Atto Camera
Mozione 1-00340
presentata da
PIER LUIGI BERSANI
testo di
martedì 9 marzo 2010, seduta n.296
La Camera,
premesso che:
la crisi economica ancora in corso è per l'economia italiana la più seria dal dopoguerra;
il 2009 si è appena concluso con una contrazione del 5 per cento del prodotto interno lordo, la peggiore dal 1971, e con un impressionante aumento della disoccupazione;
dopo due anni di politica economica del Governo Berlusconi l'unico obiettivo dichiarato appare il controllo della finanza pubblica, assunto come obiettivo della politica economica, mentre doveva essere considerato come vincolo in relazione all'obiettivo della crescita. Non solo e non tanto in termini anti-ciclici, quanto in termini strutturali, ossia per aggredire i nodi che da un quarto di secolo determinano la caduta della nostra produttività totale dei fattori;
a gennaio 2010 la disoccupazione è arrivata all'8,6 per cento, nuovo massimo dal 2004 (ad aprile 2008 la percentuale era pari al 7 per cento). Soffrono, in particolare, i giovani, per i quali il tasso di disoccupazione si è impennato di 6,2 punti percentuali (dal 20,6 per cento dell'aprile 2008 al 26,8 per cento del gennaio 2010), e le donne, in particolar modo nel Mezzogiorno, dove due su tre non hanno un lavoro. E tra le donne il tasso di inattività in Italia sfiora il 50 per cento, molto più elevato della media europea, con differenziali a sfavore che vanno dai 14 punti nel confronto con la Spagna ai 26 con la Svezia;
per molti «senza lavoro» non esistono sostegni al reddito (il sussidio a favore dei lavoratori a progetto pari al 30 per cento del precedente salario è stato goduto, nel 2009, da 1.800 persone su una platea di quasi 300.000 lavoratori). Il tasso di occupazione, già notevolmente basso in Italia, in particolare per le donne ed i giovani, è caduto di 2 punti negli ultimi 18 mesi (dal 59 per cento al 57 per cento): diventa sempre più intensa la rassegnazione di quanti, soprattutto giovani e donne, soprattutto al Sud, non trovano lavoro e smettono di cercarlo. Le previsioni per il 2010 indicano un ulteriore aumento della disoccupazione e un ulteriore calo del tasso di occupazione;
secondo i dati diffusi dall'Inps le ore di cassa integrazione autorizzate alle aziende a febbraio 2010 sono state 95 milioni, in aumento del 12,4 per cento rispetto a gennaio 2010 e del 123,5 per cento rispetto a febbraio 2009, con un aumento tendenziale nei primi due mesi del 2010 del 149,3 per cento, con 179,6 milioni di ore complessive a fronte di 72 dello stesso periodo del 2009, quando la crisi già manifestava i suoi effetti sul sistema produttivo;
secondo autorevoli centri studi, nonostante lo straordinario valore della fittissima rete produttiva costituita da oltre 200 territori al loro interno omogenei (per cultura industriale e per modelli d'impresa), ma differenti tra loro e proprio per questo capaci di formare una vera e propria spina dorsale dell'economia italiana, le politiche economiche programmate dal Governo non determinano alcuna ripartenza nel 2010 e la lieve crescita sarà dovuta più a effetti di rimbalzo dai minimi dopo il crollo del 2009, che all'effettivo inizio di una fase di recupero. La distanza dai livelli pre-crisi rimarrà amplissima, soprattutto per le piccole e medie imprese;
la situazione, pertanto, evidenzia un settore industriale con un eccesso di capacità produttiva rispetto alla domanda interna, una domanda di lavoro in ripiegamento e il valore aggiunto diminuito in molti settori: industria in senso stretto (-15,1 per cento), costruzioni (-6,7 per cento), servizi (-2,6 per cento), agricoltura (-3,1 per cento). In agricoltura nel 2009 migliaia di imprese sono state costrette a chiudere e altre 50 mila aziende agricole rischiano di cessare l'attività nel 2010. Alle difficoltà strutturali del comparto si è aggiunto il crollo dei prezzi all'origine e la caduta dei redditi degli agricoltori (-25,3 per cento nel 2009);
il Paese appare incapace di penetrare nuovi mercati mondiali, con un'evidente assenza internazionale in molti comparti produttivi. In favore del made in Italy, vero patrimonio della cultura d'impresa italiana, non c'è stata alcuna misura in due anni;
