redditi fino a 15 mila euro e aumentare fino a 300 euro la detrazione già vigente per i redditi fino a 30 mila euro.
Mi rivolgo alla Presidenza, perché il Partito Democratico chiede che, sull'ammissibilità di questo emendamento, venga svolta dalla Presidenza stessa un'accurata, seria ed onesta istruttoria. Questo emendamento non è stato accolto, ma ritenuto inammissibile in Commissione; lo ripresenteremo pertanto in Aula con una raccomandazione: ci sembra davvero inspiegabile la dichiarazione di inammissibilità di un emendamento come questo.
È vero: non incide sull'ICI, che è l'imposta presa in considerazione dall'articolo 1 del provvedimento, ma incide sul potere di acquisto.
Il provvedimento in esame reca disposizioni urgenti per salvaguardare il potere d'acquisto delle famiglie (questo è il titolo del decreto), con un contenuto - ci dice il Comitato per la legislazione - parzialmente eterogeneo, in quanto la finalità indicata dal titolo del decreto è la salvaguardia del potere di acquisto; quindi non ci sembrerebbe comprensibile una dichiarazione di inammissibilità per un provvedimento come quello che proponiamo, e cioè di aumentare le detrazioni riconoscibili a tutte le famiglie italiane che sono in affitto, e che quindi potrebbero detrarsi una quota degli affitti che pagano più elevata di quella oggi ammissibile.
Altri due emendamenti li abbiamo già presentati in Commissione e li riproporremo in Aula: si riferiscono al modo in cui la perdita del gettito ICI sulla prima casa per i comuni viene sanata da parte dello Stato. Col provvedimento in esame andiamo incontro ad un paradosso: aumenterà la quota di trasferimenti dello Stato ai comuni, aumenterà quindi la quota di finanza derivata. Un paradosso all'interno di uno scenario politico-programmatico di legislatura, in cui il federalismo fiscale è Pag. 43uno degli obiettivi che la maggior parte delle componenti politiche di questo Parlamento si pongono: togliere un pezzo di un tributo proprio, sostituendolo con trasferimenti. Noi proponiamo quindi fin da adesso due possibilità alternative: chiediamo al Governo e al Parlamento di ragionarci fin da adesso, e comunque queste due proposte le riteniamo utili anche per un dibattito più a medio termine su quali basi fiscali e tributarie potrebbero essere assegnate ai comuni italiani nel futuro assetto di un federalismo moderno e solidale. In un caso, proponiamo di sostituire il gettito ICI sulla prima casa con la quota parte equivalente dei proventi dell'imposta di registro sulle compravendite immobiliari: l'imposta di registro sulle compravendite immobiliari vale all'incirca tre miliardi e 600 milioni di euro; può restare a gestione statale (come l'IRAP) ma può diventare un tributo che affluisce direttamente ai comuni. Si riferisce alla base immobiliare, quindi ad una base reale: sappiamo che per finanziare i comuni in tutto il mondo le basi imponibili di tipo reale sono preferite a quelle di tipo personale, ovvero a quelle relative alla produzione, perché le basi imponibili personali, ovvero produttive, si spostano più velocemente; oltre a ciò i confini amministrativi dei nostri comuni in Italia sono molto piccoli, e quindi sarebbe difficile fissare le basi imponibili. È per questo che in tutto il mondo per finanziare i comuni si preferiscono basi legate a oggetti reali, che non si spostano. L'imposta di registro sulle compravendite immobiliari a noi sembra, come Partito Democratico, un'ottima candidata a contribuire, nel futuro assetto del federalismo fiscale solidale italiano, al finanziamento di comuni.
Un'altra proposta che avanziamo fin da adesso, e che comunque resta anche nei prossimi mesi in questa discussione, è quella di sostituire al gettito ICI prima casa che i comuni perdono un'aliquota, ovviamente adeguata, l'aliquota sufficiente, di compartecipazione all'imposta sui redditi: l'altra grande strada del federalismo fiscale è quella della compartecipazione, perché non pensarci fino da adesso?
Inoltre, un'altra proposta emendativa. Noi come Partito Democratico proponiamo all'Aula e al Governo un ragionamento che è già stato svolto da alcuni colleghi che mi hanno preceduto ma che devo ripetere: l'ICI dei comuni era un'imposta dinamica nel tempo, grazie al lavoro di contrasto all'elusione e all'evasione fiscale che i comuni hanno portato avanti in questi anni. Forse, anzi probabilmente, può darsi che l'ICI sia diventata talmente odiata dalle famiglie italiane appunto perché era più difficile sfuggire all'ICI che ad altre imposte: quasi l'80 per cento delle famiglie italiane sono proprietarie di case; le case sono oggetti reali, con gli strumenti di contrasto all'evasione o all'elusione i comuni avevano un grande incentivo a seguire bene questo gettito. Forse, molte famiglie italiane sono abituate con riferimento ad altre imposte ad eludere più facilmente gli obblighi tributari. In questo caso era diventato più difficile. Ma proprio per questo il gettito dell'ICI non è stabile nel tempo, e quindi il rimborso da accordare ai comuni non può essere fissato ad un livello dato.
Si è già detto che il livello stimato in proposito da questo decreto è molto probabilmente inferiore a quello necessario: tuttavia, attraverso gli emendamenti predisposti nelle Commissioni finanze e bilancio, si è lasciata aperta la possibilità perché, nell'ambito delle sedi della concertazione (e in particolare della Conferenza Stato-città), i comuni possano valutare con il Governo, nel corso delle prossime settimane, il livello effettivo del rimborso.
Noi poniamo però un problema che va al di là della questione del primo rimborso, e che invece fa riferimento ai prossimi anni. In proposito, abbiamo presentato due emendamenti che risolverebbero il problema in modo alternativo. Il primo (relativo specificamente a questo provvedimento) propone che, come si prevedeva già nella finanziaria approvata sotto il Governo Prodi, i comuni possano essere sottoposti ad una certificazione annuale relativa alla perdita di gettito (ivi compresa, naturalmente, la perdita che si Pag. 44produrrà anno dopo anno per effetto degli incrementi naturali del gettito di questa imposta). Il secondo - che vi invitiamo a valutare con attenzione, poiché consentirebbe di proiettare sin d'ora questo Paese verso il futuro della finanza pubblica multi-livello - propone invece che si vari un coordinamento della finanza pubblica multi-livello attraverso una sessione che, all'inizio di ogni anno, prima definisca il livello complessivo di pressione fiscale generale di tutte le pubbliche amministrazioni e poi stabilisca quale livello di tale pressione fiscale è devoluto ai comuni, alle province e alle regioni, e quale invece rimane allo Stato: nell'ambito di questo coordinamento, ciascun livello di Governo dovrebbe reperire autonomamente le risorse finanziarie necessarie per finanziare i servizi per i quali risponde di fronte ai cittadini.
Questo secondo emendamento pone dunque sin d'ora all'attenzione di quest'Aula, in attesa dei provvedimenti che il Governo vorrà presentare in materia di federalismo fiscale, l'ipotesi di un nuovo meccanismo di coordinamento della finanza pubblica. Esso garantirebbe che la pressione fiscale venga stabilita insieme e ad un livello non più modificabile, ed eviterebbe che i vari enti agiscano in modo scoordinato fra di loro, facendo saltare le previsioni complessive di pressione fiscale, così da risolvere uno dei maggiori problemi generatisi nell'assetto ancora non coordinato della finanza pubblica multi-livello degli ultimi due anni. D'altra parte, in questo modo gli enti locali - i comuni, le province e le regioni - non perderebbero la loro autonomia come invece si rischia di fare, se si tornasse a quel che si fece nella XIV legislatura, cioè al mero blocco di tutto e al tetto di spesa.
Vorrei infine aggiungere che il gruppo del Partito Democratico ha valutato anche emendamenti proposti da altre forze politiche: in particolare, possiamo ancora ragionare su di un emendamento - che abbiamo cominciato ad esaminare in Commissione - che prevede che, per stabilire chi è esentato dall'esenzione (cioè chi deve pagare comunque l'ICI sulla prima casa), si ricorra non tanto alle categorie catastali A1, A8 o A9, che definiscono un gruppo assai ristretto di coloro che la devono pagare, quanto invece alla definizione di abitazioni di lusso prevista dal decreto ministeriale del 2 agosto 1969. Ragionando e lavorando su questo tema, dal momento che in quel testo si trova una definizione di abitazioni di lusso che è parametrizzata su aspetti concreti (ampiezza, presenza o meno di piscine, etc.), il concetto di abitazione di lusso verrebbe riportato a caratteristiche oggettive ed indipendenti dalla classificazione catastale. Se dunque questa strada fosse tecnicamente ed operativamente possibile, credo che il Partito Democratico sarebbe disponibile - e in questo senso manifesta la sua volontà - a convergere su questa ipotesi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. La Presidenza terrà in debito conto le considerazioni sull'emendamento da lei richiamato.
È iscritto a parlare l'onorevole Mannino. Ne ha facoltà.

CALOGERO MANNINO. Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, mi limiterò a talune rapide osservazioni. La prima è che il titolo di questo decreto-legge è più ambizioso del suo contenuto.
In particolare, mi soffermerò sull'aspetto che riguarda l'ICI, che credo costituisca la vexata questione. Mi sarei atteso dal Ministro dell'economia e delle finanze - che si annuncia come l'interlocutore più autorevole, portatore peraltro anche di strategie politiche che investono il futuro - che non si procedesse con la regola del mantenimento dell'impegno elettorale (tesi questa che è echeggiata anche oggi in Aula): abbiamo promesso l'abolizione dell'ICI, manteniamo l'ICI.
La situazione economica e finanziaria del Paese e l'esigenza di affrontarne i problemi in una prospettiva strategica avrebbero richiesto che il Ministro dell'economia (e, quindi, il Governo), prima di procedere a questo primo salto, soprattutto Pag. 45a quello dell'ICI, presentasse il quadro finanziario e quello delle strategie politiche che il Governo intende portare avanti (l'occasione, peraltro, è assai prossima e mi riferisco all'esame del DPEF), e soprattutto presentasse quella che oserei chiamare la due diligence sulla situazione finanziaria dello Stato.
Ciò avrebbe consentito di valutare, innanzitutto, l'opportunità di una misura come quella dell'ulteriore riduzione dell'ICI. Per le tante osservazioni che si possono fare, nel bene e nel male l'ICI è stata un'imposta che ha avuto il suo angolo di proiezione e di percussione sul territorio, rappresentando un elemento costitutivo della finanza locale (e vi sono comuni che hanno esercitato un'attività lodevole di organizzazione in questo senso). Ma adesso, la sospensione - o meglio, l'abolizione - dell'ICI priva il sistema degli enti locali di un elemento di finanza locale che invece, proprio perché, come stasera è stato ricordato in Aula, rappresentava un elemento di patrimoniale, poteva essere una ragione sulla quale riflettere nella prospettiva cui tutti - lo dico anche a nome dell'UdC - guardiamo con estremo interesse, ossia quella dell'introduzione del federalismo fiscale.
Probabilmente, anche se si voleva in ogni caso e ad ogni costo adottare tale provvedimento, la copertura poteva essere diversa (ma parlerò di questo aspetto di qui a qualche istante).
Vi è un primo aspetto del provvedimento in discussione che presenta un profilo di incostituzionalità: non si può toccare un elemento della finanza locale senza assicurare non il rimborso, ma la soluzione in prospettiva di quell'entrata, una soluzione che tenga conto anche delle situazioni che storicamente si sono verificate. Vi sono infatti comuni che, in ragione della felice gestione della propria finanza, hanno portato avanti linee per le quali l'ICI non si paga più (come si è detto a proposito del comune di Brescia): il rimborso prevederà allora un'eguale misura per tutti i comuni, o farà riferimento alla situazione storica?
Vi sono situazioni contraddittorie, e peraltro il parere della I Commissione - anche se determinato dal fatto che anche in quella Commissione la maggioranza è esplicita e abbastanza autosufficiente - ha dovuto però tenere conto di queste osservazioni.
Probabilmente si sarebbe dovuto invece provvedere - se proprio si voleva operare un intervento con misure urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie - attraverso un sistema di detrazioni fiscali, e si sarebbe dovuto procedere anche nella prospettiva della situazione di quelle famiglie (sono molte e rappresentano ormai il 30 per cento della società italiana) che sono fiscalmente irrilevanti e rappresentano il vero problema sociale di questo momento.
Si sarebbe dovuto procedere nella direzione della famiglia. Non si tratta di un privilegio ideologico che il gruppo dell'UdC coltiva, ma di un argomento e di un ragionamento di carattere politico che viene offerto a tutto il Parlamento e a tutte le forze politiche: credo che l'esigenza di assicurare un sostegno alla famiglia attraverso una molteplicità di interventi di carattere diverso si debba imporre a tutti noi.
Vengo poi al punto che più mi interessa, ossia la copertura finanziaria del provvedimento prevista dall'articolo 5.
Non mi piace dare giudizi sommari e approssimativi, ma ritengo che una simile copertura rappresenti una misura anti-meridionalistica. Vorrei poter dialogare con i colleghi deputati della Lega. Si tratta di una misura anti-meridionalistica. Faccio loro provocatoriamente una domanda: se per dare una copertura finanziaria a questo provvedimento il Ministro dell'economia e delle finanze avesse utilizzato uno dei tanti finanziamenti appostati per una delle tante infrastrutture giustamente e necessariamente programmate o predisposte e avviate per il nord Italia (non le elenco perché basterebbe fare riferimento ad un quadro generale, ossia alla legge obiettivo), cosa avrebbero fatto i deputati della Lega? Sarebbero insorti e avrebbero Pag. 46contestato l'opportunità di una distrazione di finanziamenti per opere che sono necessarie al Paese.
La copertura finanziaria prevista con l'articolo 5 toglie al sud finanziamenti che non sono destinati ad alimentare spese improduttive, parassitarie od opinabili, che vi sono anche state al sud come al nord d'Italia. È vero, nel Meridione sono avvenute molte volte. In realtà, però, si tratta di finanziamenti per investimenti importanti che riguardano la città di Palermo, la città di Catania e il sistema della viabilità in Sicilia. Addirittura, vi è una misura di emergenza che riguarda la viticoltura.
Pertanto, vi sono ragioni di inopportunità che il Governo avrebbe dovuto tenere presente e non precedere così sbrigativamente in omaggio all'apparenza di decisionismo che il Governo vuole dare e che sa benissimo - lo dimostra giorno per giorno ciò che avviene nel Paese - che non potrà tenere, perché il nostro Paese non si governa decisionisticamente, ma con il consenso, non solo della maggioranza. Lo ripeto: si governa con il consenso ed è stata questa la regola! Mi permetto di far osservare ad un collega che poc'anzi si è consentito un'espressione infelice, che il nostro Paese in cinquant'anni è andato avanti e non è rimasto quello del 1946 o del 1948.
Tuttavia, vi è un'altra ragione. Vi è anche un aspetto di incostituzionalità di questo provvedimento, che non riguarda il fatto che il presidente della regione formalmente non sia stato invitato alla riunione del Consiglio dei ministri che ha varato il decreto-legge, o non solo per tale aspetto, che potrebbe apparire formalistico. Lo statuto della regione siciliana è una legge costituzionale, che precede la Costituzione italiana, ed è una di quelle leggi di cui il Paese e il Parlamento devono tenere conto e che quando si discuterà di federalismo fiscale non potrà essere ignorata, perché è un atto costituzionale che ha una sua ragione specifica e si colloca in un preciso contesto storico.
Il federalismo che si vuole introdurre certamente deve essere orientato ad innalzare il livello, il tenore, la portata e la capacità delle attuali regioni di diritto comune, soprattutto assicurando loro una base finanziaria certa e - lo dico subito - equa e giusta, ma non potrà ignorare la realtà storica di alcune regioni a statuto speciale (invece di citare la Sicilia, mi riferisco al Trentino-Alto Adige o alla Valle d'Aosta), la cui autonomia speciale ha un fondamento storico che si ricollega addirittura a trattati internazionali e a vicende storiche che hanno attraversato due guerre.
Pertanto, il federalismo non potrà essere omologante, ma dovrà tenere conto delle differenze giuridiche e costituzionali. Il presidente della regione non va invitato per una cortesia. L'articolo 21 dello statuto della regione siciliana e le norme di attuazione dicono, invocando un principio che sarà alla base del federalismo - il principio della leale collaborazione tra i diversi livelli di Governo -, che quando si discute degli interessi di una determinata regione, esiste una procedura di consultazione e di concertazione ineliminabile.
Del resto, è il criterio in forza del quale tutti gli accordi di programma, stipulati da tutti i Governi (dal Governo Berlusconi nella fase 2001-2006 come dal Governo Prodi nella fase 2006-2008), sono stati contratti. Questi accordi di programma non sono chiffon de papier, pezzi di carta che si possono stracciare, ma hanno una loro rilevanza giuridica e costituzionale.
Orbene, i finanziamenti destinati alla regione Sicilia e alla Calabria hanno avuto questo passaggio e quindi non si può «saltare sulla testa» di questi dati e di questi fatti oggettivi. Pertanto, non sto ad invocare un meridionalismo querulo e straccione, ma una serie di principi che - mi rivolgo ai deputati della Lega - proprio i deputati della Lega devono chiedere che vengano rispettati. Infatti, questi principi non rispettati oggi per la Calabria e per la Sicilia potrebbero non essere rispettati domani per altre regioni.
Il federalismo, se lo si vuole introdurre - lo ripeto: non vi saranno ostilità e pregiudizi, ma una leale disponibilità e un confronto di idee e di proposte -, deve Pag. 47avvenire sul terreno del riconoscimento delle reali esigenze, anche di unità, di questo Paese. Infatti, chiunque voglia governare questo Paese, lo fa nella sua unità o non governa un bel niente.
Proprio la crisi dell'Europa di questi giorni ci dimostra che la dimensione nazionale è una dimensione imprescindibile, dalla quale evidentemente non ci si può discostare e dentro la quale si deve stare, in direzione sia dell'Europa sia delle regioni.
Il provvedimento in esame, pertanto, non solo è antimeridionale, ma è antifederalista e mi sorprende che un uomo accorto come Tremonti si sia lasciato sfuggire questa valutazione e l'occasione per dimostrare, invece, che proprio attraverso la sua politica è oggi possibile un varco di dialogo al quale noi non ci sottrarremo (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro e di deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole De Micheli. Ne ha facoltà.

PAOLA DE MICHELI. Signor Presidente, come l'onorevole Bragantini anche io parlo per la prima volta in quest'Aula e come lui sconto sicuramente un po' di emozione. Sicuramente, però, la soddisfazione non mi avvicina al collega in quanto, nei prossimi minuti, intendo esternare la nostra seria preoccupazione, come gruppo del Partito Democratico, rispetto a questa iniziativa legislativa del Governo.
Con il titolo assegnato al decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, il Governo ha riconosciuto il vero problema di questo Paese, ovvero la progressiva perdita di potere d'acquisto delle famiglie. Si prende atto che questo Paese è in una fase di contrazione della domanda, in presenza, anche se il Governo stesso non ha il coraggio di riconoscerlo, di una forte spinta inflattiva.
In Europa, invece, dove il problema dell'inflazione viene riconosciuto, si decide di aumentare i tassi per raffreddare i prezzi e ci si aggrappa alla ragione, ancora tutta da dimostrare, di un'inflazione importata. Siamo, quindi, di fronte ad una congiuntura macroeconomica che, nella selva delle possibili soluzioni, dimostra quanto il problema abbia una complessità e una portata senza confronti con le condizioni macroeconomiche del secolo precedente.
In questo quadro, come risponde il Governo italiano? Non con un disegno organico di politica economica innovativa e coraggiosa, ma con la demagogia dell'azzeramento dell'unica tassa federale, con il miraggio della detassazione di parte dei salari che, in realtà, per la sua tipologia, probabilmente non raggiungerà più di 700-800 mila lavoratori. Per concludere, stringe un patto con le banche, camuffando un'operazione di difesa corporativa con l'illusione di dare un aiuto alle famiglie e ai mutuatari.
Mi sembra una risposta debole, iniqua e incoerente con il titolo stesso del decreto-legge, nonché lontana dalla consapevolezza dei veri problemi della domanda aggregata di questo Paese.
È come andare in guerra armati con uno stuzzicadenti.
Il Partito Democratico è favorevole alla riduzione delle tasse. La dimostrazione sta nel fatto che il Governo Prodi ha lavorato per diciotto mesi per porre le premesse affinché tutto ciò fosse possibile, nel rispetto del rigore dei conti pubblici, senza purtroppo raccogliere né applausi, né consensi, e - come l'onorevole Fluvi ha ricordato - prevedendo già nell'articolo 1 della legge finanziaria la destinazione delle risorse proprio alle famiglie.
Se allora ci sono delle risorse, perché non si sono trasferite alle famiglie nell'ambito di un disegno di politica economica redistributiva che almeno avesse una lontana parentela con l'equità e con il federalismo?
Nel merito, mi soffermerò soprattutto sull'ICI. Al di là dell'abolizione iniqua, al di là della rinuncia ad un «minimo sindacale» di federalismo, al di là della vostra incapacità di supportare questo taglio con una complessiva revisione della tassazione sugli immobili e sul patrimonio, mi soffermo sull'aspetto che oggi è meno Pag. 48evidente, anche dai dibattiti giornalistici, ma che più sarà doloroso domani per tutti i cittadini: il grave rischio dell'azzeramento del ruolo che i comuni hanno in quanto primi soggetti di redistribuzione della ricchezza.
A volte, in supplenza della colpevole latitanza dello Stato, i comuni sviluppano nei territori, che meglio di tutti conoscono, le politiche di welfare, di servizi e di formazione, che sono la prima vera risposta ai bisogni nuovi dei cittadini e delle famiglie. Non solo, punite i comuni togliendo loro autonomia finanziaria e potestà regolamentare, concetti base del federalismo. Li riportate nel medioevo con la finanza derivata e ipercentralistica. Inoltre, con la legge finanziaria per il 2009, date il colpo di grazia, azzerando di fatto gli introiti ICI sulla prima casa. Onorevole Bragantini, nel 2009 praticamente l'abolizione dell'ICI non sarà più a saldo zero.
Per concludere, non viene previsto nessun meccanismo premiante per i comuni che hanno rispettato con grande fatica il patto di stabilità interno, senza mai rinunciare alla loro responsabilità di erogatori di servizi primari. Negli ultimi due anni gli enti locali hanno già risparmiato 3 miliardi e mezzo di euro e hanno ridotto il personale dell'1,5 per cento. Eppure, si vanno a prendere le risorse ancora lì. Se almeno sacrificare l'idea del federalismo e la certezza della programmazione finanziaria dei nostri territori servisse a qualcosa... Invece, il taglio indiscriminato aumenterà la disponibilità delle famiglie che non ne hanno bisogno e non darà alcun beneficio a chi invece oggi fatica a fare la spesa. Su questo aspetto l'approfondimento più interessante lo ha fatto il collega Causi. Qualcuno ancora oggi si illuderà, pensando di vedersi detassati gli straordinari. In realtà, anche questa seconda parte del provvedimento è esclusiva e limitata a categorie di lavoratori, che saranno circa 700-800 mila.
La nostra critica è severa e pesante. Tuttavia, nei lavori in Commissione vi abbiamo dimostrato e offerto tutta la collaborazione possibile per migliorare questo decreto-legge. In realtà, avete raccolto ben poco della nostra disponibilità a migliorare i provvedimenti in questione verso condizioni di maggiore equità e federalismo. Ripresenteremo ancora le proposte emendative più qualificanti, così come illustrato precedentemente, perché a noi interessa solo il Paese, che è composto da famiglie che non mangiano con la demagogia.
Per quanto riguarda la copertura finanziaria farò solo un cenno. All'onorevole Ravetto, che è una donna, chiedo di intervenire sull'odioso taglio del Fondo contro la violenza alle donne. Almeno su questo è necessaria un po' più di solidarietà tra di noi, rispetto a coloro che sono state decisamente più sfortunate di noi.

LAURA RAVETTO, Relatore per la V Commissione. L'ho fatto!

PAOLA DE MICHELI. Ma non solo, vi chiediamo di riflettere di più e meglio sui nostri emendamenti e vi sfidiamo, nella politica economica che porterete avanti con i prossimi provvedimenti, a realizzare interventi per le famiglie organici, strutturali e veramente riformisti, perché la demagogia alla lunga non pagherà nemmeno di fronte al vostro ampio consenso.
In questo decreto-legge e nelle anticipazioni della finanziaria, tutto questo è completamente assente. Si aiutano le banche a non avere addosso in carico cinquecentomila potenziali immobili, ma non ci sono provvedimenti sulla produttività, nulla sull'innovazione dell'impresa, il deserto sulla famiglia.
Il mondo corre e questo Paese si aspetta risposte vere. Voi avete i numeri e potete davvero rispondere alle attese delle famiglie. Altro che responsabilità nazionale! Voi avete la responsabilità di dare soluzioni strutturali e non di lasciare in mano alle famiglie e ai cittadini italiani solo uno stuzzicadenti per combattere contro una crisi che si stratifica, si aggrava e, purtroppo, si consolida (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Simonetti. Ne ha facoltà.

