Camera dei deputati - XVI Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Modifiche agli artt. 41, 45, 47, 53, 97 e 118 della Costituzione - A.C. 4144 e abb. - Schede di lettura, testo a fronte e lavori dell'Assemblea costituente
Riferimenti:
AC N. 3054/XVI   AC N. 3039/XVI
AC N. 3967/XVI   AC N. 4144/XVI
Serie: Progetti di legge    Numero: 476
Data: 18/04/2011
Descrittori:
CONCORRENZA   COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA
LIBERA CIRCOLAZIONE NEL MERCATO     
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni

 

Camera dei deputati

XVI LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Modifiche agli artt. 41, 45, 47, 53,
97 e 118 della Costituzione

A.C. 4144 e abb.

Schede di lettura, testo a fronte
e lavori dell’Assemblea costituente

 

 

 

 

 

 

n. 476

 

 

 

18 aprile 2011

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi – Dipartimento Istituzioni

( 066760-9475 / 066760-3855 – * st_istituzioni@camera.it

 

 

 

 

 

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File: AC0626.doc

 


INDICE

Schede di lettura

Modifica dell’articolo 41 della Costituzione                                                           3

Modifica degli articoli 45, 47 e 53 della Costituzione                                         21

Modifica dell’articolo 97 della Costituzione                                                         27

Modifica dell’articolo 118 della Costituzione                                                       35

Testo a fronte

Gli articoli 41, 45, 47, 53, 97 e 118 della Costituzione e le P.d.l. AA.C. 3039, 3054, 3967 e 4144        41

Lavori preparatori

Articolo 41 della Costituzione

Terza sottocommissione.

Seduta antimeridiana del 1° ottobre 1946                                                57

Seduta pomeridiana del 1° ottobre 1946                                                  67

Assemblea Costituente

Seduta del 13 maggio 1947                                                                      73

Articolo 97 della Costituzione

Seconda sottocommissione

Seduta del 14 gennaio 1947                                                                     89

Assemblea Costituente

Seduta del 24 ottobre 1947                                                                       97

Articolo 118, comma quarto, della Costituzione

XIII Legislatura – Esame P.d.L. Cost. A.C. 4462 e abb.                                       

Discussione in Assemblea

Seduta del 20 settembre 2000                                                               105

Seduta del 21 settembre 2000                                                               137

 

 


Schede di lettura

 


 

Modifica dell’articolo 41 della Costituzione

 

L’articolo 1 del disegno di legge AC 4144 novella l’articolo 41 della Costituzione modificandone i primi due commi e sostituendone il terzo.

La relazione illustrativa rileva incertezze e contraddizioni nella vigente formulazione dell’art. 41, ascritte al fatto che mentre “il primo comma sembra infatti prospettare una garanzia piena e assoluta della libertà dell'iniziativa economica privata («L'iniziativa economica privata è libera»); il terzo comma, al contrario, delinea un modello di economia dirigista, nel quale sono poste su uno stesso piano l'attività economica pubblica e quella privata, e indica lo scopo che l'azione dei pubblici poteri deve perseguire: indirizzare e coordinare a fini sociali queste attività”. Perciò, “nel testo vigente dell’articolo 41 della Costituzione, non appare di facile soluzione conciliare l’assoluta libertà dell’iniziativa con la previsione dei vincoli di cui al terzo comma”.

L’intervento normativo incide su un articolo la cui interpretazione è stata a lungo al centro di complessi dibattiti dottrinali che hanno riguardato, soprattutto, il rapporto tra il primo comma e i successivi, la portata dei concetti richiamati nel secondo comma, nonché il rilievo dell’articolo stesso rispetto alla configurazione di un dato assetto economico.

Le difficoltà interpretative relative al rapporto tra l’affermazione della libertà del primo comma e la successiva delimitazione compiuta dal secondo comma, nonché le previsioni del terzo comma aventi ad oggetto l'attività economica sia pubblica che privata sono state ampiamente approfondite dalla dottrina che si è diffusa anche sulle differenti radici ideologiche delle disposizioni contenute nell’articolo, riconducibili alle principali componenti politiche dell’Assemblea costituente.

 

Già nel corso dei lavori dell’Assemblea costituente le disposizioni confluite nel vigente art. 41 si ponevano come il terreno di confronto tra valori potenzialmente contrapposti, quali da un lato il principio della libertà di iniziativa economica privata di cui al comma 1 e quello dell’intervento pubblico nell’economia di cui al comma 3; tali principi apparivano tuttavia difficilmente conciliabili, come risulta dagli interventi svolti dall’on. Calamandrei e dall’on. Einaudi[1].

Il testo vigente dell’articolo 41 costituisce il risultato della reconductio ad unum di due diverse disposizioni elaborate nella III Sottocommissione, relative l’una (art. 37) al controllo sociale dell’attività economica, l’altra alla libertà dell’iniziativa economica privata (art. 39) (si veda infra). Nella formulazione unitaria delle due disposizioni è venuto meno l’esplicito riferimento, recato dal testo originario, alla finalizzazione dell’attività economica ai bisogni individuali e al benessere collettivo, mentre è rimasta la previsione secondo la quale la stessa attività non può svolgersi in danno all’utilità sociale, clausola alla quale fa seguito la prescrizione che l’iniziativa economica non possa recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana. Inoltre, nella formulazione definitiva, l’ordine tra le due disposizioni è stato invertito, risultando precedente l’affermazione della libertà dell’iniziativa economica privata.

 

Dalla relazione illustrativa del disegno di legge risulta che l'obiettivo dell’intervento sull’articolo 41 “è quello di potenziare l'impianto in raccordo con le successive proposte di modifica che riguardano gli articoli 97 e 118 della Costituzione”. Scopo dell’intervento è “valorizzare i princìpi sociali e liberali che sono a fondamento della responsabilità economica”.

 

Riferimenti alla responsabilità sociale e personale in materia di attività economica si rinvengono nella giurisprudenza costituzionale in relazione ad esigenze di regolamentazione: pertanto, in materia di società professionali[2], fatta salva la discrezionalità del legislatore, si ritiene che “la necessità di una congrua normativa appare evidente, per evitare la possibilità dell'esercizio abusivo da parte di soggetti non abilitati o autorizzati, ed il pericolo dello sfruttamento dell'opera intellettuale in forme non compatibili con la dignità e autonomia dei singoli professionisti; mentre occorre, d'altro canto, con riguardo alla diversa qualità delle prestazioni professionali, un preciso regolamento delle responsabilità sociali e personali, sia nei confronti dei clienti e dei terzi, sia anche nei confronti dello Stato e delle organizzazioni professionali o sindacali”.

 

La relazione illustrativa dell’AC 4144 colloca il disegno di legge “nell'ambito dell'indirizzo culturale e legislativo già tracciato dal diritto dell'Unione europea”, ma non richiama espressamente l’alinea dell’articolo 117 Cost., in base al quale la potestà legislativa dello Stato e delle regioni è sottoposta anche ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario.

 

In merito a tali vincoli, si richiama la sentenza della Corte costituzionale n. 14 del 2004, che inquadra sistematicamente i rapporti tra ordinamento nazionale e comunitario come segue.

Secondo la Consulta, il principio ordinatore della Comunità europea è “quello di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza (art. 4, comma 1, del Trattato CE). In conformità a tale principio la Comunità è vincolata a perseguire i fini che le sono assegnati dall'art. 2, secondo comma, dello stesso Trattato: uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche e dei sistemi di protezione sociale, la parità tra uomini e donne, una crescita sostenibile e non inflazionistica, un alto grado di competitività e di convergenza dei risultati economici, un elevato livello di protezione e di miglioramento della qualità dell'ambiente, del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà tra Stati membri. I principî comunitari del mercato e della concorrenza, quindi, non sono svincolati da un'idea di sviluppo economico-sociale e sarebbe errato affermare che siano estranei alle istituzioni pubbliche compiti di intervento sul mercato. Se è vero che sono incompatibili con il mercato comune gli aiuti pubblici, sotto qualsiasi forma concessi, che falsino o minaccino di falsare la concorrenza, è altrettanto vero che le deroghe ai divieti di aiuti, regolate in principio dall'art. 87, paragrafi 2 e 3, del Trattato CE, sono a loro volta funzionali alla promozione di un mercato competitivo. Esse sono guardate con favore ed anzi propiziate dalla stessa Comunità quando appaiono orientate ad assecondare lo sviluppo economico e a promuovere la coesione sociale. Nel diritto comunitario, le regole della concorrenza non sono quindi limitate all'attività sanzionatoria della trasgressione della normativa antitrust, ma comprendono anche il regime di aiuti, riguardanti sia il campo agricolo sia gli altri settori produttivi, sui quali l'azione della Comunità è sinora in larga parte intessuta.

Non è priva di valore interpretativo la sistematica del Trattato, che inserisce la disciplina degli aiuti di Stato all'interno del Titolo VI, al Capo I, rubricato "Regole di concorrenza". Di tali regole sono anche espressione la disciplina generale di cui al regolamento CE n. 1260/99 del Consiglio del 21 giugno 1999 sui fondi strutturali, il reg. CE n. 994/98 del Consiglio del 7 maggio 1998 e il reg. CE n. 70/2001 della Commissione del 12 gennaio 2001, sugli aiuti alle piccole e medie imprese, le quali, per il ruolo determinante nella creazione di posti di lavoro, sono considerate, in sede comunitaria, fattori di stabilità sociale e di dinamismo economico e possono essere destinatarie di aiuti senza l'onere della previa notificazione alla Commissione. Similmente il reg. CE della Commissione n. 69/2001 del 12 gennaio 2001, sugli aiuti de minimis, non si discosta da una visione della concorrenza come obiettivo da promuovere: consentiti in via generale in sede comunitaria, tali aiuti sono concepiti come fattore di sviluppo da favorire anche mediante la rimozione delle procedure di autorizzazione per singoli interventi, le quali sono addirittura valutate come un inutile intralcio alla realizzazione di una più equilibrata competizione nei diversi settori produttivi”.

 

Nella relazione illustrativa, inoltre, si afferma che “il Trattato istitutivo della Comunità europea, infatti, già sembrava aver soppiantato il concetto restrittivo di libertà economica privata desumibile dall'articolo 41 della Costituzione. In ragione di questo nuovo modello, la libertà di concorrenza, espressione di una piena libertà economica, è divenuta valore ordinamentale che ha ispirato le politiche legislative di liberalizzazione e di privatizzazione dell'economia nel corso degli anni novanta e non solo”.

 

Non mancano in dottrina orientamenti secondo i quali, proprio in relazione all’incidenza della realizzazione dell’integrazione europea sulle norme costituzionali relative ai rapporti economici, si sarebbero dispiegate delle virtualità concorrenziali nascoste nelle pieghe del comma primo dell’art. 41, ravvisandosi la libertà di concorrenza come naturale espressione dello svolgimento della libertà di iniziativa economica. Tali orientamenti desumono, dalla medesima previsione, l’implicito riconoscimento del libero mercato e tendono a ridimensionare le indicazioni dei commi secondo e terzo dell’art. 41, anche alla luce del principio di sussidiarietà orizzontale consacrato dall’ordinamento comunitario.

 

La stessa relazione osserva che “il principio della libera concorrenza, per quanto non recepito nel testo dell'articolo 41 novellato, è ormai entrato prepotentemente nell'ordinamento giuridico costituzionale attraverso il nuovo testo dell'articolo 117, secondo comma, lettera e)” che colloca la tutela della concorrenza tra le materie di esclusiva competenza statale.

 

In tema di concorrenza si richiama ancora la già citata sentenza n. 14 del 2004 della Corte costituzionale, nella quale, premesso che la nozione di tutela della concorrenza abbraccia nel loro complesso i rapporti concorrenziali sul mercato e non esclude interventi promozionali dello Stato, si sottolinea che questa competenza statale “concentra in capo allo Stato strumenti di politica economica che attengono allo sviluppo dell’intero Paese” e l’intervento statale si giustifica per la sua rilevanza macroeconomica. Su questo piano, “la destinazione di misure dirette a tutte le imprese operanti a livello nazionale e la finalità evidente di stimolare la propensione agli investimenti e l’espansione del mercato di settore, rappresentano indici dell’attinenza dell’intervento in funzione di stabilizzazione macroeconomica propria dello Stato e della sua riconducibilità alla materia “tutela della concorrenza”, nel suo profilo dinamico e promozionale, rientrante, pertanto, nella materia esclusiva statale, come pure la gestione concreta della misura”, consentendo così allo Stato “un’ampia gamma di interventi capaci di incidere sulle principali variabili del sistema economico”.

I contenuti del concetto di concorrenza sono ricondotti all’ordinamento comunitario in quanto “dal punto di vista del diritto interno, la nozione di concorrenza non può non riflettere quella operante in ambito comunitario, che comprende interventi regolativi, la disciplina antitrust e misure destinate a promuovere un mercato aperto e in libera concorrenza. Quando l'art. 117, secondo comma, lettera e), affida alla potestà legislativa esclusiva statale la tutela della concorrenza, non intende certo limitarne la portata ad una sola delle sue declinazioni di significato. Al contrario, proprio l'aver accorpato, nel medesimo titolo di competenza, la moneta, la tutela del risparmio e dei mercati finanziari, il sistema valutario, i sistemi tributario e contabile dello Stato, la perequazione delle risorse finanziarie e, appunto, la tutela della concorrenza, rende palese che quest'ultima costituisce una delle leve della politica economica statale e pertanto non può essere intesa soltanto in senso statico, come garanzia di interventi di regolazione e ripristino di un equilibrio perduto, ma anche in quell'accezione dinamica, ben nota al diritto comunitario, che giustifica misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali”.  In tale prospettiva, secondo la Consulta, “proprio l'inclusione di questa competenza statale nella lettera e) dell'art. 117, secondo comma, Cost., evidenzia l'intendimento del legislatore costituzionale del 2001 di unificare in capo allo Stato strumenti di politica economica che attengono allo sviluppo dell'intero Paese; strumenti che, in definitiva, esprimono un carattere unitario e, interpretati gli uni per mezzo degli altri, risultano tutti finalizzati ad equilibrare il volume di risorse finanziarie inserite nel circuito economico. L'intervento statale si giustifica, dunque, per la sua rilevanza macroeconomica: solo in tale quadro è mantenuta allo Stato la facoltà di adottare sia specifiche misure di rilevante entità, sia regimi di aiuto ammessi dall'ordinamento comunitario (fra i quali gli aiuti de minimis), purché siano in ogni caso idonei, quanto ad accessibilità a tutti gli operatori ed impatto complessivo, ad incidere sull'equilibrio economico generale”.

 

Secondo la relazione illustrativa, “il Trattato istitutivo della Comunità europea, infatti, già sembrava aver soppiantato il concetto restrittivo di libertà economica privata desumibile dall'articolo 41 della Costituzione” e perciò “la libertà di concorrenza, espressione di una piena libertà economica, è divenuta valore ordinamentale che ha ispirato le politiche legislative di liberalizzazione e di privatizzazione dell'economia nel corso degli anni novanta e non solo”.

 

Il valore ordinamentale cui si riferisce la relazione illustrativa non ha però precluso interventi legislativi anche di natura derogatoria rispetto alla vigente disciplina nazionale in materia di concorrenza. Valga da esempio quello effettuato[3] per le operazioni di concentrazione effettuate entro il 30 giugno 2009 tra imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali e sottoposte ad amministrazione straordinaria. Tale intervento normativo ha portato ad una deroga al procedimento di controllo stabilito dalla legge n. 287 del 1990, con l'esclusione, per le suddette operazioni di concentrazione, della necessità di autorizzazione di cui alla citata legge e la preventiva notifica di tali operazioni all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, chiamata a prescrivere idonee misure comportamentali e a definire il termine, comunque non inferiore a tre anni, per la cessazione di eventuali posizioni di monopolio. Le relative disposizioni sono uscite indenni dallo scrutinio di costituzionalità effettuato alla luce del parametro della ragionevolezza. L’accertamento costituzionale ha individuato interessi pubblici giustificativi della scelta normativa, ritenuta proporzionata ed adeguata, nell’esigenza di “fronteggiare una situazione di gravissima crisi di un'impresa in amministrazione straordinaria, che svolgeva un servizio pubblico essenziale del quale doveva essere garantita la continuità, peraltro in un settore particolare, strategico per l'economia nazionale e meritevole di distinta considerazione, che esigeva di scongiurare distorsioni ed interruzioni suscettibili di ricadute sistemiche in ulteriori comparti”.  La necessità di garantire la continuità del trasporto aereo su tutte le rotte nazionali, e la necessità di evitare la dissoluzione di un'impresa di rilevanti dimensioni, la dispersione del valore aziendale, la tutela dei livelli occupazionali e le esigenze strategiche dell'economia nazionale, sono state ricondotte dalla giurisprudenza costituzionale alle ragioni di «utilità sociale» ed ai «fini sociali» di cui al comma secondo dell’art. 41 Cost.

 

Il comma primo della novella introdotta dal disegno di legge estende la garanzia costituzionale della libertà dell’iniziativa economica privata alla libertà dell’attività economica, da intendersi, come evidenziato dalla relazione illustrativa, quale successivo momento di svolgimento intrinsecamente connesso alla fase iniziale di scelta dell’attività stessa.

Il testo vigente del primo comma, infatti, richiama l’iniziativa economica, e non l’attività economica, cui invece si riferisce il comma terzo. Inoltre, il richiamo alla stessa iniziativa economica è limitato a quella esercitata da privati, mentre l’attività economica è evocata al terzo comma riguardo sia a quella pubblica che a quella privata.

 

La dottrina si è diffusa sull’estensione e la finalità della declaratoria del primo comma, in merito al quale la giurisprudenza costituzionale ha affermato che la libertà di iniziativa economica “si esercita normalmente in forma di impresa” (sentenza n. 268/94).

Il vigente primo comma dell’art. 41 è stato interpretato dalla Corte costituzionale, fin dalla sentenza n. 29 del 1957, come enunciato costituzionale della “libertà economica nella sua fondamentale manifestazione di libertà di iniziativa economica e privata, che si traduce nella possibilità di indirizzare liberamente, secondo le proprie convenienze, la propria attività nel campo economico”. Va specificato, però che, con la sentenza n. 50 del 1957, la Corte ha definito “generica la dichiarazione della libertà nella iniziativa economica privata”, aggiungendo che “a tale libertà necessariamente corrispondono le limitazioni rese indispensabili dalle superiori esigenze della comunità statale”, poste dai commi secondo e terzo dello stesso art. 41, postulando così l’esigenza di una lettura complessiva dell’intero articolo.

Nella giurisprudenza costituzionale, dal primo comma dell’art. 41 viene fatto discendere il principio dell'autonomia contrattuale, ritenendo che non sono in contrasto con tale autonomia i limiti che ad essa la legge apponga allo scopo di eliminarne le manifestazioni contrastanti con l'utilità sociale (sentenze n. 4 e 7 del 1962, n. 30 del 1965  e n. 60 del 1968);in particolare, la sentenza n. 7 del 1962,con diretto riferimento all'autonomia contrattuale, ritiene accertato che rientri nei poteri conferiti al legislatore dall'art. 41 della Costituzione la riduzione ad equità di rapporti che appaiano sperequati a danno della parte più debole.

Il collegamento della disposizione costituzionale con il principio dell'autonomia contrattuale ha però carattere indiretto, tanto che nella giurisprudenza si afferma che “l'autonomia negoziale non è, come tale, elevata a diritto costituzionalmente garantito, salve specifiche previsioni” (n. 89 del 1984). Perciò, come affermato nella sentenza n.268 del 1994 “l'autonomia contrattuale dei singoli è tutelata a livello di Costituzione solo indirettamente, in quanto strumento di esercizio di libertà costituzionalmente garantite (cfr. sentenze nn. 89 del 1984, 159 del 1988, 241 del 1990). L'art. 41 tutela l'autonomia negoziale come mezzo di esplicazione della libertà di iniziativa economica, la quale si esercita normalmente in forma di impresa”.

Con la sentenza n. 97 del 1969, la Corte ha osservato che “la libertà di commercio, come gode della tutela accordata dall'art. 41 della Costituzione, così soggiace a quei limiti che tale disposizione consente di imporre a salvaguardia di beni che la Costituzione considera preminenti rispetto alla libertà di iniziativa economica”.

 

Il primo comma della novella disposta dall’art. 1 del disegno di legge AC 4144 estende la libertà dell’iniziativa privata all’attività economica, formalizzando così la diffusa interpretazione della disposizione vigente, secondo la quale la garanzia costituzionale dell’iniziativa economica privata si estende all’attività che ne costituisce lo svolgimento.

 

Il medesimo comma aggiunge la locuzione ai sensi della quale è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge.

La relazione illustrativa non reca specifiche osservazioni sul punto, salvo affermare che con la riforma proposta “viene sancito che qualsiasi intervento limitativo di tale libertà deve essere previsto dalla legge”.

 

La locuzione aggiunta dalla novella sostanzia quindi una riserva di legge ordinaria per interventi che abbiano ad oggetto divieti in materia di iniziativa e attività economica dei privati. Resta da approfondire se anche gli interventi normativi non diretti a vietare, ma solo a delimitare l’iniziativa e l’attività economica dei privati, siano oggetto della riserva. La locuzione non delimita l’ambito della discrezionalità legislativa che, quindi, dovrebbe ritenersi circoscritto dalle previsioni dei commi secondo e terzo dell’articolo 41, come novellati.

Sul piano meramente testuale, si valuti la coerenza con il lessico costituzionale della parola “tutto” contenuta nella locuzione in questione.

 

Il comma secondo della novella, oltre a riferirsi non solo all’iniziativa, ma anche all’attività economica, pone ad esse, oltre ai limiti previsti dal testo vigente, anche quello per cui non possono svolgersi in contrasto con i principi fondamentali della Costituzione.

 

Il testo vigente del secondo comma dell’art. 41 prevede che l’iniziativa economica privata non possa svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana.

L’inserimento della clausola dell’utilità sociale nel secondo comma dell’art. 41 fu dibattuto in Assemblea costituente, ove l’on. Einaudi (seduta del 13 maggio 1947) rilevò la genericità del concetto affermando che il compito delle costituzioni può anche essere quello di prevedere obblighi a carico dei futuri legislatori, ma non di formulare auspici sul modo in cui l’attività si svolgerà.

La giurisprudenza costituzionale è ampiamente intervenuta sul punto. Nella sentenza n. 4 del 1962 si rileva che “l'art. 41 della Costituzione, pur affermando la libertà dell'iniziativa economica privata, ha consentito l'apposizione di limiti al suo esercizio subordinandola però ad una duplice condizione: e cioè richiedendo, sotto l'aspetto sostanziale, che essi corrispondano all'utilità sociale, e sotto quello formale, che ne sia effettuata la disciplina per opera della legge”. Ad avviso della Corte che tale riserva, espressamente prescritta dall'ultimo comma del detto art. 41, debba ritenersi necessaria anche per l'emanazione di misure ai sensi del secondo comma “si desume, secondo quanto è stato altre volte statuito dalla Corte (con le sent. nn. 50 e 103 del 1957, 47 e 52 del 1958) tanto dai principi generali informatori dell'ordinamento democratico, secondo i quali ogni specie di limite imposto ai diritti dei cittadini abbisogna del consenso dell'organo che trae da costoro la propria diretta investitura, quanto dall'esigenza che la valutazione relativa alla convenienza dell'imposizione di uno o di altro limite sia effettuata avendo presente il quadro complessivo degli interventi statali nell'economia inserendolo armonicamente in esso, e, pertanto, debba competere al Parlamento, quale organo da cui emana l'indirizzo politico generale dello Stato”. In particolare, poi, secondo la Corte, riferendosi i limiti di cui al secondo comma a diritti su mezzi o su attività rivolte alla produzione economica, la riserva di legge di cui all'art. 41 “non esige che l'intera disciplina dei rapporti venga regolata con atto normativo del Parlamento, dovendosi ritenere sufficiente che questo determini i criteri e le direttive idonee a contenere in un ambito ben delineato l'esercizio tanto dell'attività normativa secondaria quanto di quella particolare e concreta di esecuzione affidate al Governo, evitando che esse si svolgano in modo assolutamente discrezionale”.

Pertanto, non è «configurabile una lesione della libertà d'iniziativa economica allorché l'apposizione di limiti di ordine generale al suo esercizio corrisponda all'utilità sociale», purché, per un verso, l'individuazione di quest'ultima «non appaia arbitraria e, per altro verso, gli interventi del legislatore non la perseguano mediante misure palesemente incongrue»(sentenze n. 152 del 2010 e n. 167 del 2009).

Anche nei casi di regolazione ex lege di un'attività economica considerata quale pubblico servizio in ragione della sua diretta incidenza su bisogni o interessi della collettività, con la sentenza n. 548 del 1990, la Consulta ha ritenuto che l'attività così regolata possa e debba essere considerata come espressione del diritto di iniziativa economica garantito dall'art. 41 della Costituzione. Con l’effetto che “il limite costituito dallo stesso intervento normativo e dal suo concreto contenuto in tanto appare compatibile con il secondo comma del detto art. 41 in quanto sia diretto a realizzare, oltre ovviamente alla protezione di valori primari attinenti alla persona umana - il cui rispetto è il limite insuperabile di ogni attività economica - un'utilità sociale” . Secondo la Corte, in tali casi, “la individuazione da parte del legislatore dell'utilità sociale può sostanziarsi di valutazioni attinenti alla situazione del mercato anche per quel che concerne fenomeni di concentrazione o no delle imprese”; inoltre, “può dar luogo a interventi legislativi tali da condizionare in qualche modo le scelte organizzative delle imprese”. Tuttavia, “ciò che conta è che, per un verso, l'individuazione dell'utilità sociale come dianzi motivata non appaia arbitraria e che gli interventi del legislatore non perseguano l'individuata utilità sociale mediante misure palesemente incongrue, e per altro verso, e in ogni caso, che l'intervento legislativo non sia tale da condizionare le scelte imprenditoriali in grado così elevato da indurre sostanzialmente la funzionalizzazione dell'attività economica di cui si tratta, sacrificandone le opzioni di fondo o restringendone in rigidi confini lo spazio e l'oggetto delle stesse scelte organizzative”.

La ragionevolezza dell’intervento normativo fondato sul secondo comma dell’art. 41 è oggetto del sindacato di costituzionalità e il precetto costituzionale in tema di libertà dell'iniziativa economica non risulta violato, nel bilanciamento dei contrapposti interessi, quando le limitazioni rispondano all’esigenza di tutelare beni della vita riconducibili alla declaratoria del comma secondo dell’art. 41 (e plurimis sentenze n. 478 del 1991 e196 del 1998).

 

La novella aggiunge ai limiti dell’iniziativa e dell’attività economica privata i principi fondamentali della Costituzione. A differenza dei limiti già richiamati nel vigente secondo comma, l’individuazione di tali principi non appare agevole, con particolare riferimento alle situazioni di contrasto potenziale con l’attività economica. Si può ricordare che ai principi fondamentali la Costituzione ascrive le disposizioni contenute negli articoli da 1 a 12 e che l’art. 117, comma terzo, in tema di potestà legislativa concorrente, riserva alla legislazione dello Stato la determinazione dei principi fondamentali. Inoltre, i principi generali dell’ordinamento giuridico costituiscono un limite specifico alla potestà legislativa esclusiva delle regioni ad autonomia differenziata[4].

La giurisprudenza costituzionale, a partire dalla sentenza n. 183 del 1973, ha inoltre fatto ricorso alla categoria dei principi fondamentali dell’ ordinamento costituzionale anche per affermare la propria competenza a valutare la perdurante compatibilità con essi, e con i diritti inalienabili della persona umana, del diritto comunitario. Si rinvengono nelle pronunce della Consulta anche riferimenti ai principi supremi dell’ordinamento costituzionale, non derogabili dalle disposizioni costituzionali[5] e sottratti al procedimento di revisione costituzionale[6]. I principi supremi non si identificano solo con i limiti espressi alla revisione costituzionale, ma anche con quelli che appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana. A tali valori sono ricondotti anche i diritti definiti inviolabili dalla stessa Costituzione.

 

Il comma terzo dell’art. 41 viene interamente riscritto prevedendo che la legge si conformi ai principi di fiducia e di leale collaborazione tra le pubbliche amministrazioni e i cittadini prevedendo, di norma, controlli successivi.

 

Il vigente comma terzo prevede che la legge determini i programmi e i controlli opportuni affinché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. Se l’iniziativa economica privata è libera, nel rispetto degli obblighi previsti dal comma secondo, il suo svolgersi quale attività economica può essere indirizzato e coordinato tramite programmi e controlli ex lege. La portata applicativa del comma terzo, a differenza del comma primo, si estende anche all’attività economica pubblica.

Le premesse alla base di tale comma sono state approfondite in dottrina con riferimento alla valutazione in merito alla capacità del mercato di autoregolarsi, nonché al primato della legge in materia di regolazione dell’attività economica, valutando il modello di economia che si fosse inteso adottare nella Costituzione. In questo quadro sono state considerate anche le questioni relative all’eventuale posizione costituzionale dello Stato in relazione allo svolgimento di attività economiche e ai contenuti del riferimento ai programmi e controlli dal punto di vista del valore di metodo della loro indicazione.

