ATTO CAMERA

MOZIONE 1/00255

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 19
Seduta di annuncio: 252 del 28/02/2024
Firmatari
Primo firmatario: BARZOTTI VALENTINA
Gruppo: MOVIMENTO 5 STELLE
Data firma: 28/02/2024
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
SILVESTRI FRANCESCO MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
BALDINO VITTORIA MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
SANTILLO AGOSTINO MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
AURIEMMA CARMELA MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
CAPPELLETTI ENRICO MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
AIELLO DAVIDE MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
CAROTENUTO DARIO MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
TUCCI RICCARDO MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
ALIFANO ENRICA MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
AMATO GAETANO MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
APPENDINO CHIARA MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
ASCARI STEFANIA MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
BRUNO RAFFAELE MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
CAFIERO DE RAHO FEDERICO MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
CANTONE LUCIANO MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
CARAMIELLO ALESSANDRO MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
CARMINA IDA MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
CASO ANTONIO MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
CHERCHI SUSANNA MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
COLUCCI ALFONSO MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
CONTE GIUSEPPE MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
COSTA SERGIO MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
D'ORSO VALENTINA MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
DELL'OLIO GIANMAURO MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
DI LAURO CARMEN MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
DONNO LEONARDO MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
FEDE GIORGIO MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
FENU EMILIANO MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
FONTANA ILARIA MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
GIULIANO CARLA MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
GUBITOSA MICHELE MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
IARIA ANTONINO MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
L'ABBATE PATTY MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
LOMUTI ARNALDO MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
LOVECCHIO GIORGIO MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
MORFINO DANIELA MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
ORRICO ANNA LAURA MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
PAVANELLI EMMA MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
PELLEGRINI MARCO MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
PENZA PASQUALINO MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
QUARTINI ANDREA MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
RAFFA ANGELA MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
RICCIARDI MARIANNA MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
RICCIARDI RICCARDO MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
SCERRA FILIPPO MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
SCUTELLA' ELISA MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
SPORTIELLO GILDA MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
TODDE ALESSANDRA MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
TORTO DANIELA MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024
TRAVERSI ROBERTO MOVIMENTO 5 STELLE 28/02/2024


Stato iter:
IN CORSO
Atto Camera

Mozione 1-00255
presentato da
BARZOTTI Valentina
testo di
Mercoledì 28 febbraio 2024, seduta n. 252

   La Camera,

   premesso che:

    la parità di genere è uno dei valori fondanti dell'Unione europea, al centro della Strategia per la parità di genere 2020-2025 e riconosciuta dai piani di ripresa e resilienza adottati dai Governi degli Stati che ne fanno parte. I piani d'intervento nazionali riguardano soprattutto le differenze di genere sul mercato del lavoro, che restano marcate in alcuni Paesi come l'Italia;

    l'attuale contesto europeo vive una persistente fase di crisi che trae origine dalle conseguenze socioeconomiche della pandemia, dalla situazione di instabilità geopolitica europea alimentata dal conflitto bellico russo-ucraino, oramai da quello israelo-palestinese, nonché dalla crisi energetica e climatica. In tale scenario, le disparità di genere si moltiplicano e pongono ai Paesi europei vecchie e nuove sfide a cui le politiche pubbliche dovrebbero trovare risposte capaci di raggiunge l'intera popolazione;

    sul mercato del lavoro, nonostante generali miglioramenti rispetto al biennio precedente, la ripresa mostra una persistenza dei gap di genere, riservando alla componente femminile una posizione subalterna. Secondo dati Eurostat (pubblicati nel rapporto annuale Employment and activity by sex and age a dicembre 2023), in Italia, il tasso di occupazione delle donne di età compresa tra i 20 e i 64 anni al IV trimestre 2022 è stato pari al 55 per cento, mentre la media dell'Unione europea è stata pari al 69,3 per cento. Da tali dati emerge la scarsa partecipazione delle donne al mercato del lavoro in Italia, il cui tasso di occupazione risulta essere quello più basso tra gli Stati Unione europea, di circa 14 punti percentuali al di sotto della media Unione europea a fine 2022. Nel nostro Paese si registra, inoltre, un divario anche nel rapporto tra la popolazione maschile e quella femminile nel mondo del lavoro: le donne occupate, infatti, sono circa 9,5 milioni, laddove i maschi occupati sono circa 13 milioni;

