XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di mercoledì 11 gennaio 2012

TESTO AGGIORNATO AL 16 GENNAIO 2012

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:

L'VIII Commissione,
premesso che:
l'articolo 8 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, ha previsto l'istituzione di un sistema di qualificazione, unico per tutti gli esecutori a qualsiasi titolo di lavori pubblici di importo superiore a 150.000 euro, articolato in rapporto alle tipologie ed all'importo dei lavori stessi;
il sistema di qualificazione è attuato da organismi di diritto privato di attestazione, appositamente autorizzati dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori servizi e fornitura. Agli organismi di attestazione è demandato il compito di attestare l'esistenza nei soggetti qualificati di:
a) certificazione di sistema di qualità conforme alle norme europee della serie UNI EN ISO 9000 e alla vigente normativa nazionale, rilasciata da soggetti accreditati ai sensi delle norme europee della serie UNI CEI EN 45000;
b) dichiarazione della presenza di elementi significativi e tra loro correlati del sistema di qualità rilasciata dai soggetti accreditati;
c) requisiti di ordine generale nonché tecnico-organizzativi ed economico-finanziari conformi alle disposizioni comunitarie in materia di qualificazione;
con decreto del Presidente della Repubblica 25 gennaio 2000, n. 34, è stato emanato il regolamento recante istituzione del sistema di qualificazione per gli esecutori di lavori pubblici di cui al predetto articolo 8 della legge n. 109 del 1994. Tale decreto del Presidente della Repubblica è stato da ultimo abrogato dal decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207;
con tale ultima regolamentazione è sorta una specifica questione relativa alla categoria OG11 sugli «impianti tecnologici», che riguarda la fornitura, l'installazione, la gestione e la manutenzione di un insieme di impianti tecnologici tra loro coordinati ed interconnessi funzionalmente, non eseguibili separatamente, di cui alle categorie di opere specializzate individuate con l'acronimo OS 3, OS 28 e OS 30;
ai sensi dell'articolo 79, comma 16 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010, si prevede che «per la qualificazione nella categoria OG 11, l'impresa deve dimostrare do possedere, per ciascuna delle categorie di opere specializzate individuate con l'acronimo OS 3, OS 28 e OS 30, almeno la percentuale di seguito indicata dei requisiti di ordine speciale previsti dal presente articolo per l'importo corrispondente alla classifica richiesta:
categoria OS 3: 40 per cento;
categoria OS 28: 70 per cento;
categoria OS 30: 70 per cento;
l'impresa qualificata nella categoria OG 11 può eseguire i lavori in ciascuna delle categorie OS 3, OS 28 e OS 30 per la classifica corrispondente a quella posseduta. I certificati di esecuzione dei lavori relativi alla categoria OG 11 indicano, oltre all'importo complessivo dei lavori riferito alla categoria OG 11, anche gli importi dei lavori riferiti a ciascuna delle suddette categorie di opere specializzate e sono utilizzati unicamente per la qualificazione nella categoria OG 11. Ai fini dell'individuazione delle categorie nella fase di progetto e successivo bando o avviso di gara o lettera di invito, un insieme di lavorazioni è definito come appartenente alla categoria OG 11 qualora dette lavorazioni siano riferibili a ciascuna delle categorie specializzate OS 3, OS 28 e OS 30; l'importo di ciascuna di tali categorie di opere specializzate, così individuate, deve essere pari almeno alla percentuale di seguito indicata dell'importo globale delle lavorazioni attinenti alla categoria OG 11:

categoria OS 3: 10 per cento;
categoria OS 28: 25 per cento;
categoria OS 30: 25 per cento»;
in vigenza del decreto del Presidente della Repubblica n. 34 del 2000, la categoria OG11 poteva essere assunta mediante la produzione di certificati lavori riportanti, contestualmente, attività riconducibili al macro settore elettrico (OS30, OS5) unitamente ad attività riconducibili al macro settore termico (OS28, OS3);
la norma non prevedeva «pesi» percentuali specifici per ciascuna categoria; per tale ragione è intervenuta l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e fornitura che con una specifica determinazione ha specificato taluni elementi, cui le SOA dovevano attenersi per il rilascio della relativa attestazione. In primo luogo era sufficiente che nei certificati lavori ricorressero almeno 3 delle 4 categorie contenute nella OG11, ed inoltre ciascuna delle tre doveva «avvicinarsi» ad una percentuale prossima al 30 per cento;
in realtà le categorie riferite all'idrico (OS3) ed ancor più quelle riferite agli impianti di sicurezza (OS5) hanno sempre presentato qualche criticità (infatti era molto arduo rilevare percentuali importanti, riconducibili a tali categorie, anche in lavori complessi), criticità per lo più superate con una ragionevole soluzione, sempre in ottemperanza a quanto previsto dall'Autorità;
il decreto del Presidente della Repubblica n. 34 del 2000, peraltro, non recava misure in ordine alla possibilità, per le imprese attestate in OG11, di partecipare a gare bandite con le singole specialistiche (OS3, OS5, OS28, OS30), si pensi a numerose gare per la ristrutturazione di ospedali, bandite con OG1 prevalente e le categorie impiantistiche OS scorporabili, secondo il principio di «assorbenza» della categoria OG11 rispetto alle singole specialistiche in essa riportate;
tale principio, certamente di buona ragione, si è fondato sul rilievo oggettivo che coloro che erano in grado di realizzare opere in OG11 erano altrettanto in grado di realizzare singole opere specialistiche, ma d'altro canto poneva un problema di pari condizioni rispetto alle imprese che si erano attestate unicamente nelle singole specialistiche;
infatti, un'impresa, per ottenere un'attestazione in OS30 per classifica di importo di 1 milione di euro, che le consentiva di partecipare a gare in OS 30 con importo fino al milione, doveva pur sempre dimostrare certificati lavori per il 90 per cento dell'importo richiesto. Non così per le imprese in OG11 per le quali il 90 per cento veniva frazionato su OS30, OS28, OS3 e OS5; dopodiché la possibilità di partecipare a ciascun singolo bando specialistico da 1 milione di euro risultava essere la medesima;
purtroppo il rilevante contenzioso sviluppatosi sul punto, a causa di atteggiamenti contrapposti da parte di stazioni appaltanti pro «assorbenza» e viceversa, ha prodotto numerose sentenze del Consiglio di Stato, anch'esse discordanti; circa una metà a favore, le restanti contro;
in occasione della definizione del nuovo regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010, il competente Ministero ha ritenuto di definire una volta per tutte, a livello normativo, la vicenda relativa al principio di assorbenza, introducendo da un lato il principio di assorbenza e dall'altro incrementando i requisiti per l'ottenimento della categoria OG11 in rapporto al 180 per cento rispetto ad un importo ottenibile pari al 100 per cento, contestualmente riducendo a 3 le categorie specialistiche all'interno della OG11 (OS3, OS28, OS30). Ciò in considerazione del fatto che un'azienda attestata in OG11, ad esempio classifica III, può partecipare a gare in OS28 classifica III, OS30 classifica III e OS3 classifica III;
il dispositivo introdotto dall'articolo 79 del decreto del Presidente della

Repubblica n. 207 del 2010, inasprisce le condizioni di accesso al mercato da parte delle piccole e media imprese ricordando che il regolamento di qualificazione applicato è unico in Europa, relativamente alla questione del suddetto parametro 180 per cento, si potrebbe determinare nella migliore delle ipotesi un incompatibile ridimensionamento, in termini si importo di classifica, delle attestazioni in OG11, con la assoluta cancellazione di numerosissime piccole e medie imprese dal settore a causa della perdita totale della medesima categoria;
è utile ricordare che da recenti studi del CRESME e delle associazioni di categoria, il comparto danneggiato dall'applicazione dell'articolo 79 del decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 2010, riguarda una massa occupazionale di oltre 700.000 addetti, che per effetto della cancellazione delle imprese per effetto della perdita di attestazione, produrrà ulteriore disoccupazione;
va ribadito che la previsione della necessaria dimostrazione dei requisiti pari al 180 per cento dell'importo di classifica oggi richiesta, è strettamente collegata alla capacità di assorbenza riconosciuta alla categoria OG11 rispetto alle singole categorie specialistiche che la compongono;
la soluzione per risolvere questo grave problema di qualificazione nella categoria OG11, collegato ad un parametro quasi doppio rispetto a tutte le altre categorie, apparirebbe essere il contestuale abbattimento delle percentuali richieste per la qualificazione sino a ricondurle al 100 per cento dell'importo richiesto (40 per cento per OS28 e OS30 e 20 per cento per OS3), con l'allineamento delle percentuali di possibile assorbenza della categoria OG11 rispetto alle tre specialistiche;
in questa ipotesi, le imprese interessate manterrebbero le attuali attestazioni possedute, ed avrebbero facoltà di partecipare alle gare di appalto per la loro potenzialità complessiva in OG11, oppure di partecipare alle gare di appalto indette nelle categorie specialistiche (principio di assorbenza), nei limiti delle percentuali relativamente corrispondenti, vale a dire il 40 per cento per OS28, il 40 per cento per OS30 e il 20 per cento per OS3 (40 per cento + 40 per cento + 20 per cento = 100 per cento),


impegna il Governo


ad adottare le occorrenti iniziative, anche di natura normativa, volte a superare le criticità in cui incorrono le imprese ai fini della qualificazione nella categoria OG 11, in particolare prevedendo che esse debbano dimostrare di possedere, per ciascuna delle categorie di opere specializzate individuate con l'acronimo OS 3, OS 28 e OS 30, non già le attuali percentuali di importo del 40 per cento, del 70 per cento e del 70 per cento, bensì le percentuali del 20 per cento per la categoria OS 3, del 40 per cento per la categoria OS 28 e del 40 per cento per la categoria OS 30.
(7-00750) «Dussin, Bitonci».

L'VIII Commissione,
premesso che:
gli investimenti in edilizia di qualità, risparmio energetico, fonti rinnovabili, innovazione, ricerca e in generale nella green economy rappresentano un importante volano per la ripresa dell'economia, specialmente nell'attuale momento di crisi economica e finanziaria che si è abbattuta sul sistema globale, e rendono al tempo stesso il Paese più rispettoso dell'ambiente, più competitivo e più vicino alle esigenze della comunità;
l'accordo europeo del «20-20-20» sul pacchetto clima/energia ha costituito un modello di riferimento a livello internazionale e un passaggio decisivo per indurre altri Paesi ad intraprendere la strada di un maggiore impegno nella lotta ai cambiamenti climatici ed, inoltre, ha fornito un contributo pratico alla strategia per l'abbattimento delle emissioni climalteranti e per il risparmio energetico del continente;

in questo quadro, l'obiettivo dell'incremento della produzione di energia pulita ma anche quello del risparmio e della maggiore efficienza nei consumi di energia assumono un rilievo particolare; sono infatti noti gli sforzi che devono fare gli Stati membri, ed in particolare il nostro Paese, per ottemperare al cosiddetto «accordo del 20-20-20», che richiede un'assunzione di responsabilità circa le politiche da mettere in atto per difendere e rilanciare l'economia senza pregiudicare le prospettive di crescita del sistema produttivo;
il risparmio energetico è diventato un elemento strutturale delle politiche economiche del Paese; investire in efficienza energetica consente di alleggerire, in tempi relativamente brevi, i costi energetici a carico delle famiglie e delle imprese e al tempo stesso garantisce importanti risparmi nelle emissioni di CO2;
gli interventi di riqualificazione energetica del patrimonio edilizio esistente hanno assunto un enorme importanza ai fini del risparmio energetico; ciò soprattutto grazie al sistema di agevolazione fiscale del 55 per cento che ha riscosso fino ad oggi un enorme successo, come dimostrano i dati di un'indagine Cresme-Enea sull'«Analisi del sistema di detrazione fiscale del 55 per cento per gli interventi di riqualificazione energetica del patrimonio edilizio nazionale»;
il volume complessivo di interventi al dicembre del 2010 è stato di 11,1 miliardi di euro per un totale di 843.000 interventi. Ad oggi, secondo fonti Enea, si è superato il milione di interventi. Sono stati attivati ogni anno oltre 50 mila posti di lavoro nei settori coinvolti, soprattutto piccole e medie imprese nell'edilizia e nell'indotto: dalle fonti rinnovabili alla domotica, dagli infissi ai materiali avanzati;
si tratta pertanto di una misura importante che favorisce l'innovazione e incentiva il comparto edilizio verso la qualità;
l'VIII commissione della Camera dei deputati sia nella XV che nella XVI legislatura si è occupata del tema, con pareri e atti, da ultimo con l'approvazione, nella seduta del 29 luglio 2010, del documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sul mercato immobiliare in cui si ribadisce la bontà e l'importanza dello sgravio fiscale in efficienza energetica;
inoltre, la Camera dei deputati ha approvato la proposta di legge C. 1952, «Sistema casa qualità», licenziata in sede referente, dalla VIII Commissione, che istituisce un apposito sistema per la certificazione della qualità e dell'efficienza energetica nell'edilizia residenziale, attualmente in esame presso la 13a Commissione del Senato e della quale si auspica un rapido iter;
nel programma nazionale di riforma (che è parte integrante del documento di economia e finanza presentato alle Camere il 13 aprile 2011), in sede di indicazione delle priorità di azione per una economia eco-efficiente e per il rispetto degli impegni internazionali assunti dall'Italia in materia di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, il Governo ha espressamente riconosciuto la «particolare efficacia della misura concernente le detrazioni fiscali del 55 per cento per la riqualificazione energetica degli edifici»;
nel cosiddetto «Allegato Kyoto» al documento di economia e finanza (allegato VI - «Documento sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra e sui relativi indirizzi» -) si legge testualmente che «al fine di porre il Paese su un giusto percorso emissivo rispetto agli obiettivi annuali di [riduzione delle emissioni di gas a effetto serra] per il periodo 2013-2020 si evidenzia la necessità di riconfermare e rifinanziare le azioni di cui all'allegato 1», fra le quali figura espressamente anche «l'incentivazione del risparmio energetico negli edifici esistenti attraverso la detrazione fiscale del 55 per cento»;
l'articolo 4 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, nel prorogare di un anno la detrazione

fiscale del 55 per cento per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici esistenti, ha reso stabile e strutturale la detrazione fiscale del 36 per cento delle spese per i medesimi interventi, a decorrere dal 2013, anche in assenza di opere edilizie propriamente dette, subordinatamente ad un'idonea documentazione attestante il conseguimento di risparmi energetici in applicazione della normativa vigente in materia;
con tale norma il Governo ha dimostrato la propria intenzione a perseguire una politica di incentivazione degli interventi di riqualificazione energetica del patrimonio edilizio esistente, come confermato anche dal Ministro Passera che durante l'audizione del 15 dicembre 2011, presso l'VIII Commissione della Camera, si è impegnato ad attivarsi, per quanto di propria competenza, per prorogare la detrazione fiscale al 55 per cento per i prossimi anni;
la stabilizzazione di tale incentivo fiscale nella misura del 55 per cento rende, ovviamente, economicamente più convenienti i lavori di riqualificazione energetica degli edifici, diventando un vero volano non solo per la riduzione delle emissioni di CO2 ma anche per l'incremento dell'occupazione sia nel settore delle costruzioni sia nell'intera filiera industriale dei materiali connessi,


impegna il Governo


a rafforzare la propria politica a favore dell'edilizia di qualità ed energeticamente efficiente, assumendo soprattutto iniziative normative per rendere stabile la detrazione d'imposta del 55 per cento prevista per gli interventi di riqualificazione energetica del patrimonio edilizio esistente.
(7-00751)
«Lanzarin, Dussin, Togni, Alessandri».

La XIII Commissione,
premesso che:
nel 1980, l'Unione europea ha istituito le quote di produzione «quote latte», allo scopo di: contenere le eccedenze del settore agricolo ed in particolare del comparto lattiero-caseario; controllare e migliorare l'equilibrio del mercato comunitario;
la normativa comunitaria richiede un complesso sistema organizzativo di ripartire il quantitativo globale garantito, attribuito dalla Unione europea ad ogni Stato membro, in quote individuali da assegnare ai produttori, per poi procedere alla riscossione delle multe (il cosiddetto «prelievo supplementare») da questi ultimi dovute sulla produzione eccedente;
l'applicazione del sistema è stata segnata da continui «splafonamenti» della quota produttiva assegnata al nostro Paese e da un vasto contenzioso accumulato nelle sedi giudiziarie; d'altra parte l'assegnazione effettuata dalla Comunità non è mai stata ritenuta dall'Italia adeguata alle sue necessità né corrispondente al dato reale di produzione. In tale contesto è intervenuto il decreto-legge n. 49 del 2003, tuttora in vigore, che profondamente modificato dal Parlamento con la legge di conversione n. 119 del 2003, ha introdotto una riforma organica delle norme sul prelievo supplementare;
l'assegnazione di nuove quote di produzione lattiera all'Italia ha indotto il Governo a definire con il decreto-legge n. 5 del 2009, convertito dalla legge n. 33 del 2009, i nuovi criteri per il riparto tra i produttori del settore;
con il decreto-legge n. 225 del 2010 è stata introdotta la sospensione fino al 31 giugno 2011 di tutti i pagamenti previsti dai piani di rateizzazione delle multe da parte dei produttori interessati in scadenza entro il 31 dicembre 2010;
l'annosa vicenda delle quote latte non ha premiato la legalità e la trasparenza di coloro che, mettendo anche a rischio la propria attività d'impresa, hanno sempre rispettato le regole sulle quote latte sancite dal decreto-legge 28 marzo 2003, n. 49, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 maggio 2003, n. 119;
al fine di definire in maniera esaustiva e definitiva, il quadro completo dell'intera vicenda, il gruppo Italia dei Valori con atti di sindacato ispettivo, ai quali finora non è stata data alcuna risposta, ha inteso far chiarezza anche riguardo alla verifica dei dati produttivi e delle imputazioni dei prelievi supplementari dall'annata 1995 all'annata 2009 che Agea avrebbe dovuto già rendere noti;
il Governo precedente è intervenuto sul settore lattiero caseario ma con modalità che ad avviso dei firmatari del presente atto di certo non hanno premiato il rispetto delle regole; ancora oggi si continua a rimandare l'applicazione di misure già previste, quali quelle per favorire l'accesso al credito dei produttori che darebbe maggiore impulso al comparto;

infatti, il decreto-legge n. 5 del 2009 convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, all'articolo 8-septies, comma 2, prevede risorse per 45 milioni di euro ai fini dell'accesso ai credito per i produttori che hanno acquistato quote latte successivamente al periodo di applicazione del decreto-legge, n. 49 del 2003, convertito con modificazioni, dalla legge n. 119 del 2003, specificando che possono avvalersi, sino all'emanazione del decreto che disciplinerà il funzionamento del fondo finanza di impresa, del fondo di garanzia di cui all'articolo 15 della legge n. 266 del 1997, come rifinanziato dall'articolo 11 del decreto-legge n. 185 del 2008;
il citato articolo 8-septies, prevede per la sua concreta attuazione l'emanazione di un apposito decreto da parte del competente Ministro dell'economia e finanze di concerto con il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali che non è stato ad oggi predisposto dal Ministro proponente,


impegna il Governo:


ad adottare i provvedimenti attuativi a sostegno dei produttori lattiero caseari previsti dall'articolo 8-septies, comma 2 (disposizioni finanziarie) del decreto-legge n. 5 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 33 del 2009, al fine di reperire le risorse pari a 45 milioni di euro a favore di coloro che hanno sempre operato nel rispetto delle regole;
a richiedere in maniera esauriente ed ultimativa all'Agea i dati produttivi e dell'anagrafe zootecnica alla base delle compensazioni e dei super prelievi computati a tutti i produttori dall'annata 1995 all'annata 2009 (così come già richiesto dall'Agecontrol Spa con il progetto start up del 4 novembre 2011);
previo l'acquisizione dei dati di cui sopra, a porre in essere iniziative anche di tipo normativo per procedere alla riscossione delle multe per le quote latte al fine di garantire il recupero delle somme ed evitare che l'Italia sia sottoposta a procedure di infrazione, nonché a tutelare i produttori che si sono messi in regola.
(7-00749) «Di Giuseppe, Messina, Rota».

...

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:

PILI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la coesione territoriale, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
la questione infrastrutturale sarda con la definizione degli interventi nell'ambito della piastra logistica Euromediterranea è fondamentale nella definizione di nuovi assetti di riequilibrio e coesione economica e sociale;
l'articolo 22 (perequazione infrastrutturale) della legge n. 42 del 2009 dispone quanto segue: «In sede di prima applicazione, il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Ministro per le riforme per il federalismo, il Ministro per la semplificazione normativa, il Ministro per i rapporti con le regioni e gli altri Ministri competenti per materia, predispone una ricognizione degli interventi infrastrutturali, sulla base delle norme vigenti, riguardanti le strutture sanitarie, assistenziali, scolastiche nonché la rete stradale, autostradale e ferroviaria, la rete fognaria, la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas, le strutture portuali ed aeroportuali. La ricognizione è effettuata tenendo conto, in particolare, dei seguenti elementi:

(...) g) specificità insulare con definizione di parametri oggettivi relativi alla misurazione degli effetti conseguenti al divario di sviluppo economico derivante dall'insularità, anche con riguardo all'entità delle risorse per gli interventi speciali di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione»;
risulta, quindi decisivo introdurre elementi oggettivi di misurazione e compensazione del divario insulare;
nel caso delle infrastrutture di trasporto, un indicatore in grado di misurare in maniera soddisfacente la dotazione infrastrutturale di una realtà territoriale come la Sardegna deve necessariamente tenere conto, non solo degli aspetti quantitativi (come ad esempio la lunghezza complessiva della rete viaria e la sua tipologia, o il numero di snodi ferroviari), ma anche degli aspetti qualitativi e prestazionali legati alla qualità della rete, all'orografia del territorio e alla topologia del reticolo di trasporto. In questo modo è possibile ipotizzare e selezionare alcuni indicatori di tipo nuovo in grado di condurre alla costruzione di specifici indici;
è indispensabile predisporre un sistema di indicatori di dotazione infrastrutturale definito a seguito di un opportuno processo di media, che assuma come riferimento «indici di accessibilità» definiti a livello territoriale;
in attesa di definire con apposite norme l'individuazione di tali indici sono sufficienti a comprendere il divario insulare che grava sulla Sardegna quelli messi a disposizione dall'atlante infrastrutturale (CNEL e Istituto Tagliacarte), dal quale emergono dati di comparazione assolutamente emblematici dell'assenza di coesione e unità nazionale;
per quanto riguarda le reti energetiche, l'indice è di 100 per l'Italia; di 64,54 per il Mezzogiorno; di 35,22 per la Sardegna;
per quanto riguarda le reti stradali, l'indice è di 100 per l'Italia; di 87,10 per il Mezzogiorno; di 45,59 per la Sardegna;
per quanto riguarda le reti ferroviarie, l'indice è di 100 per l'Italia; di 87,81 per il Mezzogiorno; di 15,06 per la Sardegna;
per quanto riguarda l'analisi delle infrastrutture economico sociali, l'indice è di 100 per l'Italia; di 84,45 per il Mezzogiorno; di 66,16 per la Sardegna;
è indispensabile per questo motivo proporre e definire un criterio parametrato che impedisca nel futuro uno squilibrio economico-finanziario di tale rilevanza, evitando di porre in essere atti che compromettano la coesione nazionale incidendo sull'uguaglianza tra cittadini di uno stesso Stato e sulla stessa unità nazionale -:
se il Governo non ritenga dover adottare atti e quali relativamente alla questione infrastrutturale sarda con la definizione degli interventi nell'ambito della piastra logistica euromediterranea così come, tra l'altro, previsto nel parere formulato dalla competente immissione parlamentare della Camera in occasione dell'esame del documento di economia e finanza 2011.
(5-05892)