Inoltre, su tale disposizione sono state impostate le linee di una politica di programmazione economica; nell’ordinamento si riscontra un’unica legge di piano, n. 685 del 1967 recante il Primo piano quinquennale 1966 – 1970, con la quale si stabiliva “il quadro della politica economica, finanziaria e sociale del Governo e di tutti gli interventi pubblici”.

La giurisprudenza costituzionale ha interpretato il comma terzo ritenendo che i programmi e i controlli che possono essere imposti alla attività economica privata non debbono poi sopprimere l'iniziativa individuale, potendo essi soltanto tendere ad indirizzarla ed a condizionarla (sentenza n. 78 del 1970). Ha inoltre ritenuto che le determinazioni programmatiche della legge possono essere indubbiamente diverse, a seconda della natura della attività economica e della finalità sociale che si tende a perseguire; e può anche ammettersi che in talune ipotesi esse si presentino di complessità notevolmente minore che non in altre (sentenza n. 54 del 1962). Quanto alla riserva di legge, la giurisprudenza costituzionale ha ritenuto che essa richieda “quanto meno, che il legislatore "determini i criteri e le direttive idonee a contenere in un ambito ben delineato l'esercizio tanto dell'attività normativa secondaria quanto di quella particolare e concreta di esecuzione affidate al Governo, evitando che esse si svolgano in modo assolutamente discrezionale” (sentenze nn. 4 e 5 del 1962 e n. 39 del 1963). Infatti se la libertà economica “può venire più o meno notevolmente compressa e ridotta, a seconda dei casi, in relazione ai fini sociali ai quali la medesima deve essere indirizzata”, ciò deve avvenire “sempre a seguito di chiare e precise statuizioni della legge, libera espressione della volontà dell'organo rappresentativo della Nazione, e non già devoluto alla mutevole facoltà del potere esecutivo” (sentenza n. 35 del 1961).

Se l’indirizzo e il coordinamento dell’attività economica è giustificato da fini sociali, mentre il contrasto con l’utilità sociale impedisce lo svolgimento dell’iniziativa economica privata, non sembra che alla differenza terminologica sia ricondotto dalla giurisprudenza costituzionale uno specifico effetto, in quanto "utilità sociale e fini sociali non devono necessariamente risultare da esplicite dichiarazioni del legislatore, ma possono essere desunte dal sistema di intervento e dai controlli che la legge prevede” (sentenza n. 46 del 1963).

 

Secondo la relazione illustrativa, la completa riscrittura del comma terzo si fonda sull’esigenza di restituire unità al sistema attraverso l'eliminazione delle antinomie presenti nel testo vigente dell’articolo  e sull'antitesi che si sarebbe venuta a creare tra la Costituzione e i principi dell'Unione europea. La necessità di intervenire sul terzo comma dell'articolo 41 sarebbe, in tal modo, dettata dalla correzione, che si reputa doverosa, di una norma che, pur non avendo imposto una formazione dirigista o contraria ai principi del libero mercato, ha fatto da sfondo ad un’ampia parte dell'intervento pubblico nell'economia.

 

Nella formulazione proposta, la prima parte del terzo comma dell’articolo 41 enuncia alcuni principi generali, richiamati con le espressioni “fiducia” e “leale collaborazione” tra le pubbliche amministrazioni e i cittadini, a cui dovrebbe ispirarsi il legislatore nella disciplina delle attività economiche dei privati.

 

In ambito amministrativo, ad indicare genericamente la possibilità per il cittadino di riporre fiducia nel comportamento delle pubbliche amministrazioni, si avvicina il concetto di legittimo affidamento, con cui si rappresenta l’interesse alla tutela di una certa situazione giuridica generata da un precedente comportamento della pubblica amministrazione che abbia indotto il cittadino a confidare nel conseguimento di un dato risultato. Considerata istituto proprio del diritto civile, quale precipitato del principio di buona fede, la tutela del legittimo affidamento è stata riconosciuta in ambito amministrativo progressivamente, grazie soprattutto alla giurisprudenza che ha tradotto l’istituto in numerose regole operative. Sin a partire dagli anni Settanta, il principio del legittimo affidamento risulta pacificamente applicabile nei rapporti privatistici in cui è parte l'amministrazione, ossia in ambito contrattuale e nei rapporti di tipo paritario in cui l’amministrazione opera alla stregua di un privato cittadino. Anche sulla scorta dell’ordinamento europeo - in cui il principio viene considerato un corollario di quello della certezza del diritto, nell’ambito del quale viene individuato il suo fondamento – oggi si ritiene che il principio in questione possa assumere piena rilevanza in tutte le situazioni in cui è parte l'amministrazione pubblica. Tale principio trova espresso riconoscimento normativo nelle previsioni dello Statuto del contribuente (l. n. 212/2000), che ha codificato i principi fondamentali dell'attività amministrativa in ambito tributario. Anche nella legge sul procedimento amministrativo (L. n. 241/1990) - come modificata dalle L. 15/2005 e 69/2009 - si ritiene che il principio abbia trovato ingresso mediante il richiamo, contenuto all’articolo 1, dei principi dell’ordinamento comunitario, tra i criteri generali dell’attività amministrativa. Una sua diretta applicazione è poi prevista dall’art. 21-quinquies della stessa L. 241/1990, che stabilisce che se la revoca di un provvedimento comporta pregiudizi in danno ai soggetti interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro indennizzo. In sintesi, tale principio impone all’amministrazione di tenere nella dovuta considerazione il ragionevole affidamento ingenerato negli amministrati daisuoi atti, garantendo al cittadino la conservazione della posizione giuridica di vantaggio che gli èstata attribuita mediante provvedimento amministrativo.

Il secondo principio enunciato è quello di leale collaborazione, principio generale di origine giurisprudenziale e di rango costituzionale. Esso è riferito normalmente alle relazioni organizzative tra amministrazioni pubbliche ed è principio costituzionalizzato in seguito alla riforma del 2001 del titolo V della Costituzione per quanto riguarda i rapporti tra lo Stato e gli altri livelli di governo, dotati di autonomia costituzionalmente tutelata. All’esito di una lenta evoluzione giurisprudenziale, nel corso della quale si è tentato di argomentare che il principio di leale collaborazione possa costituire una sorta di corollario del più ampio principio costituzionale di buon andamento di cui all’art. 97 Cost. (sentenza n. 214/1988), la Corte costituzionale è giunta ad affermare che il principio in discorso «trova il suo fondamento dell’art. 5 Cost.» (sentenza n. 17/1997). Esso «deve governare i rapporti fra Stato e Regioni nelle materie e in relazione alle attività in cui le rispettive competenze concorrano o si intersechino, imponendo un contemperamento dei rispettivi interessi (…). Tale regola, espressione del principio costituzionale fondamentale per cui la Repubblica, nella salvaguardia della sua unità, “riconosce e promuove le autonomie locali”, alle cui esigenze “adegua i principi e i metodi della sua legislazione” (art. 5 Cost.) va al di là del mero riparto delle competenze per materia ed opera dunque su tutto l’arco delle relazioniistituzionali fra Stato e Regioni, senza che a tal proposito assuma rilievo diretto la distinzione fra competenze esclusive, ripartite o integrative, o fra competenze amministrative proprie e delegate» (sentenza n. 242/1997). Il riferimento alla «leale collaborazione» è ora contenuto nell'art. 120 Cost., secondo comma, ultimo periodo, in materia di esercizio del potere sostitutivo dello Stato.

 

Nella formulazione proposta del terzo comma, l’espressione “fiducia” è utilizzata per qualificare in termini generici il rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione. In considerazione di ciò e del fatto che nel testo della Carta costituzionale il termine “fiducia” viene impiegato unicamente all’articolo 94 – quale istituto proprio del diritto costituzionale – per indicare il rapporto intercorrente tra Governo e Parlamento secondo i caratteri della forma di governo parlamentare, si valuti l’opportunità di riferirsi esplicitamente al principio di legittimo affidamento, ormai consolidato nel diritto interno ed europeo quale criterio generale a cui si ispira l’attività amministrativa.

 

Nella seconda parte, il terzo comma individua il contenuto dell’intervento della legge nella disciplina dell’attività economica dei privati che dovrebbe prevedere, “di norma”, misure di controllo successivo.

 

Con riguardo all’attività economica privata, il riferimento contenuto nel testo del comma in esame sembrerebbe rinviare a tutte quelle ipotesi in cui i controlli delle pubbliche amministrazioni si svolgono successivamente all’avvio dell’attività da parte dei privati, con effetti repressivi o inibitori in caso di esito negativo del controllo, come avviene tipicamente nelle ipotesi di dichiarazione di inizio attività (Dia), di recente sostituita dalla segnalazione certificata di inizio attività (Scia). Si tratta cioè di ipotesi nelle quali per l’avvio di un’attività privata non è richiesto un provvedimento dell’amministrazione, ma è sufficiente una dichiarazione da parte del privato interessato dell’inizio dell’attività dallo stesso dichiarata conforme agli eventuali requisiti previsti dalla legge, salvo l’intervento dell’amministrazione in via successiva nelle ipotesi in cui si riscontri che detta conformità non sussista. Tali tipologie di controllo si distinguono da quelle che normalmente si svolgono in forma preventiva, rappresentate da autorizzazioni, licenze, nulla osta, permessi, o altro atto di consenso comunque denominato, ai quali può essere subordinata la possibilità di intraprendere lo svolgimento di alcune attività.

Nel nostro ordinamento sono state mosse diverse critiche ai controlli preventivi ed il legislatore ha introdotto misure volte a semplificare il complesso regime delle autorizzazioni (intese in senso lato) concernenti l’esercizio di attività economiche private.

In proposito, già l’articolo 19 della legge 241/1990[7] prevedeva la denuncia di inizio attività, poi sostituita dalla dichiarazione di inizio attività e, da ultimo, ad opera dell’art. 49, co. 4-bis, del D.L. 78/2010[8] dalla segnalazione certificata di inizio attività (Scia). In particolare, la Scia sostituisce "ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l'esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o artigianale". L’applicazione della nuova disciplina è subordinata alle seguenti condizioni:

§       che il rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, con la sola esclusione degli atti imposti dalla normativa comunitaria (comma 1);

§       che non si tratti di casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali o di atti rilasciati dalle amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza, all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze, nonché di quelli imposti dalla normativa comunitaria (comma 1);

§       che non si versi nelle attività economiche a prevalente carattere finanziario, ivi comprese quelle regolate dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e dal testo unico in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (comma 5, primo periodo).

L'attività oggetto della segnalazione può essere iniziata dalla data della presentazione della segnalazione all'amministrazione competente. Lo spazio operativo dell'amministrazione competente è solo quello di adottare motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti: ciò deve avvenire nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione e può contenere l'ordine di rimozione degli eventuali effetti dannosi. È fatto comunque salvo il potere dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge 241/1990. Decorso il suddetto termine di sessanta giorni, all'amministrazione è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno grave e irreparabile per il patrimonio artistico e culturale, per l'ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale.

Altra forma di controllo amministrativo delle attività economiche che si svolge tipicamente a posteriori è quello previsto dalla normativa antitrust, che attraverso l’Autorità competente (Antitrust) vigila sul rispetto dei divieti relativi alle intese restrittive della libertà di concorrenza, agli abusi di posizione dominante e alle concentrazioni aventi determinate caratteristiche.

 

Stante la lettera della disposizione, il legislatore costituzionale indica una preferenza per le forme di controllo successivo delle attività economiche private, senza impedire esplicitamente il ricorso ad altri strumenti, anche di natura preventiva.

Peraltro, in tal senso si fa propria una tendenza delle politiche legislative economiche degli anni più recenti che, anche sulla scorta del diritto europeo, si sono dichiaratamente ispirate ad obiettivi di liberalizzazione e semplificazione amministrativa.

 

Obiettivi di semplificazione sono stati perseguiti dal legislatore, come già accennato a proposito della Scia, prevedendo in numerosi casi la sostituzione di provvedimenti di autorizzazione con dichiarazioni da parte dei privati interessati all’inizio di attività.

Sempre al fine di semplificare le procedure per l’avvio e lo svolgimento dell'attività d'impresa, l’articolo 38 del D.L. 112/2008[9], convertito dalla legge 133/2008, ha affidato al Governo il compito di procedere - tramite apposito regolamento e sulla base di specifici principi e criteri - alla semplificazione e al riordino della disciplina dello Sportello unico per le attività produttive (SUAP), che dovrà essere l’unico punto di accesso in relazione a tutte le vicende amministrative riguardanti l’attività produttiva del richiedente, con il compito di fornire una risposta unica e tempestiva in luogo di tutte le amministrazioni coinvolte nel procedimento. In attuazione, è stato emanato il regolamento di cui al DPR 160/2010[10] che è caratterizzato dall’introduzione dell’esclusivo utilizzo degli strumenti telematici. Si è addirittura scelto di considerare “non idoneo” il SUAP del Comune che non sia in grado di operare esclusivamente per via telematica. Questa decisione consente un’efficacia immediata al regolamento, prevedendo da subito l’attivazione di SUAP telematici presso i Comuni o, in mancanza, presso la Camera di commercio. Allo scopo di garantire al sistema dei SUAP l’effettiva operatività e salvaguardare gli investimenti tecnologici già effettuati dalle Regioni, è stato affidato al portale "impresainungiorno" il compito di facilitare il collegamento con quelli già realizzati dalle Regioni stesse. Tra le numerose novità che consentono di velocizzare l’avvio di un’impresa, si segnala la possibilità di una contestuale presentazione della Scia e della comunicazione unica per la nascita dell’impresa presso il Registro delle imprese, che quindi trasmette immediatamente la Scia al SUAP.

Con altro regolamento (DPR 159/2010[11]) si provvede ad individuare i requisiti, le modalità di accreditamento e di verifica dell’attività delle Agenzie per le imprese, cioè dei soggetti privati ai quali può essere affidata l’istruttoria e l’attestazione della sussistenza dei requisiti e presupposti normativi con riferimento alle istanze relative all'esercizio dell'attività di impresa.

Per quanto riguarda le comunicazioni iniziali per l'avvio dell'attività d'impresa, si ricorda inoltre che l’articolo 9 del D.L. 7/2007[12], convertito dalla legge 40/2007, prevede che gli adempimenti amministrativi a carico delle imprese per l’iscrizione al Registro delle imprese, ai fini previdenziali, assicurativi e fiscali, nonché per l’ottenimento del codice fiscale e della partita IVA, siano assolti tramite una comunicazione unica presentata per via telematica o su supporto informatico all’Ufficio del Registro delle imprese delle Camere di commercio, il quale rilascia una ricevuta che costituisce titolo per l’immediato avvio dell’attività imprenditoriale e si fa carico di informare le altre amministrazioni competenti dell'avvenuta presentazione della comunicazione unica. Tale procedura si applica anche in caso di modifiche o cessazione dell’attività d’impresa.

Da ultimo, si ricorda che il d.lgs. n. 59/2010[13], con il quale si è data attuazione alla direttiva comunitaria n. 2006/123/CE sui servizi nel mercato interno (nota anche come direttiva "servizi"), ha disposto che soltanto motivi imperativi di interesse generale possono giustificare l’istituzione o il mantenimento di regimi autorizzatori riguardanti un servizio, inteso come qualunque attività economica di carattere imprenditoriale o professionale svolte senza vincolo di subordinazione e dirette allo scambio di beni o fornitura di prestazioni anche di carattere intellettuale[14].

Ulteriori misure di liberalizzazione amministrativa realizzate nelle politiche legislative degli anni più recenti sono quelle relative alla sostituzione del regime di concessione col regime di autorizzazione per determinate attività, in conformità alla normativa europea, nonché l’estensione ad interi comparti dell’istituto del silenzio-assenso[15].

 

Profili comunitari

L’articolo 16, “Libertà d'impresa”, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (cd. Carta di Nizza) riconosce in modo esplicito la libertà d'impresa, come diritto fondamentale dell’individuo, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali.

Questo articolo, riprodotto senza modifiche nel progetto di trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa, è stato redatto, da una parte, sulla base della giurisprudenza elaborata dalla Corte di giustizia che ha riconosciuto la libertà di esercitare un'attività economica o commerciale[16] nonché la libertà contrattuale[17] e, dall’altra, avuto riguardo all'articolo 4, paragrafi 1 e 2 del trattato CE che riconosce la libertà di concorrenza.

La libertà d’impresa può, dunque, essere concepita sia come libertà di svolgere un’attività economica e di accedere ad un determinato mercato (secondo il noto concetto di contendibilità dei mercati) sia come libertà (una volta sul mercato) di gestire liberamente la propria attività. In relazione alla libertà d’impresa come libertà di accesso al mercato, la Corte di giustizia si limita ad operarne un riconoscimento come diritto fondamentale data la sua strumentalità alla costituzione del mercato comune quale mezzo precipuo per l’attuazione dell’intero progetto comunitario.

In relazione alla libera gestione dell’attività imprenditoriale, invece, la giurisprudenza comunitaria assume caratteri più incisivi ed articolati, tanto sul piano del suo riconoscimento quanto su quello della individuazione e delimitazione del diritto de quo. In sintesi tale libertà, riconosciuta in astratto come diritto dell’individuo, viene tutelata a condizione che la stessa non incida negativamente sul diritto di accesso al mercato e che, seppur si ritenga giustificabile un limite a questo a causa di altre esigenze reputate superiori, la sua tutela comporti dei vantaggi al mercato comune (cfr. sentenza Nold). Il diritto di cui all’art. 16 può, poi, essere sottoposto alle limitazioni previste all’articolo 52, relativo alla “portata dei diritti garantiti” della medesima Carta di Nizza, il cui par. 1 prevede che “eventuali limitazioni all'esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall'Unione o all'esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui. Alla base di tali disposizioni vi è la giurisprudenza della Corte di giustizia, in virtù della quale restrizioni all'esercizio dei diritti fondamentali possono essere operate, in particolare nell'ambito di un'organizzazione comune di mercato, purché rispondano effettivamente a finalità di interesse generale perseguite dalla Comunità e non si risolvano, considerato lo scopo perseguito, in un intervento sproporzionato ed inammissibile che pregiudicherebbe la stessa sostanza di tali diritti» (sentenza del 13 aprile 2000, causa C-292/97, punto 45 della motivazione)[18].

 

Le modifiche all’articolo 41 nelle pdl C. 3039, 3054 e 3967

L’articolo 41 della Costituzione è oggetto di altre tre proposte di modifica di iniziativa parlamentare oltre a al disegno di legge governativo.

Le proposte Vignali ed altri (A.C. 3039 e A.C. 3054) sono volte a modificare l’articolo 41 con particolare riferimento ai commi secondo e terzo e, infine, con l’aggiunta di un nuovo comma.

Più specificamente, confermando l’enunciato di cui al comma primo, la novella circoscrive la portata delle limitazioni attualmente vigenti al comma secondo attraverso una lettura in positivo delle modalità di esecuzione dell’iniziativa economica privata che, secondo le proposte, deve svolgersi a favore della dignità umana, della libertà e della sicurezza.

L’impianto del terzo comma è interamente sostituito da una clausola ai sensi della quale lo Stato riconosce l'utilità economica e sociale e l'essenziale contributo al benessere generale dell’iniziativa economica privata.

Inoltre, dopo il terzo comma,è aggiunto un comma che prevede che l'imprenditore che partecipa direttamente alla gestione dell'impresa è considerato, a tutti gli effetti, un lavoratore. Secondo la relazione illustrativa tale comma mira a superare “l'anacronistica contrapposizione tra lavoro e lavoratore e imprenditore” sulla base della considerazione che nelle micro, piccole e medie imprese “l'imprenditore che partecipa direttamente alla gestione è inequivocabilmente quello che lavora più di tutti”:Resta escluso ogni riferimento all'azionista, “che esercita una mera funzione proprietaria”.

 

La proposta Beltrandi ed altri (A.C. 3967) novella solo il comma 1 dell’art. 41 secondo due diverse direttrici.

In primo luogo, con riferimento espresso ai principi di mercato elaborati in sede comunitaria, afferma che l'iniziativa economica privata è libera e deve svolgersi in condizioni di concorrenza.

Inoltre prescrive che chiunque la intraprende ne è esclusivo responsabile.

 

Come evidenziato dalla relazione allegata, con tale modifica s’intende introdurre in Costituzione, senza però definirlo, il concetto di concorrenza. In merito a tale concetto, oltre a rinviare alla giurisprudenza costituzionale sopra richiamata, si ricorda che, con la L. 287/1990 istitutiva dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, si è data “attuazione all'articolo 41 della Costituzione a tutela e garanzia del diritto di iniziativa economica” (art. 1)e che la stessa legge prevede (art. 1)che l'interpretazione delle norme in materia di intese, abusi di posizione dominante e concentrazioni di imprese è effettuata in base ai principi dell'ordinamento delle Comunità europee in materia di disciplina della concorrenza.


 

Modifica degli articoli 45, 47 e 53 della Costituzione

 

L’articolo 2 della proposta di legge AC 3054 integra il secondo comma dell’articolo 45 della Costituzione, riguardante la tutela legislativa dell'artigianato, per estenderne la portata anche alle piccole e medie imprese.

 

La definizione comunitaria di microimprese[19], piccole e medie imprese è contenuta nella raccomandazione 2003/361/CE, che ha sostituito, a decorrere dal 1º gennaio 2005, la Raccomandazione 96/280/CE, estendendo il concetto d’impresa ad ogni entità che svolga attività economica, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, incluse dunque le entità che svolgono attività artigianale o altre attività a titolo individuale o familiare, le società di persone o le associazioni che svolgono con regolarità un’attività economica.

Per essere riconosciuta come PMI l'impresa deve rispettare le soglie relative agli effettivi e quelle relative al totale di bilancio fissate dalla raccomandazione.

I nuovi effettivi e soglie finanziarie che definiscono PMI e microimprese sono i seguenti:

§         media impresa: occupa meno di 250 persone, realizza un fatturato annuo non superiore ai 50 milioni di euro oppure un totale di bilancio annuo non superiore ai 43 milioni di euro;

§         piccola impresa: occupa meno di 50 persone, realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiore ai 10 milioni di euro;

§         microimpresa: occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di euro

A questa definizione il legislatore nazionale si è adeguato con il decreto dell’allora Ministro delle attività produttive (ora Ministro dello sviluppo economico) del 18 aprile 2005[20]. recante “Adeguamento alla disciplina comunitaria dei criteri di individuazione di piccole e medie imprese”.

Secondo la relazione illustrativa, il dettato costituzionale dell’articolo 45 limita per ragioni storiche il riconoscimento di privilegi unicamente al sistema cooperativo (comma 1) e all’impresa artigiana (comma 2), ignorando il grande valore per il bene comune del sistema di micro, piccole e medie imprese, che costituiscono ad oggi il 99,7 per cento del totale.

L’apparato produttivo italiano si distingue per l’elevato numero di imprese attive e una dimensione media di queste estremamente ridotta, cui si aggiunge un accentuato localismo produttivo. In tale ambito, le piccole e medie imprese rappresentano senza dubbio uno degli assi portanti dell’economia nazionale e sono andate incontro ad uno sviluppo quantitativo, ma anche qualitativo, che non ha eguali nel panorama internazionale.

Secondo i dati Istat[21], la struttura produttiva italiana rimane caratterizzata da una larga presenza di micro imprese (con meno di dieci addetti): sono quasi 4,3 milioni, rappresentative del 95 per cento del totale delle imprese, e occupano il 46 per cento degli addetti. Il 21 per cento degli addetti (quasi 3,8 milioni) lavora nelle piccole imprese (da 10 a 49 addetti) e il 12,5 per cento (oltre 2,2 milioni) in quelle di media dimensione (da 50 a 249 addetti). Soltanto 3.735 imprese (0,08 per cento) impiegano 250 addetti e più, assorbendo, tuttavia, il 20 per cento dell’occupazione complessiva (circa 3,6 milioni di addetti).

 

Il successivo articolo 3 modifica il secondo comma dell'articolo 47 della Costituzione, sostituendole parole da: «al diretto» fino alla fine del comma con le seguenti: «, alla partecipazione nella proprietà delle piccole e medie imprese e al diretto e indiretto investimento azionario nei complessi produttivi del territorio dell'Unione europea».

 

L’articolo 47 della Costituzione reca la tutela del risparmio: esso contiene un principio cardine della costituzione economica, in quanto disciplina il risparmio che entra a far parte della liquidità monetaria - in rapporto al credito - e quello che non rifluisce nella liquidità monetaria (comma 1), di cui sono poi favorite (comma 2) alcune particolari destinazioni considerate socialmente rilevanti[22].

Il primo comma dell’articolo 47 affida infatti alla Repubblica il compito di incoraggiare e tutelare il risparmio in tutte le sue forme e di disciplinare, coordinare e controllare l'esercizio del credito.

La dottrina prevalente e la giurisprudenza costituzionale hanno qualificato le disposizioni dell’articolo 47 come norme aventi valore programmatico e portata generale. La Corte ha rilevato più volte infatti che la tutela del risparmio segna un mero “indirizzo generale” (sentenza 29/1975), un “principio politico cui dovrà ispirarsi la futura normativa” (sentenza 143/1982), un “principio programmatico al quale deve ispirarsi il legislatore ordinario” (sentenza 143/1995).

Il risparmio è considerato un valore che lo Stato incoraggia attivamente e sul quale ha potestà legislativa esclusiva, per espressa previsione dell’articolo 117, lettera e) Cost.

Per quanto riguarda il secondo comma – che la proposta in esame intende modificare - esso prevede che la Repubblica favorisca l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese.

Esso riguarda dunque una particolare forma di risparmio e talune forme di investimento: si tratta del risparmio popolare, ovvero proveniente da categorie di soggetti economicamente deboli. Il compito della Repubblica è dunque di attuare politiche di incentivazione dei suddetti investimenti.

Secondo l’interpretazione prevalente, il secondo comma indica in modo non esaustivo le attività più meritevoli di investimento e di incentivazione a fini sociali. Di conseguenza, sebbene le prescrizioni recate rientrino nel concetto generale di tutela del risparmio di cui al primo comma, la dottrina è concorde nel ritenere che esso non debba essere inteso come una semplice specificazione, ma come un “quid pluris che si concretizza nella particolare tutela con cui la Repubblica indirizza il risparmio popolare verso destinazioni sicure e creatrici di ricchezza[23].

Sulla base dei lavori dell’Assemblea costituente, si ritiene che l’indicazione di tali beni sia puramente esemplificativa[24].

 

Le modifiche proposte intendono estendere il favor costituzionale riservato al risparmio popolare al fine di ricomprendervi la partecipazione alla proprietà delle piccole e medie imprese, nonché all’accesso azionario diretto e indiretto nei complessi produttivi del territorio dell'Unione europea.

 

Al riguardo si ricorda (come esposto supra) che il prevalente orientamento interpretativo reputa l’elencazione contenuta nel secondo comma dell’articolo 47 non del tutto esaustiva, ma solo esemplificativa delle forme di risparmio ritenute maggiormente bisognose di tutela da parte del legislatore costituente. Di conseguenza, gli interessi perseguiti dalle disposizioni proposte potrebbero trovare un’adeguata protezione già nel combinato disposto del primo e del secondo comma dell’articolo 47, dal momento che la norma costituzionale tutela esplicitamente il risparmio “in tutte le sue forme” (ivi comprese, dunque, la partecipazione alle PMI e all’investimento azionario nelle imprese allocate nell’UE).

Inoltre, quanto al riferimento agli investimenti nel territorio dell’Unione europea, la novella sembra realizzare un adeguamento ad una situazione già in atto. Tuttavia, è opportuno ricordare che la crescente globalizzazione dei mercati finanziari oggi consente l’agevole accesso azionario anche a complessi produttivi siti in Paesi extraeuropei, e ciò sia per i grandi investitori retail, sia per i piccoli risparmiatori persone fisiche.

Inoltre va considerato il costante avvicinamento – anche ascrivibile alle esigenze nate dalla recente crisi finanziaria – sia della normativa, sia degli organi di vigilanza dei mercati finanziari all’interno dell’Unione. Ciò comporta una sempre maggiore omogeneità (e il conseguente rafforzamento) delle tutele degli investitori all’interno del circuito UE; circostanza che, di fatto, non si è ancora compiutamente verificata per i paesi esterni all’Unione.

 

Al riguardo si ricorda che il nuovo assetto delle Autorità Europee di Vigilanza (ESAs) comprende l'EIOPA (European Insurance and Occupational Pensions Authority), nuova Autorità di vigilanza in materia assicurativa e pensionistica, l’ESMA (European Securities and Markets Authority) in materia di mercati finanziari e l’EBA (European Banking Authority) per quanto concerne la vigilanza bancaria; quest’ultima ha acquisito i compiti e le responsabilità in precedenza affidati al CEBS - Committee of European Banking Supervisors. Le Autorità hanno formalmente avviato la propria attività nel gennaio 2011.

Per quanto riguarda l’avvicinamento della vigilanza sui mercati finanziari a livello globale, si ricorda che il Financial Stability Board (dal 2 aprile 2009; in precedenza, Financial Stability Forum), organismo internazionale preposto alla promozione della stabilità finanziaria, ha tra l’altro i compiti di monitoraggio e consulenza sullo sviluppo dei mercati e sulle politiche di regolamentazione, nonché in relazione alle “best practices” per il raggiungimento degli standard di regolamentazione; esso promuove anche la formazione di collegi di vigilanza, con fissazione di apposite linee-guida. Dal punto di vista dell’organizzazione interna, il nuovo FSB è composto da una Chairperson, un Comitato di governo, dall’Assemblea plenaria - di cui fanno parte gli stati membri, gli organismi cd. SSBs e le istituzioni finanziarie internazionali -, nonché da un Segretariato.

