XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di martedì 13 marzo 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:

La Camera,
premesso che:
le piccole e medie imprese costituiscono la struttura portante della realtà industriale italiana e una risorsa essenziale per il ruolo strategico che ricoprono nel sistema economico del Paese;
sono consapevoli, queste imprese, di rappresentare un riferimento macroeconomico unitario, tanto che cinque confederazioni nazionali, circa 600 associazioni locali e 2 milioni e mezzo di artigiani e commercianti si sono uniti nella «Rete Imprese Italia» per affermare la loro soggettività imprenditoriale in un mercato che pretende riduzione dei costi e competitività nella salvaguardia di sempre più stringenti principi di concorrenza;
un recente studio della Commissione europea condotto sulle piccole e medie imprese ne conferma l'importanza per la loro capacità di puntare sull'innovazione e di creare nuova occupazione. Mentre il rapporto Rehn, nella prospettiva della competizione di sistema, ammonisce sulla stringente esigenza di un dimensionamento aziendale e produttivo capace di sopportare le sfide dei mercati globali, dallo studio della Commissione europea è emerso come, tra il 2002 e il 2010, l'85 per cento dei nuovi posti di lavoro è stato creato dalle piccole e medie imprese; nello specifico sono le microimprese che hanno contribuito con più forza alla crescita dell'occupazione. Tuttavia, nel periodo compreso tra il 2009 e il 2010 la crisi ha prodotto effetti dannosi, soprattutto per le piccole imprese che hanno subito un calo medio annuo dei posti di lavoro del 2,4 per cento rispetto alla riduzione dello 0,95 per cento di quelle di grandi dimensioni; un puntuale riscontro si ricava dal dato del decremento del numero delle piccole imprese italiane nella misura di 30.000 unità proprio nell'anno 2009;
così come, secondo la valutazione di Unioncamere, mentre l'affidabilità complessiva delle piccole e medie imprese si attesta al 34 per cento, quella delle sole imprese di medie dimensioni si colloca oltre il 50 per cento;
in Italia, su un totale di 4,5 milioni di imprese dell'industria e dei servizi, il 95 per cento di esse sono rappresentate da aziende con meno di 10 addetti, garantendo l'occupazione al 47 per cento dei lavoratori del settore, pari a circa 17,5 milioni;
date le particolari caratteristiche strutturali di tali aziende, un elemento essenziale da sottolineare è rappresentato da un forte vincolo di dipendenza dal credito bancario. Nel caso delle piccole e medie imprese, infatti, circa il 40 per cento delle loro passività è costituito dal debito nei confronti delle banche;
secondo i dati della Banca d'Italia, le forti pressioni esercitate sul mercato dei titoli italiani, ma anche la crisi sui debiti sovrani di molti Stati, hanno prodotto conseguenze negative sulle operazioni di raccolta delle banche che, a loro volta, hanno inciso profondamente sulle condizioni di offerta di credito all'economia reale;
ne è derivata una forte contrazione dei prestiti alle famiglie e un deciso rallentamento dei finanziamenti alle imprese che, di conseguenza, ne penalizza la competitività determinando minori investimenti e ridotte possibilità di crescita, a fronte di un dato secondo il quale le piccole e medie imprese, anche nel corso di questa crisi prolungata, mantengono una propensione all'investimento nella misura dell'80 per cento, contando per il 53 per cento su mezzi propri e per il 39,1 per cento sul credito bancario;
in un'indagine condotta dalla Banca d'Italia, in collaborazione con Il Sole 24 ore, nel mese di dicembre 2011, la

quota di imprese che segnala un peggioramento delle condizioni di accesso al credito è pari al 49,7 per cento, rispetto al 28,6 per cento registrato a settembre 2011: un valore superiore a quello raggiunto nel 2008 al culmine della crisi finanziaria;
sempre secondo le statistiche di Banca d'Italia, a gennaio 2012 il tasso di crescita sui dodici mesi dei prestiti al settore privato è sceso all'1,6 per cento dal 2,3 per cento di dicembre 2011. Su tali dati ha inciso in particolar modo la riduzione dei prestiti alle società non finanziarie scesa all'1,3 per cento dal 2,6 per cento, mentre il tasso di crescita dei prestiti alle famiglie si è ridotto al 3,1 per cento dal 3,4 per cento;
le difficoltà di raccolta e di liquidità delle banche italiane, che hanno portato alla stretta creditizia, il cosiddetto credit crunch, si sono ulteriormente aggravate alla fine del 2011;
i ripetuti interventi della Banca centrale europea hanno evitato che la stretta sul credito producesse effetti ancor più devastanti sull'economia reale. L'obiettivo, infatti, è stato quello di immettere nel sistema bancario liquidità illimitata e a basso prezzo, per dare fiato alle imprese e nuovo slancio ai bilanci bancari. Ciò nonostante, i risultati ottenuti sono stati di gran lunga inferiori rispetto alle aspettative;
le banche italiane, infatti, in occasione dell'operazione realizzata dalla Banca centrale europea nel dicembre 2011, hanno utilizzato buona parte del prestito di 116 miliardi di euro per acquistare titoli di Stato, cosa che ha sì garantito una riduzione dei tassi d'interesse sul debito pubblico italiano, ma, nello stesso periodo, ha prodotto un calo dei prestiti bancari ad imprese e famiglie di 20 miliardi di euro, a fronte di un aumento a gennaio 2012 del costo dei finanziamenti alle imprese stesse dell'1,3 per cento rispetto allo stesso mese del 2011;
nel 2011 ben il 71 per cento dell'afflusso di risorse è derivato dalla Banca centrale europea con un apporto pari a 159 miliardi di euro, mentre solo l'11 per cento da depositi e obbligazioni, per un ammontare pari a 24 miliardi di euro;
recentemente la Banca centrale europea ha avviato un'altra operazione di rifinanziamento all'1 per cento per tre anni, assegnando alle banche un prestito pari a circa 530 miliardi di euro, ancora una volta con lo scopo di porre un freno alla stretta del credito, sostenere il debito sovrano degli Stati e dare nuovo respiro alle imprese europee. Gli istituti italiani avrebbero chiesto circa 139 miliardi di euro;
i ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione aggravano ulteriormente i problemi di liquidità di molte imprese italiane. La Confindustria stima che nel 2011, per la liquidazione delle fatture, le imprese hanno atteso in media 180 giorni a fronte dei 128 giorni nel 2009. Secondo stime ufficiose, il debito della pubblica amministrazione ammonterebbe a circa 70 miliardi di euro: condizione di sofferenza accentuata e aggravata dal fatto che le imprese sovente ricorrono al credito bancario esclusivamente per il circolante, cioè per garantire la loro sopravvivenza in un tempo in cui l'incasso delle fatture commerciali è divenuto del tutto aleatorio;
è di fine febbraio 2012 l'accordo contenente le «Nuove misure per il credito alle piccole e medie imprese» sottoscritto dall'Associazione bancaria italiana, alcune associazioni di categoria, il Ministro dello sviluppo economico ed il Viceministro dell'economia e delle finanze. L'accordo prevede diverse tipologie di interventi finanziari a favore delle piccole e medie imprese in modo da garantire loro adeguate risorse e di sostenere la ripresa dell'economia reale;
è il momento di non indugiare in abusati quanto pleonastici peana in favore delle piccole e medie imprese del sistema Italia per garantire loro il sostegno attivo consentito dalla cornice legislativa comunitaria e dallo sforzo finanziario di tutto il Paese; peraltro, gli interventi mirati qualitativamente

e quantitativamente al consolidamento del potenziale produttivo e occupazionale delle piccole e medie imprese entrano a pieno diritto nel novero del rilancio economico dell'intero Paese;
è condivisibile il discusso sentimento secondo il quale quello delle medie imprese può e deve costituire un modello efficace da sostenere, favorire e irrobustire,


impegna il Governo:


ad adottare le opportune iniziative al fine di aumentare le possibilità di accesso al credito delle piccole e medie imprese, finalizzato ad investimenti in miglioramenti dell'efficienza tecnologica e organizzativa, anche attraverso sistemi più trasparenti nella gestione delle informazioni aziendali e nelle modalità di determinazione dei rating delle aziende da parte delle banche, come presupposto per la costituzione di un fondo finanziato annualmente, a valere sul bilancio del Ministero dello sviluppo economico, che si faccia carico delle spese di accesso al credito delle piccole e medie imprese presso il sistema bancario, nei casi documentati di crediti a bilancio nei confronti di pubbliche amministrazioni centrali e territoriali e dei loro enti di riferimento, nonché di crediti commerciali;
ad assumere iniziative normative che dispongano di privilegiare, negli interventi a favore delle piccole e medie imprese, quelli che sviluppino in maniera documentata progetti produttivi fondati sul valore della prossimità territoriale, in particolare nei distretti industriali, implementino i processi di economie di filiera e evidenzino efficienti programmazioni di riduzione della delocalizzazione produttiva;
ad assumere iniziative di semplificazione e di vantaggio per i processi di condivisione tra le piccole e medie imprese delle attività di ricerca e sviluppo, nella logica imprenditoriale condivisa della costruzione di sinergie territoriali, dando priorità alle aziende che avviino concreti progetti interregionali;
a dare immediata esecuzione all'accordo sottoscritto a fine febbraio 2012, al fine di sostenere le piccole e medie imprese e garantire la ripresa dell'economia reale;
ad assumere ogni altra iniziativa volta a recuperare le risorse necessarie per risolvere l'annosa questione dei ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione e ridurre in tal modo il debito non più tollerabile nei confronti delle piccole e medie imprese, senza traslazione di oneri sui bilanci delle famiglie.
(1-00924)
«Mosella, Fabbri, Lanzillotta, Pisicchio, Tabacci, Versace, Vernetti, Brugger».

La Camera,
premesso che:
la grave crisi energetica che colpisce l'economia mondiale, sommata all'allarme dovuto al cambiamento climatico prodotto dall'immissione in atmosfera di crescenti quantitativi di diossido di carbonio (di gran lunga il principale «gas-serra»), sta attirando una crescente attenzione sul ruolo delle fonti rinnovabili;
le strategie di sviluppo economico e di tutela del territorio sono influenzate, e sempre più nel futuro saranno condizionate, dalle politiche energetiche. Una qualificazione della politica energetica in termini di sviluppo tecnologico e di gestione sostenibile delle risorse territoriali passa per una chiara visione del ruolo delle energie rinnovabili e, in primis, delle bioenergie;
il controllo del consumo di energia europeo e il maggiore ricorso all'energia da fonti rinnovabili, congiuntamente ai risparmi energetici e ad un aumento dell'efficienza energetica, costituiscono parti importanti del pacchetto di misure necessarie per ridurre le emissioni di gas a

effetto serra e per rispettare il Protocollo di Kyoto della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e gli ulteriori impegni assunti a livello comunitario e internazionale per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra oltre il 2012. Tali fattori hanno un'importante funzione anche nel promuovere la sicurezza degli approvvigionamenti energetici, nel favorire lo sviluppo tecnologico e l'innovazione e nel creare posti di lavoro e sviluppo;
le stime sulla quantità di energia ricavabile dalla biomassa (bioenergia) sono variabili, ma entro il 2050 essa potrebbe arrivare a coprire il 50 per cento del fabbisogno energetico mondiale. Una parte di questa verrà utilizzata per la produzione di biocarburanti, più ancora per produrre biogas e il rimanente per alimentare le centrali energetiche;
il decreto legislativo n. 28 del 2011, attuativo della direttiva europea 2009/28/CE, ha previsto per l'Italia l'obbligo di utilizzare al 2020 il 17 per cento di energia da fonti rinnovabili sul totale dell'energia consumata (energia elettrica, termica e per i trasporti). L'obiettivo per l'Italia è di arrivare al 2020 a una produzione energetica nazionale da rinnovabili pari al 14,3 per cento (vale a dire il 17 per cento meno la quota importata), partendo da una produzione attuale dell'8,2 per cento;
la conferenza Stato-regioni nella riunione del 22 febbraio 2012 ha dato il via libera allo schema di decreto (Ministero dello sviluppo economico di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare) sul burden sharing, cioè sulla ripartizione tra le regioni e le province autonome della quota minima di incremento dell'energia prodotta con fonti rinnovabili;
l'Intergovernmental panel on climate change ha sottolineato come il settore agricolo, più degli altri, possa fornire un contributo attivo alla mitigazione dell'effetto serra, sia per la produzione di energia da fonti rinnovabili, ma anche per l'accumulo di sostanza organica nei suoli agricoli (carbon sink), nelle foreste e nelle coltivazioni agricole;
il ruolo dell'agricoltura potrebbe divenire fondamentale nella soluzione delle problematiche ambientali ed energetiche di questo secolo, avendo ora l'opportunità di partecipare attivamente al raggiungimento di tali obiettivi, dal momento che la produzione di biogas in Italia ha presentato negli ultimi anni un incremento, arrivando a rappresentare quasi il 4 per cento dell'energia prodotta da fonti rinnovabili;
la produzione di biogas concorre alla diversificazione energetica e, pertanto, può non solo fornire in misura crescente un contributo alla sicurezza, alla competitività e alla sostenibilità dell'approvvigionamento energetico, ma anche aprire nuove prospettive di reddito per gli agricoltori;
l'impiego di biogas, in particolare per la produzione di calore ed elettricità, potrebbe incrementare significativamente le possibilità di conseguire l'obiettivo vincolante, per cui entro il 2020 le fonti energetiche rinnovabili dovranno coprire il 20 per cento del fabbisogno energetico totale dell'Unione europea,


impegna il Governo:


a sfruttare l'enorme potenziale delle agroenergie, in particolare del biogas, favorendo un sistema di incentivi per gli imprenditori agricoli che intendono investire in tale energia alternativa attraverso strumenti di accesso al credito;
ad adottare, nel più breve tempo possibile, i decreti attuativi previsti dal decreto legislativo n. 28 del 2011 e ad assumere, nel contempo, iniziative per uniformare la normativa italiana in materia di energia da fonti rinnovabili alla normativa comunitaria, soprattutto con riferimento alla produzione di biogas.
(1-00925)
«Commercio, Lo Monte, Lombardo, Oliveri, Brugger».