il trend del prodotto interno lordo italiano è tale che, prima di recuperare la caduta del biennio 2008-2009, ci vorrà un periodo molto lungo, probabilmente si arriverà al 2015, ma in termini di prodotto pro-capite occorrerà aspettare il 2018;
l'Italia si caratterizza nell'Unione europea per la minore crescita, la maggiore contrazione dei consumi privati e la maggiore inflazione. Questo è accaduto non perché la crisi abbia colpito l'Italia più di altri Paesi, ma perché essa si è sovrapposta ai precedenti problemi interni e probabilmente li ha aggravati. Nell'ultimo biennio:
a) il prodotto interno lordo cumulato è diminuito del 6 per cento in Italia, del 3,8 per cento in Germania, del 2 per cento in Francia;
b) l'inflazione è cresciuta del 4,2 per cento in Italia e del 3 per cento in Germania e Francia;
c) i consumi privati (in termini reali) sono diminuiti del 2,7 per cento in Italia e aumentati dell'1 per cento in Germania e dell'1,7 per cento in Francia;
per il 2010 le previsioni stimano una crescita del prodotto interno lordo per l'Italia intorno all'1 per cento, mentre si prevede che la Germania crescerà dell'1,8 per cento e la Francia dell'1,4 per cento. Nel 2010 l'inflazione italiana è stimata pari all'1,6 per cento, quella tedesca all'1 per cento, quella francese all'1,2 per cento;
se si registra in Italia un'anomala relazione tra prodotto interno lordo ed inflazione è perché tra le ragioni della minore crescita si ritrovano anche le cause di maggiore inflazione: la scarsa produttività e concorrenza nel settore dei servizi privati (esempio emblematico è quello delle polizze assicurative) e pubblici;
molto preoccupante è il dato di febbraio 2010 relativo all'andamento dei prezzi nei servizi regolamentati, aumentati del 3,7 per cento su base annua contro un'inflazione media dell'1,2 per cento. Alcuni tassi di variazione sono molto significativi: trasporto ferroviario +14,6 per cento, servizi postali +11,2 per cento, assicurazione auto +7 per cento, pedaggi autostradali +7 per cento, rifiuti urbani +6,4 per cento, servizio idrico +6,2 per cento. Il Governo ha consentito aumenti nei servizi regolamentati ben al di sopra della media generale, sia con provvedimenti esplicitamente protettivi dei concessionari privati e pubblici che gestiscono i servizi, sia con quella che ai firmatari del presente atto di indirizzo appare semplice inerzia;
le imprese segnalano, secondo la Banca d'Italia, difficoltà di accesso al credito, credito che rimane molto inferiore ai livelli storici, un problema estremamente grave per un Paese come l'Italia, fatto soprattutto di piccole e piccolissime imprese che utilizzano prevalentemente credito bancario, così che il credit crunch verificatosi a partire dagli ultimi mesi del 2008 ha colpito pesantemente anche quelle aziende che non avevano problemi di commesse;
l'Italia ha retto soltanto per l'impegno di imprenditori, professionisti e lavoratori e per il senso di responsabilità delle parti sociali. Il risparmio delle famiglie italiane è stato il vero ammortizzatore sociale operativo. La capacità di resistenza dei pilastri del tessuto economico e sociale italiano non è infinita. L'Italia ce la farà anche questa volta, come in altri passaggi critici della sua storia remota e recente. Ma le classi dirigenti, innanzitutto della politica, devono assumersi responsabilità di guida;
la gravità della crisi ha creato un vasto consenso a livello internazionale sulla necessità di affiancare agli stabilizzatori automatici e alla politica monetaria interventi discrezionali di bilancio a fini anticiclici;
tuttavia, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, il Governo ha scelto una linea minimalista per intervenire sulla crisi: ossia il rifiuto di adottare, già negli ultimi mesi del 2008 e per tutto il 2009, una vera politica di bilancio anticiclica, secondo qualità e quantità della manovra coerenti con le condizioni della finanza pubblica italiana, lasciando andare il corso delle cose naturalmente senza correzioni rilevanti dal punto di vista delle tendenze che si stanno manifestando;