PILI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
la vertenza Equitalia e il rischio fallimento per decine di migliaia di imprese sarde costituisce priorità assoluta per il mantenimento dell'assetto produttivo e per non gravare ulteriormente la già drammatica crisi occupazionale e sociale dell'isola;
la vertenza Equitalia è sintetizzata con i seguenti dati: sono 70.430 le imprese sarde che risultano gravemente indebitate per complessivi 4.273.745.722 euro;
2.351 le imprese fallite che avevano complessivamente un debito verso lo Stato e gli altri enti pari a 1.216.297.600;
la situazione complessiva dell'indebitamento delle imprese sarde non ha precedenti nel resto del Paese e il quadro che

emerge dalla lettura dei dati analitici rischia di travolgere l'intero sistema economico della Sardegna;
i dati analitici al 2011 relativi alla Sardegna e alle singole province statali risultano essere i seguenti:
nella provincia di Cagliari il numero delle imprese è pari a 33.956 con un debito pari a 2.232.506.018,92 euro (di cui 215.968.829,76 euro rateizzati) così ripartiti: 1.460.040.661,45 all'erario, 496.564.809,70 all'Inps, e 275.900.547,77 ad altri. Di tali somme 761.223.955,78 euro sono da riferire a 1.192 imprese fallite (500.054.367,62 euro nei confronti dell'erario, 157.401.588.13 nei confronti dell'Inps e 103.768.000,03 euro ad altri creditori);
nella provincia di Nuoro il numero delle imprese e pari a 8.840 con un debito pari a 417.859.431,51 euro (di cui 35.357.635,18 euro rateizzati) così ripartiti: 259.058.923,18 all'erario, 79.517.547,70 all'Inps, e 79.282.960,63 ad altri. Di tali somme 117.833.940,07 euro sono da riferire a 220 imprese fallite (67.798.552,98 euro nei confronti dell'erario, 15.718.110,29 nei confronti dell'Inps e 34.317.276,80 euro ad altri creditori);
nella provincia di Oristano il numero delle imprese è pari a 4.685 con un debito pari a 207.362.065,67 euro (di cui 19.331.868,51 euro rateizzati) così ripartiti: 121.735.683,08 all'erario, 38.655.364,83 all'Inps, e 46.971.017,76 ad altri. Di tali somme 74.127.027,82 euro sono da riferire a 204 imprese fallite (40.124.957,50 euro nei confronti dell'erario, 7.887.374,76 nei confronti dell'Inps e 26.024.695,56 euro ad altri creditori);
nella provincia di Sassari il numero delle imprese è pari a 22.949 con un debito pari a 1.416.018.206,85 euro (di cui 123.972.079,80 euro rateizzati) così ripartiti: 953.107.148,25 all'erario, 300.544.393,31 all'Inps, e 162.366.665,29 ad altri. Di tali somme 263.112.676,48 euro sono da riferire a 735 imprese fallite (194.004.841,67 euro nei confronti dell'erario, 49.002.900,79 nei confronti dell'Inps e 20.104.934,02 euro ad altri creditori);
nella regione Sardegna il numero delle imprese è pari a 70.430 con un debito pari a 4.273.745.722,95 euro (di cui 394.630.413,25 euro rateizzati) così ripartiti: 2.793.942.415,96 all'erario, 915.282.115,54 all'Inps, e 564.521.191,45 ad altri. Di tali somme 1.216.297.600,15 euro sono da riferire a 2.351 imprese fallite (802.072.719,77 euro nei confronti dell'erario, 230.009.973,97 nei confronti dell'Inps e 184.214.906,41 euro ad altri creditori);
i dati riportati costituiscono il più oggettivo riscontro di una situazione che rischia il tracollo dell'apparato produttivo della Sardegna;
la definizione di un'iniziativa normativa emergenziale già proposta dall'interrogante e da decine di parlamentari costituisce la soluzione inderogabile al problema che ha assunto connotati drammatici -:
se il Governo non intenda assumere adeguate iniziative normative alla pari di quelle avanzate con la proposta di legge Camera dei deputati n. 4702 relativamente alla vertenza Equitalia e il rischio fallimento per decine di migliaia di imprese sarde.
(5-05895)

PILI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
le decisioni della Commissione europea di bloccare l'esportazione suinicola della Sardegna costituisce il presupposto per un disastro economico sociale gravissimo per il quale si rendono necessari provvedimenti urgenti tesi ad eliminare vincoli e limitazioni al settore zootecnico sardo già duramente gravato dalla condizione insulare e oggi pesantemente condizionato da emergenze sanitarie illogiche e irrazionali;
occorre definire e attivare quanto prima un corridoio sanitario fattivamente e puntualmente controllato che garantisca la salvaguardia delle 469 aziende suinicole

virtuose accreditate come indenni dalla peste suina e certificate secondo le regole della biosicurezza;
il blocco rappresenta un danno gravissimo per la filiera suinicola sarda distogliendo dal libero mercato carni che risultano sotto ogni punto di vista sane e controllate;
sarebbe assolutamente illogico, irrazionale e illegittimo avere tutte le certificazioni e poi vietare le esportazioni -:
se il Governo non ritenga necessario individuare e proporre provvedimenti urgenti tesi ad eliminare vincoli e limitazioni ai settori lattiero caseario e zootecnico sardo già duramente gravati dalla condizione insulare e oggi aggravati da fantomatiche emergenze sanitarie.
(5-05896)

PILI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
occorre definire un nuovo assetto del patto di stabilità per la Sardegna in considerazione della sua condizione insulare con l'attuazione dell'articolo 5-bis del decreto-legge n. 138 inserito dalla legge di conversione 14 settembre 2011, n. 148;
il decreto-legge n. 138 prevede: «Art. 5-bis. - (Sviluppo delle regioni dell'obiettivo convergenza e realizzazione del Piano Sud) ha previsto al comma 1: Al fine di garantire l'efficacia delle misure finanziarie per lo sviluppo delle regioni dell'obiettivo convergenza e l'attuazione delle finalità del Piano per il Sud, a decorrere dall'anno finanziario in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, la spesa in termini di competenza e di cassa effettuata annualmente da ciascuna delle predette regioni a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, sui cofinanziamenti nazionali dei fondi comunitari a finalità strutturale, nonché sulle risorse individuate ai sensi di quanto previsto dall'articolo 6-sexies del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, può eccedere i limiti di cui all'articolo 1, commi 126 e 127, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, nel rispetto, comunque, delle condizioni e dei limiti finanziari stabiliti ai sensi del comma 2 del presente articolo. 2. Al fine di salvaguardare gli equilibri di finanza pubblica, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale e di intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano da adottare entro il 30 settembre di ogni anno, sono stabiliti i limiti finanziari per l'attuazione del comma 1, nonché le modalità di attribuzione allo Stato ed alle restanti regioni dei relativi maggiori oneri, garantendo in ogni caso il rispetto dei tetti complessivi, fissati dalla legge per il concorso dello Stato e delle predette regioni alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per l'anno di riferimento»;
tale dispositivo, come d'intesa con il precedente Governo, deve essere obbligatoriamente esteso anche alla Sardegna in quanto compresa tra le regioni oggetto delle finalità del Piano per il Sud -:
se il Governo non ritenga indispensabile e urgente assumere iniziative se del caso normative, dirette a definire un nuovo assetto del patto di stabilità per la Sardegna in considerazione della sua condizione insulare e per la piena corrispondenza con gli obiettivi del piano per il Sud con l'attuazione dell'articolo 5-bis della legge 148 del 14 settembre 2011.
(5-05899)

PILI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
la definizione della partita delle entrate oggetto di ricorso alla Corte costituzionale è questione fondamentale per il rispetto delle norme statutarie e la salvaguardia dell'equilibrio finanziario della regione Sardegna;

la legge finanziaria per il 2007, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 299 del 27 dicembre 2006, supplemento ordinario n. 244 (finanziaria 2007), aveva disposto, all'articolo 1, comma 838 e seguenti, la modifica dell'articolo 8 dello Statuto della regione autonoma della Sardegna;
l'articolo 1, comma 838, della legge finanziaria dello Stato per il 2007 aveva, dunque, modificato alcune disposizioni relative alle entrate della regione Sardegna come previste dallo Statuto speciale della regione. Tale norma prevede altresì che l'attuazione delle previsioni relative alla compartecipazione al gettito delle imposte non possa determinare oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato quantificati in alcune cifre precise per gli anni dal 2007 al 2009 (344 milioni di euro per il 2007, 371 milioni di euro per il 2008 e 482 milioni di euro per l'anno 2009);
sempre il comma 838 prevede - all'ultimo periodo del comma stesso - che la nuova compartecipazione della regione Sardegna al gettito erariale entri a regime dal 2010;
il comma 840 stabilisce che per gli anni 2007, 2008 e 2009 gli oneri relativi alle funzioni trasferite alla regione Sardegna - come previsto dal comma 837 - restino a carico dello Stato;
comparando le norme si evince che tutte le competenze che lo Stato ha previsto di «scaricare» alla regione dal 2010 saranno a totale carico della regione senza che sia stata definita la tempistica, la modalità e la quantità delle risorse che lo Stato deve trasferire in funzione delle nuove competenze alla regione rispetto al nuovo assetto delle compartecipazioni;
tale accordo recepito nella finanziaria per il 2007 risultava sin dall'inizio non chiaramente compensato tra le risorse che lo Stato doveva trasferire alla regione e l'assunzione di nuovi oneri da parte della regione stessa;
il rinvio al 2010 delle relative compensazioni da parte dello Stato era risultato sin dal primo istante aleatorio e indefinito ai fini di una certezza economica, finanziaria e contabile per le entrate della regione Sardegna;
l'iscrizione delle somme delle entrate compensative nella proposta di bilancio e nella finanziaria sin dal 2010 della regione impone una risposta immediata sulle procedure che la ragioneria generale dello Stato intende adottare per compensare quelle risorse;
avendo Stato e regione deciso di definire attraverso ulteriori (e, ad avviso dell'interrogante, inutili e pleonastici) norme attuative la definizione delle risorse da trasferirsi e considerato che le stesse norme, approvate dalla commissione paritetica, sono state ratificate dalla regione Sardegna ma non dal Governo, si rende indispensabile ad avviso dell'interrogante, definire una soluzione senza attendere il pronunciamento della Corte costituzionale chiamata a pronunciarsi su ricorso della regione Sardegna -:
se il Ministro dell'economia e delle finanze non ritenga necessario predisporre adeguate e urgenti iniziative necessarie alla definizione della partita delle entrate oggetto di ricorso alla Corte costituzionale.
(5-05906)

Interrogazioni a risposta scritta:

PILI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
le questioni industriali della Sardegna, dalla realizzazione del sistema integrato Miniera Carbosulcis-Centrale, alla definizione della ripresa produttiva della società Eurallumina, alla ripresa produttiva della Vinyls di Porto Torres, alla definizione dell'assetto energetico per gli stabilimenti energivori del Sulcis e quelli della Ottana Energia, ex Enichem di Ottana rappresentano le questioni prioritarie dell'agenda industriale del sistema Sardegna;

in particolar modo le relative vertenze sono così articolate:
a) Carbosulcis - ciclo integrato «miniera centrale» - il progetto prevede la realizzazione di un processo di produzione di energia elettrica attraverso l'estrazione del carbone Sulcis e l'utilizzo in una nuova centrale con cattura e stoccaggio di CO2. I termini prevedono una gara d'appalto internazionale che si farebbe dovuta bandire entro e non oltre il 31 dicembre 2011. Termine per il quale è stata prevista una ulteriore proroga nel cosiddetto decreto-legge «mille proroghe». A tutt'oggi niente è stato ancora fatto dalla regione Sardegna relativamente al bando di gara internazionale e niente risulta definito con la Commissione europea relativamente alle osservazioni che la stessa ha avanzato sul progetto. È indispensabile un immediato intervento presso la Commissione europea e un'azione decisionale dello Stato relativamente all'indizione della gara d'appalto internazionale da parte della regione sarda;
b) Vinyls - lo stabilimento di Porto Torres attende ancora una risposta per la ripresa produttiva interrotta ormai due anni fa. Si rende improcrastinabile intervenire per vagliare nuove offerte di acquisto finalizzate al rilancio produttivo. Il Ministero dello sviluppo economico è chiamato a vagliare in ordine di tempo l'ultima offerta di acquisto da parte della Bp Oil che dovrà garantire non solo la ripresa produttiva ma anche la piena occupazione dei lavoratori Vinyls;
c) Eurallumina - lo stabilimento di Portovesme che produce allumina, materia prima del ciclo produttivo dell'alluminio, è chiuso da ormai tre anni. I proprietari della Rusal hanno chiesto garanzie sul fronte dell'approvvigionamento elettrico con la predisposizione di una nuova centrale a servizio dello stabilimento. Occorre individuare il percorso tecnico amministrativo per rendere fattibile in tempi rapidi il soddisfacimento di quel piano delineato per il rilancio dello stabilimento, non ultimo un processo integrato della metallurgia non ferrosa capace di salvaguardare le produzioni di Piombo Zinco e Alluminio -:
se il Governo non ritenga indispensabile proporre adeguate soluzioni alle principali questioni industriali della Sardegna, dalla realizzazione del sistema integrato Miniera Carbosulcis-Centrale, alla definizione della ripresa produttiva della società Eurallumina, alla ripresa produttiva della Vinyls di Porto Torres, alla definizione dell'assetto energetico per gli stabilimenti energivori del Sulcis e quelli della Ottana Energia, ex Enichem di Ottana.
(4-14432)

PILI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
riveste importanza strategica per la Sardegna la definizione dell'iter relativo all'autorizzazione finale relativa alla realizzazione del metanodotto Algeria-Sardegna-Europa;
il 9 gennaio 2003 si è costituita la società Galsi spa per sviluppare lo studio di fattibilità di una nuova infrastruttura di importazione di gas naturale dall'Algeria all'Italia, nelle quote azionarie entra a far parte anche la regione Sardegna, attraverso le controllate Sfirs e Progemisa;
il 31 luglio 2008 la società Galsi presenta l'istanza di autorizzazione alla costruzione e all'esercizio del gasdotto presso i Ministeri competenti dando avvio alla procedura autorizzativa;
in 25 luglio 2011 il dipartimento per l'energia direzione generale per la sicurezza dell'approvvigionamento e le infrastrutture energetiche divisione VI ha pubblicato l'avviso di procedimento;
la società Galsi spa ha chiesto al Ministero dello sviluppo economico l'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio, per la parte ricadente nelle aree di giurisdizione italiana, di un metanodotto per l'importazione di gas dall'Algeria.

L'istanza è stata presentata ai sensi dell'articolo 52-quinquies, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001, come modificato ed integrato dal decreto legislativo n. 330 del 2004 relativamente alle espropriazioni per la realizzazione di infrastrutture lineari energetiche. L'autorizzazione comprende anche la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera, la valutazione di impatto ambientale, la valutazione di incidenza naturalistico ambientale, l'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio dei beni interessati e la variazione degli strumenti urbanistici. Il provvedimento finale comprende inoltre l'approvazione del progetto definitivo e determina l'avvio del procedimento di esproprio;
dopo oltre 4 anni il 22 dicembre 2011 si è concluso l'iter autorizzativo con la convocazione da parte del responsabile del procedimento della conferenza dei servizi per l'autorizzazione finale;
tale autorizzazione risulta indispensabile agli investitori internazionali per poter avviare entro il mese di gennaio la definizione degli investimenti e nel contempo dall'esigenza di non perdere lo stanziamento di 120 milioni di euro dell'Unione europea il cui termine ultimo fissato è il 31 dicembre 2011 e per il quale occorre richiedere una proroga -:
se il Ministro dello sviluppo economico dopo la definizione dell'autorizzazione finale relativa alla realizzazione del metanodotto Algeria-Sardegna-Europa non intenda attivarsi con gli operatori internazionali al fine di definire entro il mese di gennaio il planning operativo per l'avvio della realizzazione del metanodotto;
se il Governo non intenda attivarsi al fine di richiedere all'Unione europea una proroga relativa al finanziamento ottenuto per la realizzazione del metanodotto;
se il Governo non intenda attivarsi per sollecitare la convocazione di un confronto con le associazioni datoriali al fine di garantire la massima trasparenza e tutela per le imprese sarde nell'esecuzione dei lavori relativi alla realizzazione del metanodotto.
(4-14433)

MAURIZIO TURCO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il Direttore del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria era, nell'anno 1992, il dottor Nicolò Amato ed il suo vice Direttore il dottor Edoardo Fazzioli;
nel maggio 1993, il dottor Nicolò Amato ed il dottor Edoardo Fazzioli vennero improvvisamente sostituiti e al loro posto furono nominati il dottor Adalberto Capriotti e, quale suo vice, il dottor Francesco Di Maggio;
il dottor Andrea Calabria, all'epoca vice Direttore dell'Ufficio detenuti del DAP, ha affermato in data 28 giugno 2011, dinnanzi alla Commissione Parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, che «...Dico ciò per fornirvi un quadro circa i problemi del dottor Di Maggio che, tra l'altro, non era stato salutato nemmeno molto bene nell'amministrazione penitenziaria perché non aveva un'anzianità di servizio adeguata. Anche lui era magistrato di tribunale; era entrato in magistratura nel maggio del 1981, quindi quando arrivò da noi non era neanche consigliere di Corte d'appello; non aveva maturato alcuna esperienza nel settore penitenziario...»;
il dottor Sebastiano Ardita, nel suo saggio «Ricatto allo Stato», ha precisato che, allo scopo di fargli ricoprire quel posto, gli fu dunque riconosciuta con decreto del Presidente della Repubblica, la speciale nomina nell'organico dei consiglieri della Presidenza del Consiglio dei ministri ed ha individuato nel decreto del Presidente della Repubblica del 23 giugno 1993 l'atto contenente il suddetto provvedimento;

il dottor Sebastiano Ardita, in sede di audizione dibattimentale nell'ambito del processo al Generale Mario Mori ed al Colonnello Mauro Obinu, in data 23 dicembre 2011, ha riferito che tale decreto del Presidente della Repubblica fu adottato su proposta dell'allora Presidente del Consiglio, Carlo Azeglio Ciampi;
il dottor Adalberto Capriotti, in data 28 ottobre 1994 dinnanzi alla Commissione Parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, ha riferito che «Il vice D.G. è stato incaricato insieme ad altra persona di gestire ed approntare un congresso che si terrà a Napoli tra il 21 e il 23 novembre (...) Ho fatto rilevare che mentre per il suddetto vice D.G. era intervenuto un provvedimento di nomina, non ne è stato emanato uno di revoca, di guisa che egli è sempre il vice D.G...» -:
se risulti al Governo:
a) quale sia la data di pubblicazione del decreto del Presidente della Repubblica 23 giugno 1993 ed il numero della Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana nella quale è contenuto;
b) quali siano i riferimenti relativi ai provvedimenti richiamati in tale decreto del Presidente della Repubblica, e segnatamente la proposta del Presidente del Consiglio pro-tempore Ciampi;
c) quale sia la precisa data in cui il dottor Di Maggio si è effettivamente insediato presso il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria.
(4-14438)

TURCO MAURIZIO, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e ZAMPARUTTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri. - Per sapere - premesso che:
da un'inchiesta del quotidiano La Repubblica di Fabio Tonacci e Francesco Viviano si apprende:
a) che in data 16 dicembre 2011 il sostituto procuratore della Repubblica di Roma, Luca Tescaroli, con lettera inoltrata al direttore dell'Ufficio II, della direzione affari generali del Ministero della giustizia, ha sollecitato l'evasione di tre richieste di commissione rogatoria «de quibus» del 20 novembre 2008, 23 gennaio 2004, 28 novembre 2002 in relazione al procedimento relativo all'omicidio di Roberto Calvi, indispensabili per ricostruire il flusso di denaro della mafia transitato, a scopo riciclaggio, su alcuni conti segreti dello Ior, l'Istituto per le Opere di Religione;
b) nel maggio del 2010 la procura di Roma apre un'indagine sui rapporti sospetti tra lo Ior e dieci banche italiane, tra cui figurano i colossi Unicredit e Intesa San Paolo, oltre a realtà più modeste come la Banca del Fucino. L'istituto vaticano viene accusato di usare in modo cumulativo, senza fornire i dati per identificare i soggetti che vi facevano transitare i soldi, un conto corrente aperto nella filiale 204 dell'ex Banca di Roma (oggi Unicredit) in via della Conciliazione, a ridosso delle mura Leonine. Violando così la normativa antiriciclaggio. In due anni su quel conto sono passati 180 milioni di euro. Il sospetto della magistratura è che soggetti con residenza fiscale in Italia abbiano usato o usino tuttora lo Ior come «schermo» per nascondere i soldi dell'evasione fiscale o i proventi di truffe. Ma tutto si ferma perché i pubblici ministeri italiani non hanno competenza a indagare sullo Ior senza una rogatoria internazionale, a causa della sua natura formalmente estera. Il 20 settembre 2010 ancora la procura della capitale, su segnalazione della Banca d'Italia, dispone il sequestro preventivo (non eseguito) di 23 milioni di euro depositati su un conto presso la filiale romana del Credito Artigiano spa intestato allo Ior. Il sospetto è che anche in questo caso venga violata la norma antiriciclaggio; nel mirino dei pubblici ministeri due operazioni di trasferimento di 20 milioni di euro alla JP Morgan di Francoforte e di altri tre milioni alla Banca del Fucino. Vengono indagati il presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi, e il direttore generale Paolo Cipriani;

«La Santa Sede - sottolinea il Vaticano - manifesta perplessità per l'iniziativa della procura di Roma, i dati informativi necessari sono già disponibili presso l'ufficio competente della Banca d'Italia. Quanto agli importi citati, si tratta di operazioni di giroconto per tesoreria presso istituti di credito non italiani il cui destinatario è il medesimo Ior»;
sul sito dello Stato Città del Vaticano:
c) alla voce «Organi dello Stato» si legge che «La forma di governo è la monarchia assoluta. Capo dello Stato è il Sommo Pontefice, che ha la pienezza dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario»; ad avviso degli interroganti un Paese con tali caratteristiche non potrebbe oggettivamene dare le garanzie richieste per ottemperare alle normative internazionali antiriciclaggio (www.vaticanstate.va/IT/Stato-e-Governo/OrganidelloStato/);
d) alla voce «Organigramma dello Stato» risulta a tutt'oggi presente tra i Consiglieri dello Stato il professor Massimo Vari (http://www.vaticanstate.va/ IT/Stato-e-Governo/StrutturadelGovernatorato/Organigramma/organigramma-stato.htm);
e) che in particolare sulle questioni relative al riciclaggio è da rilevare che - in relazione alla domanda della Santa sede di far parte del gruppo Moneyval del Consiglio d'Europa, presso il quale la Santa sede ha lo status di osservatore dal 7 marzo 1970 - il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa ha accolto «la domanda della Santa sede (compreso lo Stato Città del Vaticano)»;
gli interroganti hanno presentato su argomenti analoghi diverse interrogazioni alle quali il precedente Governo non ha reso risposta; si tratta in particolare dell'interrogazione 4-00070 del 29 aprile 2008 la cui risposta è stata sollecita 28 volte, dell'interrogazione 4-05327 del 9 dicembre 2009 la cui risposta è stata sollecitata 16 volte, dell'interrogazione 4-07270 del 19 maggio 2010 la cui risposta è stata sollecitata 11 volte, dell'interrogazione 4-08077 del 19 luglio 2010 la cui risposta è stata sollecitata 11 volte dell'interrogazione 4-08905 del 5 ottobre 2010 la cui risposta è stata sollecitata 10 volte -:
sul punto a) se e quali iniziative intenda prendere e, nel caso le prendesse e non dovesse ricevere risposta, quali ulteriori iniziative la Repubblica italiana potrebbe assumere;
sul punto b) se risulti a che punto sia la procedura giudiziaria;
sul punto c) se il Governo intrattenga rapporti con altri Paesi retti da una monarchia assoluta;
sul punto d) se il Sottosegretario allo sviluppo economico, professor Massimo Vari, continui a svolgere le funzioni di Consigliere dello stato Città del Vaticano e, se del caso, quali iniziative intenda assumere;
sul punto e) se non ritenga che la mancata risposta alle richieste di rogatoria da parte dello Stato Città del Vaticano consenta di rivolgersi alla Santa sede, con la quale la Repubblica italiana ha concordato in essere.
(4-14439)

...