    a ciò si aggiunga che una donna su cinque fuoriesce dal mercato del lavoro a seguito della maternità. Tale ultimo aspetto riveste una particolare rilevanza in quanto indice della difficoltà per le donne di conciliare esigenze di vita con l'attività lavorativa. La decisione di lasciare il lavoro è infatti determinata per oltre la metà, il 52 per cento, da esigenze di conciliazione e per il 19 per cento da considerazioni economiche. In generale, il divario lavorativo tra uomini e donne è pari al 17,5 per cento, divario che aumenta in presenza di figli e arriva al 34 per cento in presenza di un figlio minore nella fascia di età 25-54 anni (dati dal «Rapporto plus 2022» di Inapp);

    anche secondo il rapporto Istat Sdgs 2023, infatti, la distribuzione del carico di lavoro per le cure familiari tra uomini e donne non migliora, ma l'istruzione si conferma fattore protettivo per l'occupazione delle donne con figli piccoli. Nel 2022, il tasso di occupazione delle donne di età compresa tra 25 e 49 anni con figli di età inferiore ai 6 anni è pari a 55,5 per cento (+1,6 p.p. rispetto al 2021), mentre quello delle donne della stessa età senza figli è del 76,6 per cento (+2,7 p.p. rispetto al 2021). La differenza occupazionale tra lo status di madre e non madre è molto bassa in presenza di un livello di istruzione più elevato, con un valore dell'indicatore pari a 91,5 per cento;

    il lavoro domestico può essere considerato cruciale per la partecipazione femminile al mercato del lavoro e fondamentale per una maggiore conciliazione vita-lavoro. Non a caso, come emerge chiaramente dai dati dell'osservatorio Domina, nel relativo rapporto annuale 2023, l'occupazione femminile (che tradizionalmente si avvantaggia di più della collaborazione domestica) è più elevata proprio dove ci sono più lavoratori domestici: il report rileva infatti che oltre il 21 per cento del «Pil del lavoro domestico» italiano è prodotto in Lombardia e circa il 45 per cento nel Lazio, in Emilia-Romagna, Veneto, Piemonte e Toscana, ovvero nelle aree dove il tasso di occupazione femminile è più elevato e quello di disoccupazione è più basso;

    sebbene vada notata una «distanza» tra dati ufficiali disponibili e dimensione reale del fenomeno tale per cui secondo i dati ufficiali dell'Osservatorio sul lavoro domestico dell'Inps, nell'anno 2021 i lavoratori domestici regolari erano pari a circa la metà di quelli indicati dall'Istat, secondo le stime dell'istituto statistico, il tasso di irregolarità nel settore supera addirittura il 50 per cento. Tali numeri confermerebbero pertanto l'impatto del sommerso, come già riportato nella «Relazione sull'economia non osservata e sull'evasione fiscale e contributiva», pubblicata contestualmente alla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2023, ove, nell'anno d'imposta 2020, si riportava che l'evasione Irpef del personale domestico si collocherebbe a circa 994 milioni di euro (pari al 30,4 per cento dell'evasione complessiva di tutti i lavoratori dipendenti irregolari, stimata in 3,2 miliardi di euro);

    l'occupazione femminile è poi caratterizzata anche da un accentuato divario retributivo di genere, nonché dal tipo di lavoro svolto dalle donne;

    per quanto concerne la differenza di retribuzione, secondo gli ultimi dati Eurostat già citati, il gap retributivo medio (ossia la differenza nella retribuzione oraria lorda tra uomini e donne) è pari al 5 per cento (al di sotto della media europea che è del 13 per cento, come riporta un comunicato stampa della Commissione europea del 14 novembre 2023), mentre quello complessivo (ossia la differenza tra il salario annuale medio percepito da donne e uomini) è pari al 43 per cento (al di sopra della media europea, che è invece pari al 36,2 per cento);