la politica è minimalista ma non prudenziale, perché altrimenti i fondamentali di finanza pubblica non sarebbero scesi ai livelli evidenziati dall'Istat nei giorni scorsi: nel 2009 l'indebitamento netto in rapporto al prodotto interno lordo è stato pari al 5,3 per cento (nel 2008 era stato il 2,7 per cento). In valore assoluto l'indebitamento netto è aumentato di circa 38.200 milioni di euro, attestandosi sul livello di 80.800 milioni di euro. Il saldo primario è risultato negativo e pari allo 0,6 per cento del prodotto interno lordo, inferiore di oltre 3 punti rispetto al livello positivo raggiunto nel 2008 (2,5 per cento);
il risultato, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, è che il Governo non ha realizzato una vera politica anticiclica, né è stato in grado di governare la spesa, che, nonostante i tagli introdotti dal decreto-legge n. 112 del 2008, sembra crescere più delle previsioni e senza controllo; le spese per consumi intermedi hanno registrato nel 2009 un aumento del 7,5 per cento, dopo il 6,4 per cento del 2008: circa 12 miliardi di euro in due anni. Quello dei tagli lineari è il secondo esempio in pochi anni, dopo il tetto alla spesa, che dimostra che la spesa pubblica non si governa con provvedimenti aggregati, né con misure uguali per tutti. Il Governo non ha neanche saputo approfittare dei margini offerti dalla diminuzione della spesa per interessi, che ha fatto registrare una flessione di quasi 10 miliardi di euro;
sul versante delle entrate, il gettito dell'iva è crollato del 10 per cento, a fronte di un aumento dei consumi nominali di oltre il 2 per cento, uno scarto che vale 20 miliardi di euro nel biennio. Soprattutto, aiutata dalla rimozione di importanti strumenti di contrasto e dall'avvio della stagione dei condoni, si è allargata a dismisura l'evasione fiscale. Lo scenario dell'evasione va a peggiorare a causa dello «scudo fiscale», un'anomalia assoluta in ambito Ocse, perché è garantito l'anonimato, è sospeso l'obbligo di segnalazione antiriciclaggio, il costo della regolarizzazione è pari ad 1/10 di quanto previsto negli altri Paesi. Sono anche state drasticamente abbattute le sanzioni, così creando un fortissimo incentivo a sotto-dichiarare, in quanto nell'improbabile caso di controlli si potrà pagare quanto richiesto dall'agenzia delle entrate con un modestissimo aggravio;
anche i risultati raggiunti dall'agenzia delle entrate attraverso i controlli non hanno alcunché di straordinario, sono in linea con gli anni precedenti, se depurati da partite improprie, e non possono comunque compensare gli effetti di crollo della «fedeltà fiscale»: l'incremento degli incassi dell'agenzia delle entrate copre appena il 10 per cento della perdita di gettito dovuta a maggior evasione;
pertanto, mentre il peggioramento delle condizioni di finanza pubblica nelle altri grandi economie europee, negli Stati Uniti ed in Giappone si spiega in larga misura con manovre anti-cicliche e salvataggi delle banche, in Italia è dovuto all'incapacità di controllare la spesa corrente per i consumi intermedi delle pubbliche amministrazioni e all'enorme aumento dell'evasione fiscale, solo in parte controbilanciato da entrate straordinarie;
a tutt'oggi manca un disegno organico di rilancio e sviluppo del sistema industriale e, per questa via, dell'economia italiana. In particolare, anche gli strumenti di incentivazione a sostegno della domanda appaiono frammentari ed estemporanei e alcuni di essi si sono esauriti, senza che sia stata effettuata una circostanziata valutazione della loro reale validità. Al contempo, nonostante la contrarietà degli imprenditori, il Governo ha sostanzialmente vanificato, a causa del meccanismo del click-day, strumenti di provata efficacia, quali il credito d'imposta automatico per la ricerca e lo sviluppo, e ha smantellato «Industria 2015». È stato azzerato il fondo competitività (circa 7 miliardi di euro) destinato a sostenere l'infrastrutturazione tecnologica dei sistemi e delle reti di imprese, lo sviluppo della banda larga, la bonifica dei siti industriali inquinati, il sostegno sul territorio alle azioni prioritarie di «Industria 2015»;
