XVI LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di mercoledì 28 luglio 2010

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA
DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:

ZAMPA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Al Ministro degli affari esteri, al Ministro per le politiche europee. Per sapere - premesso che:
l'Italia è sotto esame perché ha ignorato le indicazioni del Consiglio dell'Unione europea per la ratifica di un importante strumento per la tutela dei minori: la Convenzione de L'Aja del 1996. Sarà per questo richiamata dal Consiglio dell'Unione europea per fare il punto sullo stato di ratifica della Convenzione;
la ratifica permetterebbe di dare risposta a un'infinità di situazioni irrisolte in cui si trovano oggi migliaia di bambini in difficoltà familiare: minori non accompagnati, bambini che provengono da Paesi colpiti da catastrofi naturali o conflitti, minori in «kafala» (strumento di tutela dell'infanzia dei Paesi del Nord Africa) o in difficoltà familiare che non sono ancora stati adottati;
l'Italia avrebbe dovuto ratificare la Convenzione entro il 5 giugno 2010 insieme ad Austria, Belgio, Gran Bretagna, Grecia, Lussemburgo, Spagna, Svezia e Malta. Per la mancata firma, l'Italia è già stata sollecitata dalla Commissione europea che ora chiede ai Paesi dell'Unione di seguire il percorso fatto da Spagna e Gran Bretagna, che sono stati i primi due Paesi ad annunciare l'imminente ratifica. L'Italia dovrebbe seguire l'esempio positivo di Spagna e Gran Bretagna, tracciando la strada per la ratifica di questo fondamentale strumento di tutela dei minori in difficoltà;
la Convenzione, se applicata, avrà una portata storica perché permetterà di togliere da un limbo migliaia di minori in difficoltà familiare. Si tratta infatti dell'unico trattato che si applica alla quasi totalità dei provvedimenti relativi ai minori in difficoltà e che è stato creato per contribuire a fondare uno spazio giudiziario comune;
ad oggi sono 19 i Paesi membri della Conferenza di diritto privato de L'Aja che hanno aderito alla Convenzione de L'Aja per la protezione dei minori; tra gli Stati che hanno già ratificato la Convenzione spiccano i Paesi di nuova adesione dell'Unione europea (Lettonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia), ma anche Paesi extra-europei come Marocco, Uruguay e Australia;
si tratta di una convenzione che aggiorna quella dell'Aja del 5 ottobre 1961, oggi vigente in Italia: oggetto della convenzione sono tutti i provvedimenti di protezione del minore e dei suoi beni, ad eccezione dell'adozione (già regolamentata a livello internazionale dalla Convenzione dell'Aja del 1993), degli obblighi alimentari (già regolamentati dalla Convenzione dell'Aja del 1973), della sottrazione dei minori (già regolamentata da una convenzione del 1980) e di alcuni provvedimenti elencati nell'articolo 4 (ad esempio in materia di successioni, previdenza sociale, decisioni sul diritto di asilo e in materia di immigrazione);
la Convenzione si applica in tutte le situazioni con elementi di internazionalità e ha i seguenti obiettivi specifici:
a) determinare quale Stato è competente ad adottare le misure volte alla protezione della persona o dei beni del minore;
b) determinare la competenza delle autorità del Paese in cui il minore si trova fisicamente per l'adozione di tutti provvedimenti d'urgenza;
c) determinare la legge applicabile dalle autorità competenti;
d) determinare in particolare quale è la legge applicabile alla responsabilità genitoriale;

e) garantire il riconoscimento e l'esecuzione delle misure di protezione del minore in tutti gli Stati contraenti;
f) stabilire una cooperazione fra gli Stati coinvolti nell'emanazione e nel riconoscimento dei provvedimenti su minori;
la principale novità rispetto alla Convenzione del 1961 consiste nella creazione di un'autorità centrale e nell'istituzione di una procedura di consultazione fra le autorità dei due Paesi di residenza attuale e di residenza futura del minore (articolo 33): ciò garantirà alle decisioni in materia minorile un riconoscimento il più possibile uniforme nei vari Stati con il superamento del limite territoriale dello Stato in cui il provvedimento è stato emesso;
la ratifica della Convenzione in esame è obbligatoria per lo Stato italiano in seguito alla decisione del Consiglio del 5 giugno 2008 (2008/431/CE) con cui l'Italia, fra altri Stati, è stata autorizzata alla ratifica stessa entro il 5 giugno 2010;
il termine è spirato senza nulla di fatto;
l'Italia ha ratificato la maggioranza degli strumenti internazionali volti alla protezione dell'infanzia e dei suoi diritti, fra cui merita particolare menzione la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, fatta a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dalla legge n. 176 del 1991, nel cui articolo 3 si legge che «in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l'interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente»;
l'Italia è parte dell'Unione europea che ha interesse alla ratifica della richiamata Convenzione, in quanto si tratta di una convenzione di natura «mista», che per alcuni aspetti ricade sotto la competenza dei singoli Stati membri (così la legge applicabile alla custodia e alle altre misure di protezione dell'infanzia), mentre per altri ricade nella competenza esterna esclusiva dell'Unione europea nell'ambito dell'obiettivo della creazione di uno spazio giuridico comune all'interno dell'Unione (così la giurisdizione, il riconoscimento e l'esecuzione dei provvedimenti tra i vari Stati dell'Unione europea);
nel Trattato di Lisbona, in vigore dal 1o dicembre 2009, l'Unione europea ha inserito per la prima volta i diritti dei minori tra gli obiettivi comuni: nell'articolo 3 si legge che l'«Unione combatte l'esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e la protezione sociale, la parità tra donne e uomini, la solidarietà tra le generazioni e la tutela dei diritti del minore»;
l'importanza di questa Convenzione è stata richiamata dalle 86 associazioni italiane attive per la difesa dei diritti dell'infanzia riunite nel «Gruppo CRC» ne «II rapporto supplementare alle Nazioni Unite sul monitoraggio della Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza in Italia», pubblicato a novembre 2009 e diffuso in occasione della Conferenza nazionale sull'infanzia e l'adolescenza tenuta a Napoli;
la decisione del Consiglio dell'Unione europea è vincolante e la Commissione europea, in applicazione dei poteri riconosciuti dall'articolo 226 del Trattato CE, ha il potere di valutare l'inerzia da parte degli Stati membri oppure la mancanza di volontà di precedere alla ratifica, al fine di attivare la procedura prevista nell'articolo 258 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) contro la violazione dei trattati: esiste quindi il rischio che la Commissione europea attivi questa procedura contro l'Italia per la violazione dei trattati, procedura che prevede una fase giudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia delle Comunità europee e che potrebbe anche comportare una sanzione pecuniaria per il mancato rispetto del diritto comunitario;
l'Italia deve, dunque, approvare al più presto la ratifica della Convenzione e approvare altresì le norme necessarie all'attivazione delle procedure in essa previste,

inclusa la nomina dell'autorità centrale, competente ai sensi della Convenzione stessa, strumento principe di diritto internazionale per la protezione dei diritti dell'infanzia a livello europeo e internazionale -:
se vi siano motivi specifici che ostano alla ratifica in tempi celeri della Convenzione dell'Aja del 19 ottobre 1996;
quali iniziative il Governo italiano intenda prendere al fine di assicurare nel più breve tempo possibile la ratifica della Convenzione dell'Aja.
(5-03299)

Interrogazioni a risposta scritta:

SCILIPOTI. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
nel nostro ordinamento giuridico, il decreto legislativo n. 66 del 2003 demanda a i contratti collettivi nazionali di lavoro la definizione dell'orario medio di lavoro, che, tuttavia, non può superare le 48 ore settimanali, comprese le ore di lavoro straordinario, in riferimento ad un periodo di lavoro non superiore a quattro mesi;
il Contratto collettivo nazionale di lavoro Industria chimica e chimica farmaceutica, applicabile all'informatore scientifico del farmaco, all'articolo 8 (orario di lavoro) prevede tra l'altro che la durata media dell'orario di lavoro, comprese le ore di lavoro straordinario, non possa superare il limite di 48 ore calcolate come media, considerate le esigenze tecnico-organizzative settoriali su un periodo di 12 mesi;
prevede, altresì, che gli organici debbano essere dimensionati alle effettive esigenze di produzione, delle sedi lavorative e di sicurezza degli impianti in modo da realizzare la rigorosa attuazione dell'orario contrattuale di lavoro, consentendo il godimento delle ferie, delle festività, dei riposi spettanti, tenendo altresì conto dell'assenteismo medio per morbilità, infortuni ed altre assenze;
è convenuto, ancora, che è da considerarsi eccedente la prestazione fornita oltre l'orario di lavoro settimanale medio determinato in 247,5 giornate lavorative annue, assunte pari a otto ore giornaliere, al lordo delle festività e delle ferie;
l'orario di lavoro medio settimanale e di 37 ore e 45 minuti;
le prestazioni eccedenti l'orario di lavoro settimanale medio e quelle straordinarie sono compensate, nel mese di competenza, con le maggiorazioni retributive previste dal Contratto collettivo nazionale del lavoro, con una delle seguenti opzioni:
50 per cento di quote orarie retributive e 50 per cento di riposi compensativi;
100 per cento di riposi compensativi;
100 per cento di quote orarie retributive;
è previsto, ancora, che il ricorso a prestazioni eccedenti o straordinarie debba avere carattere eccezionale e debba trovare obiettiva giustificazione in necessità imprescindibili, indifferibili, di durata temporanea e tali da non ammettere correlativi dimensionamenti di organico;
è stabilito, tuttavia, che «In relazione a quanto previsto all'articolo 16, commi 1 e 2 del decreto legislativo n. 66 del 2003 si conviene che i lavoratori esterni, in quanto assimilabili ai commessi viaggiatori o piazzisti, sono ricompresi nel trattamento di deroga alla disciplina della durata settimanale dell'orario. Si conviene inoltre di assimilare questi lavoratori al personale di cui al comma 5 dell'articolo 17 del decreto legislativo, n. 66 del 2003 per quanto riguarda la non applicazione delle disposizioni degli articoli 3, 4, 5, 7, 8,

12, 13 (relative, tra l'altro, a orario di lavoro, lavoro straordinario, riposo giornaliero, pause)»;
sembrerebbe, dunque, dal tenore della disposizione che informatore scientifico del farmaco, sebbene impiegato livello B1, non abbia alcun orario e, che quindi, come ormai accade nella maggioranza dei casi, sia costretto a lavorare fino a tarda sera senza alcun riconoscimento di straordinario;
persino l'Inail, ai fini assicurativi, considera qualsiasi incidente accaduto all'informatore scientifico del farmaco come avvenuto durante lo svolgimento della propria attività lavorativa (e ciò a prescindere di dove sia accaduto);
invero, l'articolo 16 decreto legislativo n. 66 del 2003 sopra richiamato introduce sì delle deroghe alla disciplina dell'orario di lavoro, ma che tuttavia sono tassative e cioè non ammettono applicazioni analogiche, non possono cioè essere applicate se non ai casi ivi considerati;
L'Isf non è menzionato;
il successivo articolo 17, decreto legislativo n. 66 del 2003 pure richiamato dal Contratto collettivo nazionale del lavoro deroga alla disciplina in materia di riposo giornaliero, pause, lavoro notturno, durata massima settimanale, secondo cui appunto tali disposizioni possono essere derogate mediante stipula dei Contratti collettivi nazionali del lavoro;
è principio generale che le deroghe stabilite dai Contratti collettivi nazionali del lavoro) possono solo essere migliorative e non peggiorative delle norme giuslavoristiche;
il comma 5 (richiamato dal Contratto collettivo nazionale del lavoro) espressamente prevede che «Nel rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori, le disposizioni di cui agli articoli 3, 4, 5, 7, 8, 12 e 13 non si applicano ai lavoratori la cui durata dell'orario di lavoro, a causa delle caratteristiche dell'attività esercitata, non è misurata o predeterminata o può essere determinata dai lavoratori stessi e, in particolare, quando si tratta:
a) di dirigenti, di personale direttivo delle aziende o di altre persone aventi potere di decisione autonomo;
b) di manodopera familiare;
c) di lavoratori nel settore liturgico delle chiese e delle comunità religiose;
d) di prestazioni rese nell'ambito di rapporti di lavoro a domicilio e di telelavoro»;
l'informatore scientifico del farmaco non rientra in alcuna lettera suddetta, a meno che non si ritenga che lo stesso sia personale avente potere di decisione autonomo e così non è;
lo spirito della norma, peraltro, intende essere di favore e non di sfavore per il lavoratore, posto che è dettata per la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori. Ciò anche alla luce del decreto legislativo n. 81 del 2008 e successive modificazioni;
ne consegue che a tali lavoratori andrebbe applicata una disciplina di maggiore favore;
la norma fa espresso riferimento ad un serie di lavoratori che, a causa dell'attività esercitata, non hanno un orario predeterminato dall'azienda, perché l'orario viene determinato di volta in volta dal lavoratore. Il che vuol dire che l'azienda non può interferire sull'attività di tale lavoratore -:
se l'informatore scientifico del farmaco ai sensi delle vigenti normative sia da considerarsi autonomo nella gestione della sua attività lavorativa, senza orari determinati per lo svolgimento della stessa;
se l'informatore scientifico del farmaco rientri nelle figure previste nell'articolo 17 decreto legislativo n. 66 del 2003, e quindi non sia soggetto alla disciplina sull'orario di lavoro;

se, invece, sia soggetto alla disciplina dell'orario di lavoro come tutti gli altri dipendenti, e quindi vada allo stesso riconosciuto lo straordinario e i recuperi singolarmente considerati, e in tal caso quale sia la disciplina applicabile;
quali opportune iniziative normative volte a regolamentare la figura dell'informatore scientifico del farmaco anche in relazione allo svolgimento della sua attività lavorativa e il suo orario di lavoro, si intendano assumere.
(4-08204)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
da un articolo pubblicato il 26 luglio sul New York Times, ripreso da corriere.it, si apprende che oggi negli Stati Uniti la produzione di energia solare costa meno di quella nucleare;
secondo uno studio di John Blackburn, docente di economia della Duke University, che ha pubblicato l'articolo Solar and Nuclear Costs - The Historic Crossover, «il sorpasso è avvenuto da quando il solare costa meno di 16 centesimi di dollaro a chilowattora» (12,3 centesimi di euro/chilowattora);
secondo Blackburn negli ultimi otto anni il costo del fotovoltaico è sempre diminuito, mentre quello di un singolo reattore nucleare è passato da 3 miliardi di dollari nel 2002 a dieci nel 2010; inoltre, i costi dell'energia fotovoltaica, alle luce degli attuali investimenti e dei progressi della tecnologia, si ridurrà ulteriormente nei prossimi dieci anni;
al contrario, i nuovi problemi sorti e l'aumento dei costi dei progetti hanno già portato alla cancellazione o al ritardo nei tempi di consegna del 90 per cento delle centrali nucleari negli Stati Uniti, secondo Mark Cooper, analista economico dell'Istituto di energia e ambiente della facoltà di legge dell'università del Vermont;
anche al di fuori dei confini americani i costi di produzione di una centrale nucleare sono regolarmente aumentati e le stime sono costantemente in crescita. Senza contare che il nucleare necessita di pesanti investimenti pubblici e che comporta il trasferimento del rischio finanziario sulle spalle dei consumatori di energia e dei cittadini che pagano le tasse -:
se il Governo intenda approfondire quanto riferito nello studio di John Blackburn ed in che misura se ne voglia tener conto in sede di valutazione della convenienza economica della decisione di rientrare nel nucleare.
(4-08208)

MURER. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per le pari opportunità, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
per effetto del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 dicembre 2008 «Approvazione del bilancio di previsione della Presidenza del Consiglio dei Ministri, per l'anno finanziario 2009» (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 25 del 31 gennaio 2009 - S.O.) i fondi previsti per l'articolo 13 della legge n. 228 del 2003 «Misure contro la tratta» sono stati azzerati, e a causa di tale decisione i progetti ex articolo 13 che dovrebbero essere selezionati attraverso bando da pubblicare nell'agosto 2010, sono a rischio per mancanza di finanziamento;
relativamente ai tagli apportati al fondo per le pari opportunità, ci sarebbe una difficoltà strutturale nel reperire le risorse per il funzionamento del numero verde in aiuto alle vittime di tratta, le cui convenzioni con i gestori delle postazioni centrali e periferiche scadono a fine luglio 2010;
pare che, a tal proposito, siano al vaglio alcune soluzioni per un rifinanziamento

ponte di 6/7 mesi; se non dovesse essere attivato, i dispositivi del numero verde sono destinati a cessare le attività;
va considerato che questa sarebbe la terza soluzione ponte e che il dipartimento non ha fondi dedicati a sostenere tale dispositivo;
l'Italia ha nel numero verde in aiuto alle vittime di tratta e nei progetti di cui all'articolo 13 della legge n. 228 del 2003 e all'articolo 18 del decreto legislativo n. 286 del 1998, i principali dispositivi atti a sostenere il sistema degli interventi di lotta alla tratta e al grave sfruttamento;
nel corso degli anni questi interventi hanno consentito di strutturare sui territori italiani delle reti operative a carattere regionale o sovra regionali capaci di raggiungere importanti risultati su più fronti: sociali mediante il sostegno alle vittime, investigativi relativi al contrasto delle reti criminali, processuali in merito all'accertamento dei reati;
ciò è avvenuto in assenza di un piano nazionale sulla tratta che priva gli operatori e i decisori delle politiche nazionali e locali di un osservatorio sul fenomeno e di un sistema di monitoraggio e di valutazione integrata degli interventi capace di verificare l'adeguatezza e l'efficacia dei dispositivi e delle prassi operative adottate in materia d'identificazione, assistenza e inclusione sociale delle vittime, nonché di leggerne complessivamente le trasformazioni alla luce dei collegamenti e delle intersezioni con altri fenomeni, in primis, il favoreggiamento dell'immigrazione irregolare;
con l'azzeramento del fondo sulla tratta di cui alla legge n. 228 del 2003 attraverso il quale il Dipartimento per le pari opportunità finanzia i progetti ex articolo 13 finalizzati all'identificazione e alla pronta assistenza delle persone vittime di tratta e grave sfruttamento, nonché all'acquisizione da parte delle stesse del consenso informato nell'intraprendere un rapporto di collaborazione con l'autorità giudiziaria e con la possibile chiusura del numero verde, si smantella il sistema degli interventi di lotta alla tratta presente in Italia, nonché il ruolo svolto dalla stessa in Europa, identificata come Paese modello e di riferimento nella lotta alla tratta;
è evidente che questo scenario avrà delle ricadute pesantissime sui territori e sulle amministrazioni locali ad essi afferenti e che per fronteggiare tale situazione sarebbe auspicabile l'avvio di una forte iniziativa politica che coinvolga regioni ed enti locali (Conferenza unificata) da una parte, e la Presidenza del Consiglio dei ministri, dipartimento per le pari opportunità e tutti i Ministri coinvolti, dall'altra, affinché venga definita con modalità chiare, praticabili e strutturali una nuova strategia -:
se e in che modo intendano intervenire per salvaguardare le azioni che sui territori vengono attivate con i finanziamenti per progetti ai sensi dell'articolo 13 della legge n. 228 del 2003 e dell'articolo 18 del decreto legislativo n. 286 del 1998, considerati i principali dispositivi atti a sostenere il sistema degli interventi di lotta alla tratta e al grave sfruttamento; se e in che modo intendano intervenire per garantire al numero verde in aiuto delle vittime di tratta la prosecuzione della sue attività; se e in che modo intendano realizzare e sostenere un sistema nazionale di interventi rivolti alla tutela delle vittime di tratta e grave sfruttamento e di contrasto alla criminalità e se esso, visto quello che all'interrogante appare lo svuotamento di competenze e di funzioni soprattutto quelle relative alla gestione degli interventi, dovrà continuare a far riferimento al Dipartimento delle pari opportunità.
(4-08213)

