ATTO CAMERA

INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/09232

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 18
Seduta di annuncio: 504 del 10/05/2021
Firmatari
Primo firmatario: ASCARI STEFANIA
Gruppo: MOVIMENTO 5 STELLE
Data firma: 10/05/2021


Destinatari
Ministero destinatario:
  • MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
  • MINISTERO PER LE PARI OPPORTUNITA' E LA FAMIGLIA
Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DELLA GIUSTIZIA delegato in data 10/05/2021
Stato iter:
29/04/2022
Partecipanti allo svolgimento/discussione
RISPOSTA GOVERNO 29/04/2022
CARTABIA MARTA MINISTRO - (GIUSTIZIA)
Fasi iter:

SOLLECITO IL 03/08/2021

RISPOSTA PUBBLICATA IL 29/04/2022

CONCLUSO IL 29/04/2022

Atto Camera

Interrogazione a risposta scritta 4-09232
presentato da
ASCARI Stefania
testo di
Lunedì 10 maggio 2021, seduta n. 504

   ASCARI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro per le pari opportunità e la famiglia. — Per sapere – premesso che:

   il legislatore italiano, a seguito della legge 27 maggio 1991, n. 176, di ratifica della Convenzione sui diritti del fanciullo firmata a New York il 20 novembre 1989, ha cercato di accordare una maggiore tutela all'interesse dell'adottato a conoscere le proprie origini, tramite la legge del 2001, n. 149 con la quale ha modificato la disciplina sulla segretezza dell'adozione prevista dalla legge n. 184 del 1983, introducendo, con la novella dell'articolo 28, la possibilità, se pur a determinate condizioni, per la persona adottata di accedere alle informazioni riguardanti l'identità dei genitori naturali;

   il diritto a conoscere le proprie origini biologiche non pare però essere riconosciuto espressamente e pienamente all'interno del nostro ordinamento giuridico in quanto la novellata previsione legislativa presenta delle limitazioni e cautele di natura sia sostanziale che processuale. Innanzitutto, essa impone ai genitori adottivi l'obbligo di comunicare al figlio la sua condizione di adottato nei modi e termini che essi ritengono più opportuni. L'articolo 28, comma 5, riconosce sì per la prima volta al minore la possibilità di accedere alle informazioni che riguardano la sua origine e l'identità dei propri genitori biologici, subordinandola però alla condizione che lo stesso abbia raggiunto i venticinque anni di età; inoltre, l'accesso a tali informazioni è ammesso per il soggetto maggiorenne infra-venticinquenne solo in presenza di «gravi e comprovati motivi attinenti alla salute psico-fisica». In entrambi i casi, ai fini dell'accesso, è necessaria un'autorizzazione del tribunale per i minorenni del luogo in cui risiede il minore, il quale, fatte le opportune valutazioni di carattere formale e ritenuta ragionevole la richiesta, anche in relazione ai motivi posti a suo fondamento, potrà concedere l'autorizzazione all'accesso;

   un ulteriore limite è previsto dal settimo comma dell'articolo 28, il quale non consente al minore, nato da madre che al momento del parto ha espresso la volontà di rimanere anonima ai sensi dell'articolo 30, comma 1, decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, di avere accesso alle informazioni circa la propria identità;

   in particolare, la disposizione di cui all'articolo 28, comma 7, è stata oggetto di un lungo dibattito giurisprudenziale sotto il profilo della sua legittimità costituzionale. Essa stabiliva che al figlio nato da parto anonimo fosse preclusa la possibilità di accedere al certificato di assistenza al parto o alla cartella clinica contenenti le informazioni sanitarie della madre biologica la quale avesse espressamente dichiarato al momento del parto di non volere essere nominata. La Corte Costituzionale è intervenuta sull'argomento in parola con sentenza n. 278/2013, censurando la disciplina legislativa nella parte in cui dichiara l'irreversibilità della dichiarazione di segretezza in contrasto con gli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione, ossia per violazione: del diritto all'identità personale garantito dall'articolo 2 della Costituzione; del principio di uguaglianza in quanto tratta in maniera diversa il diritto dell'adottato a conoscere le proprie origini anche sotto il profilo sanitario, e il diritto della madre a rimanere anonima; e della tutela del diritto alla salute ed alla integrità psico-fisica in quanto consentendo alla donna di partorire in anonimato, si induce gli operatori sanitari ad omettere persino l'ordinaria raccolta dei dati anamnestici non identificativi della madre;