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ROBERTO SIMONETTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, membri del Governo, voglio nuovamente ripetere il titolo in quest'Aula del decreto-legge n. 93 del 2008, perché a nostro avviso anch'esso rappresenta un fiore all'occhiello: disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie. Per noi si tratta di una meta fondamentale della nostra azione politica.
Noi stiamo discutendo la conversione in legge di questo decreto-legge, che nasce con lo spirito di contenere le difficoltà economiche dei cittadini e di cercare di rilanciare il volano dell'economia. Da sempre il punto cardine dell'azione politica della Lega Nord è la difesa delle prerogative della famiglia. È chiaro, quindi, che per la difesa di questo istituto fondamentale per la salvaguardia della nostra società occidentale - la famiglia, perno della nostra società - si devono mettere in atto iniziative anche in campo fiscale, affinché essa abbia la possibilità di affermarsi, di svilupparsi e di vivere dignitosamente.
Risulta quindi di primaria importanza intervenire laddove la famiglia nasce: la famiglia nasce dove c'è una casa, la prima casa di abitazione. Senza un tetto non vi è famiglia, non vi sono figli. Prima taluni sostenevano che era meglio intervenire quando nascono i figli, ma senza una casa i figli non nascono: questo è pacifico.
Addirittura, non vi è neanche sviluppo se non vi è un'abitazione. Attorno alla realizzazione e al mantenimento della prima casa ruotano molte parti della crescita della società: nuove famiglie, nuova natalità, economia che si manifesta, progresso nel senso più lato.
Ecco quindi che la primissima azione che la Lega Nord, con la maggioranza tutta, vuole attuare è quella di manifestare politicamente ed economicamente questa visione del mondo, in cui l'individuo non è un singolo lasciato da solo, ma è parte essenziale della società.
Esenzione ICI sulla prima casa, abbassamento della rata del mutuo per la prima casa: taluni sostengono che non è con questi provvedimenti - lo abbiamo sentito anche oggi in Aula - che si risolvono i problemi delle famiglie. Trovo che queste siano delle affermazioni fuori dal mondo e fuori da ogni logica, lontane anni luce da ciò che la gente pensa e che ci trasmette quando siamo sul territorio: chiedono a noi, come classe politica, semplicemente di poter vivere tranquillamente in casa propria, senza considerare la stessa come un privilegio, ma come un bene che è stato ottenuto grazie a mille sforzi, in mille difficoltà, con tanto impegno e soprattutto sacrificio. A quasi nessuno la prima casa è stata regalata. Stiamo parlando della casa di abitazione, luogo unico e imprescindibile per la formazione di una famiglia, non delle seconde case o delle ville al mare.
Inoltre, dal provvedimento sono state escluse le abitazioni che rientrano nelle categorie catastali A1, A8 e A9 che - lo ricordo - sono gli appartamenti signorili, le ville e i castelli, proprio per venire incontro alle esigenze delle fasce più deboli della società. Da quando è stata introdotta nel nostro ordinamento, l'ICI è stata sempre considerata dai cittadini come una tassa ingiusta, perché va a colpire direttamente un bene primario qual è la casa e perché si configura come una vera e propria tassa patrimoniale, che è di per sé odiosa e, dal mio punto di vista, aggiungerei anche iniqua. Tra l'altro, è un tassa anche poco costituzionale perché secondo me si avvicina veramente poco all'articolo 53 della Costituzione che recita: «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario» si aggiunge «è informato a criteri di progressività». Sottolineo il termine «progressività», perché l'ICI è tutto, tranne che una tassa progressiva: a parità di reddito personale, infatti, la stessa unità immobiliare di proprietà di persone con differenti redditi, viene tassata allo stesso modo, proprio perché si va a tassare il patrimonio e non la capacità contributiva del proprietario. Quindi, non mi pare molto in linea con la progressività sancita dalla Costituzione italiana. La risposta che talvolta viene fornita a questa mia riflessione è che tanto con l'IRPEF tutto si calmerà e Pag. 50che l'IRPEF è progressivo. Se è così allora andiamo avanti, togliamo l'ICI e i balzelli locali e diamo una compartecipazione pesante, forte e cospicua agli enti locali, in modo tale da attuare subito il federalismo fiscale; facciamo in modo che le ricchezze prodotte in loco rimangano immediatamente lì, senza avere ulteriori trasferimenti e senza che gli enti locali abbiano necessità di imporre delle addizionali o nuove tasse, come l'ICI, per riuscire a far fronte alle spese ordinarie e straordinarie. Non è con l'ICI che si può considerare attuata, come dicevo prima, una fiscalità federale, ma è solo con il trattenimento alla fonte dei redditi prodotti in loco che il federalismo fiscale prende corpo.
Vi è di più: l'ICI fu introdotta dal Governo Amato, con il decreto legislativo n. 504 del 1992, a decorrere dal 1o gennaio 1993 e sostituì l'ISI (Imposta straordinaria sugli immobili) - che da straordinaria è diventata, di fatto, ordinaria - con l'aliquota fissata al 3 per mille del valore dei beni soggetti ad imposta. Con il decreto legislativo di riordino della finanza locale, il Governo trasformò quindi un'imposta straordinaria in imposta definitiva sugli immobili, al fine di garantire risorse finanziarie autonome ai comuni, riducendo però, contestualmente, di pari importo, le risorse precedentemente garantite dai trasferimenti statali a carico del bilancio dello Stato. Si è trattato, quindi, di un'imposta aggiuntiva per il cittadino, non certo sostitutiva. Di conseguenza, l'autonomia finanziaria dei comuni è stata conseguita mediante l'aumento di fatto della fiscalità a carico dei contribuenti. Lo Stato, infatti, ogni anno incassa da ciascun comune il gettito che è stato garantito in sede di prima applicazione dell'ISI, mentre i comuni, nonostante il maggiore peso fiscale a carico dei cittadini, non hanno avuto alcun incremento di risorse finanziarie, salvo quello garantito dall'eventuale aliquota superiore al minimo. Ne deriva, dunque, che questo meccanismo ha ingiustamente premiato quei comuni che hanno garantito un minor gettito ISI, corrispondente ad una minore detrazione dei trasferimenti erariali. Pertanto, chi ha evaso è premiato tutti gli anni, chi ha pagato continua pagare: altro che federalismo fiscale in capo all'ICI!
In sede di esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge, abbiamo voluto migliorare il testo iniziale mediante la posizione di garanzie certe per i comuni e di un premio per quelli virtuosi. Inoltre, sui temi condivisi si è voluto creare un clima collaborativo rispetto alle iniziative emendative presentate dalla minoranza; pertanto, abbiamo scelto la strada di non presentare emendamenti e abbiamo preferito accogliere alcune proposte condivise. Ricordo, fra queste, quella per cui non vi saranno sanzioni per tutti i contribuenti che hanno omesso di pagare, o hanno pagato erroneamente, la prima rata d'acconto dell'ICI relativa al 2008, in modo tale che entro trenta giorni dall'entrata in vigore del provvedimento in discussione abbiano la possibilità di regolarizzare la loro posizione senza incorrere in sanzioni. Resta il blocco delle addizionali, ma per gli enti locali che sforano il patto di stabilità scatteranno le maggiorazioni automatiche previste dalla legge finanziaria 2007. Si prevede, inoltre, che l'inclusione delle pertinenze nella casa di prima abitazione possa essere prevista non solo dai regolamenti, ma anche dalle delibere comunali in modo tale da agevolare ogni singola posizione locale.
Con riferimento al rimborso ai comuni per il mancato gettito ICI è specificato che, dopo la deliberazione della Conferenza Stato-città, il decreto del Ministero dell'interno dovrà essere varato entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione. Ciò significa dare sostanzialmente una data certa ai comuni affinché possano introitare il mancato incasso derivato dall'esenzione della prima casa dall'ICI.
È, inoltre, specificato che la restituzione del rimborso deve avvenire tenendo conto dell'efficienza nella riscossione dell'imposta, del rispetto del patto di stabilità interno per l'esercizio 2007 e della tutela dei piccoli comuni. Inoltre, è stato anche abolito il contributo per l'IFEL-ANCI.Pag. 51
Quando dico che ciò deve avvenire tenendo conto dell'efficienza della riscossione dell'imposta, per noi della Lega Nord significa richiedere sostanzialmente che sia trasferito l'incassato 2006 o 2007 in modo tale da dare un volume certo, così da premiare tutti i comuni che fanno pagare l'ICI, hanno fatto accatastare le loro abitazioni e provvedono ad emettere cartelle esattoriali qualora il contribuente non paghi, in modo tale da non dover ricorrere a bilanci preventivi talvolta gonfiati e non rispecchianti la realtà dei fatti.
Taluni, a livello giornalistico (ma anche in Aula oggi) hanno criticato il provvedimento perché gli accatastamenti in essere non garantivano, secondo loro, l'esclusione dell'applicazione dell'esenzione per taluni immobili, vale a dire chiedevano l'applicazione del decreto ministeriale n. 1072 del 1969 sulle caratteristiche delle abitazioni di lusso per abitazioni in luoghi storici che non erano classate in categoria A 1, A 8 e A 9, classi che non rientrano nell'esenzione.
A mio avviso, l'unico metodo per poter accertare l'esenzione o meno di un'abitazione è quello del classamento catastale. Se alcuni comuni non hanno provveduto a rivedere le rendite delle abitazioni poste in luoghi di pregio del loro territorio, il problema è essenzialmente tutto loro, in quanto una legge finanziaria di alcuni anni fa (se non ricordo male, il comma 336 della legge n. 311 del 2004), dava la possibilità agli enti locali di fare una mappatura dei propri territori e obbligare sostanzialmente i cittadini ad uniformare le proprie rendite catastali, altrimenti potevano incaricare l'Agenzia del territorio che con proprio tariffario faceva d'ufficio l'accatastamento. Quindi, il problema è tutto dell'ente che non ha provveduto e che non deve ulteriormente caricare le casse dello Stato di questa responsabilità.
Eliminare l'ICI sulla prima casa, quindi, è un'azione sacrosanta che va di pari passo con la norma successiva, che stabilisce la possibilità di rivedere e di abbassare la rata del mutuo a tasso variabile acceso per l'acquisizione della prima casa.
In ordine all'esenzione ICI di tutti i comuni che non ricevono, secondo taluni, i trasferimenti dallo Stato perché grazie alle loro capacità hanno abolito totalmente l'ICI nei propri territori, è stato citato l'esempio del comune di Brescia che (se non erro) ha avuto la possibilità di abolire l'ICI sulla prima casa nel proprio territorio proprio perché conta sui dividendi di un'aziende municipalizzata - se non sbaglio di 30-40 milioni di euro annui - derivanti dalla virtuosità, non tanto del comune e dei suoi amministratori, ma dei cittadini che pagano le bollette emesse per i servizi resi.
Quindi, ritengo che da alcuni comuni d'Italia le bollette sono emesse, i cittadini le pagano, i servizi vengono resi e la spazzatura non è in giro per le strade, ma è raccolta e smaltita come dovrebbe avvenire normalmente in tutte le città.
Anche la previsione di abbassare la rata del mutuo a tasso variabile contribuisce a tutelare la proprietà della prima casa, in quanto è un bene fondamentale e anche ciò rappresenta un'iniziativa a difesa delle famiglie e delle fasce più deboli. Si prevede, dunque, la stipula di una convenzione tra il Ministero dell'economia e delle finanze e l'Associazione bancaria, aperta alla adesione delle banche e degli intermediari finanziari, al fine di definire i criteri e le modalità di rinegoziazione dei mutui contratti per l'acquisto, la costruzione e la ristrutturazione dell'abitazione principale, che consenta una pianificazione finanziaria più soddisfacente per i mutuatari. La rinegoziazione, infatti, è volta ad assicurare la riduzione dell'importo della rata del mutuo che rimane fisso per tutta la sua durata, pari a quello risultante dalla media dei tassi applicabili nel 2006, al fine di rendere più contenuto e costante l'onere per il mutuatario fino alla scadenza del mutuo.
Taluni, anche con riguardo a questa misura, ci criticano perché sostanzialmente per legge non abbiamo eliminato i mutui a carico dei cittadini che hanno sottoscritto l'impegno nei confronti degli istituti creditori.Pag. 52
Penso, però, che siamo tutti maggiorenni e sappiamo che le banche non regalano soldi a nessuno, né si può pensare che il Governo possa costringerle a farlo. Pertanto, questo è l'unico modo per alleggerire le difficoltà che attualmente hanno molti cittadini, che non ce la fanno più a pagare la rata di mutuo a tasso variabile, viste le nuove realtà economiche mondiali derivanti da fattori esterni e internazionali.
Quindi, il compito della politica è riuscire a creare le condizioni affinché i cittadini riescano a mantenere la proprietà della propria abitazione comprata con mutui a tasso variabile. Il problema di fondo, infatti, è evitare che i cittadini non riescano a pagare il mutuo; ebbene, se accederanno a questa convenzione, pagheranno il mutuo per un tempo più lungo, ma avranno la possibilità di non vedersi tolta, perché ipotecata, pignorata e quindi messa all'incanto, la propria abitazione. Quindi, questo è l'unico buon risultato che il Governo avrebbe potuto e sta ottenendo attraverso la conversione in legge di questo decreto-legge.
La terza parte del decreto-legge, relativa soprattutto alla necessità di rilanciare il volano dell'economia, tratta la defiscalizzazione del lavoro straordinario, per lasciare più soldi in busta paga ai lavoratori. Questa misura - mi onoro di far parte della Lega Nord - fu lanciata come proposta addirittura al primo congresso a Pieve Emanuele nel febbraio del 1991.
Sono passati diciassette anni e oggi è diventata una realtà con l'articolo 2 del decreto-legge. Non si tratta di una detassazione definitiva e completa, perché la misura si applica in via sperimentale, per il periodo dal primo luglio 2008 al 31 dicembre 2008, solo per i lavoratori dipendenti del settore privato e perché rimane un'aliquota sostitutiva fissa del 10 per cento, invece del 27 o del 38 per cento, a seconda del reddito annuale, che non deve superare i 30 mila euro, e per un importo massimo di 3 mila euro di lavoro straordinario.
Siamo comunque di fronte a un primo passo significativo, che permetterà ai lavoratori di guadagnare probabilmente fino a 1000 euro netti in più all'anno. Il nostro auspicio è che la detassazione diventi quanto prima completa, senza alcun tetto di reddito e di importo di lavoro straordinario, perché così le famiglie monoreddito non verranno penalizzate e i lavoratori potranno recuperare in parte la perdita del potere d'acquisto subita in questi anni nelle loro buste paga.
Auspichiamo, inoltre, che il provvedimento venga esteso anche ad alcune categorie del pubblico impiego, come gli infermieri, le forze di pubblica sicurezza, le guardie carcerarie e i vigili del fuoco, che sono notoriamente mal pagate, carenti di organico e, perciò, costrette a sobbarcarsi molte ore di lavoro straordinario, per garantire la continuità del servizio pubblico.
Infine, per quanto riguarda le coperture derivanti sostanzialmente da riduzioni di autorizzazioni di spesa, noi, come Lega Nord, siamo ovviamente favorevoli.
Su questo punto, commentiamo positivamente, innanzitutto, l'emendamento proposto dai relatori, che praticamente va a rimpinguare alcuni capitoli che facevano parte del decreto-legge originario.
Sottolineo, fra gli altri, l'intervento a favore della settore apistico, le spese per la piena operatività degli incentivi alle imprese di autotrasporto (sono tutti capitoli rimpinguati e sostituiti da altri, poi vedremo quali), l'intervento a favore dei campionati di ciclismo di Treviso, le infrastrutture per la mobilità delle fiere, il piano nazionale contro la violenza alle donne - che prima è stato accennato in Aula, ma fa già parte degli emendamenti proposti dai relatori -, il fondo di solidarietà per i mutui per la prima casa.
Come è stato ricordato in quest'Aula, ad esempio, credo che rispetto alla metropolitana di Torino, che è decisamente importante per un piemontese come il sottoscritto, ma che era datata 2010, sia più importante finanziare il piano nazionale contro la violenza alle donne o il fondo di solidarietà per i mutui prima casa, per poi rimpinguare il capitolo per le infrastrutture di Torino l'anno prossimo.Pag. 53
Quindi, in questo senso non vi è alcun pericolo. Devo, altresì, ricordare che, a mio personale avviso, una delle coperture simboliche, che sono la scintilla che farà accendere la fiaccola del federalismo fiscale, è il venir meno dei 10 milioni di cui al comma 408 dell'articolo 2 della legge finanziaria per il 2008, per il centocinquantesimo anniversario dell'unità d'Italia.
Secondo me è questo un buon viatico per riuscire a realizzare il federalismo fiscale.
In conclusione, anche sulle coperture finanziarie, noi della Lega Nord siamo stati sollecitati a chiarire cosa avremmo fatto se queste fossero state costituite grazie ad alcuni capitoli tolti a infrastrutture o a investimenti del nord. Le promesse fatte al nord normalmente vengono disattese. Si tratta di un assunto purtroppo ormai troppo consolidato tanto che la Lega Nord si è candidata con il proprio simbolo e ha ricevuto molti voti proprio perché vuole rappresentare e risolvere il problema della questione settentrionale. Basta con le promesse non mantenute per i problemi del nord!
Nel suo complesso, quindi, esprimiamo un giudizio più che positivo sul decreto-legge in esame che incorpora in sé la concretizzazione delle proposte politiche che la Lega Nord da anni propone alla politica italiana, sempre tesa alla difesa della famiglia, dello sviluppo economico, della società. Ricordiamoci, soprattutto, che andremo ad approvare un provvedimento, quale quello che oggi in discussione, che pone una minore tassazione a carico di cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tabacci. Ne ha facoltà.

BRUNO TABACCI. Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, onorevoli relatori, questo decreto-legge si salda con gli altri provvedimenti economici enunciati dal Ministro Tremonti, un Robin Hood che attacca gli speculatori, spara sulle privatizzazioni fatte male, difende i deboli e che introduce, addirittura, una tessera del pane per i più poveri. Vi è di che essere rassicurati, con un dinamismo di queste proporzioni. Qualcuno, come Franco Debenedetti, sostiene che bisogna riconoscere la svolta di Tremonti e accettarne la sfida. Io non ho nessuna opposizione pregiudiziale e poiché in questi anni ho cercato di battermi contro vecchi e nuovi monopolisti, vecchi e nuovi conflitti di interesse e furbizie, mi piace l'idea di accettare questa sfida e mi chiedo se ci sia davvero una svolta reale in favore della concorrenza come elemento misuratore dell'efficienza della nostra economia e dei consumatori che sono cittadini, famiglie e imprese oppure non sia che un'operazione di facciata. Valuto le iniziative del Ministro Tremonti con la lente di ingrandimento dell'interesse del consumatore. Con lo stesso metodo valuto anche questo stesso provvedimento così come mi è capitato di valutare, intervenendo talvolta in queste settimane, i provvedimenti posti alla nostra attenzione e che sono stati spiegati dai colleghi della maggioranza come impegni elettorali e che talvolta sono in evidente collisione con gli interessi generali. Il Ministro dell'economia e delle finanze ha affermato che bisogna tagliare le unghie agli speculatori e ha rivolto un accenno alle banche che la convenzione prevista da questo provvedimento, in realtà, sembra mettere addirittura al sicuro da rischi particolari. Abbiamo visto durante la discussione sul decreto-legge sull'Alitalia, che vi era in nuce un regalo ai concessionari autostradali che si vedevano automaticamente riconosciute le convenzioni con l'ANAS e che magari - come aveva spiegato - potevano in parte essere stati attratti dalle cordate che erano in corso. Ho visto anche come si allarga l'impiego con i petrolieri dei CIP 6 - ne abbiamo discusso in occasione del decreto-legge sui rifiuti di Napoli - dando quindi garanzia di continuità a un provvedimento che era alla base dei bilanci floridi delle imprese petrolifere. Non so se questo sia davvero un Robin Hood o se, come mi è già capitato di dire, non operi alla rovescia.Pag. 54
Andando per ordine, cominciamo dall'esenzione dell'ICI per l'unità immobiliare adibita ad abitazione principale.
Visto che il Governo Prodi aveva già provveduto ad esentare circa il 40 per cento dei proprietari di case, fino a 300 euro di imposta, si tratta di un intervento, di fatto, a favore dei proprietari di alloggi più importanti: tale considerazione non è in discussione. Si trasferisce a carico della fiscalità generale un'operazione oggettivamente in favore dei proprietari di alloggi più significativi.
Si elimina un'imposta che aveva un carattere cosiddetto federalista: la certezza del bene assoggettato e l'utilizzo in loco delle risorse ricavate, il rapporto tra imposta comunale e attività amministrativa dei comuni.
Forse sarebbe stato meglio, per la certezza delle quantificazioni, prevedere la stessa imposta come detrazione dall'IRPEF e, nel frattempo, poteva continuare - diciamo - con sostanza il lavoro di aggiornamento del catasto edilizio urbano che, così com'è strutturato, genera ricchezza immobiliare sommersa. Poiché è uno strumento che, comunque, dovrà essere riutilizzato, per le più diverse iniziative anche di natura fiscale che si intendano prendere nel futuro in vista del tanto agognato approdo alla riforma fiscale federale, ritengo che non avere nelle mani uno strumento efficace, quale il catasto edilizio urbano, sia un limite rilevante.
La sospensione del potere di regioni ed enti locali di deliberare aumenti delle aliquote di tributi attribuiti con legge dello Stato, richiama la necessità di una riforma della finanza locale, nel quadro della cosiddetta attuazione del federalismo fiscale in una logica di superamento della spesa storica, costruendo parametri oggettivi sulla base della popolazione servita. Non mi pare che l'abolizione dell'ICI, così come viene proposta in questo provvedimento, risponda a questi obiettivi, né mi sembra un passo giusto nella direzione del federalismo fiscale.
Tra l'altro, vorrei cominciare a consigliare ai colleghi della Lega Nord Padania, che si stanno molto impegnando sul provvedimento che verrà, di cominciare a ragionare in maniera, per così dire, dedicata, per far sì che le questioni del cosiddetto federalismo fiscale vengano affrontate in maniera organica ed equilibrata, non strumentale. Diversamente, infatti, se il federalismo fiscale viene vissuto come una sorta di ritorsione di alcuni contro altri, non giungerà ad alcun risultato.
Vi invito a raccogliere dati, meglio se di fonte ISTAT, sui PIL regionali degli ultimi dieci anni, a livello di dimensione regionale, ipotizzando la suddivisione pro quota del debito pubblico accumulato.
Inoltre vi invito anche ad individuare metodologie per valutare la consistenza del capitale fisso sociale accumulato nel tempo su base regionale. Senza tale lavoro preliminare, la decisione che qui qualcuno vorrebbe annunciare, consistente nel procedere ad una diversa ripartizione delle quote fiscali, appare di un velleitarismo senza speranza.
Ecco, tenete conto che vi è questo peso del debito pubblico, accumulato nel tempo, che non è qualcosa che possiamo trasferire in Europa, perché ho visto che in questi giorni, l'attenzione nei confronti dell'Europa tende strumentalmente a crescere, come se ci si preparasse a chissà quale operazione, come se qualcuno volesse, forse, uscire dal vincolo monetario. Un'operazione di questo genere costa molto: invito a considerarla in tutta la sua profondità.
Questo provvedimento, come è già stato ricordato da qualche collega, favorisce i cittadini proprietari di casa, discriminando gli affittuari. Si poteva introdurre una cedolare secca per i contratti di affitto, facendoli così uscire dal mercato nero: sarebbe stato un provvedimento equilibrato che, tra l'altro, avrebbe probabilmente portato non ad una caduta ma ad un incremento del gettito.
Sul tema del regime fiscale sperimentale agevolato in favore dei lavoratori dipendenti del settore privato, per la parte riferita al lavoro straordinario, a premi legati alla produttività, nel limite dei 3 mila euro lordi per il periodo 1o luglio-31 dicembre 2008, ritengo che sia giusto allargare Pag. 55la propensione al lavoro, però mi sembra che questo provvedimento sia molto parziale oltre che contraddittorio. Anzitutto vi è un problema che riguarda il pubblico impiego, che nel decreto-legge in esame viene genericamente rinviato ad una valutazione degli effetti che la misura avrà nei confronti del comparto privato, ma vi è soprattutto il rischio della penalizzazione del lavoro femminile, per com'è strutturata l'articolazione del rapporto tra famiglia e lavoro.
Questo provvedimento non tiene conto del fatto che il vero problema in Italia non sono tanto le poche ore lavorate da chi già lavora, ma la non partecipazione al lavoro di troppe categorie: i giovani, gli anziani e, soprattutto, le donne. Forse sarebbe stato meglio limitarsi alle donne, se si voleva dare a questo tentativo un'opzione sperimentale, come si dichiara che esso abbia. L'offerta di lavoro femminile, infatti, è molto più sensibile di quella maschile alla detassazione. Esso incide, quindi, negativamente sulla propensione al lavoro femminile. Non so se questo sia un obiettivo giusto, mi sembra che vada oggettivamente nella direzione sbagliata, soprattutto se lo mettiamo a confronto con le esperienze di altri Paesi europei, che si trovano con noi nel vincolo monetario e che hanno dinamiche degli assetti del mercato del lavoro con cui dobbiamo confrontarci.
Passiamo alla convenzione tra il Ministero e l'ABI o rinegoziazione del mutuo, al fine di ridurre l'importo delle rate con l'allungamento del periodo di restituzione. Era stata data all'inizio una falsa notizia, relativa al risparmio di 850 euro; non è vero, tra l'altro, che si tratta di un passaggio dal tasso variabile a quello fisso, perché contrattualmente il tasso di interesse resta variabile e vi è allungamento delle rate al termine del contratto. Pertanto, il tasso resta variabile, la banca tiene legato il mutuatario per un tempo più lungo e recupera nel conto di finanziamento accessorio perfino gli interessi maturati, che vengono calcolati con il metodo composto. Quindi, sarà bene che coloro che vogliono intraprendere questa via facciano calcoli approfonditi. Vi è il rischio dell'aumento del tasso di interesse, che è tutto a carico del mutuatario.
Un accordo con l'ABI nega l'apertura del mondo bancario ad uno spirito di concorrenza e le banche continuano a muoversi come fossero un cartello. Sarebbe stato meglio riconoscere un beneficio alle banche che rinegoziavano le migliori condizioni, con l'obbligo della portabilità del mutuo, ma riconoscendo al cliente il vantaggio di applicare solo parzialmente i maggiori interessi. È vero che è stato votato qualche emendamento, che i relatori hanno voluto accogliere, però si tratta di emendamenti che - secondo la mia opinione - hanno un effetto placebo. Credo, infatti che, in radice, non fosse necessario riconoscere in un decreto-legge una convenzione con l'ABI. Questo è il punto centrale: avere inserito in un decreto-legge la convenzione è come fare la guerra al principio di concorrenza. Sarebbe stato molto meglio sintonizzarsi con il ruolo delle autorità indipendenti, riprendere il tema dell'abolizione delle commissione di massimo scoperto e richiamare le autorità indipendenti stesse a rendere più forte la concorrenza nel settore.
Le operazioni di fusioni e di aggregazioni bancarie hanno avuto finora uno scarso riscontro sulle dinamiche concorrenziali del settore, con nessun vantaggio per la clientela finale, sia in termini di maggiore qualità, sia di minore costo di servizi bancari. Pertanto, più che scrivere in un decreto-legge che vi è una convenzione con l'ABI, sarebbe stato meglio valutare gli effetti delle operazioni di risoluzione del sistema bancario, ai fini di vantaggi terminali nei confronti della clientela. Le asimmetrie informative nel settore bancario e la natura complessa dei suoi servizi determinano un generale squilibrio contrattuale tra impresa bancaria e consumatore finale. Vi è un modesto livello di trasparenza, che non mette la clientela nelle condizioni di apprezzarne termini, contenuti, garanzie e modalità di revisione nel tempo. Si determina, così una parallela attenuazione delle pressioni Pag. 56concorrenziali e degli incentivi al miglioramento delle condizioni economiche e qualitative dei servizi offerti.
Questo è il risultato perverso della convenzione con l'ABI: si raggiunge, cioè, l'obiettivo di indurire le ragioni della concorrenza, invece di allargarle e, in qualche modo, di affermare il principio del cartello, che è una negazione delle ragioni della concorrenza. Abbiamo incontrato una delegazione dell'ABI in audizione, ma i suoi componenti mi sono parsi turbati: avevo voglia di turbarli, ma il loro atteggiamento è stato proprio di chi è consapevole dei vantaggi che derivano a loro dall'aver fissato addirittura in un decreto-legge una convenzione di questo tipo.
Meglio sarebbe se le Autorità indipendenti fossero messe nelle condizioni di incidere sugli assetti di governance delle banche, la cui struttura proprietaria e organizzativa appare inadeguata a garantire sufficienti incentivi all'efficienza, alla trasparenza e alla concorrenza, in particolare in commistione tra funzioni di gestione e responsabilità strategiche di controllo, situazioni di conflitti di ruoli e di interessi, di scarsa contendibilità delle imprese.
Senza bisogno di scomodare l'assetto attuale delle popolari, richiamo il fatto che, appunto, l'applicazione che è stata data del cosiddetto «duale», nel governo di alcuni tra i principali istituti italiani, era in spregio all'obiettivo che la riforma del diritto societario aveva di tenere distinte le responsabilità. Anzi, oltre che ad una moltiplicazione dei posti, sembrava invece proprio poggiare su un'evidente commistione di interessi, che ovviamente vanno a carico dei consumatori finali, ovvero dei risparmiatori.
Ecco, tutte queste condizioni non sono in favore del cittadino consumatore e vi invito a riflettere su tali questioni. Infatti, ho una certa esperienza parlamentare, non lunghissima, ma comunque tale da partecipare anche a questo dibattito «intimo» per una ragione di testimonianza personale, non perché ne abbia altre, e mi è giunto tra le mani un testo che, secondo me, ha un valore morale importante. Esso recita così: «L'elaborazione delle leggi non può essere ridotta ad una giostra apparente e inconcludente tra maggioranza ed opposizione, quando tutto è fissato e prestabilito tra le quinte, senza rispetto di quell'autonomia che rende ciascuno responsabile diretto della propria parola e del proprio voto. Si invoca la disciplina di partito, ma a torto. La disciplina nel Parlamento non può essere che autodisciplina, altrimenti si riduce a fastidiosa servitù. È giusto che i gruppi parlamentari, da che esistano, si consultino insieme e cerchino di formarsi un'opinione comune sui problemi legislativi e politici in discussione, ma tranne il caso in cui sia posta dal Governo la questione di fiducia, per la quale i partiti si schierano pro o contro per motivi di indirizzo politico, non si può domandare a nessuno una disciplina che contraddica la libertà individuale sulla quale è basato il mandato politico». Era il 22 ottobre del 1950 ed era un articolo di Luigi Sturzo su La Stampa.
Ebbene, io mi rifaccio a questo parlamentarismo e credo che questa sia la ragione vera del perché ci troviamo qui, perché se fosse diversa, credo che le prospettive di questo Paese non sarebbero certamente augurabili. E mi rivolgo ai più giovani: credo che questo sia un elemento da tenere presente, perché in questi anni abbiamo accumulato difetti, invece che mettere insieme virtù, anche nel lavoro parlamentare, e questa è una cosa che dovrebbe suscitare allarme (Applausi dei deputati dei gruppi Unione di Centro e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fedi. Ne ha facoltà.

MARCO FEDI. Signor Presidente, il decreto legge n. 93 del 2008, in materia di salvaguardia del potere d'acquisto delle famiglie, consente un primo, seppur limitato - è stato ricordato da molti - confronto tra maggioranza ed opposizione sulle scelte di fondo e sulle misure concrete da adottare per rispondere sia al crescente impoverimento delle famiglie italiane, sia alla grave crisi legata all'erosione del potere d'acquisto.Pag. 57
Ritengo che il provvedimento che oggi discutiamo, non raggiunga questi risultati, pur prefiggendosi obiettivi così ambiziosi. Si tratta, peraltro, di obiettivi condivisibili e sui quali sarebbe stato opportuno un più approfondito ed ampio dibattito tra Governo ed opposizione.
Il provvedimento non risponde ai bisogni reali delle fasce sociali più deboli e svantaggiate, non interviene davvero sul potere d'acquisto dei pensionati, dei lavoratori e delle famiglie, non affronta la vera questione di questo Paese: pensioni, salari e stipendi troppo bassi e per troppo tempo, ed ora tra i più bassi d'Europa
Il provvedimento non affronta altri problemi nodali del nostro Paese: l'aumento vertiginoso dei prezzi dei beni, anche di prima necessità; il ricorso al credito al consumo come forma di integrazione al reddito; la forte diminuzione del risparmio, soprattutto delle famiglie. Rispetto al proposito di salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie, sia le norme proposte sia l'insieme della copertura di spese previste deludono e disattendono le attese dei cittadini, soprattutto delle fasce sociali più deboli, il cui livello di reddito è oggi troppo basso.
Per questi, al costante aumento dei prezzi, si sommerà anche la perdita di importanti programmi e servizi a favore dell'integrazione sociale, della sicurezza, delle pari opportunità, delle politiche di sviluppo per il sud, della politica estera ed in favore delle comunità italiane nel mondo, che sono parte della nostra politica estera. Si perderà, quindi, in termini di tutele, protezioni sociali e solidarietà.
E se valutiamo questo provvedimento congiuntamente alle indicazioni provenienti dal Documento di programmazione economico-finanziaria, anche in vista della prossima manovra di bilancio, le nostre preoccupazioni aumentano. Il divario tra inflazione programmata e reale, con l'inflazione programmata che è meno della metà di quella reale, colpirà ancora le fasce sociali più deboli ed esposte. Sarà l'Italia, signor Presidente, l'Italia tutta intera che si impoverirà ancora di più, se oggi non affrontiamo con risposte adeguate i veri problemi. L'Italia non ha bisogno di tessere della povertà, ma di riforme giuste ed eque; i pensionati non ci chiedono tessere del bisogno, ma servizi efficienti e pensioni degne.
Occorre continuare, in sostanza, il buon lavoro avviato dal Governo Prodi, con la quattordicesima sulle pensioni e con norme come l'ulteriore detrazione dell'ICI, abolita dal decreto-legge in via di conversione, che, pur intervenendo sull'imposta comunale sugli immobili, manteneva un principio di equità, consentendo la detrazione solo a determinate condizioni e prevedendo una copertura fortemente ancorata ad un altro elemento, che ora rischia di non essere più tra le priorità del Governo: le maggiori entrate derivanti dalla lotta all'evasione e all'elusione fiscale. Il provvedimento sull'ICI, nel suo complesso, non contribuisce certamente a ridurre il divario tra le classi sociali e di reddito; alimenta, inoltre, una percezione antifederalista relativamente al modello fiscale.
Gli elementi forti del federalismo fiscale, se lo si propone non solo come slogan, ma come vera riforma in senso federalista dello Stato, dovrebbero essere costituiti, invece, proprio dalla territorialità dell'imposizione fiscale e dalla sua rispondenza ai bisogni del cittadino in termini di servizi.
È un provvedimento, quello sull'ICI, doppiamente iniquo: nella sua impostazione complessiva, per le cose che ho appena detto, e nei suoi effetti pratici, poiché ne risultano, di fatto, esclusi i cittadini italiani residenti all'estero, che invece, fin dal 1993, con la legge 24 marzo 1993, n. 75, godono dell'equiparazione alla prima casa ad uso abitativo.
Alla doppia iniquità si aggiunge la beffa, con la serie di tagli previsti al bilancio del Ministero degli affari esteri, un Ministero che - tutte le forze politiche concordano su questo punto, salvo poi operare in senso inverso - avrebbe invece bisogno di una quota di prodotto interno lordo decisamente superiore e simile a quella di altri Paesi europei. Le riduzioni al bilancio del Ministero degli affari esteri, Pag. 58invece, sono fortissime: si perdono 32,3 milioni di euro per il 2008, 50 milioni per il 2009 e 98,5 milioni per il 2010. Nella riduzione di spesa per l'anno corrente, 17 milioni di euro su 32 sono sottratti agli interventi per gli italiani all'estero.
Gli elementi di criticità sollevati nella discussione avvenuta in Commissione affari esteri hanno portato unicamente al possibile recupero, peraltro internamente al bilancio degli esteri, e quindi suscettibili di ulteriori tagli ai capitoli per le comunità italiane nel mondo, per le importanti iniziative legate alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo ed all'Accademia delle scienze del terzo mondo.
Nonostante i tagli durissimi alle comunità italiane nel mondo, rinnoviamo il nostro impegno e la nostra disponibilità piena a lavorare con la maggioranza in direzione di un piano di riforme, che siamo certi produrrà anche dei risparmi, ma che dovrà necessariamente rafforzare, anche sotto il profilo dell'efficienza, la nostra presenza all'estero. A partire dalla rete diplomatico-consolare, pensando anche ad una ristrutturazione delle carriere professionali dei contrattisti a cui debbono essere garantiti i diritti sindacali (altro che fannulloni, come si è scritto in questi giorni!), fornendo risposte alla richiesta di cittadinanza in termini di pari diritti e doveri; a partire dalla definitiva estensione ai residenti all'estero delle detrazioni per carichi di famiglia: questione che spero verrà affrontata e risolta a partire dalla prossima legge di bilancio.
Ed a proposito di riforme per le comunità italiane all'estero, il Partito Democratico ha indicato un percorso possibile, a partire proprio - visto che ne stiamo parlando - da tutta la normativa che concerne l'imposizione fiscale e tariffaria dei residenti all'estero, in relazione ad esempio alla tassa sulla raccolta e smaltimento dei rifiuti, o al canone RAI per coloro i quali risiedono all'estero per la maggior parte dell'anno. Fino alle questioni più immediate, relative a norme che potrebbero ulteriormente penalizzare i residenti all'estero, come rischia di verificarsi per i titolari di libretti a risparmio postale non movimentati da dieci anni; oltre alla questione della riapertura dei termini per il riacquisto della cittadinanza, l'assegno di solidarietà e le convenzioni bilaterali in materia fiscale e di sicurezza sociale. Su questi punti siamo pronti al confronto, ma i tagli, le decurtazioni, non aiutano a stabilire un clima di collaborazione e dialogo.
Le misure previste dal decreto-legge n. 93 del 2008 non danno risposte sufficientemente forti, coerenti ed eque all'emergenza legata al deterioramento del potere di acquisto degli italiani. La copertura di spese si basa su tagli particolarmente negativi, sia nella sostanza che nell'immagine: il taglio al fondo contro la violenza alle donne, il taglio al programma per le azioni tese ad accrescere la sicurezza stradale, il taglio ad altri Ministeri, oltre al Ministero degli affari esteri, quali quello dell'interno e della giustizia, dicasteri di cui si parla molto in questi giorni relativamente a presunte emergenze, che invece subiscono tagli immediati.
Il nostro «no» al provvedimento in sostanza è nel merito di norme che non raggiungono obiettivi di salvaguardia del potere di acquisto delle famiglie, che non sono eque né perseguono obiettivi di federalismo fiscale, e che tagliano risorse a servizi e programmi. Anche Robin Hood, mi creda, risulterebbe deluso dal provvedimento in discussione. In attesa di un'ulteriore riflessione che faremo in Aula, sia sul complesso degli emendamenti che sui singoli emendamenti che abbiamo ripresentato, in attesa di una discussione più aperta e più ampia su quegli emendamenti, noi auspichiamo maggiore attenzione dal Governo su questi elementi di criticità per le comunità italiane nel mondo, e non solo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pezzotta. Ne ha facoltà.