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:

CODURELLI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
in data 23 settembre 2009 l'interrogante presentava l'atto di sindacato ispettivo n. 5/01825 relativo alla situazione di degrado in cui versava il sito italiano del campo di concentramento di Mauthausen oggi divenuto un monumento alla memoria, e visitato ogni anno in media da duecentomila persone;
in data 24 febbraio 2010 il Sottosegretario agli affari esteri del Governo Berlusconi, Stefania Craxi, nel corso dello svolgimento dichiarava che: «Tale monumento,

alla cui manutenzione provvede il competente Commissariato generale per le Onoranze ai caduti in guerra, è stato oggetto nel 2006 di un intervento di restauro nella parte anteriore che ha comportato una spesa di circa 25.000 euro; nel complesso, si presenta in buono stato di conservazione sia per quanto attiene la struttura che l'area circostante, come è stato possibile accertare nell'ambito di una visita del sito effettuata nel mese di settembre 2008; anche nel corso di una successiva ricognizione in loco effettuata nello scorso mese di dicembre è stato rilevato che il monumento è in buone condizioni generali, salvo presentare cedimenti nella parte posteriore, dovuti, con tutta probabilità, ad infiltrazioni di acqua. Riguardo alla presunta «situazione di degrado in cui versa il sito italiano...», ritengo che tale affermazione non si riferisca all'effettivo stato di manutenzione generale del manufatto, quanto piuttosto alla parte posteriore dello stesso, dove sono presenti numerose «memorie» costituite, essenzialmente, da targhe e da lapidi che, nel corso degli anni, sono state apposte da familiari, da Associazioni, da Comuni e da altri Enti (si lasciano agli atti alcune fotografie del Monumento). Tali «memorie» sono state poste, in successione temporale, fino a ricoprire completamente l'intera superficie della parete, per cui l'insieme di tali testimonianze potrebbe, in qualche modo, indurre alcuni visitatori a percepire un'impressione di disordine, tenuto conto anche che alcuni elementi iniziano a presentare fenomeni di distacco - risentendo, evidentemente, dell'azione degli agenti atmosferici - e necessiterebbero di un intervento di pulizia e di stabilizzazione. In tale quadro, la questione di assegnare una diversa collocazione alle «memorie» era già stata affrontata nel 2005, in occasione dei richiamati lavori di restauro del Monumento. L'Ambasciata d'Italia in Vienna, all'epoca, aveva interessato l'Associazione nazionale ex deportati politici nei lager nazisti (A.N.E.D.), la cui Presidenza aveva rappresentato che: non si poteva non tenere conto della rilevanza dei sentimenti che racchiudono ed esprimono i ricordi familiari dei Caduti che si sono accumulati dietro il monumento; accettava che i «ricordi» fossero rimossi e custoditi gelosamente, secondo specifici accordi; successivamente ai lavori, eseguiti a cura del citato Commissariato generale, sarebbe stato costruito, alle spalle del monumento, un muricciolo, della stessa lunghezza del monumento, sul quale sarebbero stati apposti i «ricordi»; il costo di questo manufatto sarebbe stato assunto dall'A.N.E.D., con l'auspicio di potere disporre anche di un contributo da parte dell'Ambasciata. Una seconda opzione prevedeva, altresì, che, qualora l'A.N.E.D. non avesse ritenuto di procedere alla temporanea rimozione delle testimonianze sul retro del muro, per la fragilità di numerosi ricordi murati, la stessa Associazione - che, allo stato, non ha ancora reso noto le proprie deliberazioni - si sarebbe fatta carico delle spese per la ripulitura delle superfici della facciata posteriore.
La rappresentanza diplomatica, dal canto suo, nel rappresentare che qualsiasi intervento che vada a modificare l'attuale situazione debba essere preventivamente coordinato e condiviso dall'A.N.E.D., ha fatto presente che devono essere puntualizzate le responsabilità e le possibilità d'intervento da parte dei vari «attori» nazionali.
A tal proposito, si è già provveduto a contattare le Autorità austriache per accertare, in maniera inequivocabile, la possibilità d'intervento e/o eventuali limiti. Concludendo, si assicura che la questione è tenuta nella massima considerazione, al fine di continuare ad onorare - nel tempo, nei modi e nelle forme più adeguate - la memoria di quanti perirono nel lager di Mauthausen;
ad oggi, in base a recenti testimonianze di italiani recatisi sul luogo in visita, la situazione di degrado continua a permanere e nessun intervento è stato operato dal precedente Governo nonostante la presa in carico dell'ex Sottosegretario Craxi;

dalle segnalazioni ricevute pare che i monumenti delle varie nazioni, là esistenti, sono in ottimo stato e curati con decoro e onore alla memoria dei loro caduti, mentre quello italiano versa in uno stato di abbandono, dando una brutta e sciatta immagine di noi stessi, davanti ai tanti visitatori che annualmente provengono da tutto il mondo -:
a fronte di queste ulteriori segnalazioni provenienti da familiari dei deportati, quali iniziative intenda assumere per ridare dignità al sito italiano del campo di concentramento nel rispetto della memoria dei nostri concittadini.
(5-05907)

Interrogazione a risposta scritta:

SCANDROGLIO. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
lo sterminio dei cristiani in Nigeria continua. A Yola, all'interno di una chiesa, il giorno 7 gennaio 2012 uomini armati hanno aperto il fuoco contro dei fedeli, uccidendone almeno otto. Fonti del locale ospedale che hanno recuperato i corpi e notizie attuali confermano lo stato di oppressione cui versano i cristiani nigeriani;
pochi giorni fa un raid sanguinario sempre della setta integralista Boko Haram ha fatto irruzione in una casa di Mubi dove si stava tenendo una veglia funebre lasciando a terra 17 persone ed un numero imprecisato di feriti. La setta Boko Haram legata ad Al Qaeda prova ad imporre col terrore la Sharia; la conseguenza è la fuga delle popolazioni cristiane e di fatto si sta assistendo ad una pulizia etnica senza precedenti. In quell'area è decretato lo stato di emergenza, ma nonostante le affermazioni del capo della polizia locale migliaia di persone hanno abbandonato le loro case. In Nigeria i morti sono centinaia ed i cristiani subiscono un martirio senza fine in gran parte delle aree di religione islamica -:
se intenda offrire elementi di informazione sulla situazione dei cristiani in Nigeria e fornire assicurazioni e notizie in ordine alle misure poste in essere dal Governo del presidente nigeriano Goodluck Jonathan per tutelare i nostri correligionari.
(4-14430)

...

AFFARI EUROPEI

Interrogazione a risposta in Commissione:

CONTENTO. - Al Ministro per gli affari europei, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
il settore produttivo delle patate non verrà sottoposto al regime comunitario della politica agricola comune fino al 2014;
dallo scorso 1o gennaio quest'ambito agricolo risulta, però, estromesso anche dalle forme di sostegno nazionale sinora poste in essere (in Italia si trattava di due accordi interprofessionali che, mediante un sistema di aiuti di Stato, ha sempre garantito una corretta gestione del mercato, nonché lo stoccaggio di prodotti freschi o da destinare alla lavorazione industriale);
attualmente non è chiaro quale sarà il regime transitorio 2012-2013 da applicare al settore della patata, tanto che consta che le istituzioni di Bruxelles siano ancora al lavoro ad una proposta normativa che risolva l'incognita (al momento l'intero ambito è regolato dalle disposizioni di cui al regolamento (CE)1182/2007, che contempla la creazione di una organizzazione comune di mercato (OCM) per le patate prima del 2014;
questo stato di incertezza sta suscitando notevoli preoccupazioni tra i produttori nazionali, i quali sollecitano l'individuazione di congrui strumenti finanziari per affrontare il futuro biennio e non vanificare così gli ottimi risultati sinora raggiunti -:
se siano a conoscenza della situazione indicata in premessa e se non ritengano

fondamentale che il nostro Paese si attivi presso le istituzioni europee affinché le patate possano godere sin dall'anno in corso di una specifica organizzazione comune di mercato (OCM) o, comunque di provvedimenti di analogo effetto;
se sia ipotizzabile chiedere in sede di Unione europea una deroga all'applicazione del regolamento (CE) 1182/2007, consentendo sino al 2014 la gestione del mercato con misure a carattere nazionale.
(5-05887)

...

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:

PILI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
il 14 luglio 2003 veniva siglato nella sede della Presidenza del Consiglio dei ministri, a Palazzo Chigi, l'accordo di programma tra la regione Sardegna, il Governo e numerosi altri soggetti istituzionali, datoriali, sociali e privati per la qualificazione dei poli chimici della Sardegna;
l'accordo veniva sottoscritto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, Ministero dell'economia e delle finanze, Ministero per le attività produttive, Ministero dell'ambiente e tutela del territorio, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dalla regione autonoma della Sardegna, Sviluppo Italia spa, Osservatorio nazionale per la Chimica, Osservatorio regionale per la Chimica, provincia di Cagliari, provincia di Nuoro, provincia di Sassari, comune di Assemini, comune di Ottana, comune di Porto Torres, comune di Sarroch, comune di Uta, organizzazioni sindacali Regionali: CGIL, CISL, UIL, organizzazioni sindacali territoriali: CGIL, CISL, UIL, FULC Nazionale, FULC Regionale, FULC Territoriale, Confindustria regionale, Confindustria Cagliari, Confindustria Nuoro, Confindustria Sassari, Api Sarda, Federchimica, Unionchimica, Consorzio per l'area di sviluppo industriale di Cagliari, Consorzio per lo sviluppo industriale della Sardegna centrale, Area di sviluppo industriale di Sassari-Porto Torres, Syndial, Polimeri Europa, EVC (European Vinyls Corporation), Montefibre, AES, DOW, SASOL (Italy), Fluorsid, Lorica, Mini Tow, Territorio e Impresa, Endesa;
nell'ambito dell'accordo, relativamente ai principali siti chimici di Assemini, Ottana e Porto Torres, si prendeva atto della presenza di vaste aree dismesse o sottoutilizzate, nonché dall'obsolescenza o assenza di molte infrastrutture primarie e da fenomeni di inquinamento che presupponevano l'avvio immediato di interventi di bonifica e riqualificazione in funzione delle previste politiche di reindustrializzazione e rinnovata promozione dei sistemi economici locali;
in data 22 gennaio 2002 veniva sottoscritto il protocollo per gli interventi di risanamento ambientale dei siti EniChem S.p.A. e Polimeri Europa S.r.l., sottoscritto dagli enti interessati, inerente le procedure da adottare nel rispetto del decreto legislativo n. 22 del 1997 e del decreto ministeriale n. 471 del 1999 ed in conformità alla delibera di giunta regionale n. 34/22 del 10 ottobre 2001;
nell'ambito di tali accordi e protocolli si prevedeva di risanare e tutelare l'ambiente attraverso azioni di disinquinamento, bonifica e messa in sicurezza dei siti, di riduzione delle emissioni in atmosfera e di prevenzione dei rischi di incidenti rilevanti, non solo con riferimento a quelli previsti dai piani di caratterizzazione ai sensi del decreto legislativo n. 22 del 1997 di competenza delle imprese, ma anche a quelli esterni interessati da fenomeni di inquinamento specifico;
all'articolo 5 (Tutela dell'ambiente) dell'accordo del 14 luglio 2003 si prevedeva: «Le azioni a tutela dell'ambiente,

funzionali alla attuazione degli interventi previsti dal presente Accordo, nel rispetto della vigente normativa regionale e nazionale, prevedono: lo smantellamento degli impianti dismessi e la messa in sicurezza e/o bonifica dei siti; l'individuazione dei piani di miglioramento sui temi dell'ambiente e della sicurezza;
all'articolo 10 (impegni delle imprese) era previsto: «Le Imprese firmatarie dell'Accordo si impegnano a creare le condizioni per rafforzare le proprie attività industriali nel quadro dei rispettivi piani strategici. Su tali basi, il contributo per il consolidamento possibile e la riqualificazione dei siti, finalizzata a favorire i processi di valorizzazione delle filiere esistenti e reindustrializzazione, anche nell'ottica della valorizzazione dell'imprenditoria locale, si articola in misure e tipologie diverse in rapporto alla specifica situazione industriale propria di ciascuna azienda, con riferimento a: investimenti per il miglioramento della sicurezza, anche in funzione delle recenti normative in materia e/o di riduzione dell'impatto ambientale; investimenti per la bonifica e messa in sicurezza dei siti produttivi anche in funzione dei previsti piani di reindustrializzazione delle aree di crisi;
l'articolo 14 della legge 31 luglio 2002, n. 179, concernente disposizioni in materia ambientale, su indicazione della regione Sardegna aveva precedentemente individuato il sito di interesse nazionale di «Aree industriali di Porto Torres»;
il 7 febbraio 2003 (Gazzetta Ufficiale n. 94 del 23 aprile 2003) è stato emanato il decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con il quale è stato perimetrato il sito di interesse nazionale di «aree industriali di Porto Torres»;
il 22 settembre 2009 è stato stipulato a Roma l'accordo di programma tra la regione autonoma della Sardegna, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la provincia di Sassari, i comuni di Porto Torres e di Sassari per la definizione degli interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza d'emergenza e bonifica nel sito di interesse nazionale di «Porto Torres»;
la firma dell'accordo di programma segue il decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio del 7 febbraio 2003 che ha perimetrato il sito di interesse nazionale di «Porto Torres»;
il sito di interesse nazionale (S.I.N.) «Aree industriali di Porto Torres» è situato nel comprensorio nord-occidentale della Sardegna, si sviluppa a ridosso del Golfo dell'Asinara (area protetta), a ponente della città di Porto Torres e si estende sul territorio dei comuni di Porto Torres e Sassari, per una superficie complessiva di oltre 4.500 ettari;
l'area perimetrata si estende su oltre 1.800 ettari e comprende il Polo Petrolchimico (stabilimenti Syndial e discariche controllate e non interne agli stabilimenti medesimi quali l'area Minciaredda, la discarica «Cava Gessi», discariche industriali ed altre aree interessate dallo smaltimento di rifiuti, stabilimenti Ineos Vinyls-ex EVC, Sasol ed altri), il Polo Elettrico (centrale E.ON.-ex Endesa e impianti Terna), le aree del Consorzio ASI di Porto Torres;
l'area marina antistante il nucleo industriale, già definita dalla perimetrazione di cui al citato decreto ministeriale 7 febbraio 2003, comprende il porto industriale di Porto Torres e si estende tra la foce del Rio Mannu (confine orientale) e lo Stagno di Pilo (confine occidentale) per una superficie complessiva di circa 2.700 ettari;
nell'ambito della complessa situazione ambientale dell'area di Porto Torres risultano emblematici i dati relativi all'inquinamento riscontrato nella darsena del porto industriale di Porto Torres: il rapporto predisposto dalla Direzione per la tutela del territorio e dall'Ispra allegato al verbale della conferenza dei servizi rileva livelli di benzene 417 mila volte oltre i parametri consentiti dalla normativa, toluene 3300 volte, etilbenzene 226 volte, e

altre decine di sostanze cancerogene - tutte riconducibili comunque alle lavorazioni dello stabilimento chimico e dell'area industriale - ben al di sopra dei limiti consentiti;
il 5 settembre 2011 la provincia di Sassari attraverso un'ordinanza del settore ambiente intima alla Syndial di provvedere immediatamente alla messa in sicurezza di emergenza, alla predisposizione del piano di caratterizzazione e alle conseguenti attività di bonifica dello specchio d'acqua nella darsena servizi del porto industriale di Porto Torres;
l'ordinanza della provincia di Sassari rileva una particolare recrudescenza del già grave fenomeno di inquinamento per la quale la capitaneria aveva chiesto all'Arpas di procedere alle verifiche del caso;
le Indagini dell'Arpas avevano rilevato le anomalie di funzionamento del sistema di emungimento e barrieramento idraulico a causa delle quali le acque di falda contaminate, che circolano sotto l'area industriale, sono in diretta correlazione con lo stato di contaminazione dello specchio d'acqua antistante la darsena, constatando così un chiaro rapporto di causa-effetto fra lo stato di contaminazione a monte del sistema di barrieramento e quello della darsena;
il 10 novembre 2011 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, firma il decreto che autorizza l'avvio dei lavori previsti dal progetto operativo di bonifica e trattamento delle acque di falda. L'importo dell'intervento è stimato in circa 125 milioni di euro;
i lavori di bonifica e trattamento delle acque di falda, come previsto dal decreto, dovranno iniziare entro quattro mesi;
il cronoprogramma delle bonifiche che Syndial dovrà effettuare nei prossimi anni prevede, ad oggi, una spesa totale di circa 530 milioni di euro;
in data 15 novembre 2011 (cinque giorni dopo la firma del decreto del Ministro) la Syndial presenta ricorso avverso le ordinanze della provincia di Sassari relativamente alle bonifiche e all'urgente intervento di messa in sicurezza della darsena;
il comportamento della Syndial, società del gruppo ENI, risulta essere per l'interrogante non solo dilatorio ma inaccettabile sia sul piano amministrativo politico e istituzionale considerato che la società del gruppo Eni non solo è responsabile del più imponente inquinamento della Sardegna ma con questo ulteriore ricorso reitera la strada perversa dei ricorsi per bloccare il ripristino di aree a terra e a mare dall'inquinamento che provocato negli anni;
nel ricorso presentato dalla Syndial per bloccare la bonifica della darsena di Porto Torres appare all'interrogante palese il tentativo di sviare le responsabilità che appaiono evidenti rispetto all'inquinamento di benzene registrato nell'area;
il tentativo, ad avviso dell'interrogante pretestuoso che l'Eni persegue attraverso il nuovo ricorso risulta essere inaccettabile in considerazione della gravissima crisi ambientale dell'intera area e sul fatto che i livelli di inquinamento registrano ancora livelli insostenibili e inimmaginabili;
la richiesta di annullamento delle ordinanze emesse dalla provincia di Sassari rivolta dalla Syndial al TAR Sardegna appare all'interrogante l'ennesima dimostrazione di un atteggiamento dilatorio dell'ente di Stato che attraverso la Syndial continua a sfuggire alle responsabilità di una devastazione ambientale gravissima;
le misure di messa in sicurezza richieste per la darsena di Porto Torres sono una priorità assoluta e il ricorso dell'Eni che si oppone a tale intervento rappresenta un grave elemento che rischia di pregiudicare gli interventi di bonifica che ancora non sono stati avviati -:
se il Ministro non ritenga necessaria l'immediata convocazione di un vertice al Ministero per richiamare la Syndial al

rispetto degli impegni e degli obblighi in relazione alla bonifica dell'intera area e in particolare della darsena;
se non ritenga di dover disporre atti urgenti per richiamare l'Eni alle proprie responsabilità alla luce del gravissimo ricorso che Syndial ha presentato al TAR Sardegna il 15 novembre 2011 contro i provvedimenti messi in atto da varie amministrazioni sull'inquinamento, in particolar modo della darsena di Porto Torres;
se non ritenga di dover attivare un'apposita cabina di regia istituzionale presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare al fine di monitorare le fasi di avvio e di messa in opera della bonifica dell'area industriale di Porto Torres.
(5-05905)

Interrogazioni a risposta scritta:

CONTENTO. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
consta che anche nel nostro Paese sia in notevole aumento il così detto fenomeno del littering, ovvero dell'abbandono indiscriminato di rifiuti ai bordi delle strade;
una delle zone più calde risulta l'autostrada A28 tra il Friuli Venezia Giulia e il Veneto, le cui piazzole di servizio sono ormai da lungo tempo oggetto di continui sversamenti di immondizie indistinte;
da una prima statistica sembra che nel solo 2011 la percentuale di scarti raccolti dagli addetti lungo l'A28 sia aumentata del 20 per cento, con un netto incremento degli oneri di smaltimento che si attesta sulle svariate centinaia di migliaia di euro;
i tratti più soggetti al fenomeno risultano quelli che transitano in zone in cui più o meno recentemente siano entrati a regime sistemi a pagamento per lo smaltimento del secco non riciclabile;
la situazione va, pertanto, affrontata al più presto onde evitare che la condotta di pochi provochi gravi esborsi a carico dell'intera collettività, nonché svilisca gli ottimi risultati raggiunti dal Nord-est in fatto di differenziazione dei rifiuti;
al proposito da più parti sono state sollecitate l'istituzione di un congruo coordinamento tra le forze dell'ordine competenti in materia (in particolare polizia stradale, polizia locale e Corpo forestale) nonché l'individuazione di gruppi di controllo e di bonifica del territorio, ricorrendo magari ai lavoratori socialmente utili (l'applicazione delle severe sanzioni amministrative già contemplate dalla normativa potrebbe anche garantire ottime forme di autofinanziamento del programma) -:
quali forme di prevenzione e di repressione intendano adottare al più presto per arginare il fenomeno del littering, con particolare riguardo alla situazione specifica dell'autostrada A28;
se sia ipotizzabile la costituzione di apposite task force di controllo e di pulizia mediante il ricorso a lavoratori socialmente utili e il costante coordinamento da parte delle varie forze dell'ordine.
(4-14425)

REALACCI, MARIANI e BRATTI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
lo scorso 17 dicembre 2011, con mare e vento forza nove, nell'area del Banco di Santa Lucia, ad ovest dell'Isola di Gorgona, sono caduti in acqua dalla nave cargo «Venezia» della Grimaldi Lines due bilici carichi di bidoni contenenti sostanze tossiche ed altamente infiammabili, al contatto con l'aria;
la stampa locale e nazionale ha dato ampio risalto alla tragica vicenda con articoli apparsi su La Repubblica, Il Tirreno e, tra gli altri, dal sito Panorama.it;

nell'incidente sono stati dispersi 198 fusti per un totale di 40 tonnellate di sostanze tossiche nei fondali del Tirreno, a circa 20 miglia dalla costa di Livorno all'interno del nel Parco nazionale dell'arcipelago toscano: cuore del Santuario internazionale di mammiferi marini Pelagos;
è importante precisare quanto segue: sembrerebbe che solo dopo quattro giorni la capitaneria di porto di Livorno abbia inviato bollettini e segnalazioni ai Comuni rivieraschi interessati. Precisando che: «(...) Chiunque avvistasse i fusti, sia pescherecci che cittadini a riva, ci avverta subito, non li tocchi se sono asciutti...» inoltre il comandante della guardia costiera livornese sottolinea che i fusti «(...) sono nocivi e se non vengono tenuti costantemente bagnati possono infiammarsi (...)»;
dalla lettura della stampa emerge poi che non sarebbe ancora chiaro quale sia il livello di pericolosità del materiale finito in mare. Si tratterebbe di catalizzatori di ossidi di cobalto: barrette piccole e granulose, di solito utilizzate per desolforizzare benzina e gasolio;
a seguito di quanto è accaduto nei confronti dell'armatore proprietario del Grimaldi è partita una diffida affinché si impegni a ritrovare e rimuovere dal mare i fusti;
risultano poi alcune incongruenze rispetto alla ricostruzione dell'accaduto da parte della Grimaldi Lines. Il comandante del cargo «Venezia», secondo quanto appare dalla stampa, dichiara di essersi accorto di aver perso i semirimorchi solo all'arrivo nel porto di Genova: tale dichiarazione è in evidente contrasto da quanto risulta dalle strutture di sicurezza dei porti: l'allarme è infatti stato lanciato subito dopo l'incidente;
fonti dell'Arpa Toscana e dell'Ispra, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, riunitisi, il 30 dicembre 2011, in un tavolo tecnico convocato d'emergenza in prefettura a Livorno a cui hanno partecipato anche Asl, Regione Toscana, Marina militare e i vigili del fuoco; rivelano che: «[...] per fortuna non sono facilmente solvibili in acqua, ma sono soggette ad autocombustione se secche, e comunque sono effettivamente tossiche per la fauna marina...»;
le sopraddette rassicurazioni, peraltro sommarie, non risultano all'interrogante del tutto insufficienti sia per la vaghezza dei resoconti da parte delle autorità competenti sia per i ritardi nel recupero del pericoloso materiale disperso in mare dopo quasi un mese dall'incidente. A tal proposito molte associazioni e forze politiche locali hanno indetto per l'8 gennaio 2012 una manifestazione di protesta. In particolare Legambiente Arcipelago Toscano ha chiesto al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di impegnarsi fortemente nella ricerca e nella difficile azione di recupero dei fusti che potrebbero essersi inabissati fra l'isola di Gorgona e il banco di Santa Lucia, in un punto dove i fondali arrivano fino a 400 metri di profondità -:
quali iniziative urgenti intendano mettere in atto per l'immediata individuazione e il conseguente recupero dei fusti tossici onde escludere definitivamente qualsiasi rischio per la salute dei cittadini e dell'ambiente e in quale modo si intenda assicurare alle autorità competenti, viste anche le possibili difficoltà tecniche causate dalle grandi profondità, le risorse necessarie per recuperare i fusti tossici così come avvenuto in altre situazioni sospette;
se intendano urgentemente informare i cittadini su quali siano realmente le sostanze solide inorganiche autoriscaldanti disperse in mare, visto che le uniche notizie al riguardo provengono dagli organi di stampa, che riportano la sigla Un 3191 (cioè solidi inorganici autoriscaldanti tossici e materiali soggetti ad accensione spontanea), e il codice International goods Imdg 4.2 (che corrisponde alla classe materie soggette ad accensione spontanea dell'International maritime organization, che comprende anche il catalizzatore CoMo, una sostanza pericolosa anche dopo

rigenerazione o riattivazione, che viene segnalato come presente nel carico finito in mare ma che rientra nella sigla di pericolosità Un 3190, gruppo II);
se intendano immediatamente accertare la dinamica e le responsabilità dell'incidente e determinare l'impatto di questo ennesimo inquinamento marino in modo da impedire che esso abbia gravi ripercussioni sull'area marina protetta, sulle coste della Toscana continentale e sulla fauna marina che il Parco nazionale dell'arcipelago toscano e il Santuario Pelagos dovrebbero proteggere.
(4-14436)

...