   anche in questi casi, la sentenza del 2013 specifica che la possibilità per il giudice di interpellare la madre, su richiesta del figlio, si esplichi attraverso un procedimento stabilito dalla legge che assicuri la massima riservatezza alla madre: il giudice è così tenuto ad operare un bilanciamento tra il diritto della madre all'anonimato e il diritto del figlio di conoscere le proprie origini;

   da quanto sopra esposto emerge come l'attuale disciplina non consente all'adottato di accedere, facilmente, alle informazioni di carattere sanitario della madre biologica;

   considerato che la possibilità di reperire, agevolmente, queste informazioni consentirebbe a qualsiasi persona adottata e alla propria famiglia adottiva di tutelare meglio la salute dell'adottato lungo il corso della propria vita ove, ad esempio, contragga nel corso della sua vita malattie geneticamente determinate;

   pare inammissibile dal punto di vista costituzionale far soggiacere il diritto alla salute al diritto alla privacy della madre che decide di rimanere anonima al momento del parto –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali iniziative di competenza ritengano opportuno adottare, in particolare di carattere normativo, affinché la madre biologica (che voglia rimanere anonima) sia tenuta a rilasciare, subito dopo il parto, una scheda contenente la propria anamnesi sanitaria che va poi mantenuta e conservata dalle istituzioni sanitarie competenti e, successivamente, resa fruibile in favore dell'adottato e della famiglia adottiva.
(4-09232)

Atto Camera

Risposta scritta pubblicata Venerdì 29 aprile 2022
nell'allegato B della seduta n. 684
4-09232
presentata da
ASCARI Stefania

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, rivolta al Ministro della giustizia e al Ministro per le pari opportunità e la famiglia, si chiede di sapere se siano a conoscenza delle questioni in tema di diritto del minore adottato a conoscere le proprie origini, e quali iniziative, in particolare di carattere normativo, ritengano di adottare affinché la madre biologica che voglia rimanere anonima sia tenuta a rilasciare, subito dopo il parto, una scheda contenente la propria anamnesi sanitaria, conservata dalle istituzioni sanitarie e competenti e successivamente resa fruibile in favore dell'adottante e della famiglia adottiva.
  Partendo dalla necessaria ricostruzione del dato normativo, va ricordato che nel suo testo originario l'articolo 28 della legge 4 maggio 1983, n. 184 prevedeva il divieto di «fornire notizie, informazioni, certificati, estratti o copie dai quali possa comunque risultare il rapporto di adozione, salvo autorizzazione espressa dell'autorità giudiziaria»; ciò coerentemente con la visione secondo cui l'adozione comporta l'inserimento dell'adottato nella famiglia dell'adottante e la recisione di ogni legame con la famiglia di origine, quasi fosse una sorta di «seconda nascita».
  Tale visione è stata tuttavia messa in discussione, sia in ambito giuridico che psicologico, in quanto si è compreso che l'ignoranza delle origini (sia adottiva, sia delle generalità dei genitori biologici) non corrisponde di per sé alle superiori esigenze di tutela del minore ma può anzi rivelarsi dannosa.
  L'articolo 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo firmata a New York il 20 novembre 1989, ratificata in Italia in virtù della legge 27 maggio 1991, n. 176, prevede espressamente che «Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto ad un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori ed a essere allevato da essi».
  Successivamente, anche sulla spinta della disposizione ora indicata, il legislatore ha previsto la possibilità che l'adottato acceda alle informazioni riguardanti l'identità dei propri genitori naturali.
  Con la legge 28 marzo 2001, n. 149, infatti, si è modificato l'articolo 28 della legge n. 184 del 1983 prevedendo:

   a) al comma 1, che i genitori adottivi debbano informare il minore adottato della sua condizione, sia pur nei modi e termini che ritengono più opportuni;

   b) al comma 4, che le informazioni concernenti l'identità dei genitori biologici possono essere fornite ai genitori adottivi, su autorizzazione del tribunale per i minorenni, solo per gravi e comprovati motivi. Il tribunale accerta che l'informazione sia preceduta e accompagnata da adeguata preparazione e assistenza del minore. Le informazioni possono essere fornite anche al responsabile di una struttura ospedaliera o di un presidio sanitario, ove ricorrano i presupposti della necessità e dell'urgenza e vi sia grave pericolo per la salute del minore;

   c) al comma 5, che una volta raggiunta l'età di venticinque anni l'adottato può accedere a informazioni che riguardano la sua origine e l'identità dei propri genitori biologici; analogo diritto spetta all'adottato che abbia raggiunto la maggiore età, per gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica;

   d) al comma 6, che per concedere l'autorizzazione il tribunale per i minorenni procede all'audizione delle persone di cui ritenga opportuno l'ascolto e assume tutte le informazioni di carattere sociale e psicologico, al fine di valutare che l'accesso a tali notizie non comporti grave turbamento all'equilibrio psico-fisico del richiedente;

   e) al comma 7, che tuttavia l'accesso alle informazioni non è consentito se l'adottato non sia stato riconosciuto alla nascita dalla madre naturale e qualora anche uno solo dei genitori biologici abbia dichiarato di non voler essere nominato, o abbia manifestato il consenso all'adozione a condizione di rimanere anonimo;

   f) al comma 8, che per l'adottato maggiorenne non è necessaria l'autorizzazione quando i genitori adottivi sono deceduti o divenuti irreperibili.

  Con il Codice in materia di protezione dei dati personali di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 è stata poi ulteriormente modificata la previsione recata dal comma 7 dell'articolo 28, e si è previsto che l'accesso alle informazioni non è consentito nei confronti della madre che abbia dichiarato alla nascita di non volere essere nominata. Lo stesso Codice prevede poi all'articolo 93 che il certificato di assistenza al parto o la cartella clinica, ove comprensivi dei dati personali che rendono identificabile la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata, possono essere rilasciati solo decorsi cento anni dalla formazione del documento; essi possono essere rilasciati prima del decorso del tempo previsto solo a condizione che la madre rimanga non identificabile.
  La legge non riconosceva, quindi, ai figli nati da parto anonimo il cosiddetto diritto alle origini, nel senso del diritto di conoscere l'identità dei loro genitori biologici; e in tal senso si erano espresse sia la giurisprudenza di legittimità che la Corte costituzionale, la quale con sentenza 25 novembre 2005, n. 425 aveva ritenuto costituzionalmente legittima tale disciplina.
  Per completezza va evidenziato che, rispetto all'istituto dell'adozione internazionale, settore di competenza della Commissione per le adozioni internazionali, non compete alle autorità italiane intervenire in merito all'accessibilità o meno alle informazioni sulle proprie origini da parte del minore adottato che ne faccia richiesta, ma alle autorità competenti del Paese di origine del minore adottato. A supporto di quanto indicato, l'articolo 30 della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozioni internazionali fatta a L'Aja il 29 maggio 1993 e ratificata dall'Italia con la legge n. 476 del 31 dicembre 1998, dispone:

   1. Le autorità competenti di ciascuno Stato contraente conservano con cura le informazioni in loro possesso sulle origini del minore, in particolare quelle relative all'identità della madre e del padre ed i dati sui precedenti sanitari del minore e della sua famiglia.

   2. Le medesime autorità assicurano l'accesso del minore o del suo rappresentante a tali informazioni, con l'assistenza appropriata, nella misura consentita dalla legge dello Stato.