SAVINO PEZZOTTA. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, autorevoli colleghi. Devo confessare che, appena uscita la notizia del provvedimento che oggi è sottoposto alla nostra attenzione, Pag. 59ero rimasto favorevolmente sorpreso nell'apprendere che si trattava di disposizioni urgenti per salvaguardare il potere d'acquisto delle famiglie. La sorpresa però è durata poco. Pensavo che le promesse avanzate in campagna elettorale, in particolare quelle concernenti il rapporto tra fisco e famiglia, potessero prendere l'avvio, con questo provvedimento e speravo che il Governo avrebbe presentato la sua proposta sul quoziente familiare. Non abbiamo nulla di tutto questo: in campagna elettorale si affermano cose, ma quando si tratta di tradurle ce se ne dimentica facilmente.
È vero che la proposta del quoziente familiare, così come l'ho sentita formulare durante i dibattiti in campagna elettorale, non mi appartiene; ma, con alcune correzioni, si poteva anche sostenere. Certo, mi rendo conto che l'introduzione di un meccanismo di questo genere richiede un bel po' di risorse, e che pertanto si doveva definire un piano di introduzione graduale.
Questo è quanto mi attendevo. Ci troviamo invece ad esaminare un provvedimento che ha sicuramente ripercussioni indirette sui redditi familiari, ma che non può essere qualificato come uno strumento a protezione del potere d'acquisto delle famiglie. Per trasparenza e chiarezza, sarebbe dunque opportuno cambiarne la denominazione, indicandolo magari come: «Misure per ridurre la pressione fiscale», a meno che il Governo non accetti di introdurre un articolo 1-bis che contenga interventi che diano veramente il segno del fatto che si vogliono affrontare talune problematiche riguardanti le famiglie.
Mai come in questi mesi si è parlato e si è fatto promesse di politiche a sostegno delle famiglie. Lo si è fatto in uno scenario di grande difficoltà economica e della crescita quantitativa delle famiglie che non riescono più a far quadrare i loro bilanci e che in molti casi sono costrette a contrarre il loro tenore di vita, mentre molte sono sulla soglia della povertà o vivono nella povertà. In proposito, basterebbe leggere con attenzione l'ultimo rapporto Fondazione Zancan-Caritas per capire quante sono le famiglie che nel nostro Paese faticano a vivere e hanno condizionamenti pesanti.
Sono convinto che la maggior parte delle famiglie italiane, in particolare quelle che hanno dato vita all'imponente manifestazione del 12 maggio dello scorso anno, il cosiddetto Family Day, e quelle che hanno sottoscritto la petizione - si tratta di milioni di persone - presentata dal Forum delle famiglie, si attendevano da questo inizio di legislatura un segnale significativo sul tema fisco e famiglia. Invece, questo segnale non è arrivato, né mi sembra che il provvedimento al nostro esame risponda a questa esigenza. Anzi, stando alle notizie di questi giorni, devo dire che neppure la prossima legge finanziaria sembra destinata a contenere provvedimenti significativi a favore delle famiglie. Si fa tanta retorica sulla famiglia: poi però, quando si devono fare cose concrete, si vede ben poco.
Di qui l'esigenza di colmare questa lacuna e la proposta - per la quale l'Unione di Centro presenterà un emendamento - di aggiungere al provvedimento al nostro esame un articolo 1-bis che contenga i provvedimenti che noi riteniamo urgenti (sicuramente non esaustivi, ma urgenti), nell'attesa che, stando alle promesse fatte, il Governo avanzi una proposta molto più chiara di politiche familiari più organiche e più audaci.
Questo articolo 1-bis, a nostro parere, dovrebbe contenere almeno le seguenti disposizioni. Anzitutto, dovrebbe prevedere l'applicazione dell'articolo 1, comma 335, della legge 22 dicembre 2005, n. 266, anche per il periodo di imposta del 2008, per un importo non superiore a 1.264 euro per figlio (sarebbe quasi il doppio di quanto si prevedeva). Ancora, dovrebbe contenere la determinazione dei criteri per l'attribuzione alle persone fisiche di un contributo a parziale rimborso delle spese sostenute per il pagamento delle rette scolastiche dei loro figli minori presso le scuole paritarie.
Dovrebbe sostenere le spese per la frequenza di corsi di istruzione secondaria e universitaria in misura non superiore a Pag. 605.000 euro (anche in questo caso si tratta sempre di una modifica della legge citata) e prevedere - misura che ritengo anche abbastanza urgente, almeno nei prossimi mesi - un sostegno alle famiglie per l'acquisto dei libri di testo, che non sembra, ma stanno pesando fortemente, soprattutto per quanto riguarda le famiglie numerose, sui bilanci familiari.
Credo che un intervento sui libri di testo, oltre che contribuire per così dire alla questione dell'istruzione, sarebbe veramente un provvedimento non troppo costoso, ma sicuramente utile. Inoltre, credo sia arrivato il tempo di rideterminare gli importi complessivi degli assegni familiari. Ma sempre riflettendo sulla composizione dei nuclei familiari credo che dovremmo prevedere, sempre all'articolo 1-bis, detrazioni inerenti ai consumi dell'acqua, della corrente elettrica e del gas per i contribuenti con tre o più figli, per un importo complessivo non superiore ai tremila euro: è una misura che riguarda molto le famiglie numerose, che tante volte sono soggette anche ad aumenti dell'aliquota perché, per necessità, avendo quattro figli, consumano quattro docce al giorno e consumano più energia, ma si trovano a pagare le aliquote superiori.
Credo che anche in questo caso una correzione sarebbe importante, soprattutto per un Paese che vive un declino demografico che non vuole discutere né affrontare, e che rende necessario un intervento a sostegno di chi scommette sui figli, e pertanto sul futuro del Paese. Sempre nell'ambito di questo discorso, occorrerebbe introdurre anche la detrazione per l'intero importo delle spese mediche sostenute dal contribuente nel caso abbia almeno un figlio a carico, per un importo non superiore a mille euro.
Da ultimo, andrebbe inserito, modificando il decreto legislativo n. 151 del 26 marzo 2001, un contributo alla genitorialità per i genitori che, a seguito della nascita di un figlio, desiderino diminuire l'attività lavorativa per dedicarsi alla sua cura o siano privi di occupazione.
Si tratta di provvedimenti sicuramente non eclatanti, ma che darebbero il segno di un'attenzione certamente significativa alla dimensione familiare e a quella delle famiglie più deboli, in attesa che ci si decida a mantenere le promesse che sono state fatte in campagna elettorale. L'Unione di Centro presenterà su questo insieme di misure un suo emendamento che spero venga accolto, perché l'accettazione di queste proposte e degli emendamenti che presenteremo condizionerà il nostro atteggiamento nei confronti del decreto in discussione.
Per quanto riguarda l'articolo 1 del provvedimento in esame, occorre sempre tenere presente che il precedente Governo aveva già esentato dall'ICI il 40 per cento dei proprietari di prima casa. Tenendo appunto presente questo dato, risulta abbastanza chiaro che quanto stiamo esaminando porta benefici ai proprietari di case con maggior valore. Sappiamo tutti che molte famiglie sono proprietarie di case e che, pertanto, il provvedimento in esame, se approvato, comporterebbe un abbassamento della pressione fiscale (elemento questo che non sottovaluto, e che tengo in debita considerazione).
Tuttavia, non posso - e non possiamo - dimenticare, visto che parliamo di sostegno al reddito delle famiglie, che vi sono molti nuclei familiari che vivono in case in affitto o che sono senza casa: creeremmo una disparità enorme, pesante. Tale constatazione mi porta a dire che esiste un'emergenza casa, e che questa emergenza riguarda le famiglie più deboli.
Si tratta di un'emergenza che ha spinto lo stesso arcivescovo di Milano, cardinale Tettamanzi, a sostenere che si deve compiere uno sforzo per porre mano a tale questione. Non mi sembra che il provvedimento in esame tenga conto di tale elemento.
Allorché ci accingiamo a ridurre l'ICI sulla prima casa - per chi ha una casa - non possiamo dimenticare che vi è una ragione di equità che ci induce ad affermare che, se veramente vogliamo aiutare e sostenere le famiglie, non possiamo limitarci solo all'ICI, ma è necessario che vi sia un sostegno per le famiglie senza casa, per Pag. 61quelle a reddito basso e con figli o per le famiglie di anziani che vivono in case in affitto.
Spero che tale considerazione trovi l'attenzione che merita, perché si tratta di un aspetto che soprattutto in alcune realtà urbane provoca elementi di malessere sociale che non possiamo dimenticare. Nell'attuale momento abbiamo in Italia - ne parliamo poco e ne discutiamo sempre meno - un problema che si chiama povertà, che cresce ogni giorno e che - in base anche alle statistiche fornite dall'ISTAT - passa principalmente attraverso la famiglia.
Il Governo sembra intenzionato ad introdurre una carta prepagata da distribuire ai più poveri per sostenere le spese di prima necessità. Ho sentito affermare che è meglio di niente. Per carità! Ciononostante mi sento in dovere di rilevare che tale modalità di intervento solleva in me tanti dubbi e perplessità. Attenderò il provvedimento per poter esprimere un giudizio più articolato e preciso. Ciò che non mi piace non è tanto l'intervento in sé, ma la filosofia che sembra ispirarlo e che sembra prefigurare - ciò mi inquieta - un welfare compassionevole piuttosto che uno di promozione di sussidiarietà. Non possiamo continuare a parlare di federalismo e poi sul terreno della sussidiarietà e della promozione ci dimentichiamo di tale possibilità.
Certamente i redditi sono bassi, i consumi si restringono, le famiglie vanno avanti come possono e si stanno ingrossando le fila di chi vive di prestiti, di crediti al consumo o di anticipi. Lo ricordo per segnalare quanto la situazione da tale punto di vista - da quello delle famiglie - sia pesante. La cessione del quinto del salario sta subendo una vera e propria impennata. Ecco perché servono oggi, sottolineo oggi, politiche per la famiglia organiche e proiettate nel tempo. Credo che i provvedimenti che ci accingiamo ad esaminare costituiscano un sorta di effetto placebo e non sono in grado di affrontare il tema per ciò che esso è. Per tali ragioni sostengo che sarebbe meglio cambiare il titolo del decreto-legge in esame per ragioni di onestà e chiarezza. Inoltre, vorrei far osservare come già hanno fatto altri miei amici che l'ICI è una delle poche imposte federaliste e molto legata al territorio e che in molti casi - si potrebbe dimostrarlo - contribuisce a finanziare i servizi per le famiglie, per i giovani e per gli anziani. Ho l'impressione che, seguendo tale via, si vada verso un restringimento del welfare municipale, ossia quello legato al territorio e ai bisogni della gente e credo che anche su ciò sarà necessario riflettere con attenzione, a meno di continuare a pensare che questo Paese abbia bisogno di un welfare statalista e che non vi sia più la possibilità di determinare un welfare mix e pertanto di valorizzare quel welfare municipale che è il più vicino ai bisogni delle persone. È delle differenze che le persone vivono a secondo dei territori in cui si trovano.
Credo che si tratti di un elemento su cui invito gli amici della Lega a riflettere con attenzione, perché è su tale aspetto che convergono gli elementi di attenzione al territorio sui quali ci dobbiamo impegnare.
L'ideale sarebbe, però, che oltre al federalismo fiscale si iniziasse a discutere anche di sussidiarietà fiscale, un po' sull'onda del cinque per mille. Tuttavia, di questo parleremo a tempo debito; ora mi limito ad esprimere le preoccupazioni sul provvedimento in esame.
Il Governo ha anche affermato che ci sarà una compensazione per i comuni, ma vorrei sottolineare che, se questa compensazione ci sarà - e spero ci sia -, mantenga, almeno in termini di cassa, gli stessi tempi di trasferimento dell'ICI, ossia giugno-luglio, altrimenti veramente ci troveremmo in una serie di difficoltà.
A questo punto mi siano consentite alcune osservazioni per quanto riguarda l'articolo 2 e, in particolare, sulla detassazione degli straordinari. Parlo anche con qualche competenza, avendo per lungo tempo della mia vita svolto un certo tipo di impegno.
Il provvedimento, così come lo abbiamo letto, a mio parere presenta molti elementi di ambiguità. Nessuno nega - anzi - che Pag. 62vi sia oggi la necessità di sostenere il reddito e il potere d'acquisto dei salari. Rilevo soltanto anche qui un'incongruenza di questi giorni. Infatti, mentre tutti affermiamo la necessità di sostenere i salari e il reddito da lavoro, si legge che il Governo vorrebbe introdurre nel Documento di programmazione economico-finanziaria un tasso di inflazione programmata all'1,7 per cento. Sappiamo che l'inflazione programmata è quella che serve per determinare gli aumenti contrattuali, cioè la base minima per rinnovare i contratti. Ma, nel frattempo, sappiamo anche che le rilevazioni dell'ISTAT ci dicono che il costo della vita è salito del 3,6 per cento. Dunque, mentre si parla di sostenere il reddito da lavoro, nei fatti si programma una sua restrizione.
Sono contraddizioni sulle quali bisognerebbe fare chiarezza, perché non si può affermare una cosa ed agire in un altro modo. Non credo che sia colpa dell'Unione europea, come il Ministro Tremonti ha affermato in un dibattito di questi giorni.
Tornando al tema degli straordinari, avrei preferito, per la mia cultura e per la mia storia, che la questione della detassazione, più che essere affidata ad un decreto-legge, fosse il frutto di un confronto tra le parti sociali e che fosse collegata alla riforma del modello contrattuale, di cui le regole sullo straordinario sono parte certamente non secondaria. Credo che anche qui si introduca una modifica che mette in discussione un'architettura contrattuale che è estremamente importante e significativa.
Devo anche far rilevare che la norma che stiamo esaminando contiene troppi elementi di disparità, perché esclude dai benefici della detassazione una larga parte dei lavoratori. Come si fa a sostenere che si tratta di una misura a sostegno del reddito se poi a qualcuno è negata? Mi sembra proprio che sia la negazione della affermata volontà di sostenere il reddito da lavoro: il pubblico impiego è totalmente escluso (si pensa che, forse, domani...), ma è escluso il settore sanitario.
Ci rendiamo conto, in un momento in cui vi è carenza di personale infermieristico, di cosa significhi anche in questo caso restringere una possibilità? Inoltre, sono esclusi tutti i comparti della sicurezza. Si parla di mobilitazione dell'esercito e di quant'altro e poi si escludono i corpi di polizia da un provvedimento che dovrebbe, invece, aiutare a mantenere una loro presenza più alta. Anche questa mi sembra una grave contraddizione.
Inoltre, restano esclusi milioni di giovani e persone che lavorano con contratti atipici.
Penalizza sicuramente le donne. Lo dico anche pensando agli ultimi dati che arrivano dal mercato del lavoro, dai quali emerge questa propensione delle donne a non presentarsi più sul mercato del lavoro. Se non introduciamo, soprattutto nel Mezzogiorno, altri elementi di penalizzazione, questa propensione, che è reale e ci deve inquietare e preoccupare, aumenterà sempre di più. Ecco perché penso che la norma debba essere rivista e riequilibrata nella direzione che ho cercato di indicare. Soprattutto, credo che debba essere collegata alla riforma della contrattazione e alla valorizzazione del secondo livello, territoriale o aziendale. Certo, la strada migliore per sostenere i redditi da lavoro sarebbe quella delle detrazioni fiscali.
Inoltre, debbo aggiungere che non mi sembra che questa proposta sugli straordinari possa rilanciare la produttività, in quanto non introduce valore aggiunto per unità di prodotto, ma serve solo per aumentare il prodotto in certe situazioni e non la produttività complessiva, come sarebbe utile oggi per il nostro Paese.
Forse introduciamo un elemento anche nei confronti delle imprese, un po' di pigrizia: infatti, più di fare investimenti per aumentare il tasso di produttività e innovazione di processo e di prodotto, ci si limita a far lavorare i lavoratori qualche ora in più, pagandola di meno, senza pertanto contribuire ad un miglioramento della produttività complessiva.
Quindi, ritengo che un provvedimento di questo genere debba essere strettamente collegato alla riforma degli assetti contrattuali Pag. 63e debba pertanto essere collocato là dove può contribuire e aiutare a realizzare gli obiettivi che si prefigge.
Per quanto riguarda l'articolo 3, sono convinto che vi sia la necessità di un intervento di questo genere: ci sono famiglie preoccupate per le scadenze legate ai muti. Tuttavia, non mi sembra che la strada intrapresa sia la migliore. Non credo che vi possano essere per le famiglie i risparmi annunciati, anzi sono convinto del contrario. Mi sembra che le prese di posizione delle associazioni dei consumatori siano state a questo riguardo estremamente precise.
Per quanto riguarda l'accordo con le banche, mi sembra che alle stesse sia stata concessa la facoltà di estendere la durata del mutuo, in modo che possano recuperare anche gli interessi accessori e, in definitiva, conservare tutto il vantaggio che per il prestatore deriva dall'aumento del tasso d'interesse.
L'accordo con le banche, che a prima vista sembra interessante, di fatto ostacola la concorrenza tra le banche stesse e non porta benefici: sarebbe stato più utile attribuire vantaggi alle banche che avessero rinegoziato i mutui in termini vantaggiosi per i clienti. Per fare l'interesse del cliente serve più concorrenza, non meno. Credo che, sia da questo punto di vista e che da quello di una visione complessiva di come deve funzionare la nostra economia, stiamo commettendo un errore.
Inoltre, per quanto riguarda le norme di copertura finanziaria contenute nell'articolo 5, non si può non evidenziare con qualche preoccupazione che vengono utilizzate norme destinate ad opere infrastrutturali, di cui questo Paese ha enorme bisogno, con particolare riferimento alle regioni della Sicilia e della Calabria. Anche questa è una scelta che si fa fatica a condividere.
Per terminare, non posso fare altro che auspicare che il Governo possa recuperare i limiti e le lacune che ho cercato di evidenziare. Questo condizionerà il nostro comportamento: se si parla di famiglie e di sostegno al reddito, alcuni elementi di questo decreto-legge devono essere corretti in profondità.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Boccia. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BOCCIA. Signor Presidente, vista l'ora proverò a fare una sintesi delle riflessioni che avevamo programmato e che emergevano dal dibattito che vi è già stato nella V Commissione (Bilancio).
Riparto dall'inizio, dal titolo: chiedo alla Ravetto e a Fugatti, i due giovani relatori, di assumersi con il Governo la responsabilità di provare a fare un atto di umiltà e di modificare un titolo che nulla a che fare con il potere di acquisto delle famiglie, perché dovremmo fare lo sforzo in quest'Aula di provare a dire le cose così per come vengono normate. Lo dico da economista: come è possibile parlare di potere di acquisto delle famiglie? Se lo sono chiesti anche Pezzotta e Tabacci e molti altri colleghi questo pomeriggio in Aula: come è possibile parlare di potere di acquisto? Anche il Comitato per la legislazione, con un po' di pudore, ha affermato che questo provvedimento reca «un contenuto parzialmente eterogeneo» (e deve aver fatto anche uno sforzo per scriverlo). Com'è possibile parlare di potere delle famiglie, quando in realtà di tutto si parla tranne che di famiglie?
Devo dire la verità, come Pezzotta mi ero chiesto: vuoi vedere che questa volta ci siamo sbagliati noi e che davvero Silvio Berlusconi si concentra sulle famiglie e che, tutto sommato, non ci avevamo creduto noi e che è cambiato qualcosa? In realtà non è cambiato nulla e lo dico davvero per onestà intellettuale.
Parlare di potere d'acquisto delle famiglie significa consentire al salario minimo di ogni famiglia di aumentare il proprio potere d'acquisto, vale a dire di spendere qualcosina in più rispetto al mese precedente, di spendere alla fine dell'anno qualcosina in più rispetto all'anno precedente e, quindi, di aumentare la propria capacità di soddisfacimento dei propri bisogni. Un bisogno che non riuscivo Pag. 64a soddisfare l'anno precedente, grazie all'aumento del potere di acquisto del mio salario, l'anno prossimo riuscirò a soddisfarlo.
Se qualcuno della maggioranza, dal Ministro dell'economia e delle finanze in giù, passando per i sottosegretari competenti o per gli stessi relatori, riuscisse a spiegarci come si fa a calcolare il potere di acquisto delle famiglie, probabilmente per la prima volta dovrò prendere atto che ho sbagliato i miei studi e che tutto quello che ho studiato in questi anni in realtà non serve a nulla; chiederò venia, chiederò scusa, resetterò venticinque anni di studi e verrò ad abbeverarmi ad una fontana nuova, quella dell'economia secondo Tremonti - anno 2008.
Vorrei ripartire da qui, dall'ICI sulla prima casa. È bene ribadire che il Governo Prodi aveva tagliato l'ICI sulla prima casa e aveva esentato gli italiani da questa imposta fino a 303 euro. Ho fatto un esercizio molto banale, che può fare chiunque di noi in quest'Aula. Quante persone conosciamo che pagano un'ICI superiore ai 303 euro? Se proviamo a fare una gaussiana del numero di persone che conosciamo (perdonatemi, ma dovendo parlare di potere d'acquisto delle famiglie, ogni tanto utilizziamo anche nella nostra discussione gli strumenti dell'economia; tutti parlano di potere d'acquisto delle famiglie e di approccio economico di questo provvedimento, ma poi non si sente molto l'economia nella nostra Aula), e su quanta gente paga l'ICI sulla prima casa superiore ai 303 euro, scopriremmo che sono molto pochi, certo dipende da quali persone frequentiamo. Il 60, il 70, l'80 per cento delle persone che frequenta ogni essere umano mortale, come il sottoscritto, non arriva a pagare 303 euro - che erano quelli già esentati, è bene ricordarlo - e anche se qualcuno supera i 303 euro, paga 400-450 euro.
Con questo provvedimento il Ministro dell'economia Tremonti, di concerto con il resto del Governo, in realtà riesce a non dare un euro in più a chi era già esentato (ossia a chi pagava fino a 303 euro) dunque, di norma, alle famiglie italiane medie. Infatti, quasi tutte le famiglie di lavoratori dipendenti del nostro Paese, ma anche quelle di molti commercianti e di piccoli artigiani, erano già esentate.
Pertanto, da questo provvedimento tutto quel pezzo di Paese non riceverà neanche un centesimo di euro; inizierà a ricevere un centesimo chi, come ricordava il collega Cambursano, ha qualcosina in più. Qualcuno di noi ci guadagnerà qualcosa, nel senso che chi di noi paga 400 o 500 euro avrà in dono 200 euro dal Governo; non ne avevamo bisogno, ma è previsto un dono del Governo di 200 euro e sfido chiunque ad affermare che vi fosse questa necessità!
Paradossalmente, più un soggetto pagava, più oggi ottiene dal Governo. Chi pagava 1.500 euro per la prima casa - ad esempio, per un bell'appartamento a piazza Navona - ottiene 1.200 euro, ossia la differenza tra i 303 euro che erano già esentati dal Governo Prodi e quello che oggi il Governo Berlusconi mette nella sua disponibilità.
Dunque, chi sta esentando dal pagamento dell'ICI sulla prima casa il Governo Berlusconi? Diciamolo, non è un reato! Diciamo la verità: sta esentando i benestanti del nostro Paese, noi compresi, perché molti di noi pagano un po' più di 303 euro, ma certamente non sta dando un centesimo a tutti coloro che pagavano l'ICI sotto i 303 euro, vale a dire alla parte più bisognosa del Paese.
A risparmiare è quella fascia del Paese, ma non solo quella. In realtà, si introduce un meccanismo - lo dico ai colleghi della Lega - che ci porta direttamente nel mezzo di un dibattito delicato sul ruolo dell'ICI. Molti colleghi prima del mio intervento, anche nella Commissione bilancio, hanno ricordato il ruolo dell'ICI e io lo farò con grande celerità. Voglio ricordare che, sebbene l'ICI fosse stata prevista nella riforma quadro delle autonomie locali di cui alla legge n. 142 del 1990, in realtà il suo primo impatto arriva sui bilanci degli enti locali nel 1993. È bene ricordare agli amici della Lega, che fino al 1993 ogni comune italiano aveva una dipendenza dai trasferimenti dello Stato Pag. 65superiore al 70-80 per cento; solo nel 1989 la dipendenza dei comuni italiani dai trasferimenti dello Stato era del 90 per cento. Quindi, le entrate proprie, che - lo ricordo - sono costituite da tributi propri, da entrate correnti (quali l'ICI, l'ICIAP e la TOSAP, ossia tutti i tributi che un ente locale gestisce) e dalle tariffe (vale a dire le entrate extratributarie), non incidevano più del 10 per cento sul bilancio dell'ente locale.
Dal 1994 in poi si capovolge questa dipendenza, fino a portare la maggioranza dei comuni italiani a non essere più dipendenti dai trasferimenti dello Stato. Oggi - è bene ricordarlo a tutti i colleghi - non vi è nessun comune italiano che abbia una dipendenza dai trasferimenti dello Stato superiore al 50 per cento; addirittura Brescia, che è il comune più virtuoso, ha una dipendenza inferiore al 20 per cento e l'80 per cento di entrate proprie. Tutti i comuni sono diventati autonomi.
L'ICI non era solo l'imposta comunale sugli immobili, né, come sosteneva oggi in quest'Aula il collega Bragantini, è nata come imposta straordinaria sugli immobili. Forse a qualche amico della Lega bisognerebbe ricordare la storia sulle imposte patrimoniali.
In realtà, l'ICI nasce come un primo passo verso l'autonomia impositiva degli enti locali, perché alla fine degli anni Ottanta e all'inizio degli anni Novanta - quindi stiamo parlando di una Repubblica fa o due, dipende da come si definisce quella attuale - l'idea del legislatore era quella di portare lentamente il Paese verso un meccanismo che, di fatto, consentisse ai comuni stessi di essere gli unici responsabili delle imposte che i cittadini pagano sul patrimonio.
Successivamente, una serie di contraddizioni di quest'ultimo decennio non ha consentito tale trasformazione. Noi, che facciamo? Dopo quattordici anni e dopo aver di fatto portato il Paese verso una graduale, lenta, farraginosa e non ancora compiuta autonomia in positivo degli enti locali, con un tratto di penna cancelliamo l'autonomia, compensiamo il taglio dell'ICI sulla prima casa con dei trasferimenti dello Stato e rinviamo tutto ad un decreto sul federalismo che verrà.
Sapete che vi assumete una responsabilità enorme nei confronti degli enti locali, se il futuro decreto sul federalismo non si fonderà sulla chiarezza del meccanismo unico, cioè sulle imposte sul patrimonio. Noi paghiamo le imposte come cittadini, in Italia come nel resto del mondo (oserei dire, dagli Stati Uniti alla Somalia, passando per tutti i Paesi riconosciuti dalle Nazioni Unite) e ovunque gli esseri umani pagano le imposte in funzione di ciò che detengono (ovvero il patrimonio), in funzione di ciò che producono (ovvero i redditi, ciò che guadagnano) e in funzione di ciò che consumano (ad esempio, al bar, se prendiamo un caffè, paghiamo l'IVA). Questi tre macro cespiti producono le entrate del bilancio dello Stato: patrimonio, redditi, consumi.
Con grande difficoltà e con grande farraginosità gli ultimi quattordici anni di storia del nostro Paese ci avevano fatto percepire che, nonostante le contraddizioni, il patrimonio sarebbe di fatto diventato il principale cespite di entrata degli enti locali. A tal proposito, il sottoscritto ha presentato un emendamento - ma il Partito Democratico ne ha presentato tanti altri - che è un'oggettiva sfida alla Lega; con tale emendamento, ripresentato in Aula poiché le Commissioni non lo hanno accettato, io vi chiedo di abolire quel che resta dell'ICI: l'ICI sulla seconda casa, sui capannoni industriali, sui cespiti. Siccome vi è un'aliquota minima e massima fissata dalla legge ordinaria, io vi invito ad eliminarla ed invito il Governo a sopprimerla. Diamo ai sindaci la totale libertà di decidere se il cittadino Rossi pagherà zero (perché la sua impresa è in crisi) o pagherà il 10 per mille se per caso ha sette, otto, dieci case.
Se crediamo davvero alla libertà tributaria sul territorio e se siamo federalisti davvero (non solo la domenica mattina), allora aboliamo quel che resta dell'ICI, nel senso di abolire l'aliquota minima e massima. Diamo ai sindaci la totale libertà di decidere chi paga e a quali condizioni e di Pag. 66fare perequazione. Le imposte, infatti, hanno un senso se si riesce a far perequazione sul territorio, ovvero: se qualcuno è in una condizione di bisogno, deve pagare meno; se qualcuno (penso ad un'impresa) è in una fase di start up e di sviluppo, deve pagare meno; se qualcuno ha dieci case, dovrà pagare un po' di più.
Se si crede davvero a questa funzione dell'ente locale, allora si abbia il coraggio di sopprimere quel che resta dell'imposta comunale sugli immobili. Comunque, mi domando cosa faremo. Aspettiamo il decreto sul federalismo? Bene, noi siamo in attesa, siamo tutti pronti a dare un contributo, ma è bene sapere che quell'imposta con questo intervento di fatto non esiste più così come il legislatore all'inizio degli anni Novanta l'aveva concepita.
Sui mutui riprendo gli interventi dei colleghi Ceccuzzi e Fluvi. Sarebbe stato necessario dare certezze sulla portabilità, i consumatori avrebbero ottenuto dei vantaggi certi ed immediati e non avremmo probabilmente svolto tale dibattito. Sulla detassazione, Pezzotta è tornato, voglio solo dire una cosa da persona che ogni tanto guarda i numeri della nostra economia.
Come è possibile pensare che con un tetto di 30 mila euro si riesca a incidere su «pezzi» fondanti dell'economia del nostro Paese? I servizi non vengono toccati, soprattutto quelli ad alta innovazione, ma anche nelle catene di produzione oggi un operaio specializzato, addetto al tornio al controllo, è abbondantemente sopra i 30 mila euro. Quindi, in realtà su chi stiamo caricando questo tentativo di incidere sul costo variabile? In realtà, lo stiamo caricando sugli operai specializzati, sui giovani, su quelli che sono entrati da pochissimo in una fabbrica e su coloro che hanno i salari minimi. Se riteniamo che questo sia il modo migliore per salvaguardare - come è scritto nel titolo, che continuo a ritenere oggettivamente imbarazzante - il potere d'acquisto delle famiglie, davvero vi chiedo di convincermi che non è così.
Inoltre, chi copre questo provvedimento? Al momento lo copre buona parte del Mezzogiorno. Lo coprite - perché ovviamente noi a queste condizioni non lo voteremo - con le risorse sulla viabilità secondaria di Sicilia e Calabria, con la banda larga al Mezzogiorno, con i tagli indiscriminati a una serie di incentivi, come il Fondo per la competitività per le imprese e il Fondo per le aree sottoutilizzate, che noi ritenevamo fossero utilizzabili per lo sviluppo, mentre, in realtà, abbiamo scoperto che, in questo momento, sono utilizzati per chiudere una partita legata alle promesse elettorali.
Infine, vi sono alcuni grandi progetti infrastrutturali bloccati, come quelli relativi all'INAIL. Nelle Commissioni riunite, l'articolo 5 - vorrei ricordarlo ai relatori Ravetto e Fugatti - di fatto non è stato discusso. La discussione è stata rinviata e lo affronteremo qui in Aula. Vorrei ricordare che nel 2005 l'INAIL programmò 3 miliardi di investimenti sotto la guida del Governo Berlusconi.
Una parte di quegli investimenti sono stati programmati, mentre una parte, pari a un terzo di quell'ammontare, ossia 1 miliardo, non sono stati solo programmati, ma messi in cantiere.
Prima della chiusura della legislatura precedente e, quindi, con il Governo Berlusconi 2001-2006, il Ministro dell'economia e delle finanze, Tremonti, nell'ultima legge finanziaria bloccò quelle risorse con un meccanismo esattamente simile a quello attuale, rinviando l'eventuale decisione al «dopo elezioni».
Dopo le elezioni, arrivò il Governo Prodi: il primo anno del Governo Prodi è stato segnato da una finanziaria complessa, ma nel secondo anno il Governo ha sbloccato quelle risorse che, intanto, avevano gemmato dei cantieri.
Vi ricordo che tra quei cantieri ci sono ospedali, come l'Istituto tumori e il Besta di Milano, caserme di polizia - tra le più importanti quella di Napoli -, residenze universitarie. Ci sono queste tre categorie di investimenti infrastrutturali: residenze universitarie, ospedali e caserme per la polizia. C'è 1 miliardo di investimenti bloccati.Pag. 67
Noi abbiamo presentato un emendamento a firma Bratti, Franceschini, Baretta ed altri, nel quale troviamo anche la soluzione tecnica e la copertura per evitare che si blocchino questi investimenti. Nelle Commissioni riunite non c'è stata la possibilità di discuterne e mi auguro che questa possibilità ci sarà in Aula.
L'alternativa è che vi assumiate la responsabilità del blocco di quegli investimenti in quelle province, che sono circa una trentina.
Concludo, ribadendo il concetto già ribadito da Pezzotta, ossia che, dopo la sorpresa iniziale, ognuno di noi ha di fatto dovuto riprendere contatto con la realtà.
Si tratta di una realtà che avevamo già vissuto tra il 2001 e il 2006 con il Governo Berlusconi. Vorrei ricordare, prima di concludere, che in quegli anni vi fu, con una testardaggine probabilmente incomprensibile allora, il tentativo di incidere sul PIL in sede di programmazione economica. Ogni volta ci ricordiamo ancora - Pezzotta probabilmente ai tempi era il leader della CISL - che le previsioni sulla crescita del PIL venivano sistematicamente smentite l'anno dopo. Il Ministro Tremonti partì con una previsione del 3 per cento, che un anno dopo risultava essere dello 0,5 per cento e la colpa venne data all'attentato alle torri gemelle. L'anno successivo, il Ministro scese un po' e riuscì a prevedere una crescita del 2,8 per cento mentre, in realtà, negli anni successivi il PIL non superò mai lo 0,8 per cento. Tra il 2001 e il 2006 restammo con una crescita del Paese contenuta tra lo 0,3 e lo 0,8 per cento mentre il Ministro dell'economia e delle finanze puntualmente ogni anno ci diceva che quello era l'anno buono: partì facendo previsioni di crescita al 3 per cento e chiuse mestamente nel 2006 con una previsione dell'1,2 per cento che venne smentita (la crescita fu dello 0,8 per cento). Voi lasciaste, alla fine di quel quinquennio, il nostro Paese con previsioni minime che andavano dall'1,2 al 3 per cento, mentre il Paese reale ebbe una crescita che andò dallo 0,3 allo 0,8 per cento.
Ora, come ripartiamo? Non si lavora più sul PIL, ma sull'inflazione. La novità di questa legislatura è l'intervento sull'inflazione. Ci è stato detto in queste ore che il Paese non avrà un'inflazione del 3,6 per cento ma dell'1,7 e che quindi i contratti li faremo in funzione dell'1,7 per cento. In non so dove si voglia arrivare, ma non vorrei che l'idea fosse quella di dire: rinnoviamo intanto i contratti con un'inflazione programmata all'1,7 per cento; poi, se in realtà l'inflazione è del 3,5 per cento, chiederemo agli italiani di farsi la doccia un giorno sì e un altro no, di mangiare un giorno sì e un altro no, di accendere il riscaldamento un giorno sì e un altro no.
Vorrei davvero ricordarvi che quando si parla di disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie bisogna parlare del potere di acquisto delle famiglie; se il buongiorno si vede dal mattino, vi è da essere oggettivamente preoccupati. Ad un certo punto l'idillio finirà, i fumogeni si abbasseranno e resteranno i provvedimenti economici rispetto ai quali vi sono dei numeri che non lasciano spazio a interpretazioni. Mi auguro davvero che in Aula, nei prossimi giorni, vi sia lo spazio per un dibattito vero che non venga coperto semplicemente dalla forza dei numeri (che esiste ed è sotto gli occhi di tutti). Il Paese vi ha dato una fiducia evidente che dai primi provvedimenti pare già oggettivamente messa in discussione e non certo da parte del Paese, ma da parte vostra. Mi auguro davvero che ci sia lo spazio, nella settimana di lavoro parlamentare che abbiamo a disposizione, per discutere del potere di acquisto delle famiglie e, sullo sfondo, di una reale autonomia impositiva degli enti locali e non della dipendenza degli stessi dal Governo centrale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ciccanti. Ne ha facoltà.