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:

PILI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
la mancata attuazione di accordi per la dismissione del patrimonio militare già individuato e la dismissione del patrimonio militare relativo a immobili ubicati in aree strategiche per lo sviluppo delle comunità locali e occupate da servitù militari inutilizzate o sottoutilizzate rende indispensabile un nuovo tavolo di concertazione Stato-regione;
risulta indispensabile attivare con urgenza un tavolo di concertazione tra lo Stato e la regione Sardegna al fine di definire l'attuazione degli accordi già sottoscritti. Nel contempo è indispensabile avviare un confronto sulla dismissione delle aree strategiche nei centri abitati della Sardegna a partire da quelle ubicate sul lungo mare della città di Cagliari. Risultano aree e immobili sottoutilizzati che potrebbero essere facilmente rifunzionalizzati a progetti di sviluppo strategici per l'isola -:
se il Ministro interrogato non intenda avviare un processo di dismissione del patrimonio militare relativo a immobili ubicati in aree strategiche per lo sviluppo delle comunità locali e occupate da servitù militari inutilizzate o sottoutilizzate.
(5-05893)

...

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:

PILI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la coesione territoriale, al Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport. - Per sapere - premesso che:
il decreto-legge n. 138 del 13 agosto 2011 convertito con modificazioni dalla legge n. 148 del 14 settembre 2011 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 216 del 14 settembre 2011 all'articolo 5-bis dispone le seguenti norme sullo sviluppo delle regioni dell'obiettivo convergenza e realizzazione del «Piano Sud»:
«1. Al fine di garantire l'efficacia delle misure finanziarie per lo sviluppo delle regioni dell'obiettivo convergenza e l'attuazione delle finalità del Piano per il Sud, a decorrere dall'anno finanziario in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, la spesa in termini di competenza e di cassa effettuata annualmente da ciascuna delle predette regioni a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, sui cofinanziamenti nazionali dei fondi comunitari a finalità strutturale, nonché sulle risorse individuate ai sensi di quanto previsto dall'articolo 6-sexies del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, può eccedere i limiti di cui all'articolo 1, commi 126 e 127, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, nel rispetto, comunque, delle condizioni e dei limiti finanziari stabiliti ai sensi del comma 2 del presente articolo.
2. Al fine di salvaguardare gli equilibri di finanza pubblica, con decreto del Ministro

dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale e di intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano da adottare entro il 30 settembre di ogni anno, sono stabiliti i limiti finanziari per l'attuazione del comma 1, nonché le modalità di attribuzione allo Stato ed alle restanti regioni dei relativi maggiori oneri, garantendo in ogni caso il rispetto dei tetti complessivi, fissati dalla legge per il concorso dello Stato e delle predette regioni alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica per l'anno di riferimento»;
l'articolo 5-bis, introdotto al Senato, reca, dunque, una deroga in favore delle regioni ricomprese nell'Obiettivo convergenza e delle regioni rientranti nel piano del Sud ai limiti di spesa introdotti dalla disciplina del patto di stabilità interno per le regioni a statuto ordinario stabiliti dall'articolo 1, commi 126 e 127, della legge 3 dicembre 2010, n. 220 (legge di stabilità 2011) relativamente alla spesa in termini di competenza e di cassa effettuata annualmente da ciascuna regione a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione sociale, sui cofinanziamenti nazionali dei fondi comunitari a finalità strutturale, nonché sulle risorse del Fondo infrastrutture;
la legge di stabilità 2011, all'articolo 1, commi 126-127, stabilisce gli obiettivi di risparmio per le regioni a statuto ordinario. Il complesso delle spese finali di ciascuna regione, considerate sia in termini di competenza che di cassa, non può essere superiore, per ciascuno degli anni 2011-2013, alla media delle corrispondenti spese finali del triennio 2007-2009 ridotta delle seguenti percentuali:
per l'anno 2011 del 12,3 per cento (competenza) e 13,6 per cento (cassa);
per l'anno 2012 del 14,6 per cento (competenza) e 16,3 per cento (cassa);
per l'anno 2013 del 15,5 per cento (competenza) e 17,2 per cento (cassa);
il comma 128 specifica le modalità di calcolo della media della spesa finale del triennio 2007-2009, mentre il comma 129 esclude dal computo alcune tipologie di spesa, tra cui le spese correnti e in conto capitale per interventi cofinanziati correlati ai finanziamenti dell'Unione europea, con esclusione delle quote di finanziamento statale e regionale (lettera c);
gli obiettivi di risparmio richiamati sono funzionali alla riduzione dei trasferimenti erariali disposta nei confronti delle regioni a statuto ordinario dall'articolo 14, commi 1 e 2, del decreto-legge n. 78 del 2010 (convertito con modificazioni dalla legge n. 122 del 2010) pari a 4.000 milioni di euro nel 2011 e a 4.500 milioni di euro a decorrere dal 2012;
tale deroga è finalizzata al fine di garantire l'efficacia delle misure finanziarie per lo sviluppo delle regioni dell'obiettivo convergenza e l'attuazione delle finalità del piano per il sud;
in base alla programmazione 2007-2013 dei fondi strutturali comunitari nell'obiettivo Convergenza (aree in cui il PIL pro capite risulta inferiore al 75 per cento della media comunitaria), sono incluse, per l'Italia le regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. Nell'ambito dello stesso obiettivo si aggiunge la regione Basilicata, che beneficia di un regime transitorio di sostegno (cosiddetto di phasing-out) per favorirne l'uscita dall'obiettivo;
per le regioni a statuto speciale, la disciplina del patto di stabilità è dettata dalla legge di stabilità 2011, articolo 1 commi 131-134, 136-137 e 139. In particolare per ciò che attiene alla norma in esame, il comma 132 conferma la necessità della definizione dell'intesa tra ciascun ente e il Ministero - da raggiungere entro il 31 dicembre di ciascun anno precedente - per determinare il livello complessivo delle spese e dei pagamenti, anche se - contrariamente a quanto avveniva in passato - la misura del concorso agli obiettivi di finanza pubblica è già determinato;

il comma 131 determina la ripartizione tra gli enti delle somme complessive di contributo agli obiettivi di finanza pubblica stabiliti dall'articolo 14, comma 1 lettera b) del decreto-legge n. 78 del 2010, in 500 milioni di euro per l'anno 2011 e 1.000 milioni di euro per ciascuno degli anni 2012 e 2013;
la tabella 1 allegata legge di stabilità (concordata con le regioni interessate) reca, per ciascuna regione e provincia autonoma, la quota di risparmio da realizzare per ciascuno degli anni 2011, 2012 e 2013. Ciascuna regione e provincia autonoma dovrà ridurre il proprio tetto di spesa tendenziale della somma indicata in tabella. Il tetto di spesa tendenziale deve essere considerato come da osservanza del patto di stabilità degli esercizi precedenti;
ai fini del rispetto dei saldi di finanza pubblica il comma 2 prevede che i maggiori oneri derivanti dalla deroga ai tetti di spesa fissati dalla legge per il patto di stabilità interno in favore delle regioni oggetto dell'articolo 5-bis, debbano essere compensati attraverso l'attribuzione allo Stato ed alle restanti regioni dei relativi maggiori oneri. In particolare il comma specifica che con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, e di intesa con la Conferenza permanente Stato-regioni, da adottarsi entro il 30 settembre di ogni anno, sono stabiliti i limiti finanziari, nonché le modalità di attribuzione allo Stato e alle restanti regioni di tali oneri;
la relazione tecnica relativa al provvedimento sostiene che la norma non determinerebbe effetti finanziari negativi, in quanto la deroga «è operata solo a fronte di cessione facoltativa di spazi finanziari da parte dello Stato e/o delle regioni e per importi pari agli eventuali spazi finanziari ceduti»;
per quanto riguarda le risorse considerate in deroga dalla disposizione si tratta di quelle relative a: Fondo per lo sviluppo e la coesione sociale: previsto dall'articolo 4 del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, in sostanza risulta essere la nuova denominazione del Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS);
il decreto-legge n. 185 del 2008 (convertito, con modificazioni dalla legge n. 2 del 2009), all'articolo 18 ha previsto che il FAS sia ripartito in tre Fondi settoriali, al fine di favorire la concentrazione delle risorse nazionali disponibili destinate allo sviluppo delle aree sottoutilizzate su obiettivi considerati prioritari per il rilancio dell'economia italiana: Fondo infrastrutture; Fondo strategico per il Paese a sostegno dell'economia reale; Fondo sociale per l'occupazione e la formazione;
per il periodo di programmazione 2007-2013 erano stati stanziati inizialmente risorse FAS pari a 63,3 miliardi. A marzo 2009 alcune delibere del CIPE hanno provveduto a ripartire le risorse residuali disponibili (52,4 miliardi) nella seguente misura:
27 miliardi alle amministrazioni regionali, per la realizzazione dei programmi di interesse strategico regionale;
21,8 miliardi al Mezzogiorno e 5,2 miliardi al Centro-Nord;
25,4 miliardi alle amministrazioni centrali;
il riparto delle risorse FAS tra i tre fondi è stato effettuato dal CIPE, nei seguenti importi: Fondo infrastrutture: 12,4 miliardi; Fondo strategico per il Paese a sostegno dell'economia reale:9 miliardi; Fondo sociale per l'occupazione e la formazione: 4 miliardi;
rispetto al quadro programmatico degli interventi a valere sulle risorse del FAS definito dal CIPE per le annualità 2007-2013, nel bilancio di previsione dello Stato per gli anni 2011-2013 (legge n. 221 del 2010) e nella legge di stabilità per il 2011 (legge n. 220 del 2010) sono riportate le autorizzazioni pluriennali di spesa per 44,9 miliardi, così ripartiti: 9,1 miliardi per il 2011, 7,1 miliardi per il 2012 e 13,9

miliardi per il 2013. Ulteriori 14,8 miliardi sono relativi al 2014 e anni successivi;
oltre al completamento delle verifiche previste dalla delibera del CIPE n. 79 del 30 luglio 2010, relativa alla ricognizione delle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate 2000-2006 ancora disponibili, il Piano per il Sud, approvato dal Consiglio dei ministri il 26 novembre 2010, è previsto venga realizzato attraverso le seguenti fasi:
l'avvio della riprogrammazione dei fondi per il Sud di fonte nazionale e comunitaria, secondo distinte modalità successivamente definite con la delibera CIPE n. 1 del 2011;
l'approvazione del decreto legislativo di attuazione dell'articolo 16 della legge n. 42 del 2009: decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, recante «Disposizioni in materia di risorse aggiuntive ed interventi speciali per la rimozione di squilibri economici e sociali»;
l'adozione del decreto interministeriale di attuazione dell'articolo 22 della legge n. 42 del 2009: decreto interministeriale 26 novembre 2010 sulla perequazione infrastrutturale;
al fine di chiarire l'ambito di applicazione dell'articolo 5-bis richiamato, considerato che le regioni interessate all'attuazione Piano del Sud comprendono la Sardegna e la Sicilia, l'interrogante a seguito di interlocuzioni con il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri pro tempore, dottor Gianni Letta e il Ministro degli affari regionali pro tempore onorevole Raffaele Fitto chiese che in sede di predisposizione del decreto interministeriale attuativo della norma fosse esplicitato che le regioni beneficiarie della deroga al patto di stabilità fossero tutte quelle comprese nel piano per il Sud e non solo quelle ricadenti nell'obiettivo convergenza;
a seguito di tali interlocuzioni la Presidenza del Consiglio dei ministri e il dipartimento degli affari regionali, attraverso il Ministro, dichiararono ufficialmente: «In merito alla possibile esclusione dello Sardegna, insieme a Sicilia, Basilicata e Molise, dall'ambito di applicazione dell'articolo 5-bis della manovra in fase di approvazione alla Camera comprendo l'allarme trattandosi di una norma che assume importante rilievo per la rapida ed efficace attuazione del Piano Sud e dunque a questo proposito intendo ribadire che la norma trova applicazione per tutte le 8 Regioni interessate al Piano. Forte è l'impegno del Governo in questa direzione e di tanto si potrà trovare conferma nel decreto interministeriale di attuazione della norma che, ricordo, è anche soggetto all'intesa con la Conferenza Stato-Regioni»;
ad oggi, nonostante le molteplici sollecitazioni, tale provvedimento interministeriale non risulta ancora adottato;
in assenza della tempestiva adozione di atti che escludano la compartecipazione regionale dai vincoli discendenti dal Patto di stabilità interno ad opera del Governo italiano, la Sardegna e la gran parte delle regioni del Mezzogiorno, non potranno conseguire gli imprescindibili obiettivi di accelerazione della spesa comunitaria per il conseguimento del pieno impiego dei fondi europei assegnati ai programmi regionali -:
se il Governo, anche alla luce delle argomentazioni richiamate, intenda confermare gli impegni già assunti dal precedente Governo per comprendere nell'ambito della deroga al patto di stabilità di cui all'attuazione dell'articolo 5-bis della legge n. 148 del 14 settembre 2011 tutte e otto le regioni comprese nel cosiddetto Piano per il sud;
se e quando intenda emanare l'apposito decreto interministeriale previsto dalla norma richiamata;
se non ritenga di valutare la possibilità di prevedere un'ulteriore estensione della deroga al patto di stabilità per tutte quelle spese in conto capitale, investimenti infrastrutturali, che rientrassero nelle

priorità previste dalle intese Stato-regioni già sottoscritte o in fase di definizione.
(5-05889)

PILI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la coesione territoriale, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
la questione insularità e il suo pieno ed attuativo riconoscimento rappresenta elemento centrale del rapporto Stato-Regione;
l'articolo 22 della legge n. 42 del 2009 (Perequazione infrastrutturale) della legge n. 42 del 2009 dispone quanto segue: «In sede di prima applicazione, il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Ministro per le riforme per il federalismo, il Ministro per la semplificazione normativa, il Ministro per i rapporti con le regioni e gli altri Ministri competenti per materia, predispone una ricognizione degli interventi infrastrutturali, sulla base delle norme vigenti, riguardanti le strutture sanitarie, assistenziali, scolastiche nonché la rete stradale, autostradale e ferroviaria, la rete fognaria, la rete idrica, elettrica e di trasporto e distribuzione del gas, le strutture portuali ed aeroportuali. La ricognizione è effettuata tenendo conto, in particolare, dei seguenti elementi:
(...) g) specificità insulare con definizione di parametri oggettivi relativi alla misurazione degli effetti conseguenti al divario di sviluppo economico derivante dall'insularità, anche con riguardo all'entità delle risorse per gli interventi speciali di cui all'articolo 119, quinto comma, della Costituzione»;
risulta urgente predisporre un apposito decreto attuativo ai sensi dell'articolo 22 della legge n. 42 del 2009 relativamente al divario insulare, alla sua misurazione e alla conseguente compensazione;
è indispensabile intervenire sin dalla prossima decisione di finanza pubblica con un piano di recupero sia del divario infrastrutturale, come previsto dall'articolo 22 della legge n. 42 del 2009, sia del grave squilibrio di stanziamenti registrato ed evidenziato nel rapporto decennale sull'infrastrutturazione del Paese e l'attuazione della legge Obiettivo;
risulta indispensabile predisporre con urgenza un piano di riequilibrio da sottoporre al Cipe che preveda l'immediato sblocco dei fondi per le aree sottoutilizzate (Fas) delle singole regioni, già penalizzate da tale ripartizione, e ad utilizzare i fondi indistinti a disposizione del Governo per colmare i mancati stanziamenti sin qui registrati;
è necessario definire un criterio parametrato che impedisca nel futuro uno squilibrio economico-finanziario di tale rilevanza, evitando di porre in essere atti che compromettano la coesione nazionale incidendo sull'uguaglianza tra cittadini di uno stesso Stato e sulla stessa unità nazionale -:
se il Ministro della coesione territoriale di concerto con quello dell'economia, dello sviluppo economico e delle infrastrutture non ritengano di dover promuovere iniziative normative urgenti al fine di definire la questione insularità con l'esigenza di dare attuazione all'articolo 22 della legge n. 42 del 2009.
(5-05894)

Interrogazione a risposta scritta:

ROSATO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, così come modificato ed integrato dal decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, con legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha limitato l'uso del denaro contante alla somma massima di euro 1.000;
la necessità di affinare la lotta all'evasione fiscale e al riciclaggio, impone di aumentare le possibilità di tracciare i

pagamenti anche attraverso azioni di incentivazione a quelli effettuati tramite mezzi elettronici o assegni;
la riduzione dell'uso del contante contribuisce, anche a ridurre i rischi connessi alla circolazione di banconote false, dato più volte segnalato anche dalla Banca d'Italia;
una riduzione dell'uso del contante comporta considerevoli risparmi al sistema bancario dovuti ai minori oneri relativi alla sua gestione e maggiori ricavi relativi alle commissioni addebitate, anche se su questo sarebbe necessario un intervento ancor più incisivo da parte del Governo per un loro ridimensionamento;
secondo la relazione «La gestione del Cash» dell'Abi, dell'aprile 2009, il costo per la gestione del contante, in Italia, è stimato in circa 10 miliardi di euro l'anno, per 7 miliardi a carico di privati e imprese e per 3 miliardi a carico dei bilanci del settore bancario;
nell'analisi di Benedetto Santacroce, pubblicata da Il Sole 24 Ore il 9 gennaio 2012 il costo della gestione del contante per tutta la zona euro sarebbe stimato in 82 miliardi di euro;
nonostante questo e cioè gli evidenti vantaggi per il sistema bancario derivanti dal graduale abbandono del contante, sono giunte all'interrogante numerose segnalazioni circa la posizione, assunta o perpetuata da alcuni istituti bancari, di accettare pagamenti in soli contanti per le transazioni effettuate da soggetti non correntisti presso i propri sportelli -:
quali iniziative di competenza, se nel caso normative, il Governo intenda intraprendere al fine di assicurare l'accettazione di mezzi di pagamento elettronici o di assegni presso tutti gli sportelli bancari per operazioni effettuate anche da soggetti non correntisti, pratica assunta, come noto, dalla stragrande maggioranza degli esercizi commerciali dei Paesi sviluppati.
(4-14429)

...

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:

CONTENTO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
a breve la procura della Repubblica di Pordenone rischia di dover affrontare una nuova carenza di personale inquirente;
dopo le svariate denunce relative alla scarsità di sostituti procuratori, la locale sede ha, infatti, lamentato una riduzione del numero di vpo, i viceprocuratori onorari, che da tempo affiancano i colleghi togati in attività di udienza e di indagine;
tra assenze per malattia e posti di organico non coperti, nelle ultime settimane si sarebbero già verificati dei limitati disguidi per l'utenza e per l'avvocatura, come un rinvio a nuova data delle udienze fissate avanti il giudice di pace di Maniago -:
quali iniziative di competenza intenda adottare con estrema urgenza per evitare situazioni di criticità all'interno della procura della Repubblica presso il tribunale di Pordenone, a causa della carenza di personale inquirente, nonché dei viceprocuratori onorari (vpo).
(5-05886)

Interrogazione a risposta scritta:

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
sul quotidiano La Repubblica (cronaca di Bari) dello scorso 6 gennaio è apparso un articolo intitolato: «Una cella per quattro ma erano in dieci. Detenuto cerca di impiccarsi.»;
l'articolo in questione riporta una notizia diffusa da Federico Pilagatti, segretario nazionale del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe), ossia che un detenuto di circa 40 anni di

origine libica, ristretto alla prima sezione ubicata all'interno del carcere di Bari, recluso per reati inerenti l'immigrazione clandestina, ha tentato di togliersi la vita impiccandosi alle sbarre della sua cella. Il suicidio è stato evitato all'ultimo momento grazie al pronto intervento degli agenti di polizia penitenziaria;
l'uomo avrebbe tentato di togliersi la vita a causa della presenza nella cella (che poteva contenere non più di 4 detenuti), di circa dieci detenuti;
secondo quanto riferito da Federico Pilagatti, «Da tempo il Sappe sta cercando di accendere i riflettori sul carcere di Bari, il più affollato d'Italia con circa 530 detenuti a fronte di 210 posti disponibili e sugli altri Istituti della Regione Puglia, tra i più affollati della nazione, senza grossi risultati, visto che la situazione non cambia. Ormai i poliziotti penitenziari, oltre ai loro compiti istituzionali che li impegnano in maniera massacrante, si devono sostituire anche alle carenze dovute ad un sistema che fa acqua da tutte le parti. Il Sappe è stanco di denunciare una situazione che ormai sembra un fiume in piena che ha rotto gli argini e si chiede fino a quando si potrà reggere. Ormai è chiaro che la vita delle persone che lo Stato dovrebbe ritenere sacre, non valgono più nulla, soprattutto se straniere, la Costituzione carta straccia, le promesse della politica e delle istituzione parole vuote senza senso. Persino le richieste del Presidente della Repubblica sulla situazione delle carceri sono diventate di circostanza, per questo motivo preghiamo il Presidente Napolitano a dare una continuità alle sue parole ed iniziare presto un giro nelle carceri nazionali per toccare con mano la desolazione ed il degrado presente. Ormai le responsabilità sono chiare in uno Stato che di diritto ha solo il nome. Il Sappe comunque non abbassa la bandiera e continuerà con le sue denunce» -:
quali misure di sorveglianza siano state disposte nei confronti del detenuto dopo il tentato suicidio;
quante siano le unità dell'équipe psico-pedagogica e se e come possano coprire o coprano le esigenze dei detenuti del carcere di Bari;
se il Ministro sia informato sulle gravi condizioni di disagio che caratterizzano la vita penitenziaria del carcere di Bari;
quali siano le condizioni umane e sociali del carcere in questione e quali provvedimenti urgenti intenda adottare al fine di rendere le condizioni di detenzione delle persone ivi recluse conformi al dettato costituzionale e alle norme dell'ordinamento penitenziario;
se non intenda prendere in considerazione un'ipotesi normativa in base alla quale venga prescritto agli istituti di pena di non accettare in nessun caso l'ingresso di altri detenuti una volta raggiunta la propria capienza regolamentare.
(4-14437)

...