PORFIDIA. - Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
l'amianto (chiamato anche asbesto) è un minerale naturale a struttura fibrosa

appartenente alla classe chimica dei silicati. Esso è potenzialmente indistruttibile in quanto resiste sia al fuoco che al calore, nonché agli agenti chimici e biologici, all'abrasione e all'usura. Per le sue caratteristiche di resistenza e di forte flessibilità è stato ampiamente usato nell'industria e nell'edilizia, benché - già negli anni '40 del secolo scorso - fosse stato scientificamente dimostrato che si trattava di una sostanza altamente nociva per la salute, risultata poi avere anche effetti cancerogeni;
superando le ritenute proprietà terapeutiche dell'amianto tra i medici naturalisti del '600, è nel corso del 1800 che - a partire dall'Austria e dall'Inghilterra - l'amianto comincia ad essere utilizzato nell'industria di tutto il mondo. Risale agli inizi del '900 il primo processo in Italia (in Piemonte) all'esito del quale venne condannato il titolare di un'azienda che lavorava amianto perché la pericolosità del minerale era stata ritenuta circostanza di conoscenza comune per chiunque avesse un minimo di cultura. È solo nei decenni successivi che viene scientificamente accertato che la consistenza fibrosa dell'amianto è alla base, oltre che delle sue apprezzate proprietà tecnologiche, pure delle sue caratteristiche di pericolosità, proprio a causa del rilascio nell'aria di fibre inalabili, estremamente suddivisibili, che possono causare gravi patologie a carico principalmente dell'apparato respiratorio;
questo nesso a livello scientifico è stato negato per decenni. Purtroppo, il rischio morbigeno legato all'esposizione all'amianto era già ben conosciuto agli inizi del 1900 e fu riconosciuto nel congresso di medicina del lavoro di Milano del 1906 e successivamente confermato dal tribunale di Torino in una sentenza del 1908, in nome di Vittorio Emanuele III, nella causa n. 1197/1906, Soc. anonima The British Asbestos company Limited contro Pich Avv. Carlo, che richiama «le acquisizioni del Congresso Internazionale di Milano sulle malattie professionali in cui venne riconosciuto che fra le attività più pericolose sulla mortalità dei lavoratori vi sono quelle indicate col nome di polverose e fra queste in prima linea quelle in cui si sollevano polveri minerali e tra le polveri minerali le più pericolose sono quelle provenienti da sostanze silicee come l'amianto perché ledono le vie respiratorie quando non raggiungono sino al polmone»; così anche presso il policlinico di Torino, dove in 30 cartelle cliniche si rinvengono identiche annotazioni del prof. Scarpa e nelle norme di cui al regio decreto 14 giugno 1909, n. 442, in tema di lavori ritenuti insalubri, al decreto legislativo 6 agosto 1916, n. 1136, al regio decreto n. 1720 del 1936 e alla legge 12 aprile 1943, n. 455, che individua l'asbestosi come malattia professionale;
quasi quarant'anni fa ha avuto inizio in Italia la mobilitazione di cittadini e di lavoratori per eliminare l'amianto e i suoi effetti nocivi. Le lotte e gli scioperi iniziati in Piemonte (dove si trovavano le cave di Balangero e l'eternit di Casale Monferrato), in Friuli Venezia-Giulia (a Monfalcone e Trieste), in Veneto (a Porto Marghera) e in Lombardia (a Broni, a Seveso, alla Breda di Sesto) portarono alla sottoscrizione di accordi sindacali che prevedevano l'istituzione dei «libretti sanitari individuali», il registro dei dati ambientali di reparto nelle fabbriche, nonché i controlli delle aziende sanitarie locali sugli ambienti di lavoro. Questi accordi sindacali furono poi recepiti da leggi regionali e, successivamente, da leggi nazionali;
dopo oltre venti anni di processi civili e penali, fu finalmente approvata la legge 27 marzo 1992, n. 257, «Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto», che prevedeva il divieto di estrazione, lavorazione, utilizzo e commercializzazione dell'amianto, la bonifica degli edifici, delle fabbriche e del territorio, misure per la tutela sanitaria e previdenziale dei lavoratori ex esposti all'amianto, nonché misure per il risarcimento degli stessi e per il riconoscimento della qualifica di malattia professionale e del danno biologico;
purtroppo in questi ultimi sedici anni la predetta legge è stata solo parzialmente

attuata, come pure il decreto legislativo 15 agosto 1991, n. 277, attuativo di direttive comunitarie in materia di protezione dei lavoratori dai rischi derivanti da esposizione ad agenti climatici, fisici e biologici, mentre sono aumentati progressivamente i decessi per tumore causati da esposizione all'amianto;
per quasi un decennio sono rimasti non attuati aspetti fondamentali di tale normativa, come la mappatura della presenza dell'amianto nel nostro Paese, la previsione dei piani regionali di bonifica, la creazione del registro degli ex esposti e dei mesoteliomi;
solo nel 1999 si è svolta la 1a Conferenza governativa sull'amianto che ha consentito una verifica dello stato di attuazione della legge;
a fronte di questi ritardi il registro nazionale dei mesoteliomi - finalmente realizzato alla fine del marzo 2004 - registrava 3.670 casi di decesso. È importante sottolineare, però, che si tratta di dati molto parziali, sia perché, a quella data, molte regioni non avevano ancora provveduto alla creazione del registro degli ex esposti, sia perché trattasi di decessi avvenuti in strutture ospedaliere, rimanendo quindi sommerso e sconosciuto il numero dei decessi «non ufficiali»;
nei prossimi decenni - stante il lungo periodo di latenza della malattia, anche superiore ai trenta anni - si avrà un forte incremento dei decessi provocati dall'amianto, che raggiungerà l'apice tra il 2015 e il 2025, e, secondo alcuni esperti, persino nel 2040. L'emergenza amianto non è però finita con la chiusura delle fabbriche: le malattie, come ricordato, hanno un'incubazione che può essere lunghissima e non colpiscono solo gli ex lavoratori, ma anche i loro familiari, contaminati dai vestiti portati a casa, e i cittadini che vivono nelle vicinanze delle fabbriche;
la Firema è un'azienda metalmeccanica specializzata nella realizzazione, assemblaggio e manutenzione di vagoni ferroviari e parti di locomotori. Nel corso degli ultimi anni nello stabilimento della Firema di S. Nicola la Strada (provincia di Caserta), sono passati centinaia di vagoni ferroviari imbottiti di amianto per il cui smantellamento sono stati impiegati un numero considerevole di lavoratori. Decine di questi operai hanno contratto malattie direttamente riconducibili all'esposizione ad amianto, così come riscontrato dall'osservatorio epidemiologico della regione Campania nell'agosto del 2008;
nel 2007 l'allora Ministro del lavoro e della previdenza sociale ha emesso l'atto di indirizzo certificativo della qualificata esposizione e, con l'articolo 1, commi 20, 21 e 22, della legge n. 247 del 2007, i lavoratori esposti hanno acquisito il diritto a vedersi riconosciuto il beneficio contributivo di cui all'articolo 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992, utile all'anticipata maturazione del diritto a pensione, per un periodo pari al 50 per cento di quello dell'esposizione, prolungato fino all'inizio delle bonifiche e/o al 2 ottobre 2003;
successivamente, lo stesso Ministro del lavoro e della previdenza sociale, con decreto ministeriale 12 marzo 2008, articolo 1, lettera b), e in seguito l'INAIL - direzione centrale prestazioni ufficio III - con atto n. 60002 del 19 maggio 2008, avevano limitato l'ambito di operatività della norma di cui all'articolo 1, comma 20, 21 e 22, della legge n. 247 del 2007 ad alcuni reparti di 15 dei 500 siti, per i quali era intervenuto l'atto di indirizzo del Ministro del lavoro che riconosceva la loro qualificata esposizione a polveri e fibre di amianto, ai fini di conferire il beneficio contributivo ex articolo 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992, utile ai fini dell'anticipata maturazione del diritto, con il coefficiente del 50 per cento dell'intero periodo di esposizione fino all'inizio delle bonifiche e comunque non oltre il 2 ottobre 2003;
con l'emissione dell'atto amministrativo del 19 maggio 2008, l'Inail ha escluso i lavoratori della FIREMA dai benefici previsti dagli atti d'indirizzo;

molti dei siti della Campania dove era presente e si usava massicciamente amianto in matrice compatta e friabile sono oggetto di atto di indirizzo ministeriale, che sanciscono l'accertamento della concreta esposizione di tutti i lavoratori che vi prestavano la loro attività e che in quanto tali debbono considerarsi ricompresi nella norma di cui all'articolo 1, commi 20, 21 e 22, della legge n. 247 del 2007;
l'esclusione di questi lavoratori - ritenuta ingiusta dall'interrogante (con particolare riferimento a quelli della Firema Trasporti di Caserta, ma anche quelli della Fincantieri di Castellammare di Stabia ed altri siti) - dal novero di coloro che possono beneficiare del prolungamento del riconoscimento del periodo di esposizione, utile per guadagnare anticipatamente l'accesso alla pensione ha trovato riconoscimento giurisprudenziale da parte del TAR del Lazio, che ha annullato parzialmente gli atti applicativi della norma, nella parte in cui escludevano detti siti;
infatti, le associazioni dei lavoratori esposti e vittime dell'amianto e singoli lavoratori hanno proposto ricorso al TAR del Lazio, con l'avvocato Ezio Bonanni, le cui ragioni giuridiche, poste a fondamento del ricorso, hanno trovato accoglimento con la sentenza n. 5750/09 del 23 aprile 2009, depositata in data 18 giugno 2009, che ha statuito: «il ricorso va pertanto accolto e per l'effetto va annullato nel decreto ministeriale del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale e del Ministero dell'Economia e Finanze in data 12 marzo 2008 ed in particolare nell'articolo 1, lettera b) l'espressione e nei reparti indicati nei predetti atti di indirizzo limitatamente ai reparti od aree produttive per i quali i medesimi atti riconoscano l'esposizione protratta fino al 1992»; e nell'atto di cui alla nota INAIL - Direzione Centrale prestazioni - Ufficio III n. 60002 del 19 maggio 2008 ed in particolare al quarto capoverso l'espressione «nei reparti per i quali i predetti atti di indirizzo riconoscano l'esposizione protratta fino a tutto il 1992», il quinto capoverso e l'elenco di cui all'allegato 3 nella parte in cui non prevede l'applicazione dei benefici di cui all'articolo 13, comma 8 della legge n. 257 del 1992 nei confronti di lavoratori i cui stabilimenti siano ricompresi in altrettanti atti di indirizzo che recano date di esposizione entro il 1992»; nella parte dispositiva la sentenza stabilisce: «Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio - Sezione Terza bis definitivamente pronunziando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e per l'effetto annulla il decreto ministeriale del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale e del Ministero dell'Economia e Finanze in data 12 marzo 2008 e l'atto di cui alla nota INAIL - Direzione Centrale prestazioni - Ufficio III n. 60002 del 19 maggio 2008 nelle parti e secondo le modalità in motivazione indicate»;
attualmente, a quanto consta all'interrogante, l'INAIL, ivi compresi gli uffici di Caserta e delle altre province della Campania, nonostante il chiaro disposto della sentenza del Tar del Lazio e la chiara ed univoca disposizione normativa, non rilascerebbe ai lavoratori aventi diritto il certificato di esposizione che deve essere esibito all'INPS o all'INPDAP (a seconda dell'ente previdenziale di appartenenza) per ottenere l'accoglimento della domanda di prepensionamento;
i diritti in esame, oltre ad essere patrimoniali (vera e propria retribuzione, articolo 141 del Trattato istitutivo delle Comunità europee e direttiva n. 79/7) e tutelati anche dalla Convenzione europea per i diritti dell'uomo (articolo 1, protocollo 1, ed articolo 14), sono ancorati all'articolo 38 della Costituzione (la Corte costituzionale con la sentenza n. 5 del 2000, e successivamente con quella n. 127 del 2002, ha ancorato il diritto all'articolo 38 della Costituzione; e così la Corte di cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 4913 del 2001 ed altre ne ha stabilito la natura risarcitoria, anche per tardivo recepimento della direttiva 477/83/CEE, come da sentenza di condanna della Corte di giustizia del 13 dicembre 1990);

come già evidenziato, il TAR del Lazio si è pronunciato in favore dei lavoratori; infatti, l'articolo 1, comma 20, legge n. 247 del 2007 stabilisce che il diritto è attribuito a tutti i lavoratori «nelle aziende interessate dagli atti di indirizzo già emanati in materia dal Ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale»;
l'Inail, la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ed il Ministero dell'economia e delle finanze hanno proposto ricorso al Consiglio di Stato ed il procedimento è tutt'ora pendente, sostenendo che la norma dovrebbe essere interpretata nel senso voluto nell'atto amministrativo dichiarato illegittimo dal TAR e con la limitazione all'elenco di 15 siti per tutta Italia, come stabilito da Inail e quindi escludendo i lavoratori FIREMA e altri;
il cosiddetto decreto-legge «Milleproroghe» n. 194 del 2009, all'articolo 6, comma 9-bis, ha modificato la legislazione vigente prevedendo che: «l'articolo 1, comma 20, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, si interpreta nel senso che gli atti di indirizzo ministeriale ivi richiamati si intendono quelli attestanti l'esposizione ad amianto protratta fino al 1992, limitatamente alle mansioni ed ai reparti ed aree produttive specificamente indicate negli atti medesimi»;
gli aventi diritto, che hanno proposto ricorso alle varie istanze, hanno tuttavia già maturato, per effetto della disposizione legislativa sopra richiamata, la prestazione pensionistica ed il loro diritto è tutelato anche dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo;
si fa altresì presente che, con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, i principi di diritto della Convenzione sono ora veri e propri assi portanti del diritto comunitario e vincolano anche il legislatore nazionale, nella nuova gerarchia delle fonti che ne discende (articolo 6, comma 2, del Trattato);
le prestazioni pensionistiche rientrano tra quelle retributive ed in forza del diritto comunitario non sono possibili diversi trattamenti (articolo 141 Trattato CE e direttiva 19 dicembre 1978, n. 79/7; Corte di Giustizia 29 novembre 2001, causa C-366/99; Corte di Giustizia 13 dicembre 2001, causa C-206/2000; Corte di Giustizia 13 novembre 2008, causa C-46/2007, la quale ultima afferma che nel nostro ordinamento la diversa età pensionabile di uomini e donne nell'ambito del pubblico impiego viola il principio della parità del trattamento retributivo di cui all'articolo 141 TCE, in quanto la pensione Inpdap, tenendo conto della media delle retribuzioni percepite negli ultimi anni e dei contributi corrispondentemente versati, deve essere quantificata come retribuzione);
nello specifico delle maggiorazioni di anzianità ai fini del calcolo della pensione, sempre la Corte di giustizia, con la già richiamata sentenza 29 novembre 2001, della causa C-366/99, ha stabilito principi di eguaglianza, nelle retribuzioni, attraverso una indennità diretta a compensare svantaggi professionali derivanti ai dipendenti pubblici femminili, e.mutatis mutandis, ciò rileva anche nel caso come quello dell'esposizione all'amianto dove questi lavoratori sono svantaggiati per avere inalato fibre di amianto, dannose per la salute ed in grado di determinare nel tempo, anche a distanza di 40 anni, patologie che portano alla morte in pochi mesi, e comunque di accorciarne la vita;
i siti in esame sono quelli dove il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha accertato e certificato la contaminazione da amianto (e dunque non è dubbia l'esposizione) in maniera qualificata ed oltre la soglia di legge (100 ff/ll, per 8 ore lavorative e per oltre 10 anni);
gli ultimi sviluppi nel percorso d'integrazione europea, che sopra sono stati segnalati, hanno portano all'operatività dei principi cardine dell'uguaglianza (articolo 20) e della non discriminazione articolo 21 della Carta di Nizza, già principi fondamentali della Corte di giustizia, già prima dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona

(Corte di Giustizia CE, sezione 1, 7 settembre 2006 nella causa C-2005);
nel caso di specie, la modifica legislativa, conforme alla interpretazione degli enti condannati dal TAR e che hanno presentato ricorso al Consiglio di Stato, appare all'interrogante in contrasto con l'articolo 6 della Cedu e con gli articoli 24 e 111 della Costituzione, nonché con l'articolo 141 TCE e con gli articoli 20 e 21 della Carta di Nizza, vincolante ex articolo 6, comma 1, del Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1o dicembre 2009 e pubblicato su GUCE il 17 dicembre 2007, n. C-306/13 -:
se siano a conoscenza di quanto sopra esposto e quali iniziative, anche di carattere normativo, intendano assumere per una positiva conclusione della vicenda, che consenta ai lavoratori in questione di poter finalmente conseguire i benefìci contributivi di cui in premessa.
(4-08220)

TESTO AGGIORNATO AL 29 LUGLIO 2010

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AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta immediata in Commissione:

III Commissione:

NARDUCCI e TEMPESTINI. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
la promozione e la diffusione della lingua italiana nel mondo ha subito, già a partire dai primi provvedimenti di natura finanziaria adottati dal Governo nel 2008 e successivamente con la manovra finanziaria triennale 2009-2011, pesanti tagli e un drastico ridimensionamento che palesa, ad avviso degli interroganti, una carenza di progettualità e una mancanza di strategie, tali da suscitare in generale forti preoccupazioni sia nelle comunità italiane all'estero sia per la proiezione internazionale dell'Italia. È innegabile, infatti, il ruolo prezioso ricoperto dalle comunità italiane nel mondo sino ad oggi, e quello che esse potranno avere in un contesto globalizzato e competitivo, ed è ovvio che la promozione della lingua italiana e del nostro patrimonio culturale dovrebbe accompagnare lo sviluppo del sistema economico italiano all'estero rivestendo essa un'importanza strategica per il successo del sistema Italia;

molti Paesi che competono con l'Italia nello scenario dei mercati mondiali hanno riesaminato e stanno riesaminando le proprie strategie culturali, e lo stanno facendo investendo più risorse per dare vita ad una vera e propria diplomazia culturale, un soft power sotto il vessillo degli istituti da cui sono rappresentati. La Germania paga milioni di euro di contributo (non volontario) alle attività del Goethe Institut e così fanno gli spagnoli con il Cervantes, gli inglesi con il British Council, i portoghesi con il Camoes ed ora anche la Cina con il Confucius. La Francia, in particolare, è pronta a investire notevoli risorse su detta diplomazia culturale, sotto l'egida dell'Institut Victor Hugo, che sarà il nuovo simbolo della Francia in giro per il mondo, in più di 150 Paesi;
il nostro Paese, da oltre un secolo, può contare sul lavoro inestimabile e instancabile della Società Dante Alighieri, nata per difendere prima e promuovere poi la nostra lingua nel mondo. La Dante è divenuta, in particolare, in questi ultimi anni, uno dei capisaldi fondamentali per la promozione della lingua italiana, grazie anche ad un sapiente «ampliamento» del proprio raggio d'azione che l'ha portata a stipulare accordi di cooperazione con università italiane e straniere, a collaborare con gli istituti italiani di cultura e istituti culturali stranieri presenti nel nostro Paese, a seguire la vita dei nostri connazionali emigrati all'estero, dando conforto a comunità regionali presenti ovunque nel mondo, offrendo borse di studio e corsi di formazione. Si è inoltre battuta e si batte inflessibilmente affinché la nostra lingua abbia il posto che le spetta nel consesso delle lingue d'Europa. Offre, oltre a ciò, sostegno e stimoli alla nostra rappresentanza a Bruxelles puntellando l'opera dei deputati e della stessa Commissione, con la quale non manca di dialogare costruttivamente quando sono in gioco i doveri comunitari. Ultimamente ha avviato una dura campagna contro l'esclusione della traduzione in lingua italiana del brevetto europeo e contro chi tenta di imporre il trilinguismo anglo-franco-tedesco, aspetti di cui si è occupato perfino il TG1;
nonostante il marcato squilibrio di risorse finanziarie rispetto agli istituti dei Paesi citati poc'anzi, la SDA ha ricevuto nel 2005 il premio Principe delle Asturie per la comunicazione, direttamente dalle mani del Principe Filippo di Spagna, e la medaglia d'oro per i benemeriti della cultura dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Riconoscimenti di questo livello sono frutto di serietà e duro lavoro;
è cosa a tutti nota che la Dante opera, inoltre, su diversi versanti istituzionali, senza tralasciare la collaborazione con vari Ministeri e in primis con quello degli affari esteri, la cui politica è seguita sia a livello locale, con i consolati, che più in generale, con le ambasciate, le direzioni generali e infine lavorando nella stessa Commissione nazionale per la promozione della cultura italiana e collaborando per il buon successo della settimana della lingua in collaborazione con l'Accademia della Crusca;
l'enorme mole di lavoro svolto, di cui beneficia l'intero sistema Paese italiano, non ha risparmiato alla Dante Alighieri un durissimo colpo al suo bilancio: il decreto ministeriale (affari esteri) riguardante la ripartizione dei contributi da erogare ad enti, istituti, associazioni ed altri organismi, ha attribuito alla Dante un contributo pari ad euro 600.000 (seicentomila), per cui il bilancio della Società Dante Alighieri subisce un taglio, per l'anno in corso, del 53,5 per cento. In un solo colpo il contributo ministeriale passa da 1.248.000,00 euro a 600.000,00. Una riduzione che sommata ai 400.000,00 euro tagliati nel 2009 sullo stesso capitolo (che era di 1.700.000 euro circa), costituisce, ad avviso degli interroganti, una manifestazione di scarso apprezzamento che non trova nessuna giustificazione nella manovra di contenimento della spesa, basata su tagli lineari ben lontani dalla dimensione percentuale del 53,5 per cento applicata alla Dante e discriminante rispetto a qualsiasi ente culturale italiano che opera per gli stessi obiettivi perseguiti dalla Dante;