La Camera,
premesso che:
il biogas è l'unica filiera che utilizza prevalentemente biomasse prodotte dalle aziende agricole italiane e che vede una qualificata presenza italiana nelle tecnologie: questo dà sostanza alla possibilità di sviluppo economico per le imprese agricole e industriali con una positiva ricaduta sui livelli occupazionali, cosa quanto mai opportuna in un periodo di gravissima crisi economica;
il biogas rappresenta una filiera che fa perno sul riciclo e utilizza in maniera efficace ed efficiente il territorio, in quanto in grado di utilizzare non solo biomasse vegetali ma anche effluenti zootecnici, sottoprodotti agricoli e agroindustriali;
il biogas è un'energia flessibile nell'uso finale, in quanto può essere utilizzata nei luoghi di produzione in motori cogenerativi per produrre energia elettrica e termica oppure raffinata a biometano;
lo sviluppo delle biomasse può dare un contributo sostanziale nell'ambito dello sviluppo delle fonti di energia rinnovabile allo scopo di ottemperare agli impegni e agli obiettivi fissati nel Protocollo di Kyoto e dal piano nazionale per le energie rinnovabili;
pur nella condivisione dell'utilizzo di biomasse finalizzate allo sviluppo di fonti rinnovabili, va segnalato il pericolo che le aziende trasformino l'attività agricola passando da colture destinate alla produzione di alimenti a colture finalizzate alla produzione di energia, producendo un'evidente alterazione del mercato e una penalizzazione della produzione agricola e zootecnica;
è necessario procedere all'attuazione di un piano di sviluppo della produzione di biogas che porti alla riduzione di biomasse di primo raccolto per megawatt generato, dando priorità all'utilizzo crescente, ad esempio, di effluenti zootecnici residui, di sottoprodotti agricoli e agroindustriali, di colture di secondo raccolto e di colture derivanti da terreni marginali;
appare, altresì, necessario procedere:
a) alla regolamentazione di impianti di produzione di biogas e biometano in relazione alle «Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili»;
b) alla definizione di un nuovo sistema incentivante in relazione a quanto previsto dall'articolo 24 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28;
c) alla definizione del sistema regolatorio e di incentivazione per il biometano ai fini di cui agli articoli 20 e 21 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28;
è fondamentale procedere ad una programmazione che sia in armonia con i distretti agroenergetici per lo sviluppo degli impianti di biogas, al fine di ridurre la competizione tra l'uso del suolo agricolo e quello utilizzato per la produzione di biomasse a discapito del primo;
sussiste un'urgenza di carattere strategico, ossia la necessità di procedere all'emanazione di tutti i decreti attuativi previsti dal decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, in quanto la mancanza di indirizzi precisi e chiari per lo sviluppo della filiera porterebbe al blocco degli investimenti,


impegna il Governo:


ad incentivare l'agroenergia sia come opzione strategica al fine di raggiungere e ottemperare agli impegni derivanti dal Protocollo di Kyoto e dal piano nazionale per le energie rinnovabili, sia come fattore di integrazione del reddito per le aziende agricole e sia come volano occupazionale in relazione alla capacità tecnologica delle industrie di settore;
a contrastare le trasformazioni delle aziende agricole che comportino il passaggio da colture per alimenti a colture finalizzate alla produzione di energia, cosa

che altererebbe il mercato e penalizzerebbe la produzione agricola e zootecnica, attraverso l'attuazione di un piano di sviluppo della produzione di biogas che porti alla riduzione di biomasse di primo raccolto per megawatt generato, dando priorità all'utilizzo crescente, ad esempio, di effluenti zootecnici residui, di sottoprodotti agricoli e agroindustriali, di colture di secondo raccolto e di colture derivanti da terreni marginali;
ad assumere iniziative volte:
a) alla regolamentazione di impianti di produzione di biogas e biometano in relazione alle «Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili»;
b) alla definizione di un nuovo sistema incentivante in relazione a quanto previsto dall'articolo 24 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28;
c) alla definizione di un sistema regolatorio e di incentivazione per il biometano ai fini di cui all'articolo 21 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28;
a procedere all'adozione, in tempi certi e più brevi possibili, di tutti i decreti attuativi previsti dal decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, in quanto la mancanza di indirizzi precisi e chiari per lo sviluppo della filiera potrebbe provocare il blocco degli investimenti.
(1-00926)
«Ruvolo, Moffa, Calearo Ciman, Catone, Cesario, D'Anna, Gianni, Grassano, Guzzanti, Lehner, Marmo, Milo, Mottola, Orsini, Pionati, Pisacane, Polidori, Razzi, Romano, Scilipoti, Siliquini, Stasi, Taddei».

La Camera,
premesso che:
il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (MIUR) ha determinato per il 2011-2012 un aumento pari a 9.501 posti per le facoltà di medicina e chirurgia, nonostante le regioni e il Ministero della salute, con il pieno auspicio dell'ordine dei medici ne avessero sollecitati almeno 10.566. Si tratta di mille posti in meno con una evidente disparità di valutazione del fabbisogno dei medici nei prossimi anni;
la cosa appare tanto più grave in quanto l'argomentazione utilizzata dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca è che il numero dei potenziali studenti di medicina è risultato superiore alla capacità formativa complessiva degli atenei. Evidentemente l'ampliamento dell'offerta formativa, che in questi ultimi 5 anni è cresciuta del 30 per cento, è ancora inadeguata a coprire i bisogni effettivi del nostro servizio sanitario nazionale. Negli ultimi dieci anni l'85 per cento degli immatricolati a medicina arriva alla laurea, come ha evidenziato Andrea Lenzi, presidente del Consiglio universitario nazionale (Cun);
entro il 2015, infatti, a fronte dei prossimi pensionamenti nella categoria, verranno meno circa 17.000 medici e dal 2013 è ipotizzabile un saldo negativo tra pensionamenti e nuove assunzioni;
l'Italia ha un numero di medici professionalmente attivi superiore alla media europea, pari a 4,1 medici per mille abitanti contro una media dell'Unione europea di 3,4 per mille abitanti; ma a breve la situazione è destinata a cambiare ed è necessario aumentare le immatricolazioni, migliorando al contempo la qualità dell'offerta formativa per garantire al nostro servizio sanitario nazionale almeno 10 mila medici l'anno, necessari per essere a regime nel 2018;
oltre ad aumentare il numero delle immatricolazioni degli studenti in medicina e chirurgia però diventa sempre più urgente garantire a quanti si laureano la possibilità di accedere ad una scuola di specializzazione, facendo coincidere il numero dei laureati con il numero dei potenziali specialisti. Nei prossimi 10 anni si prospetta una mancanza di circa 30.000 specialisti che svolgano funzioni non delegabili ad altre professioni sanitarie;

oggi uno studente che si immatricola a medicina chirurgia, superando la selezione iniziale, pur laureandosi regolarmente in corso, corre il rischio di dover attendere altri due o tre anni prima di accedere alla scuola di specializzazione, portando il suo iter formativo a 13-15 anni. Ritardando pesantemente il suo ingresso nel mondo della professione, che avverrebbe intorno ai 35 anni di età, con pesanti ricadute anche sotto il profilo pensionistico;
il concorso per l'accesso alle scuole di specializzazione è disciplinato dal nuovo «Regolamento concernente le modalità per l'ammissione dei medici alle scuole di specializzazione in medicina», del Ministro dell'istruzione dell'università e della ricerca del 6 marzo 2006, n. 172. Il decreto prevede:
a) la ridefinizione della data di inizio dell'anno accademico («è altresì indicata la data di inizio delle attività didattiche delle scuole di specializzazione»), che avrà luogo successivamente all'espletamento delle selezioni, e quindi subito dopo la pubblicazione delle graduatorie;
b) l'introduzione, quale requisito necessario per l'ammissione alla prova, del conseguimento dell'abilitazione alla professione («Al concorso possono partecipare i laureati in medicina e chirurgia in data anteriore al termine di scadenza fissato dal bando per la presentazione delle domande di partecipazione al concorso, con obbligo di superare l'esame di Stato prima della scadenza del termine per la presentazione delle domande di partecipazione al concorso medesimo»);
gli studenti di medicina fin dagli inizi sono ben consapevoli che, nonostante la lunghezza del loro iter formativo, sei anni sono del tutto insufficienti ad avere assicurata la competenza necessaria per essere buoni professionisti, e proprio per questo diventa per loro impossibile trovare lavoro senza una ulteriore specializzazione. Si crea così un'ansia da prestazione che li spinge a cercare di ottenere i titoli necessari per entrare nella scuola di specializzazione scelta, sacrificando la fondamentale preparazione generale e investendo il loro tempo in tirocini specifici, dedicandosi soprattutto agli esami che influiscono sul punteggio di accesso alla specializzazione, cercando di collaborare all'attività scientifica nell'area di riferimento, per poter avere qualche pubblicazione che dia punteggio;
lo scollamento che si crea tra preparazione generale e preparazione specifica fin dai primi anni non contribuisce a dare loro una preparazione armonica e completa; sembrano spesso dei minispecialisti fin dai primi anni; in tal senso non sono aiutati dalle attuali modalità di accesso alle scuole di specializzazione, che esigono a priori obiettivi che dovrebbero rappresentare il core curriculum proprio della scuola di specializzazione. L'eccessiva specificità dei titoli di accesso alla scuola di specializzazione obbliga gli studenti a sacrificare la preparazione generale in una rincorsa prematura verso obiettivi che comunque raggiungeranno una volta entrati nella scuola scelta;
inoltre, accade che gli studenti una volta laureati incontrino una situazione penalizzante nell'accesso alle scuole di specializzazione, sia quelli che si laureano a luglio (i primi, spesso i più motivati e brillanti, devono attendere almeno 9 mesi) sia quelli che si laureano nell'ultima sessione in corso (devono attendere almeno 12 mesi prima di poter sostenere l'esame di accesso alla scuola di specializzazione);
in relazione a tali problematiche sono stati presentati atti di sindacato ispettivo rimasti in parte senza risposta come ad esempio l'interrogazione n. 3-01876;
il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha evidenziato come è solo in parte possibile armonizzare le tre sessioni di laurea di ciascun anno accademico con le due sessioni annuali dell'esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio della professione medica e con il

concorso per l'ammissione alle scuole di specializzazione mediche che si tiene una volta l'anno;
si rende necessario progettare un cambiamento di passo in coloro che attualmente si occupano della formazione dei medici. Cogliere le nuove sfide formative è la responsabilità a cui non ci si può sottrarre se si vuole continuare a garantire un'assistenza di qualità ai malati, tenendo conto delle nuove competenze indispensabili per un corretto esercizio della professione medica, in ospedale come sul territorio, nell'area della prevenzione come in quella della cura e della riabilitazione, con una nuova responsabilità sul piano economico-organizzativo;
sarebbe opportuno inoltre assumere iniziative per ridurre il tempo che intercorre tra la tesi di laurea e l'esame di abilitazione, riportando il tirocinio valutativo di tre mesi nell'arco dei sei anni previsti dal piano di studi della facoltà di medicina e anticipando la prova finale con domande a scelta multipla, sull'intero curriculum prima della difesa della tesi. In tal modo gli studenti potrebbero laurearsi e abilitarsi all'esercizio della professione nella stessa sessione di esami. Diventerebbe così più agevole l'iscrizione ai concorsi per l'ammissione alle scuole di specializzazione in medicina, che potrebbe essere collocata nell'ottobre dell'anno di laurea, evitando dispersioni di tempo e consentendo ai medici di completare il loro iter formativo, già lungo, in 11 anni, 6 anni per laurearsi più cinque anni per specializzarsi. In tal modo l'ingresso effettivo nella professione potrebbe avvenire per i più diligenti intorno ai 30 anni,


impegna il Governo:


ad aumentare il numero di posti disponibili per accedere alla facoltà di medicina e chirurgia, visto il numero crescente di immatricolazioni e di richiesta di iscrizioni;
a ripensare i criteri di selezione degli aspiranti medici in modo da non delegare l'onere della prova solo ai quiz con domande a scelta multipla;
a valutare la possibilità di inserire una graduatoria regionale tra coloro che affrontano gli esami di ammissione per evitare che vengano esclusi in una sede, quanti a parità di punteggio sono ammessi in altra sede. La graduatoria regionale potrebbe ridurre i costi di tipo logistico a carico delle famiglie;
a favorire l'accesso alle scuole di specializzazione attraverso un effettivo ampliamento dei posti disponibili e una comunicazione più chiara e tempestiva dei posti rimasti vacanti, permettendo ai giovani medici di inserirsi nelle graduatorie che restano incomplete, così come più volte richiesto in atti di sindacato ispettivo;
ad attuare una urgente revisione delle procedure che istruiscono la Programmazione dei posti di specializzazione da mettere a bando, definita dal Ministero della salute, sentita la Conferenza Stato - regioni, che dovrebbe essere quanto più aderente alle reali esigenze di professionalità nel territorio nazionale, al fine di non incorrere in un futuro prossimo nella spiacevole situazione in cui versano alcuni Paesi dell'Unione europea, Gran Bretagna in testa, che necessitano di reperire professionalità mediche in altri Paesi;
ad assumere le iniziative di competenza per ridurre il tempo che intercorre tra la tesi di laurea e l'esame di abilitazione, riportando il tirocinio valutativo di tre mesi nell'arco dei sei anni previsti dal piano di studi della facoltà di medicina e anticipando la prova finale con domande a scelta multipla, sull'intero curriculum prima della difesa della tesi.
(1-00927)
«Binetti, Calgaro, Nunzio Francesco Testa, De Poli, Anna Teresa Formisano, Mondello, D'Ippolito Vitale, Delfino, Compagnon, Ciccanti, Volontè, Tassone».