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:

GIORGIO MERLO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
il clamoroso e discrezionale aumento dei pedaggi autostradali rischia di mettere ulteriormente in difficoltà le già precarie condizioni di vita di decine di migliaia di famiglie piemontesi;
le varie società autostradali in Piemonte hanno deciso un aumento per le diverse tratte di cifre che vanno dal 5 per cento a quasi il 20 per cento rispetto ad un incremento della media nazionale del 3 per cento. Una situazione, questa, che se associata al drastico «caro benzina» - anche qui in parte discrezionale a seconda dei territori - rende l'utilizzo dell'auto in Piemonte quasi un privilegio -:
alla luce di questo pesante incremento delle tariffe, se il Ministro intenda assumere iniziative per introdurre qualche elemento capace di calmierare questo increscioso

ed irresponsabile aumento delle tariffe autostradali.
(3-02005)

Interrogazioni a risposta scritta:

REALACCI. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
la recente legge n. 120 del 2010, recante Disposizioni in materia di sicurezza stradale, all'articolo 9, mediante l'integrale sostituzione del comma 2 dell'articolo 85 del codice della strada, ha inteso ulteriormente ampliare, rispetto al passato, la tipologia di veicoli che possono essere destinati ad effettuare il servizio di noleggio con conducente per trasporto di persone; in data 13 agosto 2011 è entrata in vigore una modifica al codice della strada che prevede fra i veicoli che possono essere adibiti al servizio di noleggio con conducente sia contemplato anche il «triciclo»;
la classificazione dei veicoli ai fini del codice della strada (decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285) riportata all'articolo 47 del suddetto codice della strada non contiene la parola «triciclo» e per questo motivo ci si deve domandare se per «tricicli» siano da intendere solo quei veicoli a tre ruote muniti di un motore, oppure qualsiasi veicolo a tre ruote con o senza motore;
in forza del decreto ministeriale 5 aprile 1994, recante recepimento della direttiva 92/61/CEE del Consiglio del 30 giugno 1992, all'articolo 1 comma 2 si definiscono tricicli come «veicoli a tre ruote simmetriche muniti di un motore con cilindrata superiore a 50 cc se a combustione interna e/o aventi una velocità massima per costruzione superiore a 45 km/h»; parimenti il decreto 31 gennaio 2003 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, recante recepimento della direttiva 2002/24/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 marzo 2002 (che abroga la direttiva 92/61/CEE del Consiglio) all'articolo 1, comma 2, lettera c), qualifica i tricicli come «veicoli a tre ruote simmetriche (categoria L5e) muniti di un motore con cilindrata superiore a 50 cm3 se a combustione interna e/o aventi una velocità massima per costruzione superiore a 45 km/h»; anche il decreto ministeriale 30 settembre 2003 n. 40T, recante recepimento della direttiva 2000/56/CE, per triciclo intende quel «veicolo a tre ruote simmetriche munito di un motore con cilindrata superiore a 50 cm3 se a combustione interna e/o avente una velocità massima per costruzione superiore a 45 km/h»;
non si può tuttavia fare a meno di rilevare che, come si evince dalla rubrica dei singoli provvedimenti sopra elencati: la direttiva 92/61/CEE è relativa all'omologazione dei veicoli a motore a due o a tre ruote; la direttiva 2002/24/CE è relativa all'omologazione dei veicoli a motore a due o tre ruote, come confermato anche dal comma 1 dell'articolo 1 secondo il quale essa si applica a tutti i veicoli a motore a due o tre ruote, e quindi non ai veicoli a due o tre ruote in genere; la direttiva 2000/56/CE di modifica della direttiva 91/439/CEE del Consiglio, del 29 luglio 1991, è relativa alla patente di guida (ovviamente per veicoli a motore); anche la direttiva 21 gennaio 2005 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nel richiamare i decreti ministeriali 5 aprile 1994 e 30 settembre 2003, definisce il triciclo quel «veicolo a tre ruote simmetriche munito di un motore con cilindrata superiore a 50 cc se a combustione interna e/o avente una velocità massima per costruzione superiore a 45 km/h», ma risulta relativa alla guida dei tricicli e dei quadricicli da parte di conducenti con limitazioni funzionali agli arti. Ne deriva che le definizioni esaminate non concernono i tricicli, quanto tali, ma solo «i tricicli a motore»;
il dizionario della lingua italiana Devoto-Oli definisce il lemma triciclo come quel velocipede a tre ruote, una anteriore e due posteriori, usato specialmente dai bambini, per la maggiore stabilità rispetto alla bicicletta; veicolo a tre ruote, mosso

da una pedaliera o da un micromotore, impiegato per il trasporto di merci (Comp. di tri- e -ciclo). Inoltre, l'articolo 50 decreto legislativo n. 285 del 1992 qualifica «Velocipedi» quei veicoli con due o più ruote funzionanti a propulsione esclusivamente muscolare, per mezzo di pedali o di analoghi dispositivi, azionati dalle persone che si trovano sul veicolo;
allo stesso modo, la quarta edizione del Glossary for Transport Statistics dell'United Nations Economic Commission for Europe final version del 14 luglio 2009 denomina «cycle» quel «veicolo che ha due o più ruote e di norma è azionato esclusivamente dall'energia muscolare di persone che si trovano su quel veicolo in particolare attraverso un sistema a pedali, leve o bracci (per esempio biciclette, tricicli, quadricicli e carrozze per invalidi);
la ratio sottesa alla novella recata dalla legge n. 120 del 2010 intende adeguare la norma relativa al comma 2 dell'articolo 85 codice della strada alle nuove realtà cittadine in corrispondenza anche delle esperienze estere, dove il noleggio con conducente di motocicli e risciò a pedali risulta essere una modalità di spostamento molto valida;
esiste a proposito una richiesta di chiarimento giacente presso i competenti uffici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti corredata da un dettagliato parere legale. Peraltro, sono già attive iniziative imprenditoriali con risciò a pedali in molte città italiane, quali Roma, Firenze, Milano, Torino, Genova, Bari, Salerno;
risulta all'interrogante che molte città italiane hanno già tentato in vario modo di dare risposte amministrative alle imprese che si occupano di risciò, ad esempio, Roma (con un progetto sperimentale con i detenuti), Firenze (con vari progetti sperimentali di pubblico trattenimento), Torino (con un bando nei cimiteri comunali), Genova (con una autorizzazione a fare tour turistici), Bologna (con iniziative occasionali);
vi sono inoltre il grande apprezzamento che i servizi con risciò riscuotono dal grande pubblico e l'interesse di molti cittadini a sviluppare nel centri storici servizi innovativi ed ecologici (a zero emissioni di CO2) di trasporto di persone come avviene in moltissime città europee ed americane -:
se il Ministro non intenda chiarire con urgenza se con la parola «triciclo» riportata all'articolo 85 del codice della strada attualmente in vigore, si sia inteso consentire sia ai veicoli a motore dotati di carta di circolazione (tricicli a motore, motocarrozzette, e altri) sia ai velocipedi non dotati di carta di circolazione (tricicli a pedali, tricicli con pedalata assistita) la possibilità di svolgere il servizio di noleggio con conducente o se in alternativa con la parola «triciclo» si debbano intendere solo i veicoli a tre ruote a motore e conseguentemente debba essere aggiornato e corretto l'articolo 47 del codice della strada con la previsione e la spiegazione della nuova tipologia di veicoli denominata «triciclo»;
se si intenda precisare se lo svolgimento di noleggio con conducente con tricicli (cioè veicoli a tre ruote) risulta essere una delle attività economiche «liberalizzate» dai recenti provvedimenti del Governo (decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari - e decreto-legge n. 201 del 6 dicembre 2011 - disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici);
se non si intenda riconoscere una utilità pubblica ai trasporti di persone e cose effettuati con velocipedi e risolvere attraverso iniziative normative specifiche lo svolgimento di servizi di piazza (taxi risciò) a zero emissioni di CO2 per il trasporto di persone e cose con velocipedi limitatamente ai centri storici, alle aree pedonali, alle zone a traffico limitato, ai parchi e alle piste ciclabili al fine di

ridurre le emissioni gassose e la produzione di polveri fini e per creare occupazione giovanile;
se il Ministro interrogato non ritenga utile coinvolgere e coordinare, tramite l'A.N.C.I., le città italiane sopra elencate interessate a sviluppare nei propri centri storici servizi innovativi ed ecologici di trasporto di persone e cose con velocipedi (risciò a pedali o bici-risciò o cargo-risciò).
(4-14423)

MINARDO. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
nel mese di dicembre 2011 sono stati posti, a cura dell'ANAS, avvisi di obbligo di pneumatici da neve o catene a bordo nel tratto delle strade statali 115 e 194 che collegano Ragusa a Modica (Ragusa), in base all'ordinanza n. 234/2011 della sezione compartimentale dell'ANAS di Catania;
nella zona interessata la neve è quasi sconosciuta;
il provvedimento è stato preso in assoluto silenzio e senza dare spiegazioni;
l'obbligo si riferisce al periodo che intercorre tra il 15 dicembre ed il 15 marzo e, in occasione delle scorse festività natalizie, i commercianti hanno già lamentato un calo nelle vendite dovuto dai conseguenti problemi di collegamento stradale, non essendo gli abitanti in possesso di dotazione da neve;
anche se i veicoli in transito avessero a bordo le catene, in un'ipotetica situazione di necessità, non ci sarebbe dove montarle in sicurezza, non essendo la statale 115 dotata di aree di sosta;
tale obbligo danneggia il trasporto locale ed i trasferimenti da e per l'aeroporto di Catania -:
se il Ministro interrogato non intenda intervenire tempestivamente affinché l'ANAS revochi il provvedimento che rischia di danneggiare seriamente i collegamenti già insufficienti con la provincia di Ragusa e che ha già provocato troppe polemiche.
(4-14426)

...

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:

BOBBA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
la legge sull'ordinamento della professione di psicologo 18 febbraio 1989, n. 56 (articolo 2, comma 3) e il successivo decreto ministeriale del 13 gennaio 1992, n. 239 (regolamento recante norme sul tirocinio pratico post-lauream) prevedono che all'esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio della professione di psicologo possano essere ammessi i laureati in psicologia che abbiano svolto un tirocinio pratico;
il termine ha molto spesso una prevalente connotazione di esperienza propedeutica, facilitante l'ingresso occupazionale (si veda, ad esempio, l'accezione data nel «pacchetto Treu» al cosiddetto «tirocinio formativo») e una conoscenza più diretta delle esigenze dei contesti di lavoro; in altri casi è una condizione analoga all'apprendistato o ad altre forme contrattuali cosiddette a causa mista;
per le professioni, e in particolare per quelle che hanno una regolamentazione pubblica, tramite esami di Stato, il tirocinio ha significati ben più complessi che derivano dall'essere un percorso guidato verso l'apprendimento di capacità da utilizzare nell'interesse pubblico e certificate mediante il conseguimento dell'abilitazione all'azione professionale (Sarchielli, 2001);
per quanto riguarda la professione di psicologo è opportuno distinguere il tirocinio formativo curriculare (stage) che ha luogo all'interno del corso di studi (3+2) dal tirocinio professionalizzante (praticantato),

che sulla base dei pronunciamenti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (MIUR) e in accordo con le indicazioni EuroPsy, viene svolto integralmente al termine della laurea magistrale;
sia i tirocini formativi e di orientamento, istituiti con la legge n. 196 del 1997, e regolamentati dal decreto interministeriale n. 142 del 1998, che i tirocini delle scuole di specializzazione (legge 29 dicembre 2000, n. 401), prevedono delle facilitazioni, sotto forma di rimborso spese mensili o voucher nel primo caso e di borse di studio nel secondo. Tali facilitazioni raramente sono state percepite dagli psicologi, non essendo i tirocini formativi e di orientamento finalizzati al conseguimento della abilitazione professionale (in quanto curriculari), ovvero per mancata assegnazione di risorse peraltro stanziate (borse scuole di specializzazione);
nel corso degli anni la legislazione, che ha regolamentato la materia relativa al tirocinio pratico per l'ammissione all'esame di Stato, ha di fatto introdotto delle norme contraddittorie, sulla cui interpretazione si fonda - allo stato attuale - buona parte delle diseguaglianze presenti su tutto il territorio nazionale;
le attività di tirocinio formative e professionalizzanti, opportunamente monitorate e valutate nel tempo, possono facilitare la preparazione dell'esame di Stato, che rappresenta un requisito indispensabile per l'accesso alla professione, sancito dalla Costituzione;
dalla lettura combinata degli articoli 1 e 2 della legge 18 febbraio 1989, n. 56, del decreto ministeriale 13 gennaio 1992, n. 239, del decreto ministeriale 13 gennaio 1992, n. 240, e del decreto del Presidente della Repubblica 5 giugno 2001, n. 328, pare emerga un parziale contrasto per quanto riguarda i requisiti di accesso, la durata e l'inizio del tirocinio professionalizzante;
ciò ha comportato che nella stesura delle convenzioni tra l'università e ordine si assista a forme diverse di applicazione delle stesse normative, talvolta anche all'interno della stessa regione;
per ovviare a queste incongruenze in data 13 novembre 2008 è pervenuta ai rettori delle università una nota (prot. n. 4375), a firma del direttore generale per l'università dottor Antonello Masia, nella quale si ribadiva la necessità di precisazione della durata annuale del tirocinio nei certificati di compiuto tirocinio utilizzati poi per l'ammissione all'esame di Stato per l'abilitazione alla professione di psicologo. Nell'ultimo paragrafo della nota si rammentava che «tali tirocini possono essere svolti in tutto o in parte durante il corso di studi (articolo 6, comma 1, decreto del Presidente della Repubblica n. 328 del 2001), ma pur sempre in modo continuativo e ininterrotto, salvo casi eccezionali che ne giustificano l'interruzione (esempio maternità o compimento del servizio civile)»;
in data 5 dicembre 2008, in risposta ad una richiesta da parte del consiglio dell'ordine del Friuli Venezia Giulia, lo stesso Antonello Masia (nota n. 4605) esprime l'avviso che: «l'articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica n. 328 del 2001 debba essere inteso nel senso che per effetto di detta norma è consentito ai laureandi di svolgere il tirocinio annuale previsto ai fini dell'accesso all'esame di stato non soltanto al termine degli studi accademici, come precedentemente previsto dal decreto ministeriale n. 239 del 1992, trattandosi di una esperienza professionale atta a garantire al tirocinante di approfondire, verificare ed ampliare l'apprendimento ricevuto durante il percorso di studi, ma anche nel corso degli studi stessi»;
il tirocinio utile ai fini dell'ammissione all'esame di Stato di abilitazione all'esercizio di una libera professione deve essere sempre svolto in modo continuato e ininterrotto, salvo casi eccezionali che ne giustificano l'interruzione (es. maternità o compimento del servizio civile), ne consegue che non sia possibile cumulare periodi

distinti di tirocinio al fine di raggiungere l'annualità prevista se fra i due periodi in questione non sussiste continuità;
in data 30 gennaio 2009 vengono elaborate dal Consiglio nazionale dell'ordine degli psicologi delle linee guida sui tirocini che fanno riferimento a quanto riportato nelle note n. 4375 e n. 4605, ove si precisa che:
a) i semestri di tirocinio (1 semestre per dottori in tecniche psicologiche - sezione B - e 2 semestri per psicologi - sezione A -) come specificato recentemente dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dovranno essere svolti in maniera continuativa ed ininterrotta;
b) il semestre di tirocinio utile per l'accesso alla sezione B e l'anno di tirocinio previsto per l'accesso alla sezione A potranno iniziare esclusivamente dopo il conseguimento del diploma di laurea nel primo caso e di laurea specialistica o magistrale nel secondo caso (ciò in linea con quanto previsto dalla certificazione europea in psicologia - Europsy e con l'accordo tra conferenza dei presidi delle facoltà di psicologia e Consiglio nazionale dell'ordine degli psicologi del 12 ottobre 2006);
a maggio 2009 la conferenza dei presidi delle facoltà di psicologia (CPFP), tramite una lettera della presidente, professoressa Eugenia Scabini, indirizzata al dottor Masia si precisa che «ai fini del completamento dell'anno debbono valere le disposizioni contenute nelle convenzioni vigenti al momento in cui il candidato ha richiesto l'ammissione al periodo di tirocinio. Si ritiene infatti che qualora l'Ateneo non ammettesse all'Esame di stato un candidato in regola con detti requisiti si esporrebbe al rischio di un motivato ricorso, volto a tutelare i diritti acquisiti al momento del rilascio della certificazione attestante il completamento del periodo annuale di tirocinio»;
le attività di tirocinio formativo sono fondamentali per lo sviluppo di una professione e richiedono, a livello di programmazione e di attivazione dei corsi di laurea magistrale, uno stretto collegamento con le strutture operanti sul territorio in quello specifico ambito e - in analogia con quanto stabilito per i corsi di laurea in medicina o in formazione primaria - l'obbligatorietà delle frequenza delle attività pratiche guidate e l'attivazione a livello regionale di convenzioni con le strutture assistenziali, formative e produttive del territorio, con gli studi di psicologia accreditati e con i professionisti inseriti in appositi elenchi di tutor, periodicamente aggiornati dalla struttura didattica della facoltà di psicologia, di intesa con le società scientifiche e l'ordine degli psicologi;
il decreto di cui al comma 2 dell'articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica n. 328 del 2001 non è stato ancora adottato e la bozza di modifica del citato regolamento sulle libere professioni prevedeva, tra l'altro, una specifica disciplina del tirocinio; tuttavia tale nuovo testo normativo è stato ritirato nel corso della pregressa legislatura;
sarebbe opportuno evitare forme diverse di applicazione delle stesse normative, talvolta anche all'interno della stessa regione e garantire le stesse opportunità nella pratica del tirocinio agli studenti del corso di psicologia e a tal fine l'ordine degli psicologi, in accordo con le Università, può contribuire a migliorare la qualità della formazione, istituendo apposite commissioni paritetiche con il compito di supervisionare le attività di tirocinio, individuare i supervisori appositamente formati, monitorare che le strutture accreditate consentano di svolgere il periodo di pratica supervisionata all'interno di una particolare area di psicologia professionale e l'integrazione di conoscenza teorica e pratica;
l'ordine degli psicologi, in accordo con le università, potrebbe contribuire a rendere l'esperienza del tirocinio professionalizzante (praticantato), parte integrante del percorso formativo, istituendo

protocolli e convenzioni con l'università e offrendo spazi pre-ordinati per la professionalizzazione -:
se non si ritenga urgente ed opportuno adottare il decreto di cui al comma 2 dell'articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica n. 328 del 2001;
quali siano gli orientamenti del Governo in relazione alle proposte indicate in premessa.
(5-05904)

Interrogazione a risposta scritta:

DI PIETRO, DI GIUSEPPE e ZAZZERA. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
il Ministro Francesco Profumo ha recentemente rilasciato delle dichiarazioni riguardanti l'intenzione di bandire un concorso a cattedre nel 2012 per 12.500 posti, riservato presumibilmente al personale docente in possesso dell'abilitazione all'insegnamento;
le motivazioni per cui il Ministro abbia manifestato la volontà di bandire con urgenza un concorso, e di non attribuire le esigue cattedre a disposizione mediante scorrimento delle graduatorie ad esaurimento in cui gli abilitati sono inseriti (graduatorie che, come ha ricordato lo scorso anno la Corte costituzionale nella sentenza n. 41/2011 hanno natura meritocratica perché istituite «per individuare i docenti cui attribuire le cattedre e le supplenze secondo il criterio del merito») e sulla base delle quali sono avvenute le altrettanto esigue immissioni in ruolo negli ultimi anni, non appaiono comprensibili;
il sistema di istruzione pubblica italiano è stato privato di circa 90.000 insegnanti negli ultimi tre anni (circolare ministeriale n. 38 del 2 aprile 2009 che tagliava 42.100 cattedre; circolare ministeriale n. 37 del 13 aprile 2010 che tagliava 25.600 cattedre e circolare ministeriale n. 21 del 14 marzo 2011 che tagliava 19.700 cattedre) in applicazione dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge n. 112 del 25 giugno 2008, convertito, con modificazioni dalla legge n. 133 del 6 agosto 2008 recante «norme per la riorganizzazione della rete scolastica e il razionale utilizzo delle risorse umane della scuola» e dei decreti attuativi ad esso correlati i cui effetti sono tuttora in atto;
la scelta di sottrarre drasticamente risorse umane alla scuola ha determinato la riduzione degli organici molto al di sotto dei minimi termini, causando, oltre ad un impoverimento generalizzato dell'offerta formativa del sistema di istruzione italiano di ogni ordine e grado, dall'infanzia alla secondaria di secondo grado, il mancato assorbimento dei docenti precari inseriti all'interno delle graduatorie permanenti, trasformate in graduatorie ad esaurimento per effetto della legge n. 296 del 27 dicembre 2006 articolo 1, comma 605, lettera c) e ha vanificato il piano di assunzioni triennali ad esse associato che aveva per l'appunto lo scopo di dare adeguata soluzione al fenomeno del precariato storico e di evitarne la ricostituzione, di stabilizzare e rendere più funzionali gli assetti scolastici, di attivare azioni tese ad abbassare l'età media del personale docente;
il personale attualmente inserito all'interno delle suddette graduatorie ad esaurimento (circa 220.000 insegnanti) ha avuto accesso all'interno del sistema scolastico pubblico italiano già previo superamento di regolare concorso, pertanto non si ravvisa la necessità di bandire un nuovo concorso destinato a soggetti già selezionati; tale operazione, evidentemente costosa, risulta quindi incompatibile con la politica di risanamento del debito pubblico e di lotta agli sprechi che il Governo in carica si prefigge come obiettivo prioritario. Ricordiamo in particolare che la Scuola di specializzazione all'insegnamento superiore (SSIS), attivata dal Ministro Luigi Berlinguer per effetto del decreto ministeriale 26 maggio 1998, era nata nell'ottica dell'adeguamento dell'Italia ai sistemi di formazione dei docenti già vigenti in Europa e quindi nella

prospettiva dell'individuazione di una modalità selettiva basata non esclusivamente sulla verifica delle conoscenze, ma anche sulla valutazione delle capacità didattiche e socio-psico-pedagogiche degli aspiranti: infatti i percorsi biennali abilitanti SSIS, oltre ad essere a numero chiuso e programmato in base alle esigenze del sistema di istruzione, si concludevano con un esame finale che possiede, ai sensi della legge n. 306/2000, articolo 6-ter, valore concorsuale e il cui superamento ha comportato l'accesso alle graduatorie rimanenti, il cui naturale e progressivo scorrimento avrebbe dovuto garantire un contratto a tempo indeterminato, in virtù del criterio del numero chiuso stabilito in base alle esigenze del sistema scolastico prima che il precedente Governo intervenisse a tagliare 8 miliardi di euro dalla scuola, in applicazione del sopra citato articolo 64 del decreto-legge n. 112 del 2008 convertito con modificazioni dalla legge n. 133 del 2008;
chi ha intrapreso un tale percorso ha creduto, come logica vuole in un Paese civile, che il numero chiuso e programmato sul fabbisogno delle scuole italiane, avrebbe necessariamente garantito uno sbocco occupazionale certo; ha di conseguenza operato delle scelte di vita e si è sobbarcato degli oneri anche di natura economica, scartando altre prospettive lavorative. Inoltre, nel 2007, al momento della trasformazione delle graduatorie permanenti in graduatorie ad esaurimento, per effetto della legge n. 296 del 27 dicembre 2006, articolo 1 comma 605, lettera c), a tale personale era stata garantita la stabilizzazione nell'arco di un massimo di tre anni;
non va inoltre tralasciato il fatto che molti docenti inclusi all'interno di suddette graduatorie hanno in questi anni continuato a garantire il funzionamento del sistema di istruzione pubblico del nostro Paese, adeguandosi a condizioni lavorative svantaggiose e discriminatorie rispetto ai colleghi di ruolo (stipendi di luglio e agosto ormai quasi sempre non pagati, trattamento di fine rapporto maturato su 10 invece che su 12 mesi; mancato riconoscimento della progressione di carriera e degli scatti di anzianità), nella prospettiva della futura stabilizzazione, maturando al contempo il diritto ad un inquadramento lavorativo stabile, come sancito dalla normativa europee contro gli abusi di contratti a termine da parte dei datori di lavoro (direttiva comunitaria 99/70/CE che obbliga il datore di lavoro a trasformare il contratto da tempo determinato a tempo indeterminato dopo tre anni di servizio, recepita nel nostro ordinamento dal decreto legislativo 6 settembre 2001 n. 368);
in tale situazione l'eventuale apertura del concorso al personale più o meno giovane, non in possesso dell'abilitazione all'insegnamento, risulterebbe quanto mai inopportuna in considerazione innanzitutto dell'esiguità dei posti attualmente disponibili e ancora di più, se si considerano la possibile contrazione dei posti disponibili che si determinerà per effetto dell'aumento dell'età pensionabile; in tale contesto l'illusoria prospettiva occupazionale che il Ministro sta offrendo alle nuove leve avverrebbe sulle spalle degli attuali lavoratori precari della scuola, non necessariamente meno giovani e peraltro in possesso già da anni di titoli e servizio;
è pertanto evidente che l'ennesima procedura concorsuale, alla luce delle considerazioni sopra esposte, non risulterebbe secondo gli interroganti in alcun modo risolutiva nei confronti del personale precario, inserito nelle graduatorie ad esaurimento, già in possesso dei titoli oltre che del servizio e legittimamente in attesa della stabilizzazione anche nel rispetto della direttiva comunitaria; complicherebbe invece la situazione degli organici delle scuole secondarie dove, per effetto delle riforme Gelmini (decreto del Presidente della Repubblica n. 87 del 15 marzo 2010 relativo agli istituti professionali, decreto del Presidente della Repubblica n. 88 del 15 marzo 2010 relativo agli istituti tecnici e decreto del Presidente della Repubblica n. 89 del 15 marzo 2010

relativo ai licei) e di quelli che gli interroganti considerano iniqui e antididattici criteri con cui sono state stabilite alcune confluenze delle classi di concorso sugli insegnamenti dei bienni già interessati dal riordino (confronta nota ministeriale n. 272 del 14 marzo 2011), si sono prodotti diversi esuberi di personale in molte classi di concorso, a causa dell'eliminazione di alcune discipline e della drastica riduzione del monte ore di altre; il preoccupante numero di esuberi che ha già fortemente ridotto le possibilità occupazionali degli insegnanti precari più penalizzati dagli effetti delle suddette riforme, non permette, indipendentemente da un concorso, di ipotizzare alcuna disponibilità di posti, determinerà anzi, se il Governo non si impegnerà ad adottare tempestivamente misure a tutela di tale personale, l'estromissione definitiva dall'insegnamento anche di chi ha accumulato più titoli e anni di servizio -:
se il Ministro non intenda analizzare in modo attento e responsabile l'attuale assetto delle graduatorie ad esaurimento al fine di garantire la massima occupazione dei docenti in esse inseriti, elaborando al contempo un piano di assunzioni triennale che parta dal rispetto della normativa europea in materia di stabilizzazioni prendendo le mosse dalla ridefinizione degli organici della scuola, messa in ginocchio, sempre secondo gli interroganti, da anni di tagli lineari, e dovrà modificare quanto stabilito dall'articolo 19, comma 7 del decreto-legge n. 98 del 2011 convertito con modificazioni della legge n. 111 del 15 luglio 2011 che, nell'impedire, a partire dall'anno scolastico 2012-2013, un'integrazione degli organici rispetto all'anno scolastico 2011-2012, sancisce di fatto l'impossibilità di stabilizzare in tempi ragionevoli i precari attualmente inseriti nelle graduatorie ad esaurimento e annulla le premesse indispensabili per favorire l'accesso delle nuove generazioni alla professione docente, anche in considerazione del sopra citato innalzamento dell'età pensionabile.
(4-14422)

...