ci si chiede quindi perché la Dante debba pagare un così duro prezzo; non certo per demeriti. Anzi, l'opera svolta in tutto il mondo dai 423 comitati costituisce un bene prezioso per il nostro Paese, non solo per l'insegnamento e la diffusione della nostra lingua e cultura ma anche per l'immagine di un sistema imprenditoriale dove moda, design, arte e architettura rappresentano un modello unico e irripetibile;
270 dei comitati della Società Dante Alighieri sono stati considerati dal consiglio scientifico, diretto dal professor Luca Serianni, dei veri e propri centri di eccellenza per il reclutamento e la formazione di insegnanti (attualmente circa 1500); il consiglio scientifico ha attestato che il rilascio del certificato di competenza linguistica PLIDA (progetto lingua italiana Dante Alighieri) risponde rigorosamente ai parametri fissati dal quadro comune di riferimento delle lingue d'Europa approvato dallo stesso Consiglio d'Europa e riconosciuto dallo Stato italiano con la Convenzione del 1993 stipulata con il Ministero degli affari esteri. La certificazione PLIDA, posta sotto l'egida scientifica dell'università La Sapienza di Roma, interessa oltre 200.000 studenti che frequentano i 3300 corsi della Dante organizzati ogni giorno in tutto il globo, dalla lontana Patagonia alla fredda Vladivostok;
la Dante sta lavorando a Firenze con notevoli sforzi alla costruzione del Museo della lingua italiana, mentre a Torino è impegnata nei lavori di preparazione, già avviati, delle celebrazioni del 150o dell'Unità d'Italia in collaborazione con il «Comitato 150», per l'organizzazione dell'80o Congresso internazionale e dell'assise mondiale della lingua italiana;
di sacrifici sono piene le pagine della illustre storia della Dante, ma quando a pagare è il futuro, non di pochi, ma di tanti giovani che guardano con speranza al loro avvenire, allora chi ha responsabilità di Governo deve auspicabilmente guardare le cose a fondo per evitare danni irreparabili -:
se il Ministro interrogato, in considerazione dello stato di grave crisi in cui finirebbe la Dante Alighieri a causa di una così drastica riduzione del contributo ministeriale e del danno gravissimo che ciò comporterebbe per un sistema di promozione della nostra lingua e della nostra cultura costruito attraverso generazioni con encomiabile impegno, passione e lavoro di volontariato, non intenda intervenire rapidamente per rivedere la decisione assunta all'interno del Ministero degli affari esteri relativamente al contributo da versare alla Società Dante Alighieri nel corrente esercizio 2010.
(5-03301)

Interrogazione a risposta in Commissione:

RENATO FARINA. - Al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
Juan Juan Almeida è il figlio di Juan Almeida membro di primissimo piano della Revolución castrista, nonché vicepresidente del Governo cubano fino alla morte, avvenuta un anno fa;
Juan Juan Almeida in questo momento viene tenuto prigioniero dal dipartimento di operazioni della direzione di controintelligence di Cuba, nella famigerata prigione de Villa Marista;
lo stesso è sottoposto ad un regime di isolamento totale, non gli è consentito ricevere visite o mettersi in contatto con i suoi congiunti che risiedono da anni negli Stati Uniti;
il quadro clinico Juan Juan Almeida, che soffre di una grave malattia degenerativa per curare la quale necessita di terapie specialistiche reperibili solo fuori dall'isola, è ulteriormente aggravato dallo sciopero della fame che egli persegue dal 15 giugno 2010 per protestare contro la sistematica violazione dei suoi più elementari diritti civili -:
se il Governo ritenga veritieri i sopraccitati fatti e quale sia la sua posizione in relazione a quanto accaduto;
se non ritenga doveroso accertarsi che il Governo cubano vigili sul rispetto dei diritti umani;
se non intenda sollecitare nelle opportune sedi diplomatiche la scarcerazione di Juan Juan Almeida e il suo trasferimento in strutture adeguate alla cura dei suoi problemi di salute, tenuto conto della recente offerta di disponibilità da parte della regione Toscana.
(5-03298)

TESTO AGGIORNATO AL 10 FEBBRAIO 2011

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AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:

GALATI e CARLUCCI. - Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro degli affari esteri. - Per sapere - premesso che:
il cono d'ombra dell'immane catastrofe ambientale avvenuta nel golfo del Messico sembra possa arrivare nel Mediterraneo, prospettando nei suoi confini un nuovo incubo di una possibile marea nera. La notizia riportata dai media negli ultimi giorni ha dell'incredibile. La British Petroleum - messa sotto accusa negli Stati Uniti per la gigantesca chiazza che infesta dall'aprile 2010 le acque del golfo del Messico - comincerà, con molta probabilità, presto, nuove perforazioni, stavolta nel cuore del Mediterraneo, e più precisamente nel golfo libico della Sirte, a poco più di 500 chilometri dalle coste siciliane. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare era stato ben chiaro, fugando qualsiasi dubbio su nuove possibili trivellazioni nel mar Mediterraneo, promuovendo l'introduzione, nella riforma del codice ambientale, del divieto a trivellare a meno di cinque miglia dalle coste, che salgono a dodici miglia nel caso delle

aree marine protette. Un ipotetico accordo della Libia con la British Petroleum, su nuove eventuali trivellazioni offshore, aprirebbe però, degli scenari preoccupanti. Se quello che è successo nelle coste della Louisiana avvenisse nel Mediterraneo, gli effetti sarebbero esponenzialmente più devastanti. È naturale che ogni Stato ha la sua sovranità, ma ha anche il diritto di verificare che le scelte di uno non danneggino tutti gli altri -:
come intendano procedere per fare chiarezza sulle reali intenzioni della Libia nel merito di tali trivellazioni.
(4-08212)

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BENI E ATTIVITÀ CULTURALI

Interrogazione a risposta orale:

BARANI. - Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Per sapere - premesso che:
il comune di Portoferraio ha deciso di smantellare la costruzione a ridosso del «Bastione della Cornacchia», primo baluardo del fronte d'attacco del complesso difensivo e fortificato di Portoferraio;
da oltre 4 secoli i portoferraiesi fanno di tutto per trasformare la parte di fortezza in uno spazio libero da altre strutture;
si sono spese parole, sono stati scritti centinaia di articoli pro e contro la ex struttura militare, poi l'amministrazione ha dato il via ai lavori, in accordo con la provincia, unica beneficiaria del bene;
fra tutte le parole ed i progetti presentati tornano alla mente le parole del sindaco Peria (attualmente in carica) che, in risposta alle reiterate accuse che giungevano da politici e da cittadini ed in risposta a chi voleva abbattere il bene per ricavarne una zona verde, l'11 gennaio 2008 perentoriamente rilasciò queste dichiarazioni alla stampa: «Ho scritto al sovrintendente Malchiodi chiedendogli di precisare puntualmente quello che verbalmente ci è già stato detto: la sovrintendenza è orientata a non demolire nemmeno un metro quadro degli immobili attualmente presenti. Vuol fare un intervento di restauro e di recupero. Risalgono agli anni Novanta le prime lettere tra le Amministrazioni che si sono avvicendate e la Sovrintendenza che chiariva che nulla si poteva demolire. Tutti gli immobili compresi nella Gattaia sono beni vincolati, compreso il deposito di combustibili. Dunque è esclusa ogni ipotesi di demolizione»;
ad oggi grossi mezzi meccanici hanno realizzato una massiccia opera di demolizione e viene da chiedersi, alla luce delle dichiarazioni sopraccitate, se la Soprintendenza abbia fatto marcia indietro non considerando più un bene archeologico gli immobili compresi nella Gattaia;
queste domande nascono spontanee nella popolazione che si trova ad assistere all'impegno preso «a sorpresa» dall'amministrazione comunale, che intende, non solo smantellare quest'appendice rimasta abbandonata fin dal dopoguerra, ma assegna l'area cosi derivata all'amministrazione provinciale;
il progetto prevede la costruzione della nuova «prestigiosa» sede dell'A.P.T. ed i nuovi uffici della provincia di Livorno;
il luogo de quo ha, quindi, una sua storia ed un suo valore che, giustamente, la Soprintendenza di Pisa ha inteso salvaguardare, negando la demolizione degli immobili;
considerato però che la Soprintendenza ha concesso ora il parere favorevole per lo smantellamento, che il sito attuale è stato demolito e la storia è stata abbattuta dalle ruspe, non esistendo più quel percorso storico-culturale di riferimento, distrutto completamente e per sempre, risulta contro senso a questo punto costruire nuove strutture in un punto di interesse storico ed architettonico commettendo, ad avviso dell'interrogante, un grave errore storico;

i lavori di demolizione hanno portato alla luce il passaggio che dal bastione della Cornacchia mette in comunicazione il fronte mare alla Cittadella;
non si comprende a che cosa serva, per la promozione turistica, una mega e lussuosa agenzia di rappresentanza;
la provincia stessa ha un'adeguatissima sede moderna e centrale, ci si chiede allora perché prevedere il trasferimento (costoso) in una sede più piccola, privando, tra l'altro, i cittadini dell'utilizzo della sala convegni ed altre comodità e soprattutto perché murare per sempre l'accesso al mare della cittadella;
se ci fossero solo le antiche mura, si riscoprirebbe una visuale unica che fa vedere molo Gallo e torre di Passannante -:
quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato al fine di evitare nuove ed impopolari costruzioni che possono pregiudicare il valore storico culturale dell'area e se intenda verificare l'attuale situazione del bastione della Cornacchia.
(3-01200)

Interrogazione a risposta scritta:

FUGATTI. - Al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il «trincerone» del Monte Zugna è uno dei punti più famosi degli eventi bellici della grande guerra sul fronte del Trentino;
quest'area è oggi famosa sia per le trincee che per i resti austro-ungarici presenti, dove ogni anno i turisti vanno a fare visita;
è uno dei luoghi più famosi della grande guerra dove si sono «scontrate» le forze italiane con quelle austro-ungariche in quello che è oggi territorio di confine della provincia di Trento;
in tale contesto si è inserito un progetto di ripristino, condotto dalla provincia autonoma di Trento, e sostenuto dal Museo della guerra di Rovereto e promosso dalla Fondazione «Cengio Alto»;
tale progetto, ora in fase avanzata, ha previsto la costruzione di trincee in calcestruzzo con una lunghezza di circa 50 metri e con una larghezza di 2 metri, impattante sotto l'aspetto visivo a occhio nudo; il muro in cemento poggia direttamente sui muretti a secco della vecchia trincea italiana;
numerose sono state le proteste da parte delle associazioni storiche e culturali che hanno parlato di «falsificazione» del trincerone, criticando la mancata tutela del patrimonio storico della grande guerra;
esistono infatti diverse leggi che tutelano i reperti della grande guerra, tra cui la legge provinciale di Trento n. 1 del 2003 e la legge nazionale n. 78 del 2001;
il decreto legislativo n. 66 del 2010 all'articolo 261, comma 2, «Le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano perseguono le finalità della presente sezione nell'ambito delle competenze ad esse spettanti ai sensi dei rispettivi Statuti e delle relative norme di attuazione» -:
se i Ministri siano al corrente dei fatti sopra riportati;
se il progetto sia stato condotto nel rispetto delle disposizioni nazionali citate e se il Ministro per i beni e le attività culturali intenda esercitare le proprie prerogative a tutela di questo importantissimo sito militare;
se intenda porre in essere altre iniziative per chiarire quanto accaduto nella vicenda in questione.
(4-08216)

DIFESA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
IV Commissione:

CHIAPPORI. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il 20 luglio 2010 il Ministro interrogato ha confermato al salone internazionale dell'aerospazio di Farnborough l'intenzione del Governo di comprare soltanto sei delle dieci fregate classe FREMM, che costituiscono l'oggetto di un programma binazionale italo-francese di acquisizione armamenti;
la sorte delle ulteriori quattro navi sarebbe invece oggetto di riflessione, perché si starebbe pensando di autorizzarne comunque la costruzione ma di venderle successivamente ad un Paese terzo, il Brasile, che potrebbe addirittura chiederne una quinta;
in una recente audizione parlamentare presso la Commissione difesa del Senato della Repubblica, l'ammiraglio Bruno Branciforte, Capo di stato maggiore della Marina, ha evidenziato la straordinaria importanza che la sua Forza armata annette comunque al completamento del programma, dal quale dovrebbero uscire le navi destinate a rimpiazzare le numerose unità delle classi MAESTRALE e SOLDATI;
in una intervista resa ad un noto quotidiano nazionale il 12 giugno 2010, il Ministro interrogato aveva inoltre annunciato la propria disponibilità a rinunciare ai due miliardi di euro necessari alla costruzione delle quattro FREMM residue, alimentando un diffuso pessimismo nei cantieri interessati dalla commessa e nelle amministrazioni locali insistenti sui medesimi territori, in particolare a Sestri Levante -:
quali siano le effettive intenzioni del Governo relativamente al completamento della parte italiana del programma binazionale FREMM, se esistano penali conseguenti ad una sua eventuale riduzione e quali ne siano le prevedibili ripercussioni industriali, occupazionali ed operative.
(5-03305)

RUGGHIA, MOGHERINI REBESANI e ROSATO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
in occasione delle celebrazioni per il 150o anniversario dell'Unità d'Italia, il Ministero del la difesa ha promosso dal 24 al 27 giugno 2010 un ampio programma di iniziative in provincia di Verona, Brescia e Mantova per celebrare le storiche battaglie di Solferino e San Martino - che posero line alla seconda guerra di indipendenza - e la battaglia di Custoza - che diede inizio alla terza guerra di indipendenza;
questa manifestazione si inserisce nel più generale programma di iniziative che il Comitato interministeriale per le celebrazioni del 150o anniversario dell'Unità d'Italia sta promuovendo, con il giusto obiettivo di coltivare la memoria storica dell'epoca risorgimentale e di rinnovare le ragioni dell'unità nazionale italiana, che affonda le sue radici democratiche in battaglie di liberazione e di affermazione della dignità e della sovranità nazionale del popolo italiano;
le celebrazioni promosse dal Ministero della difesa già citate sono state accompagnate dalla diffusione di una pubblicazione ufficiale dello stesso dicastero, disponibile sia in formato cartaceo, sia in formato elettronico (pubblicata sul sito internet del Ministero), per presentare gli obiettivi dell'iniziativa, con una descrizione del ruolo delle Forze armate e una scheda di ricostruzione storica del percorso di unificazione italiana dal 1861 al 1918;
la scheda di sintesi storica si conclude con la frase: «Con la Prima guerra mondiale (1915-1918) si concluse il processo di unificazione nazionale che portò all'Italia dei giorni nostri» e viene fatta seguire da una serie di cartine della penisola

italiana, in ordine cronologico, dal 1859 in poi. L'ultima cartina dell'Italia è quella del 1918, rappresentante il Regno d'Italia, comprensivo dell'Istria e della Dalmazia;
nella pubblicazione si omettono gli ulteriori sviluppi storici che definiranno la fisionomia territoriale e costituzionale dell'Italia odierna, e che la condurranno, a conclusione della seconda guerra mondiale, a perdere i territori dell'Istria e della Dalmazia e a divenire una Repubblica democratica -:
se non ritenga inopportuno svolgere iniziative promosse dal Ministero della difesa per celebrare l'epoca risorgimentale e l'unità nazionale che siano fondate su una ricostruzione storica del processo di formazione dell'Italia democratica parziale e significativamente incompleta, e quali iniziative intenda assumere per assicurare, nel corso delle successive manifestazioni commemorative, un'adeguata correzione di tale impostazione storica e culturale.
(5-03306)

DI STANISLAO. - Al Ministro della difesa. - Per sapere - premesso che:
il 25 luglio 2010 è salito a 26 il numero dei militari italiani morti in Afghanistan dall'inizio della missione nel 2004: un soldato italiano, che lavorava presso l'ufficio amministrativo della base Nato stanziata presso l'aeroporto di Kabul, dove un piccolo contingente italiano supporta le forze Isaf, si è tolto la vita ed è la prima volta che si verifica tra i militari italiani in missione all'estero;
non si conoscono le ragioni del gesto compiuto dal militare e i carabinieri della polizia militare stanno indagando su quanto avvenuto. Il soldato era da alcuni mesi impegnato a Kabul, e da poco era tornato da una licenza in Italia. L'uomo si sarebbe tolto la vita con un colpo di arma da fuoco alla testa nel suo ufficio. Secondo le fonti dello Stato maggiore della difesa, si tratterebbe «presumibilmente di un suicidio»;
contestualmente nell'esercito americano è allarme per il fenomeno dei suicidi: nel mese di giugno 2010 se ne sono registrati 32 (il massimo dai tempi della guerra del Vietnam nel 1975) con la media di un soldato suicida al giorno: è questa la drammatica cifra fatta registrare dalle Forze armate americane nel mese di giugno. Nel mese di giugno 2010 si sono verificati trentadue casi, di cui 21 tra le truppe impegnate sul campo di battaglia (Afghanistan e Iraq) e 11 tra i riservisti;
da anni è stata creata una task force di psicologi che assiste i militari che danno segni di depressione, sia al fronte, sia una volta rientrati in patria. Tuttavia, il fenomeno aumenta invece di diminuire;
dal 2005 al 2009 i militari costretti a lasciare l'esercito Usa per disordini mentali sono cresciuti del 69 per cento. Tra i congedi medici, si tratta di un caso su nove. Negli ultimi 5 anni i militari messi a riposo con problemi fisici e mentali sono aumentati del 17 per cento (da 1397 a 3831);
le notizie di soldati morti in Afghanistan sempre più spesso stanno riguardando casi di militari non morti in combattimento, ma suicidi. Si tratta di casi denominati «suicidi di guerra»;
tra le file statunitensi è alto anche l'allarme salute mentale che comporta un aumento dei casi di ansia, depressione, pensiero suicida e sindrome post-traumatica da stress;
in poche parole la stessa vissuta dai reduci del Vietnam. Una sindrome che sta emergendo particolarmente negli ultimi mesi e che porta a rivivere eventi traumatici sia durante la giornata, vivendo nel terrore che alcune situazioni possano ripetersi, sia di notte con sogni e incubi;
generalmente il suicidio è la punta di un iceberg immenso fatto di vessazioni, umiliazioni, mobbing, demansionamenti, familismo e altre nefandezze, che esistono in quasi tutti i posti di lavoro, ma che nell'ambiente militare raggiungono i gradi estremi della violenza;

il 21 luglio 2010 la Camera dei deputati ha approvato il disegno di legge di conversione del decreto-legge che proroga la partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali, compresa la missione in Afghanistan con tutti i dubbi e le problematiche che ne scaturiscono -:
se il Governo abbia intenzione di valutare e monitorare lo stato di salute psico-fisica dei nostri militari impegnati in Afghanistan, dove la situazione peggiora di giorno in giorno e i soldati sono sottoposti ad un altissimo stress costantemente e sono vittime di attacchi frequenti, e quali interventi intenda assumere al fine di dare il giusto supporto psicologico sul campo e al rientro in patria.
(5-03307)

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ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:

PAGANO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il regime per la determinazione delle operazioni imponibili ai fini IVA è stato profondamente innovato dalle modifiche recentemente introdotte dal decreto legislativo n. 18 del 2010, di attuazione della direttiva 2008/8/CE, per quanto riguarda il luogo di prestazione dei servizi;
in particolare, il regime di territorialità IVA delle prestazioni di servizi effettuate da un soggetto passivo IVA in Italia (prestatore) in favore di un soggetto passivo d'imposta residente in altro Stato membro dell'Unione europea (committente) è ora disciplinato dall'articolo 7-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972;
ai sensi del predetto articolo 7-ter l'operazione sopra indicata si considera territorialmente effettuata nel Paese del committente: pertanto, il prestatore italiano dovrà emettere fattura senza applicazione dell'imposta in quanto, mancando il presupposto territoriale, si tratta di operazione fuori campo IVA;
le modifiche introdotte del citato decreto legislativo comportano, in sostanza, sotto questo profilo, che le predette operazioni di intermediazione passano da un regime di non imponibilità ad un regime di fuori campo IVA;
tali modifiche stanno avendo importanti ricadute, in particolare sugli operatori nazionali che effettuano prestazioni di agenzia nei confronti di un soggetto passivo residente in altro Stato membro dell'Unione europea che si avvalgono a loro volta delle prestazioni fornite da sub-agenti operanti nel territorio nazionale in forza di specifici contratti di agenzia;
infatti, mentre in precedenza i servizi prestati dall'agente al committente estero fruivano del regime di non imponibilità, con conseguente formazione, per l'agente, dello status di esportatore abituale e possibilità di non applicare l'IVA anche sui servizi da lui acquistati presso soggetti passivi nazionali (nella specie, dai propri sub-agenti), ora, a decorrere dal 1o gennaio 2010, tali prestazioni di servizio risultano escluse dall'IVA, e sono pertanto irrilevanti ai fini della costituzione dello status di esportatore abituale, con la conseguenza che le prestazioni effettuate dai sub-agenti nazionali nei confronti dell'agente devono essere fatturate con applicazione dell'IVA;
questa modifica comporta un significativo aggravio di oneri per gli agenti, i quali maturano rilevanti crediti IVA sulle provvigioni corrisposte ai sub-agenti operanti sul territorio nazionale, per recuperare i quali dovranno attendere il rimborso da parte dell'amministrazione finanziaria;
tale circostanza ha evidentemente sollevato numerose preoccupazioni presso i contribuenti interessati, i quali hanno presentato interpello all'amministrazione

finanziaria per avere una definitiva conferma circa l'effettivo regime IVA applicabile a tali operazioni e per verificare se la normativa vigente possa essere interpretata nel senso di considerare come fuori campo IVA anche le prestazioni di servizio effettuate dai sub-agenti nazionali nei confronti dell'agente, sulla base di un'interpretazione normativa basata sul principio di consequenzialità tra le provvigioni ricevute dall'agente e quelle corrisposte da quest'ultimo ai suoi sub-agenti, atteso che le somme erogate ai sub-agenti dovrebbero essere considerate come quota parte della provvigione riconosciuta all'agente stesso, anche in considerazione del fatto che, ai sensi dell'articolo 13, comma 1, del già citato decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 «La base imponibile delle (...) prestazioni di servizi è costituita dall'ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al (...) prestatore secondo le condizioni contrattuali, compresi gli oneri e le spese inerenti all'esecuzione e i debiti o altri oneri verso terzi accollati al (...) committente»;
in tale contesto, al fine di evitare fenomeni elusivi, l'applicazione di tale regime di fuori campo IVA potrebbe essere subordinato alla presenza di specifiche clausole, nei contratti stipulati tra le parti, ed all'apposita indicazione nelle scritture contabili, in sede di registrazione della fattura emessa, della quota della provvigione ricevuta dall'agente che, di fatto, viene «traslata» al sub-agente -:
se il regime IVA applicabile alle predette operazioni corrisponda alla ricostruzione normativa indicata in premessa, se non ritenga di disporre che l'amministrazione finanziaria emani atti di normativa secondaria volti a fare definitiva chiarezza in materia, e se sussista la possibilità di applicare il medesimo regime di fuori campo IVA sia alle prestazioni di servizio fornite dall'agente nei confronti del committente estero sia alle prestazioni di servizio fornite all'agente dai suoi sub-agenti nazionali, evitando in tal modo la formazione di ingenti crediti IVA in capo all'agente stesso, nel pieno rispetto della normativa ed assicurando comunque la piena tutela degli interessi dell'erario.
(5-03308)

OCCHIUTO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
le società fiscalmente non residenti nel territorio dello Stato, alla luce delle disposizioni del testo unico delle imposte sui redditi e delle norme contenute nelle convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dal nostro Paese, sono assoggettate ad imposizione in Italia sui redditi ivi prodotti, a condizione che esse posseggano una stabile organizzazione nel territorio dello Stato;
per alcuni settori economici e categorie di business l'individuazione dei criteri per la configurazione dell'esistenza di una stabile organizzazione è oggettivamente più complessa e tuttora oggetto di attenzione, sia in Paesi nostri concorrenti sia, anche e soprattutto, in sede OCSE;
ad esempio, nel campo del commercio elettronico, sebbene la disciplina nazionale sia, nei suoi tratti essenziali, conforme al modello di convenzione contro le doppie imposizioni approvato dall'OCSE, alcune primarie società estere operanti nel settore collocano i propri server elettronici al di fuori del territorio dello Stato, anche se essi sono impiegati in operazioni essenziali nell'attività d'impresa svolta direttamente nel territorio dello Stato, al fine di occultare l'esistenza di una propria stabile organizzazione in Italia;
ancora a titolo di esempio, nel settore del trasporto aereo, è noto che alcune compagnie cosiddette low cost, operanti anche su tratte effettuate integralmente in territorio italiano adottano modalità operative analoghe per dissimulare la presenza di stabili organizzazioni in Italia, svolgendo, pertanto, la propria attività d'impresa in totale esenzione di imposta, a differenza delle altre compagnie aeree,

nazionali e straniere, che svolgono la stessa attività e sono regolarmente e correttamente assoggettate ad imposizione sui redditi prodotti in Italia;
tale modalità operativa, in modo che non appare conforme ai princìpi di uguaglianza e capacità contributiva, reca palese nocumento in termini concorrenziali e di politica dei prezzi a tutte le altre realtà aziendali, nazionali e non, che versano regolarmente le imposte dovute per le attività svolte nel territorio dello Stato, direttamente o tramite proprie stabili organizzazioni ivi ubicate -:
se sia a conoscenza degli illustrati fenomeni e quali iniziative di carattere normativo intenda adottare o promuovere onde raggiungere l'obiettivo di una uniforme imposizione fiscale tra le descritte realtà imprenditoriali.
(5-03309)

BARBATO. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
l'ENEL aveva negli anni scorsi avviato con la società BEG s.p.a. un progetto per la costruzione di un impianto di produzione di energia elettrica in Albania, successivamente abbandonato, nonostante fosse stato nel frattempo stipulato un accordo di collaborazione in materia con la predetta BEG;
in conseguenza del complesso contenzioso giurisdizionale insorto a seguito di tali vicende, l'ENEL e la sua controllata al 100 per cento ENELPOWER sono state citate in giudizio dinanzi agli organi giurisdizionali albanesi dalla società ALBANIABEG AMBIENT Sh.p.k., e sono state condannate dal tribunale di Tirana, con sentenza del 24 marzo 2009, a risarcire la controparte per responsabilità extracontrattuale, per un ammontare pari a circa 450 milioni di euro;
tale sentenza è stata successivamente confermata dalla corte di appello di Tirana, il 28 aprile 2010, ed è dunque divenuta esecutiva;
nella nota integrativa al bilancio dell'ENEL per il 2009 non sono state fornite agli azionisti ed al mercato informazioni compiute in merito al predetto contenzioso ed ai suoi potenziali effetti negativi sui conti del gruppo, limitandosi ad una generica ed imprecisa informativa, indicando in soli 25 milioni di euro il relativo impatto sul bilancio;
non si è altresì fatto cenno della vicenda nella relazione all'assemblea da parte degli amministratori, i quali non sembrano dunque aver ritenuto di appostare a bilancio alcuna riserva per gli oneri che il gruppo dovrà probabilmente sopportare;
tale comportamento, che risulta, ad avviso dell'interrogante, particolarmente discutibile sotto il profilo della sana e prudente gestione, in particolare per quanto riguarda le turbolenze che tali fatti potrebbero determinare su uno dei principali titoli azionari della borsa italiana, ampiamente diffuso tra il pubblico dei piccoli risparmiatori, appare tanto più sconcertante in quanto si tratta di un gruppo sottoposto al controllo dell' azionista pubblico -:
qualora i fatti richiamati in premessa corrispondano a verità, quali iniziative intenda assumere, sia in quanto titolare del pacchetto di controllo detenuto dallo Stato nell'ENEL, sia in quanto titolare dei poteri di alta vigilanza in materia di risparmio, nella sua qualità di Presidente del Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio, al fine di assicurare la piena tutela dei piccoli azionisti della stessa società, che potrebbero rischiare di subire un grave danno patrimoniale per le scelte sbagliate degli amministratori.
(5-03310)

CECCUZZI, GATTI e FONTANELLI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze. - Per sapere - premesso che:
il convento di Sant'Agostino a Nicosia, sito nel comune di Calci, edificato tra il 1263 e il 1267 per iniziativa di Ugo da Fagiano, già vescovo di Nicosia in Cipro, versa da anni in condizioni di incuria e abbandono;
la parte agibile è utilizzata dalla popolazione locale per manifestazioni di carattere pubblico, mentre la chiesa all'interno della struttura è sede della parrocchia locale;
il complesso è attualmente in affidamento al comune di Calci allo scopo di tenerla in sicurezza ed evitare, nella parte pericolante, l'ingresso di persone;
gli enti locali del territorio hanno mostrato interesse all'acquisizione della struttura al fine di consentirne la manutenzione, la riqualificazione e l'uso per fini pubblici -:
se il complesso in questione sia già stato segnalato alla Sovraintendenza per l'espressione dei pareri previsti ai fini della dismissione e sia interessato da una trattativa tra l'Agenzia fiscale competente e uno o più soggetti che abbiano manifestato interesse per l'acquisizione o la gestione del bene, e, in tale ultimo caso, se non ritenga di sospendere ogni decisione in merito almeno fino all'entrata in vigore dei decreti legislativi attuativi della legge n. 42 del 2009 in materia di demanio, per non precludere alla regione ed agli enti territoriali interessati di avanzare richiesta per l'acquisizione del bene, con le procedure previste in tali decreti legislativi.
(5-03311)

Interrogazioni a risposta scritta:

LO MONTE, COMMERCIO, LATTERI, LOMBARDO e MISITI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
la Sicot srl è una società in house, interamente partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze e per statuto svolge esclusiva attività commissionata dal Ministero dell'economia e delle finanze, trattando in particolare attività di consulenza e supporto a servizio dello stesso Ministero e per alcune società da esso partecipate;
non è possibile avere specifiche notizie sulle attività svolte e di quante possano essere, visto che il sito istituzionale «Sicotsrl.it» risulta essere formato solo ed esclusivamente dall'indirizzo, peraltro coincidente con la sede del Ministero dell'economia e delle finanze, e dalla mera indicazione «Sistemi di consulenza per il tesoro», da qui probabilmente l'acronimo Sicot;
vista la sostanziale inesistenza o inconsistenza del sito internet istituzionale (esiste soltanto la pagina iniziale con un paio di indicazioni), non è possibile risalire agli organi statutari, a chi svolge attività di controllo, nonché alle loro competenze culturali e professionali o a conoscere i nominativi e i curriculum;
sempre attraverso il sito non si è in grado di individuare la «mission» della società o se ha un codice etico, se è retta da un consiglio di amministrazione o ha un amministratore delegato, quanto personale utilizza e con quali professionalità e competenze, come avviene il reclutamento e se è contrattualizzato a tempo determinato o indeterminato, se per l'espletamento della sua attività conferisce consulenze esterne o incarichi di altro tipo;
nel sito istituzionale non sono pubblicati i bilanci societari, nonché notizie sull'attività di controllo che dovrebbe svolgere il collegio dei revisori, per cui non si è in grado di poter monitorare quali costi sostiene la società e la loro congruità rispetto agli incarichi assegnati, per cui non è possibile sapere se essa è gestita con criteri di economicità ed efficienza, criteri

a cui i soggetti che svolgono attività utilizzando risorse pubbliche dovrebbero uniformarsi;
avendo da sempre un sito istituzionale non operativo, non possono essere portati a conoscenza i bilanci societari, la composizione degli organi societari e di vigilanza, il codice etico, gli incarichi e le consulenze, contravvenendo così al principio della pubblicità degli atti al quale le società partecipate, con denaro dello Stato, debbono uniformarsi, finendo così per agire in piena autonomia e discrezionalità;
la società «Sicot srl», interamente del Ministero dell'economia e delle finanze, sebbene previsto dall'articolo 3, comma 44, della legge n. 244 del 2007 (finanziaria per il 2008), non rende noto attraverso la pubblicazione sul sito web dell'amministrazione, l'indicazione nominativa dei destinatari di eventuali compensi e a quanto ammontano;
lo stesso articolo 3, comma 44, della legge n. 244 del 2007 (finanziaria per il 2008), prescrive come nessun atto comportante spesa può ricevere attuazione, se non preventivamente reso noto, prevedendo che l'amministratore che abbia disposto il pagamento e il destinatario del medesimo sono tenuti al rimborso, a titolo di danno erariale, di una somma pari a dieci volte l'ammontare eccedente la cifra consentita -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza della grave situazione sopra descritta e se intendano adottare provvedimenti affinché la Sicot srl, interamente partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze, provveda alla sollecita attivazione del sito internet istituzionale con la pubblicazione sul sito web dei bilanci annuali, della composizione degli organi societari di vigilanza e del codice etico e, secondo i termini previsti dall'articolo 3 comma 44 della legge n. 244 del 2007 (finanziaria 2008), degli incarichi e delle consulenze con i relativi nomi e compensi percepiti.
(4-08214)

LO MONTE, COMMERCIO, LATTERI, LOMBARDO e MISITI. - Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione. - Per sapere - premesso che:
la Consip spa è una società partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze, che ne è l'azionista unico ed opera secondo gli indirizzi strategici forniti da esso forniti, lavorando esclusivamente per le pubbliche amministrazioni;
svolge compiti di attività informatiche, di consulenza e di assistenza in favore della pubblica amministrazione nel settore della compravendita di beni e di acquisizioni di servizi, anche ai fini della scelta del contraente, nonché di attività di negoziazione diretta su beni e servizi;
la Consip spa, in atto non rende pubblici, nel sito e le consulenze affidate, ad avviso degli interroganti contravvenendo così al principio della pubblicità degli atti al quale le società partecipate debbono uniformarsi, finendo così per agire in piena autonomia e discrezionalità;
pur rendendo noto i nominativi dei componenti degli organi societari, la Consip, partecipata dal Ministero dell'economia, sebbene previsto dall'articolo 3, comma 44, della legge 244 del 2007 (finanziaria per il 2008), non rende noto attraverso la pubblicazione sul suo sito Web, l'indicazione dei compensi degli amministratori e dai consulenti e a quanto essi ammontano;
il Consiglio di amministrazione della Consip spa è formato da cinque membri, il Presidente, l'amministratore delegato, un vicepresidente e due consiglieri, mentre l'attività di controllo è svolta dal collegio sindacale, composto da quattro membri di cui uno con funzioni di presidente;
l'amministratore delegato percepirebbe un duplice salario, uno come amministratore delegato pari a 370 mila euro e uno come componente del consiglio di amministratore pari a 25 mila euro, nonché

ad un compenso variabile di 180 mila euro, legato al raggiungimento di obiettivi annuali;
lo stesso articolo 3 comma 44 della legge n. 244 del 2007 (finanziaria 2008), prescrive come nessun atto comportante spesa può ricevere attuazione, se non preventivamente reso noto, prevedendo che l'amministratore che abbia disposto il pagamento e il destinatario del medesimo sono tenuti al rimborso, a titolo di danno erariale, di una somma pari a dieci volte l'ammontare eccedente la cifra consentita -:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza della grave situazione sopra descritta, compreso il doppio compenso affidato all'amministratore delegato e se intendano attivarsi affinché la società Consip S.P.A., interamente partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze, provveda alla sollecita pubblicazione sul suo sito Web, secondo i termini previsti dall'articolo 3, comma 44, della legge n. 244 del 2007 (finanziaria per il 2008), degli incarichi e delle consulenze con i relativi nomi e compensi percepiti.
(4-08218)

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GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
II Commissione:

CONTENTO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
in data 18 luglio 2010, sui maggiori quotidiani nazionali, è stato pubblicato un comunicato della «Esselunga Spa», nel quale vengono evidenziate alcune circostanze di fatto relative all'acquisto di un terreno in comune di Modena sul quale, in forza di un piano particolareggiato all'epoca in corso di approvazione, era prevista la realizzazione di un supermercato;
in particolare, il comunicato fa riferimento ad un incontro voluto dal comune di Modena, nel corso del quale, «l'assessore Daniele Sitta proponeva ancora una volta, ai tre rappresentanti di Esselunga intervenuti, di insediarsi in un altro luogo e di cedere a Coop Estense il proprio lotto...» aggiungendo che «in mancanza di ciò, o di un accordo fra Esselunga e Coop Estense per realizzare qualcosa il comune avrebbe cambiato le destinazioni d'uso, cancellando l'uso commerciale»;
l'intera vicenda risulterebbe, tra l'altro, essere già stata oggetto di pubbliche iniziative da parte della stessa «Esselunga Spa» o di suoi rappresentanti;
il clamore dei fatti denunciati e il sospetto dell'esistenza di comportamenti suscettibili di essere vagliati dall'autorità giudiziaria non parrebbe aver indotto quest'ultima ad avviare indagini allo scopo di verificare la fondatezza dei rilievi mossi dalla società e l'eventuale responsabilità penale degli autori -:
se siano state avviate indagini in relazione a quanto esposto in premessa e se risulti quale esito abbiano avuto.
(5-03315)

RAO e RIA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
in molte città italiane sono arrivate ai giudici onorari di tribunale (Got) da parte dello Stato richieste di rimborso;
questi magistrati, nati nel 1998, non sono dipendenti statali, bensì avvocati che, dietro un compenso basso (73 euro a udienza) avevano il compito di aiutare provvisoriamente i magistrati togati a smaltire l'enorme mole di arretrato dei tribunali: un lavoro che non potevano rifiutarsi di svolgere, pena la revoca;
a incarico svolto, gli onorari presentavano un resoconto della loro attività e le cancellerie, dunque un funzionario statale, liquidava le loro spettanze;

il 4 settembre del 2008, tuttavia, il Ministero della giustizia ha emesso una circolare (cui è stato dato valore retroattivo) con la quale ha stabilito che alcuni incarichi non dovevano essere loro retribuiti;
così, dopo 10 anni, i Got del tribunale di Alessandria si sono visti richiedere indietro 225.600 euro; a Venezia ne sono stati richiesti 160.000 e da gennaio 2010 è stato loro trattenuto 1/5 dello stipendio; a Firenze il tribunale, per recuperare denaro, ha bloccato i pagamenti e per 9 mesi i Got hanno continuato a lavorare a paga zero; a Roma, dove sono stati richiesti 60.000 euro, il dirigente non ha retribuito i componenti dei tribunali collegiali;
la magistratura onoraria non ha un ruolo complementare e occasionale, ma anzi svolge una funzione assolutamente fondamentale nel rispondere ad una domanda di giustizia che sempre più massicciamente proviene dai cittadini;
l'Italia ha evitato, grazie all'attività di giudice onorario di tribunale e vice procuratore onorario, migliaia di condanne dall'unione europea o una pioggia di ricorsi per la legge Pinto, quella che prevede un risarcimento alle parti di un processo quando la sentenza arriva con troppi anni di ritardo -:
quali urgenti ed opportune iniziative intenda adottare, al fine di risolvere questa intollerabile situazione che colpisce operatori del diritto altamente qualificati.
(5-03316)

Interrogazione a risposta in Commissione:

GHIZZONI, MIGLIOLI, LEVI e SANTAGATA. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
la giunta regionale dell'Emilia-Romagna ha presentato alla commissione assembleare la relazione annuale (maggio 2010) sulla situazione penitenziaria in Emilia-Romagna, come previsto dall'articolo 9 della legge regionale n. 3 del 2008;
nella relazione vengono fornite informazioni sulla situazione penitenziaria a livello nazionale e regionale, evidenziando il problema del sovraffollamento, l'utilizzo di misure alternative alla detenzione, i principali interventi per il reinserimento sociale delle persone in area penale e gli interventi in campo sanitario;
al 31 dicembre 2009 in Emilia-Romagna erano presenti 4.488 detenuti con un tasso di sovraffollamento rispetto alla capienza regolamentare di 2.408 detenuti, del 186,37 per cento;
alla casa circondariale di Piacenza, all'ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia, alle carceri di Modena, Bologna e Ferrara, i detenuti sono più del doppio. Negli altri istituti penitenziari (Parma, Forlì, Rimini) il numero di detenuti supera di un terzo la capienza regolamentare. Il problema più grave rimane per il carcere di Bologna che, con una capienza consentita di 494 persone ne ospita 1.147;
secondo una recente dichiarazione del provveditore regionale Nello Cesari la difficile situazione in cui si trovano le carceri dell'Emilia-Romagna sarebbe dovuta a passati errori di natura strategica, all'introduzione di nuovi riti processuali, al conseguente allungamento dei tempi di celebrazione dei processi, e alla crescita esponenziale delle detenzioni di tossicodipendenti e clandestini;
l'Emilia-Romagna è l'unica regione d'Italia con un dato di presenze superiore di oltre il 100 per cento rispetto alla capienza; inoltre, benché il trend di permessi e autorizzazioni a scontare la pena fuori dalle prigioni non sia completamente negativo risulta ancora di molto inferiore alle necessità per contribuire a risolvere il grave problema del sovraffollamento;
l'Emilia-Romagna è agli ultimi posti in Italia anche per il rapporto tra numero di detenuti e agenti di polizia penitenziaria. Gli agenti effettivamente operanti al 31 dicembre 2009 erano 1.710, in pianta organica ne erano previsti 2.401, rispetto

ad un organico assegnato di 1.990, fatto che rivela una carenza del 28,8 per cento degli organici previsti. Riguardo agli educatori, oltre ai 26 presenti nell'anno 2008, presso gli istituti penitenziari a metà anno 2009 ne sono stati inseriti, a seguito di assunzione, altri 11;
le condizioni di vita in carcere sono allarmanti, si registrano episodi di aggressioni, violenze, autolesionismi e persino suicidi fra i detenuti, oltre a fenomeni di grave disagio tra il personale che opera negli istituti penitenziari. È da sottolineare che ogni anno, dal 2007 al 2009, pur non variando sensibilmente la capienza regolamentare, la capienza tollerabile è aumentata, ma è aumentato sensibilmente anche l'indice di sovraffollamento, arrivando a circa il 35 per cento in soli tre anni. Un dato che conferma l'andamento nazionale è l'incremento delle custodie cautelari a carico soprattutto dei detenuti stranieri, che aumenta proporzionalmente all'aumentare del totale della popolazione detenuta;
al 31 dicembre 2009 negli istituti penitenziari della regione sono presenti 2.361 stranieri superando così il 52 per cento dei detenuti e in alcuni istituti si supera il 60 per cento. In Emilia-Romagna, nonostante le difficoltà, vi sono soggetti stranieri, con o senza permesso di soggiorno, ai quali è stato concesso di fruire di una misura alternativa al carcere;
i detenuti residenti in regione si attestano su una percentuale di poco superiore a quella del 2008, con una netta diminuzione percentuale però rispetto all'anno 2007. Infatti, poco meno del 60 per cento (2.626 detenuti) dei detenuti presenti nelle carceri è residente sul territorio regionale. Il dato della residenzialità dei detenuti è rilevante perché il percorso di inserimento sociale è agevolato dal trascorrere la pena nel territorio di riferimento;
per quanto riguarda la posizione giuridica, in Emilia-Romagna risultano condannati in via definitiva 1.882 detenuti, il 41,9 per cento a fronte di un dato nazionale del 51 per cento, mentre 2.156 sono imputati in attesa di giudizio, il 48 per cento a fronte del 50 per cento (2.230) del 2008, gli internati si assestano sul 10 per cento della popolazione carceraria, come nel 2008;
tra la popolazione detenuta, anche per quanto riguarda gli stranieri, sono prevalentemente detenuti definitivi che possono beneficiare dei progetti trattamentali previsti per legge. Infatti per non definitivi, pur permanendo in istituto per un periodo relativamente lungo a causa dei già citati lunghi tempi della giustizia, non è possibile attivare percorsi rieducativi e di reinserimento nella presunzione di non colpevolezza;
per quanto riguarda le tipologie di reato ascritte ai detenuti, i dati regionali vedono i reati contro il patrimonio al primo posto, per i detenuti italiani con il 31,14 per cento (il 18,082 per cento per gli stranieri). I reati contro la persona sono la seconda causa di carcerazione per il 18,50 per cento dei detenuti italiani (il 3,98 per cento degli stranieri). Il 31,34 per cento dei detenuti stranieri è in carcere per reati contro la pubblica amministrazione, mentre il 23,01 per cento per reati legati alla droga contro il 10,24 per cento dei detenuti italiani;
la cosiddetta «legge stranieri», la legge n. 94 del luglio 2009, che contiene tra l'altro restrizioni sulla condizione giuridica degli stranieri con l'inserimento del reato di clandestinità, ha portato in carcere il 6,36 per cento dei detenuti stranieri, con un incremento rispetto all'anno precedente;
per quel che riguarda la condizione lavorativa dei 1.232 detenuti rilevati (il 72,5 per cento non è stato rilevato) solo 419 (34 per cento) risultano avere un'occupazione, 675 risultano disoccupati (circa il 55 per cento) e 39 in cerca di occupazione, quindi poco meno del 3 per cento della popolazione carceraria rilevata. Questi dati confermano la natura del carcere come contenitore di esclusione sociale. Il lavoro in carcere è un elemento fondamentale

di umanizzazione della pena ma prima ancora costituisce un elemento di trattamento. In Emilia-Romagna solo il 38 per cento dei detenuti definitivi che corrisponde al 16 per cento della popolazione carceraria, può beneficiare del percorso trattamentale, ovvero di corsi, attività culturali e formazione. Ancora più basso il numero di detenuti che lavorano non alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria, che si attestano sul 2,25 per cento del totale della popolazione carceraria;
per quanto riguarda le opportunità di lavoro in carcere, per gli stranieri i valori sono inferiori a quelli degli italiani, soprattutto in relazione all'elevato turnover, a testimonianza della difficoltà incontrata dagli stranieri nell'usufruire di un elemento del trattamento penitenziario. Nonostante vengano offerte pari opportunità a tutti i detenuti, solo il 17,16 per cento di essi lavora registrando, tuttavia, un lieve aumento rispetto all'anno precedente (16,8 per cento), solo 20 detenuti non italiani (1,06 per cento) lavorano non alle dipendenze dell'amministrazione penitenziaria (in proprio, per datori esterni, in imprese, in cooperative), in questo caso si registra un calo di circa mezzo punto percentuale rispetto al 2008. Allo stesso modo, più bassa è la partecipazione degli stranieri ai corsi professionali attivati negli istituti. I detenuti iscritti ai corsi professionali attivati nel secondo semestre del 2009 sono in regione il 4 per cento (5,5 per cento nel 2008), e solo l'1 per cento della popolazione carceraria straniera ha avuto accesso ai corsi professionali;
per quanto riguarda le donne detenute in Emilia-Romagna, al 31 dicembre 2009 la loro presenza è di 159, che rappresenta il 3,54 per cento della popolazione carceraria. Di queste 97, che rappresenta il 61 per cento delle detenute, non sono italiane e provengono per il 54 per cento dall'Europa (prevalentemente da Unione europea, ex Jugoslavia, Albania) il 28 per cento proviene dall'Africa (prevalentemente da Tunisia, Marocco, Algeria, Nigeria), il 9,3 per cento proviene dal Centro e Sud America e solo lo 0,7 per cento proviene dall'Asia. Le detenute in attesa di giudizio sono il 55 per cento, le detenute con pene definitive, che sono 71, complessivamente rappresentano circa il 45 per cento, tra le detenute con pene definitive quasi il 51 per cento ha pene inferiori a tre anni, e il 73 per cento ha una pena residua inferiore a tre anni, eppure solo una minima parte di loro usufruisce delle pene alternative. Solo 3 donne su 91 presenti nelle carceri della regione al 31 dicembre 2009 erano iscritte a corsi professionali, per un totale di 6 donne che hanno intrapreso corsi di cucina e ristorazione, arte e cultura, orientamento al lavoro e pulizia. Sono 24 le donne che lavorano alle dipendenze dell'Amministrazione penitenziaria, di cui 14 non italiane;
per quanto riguarda la situazione dei bambini in carcere, in Emilia-Romagna si confermano i dati del 2008: due bambini di età inferiore a tre anni, uno a Bologna e uno a Forlì. Nel corso dell'anno tuttavia ancora capita che alcune madri siano tratte in arresto con bambini i quali trascorrono in carcere qualche tempo. In questi casi di solito, quando previsto dalla norma, il territorio si attiva per fornire soluzioni alternative. La realtà regionale non si discosta molto da quella italiana dove la normativa tende a ridurre il fenomeno dei bambini in carcere;
per quanto riguarda il dato di flusso, gli ingressi dalla libertà di donne in corso dell'anno è di 449, di cui 255 sono gli ingressi di donne straniere circa il 57 per cento, rispetto ad un 58,7 per cento dell'anno precedente;
come viene evidenziato dai dati sopra riportati il sovraffollamento pregiudica di fatto ogni possibilità di percorso riabilitativo dei detenuti, così come previsto dalla Costituzione, e aggrava la condizione sanitaria, causando pericoli di contagi e pandemie. In generale, a fronte di un indice nazionale di sovraffollamento del 149,5 per cento, in Emilia-Romagna si riscontra un indice superiore al 185 per cento, che rende la regione quella con le

strutture penitenziarie più sovraffollate d'Italia;
tale situazione rende contestualmente insostenibili le condizioni di lavoro del personale di Polizia penitenziaria, già alle prese con una consolidata condizione di organici sottodimensionati;
nell'aprile 2009, a seguito della riunione della commissione regionale per l'area dell'esecuzione penale adulti, il presidente della regione, Vasco Errani, ha scritto al Ministro della giustizia Angelino Alfano, sottolineando la difficile situazione degli istituti penitenziari dell'Emilia-Romagna e chiedendo un intervento urgente;
il Piano carceri per l'Emilia-Romagna dovrebbe riguardare i 12 istituiti penitenziari. Lo scopo è quello di elevare a oltre 4.000 posti la capienza delle carceri emiliano-romagnole, per questo sarebbero previsti lavori di ristrutturazione e ampliamento delle strutture già esistenti. Tra gli interventi più significativi, il completamento del carcere di Forlì, i lavori di completamento del penitenziario di Rimini, la fine dei lavori al carcere di Parma che vede altri 200 posti, in 4 sezioni. Ulteriori padiglioni nelle varie strutture porteranno 150 posti a Modena, 200 a Piacenza, 200 a Parma, 200 a Ferrara e 200 a Bologna. Di tutti questi interventi, risultano già appaltati quelli di Modena (previsto completamento dei lavori tra un anno e mezzo); a Piacenza si sta valutando la possibilità di una gara d'appalto, mentre tutti gli altri intervenuti sono ancora nella fase di progettazione. Questi numeri, tuttavia, necessitano di ulteriori conferme che, si presume, verranno rese note nel corso del 2010;
la Conferenza regionale «Volontariato Giustizia» dell'Emilia-Romagna ha espresso, in una lettera aperta alle autorità dei vari territori, la preoccupazione per la disastrosa situazione del sovraffollamento delle carceri e, riconoscendosi nelle considerazioni espresse dal Comitato nazionale per la bioetica, con particolare riferimento all'alto numero dei suicidi verificatisi nei primi mesi del 2010, sollecita il Governo perché metta in atto tutti gli strumenti disponibili a promuovere una maggiore applicazione delle misure alternative alla pena;
per quanto attiene alla situazione nella provincia di Modena, al 21 luglio 2010, la pianta organica della polizia penitenziaria prevedeva 226 agenti. Il dato complessivo del personale assegnato contava 188 agenti, compreso il personale distaccato presso le strutture di Castelfranco e Saliceta San Giuliano. Gli agenti effettivamente in servizio presso la casa circondariale di Sant'Anna erano 170, di cui 20 impiegati in funzioni amministrative. Gli agenti, quindi, effettivamente destinati alla vigilanza dei detenuti risultavano 150 a fronte di una popolazione carceraria di 471 detenuti, di cui due terzi extracomunitari;
ad un atto di sindacato ispettivo presentato dall'interrogante sulle condizioni dei detenuti, il personale carcerario e sul piano carceri (4-01762 del 14 luglio 2009) non è stata ad ora data alcuna risposta -:
quali iniziative il Ministro intenda attuare al fine di intervenire sul grave sovraffollamento del sistema carcerario dell'Emilia-Romagna e in particolare dell'istituto di Modena;
se, a fronte della persistente carenza di organico, il Governo non ritenga di prevedere un'ulteriore messa in servizio di personale tecnico (educatori, assistenti sociali, e altri) e di polizia penitenziaria al fine di ottemperare alle attuali previsioni organiche;
quali interventi e con quale tempistica, con il cosiddetto «piano carceri», si preveda di attuare sul carcere di Modena al fine di ovviare all'attuale, insostenibile, sovraffollamento.
(5-03302)

Interrogazioni a risposta scritta:

TIDEI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
un dossier presentato il 15 luglio 2010 alla Camera dei deputati dalle associazioni «Antigone» e «A buon diritto» denuncia per l'ennesima volta le inumane condizioni degli istituti penitenziari nazionali; le risultanze del dossier, sulla base delle visite effettuate tra il 21 giugno e il 2 luglio in 15 tra i più affollati istituti di pena nazionali, fanno ritenere che le nostre carceri (così come gli ospedali psichiatrici giudiziari) sono ormai «fuori legge» e rappresentano una costante e palese violazione dell'articolo 3 della Convenzione europea, in quanto luoghi di tortura o trattamento inumano o degradante;
il sovraffollamento sempre crescente rende le condizioni attuali della vita carceraria lontane anni luce da quelle che un Paese normale dovrebbe pretendere per rispetto della dignità umana. Secondo gli ultimi dati del Ministero della giustizia i detenuti presenti al 30 giugno 2010 erano 68.210 a fronte di una capienza regolamentare di 44.658. Si tratta evidentemente di una situazione esplosiva e che un Governo distratto continua a sottovalutare se anche un pannicello caldo come il disegno di legge sulla detenzione domiciliare, pur presentato dallo stesso Governo, non riesce a trovare d'accordo la stessa maggioranza;
in tale contesto non sorprende che il numero dei suicidi nelle carceri italiane aumenta in misura esponenziale: dall'inizio dell'anno sono già 35 i detenuti che si sono tolti la vita. 29 i suicidi per impiccagione, 6 morti asfissiati con il gas delle bombolette in uso celle. L'ultimo detenuto si è impiccato il 7 luglio, nel carcere di Padova. È il suicidio numero 592 dal 1o gennaio 2000. Si tratta di numeri tragici che confermano un trend in notevole aumento inaugurato lo scorso anno che ha visto ben 69 detenuti suicidi a fronte dei 46 del 2008 e dei 45 del 2007. La situazione appare davvero preoccupante se anche la Commissione bicamerale di inchiesta della Camera sugli errori sanitari ha chiesto una relazione al capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, dottor Franco Ionta;
il famoso piano straordinario carceri, risposta unica edilizia del Governo Berlusconi, non decolla. Certamente per le note difficoltà finanziarie ma anche che per le difficoltà «burocratiche» derivanti dall'aver nominato la Protezione civile e Bertolaso braccio operativo dell'intera operazione immobiliare. Nel frattempo non si intravede all'orizzonte politico nessuna risposta di sistema: riduzione dell'area penale, la citata estensione della detenzione domiciliare, decarcerizzazione dei detenuti tossicodipendenti, espansione delle misure alternative, strutture detentive «leggere», territorializzazione della pena;
altrettanto pesante appare la situazione del personale penitenziario con gli agenti sottoposti a turni durissimi e il personale di trattamento che, per gravi carenze di organico o di difficoltà di inquadramento, vedono svilire il loro ruolo e la loro funzione professionale -:
quali iniziative urgenti intenda adottare per affrontare la situazione vergognosa per il nostro Paese costituita dalle condizioni incivili degli istituti penitenziari in funzione del ripristino di quel minimo di vivibilità e rispetto della persona umana che anche luoghi deputati all'espiazione dei reati dovrebbero conservare.
(4-08205)

REALACCI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa e dai quotidiani il Tirreno e la Nazione del 27 luglio 2010, due detenuti di nazionalità albanese, Roland Dedja e Bledar Shehu, sono evasi intorno alle ore tredici e trenta, del 26 luglio 2010 dal carcere Don Bosco di Pisa durante l'ora d'aria;
gli evasi sono, a dispetto della giovane età, criminali di provata pericolosità con a carico, tra le altre, condanne per omicidio, tentato omicidio, spaccio e rapina;

secondo una prima ricostruzione i due detenuti si sarebbero arrampicati tramite una tettoia del cortile interno, arrivando primariamente al muro di intercinta. Calatisi poi con un lenzuolo e arrivati alla parete perimetrale si sarebbero serviti dei tubi del sistema di condizionamento per scavalcare il muro esterno e darsi alla fuga;
l'impianto di sicurezza esterno «anti-scavalco» era fuori uso da tempo a causa della mancanza di fondi per la sua riparazione;
si apprende inoltre, che a sorvegliare la cinquantina di detenuti sparsi nei tre cortili dell'istituto di pena ci sarebbe stata una sola guardia di polizia penitenziaria, che doveva anche controllare il cancello di accesso al reparto: condizione di cui avrebbero tenuto conto gli evasi stessi;
il carcere Don Bosco di Pisa, non diversamente da altre strutture di pena in Italia, è afflitto da anni da carenze di organico, dal sovraffollamento, 480 reclusi rispetto ai 250 posti regolamentari, e da mancanza di fondi per l'ordinaria manutenzione dei sistemi di sicurezza del carcere e delle strutture interne all'istituto; a ciò si aggiunge il fatto che il direttore, dottor Vittorio Cerri, gestisce contemporaneamente ben due strutture: quella di Pisa e il carcere di Massa;
le carceri toscane patiscono una generale carenza del personale effettivamente in servizio, che arriva fino a punte del 50 per cento in meno rispetto agli organici che dovrebbero essere garantiti da regolamento. Un fenomeno che si verifica soprattutto per l'effetto delle richieste di trasferimento in altre sedi del Mezzogiorno, provocando l'emorragia di personale nelle carceri del Centro Nord, fra cui appunto la Toscana -:
quale sia l'esatta dinamica di questo episodio e se intenda aprire una rigorosa inchiesta amministrativa sull'evasione dei due detenuti dal carcere di Pisa;
se non si reputi inoltre opportuno intervenire urgentemente, mettendo a disposizione del carcere Don Bosco di Pisa i fondi necessari, per rimettere in funzione il sistema di sicurezza «antiscavalco»;
se non si reputi altresì opportuno intervenire in modo deciso per sopperire alla carenza dell'organico del personale di polizia penitenziaria assegnato al carcere di Pisa e se non si ritenga necessario affrontare con la massima urgenza la grave questione delle condizioni in cui versano le carceri italiane per sovraffollamento, accesso alle cure mediche e carenza di operatori, criticità già oggetto di altri atti di sindacato ispettivo da parte dell'interrogante, il cui iter è ancora in corso.
(4-08206)