  Sulla questione posta in evidenza dall'interrogante, si è tuttavia pronunciata la Corte europea per i diritti dell'uomo (di seguito, Corte EDU), la quale con sentenza 25 settembre 2012 (ric. n. 33783/09, Godelli c. Italia) ha affermato che accanto al diritto di una madre partoriente a conservare l'anonimato deve essere tutelato anche il diritto del figlio a conoscere le proprie origini; la normativa italiana, che non operava un bilanciamento degli interessi in gioco, violava quindi l'articolo 8 della Convenzione e in particolare il diritto del figlio alla vita privata.
  Successivamente a tale pronuncia la Corte costituzionale con sentenza 22 novembre 2013, n. 278 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma prevista dall'articolo 2 8 della legge n. 184 del 1983, nella parte in cui non prevede – attraverso un procedimento, stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza – la possibilità per il giudice, su richiesta del figlio, di interpellare la madre che abbia dichiarato di non voler essere nominata ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione.
  Il legislatore ha però sinora omesso di disciplinare il procedimento indicato dalla Corte costituzionale, così che il vuoto normativo è stato colmato dalla giurisprudenza. In particolare, con sentenza del 21 luglio 2016, n. 15024 la Corte di cassazione ha affermato che dopo la morte della madre il figlio ha diritto ad accedere alle informazioni circa le generalità di questa, dal momento che in questo caso non vi sarebbe più ragione di sacrificare il diritto a conoscere le proprie origini. Con la successiva sentenza 9 novembre 2016, n. 22838 la Corte ha poi riconosciuto il medesimo diritto al figlio adottivo di una madre scomparsa.
  La Corte di cassazione è poi nuovamente intervenuta sulla questione a sezioni unite con sentenza 25 gennaio 2017, n. 1946, con cui ha affermato:

   che la sentenza n. 278 del 2013 della Corte costituzionale deve essere qualificata come una decisione additiva di principio, con cui è stato riconosciuto il diritto del figlio di proporre l'interpello, fermo restando il diritto della madre di confermare la propria scelta di anonimato;

   che spetta al legislatore indicare quali siano le forme da seguire per provvedere all'interpello della madre che ha domandato di non essere nominata, ma nelle more i giudici di merito sono tenuti a individuare soluzioni applicative utilizzabili anche immediatamente, ad esempio sulla falsariga di quanto previsto dallo stesso articolo 28, commi 5 e 6, della legge n. 184 del 1983, adottando però gli accorgimenti necessari per assicurare la riservatezza della madre.