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:

GIORGIO MERLO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
il gruppo Saturno che conta 3 stabilimenti nei comuni di Piossasco, Grugliasco e Rosta nella provincia di Torino, produce per l'indotto auto con circa 500 lavoratori;
dal marzo 2010 i 3 stabilimenti sono in amministrazione straordinaria che, dopo una, proroga di 3 mesi ottenuta nel mese di dicembre 2011, si concluderà il prossimo 18 febbraio 2012;
ad oggi non si conosce alcun piano industriale predisposto dal commissario. Una incertezza pesante che è dovuta anche al fatto che il maggiore cliente, che è la Fiat, non ha ancora specificato quali saranno i futuri volumi produttivi e le nuove vetture a cui destinare le produzioni Saturno. Le scelte del gruppo Fiat, dunque, saranno determinanti per il futuro del gruppo attualmente in forte difficoltà, in quanto ad oggi gran parte del fatturato deriva da produzioni su vetture che andranno a cessare nel corso del 2012. Una situazione che potrebbe bloccare le trattative con l'unico possibile acquirente che, in assenza di certezze, potrebbe sfilarsi dalla manifestazione di interesse;
pertanto, la data del 18 febbraio 2012 sarà una scadenza improrogabile, dopo la quale è previsto il fallimento del gruppo Saturno con pesanti ricadute per i 500 lavoratori e le rispettive famiglie -:
alla luce di questa situazione quali iniziative concrete il Ministro intenda intraprendere per salvaguardare l'occupazione in questi 3 stabilimenti e rilanciare la produzione.
(3-02006)

Interrogazione a risposta in Commissione:

LENZI e MIOTTO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
nel 2008 con l'articolo 81, comma 29 e seguenti, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, fu istituita la carta acquisti o social card, misura rivolta ai cittadini che versano in condizioni di disagio economico-sociale e che abbiano particolari requisiti;
l'ISTAT ha recentemente stimato in 7,8 milioni gli individui sotto la soglia di povertà, socialmente esclusi e di essi 3.100.000 si trovano in stato di povertà assoluta, mentre con la social card sono stati raggiunti solo 640 mila individui, ovvero soltanto un ventesimo di quelli sotto la soglia di povertà, dato per altro fornito in seguito ad un'interrogazione del gruppo del Partito democratico in Commissione bilancio, tesoro e programmazione, a firma dell'onorevole Baretta;
nonostante questo «flop», la carta acquisti è entrata in una nuova fase di sperimentazione introdotta dal decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, che attribuisce a «enti caritativi» la competenza di assegnare la social card direttamente alle persone in condizione di bisogno, non rispettando, tra l'altro, così, le competenze, le linee della programmazione regionale e il principio di «leale collaborazione» tra livelli istituzionali, già introdotto dalle modifiche del titolo V della parte seconda della Costituzione e maggiormente sottolineato dalla legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale e amministrativo;
all'atto della sua originaria istituzione con l'articolo 81, comma 29 e seguenti, del decreto-legge n. 112 del 2008 si prevedeva al comma 38-bis entro sei mesi dall'approvazione del predetto decreto-legge e successivamente entro il 31 dicembre di ogni anno, la presentazione, da parte del Governo, di una relazione al Parlamento sull'attuazione della carta acquisti;
dal 2008 a oggi non risulta mai depositato presso nessuno dei due rami del Parlamento tale atto, che consentirebbe non solo di far luce sui costi reali di attuazione di tale misura ma anche di avere un quadro completo ed esauriente della citata misura -:
quali siano i motivi della mancata presentazione della relazione al Parlamento prevista dal comma 38-bis dell'articolo 81 del decreto-legge n. 112 del 2008 citato in premessa nonché quali siano i tempi attesi per la sua predisposizione e il successivo invio al Parlamento ed in particolare quale siano i dati in possesso del Governo su questo primo anno di attuazione della nuova sperimentazione della social card così come prevista dal decreto legge 29 dicembre 2010 n. 225 e se, infine, il Governo ritenga opportuno prorogare o meno tale sperimentazione.
(5-05898)

Interrogazione a risposta scritta:

ROSATO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
in una precedente interrogazione, l'interrogante aveva portato a conoscenza del Governo, senza ottenere, peraltro, alcuna risposta, il caso della società Croce Italia Marche srl;
la società sopra riportata, infatti, ha vinto l'appalto dell'azienda sanitaria n.1 Triestina, per la gestione del trasporto di pazienti emodializzati, affiancando il servizio di 118;
la società Croce Italia Marche srl ha alle proprie dipendenze 370 persone e circa 200 collaboratori che prestano la loro opera presso le aziende sanitarie in diverse regioni italiane, di questi 38 sono occupati nel territorio provinciale di Trieste;
come già segnalato precedentemente, i lavoratori lamentavano il mancato pagamento

degli stipendi di alcune mensilità oltre che di ulteriori spettanze accessorie;
la società, in occasione degli incontri anche con i sindacati presso la prefettura di Trieste, ha motivato i ritardi nella corresponsione degli stipendi giustificandoli con i ritardi della stessa azienda sanitaria n.1 triestina nel liquidare le fatture;
a detta della società l'azienda liquidava le fatture a 120 giorni anziché a 30 come sarebbe previsto, compromettendo anche la regolare copertura delle posizioni INAIL e INPS e portando alla non regolarità del Durc per alcuni periodi;
la non regolarità del Durc per brevi periodi causava a sua volta il non pagamento da parte di altre amministrazioni pubbliche delle relative fatture, creando un circolo vizioso nel quale a farne le spese erano e sono i lavoratori che rimangono senza la paga;
l'azienda, operando in più regioni d'Italia, dipende per la sua liquidità che condiziona la corresponsione degli stipendi di tutti i 370 dipendenti sul territorio nazionale, dal complesso dei pagamenti delle diverse aziende sanitarie;
per il medesimo motivo a poco è valso l'intervento dell'azienda sanitaria n.1 triestina, sollecitata dopo l'incontro in prefettura a Trieste, a versare le somme che dovevano essere liquidate alla società;
il caso della provincia di Trieste non è l'unico, in quanto anche nella provincia di Pesaro e Urbino i 60 dipendenti hanno avuto le stesse difficoltà a percepire regolarmente gli stipendi;
ad oggi la situazione si è aggravata in quanto, nonostante la società abbia proceduto con il pagamento di alcune mensilità arretrate, risultano non corrisposti gli stipendi dei mesi da settembre ad oggi;
i lavoratori, anche se non pagati, continuano a lavorare per garantire comunque il trasporto di malati in ambulanza, nel mentre, i sindacati hanno dichiarato lo stato di agitazione;
sottolineato l'impegno di questi 33 dipendenti nella provincia di Trieste che nonostante le difficoltà continuano a garantire il servizio, va segnalato che comunque lo stesso non funziona come dovrebbe e quindi parte delle possibili dimissioni dei pazienti verso il domicilio o le case di riposo viene in qualche modo rinviata al giorno dopo o addirittura sospesa con evidente e chiaro danno anche economico oltre che sociale;
il mancato rispetto della programmazione effettuata per le dimissioni ha portato a situazioni di saturazione dei reparti, con un rischio di collasso anche nel reparto del pronto soccorso;
inoltre, una relazione dell'Ass - azienda per i servizi sanitari a seguito di una verifica effettuata sulle vetture di Croce Italia Marche srl ha segnalato una serie di disfunzioni tra cui specchietti rotti, portelloni malfunzionanti, frecce inesistenti, richiedendo, in particolare, il ritiro dal servizio di due ambulanze e interventi di grossa manutenzione su altre due;
nella medesima relazione si sono segnalate anche dotazioni sanitarie incomplete, in numero insufficiente o addirittura assenti;
il problema della retribuzione dei lavoratori, essendo esteso su tutto il territorio nazionale, necessita, per la sua risoluzione, di un intervento nazionale -:
se il Governo intenda assumere ogni iniziativa di competenza a garanzia di una puntuale corresponsione delle retribuzioni arretrate e attuali al personale addetto, presa coscienza della difficile situazione in cui versano i lavoratori nell'importante settore del trasporto degli emodializzati e dei degenti, atteso che i ritardi nei versamenti delle retribuzioni dei dipendenti di Croce Italia Marche si sono verificati anche per causa di un ritardo nel pagamento delle fatture da parte di alcune aziende sanitarie;
se il Governo intenda aprire un tavolo di concertazione nazionale preso atto

che la questione debba essere risolta su tutto il territorio nazionale e che non è possibile sbloccare la situazione individualmente da provincia a provincia.
(4-14435)

...

POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

OLIVERIO. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
gli ettari investiti ad agrumi nella Regione Calabria ammontano a circa 34.000 ettari, di cui 14.000 nella sola provincia di Reggio Calabria;
le superfici di agrumi non più commercializzabili per basso valore commerciale e di innovazione merceologica si attestano tra i 3.000 e i 5000 ettari;
la problematica in oggetto riguarda una particolare area, come la piana di Gioia Tauro, e una produzione agrumicola ormai commercialmente obsoleta, comprendente varietà di biondo comune e altre destinate, anche per gli effetti derivanti dall'attuazione delle politiche comunitarie, al solo utilizzo industriale;
in Calabria la campagna di commercializzazione 2011 degli agrumi ha fatto evidenziare gravissime emergenze evidenziando ancora una volta i cronici problemi strutturali del comparto;
la crisi riguarda soprattutto il sistema industriale che, tra l'altro, non remunera i prodotti a causa del basso prezzo di offerta dei succhi brasiliani;
negli anni passati, la compensazione finanziaria connessa alla quantità di prodotto consegnata all'industria ha mascherato la scarsa competitività di tali produzioni per un periodo maggiore del necessario, impedendo di affrontare la diversificazione produttiva richiesta dal mercato;
la situazione è aggravata dalla non equilibrata distribuzione della filiera dell'orto frutta fresca, che scarica le tensioni sugli agricoltori, che ne rappresentano l'anello debole della filiera medesima;
appare non più rinviabile la ridefinizione dei ruoli commerciali al fine di consentire una rivalutazione della base produttiva che guardi al reale costo di produzione ed attesti le vendite almeno alla giusta retribuzione dei produttori;
il passaggio fondamentale deve, ovviamente, avvenire attraverso la collaborazione tra i segmenti della filiera per consentire una rinnovata fase etica del consumo;
la mancanza di una specifica misura del PSR della regione Calabria ha compresso ulteriormente le aspettative di quanti avevano riposto nello stesso la possibilità di diversificazione produttiva;
appare necessaria l'adozione di misure nazionali straordinarie di supporto coordinate con l'Unione europea attraverso la predisposizione di un piano ortofrutticolo nazionale che guardi anche ad iniziative attivate da altri Stati, come Spagna e Francia;
nei tavoli di concertazione della nuova riforma dell'Organizzazione comune di mercato, il mondo organizzato ortofrutticolo aveva richiesto come controparte del disaccoppiamento totale non graduale, un riconoscimento in titoli superiori per gli agrumi destinati alla trasformazione industriale e una soluzione strutturale alla cronica problematica delle produzioni agrumicole a destinazione industriale, attraverso politiche di accompagnamento che trovassero allocazione nei territori investiti ad agrumi e che la previsione di titoli maggiorati per le produzioni industriali ha rappresentato un risultato positivo per il comparto agrumicolo;
occorre svolgere ogni azione per il mantenimento di un comparto, che per il Meridione d'Italia ha rappresentato carattere distinguibile nel panorama europeo e

fonte di reddito per consistenti territori e, in particolare per la riproposizione di un rinnovato piano agrumi nazionale -:
se il Ministro non ritenga opportuno per le produzioni ortofrutticole mediterranee, ed in particolare per gli agrumi, così come già avvenuto in passato, individuare modalità di ristrutturazione e riconversione della base produttiva, attraverso un nuovo piano agrumi che consenta, anche alla luce della riforma dell'Organizzazione comune di mercato ortofrutta-agrumi 2008, una ricollocazione di zone produttive non più allineate con la dinamicità dei mercati;
se il Ministro non ritenga necessario, in considerazione del fatto che i piani operativi delle organizzazioni di produttori hanno risposto in maniera parziale e frammentata, attivare una specifica misura a livello nazionale per le zone agrumicole destinate alla riconversione varietale e/o alla diversificazione produttiva di impianti tecnicamente non in linea con le attuali, seppur difficili, condizioni di mercato.
(5-05888)

...

SALUTE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XII Commissione:

PATARINO e DI BIAGIO. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
secondo i dati pubblicati nel mese di aprile 2011 dalla rivista scientifica The Lancet sono circa 2,6 i milioni bambini nati morti ogni anno nel mondo;
sebbene il 98 per cento di queste morti avvenga nei paesi poveri o in via di sviluppo, percentuali sempre più alte continuano a interessare i Paesi più ricchi;
in Italia una gravidanza su sei si interrompe con la morte del bambino e 9 bambini al giorno muoiono a termine, poco prima del parto o dopo la nascita, con notevoli ripercussioni sulla salute psicofisica delle madri e della coppia;
come sottolineano gli specialisti e gli esperti del suindicato fenomeno, intorno alla morte perinatale sussiste nel nostro Paese una forma deleteria di tabù che ne limita la comprensione, l'approfondimento e la sensibilizzazione;
il quadro che emerge dall'analisi del fenomeno psicosociale «morte in utero» pone l'Italia come fanalino di coda d'Europa e dei Paesi più avanzati, con una condizione di arretratezza culturale e psicologica;
in Italia infatti proprio in virtù della cortina di silenzio che avvolge questa dolorosa esperienza, sono rare le realtà che si occupano di accogliere e supportare le famiglie: esempio virtuoso è l'associazione CiaoLapo Onlus che dal 2006 si pone l'obiettivo di colmare questo gap e fornire ai genitori in lutto tutta l'assistenza medica, psicologica e psicosociale necessaria;
CiaoLapo Onlus collaborando con l'International Stillbirth Alliance, ha partecipato al complesso lavoro scientifico pubblicato da The Lancet, i cui dati sono citati in premessa, con l'impegno condiviso di Save the Children mettendo in luce per prima le criticità che attualmente contraddistinguono la realtà italiana;
in virtù del citato livello di arretratezza e di conoscenza del fenomeno della morte perinatale, la cura delle famiglie colpite da questo lutto in Italia non è ancora riconosciuta ed il più delle volte lasciata alla sensibilità di pochi se non rari operatori; sono pochi i centri di eccellenza in Italia per lo studio della morte perinatale e per la prevenzione di questi eventi, pochissimi gli psicologi, gli psicoterapeuti e i counselor con una preparazione specifica sul lutto perinatale e sulla sua elaborazione che operano all'interno delle strutture ospedaliere o nei consultori;
alle suindicate criticità si aggiungono le esigue risorse destinate a tali attività di

supporto e di ricerca per lo più attinte da raccolte fondi e dall'attenzione di donatori e associati;
sulla base di una ricerca nazionale effettuata da CiaoLapo Onlus, da cui sono stati tratti alcuni dei dati pubblicati sul citato numero speciale di The Lancet, sono emerse in particolare diverse mancanze e lacune nel meccanismo assistenziale delle strutture sanitarie nei confronti della famiglia in lutto che segnano la denigrante sperequazione sussistente tra il nostro e gli altri Paesi;
nella fattispecie i genitori Italiani spesso non ricevono una completa diagnosi a seguito della morte del bambino, con un corretto approfondimento diagnostico sul bambino, sul cordone e sulla placenta. È dimostrato che così facendo circa 7 casi su 10 troverebbero una spiegazione medica, mentre invece nel nostro Paese molte donne sono ancora liquidate con l'anacronistica ed abusata frase «è stata solo sfortuna»;
a ciò si aggiunge la frequente assenza di un corretto counseling per i genitori relativo ad ogni scelta da compiere, sia in caso di malattia grave del feto, sia in caso di avvenuta morte: troppo spesso è impreparata alla gestione delle criticità, e non accompagna i genitori alle prese con l'evento drammatico, e con l'ultimo saluto al bambino. Momenti importantissimi per l'elaborazione del lutto, che devono essere affrontati nel migliore dei modi possibili;
inoltre, è ampiamente segnalata l'assenza di un corretto sostegno psicologico in caso di morte endouterina, durante la diagnosi, durante il parto e dopo le dimissioni;
ulteriore elemento di criticità è la mancanza di un corretto sostegno per gli altri figli e di un corretto sostegno nelle gravidanze successive. La gravidanza successiva ad un lutto perinatale non è mai un evento di routine, non solo perché è per definizione «una gravidanza a rischio» dal punto di vista medico, ma anche dal punto di vista psicologico;
in Italia sussiste un atteggiamento vagamente fatalistico che sottende il confronto medico-paziente segnatamente sul versante ginecologico ostetrico. Tale paradosso tutto italiano spinge ad identificare ogni potenziale o vagheggiata dinamica informativa e di sensibilizzazione sul fenomeno in oggetto come «terrorismo psicologico» nei confronti delle future mamme, con il risultato di creare una coltre dannosa e inutile di ignoranza su un rischio reale e incombente, e che alimenta la drammatica conseguenza di isolare sotto il profilo medico e sociale le famiglie colpite -:
se si intenda assumere ogni iniziativa di competenza per consentire la definizione presso le strutture del Servizio sanitario nazionale di percorsi di formazione e sensibilizzazione del personale medico e sanitario, circa il fenomeno della morte perinatale, le sue potenziali cause, le sue deleterie conseguenze e i meccanismi di assistenza alle famiglie colpite, nonché la realizzazione di campagne informative destinate alla società civile aventi ad oggetto la morte perinatale, come fenomeno reale e rischio esistente in capo a tutte le gestanti e puerpere.
(5-05900)

BARANI e FUCCI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
una recente ricerca presentata dalla Fidapa (Federazione italiana donne arti professionali affari) rivela che, in Italia, solo il 16 per cento delle strutture sanitarie è nelle condizioni strutturali e organizzative di offrire alle partorienti l'anestesia epidurale e che, anche ove essa è prevista, vi sono evidenti limitazioni, per esempio durante la notte e i fine settimana;
secondo la ricerca, inoltre, ad una donna su due (49 per cento) non viene offerta l'epidurale mentre il 43 per cento l'ha chiesta, ma senza possibilità di ottenerla, e il 40 per cento ha definito il parto come un'esperienza di dolore estremo;

il tema del cosiddetto «parto senza dolore» è di grande attualità ed importanza sul piano interno alla luce delle grandi differenze esistenti tra le varie regioni italiane in termini di standard qualitativi e sul piano europeo, alla luce anche degli alti standard in proposito raggiunti negli altri maggiori Stati membri dell'Unione europea -:
quali iniziative ritenga di assumere, nell'ambito delle sue competenze, per favorire un sempre maggiore sviluppo, sull'intero territorio nazionale, dell'anestesia epidurale, anche valutando l'ipotesi di inserire il «parto senza dolore» nell'ambito dei livelli essenziali di assistenza di cui al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502.
(5-05901)

BINETTI, NUNZIO FRANCESCO TESTA e DE POLI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
ha causato dolore e sdegno la morte di Valeria Lembo, 34 anni, sposata e madre di un bambino di soli sette mesi, deceduta il 29 dicembre 2011, tre settimane dopo la quarta seduta di chemioterapia alla quale era stata sottoposta nel policlinico «Paolo Giaccone» di Palermo;
il presidente della Commissione d'inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del Servizio sanitario nazionale ha annunciato l'avvio di un'istruttoria su quello che sembrerebbe un clamoroso errore che ha provocato la morte per overdose di farmaci di Valeria Lembo;
da quanto emerge da un'indagine interna condotta dalla direzione sanitaria del policlinico, i medici le avrebbero, infatti, somministrato novanta milligrammi di una molecola chemioterapica, la vinblastina, che avrebbe avuto effetti devastanti per la paziente, affetta dal morbo di Hodgkin, una forma tumorale dalla quale è possibile guarire;
l'infermiera che ha somministrato la dose di chemio, ben quindici fiale, in pratica dieci volte di più di quella necessaria, si sarebbe insospettita, rivolgendosi alla dottoressa che l'aveva prescritta, ma il medico che la mattina del 7 dicembre 2011 aveva visitato la paziente insieme a uno specializzando le avrebbe detto di proseguire la cura. Secondo quanto accertato dai vertici aziendali, non si sarebbe trattato di un errore di calcolo, ma di un banale errore materiale: uno zero in più, forse digitato per sbaglio;
quando l'oggetto del contendere è la tutela del bene più importante, vale a dire la salute dei cittadini, tutte le figure inserite nel contesto sanitario dovrebbero essere tenute in considerazione con la loro professionalità e la loro dedizione, che il più delle volte mettono a disposizione non solo anni di studio, ma specifiche professionalità acquisite «sul campo», in ospedali e attraverso la cura dei malati;
il Servizio sanitario nazionale italiano in molti casi non sembrerebbe valorizzare adeguatamente la competenza degli infermieri, che non è fatta solo da pratica, ma anche di una precisa elaborazione culturale: sanno quello che fanno e perché lo fanno. Questo caso drammatico, proprio nella sua dinamica perversa, può almeno servire a far riflettere sul ruolo dei nuovi infermieri e sulla loro professionalità specifica e cominciare a valorizzarla più e meglio -:
quali urgenti iniziative normative intenda adottare atte a vigilare e ad impedire che simili tragedie debbano ripetersi e quali iniziative intenda porre in essere in grado di mettere in evidenza, valorizzandoli, il ruolo e la professionalità specifica dei nuovi infermieri.
(5-05902)

MIOTTO, MURER e PEDOTO. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
si calcola che fra le trecentomila e le quattrocentomila donne in 65 Stati diversi, dall'Europa all'America Latina, si siano fatte impiantare protesi della «Pip», ma solo in Francia le autorità hanno invitato circa 30 mila connazionali a farsele rimuovere,

pur precisando che non deve essere considerata un'operazione «urgente», e ribadendo che non esiste un rischio «conclamato» di contrarre il cancro. È un fatto comunque che ammontano già ad almeno venti in Francia, più uno in Italia, i casi di tumore al seno in donne cui erano state impiantate le protesi all'indice;
in Italia il 1o aprile 2010, con una circolare, il Ministro ha invitato gli operatori sanitari a non utilizzare i dispositivi di cui sopra, dopo che il 30 marzo 2010 l'autorità francese aveva comunicato il ritiro delle stesse protesi;
nella circolare si invitava a mettere le protesi in quarantena e a segnalare eventuali incidenti. Contemporaneamente era stato chiesto al comando dei carabinieri per tutela della salute di verificare la presenza sul territorio nazionale del prodotto e di operare affinché non potesse essere più distribuito;
nel contempo, nessuna determinazione si ritenne di assumere rispetto a chi era già portatrice di quel tipo di protesi;
secondo le attuali stime sarebbero circa 4.300 le protesi Pip impiantate in Italia;
nonostante l'ordinanza del Ministro della salute del 29 dicembre 2011, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale serie generale n. 304 del 31 dicembre 2011, che dispone il censimento delle protesi mammarie Pip impiantate in Italia, ed impone a tutte le strutture ospedaliere e ambulatoriali pubbliche e private, accreditate o autorizzate, di redigere entro 15 giorni un elenco nominativo di tutti i casi riguardanti l'impianto di Pip a partire dal primo gennaio 2001, la situazione è ben lontana dall'essere totalmente chiarita e sotto controllo;
l'ordinanza prevede che la lista resterà segreta, ma le strutture dovranno notificare alle Asl di riferimento (e queste alle competenti autorità regionali) la data di ciascun intervento d'impianto. Le regioni avranno poi altri 10 giorni di tempo per inviare tutti i dati al Ministero. L'ordinanza impone che anche le strutture che non hanno effettuato impianti attestino una dichiarazione di mancata effettuazione di tali trattamenti;
è in Parlamento da più di un anno la proposta di legge «Istituzione del registro nazionale e dei registri regionali degli impianti protesici mammari, obblighi informativi alle pazienti, nonché divieto di intervento di plastica mammaria alle persone minori», presentata dal Ministro della salute pro tempore, che per la prima volta istituirebbe, anche in Italia, un registro delle protesi -:
quali iniziative urgenti il Ministro intenda assumere, oltre all'ordinanza già pubblicata, per tutelare la salute delle donne che si sono sottoposte ad impianto di protesi mammaria anche eventualmente predisponendo la medesima azione del Governo francese, in particolare in relazione ai costi da sostenere per gli eventuali interventi di rimozione delle protesi stesse nonché, se non ritenga opportuno e doveroso adottare iniziative per predisporre in tempi brevi un registro nazionale delle protesi.
(5-05903)