Risoluzione in Commissione:

La Commissione VII,
premesso che:
il decreto legislativo n. 1277 del 1948 introduce nel comparto dell'istruzione italiano il profilo dell'insegnante tecnico pratico (ITP) il cui titolo di accesso all'insegnamento è il diploma quinquennale;
ai sensi dell'articolo 5 della legge 124 del 1999 viene riconosciuta al profilo dell'insegnante tecnico pratico piena autonomia e completa priorità di voto sia in sede di valutazione sia nelle operazioni di scrutinio, dotando lo stesso di registro personale, al pari degli altri docenti;
al profilo dell'insegnante tecnico pratico viene affidata la responsabilità di conduzione delle attività di laboratorio nelle istituzioni scolastiche secondarie di secondo grado, dapprima in piena autonomia e successivamente, con ore parziali, in compresenza riconoscendogli, giuridicamente ed economicamente, il ruolo e la dignità di «docente»;
le attività didattiche cosiddette «tecnico-pratiche», ancorché in compresenza, si svolgono nei laboratori alla presenza di un assistente tecnico di laboratorio che non appartiene al profilo docente ma al personale ATA, al quale spetta di provvedere alla preparazione del materiale e degli strumenti per le esperienze didattiche e per le esercitazioni pratiche nonché al riordino e alla conservazione del materiale e delle attrezzature tecniche, mentre la conduzione dell'attività didattica è esclusiva competenza dell'insegnante tecnico pratico nella sua funzione e ruolo di docente;
il profilo di insegnante tecnico pratico opera in sinergia, e mai in subordine né gerarchico né funzionale, col docente teorico, condividendo, insieme, strumenti, criteri ed obiettivi sia didattici che valutativi;
l'insegnante tecnico pratico in virtù dei livelli operativi succitati, si configura come un profilo appartenente al ruolo docente e non va confuso con la figura dell'assistente di cattedra soppressa fin dal 1999, o con quella dell'assistente tecnico, appartenente al ruolo ATA (ausiliari, tecnici, amministrativi);
agli aspetti suindicati si aggiunge il portato dei regolamenti di riordino dei licei, degli istituti tecnici e degli istituti professionali emanati in data 15 marzo 2010, che ha comportato una riduzione del quadro orario delle ore di laboratorio determinando dei riflessi critici in capo a questa categoria di insegnanti con la conseguenza di condizionare notevoli esuberi nel personale di ruolo e precludendo ogni possibilità di accesso ai docenti della tabella C, che da anni vengono arruolati con contratto a tempo determinato;
il riordino del sistema dell'istruzione secondaria superiore ha previsto che gli istituti professionali, così come gli istituti tecnici e i licei, possano rilasciare esclusivamente diplomi di istruzione secondaria superiore ai termine di un percorso di 5 anni; in questo scenario ciascuna regione ha definito un nuovo sistema regionale di istruzione e formazione professionale (IeFP), al fine di consentire agli studenti di conseguire una qualifica professionale in un percorso triennale;
il suindicato istruzione e formazione professionale in alcune realtà territoriali risulta inefficace ai fini di una svolta significativa dell'attività di laboratorio atta a salvaguardare il ruolo e la dignità degli insegnanti tecnico pratici;
è opportuno evidenziate che la ricollocazione del personale a classe di concorso in esubero, appartenente a tale categoria negli uffici tecnici previsti nell'istruzione tecnica e professionale, ai sensi della circolare ministeriale n. 63 del 13 luglio 2011 avente ad oggetto «Anno scolastico 2011/2012 adeguamento degli organici di diritto alle situazioni di fatto», non è sufficiente a garantire e salvaguardare il posto di lavoro;

ai sensi del comma 81 dell'articolo 4 della legge n. 183 del 2011 è previsto che «negli istituti di secondo grado ove sono presenti insegnanti tecnico pratici in esubero, è accantonato un pari numero di posti di assistente tecnico» declassando, di fatto, tale figura professionale indirizzandola verso un'area e un profilo che non gli compete e in evidente conflitto con lo stato giuridico dell'insegnante tecnico pratico, la cui funzione docente è ampiamente declamata nei riferimenti normativi citati in premessa;
alla suindicata criticità si aggiungono le incertezze in capo alla medesima categoria alimentate dalla mancata definizione di disposizioni che riconoscano l'accesso al tirocinio formativo attivo, di cui al decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 10 settembre 2010, n. 249, per gli insegnanti tecnico pratici non abilitati ancorché in possesso di titoli di servizio atti a comprovare l'esperienza maturata nell'insegnamento ed inseriti in III fascia d'istituto,


impegna il Governo:


a consentire, attraverso specifiche iniziative, anche normative, il mantenimento e l'estensione degli incarichi in compresenza presso tutti gli istituti con indirizzi liceali, professionali e dell'istruzione e formazione tecnica superiore, anche mantenendo le risorse di organico funzionale nella scuola di titolarità;
ad adottare iniziative atte ad estendere l'obbligatorietà dell'Ufficio tecnico negli indirizzi per i quali tale obbligo non sussiste;
a promuovere l'abrogazione del comma 81 dell'articolo 4 della legge n. 183 del 2011 il cui portato ad avviso dei firmatari del presente atto mortifica l'intera categoria dei docenti insegnanti tecnico-pratici, e mantiene dei profili di dubbia legittimità giuridica;
a predisporre ogni opportuna iniziativa volta ad affrontare le problematiche afferenti ai docenti tecnico-pratici non abilitati per i quali non è stato ancora previsto nessun percorso abilitante e a intervenire sulle modalità di accesso al tirocinio, prevedendo un accesso diretto allo stesso per quei docenti di ogni ordine e grado, ivi compresi insegnanti tecnico pratici ed ex diplomati di istituti e scuole magistrali (operativi presso la scuola dell'infanzia e primaria), considerati privi di abilitazione, che abbiano maturato almeno 360 giorni di servizio.
(7-00807)
«Granata, Di Biagio, Barbaro, Muro».

...

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:

SCILIPOTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il tribunale per i minorenni di Roma con provvedimento del 14 dicembre 2011 ha disposto il collocamento di una minore, che ha compiuto sette anni il 17 dicembre 2011, presso una casa famiglia, in ragione delle conflittualità esistenti tra il padre e la madre;
la bambina è stata ingiustamente ed avventatamente strappata all'affetto della madre, avallando il tribunale per i minorenni di Roma, presidente dottoressa Carmela Cavallo, quanto dichiarato dal servizio sociale del IV municipio di Roma;
il giudizio del servizio sociale, circa il fatto che la minore, a causa della conflittualità dei genitori, potesse trovarsi in una «condizione di grave rischio evolutivo», avrebbe indotto il tribunale per i minorenni ad allontanare la bambina e collocarla in una casa famiglia, nonostante la madre fosse una persona per bene, avesse

una casa, non risultasse essere criminale, tossicomane o violenta e, soprattutto, avesse un ottimo rapporto con la figlia minore;
la piccola ha patito, in maniera drastica e radicale, l'allontanamento dalla madre, dai nonni materni, dalla scuola, dalle maestre suore e dai suoi compagnetti;
alla madre è permesso di sentire e vedere la propria figlia solo una volta alla settimana;
la bambina disperata ogni qual volta sente e vede la madre esprime vivamente il desiderio di tornare a casa;
dopo quattro mesi il tribunale per i minorenni di Roma, pur essendo a conoscenza dello stato psico-fisico della bambina, assolutamente incompatibile con il collocamento presso la casa famiglia, avrebbe omesso di adottare provvedimenti nell'interesse esclusivo della minore;
ad avviso dell'interrogante, il collocamento della minore presso la casa famiglia, per le motivazioni adottate dal tribunale per i minorenni (conflittualità dei genitori), appare inadeguato e sproporzionato in relazione a quanto risulta agli atti;
ad avviso dell'interrogante, appaiono incomprensibili le modalità in base alle quali il tribunale per i minorenni di Roma e il presidente, dottoressa Cavallo, hanno mantenuto l'allontanamento della minore dai genitori in assoluto contrasto con il bene supremo della bambina, che manifesta ed esterna sofferenza ed inadeguatezza all'interno della casa famiglia;
detta vicenda scaturisce, a giudizio dell'interrogante, dalla relazione degli assistenti sociali del comune di Roma;
il tribunale per i minorenni di Roma ha avallato, senza accertare approfonditamente la situazione della minore, relazioni dei servizi sociali e disposto il collocamento della minore, solo perché i genitori sono conflittuali;
all'interrogante pare che, sull'intero territorio italiano, siano sempre più frequenti i casi in cui gli assistenti sociali propongono, senza altre alternative, l'allontanamento dei minori dalle famiglie, anche in assenza di situazioni estreme e problematiche;
la tutela della maternità e della paternità significa, anche, a giudizio dell'interrogante, operare attivamente per creare le condizioni più idonee all'inserimento dei minori nella famiglia di provenienza ancor prima di individuare nuove e inadeguate collocazioni -:
se siano a conoscenza delle vicende narrate;
se il Ministro della giustizia ritenga opportuno valutare la sussistenza di presupposti per l'avvio di iniziative ispettive presso il tribunale dei minori di Roma;
se e quali iniziative normative intendano assumere al fine di far cessare il frequente ripetersi di episodi nei quali il ruolo svolto dagli assistenti sociali risulta essere preponderante nella decisione di collocare un minore e, in particolare, al fine di introdurre criteri e meccanismi certi tali da eliminare l'alto tasso di discrezionalità che determina tali scelte.
(4-15303)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
all'inizio del 2007 la signora A.V.I., nata a Botosani (Romania) il 31 dicembre del 1969, separata e madre di un ragazzo oggi sedicenne, decide di venire a svolgere l'attività di badante in Italia;
nel primo anno la donna cambia un paio di posti di lavoro, fino a che, nel dicembre del 2007, viene assunta dal signor L.R. per assistere la madre, signora P.I., vedova ottuagenaria che vive in Albano Laziale. L'anziana è cardiopatica, in