 

L’articolo 4 della stessa proposta di legge AC 3054 modifica l’articolo 53 della Costituzione, norma relativa ai principi cui è informato il sistema tributario e, in particolare, ai limiti cui soggiace la potestà impositiva. Infatti la novella è diretta a sostituire il secondo comma dell'articolo 53 della Costituzione con il seguente: «Il prelievo fiscale diretto può essere effettuato solo sui redditi delle persone fisiche e delle imprese e non può eccedere la metà dei redditi stessi maturati nell'anno di riferimento».

 

L’articolo 53 della Costituzione prevede che tutti concorrono alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva (comma 1), e informa il sistema tributario a criteri di progressività (comma 2).

Sebbene in un primo momento la dottrina abbia ritenuto l’articolo 53 privo di effetti immediatamente pratici (anche in mancanza di tale norma, il legislatore può imporre i tributi, poiché tale potestà discende dai principi fondamentali della Carta e della stessa natura delle istituzioni repubblicane) dandone un’interpretazione riduttiva, è ormai opinione consolidata che l'articolo 53, al primo comma, rechi l'enunciazione di due valori fondamentali intorno ai quali si svolge e si sviluppa la dialettica normativa fiscale: il dovere tributario di concorrere alle spese pubbliche, estensibile a tutti coloro che appartengono alla comunità statale, e l’individuazione del criterio di riparto dei carichi fiscali tra gli appartenenti alla comunità nella “capacità contributiva”.

Il secondo comma dell’articolo 53, oggetto di modifica con la proposta in esame, informa – come visto supra - il sistema tributario a criteri di progressività, enunciando una regola che parte della dottrina – avallata dalla giurisprudenza della Corte costituzionale – ha ritenuto di difficile tutelabilità: è stato infatti osservato che tale progressività riguarda il sistema nel suo complesso, e dunque i singoli tributi possono essere ispirati a criteri diversi[25]. Il parametro è rispettato ricorrendo a un tributo a carattere progressivo (ad es. l’imposta sui redditi) che abbia valore caratterizzante nell’ordinamento[26].

La progressività dell’imposizione si fonda sulla tesi della decrescenza dell’utilità marginale delle ricchezze e in particolare del reddito. Essa rafforza la funzione redistributiva del tributo, attuando una discriminazione “verticale” delle ricchezze oggetto di imposizione: produce un depauperamento patrimoniale più che proporzionale nei soggetti dotati di maggiore ricchezza ed un depauperamento meno che proporzionale nei soggetti più poveri[27].

La giurisprudenza della Corte ha sottolineato[28] che tale valore deve informare non solo la fiscalità statale, ma anche la finanza locale e regionale, in quanto anche gli enti sub-primari debbono graduare progressivamente i tributi in funzione delle politiche economiche e fiscali da essi perseguiti.

La dottrina ha riconosciuto una correlazione significativa tra la norma in commento e il secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione: il principio di progressività si presenta come strumento che concorre ad eliminare gli ostacoli di fatto che impediscono il pieno sviluppo della personalità umana.

 

Con la disposizione in commento viene novellato il secondo comma dell’articolo 53, eliminando il riferimento alla progressività del sistema tributario e disponendo che il prelievo fiscale diretto possa essere applicato solo sui redditi delle persone fisiche e delle imprese. Viene altresì introdotto un limite quantitativo a tale prelievo, che non può eccedere la metà dei redditi delle persone fisiche e delle imprese maturati nell'anno di riferimento.

 

La relazione illustrativa che accompagna il provvedimento afferma che la progressività dell'imposta prevista dall'articolo 53 della Costituzione produce una proporzione geometrica nell'imposizione fiscale, realizzando una tassazione abnorme. In particolare, attraverso la maggiore tassazione dei redditi più alti, essa produce come effetto, in via pratica, l'elusione del primo e fondamentale comma del medesimo articolo. In tal modo il peso dell'imposizione fiscale ricade sui redditi medi e bassi. Ciò è ancora più vero a livello dell'imposizione fiscale in capo alle imprese: tra esse si realizzerebbe il contrario del dettato costituzionale. Qualora venga eliminata la progressività dell'imposta, sempre secondo la relazione, sarebbe in ogni caso fatto salvo il principio fissato al primo comma del medesimo articolo 53, cioè la contribuzione alla comunità pubblica in ragione delle proprie capacità contributive e, inoltre, si realizzerebbe più compiutamente il principio di equità.

 

In ordine alla formulazione della norma, si osserva che indirizzare il prelievo fiscale diretto solo su “persone fisiche” e “imprese” potrebbe risultare in contraddizione rispetto al dettato del primo comma dell’articolo 53, ai sensi del quale tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva e, di conseguenza, anche ai principi di eguaglianza formale e sostanziale rispettivamente enunciati all’articolo 3, commi primo e secondo della Costituzione.

 

 


 

Modifica dell’articolo 97 della Costituzione

 

L’articolo 2 del disegno di legge 4144 sostituisce interamente l’articolo 97 della Costituzione, che apre la seconda sezione del titolo III della parte seconda della Carta fondamentale, dedicata alla pubblica amministrazione. Nella relazione illustrativa si legge che vi è uno stretto collegamento tra questa modifica e quella relativa alla libertà di iniziativa economica, in quanto il buon funzionamento della pubblica amministrazione costituisce un fattore di competitività per i privati. Perciò, la finalità dell’intervento emendativo, nelle intenzioni del Governo, è di aggiornare il testo costituzionale valorizzando il modello di amministrazione che si è affermato nell’ordinamento.

 

È noto che dal quadro normativo costituzionale emergono diversi modelli di amministrazione.

L’articolo 95, che attribuisce la responsabilità dell’indirizzo politico ed amministrativo al Presidente del Consiglio dei ministri e, al comma successivo, assegna a ciascun ministro la responsabilità degli atti del rispettivo dicastero, fa emergere la concezione tradizionale dell’amministrazione intesa come ufficio esecutivo del governo, ed organizzata secondo un ordinamento piramidale al vertice del quale si collocano i ministri.

Sui successivi articoli 97 e 98 della Costituzionale si fonda invece la rappresentazione una concezione dell’amministrazione come apparato sottoposto alla legge che, nel rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità, opera al servizio esclusivo della nazione. In queste disposizioni, pertanto, già emerge il diretto collegamento dell’amministrazione al servizio della collettività e dei cittadini.

Dalla lettura delle due disposizioni si evincono anche i canoni fondamentali dell'attività amministrativa, costituiti dai principi di legalità, imparzialità e buon andamento.

Oltre ad essere enunciato dall’articolo 97, primo comma, il principio di imparzialità è ulteriormente sviluppato al terzo comma che prevede l’accesso ai pubblici uffici mediante concorso e all’art. 98 che stabilisce il divieto di promozioni non per anzianità dei funzionari pubblici che siano membri del Parlamento e la possibilità di vietare con legge l’iscrizione ai partiti politici di magistrati, militari, funzionari ed agenti di polizia. In senso negativo, l’imparzialità della pubblica amministrazione concerne la sua organizzazione e consiste nella non discriminazione dei soggetti coinvolti nell’azione amministrativa. In senso attivo, il principio di imparzialità si esplica in riferimento all’attività della pubblica amministrazione, che deve perseguire i propri obiettivi in maniera imparziale, traducendo sul piano amministrativo il generale principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 Cost.

Il principio del buon andamento, espresso dall’art. 97 Cost., impone che l’azione amministrativa debba svolgersi secondo regole di “buona amministrazione” (secondo l’espressione utilizzata dall’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea), ai quali sono connessi i criteri di efficacia e di efficienza. Al principio di buon andamento dell’amministrazione la giurisprudenza costituzionale riconosce il valore di parametro di legittimità delle scelte discrezionali effettuate dal legislatore nella organizzazione degli apparati e dell’attività amministrativa. Pertanto, è molto ampio il catalogo di contenuti specifici ad esso riconducibili.

Alcuni principi che la giurisprudenza ha derivato dai canoni di imparzialità e buon andamento sono oggi enunciati dall’articolo 1 della L. n. 241 del 1990 (legge sul procedimento amministrativo) dedicato ai princìpi generali dell’attività amministrativa. Tale disposizione intende definire principi e norme generali sull’attività amministrativa ed il cui catalogo è stato più volte aggiornato dal legislatore negli anni più recenti proprio al fine di favorire un rapporto sempre più paritario e garantistico fra cittadini e amministrazione. A seguito delle modifiche da ultimo apportate con L. 15/2005[29] e L. 69/2009[30], il citato articolo 1, al comma 1, dispone che l’attività amministrativa, oltre a perseguire i fini determinati dalla legge, è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza, nonché da i principi dell’ordinamento comunitario[31].

 

La modifica prevista dall’articolo in esame presenta tre oggetti principali.

Innanzitutto, si propone l’inserimento di due nuovi commi iniziali. Ai sensi del primo, le pubbliche funzioni sono al servizio delle libertà dei cittadini e del bene comune. Come evidenziato nella relazione illustrativa, si esplicita un principio immanente nell’ordinamento, che evidenzia la finalizzazione delle attività pubbliche al benessere generale, secondo il modello della c.d. amministrazione di risultato.

 

Con l’espressione “amministrazione di risultato”, che viene utilizzata in modo crescente dalla dottrina a partire dagli anni Novanta, si intende un’amministrazione responsabile non solo della legittimità del proprio operato, ma anche dei risultati raggiunti.

Nel testo si utilizza l’espressione “pubbliche funzioni”. In proposito, si evidenzia che in senso tecnico-giuridico, vi sono due nozioni di funzione. Funzione al singolare, che è una sintesi verbale con la quale si indica una molteplicità di compiti, positivamente individuabili attribuiti all'amministrazione. In questa accezione, la nozione è impiegata per distinguere le funzioni dello Stato, affidate a poteri pubblici diversi, oppure per identificare i compiti amministrativi in opposizione al servizio.

Funzione come categoria sovraordinata alla nozione di pubblica amministrazione: l'amministrazione è tale in quanto funzione, ossia doverosamente preposta alla cura di interessi pubblici e rilevante per il diritto. In questa accezione, vi deve essere un rapporto di congruenza con i fini determinati dalla legge. Occorre assicurare la funzionalizzazione dell'amministrazione in tutti i suoi aspetti: organizzazione, mezzi e attività. Le funzioni variano nel tempo e nello spazio e sono disciplinate in modo diverso l'una dall'altra.

 

L’espressione “pubbliche funzioni”, utilizzando termini polisenso, potrebbe essere intesa in riferimento non solo alla funzione amministrativa, ma anche a quella legislativa e giurisdizionale. Si consideri inoltre che il significato del concetto di “bene comune”, inteso quale fine delle funzioni pubbliche, non appare immediatamente definibile.

 

Il secondo comma della novella prevede che l'esercizio, anche indiretto, delle pubbliche funzioni è regolato in modo che ne siano assicurate l'efficienza, l'efficacia, la semplicità e la trasparenza.

In tal modo vengono elevati a rango costituzionale alcuni principi generali dell’attività amministrativa, in parte già ricondotti dalla giurisprudenza costituzionale ai canoni del buon andamento di cui all’articolo 97, primo comma, Cost. ed enucleati dalla legge sul procedimento amministrativo (L. 241/1990).

 

Sul piano dei significati, l’efficienza della pubblica amministrazione è determinata dal rapporto intercorrente tra i risultati raggiunti dall’azione amministrativa e la quantità delle risorse impiegate. Tale principio è espressamente richiamato nei criteri generali dell’attività amministrativa di cui all’articolo 1 della L. 241/1990. L’efficacia dell’azione amministrativa concerne, invece, la capacità di conseguire gli obiettivi che si erano preventivamente fissati. Entrambi i criteri, secondo la giurisprudenza costituzionale, sono derivati dal principio di buon andamento che è stato, di volta in volta, identificato con la predisposizione di strutture e moduli di organizzazione volti ad assicurare un’ottimale funzionalità (sentenza n. 234 del 1985); o rappresentato come obiettivo di tempestività e efficienza o come esigenza generale di efficienza dell’azione amministrativa (sentenze n. 404 del 1997 n. 40 del 1998); o definito “principio di efficienza” (sentenza n. 104 del 2007); o inteso come economicità di gestione e contenimento dei costi dei servizi pubblici (sentenze n. 60 del 1991 e n. 356 del 1992).

Il principio di semplicità rinvia agli obiettivi di semplificazione dell’azione amministrativa che ha rappresentato costantemente a partire dagli anni Novanta dello scorso secolo un obiettivo qualificante del programma complessivo di riforma della pubblica amministrazione, tanto da diventare principio fondamentale dell’ordinamento giuridico. I più importanti istituti generali di semplificazione del procedimento amministrativo sono regolati dalla l. n. 241/1990 e comprendono la conferenza di servizi; gli accordi tra pubbliche amministrazioni; i pareri e le valutazioni tecniche; la segnalazione certificata di inizio attività ed il silenzio assenso. Più in generale, espressione della semplicità dell’azione amministrativa è il principio di non aggravamento del procedimento amministrativo sancito dall’articolo 1, co. 2, della L. 241/1990, che ammette deroghe solo per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria.

Il principio della trasparenza è già presente nel testo della legge n. 241, ed in particolare nella parte relativa alla tutela del diritto di accesso ai documenti amministrativi, volta ad assicurare, appunto, la trasparenza e l’imparzialità dell’attività amministrativa (art. 22 legge 241/1990). In quel contesto la trasparenza è intesa quale strumento teso a garantire lo svolgimento corretto dell’azione amministrativa, della quale i soggetti interessati sono posti in condizione di verificarne direttamente l’efficienza e l’imparzialità. Inoltre, anche il principio di trasparenza è espressamente richiamato nei criteri generali dell’attività amministrativa di cui all’articolo 1 della L. 241/1990.

I criteri riferiti regolano le funzioni amministrative anche qualora esse non siano esercitate direttamente dall’amministrazione, ma in via indiretta da soggetti privati. L'esercizio privato di pubbliche funzioni costituisce infatti uno degli strumenti attraverso cui la pubblica amministrazione realizza i suoi fini pubblici e si concretizza nell'esercizio di talune potestà pubbliche da parte di soggetti privati estranei all'amministrazione statale e non costituenti organi di enti statali. L'esercizio privato di pubbliche funzioni discende da specifiche previsioni di legge, al ricorrere di determinati presupposti di fatto o di diritto. Di norma, restano in capo all’amministrazione alcuni poteri di controllo.

Il fenomeno dell’esercizio di funzioni amministrative da parte di soggetti privati si è andato sviluppando notevolmente negli anni più recenti attraverso privatizzazioni ed esternalizzazioni di beni e servizi. A garanzia della tutela dei diritti dei cittadini, la riforma della legge sul procedimento amministrativo ad opera della citata L: 15/2005, ha inserito all’articolo 1 della L. 241 un comma 1-ter, ai sensi del quale i soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative assicurano il rispetto dei principi generali sanciti al comma 1 della medesima disposizione.

 

La seconda modifica proposta dal comma in esame novella l’attuale primo comma dell’articolo 97, il quale dispone che i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge.

Tale riserva di legge è stata interpretata come riserva relativa e limitata ai soli uffici-organo, in modo da non irrigidire oltre misura il disegno organizzativo delle amministrazioni. La disposizione si ricollega all’analoga riserva contenuta dall'art. 95, terzo comma, Cost., in materia di numero e attribuzioni dei ministeri.

 

Peraltro, stante la natura relativa della riserva, si ricorda che l’organizzazione amministrativa è stata oggetto di una vasta opera di delegificazione.

 

La novella prevista dall’articolo in esame prevede la sostituzione dell’espressione “pubblici uffici” con quella di “pubbliche amministrazioni”.

 

Il termine pubblica amministrazione può essere inteso in senso oggettivo e in senso soggettivo. Nel primo caso, ci si riferisce all’attività svolta nell’esercizio di funzioni amministrative, mentre nel secondo caso, il riferimento s’intende all’insieme delle figure organizzative in cui si articolano gli apparati pubblici.

Nel diritto positivo, non esiste una definizione unitaria di pubblica amministrazione, intesa in senso soggettivo, specie in ragione del processo di progressiva differenziazione interna del fenomeno amministrativo nelle società complesse. In relazione a ciò, si preferisce utilizzare l’espressione nella declinazione plurale: non più la pubblica amministrazione, ma le pubbliche amministrazioni.

Stante l’impossibilità di una definizione unitaria, si riscontrano tuttavia alcune definizioni funzionali attraverso le quali il legislatore procede ad individuare espressamente le pubbliche amministrazioni ai fini dell’applicazione di una specifica disciplina. Tra queste, la definizione più completa ed utilizzata è quella contenuta nella normativa in materia di rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni. Secondo l’art. 1, co. 2, d.lg. 30 marzo 2001, n. 165[32], «per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni, le comunità montane e loro consorzi ed associazioni, le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi case popolari, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, e le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni e le agenzie di cui al d.lgs. n. 300/1999. Fino alla revisione organica della disciplina di settore, le disposizioni di cui al presente decreto continuano ad applicarsi anche al CONI».

 

L’ultima modifica consiste in un novella al testo del terzo comma del vigente articolo 97, che stabilisce il principio di accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni mediante concorso pubblico, salvi i casi espressamente stabiliti dalla legge. Al comma, che resterebbe inalterato nella formulazione vigente, viene aggiunto un ultimo periodo, in base al quale la carriera dei pubblici impiegati è regolata in modo da valorizzarne la capacità e il merito.

 

In riferimento all’importanza del criterio del merito nell’accesso agli impieghi nella pubblica amministrazione, si richiama innanzitutto la costante giurisprudenza costituzionale sul principio del concorso pubblico, quale meccanismo imparziale di selezione tecnica e neutrale dei più capaci sulla base del criterio del merito, di recente ripercorsa con la sentenza n. 293 del 2009.

L’art. 97, terzo comma, della Costituzione prevede che, salvo i casi stabiliti dalla legge, «agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso». Ciò significa che la «forma generale e ordinaria di reclutamento per le pubbliche amministrazioni» (sentenza n. 363 del 2006) è rappresentata da una selezione trasparente, comparativa, basata esclusivamente sul merito e aperta a tutti i cittadini in possesso di requisiti previamente e obiettivamente definiti. Il rispetto di tale criterio è condizione necessaria per assicurare che l’amministrazione pubblica risponda ai principi della democrazia, dell’efficienza e dell’imparzialità. Il concorso pubblico è, innanzitutto, condizione per la piena realizzazione del diritto di partecipazione all’esercizio delle funzioni pubbliche da parte di tutti i cittadini, fra i quali oggi sono da includersi, per la maggior parte degli impieghi, anche quelli di altri Stati membri dell’Unione europea (sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee, del 2 luglio 1996, in cause 473/93, 173/94 e 290/94). (…). Il concorso, inoltre, è «meccanismo strumentale al canone di efficienza dell’amministrazione» (sentenza n. 205 del 2004), cioè al principio di buon andamento, sancito dall’art. 97, primo comma, Cost. Il reclutamento dei dipendenti in base al merito si riflette, migliorandolo, sul rendimento delle pubbliche amministrazioni e sulle prestazioni da queste rese ai cittadini. Infine, il concorso pubblico garantisce il rispetto del principio di imparzialità, enunciato dall’art. 97 e sviluppato dall’art. 98 Cost. Infatti, il concorso impedisce che il reclutamento dei pubblici impiegati avvenga in base a criteri di appartenenza politica e garantisce, in tal modo, un certo grado di distinzione fra l’azione del governo, «normalmente legata agli interessi di una parte politica», e quella dell’amministrazione, «vincolata invece ad agire senza distinzioni di parti politiche, al fine del perseguimento delle finalità pubbliche obiettivate nell’ordinamento». Sotto tale profilo il concorso rappresenta, pertanto, «il metodo migliore per la provvista di organi chiamati ad esercitare le proprie funzioni in condizioni di imparzialità e al servizio esclusivo della Nazione» (sentenza n. 453 del 1990).

La Costituzione ha accordato al legislatore la facoltà di derogare al principio del concorso. Le deroghe legislative, tuttavia, sono sottoposte al sindacato di costituzionalità, nell’esercizio del quale la Corte ha progressivamente precisato il significato del precetto costituzionale. Innanzitutto, la Corte ha affermato che anche le «modalità organizzative e procedurali» del concorso devono «ispirarsi al rispetto rigoroso del principio di imparzialità» (sentenza n. 453 del 1990). Di conseguenza, non qualsiasi procedura selettiva, diretta all’accertamento della professionalità dei candidati, può dirsi di per sé compatibile con il principio del concorso pubblico. Quest’ultimo non è rispettato, in particolare, quando «le selezioni siano caratterizzate da arbitrarie forme di restrizione dei soggetti legittimati a parteciparvi» (sentenza n. 194 del 2002). La natura comparativa e aperta della procedura è, pertanto, elemento essenziale del concorso pubblico; procedure selettive riservate, che escludano o riducano irragionevolmente la possibilità di accesso dall’esterno, violano il «carattere pubblico» del concorso (sentenza n. 34 del 2004). La Corte ha poi chiarito che al concorso pubblico deve riconoscersi un ambito di applicazione ampio, tale da non includere soltanto le ipotesi di assunzione di soggetti precedentemente estranei alle pubbliche amministrazioni. Il concorso è necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio (ciò che comunque costituisce una «forma di reclutamento» - sentenza n. 1 del 1999), e in quelli, che più direttamente interessano le fattispecie in esame, di trasformazione di rapporti non di ruolo, e non instaurati ab origine mediante concorso, in rapporti di ruolo (sentenza n. 205 del 2004). Sotto quest’ultimo profilo, infine, la Corte ha precisato i limiti entro i quali può consentirsi al legislatore di disporre procedure di stabilizzazione di personale precario che derogano al principio del concorso. Secondo l’orientamento progressivamente consolidatosi nella giurisprudenza costituzionale, infatti, «l’area delle eccezioni» al concorso deve essere «delimitata in modo rigoroso» (sentenza n. 363 del 2006). Le deroghe sono pertanto legittime solo in presenza di «peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico» idonee a giustificarle (sentenza n. 81 del 2006). Non è in particolare sufficiente, a tal fine, la semplice circostanza che determinate categorie di dipendenti abbiano prestato attività a tempo determinato presso l’amministrazione (sentenza n. 205 del 2006), né basta la «personale aspettativa degli aspiranti» ad una misura di stabilizzazione (sentenza n. 81 del 2006). Occorrono invece particolari ragioni giustificatrici, ricollegabili alla peculiarità delle funzioni che il personale da reclutare è chiamato a svolgere, in particolare relativamente all’esigenza di consolidare specifiche esperienze professionali maturate all’interno dell’amministrazione e non acquisibili all’esterno, le quali facciano ritenere che la deroga al principio del concorso pubblico sia essa stessa funzionale alle esigenze di buon andamento dell’amministrazione.

 

Pertanto, con il comma in esame viene assunto al rango costituzionale il principio in base al quale il criterio del merito deve essere impiegato altresì nella disciplina delle progressioni in carriera.

 

A tale riguardo, si ricorda che il Titolo III (articoli 16-30) del D.Lgs. 150/2009[33], che reca una nuova disciplina del lavoro pubblico con l'obiettivo di incrementare produttività ed efficienza delle pubbliche amministrazioni, disciplina gli strumenti di valorizzazione del merito e i metodi di incentivazione della produttività e qualità della prestazione lavorativa.

Si prevede, da un lato, l’impegno delle amministrazioni a promuovere il miglioramento della performance anche utilizzando sistemi premianti selettivi, facendo divieto di distribuire i premi in assenza delle verifiche, e dall’altro, che nella loro opera di promozione del merito e della valorizzazione dei dipendenti le amministrazioni attribuiscano selettivamente gli incentivi economici e di carriera, facendo divieto anche qui di distribuire i premi in maniera indifferenziata sulla base di automatismi estranei al processo di valutazione

Al tal fine, l’articolo 19 ha previsto la compilazione da parte delle amministrazioni di una graduatoria delle valutazioni individuali del personale dirigenziale e non dirigenziale. Il personale viene poi distribuito, secondo i differenti livelli di performance, in tre fasce:

§         fascia di merito alta, composta dal 25% del personale, cui è corrisposto il 50% delle risorse destinate al trattamento accessorio collegato alla performance individuale;

§         fascia di merito intermedia, composta dal 50% del personale, cui è corrisposto l’altro 50% delle risorse destinate al trattamento accessorio collegato alla performance individuale;

§         fascia di merito bassa, composta dal 25% del personale, cui non è corrisposto alcun trattamento accessorio.

Tali principi sono derogabili dalla contrattazione collettiva entro determinati margini: la percentuale del 25% della fascia di merito alta può variare in misura non superiore a 5 punti percentuali in aumento o in diminuzione, con corrispondente variazione compensativa delle altre due percentuali; inoltre, possono essere derogate le composizioni percentuali delle due fasce di merito intermedia e bassa, fermo restando la percentuale della fascia alta.

Sul rispetto dei principi di selettività e di meritocrazia, il Dipartimento della funzione pubblica provvede al monitoraggio delle deroghe e riferisce in proposito al Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione.

Gli strumenti con cui premiare il merito e la professionalità sono descritti nella seguente articolazione:

§         bonus annuale delle eccellenze, destinato al personale collocato nella fascia di merito alta e assegnato alle performance eccellenti individuate in un massimo del 5% di tale personale[34] (articolo 21);

§         premio annuale per l’innovazione, come forma di incentivazione aggiuntiva per le performances di eccellenza e per i progetti innovativi: viene assegnato dall’Organismo indipendente di valutazione della performance al miglior progetto realizzato nell’anno che produca un significativo cambiamento dei servizi offerti e dei processi interni di lavoro; è l’unico candidabile, successivamente, al Premio nazionale per l’innovazione nelle amministrazioni pubbliche (articolo 22);

§         progressioni economiche, riconosciute selettivamente dalle amministrazioni sulla base della contrattazione collettiva ad una quota limitata di dipendenti in relazione allo sviluppo delle competenze professionali (articolo 23);

§         progressioni di carriera, per cui si prevede la copertura dei posti nella dotazione organica attraverso concorsi pubblici con riserva non superiore al 50% a favore del personale interno, finalizzata al riconoscimento e alla valorizzazione delle competenze professionali sviluppate (articolo 24);

§         attribuzione di incarichi e responsabilità, attuata attraverso il sistema di misurazione e valutazione (articolo 25);

§         accesso a percorsi di alta formazione e di crescita professionale, per cui si promuove l’accesso privilegiato a percorsi di alta formazione e periodi di lavoro presso istituzioni pubbliche private, nazionali e internazionali (articolo 26).

Inoltre, vanno ricordati i premi di efficienza per cui una quota fino al 30% dei risparmi sui costi di funzionamento derivanti da processi di ristrutturazione, riorganizzazioni e innovazioni viene destinata, fino a due terzi e secondo criteri definiti dalla contrattazione collettiva integrativa, al personale coinvolto, mentre la parte residua serve a incrementare le somme disponibili per la contrattazione stessa (articolo 27).

Infine, viene attribuito carattere imperativo alle disposizioni contenute nel titolo III. In particolare, secondo l’articolo 29 del D.Lgs. 150, tali disposizioni non possono essere derogate dalla contrattazione collettiva e sono inserite di diritto nei contratti collettivi ai sensi degli articoli 1339 e 1419, comma 2 del codice civile.

Si ricorda, peraltro, che il 4 febbraio 2011 è stata sottoscritta da Governo e sindacati una intesa per la regolazione del regime transitorio degli istituti premianti previsto dal decreto legislativo n. 150/09. Le parti hanno concordato, tra l’altro, che le retribuzioni complessive del pubblico impiego non dovranno diminuire per effetto dell’applicazione dei criteri per la differenziazione delle valutazioni, a tale scopo dovranno essere utilizzate esclusivamente risorse aggiuntive.

 

 


 

Modifica dell’articolo 118 della Costituzione

 

L’articolo 3 del disegno di legge C. 4144 novella il quarto comma dell’articolo 118 della Costituzione.

Come noto, il testo di tale disposizione, introdotto con la riforma costituzionale del Titolo V nel 2001, che ha novellato l’intero articolo 118, riconosce il principio della c.d. sussidiarietà orizzontale o sociale.

 

L’approvazione del nuovo Titolo V della Parte seconda della Costituzione, ha posto al centro del nuovo assetto della funzione amministrativa il principio di sussidiarietà con i correlati principi di differenziazione e adeguatezza.

Sotto il profilo strettamente giuridico, il termine sussidiarietà rimanda a due distinti concetti, ovvero alla:

Ø       sussidiarietà verticale intesa come criterio di distribuzione delle competenze tra lo stato e le autonomie locali.

Ø       sussidiarietà orizzontale intesa come principio ordinatore dei rapporti tra i pubblici poteri e i privati, sia formazioni sociali che individui.