Interrogazioni a risposta scritta:

PALAGIANO. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
con nota prot. 188767/DB/07/08 del 26 ottobre 2011 a firma del direttore Ferdinando Romano la regione Lazio ha inviato ai direttori generali delle ASL, delle aziende ospedaliere, dei policlinici universitari e degli istituti di ricovero e cura di carattere scientifico un modello di piano terapeutico sulla base del quale procedere alla prescrizione dei farmaci antipsicotici atipici (ATC N0SAH);
la sezione Lazio della Società italiana di psichiatria ha espresso pubblicamente la propria preoccupazione e perplessità circa la suddetta nota, denunciando come dalla documentazione inviata dalla regione emergerebbe che i criteri di scelta dell'antipsicotico atipico sarebbero limitati «all'inefficacia

o intolleranza di terapie precedenti», e come nel «modello per la definizione del piano terapeutico» indicato mancherebbe del tutto la diagnosi fatta al paziente che dovrebbe rappresentare l'unica informazione valida per definire l'appropriatezza o meno della prescrizione;
la Corte di Cassazione, con la sentenza 8254/11 della IV sezione penale, ha recentemente ribadito gli obblighi di chi esercita la professione medica, specificando che «il medico, che risponde anche ad un preciso codice deontologico, che ha in maniera più diretta e personale il dovere di anteporre la salute del malato a qualsiasi altra diversa esigenza e che si pone, rispetto a questo, in una chiara posizione di garanzia, non è tenuto al rispetto di quelle direttive, laddove esse siano in contrasto con le esigenze di cura del paziente»;
la stessa sentenza stabilisce che «a nessuno è consentito di anteporre la logica economica alla logica della tutela della salute, né di diramare direttive che, nel rispetto della prima, pongano in secondo piano le esigenze dell'ammalato», ribadendo inoltre che «il medico deve, con scienza e coscienza, perseguire un unico fine: la cura del malato utilizzando i presidi diagnostici e terapeutici di cui al tempo dispone la scienza medica, senza farsi condizionare da esigenze di diversa natura, da disposizioni, considerazioni, valutazioni, direttive che non siano pertinenti rispetto ai compiti affidatigli dalla legge ed alle conseguenti relative responsabilità» -:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza della nota della regione Lazio relativa alla prescrizione dei farmaci antipsicotici atipici e se non intenda, nell'ambito della proprie competenze e anche per il tramite del commissario ad acta per il rientro dei disavanzi sanitari, assicurare che la logica di un possibile risparmio per la regione non prevalga su pertinenti valutazioni di carattere clinico e scientifico nell'interesse dei pazienti e della tutela della loro salute, che dovrebbe prevalere su qualsiasi altra considerazione.
(4-14421)

BERNARDINI, BELTRANDI, FARINA COSCIONI, MECACCI, MAURIZIO TURCO e ZAMPARUTTI. - Al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
il 6 gennaio 2012, sul quotidiano online «Ilgiornaledivicenza.it», è apparso un articolo di Cristina Genesin intitolato: «Morì in cella. Colpa medica»;
nell'articolo si narra la triste vicenda capitata al 37enne Federico Rigolon, detenuto ristretto nel carcere Due Palazzi di Padova, il quale, nonostante la terapia farmacologica prescritta dal medico del carcere, lamentava un fortissimo dolore nella parte superiore dell'addome. Così per tre volte in 24 ore era tornato nell'infermeria del carcere insistendo con il medico che il dolore che provava non passava;
poche ore più tardi dall'ultimo ricovero Federico è stato trovato senza vita in cella ucciso da un infarto miocardico acuto;
secondo la dottoressa Orizia D'Agnese, 41 anni, in servizio a Padova, il malessere di Rigolon dipendeva da problemi di stomaco, mentre ora, a otto mesi, dal decesso dell'uomo, il pubblico ministero Orietta Canova ha chiuso formalmente l'inchiesta e ha sollecitato il processo a carico della stessa dottoressa Orizia D'Agnese (difesa dall'avvocato Lorenzo Locatelli), per il reato di omicidio colposo, il tutto sul presupposto accusatorio che forse, se ricoverato in un'unità coronarica, l'uomo avrebbe potuto salvarsi;
Federico Rigolon, un passato di tossicodipendenza e truffe, si rivolse alla guardia medica il 16 aprile per un dolore epigastrico avvertito pure in passato. L'indomani si ripresentò in infermeria alle 7,45 per lo stesso problema, nonostante l'assunzione di farmaci. A questo punto

chiese di essere trasferito in ospedale ma la dottoressa gli prescrisse ranitidina per curare una gastrite acuta e Buscopan per fronteggiare il dolore. Alle 11,40 Rigolon tornò dal medico. E il medico gli prescrisse un altro antidolorifico (Contramal), suggerendo al paziente di non fumare più: si limitò, per l'accusa, a prenotare in ospedale un esame endoscopico. Secondo la consulenza tecnica svolta dal professor Gaetano Thiene e dal medico legale Claudio Terranova, consulenti della procura, sarebbe bastato un elettrocardiogramma per individuare con certezza l'infarto in atto -:
di quali informazioni dispongano circa i fatti riferiti in premessa e se non intendano avviare, negli ambiti di rispettiva competenza e comunque a prescindere e nel rispetto del procedimento penale avviato dalla procura di Padova, ogni iniziativa di competenza volta a fare piena luce sul decesso di Federico Regolon.
(4-14431)

...

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:

LIBÈ e DELFINO. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
il processo di liberalizzazione del settore della distribuzione del gas naturale è stato avviato, tra la fine degli anni Novanta gli inizi degli anni Duemila, attraverso la direttiva 98/30/CE e il decreto legislativo di recepimento (cosiddetta legge Letta) n. 164 del 2000;
il problema specifico dell'Italia è stato quello della eccessiva frammentazione della gestione del servizio legato alla gestione statale dei servizi pubblici locali. Con l'apertura al mercato, l'affidamento a gara pubblica del servizio e quindi alla logica dei «ricavi tariffari», il numero di operatori si è sensibilmente ridotto. Nonostante questa apertura, le competizioni che hanno avuto luogo hanno comportato numerosi contenziosi e sono state aggiudicate con il criterio prevalente del massimo canone offerto agli enti locali, con effetti negativi sia sulle imprese sia sui clienti finali;
è quindi intervenuto, ex legge 99 del 2009, il decreto ministeriale del 19 gennaio 2011 che ha definito in 177 gli ambiti territoriali minimi della distribuzione gas. Questo provvedimento contiene però al suo interno tutta una serie di importanti criticità per la piena ed efficace liberalizzazione del settore. Se, da una parte, infatti, si cerca di razionalizzare la distribuzione attraverso una definizione efficiente del settore, permangono nel sistema tutta una serie di barriere all'ingresso sia di natura economico-finanziaria, sia di struttura in relazione alla presenza di grandi operatori, in posizione di forza in ambiti poco numerosi e troppo ampi;
ciò rischia di vanificare la ragione stessa per cui si ritiene utile introdurre processi di liberalizzazione del mercato -:
se non si intenda ridurre la dimensione degli ambiti ad un livello compatibile con i costi e lasciare quindi al mercato la creazione di unioni tra gestori, per evitare che il numero relativamente ristretto dei 177 ambiti rischi di avere conseguenze anti competitive;
se non intenda omologare e predisporre dei bandi standard per tutte le gare di assegnazione, adottando l'atteso decreto sui criteri per il loro svolgimento.
(3-02007)

Interrogazioni a risposta in Commissione:

PILI. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
la definizione della continuità territoriale aerea e marittima, passeggeri e merci costituisce la più delicata e prioritaria

questione sulla quale è indispensabile il più urgente intervento del governo tenendo conto in particolar modo dei seguenti elementi:
la Commissione trasporti della Camera dei deputati in data 21 aprile 2010 ha approvato all'unanimità la risoluzione conclusiva relativa alla modifica della continuità territoriale aerea da e per la Sardegna;
nel dispositivo della richiamata risoluzione si impegna il Governo:

ad avviare un immediato confronto per ridefinire, nell'ambito della conferenza di servizi che il presidente della regione Sardegna è stato delegato ad istituire e presiedere dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, la disciplina della continuità territoriale, superando quella vigente, che risulta inadeguata sia sotto il profilo concettuale che sotto quello dei servizi e dei costi, per pervenire a un modello di continuità territoriale intesa come un fattore di riequilibrio di condizioni permanenti di svantaggio derivanti dall'insularità e di garanzia del diritto alla mobilità per i territori svantaggiati, tenendo conto anche di quanto previsto dalla legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione;
in particolare, ad assumere le appropriate iniziative per definire e attuare una continuità territoriale che, tenga conto, oltre che degli effetti del processo di liberalizzazione del mercato del trasporto aereo, anche dei seguenti obiettivi:
a) favorire l'individuazione di un maggior numero di voli e di rotte aeree da e per la Sardegna che consenta, nel contesto dello sviluppo potenziale della domanda, di avere più operatori sulla stessa rotta;
b) favorire la possibilità di determinare, sulla base del principio di riequilibrio legato alle condizioni insulari della Sardegna, di una tariffa massima a cui si applichi il regime degli oneri di servizio pubblico, applicando, come parametro, le condizioni più favorevoli del costo ferroviario;
c) favorire la possibilità, per tutte le compagnie aeree di poter viaggiare sulle rotte di collegamento con gli aeroporti della Sardegna, proponendo, nell'ambito di una situazione di concorrenza, ribassi rispetto alla tariffa massima prestabilita in relazione agli oneri di servizio pubblico;
ad assumere le appropriate iniziative volte a verificare, con i competenti organismi comunitari e nel rispetto della normativa dell'Unione europea e degli indirizzi stabiliti dalla Commissione europea, la possibilità di estendere il regime di continuità territoriale a tutti i cittadini, in ottemperanza al principio di non discriminazione riaffermato dalla decisione della Commissione n. 2007/332/CE, del 23 aprile 2007, e, nell'ambito delle competenze attribuite ai singoli soggetti istituzionali dalla normativa vigente, a prevedere che a tutti i cittadini residenti nel territorio nazionale ed europeo che intendano effettuare voli da e per la Sardegna sia applicata la tariffa sottoposta ad onere di servizio pubblico, in modo da garantire il rispetto del principio di riequilibrio territoriale in relazione all'insularità della regione;
solo dopo oltre 22 mesi dalla delega alla regione Sardegna si è addivenuti alla definizione di nuovi decreti relativi alla continuità territoriale;
i nuovi decreti per la continuità territoriale aerea da e per la Sardegna riaffermano le procedure già richiamate dalla Commissione trasporti della Camera e in particolar modo, al fine di evitare discriminazioni, l'applicazione della tariffa unica per residenti e non;
tale obiettivo previsto nei decreti emanati dal Ministro competente nel dicembre 2011 lascia presupporre, se la norma adottata è quella che contempla nel costo complessivo del biglietto indicato nell'onere del servizio pubblico anche un ragionevole utile d'impresa, l'assoluto divieto

di compensazioni illogiche e illegittime alle compagnie aeree che farebbero bloccare la continuità territoriale per palese aiuto di Stato -:
se il Ministro interrogato non intenda attivarsi al fine di favorire l'accettazione degli oneri del servizio pubblico da parte delle compagnie aeree, così come previsto nei propri decreti, scongiurando il ricorso alla gara internazionale che rischia di compromettere sia la prossima stagione estiva che l'ordinario servizio che verrebbe in quel caso assegnato in regime di esclusiva ad una sola compagnia aerea.
(5-05890)

PILI. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
la continuità territoriale marittima risulta essere per la Sardegna elemento imprescindibile e vitale;
considerata l'apertura di una procedura d'infrazione europea sulla vendita della Compagnia Tirrenia, è indispensabile ridefinire entro l'anno 2011 le convenzioni relative agli oneri di servizio pubblico con la verifica della congruità del contributo statale;
la ridefinizione delle convenzioni costituisce elemento imprescindibile al fine di evitare il ripetersi dei gravi danni alla Sardegna dal comportamento irresponsabile della compagnia Tirrenia e degli armatori privati che hanno duramente penalizzato la passata stagione estiva;
il riesame delle convenzioni deve avvenire tenendo conto dei reali costi di produzione e di un margine limitato di utile d'impresa e della compensazione assegnata per quel tipo di servizio -:
se il Ministro interrogato non intenda attivarsi al fine di definire, nelle more della definizione del contenzioso europeo sulla vendita di Tirrenia, una revisione sostanziale delle convenzioni per la continuità territoriale marittima al fine di garantire per il 2012 un servizio di trasporto marittimo commisurato alle sovvenzioni già garantite alla Tirrenia per oltre 72 milioni di euro all'anno.
(5-05891)

PILI. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
con un comunicato ufficiale la società Alcoa ha annunciato il 9 gennaio 2012 che intende fermare le proprie produzioni in tre stabilimenti di alluminio primario in Europa nel quadro di una ristrutturazione già annunciata nella globale attività primaria;
la ristrutturazione ridurrà - secondo il comunicato ufficiale - la capacità globale di fusione della Società del 12 per cento pari a 531.000 tonnellate;
gli stabilimenti interessati da questa fermata sono quello di Portovesme in Italia, La Coruña e Avilés, in Spagna;
la fermata - secondo quanto riporta il comunicato ufficiale - dovrebbe essere completata nella prima metà del 2012;
nel comunicato ufficiale si legge: le strutture hanno tra i più alti costi dei produttori nel sistema Alcoa;
a Portovesme, Alcoa avvierà - è scritto nel comunicato - il processo di consultazione per chiudere definitivamente l'impianto. Per gli stabilimenti di La Coruña e Avilés sono previste riduzioni parziali e temporanee;
nel comunicato ufficiale si sostiene: un costo energetico non competitivo, combinato con l'aumento dei costi delle materie prime e la caduta dei prezzi di alluminio; ha portato alla fermata delle strutture;
Alcoa ha chiuso il quarto trimestre del 2011 con ricavi pari a 6 miliardi di dollari, in calo del 7 per cento rispetto ai 6,4 miliardi del trimestre precedente ma in rialzo del 6 per cento rispetto ad un anno fa quando si erano attestati a 5,7 miliardi;

la perdita netta è stata di 193 milioni di dollari, ossia 0,18 dollari per azione, rispetto ai 172 milioni, ossia 0,15 dollari per azione, del terzo trimestre e i 258 milioni (0,24 dollari per azione) dello stesso periodo dell'anno scorso. L'Ebitda rettificato trimestrale si è attestato a 445 milioni di dollari;
per quanto riguarda l'intero 2011, la società ha riportato ricavi pari a 25 miliardi di dollari contro i 21 miliardi del 2010, mentre l'utile netto è stato di 611 milioni di dollari (0,55 dollari per azione) rispetto ai 254 milioni (0,24 dollari per azione) di un anno fa;
l'alluminio è un materiale cruciale per qualsiasi sistema economico che si prefigga una crescita compatibile con il rispetto dell'ambiente;
il tasso di crescita della domanda di alluminio è attualmente superiore a quello di ogni altro metallo, oltre che del prodotto interno lordo delle diverse economie mondiali;
l'alluminio è una «commodity»: il prezzo internazionale si forma nelle negoziazioni di borsa al London Metal Exchange e le variazioni locali dei costi di produzione della materia prima non sono trasferibili sul prezzo finale del metallo;
l'andamento di detto prezzo è caratterizzato da una discreta volatilità e, in termini reali, risulta decrescente, con un tasso di riduzione annuo prossimo al 2 per cento, conseguenza anche del miglioramento dell'efficienza dei processi produttivi;
un'industria di trasformazione tecnologicamente all'avanguardia e alla capacità di innovazione e sviluppo delle applicazioni fa dell'Europa il secondo mercato mondiale dell'alluminio, con ulteriori e significativi margini di crescita;
la produzione europea di metallo primario non è stata in alcun modo in grado di contribuire allo sviluppo di detta domanda, ed il tasso di copertura sul mercato attuata con metallo autoprodotto è sceso dal 60 per cento del 1980 al 27 per cento del 2003;
l'import di alluminio primario dai Paesi extra - Unione europea è costantemente cresciuto oltre il 36,5 per cento del fabbisogno totale di alluminio ed il 56 per cento del fabbisogno di alluminio primario;
il mercato interno europeo è fortemente deficitario di alluminio e il tasso di import, è a livelli mai prima raggiunti;
l'industria europea non è in grado di coprire il deficit di metallo con una crescita delle produzioni primarie da lungo tempo a livelli stazionari;
le produzioni secondarie sono state sviluppate sino al limite massimo della disponibilità di rottame, utilizzando pienamente la generazione interna e trovando difficoltà crescenti al reperimento di rottame dall'esterno;
l'industria dell'alluminio primario è ad alta intensità di capitale con investimenti ad elevata durata di vita economica;
l'industria dell'alluminio primario è, per sua natura, un'industria energy intensive; l'energia elettrica è la vera materia prima del processo produttivo incidendo per oltre il 30 per cento sui costi operativi;
la disponibilità energetica a prezzi sostenibili è, quindi, il principale fattore di sopravvivenza economica degli impianti esistenti, ed è elemento chiave per la localizzazione dei nuovi impianti di produzione primaria (i cosiddetti smelters);
negli ultimi anni alla posizione competitiva degli impianti italiani, e di quello sardo in particolar modo, anche per le condizioni insulari della Sardegna, si è aggiunto l'aumento del costo dell'energia elettrica, indotto non solo da fattori congiunturali attinenti alle oscillazioni dei costi delle materie prime energetiche (olio e carbone), ma anche dall'attuazione delle politiche dell'Unione europea in materia di liberalizzazione dei mercati dell'energia;

il processo di liberalizzazione del mercato dell'energia in Europa è lontano dall'avere realizzato gli obiettivi di ampliamento della base produttiva, di competitività e di riduzione di prezzo attesi;
il mercato al momento non è equilibrato, funziona ancora in un regime di oligopolio, non è affatto trasparente e, conseguentemente, non è competitivo per i clienti energy intensive, quali i produttori di alluminio;
la carenza di riserva di generazione elettrica ed i vincoli di varia natura alla trasmissione dell'energia pongono un evidente limite strutturale ad uno sviluppo equilibrato dello stesso;
le attuali regole di funzionamento del mercato, che opera ancora in difetto di reale concorrenza, soprattutto in Sardegna, e di negoziazione dei prezzi, e che vedono una posizione di forza preponderante dei fornitori, non sono adeguate per negoziare acquisti di energia a lungo termine;
la formulazione del prezzo di borsa è svincolata dai fondamentali elementi di costo, o è volta a remunerare il costo marginale del produttore meno competitivo;
l'industria dell'alluminio primario, data l'intensità del consumo energetico, è di gran lunga la più esposta all'imperfetto funzionamento del mercato energetico ed ai conseguenti aumenti dei costi;
nelle condizioni attuali del mercato dell'energia, senza adeguati interventi strategici e contingenti, si prefigura il seguente scenario:
a) sarà impossibile la rinegoziazione dei contratti a condizioni e prezzi internazionalmente competitivi;
b) l'incremento del prezzo dell'energia risulterà incompatibile con la sopravvivenza economica degli impianti che conseguentemente non saranno più in condizioni di operare;
c) la produzione verrà delocalizzata in Paesi che adottano politiche energetiche compatibili con le loro ambizioni di sviluppo industriale;
d) per la natura di «capital intensive» dell'industria del primario la delocalizzazione sarà per lungo tempo irreversibile;
e) il metallo prodotto in tali aree, spesso a condizioni agevolate ed incentivate da risorse pubbliche, sarà importato nei Paesi della Comunità;
f) l'Europa pagherà i costi sociali ed economici connessi con la delocalizzazione;
g) l'Europa perderà la corrispondente occupazione diretta ed indotta;
la competitività europea sarà penalizzata in quanto:
a) l'industria di trasformazione perderà il supporto che deriva dalla disponibilità in loco di metallo primario;
b) l'industria manifatturiera perderà le ricadute tecnologiche apportate dalle attività primarie;
c) il sistema europeo si troverà a dipendere completamente da importazioni extra Unione europea con ricadute negative, nel lungo periodo, anche sui consumatori;
è indispensabile che le attuali distorsioni del mercato dell'energia vengano corrette al fine di ristabilire un bilanciamento tra fornitori e consumatori energy intensive creando un mercato competitivo che renda attraente per i produttori negoziare contratti competitivi a lungo termine con utenti «baseload»;
l'Italia, con un consumo di alluminio di oltre 1.600.000 tonnellate/annue è il secondo Paese consumatore del metallo leggero in Europa, e dispone di una industria di trasformazione (laminazione ed estrusi) ancora importante e relativamente competitiva; la produzione nazionale di primario è pari a circa 190.000 tonnellate/

annue, e copre quindi solo il 12 per cento del fabbisogno interno, il valore più basso tra i Paesi industrializzati;
la produzione di alluminio secondario, derivante dal riciclo dell'alluminio, assomma a 700.000 tonnellate/annue, pari al 43 per cento dell'intera domanda;
l'import assomma a circa 764.000 tonnellate/annue, pari al 47 per cento del fabbisogno;
la produzione di alluminio primario in Italia è effettuata in due stabilimenti, entrambi appartenenti alla multinazionale Alcoa, che li ha acquistati in seguito alla privatizzazione dell'industria nazionale dell'alluminio:
a) Portovesme, nel Sulcis Iglesiente (Sardegna) con capacità di 150.000 tonnellate/annue;
b) Fusina, nel Veneto, con capacità di 45.000 tonnellate/annue;
nel caso italiano, la produzione di alluminio primario risulta particolarmente strategica per le motivazioni seguenti:
a) è integrata all'industria di trasformazione a monte e a valle della filiera produttiva, e ne costituisce una importante salvaguardia;
b) costituisce un indiretto sostegno dell'industria del secondario, la più evoluta in Europa, che incontra difficoltà crescenti nell'approvvigionamento dall'estero del rottame;
in Sardegna la produzione del primario costituisce l'attività principale del nucleo industriale del Sulcis Iglesiente, e fornisce un contributo insostituibile al tessuto socio-economico della regione;
il comparto dell'alluminio primario italiano è stato privatizzato nel 1996 con l'acquisizione degli stabilimenti da parte della multinazionale Alcoa, leader mondiale del settore;
condizione essenziale per il perfezionamento di tale privatizzazione fu la fornitura ai suddetti stabilimenti di energia elettrica ad un prezzo allineato a quello medio applicato nel resto dell'Europa per un periodo di almeno dieci anni, ossia sino al 31 dicembre 2005;
alle intese sottoscritte all'atto della privatizzazione si diede attuazione tramite il decreto del Ministero dell'industria del commercio e dell'artigianato del 19 dicembre 1995, in forza del quale i due smelter italiani usufruirono di un regime tariffario speciale restato in vigore sino a tutto il 2005;
l'accordo sul prezzo dell'elettricità fu approvato dalla Unione europea, riconoscendo i termini dell'intesa finalizzata a garantire il prezzo medio dell'energia a livello europeo senza configurare un ricorso ad «aiuti di Stato»; nel definire una durata decennale del provvedimento si era ipotizzato che il mercato dell'elettricità si sarebbe evoluto in maniera da poter offrire, trascorso tale periodo, prezzi sostenibili da uno smelter in competizione sul mercato mondiale;
oggi si deve, invece, prendere atto del fatto che il lento e difficile processo di liberalizzazione del mercato dell'energia, (liberalizzazione ad oggi solo parziale e in Sardegna assolutamente inesistente) è ancora ben lontano dal realizzare gli effetti di riduzione dei prezzi e aumento dell'offerta giustamente auspicati;
non si intravede alcuna ragionevole possibilità di negoziare in Italia (e, più in genere, all'interno del mercato europeo) una fornitura di energia, sul cosiddetto «libero mercato», in quantitativi ed a prezzi che consentano l'esercizio economicamente sostenibile di uno smelter di alluminio;
le distorsioni al funzionamento del mercato, la sua natura essenzialmente oligopolistica, (e, spesso, di fatto ancora monopolistica, specie per quantitativi di energia particolarmente significativi) i vincoli tecnici alla produzione e distribuzione dell'energia e le inefficienze del sistema determinano una effettiva carenza di offerta, e un conseguente aumento dei costi,