    secondo i dati dell'Osservatorio sui lavoratori dipendenti del settore privato dell'Inps, nel 2022 la retribuzione media annua è costantemente più alta per il genere maschile, con una differenza di 7.922 euro (26.227 euro per gli uomini contro 18.305 euro per le donne). Con riferimento a tale settore privato, si segnala che la Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026 ha tra gli obiettivi quello di ridurre il gender pay gap nel settore privato dal 17 al 10 per cento;

    dal punto di vista delle caratteristiche del lavoro svolto, la bassa partecipazione al lavoro delle donne è determinata da diversi fattori, come l'occupazione ridotta, in larga parte precaria, in settori a bassa remuneratività o poco strategici e una netta prevalenza del part time, che riguarda poco meno del 49 per cento delle donne occupate contro il 26,2 per cento degli uomini (si veda il Gender policies report 2022);

    tra le politiche sovranazionali volte a favorire l'occupazione femminile va ricordata la direttiva (UE) 2023/970 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 maggio 2023, che dovrà essere recepita entro il 7 giugno 2026. Tale direttiva stabilisce prescrizioni minime per rafforzare l'applicazione del principio della parità retributiva per uno stesso lavoro tra uomini e donne e il divieto di discriminazione in materia di occupazione e impiego per motivi di genere;

    sebbene il diritto alla parità di retribuzione per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore tra lavoratori di sesso femminile e maschile sia un principio fondamentale dell'Unione europea, l'effettiva attuazione di tale principio continua a incontrare una serie di ostacoli, come dimostra il dato sul divario retributivo di genere (gender pay gap) nell'Unione europea in base al quale le donne guadagnano a parità di mansioni, in media il 13 per cento in meno rispetto agli uomini;

    il lavoro è uno degli ambiti in cui i divari di genere sono più visibili. Molto spesso le donne incontrano maggiori difficoltà a trovare un impiego e a coprire ruoli di prestigio e responsabilità. Secondo le stime contenute nella recente ricerca di Banca d'Italia: «Le donne, il lavoro e la crescita economica», in Italia solo poco più di una donna su due ha un lavoro, con un tasso di occupazione femminile del 51,1 per cento, ben al di sotto della media europea del 65 per cento;

    le donne più svantaggiate sono quelle con figli, al contrario dei padri che riportano un tasso di occupazione più elevato. Preoccupante è in questo senso il dato evidenziato con riferimento alla cosiddetta child penalty sui redditi da lavoro nel nostro Paese: tra le madri occupate, a 15 anni dalla nascita dei figli, la retribuzione annua è circa la metà rispetto a quella delle donne senza figli;

    il differenziale tra retribuzioni, che si amplifica se si considera il divario retributivo complessivo di genere, determina ripercussioni a lungo termine sulla qualità della vita delle donne, le espone a un maggiore rischio di povertà e perpetua il divario retributivo pensionistico (gender pension gap), che è addirittura pari al 29 per cento nell'Unione europea;

    nella lotta contro la violenza di genere, non si può prescindere da un approccio che parta dal lavoro e dall'occupazione delle donne, troppo spesso ancora oggetto di molestie sul luogo di lavoro e non sufficientemente supportate nel mantenimento dell'occupazione e del reddito oltreché nel percorso di reinserimento lavorativo laddove siano state vittime di violenza;

    da un lato, con la Convenzione n. 190, dal 2019 l'organizzazione internazionale del lavoro (Oil) riconosce il diritto di tutte le persone a un mondo del lavoro libero dalla violenza e dalle molestie, comprese la violenza e le molestie di genere. Ratificata dall'Italia (secondo Paese europeo, dopo la Grecia) il 29 ottobre 2021, la Convenzione rappresenta la prima norma internazionale a fornire un quadro organico di intervento per prevenire e contrastare le molestie nel mondo del lavoro, ma soprattutto ne detta la prima definizione riconosciuta secondo cui le molestie sono un insieme di pratiche e di comportamenti inaccettabili che si prefiggono, causano o possono comportare un danno fisico, psicologico, sessuale o economico;