in materia di lavoro, con il pretesto di rafforzare la competitività internazionale, il Governo ha operato una sistematica destrutturazione dei più importanti istituti, scegliendo la via della competizione «bassa», attraverso: l'abrogazione delle norme per la protezione delle lavoratrici dalle dimissioni in bianco; la cancellazione della responsabilità solidale in capo al committente negli appalti; la riduzione della durata dell'obbligo scolastico, consentendone il completamento attraverso un anno di contratto di apprendistato e dando alle aziende "carta bianca" per l'attività formativa. I tagli alle risorse a sostegno del lavoro, nonostante il perdurare della crisi, nella legge finanziaria per il 2010 assommano, attraverso varie misure, a 2 miliardi e 89 milioni di euro, mentre le risorse per gli ammortizzatori sociali traggono origine prevalentemente dal fondo per le aree sottoutilizzate;
il Mezzogiorno è uno degli aspetti più drammatici, la grande questione nazionale irrisolta in cui si sta manifestando un aggravamento delle condizioni materiali, con enormi rischi, che già si stanno verificando, di una nuova fuga di giovani laureati e diplomati, tale da lasciare esposti i territori più deboli al reclutamento nella grande e nella microcriminalità;
il Governo ha sistematicamente smantellato l'efficacia di tutte le agevolazioni fiscali automatiche che costituivano un punto di avanzamento reale verso le politiche meridionali, perché uscivano dalla discrezionalità e premiavano chi veramente investiva, mentre continua la propaganda relativa al Ponte sullo Stretto e rimangono incompiute le grandi infrastrutture ferroviarie e stradali necessarie allo sviluppo del Mezzogiorno. Basti pensare al reiterato e distorto utilizzo delle risorse del fondo per le aree sottoutilizzate, con ciò distruggendo la programmazione 2007-2013;
in materia di opere pubbliche, i vincoli imposti dal patto di stabilità interno costringeranno gli enti locali nel triennio 2009-2011 a ridurre la spesa totale di circa il 10 per cento e, considerando che la spesa corrente è difficilmente contraibile, a risentirne sarà la spesa per investimenti che si potrebbe ridurre addirittura del 30 per cento, quando le analisi evidenziano che le opere medio-piccole producono sul sistema economico e sull'occupazione un effetto moltiplicatore e distribuito in modo diffuso sul territorio,
impegna il Governo:
a mettere sotto controllo e a riqualificare la spesa per acquisti di beni e servizi, a chiudere la stagione dei condoni e a riavviare la lotta all'evasione, così consentendo di finanziare una politica economica alternativa, un piano nazionale anti-crisi ad impatto di breve periodo, per spingere la domanda interna, sia i consumi delle famiglie che gli investimenti delle imprese, attraverso misure una tantum, senza effetti sul deficit strutturale e, in particolare, assumendo iniziative volte:
a) ad adottare un'indennità universale di disoccupazione, pari al 60 per cento dell'ultima retribuzione, per coloro i quali attualmente non dispongono di ammortizzatori o che hanno una copertura troppo bassa; a costituire presso l'Inps un fondo per pagare quei lavoratori che a causa delle difficoltà aziendali non ricevono una regolare retribuzione; a introdurre un credito d'imposta per le aziende che assumono lavoratrici a tempo indeterminato, valido su tutto il territorio nazionale, di importo doppio per le nuove assunte nel Mezzogiorno;
b) ad allentare il patto di stabilità interno per la spesa in conto capitale;
c) a rafforzare il fondo di garanzia per i crediti alle piccole e medie imprese, a ripristinare l'automatismo degli incentivi fiscali temporanei per gli investimenti, l'innovazione e la ricerca, a prorogare la detrazione fiscale per il risparmio energetico, a sospendere temporaneamente il limite alla deducibilità degli interessi passivi;
d) ad accelerare i pagamenti dei debiti pregressi della pubblica amministrazione verso i fornitori, stabilendo un termine non superiore a 120 giorni dall'avvenuta prestazione entro il quale effettuare il pagamento e prevedendo strumenti di garanzia statale all'attività di sconto svolta dal sistema bancario nei confronti delle piccole e medie imprese per i debiti pregressi della pubblica amministrazione;
e) a rilanciare la competitività del settore agricolo, attraverso un piano straordinario di intervento per le imprese agricole;