non giustificabile in base a quelle che sarebbero le logiche di un mercato effettivamente sviluppato;
in tutti i Paesi dell'Unione europea la produzione di alluminio, sia primario che secondario, come detto, risulta fortemente deficitaria rispetto al fabbisogno interno generando un deficit strutturale, sia in relazione sia allo sviluppo della domanda, sia per la struttura del costo dei fattori produttivi in Europa, con particolare riferimento alla disponibilità ed al costo dell'energia, fattori a loro volta negativamente influenzati dall'imperfetto e distorto funzionamento del «libero mercato» dell'energia;
il mantenimento in produzione della ridotta capacità di primario in Italia (12 per cento della domanda nel Paese) non può quindi togliere quote di mercato a nessun concorrente europeo, né può ostacolare l'ingresso di nuovi operatori sul mercato;
il mantenimento per la produzione italiana di alluminio di un prezzo dell'energia equiparato alla media della concorrenza non può influenzare in alcun modo il corso del prezzo del metallo;
il mantenimento di tale prezzo dell'energia non può danneggiare alcun concorrente europeo sotto il profilo del prezzo praticabile negli scambi intracomunitari;
il mantenimento di condizioni di fornitura dell'energia elettrica a condizioni competitive, apporta dei concreti benefici al mercato ed al sistema socio economico non solo della Sardegna ma dell'intera nazione;
il mantenimento della produzione dell'alluminio primario in Italia riduce il rischio di delocalizzazione delle produzioni (gli annunci della Hydro in Germania evidenziano quanto questa eventualità sia reale) a vantaggio di produzioni effettuate in Paesi dove l'energia è fornita sottocosto, e dove le tutele legali sociali ed ambientali sono a livelli infinitamente più bassi rispetto agli standard comunitari, e tali da consentire spesso l'importazione in dumping all'interno del mercato comunitario di metallo prodotto al di fuori dell'Unione;
il mantenimento della produzione evita la conseguente distruzione e/o depauperamento sia di risorse private (per sostenere i costi di chiusura degli impianti e la loro delocalizzazione) che pubbliche (per la riconversione del personale, gli ammortizzatori sociale ed il sostegno alle economie dei territori interessati alle chiusure), a danno del mercato europeo ed a vantaggio di produzioni extra - Unione europea;
il mantenimento delle produzioni evita la perdita di competitività del sistema industriale nel suo complesso sul mercato globale, perdita che conseguirebbe inevitabilmente alle ricadute di varia natura connesse con la rinuncia ad una forma di approvvigionamento interna di metallo, con la conseguente totale dipendenza economica da importazioni extra - Unione europea, e con la crescente carenza di materia prima, sempre più desinata ai consumi interni, che scaturisce dallo sviluppo dei Paesi tradizionalmente esportatori (tra cui la Cina, la Russia, ed il Sud-est asiatico);
il mantenimento di tariffe ad hoc per le produzioni energivore dell'alluminio primario in Italia non può confliggere con quanto previsto dall'articolo 87 del Trattato, in base al quale «sono incompatibili con il mercato comune, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza»;
non si riscontrerebbero, nel caso di specie, né la richiesta «incidenza sugli scambi tra Stati membri», né, soprattutto, sarebbe favorita la «falsificazione», o «minaccia di falsificazione», della concorrenza a livello comunitario; al contrario, ci si limiterebbe a consentire la sopravvivenza, sul mercato globale, di un'importante industria europea altrimenti destinata

ad un irreversibile declino per la concorrenza attuata da aree del mondo le cui regolamentazioni normative del mercato non sono neppure comparabili con quelle comunitarie;
la fornitura di energia elettrica a prezzi internazionalmente competitivi è assolutamente essenziale per la produzione di alluminio primario;
la legge n. 80 del 2005 finalizzata al mantenimento della competitività del sistema industriale nazionale ha esteso al 2010 il regime energetico speciale per la produzione di alluminio primario allora in vigore ed a suo tempo approvato nel 1996 dalla Commissione europea nel quadro della privatizzazione dell'industria italiana dell'alluminio;
nel luglio 2006, la Commissione, ritenendo che il suddetto regime potesse costituire un aiuto di Stato, ha aperto un'indagine conoscitiva conclusasi con una pesante, quanto ingiustificabile, condanna per il Governo italiano, e conseguentemente per Alcoa, al pagamento di oltre 300.000.000 di euro;
il 17 maggio 2010 presso il Ministero dello sviluppo economico veniva definito e sottoscritto un accordo tra Alcoa, le organizzazioni sindacali e il Governo con il quale si stabilivano nuove condizioni per l'approvvigionamento energetico e la ripresa produttiva sia a Portovesme che Fusina;
nello stesso accordo era scritto: «l'azienda conferma la propria volontà di rimanere in Italia nei due siti produttivi di Portovesme e Fusina, quest'ultimo costituito dai reparti di elettrolisi e laminazione, secondo le linee guida del Piano industriale»...;
è del tutto evidente che tale decisione di chiudere gli impianti sardi dell'Alcoa debba essere energicamente respinta considerato che lo stesso stabilimento di Portovesme fu acquisito dall'Alcoa attraverso il piano di dismissione dell'Efim con conseguente obbligo al mantenimento produttivo dell'impianto stesso;
appare evidente che occorre avviare con urgenza un tavolo negoziale con l'Alcoa ai massimi livelli per scongiurare in tutti i modi una decisione che costituirebbe proprio per gli elementi sopra richiamati un grave danno al sistema Italia e al comparto industriale in particolar modo;
risulta improponibile sul piano sociale la chiusura di uno stabilimento che vede impegnati oltre 2000 lavoratori tra diretti e indiretti, considerando nel sistema alluminio anche l'Eurallumina di Portovesme -:
se non ritenga il Governo di porre in essere tutte le autorevoli ed urgenti iniziative necessarie a scongiurare la decisione annunciata dalla società Alcoa;
se non ritengano i Ministri interrogati di attivare urgentemente un tavolo di confronto con la multinazionale e con la stessa amministrazione americana per affrontare senza riserve e con urgenza la vertenza Alcoa Italia;
se non ritenga il Governo indispensabile e prioritario, al fine di definire un piano strategico di rilancio dell'industria dell'alluminio primario in Italia, proporre alla Commissione europea un vertice dei Ministri competenti per definire con sollecitudine una strategia che scongiuri la delocalizzazione dall'Europa dell'industria primaria di alluminio, non solo attivando quelle azioni indispensabili per favorire il mantenimento degli asset produttivi in Europa.
(5-05897)

Interrogazioni a risposta scritta:

CODURELLI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
con il passaggio delle televisioni al digitale terrestre in molte zone del Paese, in particolar modo in Lombardia, nelle province di Lecco, Sondrio e Como, il

segnale delle reti Rai e del canale La 7 si presenta discontinuo e con un'immagine che si sgrana ogni 3-4 minuti;
in alcune zone addirittura la ricezione manca del tutto e in altre la perdita di segnale comporta la scomparsa per brevi momenti della ricezione di un determinato canale televisivo;
questo malfunzionamento non solo arreca danni notevoli al sistema di divulgazione dell'informazione, ma soprattutto impedisce ai telespettatori di fruire della nuova tecnologia e anche dei contenuti in generale. Quest'ultimo aspetto è ancora più grave se si considera che nel caso delle reti Rai si tratta di servizio pubblico e pertanto ad essere direttamente danneggiati sono tutti quei cittadini/abbonati che pagano il canone di servizio -:
se non ritenga urgente procedere ad una immediata verifica dei motivi per i quali perdura il disservizio e quali iniziative di competenza intenda assumereper garantire ai cittadini delle aree interessate di poter usufruire dei tre canali RAI per cui pagano regolarmente un canone annuale e con esso il diritto ad una corretta ricezione.
(4-14424)

EVANGELISTI. - Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
l'azienda Richard Ginori 1735 è riuscita durante questo ultimo anno a raggiungere un sensibile incremento del proprio fatturato, attraverso l'acquisizione di nuove commesse, l'assunzione di circa 40 lavoratori a tempo determinato e un aumento della penetrazione dei mercati esteri, operando contestualmente una riorganizzazione interna del proprio lavoro;
tali progressi e il relativo, nuovo stato di salute dell'azienda, sono il risultato di un impegno congiunto dei lavoratori, della dirigenza aziendale e delle istituzioni e sono frutto anche dell'accordo tra Richard Ginori e Unicoop Firenze del marzo 2011, il quale ha permesso una nuova visibilità all'azienda e un rilancio della produttività, con l'accensione del terzo forno;
nonostante la nuova stagione si presenti positiva dal punto di vista del mercato, durante un incontro tenutosi il 6 dicembre 2011 con le rappresentanze sindacali di Cgil, CISL, UIL, la dirigenza aziendale ha esposto una grave situazione finanziaria dovuta alla difficoltà di accesso al credito e alla conseguente crisi di liquidità;
secondo quanto riferito dall'azienda durante il citato incontro, la mancanza di liquidità ha messo in discussione il pagamento degli stipendi e della tredicesima ai 485 lavoratori dell'azienda;
appare evidente che gli istituti di credito toscani si ostinano a non credere nella realtà e nelle potenzialità produttive e quindi nella garanzia economica rappresentata dall'azienda Richard Ginori 1735, nonostante i 47 milioni di ordinativi sicuri e previsioni di fatturato in crescita -:
se il Governo sia al corrente della situazione esposta in premessa e quali siano le reali ragioni del persistere di una crisi finanziaria che non sembra facilmente spiegabile;
alla luce dei fatti esposti, in quale direzione e con quali modalità il Governo intenda attivarsi, per quanto di competenza, per far sì che l'azienda Richard Ginori 1735 possa superare al meglio l'attuale crisi economica attraverso un adeguato accesso al credito.
(4-14427)

ROSATO. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
la certificazione energetica degli edifici quantifica il consumo energetico annuale e rappresenta uno strumento indispensabile per valutare e migliorare le prestazioni energetiche;
al fine di limitare l'emissione e la produzione di gas a effetto serra e a contribuire gli obiettivi nazionali posti dal

protocollo di Kyoto è stato emanato il decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, che attua la direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell'edilizia;
il decreto è privo, ad oggi, dei decreti attuativi che definiscano i requisiti professionali e i criteri di accreditamento che dovrebbero regolamentare le attività di certificazione al fine di garantirne indipendenza e di assicurare l'assenza di possibili conflitti di interessi;
con la modifica apportata dal decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, articolo 13, comma 2, il decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, dispone all'articolo 6, comma 2-quater che «Nel caso di offerta di trasferimento a titolo oneroso di edifici o di singole unità immobiliari, a decorrere dal 1° gennaio 2012 gli annunci commerciali di vendita riportano l'indice di prestazione energetica contenuto nell'attestato di certificazione energetica»;
con il primo gennaio 2012, quindi, è obbligatorio indicare l'indice di prestazione energetica in ogni tipologia di annuncio pubblicitario, sia di società sia di privati, in modo da tutelare il consumatore o acquirente e renderlo edotto dei consumi che dovrebbe sostenere per la climatizzazione dell'edificio per confrontarlo scientificamente e consapevolmente con altre soluzioni;
al momento non sono previste sanzioni in caso di violazione della norma, così comportando un depotenziamento dell'obbligo imposto dalla legge;
l'assenza di una sanzione per i soggetti che violano le norme di cui trattasi comporta il rischio di incorrere in un ulteriore richiamo dell'Unione europea a rispettare gli obblighi europei in materia e realizza una disparità di trattamento di fatto tra chi rispetta la legge e chi non la rispetta -:
se il Governo intenda adottare le iniziative di competenza finalizzate ad una rapida emanazione dei decreti attuativi del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, che definiscano i requisiti professionali e i criteri di accreditamento, e quale sarà il loro contenuto;
se il Governo intenda anche assumere iniziative normative volte a prevedere delle sanzioni nel caso di violazione della previsione normativa di cui all'articolo 6, comma 2-quater, del decreto di cui sopra, allo scopo di garantire un'applicazione concreta della norma;
quali altri iniziative il Governo intenda avviare al fine di favorire e valorizzare il settore della green economy e il comparto del risparmio energetico.
(4-14428)

FADDA, CALVISI, FRONER, LULLI, MARROCU, MELIS, ARTURO MARIO LUIGI PARISI, PES, SCHIRRU, SORO e VICO. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
Alcoa Inc. è un'azienda americana terza nel mondo come produttrice di alluminio e rappresenta, non solo per la Sardegna, ma per tutta l'Italia la più importante realtà produttiva di alluminio;
Alcoa, nel contesto di una propria politica industriale, che prevede un taglio del 12 per cento della produzione mondiale, ha deciso unilateralmente di chiudere gli impianti di produzione di alluminio a Portovesme, in quanto, secondo il management statunitense dell'azienda, non risponderebbero ai requisiti di competitività oggi richiesti da un mercato globale condizionato da costi di produzione più alti e prezzo del metallo in caduta libera;
la chiusura degli impianti di Portovesme potrebbe determinare, a catena, il fermo di tutta la filiera dell'alluminio coinvolgendo le altre realtà produttive come l'Euroallumina e la Ila con la conseguenza drammatica della perdita di posti di lavoro per migliaia di dipendenti e l'inasprimento del disagio economico e sociale in cui si trova il territorio del Sulcis che già sconta purtroppo gli effetti devastanti di una crisi mondiale;

l'importanza strategica degli impianti Alcoa è stata ribadita più volte in occasione della discussione nel marzo del 2010 del decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 3, cosiddetto decreto «salva Alcoa», convertito, con modificazioni, dalla legge 22 marzo 2010, n. 41, ed in quella occasione è stato ribadito con fermezza il pericolo che è insito nella tendenza dei grandi gruppi industriali a delocalizzare i propri impianti là dove i vincoli ambientali sono inesistenti, l'energia è a buon prezzo e i diritti dei lavoratori sono meno tutelati;
fino ad oggi la politica industriale italiana non ha mostrato sufficiente attenzione ai fenomeni di crisi dei diversi distretti industriali, tra i quali quello di Portovesme, e non sono stati adottati provvedimenti e iniziative sufficienti a scongiurare l'abbandono del territorio del Sulcis;
secondo notizie riportate dalla stampa, il Governo era informato della imminente decisione di Alcoa di chiudere gli impianti in Sardegna, mentre sembrerebbe che la regione Sardegna non ne fosse stata messa a conoscenza -:
quali iniziative e provvedimenti urgenti il Governo intenda adottare al fine di scongiurare la chiusura degli impianti di Alcoa a Portovesme e quale politica industriale intenda mettere in atto, anche a livello comunitario, al fine di assicurare la continuità delle produzioni della filiera dell'alluminio nel sito di Portovesme e favorire il rilancio industriale dell'Isola;
se non ritenga opportuno convocare urgentemente la rappresentanza di Alcoa, la regione Sardegna, le rappresentanze sindacali, le amministrazioni locali del territorio affinché siano portate avanti con determinazione, individuate e definite tutte le soluzioni possibili perché venga trovata una soluzione definitiva ad una situazione che si presenta allo stato attuale delicatissima ed estremamente difficile.
(4-14434)

...

Apposizione di firme a mozioni.

La mozione Pedoto e altri n. 1-00730, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 ottobre 2011, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Miotto.

La mozione Laffranco e altri n. 1-00761, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 novembre 2011, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Luciano Rossi.

La mozione Meta e altri n. 1-00773, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 dicembre 2011, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Codurelli.

La mozione Fogliato e altri n. 1-00801, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 gennaio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bitonci.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

L'interpellanza Codurelli n. 2-01293, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 dicembre 2011, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Schirru.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

L'interrogazione a risposta in Commissione Cenni e altri n. 5-05669, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 novembre 2011, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Marco Carra, De Micheli.

L'interrogazione a risposta scritta Giovanelli n. 4-14365, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 dicembre 2011, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Marco Carra.

L'interrogazione a risposta scritta Fava n. 4-14386, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 gennaio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bitonci.

L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Fugatti e altri n. 5-05884, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 gennaio 2012, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Bitonci.

Pubblicazione di un testo riformulato ed esatta indicazione dell'ordine dei firmatari.

Si pubblica il testo riformulato della mozione Laffranco n. 1-00761, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 550 del 17 novembre 2011.

La Camera,
premesso che:
in data 20 giugno 2011 la Commissione europea ha adottato la proposta di regolamento COM(2011)353, finalizzata alla revisione delle disposizioni in materia di prodotti alimentari desinati a un'alimentazione particolare; tale proposta prevede, tra l'altro, all'articolo 17, paragrafo 2, l'abrogazione del regolamento (CE) n. 41/2009 relativo alla composizione e all'etichettatura dei prodotti alimentari adatti alle persone intolleranti al glutine, la cui applicazione è prevista a decorrere dal 1o gennaio 2012;
la proposta di regolamento della Commissione europea prospetta «per ragioni di semplificazione» l'inclusione della disciplina dei prodotti senza glutine e con contenuto di glutine molto basso nel campo di azione del regolamento (CE) n. 1924/2006, avente ad oggetto l'armonizzazione delle disposizioni nazionali concernenti le indicazioni (nutrizionali e sulla salute) figuranti in comunicazioni commerciali, etichettature, presentazioni e pubblicità di prodotti alimentari ad uso corrente;
il regolamento (CE) n. 41/2009, adottato sulla base della direttiva n. 89/398/CEE relativa all'allineamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti i prodotti alimentari destinati ad un'alimentazione particolare, è una normativa specifica finalizzata a soddisfare le esigenze nutrizionali di quelle categorie di persone il cui processo di assimilazione, o il cui metabolismo, è perturbato ovvero che versano in condizioni fisiologiche particolari e possono ricevere un beneficio dall'ingestione controllata di talune sostanze alimentari;
a livello comunitario vengono individuate due categorie di prodotti dietetici: i prodotti definiti «senza glutine» - con un tenore residuo di glutine non superiore a 20 milligrammi per chilogrammo (20 ppm), a base di ingredienti privi di glutine all'origine o con uno o più ingredienti depurati di glutine, e i prodotti definiti «con contenuto di glutine molto basso» - con un tenore residuo di glutine non superiore a 100 milligrammi per chilogrammo (100 ppm), a base di ingredienti depurati di glutine;
attualmente i prodotti senza glutine (con glutine inferiore a 20 milligrammi per chilogrammo), sostitutivi di quelli che normalmente contengono glutine tra i propri ingredienti (pane, pasta, prodotti da forno, pizza e altri), sono, infatti, considerati «prodotti dietetici» e godono, quindi, di una specifica normativa che ne garantisce la sicurezza per il consumatore celiaco in termini di assenza di glutine;
la proposta di regolamento COM(2011)353 cancellerebbe, di fatto, dalle etichette dei prodotti alimentari la definizione di «prodotto dietetico» e ridurrebbe la dicitura «senza glutine» ad una etichetta generica;
gli alimenti destinati a regimi dietetici speciali e quelli rivolti a lattanti e bambini con meno di 36 mesi sono stati

sottoposti a una rigorosa disciplina europea a partire dal 1977; si tratta di regole consolidate in 35 anni di applicazione a tutela delle categorie più vulnerabili di consumatori;
la celiachia è «un'intolleranza permanente al glutine ed è riconosciuta come malattia sociale» (articolo 1 della legge n. 123 del 2005), a cui consegue la necessità di eliminazione totale del glutine dalla dieta di chi ne è affetto;
il glutine è un processo proteico contenuto in grano tenero, grano duro, farro, segale, kamut, orzo ed altri cereali minori;
la completa esclusione del glutine dalla dieta non è facile da realizzare, in quanto i cereali non permessi ai celiaci si ritrovano in moltissimi prodotti alimentari ed il rischio di contaminazione appare elevato. Per poter avere dei prodotti idonei al consumo dei celiaci è necessario che le aziende produttrici applichino un corretto piano di controllo delle materie prime e del prodotto finito; inoltre, occorre monitorare costantemente il processo produttivo, gli ambienti di lavoro, le attrezzature, gli impianti e gli operatori ed il rischio di contaminazione accidentale da glutine è spesso presente nei processi di lavorazione dell'industria alimentare;
in Italia la prevalenza della celiachia, sia nei bambini che negli adulti, è attualmente stimata intorno all'1-1,5 per cento, quindi ne risulta affetta una persona su cento;
secondo alcune stime, i potenziali celiaci sarebbero circa 600.000, quelli diagnosticati circa 60.000 e, ogni anno, sono circa 2.800 i nuovi casi diagnosticati;
la distribuzione della malattia celiaca è considerata omogenea a livello mondiale, sebbene presenti una più elevata incidenza in Europa e nei Paesi con popolazione di origine europea. È possibile affermare che la celiachia è la più frequente intolleranza alimentare presente a livello mondiale;
allo stato attuale, i prodotti per celiaci, sostitutivi degli alimenti con glutine (pane, pasta, prodotti da forno, pizza, dolci e altro), sono considerati prodotti dietetici e garantiscono la totale sicurezza per il consumatore celiaco;
in Italia, i prodotti senza glutine sono elencati nel registro nazionale dei prodotti dietetici senza glutine (ai sensi del decreto legislativo n. 111 del 1992) e sono erogati gratuitamente a carico del servizio sanitario nazionale in forza della legge n. 123 del 2005;
la proposta della Commissione europea, in un'ottica di armonizzazione e semplificazione, non tiene sufficientemente in considerazione la necessità di tutelare alcune categorie sensibili e vulnerabili di consumatori, come quella dei celiaci, fino ad oggi garantiti da una disciplina normativa stringente, sia in punto di requisiti nutrizionali specifici, sia in punto di controlli;
la proposta di regolamento della Commissione europea n. 353 del 20 giugno 2011, ove accolta dalle competenti istituzioni comunitarie, può comportare, di fatto, un indebolimento della tutela oggi riconosciuta nel nostro ordinamento, posto che la legislazione italiana, oltre a riconoscere la celiachia come malattia sociale, tutela i bambini e gli adulti come categoria di consumatori vulnerabili,


impegna il Governo:


ad esprimere il proprio parere negativo in relazione all'abrogazione regolamento (CE) n. 41/2009, che renderebbe molto più difficile la vita dei pazienti celiaci, sia per la maggiore difficoltà a riconoscere da una generica etichettatura i prodotti essenziali per loro nei comuni centri commerciali, sia per le oggettive difficoltà ad ottenere gratuitamente quanto per loro è equivalente ad un farmaco salva-vita;
ad intervenire nelle competenti sedi comunitarie al fine di modificare la proposta di regolamento COM(2011)353, nel senso di inserire i prodotti adatti alle

persone intolleranti al glutine nella categoria degli alimenti a fini medici speciali;
ad adottare, presso le sedi istituzionali competenti, tutte le iniziative necessarie a tutelare la salute dei soggetti celiaci a fronte dei possibili rischi che possono derivare dalla proposta della Commissione europea COM(2011)353 e dall'abrogazione del regolamento (CE) n. 41/2009, anche alla luce della risoluzione approvata dalla XII Commissione permanente (Igiene e sanità) del Senato in data 2 agosto 2011 e delle osservazioni formulate dalla XIV Commissione permanente (Politiche dell'Unione europea) del Senato in data 27 luglio 2011;
a garantire, al fine di dare maggiori informazioni e garanzie ai cittadini, che la percentuale relativa al contenuto di glutine presente nella farina o nel seme di cereale sia inserita in etichetta, in quanto di fondamentale importanza per tutti quei prodotti che l'attuale normativa indica come prodotti dietetici, all'interno della categoria degli alimenti destinati ad alimentazione particolare;
ad adottare, nel rispetto delle finalità di «coerenza, semplificazione, armonizzazione e garanzia delle imprese» della Commissione europea, le iniziative volte a tutelare categorie di cittadini sensibili, come quella dei celiaci che rischiano di essere gravemente danneggiati da una proposta come quella avanzata.
(1-00761)
(Nuova formulazione) «Laffranco, Pedoto, Binetti, Mosella, Fogliato, Bianconi, Beccalossi, Antonino Foti, De Corato, Holzmann, Ghiglia, Porcu, Mancuso, Traversa, Luciano Rossi, Ceroni, Grassi, Verini, Picierno, Froner, De Torre, D'Incecco, Schirru, Oliverio, Lenzi, Rosato, Mosca, Pes, Ghizzoni, Mattesini, Lo Moro, Servodio, Trappolino, Rossomando, Miotto, Codurelli, Nunzio Francesco Testa, Anna Teresa Formisano, De Poli, Calgaro, Mondello, Delfino, Compagnon, Naro, Ciccanti, Volontè, Lanzillotta, Pisicchio, Tabacci, Brugger, Callegari, Laura Molteni, Martini, Rondini, Fava, Negro, Montagnoli, Polledri, Maggioni, Torazzi, Polledri, Bitonci».

Ritiro di documenti di indirizzo.

I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
mozione Pedoto n. 1-00730 del 14 ottobre 2011;
mozione Binetti n. 1-00797 del 10 gennaio 2012;
mozione Mosella n. 1-00799 del 10 gennaio 2012;
mozione Fogliato n. 1-00801 del 10 gennaio 2012.