  La Corte di cassazione ha infine riconosciuto il diritto dell'adottato di avere accesso alle informazioni che riguardano fratelli e sorelle anch'essi adottati, affermando che un'interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente orientata della norma di cui all'articolo 28, comma 5 (che prevede il diritto dell'adottato ad accedere alle informazioni che riguardano la sua origine e l'identità dei genitori) possa valorizzare il richiamo testuale al diritto di accedere alle informazioni sulla propria origine in modo da includervi oltre ai genitori biologici anche i più stretti congiunti come i fratelli e le sorelle, ancorché non espressamente menzionati dalla norma. In questo caso, tuttavia, è necessario procedere ad un bilanciamento di interessi tra il diritto dell'adottato e quello dei congiunti alla riservatezza, quest'ultimo assistito dalla sanzione penale di cui all'articolo 73 della legge n. 184 del 1983; a tal fine potranno essere utilizzate le medesime modalità già viste nei confronti della madre che abbia domandato di non essere nominata al momento del parto (sentenza 20 marzo 2 018 n. 6963).
  In conclusione, allo stato, l'ordinamento garantisce all'adottato di avere informazioni circa le sue origini e l'identità dei propri genitori biologici quando abbia compiuto venticinque anni – ovvero anche precedentemente, se la richiesta è determinata da gravi e comprovati motivi attinenti alla sua salute psico-fisica – e dietro autorizzazione del tribunale per i minorenni.
  Non è viceversa prevista la possibilità di accedere a tali informazioni in caso di parto anonimo, se non in caso di risposta positiva della madre appositamente interpellata o, come riconosciuto dalla giurisprudenza, nel caso in cui la madre sia deceduta o scomparsa. È quindi preliminarmente necessario che la madre venga identificata; ma ciò in alcuni casi può rivelarsi estremamente complesso, anche considerato che spesso il figlio chiede di poter accedere a tali informazioni in età avanzata (si pensi, ad esempio, al caso in cui la struttura sanitaria in cui è avvenuto il parto non sia più esistente).
  Il Codice della protezione dei dati personali poi, come si è visto, consente l'accesso alle informazioni contenute nella cartella clinica o nel certificato di assistenza al parto prima del decorso di cento anni solo quando la madre rimanga non identificabile.
  Nella scorsa legislatura era stato approvato dalla Camera ed era giunto all'esame del Senato (ma è poi decaduto a seguito dello scioglimento delle Camere) un disegno di legge volto a disciplinare il procedimento per lo svolgimento dell'interpello rivolto dal figlio alla madre biologica, che prevedeva anche il diritto della madre di revocare la dichiarazione di anonimato resa al momento del parto.
  Nella presente legislatura sono pendenti (salvo altri) il disegno di legge AS 1039 (Cucca e altri) recante «Disposizioni in materia di servizi socio-assistenziali, parto in anonimato e di accesso alle informazioni sulle origini del figlio non riconosciuto alla nascita»; il disegno di legge AS 922 (Pillon e altro) recante «Norme in materia di diritto alla conoscenza delle proprie origini biologiche»; il disegno di legge AS 1979 (Santangelo e altro) relativo a «Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di adozione dei minori e di riconoscimento delle origini biologiche».
  Allo stato quindi, il punto su cui è necessario intervenire è la disciplina della procedura di interpello per il caso di parto anonimo, come indicato dalla Corte costituzionale nell'ormai lontano 2013, e nell'ambito di questa la disciplina circa la conservazione delle informazioni che consentano di risalire, anche a distanza di molto tempo e comunque garantendo la riservatezza dei dati, all'identità della madre che ha chiesto di rimanere anonima, al fine di poterle rivolgere l'interpello.
  Al contempo, è stata evidenziata da più parti l'opportunità di intervenire sui seguenti punti oggetto di dibattito:

   la previsione di un termine entro cui i genitori adottivi devono informare il figlio di essere stato adottato (attualmente, come si è visto, essi sono liberi di scegliere come e quando rendere tale informazione);

   il riconoscimento o meno del diritto del figlio nato da parto anonimo a conoscere le proprie origini successivamente al decesso della madre, prendendo in considerazione anche l'eventualità che in vita questa sia già stata interpellata e abbia confermato la propria volontà di rimanere anonima;

   il limite dei venticinque anni di età previsto dall'articolo 28, comma 5 per poter accedere a informazioni che riguardano l'origine e l'identità dei propri genitori biologici, eventualmente riconducendolo alla maggiore età;

   il riconoscimento o meno, in favore della madre che abbia chiesto di restare anonima, di un diritto di ripensamento che le consenta di accedere a sua volta alle informazioni che riguardano il figlio;

   il riconoscimento o meno del diritto dell'adottato di accedere alle informazioni concernenti fratelli e sorelle.

  Allo stato infine manca, con specifico riguardo al parto anonimo, una previsione volta ad operare un bilanciamento di interessi (quello alla salute e quello alla riservatezza) tutelati dalla Costituzione e dalle fonti sovranazionali circa il diritto del figlio di accedere ai dati sanitari dei propri genitori, previa opportuna anonimizzazione o pseudonimizzazione della documentazione, quando ciò sia necessario per motivi attinenti alla tutela della sua salute.
  Il Ministero è particolarmente sensibile al tema e, considerata la sua delicatezza e complessità, ritiene di dover aprire una riflessione approfondita che possa rendere ogni eventuale e futuro intervento coerente con i principi che governano la materia e gli interessi di tutte le parti coinvolte.

La Ministra della giustizia: Marta Cartabia.

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

politica sanitaria

adozione di minore

diritto alla salute