Nella sua dimensione verticale, il principio di sussidiarietà possiede un duplice profilo. L’art. 118 Cost., comma primo, ridisegna infatti le funzioni amministrative, attribuendone la titolarità, in via generale, ai Comuni, salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, queste siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato. In definitiva, è la stessa natura delle funzioni esercitate a condizionare l’individuazione dell’ente legittimato all’esercizio delle stesse, senza che gli interessi generali vengano pregiudicati dall’assegnazione delle funzioni amministrative ad un ente inidoneo alla loro realizzazione. In tale contesto devono essere considerate le diversità sostanziali che distinguono in concreto le situazioni degli enti territoriali, tenendo conto di elementi quali le dimensioni demografiche o territoriali, la collocazione geografica e la vocazione economica, in base al principio di differenziazione; mentre la rispondenza al principio di adeguatezza comporta una valutazione delle capacità di governo e di amministrazione, delle stesse condizioni di mezzi, strumenti, competenze e professionalità a disposizione dello stesso ente territoriale.

Il comma 2 dell’art. 120 Cost., prevedendo infine il potere sostitutivo del governo centrale di fronte ad inadempienze delle Regioni e degli Enti locali, richiama il principio di sussidiarietà, per cui il livello superiore (ente centrale) interviene quando il livello inferiore (ente territoriale) non è in grado di assolvere alle proprie funzioni.

 

Nella sua dimensione orizzontale, la sussidiarietà implica che i poteri pubblici favoriscano l’autonomia del corpo sociale, di modo che l’intervento pubblico si dispieghi solo qualora la stessa cittadinanza non possa efficacemente provvedere alla realizzazione degli interessi generali. È in questo senso che il principio viene richiamato dall’ultimo comma dell’art. 118 Cost., ai sensi del quale: “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.

Con la novella in esame, compito dei poteri pubblici sarebbe non più solo quello di “favorire”, quanto piuttosto anche quello di “garantire” lo svolgimento di attività di interesse generale da parte dei privati. Secondo quanto evidenziato nella relazione illustrativa al disegno di legge, lo scopo della modifica, collegata alla riformulazione dell’articolo 41 in materia economica, è di «rafforzare la portata del principio di sussidiarietà orizzontale, in base al quale l’azione dei pubblici poteri si configura come sussidiaria di quella dei privati, singoli e associati, nel senso che gli enti istituzionali possono legittimamente intervenire nel contesto sociale laddove le funzioni amministrative siano svolte in modo più efficiente e con risultati più efficaci che se fossero lasciate alla libera iniziativa privata, ancorché regolamentata».

Pertanto, con la nuova formulazione s’intende riconoscere in capo ai privati non tanto il diritto di svolgere attività di interesse generale, quanto piuttosto garantire all’autonoma iniziativa dei privati e della società civile uno spazio di azione che al tempo rappresenti un limite di intervento ai poteri pubblici.

 

In proposito, si ricorda che già nell’ambito del dibattito parlamentare sull’approvazione del vigente articolo 118, comma quarto, della Costituzione sono emersi due diversi orientamenti tra le forze politiche sulle modalità attraverso le quali riconoscere in Costituzione il principio di sussidiarietà sociale, incentrato proprio sull’uso del termine “favorire”. Da un lato, la maggioranza di centro-sinistra ha proposto e votato il testo nella sua formulazione vigente (emendamento Boato 0.6.40.2, approvato dall’Assemblea nella seduta del 21 settembre 2000), tesa ad introdurre in Costituzione il riferimento alla necessità che la Repubblica in tutti i suoi organi non si limiti soltanto a valorizzare e a riconoscere, ma attui una politica di promozione dell’iniziativa privata come strumento di rinnovamento del welfare. Orientamento considerato riduttivo del principio di sussidiarietà e pertanto contestato dalle forze politiche di centro-destra che, attraverso la proposta di differenti formulazioni della disposizione, intendevano affermare esplicitamente che «lo Stato e gli enti territoriali riconoscono che il loro intervento deve avvenire solo laddove sia più efficace di quello dei privati e delle formazioni in cui questi liberamente si organizzano» (cfr., infra, i lavori preparatori dell’articolo 118, comma quarto).

Nei commenti della dottrina alla nuova disposizione costituzionale, ci si è soffermati in particolare sull’interpretazione dei suoi profili soggettivi ed oggettivi. Quanto alla dimensione soggettiva, nonostante l’esplicito riferimento ai «cittadini», si ritiene di poter includere tra i destinatari della disposizione anche gli stranieri. Inoltre, il principio di sussidiarietà, pur se riferito anche ai singoli, mira ad enfatizzare soprattutto i gruppi sociali e le realtà associative per lo svolgimento di compiti tradizionalmente assegnati alla sfera pubblica. Per quanto riguarda la dimensione oggettiva della disposizione, si ritiene che non tutte le attività di interesse generale possano essere svolte da privati in virtù del principio di sussidiarietà, come ad esempio quelle che sono esercizio di poteri autoritativi e che sono riservate all’amministrazione. Viceversa, si ritengono suscettibili di devoluzione all’iniziativa privata in particolare le attività di prestazione riferibili ai servizi pubblici di natura sociale. Diversi, invece, sono gli orientamenti interpretativi circa l’estensibilità del principio alle attività di interesse generale che presentino un rilievo economico.

La giurisprudenza costituzionale si è finora occupata sporadicamente dei profili relativi alla sussidiarietà c.d. orizzontale. In particolare, la Corte ha affermato, in riferimento alle scuole non statali, che il principio in discorso non può consentire un’interpretazione dell’art. 33, quarto comma, della Costituzione, che induca a ritenere le scuole paritarie sempre legittimate ad eseguire esami di Stato a beneficio di chiunque, senza esserne alunno, chieda di svolgerli presso di esse (sentenza n. 220/2007). Ancora, la Corte ha utilizzato il parametro dell’art. 118, quarto comma, in relazione alla natura giuridica delle fondazioni bancarie, come prefigurata dalla legge, a sostegno dell’appartenenza delle stesse alla sfera dei “soggetti dell’organizzazione delle libertà sociali” e non delle funzioni pubbliche, sfuggendo pertanto alla disciplina regionale (sentenza n. 300/2003).

Nella giurisprudenza amministrativa, sono state riconosciute quali chiare manifestazioni del principio di sussidiarietà orizzontale le norme prevedono il coinvolgimento delle associazioni rappresentative nella determinazione delle ulteriori aperture festive e domenicali al punto di attribuire loro una sorta di potere di "veto" (Tar Puglia, Bari, n. 2713/2009); quelle che attribuiscono alle associazioni di protezione ambientale legittimazione attiva nei giudizi dinanzi al giudice ordinario ed a quello amministrativo per tutelare finalità (di protezione dell'ambiente) che sono proprie dell'amministrazione dello Stato (Tar Lombardia, Brescia, I, n. 2411/2010). Ancora in materia di legittimazione processuale, si è ribadito che anche in mancanza di leggi ordinarie di attuazione tese a realizzare la piena valorizzazione dell'apporto diretto dei singoli cittadini e delle formazioni sociali nella gestione della funzione amministrativa, il principio di sussidiarietà orizzontale impone immediatamente di privilegiare, tra le esistenti opzioni interpretative, quelle più avanzate in tema di legittimazione ad agire che garantiscano ai cittadini, ma anche alle loro associazioni, la più ampia possibilità di sindacare in sede giurisdizionale l'esercizio della funzione amministrativa da parte degli enti pubblici istituzionali a ciò preposti (Tar Puglia, Lecce, I, n. 2573/2006). Altresì, l’apporto dei singoli e delle formazioni sociali va valorizzato nell'ambito del procedimento amministrativo, non solo in termini di mera collaborazione ma anche ai più generali fini della gestione stessa della funzione amministrativa per renderla più adeguata rispetto agli interessi pubblici perseguiti (Tar Liguria, Genova, I, n. 747/2004).

Valutando la legittimità delle modalità di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali (ex art. 113, d.lgs. 267/2000) alla luce dell’articolo 118, comma quarto, Cost. è stato sostenuto che tale disposizione «valorizza soltanto il profilo positivo del detto principio, ossia quello che afferma la necessità di un intervento della pubblica amministrazione a sostegno e promozione dell'attività dei privati. La disposizione costituzionale si limita, infatti, a prevedere la necessità che i soggetti pubblici ivi contemplati, favoriscano l'autonoma iniziativa dei privati, senza, peraltro, contenere ulteriori indicazioni ermeneutiche che consentano di ritenere sottratto ai primi il potere di intervento nell'area delle "attività di interesse generale". A ciascun ente pubblico, nell'ambito delle proprie attribuzioni, deve riconoscersi la potestà di valutare quali siano le modalità più consone al soddisfacimento degli interessi pubblici coinvolti nelle attività cui la norma costituzionale fa riferimento» (Tar Sardegna, Cagliari, I, n. 2407/2007).

Ed ancora, nella giurisprudenza consultiva del Consiglio di Stato, si segnala l’ampio parere della sezione atti normativi (n. 1354/2002) nel quale è stato analizzato lo schema di regolamento in materia di fondazioni bancarie alla luce dell'art. 118, comma quarto, Cost. Secondo il Consiglio di Stato, il principio di sussidiarietà orizzontale costituisce il criterio propulsivo in coerenza al quale deve da ora svilupparsi, nell'ambito della società civile, il rapporto tra pubblico e privato anche nella realizzazione delle finalità di carattere collettivo. In motivazione, il giudice precisa che il principio di sussidiarietà orizzontale consente di intendere il concetto di autonomia privata non solo nel senso che il suo riconoscimento assume portata prioritaria quando l'autonomia è orientata alla realizzazione dei bisogni individuali, ma anche quando persegue utilità generali, configurando spazi autonomi di tutela per « attività strumentali » mediante le quali si persegue la realizzazione delle «utilità generali», così da far assumere una posizione prioritaria al privato rispetto al pubblico anche in settori sinora riservati alla competenza esclusiva degli apparati amministrativi. Sotto il profilo economico, ciò si traduce nel senso che appare meno necessario impiegare risorse pubbliche là dove operano, o sono in grado di operare, i privati, mediante il ricorso a forme di autofinanziamento e/o incremento delle risorse che provengono dall'apporto disinteressato dei singoli.

In un secondo importante parere, in cui il Consiglio di Stato ha escluso che la sussidiarietà orizzontale possa essere “utilizzata per fattispecie di aiuti alle imprese”, si è sostenuto che affinché un ente privato possa beneficiare di ausili finanziari pubblici secondo la logica della sussidiarietà orizzontale è necessario che sussistano tutte le condizioni che implicitamente sono poste dai precetti (costituzionali e ordinari) in materia, e cioè: 1) sussistenza di un'attività a cura e iniziativa di cittadini, famiglie, associazioni, comunità che si riveli adeguata e di interesse generale; 2) tipicità della stessa attività e sua riferibilità esclusiva a quei soggetti; 3) giudizio da parte dell'ente pubblico della necessità che il servizio o l'attività possano continuare per beneficio della comunità di riferimento; 4) erogazione dell'ausilio quale forma di concorso per l'implicita utilizzazione dei benefici dall'intera collettività, anche politica, di riferimento (Cons. St., sez. atti norm., n. 1440/2003).

 

La relazione del governo sottolinea come «l’inserimento del termine “garantiscono” determina il sorgere di una posizione giuridica soggettiva di interesse legittimo in capo ai cittadini a fronte dell’obbligo posto in capo ai soggetti istituzionalmente competenti di valutare, sia pure discrezionalmente, l’adeguatezza dell’azione in sussidiarietà».

In altri termini, la nuova formulazione intende dare risalto alla portata “negativa” del principio di sussidiarietà, inteso come criterio di delimitazione di competenza dei soggetti istituzionali a vantaggio dei consociati e, dunque, come dovere di astensione dei pubblici poteri laddove i privati siano in grado di svolgere autonomamente le attività di interesse generale.

 

 

 


 

Testo a fronte

 


Modifiche all’articolo 41 della Costituzione

 

 

Costituzione
testo vigente

A.C. 4144
Governo

A.C. 3039
Vignali ed altri

A.C. 3054
Vignali ed altri

A.C. 3967
Beltrandi ed altri

PARTE I
Diritti e doveri dei cittadini

PARTE I
Diritti e doveri dei cittadini

PARTE I
Diritti e doveri dei cittadini

PARTE I
Diritti e doveri dei cittadini

PARTE I
Diritti e doveri dei cittadini

Titolo III
Rapporti economici

Titolo III
Rapporti economici

Titolo III
Rapporti economici

Titolo III
Rapporti economici

Titolo III
Rapporti economici

Art. 41

Art. 41

Art. 41

Art. 41

Art. 41

L'iniziativa economica privata è libera.

L'iniziativa e l'attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge.

Identico.

Identico.

L’iniziativa economica privata è libera e deve svolgersi in condizioni di concorrenza. Chi la intraprende ne è esclusivo responsabile.

Non può svolgersi in contrasto con la utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

Non possono svolgersi in contrasto con l'utilità sociale, con i principî fondamentali della Costituzione o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

Essa si svolge a favore della dignità umana, della libertà e della sicurezza.

Essa si svolge a favore della dignità umana, della libertà e della sicurezza.

 

La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

La legge si conforma ai principî di fiducia e di leale collaborazione tra le pubbliche amministrazioni e i cittadini prevedendo, di norma, controlli successivi.

Lo Stato ne riconosce l’utilità economica e sociale e l’essenziale contributo al benessere generale.

Lo Stato ne riconosce l’utilità economica e sociale e l’essenziale contributo al benessere generale.

 

 

 

L’imprenditore che partecipa direttamente alla gestione dell’impresa è considerato, a tutti gli effetti, un lavoratore.

L’imprenditore che partecipa direttamente alla gestione dell’impresa è considerato, a tutti gli effetti, un lavoratore.

 

 

 

 


Modifiche all’articolo 45 della Costituzione

 

 

 

Costituzione
testo vigente

A.C. 3054
Vignali ed altri

PARTE I
Diritti e doveri dei cittadini

PARTE I
Diritti e doveri dei cittadini

Titolo III
Rapporti economici

Titolo III
Rapporti economici

Art. 45

Art. 45

La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli , il carattere e le finalità.

Identico.

La legge provvede alla tutela e allo sviluppo dell’artigianato.

La legge provvede alla tutela e allo sviluppo dell’artigianato e delle piccole e medie imprese.

 


Modifiche all’articolo 47 della Costituzione

 

 

 

Costituzione
testo vigente

A.C. 3054
Vignali ed altri

PARTE I
Diritti e doveri dei cittadini

PARTE I
Diritti e doveri dei cittadini

Titolo III
Rapporti economici

Titolo III
Rapporti economici

Art. 47

Art. 47

La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito.

Identico.

Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese.

Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e, alla partecipazione nella proprietà delle piccole e medie imprese e al diretto e indiretto investimento azionario nei complessi produttividel territorio dell’Unione europea.


Modifiche all’articolo 53 della Costituzione

 

 

 

Costituzione
testo vigente

A.C. 3054
Vignali ed altri

PARTE I
Diritti e doveri dei cittadini

PARTE I
Diritti e doveri dei cittadini

Titolo IV
Rapporti politici

Titolo IV
Rapporti politici

Art. 53

Art. 53

Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.

Identico.

Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.

Il prelievo fiscale diretto può essere effettuato solo sui redditi delle persone fisiche e delle imprese e non può eccedere la metà dei redditi stessi maturali nell’anno di riferimento.

 

 


Modifiche all’articolo 97 della Costituzione

 

Costituzione
testo vigente

A.C. 4144
Governo

PARTE II
Ordinamento della repubblica

PARTE II
Ordinamento della repubblica

Titolo III
il governo

Titolo III
il governo

Sezione II
La Pubblica Amministrazione

Sezione II
La Pubblica Amministrazione

Art. 97

Art. 97

 

Le pubbliche funzioni sono al servizio delle libertà dei cittadini e del bene comune.

 

L'esercizio, anche indiretto, delle pubbliche funzioni è regolato in modo che ne siano assicurate l'efficienza, l'efficacia, la semplicità e la trasparenza.

I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e la imparzialità dell'amministrazione.

Le pubbliche amministrazioni sono organizzate secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione.

Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.

Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.

Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.

Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso pubblico, salvi i casi stabiliti dalla legge. La carriera dei pubblici impiegati è regolata in modo da valorizzarne la capacità e il merito.

 


Modifiche all’articolo 118 della Costituzione

 

Costituzione
testo vigente

A.C. 4144
Governo

PARTE II
Ordinamento della repubblica

PARTE II
Ordinamento della repubblica

Titolo V
le regioni, le province, i comuni

Titolo V
le regioni, le province, i comuni

Art. 118

Art. 118

Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza..

Identico.

I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.

Identico.

La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regione nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell'articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali.

Identico.

Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.

 

Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni garantiscono e favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.

 


Lavori preparatori

 


 

Articolo 41 della Costituzione

 


 

 

 

 

 


 

 

 


 

 

 

 

 

 


 

Articolo 97 della Costituzione

 


 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 


 

Articolo 118, comma quarto, della Costituzione

 


RESOCONTO

SOMMARIO e STENOGRAFICO

_________

_________    _________

 

774

 

SEDUTA DI MERCOLEDI' 20 SETTEMBRE 2000

 

 

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE

CARLO GIOVANARDI

 

indi

 

DEL PRESIDENTE

LUCIANO VIOLANTE

 


Seguito della discussione del testo unificato dei progetti di legge costituzionale: Poli Bortone; Migliori; Volontè ed altri; d'iniziativa del consiglio regionale del Veneto; Contento ed altri; Soda ed altri; Fontan ed altri; Mario Pepe ed altri; d'iniziativa del Governo; Novelli; Paissan ed altri; Crema ed altri; Fini ed altri; Garra ed altri; d'iniziativa del consiglio regionale della Toscana; Zeller ed altri; Caveri; Follini ed altri; Bertinotti ed altri; Bianchi Clerici ed altri: Ordinamento federale della Repubblica (4462-4995-5017-5036-5181-5467-5671-5695-5830-5856-5874-5888-5918-5919-5947-5948-5949-6044-6327-6376) (ore 9,10).

 

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del testo unificato dei progetti di legge costituzionale d'iniziativa dei deputati Poli Bortone; Migliori; Volontè ed altri; d'iniziativa del consiglio regionale del Veneto; d'iniziativa dei deputati Contento ed altri; Soda ed altri; Fontan ed altri; Mario Pepe ed altri; d'iniziativa del Governo; d'iniziativa dei deputati: Novelli; Paissan ed altri; Crema ed altri; Fini ed altri; Garra ed altri; d'iniziativa del consiglio regionale della Toscana; d'iniziativa dei deputati Zeller ed altri; Caveri; Follini ed altri; Bertinotti ed altri; Bianchi Clerici ed altri: Ordinamento federale della Repubblica.

Ricordo che nella seduta di ieri sono iniziate le votazioni degli emendamenti, è stato soppresso l'articolo 1 ed è stato respinto, da ultimo, l'emendamento Calderisi 4.24, essendo stati accantonati gli articoli 2 e 3.

(omissis)

(Ripresa esame dell'articolo 2 - A. C. 4462)

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione dell'emendamento Pisanu 2.65.

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fontan. Ne ha facoltà.

ROLANDO FONTAN. Presidente, noi della Lega giudichiamo l'emendamento Pisanu 2.65 importantissimo, perché è uno dei famosi cinque emendamenti che abbiamo presentato insieme ai colleghi del Polo e su cui intendiamo discutere.

Nel ricordare che questo emendamento concerne il principio della sussidiarietà, vorrei sottolineare come, nonostante le richieste formulate dall'opposizione nella seduta di ieri, nulla si sia mosso. Il Comitato dei nove, infatti, stamane ha nuovamente bocciato - uso questo termine - tale emendamento per cui dal punto di vista politico le posizioni rimangono assolutamente distanti.

Ribadisco l'importanza di questo emendamento proprio da un punto di vista politico perché, come ho appena detto, è uno dei cinque emendamenti che noi dell'opposizione riteniamo fondamentali.

Detto ciò vorrei ancora una volta richiamare l'attenzione dei colleghi, ma soprattutto quella dei mass media, su questo che è un emendamento che spiega quale sia l'impostazione del modello di società a cui noi facciamo riferimento, rispetto al modello di società portato avanti dalla sinistra. In questi anni, checché ne dicano i relatori, la sinistra ha portato avanti un modello di società in cui tendenzialmente il sistema Stato, il sistema pubblico, invece di diminuire, è aumentato, con tutti i problemi annessi e connessi.

La maggioranza ha dichiarato che avrebbe introdotto nei suoi emendamenti i principi di sussidiarietà, sia orizzontale sia verticale. Questo è falso, perché negli emendamenti presentati dalla maggioranza la sussidiarietà orizzontale non viene minimamente considerata con riferimento ai cittadini e alle associazioni che sono il fulcro di questa nostra società, checché ne dicano i nostri amici Popolari che molto spesso si riempiono la bocca di queste cose nel corso di convegni in cui affermano di sostenere il sistema privato e l'associazionismo. Oggi, votando contro l'emendamento Pisanu 2.65, non faranno altro che negare ciò che vanno dicendo in giro per il paese.

Lo stesso discorso vale per la sussidiarietà verticale, ossia per il trasferimento delle decisioni ai livelli più bassi. Ieri, Folena si è detto molto preoccupato per questa polverizzazione delle decisioni. Noi invece pensiamo che poter decidere ad un livello più basso rappresenti l'anima della democrazia, di una comunità. Come ho appena detto, anche questo principio non viene assolutamente recepito, fatta eccezione per la parte concernente le funzioni amministrative. Non è sufficiente che solo le funzioni amministrative siano portate tendenzialmente verso il basso, verso i comuni, le province, le regioni, cioè verso gli enti più vicini alla gente, ma è necessario che passi il principio, a livello di legislazione e di competenze, che tutto l'assetto istituzionale sia «trascinato» verso il basso. Su questi temi non avete proposto niente, ma quel che è peggio è che non avete speso neanche una parola e che avete «blindato» il testo.

Comprendo che il relatore Soda abbia cercato in mille maniere di far capire che questo possa essere federalismo, anche se in questi ultimi due giorni lo abbiamo visto accondiscendere sempre di più a richieste che arrivano dalla sinistra di questa maggioranza, dai Comunisti italiani e dai Verdi...

ROSANNA MORONI. Italiani, italiani, Fontan!

ROLANDO FONTAN. Quando esamineremo gli articoli successivi spiegheremo questi scivoloni. Se la situazione era già negativa, a nostro avviso, negli ultimi giorni sta peggiorando proprio per questi scivoloni, per queste concessioni alla sinistra dello schieramento di maggioranza e intendo stigmatizzare questo comportamento.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boato. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. Presidente, il collega Fontan ha detto una serie tale e incredibile di falsità che non merita neppure che io cerchi di rispondere puntualmente. Il suo intervento è falso dall'inizio alla fine.

La Commissione ha adottato il principio di sussidiarietà all'articolo 118 e lo voteremo; i due relatori e la maggioranza della Commissione hanno già espresso parere favorevole sul mio emendamento 6.22 (Nuova formulazione) che contiene anche il principio di sussidiarietà sociale. Quindi, l'intervento del collega Fontan è falso dall'inizio alla fine! Esprimeremo voto contrario sull'emendamento al nostro esame, ma voteremo il principio di sussidiarietà all'articolo 118.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giovanardi. Ne ha facoltà.

CARLO GIOVANARDI. Signor Presidente, accennavo già ieri che è difficile scoprire la verità nell'ambito di lavori che si svolgono in questa maniera.

L'onorevole Boato ha appena detto che l'onorevole Fontan ha pronunciato parole false relativamente all'introduzione in questa riforma costituzionale del principio di sussidiarietà. Io sto sempre ai fatti: stiamo discutendo dell'articolo 2, e il testo unificato della Commissione originariamente approdato in quest'aula, al comma 2, recita: «L'esercizio delle funzioni pubbliche è ripartito sulla base dei principi di sussidiarietà e differenziazione»; ora mi si chiede di votare l'articolo 2 dal quale è stato espunto questo secondo comma. Mi domando perché sia stato eliminato, se nei lavori preparatori la maggioranza della Commissione l'aveva introdotto all'articolo 2 nel testo unificato perché sistematicamente doveva essere collocato in quella sede.

Boato sostiene che questo comma ricomparirà; è come un fiume carsico in cui le cose appaiono e scompaiono, ogni mattina ci troviamo ad affrontare una situazione diversa. Questa mattina, onorevole Boato, è sicuramente scomparso dall'articolo 2 il principio di sussidiarietà: questo è un fatto incontrovertibile. Non solo è scomparso il secondo comma, ma vi è un emendamento della Casa delle libertà che reintroduce questo principio là dove la stessa maggioranza lo aveva collocato in maniera organica. A volte ci si deve domandare se il dibattito culturale, politico e giornalistico nel nostro paese abbia - come credo - o meno attinenza con i lavori parlamentari.

Credo che la crisi profonda, irreversibile, di certe forze politiche presenti in quest'aula (mi riferisco ai Popolari) sia determinata anche dal fatto che le aspettative, le promesse e i discorsi fatti in occasione delle feste e dei dibattiti, nel rapporto con un mondo particolarmente sensibile a tali problemi, vengano poi sistematicamente disattesi quando, a livello parlamentare, detti principi dovrebbero diventare parte integrante della nostra legislazione.

Molti in quest'aula hanno accettato pienamente il principio di sussidiarietà: nel corso dell'intera legislatura, quando tale principio si è affacciato nell'aula di Montecitorio, è sempre stato bocciato dalla maggioranza, Popolari compresi. Ciò è avvenuto anche ai tempi della Commissione bicamerale: una delle ragioni del fallimento di tale Commissione è stato il clamoroso voto dell'Assemblea con il quale la parte della maggioranza che si definisce centrista, assieme a Rifondazione comunista e ai Comunisti italiani, ha bocciato il principio di sussidiarietà.

Un conto sono le proclamazioni, un conto è il lavoro legislativo. In questo progetto di riforma della Costituzione, nell'articolo 2, che rappresenta la sede naturale della sussidiarietà, come la stessa maggioranza aveva riconosciuto fino a ieri mattina, noi ricollochiamo l'indicato principio. Sono curioso di capire le motivazioni per le quali, per l'ennesima volta in questa legislatura, ci troviamo dinanzi ad un fronte compatto che boccia il principio di sussidiarietà, fronte che va da Rifondazione comunista ai Comunisti italiani, che negano alla radice il principio, e che comprende anche quelli che a parole lo sostengono, a parole ma non nei fatti.

Credo veramente che l'emendamento Pisanu 2.65 sia un banco di prova dell'onestà intellettuale di quella parte della maggioranza che dovrebbe avere il coraggio di sostenere, anche negli atti parlamentari e con il voto, principi ai quali teoricamente dichiara di aderire (Applausi dei deputati del gruppo misto-CCD).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Teresio Delfino. Ne ha facoltà.

TERESIO DELFINO. Signor Presidente, intendiamo sottolineare con il mio intervento l'importanza fondamentale dell'emendamento Pisanu 2.65, sottoscritto da tutte le forze politiche della coalizione Casa delle libertà. Si tratta di un emendamento che sostanzialmente intende ribadire - lo sottolineo anche in riferimento alle parole del collega Boato - che il principio di sussidiarietà, sia orizzontale sia verticale, deve informare l'intera riforma costituzionale di cui stiamo discutendo. Non è immaginabile fare un passo indietro - noi riteniamo che lo si stia facendo - rispetto alla discussione ed alla presa di coscienza che sul principio di sussidiarietà era stata compiuta in seno alla Commissione bicamerale e in quest'aula in occasione della discussione del testo presentato da tale Commissione; né vale sostenere che tale principio è previsto nell'articolo 6, perché in quella sede rappresenta sicuramente un'indicazione meno pregnante rispetto ad una collocazione nell'articolo 2.

La questione del principio di sussidiarietà va inquadrata nell'ottica di caratterizzare effettivamente la nostra riforma dando voce, forza, possibilità di contare a tutte le comunità, facendo regredire in termini sostanziali la presenza dello Stato nella gestione degli interessi che possono essere curati in termini molto puntuali e positivi dalla comunità civile.

È questa la ragione per la quale, in tale occasione, abbiamo sottoscritto convintamente un emendamento della Casa delle libertà, proprio per sottolineare il carattere fondante della riforma della quale stiamo discutendo.

PRESIDENTE. Constato l'assenza dell'onorevole Taradash, che aveva chiesto di parlare per dichiarazione di voto: s'intende che vi abbia rinunziato.

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Migliori. Ne ha facoltà.

RICCARDO MIGLIORI. Signor Presidente, colleghi, intervengo brevemente per esprimere, ovviamente, il voto favorevole dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale sull'emendamento Pisanu 2.65, che rappresenta uno dei cinque emendamenti essenziali sui quali, non a caso, convergono tutti i gruppi parlamentari della Casa delle libertà.

Voglio dire che è molto difficile - mi sembra che questi due giorni di lavori parlamentari lo abbiano dimostrato - riuscire a farsi comprendere dai colleghi della maggioranza. In questi quattro anni di lavori parlamentari non mi è mai capitato di avere da parte dei colleghi della maggioranza un unico continuo refrain come risposta alle nostre osservazioni: siamo in presenza di un imbroglio, o di falsità, oppure di bugie! Non vi è quindi un confronto sulle questioni concrete, ma si registra un nervosismo che porta a rifiutare qualsiasi tipo di confronto di merito sulle questioni oggetto dei nostri emendamenti.