pessime condizioni di salute generali, al punto da aver spesso necessità dell'ausilio di un respiratore ad ossigeno, e quindi non può vivere da sola;
la signora P.I. desidererebbe abitare con il figlio Luciano, e quindi non gradisce la presenza della badante, con la quale è invece obbligata a vivere a stretto contatto, in una casa di soli 40 metri quadrati, dividendo la stessa camera da letto. Questo provoca qualche screzio tra le due donne ed una situazione non felice per la signora A.V.I., che già affronta con depressione la lontananza dal figlio (all'epoca dodicenne) e la mancanza di rapporti sociali, dato che il nuovo lavoro la allontana dai pochi amici/conoscenti che si è fatta durante la precedente permanenza a Roma. Tanto che alla fine, nonostante le necessità economiche, è decisa a risolvere il rapporto di lavoro non appena la famiglia troverà una persona per la sua sostituzione;
nel contesto sopra descritto, la sera del 7 gennaio 2008, la I. viene colta da un malore mentre è intenta a fare le proprie abluzioni, attività che vuole svolgere assolutamente sola, senza l'ausilio della badante, la quale sente un tonfo e un lamento, si reca subito in bagno e trova l'anziana in terra con una ferita al mento che sanguina copiosamente. L'aiuta a rialzarsi, la tampona con una spugnetta e la conduce, sia pure con fatica, nella loro camera, adagiandola sul letto in posizione seduta, al fine di facilitarne la difficoltosa respirazione. Prende la bombola dell'ossigeno e glielo somministra. Nel frattempo la signora I. le chiede di cambiarsi le mutandine, poiché si è sporcata, e Adriana l'aiuta per farla rasserenare e sentire a suo agio. La situazione sembra sotto controllo quando, durante l'operazione di cambio, l'anziana inizia improvvisamente a perdere sangue dal naso. A questo punto, vincendo le resistenze manifestate dalla donna, A.V.I. decide di avvisare il figlio, ma mentre si allontana dal letto per porsi al telefono, questa perde i sensi e scivola in terra. A.V.I. si dispera, la chiama ripetutamente e alla fine, in stato di agitazione, allarma il figlio della donna, il quale giunge sul posto circa 15 minuti dopo e a breve distanza, alle ore 22,40 circa, giungono i medici del 118, i quali ritrovano la signora P.I. in terra, immobile. Il corpo, dislocato orizzontalmente fra i due letti della piccola camera, privo di vesti ad eccezione di una mutandina calata alle ginocchia, presenta alcune ecchimosi ed una evidente ferita al mento;
il personale paramedico, in particolare l'infermiere A.M., tenta di rianimare l'anziana con il defibrillatore (risultato inutilizzabile per assenza di attività cardiaca) e poi praticandole un massaggio cardiaco per circa un minuto. Constatato l'esito negativo delle prime manovre, gli infermieri caricano il corpo sull'ambulanza, dove, per tutta la durata del tragitto (cinque minuti circa), A.M. continua a praticare il massaggio cardiaco. Anche questo secondo prolungato intervento si rivela inutile e, giunti presso l'ospedale di Albano Laziale, viene dichiarata la morte della signora P.I.;
nel frattempo, il figlio L. e la sua compagna, da poco sopraggiunta sul posto, iniziano una sorta di interrogatorio nei confronti della badante, la quale, in evidente stato confusionale (tanto per lo shock quanto per il fatto che, come poi si accerterà, aveva bevuto qualche bicchiere di troppo, tenta senza successo di chiarire i loro dubbi. Interpellata sulla presenza di alcune macchie di sangue in terra, spiega come la signora I. lo abbia perso dal naso e dalla ferita, e si accinge a pulirle. Quasi contemporaneamente intervengono i carabinieri di Albano, i quali compiono i primi rilievi e, constatando lo stato confusionale e l'alito vinoso di Adriana, la accompagnano presso l'ospedale locale dove le viene rilevato un elevato tasso alcolemico nel sangue;
A.V.I. viene immediatamente sospettata di aver malmenato la signora P.I. e posta in stato di fermo. A questa ricostruzione giungono senza dubbi i carabinieri di Albano Laziale, sollecitati dalle dichiarazioni del figlio e della sua compagna, e

dalla circostanza che l'anziana avesse diversi lividi sul corpo. Ancor prima di iniziare le indagini la badante viene bollata nel verbale di fermo come «scontrosa e violenta» e, data l'ubriachezza, certamente colpevole; a dimostrazione del frettoloso assunto si indica anche il fatto che abbia ripulito il sangue da terra, gesto che, per quanto compiuto dinanzi al figlio della defunta, è ritenuto indice dell'intento di celare il reato;
la tesi dell'omicidio si insinua quindi da subito negli inquirenti, ancor prima che il medico legale abbia chiarito le cause della morte. A rafforzare il quadro arrivano le prime conclusioni dell'autopsia (che dovranno poi confermate e approfondite con il deposito della consulenza) effettuata dal dottor Gian Luca Marella, dell'università di Tor Vergata, il quale - in perfetta corrispondenza con quanto descritto nel verbale di fermo - ricostruisce le cause della morte come conseguenza di un quadro «fratturativo costale e lesivo cardiaco» provocato da una serie ripetuta di colpi cagionati da una «superficie di ridotte dimensioni compatibile con calci e pugni». I carabinieri, a questo punto, sentono a sommarie informazioni i paramedici intervenuti e fra questi l'infermiere professionale A.M., il quale a domanda degli inquirenti risponde: «Con il massaggio cardiaco che gli ho praticato sono sicuro di non aver provocato lesioni di alcun genere»;
lo stesso giorno, il pubblico ministero presso il tribunale di Velletri, dottor Patrone, competente per territorio, avanza richiesta di custodia cautelare in carcere nei confronti della badante, dopodiché la donna viene condotta dinanzi al giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Velletri, dottoressa Nicotera, per la convalida del fermo e per decidere sulla richiesta di misura cautelare avanzata dal pubblico ministero;
A.V.I., assistita da un avvocato d'ufficio che incontra per la prima volta al momento della convalida dell'arresto, viene interrogata e reclama la sua innocenza. Sostiene di non aver picchiato la povera signora I., ma, al contrario, di averla soccorsa e di aver fatto tutto il possibile per aiutarla. Il giudice non le crede e, con una manciata di pagine scritte a penna, stila un'ordinanza di custodia cautelare che la ritiene gravemente indiziata di omicidio volontario, sancendone la pericolosità sociale, nonostante sia incensurata e priva di precedenti penali; peraltro l'indagata è straniera, «senza fissa dimora e senza fisso lavoro» e, quindi, non c'è altra misura adeguata se non il carcere atteso che certamente ricorre anche il pericolo di fuga;
la prosecuzione delle indagini, effettuate con diverse metodiche scientifiche, accerta la presenza di diverse macchie ematiche fra il bagno, la cucina e la camera da letto della piccola casa, tutte appartenenti alla deceduta, nonché una spugnetta ed uno straccio sporchi di sangue. Inoltre si trova una mutandine intrisa di feci all'interno del lavabo, a conferma di quanto spiegato da A.V.I. circa la sostituzione dell'indumento;
le ulteriori investigazioni effettuate dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria non aggiungono molto al quadro, a parte accertare che fra l'imputata e l'anziana donna vi fossero rapporti insoddisfacenti per entrambe, tanto che sia l'una che l'altra avevano deciso di interrompere il rapporto di lavoro dopo solo due settimane. Viene sentita l'unica testimone (sia pure non oculare) della vicenda, la signora M., vicina di casa, che narra di aver sentito attraverso le sottili pareti solo i lamenti flebili di una voce quasi infantile;
a fronte di questo quadro complessivo, A.V.I. resta in carcere e dopo tre mesi viene trasferita nell'istituto penitenziario di Lecce. Completamente isolata da tutti, perde i contatti anche con quei pochi conoscenti che avrebbero potuto visitarla a Roma. La famiglia è lontana, il figlio non sa nulla e la donna non riceverà mai una visita che non sia di un legale;
dopo circa un anno si arriva al rinvio a giudizio dinanzi la corte di assise di

Frosinone, competente per territorio. Il processo ha inizio veramente solo nell'aprile del 2009 e si protrae con vari rinvii per sei mesi in cui vengono sentiti tutti i testimoni d'accusa. Adriana non ha testimoni a discarico ad eccezione di se stessa e di un consulente medico legale che però non si presenterà mai in udienza, probabilmente perché non ci sono i soldi per pagarlo. L'avvocato di fiducia nominato nel frattempo sembra non riesca a fare di più. La corte di assise, nonostante l'assenza di un consulente della difesa, non ritiene di dover incaricare una perizia medico legale. Le cause della morte indicate dal dottor Marella, per quanto poco convincenti, accontentano pienamente il collegio giudicante. Anche i dubbi circa la possibilità che le fratture costali siano state provocate dal massaggio cardiaco sono definitivamente fugati: lo ribadisce in aula l'infermiere M. e lo esclude il dottor Marella il quale dichiara che non vi sono casi di frattura alle costole simili a quelle riscontrate sulla vittima;
nel frattempo la donna ribadisce inutilmente la propria innocenza, spiegando con maggiore precisione quanto accaduto, anche grazie alla migliore comprensione della lingua italiana sviluppata nell'oltre anno e mezzo passato nelle nostre carceri. [Ma questo non cambia il risultato, anzi, il presidente sembra aver fretta di chiudere il processo];
il 14 ottobre 2009 A.V.I. viene condannata dalla corte di assise di Frosinone a 14 anni di reclusione per omicidio volontario. La motivazione depositata il 31 dicembre 2009 ricostruisce così la vicenda: l'imputata, dati i rapporti deteriorati con la vittima, si adira senza freno in preda all'ebbrezza e la picchia selvaggiamente per alcuni minuti fino a giudizio dell'interrogante a provocarne la morte. L'assenza di un serio movente è superata con la mancanza di controllo a cagione dell'alcool; l'assenza di lesioni mortali è superata con lo stratagemma del dolo eventuale, formula giuridica che consente alla Corte di superare gli evidenti problemi che la consulenza del pubblico ministero ha lasciato aperti: Adriana, conoscendo il precario stato di salute della I., picchiandola ha accettato il rischio che morisse nonostante nessuna delle lesioni inferte fosse di per sé mortale;
nonostante la condanna, A.V.I. non perde la forza di andare avanti. Nomina un nuovo avvocato disponibile a difenderla con il patrocinio a spese dello Stato e lo incarica di proporre appello. Il nuovo legale Adriana riesce a reperire un consulente tecnico di parte, professor Francesco Raimondo, [disposto ad interessarsi al caso malgrado l'asseta di denaro immediato (anche il consulente sarà pagato con il patrocinio a spese dello Stato)]; il quale condivide subito i dubbi sollevati dal difensore dell'imputata è approfondisce la questione;
il consulente tecnico di parte, dopo aver studiato il caso, stila un elaborato peritale dai risultati dirompenti: la signora P.I. non può essere morta per le lesioni alle costole e al cuore, poiché sia le prime che le seconde sono avvenute post mortem. Il dato è testimoniato con tutta evidenza dal fatto che tanto dall'elaborato quanto dalle fotografie scattate in sede autoptica si evince che le fratture costali sono prive di infiltrazione (sanguinamento): la responsabilità della rottura è quindi da ascriversi al massaggio cardiaco;
alla luce delle nuove risultanze medico legali e di un esame più approfondito delle prove raccolte, la difesa stila il suo atto di appello, nel quale si chiede l'assoluzione dell'imputata o, quantomeno, la riapertura del dibattimento per effettuare una seconda, più approfondita, perizia medico-legale;
il 28 ottobre 2010 ha inizio il processo di appello. Il procuratore generale, in pochi minuti, avanza richiesta di conferma della sentenza; la difesa insiste per la riapertura del dibattimento ai fini dell'espletamento di una nuova perizia; richiesta che viene accolta dalla Corte;
la perizia viene affidata al professor Giulio Sacchetti, ordinario di anatomia

patologica all'università di Tor Vergata. La mattina del 23 novembre successivo vengono sentiti il consulente della difesa ed il perito della Corte. Il risultato della perizia è sconvolgente: non solo si accerta che le fratture costali patite dalla vittima sono state provocate dal massaggio cardiaco, ma il perito è in grado di dire con certezza che la signora P.I. è morta di infarto del miocardio, come testimoniano i vetrini dei tessuti raccolti dal consulente del pubblico ministero in sede autoptica. La prova dell'innocenza dell'imputata era già a disposizione del dottor Marella tre anni prima, ma era stata ignorata o comunque il consulente non era stato in grado di interpretare elementi scientifici certi e chiari. Inoltre, contrariamente a quanto affermato dal dottor Marella, emerge che i lividi imputati al pestaggio non sono di formazione coeva - e quindi non possono essere ricondotti ad una violenza esercitata sull'anziana il giorno dei fatti - e che la maggior parte di essi è stata determinata dalla caduta e da manovre di afferramento, compatibili con le operazioni di sollevamento da terra della signora I.;
dinanzi al risultato lapidario della perizia, la pubblica accusa cambia atteggiamento e chiede l'assoluzione dell'imputata. Dopo una breve discussione riassuntiva della difesa della donna, la Corte si ritira in camera di consiglio e dopo meno di cinque minuti esce con il verdetto assolutorio con la formula «il fatto non sussiste»;
la notizia dell'assoluzione di A.V.I. dall'accusa di omicidio viene ampiamente diffusa dalla stampa italiana e romena;
il 6 luglio 2011, A.V.I. presenta istanza di riparazione per l'ingiusta detenzione patita chiedendo la corresponsione di una somma che tenga conto sia del cosiddetto «parametro statico» (ricavato dagli articoli 314 e 315 codice procedura penale), rappresentato dalla considerazione del tempo effettivo di compressione della libertà (2 anni, 11 mesi, 15 giorni), sia del cosiddetto «parametro dinamico» (ex comma 1 codice di procedura penale), che impone di procedere ad adeguamenti del dato aritmetico, valorizzando le conseguenze personali e familiari scaturite dalla limitazione della libertà personale; somma che equitativamente viene quantificata dal suo legale in 398.000,00 euro totali (248.000,00 euro dovuti, secondo un calcolo puramente aritmetico, a titolo di ristoro per la privazione della libertà di circa tre anni ed euro 150.000,00 a titolo di riparazione dell'ulteriore pregiudizio morale e materiale);
l'udienza di riparazione viene fissata per il giorno 3 novembre 2011, dinanzi la corte di appello di Roma, sezione quarta penale. Il procuratore generale chiede l'accoglimento della domanda «nei limiti di legge», rimettendosi cioè per il computo del «quantum» al giudice della riparazione. La Corte si riserva e, a distanza di pochi giorni, con ordinanza depositata in data 8 novembre 2011, pur riconoscendo pacificamente l'esistenza del diritto di A.V.I. ad ottenere l'indennizzo, liquida la minor somma di 210.000,00 euro in quanto la donna, a parere dei giudicanti, pur essendo evidentemente vittima di un errore giudiziario, avrebbe contribuito con colpa lieve a cagionare la sua carcerazione. Ed invero, per la corte di appello di Roma, il fatto che la donna avesse bevuto e poi ripulito il sangue da terra davanti a tutti, avrebbe indotto i giudici di primo grado a credere che fosse colpevole, il che è motivo di riduzione dell'indennizzo. Su tutto il resto, ossia sulla circostanza che tali tanto criticate condotte siano state interpretate dai giudici sulla base (e solo sulla base) dell'esistenza di un omicidio mai avvenuto, il giudice della riparazione nulla dice;
A.V.I. decide di accettare l'indennizzo senza ricorrere in Corte di Cassazione, atteso che tale somma le consente perlomeno di tornare a casa da suo figlio e di non dover più lavorare all'estero per garantirgli una vita dignitosa. Attendere mesi, forse anni, per affrontare un giudizio di cassazione e, in caso di vittoria, un