    secondo i dati del paper «The Wage Effect of Workplace Sexual Harassment: Evidence for Women in Europe», pubblicato a maggio 2023 dall'Institute for New Economic Thinking, l'alto rischio di molestie sessuali penalizza le donne, riducendone i salari e contribuendo così ad aumentare il divario retributivo di genere. Si è infatti riscontrato un impatto negativo significativo del rischio di molestie sessuali sui salari delle donne occupate, che è maggiore per le lavoratrici altamente qualificate rispetto a quelle poco qualificate: il rischio di molestie sessuali riduce il premio salariale che le lavoratrici percepiscono per il fatto di essere impiegate in posizioni professionali apicali;

    lo studio conclude che, in Europa, le donne impiegate in occupazioni contro-stereotipate – sia in termini di status occupazionale (donne in posizioni apicali) sia in termini di composizione di genere (donne impiegate in ambienti di lavoro in cui la maggior parte delle posizioni apicali sono occupate da uomini) – sono altamente penalizzate, perché sperimentano le conseguenze più severe delle molestie sessuali sui loro salari. Questo tipo di pressioni va considerato quindi come costo aggiuntivo per le donne, anche perché può agire come disincentivo rispetto all'accettare lavori altamente qualificati, andando a incrementare la segregazione orizzontale e verticale di genere nei mercati del lavoro europei;

    dall'altro, sebbene tra il 2015 e il 2022 l'Italia abbia speso complessivamente 157 milioni di euro contro la violenza (circa 20 per misure di sostegno al reddito, 124 per interventi di reinserimento e inserimento lavorativo delle donne fuoriuscite da situazioni di violenza, 12 per l'autonomia abitativa), stando a quanto emerge dallo studio «Diritti in bilico. Reddito, casa e lavoro per l'indipendenza delle donne in fuoriuscita dalla violenza», di ActionAid Italia, si tratta di cifre decisamente insufficienti, corrispondenti a circa 54 euro al mese per donna presa in carico non economicamente autonoma;

    invero, disporre di un reddito sufficiente, di un alloggio sicuro, di un lavoro dignitoso e di servizi pubblici ben funzionanti sono i presupposti essenziali per consentire alle donne non solo di abbandonare situazioni di violenza, ma anche di accelerare il loro processo di empowerment. Per questo devono essere gli elementi costitutivi di una politica pubblica per supportare le donne nel loro percorso verso l'indipendenza economica. Si tratta sostanzialmente di garantire quei diritti economici e sociali tutelati da numerose leggi internazionali – inclusa la Convenzione di Istanbul – e dalla stessa Costituzione italiana;

    ancora lontana, però, è la realtà quotidiana delle donne rispetto alle previsioni normative: come testimoniato da Istat nel corso dell'audizione svoltasi presso la XI Commissione (Lavoro) della Camera il 27 febbraio 2024; quasi la metà delle donne che hanno avviato un percorso di uscita da una violenza subita non è infatti economicamente autonoma. La rilevazione sull'utenza dei centri antiviolenza non solo ha permesso di individuare le donne che hanno subito violenza economica (nel complesso si tratta di 10.515 donne, il 40,2 per cento), ma anche una serie di segnali importanti della dipendenza economica della donna: la percentuale infatti aumenta al 74 per cento se si considerano le donne che presentano almeno una delle seguenti caratteristiche: non sono autonome economicamente, sono arrivate al centro antiviolenza con una richiesta di supporto all'autonomia, al lavoro o di natura economica, hanno subito violenza economica o hanno usufruito del servizio di supporto all'autonomia da parte del centro antiviolenza;

    anche dall'analisi delle chiamate ricevute dal numero di pubblica utilità contro la violenza e lo stalking emerge un quadro preoccupante: nel 2023 le violenze economiche sono segnalate dal 19,7 per cento delle donne che contattano il numero 1522. Subiscono di più violenza economica le casalinghe (41 per cento), le lavoratrici in nero (32,9 per cento) e le disoccupate (30,6 per cento); per le occupate la percentuale è pari a 15,9 per cento. Inoltre, le donne che presentano situazioni economiche più svantaggiate subiscono più di frequente violenza dai partner con cui vivono: in particolare ciò si verifica per le disoccupate (53,7 per cento), le casalinghe (79,5 per cento) e le lavoratrici in nero (52,8 per cento);