Voglio dire con grande chiarezza al collega Boato che confondere questo emendamento, che sostiene in termini evidenti, chiari e coerenti la sussidiarietà come trasferimento di poteri e competenze dalle istituzioni alla società, con l'emendamento all'articolo 6, nel quale si parla di favorire semplicemente l'attività dei privati, è concettualmente un imbroglio (Applausi del deputato Calderisi) e di fatto, attraverso un'esercitazione dialettica, crea confusione in quest'aula!

Credo che i colleghi della maggioranza dovrebbero dire con chiarezza che, essendo divisi al loro interno su questo argomento, decidono di votare contro per una questione di merito e di sostanza e non per una questione di metodo perché si voterebbe questo emendamento all'articolo 6 invece che all'articolo 2! Colleghi della maggioranza, voi votate contro l'introduzione nella Costituzione del principio di sussidiarietà!

Questa è la realtà dei fatti...

MARCO BOATO. Questo è un imbroglio!

RICCARDO MIGLIORI. ...e chi non conosce questa situazione...

Presidente, la maggioranza, rispetto a queste osservazioni, continua a sostenere quello che dice l'opposizione: è un imbroglio, è una falsità! È un po' difficile continuare...

PRESIDENTE. Devo dire che sono accuse reciproche (Interruzione del deputato Boato).

RICCARDO MIGLIORI. Boato, io ho risposto al tuo intervento nei confronti del collega Giovanardi.

MARCO BOATO. Lo ha detto lui che è un imbroglio!

PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia!

MARCO BOATO. L'aveva detto lui che è un imbroglio!

RICCARDO MIGLIORI. Noi voteremo a favore dell'emendamento in esame. Se i colleghi della maggioranza sono d'accordo sul principio di sussidiarietà, potrebbero presentare subemendamenti a questo emendamento presentato dalla Casa delle libertà. La realtà mi sembra diversa e il voto contrario della maggioranza sull'emendamento in esame lo conferma (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Vito. Ne ha facoltà.

ELIO VITO. Presidente, colleghi, ho chiesto la parola per rilevare, come hanno già fatto i colleghi che mi hanno preceduto, che l'emendamento 2.65 dei presidenti di gruppo della Casa delle libertà è nella sua formulazione classica - oltre ad essere il primo dei cinque emendamenti ai quali abbiamo attribuito un valore discriminante per giudicare il testo di riforma che stiamo approvando - il testo che si propone per introdurre nel nostro paese la sussidiarietà istituzionale e la sussidiarietà sociale.

Non è solo una questione di collocazione negli articoli della Costituzione ma è anche una questione, onorevole Boato, di non scambiare le mele per le pere o, meglio, di non scambiare la cultura liberale con la cultura statalista! L'emendamento Boato 6.22, che si vuole spacciare come un testo sulla sussidiarietà, è una delle più ambigue ma caratteristiche riproposizioni della cultura statalista! Quel testo prevede infatti che lo Stato, le regioni, le province, le città metropolitane e i comuni favoriscano l'iniziativa privata, che ha carattere di interesse generale. Si tratta quindi di una gentile concessione dello Stato, del pubblico, favorire l'iniziativa privata di interesse generale! È lodevole questo «favorire», ma non ha nulla a che vedere con il concetto di sussidiarietà. La nostra concezione dello Stato, la concezione liberale dello Stato come pure quella cattolica, è quella in base alla quale viene comunque riconosciuta in via principale soprattutto ai privati e alla società civile l'iniziativa di regolare i rapporti sociali e nella quale lo Stato, attraverso i suoi enti territoriali (comuni, province e regioni), interviene solo laddove tale intervento sia più efficace di quello dei privati, solo laddove l'intervento pubblico sia più efficace di quello che i cittadini possono ottenere tramite l'iniziativa dei privati, tramite i rapporti che si regolano all'interno della società civile.

Questo è il concetto della società liberale e questo è il concetto della sussidiarietà. Questo è quello che gli emendamenti degli onorevoli Pisanu, Selva, Follini, Pagliarini propongono all'articolo 2 e, come vedremo poi, anche all'articolo 6.

La maggioranza dovrebbe avere il coraggio di difendere coerentemente le caratteristiche della propria cultura statalista, ma quello che è assurdo è che, mentre noi difendiamo i principi liberali, la maggioranza ha una cultura statalista che si vergogna di rappresentare e quindi presenta un emendamento che non ha nulla a che vedere con la sussidiarietà affermando di inserire il principio della sussidiarietà all'articolo 6. Fa una riforma che non ha nulla a che vedere con il federalismo e con la devolution, ma afferma di realizzare il federalismo.

Abbiate almeno l'onestà che hanno i colleghi di Rifondazione comunista che affermano di essere favorevoli ad una cultura statalista, contrari al principio di sussidiarietà, contrari alla concezione liberale dello Stato, contrari al riconoscimento del primato dell'iniziativa dei cittadini e della società civile! Ditelo! Magari prendete anche più voti! Magari prendete quei voti che a sinistra state perdendo.

MARCO BOATO. Questo è falso però!

RICCARDO MIGLIORI. È tutto falso? Tutto quello che si dice è falso?

ELIO VITO. Questo modo di scimmiottare, di stravolgere, di strumentalizzare e di falsificare i nostri temi e la nostra cultura e avere la presunzione di affermare di aver realizzato il federalismo e la sussidiarietà è quanto di più arrogante (e anche controproducente) possiate fare.

Questo è l'emendamento sulla sussidiarietà che presentiamo all'articolo 2, che abbiamo ripresentato all'articolo 6 per non favorire questioni di lana caprina di chi avrebbe potuto dire di essere favorevole, ma all'articolo 6. Questo è il principio della sussidiarietà: il primato dell'iniziativa privata; il primato dell'iniziativa della società civile. Questo è l'emendamento.

Quei colleghi popolari (se esistono ancora, battessero un colpo) che si riconoscono in questi principi votino a favore di questo emendamento, ma non provate a spacciare per sussidiarietà e per dottrina liberale dello Stato qualcosa che è antitetico a questo, cioè la gentile concessione dello Stato di favorire un tipo di iniziativa privata che ha le caratteristiche di interesse generale. È una azione disonesta e becera e non ha nulla a che vedere con la cultura liberale, con il principio di sussidiarietà.

MARCO BOATO. È falso!

GIOVANNI CREMA. Grillo parlante!

ELIO VITO. Difendete almeno le vostre idee e non provate a scimmiottare le nostre, avendo una cultura e una pratica politica che ancora oggi sono mille miglia lontane dalle nostre (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale e della Lega nord Padania).

MARCO BOATO. È falso.

GIOVANNI CREMA. Grillo parlante! «Quaquaraquà!»

ELIO VITO. Certo è che la bocciatura di questo emendamento è il primo macigno che la sinistra frappone alla realizzazione di questa riforma.

MARCO BOATO. È falso.

GIOVANNI CREMA. Pagato a ore!

ELIO VITO. Abbiamo il dovere di dire questo. Il principio di sussidiarietà è forse il più rilevante, ma sicuramente è uno dei cinque principi e dei cinque emendamenti sul quale è stato impossibile il confronto di merito ...

GIOVANNI CREMA. Respira!

ELIO VITO. ... e l'eventuale bocciatura di questo emendamento all'articolo 2 e all'articolo 6 è l'inizio della preclusione del nostro voto a questa riforma.

GIOVANNI CREMA. Trombetta!

ELIO VITO. Infatti questa è la conferma che non si tratta di una riforma che ha le caratteristiche ...

PRESIDENTE. Onorevole Vito, deve concludere.

ELIO VITO. ... di riforma in senso federale e liberale dello Stato (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale e della Lega nord Padania).

MARCO BOATO. È un comizio falso.

VINCENZO CERULLI IRELLI, Relatore per la maggioranza per i profili inerenti agli enti locali e ai loro rapporti con lo Stato e con le regioni. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

VINCENZO CERULLI IRELLI, Relatore per la maggioranza per i profili inerenti agli enti locali e ai loro rapporti con lo Stato e con le regioni. Signor Presidente, innanzitutto quanto a cultura liberale non accettiamo le lezioni dell'onorevole collega Vito (Applausi dei deputati dei gruppi dei Popolari e democratici-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo) per il quale naturalmente abbiamo la massima considerazione, come per tutti i colleghi, ma non accettiamo lezioni. Dico questo per essere chiari.

Come relatore devo un chiarimento ovvio, ma qui anche le ovvietà devono essere ripetute qualche volta. La sussidiarietà che era nel testo rimane, solo che l'abbiamo spostata all'articolo 118 per l'ovvia ragione che l'amministrazione è disciplinata all'articolo 118 e qui si tratta di amministrazione.

Quanto alla cosiddetta sussidiarietà sociale, la Commissione ha ritenuto, come poi sarà spiegato al momento giusto, di accogliere un emendamento dell'onorevole Boato che è sembrato più equilibrato di tutti. Il principio contenuto è in larga misura derivante dagli incontri che abbiamo avuto con il mondo dell'associazionismo, primo tra tutti quello con la compagnia delle opere e che è sembrato rispettare più degli altri i principi dell'articolo 2 della Costituzione. In ogni modo, su questo, al momento opportuno, saranno dati ai colleghi tutti i chiarimenti.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.

GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la discussione che l'Assemblea ha cominciato ieri e che oggi prosegue offre, a mio avviso, una conferma di un'esperienza che abbiamo avuto in passato: le riforme costituzionali richiedono una maggioranza più ampia di quella di Governo. D'altra parte, questa fu l'impostazione che, come maggioranza di centrosinistra, demmo all'inizio della legislatura ed in base alla quale nacque la Commissione bicamerale presieduta dall'onorevole D'Alema, che ha aperto il tema delle riforme costituzionali e l'ha portato avanti in un certo cammino.

Molto francamente, devo dire che mi sembra un'impresa non solo difficile, ma anche molto rischiosa quella di modificare la Costituzione a colpi di maggioranza a pochi mesi dalle elezioni. Credo che questo Parlamento abbia materie molto importanti su cui deliberare nei pochi mesi che ci separano dalla fine della legislatura, come quella economica e finanziaria, ma anche, se è in grado, la riforma elettorale. Pensare che si possa utilmente e positivamente mettere mano alle riforme costituzionali a sei mesi dalle elezioni è, invece, un errore che mi auguro la maggioranza di questo Parlamento voglia abbandonare.

Per questo atteggiamento, valuterò i singoli aspetti ed i singoli emendamenti della proposta di legge costituzionale in esame in totale libertà e, nel complesso, con un giudizio di distacco, nel senso che non mi sento di votare a favore di questa riforma (mi posso astenere). Nel merito, dunque, giudicherò i singoli emendamenti: per quanto riguarda l'emendamento in esame, debbo dire che esso, in linea di principio, non può non essere approvato

nell'ambito di una riforma costituzionale che voglia prevedere il federalismo, cosa che non sono del tutto convinto sia utile introdurre nella nostra vita nazionale. Se, però, lo si vuole introdurre, se questa è l'opinione della maggioranza come dell'opposizione, allora il principio scritto nell'emendamento Pisanu 2.65 non può che essere votato, in questa forma, o in altra forma che dica, però, esattamente le stesse cose.

Se, come sostengono gli onorevoli Boato e Cerulli Irelli, lo stesso principio è contenuto più avanti, in un altro emendamento, mi pare molto difficile non votare a favore (come io farò) di questo emendamento, dal momento che si tratta di un principio. Per tale ragione, mi appresto a votare a favore dell'emendamento in esame.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Calderisi, al quale ricordo che ha tre minuti a disposizione. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE CALDERISI. Signor Presidente, al di là delle definizioni, o se si vuole delle accuse reciproche, vorrei semplicemente leggere i due testi per un confronto, in modo che l'Assemblea sappia esattamente di cosa si tratta e qual è il problema che si pone. Il testo dell'emendamento Pisanu 2.65 così recita: «I comuni, le province, le regioni e lo Stato esercitano solo le attività che non possono essere svolte in modo più efficace dall'iniziativa autonoma dei privati...» Il testo dell'emendamento Boato 6.22 recita: «Stato, regioni, province, città metropolitane e comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale...»

Vi è, dunque, un riconoscimento che i privati possono svolgere attività di interesse generale, che però è stato già riconosciuto tantissime altre volte nelle leggi ordinarie, anche se si prevede ora di inserirlo in Costituzione; è, però, una cosa totalmente diversa da quello che viene definito principio di sussidiarietà, rispetto al quale, evidentemente, si pone il problema del limite all'intervento dei pubblici poteri, della mano pubblica. Stabilendo questo limite, si tende a configurare uno spazio di iniziativa dei privati e della società civile sul quale la mano pubblica non può intervenire ed al quale non può neanche sovrapporsi.

Questa è la differenza e, ripeto, si tratta di due aspetti molto diversi. Si può non essere d'accordo sul primo, ma allora si sappia che c'è un dissenso di merito e non si contrabbandi una cosa per l'altra. Sono due concetti molto differenti e il confronto è in questi termini.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pagliarini. Ne ha facoltà.

GIANCARLO PAGLIARINI. Signor Presidente, colleghi della sinistra popolare, vi prego di ascoltarmi perché è importante. Il sottotitolo dell'emendamento in esame potrebbe essere «emendamento per dare efficienza al sistema paese». Voi sapete che, oggi, lo Stato rende servizi ai cittadini direttamente o indirettamente e lo fa in regime di monopolio; è il contrario dell'efficienza perché il risultato concreto si vede: nella classifica dei paesi membri dell'Unione europea, per quanto riguarda l'incremento del PIL, l'Italia è costantemente l'ultima. L'anno scorso, il Portogallo che ha registrato un aumento del PIL doppio rispetto a noi era al penultimo posto. Colleghi, l'aumento del PIL e della ricchezza non ci serve per comprare le scarpe inglesi o i maglioni di cashmere, la ricchezza serve per far funzionare gli ospedali, le scuole, per realizzare le infrastrutture, per aumentare le pensioni minime, per ridurre le tasse. Pertanto, è necessario eliminare il monopolio dello Stato per rendere i servizi ai cittadini e lasciare l'iniziativa ai privati, ovviamente sotto il controllo degli amministratori pubblici perché sono loro che pagano. Se l'emendamento in esame verrà approvato, si darà una grande iniezione di efficienza al sistema paese riuscendo a far girare il volano dell'economia, aumentando le pensioni minime, realizzando infrastrutture e facendo funzionare gli ospedali. È davvero importante, quindi, che tale principio venga inserito nella Costituzione. Il collega Boato ha fatto riferimento all'articolo 6 dove non c'è niente di tutto questo, si tratta davvero di far capire che il nostro vuole diventare un paese moderno e che non dobbiamo più essere legati al monopolio statale nel rendere i servizi ai cittadini; facciamoli rendere dai privati se sono più efficienti, ovviamente sotto il controllo del pubblico.

Mi rivolgo ai colleghi della maggioranza, ai colleghi di sinistra perché pensino seriamente all'importanza dell'emendamento in esame, che vale per tutto il sistema paese e non si riduce ad una questione di destra o di sinistra perché si tratta, ripeto, di rendere moderno il nostro paese (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Gasparri, al quale ricordo che ha a disposizione tre minuti di tempo. Ne ha facoltà. Colleghi, darei la parola ai relatori e al presidente della Commissione alla fine, come è d'uso in questi casi.

Prego, onorevole Gasparri.

MAURIZIO GASPARRI. Signor Presidente, come è già stato detto da alcuni colleghi della Casa delle libertà, questo punto fu fondamentale anche nel corso del dibattito sulla Commissione bicamerale, con l'emergere di una divergenza di opinioni. Quest'ultima non è naufragata solo per talune ragioni, ma per una serie di motivi che, puntualmente, si ripropongono. Il concetto di sussidiarietà così come voi volete ridurlo, liofilizzarlo non è accettabile. Desidero sottolineare che la destra, che certamente ha a cuore le funzioni dello Stato, in particolare per alcuni aspetti dell'azione dell'attività pubblica nel campo dell'economia e dell'istruzione, ritiene che siano maturi i tempi per affermare con chiarezza il principio di sussidiarietà anche a livello costituzionale. Non si tratta, come qualcuno afferma strumentalmente da sinistra, di dar luogo ad una forma di privatizzazione selvaggia della sanità, dell'istruzione o quant'altro, ma di mettere finalmente a confronto e in competizione sistemi diversi ed anche di far arretrare le sfere pubbliche laddove hanno fallito ampiamente. Penso, ad esempio, alle comunità terapeutiche che lottano contro la droga; secondo voi in quest'aula hanno ottenuto risultati migliori i SERT, strutture pubbliche fallimentari, o il volontariato laico o cattolico che ha fornito un servizio alle famiglie, che ha fornito una risposta? Giorni fa il Presidente della Repubblica Ciampi, recandosi in visita a San Patrignano, ha reso omaggio a queste realtà di volontariato sociale che sono rilevanti e significative e che, nel concorso con le strutture pubbliche, sotto i controlli necessari, possono dare ai cittadini le risposte che spesso lo Stato o gli ambiti pubblici non forniscono. Ho voluto fare un esempio per dire che si tratta di un campo importante e attuale e risparmio considerazioni sul terzo settore, sul non-profit ed anche sulla libertà della scuola e della cultura. In questi giorni i nostri studenti di Azione studentesca hanno rilanciato una battaglia, che anche in Parlamento il collega Malgieri ed altri hanno condotto, sulla faziosità di una scuola pubblica nella quale i libri di testo cancellano pagine di verità e di storia. Noi vogliamo la libertà della cultura e della scuola piuttosto che l'indottrinamento di regime, che un monopolio con certo tipo di indirizzo garantisce.

Voi per privatizzazione intendete un'altra cosa: voi intendete i Colaninno che, con la vostra protezione, accumulano soldi e licenziano i lavoratori. Questa è la politica sociale della sinistra e delle privatizzazioni dalemiane (Applausi dei deputati dei gruppi di Alleanza nazionale e di Forza Italia). Per sussidiarietà voi intendete la lega delle cooperative, che vi ha dato tangenti per decenni e che oggi continuate a proteggere. Noi vogliamo invece un privato sociale, trasparente e libero e su questo punto vi sfidiamo, perché sarà uno degli aspetti che sveleranno che state facendo una truffa e non una vera riforma, che abbini i principi liberali a una modernità del sociale che non è il vostro protezionismo per gli amici dei potenti.

MARCO BOATO. La truffa è il tuo intervento!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Giovine, al quale ricordo che ha a disposizione tre minuti di tempo. Ne ha facoltà.

UMBERTO GIOVINE. Signor Presidente, il mio intervento è in aggiunta e non certamente in contrasto con quello dei colleghi della Casa delle libertà: semmai ritengo che questo emendamento avrebbe dovuto essere ancora più energico.

Se intervengo dopo le valide argomentazioni dei colleghi della Casa delle libertà, ciò è in risposta alle accuse che oggi, come ieri, il collega Boato ha rivolto alla Casa delle libertà, giocando su un evidente equivoco, sul quale però, postulando la buona fede, vorrei attirare la sua attenzione e quella dei colleghi.

Nella prima parte dell'emendamento Pisanu 2.65 è scritto: «I Comuni, le Province, le Regioni e lo Stato esercitano solo le attività che non possono essere svolte in modo più efficace dall'iniziativa autonoma dei privati». Collega Boato, questo è il principio di sussidiarietà; quello che segue è la conseguenza di ciò. Non c'è traccia di questo principio in nessun pronunciamento o documento della maggioranza. Chiariamo questo punto una volta per tutte, perché la maggioranza è politicamente e, direi, geneticamente contraria a qualsiasi riconoscimento della responsabilità e dell'iniziativa individuali dei cittadini, dei privati, delle comunità e delle collettività (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia). Quindi, smettiamola una volta per tutte!

MARCO BOATO. È falso!

UMBERTO GIOVINE. Questo emendamento, di conseguenza, introduce quella che nel paese in cui è stato inventato il principio di sussidiarietà, in Francia, viene chiamata la sussidiarietà attiva, quella che più conta, giustapposta a quella passiva, puramente gerarchica. È un peccato dover parlare in termini così teorici di un argomento che riguarda così da vicino la vita di tutti i cittadini. Qui si parla di cose pratiche: significa che non si può intervenire nella vita dei cittadini e delle comunità se non a condizione che questi cittadini e queste comunità decidano di non svolgere una certa attività per conto proprio.

LUCIO COLLETTI. Bravo!

UMBERTO GIOVINE. Questo e non altro è il principio della sussidiarietà attiva, l'unico che ci interessa, l'unico che può essere applicato, visto che qui ormai di federalismo non si parla più.

Sono d'accordo con l'interpretazione data ieri dal Presidente del brocardo nomina sunt consequentia rerum. Smettiamola di usare nomi, compresa la devolution, che pure è utile, se non si è chiarito cosa c'è dietro, cosa denotano questi nomi. Smettiamola - lo dico alla maggioranza - di riempirci la bocca con il principio di sussidiarietà, che peraltro, sia pure nella forma passiva, quella che a noi interessa meno, la maggioranza riconosce soltanto con il termine «favorire», cioè con un incremento, con una possibilità.

A noi non interessa «favorire», ma soltanto riconoscere certi principi. Riconoscerli in modo inequivocabile e irrevocabile, perché, colleghi, quello che differenzia le chiacchiere da ciò che dovrebbe essere il federalismo è l'irrevocabilità: di principi riconosciuti e poi ritirati da questa Camera o dallo Stato ne abbiamo a centinaia e ne abbiamo anche abbastanza di parlarne. Ripeto: inequivocabilità e soprattutto irrevocabilità. Noi non appoggeremo altra linea; invece, appoggiamo, sosteniamo e incrementiamo, ogni volta che è possibile, il principio vero di sussidiarietà che riporta ai cittadini quello

che ai cittadini compete (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Veltri, al quale ricordo che ha a disposizione tre minuti di tempo. Ne ha facoltà.

ELIO VELTRI. Signor Presidente, certo il modo in cui è stato esposto questo principio è affascinante ed allora io ho pensato subito ad alcune cose concrete: ad esempio, a questo punto vi sarà chi dimostrerà che la scuola e l'università possono essere gestite interamente dai privati. La tutela della salute, pure; la sanità e le pensioni, pure! All'onorevole Vito vorrei però rivolgere una domanda facendo riferimento a due vicende clamorose verificatesi ultimamente. Da una parte - è stato già ricordato dall'onorevole Gasparri - c'è il caso Telecom-SEAT-TIN.it, che è un pessimo esempio di violazione di legge in questo paese ma dall'altra parte c'è tutta l'operazione svolta dalla Compagnia delle opere. Leggo sui giornali che ormai, se vuoi un posto di medico o di infermiere, devi presentarti al presidente della giunta regionale lombarda, altrimenti non lo puoi avere! Questo è il potere senza regole (Commenti dei deputati del gruppo di Forza Italia)!

Infine, cosa facciamo per il settore dell'informazione? L'onorevole Berlusconi certamente ci dimostrerà che la cosa migliore è che Mediaset - che è la sua azienda - si compri anche la RAI perché saprà gestirla meglio rispetto al pubblico e quindi tutta l'informazione farà questa fine. È questa l'intenzione che si cela dietro operazioni di questo tipo? Non sono deciso a votare questo emendamento perché nutro tutti questi timori. Peraltro ho letto oggi sui giornali che l'onorevole Berlusconi - il quale afferma di aver già vinto le elezioni - ha detto: io non vendo, io mi tengo tutto e (aggiungo io) voglio anche il resto. Questa non è sussidiarietà, ma feudalesimo economico, sociale e politico (Applausi dei deputati del gruppo dei Popolari e democratici-l'Ulivo - Commenti dei deputati del gruppo di Forza Italia)!

ANTONIO SODA, Relatore per la maggioranza per i profili inerenti all'ordinamento regionale. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONIO SODA, Relatore per la maggioranza per i profili inerenti all'ordinamento regionale. Signor Presidente, molte osservazioni e riflessioni sono state già fatte sulle ragioni per cui la Commissione ha espresso parere favorevole su un emendamento riferito all'articolo 118 della Costituzione. Qui ho sentito tanti insulti: è un imbroglio, è una truffa, è una turlupinatura. Il testo sul quale la Commissione ha espresso parere favorevole, però, muove da una concezione della sussidiarietà come strumento di rinnovamento del modello del welfare in senso conforme alla tradizione europea ed italiana. Tutta la prima parte della Costituzione è attraversata dal principio di sussidiarietà, esso è già scolpito implicitamente nell'articolo 2 della Costituzione.

Su questo terreno molte organizzazioni, molte associazioni di cittadini - dal terzo settore alla Compagnia delle opere, dalle ACLI all'ARCI e a tante altre libere e spontanee associazioni - hanno raccolto nel paese un appello ed hanno formulato al Parlamento l'invito a provvedere all'introduzione ed all'esplicitazione di questo principio di sussidiarietà già contenuto nella prima parte della Costituzione e anche in quella ordinamentale conservando in questi termini, in questa visione, in questa concezione, la cultura e la tradizione europea. Questi milioni di cittadini si sono appellati al Parlamento affinché esso scriva nella Carta costituzionale che la Repubblica, e, pertanto, tutti i suoi organi (lo Stato, i comuni, le province, le regioni e, se saranno istituite, le città metropolitane), favorisce le libere iniziative dei privati volte all'interesse generale.

Invito l'onorevole Buttiglione, che è molto vicino alla Compagnia delle opere, a rileggersi l'appello pervenuto da quel milione di cittadini insultati da voi in quest'aula: li avete definiti imbroglioni e

truffatori! Vi siete rivolti così a milioni di cittadini che hanno chiesto che nella Costituzione si scrivesse proprio quel testo sul quale la Commissione ha espresso parere favorevole.

ELIO VITO. Parla da relatore!

ANTONIO SODA, Relatore per la maggioranza per i profili inerenti all'ordinamento regionale. Ne risponderete ai cittadini, signor Vito, signor Gasparri, signor Buttiglione, signor Giovine! Non accettiamo un concetto di sussidiarietà che possa far tornare indietro la storia...

ELIO VITO. Sta intervenendo come relatore o a che titolo?

ANTONIO SODA, Relatore per la maggioranza per i profili inerenti all'ordinamento regionale. ...e che possa far tornare indietro dalla tradizione europea. Ne risponderete ai cittadini!

NICOLA BONO. Tu sei relatore! Non puoi fare questo! Sei un provocatore!

PRESIDENTE. Onorevole Bono, la richiamo all'ordine.

NICOLA BONO. Tu sei relatore! Non puoi fare questo! Ti alzi e te ne vai là!

PRESIDENTE. Onorevole Bono, la richiamo all'ordine per la seconda volta.

ANTONIO SODA, Relatore per la maggioranza per i profili inerenti all'ordinamento regionale. Questa è la ragione per la quale la Commissione qui da me rappresentata ha espresso parere contrario sul testo da voi proposto e parere favorevole al testo sull'articolo 118 della Costituzione.

Signor Presidente, voglio aggiungere che non accettiamo lezioni da chi fomenta l'odio e il razzismo (Commenti dei deputati della Lega nord Padania).

Questa mattina, nel Comitato dei nove della Commissione affari costituzionali...

ROSA JERVOLINO RUSSO, Presidente della I Commissione. Onorevole Soda, per favore, non suscitare polemiche.

ANTONIO SODA, Relatore per la maggioranza per i profili inerenti all'ordinamento regionale. Non creo polemiche, ma è bene che il paese ed il Parlamento sappiano che, mentre discutevamo un emendamento, il collega Fontan, che vuol darci lezioni (e mi ha invocato varie volte) di sussidiarietà e federalismo, ha auspicato che, nella Costituzione, lo Stato, nel garantire i livelli fondamentali dei diritti, garantisca anche che vicino casa sua non ci siano terroni (Commenti dei deputati della Lega nord Padania)!

GIACOMO CHIAPPORI. Bravo Soda! Bravo Soda!

ANTONIO SODA, Relatore per la maggioranza per i profili inerenti all'ordinamento regionale. Questa è la vostra maggioranza e di questo dovrete rispondere al paese! Votiamo, dunque, contro il vostro testo e sosterremo il nostro, che è frutto di un processo costruttivo nel paese (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, dei Popolari e democratici-l'Ulivo, Comunista, dei Democratici-l'Ulivo, misto-Rifondazione comunista-progressisti e misto-Socialisti democratici italiani).

GIACOMO CHIAPPORI. Avete paura! Avete paura!

PRESIDENTE. Onorevole Chiappori, la richiamo all'ordine.

GIACOMO CHIAPPORI. Hanno paura!

PRESIDENTE. Onorevole Chiappori, la richiamo all'ordine per la seconda volta (Proteste del deputato Chiappori). La smetta, onorevole Chiappori.

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Fongaro, al quale ricordo che ha 2 minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.

CARLO FONGARO. Signor Presidente, il Presidente della Repubblica Ciampi, interpellato su cosa ne pensasse in merito al referendum della regione Lombardia, ha affermato che sarebbe importante che la riforma costituzionale avvenisse in Parlamento, facendo intendere che per tale riforma è necessario un dibattito ed un confronto tra l'opposizione e la maggioranza. Ebbene, dopo aver visto quel che è accaduto ieri in tutte le votazioni, è evidente che qui non vi è alcuna volontà di fare un confronto: la maggioranza intende portare avanti la riforma costituzionale solamente a colpi di maggioranza!