giudizio di rinvio, le provocherebbe un pregiudizio maggiore del contenuto dell'ordinanza;
al contrario della donna, però, l'Avvocatura dello Stato, non appena ricevuta la notifica formale della condanna al pagamento, propone ricorso per Cassazione avverso l'ordinanza di riparazione, chiedendo che la decisione della corte di appello venga annullata per errore di diritto ed illogicità della motivazione: secondo il Ministero dell'economia e delle finanze, infatti, A.V.I. non avrebbe diritto a nulla, avendo indotto, con colpa grave, i giudici in errore a cagione della sua condotta; o al massimo dovrà essere indennizzata in maniera assai minore;
il ricorso, peraltro tutto basato sulla più restrittiva e datata (primi anni '90) giurisprudenza della Corte di Cassazione, è inficiato da un dato fondamentale: il Ministero dell'economia e delle finanze, o meglio l'Avvocatura dello Stato che lo rappresenta, tace in ogni sua parte la vicenda dell'omicidio inesistente e di un'assoluzione per insussistenza del fatto. Anzi, di fatto ribalta la questione e arriva a sostenere la prevalenza di un comportamento doloso di Adriana sul marchiano errore medico legale, che non viene tenuto in alcuna considerazione. In buona sostanza lo Stato, ad avviso degli interroganti in violazione dei più elementari doveri di correttezza ed imparzialità cui deve essere improntata ogni azione della pubblica amministrazione, omette di indicare le cause della detenzione di Adriana, invocando, però, la presunta violazione della «lealtà civica» da parte della signora A.V.I. stessa. Una lealtà che sembra non conoscere, vista la redazione di un ricorso infondato e dilatorio, teso ad ostacolare o comunque ritardare il pagamento di chi ingiustamente ha patito tre anni di detenzione per l'incuria - o peggio il pregiudizio - di magistrati e consulenti;
visto il comportamento processuale della controparte, anche la signora A.V.I. si convince a proporre ricorso per Cassazione, chiedendo l'integrale accoglimento della domanda originaria;
ad oggi la Corte di Cassazione non ha ancora comunicato alle parti la data di trattazione dei ricorsi -:
se il Governo sia a conoscenza dei fatti illustrati e quali passi siano stati compiuti per avere piena consapevolezza dell'intera vicenda;
se non si ritenga doveroso esaminare favorevolmente l'istanza rivolta da A.V.I. volta ad ottenere un congruo indennizzo proporzionato al danno subito per un acclarato errore giudiziario costato anni di immotivata detenzione e un incontestabile danno materiale e morale;
se il Governo non intenda intervenire per correggere la linea di condotta processuale fin qui tenuta nel procedimento per la riparazione dell'ingiusta detenzione promosso dalla signora A.V.I. in particolare se non si intenda rinunciare al ricorso in Cassazione presentato avverso l'ordinanza n. 637/11 emessa dalla corte di appello di Roma in data 3 novembre 2011 con la quale è stato riconosciuto il diritto di A.V.I. ad ottenere l'indennizzo per il periodo di ingiusta detenzione intercorso tra l'8 gennaio 2008 e il 23 novembre 2010.
(4-15308)

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ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:

SCHIRRU, GNECCHI e DAMIANO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. - Per sapere - premesso che:
con l'interrogazione n. 4-08282 del 30 luglio 2010 è stato già sottoposto all'attenzione del Governo il tema del conferimento degli incarichi dirigenziali presso le Agenzie fiscali, e in particolare presso l'Agenzia delle entrate, rilevando che, con sempre maggiore frequenza, l'assegnazione dei predetti incarichi avvenga

in modo non conforme ai princìpi costituzionali di uguaglianza innanzi alla legge, buon andamento, imparzialità ed accesso all'impiego nella pubblica amministrazione mediante concorso;
è palese che un tale reiterato comportamento produce non solo situazioni di dubbia legittimità ma anche un pericoloso disordine nella gestione del personale, in quanto mortifica le aspettative di tutti coloro che sono da anni idonei alla dirigenza ed eleva, a quest'ultimo rango, professionalità spesso finanche prive del diploma di laurea o in possesso di una limitatissima anzianità di servizio o non risultate idonee a precedenti procedure concorsuali per la dirigenza stessa, ovvero completamente estranee alla pubblica amministrazione, senza che questa sia priva, al suo interno, delle corrispondenti capacità;
con la precedente interrogazione era stato auspicato che, in attesa dell'indizione di nuovi concorsi, fosse riconosciuta la qualifica dirigenziale a coloro che erano risultati idonei nelle procedure concorsuali già espletate e le cui graduatorie erano, al momento, ancora valide ed efficaci, al fine non soltanto di dare il giusto riconoscimento alla professionalità di migliaia di pubblici impiegati, acquisita dopo molti anni di impegno lavorativo ed il superamento di una o più prove concorsuali, ma anche di realizzare, nel rispetto dei principi di economicità, efficacia ed efficienza dell'azione pubblica, un evidente risparmio di spesa; allo stesso tempo, con queste modalità si rilevava che si sarebbe potuto contrastare il fenomeno, purtroppo largamente diffuso dell'assegnazione disordinata di incarichi dirigenziali in favore di funzionari non dirigenti e/o professionalità esterne alla pubblica amministrazione;
recentemente con l'articolo 8, comma 24, del decreto-legge n. 16 del 2012 si è dato luogo a una vera e propria «sanatoria» concernente gli incarichi dei funzionari-dirigenti a contratto dell'Agenzia delle entrate. Sul punto va segnalato che, nel corso del 2011, il Tar del Lazio ha sancito l'illegittimità del conferimento di oltre 700 incarichi dirigenziali a funzionari interni, senza concorso, per coprire più dei due terzi della dotazione organica. La questione pende ancora davanti al Consiglio di Stato;
da anni nelle Agenzie fiscali, in particolare nell'Agenzia delle entrate, vige un sistema di attribuzione degli incarichi dirigenziali che non garantisce, a giudizio dell'interrogante, l'imparzialità e la trasparenza -:
se il Governo ritenga opportuno assumere iniziative, anche normative, per il superamento delle criticità di cui in premessa riguardanti gli incarichi dirigenziali delle agenzie fiscali e, in particolare, dell'Agenzia delle entrate, assicurando che sia garantito il rispetto dei princìpi di accesso tramite concorso, di buon andamento e di efficienza delle pubbliche amministrazioni e che siano immessi in ruolo solo funzionari e dirigenti che abbiano i requisiti di legge per l'esercizio della funzione.
(5-06384)

Interrogazione a risposta scritta:

BERGAMINI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato dalla stampa locale, il taglio degli uffici pubblici e il conseguente accorpamento dei servizi rischia di colpire, dopo l'ufficio del giudice di pace, anche l'Agenzia della dogana di Viareggio;
è stato prospettato l'accorpamento dell'Agenzia della dogana di Viareggio con quella di Lucca, nonostante l'attività della dogana viareggina superi notevolmente quella di Lucca, per la presenza degli intensi traffici commerciali del porto;
il sindaco del comune di Viareggio, a tal proposito, si è attivato al fine di evitare l'ennesimo «taglio» che sta per coinvolgere la città, convocando il direttore della stazione della dogana viareggina per sollecitare

la presentazione di dati numerici precisi che dimostrino l'importanza che l'Agenzia della dogana riveste per l'intera città;
l'8 marzo 2012, il primo cittadino di Viareggio, ha ricevuto i rappresentanti della cantieristica viareggina e gli operatori portuali, preoccupati dalle indiscrezioni sull'accorpamento. Durante l'incontro tutti hanno concordato sul fatto che l'intensa attività con cui opera la dogana di Viareggio risulta essere nettamente superiore rispetto a quella di Lucca e che occorre considerare come spesso i criteri utilizzati per gli accorpamenti siano valutati principalmente in base a parametri di carattere geografico che spingono a concentrare i servizi in automatico sul capoluogo di provincia senza valutare i conseguenti disagi -:
se corrisponda al vero quanto esposto in premessa sull'imminente chiusura dell'Agenzia della dogana di Viareggio e sul relativo accorpamento con l'Agenzia di Lucca, e in caso affermativo, se si siano opportunamente valutate le gravi conseguenze sul piano organizzativo, economico e commerciale per la città di Viareggio, ove la presenza del porto richiede in maniera naturale la presenza di un organismo di natura pubblica, quale appunto l'Agenzia della dogana, preposto al controllo dell'entrata e dell'uscita delle merci dal territorio nazionale, sia che si tratti di materiali a seguito dei viaggiatori sia che si tratti di trasporto di merci.
(4-15304)

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INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:

ROSATO e VELO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il settore dell'autotrasporto impiega in tutta Europa direttamente 10 milioni di persone, che costituiscono il 4,5 per cento dell'occupazione totale, e genera il 4,6 per cento del prodotto interno lordo europeo;
in Italia le imprese del settore sono presenti soprattutto nel Nordest e, in particolar modo, in Veneto oggi operano oltre 30.000 lavoratori;
il mercato, in seguito alle difficoltà economiche e all'eccesso di offerta di trasporto, è colpito da una durissima crisi e dal 2008 ad oggi sono in aumento le aziende che, in particolare in Veneto, sono costrette a chiudere, in quanto non riescono a reggere la concorrenza basata sulle tariffe più basse applicate dai competitori che si affidano a pratiche sleali verso il sistema dei costi e delle regole italiane;
in un documento firmato dalla FILT-CGIL Veneto si sono segnalati casi di concorrenza sleale e di peggioramento delle condizioni di lavoro;
va ricordato che le condizioni di lavoro, se non ottimali, possono essere causa diretta di gravi incidenti stradali che mettono a rischio anche la sicurezza dei cittadini che transitano su strade e autostrade;
risulta, dalla documentazione sopra citata, che l'agenzia di somministrazione Tomasi Srl con sede a Brasov (Romania) si sia presentata ad alcune società di trasporto veneto formulando una proposta di contratto per conducenti di automezzi pesanti per cabotaggio internazionale con deroga di due giorni di cabotaggio in Italia;
il ricorso a questo contratto di somministrazione consentirebbe all'impresa utilizzatrice di corrispondere mensilmente alla società Tomasi Srl la somma concordata per la missione del lavoratore, dal valore inferiore a quello chiesto comunemente dalle agenzie italiane, in quanto comprensivo dei contributi e delle retribuzioni previste in Romania;