    i dati raccolti evidenziano quindi ancora quanto il lavoro, l'occupazione femminile e l'indipendenza economica siano un valido ed imprescindibile argine contro la violenza. In Italia, le politiche per l'inserimento lavorativo o il mantenimento dell'occupazione rivolte alle donne vittime di violenza sono poche e frammentarie. Nello specifico, per favorire l'inserimento lavorativo sono stati finanziati in maniera disorganica, generalmente a livello regionale, percorsi di formazione professionale, tirocini, attività di avvio all'autoimprenditorialità, a cui si sommano gli sgravi contributivi per le imprese – introdotti sperimentalmente a livello nazionale – per incentivare l'assunzione a tempo indeterminato di donne che hanno subito violenza;

    la correlazione positiva tra occupazione femminile e livello del prodotto interno lordo è ormai stata stimata da numerose organizzazioni internazionali: più donne al lavoro significa maggiore produzione e creazione di valore aggiunto che si converte in prodotto interno lordo. Non si tratta solo di livello di prodotto interno lordo, ma anche di crescita perché il lavoro femminile innesca una spinta ulteriore di domanda di lavoro e un circolo virtuoso di opportunità;

    uno studio di Eige sui «vantaggi economici dell'uguaglianza di genere» fornisce nuovi solidi riscontri obiettivi dai quali emergono gli impatti positivi della riduzione delle disparità di genere nel mercato del lavoro. Tra le misure a favore dell'uguaglianza di genere che possono ridurre i divari di genere includono, si segnalano in particolare: offerta di assistenza all'infanzia e altre forme di assistenza; cambiamenti della retribuzione e delle condizioni di fruizione del congedo parentale; promozione e sostegno di contratti di lavoro a tempo parziale e flessibili; disposizioni legislative e politiche in materia di parità di retribuzione e di condizioni di lavoro; eliminazione della segregazione di genere a livello di settori e di posti di lavoro; riduzione del numero di interruzioni di carriera tra le donne;

    la stima di Eige sulla crescita del prodotto interno lordo in Europa mostra che, entro il 2050, promuovere la parità di genere in uno scenario di progresso rapido rispetto a quello lento potrebbe aumentare il prodotto interno lordo pro capite in Europa dal 6.1 al 9.6 per cento. Si tratta di un ammontare tra i 1.95 e i 3.15 milioni di milioni di euro. Inoltre, nei Paesi che hanno una situazione di partenza della parità di genere più arretrata, come l'Italia, il potenziale impatto sul PIL è maggiore: i guadagni di PIL potrebbero arrivare nel 2050 a circa il 12 per cento,

impegna il Governo

1) al fine di rilanciare il sistema Paese, a predisporre un piano straordinario e urgente volto a sostenere e promuovere l'occupazione femminile, la conciliazione tempi di vita e lavoro e la genitorialità, in particolare:

  a) adottando iniziative di programmazione concrete che riorganizzino ogni servizio suscettibile di supportare e sostituire il lavoro di cura prevalentemente svolto dalle donne, anche attraverso:

   1) la disponibilità di servizi socio-educativi per la prima infanzia quale diritto esigibile di tutti i bambini, ed il rafforzamento della rete degli asili nido, a partire dai territori più deprivati, con copertura dei posti, adeguati standard qualitativi e condizioni di accessibilità eque e compatibili con le potenzialità di spesa delle famiglie;

   2) il riconoscimento e l'acquisizione di un valore economico del lavoro di cura e domestico, cruciale per la partecipazione femminile al mercato del lavoro e per una maggiore conciliazione vita-lavoro, in particolare adottando un serio piano di sostegno all'occupazione in questo settore, suscettibile di determinarne una maggiore produttività ed una conseguente riduzione dell'area sommersa;

   3) la promozione di progetti a livello comunale che, sostenendo l'occupazione, rispondano in maniera più prossima alle esigenze legate alla cura e all'assistenza, con effetti positivi sia per le famiglie che per coloro che prestano il servizio;

   4) l'incentivazione della creazione di asili nido aziendali attraverso l'istituzione di un «Fondo» nell'ambito dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;

   5) l'adozione di modelli flessibili di organizzazione del lavoro come la riduzione dell'orario a parità di salario e lo smart working con particolare attenzione ai soggetti fragili e ai genitori con figli di età inferiore ai 14 anni;

  b) prevedendo iniziative volte a una estensione del sistema di tutela delle lavoratrici, sia del comparto autonomo che subordinato, anche attraverso:

   1) l'estensione in termini di durata nonché copertura del congedo di paternità obbligatorio, in modo da ridurre il disincentivo economico all'utilizzo dei congedi parentali per i padri;

   2) l'incremento del trattamento economico dei congedi parentali e dell'indennità di maternità;

   3) la parificazione degli istituti di modo che siano fruibili da entrambi i genitori indipendentemente dall'attività lavorativa svolta, con particolare riferimento ai genitori con figli minori di 12 anni e alla figura del «secondo genitore equivalente»;

  c) rafforzando e implementando iniziative specifiche di tutela e sostegno delle donne, in particolare delle donne vittime di violenza e con disabilità, e dedicate alle persone transgender, non-binary e gender non-conforming, volte a superare la discriminazione e gli ostacoli che incontrano nel corso dell'intero ciclo lavorativo, con specifico riguardo:

   1) alla promozione e creazione di una cultura lavorativa positiva e inclusiva finalizzata alla prevenzione di comportamenti che possano direttamente o indirettamente determinare l'insorgere di stati di disagio o di danno psichico a carico dei lavoratori e delle lavoratrici;

   2) alla definizione di sistemi premiali che incentivino l'inclusività, la concreta attuazione della eguale valorizzazione del lavoro e siano funzionali alla conservazione del posto di lavoro nel tempo e nelle varie fasi di vita della lavoratrice e dei lavoratori;

   3) alla piena e più estesa garanzia di applicazione dell'articolo 55, comma 4, del decreto legislativo n. 151 del 2001, valida garanzia contro il fenomeno delle cosiddette «dimissioni in bianco», oggi invece messo gravemente a repentaglio da una proposta normativa del Governo, nell'ambito del cosiddetto Collegato lavoro (A.C. 1532-A, articolo 9);

  d) dando piena attuazione alla direttiva (UE) 2023/970 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 maggio 2023, volta a rafforzare l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra uomini e donne per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore attraverso la trasparenza retributiva e i relativi meccanismi di applicazione, in particolare:

   1) attraverso il riconoscimento di un valore economico al lavoro di cura e domestico di modo che, nell'ambito di una considerazione dell'economia quale sistema di riproduzione sociale, esso non si traduca in una valorizzazione di mercato quanto piuttosto una valorizzazione sociale (social provisioning), tale da influenzare alla base la distinzione tra lavoro produttivo e improduttivo, rendendo quindi il lavoro di cura remunerabile e contribuendo a ridurre il differenziale di genere nel mercato del lavoro in termini di retribuzione e benefici;

   2) prevedendo interventi mirati a ridurre il gap pensionistico, attraverso:

    a) il ripristino, nel prossimo provvedimento utile, della disciplina sull'uscita pensionistica per il tramite della cosiddetta «Opzione donna» alle regole vigenti sino al 31 dicembre 2022;

    b) l'adozione di ulteriori misure suscettibili di affrontare in modo più incisivo e risolutivo le condizioni che sono alla base della penalizzazione femminile in campo previdenziale ovverosia la disuguaglianza di genere nel mercato del lavoro, con particolare riguardo ai bassi livelli contributivi e alle interruzioni di contribuzione per maternità e lavoro di cura.
(1-00255) «Barzotti, Francesco Silvestri, Baldino, Santillo, Auriemma, Cappelletti, Aiello, Carotenuto, Tucci, Alifano, Amato, Appendino, Ascari, Bruno, Cafiero De Raho, Cantone, Caramiello, Carmina, Caso, Cherchi, Alfonso Colucci, Conte, Sergio Costa, D'Orso, Dell'Olio, Di Lauro, Donno, Fede, Fenu, Ilaria Fontana, Giuliano, Gubitosa, Iaria, L'Abbate, Lomuti, Lovecchio, Morfino, Orrico, Pavanelli, Pellegrini, Penza, Quartini, Raffa, Marianna Ricciardi, Riccardo Ricciardi, Scerra, Scutellà, Sportiello, Todde, Torto, Traversi».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

lavoro femminile

sicurezza del lavoro

tensione mentale