Che senso hanno, dunque, le critiche che l'opposizione dell'Ulivo nella regione Veneto ha rivolto alla maggioranza della Casa delle libertà, affermando che il testo del referendum che dovrà svolgersi in Veneto, approvato nella commissione affari costituzionali della regione Veneto...

GIOVANNI CREMA. Non si chiama commissione affari costituzionali, ma commissione affari istituzionali!

CARLO FONGARO. ...è solamente della maggioranza della Casa delle libertà, senza alcun confronto con l'opposizione? Infatti, quel che accade qui è ben più grave: mentre la maggioranza nel consiglio regionale del Veneto è anche la maggioranza nella regione, la maggioranza che qui vuole imporre la sua riforma costituzionale non è maggioranza nel paese. Come si fa a bocciare un emendamento in cui si afferma che comuni, province e regioni...

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Fongaro.

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Cè, al quale ricordo che ha 2 minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO CÈ. Due minuti?

PRESIDENTE. Vi sono molti iscritti a parlare, quindi, evidentemente, debbo ridurre i tempi.

ALESSANDRO CÈ. Quindi, riduce proprio i minuti del mio intervento, come al solito. Grazie, signor Presidente.

PRESIDENTE. No, è stato così anche per l'onorevole Fongaro. Prego, onorevole Cè.

ALESSANDRO CÈ. L'onorevole Soda deve smetterla con le provocazioni. In quest'aula Fontan è intervenuto dicendo altre cose...

ANTONIO SODA, Relatore per la maggioranza per i profili inerenti all'ordinamento regionale. Fontan mi dà del terrone (Commenti dei deputati del gruppo della Lega nord Padania)!

STEFANO STEFANI. Stai zitto!

PRESIDENTE. Onorevole Soda, la prego!

ANTONIO SODA, Relatore per la maggioranza per i profili inerenti all'ordinamento regionale. Io provoco, Presidente?

ALESSANDRO CÈ. Tra l'altro, Presidente, ormai non funziona più. I cittadini hanno capito chiaramente come funziona questo teatrino: non inganni più nessuno, onorevole Soda. Della tua caratura e delle tue convinzioni non avevamo bisogno di conferma. Sappiamo bene qual è l'idea centralista che tu e tutta la sinistra avete della concezione dello Stato (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania). Non abbiamo assolutamente bisogno di conferme. Eventualmente ci stupiamo di un'altra cosa, che i Popolari in quest'aula facciano scena muta. Ha parlato Cerulli Irelli, ma nel ruolo di relatore. Non abbiamo ancora sentito il presidente del gruppo dei Popolari esprimersi su questioni di questa rilevanza. La latitanza sui temi della scuola, che coinvolgono la sussidiarietà, la latitanza di questo principio fondamentale, che va posto alla base di una riforma costituzionale: su questo i

Popolari non stanno dicendo una parola (Proteste dei deputati del gruppo dei Popolari e democratici-l'Ulivo).

Sulla falsità delle cose dette sia da Soda sia da Boato, per i quali l'emendamento riferito all'articolo 6 del testo unificato (avente ad oggetto l'articolo 118 della Costituzione) sarebbe equivalente, altri si sono già espressi. Vorrei solo ribadire chiaramente che la differenza sostanziale è che in questo emendamento la titolarità delle funzioni...

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Cè.

ALESSANDRO CÈ. Mi lasci finire...

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Covre. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE COVRE. Signor Presidente, in premessa vorrei tranquillizzare il relatore, onorevole Soda. Non intendo eccitarlo oltremodo: il maestro stia calmo e tranquillo, anche perché mi sembra che come relatore dovrebbe almeno dare l'esempio.

L'emendamento in esame, dal mio punto di vista, rappresenta veramente una buona nuova, soprattutto là dove intende sancire l'importanza dell'iniziativa autonoma dei privati. Onorevoli colleghi, questo paese ha partorito nel secolo scorso il fascismo ed è stato quello che ha avuto il più forte comunismo nelle nazioni occidentali. Fare oggi una scelta in questa direzione, sancire nella Costituzione l'importanza dell'iniziativa privata, è veramente un'opportunità che non possiamo lasciarci sfuggire. Con questa scelta dobbiamo liberarci delle scorie dei fascismi e dei comunismi, se abbiamo il coraggio di farlo. Potremmo così entrare di diritto nel novero dei paesi occidentali, che hanno scelto da decenni il vero liberismo. La mia riflessione, da questo punto di vista, è che è importante accogliere l'emendamento in esame.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Guarino. Ne ha facoltà.

ANDREA GUARINO. Signor Presidente, il principio di sussidiarietà si riduce ad una semplice proposizione: decidere se quello che è il bene della nazione, il bene di ogni singolo cittadino - che è l'obiettivo che tutti cercano - lo si debba lasciar individuare dai cittadini stessi o se debba essere un'autorità superiore a decidere per loro cosa sia bene e cosa no. Il resto sono solo parole, perché qualunque persona intelligente si rende conto che il principio di sussidiarietà non impedisce assolutamente allo Stato od alle pubbliche autorità di intervenire ogni volta che sia necessario. Semplicemente riserva l'intervento dello Stato al sostegno, all'incoraggiamento, al rafforzamento di ciò che i cittadini stessi vogliono sia fatto; tutti i cittadini, senza distinzione di origine né di collocazione sociale.

Si tratta di un principio antico che nella tradizione politica italiana ha radici salde, profonde e nobili. Amici Popolari, il principio di sussidiarietà si traduce in una frase che voi tutti conoscete: «solo l'autorità che indispensabile, tutta l'autorità che è possibile». Sono parole di don Sturzo e di De Gasperi. Non è questione di destra o di sinistra. Non mi sono mai vergognato né pentito quando ho proposto il principio di sussidiarietà sedendo con convinzione nei banchi della maggioranza. Non mi vergogno e non mi pento di riproporlo e di rafforzarlo adesso che ho una diversa collocazione politica: è questione di intimo convincimento circa quello che deve essere il ruolo dello Stato. È un convincimento che affonda le proprie radici nel cattolicesimo democratico, nel credo della libertà e nella fiducia dei cittadini non può non condividere (Applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Bono. Ne ha facoltà.

Le ricordo che ha due minuti a sua disposizione.

NICOLA BONO. Signor Presidente, sono sconcertato per il modo in cui l'onorevole Soda interpreta il suo ruolo di relatore di questo provvedimento. In genere, il relatore non può svolgere interventi di parte e, meno che mai, provocatori o riferire in aula, ad esempio, una frase detta in seno al Comitato dei nove, quindi, in un clima diverso: ciò non contribuisce a creare un clima sereno.

L'onorevole Soda non è un deputato particolarmente noto per la provocazione scientifica e, quindi, ci viene il dubbio che egli sia diventato l'esponente di punta di una maggioranza che vuole a tutti i costi causare l'incidente in aula, rompere il rapporto di fair play con l'opposizione e determinare, su questo terreno, insanabili contrasti sui quali speculare successivamente.

Concludo rilevando che il Presidente non può solamente richiamare i deputati quando reagiscono alle provocazioni (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania): egli può anche ricordare ai relatori di svolgere il proprio ruolo secondo quanto impone il nostro regolamento, vale a dire in maniera equilibrata, corretta e rappresentando tutta la Commissione, non solo una parte di essa o, come nel caso cui abbiamo assistito esterrefatti questa mattina, un partito.

PRESIDENTE. Onorevole Bono, il relatore è intervenuto per difendere il testo elaborato dalla Commissione.

ELIO VITO. È intervenuto per offendere i colleghi!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giordano. Ne ha facoltà.

Onorevole Giordano, le ricordo che ha due minuti a sua disposizione.

FRANCESCO GIORDANO. Signor Presidente, voteremo con determinazione contro l'emendamento Pisanu 2.65, perché in realtà non stiamo gareggiando su principi liberali, onorevole Cerulli Irelli. La realtà è che stiamo discutendo principi liberisti.

Voteremo contro tale emendamento, ma, in realtà, vorremmo anche discutere sul perché questa maggioranza voglia introdurre un principio di segno diverso nella Costituzione. Da una parte vi è una destra che vuole sostituire integralmente l'iniziativa pubblica con quella privata e dall'altra ci siete voi che intendete introdurre, usando l'espressione «favorire l'iniziativa privata», un elemento, a nostro modo di vedere, significativo dello scopo che intendete perseguire.

La nostra Costituzione non nega l'iniziativa privata: voi state dicendo un'altra cosa, vale a dire che, dopo il fallimento delle gestioni pubbliche - imputabili a nomi e cognomi ben precisi -, intendete abbandonare il principio di uguaglianza sostanziale sancito dalla Costituzione. Infatti, in questa maniera alterate e ridimensionate l'articolo 3 della Costituzione. Nel momento in cui si favorisce l'iniziativa privata e il profitto entra in settori quali l'assistenza, la formazione o la sanità, è del tutto evidente che vengono alterate le condizioni di uguaglianza sociale e di uguaglianza sostanziale: la vostra uguaglianza, a questo punto, sarà solo formale e, mi permetto di dire, sarà un'uguaglianza falsa.

Per questo motivo ribadisco che intendiamo rispettare quel principio della Costituzione e siamo contrari ad ogni suo stravolgimento (Applausi dei deputati del gruppo misto-Rifondazione comunista-progressisti).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cherchi. Ne ha facoltà.

SALVATORE CHERCHI. Signor Presidente, voteremo contro l'emendamento Pisanu 2.65, perché siamo contrari all'idea dello Stato minimo e a quella dello Stato residuale. Rappresenta una grossolana mistificazione affermare che quanto viene stabilito dalla riforma che stiamo discutendo sia contro l'iniziativa privata.

È falso rispetto alla lettera e allo spirito del testo ed è falso rispetto alla Costituzione materiale che è stata scritta in questi anni.

Il centrosinistra ha concretamente mostrato di saper affrontare riforme che ripropongono l'idea di un pubblico regolatore, di un pubblico che arretra rispetto alla gestione e che lascia il più ampio spazio possibile all'iniziativa privata in tutti i campi delle attività economiche e sociali.

Naturalmente non rinunciamo all'idea di un pubblico che assolve le sue funzioni e che tutela i diritti dei cittadini, ma ripeto: è storicamente falso cercare di accreditare l'idea di riforme contro l'iniziativa privata.

In questi anni sono state realizzate le più grandi riforme sulla liberalizzazione, e le ha fatte il centrosinistra. Quando altri erano al potere ci si pronunciò perfino contro la legislazione antitrust. In questi anni sono state realizzate le più imponenti privatizzazioni dell'Occidente. La privatizzazione fatta ammonta ad oltre 120 mila miliardi! Ciò fa parte della Costituzione materiale che è stata scritta in questi anni.

Piuttosto, voi del centrodestra, liberalizzatori a parole ma statalisti nei fatti, in Sicilia volete mantenere regionalizzate le aziende del vino (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

NICOLA BONO. Non è vero!

SALVATORE CHERCHI. È così! A Roma avete promosso il referendum contro la privatizzazione dell'azienda del latte (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

BEPPE PISANU. Contro la svendita!

PRESIDENTE. Presidente Pisanu!

SALVATORE CHERCHI. Queste sono le cose accadute in questi anni, e bisogna ricordarle!

In realtà, lo spirito di questo emendamento è un altro e non è a favore dell'iniziativa economica privata; ripeto è un'altra cosa: c'è l'idea di uno Stato che abbandona i cittadini sul fronte del diritto allo studio, alla sanità, alla previdenza. Ripeto lo spirito che sottende a questo emendamento è tutta un'altra cosa!

Siamo contrari a tutto questo perché riteniamo che lo Stato debba tutelare i diritti fondamentali e abbiamo dimostrato concretamente di saper promuovere la più ampia iniziativa privata.

GIACOMO GARRA. Colaninno!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Luciano Dussin, al quale ricordo che ha due minuti a disposizione. Ne ha facoltà.

LUCIANO DUSSIN. Presidente, sull'importanza dell'iniziativa privata noi abbiamo già detto tutto anche se la sinistra in queste ore va avanti con delle strumentalizzazioni.

Vorrei invitare i colleghi a ritornare a stare con i piedi per terra e verificare l'attuale scenario politico. Intervengo soprattutto perché francamente mi sono stancato di sentire prediche che arrivano, ad esempio, dall'onorevole Veltri ma soprattutto dall'onorevole Soda, i quali si inventano di essere dei moralizzatori e addirittura si danno il titolo di riformatori soltanto perché hanno costruito una maggioranza imbrogliando i cittadini e recuperando i voti dei loro amici mastelliani che purtroppo siedono vicino al nostro settore (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania).

Ed allora voi dovete stare zitti perché siete membri di una maggioranza abusiva che non può imporre le riforme che la maggioranza del paese non vuole (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania). Francamente mi sono stancato di sentire i vostri suggerimenti o le vostre prediche perché voi siete degli abusivi e tra poco sarete anche sfrattati dai cittadini.

MARCO BOATO. È mai possibile dire che bisogna stare zitti? È un po' fascista questo metodo!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Savarese, al quale ricordo che ha due minuti a disposizione. Ne ha facoltà.

ENZO SAVARESE. Presidente, ho sentito provenire dai banchi dei DS una affermazione che francamente non saprei come qualificare e cioè che Alleanza nazionale ed il Polo sarebbero stati contrari alla privatizzazione della centrale del latte di Roma.

Qui ci vuole un po' di pudore! La sinistra è abituata a fare le privatizzazioni, dando agli amici le società a prezzi concordati. Alleanza nazionale ed il Polo hanno combattuto una battaglia perché anche a Roma non venisse fatta un'operazione in cui si sapeva già prima chi comprava e a quale prezzo, salvo poi rivendere dopo, con delle plusvalenze.

Noi vogliamo privatizzare garantendo la socialità; il che a voi sfugge perché vi interessa soltanto fare piaceri a quella banda di amici che prima stava a palazzo Chigi e che oggi non saprei dire dove si trovi.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Pisanu 2.65, non accettato dalla Commissione né dal Governo.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti e votanti 467

Maggioranza 234

Hanno votato 225

Hanno votato no 242).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Nardini 2.41, non accettato dalla Commissione né dal Governo.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 485

Votanti 481

Astenuti 4

Maggioranza 241

Hanno votato 226

Hanno votato no 255).

ELIO VITO. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ELIO VITO. Presidente, vorrei segnalare che l'emendamento Pisanu 2.65 è stato votato mentre decine di colleghi stavano entrando in aula. Vi erano state numerose dichiarazioni di voto e lei non ha ascoltato le nostre richieste di attendere un attimo. Quell'emendamento, che era probabilmente il più importante tra quelli presentati dalla Casa delle libertà, è stato respinto per sette, otto voti...

ROSANNA MORONI. Diciassette, non sette o otto!

EDUARDO BRUNO. State in aula!

ELIO VITO. ...un numero inferiore a quello dei deputati che ancora adesso stanno entrando in aula.

Presidente, la inviterei ad avere un po' di attenzione quando si votano emendamenti importanti e, più in generale, quando si vota, e a favorire l'ingresso in aula e la partecipazione al voto dei deputati.

GUSTAVO SELVA. Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GUSTAVO SELVA. Presidente, mi meraviglio anch'io del suo comportamento. È vero che lei adotta una velocità olimpionica: i colleghi stavano ancora entrando in aula e lei ha dichiarato chiusa la votazione. Mi rammarico di questo comportamento. PRESIDENTE. Onorevole Selva, mi permetta, se l'emendamento è importante, si sta in aula (Applausi)! Avevo detto a molti colleghi che me lo avevano chiesto che l'intervento dell'onorevole Savarese sarebbe stato l'ultimo.

Passiamo alla votazione del subemendamento Volontè 0.2.66.19.

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Teresio Delfino. Ne ha facoltà.

BEPPE PISANU. Avevo chiesto io la parola!

PRESIDENTE. Parlerà l'onorevole Delfino e successivamente le darò la parola. Prego, onorevole Delfino.

TERESIO DELFINO. Presidente, i subemendamenti che abbiamo presentato all'emendamento 2.66 della Commissione hanno per noi una valenza molto significativa e intendono riaffermare in questo dibattito sulla riforma federale alcuni principi che avevamo avuto modo di sottolineare anche in occasione del dibattito sul testo della bicamerale.

In primo luogo, con questi subemendamenti intendiamo ribadire il principio di sussidiarietà; in secondo luogo, vogliamo dare rilevanza costituzionale, come si dice chiaramente in questo subemendamento, a tutti gli enti territoriali; in terzo luogo, come diremo anche a proposito di altri subemendamenti relativi alle comunità montane, intendiamo sottolineare il principio di autonomia statutaria che vorremmo vedere riconosciuto a questi enti di rilevanza costituzionale, in particolare ai comuni, per esaltare le possibilità di autogoverno e di autorganizzazione delle comunità locali e di quelle intermedie.

Riteniamo che la promozione e il riconoscimento delle comunità locali intermedie e, in generale, degli enti locali territoriali corrisponda all'esigenza di favorire la costruzione dal basso di una comunità che può esprimere il meglio di sé, sia sotto il profilo istituzionale sia sotto quello sociale, soltanto se fondata su un principio di autorganizzazione e di autogoverno. Sono queste le motivazioni di fondo che sottendono a tutti i subemendamenti che abbiamo presentato all'emendamento 2.66 della Commissione.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori l'onorevole Pisanu. Ne ha facoltà.

BEPPE PISANU. Presidente, stavo sforzandomi di farle notare che, mentre il collega Vito le segnalava che diversi colleghi di questo schieramento non erano potuti rientrare prima del voto, anche colleghi della sinistra erano rimasti fuori.

EDUARDO BRUNO. Si sta in aula!

ELIO VITO. Eravamo qui!

FRANCESCO MARIA AMORUSO. Non può usare quest'aula come un carcere, eravamo usciti un minuto!

BEPPE PISANU. Sono entrati dopo la votazione. Perché vi irritate se vi si dice un dato di fatto? Non ce n'è bisogno! La votazione più delicata - almeno per quanto ci riguarda - di questo dibattito si è svolta con una decisione rapidissima da parte sua.

Un istante di attenzione avrebbe potuto far affluire in aula i colleghi che si trovavano fuori e, probabilmente, avrebbe anche determinato un esito diverso della votazione.

MARCO BOATO. Questo non è vero!

BEPPE PISANU. Non si tratta affatto di una questione irrilevante, ed intendiamo sottolinearlo, anche se capisco benissimo che lei affermi che chi ha interesse a seguire il dibattito e a votare deve stare in aula, come c'è stata la maggior parte dei colleghi che, infatti, ha votato.

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Pisanu.

 

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Jervolino Russo. Ne ha facoltà.

ROSA JERVOLINO RUSSO. Signor Presidente, per la verità avevo chiesto di parlare in precedenza.

PRESIDENTE. Non l'avevo vista, mi scusi.

ROSA JERVOLINO RUSSO. Correttamente mi ero seduta nei banchi del gruppo dei Popolari e democratici-l'Ulivo perché, fatta salva una precisazione che intendo fare come presidente del Comitato dei nove, ossia affermare che vi è stato senza dubbio un inizio un po' vivace ma che poi la riunione di tale Comitato si è svolta serenamente ed è terminata in piena armonia, intendevo intervenire come Popolare.

Dovendo intervenire sulla sussidiarietà, non so se posso ancora affermare le cose che terrei a dire a nome del mio gruppo, che è stato più volte invocato come silente su questo tema.

MARCO BOATO. Dille!

ROSA JERVOLINO RUSSO. Le dirò in estrema sintesi, Presidente.

Non c'è dubbio che quando si afferma che vi sono non vorrei dire truffe o mistificazioni, diciamo affermazioni non giuste, è vero, perché sulla questione della sussidiarietà, nella sua duplice accezione (verticale ed orizzontale), vi è una chiarissima proposta della Commissione riferita all'articolo 118 della Costituzione.

Senza drammatizzare nulla, vorrei anche dire con chiarezza che in quest'aula si misurano due concetti diversi di sussidiarietà, perché il concetto di sussidiarietà proprio dei Popolari e dell'intero centrosinistra si collega direttamente ai principi contenuti negli articoli 2 e 3 della Costituzione; non li vuole negare, onorevole Giordano, ma li vuole realizzare, perché per noi sussidiarietà è solidarietà, perché per noi sussidiarietà è valorizzazione delle formazioni intermedie.

La ragione per la quale il centrosinistra non poteva accettare l'emendamento sulla sussidiarietà come formulato dal Polo è chiarissima e si collega proprio all'articolo 3. Noi non possiamo accettare un limite aprioristico all'attività dello Stato, delle regioni, delle province e dei comuni proprio perché riteniamo e sottolineiamo che compito della Repubblica è, rimane - e, a nostro avviso, deve rimanere - garantire i diritti inviolabili della persona umana, garantire condizioni di eguaglianza non formale, onorevole Rizzo, ma sostanziale, garantire la rimozione delle situazioni di differenza. Noi non pensiamo ad un monopolio dello Stato, ma ad una responsabilità dello Stato stesso che, però, associ a sé, in una logica di cittadinanza attiva, tutte le formazioni sociali che agiscono senza scopo di lucro (Applausi dei deputati dei gruppi dei Popolari e democratici-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo) e nell'interesse generale. Da questo punto di vista, collega Pagliarini, a noi non interessa fare da volano al mercato, ma interessa attuare gli articoli 2 e 3 della Costituzione. In quest'ottica ci siamo posti! Il collega Soda ha giustamente rilevato che questa proposta ci viene dal mondo delle associazioni e, quando arriveremo a trattare le questioni relative all'articolo 118 della Costituzione, documenteremo testi alla mano quello che abbiamo detto.

Vorrei aggiungere con molta umiltà che le forze politiche che hanno portato avanti la legge quadro sul volontariato e la legge sulle cooperative di solidarietà sociale; che hanno fatto da motore alla legge sull'associazionismo, cioè agli strumenti concreti di solidarietà; le forze politiche che hanno inserito il principio di sussidiarietà nella legge quadro sui servizi sociali, non si sentono davvero di accettare lezioni di sussidiarietà in un ambiguo taglio economicistico!

Presidente, volevo dire questo (Applausi dei deputati dei gruppi dei Popolari e democratici-l'Ulivo, dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, dei Democratici-l'Ulivo, Comunista, dell'UDEUR, misto-Socialisti democratici italiani, misto-Verdi-l'Ulivo e misto-Rinnovamento italiano).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giovanardi. Ne ha facoltà.

CARLO GIOVANARDI. Signor Presidente, credo che dovrà consentire anche a me, su un argomento così importante, di sottolineare l'onestà intellettuale con la quale l'onorevole Jervolino Russo ha abbandonato, passando dall'altra parte, un'interpretazione della sussidiarietà - quella vera! - trasformandola invece in una «succursale» di quello che è sempre stato il pensiero della sinistra, contro la quale e in difesa di questi valori, storicamente, il mondo cattolico e non solo questo hanno condotto grandissime battaglie.

MARCO BOATO. Detta così è una mistificazione!

CARLO GIOVANARDI. Dico questo perché la visione dell'onorevole Jervolino Russo mi spaventa, mi fa paura. Infatti, quando si parla di sussidiarietà, si fa riferimento alla dimensione delle formazioni sociali (sono perfettamente d'accordo), al volontariato e all'associazionismo, ma anche a quella fondamentale dimensione che è rappresentata dalla libertà di intraprendere dal punto di vista economico...

MARCO BOATO. È già scritto nella Costituzione!

CARLO GIOVANARDI. ...che è poi quella che ha garantito al nostro paese la ricchezza, lo sviluppo economico e la possibilità di fare solidarietà sociale.

MARCO BOATO. Non abbiamo soppresso la prima parte della Costituzione!

CARLO GIOVANARDI. Ora, noi siamo reduci da un periodo in cui lo Stato, anche nell'economia, aveva invaso in maniera sproporzionata ed abnorme l'area che giustamente deve essere lasciata alla libera iniziativa.

Questa visione di uno Stato, degli enti locali che devono essere i tutori, i guardiani e gli arbitri delle libertà, stabilendo quello che è giusto e che non è giusto, quello che si può fare e quello che non si può fare, quello che si può riconoscere e quello che non si può riconoscere, quello che si può promuovere e che non si può promuovere, mi ricorda (Commenti)... No, no, questo purtroppo è stato applicato in alcune regioni d'Italia, portando a risultati che sono all'opposto di quelli di questo principio.

Noi volevamo inserire nel testo il riconoscimento che questa realtà viene prima del concetto di controllo dello Stato, che poi sicuramente deve intervenire per correggere e per aiutare, ma sempre in un'ottica di riconoscimento ai soggetti, alle famiglie, ai singoli, alle formazioni intermedie di quello che lo Stato non può impedire o limitare! Credo che proprio da questo punto di vista l'onorevole Jervolino Russo abbia «scolpito» le ragioni per le quali si sia trovata assieme all'onorevole Soda, alla sinistra ex comunista in una concezione che può essere della sussidiarietà della sinistra...

MARCO BOATO. Tu stai con la destra ex fascista!

PRESIDENTE. Onorevole Boato, per cortesia!

MARCO BOATO. Tu stai con la destra ex fascista, Giovanardi!

PRESIDENTE. Onorevole Boato!

CARLO GIOVANARDI. Le cose stanno esattamente in questo modo (Interruzione del deputato Boato - Commenti dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

Colleghi, sono stanco di passare il tempo nei convegni che si svolgono nel paese sentendo le promesse sulla sussidiarietà per raccogliere voti e constatando poi che questi voti vengono trasformati in Parlamento nei voti determinanti per bocciare questo concetto! Questo è il tradimento che voi fate verso i vostri elettori (Applausi dei deputati dei gruppi misto-CCD, di Forza Italia, di Alleanza nazionale, della Lega nord Padania e misto-CDU)!

MARCO BOATO. Come si fa a parlare di tradimento! È offensivo!

CARLO GIOVANARDI. E certamente i vostri voti saranno ancora determinanti per fermare questo principio...

PRESIDENTE. Onorevole Giovanardi, deve concludere.

CARLO GIOVANARDI. Voi non solo tradite i vostri elettori, ma in questa maniera li perderete certamente in modo definitivo!

MARCO BOATO. È offensivo parlare di tradimento!

RICCARDO MIGLIORI. Ma sono giudizi politici (Commenti del deputato Boato)!

PRESIDENTE. Onorevole Boato, se continuerà così, mi vedrò costretto a richiamarla all'ordine.

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cè. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO CÈ. Signor Presidente, colleghi, anch'io sono contento del fatto che il presidente Jervolino sia intervenuta per chiarire la posizione dei Popolari su questo argomento così importante che, a detta loro, ha sempre fatto parte dei principi che essi hanno sempre cercato di portare avanti in politica e che li ispirano con riferimento anche la dottrina sociale della chiesa.

Credo che per l'ennesima volta, ma in questo caso con estrema chiarezza, l'onorevole Jervolino abbia fatto ben comprendere all'Assemblea e a chi segue i nostri lavori quale sia la posizione dei Popolari su questo argomento.

Secondo i Popolari, la titolarità di tutte le funzioni pubbliche, economiche e altre, spetta alle istituzioni pubbliche e non ai cittadini. Nonostante i riferimenti fatti all'articolo 2 e 3 della Costituzione che tutelano il diritto di uguaglianza dei cittadini e la tutela dell'esercizio delle loro funzioni nell'ambito delle formazioni sociali, ha ribaltato completamente la logica del principio di sussidiarietà. Essa viene poi giustamente trasfusa nell'emendamento all'articolo 6 il quale afferma che soltanto le istituzioni pubbliche (lo Stato, le regioni, le province e i comuni) sono titolari delle funzioni e favoriscono solo e unicamente le formazioni sociali. È il contrario! È un concetto ribaltato rispetto a quello che noi sosteniamo. Il termine «favoriscono» configura una discrezionalità che da sempre si è trasformato in lottizzazione e controllo politico e partitocratico dell'iniziativa privata (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania).

La nostra impostazione è diametralmente opposta. Però, come aveva già detto l'onorevole Guarino, se la paura dei Popolari e di chi non vuole aderire ad un voto positivo su un emendamento della Casa delle libertà è che l'iniziativa privata si possa svincolare talmente dal potere pubblico da essere portatrice di interessi anche di tipo imprenditoriale e che possono raggiungere posizioni di tipo monopolistico, la strada è quella giustamente già indicata dallo stesso onorevole Guarino, ovvero che il potere pubblico in ogni caso disciplini e regolamenti l'utilizzo e l'espletamento di tutti i servizi. Se vi è una posizione di monopolio della Compagnia delle opere (che qui ho sentito citare più volte), della lega delle cooperative, dell'ARCI o di altre associazioni che svolgono opere di solidarietà sociale o servizi sociali, allora lo strumento da utilizzare è quello di una legge che disciplini l'ambito all'interno del quale si deve svolgere questa attività e questa funzione, ma assolutamente non si deve fare quello che si sta facendo, vale a dire sottrarre la titolarità prioritaria delle funzioni ai cittadini e alle formazioni sociali.

 

Questo è quello che la Casa delle libertà sta sostenendo ed è il principio cardine della sussidiarietà.