la società Tomasi Srl avrebbe garantito all'impresa utilizzatrice di applicare il CCNL merci e logistica vigente, fatte salve la mancata corresponsione degli istituti differiti (TFR e quattordicesima mensilità) e del monte complessivo ferie e la riduzione dell'orario di lavoro;
un ulteriore caso segnalato nella missiva della FILT-CGIL è quello relativo alla società Eurotrasporti SK s.r.o. che ha, da poco, aperto una unità locale in Slovacchia per il cabotaggio internazionale;
la ditta Eurotrasporti SK s.r.o. sottoscriverebbe contratti di lavoro secondo la normativa slovacca, con conducenti italiani adibiti al cabotaggio nazionale ed internazionale;
tale pratica consentirebbe all'impresa di prevedere legalmente nei contratti, un orario settimanale di 60 ore di lavoro, con turni irregolari di cabotaggio internazionale, per la paga mensile di 381 euro;
risulta evidente come il cabotaggio internazionale stia favorendo sempre più le società estere o italiane con unità locali estere che basano la loro aggressione al mercato su questo tipo di riduzione dei costi;
una terza prassi che pare si stia diffondendo in Europa è sintomo di questa gestione del personale peggiorativa rispetto alle condizioni di lavoro che si ritengono dovrebbero essere opportune;
risulta che molti conducenti dei Paesi non comunitari siano costretti ad effettuare i viaggi solamente a pieno carico, cosicché questi lavoratori si trovino a sostare in piazzole di sosta per lunghi periodi in attesa di ricevere disposizioni dalla società madre per il carico per il rientro;
secondo la denuncia della FILT-CGIL non è sospetto ritenere che nei giorni di attesa delle disposizioni, questi lavoratori si dedichino a viaggi giornalieri di cabotaggio nazionale;
le segnalazioni pervenute sui gravi fenomeni delle agenzie di somministrazione estere e della stipula di contratti secondo le normative dei Paesi privi di protezioni sociali o che prevedono tutele più leggere o margini più favorevoli al datore di lavoro e sul fenomeno dell'aggressione al cabotaggio nazionale sono preoccupanti per le loro possibili ricadute sul mercato delle imprese italiane, in special modo in questo momento di crisi;
tali pratiche di sfruttamento e di dequalificazione dei conducenti sono spesso anche alla base dei tanti incidenti che sempre più spesso accadono, coinvolgendo mezzi stranieri non in regola con le minime norme di sicurezza;
sono corrette le aperture dell'Unione europea indirizzate alla liberalizzazione del settore dei trasporti, a patto che evitino la creazione di fenomeni di dumping sociale basato sulle eterogenee condizioni che esistono all'interno dell'Unione e sui livelli differenti di costi e diritti;
paiono condivisibili le preoccupazioni sollevate sul futuro dell'autotrasporto italiano, in assenza di una efficace azione di contrasto alle condotte di squilibrio contrattuale -:
se le pratiche descritte in premessa siano legali avendo riguardo anche alla direttiva 96/71/CE e alla direttiva 2006/123/CE o vi siano gli estremi per stigmatizzare i casi riportati come abusi della normativa europea sul cabotaggio (regolamento (CE) n. 3118/93) o vere e proprie violazioni di legge e contrattuali;
quali iniziative il Governo intenda mettere in campo, anche in sede europea, per evitare che la competizione nel mercato dell'autotrasporto si scarichi sulle condizioni di lavoro e sulle retribuzioni dei lavoratori, specialmente dopo l'eventuale liberalizzazione del settore;
se il Governo non ritenga di intervenire con altri strumenti, ad iniziare dall'intensificarsi dei controlli, per scoraggiare

queste prassi di riduzione dei costi di trasporto a danno dei lavoratori e delle imprese italiane.
(4-15306)

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INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:

PROIETTI COSIMI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
il comma 2 dell'articolo 25 della legge 29 luglio 2010, n. 120, recante «Disposizioni in materia di sicurezza stradale», stabilisce, con riferimento ai dispositivi per il rilevamento a distanza delle violazioni, «che fuori dei centri abitati non possono comunque essere utilizzati o installati ad una distanza inferiore ad un chilometro dal segnale che impone il limite di velocità»;
la circolare del Ministero dell'interno, dipartimento della pubblica sicurezza, direzione centrale per la polizia stradale, ferroviaria, delle comunicazioni e per i reparti speciali della polizia di Stato, del 29 dicembre 2010, al punto 3 precisa: «Nel caso in cui, lungo il tratto oggetto del controllo, siano presenti intersezioni stradali che, ai sensi dell'articolo 104 del reg. C.d.S., impongono la ripetizione del segnale stradale stesso, la predetta distanza deve essere calcolata dal segnale con il quale viene ripetuto il limite di velocità dopo l'intersezione» -:
per quale motivo il prefetto di Roma non abbia sospeso o annullato i decreti che autorizzano l'uso e l'installazione degli apparecchi rilevatori di velocità (autovelox), nonostante contrastino con la legge 29 luglio 2010, n. 120, come specificatamente nel caso del comune di Arsoli, in provincia di Roma;
come e da chi dovranno essere rimborsati tutti gli automobilisti che sono stati multati in violazione della normativa dopo l'entrata in vigore della legge 29 luglio 2010, n. 120.
(5-06380)

Interrogazione a risposta scritta:

FADDA. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
diversamente dal personale delle altre specialità della polizia di Stato, quello appartenente alla polizia di frontiera sia aerea che marittima, non percepisce alcuna indennità accessoria;
il servizio di vigilanza reso dalle forze di polizia di frontiera aerea e marittima non presenta alcuna differenza rispetto al servizio reso dalle altre specialità di polizia di Stato, quali la polizia ferroviaria, postale e stradale, che per il servizio di vigilanza svolto vengono indennizzate dalle varie società private come le Poste Italiane e le Ferrovie dello Stato italiane;
si rende necessario, al fine di evitare una disparità di trattamento, adottare quei provvedimenti utili a riconoscere una indennità a tutto il personale della polizia di Stato per la specificità del servizio reso, eliminando quindi l'attuale sperequazione che non tutela certamente in eguale misura i diritti dello stesso personale;
attraverso lo strumento noto come «tax sicurezza e tax bagagli da stiva» il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti introita somme che devono essere necessariamente destinate a migliorare costantemente le condizioni di sicurezza dei sistemi aereo-portuali attraverso nuove tecnologie e il potenziamento e addestramento del personale addetto; nulla di quanto percepito dal Ministero menzionato viene destinato al personale della polizia di Stato;
alla luce di quanto richiamato, l'adozione di un qualsiasi provvedimento a favore del personale della polizia di Stato che svolge servizio di vigilanza delle frontiere aeree e marittime nazionali, non

comporta alcun onere economico per l'amministrazione e per lo Stato -:
quali iniziative urgenti e necessarie si intendano adottare al fine di eliminare l'evidente sperequazione nei confronti di questo personale impegnato a svolgere un importante e delicato servizio che è quello di garantire costantemente la sicurezza degli scali sia aerei che marittimi.
(4-15305)

TESTO AGGIORNATO AL 19 MARZO 2012

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ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:

SIRAGUSA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Per sapere - premesso che:
si fa riferimento anche ai fatti descritti nell'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06213;
in data 28 febbraio 2012 l'assessore all'istruzione della regione Sicilia, Mario Centorrino, con una nota stampa, comunica che «Il ministero dell'Istruzione ha concesso la prevista intesa alla proposta di piano di razionalizzazione e di dimensionamento della rete scolastica della Sicilia, elaborato dall'assessorato regionale. Entro pochi giorni - ha detto l'assessore Mario Centorrino - sarà definito il decreto di attuazione del piano, che sarà trasmesso all'Usr per i necessari adempimenti. Il Ministero ha preso atto di quanto deliberato dalla Regione nell'ambito della proprie autonome potestà istituzionali, evidenziando, comunque, qualora la Corte costituzionale dovesse respingere il ricorso della Regione - che rivendica a sé la determinazione dei parametri da osservare nel piano di dimensionamento - la necessità del più tempestivo allineamento ai parametri previsti dalla complessiva normativa di riferimento, e in particolare dall'articolo 19 del decreto-legge 98 del 6 luglio 2011, convertito nella legge 11 del 2011. Nel piano, al fine di consolidare l'offerta didattica e di assicurare una migliore contiguità territoriale, risultano effettuati circa 260 interventi di fusione, accorpamento e aggregazione»;
tale piano è stato approvato nonostante le proteste, di EE.LL, dirigenti scolastici, docenti e famiglie;
in particolare, si riporta di seguito il caso della mancata fusione della direzione didattica di Ganzirri e dell'I.C. «Petrarca» e la Costituzione di un Nuovo Istituto Comprensivo di Ganzirri;
con la circolare n. 28 del 5 ottobre 2011, firmata dall'Assessore Regionale Mario Centorrino e dal Dirigente Generale dell'Assessorato Ludovico Albert, si sono dettate precise disposizioni e precisi principi cui le proposte degli Enti locali dovevano ispirarsi nel proporre un loro piano di rivisitazione della rete scolastica negli ambiti territoriali di competenza;
in particolare si stabilisce che, nei casi di fusione o aggregazione di scuole del primo ciclo, nell'ottica di una valida razionalizzazione e di un riequilibrio dell'offerta scolastica sul territorio di riferimento, che preveda dimensioni ottimali per tutte le istituzioni scolastiche e la loro diffusione capillare nel territorio, va privilegiata la costituzione di Istituti comprensivi di scuola dell'infanzia, primaria e secondaria di primo grado con riferimento alla maggiore vicinanza territoriale dei plessi scolastici;
nel rispetto di tali criteri, il Consiglio di Istituto ed il Collegio dei docenti della direzione didattica di Ganzirri ha inviato al Comune le proprie delibere che suggerivano

la fusione di tale Direzione Didattica e dell'I.C. «Petrarca» e la Costituzione di un Nuovo Istituto Comprensivo di Ganzirri;
tale decisione è stata condivisa dall'amministrazione Comunale e adottata con delibera di Giunta nel mese di novembre 2011;
la proposta del Comune di Messina e la relativa delibera sono poi passate al vaglio del parere dell'Ufficio Scolastico Provinciale che l'ha fatta sua;
in occasione del tavolo Tecnico convocato dall'assessore Centorrino si è ratificata e verbalizzata l'accorpamento delle due scuole, alla presenza, peraltro, non solo degli enti locali, del provveditore e vice provveditore, del presidente del consiglio scolastico provinciale, delle organizzazioni sindacali territoriali e regionali, ma persino del Direttore generale dell'ufficio scolastico regionale;
prima di inviare il documento al Miur per l'intesa di rito, l'Assessorato Regionale ha effettuato, motu proprio e senza riconvocare il tavolo tecnico, diverse modifiche, addirittura definendo «errata corrige» la seconda tornata di modifiche, peraltro significative, al Piano approvato dal tavolo tecnico;
per esempio, nel documento inviato al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, l'accorpamento tra la direzione didattica di Ganzirri e del I.C. Petrarca sparisce; le due scuole vengono separate e, per «salvare» la presidenza dell'I.C Petrarca, viene coinvolta una terza direzione didattica, quella di via del Fante, la direzione didattica Paradiso, a cui vengono tolti i due plessi di Curcuraci per essere assegnati all'I.C. Petrarca affinché così raggiunga la quota di sicurezza in quanto ad alunni;
per comprendere bene i termini della vicenda, occorre sottolineare che sotto i 600 alunni le scuole, per normativa ministeriale, dal prossimo anno scolastico non dovrebbero più contare sulla titolarità di un dirigente scolastico e di un direttore dei servizi generali e amministrativi;
genitori, docenti, personale amministrativo, tecnico e ausiliario, direzione dei servizi generali e amministrativi e direzione scolastica e della direzione didattica Ganzirri hanno scritto a parlamentari e denunciato i fatti alla procura della Corte dei conti e a quella della Repubblica, convinti che si tratti di un abuso che provocherà anche un danno erariale, oltre che un'ingiustizia tanto più grave in quanto si tratta di questioni che attengono ad istituzioni il cui fine è quello di educare le giovani generazioni;
si è pertanto sollevato il dubbio che con tale operazione, nelle intenzioni dell'Assessorato Regionale della Sicilia, si avesse come unico scopo preservare la titolarità del posto di dirigenza per la dirigente dell'I.C. Petrarca, meno anziana in servizio rispetto al dirigente di Ganzirri: si sarebbero danneggiate due istituzioni scolastiche solo per salvaguardare la dirigente dell'I.C Petrarca;
con tale scelta, infatti, si danneggia in modo irreparabile non solo la direzione didattica di Ganzirri, il dirigente, ben più anziano di servizio della dirigente del «Petrarca», e la sua direttrice dei servizi, ma si danneggerebbe in modo irreparabile anche la direzione didattica di Paradiso, il relativo dirigente e la relativa direttrice dei servizi;
a seguito di quanto sopra illustrato un gruppo di genitori, docenti e personale amministrativo, tecnico e ausiliario della direzione didattica di Ganzirri ha presentato un esposto-denuncia nel quale si rileva come il Piano «avrebbe dovuto rispondere anche, se non soprattutto, a quella che è l'esigenza prioritaria e specifica di un Piano di razionalizzazione, ovvero sia quello di coniugare la qualità di un servizio pubblico, della continuità didattica e della territorialità dell'offerta scolastica con una più oculata attenzione al contenimento della spesa pubblica»;