AMEDEO CICCANTI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, signori relatori, onorevoli colleghi, dobbiamo Pag. 68convertire - come è stato più volto ribadito nella discussione sulle linee generali - un decreto-legge che ha come titolo: disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie. In realtà, anche chi mi ha preceduto lo ha ricordato, dovremmo togliere la parola famiglia perché con il provvedimento c'entra poco. Si tratta, infatti, di abolire l'ICI sulla prima casa, di rinegoziare i mutui con le banche per l'acquisto della prima casa e di detassare gli straordinari con un'aliquota sostitutiva del 10 per cento rispetto all'aliquota IRPEF. Questo è il messaggio trasmesso dal Governo agli italiani. Ci troviamo, quindi, di fronte a «leggi manifesto», di mera propaganda politica.
Ci troviamo, in realtà, di fronte ad un provvedimento legislativo che privilegia il mattone rispetto alle persone nella difesa del reddito familiare, di un altro regalo alle banche (perché, con la rinegoziazione, un mutuo per la prima casa ne diventa due) e di un incentivo allo sfruttamento dei lavoratori che più hanno bisogno di guadagnare per mantenere la propria famiglia.
Noi dell'Unione di Centro, però, abbiamo affermato che faremo un'opposizione costruttiva. La nostra sarà, quindi, una critica costruttiva con proposte alternative.
Parliamo dell'abolizione dell'ICI: davvero è una priorità per il Governo rispetto alla crisi delle casse dello Stato e a quella dei bilanci familiari?
Alcuni dati ci aiutano a capire. L'abolizione dell'ICI sulla prima casa o abitazione principale costa ai comuni, che saranno rimborsati dallo Stato, un miliardo e 700 milioni di euro.
Gli italiani avranno un risparmio annuale che varia tra 10 e 500 euro. Rimangono tagliate fuori 4 milioni e 300 mila famiglie, che pagano l'affitto e che da questo provvedimento non avranno alcun beneficio, come ha ricordato il collega Pezzotta.
Seguiteranno a pagare l'ICI per la prima casa, ossia la dimora dove dichiarano di risiedere abitualmente, soltanto 52 mila italiani perché riconosciute al catasto come ville, castelli e abitazioni di lusso. Quindi, solo 52 mila abitazioni, su oltre 21 milioni di case soggette ad ICI, saranno «punite» da Robin Hood Tremonti.
Pensate che, tra queste, una soltanto si trova a piazza di Spagna, come ha ricordato il collega Cambursano. Tutte le altre case che si trovano a piazza Navona e a piazza di Spagna, per far un esempio vicino a noi, valutate nel mercato immobiliare tra i 15 mila e i 25 mila euro al metro quadro, saranno beneficiate, invece, da Robin Hood Tremonti. Pensate quale sollievo per il tenore di vita delle famiglie dei proprietari di queste case!
Dall'ottimo studio dell'UGL - quindi non della CGIL - consegnato alla Commissione nell'audizione svolta al riguardo, risulta che lo sconto medio dell'ICI, abolita da Berlusconi dopo lo sconto dell'1,33 per mille praticato da Prodi lo scorso anno, è di circa 100 euro, considerando che già, come ha ricordato il collega Causi, il 40 per cento dei proprietari di prima casa non pagava l'ICI.
La media è poco meno di 50 euro per le regioni di Calabria e Sicilia e poco più di 120 euro per le regioni Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Emilia, Toscana, Lazio e Campania. Ad eccezione della Campania, quindi, le famiglie delle regioni del centro nord guadagnano, da questo provvedimento, il doppio delle famiglie del centro sud perché i valori catastali delle abitazioni del sud sono più bassi di quelli del centro nord come - ricordo - risulta dallo studio dell'UGL, un sindacato non lontano dalla maggioranza.
Attenzione, però: il 70 per cento del rimborso dello Stato ai comuni è prelevato da stanziamenti previsti per investimenti - sottolineo: investimenti - programmati al sud. È stato qui ricordato dal collega Mannino il ponte sullo Stretto di Messina e la viabilità di Sicilia e di Calabria. È proprio il caso di dire che si toglie ai poveri per dare ai ricchi: un Robin Hood sostanzialmente alla rovescia. Tralascio di citare altre coperture cosiddette provvisorie, come sono state definite dal sottosegretario Pag. 69Vegas, perché sono coperture tecniche che saranno meglio definite in sede di legge finanziaria.
Pertanto, una domanda è spontanea ed è stata avanzata, qualche giorno fa, dal collega, Ministro ombra del PD: a quando, signori del Governo, le coperture vere? Quando questo Parlamento conoscerà le coperture vere del provvedimento in discussione? Tra le altre cose, tali coperture sono ancora di più attese per risolvere problemi di violazione palese della legge di contabilità pubblica. Infatti - più volte è stato ricordato - vengono realizzate coperture con stanziamenti una tantum, riservati agli investimenti, per coprire spese correnti, a carattere, quindi, ripetitivo. Non vorrei, in questa sede, svolgere un elenco, come ha fatto il collega Boccia che mi ha preceduto, ma vorrei aggiungere alle sue annotazioni quelle che più mi riguardano. Ho capito che la relatrice Ravetto ha intenzione di risolvere, nell'esame in Aula di questo provvedimento, la copertura - che è stata cancellata - relativa a dieci milioni di euro, riservata alla lotta per la violenza alle donne. Vorrei aggiungere quella relativa al Telefono azzurro, perché la violenza alle donne, relatrice Ravetto, non può essere considerata diversa e prioritaria rispetto alla violenza sui minori. Pertanto, la invito a tener conto anche della copertura concernente il Telefono azzurro e, a tal riguardo, abbiamo presentato una proposta emendativa.
L'UdC ha presentato proposte emendative per rendere questa volontà di aiutare la famiglia italiana con misure vere ed effettive. Abbiamo proposto di utilizzare il citato miliardo 700 milioni di euro per aumentare gli assegni familiari ovvero per aumentare le detrazioni per i figli minori a carico, beneficiando così anche le famiglie numerose che, per quanto riguarda il potere d'acquisto, credo abbiano voce prioritaria in capitolo. Pertanto, la nostra proposta non è una promessa elettorale da soddisfare, ma un'esigenza obiettiva di equità sociale.
La relatrice Ravetto ha affermato che questo è un provvedimento di equità sociale: e allora come giustificare che in questo provvedimento non sono ricomprese le famiglie che vivono in affitto? Come giustificare le famiglie numerose? Ritengo che l'ICI non dia la risposta al titolo del provvedimento in discussione. Si abbia, quindi, almeno la compiacenza di ritirare certe affermazioni, in contrasto palese con il contenuto e le finalità del provvedimento. Se proprio si voleva agire sull'ICI, l'avrei abolita solo a chi ha in corso il pagamento del mutuo per la prima casa. La proposta dell'UDC avrebbe riguardato sia le famiglie proprietarie di case sia quelle che vivono in affitto. Purtroppo, questa battaglia nelle Commissioni riunite ci è stata negata, perché il presidente ha dichiarato inammissibili una serie di proposte emendative. Senza distinzioni e senza privilegi, pensavamo di affrontare tale modifica del provvedimento legislativo in atto, ma non ci è stato consentito.
Per agevolare i comuni, ai quali non va tolta l'unica, vera entrata propria, l'unica vera imposta federalista - come è stato richiamato più volte - avrei aumentato fino alla totalità oppure fino ad un limite di reddito - di 30 o 40 mila euro - la detrazione dell'ICI sull'IRPEF. Questo sì sarebbe stato un provvedimento che lasciava ai comuni quella libertà di manovra in relazione al ricordato tributo e, in questo modo, avrebbe avuto anche effetti redistributivi.
Tra l'altro, come ha ricordato il collega Pezzotta, si mina il welfare municipale, perché l'ICI non solo è un'imposta strutturalmente antielusiva, ma gode di una tale flessibilità da consentire ai comuni una modularità di entrate che, con questo decreto-legge, viene cancellata e, con essa, viene cancellata una fonte di entrata, in modo tale da rendere più rigidi i bilanci comunali. Si tratta, quindi, di un regalo inutile fatto a chi ne aveva meno bisogno.
Va smentito, inoltre, un altro spot: il blocco dell'aumento dei tributi da parte delle regioni e degli enti locali. Senza questa norma, nel 2008, comunque non sarebbe stata aumentata una sola tassa locale. Infatti, tutti i tributi sono stati Pag. 70istituiti e aumentati prima che entrasse in vigore il decreto-legge in parola. La normativa in vigore impone a regioni, comuni e province di deliberare nuovi tributi e aumenti di tributi prima dell'approvazione dei propri bilanci, il cui termine era fissato al 30 maggio, mentre il decreto-legge è del 27 maggio: quindi, ognuno tragga le proprie conclusioni.
Veniamo alla rinegoziazione dei mutui. Dicono i giornali governativi: si trasforma il tasso variabile in tasso fisso, per bloccare l'insostenibile ascesa dei mutui. Non è vero! Facciamo un esempio: su un mutuo di 100 mila euro di durata venticinquennale, la rata attuale è di 800 euro al mese. Grazie a Robin Hood Tremonti, che affida all'ABI - cioè, all'associazione delle banche - il compito di fare la carità, ricalcolando la rata ai tassi di interesse correnti al 2006, si andrebbero a pagare 700 euro al mese, con un risparmio di 100 euro al mese e, quindi, di 1.200 euro l'anno. Questi 1.200 euro - che comprendono sia la quota capitale, sia la quota interessi - verranno addebitati su un altro conto, sul quale poi si applicherà un tasso di interesse composto da un parametro legato all'Euribor, con l'aggiunta dello 0,50 per cento, che è calcolato, ad oggi, da un tasso di interesse pari al 5,22 per cento. Pertanto, per ogni anno di agevolazione, si avranno due mesi e mezzo di allungamento del mutuo. Altro che sconto! Se prima i mutui venivano lasciati ai figli, adesso li pagheranno anche i nipoti!
Cosa si sarebbe dovuto fare? Secondo noi, aumentare la detrazione fiscale sul reddito di chi paga i mutui, proporzionalmente all'aumento del costo del denaro, e migliorare le procedure relative alla portabilità dei mutui, favorendo i trasferimenti degli stessi verso le banche che offrono le migliori condizioni.
Al contrario, adesso è stato favorito il cartello delle banche, perché tutte aderiranno allo schema di convenzione dell'ABI e nessuna avrà interesse a concedere prestiti a condizioni migliori, scaricando, quindi, sul mutuatario le rendite di posizione del contraente più forte che già erano in vigore. Robin Hood Tremonti avrebbe dovuto agire sui meccanismi bancari, che determinano i tassi di interesse più alti dei concorrenti stranieri, piuttosto che allungare il brodo senza cambiare la sostanza.
Veniamo all'altra grande novità voluta da Confindustria: l'imposta fissa sostitutiva dell'IRPEF e delle addizionali del 10 per cento, dal 1o luglio al 31 dicembre, su alcune voci variabili della retribuzione, tra cui il lavoro straordinario e i premi legati alla produttività. L'agevolazione fiscale costa allo Stato, in termini di minori entrate, 650 milioni di euro e riguarda solo il comparto privato. Secondo chi parla e l'UdC, la somma è sovrastimata. Si poteva, a nostro avviso, alzare l'aliquota al 12 per cento - proprio perché siamo una forza di proposta e di opposizione costruttiva - ed estendere i benefici anche alle forze dell'ordine. Quindi, la copertura c'era: c'era per la polizia di Stato, per i carabinieri, per la guardia di finanza, per la polizia penitenziaria e per gli agenti forestali.
E c'era anche la copertura, come ha sottolineato il collega Pezzotta, evidenziandone la necessità, per il comparto sanità: quindi per gli infermieri e per il personale addetto all'emergenza, compresi, ovviamente, i vigili del fuoco. I soldi, quindi, c'erano; si doveva soltanto avere la buona volontà di accettare qualche proposta proveniente dall'opposizione.
Riteniamo, inoltre, che per agevolare l'emersione dal nero, perché nelle aziende al di sotto dei nove addetti è d'uso il pagamento fuori busta di premi e straordinari, sia utile prevedere l'ininfluenza, ovvero la sterilizzazione, di tali emolumenti ai fini dell'IRAP e degli studi di settore.
Inoltre, questa misura va incontro a due rischi: l'ingessatura del mercato del lavoro, in quanto rallenta le assunzioni in una fase in cui la disoccupazione è tornata a crescere, attestandosi, a livello nazionale, al 7 per cento, e l'abbassamento dei livelli di sicurezza. Tanto più un lavoratore lavora, tanto più aumentano i rischi sulla sicurezza, soprattutto nei settori più esposti al rischio di infortuni.Pag. 71
Va detto che l'aumento degli straordinari non migliora la produttività del «sistema Italia». È noto che l'orario di lavoro complessivo degli italiani è di 1.700 ore l'anno; è tra i più alti dei Paesi europei ed è superiore alla media dell'Europa a quindici, che è di 1.571 ore all'anno, o delle 1.600 dell'Europa a ventisette.
Va precisata la portata dei benefici che andrebbero ai lavoratori dipendenti e alle loro famiglie. Il Sole 24 Ore dello scorso 22 maggio calcolò tra i 200 e gli 800 euro l'anno gli incrementi di reddito. In verità, tale calcolo fu fatto sul massimale contrattuale del lavoro straordinario, che è in gran parte di 250 ore l'anno. La realtà, invece, ci dice che la media annua del lavoro straordinario di un operaio è di 120 ore, per un guadagno annuo di 200 euro. Lo spot propagandistico, quindi, è molto da ridimensionare, anche perché fu fatto dal giornale della Confindustria.
Soprattutto se si ragiona su due aspetti, ci rendiamo meglio conto dell'irrilevanza di questa misura proposta al Parlamento. Vediamola sotto due aspetti (lo ha ricordato bene il collega Pezzotta). Il primo riguarda le donne: sono le più penalizzate, perché sono le più tagliate dagli straordinari. Solo il 37 per cento lo svolge, come ha dimostrato uno studio dell'Isfol, perché i tempi di lavoro e i tempi per la famiglia, per la maternità delle donne, purtroppo, le penalizzano nello svolgimento dello straordinario. Mi sarebbe piaciuto conoscere in questa sede, per esempio, il pensiero della Ministra per le pari opportunità, l'onorevole Carfagna.
L'altro aspetto, il secondo, è che la platea dei beneficiari è di circa quattro milioni di lavoratori, cioè una platea molto ristretta rispetto alle cifre che sono state date dalla stampa governativa. Questo dato deriva da un calcolo fatto, tra le altre cose, da una fonte certamente attendibile, come Il Sole 24 Ore, che sostiene che soltanto il 45 per cento dei nove milioni di lavoratori che possono accedere, in base a queste norme e ai limiti che esse pongono, al lavoro straordinario, sono interessati a svolgerlo.
Anche in questo caso, quindi, ci sono figli e figliastri: su diciassette milioni di lavoratori dipendenti, solo quattro milioni beneficeranno delle agevolazioni fiscali. Anche in questo caso, la famiglia è penalizzata.
Infatti l'importo agevolato degli straordinari non concorre alla formazione del reddito solo ai fini fiscali, mentre vi concorre appieno ai fini assistenziali e previdenziali: questo, tradotto in termini concreti, significa che ai fini degli assegni familiari il provvedimento in esame è sterile, è inutile, e quindi gli assegni familiari non trarranno da esso alcun beneficio, e possiamo dire che rimarranno penalizzati.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROSY BINDI (ore 21,30)

AMEDEO CICCANTI. Ma vi è un'altra osservazione di carattere sociale e politico da fare all'intero decreto-legge: esso privilegia i redditi medio-alti ai fini della defiscalizzazione e delle misure agevolative, ed ha un impatto molto relativo sui redditi medio-bassi e sulle famiglie, intendendo dire redditi al di sotto dei 20 mila euro l'anno; l'esatto opposto di quello che è scritto nel decreto-legge, perché il problema del potere di acquisto è maggiormente sentito - perché è più eroso il reddito - dalle famiglie sotto i 20 mila euro. Infatti, per l'ICI trarranno maggior beneficio i proprietari di case che pagano più di 300 euro, quindi case ad alta redditività catastale, come è stato ricordato dal collega Boccia, case per i benestanti; e per gli straordinari e i premi di produzione coloro che stanno in prossimità dei 30 mila euro di reddito. Come ha pubblicato proprio Il Sole 24 Ore lo scorso 30 maggio, facendo una simulazione tra una retribuzione lorda di 19 mila euro l'anno di un lavoratore sposato con due figli a carico al 100 per cento, ed una retribuzione di 29 mila euro l'anno, si ha un beneficio, per il primo di 368 euro su 250 ore lavorate, mentre per il secondo di 724 euro per le stesse ore lavorate: quindi Pag. 72chi ha votato per il PDL guadagna molto di più di coloro che hanno votato per l'UdC e per il Partito Democratico in questa tornata elettorale. La mia è una semplificazione eccessiva, ma non si discosta tanto dalla verità; ecco perché la relatrice Ravetto ha sostenuto nella sua relazione nelle Commissioni riunite che si tratta di mantenere una promessa elettorale: le ho dato dimostrazione che ha ragione.
Avremmo visto più volentieri la defiscalizzazione degli incrementi di produttività dovuti a innovazione ed efficienza organizzativa, ed altri elementi di competitività legati all'andamento economico dell'impresa piuttosto che questo ritorno allo sfruttamento del singolo lavoratore: lo ha sottolineato, poco fa, anche il collega Pezzotta. Si sarebbe così proseguita l'esperienza del precedente Governo con l'accordo sul welfare, dove Confindustria e sindacato privilegiarono la defiscalizzazione del premio di produttività: in tal senso, fu privilegiata l'innovazione di sistema della produzione aziendale rispetto alla individualizzazione della produttività. Inoltre, avremmo visto con più interesse affrontare e risolvere la questione delle accise sui prodotti petroliferi, vera e propria tangente di Stato che si nutre della disgrazia dell'aumento del costo del petrolio.
Sarebbe stato interessante se Robin Hood Tremonti avesse restituito l'extra gettito derivante dall'IVA e dalle accise alle famiglie falcidiate da un'inflazione reale, che è ben oltre il 3,6 per indicato dall'ISTAT. Avremmo ben visto nel decreto-legge una risposta al controllo delle tariffe pubbliche che aumentano ben oltre il tasso di inflazione, soprattutto per luce, acqua e gas e trasporti pubblici. Purtroppo Robin Hood Tremonti, come ha detto bene la relatrice Ravetto, mantiene con il suo Governo le promesse elettorali, ossia le promesse fatte - come dicevo - alla base elettorale del PDL, e non legifera a favore di tutti i cittadini, ma solo per una parte di essi. Ecco perché gli affittuari e i redditi medio bassi, soprattutto dei lavoratori dipendenti, sono i grandi dimenticati nel provvedimento, ecco perché chiediamo che venga modificato il titolo di esso.
Mi avvio alla conclusione, signor Presidente, dicendo che, per queste ragioni di carattere sociale e politico, noi del gruppo dell'Unione di Centro consideriamo questo provvedimento parziale e limitato. Esso affronta solo una parte degli interessi della società italiana; è fatto non per il bene della nazione ma solo per quello di una sua parte. È vero che vi è una parte dell'Italia che lavora, guadagna bene e si diverte, e noi siamo felici di aver concorso a questo benessere, ma è anche vero che vi è una parte di essa che è in difficoltà e non ci riesce, nonostante il lavoro, la fatica e l'impegno, a causa degli affitti alti, della paga bassa, dell'inflazione alta, dei prezzi dei beni di prima necessità alti, di una scuola e di figli costosi: ebbene, è prima di tutto a questa parte più sofferente della società che noi vogliamo rivolgerci.
Ho ascoltato poco fa il collega Simonetti, della Lega Nord, sostenere che non vi possono essere figli se non vi è una casa e un nido. Bene, io sono nato nonostante i miei genitori non possedessero una casa: dunque, sono una riprova del fatto che non è così. Ma erano altri tempi.
Quella sull'ICI non è una vera politica della casa: nel programma del Popolo della Libertà stava scritto che si sarebbe approntato un programma di edilizia economica popolare, poiché - come ha ricordato il collega Pezzotta - in Italia non vi sono solo coloro che hanno una casa, che oggi vengono graziati: vi sono anche coloro che sono in affitto, e speriamo che questa questione venga affrontata presto, magari con una cedolare secca o in qualche altro modo! Non solo, caro Pezzotta: c'è anche chi non si può permettere né l'ICI sulla prima casa, né un affitto. È dunque a questi ultimi che noi pensiamo, come pensiamo agli anziani e alle giovani coppie.
Dov'è dunque questo piano casa Fanfani tanto sbandierato in campagna elettorale? Anche quella era una promessa elettorale! Eppure, ad essa non si fa cenno né in questo decreto né in quello sulla Pag. 73Robin Hood tax. Sono dieci anni che questo Paese non ha una politica per la casa: dieci anni che le regioni non rifinanziano la legge n. 457 del 1978; dieci anni che siamo di fronte ad un mercato immobiliare giugulatorio, soffocante e penalizzante soprattutto per i giovani.
Per tutte queste ragioni, signor Presidente, colleghi del Governo e colleghi relatori, noi non voteremo a favore di questo provvedimento, soprattutto se esso manterrà le caratteristiche critiche che abbiamo descritto nei nostri interventi.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marinello. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE FRANCESCO MARIA MARINELLO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, nel corso del pomeriggio ho ascoltato molti interventi di colleghi - qualcuno della maggioranza ma prevalentemente dell'opposizione - assolutamente pertinenti e talora addirittura dotti, ma che, a dire la verità, mi hanno convinto poco o nulla. Desidero rivolgere subito una battuta a coloro che mi hanno preceduto e al collega che ha parlato poco fa: esiste in natura la cosiddetta legge fisica del tutto o nulla - è la legge, fra l'altro, che regola i sistemi di trasmissione degli impulsi nervosi neuro-muscolari (quella insomma, per intenderci, che dà agli esseri viventi la possibilità di trasformare l'impulso nervoso in movimento). Orbene, questa è solo una delle leggi della natura: non è l'unica. Invece, mi è parso questa sera che una serie di illustri colleghi che mi hanno preceduto la considerino l'unica legge della politica e l'unica legge dell'economia, quasi a dire: o si riesce a far tutto e subito, oppure tanto vale non fare assolutamente nulla.
Per quanto ci riguarda, non siamo assolutamente d'accordo. Si può discutere su una serie di questioni, si può essere d'accordo nel merito del provvedimento e nel computo delle priorità; si può altresì essere d'accordo o in disaccordo sulle coperture, ma sicuramente vi è un dato obiettivo. Il provvedimento del quale ci stiamo occupando offre comunque delle risposte con riferimento a tre problematiche, e non solo, ben precise, ossia: il taglio dell'ICI (ossia, sostanzialmente, il taglio di una vera e propria imposta patrimoniale sulla prima casa, come tale, in quanto imposta patrimoniale, particolarmente odiosa); il riequilibrio, sostanzialmente, dei rapporti tra clienti del sistema bancario ed istituti finanziari per quanto riguarda i mutui per l'acquisto della prima casa; la detassazione degli straordinari, seppure in maniera limitata e soltanto per alcune categorie di lavoratori.
Tutto ciò rappresenta comunque un principio, cioè l'inizio di un percorso, sicuramente il mantenimento, perché «no», di un impegno elettorale. D'altronde, provengo, come credo tutti noi, da un'antica cultura nella quale era scritto e si diceva, mi pare, che pacta servanda sunt: praticamente ritengo debba essere considerato assolutamente buon vezzo della politica - e non solo della politica - mantenere gli impegni che vengono presi, specie con il proprio elettorato, e specie se il proprio elettorato ha determinato una vittoria elettorale di sì larga portata.
Ma il tema sostanziale, come dicevo, non risiede tanto nelle misure che affrontiamo nel provvedimento in esame, quanto nella filosofia che sta dietro il provvedimento medesimo. Esso, assieme ad altri provvedimenti, come ad esempio il decreto fiscale che sta per essere esaminato o altri ancora, hanno una strategia comune, essenzialmente quella di liberare risorse a vantaggio di fasce sempre più ampie della popolazione, quindi liberare risorse che restano nella disponibilità delle famiglie, allo scopo non soltanto di diminuire il disagio delle stesse, ma di aumentare la circolazione del denaro e creare così una ricchezza vera, ossia un aumento dei livelli economici, e conseguentemente dei livelli reddituali.
Se non si capisce ciò, allora non si è capito il significato di questo provvedimento, il significato di questo segnale, ma nemmeno tutto il resto. Ma questo, a dire la verità, ci interessa poco; ci dispiace soltanto per i nostri colleghi e per i nostri avversari, ma ci sembra che il popolo Pag. 74italiano stia capendo sostanzialmente quanto il Governo e la maggioranza stanno iniziando a fare.
Vorrei svolgere anche un'altra considerazione, soprattutto in riferimento ad alcune affermazioni rese in quest'Aula nel corso del pomeriggio da parte di qualche collega - anche di qualche collega blasonato -, che però dovrebbe un po' dismettere i ruoli del maestro o del maestrino: qualcuno ha parlato di politica che deve alimentarsi di un consenso ampio, capace evidentemente di andare al di là della propria maggioranza. Ebbene, da quei pulpiti personalmente ascoltiamo questo genere di consigli con interesse ma anche con un minimo di sospetto, perché questi toni ci fanno ripensare a tempi passati in cui si vagheggiavano sempre le cosiddette larghe intese, le quali poi diventavano a loro volta compromessi, ma proprio quei compromessi che, alla fine degli anni Ottanta e all'inizio degli anni Novanta, hanno alimentato a dismisura la spesa pubblica, rendendo di fatto il nostro un sistema economico assolutamente destabilizzato ed impegnando per i decenni futuri intere generazioni, da noi ai nostri figli. Ma quel che è peggio, quei compromessi hanno creato le premesse per una svendita di identità e di valori, consentendo anche a forze politiche assolutamente non affini l'infiltrazione nei gangli fondamentali dello Stato e ponendo così le premesse per tutto ciò che è avvenuto negli anni a seguire (e mi riferisco soprattutto al periodo della fine della cosiddetta prima Repubblica).
Vi sono nel provvedimento - il mio intervento, vista l'ora ed apprezzate le circostanze, sarà assolutamente breve - alcune misure che obiettivamente non mi convincono, da parlamentare ed in particolare da parlamentare meridionale e siciliano.
Si tratta di alcune questioni che abbiamo già posto all'attenzione durante i lavori della Commissione, presentando una serie di emendamenti. In particolare, mi riferisco ad alcuni problematiche attinenti alla copertura finanziaria. Ci convincono alcune osservazioni addotte dal sottosegretario Vegas e da altri ancora che si tratta prevalentemente di coperture tecniche e che una serie di tematiche saranno affrontate nel prosieguo dei nostri lavori, nonché in successivi provvedimenti.
Tuttavia vi sono alcune questioni, in verità, che già sono state recuperate e devo dare atto al lavoro svolto dal relatore del provvedimento in esame, dai presidenti e dai capigruppo della V e della VI Commissione e anche dal Governo. Si tratta di questioni, ad esempio, che riguardavano il cosiddetto fondo per la prima casa, la tematica delle autostrade del mare, il fondo per la violenza sulle donne, altre questioni ancora, nonché i fondi per i lavoratori socialmente utili che sono stati recuperati. Va dato atto, lo ripeto, di un percorso che si sta tentando e che si sta percorrendo e di cui si intuiscono già gli sviluppi grazie all'emendamento presentato dal relatore. A tale proposito ritengo che sarà presentato anche un emendamento da parte del Governo che probabilmente giungerà all'esame dell'Assemblea contenente tali aspetti e altri ancora di nostro interesse.
Tuttavia vi è ancora una questione aperta, quella della viabilità della Sicilia e della Calabria ma si tratta di un problema che noi, con senso di responsabilità e con grande dignità, abbiamo già affrontato alla luce del sole, dibattendolo al nostro interno e presentando delle proposte al Governo. Inoltre, abbiamo iniziato un confronto sereno ma al contempo serrato e i nostri accordi e le nostre intese sono state rese con chiarezza e comunicate in una conferenza stampa congiunta di parlamentari e Governo. Tutto ciò ci fa ben sperare che quanto da noi è stato individuato possa rivelarsi un percorso utile e anche un atto di indirizzo vincolante (ne chiederemo l'approvazione e la votazione in Assemblea) in modo da rendere possibili gli interventi, attingendo nel fondo per le aree sottoutilizzate e perciò permettendoci di fornire le risposte che i nostri territori aspettano. Ciò ci consente - come dicevo poc'anzi - di ben sperare che una serie di tematiche e di problematiche possano essere riprese e risolte.Pag. 75
Allo stesso modo siamo assolutamente consapevoli e fiduciosi del fatto che oggi alcuni dei fondi della Fintecna - soprattutto quelli riguardanti la costruzione del ponte che probabilmente non presentavano un'immediata possibilità di spesa - saranno ristabiliti nella maniera piena, doverosa e opportuna all'interno della prossima legge finanziaria che ci accingeremo ad approvare tra qualche mese.
Vi è tuttavia ancora una questione aperta che mi sta particolarmente a cuore sia come parlamentare della Sicilia occidentale sia per il lavoro da me svolto nella precedente legislatura. Si tratta della crisi del sistema vitivinicolo siciliano, problematica ancora aperta e all'attenzione dell'Assemblea con emendamenti da noi presentati su cui stiamo dibattendo e confrontando con il Governo.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, in conclusione ritengo che si tratti nel suo complesso di un buon provvedimento, perché fornisce risposte non solo ai nostri elettori ma in senso più lato all'intera nazione. Esso rientra nell'ambito di una strategia economica complessiva. Al suo interno vi sono alcuni elementi che probabilmente ci convincono meno. Alcuni aspetti sono stati già risolti, mentre altri probabilmente troveranno una soluzione nelle prossime ore. In ogni caso, sicuramente il nostro contributo durante i lavori dell'Assemblea, lo dico in qualità di parlamentare non solo della maggioranza, ma soprattutto siciliano, vi sarà allo scopo di migliorare il provvedimento in esame e nell'interesse più generale della nazione, senza tuttavia mai abbandonare quelli che sono gli interessi legittimi di un territorio.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tidei. Ne ha facoltà.