GARAVINI. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
nel mese di giugno 2010 il tribunale distrettuale per il riesame di Catanzaro ha disposto l'annullamento pressoché integrale dell'ordinanza di custodia cautelare in carcere riguardante la cosca 'ndranghetistica Lo Bianco, che grandi aspettative aveva suscitato nella cittadinanza di Vibo Valentia, da anni assoggettata a pervasive imposizioni della criminalità organizzata;
il presidente del tribunale per il riesame, dottoressa Adalgisa Rinardo, durante lo svolgimento della procedura è stato invitata ad astenersi per gravi motivi di opportunità, dalla locale procura della Repubblica, dal giudicare sulla ordinanza di custodia cautelare, fino ad allora passata al vaglio di ben tre giudici per le indagini preliminari;
le motivazioni di tale invito stavano nel fatto che nel corso di un precedente giudizio sulla cosca Lo Bianco, celebrato innanzi alla corte d'appello di Catanzaro, il figlio del predetto presidente di sezione avvocato Giovanni Cefalì, aveva assunto, per circa tre mesi, fino al gennaio 2010, la difesa di Barba Francesco, esponente di spicco della medesima consorteria 'ndranghetistica successivamente colpita dal provvedimento cautelare;

benché l'invito all'astensione avesse evidenziato che la sentenza emessa all'esito del giudizio al quale l'avvocato Cefalì aveva partecipato quale difensore fosse uno degli elementi a base dell'ordinanza di custodia cautelare sottoposta al vaglio del tribunale per il riesame e, soprattutto, che dalle indagini sfociate in tale ultimo provvedimento fosse emerso come i vertici della cosca, tra i quali il genero di Carmelo Lo Bianco e Andrea Mantella, fossero soliti addossarsi le spese per la difesa in giudizio dei singoli affiliati, la dottoressa Rinardo non ha inteso accoglierlo ed ha proceduto all'annullamento dell'ordinanza per il delitto di associazione mafiosa;
senza voler adombrare alcun sospetto nei confronti del presidente del tribunale per il riesame, è evidente come tale comportamento finisca per compromettere gravemente l'immagine di terzietà e di indipendenza che deve caratterizzare l'operato dell'ordine giudiziario, soprattutto in terre pervase da antichi e motivati sospetti di collusioni tra gli apparati dello Stato ed il crimine organizzato emersi in numerose inchieste;
l'ordinamento giudiziario non preclude indefettibilmente la possibilità di permanenza dei magistrati in luoghi ove loro stretti congiunti svolgano attività forense - attribuendo al Consiglio superiore della magistratura il potere di valutare, in concreto, se tale situazione possa determinare situazioni anche solo potenziali di conflitto di interesse, e di imporre le prescrizioni necessarie al fine di evitare lo loro insorgenza, quali il trasferimento in altra sede ovvero ad altre funzioni nell'ambito del medesimo ufficio giudiziario - è del tutto evidente come particolare sensibilità sia da richiedersi nei magistrati allo scopo di evitare che nell'opinione pubblica possa diffondersi il dubbio, anche infondato, di condizionamenti del giudice nello svolgimento dei suoi delicati compiti di amministrazione della giustizia;
il citato avvocato Cefalì risulta, dal sito internet dell'ordine degli avvocati, iscritto all'albo dal 2003, e dovendosi presumere che la dottoressa Rinardo abbia comunicato tale circostanza al Consiglio superiore della magistratura, non risulta, peraltro, l'adozione, da parte di tale organo, di alcun provvedimento di merito sulla questione, circostanza quanto mai inusuale, stante la necessità di adozione delle prescrizioni necessarie ad evitare eventuali situazioni di incompatibilità, anche in considerazione della dirigenza, da parte della dottoressa Rinardo, di un organo giudicante con competenza distrettuale, inclusiva pertanto del circondario di Lamezia Terme;
prescindendo dal merito della specifica vicenda, che spetta agli organi della magistratura accertare nei vari gradi di giudizio, senza alcuna interferenza da parte di organi estranei al potere giudiziario, sarebbe necessario accertare, anche attraverso procedure ispettive specifiche, se la dottoressa Rinardo, abbia segnalato al consiglio giudiziario presso la Corte d'appello di Catanzaro ed al Consiglio superiore della magistratura la circostanza della iscrizione del figlio, avvocato Giovanni Cefalì, all'Albo degli avvocati di Lamezia Terme nonché se la dottoressa Rinardo, dopo aver comunicato la circostanza dello svolgimento da parte del figlio dell'attività di avvocato iscritto al foro di Lamezia Terme, abbia segnalato eventuali nuove circostanze modificative della situazione originariamente oggetto di segnalazione, comprendendo in questo eventuali cancellazioni e reiscrizioni del figlio -:
se risulti comunque vero che l'avvocato Giovanni Cefalì, abbia in precedenza assunto, sia pure per un periodo limitato, per giunta succedendo a un precedente difensore che veniva contestualmente revocato, la difesa di fiducia di Barba Francesco, successivamente condannato per la propria appartenenza alla cosca capeggiata da Carmelo Lo Bianco, pure imputato e condannato nel medesimo procedimento, e successivamente incluso tra i soggetti sottoposti al vaglio della dottoressa Rinardo come presidente del Tribunale per il riesame di Catanzaro;

se, con riferimento ai fatti predetti si intendano assumere iniziative ispettive per l'esercizio dei poteri di competenza.
(4-08217)

ANGELA NAPOLI, LEOLUCA ORLANDO e LO MORO. - Al Ministro della giustizia. - Per sapere - premesso che:
nei giorni scorsi ha suscitato in Calabria grande commozione la tragica scomparsa del provveditore regionale degli istituti penitenziari, dottor Paolo Quattrone;
il dottore Quattrone, persona di notevole esperienza nel settore dell'amministrazione penitenziaria, amava molto il suo lavoro ed ha sempre svolto la propria funzione per rendere meno disumano il carcere, introducendo il lavoro e la formazione di figure professionali in alcune strutture penitenziarie;
la stessa interrogante ha avuto modo di apprezzare l'opera umana del dottore Quattrone;
la tragica scomparsa sarebbe stata addebitata ad alcuni problemi avuti con la struttura penitenziaria di Cosenza;
l'istituto penitenziario di Cosenza, nel 1985, ha registrato l'uccisione del suo direttore, Sergio Cosmai, al cui mandante è stato dato un nome solo nei mesi scorsi, quindi, dopo ben 25 anni;
sempre nell'istituto penitenziario di Cosenza, nel 2006 è stato intercettato un preoccupante colloquio tra politici, uno dei quali a suo tempo detenuto, i cui contenuti sono stati pubblicati sulla stampa del mese di novembre dello stesso anno, ma che poi inspiegabilmente non hanno avuto alcun epilogo giudiziario -:
se non ritenga necessario ed urgente far avviare un'adeguata indagine interna sulla struttura penitenziaria di Cosenza.
(4-08219)

...

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:

MEREU. - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. - Per sapere - premesso che:
dopo le segnalazioni e le denuncie dei mesi scorsi si registrano nuovamente notizie di disservizi e disagi notevoli sulla linea di trasporto ferroviario regionale sarda, nel tratto che collega Cagliari a Carbonia;
nuovi problemi non meglio identificati sulla linea, soppressioni selvagge dovute a scioperi dei lavoratori addetti all'operatività della linea, ritardi e mancanza di coordinamento nelle coincidenze vengono ripetutamente e nuovamente denunciati dai passeggeri fruitori del servizio che subiscono ormai da mesi una situazione di disagio ancora non risolta e non più tollerabile;
la vicenda è stata recentemente segnalata con altri atti di sindacato ispettivo che denunciavano la situazione, a cui il Governo ha risposto con l'impegno ad attivarsi al fine del superamento della problematica in questione, ma allo stato attuale non si riscontra ancora nessun miglioramento in funzione della risoluzione della vicenda;
è necessario un urgente e tempestivo intervento risolutore della problematica che sta recando continui disagi a moltissimi cittadini sardi, rendendone insostenibile la qualità della loro vita e le attività lavorative e familiari -:
quali urgenti e improcrastinabili iniziative di competenza intenda adottare per risolvere gli ormai insostenibili disagi che ricadono gravemente sui cittadini che utilizzano la rete di trasporto ferroviario sulla tratta Cagliari-Carbonia.
(3-01199)

TESTO AGGIORNATO AL 10 FEBBRAIO 2011

INTERNO

Interpellanza:

Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro per i beni e le attività culturali, per sapere - premesso che:
si fa riferimento a fatti nuovi verificatisi in questi giorni e concernenti il progetto CIVIS, i cui cantieri situati nel centro di Bologna la stanno devastando e soprattutto mettendo a serio rischio gli edifici medievali e le due torri che costituiscono l'immagine di Bologna nel mondo;
al riguardo si citano le affermazioni del professor Enzo Boschi presidente dell'istituto italiano di vulcanologia, che nel corso di una conferenza stampa ha affermato che il passaggio del nuovo filobus - lungo oltre 18 metri - in via San Vitale e strada Maggiore, può infatti «accelerare i processi» che già minano la stabilità degli edifici di quella parte di centro. A partire proprio dalle due Torri. Le vibrazioni del Civis (con centinaia di passaggi quotidiani sotto Asinelli e Garisenda), sommate alla subsidenza che affonda ogni anno di più l'area di Via Zamboni e ai riflessi delle scosse sismiche dell'Appennino, «avranno un impatto pesante sulla stabilità di edifici già molto deboli e fragili». È una questione di prevenzione. In un centro storico che non è sano e robusto ma fragile, si è chiesto se le due Torri possano crollare; il professore ha risposto: «Non voglio fare paura. Ma dico di si». Alla richiesta di quando ciò possa accadere la risposta è stata: «Non si può dire. Ma se lo vogliamo conservare, dobbiamo fare qualcosa»;
occorre inoltre aggiungere che oggi come oggi non è ancora stata resa pubblica la valutazione d'impatto ambientale (VIA) del CIVIS; risulta però che la Via «sia stata fatta solo sulle opere preliminari e non, come vuole la legge regionale, sul progetto definitivo». Insomma, la Via esistente riguarderebbe un progetto diverso da quello attuale «diventa urgente capire di che progetto parla la Via». Anche perché «la Provincia a suo tempo espresse sul progetto Civis fortissimi dubbi e impose tantissime prescrizioni» -:
quali iniziative si intendano assumere a fronte di tali nuovi e preoccupanti elementi.
(2-00799)
«Garagnani, Mazzuca, Cazzola, Carlucci».

Interrogazioni a risposta scritta:

SCILIPOTI. - Al Ministro dell'interno. - Per sapere - premesso che:
molte prefetture, in particolare la prefettura di Torino, richiedono giustificazioni documentali per il rilascio delle licenze di porto d'armi per difesa personale alle guardie ittiche-venatorie e zoofile, emanando circolari dispositive, di dubbio fondamento giuridico, a valore di vera e propria disposizione di legge;
inoltre, molte prefetture e questure valutano con diffidenza e sfiducia l'operato meritorio, svolto a titolo gratuito delle guardie volontarie ed adottano i provvedimenti restrittivi, nei confronti del personale volontario, con limitazioni alle licenze di porto d'armi delle guardie volontarie, che pregiudicano di fatto l'incolumità personale di tali soggetti ai quali ai sensi di legge viene riconosciuta la qualifica di pubblico ufficiale nonché agenti di polizia giudiziaria;
le mansioni delle guardie ittiche-venatorie e zoofile, si sostanziano fondamentalmente nella vigilanza anche notturna dei parchi, dei corsi d'acqua del territorio provinciale, in pieno coordinamento con le forze dell'ordine e con gli agenti dipendenti delle province. Nella pratica del servizio, accade sovente di imbattersi in vandali, bracconieri e pescatori di frodo;
tali soggetti, una volta colti in flagrante, frequentemente armati come nel caso di bracconieri, vanno sottoposti ad

identificazione e disarmati dalle Guardie volontarie nell'esercizio delle proprie funzioni;
tale necessario e pericoloso servizio pertanto necessita logicamente, in capo alla singola guardia, della concessione del porto d'armi per difesa personale. Un profilo su cui bisogna assolutamente focalizzare l'attenzione è la fondamentale differenza intercorrente tra le guardie giurate ittico-venatorie e zoofile da un lato, di risalente istituzione attraverso i decreti n. 773 del 1931 (T.U.L.P.S) - 1604/1931 Testo unico sulla pesca e la legge n. 157 del 1992 articolo 27, comma 1, lettera b) - la guardia venatoria, nonché le guardie zoofile previste dall'articolo 6, comma 2, della legge n. 189 del 2004, e le GEV (guardie ecologiche volontarie) istituite e regolate unicamente dalle leggi regionali (legge regionale n. 32 del 1982 in Piemonte);
si evince senza dubbio che le competenze delle guardie ittiche-venatorie e zoofile sono assolutamente specifiche per il contrasto ad attività illecite quali bracconaggio, pesca di frodo e maltrattamento di animali utilizzati per combattimenti clandestini, particolare attività illecita portata in essere da organizzazioni criminali anche note e pericolose;
un'altra attività, d'importanza rilevante ai fini del controllo del territorio, è senza dubbio quella dello smaltimento abusivo di rifiuti, operato senza scrupoli in luoghi isolati ed ai margini delle città ove vi sono attività di spaccio e prostituzione da parte di soggetti pericolosi, ovvero il servizio portato in essere dalla guardia ittico-venatoria e zoofila, rispetto alle mansioni GEV con un più specifico ruolo di repressione delle attività illecite sopra menzionate, nonché in attività di prevenzione al vandalismo nei parchi pubblici. Il servizio si svolge prevalentemente nottetempo e con non infrequenti contatti ravvicinati con soggetti criminali ed armati;
il 12 maggio 2010, a Sori (Genova) sono state uccise due guardie volontarie, durante l'espletamento del servizio; la licenza di porto d'armi pertanto è assolutamente necessaria e pertanto non deve essere oggetto di discrezionalità da parte di prefetti; in caso contrario, tale servizio di prevenzione e vigilanza, svuotato di un suo requisito fondamentale, non è più espletabile, soprattutto in termini di sicurezza personale;
è la particolare natura del servizio svolto, in presenza di tutti i requisiti di legge che prescrive, a tutela degli operatori, il porto d'armi. A norma del TULPS - regio decreto n. 773 del 18 giugno 1931, e successive modifiche e della normativa di cui agli articoli 27 e 28 della legge 11 febbraio 1992 n. 157, regolante la materia, unica differenza in merito rispetto agli agenti dipendenti della provincia, esercenti le stesse funzioni, è infatti proprio la necessità in capo alle guardie volontarie, della licenza di porto d'armi, mentre questa non è richiesta per detti agenti dipendenti, di polizia provinciale, in quanto dotati di qualifica di agenti di pubblica sicurezza;
quanto poi specificatamente alla qualifica di guardia ittica, il regio decreto 1604 del 1931, articoli 30 e 31, prevede espressamente la qualifica di agente di polizia giudiziaria. È intuitivo, come qualsiasi agente di polizia giudiziaria, in special modo agenti impiegati, anche dall'autorità giudiziaria, per delicate e importanti operazioni inerenti alla difesa dell'ambiente e degli animali, debbano necessariamente potere prestare servizio armato, prescindendo dalle figure per così dire principali, degli agenti di pubblica sicurezza e dei carabinieri; ne sono l'ovvia conferma, infatti, gli agenti dipendenti delle province esercenti per legge le medesime funzioni delle guardie ittiche venatorie volontarie;
un assoluto profilo di pericolo, per il quale la guardia giurata volontaria è esposta, è inoltre rappresentato dalle sempre possibili azioni di rappresaglia che potrebbero essere facilmente messe in atto da coloro ai quali siano stati elevati verbali o che siano stati denunciati o in casi limite arrestati in flagranza;
vi sono inoltre pronunce a favore della tutela della difesa delle guardie volontarie,

del Consiglio di Stato (sez. 1 n. 423/2001 del 26 aprile 2001) e non si riesce a capire con quale autorità i prefetti continuino a sostenere tesi assolutamente apodittiche, costringendo tali soggetti volontari a continui ricorsi alla giustizia amministrativa, con notevole esborso di spese; il prefetto non può trasformarsi in legislatore stabilendo che una guardia, la quale ai sensi di legge, riveste pubbliche funzioni, debba dimostrare la necessità di svolgere servizio dotato di arma d'ordinanza, ovvero una particolare condizione di pericolo, con la richiesta secondo l'interrogante impropria di dichiarazioni rilasciate, agli agenti, su richiesta dei medesimi, da parte di comandanti della polizia municipale ovvero atti di convenzione ove si evinca la necessità del porto d'armi;
va constatato, inoltre, che nelle date del 2 aprile 2009, 22 febbraio 2010, a Roma, presso la sede del Ministero dell'interno, sono stati convocati i responsabili nazionali dell'A.T.G.V.I - associazione tutela guardie volontarie d'Italia per potere intraprendere delle iniziative di riforma legislativa, a favore delle guardie volontarie, presenti su tutto il territorio nazionale -:
se il Ministro dell'interno intenda risolvere definitivamente la questione promuovendo opportune iniziative normative volte a definire la situazione giuridico normativa in riferimento alla vigilanza volontaria, affinché anche per le guardie ittiche-venatorie e zoofile venga riconosciuta la qualifica di agente di pubblica sicurezza, in quanto detto personale di vigilanza è deputato per legge al controllo dei titoli di porto d'armi dei cittadini che espletano l'attività venatoria su tutto il territorio nazionale.
(4-08203)

ZAMPARUTTI, BELTRANDI, BERNARDINI, FARINA COSCIONI, MECACCI e MAURIZIO TURCO. - Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto riporta Terra di martedì 27 luglio 2010, il Veneto avrebbe assunto un ruolo da protagonista nei traffici illeciti, come testimoniano le numerose operazioni condotte dai carabinieri del Noe negli ultimi mesi;
si tratta dei traffici illeciti che coinvolgono il settore delle grandi opere e quello dei rifiuti, settori in cui la criminalità organizzata continua ad investire denaro sporco e a ricavarne enormi guadagni, condizionando la democrazia e le politiche di gestione del territorio;
il 24 giugno 2010, la procura di Padova ha scoperto un traffico di rifiuti spacciati per materia prima e fatti arrivare nella Repubblica popolare cinese. Si trattava di sostanze altamente tossiche e pericolose contrabbandate come normali merci o come rifiuti già trattati. L'operazione, denominata «Serenissima», ha portato ad un'ordinanza di custodia cautelare e numerosi provvedimenti di arresto domiciliare nei confronti di titolari e dipendenti di aziende dedite alla gestione dei rifiuti a Padova e Rovigo. Le ipotesi di reato contestate agli arrestati sono di associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti e falso documentale. La procura ha documentato il trattamento di oltre 230 mila tonnellate di rifiuti altamente tossici, per lo più carta e plastica contaminata con inquinanti di diversa natura, che sono salpati dai porti di Venezia verso la Cina. Il valore dei beni sequestrati si aggira sui 60 milioni di euro per un volume di affari stimato in circa 6 milioni di euro. I rifiuti venivano poi utilizzati nel Paese asiatico per produrre articoli di vario tipo, destinati al mercato europeo con evidenti rischi di tossicità tanto per gli operai quanto per i consumatori;
ancora, secondo i carabinieri, il porto di Venezia è lo svincolo di un'impressionante mole di amianto killer non trattato: una fibra che, secondo gli ultimi dati dell'Ispesl, ucciderebbe in Italia circa 4 mila persone ogni anno. Il responsabile veneto di Legambiente, Michele Bertucco,

presentando il rapporto Ecomafia 2010, spiega: «Il porto di Venezia si rivela, dunque, ancora una volta la testa di ponte di traffici illeciti di rifiuti destinati in Estremo Oriente. [...] Nonostante la crisi, l'immenso giro di affari dei reati contro l'ambiente ha visto aumentare il suo fatturato superando i 20 miliardi di euro all'anno»;
per quanto riguarda i reati accertati, il Veneto si colloca all'undicesima posizione con 777 reati, al primo posto la Campania con 4874 infrazioni. Il Veneto è anche la seconda regione del Nord Italia, dietro la Liguria, con 1231 reati accertati e con un forte incremento nel cosiddetto ciclo dei rifiuti tossici -:
di quali elementi disponga il Governo in merito alle notizie riferite in premessa e quali iniziative intenda adottare al riguardo, in particolare a tutela delle salute e dell'ambiente.
(4-08209)

...

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanze:

Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere - premesso che:
per effetto dei provvedimenti conseguenti al riordino della scuola secondaria e dell'applicazione del decreto-legge n. 112 del 2008, come risulta dalla pubblicazione dell'organico di diritto in via provvisoria, per l'anno accademico 2010/2011, è stato omesso dal sistema informatico (SIDI) l'insegnamento della classe di concorso C150 «Esercitazioni di portineria e pratica di agenzia», presso l'istituto d'istruzione superiore "Ettore Majorana" di Piazza Armerina;
tale notizia ha provocato le giuste proteste fra le famiglie degli studenti che frequentano le classi seconde, terze, quarte e quinta, per un totale di sei classi, che per colpa di un calcolo ragionieristico vedranno interrotta la continuità didattica del corso di studi e l'interruzione dei programmi svolti;
come segnalata dal dirigente scolastico agli uffici provinciali e regionali del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, tale omissione contrasta con situazioni analoghe verificatesi in altre regioni; per l'anno scolastico 2010/2011 nell'ufficio scolastico provinciale di Venezia esistono due istituti per il turismo (F. Algarotti e A. Gritti) con due cattedre per istituto delle classi di concorso C150 e nell'organico di diritto dell'ufficio scolastico provinciale di Palermo vi è un istituto per il turismo «Marco Polo» con una cattedra della classe di C150;
l'omissione di cui sopra, se confermata, comportando un'inaccettabile disparità fra analoghi istituti in diverse regioni d'Italia, potrebbe provocare, ad avviso dell'interpellante, un oneroso contenzioso ai danni dell'amministrazione da parte degli studenti e del docente destinatario di contratto, in servizio dall'anno scolastico 2004/2005, per profili di illegittimità e falsa applicazione del piano di studi, della circolare ministeriale n. 37/2010 e del regolamento concernente il riordino degli istituti tecnici -:
se quanto su esposto corrisponda al vero;
con quali iniziative intenda intervenire al fine di scongiurare la cancellazione dell'insegnamento della classe di concorso C150 «Esercitazioni di portineria e pratica di agenzia», presso l'istituto d'istruzione superiore «Ettore Majorana» di Piazza Armerina.
(2-00800) «Antonino Russo».

Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere - premesso che:
nei giorni scorsi è apparsa la notizia, rilevata da diversi organi di stampa locali, delle giuste proteste di genitori e docenti

provocate dal taglio di 17 prime classi presso l'IPSSAR «P. Piazza» di corso dei Mille di Palermo;
tale taglio sarebbe stato operato unilateralmente dal dirigente scolastico, attraverso il «respingimento» delle iscrizioni, alle scuole medie di provenienza, di oltre 500 alunni, di cui 13 disabili;
a causa di tale operazione, per il prossimo anno scolastico nell'istituto saranno attivate soltanto 82 classi contro le 99 dell'anno scolastico 2009/10;
è pertanto comprensibile come tale scelta abbia suscitato un coro di protesta unanime, che ha visto coinvolto il collegio dei docenti e i genitori degli alunni che hanno visto respinta la propria richiesta d'iscrizione;
le conseguenze dei suddetti tagli sono gravissime, in quanto, provocano la sottrazione ad un territorio vasto e disagiato - quale è quello su cui insiste l'istituto - di un'offerta formativa e professionale di primaria importanza;
è facile prevedere che il mancato avvio di tali classi provocherà un incremento della dispersione scolastica , già alta in quella zona, da parte di molti alunni che si vedono privati della possibilità di avvalersi di un percorso scolastico professionalizzante, come quello alberghiero, i quali non troveranno sul territorio analoga offerta se non all'altro capo della città, provocando gravi disagi per le famiglie i cui figli sono stati rifiutati;
non inferiori saranno i danni provocati ai docenti, in gran parte appartenenti all'area professionalizzante: sarebbero 72 le cattedre in meno il prossimo anno scolastico, cioè 72 docenti che perderanno il posto di lavoro impoverendo così l'intera organizzazione scolastica;
è stato denunciato, da più parti, un probabile danno per l'erario, considerato che l'amministrazione retribuirà tali insegnanti senza che abbiano delle classi, in quanto le altre scuole non sono in grado di assorbire tutti i 72 docenti soprannumerari, stante che i docenti soprannumerari in provincia di Palermo risultano 449 solo per le superiori di secondo grado -:
se sia a conoscenza di quanto esposto;
quali provvedimenti intenda assumere nell'ambito delle proprie competenze, al fine di scongiurare la mancata attivazione di 17 prime classi presso l'IPSSAR «P. Piazza» di corso dei Mille di Palermo;
quali iniziative intenda assumere, al fine di restituire agli alunni ed alle famiglie il diritto di scelta e per permettere l'accoglimento alla domanda di iscrizione presso l'IPSSAR «P. Piazza» di corso dei Mille di Palermo, anche al fine di salvaguardare anche i posti di lavoro dei 72 docenti che si vedrebbero sottratte le cattedre.
(2-00801) «Antonino Russo».

Interrogazione a risposta scritta:

GRIMOLDI e GOISIS. - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. - Per sapere - premesso che:
in data 10 luglio 2010, presso l'università degli studi di Milano, facoltà di scienze politiche, di via del Conservatorio, si è svolta la manifestazione della proclamazione laureati triennale;
in tali occasioni, è prassi elogiare i ragazzi neo-dottori che, con sacrificio e impegno, sono giunti ad un importante traguardo della loro vita;
al contrario, il discorso del preside di facoltà professor Daniele Checchi, ad avviso degli interroganti, era comparabile ad un comizio di estrema sinistra avverso il Governo e la riforma Gelmini;
inoltre, il preside ha asserito che questi dottori debbono ritenersi fortunati poiché hanno potuto usufruire del regime normale di finanziamenti prima delle ristrettezze imposte dalla nuova legislazione «che sta portando gli studenti a comprarsi

la carta igienica come alla Federico II di Napoli» e che questa legislazione, in sostanza, preclude agli allievi il diritto allo studio (riduzione dell'offerta formativa, dei laboratori e dei seminari per mancanza dei fondi), come se la ricerca degli sprechi e dell'ottimizzazione delle risorse fosse cosa nefasta;
il preside ha anche firmato una lettera, consegnata ai neo-dottori, di simili contenuti contro il Governo e la riforma Gelmini -:
se il Ministro sia a conoscenza della situazione e se non intenda intervenire nei modi più opportuni per evitare che le sedi universitarie siano politicizzate da parte dei docenti.
(4-08222)

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LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

GRAZIANO. - Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. - Per sapere - premesso che:
nel mese di settembre 2007, l'INPS ha indetto un concorso pubblico a 50 posti nei ruoli del personale amministrativo dell'area funzionale B, posizione economica B1. Il concorso si è concluso con la pubblicazione della graduatoria finale il 15 giugno 2010;
nelle more delle procedure concorsuali, l'INPS ha visto aumentare le proprie competenze a scapito di una costante e progressiva flessione della consistenza del personale rispetto alla pianta organica;
nel 2008, l'ente ha dato avvio ad un processo di riorganizzazione del proprio assetto che ha comportato una distribuzione capillare delle proprie sedi sul territorio e l'adozione di numerose iniziative finalizzate a implementare i propri servizi e a migliorarne il livello a favore dei cittadini;
le carenze di organico dell'ente risultano:
a) dalle relazioni della Corte dei Conti, Sezione di controllo sugli enti, per l'esercizio 2007 (allegata alla Delibera n. 29 del 2009) e per l'esercizio 2008 (allegata alla Delibera n. 4 del 2010). Nella prima si ravvisa che «In tema di personale, la consistenza delle presenze nel 2007 riafferma l'andamento regressivo, con una scopertura perdurante anche nel 2008, nonostante la riduzione della dotazione organica voluta dalla legge n. 133/2008, sia per le aree A-B-C, che per le aree dirigenziale e dei professionisti». Nella seconda si conferma che «Il personale evidenzia una crescente scopertura dell'organico [...] nonostante il ridimensionamento della dotazione complessiva disposto in attuazione della legge n. 133/2008»;
b) dal bilancio preventivo dell'INPS del 2009, nel quale si precisa che nel 2007 è proseguita «la contrazione della consistenza di personale in forza che alla data del 31 luglio 2008 è pari a 30.379 unità, con una riduzione del 2,66 per cento rispetto alla consistenza al 31 dicembre 2007 e una carenza complessiva rispetto all'organico di 4.535 unità»;
c) dal rapporto annuale INPS del 2009: «A fine 2009, la consistenza del personale Inps risultava essere di 27.955 dipendenti, con una carenza del 12,8 per cento rispetto alla dotazione organica prevista»;
tali carenze, a causa del blocco delle assunzioni nelle pubbliche amministrazioni, sono state colmate con il ricorso a contratti di somministrazione di lavoratori interinali;
da ultimo, il 24 marzo 2010, l'INPS ha sottoscritto un contratto per la fornitura di 900 lavoratori interinali, per 4 ore giornaliere, per 12 mesi, con mansioni di addetto all'acquisizione dati su supporto informatico e ai sistemi di archiviazione, profilo equivalente alla posizione economica B1, nei ruoli dell'area funzionale B, del CCNL degli enti pubblici non economici,

e il 25 giugno 2009 ne ha assunti altri 750, per 4 ore giornaliere, per 3 mesi, con le stesse mansioni e il medesimo inquadramento;
come ravvisato dalle rappresentanze sindacali, non di rado i lavoratori interinali sono impiegati in attività di informazione all'utenza e in altre mansioni non riconducibili alla mera attività di acquisizione dati prevista dall'appalto;
a norma dell'articolo 97, terzo comma, della Costituzione, il concorso pubblico è lo strumento generale e ordinario di reclutamento per le pubbliche amministrazioni, condizione necessaria per assicurare che le stesse rispondano ai principi di democrazia, imparzialità ed efficienza. Per assicurare la generalità della regola del concorso pubblico, la Corte costituzionale ha più volte affermato che l'area delle eccezioni deve essere delimitata in modo rigoroso (sentenze nn. 363 del 2006 e 215 del 2009). Le eventuali deroghe legislative possono essere giustificate solo da peculiari e straordinarie ragioni di interesse pubblico (sentenza n. 81 del 2006), ragioni che facciano ritenere che la deroga al principio del concorso pubblico sia funzionale alle esigenze di buon andamento dell'amministrazione (sentenze nn. 293 del 2009 e 9 del 2010);
l'INPS continua a ricorrere all'assunzione di lavoratori a tempo determinato in somministrazione nei ruoli del personale amministrativo, area funzionale B, al di fuori di qualsiasi esigenza che possa dirsi straordinaria o eccezionale, giacché i contratti di somministrazione continuano ad essere rinnovati e si susseguono da tempo, dimostrando una situazione di fabbisogno di personale che è diventata strutturale, tale da richiedere lo scorrimento della graduatoria del concorso espletato e concluso;
sotto il profilo economico, il costo finale dell'appalto per le assunzioni interinali da ultimo compiute non rappresenterebbe un risparmio di spesa per l'ente, essendo l'assunzione a tempo indeterminato di tutti i 319 idonei del concorso, proporzionalmente, più conveniente rispetto al ricorso al lavoro nella forma della somministrazione -:
quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per garantire il diritto di coloro che sono risultati idonei al concorso a vedere scorrere la graduatoria, senza che l'INPS possa sopperire alle proprie necessità di organico ricorrendo a nuove somministrazioni o al rinnovo dei contratti di lavoro interinale, molti dei quali in scadenza a dicembre 2010, e in parte nel 2011.
(5-03297)

TESTO AGGIORNATO AL 10 FEBBRAIO 2011

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POLITICHE AGRICOLE, ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:

NASTRI e CARLUCCI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. - Per sapere - premesso che:
secondo quanto risulta dal rapporto pubblicato dall'Inea, l'Istituto nazionale di economica agraria, sullo stato dell'agricoltura italiana, il 50 per cento delle aziende agricole ha un livello di redditività inadeguato e al di sotto delle remunerazioni ottenibili in occupazioni alternative;
il medesimo rapporto prende come base di riferimento quattro indici di redditività; nei primi due indici di redditività bassa e medio bassa ricadono appunto, rispettivamente, il 28,7 per cento e il 23,1 per cento delle aziende;
nel primo livello, la remunerazione unitaria del lavoro dell'imprenditore e della famiglia non raggiunge neppure i 2 euro per ora di lavoro, diventando praticamente nulla con riferimento alla remunerazione dei capitali, sia di esercizio che fondiario;
la remunerazione risulta invece migliore, con una percentuale pari al 15,4 per cento per le aziende che rientrano nel

terzo indice di redditività, ossia nel livello medio-alto ed è ancora migliore per il 32,4 per cento che presenta una redditività alta;
in quest'ultimo caso la remunerazione unitaria del lavoro arriva a 22,89 per euro e si registra una remunerazione del capitale d'esercizio al 2,9 per cento e di quello fondiario al 4,7 per cento;
le aziende con i livelli di redditività più elevati, prosegue il rapporto prevalgono nelle classi dimensionali maggiori, sia in termini relativi che assoluti;
a giudizio dell'Inea le aziende agricole aumentano la loro dimensione economica, allargando la propria base produttiva ma anche adottando processi produttivi industriali più intensivi;
l'orientamento tecnico-economico condiziona molto la redditività aziendale, che raggiunge livelli più che soddisfacenti negli indirizzi orticolo e floricolo, meglio se condotto in serra (dove l'ora lavoro può essere remunerata fin quasi a 20 euro), come pure negli indirizzi del viticolo e della frutticoltura mista e nell'allevamento bovino: per contro è nelle aziende specializzate in allevamenti ovi-caprini o nella coltivazione dell'olivo che si rilevano le remunerazioni meno soddisfacenti (poco sopra i 7 euro per ora/lavoro);
appare pertanto evidente, a giudizio dell'interrogante, che se i dati suesposti fossero confermati, la situazione generale, nonostante gli importanti e apprezzabili interventi introdotti dall'inizio della XVI legislatura dal Governo Berlusconi, per l'agricoltura italiana sotto il profilo della redditività, sia penalizzante per l'intero comparto e per le relative filiere agricole -:
se i dati numerici pubblicati dall'Inea ed esposti in premessa corrispondano trovino conferma in quelli in possesso del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e, in caso affermativo, quali iniziative nell'ambito delle sue competenze intenda intraprendere al fine di sostenere e rilanciare il sistema delle imprese agricole, che costituisce un importante settore l'economia del nostro Paese.
(5-03300)

Interrogazione a risposta scritta:

GALATI e CARLUCCI. - Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
in questi giorni il quotidiano La Stampa di Torino ha riportato la notizia del sequestro di due latticini in un supermercato di Rivoli (Torino) di colore blu, identici a quelli per cui era scattato l'allarme alcune settimane fa. Con molta probabilità sembra certa la presenza dello pseudomonas fluorescens, il batterio che colora di azzurro il latticino;
le due mozzarelle sarebbero della Granarolo, che però smentisce di avere mai acquistato latte dalla società tedesca Milchwerk Jager, azienda al centro delle polemiche perché fornitrice della materia prima «contaminata» nelle precedenti partite «blu». Nell'immediatezza del caso a muoversi sono state la Coldiretti e le associazioni di consumatori soprattutto per capire che grado di relazione ci fosse tra la mozzarella blu, le importazioni di latte dall'estero e i rapporti industriali che ha Granarolo con quella società tedesca in cui è nato il caso -:
quali eventuali iniziative intendano promuovere per aumentare i livelli di garanzia ed evitare i rischi per la salute;
come si intenda agire per impedire eventuali contraffazioni alimentari.
(4-08211)

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POLITICHE EUROPEE

Interrogazione a risposta scritta:

REGUZZONI. - Al Ministro per le politiche europee. - Per sapere - premesso che:
la crisi che ha colpito alcuni settori strategici dell'economia italiana tra cui il

manifatturiero, ed in particolare l'industria e l'artigianato tessile, impone la necessità di adottare iniziative a tutela dei prodotti italiani di qualità;
molte piccole e medie imprese sono oggi seriamente minacciate dalla sleale concorrenza proveniente dai Paesi del sud-est asiatico, dove i metodi di produzione sono difficilmente controllabili e la qualità dei prodotti non è sempre garantita;
la legge Reguzzoni-Versace, 8 aprile 2010, n. 55, recante disposizioni concernenti la commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri, rappresenta un valido strumento di difesa del made in Italy e consente alle imprese di contrastare tale concorrenza sleale attraverso la valorizzazione dei prodotti italiani, realizzando anche una maggiore tutela della salute nei confronti dei consumatori;
le produzioni italiane caratterizzano la storia manifatturiera del Paese; è necessario, quindi, non disperdere questa eccellenza, che rappresenta l'Italia in tutto il mondo e passa nelle mani di oltre 450.000 mila artigiani e piccoli imprenditori che, producendo in Italia, danno lavoro a 1.800.000 addetti e realizzano un valore aggiunto di 58 miliardi di euro;
in sede europea, nel mese di maggio 2010 il Parlamento ha approvato in prima lettura la proposta di regolamento in materia di denominazione dei prodotti tessili e relativa etichettatura, mentre è attualmente all'esame della commissione commercio internazionale la proposta di regolamento relativo all'indicazione del paese di origine di taluni prodotti importati da paesi terzi;
le posizioni che l'Unione europea ha recentemente assunto in merito all'indicazione del luogo di origine dei prodotti e all'etichettatura rappresentano un importante segnale di cambiamento che il Governo italiano dovrebbe cogliere per dare concreta attuazione alle istanze espresse dalle imprese manifatturiere per una maggiore tutela del made in Italy;
le dichiarazioni del Ministro per le politiche europee rese alla stampa sulla non conformità della legge 8 aprile 2010, n.55, al diritto comunitario non sono, ad avviso dell'interrogante, supportate da elementi concreti sulla posizione della Commissione europea in materia -:
se il Ministro intenda far chiarezza in merito a quanto recentemente dichiarato sulle presunte posizioni della Commissione europea in materia di tutela dei prodotti made in Italy, con particolare riferimento alla denuncia di non conformità della legge Reguzzoni-Versace al diritto comunitario;
se intenda portare avanti le posizioni espresse dal Parlamento italiano con l'approvazione della legge 8 aprile 2010, n. 55, recante disposizioni concernenti la commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri, affinché vengano adottate adeguate misure normative in ambito europeo per la tutela dei prodotti nazionali europei.
(4-08221)

TESTO AGGIORNATO AL 10 FEBBRAIO 2011

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SALUTE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XII Commissione:

BINETTI, NUNZIO FRANCESCO TESTA e DE POLI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
nei giorni scorsi si è svolta a Roma la V edizione del convegno delle unità di terapia intensiva neonatale (TIN) del Lazio. Il direttore dell'unità del policlinico Umberto I ha denunciato la mancanza di almeno 20 posti e la necessità di una riorganizzazione dell'assistenza;
già da anni tutti i neonatologi italiani che si occupano di TIN segnalano la cronica mancanza di posti letto per neonati che necessitano di terapia intensiva neonatale. Vale la pena ricordare che si

tratta di bambini gravemente immaturi (il 40 per cento ha meno di 32 settimane) o gravemente sottopeso (il 35 per cento ha un peso inferiore ai 1500 grammi). Per questi bambini il ricovero in terapia intensiva diventa condizione essenziale per la sopravvivenza. Sono bambini che se trasferiti da un ospedale all'altro in cerca di un letto di TIN hanno una percentuale raddoppiata di morire. Il 45,4 per cento dei bambini è stato trasferito per mancanza di posti letto;
davanti alla denuncia di questo problema il Ministro della salute ha accolto ripetutamente ordini del giorno, mozioni e interrogazioni parlamentari, dicendosi sempre più che disponibile a trovare la soluzione al problema, che invece è rimasto drammaticamente insoluto, come conferma il recente convegno delle unità di terapia intensiva neonatale. Il numero di posti in una TIN è un fattore di civiltà in un Paese, dal momento che uno degli indicatori più importanti per descrivere il suo livello di qualità complessiva è rappresentato proprio dall'indice di mortalità infantile;
le TIN non possono essere considerate in una logica puramente economico-finanziaria. Non ci sono margini di risparmio possibile, perché non c'è alcuno spreco di risorse, non ci sono falsi invalidi. Ma un neonato a rischio, se non è ben trattato fin dal primo momento, corre seri rischi di morire o di diventare un invalido vero con costi molto più alti per la nostra sanità, senza dimenticare il costo personale altissimo di chi sarà sempre un disabile;
la TIN, pur essendo - come la maggioranza dei problemi sanitari - una questione di competenza regionale, richiede un'attenzione particolare a livello ministeriale proprio in un momento di tagli pesanti alla sanità, al welfare e a tanti altri aspetti cruciali della vita delle famiglie italiane -:
quali urgenti iniziative, per quanto di competenza, intenda attuare al fine di garantire una migliore organizzazione delle cure perinatali anche attraverso la razionalizzazione dei punti nascita e il potenziamento del numero dei posti di terapia intensiva, riducendo in tal modo il rischio di lasciar morire bambini che potrebbero tranquillamente sopravvivere.
(5-03312)