nello stesso si rileva altresì che: «L'Assessore Centorrino, in primo luogo, ha sottolineato e rivendicato l'autonomia della regione Sicilia in merito alla determinazione dei parametri numerici per fissare l'autonomia delle istituzioni scolastiche sulla base della legge regionale n. 6 del 2000; legge regionale che fissa i detti parametri ad almeno 500 alunni di contro a quelli di non meno di 600 di cui alle leggi sopracitate. Orbene su tali parametri regionali risulta ininfluente dissertare, giacché è un dato che, semmai, nell'essere ostinatamente portato avanti non può che aggravare e di molto il danno economico. Deve infatti rilevarsi innanzitutto che le nomine nelle scuole delle due figure apicali del Dirigente e del Direttore dei Servizi Amministrativi sono di competenza del Ministero e, come ormai è certo che accadrà, tutte le scuole inutilmente e improvvidamente lasciate sotto i parametri delle citate leggi nazionali non potranno disporre della titolarità di tali professionalità con la ricaduta in termini di qualità del servizio che è fin troppo superfluo spiegare. Ma tale ovvia considerazione che attiene alla ridotta qualità (peraltro molto aggravata dal corposissimo numero di dirigenti che saranno collocati in quiescenza dal 1o settembre 2012), per quel che si desidera segnalare, non trova nemmeno una giustificazione in termini di spesa pubblica, anzi e semmai è proprio l'esatto contrario. Due scuole non dimensionate correttamente e, peraltro, secondo i criteri di territorialità e continuità didattica dettati proprio dall'Assessore Centorrino e dal Direttore Generale Albert comportano un aggravio di spese assai cospicuo in termini di organici classi (due scuole vicine fuse, per esempio, possono formare solamente tre classi prime elementari con 87 alunni, ma ne formano 4, due ciascuna, a scuole rimaste divise), in termini di organici docenti e di organici personale Ata, in termini di minor costi di gestione per gli E.E.L.L. che devono sopperire ad esigenze varie di due istituti vicini, ma autonomi (vedi anche reperimento classi per una scuola in presenza di aule libere nell'altra). Ogni due scuole non unificate, poi, deve provvedersi anche a due Collegi di Revisori dei Conti con relative spettanze, anziché ad un solo Collegio. E c'è da aggiungere che per le tante presidenze in tutta la Sicilia lasciate sotto i parametri numerici della legge n. 111 del 2011 e che andranno a reggenza vuoi per dirigenti che per i direttori si dovranno mettere in conto per lo Stato e solo per il prossimo a.s. 2012 del 2013 qualcosa come non meno di qualche milione di euro»;
il Piano di razionalizzazione, continua l'esposto-denuncia, così diventa irrazionale e comporterà aggravi e danno economico all'erario che i sottoscrittori non credono inferiore a qualche decina di milioni di euro l'anno, da moltiplicare, ovviamente, per il numero degli anni in cui si articola un corso di studi (5 anni elementare; tre anni scuola secondaria di primo grado, eccetera) e per il numero di scuole che potevano essere fuse e non lo sono state, in modo quantomeno del tutto inutile, improvvido e superficiale sotto il profilo delle spese per la comunità;
nel merito, la mancata «fusione» tra la direzione didattica di Ganzirri e TLC. «Petrarca» anch'esso di Ganzirri, lascia molto perplessi: si tratta di due scuole del medesimo villaggio, ubicate a solo qualche decina di metri l'una dall'altra, entrambe sotto i prescritti parametri numerici, con bambini che dalle elementari della prima si iscrivono da sempre - e diversamente non potrebbe essere - alla scuola media della seconda in una perfetta continuità didattica e in una territorialità già operanti nei fatti;
sotto tutti gli aspetti quindi anche per questa singola vicenda il piano di dimensionamento approvato dalla regione siciliana sembrerebbe pertanto privo di ogni logica -:
se il Ministro sia a conoscenza della vicenda di cui in premessa e in tal caso per quale motivo abbia concesso la propria intesa al piano di dimensionamento scolastico della regione Sicilia. (5-06385)

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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E SEMPLIFICAZIONE

Interrogazione a risposta in Commissione:

FEDRIGA, CAPARINI, MUNERATO e BONINO. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
è notizia pubblicata venerdì 9 marzo 2012 sul quotidiano Il Piccolo di Trieste quella

che gli extracomunitari con permesso di soggiorno di lunga durata hanno diritto al posto fisso;
la notizia riguarda il mega concorso per infermieri bandito dall'azienda sanitaria nel marzo 2011 per 31 posizioni, ma con un esercito di 1.296 candidati, tra cui una quarantina di cittadini extracomunitari, i quali avevano comunque presentato la domanda sebbene il bando richiedesse tra i requisiti il possesso della cittadinanza italiana o di uno dei paesi dell'Unione europea;
dinanzi all'esclusione dal concorso da parte dell'azienda sanitaria, una cittadina extracomunitaria ha presentato ricorso al tribunale di Trieste, sottolineando di essere «infermiere professionale» ed in possesso di un «permesso di soggiorno di lunga durata»;
il tribunale di Trieste, nel mese di luglio 2011, ha accolto il ricorso, sentenziando che gli extracomunitari salvo non concorrano all'esercizio di pubblici poteri, avendo un permesso di soggiorno lungo «godono dello stesso trattamento dei cittadini nazionali per attività di lavoro subordinata o autonoma»;
si ricorda, in proposito, che già la sezione lavoro della Corte di Cassazione, nel 2006, si era espressa sulla questione, ribadendo l'esclusione per i cittadini extracomunitari, ancorché regolarmente residenti nel territorio dello Stato, del diritto ad essere assunti da parte della pubblica amministrazione, in quanto in materia di rapporti di pubblico impiego, viene riconosciuta la parità di tutti gli aspiranti lavoratori non in termini assoluti e totali ma nei limiti e nei modi previsti dalla legge e ciò non comporta incompatibilità con le disposizioni costituzionali perché non rientra fra i diritti fondamentali garantiti l'assunzione alle dipendenze di un determinato datore di lavoro (sentenza 13 novembre 2006, n. 24170);
prima ancora si era espresso anche il Consiglio di Stato, con il parere 31 marzo 2004, n. 2592, col quale stabiliva il principio per cui la parità di trattamento tra lavoratori italiani e stranieri come sancita dal decreto legislativo n. 286 del 1998 opera solo in una fase successiva all'instaurazione del rapporto di lavoro, ribadendo che l'accesso al pubblico impiego continua ad essere regolato dal decreto del Presidente della Repubblica n. 487 del 1994 secondo il requisito della cittadinanza italiana o degli Stati membri dell'Unione europea -:
se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di propria competenza il Governo intenda urgentemente adottare in materia di accesso al pubblico impiego per chiarire definitivamente in via normativa la necessità del requisito della cittadinanza italiana o di altro Paese dell'Unione europea per i candidati di concorsi pubblici.
(5-06381)

Interrogazione a risposta scritta:

PALAGIANO e DI PIETRO. - Al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
in data 22 febbraio 2012 il procuratore regionale per la Corte dei Conti del Lazio, dottor Angelo Raffaele De Dominicis, ha redatto una memoria per l'adunanza di inaugurazione dell'anno giudiziario 2012, dalla quale si evince come la corruzione nella pubblica amministrazione costituisca una drammatica evenienza essendo non già rivolta a finanziare la politica, ma fenomeno corruttivo a vantaggio individuale che colpisce in modo particolare la sanità;
la regione Lazio ha le peggiori performance d'Italia in ambito sanitario nel rapporto risorse impiegate/servizi offerti ai cittadini, con un deficit che ancora nel 2012 è annunciato di oltre 600 milioni di euro; ciò nonostante l'aumento della tassazione regionale sia giunto a livelli insostenibili;

i cittadini si trovano, così, a dover pagare per l'incapacità pluriennale di arginare disorganizzazione e fenomeni di corruzione - esemplificati dalla, ormai nota, vicenda di lady ASL, nella quale sono stati accertati fenomeni di corruzione e pagamenti non dovuti per decine di milioni di euro;
un'amministrazione attenta ha il dovere di rimuovere dalle posizioni dirigenziali gli autori accertati di episodi corruttivi e di concussione, onde prevenire il ripetersi di tali fenomeni delittuosi. Questo principio non sembra essere stato adottato nelle strutture sanitarie della regione Lazio, tanto che un dirigente medico condannato in via definitiva continua a svolgere le stesse funzioni, che implicano decisioni nello stesso ambito per il quale ha subito condanna per corruzione;
suscita scandalo infatti il caso del professor Michele Toscano, attuale primario di cardiochirurgia al policlinico Umberto I di Roma, condannato, con sentenza del tribunale di Firenze (29 novembre 2001), ad un anno e quattro mesi di reclusione, in quanto imputato dei delitti di cui agli articoli 319 e 319-bis del codice penale;
in particolare,il professor Toscano, con più atti esecutivi, nella qualifica di direttore della cattedra di chirurgia cardiotoracica nell'azienda ospedaliera-universitaria «Le Scotte» di Siena, dietro corresponsione di somme di denaro - 80/100 milioni all'anno nonché diversi benefit personali, aventi comunque rilievo economico, aveva favorito illecitamente la società Hospital Technology nell'aggiudicazione delle forniture di presidi medico-chirurgici;
il professor Michele Toscano nel corso dei numerosi interrogatori davanti al pubblico ministero ha ammesso i reati contestati;
il professor Toscano, che a quanto consta agli interroganti attualmente sarebbe l'unico primario di cardiochirurgia al policlinico Umberto I, è di fatto il solo ad avere il potere di assegnare a sé e ad altri cardiochirurghi i casi da operare e a scegliere pertanto, ad esempio, quale tipo di protesi valvolare - modello e ditta - applicare al malato. Considerati i reati commessi nel 2001 e ammessi dallo stesso Toscano, il dubbio che tale scelta possa essere determinata da interesse personale, anche corruttivo, e non da quello del paziente, può sorgere legittimo;
la prevenzione dei fenomeni corruttivi, in particolare quando questi riguardano la salute dei cittadini, deve essere la priorità di una pubblica amministrazione;
in questo senso, le autorità sanitarie interessate - regione Lazio, direzione del policlinico - anziché mantenere nella posizione di primario-dirigente UOC di cardiochirurgia il professor Toscano, avrebbero potuto affidargli ad avviso degli interroganti una unità programmatica in un settore della cardiochirurgia che escluda qualsiasi possibilità di ripetersi dei fenomeni corruttivi per i quali lo stesso è stato condannato. A tutela del dirigente stesso, ma soprattutto della salute dei pazienti -:
se i Ministri, nell'ambito delle proprie competenze, intendano promuovere, con urgenza, una norma, valida per tutta la pubblica amministrazione, che escluda dalla possibilità di svolgere funzioni direttive di strutture e unità operative o programmatiche coloro che sono stati condannati in via definitiva per fatti di corruzione o concussione inerenti la stessa attività.
(4-15307)

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SALUTE

Interrogazione a risposta orale:

BINETTI. - Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
in Italia non esiste nessuna precisa indicazione di legge per la figura del nutrizionista,

mentre un recente parere del Consiglio superiore di sanità definisce nutrizionista «lo specialista dell'alimentazione umana di diversa estrazione professionale medica e/o non medica (biologo, agronomo, farmacista, veterinario, e altro);
l'alimentazione è uno dei più importanti determinanti di salute e, insieme al movimento, al fumo e all'alcool, rientra tra i quattro grandi campi a cui il Ministero della salute presta particolare attenzione per promuovere stili di vita corretti, anche attraverso una efficace prevenzione;
in Italia esiste attualmente una certa confusione attorno alle scienze della nutrizione, alimentata dal proliferare di una pluralità di corsi di laurea che si occupano della materia, creando non poche ambiguità nell'impegno professionale successivo per le diverse figure corrispondenti ai relativi titoli di studio acquisiti;
il 17 luglio 2003, dato l'aumento di prescrizioni dietetiche da parte di figure non competenti e non autorizzate, il Ministero della salute ha risposto testualmente: «l'attività di prescrizione delle diete, infatti, è riservata in Italia alla professione di medico e di biologo e non a quella del farmacista»;
la figura del biologo nutrizionista quindi è riconosciuta a livello legislativo, anzi questo professionista è, sulla carta, l'unico (oltre al medico) che, acquisita l'indispensabile conoscenza clinica del paziente, può prescrivere autonomamente la dieta necessaria, assumendosene la piena responsabilità;
il biologo nutrizionista infatti è un laureato in biologia (4 anni con il vecchio ordinamento, o 3 + 2 con la nuova riforma), che può, senza esserne obbligato, conseguire la specializzazione in scienze dell'alimentazione; titolo che oltre ad arricchirlo culturalmente, gli consente di partecipare ai concorsi per cariche dirigenziali nella sanità pubblica (ad esempio dei SIAN, cioè del Servizio di igiene e alimenti);
inoltre, grazie al decreto 1o agosto 2005 del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca scientifica le scuole di specializzazione con percorso formativo che consente l'acquisizione di conoscenze teoriche scientifiche e professionali per la valutazione dello stato di nutrizione e dei bisogni nutritivi dell'uomo sono aperte tanto ai laureati in Medicina e chirurgia, quanto ai laureati in Biologia. Possiamo quindi dire che biologo nutrizionista rappresenta l'unico professionista per cui esista una norma giuridica che ne riconosce le competenze necessarie a valutare i fabbisogni nutrizionali e a prescrivere diete conseguenti alla valutazione senza il bisogno dell'approvazione del medico;
sembra essersi moltiplicata l'offerta formativa che certifica competenze specifiche nell'ambito della nutrizione umana e consente la prescrizione di diete, prive della indispensabile garanzia scientifica e quindi potenzialmente rischiose per la salute delle persone;
accanto ai diversi corsi di laurea afferenti alla facoltà di medicina e chirurgia e a quella di Bologna, che garantiscono una formazione di base fondamentale ma non specialistica, stanno sorgendo master e corsi post-laurea, che si sostituiscono alle scuole di specializzazione specifiche, e a cui bisogna fare attenzione, perché creano figure professionali, che vantano una assai dubbia competenza nell'ambito della nutrizione, prescrivendo ai pazienti diete tutt'altro che sicure;
questi corsi di presunta specializzazione post-laurea, sempre più numerosi, sono spesso promossi al di fuori delle università da sedicenti organizzazioni culturali, rispondono spesso alle mode del momento e non offrono alcun tipo di tirocinio specifico in ambito sanitario; rivelano un fiorente mercato della formazione fine a se stesso, a cui si iscrivono persone in cerca di lavoro nella speranza di ottenere un titolo abilitante alla professione di nutrizionista; in definitiva mettono

in atto una propaganda doppiamente ingannevole verso gli «studenti» e verso i pazienti -:
se non ritenga opportuno limitare la speculazione in atto chiarendo una volta per tutte quali siano i titoli di studio validi per svolgere il ruolo di nutrizionista, specificando quali siano ruoli e competenze precise dei diversi professionisti in materia di nutrizione e diete, stabilendo specifiche ed effettive modalità di interazione tra le diverse figure professionali, ad esclusiva tutela della salute delle persone.
(3-02159)