PIETRO TIDEI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, è mia intenzione contribuire per quanto possibile ad arricchire il dibattito, puntando in modo particolare su due obiettivi. Il primo è dettato dallo spirito che il Governo stesso ha voluto dare ai suoi interventi in materia economica, allorché ha accostato nel linguaggio dei media la figura dell'onorevole Tremonti a quella di Robin Hood che toglie ai ricchi per dare ai poveri.
Il secondo obiettivo del mio intervento sarà invece focalizzato sulle conseguenze materiali del provvedimento nel settore della giustizia che finora non mi pare adeguatamente trattato.
In entrambi i casi cercheremo e troveremo insieme, dunque, una risposta alla domanda: da che parte sta stavolta Robin Hood? Ci addentreremo dunque nell'ideale foresta di Sherwood di questo provvedimento per vedere come realmente opera il novello Robin, a chi effettivamente toglie i denari e come distribuisce ovviamente il suo bottino.
Ora non so perché, ma deve essere sicuramente un mio retaggio se, immaginando l'onorevole Tremonti vestito di verde con il cappello modello matricola universitaria in testa, più che Robin Hood mi viene in mente Peter Pan, circondato dalla sua scalmanata truppa di monelli che, in questo caso, sarebbe costituita dall'effervescente maggioranza che sostiene questa avventura verso una «Penisola che non c'è».
Noi del Partito Democratico preferiamo, ovviamente, contribuire a migliorare veramente le condizioni di quel Paese reale e di quel «Paese che invece c'è», messo alle strette da un'economia che accentua le differenze, che allarga il solco tra chi aspetta la fine del mese come una momentanea liberazione e chi programma le sue vacanze su trenta metri di yacht, quasi sempre di proprietà di una delle sue società inserite in una costellazione di scatole a partecipazione incrociata, piene, vuote, offshore e non. Tra parentesi, di queste complesse dinamiche fiscali si occupava in gioventù - forse pochi lo ricordano - proprio l'onorevole Tremonti prima di indossare ovviamente la calzamaglia verde.
L'opposizione lo ha capito e non tarderà a capirlo anche il Paese reale quando gli effetti pratici di questa manovra saranno concreti e ben visibili. Si è, per esempio, dimenticato che nella sua foresta non tutti sono proprietari della casa nella Pag. 76quale vivono. Si tratta di 7 milioni di famiglie che la casa non se la sono mai potuta comprare, che vivono in affitto e verso le quali occorre intervenire, come propone un nostro emendamento, ritoccando almeno le detrazioni IRPEF. È stato detto, è stato ripetuto in molti interventi, ma mi pare di capire che il Governo su questo stenti a capire fino in fondo le nostre proposte.
Ma è sull'argomento dei mutui che Robin Hood dà il suo massimo, applicando in modo perverso gli stessi principi di finanza creativa che hanno prima illuso e poi steso le casse di decine di comuni italiani che si sono trovati pesantemente indebitati. La sua proposta, detta in due parole, trasforma i risparmiatori, partiti per comprarsi una casa, in debitori eterni. Qualcuno prima di me diceva che i mutui non solo si lasciano ai figli, ma addirittura ai nipoti. Li condanna a pagare a vita, ad essere, in pratica, inquilini delle banche al prezzo della rata del mutuo.
Ed invece molto meglio non solo «si dovrebbe», ma «si potrebbe» concretamente fare per queste famiglie, incentivando la portabilità, l'opzione di cambiare banca senza spese notarili ed incentivando le banche stesse verso una politica commerciale più moderna.
Un esempio sarebbe l'adeguamento dello spread applicato sia sui tassi fissi che sui variabili del guadagno delle banche. Anche questo è stato affrontato. Oggi è una tassa fissa che copre il rischio di credito e che non viene mai ricalcolata in base alla reale perdita attesa e statisticamente plausibile nel periodo rimanente del prestito. Il ricalcolo consentirebbe una diminuzione progressiva di questo spread con un reale e tangibile risparmio sulla rata che diminuirebbe negli anni e persino una forma di incentivo per chi riesce a rispettare meglio le scadenze.
Per questo gli emendamenti del Partito Democratico punteranno ancora sulla portabilità, sulla possibilità delle banche di adottare strategie commerciali anche migliori di quelle previste in convenzione (sia sui tassi variabili, sia sui tassi fissi), sulla trasparenza, sull'informazione completa e corretta del consumatore accompagnata da un severo regime sanzionatorio per gli istituti inadempienti.
Ma, soprattutto, il Partito Democratico propone su questa materia di innalzare la percentuale della vigente detrazione fiscale degli oneri relativi sui mutui per l'acquisto della prima casa. Sarebbe bastato calibrare questo intervento insieme alla detrazione ICI originariamente prevista dal Governo Prodi per garantire con più equilibrio, con meno demagogia e più sostanza il reale potere di acquisto in materia di prima abitazione.
C'è poi la detassazione degli straordinari. Non bisogna essere economisti per capire che questo non è il modo per incentivare le imprese a creare occupazione.
Ancora una volta dovremo chiederci da quale parte sta Robin Hood: non certo dalla parte di medici, infermieri, agenti di polizia ed insegnanti, perché, nella foresta di Sherwoord, Robin non applica la detassazione del lavoro straordinario a tutti i pubblici impiegati. Anche a tale proposito esiste una doppia proposta in due diversi emendamenti presentati dal Partito Democratico, che tendono a correggere un certo strabismo del Governo.
Prima di abbandonare definitivamente la metafora, vorrei fare una domanda: il castello dell'odiato sceriffo di Nottingham pagherà ancora l'ICI? Rientra insomma nella esigua categoria «castelli e case di lusso», esclusa dai benefici della manovra, o conserva l'accatastamento medievale, magari come casa rurale?
Veniamo ora alla parte della copertura finanziaria del provvedimento. Il Fondo cui gli interventi faranno riferimento è di oltre 2 miliardi e 600 milioni di euro per il primo anno (Alitalia inclusa). Almeno l'80 per cento delle risorse viene drenato dal sud e, di questo, il 70 per cento ha un nome ed un cognome: si chiamano strada statale ionica, metropolitana di Palermo, superstrada Agrigento-Caltanissetta, agricoltori siciliani, autostrada del mare, Gioia Tauro e, persino, difesa dell'ambiente e del suolo di Calabria e Sicilia. Otterrà il sud altrettanti benefici dall'abolizione della Pag. 77tassa sulla prima casa o dalla detassazione degli straordinari, visto che, oltretutto, questa non riguarderà il pubblico impiego?
A proposito di dignità, è così che rispondiamo agli echi degli autorevoli e innumerevoli interventi che hanno appassionato questa stessa Aula sulla questione meridionale dalla sua nascita fino alle epoche recenti? È così che questo Parlamento si inserisce in quel dibattito che ha raggiunto in passato vette altissime? È vero, questa è un'altra epoca. Dopo la presentazione al Senato dei provvedimenti sicurezza e annessa norma più o meno «salva Premier», abbiamo imparato una cosa: questo Governo e la sua maggioranza si sono fatti scaltri rispetto al passato.
Infatti, prima approvavano le leggi ad personam con tanto di titolo esplicito e ci mancava poco perché fossero indicati il nome e il cognome del destinatario del privilegio; ora no, la situazione è cambiata: visto che in passato con questo metodo le cose non sono andate bene al centrodestra, la tattica è cambiata. La strategia è più furba: il titolo della norma proposta è di solito altisonante, urgente e di evidente pubblica utilità, una volta campeggia la «sicurezza». In questo disegno-legge si cita addirittura la parola «famiglia» (che c'entra, a dire la verità, poco), ma se andiamo a guardare bene tra un comma e un altro vi è sempre nascosto qualche fringe benefit, qualche beneficio apparentemente marginale incastrato qua e là, per far contenti gli amici.
Anche questa volta l'onorevole Ministro Tremonti è stato come sempre abile con i numeri. Ma il fringe benefit ai danni del Meridione - e a tutto vantaggio del nord - è talmente visibile e sostanzioso che era impossibile nasconderlo. Triste, ma eloquente, la logica dei numeri alla fine prevale.
È soprattutto al sud che si corre concretamente anche un altro pericolo. L'abolizione dell'ICI interviene in negativo, in un settore che ormai è ad alto rischio, come quello della finanza locale. In virtù di questo provvedimento, così come congegnato, tra qualche giorno tutti i comuni dovranno fare a meno del previsto gettito ICI. La scadenza di giugno, attesa dalle casse di centinaia di comuni come una vera e propria ancora di salvezza, è oramai imminente.
Mi preme sottolineare come sia urgente, urgentissimo, intervenire sul meccanismo dei trasferimenti, così come previsto negli specifici emendamenti proposti dal Partito Democratico, per evitare che diversi comuni cadano in default. È un'urgenza che suggerisce parallelamente la necessità di introdurre almeno una norma ministeriale che consenta di ricorrere momentaneamente anche all'anticipazione straordinaria da parte del tesoriere, senza la quale le difficoltà di cassa potrebbero essere soverchianti e i danni all'economia locale irreparabili.
Ad essere penalizzati saranno per primi i servizi più vicini alle esigenze dei cittadini e delle fasce più deboli. Toccherà poi ai fornitori di comuni economicamente più esposti, con diffuse e imprevedibili conseguenze su fragili economie locali, soprattutto nel sud. Gravi ed inattese sono le conseguenze che il provvedimento comporterà anche nel settore della giustizia. Questi tagli raggiungono in qualche caso vette odiose ed intervengono in netta controtendenza rispetto agli intenti dichiarati dalla stessa maggioranza in periodo elettorale.
Non a caso comincio dai 20 milioni di euro sottratti al finanziamento del piano contro la violenza alle donne, previsto all'articolo 2 della legge n. 244 del 2007, che non troverà mai attuazione perché il Governo ha completamente prosciugato le sue risorse destinandole al provvedimento in questione. Si tratta di 20 milioni che fanno parte del capitolo più esteso dei colpi di forbice nel settore sanità, politiche sociali e pari opportunità che non esito a definire particolarmente odiosi. Ne pagano le conseguenze, visto lo spirito «padano» della norma, le politiche di inclusione degli immigrati (-95 milioni), i bilanci e le statistiche di genere (-3 milioni) e persino il Telefono azzurro, di cui si parlava poc'anzi (-1,5 milioni).Pag. 78
Dopo aver innalzato la bandiera della sicurezza in campagna elettorale, questa maggioranza affonda il bisturi e definanzia gli interventi legislativi contro la violenza alle donne. Ora, in Commissione giustizia ci sono cinque diversi provvedimenti presentati da 12 colleghi e da un collega (primi firmatari sono le onorevoli Lussana, Angela Napoli, Pollastrini, Prestigiacomo e l'onorevole Caparini), che vengono fortemente depotenziati prima ancora di essere dibattuti, vista la fine alla quale il Governo ha condannato il piano antiviolenza previsto dalla precedente legge.
Eppure, in fondo, tutti e cinque concordano nel ritenere la violenza e le molestie contro le donne una vera e propria emergenza sociale, testimoniata dal numero crescente di episodi di violenza registrati dalla cronaca, che spesso si consumano nel silenzio e nella segretezza dei nuclei familiari. Si tratta di quella stessa famiglia, insomma, a favore della quale il provvedimento si preoccupa di intervenire per migliorare il potere di acquisto, con 2 miliardi e mezzo in un anno, ma che nello stesso tempo non ci si fa scrupolo di togliere 20 milioni di euro per aiutare a difendere la dignità delle donne all'interno di quelle stesse mura.
Non è il solo danno alla giustizia: ben 56 milioni di euro vengono tolti dalla parte corrente delle spese proprio al Ministero della giustizia (per l'esattezza, 21 milioni nel 2008 e 36 milioni nel 2010). C'è da che fare i complimenti a questo Governo e al Premier Berlusconi, così attento all'efficienza dei processi, così preoccupato dal corretto funzionamento dei tribunali!
Toccherà alle carceri realizzare i risparmi in favore dell'abolizione dell'ICI, dove le condizioni di vita, sia dei reclusi sia degli agenti, sono diffusamente sotto il limite di guardia? O saranno i magistrati a realizzare i 56 milioni di risparmi? I conti sono presto fatti: ogni magistrato disporrà di 7 mila euro in meno nella parte delle spese correnti, di cui 2.600 nel 2008; ogni magistrato, lo ripeto. Di cosa si tratterà? Della carta per scrivere, di un paio di computer in meno; sicuramente non si tratta di aiutarlo nel suo operare quotidiano contro la malavita. Certo non si tratta di facilitarne praticamente il compito, né di un contributo per accorciare i tempi del processo. Si tratta, né più né meno, di quel trattamento riservato e speciale che questo Governo destina ai servitori dello Stato, che condividono in questo disegno di legge il privilegio di essere esclusi dai benefici sulla detassazione degli straordinari.
Signor Presidente, onorevoli colleghi, mi avvio a concludere: consegno all'Aula queste mie valutazioni, sottolineando un'emergenza e aggiungendo poche considerazioni finali. L'emergenza è quella nella quale si verranno a trovare i comuni più deboli e le economie locali che ad essi fanno riferimento, in favore dei quali è inderogabile intervenire per garantire materialmente i tempi dei trasferimenti con i quali lo Stato sostituirà il gettito dell'ICI e innescare subito meccanismi contingenti sostitutivi.
La riflessione finale riguarda, invece, lo spirito del disegno di legge presentato dal Governo: ancora una volta paga il sud, in termini di opportunità mancate. Ancora una volta, dietro l'apparenza di un beneficio diffuso, si nascondono le leggi del marketing del voto e i benefici reali risalgono la penisola verso la Padania, in contropartita della vittoria elettorale. E se alle famiglie arriverà qualche vantaggio, ancora una volta sarà il consumatore ad essere premiato, forse nel breve periodo, mentre all'elettore, al cittadino non rimarrà che constatare un danno effettivo in termini di opportunità di sviluppo dell'economia e persino di reale applicazione dei propri diritti e dei diritti dei più deboli.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Schirru. Ne ha facoltà.

AMALIA SCHIRRU. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, recante disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie, contiene disposizioni in materia di esenzione totale dall'ICI per la Pag. 79prima casa, in aggiunta a quelle già decise con la legge finanziaria 2008 dal Governo Prodi.
Il provvedimento introduce un regime fiscale agevolato fino a 3 mila euro lordi solo per i lavoratori del settore privato che svolgono lavoro straordinario e supplementare, prevede la rinegoziazione dei mutui a tasso variabile per la casa e concede un prestito di 300 milioni di euro all'Alitalia, che ha problemi di liquidità.
A dire il vero, dal titolo, ci aspettavamo per il periodo 2008-2010, in cui è compreso l'anno europeo di lotta alla povertà e all'esclusione sociale, una serie di misure più coerenti con l'iniziativa lanciata dall'Unione europea, che - lo ricordiamo - mira a favorire la piena occupazione attraverso un sistema completo di protezione sociale, capace di conciliare un adeguato sostegno al reddito con la necessità di maggiore mobilità sul mercato del lavoro.
Ci sentivamo pronti a sostenere, a partecipare e a condividere, anche con le nostre proposte di legge, le preoccupazioni alla base della decisione europea, attraverso il richiamo allo Stato, alle regioni e agli enti locali di farsi carico delle condizioni di povertà e di esclusione in cui versano migliaia di cittadini italiani, 340 mila solo nella mia regione.
Per un momento abbiamo creduto di poter individuare insieme delle politiche capaci di assicurare l'integrazione sociale delle persone che sono più lontane dal mercato del lavoro, sostenendo gli enti locali nella promozione delle condizioni di accesso, per le persone più in difficoltà, ai servizi sociali economici e culturali, ma si trattava di un'evidente illusione.
Il Governo, infatti, a poco più di un mese dal suo insediamento, ci propone come primo intervento urgente un'azione che non ci pare possa promuovere la crescita economica del nostro Paese e l'occupazione e che di certo non facilita ai cittadini l'ingresso nel mercato del lavoro, né fornisce un'adeguata protezione a coloro che ne sono fuori.
Con lo stesso decreto-legge e con la somma erogata all'Alitalia, ci viene prospettata la riduzione delle risorse per il trasporto pubblico, che invece devono essere destinate ad aumentare e a migliorare i mezzi di trasporto e la viabilità. Si tratta di interventi necessari per fare fronte alle nuove domande di spostamento quotidiano dei lavoratori e dei cittadini, per rendere meno traumatico il fenomeno del pendolarismo e per evitare il triste ripetersi delle stragi sulle strade, anche per recarsi al lavoro.
Per contro - e a sorpresa - si chiedono interventi di riduzione nei settori della sanità, come la prossima reintroduzione dei ticket per le prestazioni medico-specialistiche. Si dimezzano i Fondi delle pari opportunità e delle politiche sociali e si cancella il Fondo per le iniziative rivolte a combattere la violenza sessuale, utili, invece, a nostro parere, ad affrontare e contrastare quelle terribili forme di sopruso che si annidano in tante famiglie spesso segnate, oltre che dalla povertà materiale, anche da sofferenze, dalla sopraffazione e da una grande solitudine. Il Governo sembra in questo caso non conoscere, o non voler prestare la sua giusta attenzione, alle forme più complesse della povertà e non reputa centrale la necessità di porre in atto strategie e azioni coerenti di prevenzione fondate sul processo di appropriazione sociale. Ci propone misure che, invece di aggiungere, sottraggono, riducono, quelle risorse destinate ai più indigenti, alle persone più indifese, nonché misure che ledono i diritti delle donne e dei più deboli.
Una maggiore conoscenza avrebbe aiutato a riconoscere in Italia l'esistenza di una forte polarizzazione tra ricchi e poveri, tra il Settentrione, dove c'è lavoro ma spesso è sottopagato e ingiustamente remunerato, e il Meridione, dove si registrano realtà di disoccupazione giovanile e femminile, con lavoratori da anni in cassa integrazione e ancora troppi precari non stabilizzati: un Paese, insomma, dove permangono grandi forme di disuguaglianza sociale e dove esistono persone sole che, dopo una vita di lavoro, sopravvivono con redditi impensabili di 400 euro, invalidi con pensioni di 215 euro, famiglie monoreddito Pag. 80con più figli a carico che percepiscono 700-900 euro mensili, tanti disoccupati che hanno un lavoro per solo due o tre mesi all'anno e donne impiegate nelle imprese di pulizia, che vivono con 300-400 euro al mese.
La nostra società è e si sente più povera, poiché la spesa di tante famiglie continua ad aumentare. Oggi non si hanno i soldi non solo per il cinema, ma più gravemente per pagare le bollette e per fare la spesa: cresce il costo delle abitazioni in affitto, dell'acqua, dell'elettricità, dei prodotti alimentari e dei trasporti. Ci sono famiglie escluse dai servizi sanitari o dall'istruzione, perché nel bilancio familiare è impossibile prevedere spese extra, come una visita medica specialistica o i testi universitari per i figli.
Questa è la realtà di un Paese nel quale la crescita è ancora minima, nonostante i sacrifici fatti finora, e che vede un potere d'acquisto ancora troppo debole per poter pensare ad una politica di regalie ad imprese già compromesse.
Riteniamo che per far crescere il Paese meglio sarebbe stato investire su altri fronti (come quello a noi caro e ancora troppo invisibile dell'occupazione femminile), sull'incremento dei servizi e della rete di sostegno al lavoro delle donne, al fine di conseguire finalmente gli obiettivi della strategia di Lisbona (da cui l'Italia è ancora troppo lontana) e per compiere finalmente quel cambio di passo che è il lavoro e l'innovazione per le donne e, insieme, maggiore crescita e opportunità per il Paese.
Per quel che concerne nello specifico la detassazione degli straordinari (una misura discussa presso la Commissione lavoro), riteniamo che non rappresenti assolutamente una priorità per il Paese. Come ricordavo in premessa, ben altre sono le urgenze: l'emergenza dei salari (tra i più bassi d'Europa) e delle pensioni. Ci troviamo, invece, dinanzi ad una disciplina particolare, che vede nel prolungamento dell'orario normale di lavoro un'emergenza. Intanto, la variazione dell'orario di lavoro deve sempre trovare una motivazione nelle esigenze particolari e organizzative delle imprese e devono essere in ogni caso provate dal datore di lavoro. Ciò richiede, comunque, l'accordo delle parti e deve essere retribuito con una maggiorazione.
Di conseguenza, per giustificare l'impiego di questa soluzione senza ricorrere all'assunzione di altri lavoratori occorrerebbero esigenze tecnico-produttive e casi eccezionali, casi di forza maggiore, che in questo momento non ci pare esistano nel nostro sistema produttivo. Anzi, ricordiamoci che in molte zone d'Italia le maggiori aziende stanno addirittura chiudendo e licenziando centinaia di lavoratori. Parlo con preoccupazione non solo della mia Sardegna, ma anche della Lombardia, di Lecco e di altre realtà note.
Il decreto-legge n. 93 del 2008 di fatto non permette di conseguire i due importanti e condivisibili obiettivi della promozione della crescita e dell'incremento del potere di acquisto dei lavoratori. Non si considerano le fasce di lavoratori escluse dal provvedimento, quali i pubblici dipendenti, che comprendono figure particolarmente importanti per la collettività: infermieri, poliziotti, guardie carcerarie, nonché i lavoratori atipici e le donne, rispetto ai quali sarebbe stato auspicabile, a nostro avviso, un ben altro tipo di intervento.
Si interviene, invece, esclusivamente in favore del settore privato e delle imprese maggiormente in grado di competere sul mercato, determinando perciò una discriminazione a danno del Mezzogiorno, con conseguente aumento del differenziale occupazionale tra nord e sud.
L'ennesima incongruenza si ritrova se si guarda al lavoro a tempo parziale o part-time, considerato una forma di lavoro flessibile ed utilizzato non perché richiesto dal lavoratore, ma soprattutto perché preteso dal datore di lavoro. Anche questa tipologia di lavoro potrà ricorrere al lavoro straordinario e allora perché non promuovere la stabilizzazione, il tempo pieno e indeterminato, quando ciò corrisponde alle aspettative del lavoratore ed è importante per la maggiore produttività del sistema aziendale? Oltre al fatto che non tutti i lavoratori fanno straordinario, Pag. 81ci si dimentica che in questo modo si incentiva esclusivamente la quantità del lavoro e non la qualità dello stesso.
Le ore di straordinario costituiscono, infatti, ore con produttività marginale inferiore. Dopo le otto ore giornaliere, il lavoratore è più stanco e, quindi, anche meno produttivo. Non si ricorda ancora che il problema in Italia sia oggi il basso tasso di occupazione e non sicuramente il numero di ore lavorate. In luogo della detassazione degli straordinari, sarebbe stato più opportuno prevedere forme di detassazione del reddito dei lavoratori dipendenti, nonché forme di decontribuzione, legate alle prestazioni previdenziali, con un contestuale rafforzamento della disciplina volta a favorire i premi di produttività - ad esempio, rispetto a ciò, l'impegno del precedente Governo si è concentrato sulla materia degli sgravi contributivi, per incentivare la contrattazione di secondo livello -, e di riduzione dell'imposizione fiscale sulla quota di retribuzione corrisposta a titolo di premio di produttività.
Invece della detassazione decisa unilateralmente dal datore di lavoro, avremmo dovuto sostenere la riforma della contrattazione, utile a revisionare il funzionamento del nostro mercato del lavoro, la struttura contrattuale e il miglioramento del sistema produttivo, e prevedere incentivi per i lavori stabili.
Riteniamo che le disposizioni contenute nel decreto-legge possano, in realtà, favorire l'emersione di particolari forme di elusione fiscale, considerato che le imprese potrebbero far rientrare, nell'ambito delle remunerazioni per prestazioni di lavoro straordinario, prestazioni non riconducibili a tale tipologia di lavoro, al solo fine di ottenere un regime fiscale agevolato.
Ancora una volta, il Partito Democratico propone al Governo di riconoscere l'evidenza e di utilizzare le risorse dall'extragettito per altre e più urgenti priorità d'intervento, come quelle citate in premessa.
Concludendo, nel ribadire la nostra contrarietà a un provvedimento che favorisce le categorie di lavoro e di impresa più forti, sarebbe stato più opportuno intervenire a sostegno dei redditi di lavoro dipendente, in presenza di più bassi livelli salariali, venendo poi incontro alle esigenze delle imprese anche attraverso quelle misure di riduzione del cuneo fiscale già prese nella passata legislatura dal Governo precedente, in una ottica di riduzione reale e concreta del costo del lavoro. Salari più alti a chi ha visto sminuire il valore della propria attività e concretamente precipitare il proprio potere d'acquisto.
Sarebbero state maggiormente auspicabili politiche di buona flessibilità, nonché di conciliazione tra lavoro e vita familiare, per mettere a punto le necessarie strategie di crescita, senza dimenticare i principi di equità e pari opportunità, con un occhio di riguardo alle politiche di distribuzione del reddito e di accesso a servizi pubblici efficienti e moderni.
Sarebbe stato opportuno agire con misure tese a rilanciare l'economia, l'occupazione e a bloccare l'aumento incontrollato dei prezzi dei servizi, della benzina e dei trasporti, incoraggiando, attraverso interventi fiscali, lo sviluppo di quelle attività che sostengono la crescita e, quindi, la ricerca, la formazione e gli investimenti in tecnologia.
Inoltre, perché operare sulla riduzione delle spese attraverso i contributi ISFOL di lavoratori precari, le attività socialmente utili rivolte alle categorie più deboli nel mercato del lavoro, sottoposte a continui ricatti?
Si vuole forse aprire una guerra tra poveri e accentuare il conflitto sociale nel mondo del lavoro? Perché tutelare chi già possiede e umiliare chi ancora non ha e non ha mai avuto? (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Narducci. Ne ha facoltà.