BARANI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il caldo record verificatosi nelle prime tre settimane del mese di luglio 2010, ha arrecato un grave disagio alla popolazione anziana, a quella in età pediatrica e in generale a tutti i cittadini;
il caldo torrido ha reso anche quest'anno l'aria irrespirabile, soprattutto in città dove puntuale è tornato l'allarme ozono;
l'aumento repentino dei livelli di ozono che si registrano nelle città avviene non appena le temperature s'impennano;
le indicazioni fornite da organismi internazionali dimostrano che gli effetti sulla salute delle ondate di calore possono essere prevenuti o ridotti attraverso l'adozione di adeguate misure quali: l'attivazione di sistemi di previsione allarme, l'informazione e la comunicazione, la climatizzazione degli ambienti chiusi e le misure volte a rafforzare la rete sociale e di sostegno alle persone, soprattutto anziane, in condizioni di elevata «fragilità»;
a partire dall'estate 2005 il Ministero della salute e il Centro per la prevenzione e controllo delle malattie (CCM) hanno sviluppato ogni estate uno specifico programma nazionale di prevenzione - che va ad integrarsi con le attività sviluppate nell'ambito di un analogo progetto attivato nel 2004 dal Dipartimento della protezione civile - per limitare l'impatto sulla salute delle ondate di calore. La strategia proposta è orientata ad affinare i metodi di previsione dei rischi, a sviluppare interventi mirati ai sottogruppi di popolazione a rischio e a sviluppare un'efficace informazione alla popolazione;

in aggiunta agli obiettivi comuni di implementazione dei sistemi di allarme Heat Health Watch warning System - HHWWS, il progetto CCM, giunto alla sua seconda fase (2009-2011) è finalizzato a consolidare la rete dei servizi e delle attività di prevenzione implementate a livello locale e a valutare l'efficacia degli interventi mirati a ridurre l'impatto delle ondate di calore sulla salute di sottogruppi di popolazione ad alto rischio. Il progetto, inoltre, ha il compito di elaborare piani organizzativi di intervento differenziati per livello di rischio climatico e per profilo di rischio dell'area considerata (aree a rischio elevato, aree a rischio medio-alto, aree a basso rischio);
per l'estate 2010 il sistema HHWWS è operativo dal 15 maggio al 15 settembre 2010 in 27 città italiane (Ancona, Bari, Bologna, Bolzano, Brescia, Cagliari, Campobasso, Catania, Civitavecchia, Firenze, Frosinone, Genova, Latina, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Perugia, Pescara, Reggio Calabria, Rieti, Roma, Torino, Trieste, Venezia, Verona, Viterbo);
il Ministero della salute ha attuato il piano operativo 2010 per la prevenzione degli effetti sulla salute delle ondate di calore puntando, in particolare, alla concertazione dell'azione con gli enti locali;
risulta necessario supportare e sostenere l'azione degli enti locali sul piano della prevenzione e del pronto intervento, soprattutto per le categorie più deboli;
in tutti gli ospedali italiani si è assistito ad un aumento significativo dei ricoveri, soprattutto di anziani o persone con patologie di origine infettiva;
la situazione nei pronto soccorso di alcuni ospedali sia del Nord che del Sud risulta problematica per le patologie derivanti dalla grande afa;
sono state più di 30 le città italiane in «sofferenza» per il caldo, alcune delle quali con un livello di allerta «3», il massimo grado, ovvero con temperature elevate e condizioni meteorologiche che possono avere effetti negativi sulla salute della popolazione a rischio -:
quale sia lo stato di attuazione del piano operativo 2010 per la prevenzione degli effetti sulla salute delle ondate di calore e se il Ministro non ritenga opportuno adottare tempestive iniziative finalizzate ad evitare casi di sovraffollamento dei pronto soccorso, concertando con le regioni un maggior coinvolgimento dei medici di famiglia, che rappresentano la prima linea del Servizio sanitario nazionale e che sono gli unici che possono impedire che i pronto soccorso siano intasati da chiamate.
(5-03313)

LIVIA TURCO, BUCCHINO e MURER. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
il regolamento applicativo della legge 30 luglio 2002, n. 189, la cosiddetta Bossi-Fini, riguardante l'ingresso degli stranieri in Italia riconosce alle regioni la facoltà di individuare le modalità più adatte per garantire l'erogazione delle cure urgenti, essenziali e continuative agli stranieri irregolari;
la disposizione deve essere considerata non in chiave di concessione di un particolare privilegio, ma semplicemente come scelta di politica sanitaria destinata ad assicurare le prestazioni essenziali a soggetti particolarmente deboli ed esposti e, nello stesso tempo, a tutelare la collettività dai rischi di diffusione di malattie infettive;
in diverse regioni e comuni, erano stati predisposti ad opera delle istituzioni preposte alla salvaguardia della salute pubblica ambulatori dedicati, gestiti da personale dotato delle necessarie professionalità e offerto agli utenti come luogo protetto, capace di assicurare la privacy e quindi di contenere i timori di riconoscimento e denuncia che di fatto possono allontanare da cure necessarie possibili utenti anche in situazioni di necessità ed urgenza;

negli ultimi mesi si sono succedute diverse chiusure di ambulatori per stranieri, come accaduto ad opera di alcune aziende sanitarie del Friuli che, dopo avere disattivato gli ambulatori di Udine, Gorizia e Pordenone, hanno chiuso anche quello di Trieste -:
se al Ministero della salute risulti il quadro generale delle strutture operanti a favore degli stranieri irregolari e quali siano le tendenze che è possibile rilevare in ordine alla loro diffusione sul territorio e alla loro capacità di rispondere ad esigenze sanitarie di natura individuale e collettiva e se il Governo non intenda cogliere l'occasione di un incontro con le regioni, eventualmente in seno alla Conferenza Stato-regioni, per favorire un orientamento comune in proposito e per fare in modo che, di concerto con gli enti regionali e locali, le delicate esigenze finora soddisfatte da questo tipo di strutture trovino una risposta positiva anche in futuro.
(5-03314)

Interrogazioni a risposta scritta:

LAURA MOLTENI. - Al Ministro della salute. - Per sapere - premesso che:
l'ultimo rapporto OSM dell'Istituto superiore di sanità ha rivelato che negli ultimi 10 anni il consumo di farmaci da parte degli italiani è aumentato del 60 per cento, con un incremento annuo pari al 5 per cento. Sempre nello stesso rapporto si legge che il mercato farmaceutico totale, comprensivo sia della prescrizione territoriale sia di quella erogata attraverso le strutture pubbliche, è stato di oltre 25 miliardi di euro, di cui il 75 per cento a carico del servizio sanitario nazionale;
è esperienza comune nella pratica medica che lo stesso farmaco somministrato alla stessa dose possa essere efficace nella maggioranza dei pazienti, ma scarsamente efficace e/o indurre effetti collaterali - a volte anche gravi - in alcuni dei soggetti trattati. Si stima infatti che i farmaci di maggior consumo (per esempio antipertensivi, ipolipemizzanti e antidepressivi) siano pienamente efficaci solo nel 25-50 per cento dei pazienti;
a fronte di una efficacia limitata negli ultimi anni si è osservato un progressivo e preoccupante aumento di reazioni avverse ai farmaci. Si consideri, per esempio, che negli Stati Uniti si raccolgono mediamente ogni anno quasi un milione di reazioni avverse: circa centomila sono definite di grado severo (in quanto richiedono ospedalizzazione e/o determinano danni permanenti al paziente), e di queste 15000 sono fatali. Analogamente, in Italia ogni anno la rete nazionale di farmacovigilanza dell'AIFA registra circa 20000 reazioni avverse da farmaci, con centinaia di eventi fatali;
da quanto sopra riportato emerge la necessità di ridurre la marcata variabilità nella risposta terapeutica e tossicologica associata ad un determinata terapia farmacologica, al fine di perseguire un uso più razionale e ottimale del farmaco e di contenere la spesa pubblica;
la farmacogenetica - una nuova branca della farmacologia - è una disciplina nata recentemente con l'obiettivo di studiare il potenziale ruolo di fattori ereditari nel determinare la risposta individuale ai farmaci. Negli ultimi anni sono state eseguite diverse ricerche in questo ambito, dimostrando come la farmacogenetica sia uno strumento fondamentale per predire quali pazienti potranno beneficiare appieno di un trattamento farmacologico (basti pensare agli studi eseguiti nel campo dell'oncologia con i nuovi farmaci biologici) e quali soggetti potranno sviluppare una grave tossicità (per esempio i test farmacogenetici per la sensibilità al farmaco anti-HIV abacavir o per l'anticoagulante warfarin) prima ancora di iniziare la terapia;
in Europa, diversi Paesi (Olanda, Inghilterra e Francia solo per citarne alcuni) hanno inserito già da qualche anno i test farmacogenetici all'interno dei servizi diagnostici forniti dalle strutture sanitarie pubbliche. L'implementazione di questi

servizi anche nello scenario italiano potrebbe quindi favorire una reale personalizzazione della terapia farmacologica, con enormi vantaggi sia per il paziente che per il Servizio sanitario nazionale;
a titolo esemplificativo, si segnala che la regione Lombardia ha speso nel 2007 circa 5 milioni di euro di costi di pronto soccorso per la gestione di eventi avversi di tipo iatrogeno, a cui si sommano circa 15 milioni di euro di costi per l'ospedalizzazione dei pazienti che hanno avuto tali eventi. La maggior parte degli eventi avversi sono stati causati dal warfarin, un farmaco per il quale sono oggi disponibili due test farmacogenetici. L'applicazione di tali test avrebbe quindi permesso un risparmio per la regione Lombardia di oltre 10 milioni di euro;
i test farmacogenetici vengono sempre più frequentemente utilizzati per ottimizzare l'intervento terapeutico, ma nel nostro Paese essi hanno ancora una diffusione limitata. Questo in larga misura dipende dal vuoto legislativo che ha consentito ai test farmacogenetici, nel nostro Paese, di essere gestiti unicamente dal genetista, il quale, a fronte delle competenze mediche, spesso manca delle competenze necessarie ad affrontare un problema che in buona sostanza è farmacologico e non semplicemente genetico;
la farmacogenetica ha come oggetto principale il farmaco, il che la rende concettualmente e sostanzialmente diversa dalla genetica, che invece ha come oggetto la malattia. L'interpretazione del test farmacogenetico richiede, quindi, conoscenze specifiche e dettagliate nel campo della farmacologia, che spaziano dalla farmacocinetica alla farmacodinamica e alla tossicologia. Tali competenze sono peculiari ed identificano la figura del farmacologo;
questa situazione è stata originata dal fatto che in Italia la voce «test farmacogenetico» si ritrova, da un punto di vista normativo, unicamente nel testo riguardante l'autorizzazione al trattamento dei dati genetici rilasciata dal Garante per la protezione dei dati personali il 22 febbraio 2007 (poi prorogata fino al 30 giugno 2010). Questo fa si che i test farmacogenetici siano vincolati alle stesse regole rigide volte alla tutela del paziente e della sua privacy applicate ai test genetici. Tuttavia, l'applicazione di tali regole non trova un razionale logico per il test farmacogenetico, in quanto tale test non predice la comparsa di una malattia ma informa il medico prescrivente sulla terapia migliore da somministrare per ogni paziente;
le suddette regole riducono grandemente la diffusione del test farmacogenetico, spesso privando il medico di un test diagnostico importante per l'ottimizzazione della terapia in ogni paziente e il Servizio sanitario nazionale di uno strumento fondamentale per il contenimento della spesa farmaceutica pubblica;
date queste premesse si evidenzia la necessità di ridurre la marcata variabilità nella risposta terapeutica e tossicologica associata ad un determinata terapia farmacologica, al fine di perseguire un uso più razionale e ottimale del farmaco e di contenere la spesa pubblica -:
se il Ministro interrogato, per quanto di competenza, intenda farsi promotore di iniziative volte ad introdurre un'apposita disciplina normativa che regolamenti autonomamente i test di farmacogenetica rispetto ai test genetici e riconosca la figura del farmacologo quale attore fondamentale nella gestione dei dati farmacogenetici e nel counselling farmacogenetico, individuando quale interlocutore scientifico specifico nel campo dei test farmacogenetici la Società italiana di farmacologia.
(4-08207)

CAZZOLA, BARANI, DI BIAGIO, GIAMMANCO, ZAMPARUTTI e CARLUCCI. - Al Ministro della salute, al Ministro per il turismo. - Per sapere - premesso che:
in data 23 luglio 2010 il quotidiano Corriere della Sera riportava nella cronaca di Roma a pagina 3, in un articolo a firma di Clarida Salvatori, la notizia relativa ai

controlli che l'Enpa (l'Ente nazionale per la protezione degli animali, già istituito con la legge 11 aprile 1938, n. 612, e poi disciplinato con il decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1979) aveva effettuato nei giorni precedenti sulle «botticelle» (le caratteristiche vetture trainate da cavalli adibite al trasporto delle persone) in circolazione per le strade di Roma;
l'articolo evidenziava come l'Enpa avesse elevato sanzioni ai titolari delle licenze delle vetture trainate da cavalli, in quanto queste circolavano o trasportavano passeggeri durante gli orari di pausa, previsti nelle ore più calde della giornata proprio per permettere agli animali di riposare, o mantenessero talvolta un passo (trotto) non consentito dalle disposizioni vigenti;
altresì, sempre l'articolo del quotidiano, poneva in risalto come le disposizioni di legge, volte a tutelare la salute degli animali (in questo caso i cavalli adibiti al traino delle vetture) fossero troppo spesso violate anche perché, scrive l'autrice dell'articolo, «è difficile rinunciare ai soldi di una o più corse» con riferimento al trasporto dei turisti per le vie della città di Roma in orari non consentiti -:
quali iniziative i Ministri interrogati per quanto di competenza intendano avviare, da un lato, per rafforzare i controlli per la tutela degli animali da traino (in questo caso i cavalli) e, dall'altro, per avviare campagne d'informazione ai turisti che visitano la città di Roma circa i divieti di circolazione in vigore per le «botticelle», allo scopo di svolgere un'azione di moral suasion rivolta ai passeggeri per convincerli a non avvalersi delle vetture negli orari e con modalità non conformi alle disposizioni di legge.
(4-08215)

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SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:

MARCO CARRA. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
nel comune di Villimpenta (Mantova), da diverse settimane, il servizio postale non viene svolto nel rispetto dei diritti dei cittadini;
sono state numerose le segnalazioni e le proteste di cittadini ed imprese che si sono visti consegnare la posta in ritardo o addirittura la stessa non è stata recapitata;
tale situazione sta arrecando seri danni alle famiglie ed alle imprese di quella comunità e tutto ciò è intollerabile in un Paese moderno e civile;
il sindaco di Villimpenta, Traiano Polettini, messo a conoscenza dei disservizi in oggetto, si è attivato presso la direzione provinciale dell'azienda Poste S.p.A. per cercare di risolvere il problema -:
in che modo il Governo intenda risolvere questo grave problema affinché sia garantito ai cittadini di Villimpenta il diritto al ricevimento della posta, ponendo fine a questa insostenibile ed inaccettabile situazione.
(5-03303)

Interrogazione a risposta scritta:

REGUZZONI. - Al Ministro dello sviluppo economico. - Per sapere - premesso che:
la crisi che attraversa il mercato del made in Italy, dovuta alla sleale concorrenza dei Paesi del sud-est asiatico, rischia di danneggiare il sistema economico del Paese e fa emergere la necessità di tutelare le produzioni nazionali;

le imprese che producono in Italia da tempo chiedono adeguati strumenti per difendersi dalla concorrenza di chi senza scrupoli immette sul mercato prodotti di qualità estremamente bassa e dannosi per la salute umana, facendoli passare come made in Italy anche se prodotti interamente all'estero;
la cosiddetta legge Reguzzoni-Versace, n. 55 del 2010, sulla commercializzazione dei prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri, interviene nel promuovere e sostenere la produzione manifatturiera italiana attraverso l'introduzione di un sistema di etichettatura dei prodotti, a garanzia della qualità del made in Italy;
l'articolo 4 della citata legge, in particolare, fissa l'entrata in vigore del sistema di etichettatura al 1o ottobre 2010, prevedendo, invece, la definizione dei decreti attuativi entro quattro mesi dall'entrata in vigore della stessa legge;
l'anticipazione dei termini di adozione dei suddetti decreti è stata introdotta per garantire alle imprese di settore di conoscere in tempi certi i contenuti degli stessi, permettendo loro di adeguarsi quanto prima alla legge;
le imprese di settore sono ancora in attesa dei decreti attuativi, il cui termine di adozione scadrà nel mese di agosto 2010; la mancata adozione di tali decreti rischia di danneggiare seriamente il settore, già in difficoltà per l'aumento dei prezzi delle materie prime -:
se intenda dare quanto prima attuazione alla legge 8 aprile 2010, n. 55, recante disposizioni concernenti la commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri, attraverso la pronta emanazione degli attesi decreti attuativi.
(4-08210)

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TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:

MARCHIONI e FRONER. - Al Ministro per il turismo. - Per sapere - premesso che:
a seguito del fallimento della compagnia turistica Viaggi del Ventaglio, numero due dei tour operator italiani, travolta da un crack da 200 milioni di euro, le migliaia di creditori-clienti in rosso per somme ingenti, rischiano di rimanere senza rimborso;
si sta ripetendo infatti quanto già accaduto con il crack della Todomondo, il tour operator che nel luglio 2009 lasciò a terra 5000 clienti. In quella occasione il Ministro Brambilla rassicurò i malcapitati turisti dichiarando, il 29 luglio dello stesso anno: «verrà subito attivato il Fondo nazionale di garanzia, che ha proprio il compito di intervenire in caso di insolvenza o fallimento del venditore o dell'organizzatore dei pacchetti turistici, provvedendo al rimborso delle somme versate per l'acquisto dei pacchetti di viaggio» Furono allora richiesti risarcimenti per 7,4 milioni di euro, che a tuttora non risultano erogati, anche se nel marzo scorso il Ministero aveva annunciato che «entro quattro mesi» le istanze sarebbero state completate;
il fallimento di Viaggi del Ventaglio sta producendo una seconda ondata di richieste al Fondo, sembra maggiore della prima. Fra coloro che perderanno i loro crediti vanno anche annoverati i soci della Vacanze nel Mondo gruppo Viaggi del Ventaglio (circa 16.000 per un credito complessivo di 43 milioni di euro) che hanno versato anticipatamente, da 7 mila a 15 mila euro pro capite per vacanze da fruire entro un certo numero di anni;
il Fondo di garanzia, istituito con il decreto legislativo n. 11 del 1995, attuato con il decreto legislativo 6 settembre 2005

n. 206 (Codice di consumo), è alimentato ogni anno dal 2 per cento delle polizze assicurative che i tour operator e le agenzie di viaggio sottoscrivono per tutelare i propri clienti nel caso in cui i pacchetti di viaggio (volo più soggiorno) vengano annullati;
il Governo, con il decreto ministeriale del 28 maggio 2010 concernente la ripartizione di 38 milioni del Fondo derivante dalle sanzioni amministrative irrogate nel 2009 dall'autorità garante della concorrenza e del mercato da destinare a iniziative a vantaggio dei consumatori, ha deliberato (articolo 8) lo stanziamento di 3 milioni di euro da destinare al Fondo nazionale di garanzia le cui risorse disponibili al 31 dicembre 2009 risultavano pari a 248.154 euro. Tuttavia dei 38 milioni complessivamente previsti sembra siano disponibili solo 14 milioni;
l'immagine e la competitività del sistema turistico italiano non dipendono solo da costosi spot pubblicitari come quelli realizzati per Magic Italy, ma soprattutto dalla serietà e qualità dell'offerta e anche dal livello di tutela che deve essere garantito ai turisti rispetto ai disservizi e ai danni subiti dai comportamenti scorretti degli operatori -:
quanto abbiano versato le agenzie di viaggio e i tour operator dal 2005 ad oggi e quale sia stata la destinazione delle somme versate;
quanti sinistri siano stati indennizzati e per quale ammontare;
se e quando i tre milioni di euro previsti verranno effettivamente erogati, per evadere almeno parzialmente, le migliaia di richieste di rimborso presentate al Fondo di garanzia dai clienti danneggiati di Todomondo;
se in conseguenza del fallimento dei Viaggi del Ventaglio, che ci si augura non sia seguito da altri, il Ministro ritenga di valutare se sussista la necessità di un finanziamento aggiuntivo.
(5-03304)

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Apposizione di una firma ad una interpellanza.

L'interpellanza Goisis e Reguzzoni n. 2-00665, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 aprile 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

L'interrogazione a risposta scritta Fava e altri n. 4-00178, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 maggio 2008, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta scritta Luciano Dussin n. 4-00473, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 giugno 2008, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta scritta Fava e altri n. 4-00710, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 luglio 2008, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta scritta Fava e Togni n. 4-00770, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 luglio 2008, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta scritta Grimoldi e altri n. 4-07744, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 giugno 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta scritta Grimoldi n. 4-07935, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 luglio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta scritta Grimoldi n. 4-07936, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 luglio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta scritta Grimoldi n. 4-07944, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 7 luglio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta scritta Grimoldi n. 4-08023, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 luglio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Stucchi.

L'interrogazione a risposta scritta Marchi e Castagnetti n. 4-08095, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 luglio 2010, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Marco Carra.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
interpellanza Ciocchetti n. 2-00343 del 19 marzo 2009;
interrogazione a risposta scritta Ciocchetti n. 4-04856 del 9 novembre 2009;
interrogazione a risposta scritta Ciocchetti n. 4-5145 del 24 novembre 2009;
interrogazione a risposta in Commissione Contento n. 5-03271 del 21 luglio 2010.