Questa è la differenza sostanziale, onorevole Jervolino, che scava un solco incolmabile tra i Popolari e tutti coloro che invece difendono (in questo caso la Casa delle libertà, che ha una impostazione realmente liberale) i diritti dei singoli cittadini e delle formazioni sociali (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pisanu. Ne ha facoltà.

BEPPE PISANU. Signor Presidente, colgo l'occasione per riferirmi a tutti gli emendamenti partendo da una semplice considerazione: la sussidiarietà verticale è letteralmente priva di senso e di anima se non poggia su una base solida di sussidiarietà sociale.

Credo che in questo dibattito, a tratti appassionato, a tratti confuso, abbia detto poco fa una parola di chiarezza - gliene do atto - l'onorevole Cherchi, quando ha dichiarato: noi siamo contrari all'idea dello Stato minimo, dello Stato residuale. Questa è un'affermazione chiara: siamo contrari all'idea dello Stato minimo e residuale perché siamo favorevoli all'idea del primato dello Stato sulla società civile, sulla persone, sulla famiglia, sui corpi sociali, sulle istituzioni spontanee della società civile.

È esattamente qui che passa tutta la differenza (ed è una differenza abissale) tra voi e noi nel dibattito sulla sussidiarietà. Noi crediamo, invece, nel primato della società civile; pensiamo che la società civile venga prima dello Stato. I diritti della persona, della famiglia, delle istituzioni spontanee della società nascono prima dello Stato, come ho detto ieri e ripeto; lo Stato non crea questi diritti, semplicemente ha il dovere di riordinarli e di condurli al fine del bene comune. Qui, dunque, si gioca la questione della sussidiarietà.

Vorrei dire all'onorevole Soda, il quale poco fa ci ha invitato a leggerci i sacri testi per informarci sull'importanza del concetto, che ho appreso per la prima volta il concetto medesimo, anche se la parola in quella sede non è espressamente pronunciata, nella Rerum novarum, poi l'ho ritrovato, via via, con la parola espressamente pronunciata, nel resto delle encicliche sociali, fino alla Centesimus annus. Ebbene, in queste encicliche non vi è mai non solo l'idea di uno Stato che stabilisce come educare i figli, quale storia insegnare loro, a quale ospedale rivolgersi e così via, ma non vi è neppure un'esortazione allo Stato a degnarsi di favorire questo tipo di cose, in quanto lo Stato è invitato a riconoscere un primato.

Ha ragione l'onorevole Vito, mi dispiace caro Boato (parlo ad un collega per il quale porto rispetto): il tuo emendamento è truffaldino, in altre occasioni lo avreste definito paternalista, marzocchesco e così via, perché configura lo Stato come un soggetto che elargisce favori alla società civile e che si degna volta per volta di andare in soccorso alle istanze che nascono liberamente nel suo seno, ma di andarvi quando valuti da sé, nella sua superiorità, che è il caso di intervenire. Il discorso che noi portiamo avanti, invece, è l'esatto contrario: prima viene la società civile, poi lo Stato.

Concludo, Presidente, con una considerazione finale che credo mi esimerà dall'intervenire ulteriormente in questo dibattito: senza il principio di sussidiarietà sociale, anzi con il trucco di un emendamento come quello prospettato, che probabilmente raccoglierà i vostri favori anche se rende una caricatura il principio di sussidiarietà, per noi questa riforma perde qualsiasi valore e diventa assolutamente priva di interesse, di anima e di respiro. Inoltre, diventa praticamente privo di interesse il dibattito che da ora in poi si svolgerà. Per quanto mi riguarda, lo seguirò disciplinatamente votando quando sarò chiamato a farlo, ma sapendo che il dibattito finirà con l'essere, trattando di cose morte, un bell'incontro di anime morte (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale e della Lega nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Boato, al quale ricordo che ha tre minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.

MARCO BOATO. Signor Presidente, intervengo sul subemendamento Volontè 0.2.66.19 che è ora in esame. Molto brevemente, al fine di riportare un clima di tranquillità, almeno per quanto mi riguarda, vorrei ricordare che il dibattito di questa mattina è iniziato con qualcuno che ha detto che c'è un imbroglio, poi si è parlato di truffa - l'ha ripetuto poco fa l'amico Pisanu per essere gentile nei miei confronti -, successivamente di trucco, di caricatura e, ancora, Giovanardi ha definito traditrice la collega Jervolino. Questo è il clima liberaldemocratico con cui la casa delle libertà sta svolgendo il confronto dialettico (Commenti dei deputati della Lega nord Padania - Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-l'Ulivo)! E mi fermo qui; signor Presidente, lei prima mi ha richiamato, accetto il suo richiamo e non replicherò più, però credo che questo non sia un modo corretto di confrontarsi in Parlamento. Chiunque ha il diritto di dire che dissente totalmente motivando il proprio dissenso, ma i termini imbroglio, trucco, truffa, caricatura e tradimento sono relativi a concetti non degni di tutti coloro che si ispirano, come il sottoscritto, ad una cultura liberale democratica.

Una voce dai banchi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania: Bombarolo!

MARCO BOATO. Ha sentito, Presidente?

PRESIDENTE. Colleghi, calma, non date ragione al collega.

MARCO BOATO. L'ha sentita Presidente?

PRESIDENTE. Li ho invitati a non darle ragione.

MARCO BOATO. Ecco, esattamente. Nel merito, per quanto riguarda l'emendamento 2.66 (Nuova formulazione) della Commissione si legge: «La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione. Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento». C'è tutto; nei subemendamenti sui quali invito i colleghi ad esprimere un voto contrario, c'è meno. Ad esempio, nel subemendamento Volontè 0.2.66.19, il primo che voteremo, vi è un riferimento generico agli enti territoriali autonomi, ma non all'autonomia statutaria, a poteri e funzioni, ma non agli statuti. L'emendamento della Commissione, invece, è molto più ampio e più forte dei subemendamenti ad esso riferiti. Pertanto, per riportare il dibattito al merito di ciò che stiamo votando, invito i colleghi ad esprimere un voto contrario ai subemendamenti e un voto favorevole sull'emendamento 2.66 della Commissione che ricomprende tutti i concetti fondamentali riguardanti l'ordinamento della Repubblica.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sul subemendamento Volontè 0.2.66.19, non accettato dalla Commissione né dal Governo.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 515

Votanti 511

Astenuti 4

Maggioranza 256

Hanno votato 235

Hanno votato no 276).

(omissis)

 


 

 


Allegato A

 

Seduta n. 774 del 20/9/2000

 

 

PROGETTI DI LEGGE COSTITUZIONALE: POLI BORTONE; MIGLIORI; VOLONTÈ ED ALTRI; D'INIZIATIVA DEL CONSIGLIO REGIONALE DEL VENETO; CONTENTO ED ALTRI; SODA ED ALTRI; FONTAN ED ALTRI; MARIO PEPE ED ALTRI; D'INIZIATIVA DEL GOVERNO; NOVELLI; PAISSAN ED ALTRI; CREMA ED ALTRI; FINI ED ALTRI; GARRA ED ALTRI; D'INIZIATIVA DEL CONSIGLIO REGIONALE DELLA TOSCANA; ZELLER ED ALTRI; CAVERI; FOLLINI ED ALTRI; BERTINOTTI ED ALTRI; BIANCHI CLERICI ED ALTRI: ORDINAMENTO FEDERALE DELLA REPUBBLICA (4462-4995-5017-5036-5181-5467-5671-5695-5830-5856-5874-5888-5918-5919-5947-5948-5949-6044-6327-6376)

 

(A.C. 4462 - sezione 1)

 

 

ARTICOLO 2 DEL TESTO UNIFICATO DELLA COMMISSIONE

 

Art. 2.

1. L'articolo 114 della Costituzione è sostituito dal seguente:

«Art. 114. - La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province o Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. La legge garantisce le autonomie funzionali.

L'esercizio delle funzioni pubbliche è ripartito sulla base dei princìpi di sussidiarietà e differenziazione.

Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni, salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, sia diversamente disposto con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze».

 

 

EMENDAMENTI, SUBEMENDAMENTI ED ARTICOLO AGGIUNTIVO PRESENTATI ALL'ARTICOLO 2 DEL TESTO UNIFICATO

 

ART. 2.

Al comma 1, sostituire il capoverso con il seguente:

Art. 114.

I Comuni, le Province, le Regioni e lo Stato esercitano solo le attività che non possono essere svolte in modo più efficace dall'iniziativa autonoma dei privati. La titolarità delle funzioni pubbliche è attribuita, in base al principio di sussidiarietà, ai Comuni, alle Province, alle Regioni e allo Stato, nell'osservanza dei criteri di differenziazione, omogeneità e adeguatezza delle proprie strutture organizzative e nel rispetto delle autonomie funzionali riconosciute dalla legge.

2. 65. Pisanu, Selva, Pagliarini, Follini, Volontè, Rebuffa.

 

Al comma 1, sostituire il capoverso con il seguente:

«Art. 114. - La Repubblica italiana è costituita da Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni».

2. 41. Nardini.

 

 

Subemendamenti all'emendamento 2. 66 (nuova formulazione) .

All'emendamento 2. 66, capoverso, sostituire il primo comma con il seguente:

La Repubblica è costituita dallo Stato, dalle Regioni e dagli enti territoriali autonomi che sono dotati di propri poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione.

0. 2. 66. 19. Volontè, Teresio Delfino, Tassone, Grillo, Cutrufo, Buttiglione, Paissan.

 

All'emendamento 2. 66, capoverso, sostituire il primo comma con il seguente:

La Repubblica è costituita dagli enti pubblici territoriali e non, nei quali i cittadini organizzano il perseguimento delle finalità della stessa.

0. 2. 66. 21. Volontè, Teresio Delfino, Tassone, Grillo, Cutrufo, Buttiglione, Paissan.

 

All'emendamento 2. 66, capoverso, primo comma, premettere le parole: Nella salvaguardia dell'unità nazionale.

0. 2. 66. 31. Selva, Anedda.

 

All'emendamento 2. 66, capoverso, primo comma, dopo la parola: Comuni aggiungere le seguenti: dalle Comunità montane.

0. 2. 66. 23. Teresio Delfino, Volontè, Paissan.

 

All'emendamento 2. 66, capoverso, primo comma, dopo le parole: dalle Province aggiungere le seguenti: o altri enti pubblici territoriali di livello sub-regionale.

0. 2. 66. 18. Teresio Delfino, Volontè, Paissan

 

All'emendamento 2. 66, al capoverso, primo comma, sopprimere le parole: dalle Città metropolitane.

Conseguentemente, al medesimo capoverso, secondo comma, sopprimere le parole: le Città metropolitane.

0. 2. 66. 32. Selva, Anedda.

 

All'emendamento 2.66, al capoverso, primo comma, sopprimere le parole: dalle Città metropolitane.

0. 2. 66. 10. Stucchi, Alborghetti, Cè, Chincarini, Guido Dussin, Pirovano, Fontanini.

 

All'emendamento 2. 66, capoverso, primo comma, dopo le parole: dalle Regioni aggiungere le seguenti: o altri enti pubblici territoriali di livello sub-nazionale.

0. 2. 66. 17. Teresio Delfino, Volontè, Paissan

 

All'emendamento 2. 66, capoverso, sostituire il secondo comma con il seguente:

Lo Stato, le Regioni, le Province e i Comuni esercitano le funzioni ad essi attribuite in conformità alle finalità di interesse generale previste dalla Costituzione ed in maniera proporzionata all'obiettivo di volta in volta perseguito, quando il conseguimento di tali finalità non può essere assicurato dall'autonomia della persona, anche attraverso le formazioni sociali. La titolarità delle funzioni compete rispettivamente a Comuni, Province, Regioni e Stato in base a principi di sussidiarietà e secondo criteri di omogeneità e ragionevolezza. La legge garantisce le autonomie funzionali.

0. 2. 66. 26. Volontè, Teresio Delfino, Tassone, Grillo, Cutrufo, Buttiglione, Paissan.

 

All'emendamento 2. 66, capoverso, sostituire il secondo comma con il seguente:

Gli statuti regionali individuano le Province, i Comuni e le Città metropolitane e ne determinano le funzioni, secondo i principi fissati dalla Costituzione.

0. 2. 66. 30. Guarino, Sanza, Rebuffa, Paissan.

 

 

 

All'emendamento 2. 66 aggiungere in fine i seguenti commi:

Gli statuti delle Regioni devono prevedere dei principi che inquadrino e limitino il potere di tassazione, che riconoscano e tutelino l'impresa, limitino la presenza dello Stato nell'economia, regolino il diritto di sciopero, garantiscano la concorrenza, l'indipendenza dell'informazione pubblica e la libertà di stampa e diano piena applicazione al principio di sussidiarietà.

In forza del principio di sussidiarietà gli interessi della collettività devono essere curati dagli enti più vicini alla persona e al cittadino, lasciando all'autonoma iniziativa dei cittadini lo svolgimento di tutte quelle attività di interesse pubblico che possono essere assicurate in modo adeguato ed efficiente.

0. 2. 66. 13. Cè, Alborghetti, Pirovano, Chincarini, Guido Dussin, Fontan, Fontanini.

 

All'emendamento 2. 66, aggiungere in fine il seguente comma:

Sono attribuite ai Comuni tutte le funzioni amministrative, salvo che sia diversamente disposto con legge statale o regionale per assicurarne l'esercizio organico.

0. 2. 66. 12. Michielon, Covre, Fontan, Luciano Dussin, Stucchi, Fontanini.

 

All'emendamento 2. 66, aggiungere in fine il seguente comma:

I Comuni, le Province, le Città metropolitane, le Regioni e lo Stato esercitano solamente le funzioni e le attività che non possono essere svolte in modo più efficace dai soggetti privati nella loro autonomia. La titolarità delle funzioni è attribuita, nell'ordine, ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane, alle Regioni e allo Stato sulla base dei principi di autonomia e sussidiarietà, secondo il criterio dell'adeguatezza dimensionale e organizzativa.

0. 2. 66. 1. Calderisi, Taradash, Landi di Chiavenna.

 

All'emendamento 2. 66, aggiungere in fine il seguente comma:

Il principio di sussidiarietà si applica anche al Comune nei suoi rapporti con enti o organizzazioni pubbliche che rappresentano gli interessi dei cittadini residenti in porzioni del territorio comunale.

0. 2. 66. 14. Teresio Delfino, Volontè, Tassone, Cutrufo, Grillo, Buttiglione, Paissan.

 

All'emendamento 2. 66, aggiungere in fine il seguente comma:

Gli statuti delle Regioni devono prevedere la piena applicazione del principio di sussidiarietà. In forza del principio di sussidiarietà gli interessi della collettività devono essere curati dagli enti più vicini alla persona e al cittadino, lasciando all'autonoma iniziativa dei cittadini lo svolgimento di tutte quelle attività di interesse pubblico che possono essere assicurate in modo adeguato ed efficiente.

0. 2. 66. 33. Teresio Delfino, Volontè, Tassone, Cutrufo, Grillo, Buttiglione.

 

All'emendamento 2. 66, aggiungere in fine il seguente comma:

Ai Comuni è riconosciuta l'autonomia normativa con riferimento allo svolgimento delle proprie funzioni nel rispetto della Costituzione.

0. 2. 66. 15. Teresio Delfino, Volontè, Tassone, Grillo, Cutrufo, Buttiglione, Paissan.

 

All'emendamento 2. 66, aggiungere in fine il seguente comma:

I Comuni, le Province, le Regioni e lo Stato esercitano solo le attività che non possono essere svolte in modo più efficace dall'iniziativa autonoma dei privati. La titolarità delle funzioni pubbliche è attribuita, in base al principio di sussidiarietà, ai Comuni, alle Province, alle Regioni e allo Stato, nell'osservanza dei criteri di differenziazione, omogeneità e adeguatezza delle proprie strutture organizzative e nel rispetto delle autonomie funzionali riconosciute dalla legge.

0. 2. 66. 28. Pisanu, Selva, Pagliarini, Follini, Volontè, Garra.

Sostituirlo con il seguente:

1. L'articolo 114 della Costituzione è sostituito dal seguente:

«Art. 114 - La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato.

I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione.

Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento».

2. 66 (nuova formulazione) . La Commissione.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, al primo comma premettere il seguente:

Le Comunità regionali federate costituiscono la Repubblica federale.

2. 4. Giovine.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, sostituire il primo comma con il seguente:

La Repubblica si articola in Comuni, Province o Città metropolitane, Regioni.

2. 44. Moroni.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, primo comma, primo periodo, dopo la parola: Repubblica aggiungere la seguente: federale.

Conseguentemente, al secondo periodo, sostituire le parole: dallo Stato con le seguenti: dalla Federazione.

 

Conseguentemente:

ovunque ricorra, dopo la parola: Repubblica aggiungere la seguente: federale

ovunque ricorra, sostituire la parola: Stato con la seguente: Federazione.

2. 43. Zeller, Brugger, Widmann, Caveri, Detomas.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, primo comma, primo periodo, dopo la parola: Repubblica aggiungere la seguente: federale

2. 22. Stucchi, Alborghetti, Cè, Chincarini, Guido Dussin, Pirovano.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, primo comma, primo periodo, sostituire le parole da: dai Comuni fino alla fine del comma con le seguenti: dagli enti pubblici territoriali e non, nei quali i cittadini organizzano il perseguimento delle finalità della stessa.

2. 55. Volontè, Teresio Delfino, Tassone, Grillo, Cutrufo, Buttiglione.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, primo comma, primo periodo, sostituire le parole da: dai Comuni fino alla fine del comma con le seguenti: dalle Comunità regionali federate composte dalle Regioni indicate dall'articolo 116 e da aggregazioni di più Regioni.

2. 1. Giovine.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, primo comma, primo periodo, sostituire le parole da: dai Comuni fino alla fine del comma con le seguenti: dallo Stato, dalle Regioni e dagli enti territoriali autonomi, che sono dotati di propri poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione.

2. 56. Volontè, Teresio Delfino, Tassone, Grillo, Cutrufo, Buttiglione.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, primo comma, primo periodo, dopo le parole: dai Comuni, aggiungere le seguenti: dalle Comunità montane,

2. 57. Teresio Delfino, Volontè.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, primo comma, primo periodo, dopo le parole: dalle Province aggiungere le seguenti: o altri enti pubblici territoriali di livello sub-regionale.

2. 51. Teresio Delfino, Volontè.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, primo comma, primo periodo, sopprimere le parole: o Città metropolitane.

 2. 20. Stucchi, Alborghetti, Cè, Chincarini, Guido Dussin, Pirovano.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, primo comma, primo periodo, sopprimere le parole: o Città metropolitane.

 2. 52. Migliori, Selva, Armaroli, Anedda, Lembo.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, primo comma, primo periodo, sostituire le parole da: o Città metropolitane fino alla fine dell'articolo con le seguenti: dalle Regioni e dallo Stato.

2. 64. Peretti, Follini, Giovanardi, Baccini, Carmelo Carrara, D'Alia, Del Barone, Galati, Liotta, Lucchese, Marinacci, Savelli.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, primo comma, primo periodo, dopo le parole: o Città metropolitane, aggiungere le seguenti: dalle Comunità montane,

2. 53. Teresio Delfino, Volontè, Tassone, Grillo, Cutrufo, Buttiglione.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, primo comma, primo periodo, dopo le parole: dalle Regioni aggiungere le seguenti: o altri enti pubblici territoriali di livello sub-nazionale.

2. 54. Teresio Delfino, Volontè.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, primo comma, primo periodo, sopprimere le parole: e dallo Stato.

2. 34. Michielon, Covre, Fontan, Luciano Dussin, Stucchi.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, primo comma, sopprimere il secondo periodo.

2. 6. Garra.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, primo comma, secondo periodo, dopo le parole: garantisce le aggiungere la seguente: rispettive.

2. 25. Stucchi, Alborghetti, Cè, Chincarini, Guido Dussin, Pirovano.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, sopprimere il secondo comma.

2. 2. Giovine.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, sostituire il secondo comma con il seguente:

Gli Statuti delle Regioni devono prevedere la piena applicazione del principio di sussidiarietà. In forza del principio di sussidiarietà gli interessi della collettività devono essere curati dagli enti più vicini alla persona e al cittadino, lasciando all'autonoma iniziativa dei cittadini lo svolgimento di tutte quelle attività di interesse pubblico che possono essere assicurate in modo adeguato ed efficiente.

2. 5. Volontè, Tassone, Teresio Delfino, Grillo, Marinacci.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, sostituire il secondo comma con il seguente:

Lo Stato, le Regioni, le Province e i Comuni esercitano le funzioni ad essi attribuite, in conformità alle finalità di interesse generale previste dalla Costituzione ed in maniera proporzionata all'obiettivo di volta in volta perseguito, quando il conseguimento di tali finalità non può essere assicurato dall'autonomia della persona, anche attraverso le formazioni sociali. La titolarità delle funzioni compete rispettivamente a Comuni, Province, Regioni e Stato in base a principi di sussidiarietà e secondo criteri di omogeneità e ragionevolezza. La legge garantisce le autonomie funzionali.

2. 58. Volontè, Teresio Delfino, Tassone, Grillo, Cutrufo, Buttiglione.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, sostituire il secondo comma con il seguente:

Quando le attività e i servizi alla collettività non possono essere efficacemente svolti dai soggetti privati e dalle formazioni sociali nell'esercizio delle loro autonoma iniziativa, l'attribuzione delle funzioni relative ai Comuni, Province o Città metropolitane, Regioni e Stato si effettua sulla base del principio di sussidiarietà.

2. 50. Urbani, Garra.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, sostituire il secondo comma con il seguente:

In forza del principio di sussidiarietà gli interessi della collettività devono essere curati dagli enti più vicini ai cittadini, lasciando all'autonoma iniziativa degli stessi lo svolgimento di tutte quelle attività di interesse pubblico che possono essere assicurate in modo adeguate ed efficiente.

2. 63. Fontan, Fontanini, Luciano Dussin, Stucchi.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, secondo comma, dopo le parole: è ripartito aggiungere le seguenti: tra i soggetti di cui al comma 1.

2. 45. Moroni.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, secondo comma, sopprimere le parole: e differenziazione.

  2. 8. Garra.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, secondo comma, sopprimere le parole: e differenziazione.

  2. 59. Volontè, Teresio Delfino, Tassone, Grillo, Cutrufo, Buttiglione.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, secondo comma, sostituire la parola: differenziazione con le seguenti: della ottimizzazione per i destinatari di dette funzioni.

2. 7. Garra.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, secondo comma, sostituire la parola: differenziazione con la seguente: responsabilità.

2. 3. Giovine.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, dopo il secondo comma aggiungere il seguente:

Qualora un Comune non sia in grado di fornire alla cittadinanza un determinato servizio vi provvede la Provincia ed analogamente la Regione provvede ad assicurare un determinato servizio ove la Provincia non sia stata in grado di assicurarne la fruizione nell'ambito del suo territorio.

2. 9. Garra.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, sostituire il terzo comma con il seguente:

Ai Comuni è riconosciuta l'autonomia normativa con riferimento alle svolgimento delle proprie funzioni nel rispetto della Costituzione.

2. 60. Teresio Delfino, Volontè, Tassone, Grillo, Cutrufo, Buttiglione.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, sostituire il terzo comma con il seguente:

Sono attribuite ai Comuni tutte le funzioni amministrative, salvo che sia diversamente disposto con legge statale o regionale per assicurarne l'esercizio organico.

2. 33. Michielon, Covre, Fontan, Luciano Dussin, Stucchi.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, terzo comma, sostituire la parola: amministrative con la seguente: normative.

2. 61. Teresio Delfino, Volontè, Tassone, Grillo, Cutrufo, Buttiglione.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, terzo comma, sostituire la parola: amministrative con le seguenti: di governo del territorio.

2. 29. Stucchi, Cè, Alborghetti, Pirovano, Chincarini, Guido Dussin.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, terzo comma, sopprimere le parole da: , salvo che fino alla fine del comma.

2. 21. Stucchi, Alborghetti, Cè, Chincarini, Guido Dussin, Pirovano.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, terzo comma, sostituire le parole da: salvo che sino alla fine del comma con le seguenti: che le esercitano in piena autonomia, nel rispetto delle normative vigenti.

2. 30. Stucchi, Cè, Alborghetti, Pirovano, Chincarini, Guido Dussin.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, terzo comma, sopprimere le parole: per assicurarne l'esercizio unitario,.

2. 23. Stucchi, Alborghetti, Cè, Chincarini, Guido Dussin, Pirovano.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, terzo comma, sostituire le parole da: per assicurarne fino alla fine del comma, con le seguenti: sia diversamente disposto con legge regionale.

2. 24. Stucchi, Alborghetti, Cè, Chincarini, Guido Dussin, Pirovano.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, terzo comma, sostituire le parole: rispettive competenze con le seguenti: competenze, rispettivamente, dello Stato o delle Regioni.

2. 10. Garra.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, terzo comma, aggiungere, in fine, il seguente periodo: La legge tutela le autonomie funzionali.

2. 46. Moroni.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, aggiungere in fine, i seguenti commi:

Gli statuti delle Regioni devono prevedere dei principi che inquadrino e limitino il potere di tassazione, che riconoscano e tutelino l'impresa, limitino la presenza

dello Stato nell'economia, regolino il diritto di sciopero, garantiscano la concorrenza, l'indipendenza dell'informazione pubblica e la libertà di stampa e diano piena applicazione al principio di sussidiarietà.

In forza del principio di sussidiarietà gli interessi della collettività devono essere curati dagli enti più vicini alla persona e al cittadino, lasciando all'autonoma iniziativa dei cittadini lo svolgimento di tutte quelle attività di interesse pubblico che possono essere assicurate in modo adeguato ed efficiente.

2. 31. Cè, Alborghetti, Pirovano, Chincarini, Guido Dussin.

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, aggiungere, in fine, il seguente comma:

Lo Stato attua nel territorio nazionale forme di decentramento dei propri servizi non uniformi, tenuto conto delle condizioni demografiche e geografiche delle singole comunità locali.

2. 11. Garra.

 

 

 

Al comma 1, capoverso Art. 114, aggiungere, in fine, il seguente comma:

Il principio di sussidiarietà si applica anche al Comune nei suoi rapporti con enti o organizzazioni pubbliche che rappresentano gli interessi dei cittadini residenti in porzioni del territorio comunale.

2. 62. Teresio Delfino, Volontè.

 

Dopo l'articolo 2, aggiungere il seguente:

Art. 2-bis. - 1. Dopo l'articolo 114 della Costituzione è aggiunto il seguente:

Art. 114-bis. Quando le attività ed i servizi alla collettività non possono essere efficacemente svolti dai soggetti privati e dalle formazioni sociali nell'esercizio della loro autonoma iniziativa, l'attribuzione delle funzioni relative allo Stato, alle Regioni, alle Province o Città metropolitane ed ai Comuni si effettua sulla base del principio di sussidiarietà istituzionale.

2. 01. Garra.

 

 


 

 

RESOCONTO

SOMMARIO e STENOGRAFICO

_________

_________    _________

_________

 

 

775.

 

SEDUTA DI GIOVEDI' 21 SETTEMBRE 2000

 

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE

LORENZO ACQUARONE

 

Indi

 

DEL PRESIDENTE

LUCIANO VIOLANTE

 


Seguito della discussione del testo unificato dei progetti di legge costituzionale: Poli Bortone; Migliori; Volontè ed altri; d'iniziativa del consiglio regionale del Veneto; Contento ed altri; Soda ed altri; Fontan ed altri; Mario Pepe ed altri; d'iniziativa del Governo; Novelli; Paissan ed altri; Crema ed altri; Fini ed altri; Garra ed altri; d'iniziativa del consiglio regionale della Toscana; Zeller ed altri; Caveri; Follini ed altri; Bertinotti ed altri; Bianchi Clerici ed altri: Ordinamento federale della Repubblica (4462-4995-5017-5036-5181-5467-5671-5695-5830-5856-5874-5888-5918-5919-5947-5948-5949-6044-6327-6376) (ore 9,10).

 

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del testo unificato dei progetti di legge costituzionale d'iniziativa dei deputati Poli Bortone; Migliori; Volontè ed altri; d'iniziativa del consiglio regionale del Veneto; d'iniziativa dei deputati Contento ed altri; Soda ed altri; Fontan ed altri; Mario Pepe ed altri; d'iniziativa del Governo; d'iniziativa dei deputati Novelli; Paissan ed altri; Crema ed altri; Fini ed altri; Garra ed altri; d'iniziativa del consiglio regionale della Toscana; d'iniziativa dei deputati: Zeller ed altri; Caveri; Follini ed altri; Bertinotti ed altri; Bianchi Clerici ed altri: Ordinamento federale della Repubblica.

(omissis)

(Esame dell'articolo 6 - A.C. 4462)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo 6, nel testo unificato della Commissione, e del complesso degli emendamenti e subemendamenti ad esso presentati (vedi l'allegato A - A.C. 4462 sezione 1).

Ha chiesto di parlare l'onorevole Pisanu. Ne ha facoltà.

BEPPE PISANU. Signor Presidente, intervengo con particolare riferimento al tema della sussidiarietà sociale, che ieri ha occupato lungamente i lavori di questa Assemblea e che ora ritorna alla nostra attenzione con l'emendamento dell'onorevole Boato.