FRANCO NARDUCCI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, Tolstoj diceva che le famiglie felici si somigliano tutte, mentre ogni famiglia infelice lo è a modo suo. Pag. 82Sinceramente, oggi le famiglie cominciano a somigliarsi nella comune crescente difficoltà ad arrivare a fine mese. Ne sono testimonianza i centri Caritas e i servizi sociali dei comuni del sud e del nord del Paese.
In molti lo hanno detto prima di me in quest'Aula: il decreto-legge in esame, più che combattere l'impoverimento delle famiglie, salvaguardandone il potere d'acquisto, appare come un provvedimento che favorisce chi non è nelle condizioni sopra descritte, che riceve ora un regalo che non ha il carattere dell'equità.
Nemmeno si frena, come si asserisce, il distacco che in termini di crescita generale divide il nord dal sud del Paese e che si dilata sempre di più. Il Governo mette in campo l'abolizione dell'ICI sugli immobili classificati come prima casa adibita ad abitazione propria accanto a disposizioni per il miglioramento della produttività del lavoro e della rinegoziazione dei mutui sulla prima casa. Si tratta di un provvedimento annunciato con grande enfasi durante la recente campagna elettorale ma che all'analisi dei fatti delude le attese che aveva suscitato e che di certo non è il provvedimento economico in grado di incidere equamente sulla situazione di difficoltà che vivono moltissime famiglie italiane. Che le cose non stiano andando per il verso giusto in molti Paesi dell'Unione europea e nemmeno in altri Paesi ad economia avanzata è innegabile, ma l'Italia ha fragilità strutturali che la rendono ancora più vulnerabile. È in atto una crisi alimentare mondiale dovuta ad una inflazione altissima del costo dei prodotti agroalimentari che ha avuto le ben note ripercussioni sulle famiglie italiane, in particolare, su quelle monoreddito e sui pensionati, per non parlare poi dell'aumento del prezzo del petrolio che incide sui risparmi e sulla spesa quotidiana di ogni famiglia. Vi è un'inflazione reale che oltre a frenare i consumi, divora gli aumenti salariali che si sciolgono come neve al sole. L'erosione del potere di acquisto dei salari, che proprio in queste ore sta sollevando critiche durissime al tasso di inflazione programmato fissato dal Governo, deprime la domanda e spegne i possibili riflessi positivi sulla crescita generale dell'economia italiana. È inaccettabile la posizione sostenuta dal Ministro Brunetta che chiede sacrifici anche sui salari sapendo che la grande maggioranza del nostro popolo vive con salari portoghesi a prezzi tedeschi. Certamente il nemico da battere è l'inflazione ma non con sacrifici a senso unico tanto più se si considerano le disparità che ci contraddistinguono dagli altri Paesi dell'Unione europea in tema di redistribuzione della ricchezza, di reddito disponibile e di equità fiscale intendendo con ciò chi paga le tasse e chi non le paga.
A me pare che i dati del fabbisogno statale rilevati nel maggio scorso dimostrino che si poteva mettere in campo una manovra di ben altra portata e impatto utilizzando le risorse dell'extragettito e della sovrastima delle spese, senza manomettere le risorse stanziate dalle due leggi finanziarie varate dal Governo Prodi. Così come giova sottolineare che per dare forza al potere di acquisto dei salari la legge finanziaria vigente predispone l'attribuzione delle maggiori entrate tributarie alla riduzione della pressione fiscale nei confronti dei lavoratori dipendenti attraverso lo strumento della detrazione. L'abolizione dell'ICI sulla prima casa annulla gli effetti di uno dei pochi strumenti di federalismo fiscale - è stato già detto più volte - di cui l'Italia dispone e pone molti e fondati interrogativi sull'ammontare del minor gettito da compensare ai comuni.
Resta da capire poi cosa vorrà fare il Parlamento per ovviare alla palese ingiustizia operata nel confronti dei cittadini italiani residenti all'estero che possiedono la prima casa in Italia. Se è incontestabile che l'abolizione dell'ICI comprenda le abitazioni principali e le relative pertinenze è altrettanto ovvio che le case possedute in Italia dai nostri concittadini residenti all'estero debbano beneficiare dello stesso diritto. Facendo riferimento alla legge n. 504 del 1992 il Governo esclude gli italiani all'estero e annulla le ulteriori detrazioni a loro estese con la legge finanziaria per il 2008. È un atto poco Pag. 83avveduto anche sul piano politico perché testimonia l'assoluta mancanza di attenzione verso i connazionali emigrati che con le loro rimesse e gli investimenti fatti nella propria casa hanno sostenuto con forza, soprattutto nella seconda metà del secolo scorso, l'economia del nostro Paese. Voglio auspicare al riguardo che maggioranza e opposizione ristabiliscano in sede emendativa la parità di diritti tra i cittadini che vivono in Italia e quelli che sono emigrati all'estero che hanno investito i propri risparmi nei loro comuni e nelle loro regioni di origine con la speranza del ritorno a casa.
Analogamente, il Parlamento dovrebbe correggere gli effetti distributivi che, stante le valutazioni dell'ANCI, creano mancanza di equità e discriminazione sia tra i proprietari di case e gli inquilini sia per i casi di assimilazione, ai fini della detrazione, che alcuni comuni ed alcune città hanno adottato e altre no.
Vi è, inoltre, molto da ridire sulle decisioni adottate per la copertura dell'operazione ICI. Uno studio dell'ANCI mostra come il taglio dell'ICI sia finanziato con pesanti tagli a trasferimenti già previsti da leggi varate. A pagare il conto saranno paradossalmente soprattutto le regioni del sud, per le quali il provvedimento voleva operare un riavvicinamento al nord. I 70 milioni di euro derubricati dal programma per lo sviluppo della banda larga nelle regioni meridionali e per la messa in sicurezza dei trasporti in Calabria e nello Stretto di Messina, oltre che rallentare ulteriormente i progetti di crescita e miglioramento del Meridione, ne bloccano gli effetti positivi sull'occupazione in cui si sperava e avallano quello che era un sospetto, togliere al sud per dare al nord.
Senza considerare i 113 milioni di euro defalcati dal Fondo per il trasporto pubblico locale o le risorse sottratte alle università, costrette a cedere 16 milioni di euro.
Che dire, poi, delle risorse sottratte alla sicurezza delle donne e al Fondo per l'inclusione sociale degli immigrati, che è stato praticamente azzerato? Vorrei invitare tutti a riflettere a fondo su questa scelta: l'Italia è diventata un Paese di immigrazione. Bisogna riconoscerlo perché il nostro mercato del lavoro lo richiede. Non vi sono, quindi, alternative ad una reale e concreta politica di integrazione.
I vantaggi economici, sociali e culturali derivanti dall'immigrazione superano di gran lunga i problemi che essa comporta. Penso all'edilizia abitativa e ai consumi di massa oppure ai contributi versati dal sistema di sicurezza sociale in un Paese che si confronta con drammatici problemi demografici e che vede i giovani entrare nel mercato del lavoro con vari anni di ritardo rispetto ai loro coetanei europei. Ma senza integrazione aumentano le implicazioni e si dilatano gli effetti negativi che accompagnano l'immigrazione.
Per le ragioni illustrate, Paesi come la Svizzera, la Germania e altri Paesi che da decenni sono il terminale di grandi masse di immigrati, hanno puntato su estese politiche di integrazione, investendo le risorse che simili processi richiedono.
In definitiva, in questo campo, il detto «meglio prevenire che curare» si rivela estremamente pertinente.
In merito all'articolo 4, relativo alla controversa vicenda Alitalia, il Governo mira a guadagnare tempo e, con il prestito-ponte trasformato in patrimonio, ha immesso le risorse per far fronte al bisogno immediato di liquidità della compagnia, sottraendole inspiegabilmente al Fondo per la competitività e lo sviluppo e al Fondo per la finanza di impresa. Un Fondo, quest'ultimo, istituito per facilitare il compito delle imprese, soprattutto medie e piccole.
Ma c'è da chiedersi che valore può avere tale operazione se non si ha la minima idea di un piano credibile di privatizzazione.
Il Governo si è comportato in maniera avveduta con una strategia globale per risolvere il problema dei trasporti anche in una prospettiva europea non più ignorabile? Dove sono gli investitori italiani? E vale la pena rischiare una procedura di infrazione da parte della Commissione Pag. 84europea ai sensi dell'articolo 226 del Trattato che istituisce la Comunità europea per violazione della disciplina sugli aiuti di Stato, quando già si prefigura l'inefficacia del provvedimento che stiamo esaminando?
In fin dei conti nel fallimento della Swiss Air, che è costato miliardi di franchi, alla fine la Swiss è stata comprata da Lufthansa per soltanto 340 milioni di franchi.
Quanto meno si cominci a lavorare seriamente ad un piano fattibile di privatizzazione, affinché tutti possiamo essere coscienti di non sperperare inutilmente il denaro pubblico. Ce lo chiede il Paese e le tante famiglie di cui il Governo vuole difendere il potere d'acquisto salariale. Si dica finalmente, qui in Aula, davanti ai rappresentanti dei cittadini, come si intende procedere.
Onorevoli colleghi, i tagli effettuati per la copertura del disegno di legge in discussione infliggono un duro colpo al bilancio del Ministero degli affari esteri, preso di mira con una regolarità impressionante negli ultimi venti anni. Nel triennio 2008-2010, il MAE subirà un taglio di oltre 180 milioni di euro. Se al bilancio degli Esteri togliessimo lo stanziamento finalizzato alla cooperazione e allo sviluppo, il taglio si fisserebbe al 10 per cento del bilancio. Una batosta.
Vorrei richiamare l'attenzione dei relatori su questa ed altre decisioni, che non hanno trovato ascolto nelle Commissioni, poiché nel momento in cui va compiuto uno sforzo di notevole profilo per sostenere il processo d'internazionalizzazione dell'Italia e promuovere l'affermazione del nostro sistema Paese, una simile riduzione del bilancio del Ministero degli affari esteri blocca ogni proposito in questa direzione. Occorre qui ricordare che la rete diplomatico-consolare svolge compiti importantissimi per la promozione dell'immagine dell'Italia e del made in Italy. I consolati sono oggi gli avamposti del nostro Paese, in uno scenario che è quello della globalizzazione.
Tuttavia, occorre anche sottolineare che la rete consolare, da tempo, è in sofferenza. Al subentrare di numerosi compiti e funzioni aggiuntive che essa deve svolgere - non da ultimo quelli derivanti dal riconoscimento della piena cittadinanza attiva ai connazionali residenti all'estero - ha corrisposto una penalizzante diminuzione di risorse finanziarie ed umane. Siamo alla terza fase di ristrutturazione e, ad ogni fase, si è proceduto alla chiusura di sedi, come peraltro è avvenuto in queste ultime settimane. Vi è un divario schiacciante tra l'Italia e altri Paesi membri del G8, come Francia, Germania e Inghilterra, quanto a percentuale del PIL destinata al vitale settore dell'amministrazione dello Stato all'estero.
Oltre a queste riflessioni di fondo, devo evidenziare le decurtazioni previste dall'articolo 5 del provvedimento, che colpiscono pesantemente le comunità italiane all'estero, in contrapposizione - questo va detto - con la politica di sostegno che l'attuale maggioranza di Governo ha sempre affermato di voler intraprendere nei confronti dei nostri connazionali. Ora, invece, essa mostra di non tenere nella giusta considerazione il ruolo propulsivo che tali comunità hanno per la presenza italiana nel mondo. Comunità che sono una parte importantissima per la promozione del sistema Italia nel mondo e che, in nessun modo, possono essere considerate come un improduttivo centro di spesa. La rete non svolge soltanto compiti di amministrazione, rappresentanza e sviluppo: essa genera anche risorse consistenti per le casse dello Stato, sia per il rilascio dei «visti Schengen», sia per le altre funzioni legate alla mobilità di uomini e di imprese.
Il gruppo del Partito Democratico ha espresso forti perplessità in Commissione affari esteri per i tagli al bilancio del MAE e per le conseguenze che ne derivano al nostro sistema economico in Italia e all'estero, nonché alla promozione della nostra lingua e della nostra cultura, che deve accompagnare in ogni fase l'espansione del nostro sistema Paese; gli altri Paesi ci hanno mostrato in tempi recenti, soprattutto la Spagna, che la cultura ha un ruolo Pag. 85politico ed è un formidabile strumento di sviluppo e, insieme, di promozione complessiva di un Paese.
Noi denunciamo la gravità dei tagli ai fondi destinati alle comunità italiane all'estero, alle scuole e alle iniziative scolastiche italiane a loro dirette e per porvi rimedio abbiamo presentato varie proposte emendative, che sottoporremo all'attenzione dell'Aula. Occorre un reale senso di responsabilità, per garantire la qualità e la misura dei servizi primari offerti ai cittadini italiani e all'estero. Un servizio che da tempo si contraddistingue per le carenze e per i ritardi, che determinano l'affermarsi di una pessima immagine del nostro Paese, soprattutto tra le giovani generazioni di italiani.
Il rapporto «Italiani nel mondo 2006» quantifica le provenienze delle rimesse degli emigrati italiani che, ai nostri giorni, evidentemente, non sono dirette, ma procedono per altri canali, frutto tuttavia di una storia d'immigrazione. Per farla breve, vorrei evidenziare soltanto il flusso finanziario che dall'estero giunge in Italia: quello delle pensioni versate in Italia ai nostri connazionali ex emigrati. Soltanto dalla Svizzera il totale di ritorno, comprendendo le pensioni previdenziali e quelle complementari, nel 2006 - si tratta di uno studio realizzato dal Senato -, è stato pari ad oltre un miliardo e 654 milioni di euro. Lo ripeto: dalla sola Svizzera.
Se a tali cifre aggiungessimo le pensioni provenienti dagli altri Paesi, soprattutto europei, nonché il turismo di ritorno e le svariate forme di indotto riconducibili alla presenza italiana all'estero, ne avanzerebbe anche per Robin Hood e per quanti sostengono che gli italiani all'estero non pagano le tasse.
Per questa ragione, signor Presidente, auspichiamo che si possano trovare le convergenze per apportare i correttivi giusti a questo disegno di legge che, di equitativo, ha veramente poco.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pagano. Ne ha facoltà.

Testo sostituito con errata corrige volante ALESSANDRO SARO ALFONSO PAGANO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, onorevoli componenti del Governo, la discussione generale sul decreto-legge si avvia alla conclusione e devo dire che, nel corso della serata, ho cambiato un po' l'impostazione rispetto a quello che avevo in mente di dire.
Infatti, le cose che ho ascoltato dall'opposizione, da un certo punto di vista, mi hanno fatto riflettere su alcuni argomenti che, secondo il mio modesto parere, valeva la pena approfondire. Nulla di straordinario, per carità, però sentirsi dire, con un'aria quasi da snob che, poi, alla fine, questo decreto-legge, di fatto, veniva incontro alle esigenze elettorali - per far sì che venissero accontentati quanti avevano ricevuto promesse in campagna elettorale - personalmente mi ha fatto sorridere e, da un certo punto di vista, anche inorridire.
Mi ha fatto ritornare alla mente quando, da ragazzino, nella mia prima esperienza in quella che allora si chiamava prima Repubblica, molti anni fa, ci cimentammo sostenendo un candidato consigliere comunale. Allora, i maggiori esponenti di quel partito ci dissero che non potevamo presentare alcun programma perché quel tipo di attività non rientrava nella prassi! Inorridito, cambiai strada e ci dedicammo agli studi, a ben altro, e poi i fatti dimostrarono che quella prima Repubblica si avviava clamorosamente al degrado e alla caduta.
Oggi, mi sembra di avere colto qualche aspetto di questo tipo, come se si immaginasse la vita politica non in funzione del popolo e della soluzione di problemi, bensì solo ed esclusivamente nella capacità di portare avanti un progetto fine a sé stesso. Ma poco male.
Entriamo, quindi, nel vivo del discorso, puntando l'attenzione velocemente - vista l'ora tarda - su tre aspetti che, secondo il mio modesto parere, meritano di essere approfonditi. In primo luogo, la totale esenzione dell'ICI per l'abitazione principale è ritenuta dal nostro partito - da me personalmente e, certamente, con orgoglio dal nostro partito - un fattore di civiltà. Pag. 86Tutto il resto del mondo invidia questa peculiarità (che è tutta italiana), ossia che quasi l'80 per cento della popolazione è proprietaria della propria casa. Ma, di fatto, anziché essere orgogliosi di questa situazione, questo Paese - che evidentemente si trascina dietro mentalità ideologizzate che sono dure a morire - continua a dibattere, anche tutt'oggi, anche stasera, sulla necessità di dire che questo è un percorso assolutamente inadeguato rispetto, invece, alle reali esigenze del Paese.
Vi sono stati deputati in quest'Aula - l'Italia dei Valori, in particolare, si è contraddistinta in questo - i quali, sostanzialmente, hanno sostenuto che l'esenzione ICI è ingiusta, perché di ciò ne approfittano proprietari di case che hanno abitazioni in piazza di Spagna del valore di decine di migliaia di euro al metro quadrato, come dire: poiché di questo provvedimento ne approfittano poche centinaia, forse poche migliaia, di persone in Italia, allora tutti gli altri non debbono giovarsene! Si tratta di una sorta di livellamento verso il basso inaccettabile! Mi viene in mente Gustave Thibon, il quale, già all'inizio del secolo precedente, parlava di una società che livella; di un passaggio a livello che, appunto, livella verso il basso le categorie sociali ed economiche. O, ancora, mi vengono in mente altri deputati del Partito Democratico, quando citavano il fatto che 18 milioni di famiglie beneficeranno di questo provvedimento, ma che vi è un numero altrettanto consistente - 6 milioni - di famiglie, le quali, invece, sono in affitto e non potranno godere di questo beneficio. Si tratta della stessa identica logica. Poiché vi sono 6 milioni di famiglie che praticamente sono in affitto, perché, a questo punto, non dare il beneficio agli altri 18 milioni? No! Quei 6 milioni costituiscono, di fatto, una «asticella» verso il basso, per cui dovranno essere gli altri a non ricevere benefici. Questa è la loro logica perversa.
Stasera non sono compiuti, dunque, ragionamenti costruttivi e aperti, tesi a superare le difficoltà della gente. No! Il ragionamento è stato esattamente l'opposto: tutti poveri, all'interno di una logica che è tipica di un pauperismo, anche in questo caso ideologico, che abbiamo visto e che continua, ancora oggi, nel 2008, ad essere presente.
Anche il secondo provvedimento, la previsione dell'articolo 2, è stato duramente contestato dall'opposizione. Francamente, non pensavo che ci potessero essere critiche su questo tipo di argomento; anzi, mi aspettavo una solidarietà complessiva.
Invece, c'è stato qualcuno che ha affermato che la detassazione dello straordinario rientrava, se ho udito bene, all'interno di un'illogicità, perché i tassi di produttività delle ore di straordinario, che sono quelle finali della giornata, di fatto sono più bassi, e che, quindi, una sorta di tassazione era quasi necessaria.
Siamo arrivati all'ideologia che ci si incarta al punto di trovare delle giustificazioni assolutamente inadeguate e illogiche, quando, in verità, questo provvedimento è quanto di più logico ci possa essere. Esso viene incontro ai lavoratori che hanno bisogno di aumentare il loro reddito, e che quindi, giustamente, vogliono proporsi nel contesto aziendale per un numero maggiore di ore lavorate, per far sì che, alla fine del mese, essi possano avere un aumento di reddito. Viene incontro anche alle esigenze delle aziende che hanno bisogno di una maggiore produzione per reggere la concorrenza, che è planetaria e che quindi, è difficile da reggere. Eppure, abbiamo sentito critiche anche su questo fronte.
Entriamo nel vivo, infine, delle vere difficoltà di questo decreto-legge, le vere difficoltà, legate, alla copertura. È difficile trovare in quattro e quattr'otto coperture così corpose: 1,7 miliardi per l'articolo 1; 1.650 milioni per l'articolo 2 e così via.
Il Governo ci ha provato e penso che ci sia riuscito molto bene, come dimostra il taglio alla «lenzuolata» della Tabella A, che comprendeva decine e decine di voci - ne ho contate 70, tutte, o in larga parte, di natura clientelare. Bene ha fatto il Governo ad averle recuperate. Probabilmente, la stessa cosa - lo dico con onestà Pag. 87intellettuale - non si può dire, invece, su altre coperture, quelle della tabella B.
Devo dire, però, che il Governo è intervenuto costruttivamente e, a fronte di sollecitazioni ben precise, che sono venute da larghi strati della maggioranza, ha dato risposte che hanno fornito piena soddisfazione.
Entro nel vivo di questo aspetto specifico: il riferimento sono i 500 milioni di euro delle viabilità secondarie della Sicilia e della Calabria, oggetto anche di un appassionato intervento da parte dell'onorevole Capodicasa, dell'opposizione.
Egli ha giustamente sollevato due aspetti: afferma Capodicasa che è anomala la copertura delle spese correnti, coperte con fondi di programmazione, e che c'è un dubbio sulla costituzionalità del provvedimento perché l'assenza del presidente della regione in occasione dell'adozione di un provvedimento che riguardava la Sicilia, e per le prerogative che ha la Sicilia, di fatto, rende incostituzionale il provvedimento stesso.
Forse potrebbe anche essere, onorevole Capodicasa, ma mi pare di poter dire che il Governo, in verità, ha recuperato abbondantemente su questo aspetto e devo dire anche brillantemente. A parte la conferenza stampa, che potrebbe anche non significare nulla in un contesto istituzionale quale è il nostro, in cui il sottosegretario Casero ha dato ampia disponibilità alla soluzione dei problemi, lo stesso lo ha spiegato anche nelle Commissioni V e VI, in seduta congiunta.
A fronte di un intervento fatto dal sottoscritto e dall'onorevole Marinello, sostanzialmente il sottosegretario Casero si è impegnato ad accettare l'ordine del giorno che stiamo presentando e che fa sì che i fondi del FAS, il Fondo per le aree sottoutilizzate, verranno, di fatto, utilizzati per il recupero delle somme, per gli anni 2008 e 2009, pari a 500 milioni di euro della viabilità secondaria in Sicilia e Calabria.
Mi pare, quindi, di poter cogliere una piena soddisfazione anche da questo punto di vista. Qualcuno è dubbioso e dice: vedremo se sarà così. Siamo convinti, per la cultura di Governo che ha il Popolo della Libertà, che questo sia un fatto assolutamente certo.
Concludo quindi, vista l'ora tarda, affermando senza ombra di dubbio che il provvedimento in esame rispecchia perfettamente quelli che sono i bisogni del Paese, quelli che sono i bisogni della gente che soffre, quelle che sono le reali aspettative. Certo, qualcuno può dire: ma c'è da fare ancora moltissimo. E io rispondo: non ci sono dubbi. Ci mancherebbe altro. Ci sono da recuperare anni e anni di cattive impostazioni di tipo economico e sociale, abbiamo un debito pubblico pazzesco, abbiamo le tasse più alte e la nostra inflazione è quella che è, l'euro ci ha penalizzato enormemente, la produzione del nostro Paese nei prossimi anni si sposterà in altre aree del pianeta e ciò impoverirà ancora di più la nostra Italia. Le difficoltà sono quindi enormi, e ancora di più lo saranno nei prossimi anni; però mi pare di poter dire che quello che il Governo ha realizzato in termini di prima impostazione legislativa sia assolutamente soddisfacente, e se c'è una montagna che dev'essere scalata, non c'è dubbio che va scalata partendo dal primo passo, per poi far sì che il risultato sia quello auspicato. Da qui da parte del PdL la soddisfazione di avere colto in questi provvedimenti quello che è lo spirito che il Paese richiedeva (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).
ALESSANDRO SARO ALFONSO PAGANO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, onorevoli componenti del Governo, la discussione generale sul decreto-legge si avvia alla conclusione e devo dire che, nel corso della serata, ho cambiato un po' l'impostazione rispetto a quello che avevo in mente di dire.
Infatti, le cose che ho ascoltato dall'opposizione, da un certo punto di vista, mi hanno fatto riflettere su alcuni argomenti che, secondo il mio modesto parere, vale la pena approfondire. Nulla di straordinario, per carità, però sentirsi dire, con un'aria quasi da snob che, poi, alla fine, questo decreto-legge, di fatto, veniva incontro alle esigenze elettorali - per far sì che venissero accontentati quanti avevano ricevuto promesse in campagna elettorale - personalmente mi ha fatto sorridere e, da un certo punto di vista, anche inorridire.
Mi ha fatto ritornare alla mente quando, da ragazzino, nella mia prima esperienza in quella che allora si chiamava prima Repubblica, molti anni fa, ci cimentammo sostenendo un candidato consigliere comunale. Allora, i maggiori esponenti di quel partito ci dissero che non potevamo presentare alcun programma perché quel tipo di attività non rientrava nella prassi! Inorridito, cambiai strada e ci dedicammo agli studi, a ben altro, e poi i fatti dimostrarono che quella prima Repubblica si avviava clamorosamente al degrado e alla caduta.
Oggi, mi sembra di avere colto qualche aspetto di questo tipo, come se si immaginasse la vita politica non in funzione del popolo e della soluzione di problemi, bensì solo ed esclusivamente nella capacità di portare avanti un progetto fine a sé stesso. Ma poco male.
Entriamo, quindi, nel vivo del discorso, puntando l'attenzione velocemente - vista l'ora tarda - su tre aspetti che, secondo il mio modesto parere, meritano di essere approfonditi. In primo luogo, la totale esenzione dell'ICI per l'abitazione principale è ritenuta dal nostro partito - da me personalmente e, certamente, con orgoglio dal nostro partito - un fattore di civiltà. Pag. 86Tutto il resto del mondo invidia questa peculiarità (che è tutta italiana), ossia che quasi l'80 per cento della popolazione è proprietaria della propria casa. Ma, di fatto, anziché essere orgogliosi di questa situazione, questo Paese - che evidentemente si trascina dietro mentalità ideologizzate che sono dure a morire - continua a dibattere, anche tutt'oggi, anche stasera, sulla necessità di dire che questo è un percorso assolutamente inadeguato rispetto, invece, alle reali esigenze del Paese.
Vi sono stati deputati in quest'Aula - l'Italia dei Valori, in particolare, si è contraddistinta in questo - i quali, sostanzialmente, hanno sostenuto che l'esenzione ICI è ingiusta, perché di ciò ne approfittano proprietari di case che hanno abitazioni in piazza di Spagna del valore di decine di migliaia di euro al metro quadrato, come dire: poiché di questo provvedimento ne approfittano poche centinaia, forse poche migliaia, di persone in Italia, allora tutti gli altri non debbono giovarsene! Si tratta di una sorta di livellamento verso il basso inaccettabile! Mi viene in mente Gustave Thibon, il quale, già all'inizio del secolo precedente, parlava di una società che livella; di un passaggio a livello che, appunto, livella verso il basso le categorie sociali ed economiche. O, ancora, mi vengono in mente altri deputati del Partito Democratico, quando citavano il fatto che 18 milioni di famiglie beneficeranno di questo provvedimento, ma che vi è un numero altrettanto consistente - 6 milioni - di famiglie, le quali, invece, sono in affitto e non potranno godere di questo beneficio. Si tratta della stessa identica logica. Poiché vi sono 6 milioni di famiglie che praticamente sono in affitto, perché, a questo punto, dare il beneficio agli altri 18 milioni? No! Quei 6 milioni costituiscono, di fatto, una «asticella» verso il basso, per cui dovranno essere gli altri a non ricevere benefici. Questa è la loro logica perversa.
Stasera non sono compiuti, dunque, ragionamenti costruttivi e aperti, tesi a superare le difficoltà della gente. No! Il ragionamento è stato esattamente l'opposto: tutti poveri, all'interno di una logica che è tipica di un pauperismo, anche in questo caso ideologico, che abbiamo visto e che continua, ancora oggi, nel 2008, ad essere presente.
Anche il secondo provvedimento, la previsione dell'articolo 2, è stato duramente contestato dall'opposizione. Francamente, non pensavo che ci potessero essere critiche su questo tipo di argomento; anzi, mi aspettavo una solidarietà complessiva.
Invece, c'è stato qualcuno che ha affermato che la detassazione dello straordinario rientrava, se ho udito bene, all'interno di un'illogicità, perché i tassi di produttività delle ore di straordinario, che sono quelle finali della giornata, di fatto sono più bassi, e che, quindi, una sorta di tassazione era quasi necessaria.
Siamo arrivati all'ideologia che ci si incarta al punto di trovare delle giustificazioni assolutamente inadeguate e illogiche, quando, in verità, questo provvedimento è quanto di più logico ci possa essere. Esso viene incontro ai lavoratori che hanno bisogno di aumentare il loro reddito, e che quindi, giustamente, vogliono proporsi nel contesto aziendale per un numero maggiore di ore lavorate, per far sì che, alla fine del mese, essi possano avere un aumento di reddito. Viene incontro anche alle esigenze delle aziende che hanno bisogno di una maggiore produzione per reggere la concorrenza, che è planetaria e che quindi, è difficile da reggere. Eppure, abbiamo sentito critiche anche su questo fronte.
Entriamo nel vivo, infine, delle vere difficoltà di questo decreto-legge, le vere difficoltà, legate, alla copertura. È difficile trovare in quattro e quattr'otto coperture così corpose: 1,7 miliardi per l'articolo 1; 650 milioni per l'articolo 2 e così via.
Il Governo ci ha provato e penso che ci sia riuscito molto bene, come dimostra il taglio alla «lenzuolata» della Tabella A, che comprendeva decine e decine di voci - ne ho contate 70, tutte, o in larga parte, di natura clientelare. Bene ha fatto il Governo ad averle recuperate. Probabilmente, la stessa cosa - lo dico con onestà Pag. 87intellettuale - non si può dire, invece, su altre coperture, quelle della tabella B.
Devo dire, però, che il Governo è intervenuto costruttivamente e, a fronte di sollecitazioni ben precise, che sono venute da larghi strati della maggioranza, ha dato risposte che hanno soddisfatto.
Entro nel vivo di questo aspetto specifico: il riferimento sono i 500 milioni di euro delle viabilità secondarie della Sicilia e della Calabria, oggetto anche di un appassionato intervento da parte dell'onorevole Capodicasa, dell'opposizione.
Egli ha giustamente sollevato due aspetti: afferma Capodicasa che è anomala la copertura delle spese correnti, coperte con fondi di programmazione, e che c'è un dubbio sulla costituzionalità del provvedimento perché l'assenza del presidente della regione in occasione dell'adozione di un provvedimento che riguardava la Sicilia, e per le prerogative che ha la Sicilia, di fatto, rende incostituzionale il provvedimento stesso.
Forse potrebbe anche essere, onorevole Capodicasa, ma mi pare di poter dire che il Governo, in verità, ha recuperato abbondantemente su questo aspetto e devo dire anche brillantemente. A parte la conferenza stampa, che potrebbe anche non significare nulla in un contesto istituzionale quale è il nostro, in cui il sottosegretario Casero ha dato ampia disponibilità alla soluzione dei problemi, lo stesso lo ha spiegato anche nelle Commissioni V e VI, in seduta congiunta.
A fronte di un intervento fatto dal sottoscritto e dall'onorevole Marinello, sostanzialmente il sottosegretario Casero si è impegnato ad accettare l'ordine del giorno che stiamo presentando e che fa sì che i fondi del FAS, il Fondo per le aree sottoutilizzate, verranno, di fatto, utilizzati per il recupero delle somme, per gli anni 2008 e 2009, pari a 500 milioni di euro della viabilità secondaria in Sicilia e Calabria.
Mi pare, quindi, di poter cogliere una piena soddisfazione anche da questo punto di vista. Qualcuno è dubbioso e dice: vedremo se sarà così. Siamo convinti, per la cultura di Governo che ha il Popolo della Libertà, che questo sia un fatto assolutamente certo.
Concludo quindi, vista l'ora tarda, affermando senza ombra di dubbio che il provvedimento in esame rispecchia perfettamente quelli che sono i bisogni del Paese, quelli che sono i bisogni della gente che soffre, quelle che sono le reali aspettative. Certo, qualcuno può dire: ma c'è da fare ancora moltissimo. E io rispondo: non ci sono dubbi. Ci mancherebbe altro. Ci sono da recuperare anni e anni di cattive impostazioni di tipo economico e sociale, abbiamo un debito pubblico pazzesco, abbiamo le tasse più alte e la nostra inflazione è quella che è, l'euro ci ha penalizzato enormemente, la produzione del nostro Paese nei prossimi anni si sposterà in altre aree del pianeta e ciò impoverirà ancora di più la nostra Italia. Le difficoltà sono quindi enormi, e ancora di più lo saranno nei prossimi anni; però mi pare di poter dire che quello che il Governo ha realizzato in termini di prima impostazione legislativa sia assolutamente soddisfacente, e se c'è una montagna che dev'essere scalata, non c'è dubbio che va scalata partendo dal primo passo, per poi far sì che il risultato sia quello auspicato. Da qui da parte del PdL la soddisfazione di avere colto in questi provvedimenti quello che è lo spirito che il Paese richiedeva (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Misiani. Ne ha facoltà.