Interrogazioni a risposta in Commissione:

SIRAGUSA. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
è stata presentata, a firma dell'interrogante l'interrogazione a risposta in commissione, n. 5-05455;
con il decreto di approvazione del piano di rifunzionalizzazione degli ospedali siciliani, si è deciso di chiudere il punto nascita dell'ospedale dell'isola di Lipari;
il piano prevede i punti nascita soppressi siano sostituiti da punti di emergenza attrezzati;
una decisione fortemente contestata dagli eoliani con cortei, scioperi, cartoline al Presidente della Repubblica, con un ricorso al tribunale amministrativo regionale e una denuncia alla procura per «interruzione di pubblico servizio»;
non è chiaro, peraltro, quali siano stati i reali criteri di scelta dei punti nascita da chiudere: decisione poco chiara, anche per gli amministratori locali e per i cittadini, che non ha tenuto conto delle specifiche e oggettive difficoltà delle isole minori, mentre ha mantenuto in vita punti nascita in altri piccoli comuni della terraferma;
tale decisione è stata applicata senza consentire agli enti territoriali di trovare una soluzione alternativa alla soppressione di servizi essenziali per le fasce deboli della popolazione: giovani coppie e donne in primis, costretti a sostenere costi ingenti per i trasferimenti ed i pernottamenti delle famiglie presso le strutture ospedaliere;
nei primi giorni del mese di marzo 2012, una donna residente a Lipari all'ottavo mese di gravidanza ha perso il bambino che portava in grembo a seguito di un distacco di placenta: il piccolo è morto, lei è stata salvata dall'elisoccorso e trasportata all'ospedale «Papardo» di Messina;
la procura di Barcellona Pozzo di Gotto ha avviato un'inchiesta sulla vicenda;
come si legge in un articolo pubblicato dal quotidiano la Repubblica in data 9 marzo 2012 «Il trasferimento dicono i sanitari - si è reso necessario perché per la particolare patologia della donna non poteva essere assistita nel nosocomio di Lipari. I carabinieri, su mandato della procura di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) hanno chiesto all'ospedale Papardo copia della cartella clinica della donna. L'indagine dovrà accertare se il feto era già morto quando la donna è giunta in ospedale. Dovranno anche essere accertati i tempi di arrivo dell'elisoccorso dalla richiesta»;
per poter assistere adeguatamente una donna con gravidanza a rischio o con complicanze è necessario che coesistano nello stesso ambito particolari servizi quali la rianimazione, il servizio immunotrasfusionale, il servizio di terapia intensiva neonatale;
di terapia intensiva neonatale, una di anestesia e rianimazione ed un centro sangue;
il sindaco dell'isola, in una lettera al Governo nazionale chiede che sia fatta un'indagine ministeriale sull'accaduto e che intervenga anche l'assessore regionale alla salute;
anche l'azienda sanitaria provinciale di Messina ha avviato un'indagine amministrativa

per l'accertamento «di eventuali anomalie e/o criticità» -:
fatte salve le competenze della regione autonoma Sicilia se il Ministro non ritenga opportuno assumere iniziative per fare chiarezza su quanto delineato in premessa e per assicurare che in un territorio svantaggiato dal punto di vista infrastrutturale, come l'isola di Lipari, venga garantito il rispetto dei livelli essenziali di assistenza con riferimento agli istituendi punti di emergenza.
(5-06382)

SCHIRRU. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
con l'articolo 33 della legge 29 novembre 2007 n. 222 e con l'articolo 2, commi 361 e 362, della legge 24 dicembre 2007 n. 244, si è disposto lo stanziamento di fondi per le transazioni da stipulare con soggetti talassemici, emofilici, emotrasfusi occasionali e da vittime di vaccinazioni, danneggiati da lesivi trattamenti, sanitari, che abbiano instaurato azioni di risarcimento danni, nei confronti del Ministero della salute, tuttora pendenti;
dall'approvazione delle citate leggi sono trascorsi, ad oggi, oltre 4 anni senza che il Ministro della salute abbia ottemperato a quanto stabilito (risarcimento danni) da precise norme di legge. Le somme stanziate, al momento attuale, ammontano a circa 900 milioni di euro, accantonati in apposito fondo;
in Italia, i danneggiati da sangue infetto sono oggi oltre 70.000, quasi 3.000 sono le persone decedute e 7.356 sono le persone emo-danneggiate che attendono ormai da anni di essere risarcite;
da organi di stampa si apprende la notizia, che parte dei fondi sarebbero stati impiegati per il finanziamento del Provvedimento cosiddetto «svuota carceri»; per la precisione sarebbero stati sottratti 7 milioni di euro alla cooperazione internazionale e 24 milioni di euro agli indennizzi destinati ai danneggiati da trasfusioni e emoderivati, per coprire la spesa della chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari -:
se tale notizia abbia fondamento e qualora risultasse vero se il Ministro non ritenga opportuno assumere le necessarie iniziative per ripristinare il Fondo destinato ai soggetti beneficiari di risarcimento;
a quanto ammonti il finanziamento destinato al provvedimento svuota carceri;
quali iniziative urgenti il Ministro intenda assumere per ripristinare immediatamente il pagamento dei legittimi indennizzi agli interessati nonché per accelerare il disbrigo delle pratiche e sanare i ritardi accumulati;
se non ritenga opportuno promuovere una revisione dei termini previsti dalla legge per gli indennizzi, tutelando anche chi, non conoscendo i propri diritti, abbia presentato la domanda oltre i termini previsti dalla legge.
(5-06383)

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SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):

I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere - premesso che:
il gruppo farmaceutico Sigma Tau è composto da diverse aziende e impiega circa 2.500 dipendenti;
nel 2010 il gruppo ha acquisito da Enzon Pharmaceuticals, colosso farmaceutico statunitense quotato al Nasdaq, il ramo di azienda specializzato in farmaci per malattie rare, per un valore definito in 300 milioni di dollari; l'operazione è stata finanziata al 70 per cento con un prestito concesso da Intesa San Paolo, già azionista al 5 per cento di Sigma Tau;

il Ministro interpellato in qualità di amministratore delegato di Intesa San Paolo, aveva dichiarato che quella su Enzon fu «un'operazione coraggiosa ma che va nella giusta direzione per Sigma Tau: innanzi tutto perché non sono tante le aziende che hanno il coraggio di andare negli Stati Uniti, poi perché è alla portata del gruppo farmaceutico, che comunque mantiene in Italia ricerca e mente»; il direttore generale di Intesa San Paolo, Gaetano Miccichè, aveva così commentato l'operazione: «È una delle operazioni che più ci riempie di orgoglio. Nel 2006 abbiamo deciso di seguire i progetti della famiglia Gavazza. Sigma Tau è una grande brand, ha una struttura per crescere in un settore dove la ricerca è fondamentale»;
a fronte di importanti prospettive di sviluppo verso la fine del 2011 l'azienda ha chiesto la cassa integrazione straordinaria per 569 dipendenti dello stabilimento di Pomezia, su un totale di circa 1.500 addetti; secondo le rappresentanze sindacali, il piano di ristrutturazione aziendale prevedrebbe la messa in liquidazione di due centri di ricerca e sviluppo, uno a Milano e l'altro a Caserta, che impiegano complessivamente 110 lavoratori; tale disimpegno appare particolarmente preoccupante vista la fondamentale importanza che gli investimenti in ricerca e sviluppo rivestono per un'azienda che opera in un settore come quello farmaceutico;
nelle ultime ore sembra si sia raggiunto un accordo tra le parti, secondo il quale l'azienda si è impegnata a discutere un piano industriale entro ottobre, oltre a garantire, in caso di necessità, l'assunzione dei lavoratori in cassa integrazione presso altre aziende del gruppo;
rimane il dubbio di una crisi manifestatasi a tutti improvvisamente, a poco tempo di distanza dall'operazione con Enzon che doveva garantire ampi e floridi orizzonti industriali; rimane anche il dubbio sollevato da alcuni organi di stampa, che accuserebbero Sigma Tau di aver condotto pratiche scorrette in tema di trasferimento di reddito dall'Italia ad altre aziende europee, con conseguente peggioramento dei risultati aziendali nelle aziende italiane -:
quali siano le principali azioni del piano industriale che Sigma Tau sta predisponendo, con particolare riferimento allo sviluppo degli stabilimenti e dei centri di ricerca italiani.
(2-01408)
«Bragantini, Allasia, Bonino, Buonanno, Callegari, Cavallotto, Chiappori, Comaroli, Consiglio, Crosio, D'Amico, Desiderati, Di Vizia, Dussin, Fabi, Fava, Follegot, Forcolin, Gidoni, Goisis, Grimoldi, Isidori, Lanzarin, Meroni, Molgora, Laura Molteni, Nicola Molteni, Munerato, Negro, Paolini».

Interrogazione a risposta orale:

ANNA TERESA FORMISANO. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
negli ultimi sei mesi i 90 lavoratori dell'Ilva di Patrica (Frosinone), industria specializzata nella produzione di zincato alluminato, hanno sperato che si stesse avviando un cambio di produzione, unica alternativa valida alla chiusura dello stabilimento del frusinate, già annunciata dalla proprietà;
la prevista chiusura non sarebbe dovuta alla crisi del settore, dal momento che il prodotto zincato alluminato confezionato a Patrica è un'eccellenza a livello europeo, ma perché la proprietà avrebbe deciso di spostare la produzione in un nuovo sito del nord, così come è già avvenuto per altre realtà industriali del frusinate;
nei giorni scorsi i settanta lavoratori impiegati direttamente nel sito dell'Ilva e i ventiquattro dell'indotto che lavora per l'azienda di Patrica hanno iniziato lo sciopero

ad oltranza con l'obiettivo di far valere i loro diritti e quelli delle loro famiglie;
il fatto che l'età media dei degli occupati nello stabilimento si aggiri intorno ai 30-35 anni rende ancora più grave la crisi dell'Ilva dopo che nel 2004 la proprietà ha deciso di avviare un piano di «ringiovanimento» del personale;
purtroppo la crisi del settore industriale che sta colpendo la provincia di Frosinone continua a fare registrare gravi emorragie occupazionali -:
quali iniziative si intenda adottare per scongiurare la chiusura dello stabilimento dell'Ilva di Patrica la cui produzione è un'eccellenza a livello europeo e la cui interruzione comporterebbe gravi danni economici e sociali per l'intero territorio;
quali iniziative si intenda intraprendere per salvaguardare i livelli occupazionali del sito industriale che ha dato lavoro ad almeno tre generazioni;
quali urgenti ed efficaci iniziative si intenda adottare al fine di trovare una rapida soluzione alla crisi industriale che sta colpendo la provincia di Frosinone ed evitare che le società che hanno investito nel territorio del frusinate continuino a spostare la produzione in nuovi siti collocati nel nord Italia.
(3-02160)

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Apposizione di firme a mozioni.

La mozione Livia Turco e altri n. 1-00900, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o marzo 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Froner.

La mozione Della Vedova e altri n. 1-00923, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 marzo 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bobba.

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

La risoluzione in Commissione Moffa n. 7-00790, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 febbraio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Pelino.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

L'interpellanza urgente Ferranti e altri n. 2-01395, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 marzo 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Gianni Farina.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04895, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 novembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04896, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 novembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04938, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 novembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04941, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 novembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04944, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 novembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04956, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 novembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04969, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 novembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04974, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 novembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-04975, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 novembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta scritta Reguzzoni n. 4-05019, pubblicata nell'allegato B al resoconti della seduta del 13 novembre 2009, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Montagnoli.

L'interrogazione a risposta in Commissione Ghizzoni e Miglioli n. 5-05862, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 dicembre 2011, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Motta.

L'interrogazione a risposta orale Laura Molteni e altri n. 3-02157, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 marzo 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bitonci.

L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Fedriga n. 5-06371, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 marzo 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bitonci.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Bragantini n. 4-15120 del 28 febbraio 2012.