contestualmente, a investire sul potenziale di crescita del Paese, aprendo una volta per tutte il capitolo delle riforme strutturali in un'ottica di armonizzazione europea (welfare, scuola, università, mercati, fisco, spesa pubblica, mercato del lavoro), in particolare assumendo iniziative, anche di carattere normativo, finalizzate:
a) ad affrontare la riforma del fisco, la sfida principale che condizionerà tutte le altre, considerato che si tratta di una riforma necessaria e non più procrastinabile per sostenere la domanda interna e la produttività, una riforma ad invarianza di gettito, con l'obiettivo di semplificare gli adempimenti, che dovrà riallocare il carico fiscale tra soggetti e fonti di entrata e, in particolare:
1) tra chi paga e chi non paga o paga molto meno del dovuto, ricostruendo un rapporto di fiducia tra l'amministrazione e i contribuenti attraverso la certezza della fine dei condoni, il contrasto all'evasione fiscale, il rafforzamento delle sanzioni penali e l'incremento della tax compliance, dando in questo quadro immediata attuazione a quanto richiesto nella nota congiunta della Banca d'Italia, dell'Isvap e della Consob in materia di trasparenza nei bilanci e relazioni finanziarie delle grandi aziende (società quotate, assicurazioni, banche e finanziarie);
2) tra i redditi da capitale, i patrimoni mobiliari ed immobiliari e le imposte indirette da un lato e i redditi da lavoro, impresa e attività professionali dall'altro;
3) tra investimenti, produzioni e consumi ad elevato impatto ambientale ed investimenti, produzioni e consumi verdi;
b) a dare rapida attuazione alla legge delega sul federalismo fiscale per la responsabilizzazione solidale e per l'efficienza di tutti i livelli di governo;
c) a rilanciare il programma "Industria 2015" in coerenza con "Europa 2020", strategia per la crescita intelligente, verde ed inclusiva, riqualificando il sistema produttivo e assicurando che i cardini della politica industriale per l'Italia poggino su filiere produttive che integrino manifattura, servizi avanzati e nuove tecnologie, utilizzando diverse leve dell'intervento pubblico (domanda pubblica, incentivi alla domanda privata, realizzazione di infrastrutture, incentivi alle imprese);
d) a rilanciare gli investimenti per le infrastrutture, in particolare nel Mezzogiorno attraverso la revisione dei meccanismi di governance (cabina di regia nazionale partecipata dalle regioni) e l'introduzione di più stringenti sistemi di valutazione in itinere e sanzioni per gli amministratori inadempienti;
e) a favorire il credito alle piccole e medie imprese, intervenendo sugli assetti del mercato creditizio, che, come sottolineato dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato in un'audizione presso la Commissione finanze della Camera dei deputati, presenta conflitti di ruolo dovuti sia alla contemporanea presenza delle stesse persone fisiche negli organi di amministrazione o di gestione di più imprese, che dovrebbero, invece, competere tra loro, sia a partecipazioni societarie incrociate e a imprese comuni, che deprimono gli incentivi a competere;
f) a promuovere, infine, nelle sedi europee l'avvio di una politica economica comune, almeno nell'euro-area, tenuto conto dell'esigenza che le classi dirigenti dell'Unione europea si sottraggano alla perdente deriva protezionistica e puntino sulla domanda «interna» europea, dotandosi degli strumenti per finanziare decisivi investimenti nelle infrastrutture materiali e immateriali nell'Unione europea, per sostenere la domanda aggregata e innalzare la crescita potenziale dell'area, e considerando che, a Trattati vigenti, vi sono spazi giuridici per un'iniziativa di politica economica comune, di cui vi sono spunti già in «Europa 2020», che contiene importanti innovazioni di governance, che vanno colte e potenziate per spingere i Paesi membri alle riforme strutturali.
(1-00340)
«Bersani, Franceschini, Ventura, Boccia, Bindi, Maran, Villecco Calipari, Amici, Lenzi, Quartiani, Giachetti, Rosato, Bressa, Ferranti, Tempestini, Rugghia, Baretta, Fluvi, Ghizzoni, Mariani, Meta, Lulli, Damiano, Livia Turco, Oliverio, Gozi, De Pasquale».