ANTONIO MISIANI. Signor Presidente, onorevoli relatori, il decreto-legge di cui stiamo discutendo formalmente è finalizzato a salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie. In realtà, la stragrande maggioranza delle risorse, 2,4 miliardi di euro, vanno all'eliminazione dell'ICI sulle abitazioni principali; e si tratta di un'eliminazione pressoché totale, perché - come hanno riportato parecchi organi di stampa - le categorie escluse, ossia le A1, le A8 e le A9 sono solo lo 0,3 per cento del totale delle abitazioni e valgono poco più Pag. 88del 2,4 per cento del gettito. Il precedente Governo, con la legge finanziaria per il 2008, aveva stanziato poco più di 900 milioni per cancellare l'ICI sulla prima casa per le abitazioni di valore medio-basso e per ridurla per le altre. L'attuale Governo col decreto-legge in esame compie un'operazione di segno diverso: impegna un altro miliardo e 700 milioni di euro per eliminare completamente l'imposizione sulle abitazioni principali, esentando, come è stato ricordato da altri colleghi, anche le abitazioni di valore medio-alto e alto; con un problema, che si chiama catasto. La Repubblica di ieri ha riportato le stime dell'istituto di ricerca Scenari immobiliari, che ci dice che per il solo comune di Milano sono 30 mila le abitazioni di lusso con valore commerciale superiore agli 8 mila euro al metro quadro; il catasto del comune di Milano, che è fermo agli anni Cinquanta, come i catasti di tutto il resto d'Italia, registra solo mille abitazioni di lusso, immobili signorili, castelli e ville: altre 29 mila abitazioni di grande pregio da oggi, col decreto-legge in esame, sono completamente esenti da ICI. E lo stesso accade nel resto d'Italia per le condizioni dei catasti, che non sono assolutamente in linea con l'evoluzione del mercato immobiliare. Allora, una domanda sorge spontanea: era proprio necessaria, in un quadro di risorse limitato, un'esenzione così indiscriminata, del 99,7 per cento delle abitazioni principali? Secondo noi no: il Governo ha fatto una scelta ideologica. Lo ha rivendicato esplicitamente la relatrice del provvedimento per la V Commissione; il punto è che l'ideologia ancora una volta non coincide necessariamente con l'equità e con gli interessi generali del Paese.
Secondo l'ISTAT sono 4,3 milioni le famiglie che vivono in affitto: è una quota consistente. Quasi una su cinque, sempre secondo l'ISTAT, il 27,5 per cento di queste famiglie fa fatica ad arrivare a fine mese, contro l'11,8 per cento delle famiglie che vivono in proprietà, usufrutto o uso gratuito: cioè le famiglie in affitto fanno fatica due volte e mezzo di più delle altre ad arrivare a fine mese, sono quelle che più hanno problemi economici.
Il Governo precedente, con la legge finanziaria per il 2008, era intervenuto sia a favore dei proprietari sia a favore degli affittuari. L'attuale Governo, col decreto-legge in discussione, aiuta sostanzialmente tutti i proprietari di abitazione, anche quelli che non ne hanno assolutamente bisogno, e non dà assolutamente nulla ai milioni di famiglie che vivono in affitto e che più di altre fanno fatica ad arrivare a fine mese e vivono con difficoltà i loro bilanci familiari.
Ora, in un quadro di risorse limitate e di coperture difficili - come hanno ricordato persino i colleghi della maggioranza - si sarebbe dovuto procedere diversamente. Perlomeno, noi avremmo proceduto diversamente se oggi fossimo al Governo di questo Paese: avremmo utilizzato queste risorse per ridurre il carico fiscale sugli stipendi e sulle pensioni (poiché è chi vive a reddito fisso che ha fatto la maggiore fatica in questi anni a tenere il passo con la crescita dei prezzi); oppure, se proprio si voleva accrescere la già consistente esenzione ICI disposta dalla legge finanziaria per l'anno 2008, si sarebbe potuto aumentare ulteriormente la detrazione, esentando così una platea più ampia di abitazioni principali, ma lasciando l'imposta in vigore per una fetta importante di abitazioni di valore alto, in modo da destinare le risorse così risparmiate per aiutare le famiglie che vivono in affitto. Questo non è pauperismo, né livellamento verso il basso, come invece ha affermato il collega che è intervenuto prima di me: è una ragionevole distribuzione delle risorse ed un ragionevole intervento di politica economica nella direzione dell'equità. Si tratta di dare una mano ai proprietari ma anche a chi vive in affitto. Invece, questo non è stato fatto.
Ma l'eliminazione totale dell'ICI sulle abitazioni principali è una misura che, per come è costruito il decreto-legge, creerà grandi difficoltà anche ai comuni. Quello cui assistiamo è infatti un doppio passo indietro sul terreno del federalismo fiscale. Pag. 89In primo luogo, infatti, si sostituisce un tributo proprio con un trasferimento erariale: il che vuol dire che, dall'autonomia tributaria, si torna indietro alla finanza derivata. In proposito, noi avevamo fatto due proposte: quelle di sostituire il trasferimento compensativo erariale o con una quota delle imposte di registro sugli immobili o con una compartecipazione dinamica all'IRPEF (quest'ultima proposta, peraltro, era condivisa, almeno a parole, anche da qualche collega della Lega Nord). Invece, ci è stato risposto di no, confermando che questo Governo - vedremo poi il disegno di legge sul federalismo fiscale - è per ora un Governo federalista a parole ma centralista nei fatti.
Vi è però anche un secondo passo indietro, e cioè il blocco totale delle addizionali, che cancella sostanzialmente ogni spazio di autonomia impositiva degli enti territoriali. Addirittura, nella versione iniziale del testo, questo blocco si trasformava in una cancellazione implicita delle sanzioni per la violazione del patto di stabilità. Davvero si sarebbe trattato di una beffa per i comuni virtuosi che in questi anni, attraverso grandi sacrifici, hanno rispettato il patto di stabilità interna! Bisogna però dare atto che, nel corso della discussione che si è svolta nelle Commissioni riunite bilancio e finanze, grazie alla nostra insistenza e a un emendamento presentato dal relatore, almeno questa norma è stata eliminata (e ci auguriamo che non torni nel testo finale!).
Ciò detto, rimane comunque una forma di penalizzazione per i comuni virtuosi che deriva dal modo in cui è costruito il trasferimento compensativo. Dal momento che esso è legato al dato storico, infatti, chi è stato bravo ed ha mantenuto bassa l'aliquota ICI sulla prima casa riceverà trasferimenti minori, mentre chi è stato meno bravo nella gestione complessiva ed ha mantenuto l'aliquota sull'ICI sulla prima casa assai alta sarà beneficiato di un trasferimento compensativo proporzionalmente più alto (e non sto a citare il caso di Brescia, paradosso fra i paradossi, poiché è già stato ricordato da tanti altri colleghi).
Vi è poi il tema, assai controverso, della quantificazione del mancato gettito. Il Governo, nella relazione tecnica, lo stima in 2,6 miliardi di euro, comprendendo sia gli effetti della finanziaria 2008 che quelli del decreto-legge n. 93 del 2008 di cui si discute. Ma è una stima che, fra l'altro, non tiene conto delle ulteriori tipologie di esenzione che sono state introdotte dal decreto (gli IACP, gli assimilati e altre categorie di immobili). In sede di esame nelle Commissioni riunite bilancio e finanze, l'ANCI ha fornito dati diversi, parlando di un mancato gettito di 3,2 miliardi: 600 milioni in più rispetto alle stime del Governo. Il Centro Europa Ricerche (CER), dal canto suo, avendo elaborato i consuntivi comunali del 2006, fornisce dati addirittura peggiori, parlando di un minor gettito compreso fra i 3,1 e i 3,7 miliardi di euro.
Che cosa vogliono dire questi numeri? Vogliono dire che, rispetto alle somme stanziate dal Governo per i comuni, già nel 2008 rischia di aprirsi un buco nelle entrate compreso fra 500 milioni e oltre 1.100 milioni di euro. Questo è un dato che noi denunciamo con forza poiché, oltretutto, esso si verifica proprio nel momento in cui si predispone una manovra finanziaria che - lo vedremo nelle prossime settimane - appare ulteriormente penalizzante nei confronti degli enti locali. Mancano inoltre certezze per gli anni a venire, poiché la copertura, dal 2010 in avanti, è più teorica che reale. E se è vero che le notizie emerse nelle Commissioni delineano un quadro migliore circa la prima tranche di restituzione ai comuni del minor gettito, nulla si sa ancora di come questa restituzione sarà completata.
Rimaniamo disponibili, onorevole Fugatti, alla proposta di un ordine del giorno bipartisan che precisi la tempistica e le modalità del completamento della restituzione nel 2008. Vi è una seconda misura del decreto al nostro esame, rappresentata, come noto, dalla detassazione dei premi degli straordinari. L'articolo reca Pag. 90incremento della produttività del lavoro, obiettivo condivisibile perché la stagnazione economica di questo Paese è legata esattamente al tema della produttività totale dei fattori. Il problema è che lo strumento scelto è in gran parte destinato ad andare fuori bersaglio, perché la grande maggioranza delle risorse si concentra sul lavoro straordinario supplementare. Come è noto, non vi è alcuna evidenza scientifica di un legame tra la quantità di lavoro straordinario e la produttività del lavoro, e la detassazione degli straordinari (e quindi l'incentivazione del lavoro straordinario) può fare poco o nulla per il vero problema del mercato del lavoro italiano che consiste in quante persone lavorano e non quanto lavorano coloro che già lo lavorano (ossia il tasso di occupazione complessivo, quello delle donne e quello degli over 55). Il riferimento all'esperienza francese appare molto discutibile, perché in quel caso si registrava la condizione particolare di dover bypassare le trentacinque ore, che invece in Italia non esistono.
Ma soprattutto, il punto vero di debolezza della detassazione degli straordinari, che di per sé costituisce una misura che comunque dà risorse ai lavoratori dipendenti, riguarda la platea dei lavoratori realmente interessati da questa misura. In Italia vi sono quasi 18 milioni di lavoratori dipendenti, ma se da questi sottraiamo gli incapienti, i dipendenti pubblici e chi ha un imponibile superiore ai trentamila euro arriviamo a 8,8 milioni di potenziali beneficiari. In realtà, apprendiamo poi che in questo Paese solo il 45 per cento dei lavoratori fa effettivamente straordinari, perché tanti lavorano in aziende che non fanno straordinari, e così arriviamo ad una cifra in base alla quale i beneficiari reali di questa manovra sono 4 milioni su 18, il che significa che l'80 per cento della platea dei lavoratori dipendenti è completamente esclusa e non riceverà alcun beneficio economico dalla detassazione degli straordinari.
Avevamo proposto di estendere questa misura ai dipendenti pubblici, ma c'è stato risposto di «no»; avevamo proposto, in subordine, di estenderla almeno al comparto sicurezza, al comparto sanità, ai poliziotti, alle forze dell'ordine, agli infermieri, ai medici e a chi è in prima linea tra i dipendenti pubblici, ma c'è stato nuovamente risposto di «no» (e vedremo come si svilupperà la discussione in Aula). Riteniamo che in condizioni normali queste esclusioni sarebbero incostituzionali. Voi avete qualificato questo provvedimento come una misura sperimentale, e in questo modo probabilmente supererete il vaglio della Consulta. Rimane una misura sostanzialmente discriminatoria e anche fiscalmente regressiva, perché chi più guadagna da straordinari meno tasse pagherà, invertendo completamente il principio costituzionale della progressività dell'imposizione. Si poteva fare diversamente: si poteva, invece dell'aliquota secca, ragionare su una detrazione del 23 per cento come abbiamo proposto come Partito Democratico, ma c'è stato ancora volta risposto di «no».
Il risultato è che non si tratta di una gran misura per difendere il potere di acquisto delle famiglie, perché incide su una platea limitata e discrimina le donne, i lavoratori del sud e i lavoratori precari, che per definizione non fanno straordinari. E lo è, a maggior ragione, oggi che conosciamo la misura dell'inflazione programmata stabilita dal DPEF: 1,7 per cento nel 2009 ed 1,5 per cento negli anni successivi (dati completamente fuori dalla realtà di un'inflazione che oggi è al 3,6 per cento). Questa scelta, se verrà confermata, è destinata a provocare una riduzione secca del valore reale di tutti i salari e gli stipendi, spazzando via, lasciatemelo dire, il beneficio che pur comporta la detassazione degli straordinari, quanto meno per una piccola minoranza dei lavoratori. Vi è una terza misura costituita dalla convenzione tra il Governo e l'ABI per la rinegoziazione: si tratta, in questo caso, di una possibilità in più che si dà ai mutuatari, e da questo punto di vista va giudicata positivamente. Il punto è che in realtà - per come è congegnata, per come si inserisce addirittura in un testo di legge una convenzione che il Governo avrebbe potuto Pag. 91comunque stipulare con l'ABI e per come questo tipo di convenzione presenta un'impostazione dirigista anziché pro concorrenza -, se non apportiamo dei miglioramenti rischiamo di operare una scelta che va nella direzione opposta a quella dell'impulso alla concorrenza, che è fondamentale nel settore bancario e in quello dei mutui in particolare.
Inoltre si deve ricordare, come ci hanno spiegato Il Sole 24 ore e altri organi di stampa indipendenti, che i benefici reali di tale convenzione per i mutuatari - viste le caratteristiche che tale convenzione presenta - sono molto dubbie e probabilmente uguali o addirittura inferiori ad altre proposte che sono già offerte dal mercato in un regime attualmente di non sempre disponibilità alla totale portabilità dei mutui. In buona sostanza, se i mutuatari avessero la possibilità di spostare liberamente il loro mutuo da una banca all'altra già oggi con le proposte presenti sul mercato potrebbero spuntare condizioni migliori di quelle contenute nella convenzione. Pertanto, tale convenzione è più apparenza che sostanza e corre il rischio reale di favorire maggiormente le banche piuttosto che gli interessi dei mutuatari proprio perché scoraggia la portabilità che rappresenta la vera chiave per la concorrenza e per un sistema creditizio che vada, più di quanto avviene oggi, nella direzione degli interessi dei cittadini, dei risparmiatori e dei consumatori.
Abbiamo proposto l'introduzione di alcune modifiche. In parte esse sono state accolte e di ciò va dato atto alla maggioranza ma altre non lo sono state affatto e perciò le riconfermeremo durante la discussione in Assemblea. In particolare, insisteremo nel dibattito che si svilupperà in Aula sulla vicenda dell'informazione dei mutuatari - tale questione è stata già ricordata dalla relatrice per la V Commissione, onorevole Ravetto, nella sua introduzione - che ora hanno di fronte una pluralità di possibilità di scelta e devono avere la facoltà di essere resi completamente edotti su quale tra di esse sia la più conveniente e il tema delle sanzioni alle banche che non rispettano la portabilità dei mutui perché, lo ripeto, questa e solo questa rappresenta la chiave per una reale concorrenza nel settore.
Infine, intendo trattare l'argomento relativo alle copertura finanziaria del decreto-legge in esame. Altri colleghi hanno già ricordato il buon andamento della finanza pubblica. Abbiamo dati notevoli relativi ai primi mesi del 2008. Il fabbisogno del settore statale migliora di 5,6 miliardi di euro rispetto allo stesso periodo del 2007. Si tratta di un andamento che a nostro avviso avrebbe perlomeno consentito di finanziare una parte delle misure in esame attingendo all'extragettito o comunque facendo leva sul buon andamento dei conti pubblici. Il Governo legittimamente ha compiuto una scelta diversa e ha deciso di finanziare le misure introdotte dal decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, esclusivamente attraverso riduzioni di spesa e il 21 maggio, presentando i contenuti del decreto-legge in esame, il Ministro Tremonti ha annunciato tagli riguardanti non soldi prelevati dalle tasche dei cittadini, ma trasferimenti operati da un palazzo all'altro ossia dal bilancio dello Stato a diversi enti e strutture beneficiarie, cominciando da interventi non seri, come li ha definiti il Ministro Tremonti. Quando una settimana dopo - il costume ormai è questo, ossia prima si annuncia e poi si rende pubblico il contenuto di un provvedimento - il testo del decreto-legge è stato finalmente reso pubblico è emerso un quadro francamente molto diverso da quanto aveva proclamato il Ministro Tremonti. Infatti, il Ministro ha cancellato quasi due miliardi di euro per finanziare il provvedimento in esame. Si trattava di investimenti per le infrastrutture di Sicilia e Calabria e i soldi destinati alle strade del Mezzogiorno sono stati utilizzati per finanziare ICI e straordinari. Ho udito delle parole sorprendenti dal collega che mi ha preceduto. Si tratta di investimenti, non di spese clientelari. Come si possono definire clientelari risorse destinate a migliorare le infrastrutture di una delle aree del Paese più in difficoltà da questo punto di vista? Trovo francamente sorprendente, per non dire di peggio, una simile impostazione. Il Pag. 92Governo ha sbagliato e ha utilizzato risorse per investimenti per finanziare interventi sulla parte corrente.
Inoltre, ha fatto anche di peggio perché ha tagliato gli investimenti per il trasporto pubblico locale, ha azzerato i Fondi del Ministero della solidarietà sociale, ha annullato il Fondo per l'inclusione sociale degli immigrati, ha soppresso gli stanziamenti in favore della tutela ambientale e dell'attenuazione dei cambiamenti climatici, ha tagliato i Fondi dei Ministeri dell'interno e della giustizia in settimane di propaganda ossessiva sul tema della sicurezza, ha eliminato il Fondo contro la violenza alle donne, ha annullato il Fondo solidarietà mutui prima casa e spazzato via persino l'otto per mille statale, beffa delle beffe proprio nelle settimane in cui i contribuenti compiono la scelta tra le confessioni religiose e lo Stato in sede di dichiarazione dei redditi. L'elenco potrebbe andare avanti a lungo ma è tardi e preferisco non soffermarmi.
I relatori hanno presentato un emendamento che pone rimedio ad alcuni di questi marchiani errori. Si ripristinano il fondo contro la violenza alle donne e il fondo di solidarietà dei mutui: diamo atto della positività di queste scelte, ma il punto è che la toppa, in qualche caso, si sta rivelando peggiore del buco. Infatti, ancora una volta si copre parte di queste reintegrazioni di parte corrente cancellando investimenti, come le metropolitane di Torino, di Bologna e di Firenze previste dalla legge finanziaria per il 2008. Ho realmente finito.
Stante tutte queste considerazioni, siamo di fronte ad un decreto-legge inadeguato rispetto alle necessità reali del Paese, che punta a salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie, come è stato detto, ma in realtà credo si tratti soprattutto di un'operazione di marketing politico che investe grandi risorse (oltre 2 miliardi di euro) su obiettivi sbagliati. Esenta dall'ICI le abitazioni di lusso, anziché ridurre il carico fiscale sui titolari di reddito fisso o almeno aiutare, insieme ai proprietari immobiliari, anche le famiglie in affitto, che oggi sono tra quelle che hanno più bisogno di aiuto.
Il decreto-legge sostiene il reddito di una parte dei lavoratori dipendenti, quelli relativamente più forti nel mercato del lavoro, ma dà poco alle donne, a chi ha bassi salari, a chi vive nel sud e che, quindi, fa meno straordinari e non dà un bel nulla ai lavoratori precari, che oggi sono la parte più debole del mercato del lavoro.
Tutte queste misure sono coperte attraverso tagli di spesa irrazionali e senza criterio, che cancellano finanziamenti preziosi per le politiche sociali, per l'ambiente, per il trasporto pubblico e le infrastrutture. Sono questi i punti su cui in Aula, dopo il dibattito in Commissione, faremo sentire la nostra voce.
Infatti, il decreto-legge, così com'è, non risponde ai problemi economici e sociali del Paese. Se cambierà, ne prenderemo atto positivamente. In Aula tenteremo di cambiarlo e lo faremo sostenendo le nostre idee e le nostre proposte con lo stesso spirito costruttivo con cui abbiamo dibattuto nelle Commissioni bilancio e finanze.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vannucci. Ne ha facoltà.

MASSIMO VANNUCCI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, siamo arrivati alle battute finali della discussione sulle linee generali. Per quanto mi riguarda, il mio è l'ultimo intervento del gruppo del Partito Democratico e voglio proporre a lei, Presidente, che non ha potuto partecipare a tutto il dibattito, una sintesi finale delle nostre posizioni.
I colleghi sono intervenuti numerosi; abbiamo messo in evidenza le parzialità di questo provvedimento, l'improvvisazione, i caratteri di iniquità - ne dava conto adesso l'onorevole Misiani -, soprattutto la discrasia fra le ambizioni del provvedimento, fra il titolo che recita «salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie» e l'efficacia reale delle misure proposte, e soprattutto sul pericolo che questo Pag. 93provvedimento non abbia efficacia sulla crescita ma, anzi, costituisca un freno alla competitività del Paese, perché attraverso le coperture finanziarie taglia risorse agli investimenti.
Nel criticarlo abbiamo anche illustrato le nostre proposte di modifica, compatibili nel quadro economico del nostro Paese e in grado di licenziare un provvedimento più equo e più giusto. Purtroppo, questo decreto-legge arriva in Aula sostanzialmente nel testo licenziato dal Governo.
Debbo testimoniare la mia delusione anche rispetto agli onorevoli relatori, l'onorevole Ravetto e l'onorevole Fugatti, che ho molto apprezzato nella precedente legislatura nel loro ruolo di opposizione efficace e debbo dire anche costruttiva e sempre con una certa competenza, ma francamente ci aspettavamo di più. Sarà la prima volta che relazionano in questa legislatura, ma francamente li ho trovati molto timidi. Ci voleva più coraggio. Ricordo a me stesso, ovviamente, e non a voi, il ruolo di questa Camera, che è il potere legislativo, mentre il Governo ha un potere esecutivo.
Quindi, bisogna evitare queste eccessive preoccupazioni che poi si traducono in un appiattimento che non corrisponde al ruolo del provvedimento in esame.
Tuttavia, signor Presidente, voglio proporle un'altra questione. Lei sa che il presente provvedimento è il primo che discutiamo in questa legislatura a carattere economico. Fino ad ora abbiamo convertito i decreti-legge del precedente Governo. Del nuovo Esecutivo ne abbiamo discusso uno solo concernente i rifiuti della Campania. È un provvedimento che, come hanno detto i colleghi, vale circa 2 miliardi 700 milioni: sono 5 mila miliardi delle vecchie lire. Ma non c'è solo questo decreto-legge, ossia il n. 93 del 2008, vi è anche il n. 97 del 2008, che interviene sulla cosiddetta Visco-sud, sulla proroga termini. Vi è un ulteriore decreto-legge taglia spese, sono stati annunciati due decreti-legge ed un disegno di legge sulla finanziaria anticipata (non diciamo nulla su quest'ultimo punto). Ci troviamo dinnanzi ad una manovra economica complessiva che, secondo me, avrebbe meritato un dibattito generale.
Mi sarei augurato - e mi auguro tuttora - che il Ministro dell'economia e delle finanze fosse venuto alla Camera dei deputati o al Senato della Repubblica ad illustrare le proprie linee economiche, ma soprattutto a darci il punto di partenza, lo stato dei conti, come fece il precedente Governo. Contestato o meno, il precedente Governo nominò una Commissione presieduta dal professor Faini, che fece il punto della situazione. Ci fu una assunzione di responsabilità. Il Ministro Tommaso Padoa Schioppa venne qui e ci spiegò il punto da cui si partiva.
Quella commissione non fu riconosciuta dal centrodestra, ma ci fu questa chiara assunzione di responsabilità. Questa volta il Ministro Tremonti non si presenta alla Camera. Credo che sia l'unico Ministro, tra i nuovi, che ancora non sia entrato in questo palazzo. Signor Presidente, la mia memoria ritorna all'inizio della quattordicesima legislatura. Allora, invece, il Ministro illustrò il proprio punto di partenza. Tuttavia, non lo fece alla Camera dei deputati, ma ad una trasmissione televisiva, Porta a porta, con una lavagna e ci disse che ereditava un Paese con un buco enorme, mi ricordo che allora veniva stimato in 30 miliardi.
Questa volta si parla del buco del comune di Roma, non si parla del buco dei conti dello Stato, perché su di essi vi sono risorse che si vogliono invece disconoscere. Noi - è bene ricordarlo ai colleghi - abbiamo ereditato un Paese che aveva una procedura di infrazione aperta dal consiglio Ecofin, che era stato declassato da due agenzie di rating, che aveva un rapporto deficit-PIL ben oltre il 3 per cento fissato a Maastricht (era al 4,2 per cento). Vi era un avanzo primario scomparso, a zero. Il debito pubblico era fuori controllo. Oggi il Governo parte con un rapporto deficit-PIL al 2,3 per cento, un avanzo primario di tre punti e il debito in calo. I dati del fabbisogno di maggio dicono che le entrate sono in positivo del 7 per cento e ci sono ampi margini. La Pag. 94trimestrale di cassa ha dimostrato ciò. Tuttavia, si vuole disconoscere questa realtà.
Ma io ricordo a voi e a me stesso che noi abbiamo un obbligo: abbiamo votato qui in quest'Aula la legge finanziaria per il 2008 che all'articolo 1, comma 4, con norma di legge, imponeva al Parlamento di destinare l'extra gettito eventuale ai salari, quindi con una detrazione sulle tasse ai lavoratori. Questa è la via maestra per dare un senso al titolo «salvaguardare il potere d'acquisto delle famiglie»! Quindi, è nostro obbligo dire chiaramente se un extra gettito esiste o no, se il Governo intende onorare la norma di legge o se ha il coraggio di cambiare quella norma. Se il Governo fosse venuto qui ed avesse fatto un'analisi concreta e reale, avremmo potuto certamente arricchire il provvedimento al nostro esame, renderlo più equo e allargarlo.
Ma la situazione era evidente a tutti. Forse, il Ministro Tremonti è il più avveduto da questo punto di vista e sapeva benissimo che quella volontà di dialogo qui espressa non era sincera, perché altrimenti non si sarebbe portato un provvedimento così parziale che «smontava» la metà delle misure che il precedente Governo aveva adottato; «smontava» metà dell'ultima legge finanziaria che avevamo approvato, con tagli che oserei definire piuttosto inquietanti rispetto alla copertura, e che qui sono stati ricordati.
Una sola modifica ho apprezzato di questo provvedimento: quella del comma 3 dell'articolo 5 che avevamo denunciato in quanto dava al Ministro dell'economia e delle finanze pieni poteri sulle cosiddette variazione di bilancio, sulle rimodulazioni tra i programmi. Mi sembra che sia stata «sistemata», tuttavia non è stata sistemata la questione di far confluire nel fondo a copertura di questa norma sia gli oneri di natura corrente sia quelli in conto capitale. Ciò la rende una norma discutibile sul piano della correttezza finanziaria.
Non aggiungo molto altro a quanto i colleghi hanno espresso rispetto alle tre misure sostanziali. Sugli straordinari voglio far notare che la misura del Governo tanto «strombazzata» in tutto il Paese vale 600 milioni, e produrrà effetti per 600 milioni. Voglio ricordare quello che fu il nostro impegno: i cinque punti di cuneo fiscale costarono al Paese sette miliardi, credo che sia stata una misura ben più forte dal punto di vista strutturale. Voglio ricordare che per la prima volta, nella pur breve legislatura, è stata praticata una riduzione dell'IRAP, una tassa tanto criticata ma che nessuno ha mai avuto il coraggio di abbassare: lo facemmo noi, così come pure la riduzione dell'Ires. Sugli straordinari - e mi rivolgo ai relatori perché rimane in me qualche margine di speranza per i lavori dell'Aula, come diceva adesso l'onorevole Misiani - voglio dire che dobbiamo dare un segnale al Paese, soprattutto sulla sicurezza, per detassare gli straordinari soprattutto in questo comparto.
Sull'ICI i colleghi si sono già espressi e io voglio aggiungere: cerchiamo di attestarci su interventi possibili. È evidente che se noi riusciamo a modificare anche parzialmente il provvedimento possiamo dare una risposta alle tante famiglie che sono in affitto, il vero problema del Paese. Noi nell'ultima legge finanziaria abbiamo cominciato a consentire, per i redditi al di sotto dei 15 mila euro, la possibilità di detrarre l'affitto. Ampliamo questa fascia e riduciamo la fascia di esenzione dall'ICI, cosa che è possibile fare.
L'ultima parola la voglio spendere per i mutui, perché abbiamo audito in sede di Commissioni - i colleghi se lo ricorderanno - il presidente dell'ABI. Ad una precisa domanda sulla previsione di adesione dei clienti a questa convenzione, egli ha risposto che alcuni istituti bancari avevano già proposto alle propria clientela condizioni pari a quelle previste nella convenzione e che i clienti di queste banche avevano aderito per il 5 per cento. Si tratta di una disposizione che non aveva necessità di divenire norma di legge, è una contraddizione in sé: nel momento in cui parliamo di mutui cancelliamo il fondo che avevamo previsto nella legge finanziaria per i mutuatari che non ce la fanno, con la possibilità di prorogare il pagamento Pag. 95delle rate, la possibilità di venirgli incontro. Aderirà a questa norma solo chi si trova, purtroppo, con l'acqua alla gola e non ha altre alternative. Quindi, se rimarrà così, noi confermiamo su questo provvedimento il giudizio di parzialità, di iniquità, di improvvisazione, il carattere sostanzialmente propagandistico.
Non è questa la strada. Voglio dire ai colleghi di maggioranza: potete anche iniziare e andare avanti così, però arriverà il tempo dei fatti, in cui la propaganda non sarà sufficiente, non servirà più e in cui si potranno mettere a confronto le diverse ricette.
Purtroppo, signor Presidente, mi sembra che invece ci stiamo muovendo in questa luna di miele, soprattutto sul terreno della propaganda e degli annunci. Sono molto, troppo preoccupato da quanto giungerà all'esame di quest'Aula, dai provvedimenti annunciati, dalla Robin Hood Tax, che farà pagare ai consumatori di energia - e non ad altri - gli oneri per una tessera che non abbiamo capito come funzionerà e quanti costi avrà. Arriverà il tempo dei confronti, per questo noi siamo sereni e fiduciosi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI. Signor Presidente, inizierò il mio intervento con una considerazione che trae spunto dall'ultima riflessione svolta dal collega Vannucci - peraltro, mio corregionale di elezione - il quale ha affermato che il tempo della propaganda ad un certo punto finisce. Ebbene, io credo che il tempo della propaganda sia finito ormai da un paio di mesi. Se è vero, come è vero, che dal 2006 parliamo della questione della terza settimana e delle famiglie che non arrivano alla fine del mese - tanto che qualche figura illuminata della sinistra, dopo la vittoria di Prodi, compresa la direzione in cui andavano in primi provvedimenti del Governo da lui presieduto, diceva, come battuta, che il Governo Berlusconi aveva lasciato le famiglie sull'orlo del baratro, ma il Governo Prodi li aveva aiutati a fare un passo avanti, nel senso che li aveva gettati completamente nel baratro - ritengo che oggi questa riflessione sul potere di acquisto delle famiglie, nonché sulla possibilità delle famiglie stesse, nonché dei lavoratori e dei cittadini di arrivare alla fine del mese, vada affrontata in maniera concreta. Se fossi stato a sinistra oggi, avrei forse l'unico rammarico di dover dire: «peccato che non le abbiamo fatte noi queste cose, peccato che non abbiamo portato avanti noi provvedimenti come questi», se non altro perché quella dell'abolizione dell'ICI, che pure era nel programma di Silvio Berlusconi nel 2006, è stata un'idea che mi sembra sia stata in parte accolta, ripresa, mutuata e rilanciata dallo stesso Governo Prodi, ed è una misura che lascia concretamente qualche soldo in più nelle tasche dei cittadini e delle famiglie.
La rinegoziazione dei mutui può essere valutata, riformulata e immaginata in maniera diversa, ma così com'è scritta in questo provvedimento dà alle famiglie italiane alla fine del mese qualche soldo in più, dà un aiuto concreto in più. Inoltre, riguardo al nuovo regime agevolato per gli straordinari e per i premi, di natura sperimentale, osservo che si tratta di una misura lodevole perché, nei sei mesi in cui questa sperimentazione avrà luogo, ci permetterà di valutare i risultati, gli obiettivi e le quantificazioni di denaro netto e pulito che arriveranno nelle tasche degli italiani. Soprattutto, ci darà la possibilità di superare alcune obiezioni, di dare un aiuto e un contributo concreto, attraverso un passaggio liberale che incentiva la produttività e l'aumento delle ore lavorative, e che francamente supera - lo devo dire perché l'ho ascoltato da più colleghi, anche nel corso di questa discussione generale - l'obiezione secondo la quale questo sarebbe discriminatorio nei confronti delle lavoratrici o nei confronti del pubblico impiego. Non si capisce perché è discriminatorio nei confronti delle lavoratrici la detassazione del lavoro straordinario, Pag. 96mentre, ad esempio, non era discriminatorio nei confronti delle lavoratrici la decontribuzione prevista dal Governo Prodi sul lavoro straordinario, di cui usufruiscono prettamente i lavoratori maschi. Non si capisce perché vi sia discriminazione tra lavoro pubblico e privato, in un sistema in cui chiaramente il pubblico, da un lato, deve essere riorganizzato e amministrato - a tal proposito vi è un grande progetto di riordino del pubblico impiego - ma, dall'altro, non risponde alle logiche di mercato che invece sono sottese al lavoro privato, considerato peraltro che nella sperimentazione ci si prefigge anche la possibilità di valutare l'estensione al pubblico della misura.
Tuttavia, bisogna usare l'argomento della discriminazione tra pubblico e privato per un provvedimento del genere, peraltro sperimentale, che non esclude l'ipotesi che nel futuro si applicherà al pubblico, quando abbiamo visto il regime del TFR e il regime degli incentivi applicarsi al privato e non al pubblico? Allora quelle non erano discriminazioni e questa sì?
Credo che sia necessario svolgere una riflessione seria e serena. Si tratta di redditi bassi, sotto i 30 mila euro e vi è un tetto di 3 mila euro a cui queste decontribuzioni si affiancano e si sommano con altre forme di decontribuzione. Vi è l'opzione per il regime fiscale da parte del lavoratore e crediamo che siano elementi concreti volte a fare in modo che il Governo metta in campo delle azioni vere, che vadano incontro ad un problema condiviso da tutti, sulle cui soluzioni e coperture ci si può dividere, ma che oggettivamente è un problema presente e riconosciuto.
Devo dire che ci saremmo aspettati forse, anche in Commissione lavoro - dopo avere visto in televisione il Ministro Sacconi e il Ministro ombra Letta confrontarsi in maniera serena e costruttiva su quanto potesse essere perfettibile questa norma, ma comunque necessaria ed utile (parlo della tassazione e della decontribuzione dei premi) - probabilmente più un voto di astensione che non un voto contrario. Ci saremmo aspettati forse un atteggiamento diverso rispetto alle oltre 400 proposte emendative che l'opposizione sostanzialmente ha presentato per il dibattito in quest'Aula, ma forse a volte attendersi dei comportamenti diversi è sbagliato.
Forse qualcuno si aspettava che un Governo di centrodestra potesse avere un atteggiamento più vicino ai grandi capitali di impresa, alle grandi banche e ai grandi gruppi d'affari, invece l'attesa è delusa perché il Governo del centrodestra, il Governo Berlusconi, la maggioranza, il Popolo della Libertà, la Lega Nord adottano un provvedimento a favore delle famiglie e dei più deboli.
Il Governo del centrosinistra, il Governo Prodi e quella maggioranza, dai cui banchi oggi vediamo alzarsi molti colleghi che ci dicono cosa bisognerebbe fare e come bisognerebbe farlo meglio, si aspettavano provvedimenti a favore dei più deboli, provvedimenti che purtroppo per il Paese e per i più deboli non ci sono stati.
Credo che, con grande spirito costruttivo, si debba cercare di fare di questo provvedimento un motivo di confronto politico serio e di dibattito, ma credo che si debba sempre pensare, con i distinguo delle opinioni, all'interesse di quei cittadini, di quelle famiglie e di quei lavoratori nei cui confronti si è cercato di muovere un passo in avanti e di tendere una mano, secondo un principio che non è assistenzialista, ma liberale: aiutare a togliere le tassazioni sulla patrimoniale, che vengono considerate ingiuste, e dare loro un meccanismo liberale meritocratico e premiale, con la detassazione degli straordinari e dei premi aziendali, per i quali non vi è discriminazione tra uomini e donne, per permettere loro di arrivare meglio alla fine del mese, nella convinzione che questo inizi ad essere un nuovo ciclo virtuoso per l'economia, per la società e per il Paese.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

Pag. 97

(Repliche dei relatori e del Governo - A.C. 1185-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che i relatori rinunciano alla replica.
Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

EUGENIA MARIA ROCCELLA, Sottosegretario di Stato per il lavoro, la salute e le politiche sociali. Signor Presidente, rinuncio alla replica.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Sull'ordine dei lavori (ore 23,27).

PRESIDENTE. La discussione sulle linee generali del disegno di legge di conversione del decreto-legge 30 maggio 2008, n. 95, recante disposizioni urgenti relative al termine per il riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria, è rinviata alla seduta di domani.

Ordine del giorno della seduta di domani.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

Martedì 24 giugno 2008, alle 9,30:

1. - Discussione del disegno di legge: (per la discussione sulle linee generali):
Conversione in legge del decreto-legge 30 maggio 2008, n. 95, recante disposizioni urgenti relative al termine per il riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria (1212-A).
- Relatore: Vitali.

(ore 11)

2. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 90, recante misure straordinarie per fronteggiare l'emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e ulteriori disposizioni di protezione civile (1145-A/R).
- Relatore: Ghiglia.

3. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 27 maggio 2008, n. 93, recante disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie (1185-A).
- Relatori: Ravetto, per la V Commissione e Fugatti, per la VI Commissione.

4. - Seguito della discussione del disegno di legge:
Conversione in legge del decreto-legge 30 maggio 2008, n. 95, recante disposizioni urgenti relative al termine per il riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria (1212-A).
- Relatore: Vitali.

La seduta termina alle 23,30.

TESTO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DEL DEPUTATO FRANCO CECCUZZI IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL DISEGNO DI LEGGE DI CONVERSIONE N. 1185/A

FRANCO CECCUZZI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il provvedimento che arriva oggi all'esame dell'Aula si presenta con un titolo molto ambizioso, sul quale avevamo espresso, sin dalle prime valutazioni, fondate riserve che dopo l'esame delle Commissioni riunite bilancio e finanze si sono, purtroppo, trasformate in certezze.
Le misure contenute nel decreto-legge n. 93 sono assolutamente insufficienti e per di più inique perché determinano Pag. 98effetti marginali sulla distribuzione del reddito e sulla crescita, non affrontano il problema delle disuguaglianze e non intervengono sulle vere priorità del nostro paese: il livello troppo basso dei salari e l'aumento dei prezzi.
Nonostante gli sforzi ed il lavoro, il Governo e la maggioranza si sono dimostrati sordi rispetto alle proposte migliorative presentate dall'opposizione ed in particolare dal gruppo del Partito Democratico, che si è adoperato con spirito costruttivo presentando pochi ma qualificati emendamenti affinché questo provvedimento potesse davvero contenere misure per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie o che in subordine venissero riassorbite le iniquità prodotte dalle esclusioni dai benefici qui contemplati.
Abbiamo chiesto innanzi tutto, e lo ribadiamo in quest'Aula, che il Ministro dell'economia e delle finanze venisse a riferire sull'andamento delle entrate e sui dati di finanza pubblica.
Siamo in una situazione paradossale ed incresciosa che limita la capacità di analisi e di intervento di ciascun parlamentare. In sede di esame nelle Commissioni riunite non sono state date risposte a nessuna delle domande che abbiamo posto sullo stato dei conti pubblici.
Nel frattempo lo scorso 18 giugno il Consiglio dei ministri ha esaminato un disegno di legge dal titolo «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria.» Oggi che è il 23 giugno ed arriva in Aula un provvedimento come questo che presenta innumerevoli profili di criticità sulle coperture, non possiamo ancora disporre dei testi del decreto suddetto.
Dunque non abbiamo dati certi e siamo costretti a basare le nostre considerazioni sulle anticipazioni giornalistiche, delle quali siamo grati ai professionisti che le scrivono, e che, tuttavia, sviliscono ancora di più il ruolo del Parlamento, costretto a lavorare sul sentito dire.
Proprio per questo ed anche per questo, ci vediamo assolutamente costretti a riporre la domanda, che a noi, ed al paese, appare cruciale: siamo o non siamo in presenza di un extra-gettito? Quali sono i risultati delle politiche di risanamento adottate dal Governo Prodi nella scorsa legislatura, ed in particolare delle misure di lotta all'evasione fiscale?
L'assoluto silenzio del Ministro che non si è presentato di fronte alle Commissioni, ed il silenzio assordante del Governo su questo punto, evidenziano un forte imbarazzo di fronte alla necessità di negare la realtà dei numeri.
I dati del fabbisogno statale del mese di maggio dimostrano che ci sono le risorse per una manovra ben più equa e incisiva di quella proposta dal Governo. Essi confermano, in particolare, un ottimo andamento delle entrate, nonostante il rallentamento dell'economia. Segno che le politiche anti evasione hanno funzionato e continuano a funzionare.
Il fabbisogno di maggio evidenzia anche che il Governo Berlusconi ha, per i prossimi sette mesi, 15 miliardi di euro in più rispetto allo scorso anno da poter utilizzare senza sforare l'obiettivo di indebitamento per il 2008.
Così, se anche l'andamento delle entrate dovesse rallentare nei prossimi mesi, i margini rimarrebbero comunque consistenti. Per non dover riconoscere i risultati raggiunti dal Governo Prodi nel risanamento della finanza pubblica, il Governo Berlusconi ed il Ministro Tremonti continuano a negare tale evidenza.
Di conseguenza, per coprire i costi dei decreti fiscali, intervengono pesantemente su programmi decisivi per lo sviluppo e l'equità. Invece, è possibile e doveroso evitare che si taglino risorse essenziali per il Mezzogiorno - come quelle infrastrutturali e quelle per il credito per gli investimenti - per le politiche industriali, per l'integrazione sociale, per la sicurezza, per il trasporto pubblico locale, al quale sono stati tolti oltre 300 milioni di euro nei prossimi tre anni.
Il Partito Democratico chiede al Governo di riconoscere l'esistenza dell'extragettito e di sovrastima delle spese e di finalizzare tali risorse a misure che rafforzino davvero il potere d'acquisto delle Pag. 99famiglie, ad esempio, innalzando le detrazioni fiscali per i redditi da lavoro secondo quanto previsto all'articolo 1, comma 4, della legge finanziaria per il 2008.
Un'esigenza reale del paese, una delle vere emergenze che in questi giorni è stata riproposta all'attenzione del Governo e del Parlamento dai sindacati a proposito del rinnovo dei contratti pubblici, e che interessa tutto il lavoro dipendente ed i pensionati. Il braccio di ferro sulla divaricazione tra l'inflazione programmata e quella reale, fa emergere solo la punta di un iceberg che nella parte sommersa nasconde la vera fascia di sofferenza che sta nelle famiglie a reddito fisso.
Il secondo problema che abbiamo voluto affrontare è relativo al fatto che l' esenzione dal pagamento dell'ICI sulla prima casa esclude le famiglie non proprietarie, a partire da quelle che vivono in affitto, ossia sette milioni di famiglie, tra le quali la percentuale di nuclei in condizioni di povertà è maggiore, rispetto ai nuclei proprietari dell'abitazione principale.
Pertanto, siamo intervenuti proponendo di innalzare la detrazione Irpef - prevista dalla finanziaria 2008 del Governo Prodi - a 500 euro annui (ora ammonta a 300 euro) per i redditi fino a 15.493 euro e a 250 euro annui (ora a 150 euro) per i redditi non superiori a 30.987 euro. Inoltre, si prevede la restituzione dello sgravio non goduto in caso di incapienza.
La dichiarazione di inammissibilità di questo emendamento ha consentito al Governo ed alla maggioranza di nascondersi dietro la giurisprudenza parlamentare, verso la quale abbiamo il massimo rispetto, lasciando così milioni di italiani esclusi dai benefici che vanno a coloro che sono proprietari di abitazione.
Secondo l'ultimo rapporto Istat, le famiglie che vivono in affitto sono il 18,2 per cento su scala nazionale, si concentrano nelle aree metropolitane e tra le famiglie con i redditi più bassi, con una spesa media mensile pari a 340 euro.
In Italia, dove la gran parte delle famiglie è proprietaria dell'abitazione, il fitto imputato costituisce un aspetto rilevante. L'inclusione nel calcolo del reddito di questo elemento non modifica la struttura delle relazioni fra il reddito e le caratteristiche della famiglia, ma determina differenze nell'ampiezza della disuguaglianza.
La metà delle famiglie italiane ha guadagnato, nel 2007, meno di 1.900 euro al mese. Il reddito netto delle famiglie residenti in Italia nel 2005 è pari in media a 2.300 euro mensili, inclusi gli effetti dei trasferimenti monetari, circa 700 euro al mese. Continuando: le famiglie in cui il principale percettore è una donna guadagnano, in media, il 27 per cento in meno rispetto alle altre. Notevoli poi le differenze territoriali: il reddito delle famiglie del Mezzogiorno risulta approssimativamente pari a tre quarti di quello delle famiglie del centro-nord.
Il terzo problema che abbiamo evidenziato è quello relativo al minor gettito da compensare ai comuni ed alla sua quantificazione. La relazione tecnica del decreto-legge n. 93 fa riferimento alla relazione tecnica della finanziaria 2008, che stimava un gettito complessivo ICI prima casa di 2.665 milioni di euro. Con il combinato disposto della finanziaria 2008 con il decreto-legge n. 93 del 2008 la perdita di gettito stimata dalla Relazione tecnica è pari a 904 più 1.700, ovvero 2.604 milioni di euro.
Un ulteriore problema riguarda i tempi della restituzione che, inevitabilmente, si faranno dilatati, mentre le entrate verranno meno sin da giugno, e le modalità di rimborso. Mentre la finanziaria 2008 aveva previsto un meccanismo preciso - l'autocertificazione - il decreto-legge oggi all'esame rimane assolutamente nel vago. Le norme introdotte nel corso dell'esame delle Commissioni riunite, con riferimento al comma 4-bis ed al comma 4-ter, hanno costruito un quadro di maggiori certezze che consentiranno ai comuni di ricevere, entro trenta giorni dalla data di conversione di questo decreto, almeno la metà del rimborso spettante a seguito del mancato introito dell'ICI sulla prima casa.
Un correttivo assolutamente parziale ed insufficiente che lascia ancora irrisolti Pag. 100molti problemi che ci auguriamo che il Governo e la maggioranza siano disponibili ad affrontare e risolvere.
Un'ultima, ma non meno importante, considerazione va fatta sul piano dell'ordinamento. La restituzione ai comuni avviene nella forma di un trasferimento erariale. È un passo indietro sulla strada del federalismo fiscale, al pari del blocco di tutte le addizionali, che azzera ogni autonomia tributaria degli enti territoriali, e un danno anche in prospettiva, perché il gettito ICI ha un suo naturale incremento, a differenza dei trasferimenti. Con l'approvazione del decreto i comuni italiani diventeranno ufficialmente enti «congelati».
Il 40 per cento della loro principale entrata, che veniva riscossa autonomamente nei mesi di giugno e di dicembre per provvedere al finanziamento dei servizi di prossimità, dipenderà da trasferimenti governativi incerti nella dimensione e nei tempi di erogazione effettiva.
Ciò rischia di avere immediati effetti deleteri per tutti i comuni che vivono già oggi una situazione di difficoltà di cassa, come ad esempio quelli che sono localizzati nelle regioni con situazioni finanziarie più deficitarie per la sanità, e che appunto per questo «centellinano» o ritardano i loro pagamenti agli enti locali subordinati.
Ma c'è di più. L'ICI, per quanto «rigida», poteva garantire un certo andamento crescente nel tempo, in relazione sia alle nuove edificazioni, sia e soprattutto alla modernizzazione della fotografia catastale del territorio e alla lotta all'evasione e all'elusione, su cui i comuni hanno tanto investito con loro risorse tecnologiche, finanziarie e regolamentari. Invece, il rimborso dell'ICI prima casa è previsto ancorato ai livelli del 2007 (peraltro sottostimati), senza alcun meccanismo di crescita nel tempo.
È inevitabile che questo clamoroso passo indietro nell'assetto dei poteri decentrati della Repubblica, e quindi questo paradossale ritorno al centralismo da parte di un Governo che del federalismo fa la sua bandiera, avrà effetti sul costo e sulla quantità dei servizi offerti dai governi comunali: dagli asili nido all'assistenza agli anziani, dal trasporto pubblico locale (di cui è stato anche definanziato il fondo incrementale necessario per tenere in equilibrio il comparto in relazione agli aumenti contrattuali e all'aumento del costo del petrolio) alla sicurezza urbana.
Il quarto problema, per l'immediato e soprattutto per la prospettiva, riguarda il congelamento o peggio, l'abbandono della riforma del catasto. Il trasferimento di questa funzione ai comuni, accompagnata dalla revisione degli estimi, avrebbe consentito di aggiornare in termini di efficacia e di equità i valori degli immobili, superando clamorose ed inaccettabili ingiustizie, per le quali un immobile storico posto a Piazza Navona in Roma ha una rendita catastale più bassa rispetto ad un altro che sia stato accatastato pochi anni fa in una zona periferica della stessa capitale.
Il processo di riforma avviato nella scorsa legislatura avrebbe garantito una determinazione degli estimi catastali su base patrimoniale attraverso la segmentazione territoriale e funzionale del mercato immobiliare, per giungere ad una derivazione dalla base patrimoniale ad una base reddituale attraverso l'applicazione di saggi di redditività.
Inoltre la riforma avrebbe garantito l'invarianza di gettito. L'ICI sulla prima casa sarebbe stata abrogata con il sistema delle detrazioni che sarebbero state innalzate dai 300 euro della finanziaria dello scorso anno sino a 500, escludendo di fatto tutti i contribuenti dal pagamento di questa imposta. Nel contempo la rivalutazione degli estimi a partire dalla seconda casa avrebbe prodotto un maggiore gettito che sarebbe andato a compensare il mancato introito prodotto dall'eliminazione dell'ICI sulla prima casa.
Una riforma necessaria soprattutto se rapportata ai valori attuali che attribuiscono, ad esempio, all'intera provincia di Roma, poco più di duemila residenze di lusso (quelle cioè escluse dall'esenzione dell'imposta sulla prima abitazione), una sola nella centralissima ed esclusiva Piazza di Spagna.Pag. 101
Dati evidenti che testimoniano come il taglio dell'ICI non rappresenti solo una misura a sostegno delle famiglie in difficoltà ma un'opportunità straordinaria da parte dei ceti abbienti di risparmiare imposte da versare nonostante l'articolo 53 della nostra Costituzione disponga che tutti sono «tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva e che il sistema tributario è informato a criteri di progressività».
Escludere quindi dall'esenzione le abitazioni signorili o di lusso non produce nessun effetto se non è preceduto da una efficace ed opportuna riforma dei valori catastali.
Passo ora ad analizzare sinteticamente il provvedimento successivo: quello cioè dedicato alla detassazione degli straordinari. Anche in questo caso è stata rimarcata l'urgenza e l'importanza di un'azione volta a promuovere il potere d'acquisto delle famiglie e capace al tempo stesso di valorizzare l'incremento della produttività.
Ma anche in questo caso quante saranno le famiglie a beneficiarne?
La discriminazione dell'intero comparto pubblico, nonostante l'ipotesi di un complessivo progetto di riforma, è quantomeno singolare se rapportata alle continue iniziative ed esternazioni del Ministro Renato Brunetta che controbilancia con il principio della meritocrazia i propositi di tagli, licenziamenti e mobilità.
Senza dimenticare che proprio nel settore pubblico operano dipendenti che assumono ruoli di assoluta rilevanza sociale come i rappresentanti delle forze dell'ordine o gli infermieri, sottoposti spesso a turni lunghi e stancanti per garantire l'incolumità e la salute dei cittadini.
Vi sono per di più intere categorie di lavoratori che, seppur occupati nel settore privato, non potranno beneficiare delle detrazioni previste. Mi riferisco ad esempio ai precari i cui contratti atipici non prevedono certamente non lo straordinario, ma la loro retribuzione. O ancora alcune categorie come i quadri che, pur svolgendo spesso mansioni superiori al loro livello, non prevedono il pagamento degli straordinari.
Per non parlare dell'occupazione femminile e giovanile: la maggior parte delle donne non potrà mai conciliare le esigenze della famiglia con quelle del lavoro nell'ambito dell'attuale modello organizzativo imprenditoriale. E quanti giovani preferiranno lavorare over time senza rivendicarne il cottimo per non pesare sull'azienda ed ottenere il prolungamento del contratto?
Occorrono prima di tutto i controlli.
Anche in questo caso la detassazione degli straordinari dovrà infatti essere propedeutica ad un'azione incisiva sui luoghi di lavoro per garantire che alle ore di straordinario venga realmente corrisposta l'effettiva retribuzione.
In un contesto nazionale in cui la mancanza di accertamenti, il lavoro nero, il non rispetto degli orari di lavoro e della sicurezza (non soltanto nel settore dell'edilizia) sono all'ordine del giorno e causa di migliaia di incidenti e perdite di vite umane, è impensabile che possa essere rispettato uniformemente, su tutto il territorio nazionale, questo provvedimento.
Occorre quindi, come ha indicato il Partito Democratico, che la norma sugli straordinari venga sostituita da forme di detassazione dei redditi di tutti i lavoratori dipendenti, legate alle prestazioni previdenziali e con un contestuale rafforzamento della disciplina volta a favorire i premi di produttività, nella direzione di un moderno e rinnovato sistema contrattuale che sia garante delle differenti istanze, della qualità del lavoro e dell'adeguatezza delle retribuzioni.
Se non siamo quindi in grado di capire oggi come ed in quale misura l'abolizione dell'ICI e la detassazione degli straordinari possano rispondere con efficacia e rapidità «agli effetti negativi sulle capacità di spesa dei nuclei familiari», o se il prestito ponte potrà rappresentare un opportunità per Alitalia, possiamo però quantificarne il costo per i contribuenti e gli immediati effetti sulle finanze pubbliche.
Per quanto riguarda la manovra sull'ICI siamo di fronte a due modalità di individuazione della copertura necessaria. Da una parte il Governo Prodi, nel complesso Pag. 102della manovra di bilancio per il 2008, aveva individuato coerentemente con gli equilibri di spesa, i fondi necessari per promuovere la detrazione: circa 900 milioni di euro. L'attuale Governo di centrodestra deve ora trovare la quota rimanente e rispetto alla quale non sussiste ad oggi una quantificazione precisa.
Se il Ministero dell'economia parla di 1 miliardo e 700 mila euro, l'ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) fa salire tale quota a 2 miliardi e 200 milioni mentre altre fonti autorevoli parlano di circa 3 miliardi di euro.
Senza dimenticare che rimangono tuttora non specificate le modalità di compensazione del mancato gettito ai comuni che si vedono privati, all'improvviso, del 40 per cento della loro entrata principale e che sono quindi in difficoltà rispetto all'erogazione dei servizi ai cittadini.
Ma da dove provengono queste compensazioni? Tecnicamente possiamo affermare che verranno recuperate attraverso riduzioni di spese varie di conto capitale e corrente dei vari ministeri. Dopo una attenta analisi risulta però purtroppo chiaro come moltissime risorse già stanziate siano state deliberatamente azzerate.
Si tratta di una lista lunga e dolorosa che colpisce in primo luogo le regioni del sud dove sono state revocate risorse per quasi 1,4 miliardi di euro finalizzate, dalla legge finanziaria 2007, alle infrastrutture stradali in Sicilia e in Calabria e originariamente destinate al ponte sullo Stretto, oltre a 500 milioni di euro destinati alla viabilità secondaria di Sicilia e Calabria. Due miliardi di euro quindi sottratti al Mezzogiorno.
Continuando troviamo l'annullamento delle risorse destinate agli investimenti nel trasporto pubblico locale (presenti in finanziaria 2008: 244 milioni di euro per il 2008, che diventano 264 nel 2009 e 284 nel 2010), per la sicurezza ferroviaria e per la promozione del passaggio dal trasporto su gomma a quello su nave.
Gli effetti di questi tagli saranno pesantissimi e ricadranno soprattutto sui pendolari, che già viaggiano su treni sporchi, in ritardo, ed assolutamente indegni di un paese civile come l'Italia. Questi stanziamenti disposti dal Governo Prodi e dal Parlamento che li aveva incrementati dovevano servire all'acquisto di nuovo materiale rotabile, proprio per sostenere lo sforzo delle regioni di innalzare la copertura e la qualità del trasporto su ferro, decisivo per ragioni di equità sociale e di vivibilità del territorio e delle città.
Queste sono scelte profondamente sbagliate e che ci costringeranno ad una durissima opposizione se, anche per effetto di scelte industriali ciniche e semplificatorie di Trenitalia, si dovessero prospettare tagli ai servizi nella tratte regionali ed interregionali, dal momento che proprio sugli Intercity siamo appena usciti da una vertenza contro i tagli prospettati dall'azienda e solo in parte rientrati.
Ma non finisce qui; un altro capitolo di spesa drasticamente ridimensionato è quello delle politiche sociali: vengono infatti tagliati il fondo per l'inclusione sociale degli immigrati, il fondo contro la violenza sulle donne, alcuni stanziamenti per la sicurezza stradale e soppresso il finanziamento per la ristrutturazione della rete idrica.
Tutte le misure a favore della tutela ambientale e della attenuazione dei cambiamenti climatici, stanziate anch'esse nella manovra di bilancio 2008, vengono sostanzialmente azzerati: le risorse sottratte ammontano a 71,8 milioni per il 2008, 67 milioni per il 2009 e 67 milioni per il 2010.
Ma veniamo ora all'articolo dedicato alla rinegoziazione dei mutui prima casa. Anche qui ci siamo adoperati per migliorare un provvedimento che, così com'è, non è altro che un'ultima spiaggia, onerosissima e pericolosa, per chi, ormai disperato, alle soglie della morosità o già avviato al contenzioso, si affida alla mossa della disperazione. Si obietta che proprio in questa condizione di difficoltà, e dunque di debolezza, il mutuatario ha bisogno di uno strumento che abbia forza di legge, per imporre la rinegoziazione alla banca.
Benissimo, ma allora si abbia almeno l'onestà intellettuale di ammettere che si tratta di un solo intervento, dei molteplici Pag. 103che si potevano, si possono e si dovranno fare per intervenire sui mutui. Questo provvedimento in realtà era ancora di più, prima del nostro intervento, ma lo è ancora, purtroppo, un compromesso pasticciato tra Governo e banche, per lavarsi la coscienza nell'immediato, e far pagare conseguenze pesanti per il futuro a chi dovrà ricorrere a questo tipo di rinegoziazione.
Nel corso delle audizioni, nelle Commissioni, non abbiamo certo sentito le grida di dolore delle banche, piuttosto vi abbiamo scorto una malcelata felicità per i nuovi profitti in vista, per di più con la copertura di un provvedimento presentato come a vantaggio dei clienti.
Perché ci sarebbe bisogno di un intervento ben più ampio, con delle vere garanzie per i clienti, e capace di innalzare la capacità di rimborso del mutuatario senza ricorrere a trucchi contabili per i quali quello che mi viene concesso di non pagare oggi, me lo trovo comunque da pagare domani, ben maggiorato di interessi?
I mutui italiani, secondo una stima delle associazioni dei consumatori, che hanno elaborato i dati del bollettino della BCE del mese di aprile 2008, sono i più alti d'Europa. Questa differenza, sempre secondo le associazioni dei consumatori, si produce con aggravi «dai 35 ai 44 euro al mese» per i cittadini italiani che hanno contratto un mutuo a tasso variabile.
Dal mese di aprile scorso, secondo le associazioni dei consumatori, l'aumento medio dei mutui a tasso variabile è stato di oltre 2.200 euro all'anno.
Nel mese di aprile 2008 Antonio Catricalà, presidente dell'Antitrust, ha reso noto che in Italia «sono 110 mila le famiglie con problemi di insolvenza per il caro mutui e 420 mila quelle in difficoltà, per un totale di 530 mila famiglie».
Secondo il rapporto annuale 2007 Istat le rate per i mutui sulla casa incidono sempre di più sui bilanci delle famiglie italiane. Nel 2006 il 13 per cento ha sostenuto gli oneri di un mutuo per l'abitazione di proprietà (erano il 12 per cento nel 2004) e ha pagato una rata (comprensiva degli interessi e della quota di rimborso del capitale) di 559 euro al mese. Nel 2004 la rata media era di 469 euro al mese con un'incidenza sul reddito che è salita dal 16,5 per cento al 19,2 per cento.
L'indebitamento totale dei mutui prima casa da parte delle famiglie è nel 2007 di 265 miliardi di euro. La durata media dei mutui è circa 25 anni (salita di 10 anni dal 1997) mentre la cifra media mutuata è passata, tra il 2004 ed il 2007, da 125 mila a 140 mila euro.
Secondo il bollettino dell'Abi, reso noto nei giorni scorsi, i tassi di interesse medi sono ulteriormente cresciuti ed hanno raggiunto il 5,75 per cento con un aumento annuo dello 0,36 per cento: il livello più alto dal 2003, nonostante la BCE non abbia ancora alzato il costo del denaro.
Secondo stime della Banca d'Italia le sofferenze bancarie, ad ottobre 2007, sono salite dell'8,45 per cento rispetto all'anno precedente con la prima conseguenza che moltissime abitazioni, circa centomila, verranno vendute alle aste giudiziarie.
Questi dati testimoniano quindi la necessità di un'azione incisiva a sostegno dei nuclei familiari per quanto riguarda la rinegoziazione dei mutui prima casa.
Purtroppo, nonostante i proclami, il decreto del Governo rappresenta essenzialmente una illusione se non una trappola nei confronti dei cittadini. La Convenzione prevista fra Abi e Ministero dell'economia infatti non solo non porta benefici ma rischia di creare un cartello fra gli istituti di credito.
Così come sarà predisposta, la Convenzione prevede infatti una trasformazione del mutuo a tasso variabile in fisso con la riduzione della rata ai livelli medi del 2006. Non si tratta però di una operazione gratuita, ma di un ulteriore prestito che l'istituto di credito concede al cliente, con l'apertura di un conto accessorio dove viene accreditata la differenza. Un conto che allungherà la data di mutuo.
Secondo alcune prime stime con l'applicazione della Convenzione ad un mutuo di 150 mila euro, a 6 anni dalla stipula, con l'attuale situazione dei tassi il conto accessorio, alla fine delle rate, salirà ad Pag. 104oltre 25mila euro (pari ad una ulteriore dilazione di 26 mesi). Una cifra spropositata che consentirà alle banche di maturare interessi sugli interessi causando al cittadino un ingente esborso supplementare. È facilmente ipotizzabile che questa rappresenterà l'unica soluzione per quei nuclei familiari in gravissima difficoltà che cederanno ai ricatti degli istituti di credito per evitare morosità, contenziosi ed ipoteche.
Secondo le previsioni degli analisti, pubblicate su organi di informazione nazionale, per ottenere un risultato equivalente a quello della rinegoziazione prevista dalla Convenzione fra Abi e Ministero dell'economia, sarebbe sufficiente infatti optare per la surrogazione del mutuo prevista dalla legge 2 aprile 2007, numero 40, scegliendo per l'allungamento della rata per un periodo di circa 2 anni. Senza quindi i rischi e gli oneri del conto accessorio.
Emerge quindi il dubbio che la convenzione rappresenti essenzialmente un'alternativa onerosa e quindi un ulteriore ostacolo verso la corretta applicazione della surroga gratuita.
Un sospetto che si è rivelato un'amara realtà nei giorni scorsi quando sono stati respinti, nel corso dell'esame in Commissione Bilancio, gli emendamenti presentati dall'opposizione (Partito Democratico, Italia dei Valori ed anche Unione di Centro) per modificare i contenuti della Convenzione.
Questi emendamenti recepivano le indicazione dell'Autorità della concorrenza e del mercato che raccomandava che i criteri dettati dalla Convenzione non dovessero lasciare spazio a politiche differenziate da parte delle banche a vantaggio della clientela e non disincentivare la portabilità. La maggioranza ed il Governo hanno recepito, al contrario, le indicazioni dell'Abi e la surroga, che va ricordato è legge dello Stato, rischia di essere esclusa dalla Convenzione.
Soltanto dopo una lunga e proficua discussione nel dibattito in Commissione, portata avanti congiuntamente da Partito Democratico, Italia dei Valori e Unione di Centro è stato accolto, giovedì scorso in extremis, un emendamento che prevede, espressamente, la possibilità che le banche adottino condizioni minime migliorabili e che al cliente rimanga aperta l'opzione della portabilità che consente di trasferire, senza oneri, il mutuo da una banca all'altra.
Si tratta di un piccolo passo avanti ancora non soddisfacente se si considera la mancata ammissibilità di un ulteriore emendamento che perfezionava la «portabilità» dei mutui, semplificando e rendendo più fluidi e non onerosi tutti gli adempimenti necessari. Questa proposta prevedeva una costosa sanzione a carico delle banche che ostacolassero la portabilità pari al 20 per cento del mutuo concesso a carico dell'istituto mutuante. I proventi di tali sanzioni sarebbero stati destinati al Fondo di solidarietà per i mutui per l'acquisto della prima casa istituito con la legge finanziaria 2008.
Un provvedimento necessario, vista la continua reticenza con cui gli istituti di credito stanno applicando le norme sulla surroga. Una ostilità manifesta che si è trasformata in una vera e propria corsa ad ostacoli a scapito degli utenti e che la stessa Antitrust ha testimoniato confermando la mancata attuazione della legge sulla portabilità aprendo, nelle scorse settimane, dieci istruttorie su altrettanti gruppi bancari nazionali. Procedimenti che rischiano però di non mutare lo scenario se non verranno previste per legge sanzioni adeguate nei confronti degli istituti di credito inadempienti.
Voglio inoltre ricordare che sono stati respinti altri emendamenti sempre relativi alla Convenzione; tutti improntati ad elevare la trasparenza dell'accordo ed a migliorare le condizioni nei confronti dei consumatori: ad esempio, quelli che prevedevano l'estensione della possibilità di rinegoziazione anche ai tassi fissi e «l'ammortamento alla francese» che garantiva ulteriormente i mutuatari indicando per il conto accessorio un limite massimo di importo della rata e di conto interessi complessivo.Pag. 105
Continueremo ora la nostra battaglia in Aula per modificare i contenuti della Convenzione e per chiarire se Governo e maggioranza si siano schierati a sostegno dei consumatori o dalla parte delle banche. Certamente, se le indicazioni dell'Autorità della concorrenza e del mercato e le norme sulla portabilità non saranno riconosciute e rese efficaci sarà soprattutto l'Abi a festeggiare.
Lasciatemi aggiungere, in questo contesto, che il Ministero dello Sviluppo economico, rinviando l'entrata in vigore della normativa sulle class action proprio quando le Associazioni dei consumatori avevano annunciato una azione collettiva nei confronti di banche e notai per i costi relativi alla portabilità dei mutui, non sembra riconoscere al Governo una posizione di neutralità.
Ma la Convenzione non è stata il solo oggetto delle nostre proposte; l'accordo fra Abi e Ministero non ci convince e, seppur perfettibile, non rappresenta infatti lo strumento primario per tutelare le famiglie.
Come Partito Democratico abbiamo presentato emendamenti, anche questa volta non ammissibili e non accolti, che sottoporremo di nuovo all'attenzione di questa Assemblea, quando arriverà la manovra economica.
Ne sottolineo uno in particolare: l'aumento delle detrazioni fiscali per i mutui sulla prima casa. La detrazione attuale prevede il rimborso del 19 per cento degli interessi fino ad un massimo di 4 mila euro: questa soglia è stata recentemente ritoccata con la finanziaria 2008 con un incremento, dopo tredici anni, del 10 per cento. Una modifica significativa ma non ancora sufficientemente adeguata all'entità dei mutui contratti, alla rata, al valore delle abitazioni e più generalmente al costo della vita attuale.
Proponiamo quindi, in questo contesto, di modificare i criteri attuali elevando l'aliquota degli interessi passivi e relativi oneri accessori in dipendenza di mutui contratti per l'acquisto e la costruzione della prima casa garantiti da ipoteca su immobili dal 19 al 23 per cento, agganciandola quindi all'aliquota Irpef prevista per il primo scaglione di reddito e di aumentare da 4 mila a 6 mila euro l'importo massimo su cui calcolare la detrazione relativa ad interessi ed oneri accessori.
Con questa operazione i nuclei familiari potranno recuperare annualmente fino a 1.380 euro all'anno rispetto ai 760 attuali: una differenza di oltre 600 euro capace quindi di incidere realmente sui bilanci familiari.
Si tratta di cifre concrete, non di convenzioni che, dietro rassicuranti promesse, nascondono oneri, obblighi e conti accessori non sempre trasparenti.
Questo dibattito sarà proficuo e chiarificatore: vedremo, onorevoli colleghi, chi si schiererà realmente dalla parte dei cittadini e delle famiglie e chi valuterà autonomamente di sostenere gli interessi delle banche.