Vedo, per la verità, che l'onorevole Boato ha subemendato se stesso, tagliando proprio la parte relativa alla sussidiarietà sociale, immagino per sottrarla alla votazione del subemendamento Moroni 0.6.22.1, che ne chiede la soppressione con un atto di innegabile onestà intellettuale e politica. Ma l'emendamento Boato, scansato questo subemendamento, ritorna più in là nel testo.

Voglio soffermarmi solo su questo punto, perché credo che quell'emendamento sia il simbolo della mistificazione politica complessiva che cerca di far passare per riforma federalista questo confuso e confusionario trasferimento di poteri dallo Stato alle regioni.

 

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LORENZO ACQUARONE (ore 13,30)

 

BEPPE PISANU. Ieri l'onorevole Soda, nel contrastare, anche con parole pesanti, il mio emendamento sulla sussidiarietà sociale, ha fatto riferimento contro di noi ad un appello sottoscritto da milioni di cittadini, la maggior parte dei quali cattolici e qualcuno, per la verità, anche diessino e ministro in carica.

Dopo aver letto testualmente la dichiarazione dell'onorevole Soda, ho riletto quell'appello. L'onorevole Soda ha detto: «Questi milioni di cittadini si sono appellati al Parlamento affinché esso scriva nella Carta costituzionale che la Repubblica, e pertanto tutti i suoi organi, favorisce le libere iniziative dei privati volte all'interesse generale».

Come ho detto, sono andato a leggere quell'appello e ho visto che corrisponde, non al testo proposto dall'onorevole Soda, ma a quello proposto da me. Questo per la semplice ragione che tanto gli estensori dell'appello quanto il sottoscritto ci siamo rifatti alla stessa fonte, allo stesso insegnamento. Onorevole Soda, quell'appello al punto 5 prevede che venga esplicitamente disposto che, nell'esercizio delle loro funzioni, comuni, province, regioni e Stato riconoscano e valorizzino gli interventi autonomi dei cittadini e delle loro formazioni sociali. Lo ripeto, si dice «riconoscano e valorizzino», non «favoriscono». Il verbo «favorire» compare soltanto al punto 4 di quell'appello ma quando si parla di disporre gli interventi legislativi atti alla realizzazione di questo riconoscimento e di questa valorizzazione.

I cittadini e le loro associazioni non hanno bisogno di essere favoriti dallo Stato, hanno bisogno di essere riconosciuti e valorizzati perché cronologicamente e culturalmente vengono prima dello Stato. La domanda fondamentale che dobbiamo porci, onorevole Soda, è se siano i cittadini a decidere quali poteri devono essere conferiti allo Stato o se sia lo Stato a determinare quali sono gli spazi di libertà riconosciuti ai cittadini. La nostra risposta è ovvia ed è quella che afferma il primato della società civile. La Costituzione non deve favorire nessuno! Noi non vediamo la Costituzione come elargitrice di favori, essa deve solo riconoscere e valorizzare, riconoscere e garantire, come fa in molte sue parti. Lo ripeto, non deve favorire nessuno.

Onorevole Soda, francamente il collega Buttiglione non ha truffato né insultato nessuno. Truffatore ed imbroglione non è chi cerca di recepire in un testo costituzionale richieste democraticamente avanzate da milioni di cittadini, semmai lo è chi quelle richieste manipola ed altera fino a sviarne completamente il significato e a travisarne il senso.

L'onorevole Soda conosce alla perfezione l'emendamento Boato e mi chiedo perché non lo abbia sottoscritto: ma evidentemente non conosceva bene il nostro emendamento e ancor meno conosceva il testo dell'appello - se vuole glielo mando subito per le vie brevi - al quale ha fatto riferimento.

ANTONIO SODA, Relatore per la maggioranza per i profili inerenti all'ordinamento regionale. L'ho fornito io ieri ad un suo collega, su sua richiesta! Caso mai me lo restituisca!

BEPPE PISANU. Allora delle due, anzi, delle tre l'una, caro Soda: o quel testo lei non l'ha letto, oppure non l'ha capito, oppure lo ha interpretato a suo uso e consumo (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale).

Noi vogliamo riaffermare qui il primato della società civile, mentre voi - lo ha riconosciuto ieri onestamente l'onorevole Cherchi - questo stesso primato non lo riconoscete. Voi rifiutate una concezione residuale dello Stato, una «secondarietà» dello Stato rispetto alla società e all'economia. Questa è una differenza della quale in quest'aula e fuori di qui si deve prendere atto perché essa segna tutto l'abissale divario esistente tra statalismo e liberalismo, tra concezione centralista e burocratica dello Stato e concezione autonomista e federalista.

È una differenza di grande, grandissimo conto. Vede, onorevole Bodrato... mi scusi, volevo dire Boato (è un lapsus freudiano), con questa concezione può anche accadere che un capitano coraggioso - e magari disinvolto - privatizzi la telefonia di Stato, ma non potrà mai accadere che un boiardo elettrico altrettanto disinvolto pubblicizzi la telefonia privata, utilizzando i soldi pagati da Pantalone in tariffe elettriche (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale)! Con questa concezione non potrà mai accadere che un grande boiardo come Tatò possa far rinascere l'IRI gettandosi nel business degli acquedotti o in quello della telefonia privata o, magari, in quello delle scommesse, sempre con i soldi delle tariffe elettriche pagati da Pantalone (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale)!

Mi spiace, onorevole Boato, di dovermi rivolgere a lei con tale asprezza, anzi gliene chiedo scusa in partenza, ma il suo emendamento 6.22 (Nuova formulazione) è in tutta evidenza una dissimulazione; è un giochetto di prestigio che non ha nulla a che vedere con la sussidiarietà sociale, perché lascia tutto come è, anzi, peggiora le cose. Le peggiora perché con la parola «favorisce» messa al posto delle parole «riconosce e valorizza» lei imbelletta il primato dello Stato con una cipria di paternalismo che serve solo ad accentuare le peggiori inclinazioni clientelari della mano pubblica.

Concludendo, vorrei ricordare il monito di un grande uomo politico italiano che è ai nostri antipodi, l'onorevole Togliatti...

GIANNI RISARI. Comunista! Comunista!

BEPPE PISANU. ...quando ammoniva i suoi compagni dicendo loro di stare attenti che un giorno o l'altro i borghesi avrebbero preteso di insegnare loro come si fa la rivoluzione. Vedo ora che alcuni dei suoi discendenti hanno appreso a tal punto quella lezione che pretendono di insegnare, a noi cattolici, come si fa la sussidiarietà, sia verticale che sociale (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale). Anche per questo, onorevoli colleghi, mi auguro che, come noi di Forza Italia, tutti gli altri colleghi liberali, cattolici e non cattolici, presenti in quest'aula votino contro quell'emendamento mistificatore, che rivela tutta la mistificazione politico-elettorale di questa riformetta sedicente federalista (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Moroni. Ne ha facoltà.

ROSANNA MORONI. Signor Presidente, prima di iniziare il mio intervento, vorrei fare una piccola osservazione: meno male che nel nostro paese il monopolio del cattolicesimo non ce l'ha Forza Italia e non ce l'hanno queste teorie che, semmai, possono vantare il monopolio del liberismo e non certo quello degli ideali del cristianesimo.

Vorrei spiegare molto brevemente perché il gruppo comunista ha presentato un subemendamento soppressivo del terzo comma dell'emendamento Boato 6.22 (Nuova formulazione) fatto proprio dalla Commissione, mentre condividiamo totalmente i primi due commi dello stesso emendamento. Il nostro non è un voto contro la formulazione proposta dal collega e condivisa dal resto della maggioranza; quella formulazione, se interpretata come volontà di promuovere la partecipazione attiva dei cittadini ed il loro concorso al progresso materiale e spirituale della società, non solo è condivisibile, ma è anche coerente con i principi basilari della nostra Carta costituzionale. Basta leggere l'articolo 2 e l'articolo 4; ma ci sono anche, nonostante i reiterati tentativi del Polo di cancellarle, le affermazioni di cui agli articoli 41, 43 e 45. Se fosse questa la sussidiarietà che la destra sollecita con tanta insistenza, non ci sarebbe neppure bisogno di modifiche costituzionali: la Costituzione in vigore già consente, anzi già ha consentito nei fatti tutto questo.

Noi consideriamo un grande patrimonio, una grande ricchezza per l'intero paese il variegato mondo del volontariato, dell'associazionismo, della cooperazione sociale. Purtroppo, molte affermazioni fatte, appunto, soprattutto da Lega e Forza Italia - e ci meravigliamo della coscienza di Alleanza nazionale - denotano intendimenti ben diversi. La destra, o almeno la sua parte più mercantile, vuole la privatizzazione di funzioni fondamentali finora riservate alle istituzioni, vuole la marginalità delle istituzioni, vuole l'azzeramento di quello Stato sociale disegnato dalla Costituzione e che ha consentito l'estensione concreta dei diritti a tanti che ne erano esclusi. I loro emendamenti parlano di trasferimenti di attività, ora svolte da Stato, regioni e comuni, al cittadino, alle famiglie: ma di quale cittadino parlano, di quali famiglie? La verità è che non tollerano limiti e freni - o lacci e lacciuoli, per usare un gergo a loro più caro - all'iniziativa ed alla proprietà privata. Non li vogliono neppure in nome ed in difesa degli interessi generali.

Voi predicate la supremazia del mercato e del privato, ai quali anche le istituzioni dovrebbero inchinarsi. Volete che lo Stato e le autonomie territoriali si facciano da parte e lascino mano libera ai detentori del potere economico. Parlate di Stato e istituzioni come se fossero altro dal cittadino: la verità è che vorreste una sanità privata, una scuola privata, una previdenza privata, un mercato del lavoro senza regole, tranne quelle padronali. Questa è la vostra sussidiarietà. Voi volete eliminare il concetto di Repubblica e farne una res privata, in cui lo Stato mantiene solo un ruolo marginale di assistenza e di sostegno degli esclusi, interviene solo, come ci ha detto ieri Giovanardi, per correggere e per aiutare. Nessun paese socialmente e democraticamente progredito ridurrebbe lo Stato a questa funzione di compensatore delle ingiustizie. Vorrei anche ricordare che lo Stato, i soggetti istituzionali in genere, non hanno solo il compito, pur fondamentale, di dispensare servizi e prestazioni; hanno anche, devono avere, quello di promuovere la crescita complessiva di un territorio, lo sviluppo sociale e civile, l'emancipazione culturale. Il mercato, per la sua stessa natura, non ha né può avere tra i suoi fini la giustizia sociale o l'eguaglianza dei cittadini, assegnati invece, non a caso, dalla Costituzione alla Repubblica come obiettivi cardine. Per questo la politica e le istituzioni non possono accettare una posizione di sudditanza di fronte alle leggi dell'economia; deve essere, anzi, il contrario, pena un generale arretramento dei valori e delle condizioni di vita dei cittadini ed in particolare dei ceti popolari. Aggiungo, anche se non ce ne sarebbe proprio bisogno, che questa filosofia ispira, a mio parere, tutta la nostra Costituzione, in particolare nei principi fondamentali e nella parte I, e che, tra l'altro, gli emendamenti della destra sono forse efficaci in termini di propaganda rivolta agli strati sociali più egoisti, ma incompatibili con quei principi. Non a caso il centrosinistra ha sempre sostenuto che questo tema inerisce alla parte I, visto che lì è trattata tutta la materia del rapporto tra pubblico e privato.

È per tutte queste ragioni che voteremo a favore del nostro subemendamento e voteremo contro quella parte dell'emendamento Boato, chiedendone la votazione per parti separate: perché, anche contro l'intenzione dei presentatori, quell'emendamento potrebbe rappresentare un grimaldello utilizzato surrettiziamente per stravolgere i cardini della nostra legislazione. Non sarebbe la prima volta, purtroppo, che leggi ordinarie disattendono o stravolgono i principi costituzionali (Applausi dei deputati del gruppo comunista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Nardini. Ne ha facoltà.

MARIA CELESTE NARDINI. Signor Presidente, anch'io, come la collega Moroni, vorrei dire, in apertura del mio intervento, che non se ne può davvero più: in quest'aula, ormai da diversi giorni, in nome dei principi della sussidiarietà si continua ad utilizzare la religione cattolica per fini davvero strumentali. Credo che questo sia da rimarcare perché i cittadini, e non soltanto i deputati, davvero ne prendano atto.

Alcuni in quest'aula continuano a ricorrere alla religione e ad alcuni principi del cattolicesimo per perseguire ben altri fini.

Il principio di sussidiarietà, in larga misura, ha coinciso in questa discussione - non mi riferisco all'intervento della presidente Jervolino - con quello di imprenditoria privata. Credo sarebbe veramente falso continuare a ragionare senza tenere veramente conto di quello che sta accadendo e dello scopo che si intende perseguire rispetto ad un principio che è tutt'altra cosa e che, a nostro modo di vedere, è già previsto in altri articoli della Costituzione, quale, ad esempio, l'articolo 2.

Siamo contrari, quindi, alla formulazione dell'emendamento Boato, perché l'articolo 2 della Costituzione prevede la tutela dei diritti inviolabili dell'uomo ed inserisce l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. L'uguaglianza formale e sostanziale di cui all'articolo 3 sono fini concreti e oggetto della tutela e dell'azione costruttiva dello Stato che si propone la rimozione degli ostacoli che, di fatto, impediscono la realizzazione dell'uguaglianza dei cittadini e l'effettiva partecipazione di questi ultimi alla vita del paese (vita politica, economica e sociale).

Il principio di libertà dell'iniziativa economica, di fatto, è già sancito dalla prassi, anche se, dal punto di vista dell'impianto costituzionale, appare, a lor signori, limitato dall'interesse generale e dalla funzione sociale della proprietà. Semmai, la totale assenza di legislazione ordinaria - questo noi reclamiamo: che si intervenga a disciplinare e a difendere esattamente l'applicazione del principio di tutela degli interessi generali di fronte all'iniziativa economica - fa sì che questo principio non trovi applicazione. Vorrei ricordare che questo Stato sostiene, e non poco, l'iniziativa e le imprese private: semmai andrebbero apportati correttivi - mi rivolgo ai pochi ministri presenti - alle delocalizzazioni. Abbiamo presentato una proposta di legge in tal senso: vi chiediamo di inserirla nell'ordine del giorno.

Altro, quindi, che principio di sussidiarietà! Noi non siamo contrari ad esso, ma a come esso si configura nella nostra Costituzione (Applausi dei deputati del gruppo misto-Rifondazione comunista-progressisti).

PRESIDENTE. Il seguito dell'esame del provvedimento è rinviato alla ripresa pomeridiana della seduta.

 

Si riprende la discussione dei progetti di legge costituzionale n. 4462 ed abbinati.

(Ripresa esame dell'articolo 6 - A.C. 4462)

ANTONIO SODA, Relatore per la maggioranza per i profili inerenti all'ordinamento regionale. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ANTONIO SODA, Relatore per la maggioranza per i profili inerenti all'ordinamento regionale. Signor Presidente, indubbiamente non replicherò a titolo personale all'intervento dell'onorevole Pisanu. Vorrei ribadire che il parere favorevole della Commissione al testo sulla sussidiarietà sociale è formulato con riferimento a tutto il dibattito che si è svolto nel paese. In particolare, la Commissione non ha ritenuto di ripetere in questa parte ordinamentale della Costituzione le espressioni «riconoscono e valorizzano le formazioni sociali» poiché questo principio è già affermato solennemente nell'articolo 2 della Costituzione; nella parte ordinamentale, la Commissione ha scelto la strada di utilizzare la parola «favorire» che deve essere intesa nel significato di promuovere e valorizzare.

La richiesta dell'onorevole Pisanu di confrontare il testo della Commissione con il suo emendamento è assolutamente lecita. Voglio soltanto evidenziare il dileggio dell'onorevole Pisanu con riferimento alla finalità di promozione e di favor costituzionale, che nel testo della Commissione si attribuisce alla Repubblica come garante degli interessi generali della collettività. L'espressione non ha nulla a che vedere con il clientelismo o con il favoritismo, come egli ha detto; peraltro, voglio far notare all'onorevole Pisanu che essa è contenuta nel testo che milioni di italiani hanno accolto quando hanno proposto l'introduzione di questo principio nella nostra Costituzione.

In sostanza, ribadisco quanto ho detto ieri mattina: mentre il riferimento al riconoscimento e alla valorizzazione, che è molto limitativo rispetto al termine «favorire», è contenuto nella prima parte della Costituzione, il riferimento alla necessità che la Repubblica in tutti i suoi organi (Stato, comuni, province, regioni e città metropolitane) non si limiti soltanto a valorizzare e a riconoscere, ma attui una politica di promozione e, quindi, di favor inteso come una valorizzazione attiva e non come un semplice riconoscimento, rappresenta il concetto di sussidiarietà come strumento di rinnovamento del welfare che era alla base e all'origine della scelta popolare per l'introduzione del principio nella Costituzione.

PRESIDENTE. Onorevole relatore, la invito ora ad esprimere il parere sugli emendamenti e subemendamenti presentati all'articolo 6.

ANTONIO SODA, Relatore per la maggioranza per i profili inerenti all'ordinamento regionale. In maniera sintetica, Presidente?

PRESIDENTE. La sintesi è sempre opportuna.

ANTONIO SODA, Relatore per la maggioranza per i profili inerenti all'ordinamento regionale. La Commissione esprime parere contrario su tutti gli emendamenti pubblicati fino a pagina 53 del fascicolo. La Commissione invita, poi, al ritiro dell'emendamento Boato 6.22 (Nuova formulazione), mentre esprime parere favorevole sui subemendamenti Boato 0.6.40.2 e 0.6.40.6 del Governo, nonché, ovviamente, sull'emendamento 6.40 della Commissione. Sui restanti emendamenti il parere è contrario.

PRESIDENTE. Il Governo?

ANTONIO MACCANICO, Ministro per le riforme istituzionali. Il Governo concorda con il parere espresso dal relatore.

PRESIDENTE. Onorevole Boato, accetta l'invito al ritiro del suo emendamento 6.22 (Nuova formulazione)?

MARCO BOATO. Signor Presidente, il mio emendamento 6.22 (Nuova formulazione) aveva la seguente logica: accogliere integralmente il testo della Commissione ed aggiungere il comma relativo al principio di sussidiarietà sociale. Siccome la Commissione ha poi «arricchito» il suo emendamento (adesso si aggiungerà anche il testo proposto dal Governo), ho presentato un subemendamento rispondente alla stessa logica; conseguentemente, il principio di sussidiarietà sociale è ora contenuto nel mio subemendamento 0.6.40.2, sul quale la Commissione ha espresso parere favorevole. Ritiro, pertanto, il mio emendamento 6.22 (Nuova formulazione).

PRESIDENTE. Sta bene.

ELIO VITO. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ELIO VITO. Signor Presidente, a questo punto chiedo di riferire il subemendamento Pisanu 0.6.22.7 all'emendamento 6.40 della Commissione.

PRESIDENTE. Sta bene.

GIUSEPPE CALDERISI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE CALDERISI. Signor Presidente, desidero formulare un'analoga richiesta solo per uno dei subemendamenti che avevo presentato all'emendamento Boato 6.22 (Nuova formulazione): chiedo che il mio subemendamento 0.6.22.5 venga riferito all'emendamento 6.40 della Commissione.

PRESIDENTE. Sta bene.

ROSANNA MORONI. Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ROSANNA MORONI. Signor Presidente, avanzo la stessa richiesta per il mio subemendamento 0.6.22.1.

PRESIDENTE. Sta bene.

Passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sul testo alternativo del relatore di minoranza, onorevole Fontan, non accettato dalla Commissione né dal Governo.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti e votanti 356

Maggioranza 179

Hanno votato 128

Hanno votato no 228).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Volontè 6.1, non accettato dalla Commissione né dal Governo.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 347

Votanti 346

Astenuti 1

Maggioranza 174

Hanno votato 124

Hanno votato no 222).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Peretti 6.27, non accettato dalla Commissione né dal Governo.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 359

Votanti 358

Astenuti 1

Maggioranza 180

Hanno votato 125

Hanno votato no 233).

A questo punto, colleghi, dei subemendamenti presentati all'emendamento Boato 6.22 (Nuova formulazione) restano in piedi i subemendamenti Calderisi 0.6.22.5, Pisanu 0.6.22.7 e Moroni 0.6.22.1, che però vanno riferiti all'emendamento 6.40 della Commissione.

Passiamo ora alla votazione del subemendamento Calderisi 0.6.22.5, che assume la nuova numerazione 0.6.40.7.

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Calderisi. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE CALDERISI. Signor Presidente, la questione è stata già affrontata nel corso di questo dibattito, ma credo sia necessario un intervento perché i testi a confronto ci forniscono ulteriori elementi di chiarezza e consapevolezza di ciò che stiamo votando. Prendo come riferimento l'emendamento 6.40 della Commissione - o l'emendamento Boato 6.22 (Nuova formulazione) -, nel quale viene formulato il principio di sussidiarietà cosiddetta istituzionale o verticale.

Voglio sottoporre all'attenzione dei colleghi il modo in cui è stato formulato questo principio contenuto nell'emendamento 6.40 della Commissione, che è del seguente tenore: «Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che (...)». Vengono poi riportate le ragioni per le quali possono essere attribuite ad enti di livello maggiore per motivi legati appunto al principio di sussidiarietà, a problemi di adeguatezza, all'esercizio unitario delle funzioni e via dicendo. Ripeto, quindi, che il principio di sussidiarietà verticale o istituzionale afferma che le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni salvo che... Non si dice, colleghi Soda e Boato, che lo Stato favorisce l'attribuzione ai comuni delle funzioni amministrative, come voi pretendete di scrivere il principio di sussidiarietà! È un'altra cosa quanto è stato scritto nel subemendamento Boato sulla sussidiarietà, là dove si parla di favorire l'autonoma iniziativa dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base dei principi di sussidiarietà. È una previsione diversa, di portata ben diversa da quella con la quale viene invece formulato il principio di sussidiarietà mutuandolo con lo stesso tipo di impostazione che si dà alla sussidiarietà verticale: le attività vengono svolte dai privati o dalle formazioni sociali; se non saranno in grado di svolgere queste funzioni, allora interverranno i vari enti, i diversi livelli quando ciò si renda necessario. Tuttavia, vi è un limite, un ambito nel quale appunto la mano pubblica, i pubblici poteri non intervengono!

Credo che questo principio sia più che chiaro e che rappresenti una ragione di fondo di differenza.

PRESIDENTE. Onorevole Calderisi, deve concludere.

GIUSEPPE CALDERISI. Avviandomi alla conclusione, vorrei ricordare che la Commissione ha respinto anche alcune formulazioni che avevamo proposto; mi riferisco ad esempio al mio emendamento 5.105, che così recitava: «I servizi pubblici a domanda individuale sono resi, di norma, da una pluralità di produttori. Lo Stato e gli enti pubblici territoriali assicurano, ovunque possibile, la libera scelta dei cittadini». Avete quindi respinto pure delle formulazioni di questa natura!

Credo quindi che vi sia proprio una diversità profonda di scelte e di impostazioni e che questo confronto sia quanto mai utile per comprendere proprio la diversa impostazione delle posizioni degli schieramenti politici.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Migliori. Ne ha facoltà.

RICCARDO MIGLIORI. Signor Presidente, colleghi, sarò molto breve perché ormai abbiamo chiarito quali siano i termini della questione e soprattutto le interpretazioni diverse - non oserei dire alternative - che ruotano attorno al concetto di sussidiarietà in quest'aula.

Vi è però una questione terminologica che per noi è sostanziale. Lo dico adesso parlando dell'emendamento del collega Calderisi, che peraltro voteremo, che si riferisce all'intervento che nella seduta di ieri ha svolto sul punto il collega Soda. Quest'ultimo ha richiamato, non a caso, una petizione che nel nostro paese ha riscosso un grande successo e che è tesa - non a caso: si dice almeno ufficialmente - ad essere recuperata in questo testo. I termini specifici e precisi contenuti in quella petizione sono relativi ad un riconoscimento e ad una valorizzazione e non, come si legge in questo emendamento, a favorire l'autonomia di iniziativa dei cittadini singoli o associati.

Voglio dire con grande chiarezza che, se si vuole sul serio dare una risposta a quella petizione, si deve, per coerenza, tenere fermi, e non solo dal punto di vista terminologico, questi riferimenti che chiariscono cosa il mondo del volontariato, il mondo dell'associazionismo e quello del terzo settore intendano per sussidiarietà: un qualcosa di diverso, frutto dell'iniziativa del privato sociale al quale va riconosciuto l'interesse e la rilevanza pubblica di ciò che viene svolto. È cosa diversa, onorevoli colleghi, dall'interpretazione di mercato sfrenato e di liberismo senza controlli e di capitalismo rampante che i colleghi della sinistra - un po' propagandisticamente - ci hanno dichiarato più volte nel corso delle giornate di lavoro su questo testo.

Spero che i colleghi della Commissione riflettano se vogliono il consenso anche dell'opposizione in un clima autenticamente costituente su questo punto, ma, se preferiscono privilegiare le ragioni di schieramento rispetto alle ragioni complessive dell'Assemblea, mantengano quel testo che hanno approvato e che è figlio di una mediazione all'interno della maggioranza: non potranno ottenere il nostro voto e, a mio avviso, si perderà un'altra occasione importante e significativa per votare a grande maggioranza un emendamento a favore della sussidiarietà e non di qualcosa di diverso rispetto all'interpretazione autentica della sussidiarietà secondo gli intenti e le dichiarazioni degli attori responsabili e principali della sussidiarietà nel nostro paese.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sul subemendamento Calderisi 0.6.40.7 (ex 0.6.22.5), non accettato dalla Commissione né dal Governo.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 388

Votanti 384

Astenuti 4

Maggioranza 193

Hanno votato 139

Hanno votato no 245).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sul subemendamento Fontan 0.6.40.3, non accettato dalla Commissione né dal Governo.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 382

Votanti 378

Astenuti 4

Maggioranza 190

Hanno votato 147

Hanno votato no 231).

Passiamo alla votazione del subemendamento Pisanu 0.6.40.8 (ex 0.6.22.7).

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pagliarini. Ne ha facoltà.

GIANCARLO PAGLIARINI. Signor Presidente, se possibile, cercherei di mettere i piedi per terra in quest'aula e di fare un ragionamento molto pragmatico. Perché chiediamo di approvare questo subemendamento secondo il quale la mano pubblica dovrebbe esercitare solo le attività che non possono essere svolte dai privati? Siamo pratici! Oggi, lo Stato rende dei servizi ai cittadini, però li rende in regime di monopolio. Tutti sanno che quando vi è un monopolio c'è inefficienza. Se il mio amico Mussi, per fare un esempio, fosse l'unico macellaio del Lazio, avrebbe il monopolio. Farebbe i quattrini, ma venderebbe carne pessima a prezzi altissimi. È il monopolio!

Lo Stato, nel rendere i servizi ai cittadini lo fa in regime di monopolio. Ecco perché chiediamo di cambiare. Capite?

È evidente: vi è un servizio da dare ai cittadini che lo Stato rende con i suoi dipendenti e costa cento lire, ma lo stesso identico servizio, con la stessa qualità, viene reso dal privato a ottanta lire. Facciamolo allora rendere dal privato, così risparmiamo 20 lire e possiamo aumentare le pensioni minime, costruire delle strade o far funzionare meglio le scuole perché risparmiamo dei quattrini (Commenti del deputato Edo Rossi) oppure, a parità di spesa, potremo ottenere una maggiore qualità.

Si tratta dunque di eliminare il monopolio dello Stato. Ho sentito dire dai colleghi della sinistra che non è etico che i privati intervengano e traggano dei profitti nel rendere i servizi ai cittadini. Ma, scusate, chi se ne frega se traggono dei profitti, l'importante è che i servizi siano resi nel modo migliore e con il miglior rapporto costo-qualità. Vi chiedo dunque di lasciare un po' da parte le ideologie e di essere pratici. Infatti, è assolutamente necessario eliminare il monopolio dello Stato nel rendere i servizi ai cittadini. Mi sembra di tutta evidenza. Chi se ne frega se un privato, nel rendere questi servizi, ci guadagna: basta che li renda bene e che ci costi meno di quello che ci costa se lo facciamo noi. Facciamolo fare a lui (Commenti del deputati Edo Rossi)!

Vi chiedo dunque di lasciare da parte ideologie che ormai non hanno più senso e di essere pratici e concreti, altrimenti continueremo a peggiorare la qualità della vita dei cittadini perché i servizi non sono buoni (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Sestini. Ne ha facoltà.

GRAZIA SESTINI. Signor Presidente, annuncio il voto favorevole del gruppo di Forza Italia su questo subemendamento. Abbiamo parlato molto di questi temi e non voglio tornarvi. Concordo con quello che ha detto testé l'onorevole Pagliarini. Vorrei fare una raccomandazione e una proposta.

La raccomandazione è la seguente: se il problema riguarda il dubbio che con la nostra idea di sussidiarietà lo Stato in qualche modo ci perda, vi prego di liberarvi da tale dubbio, perché in realtà lo Stato riguadagna tutte le sue prerogative di controllo. Scusate la provocazione: insomma, se lo Stato smettesse di gestire i servizi alla persona e, per esempio, si dedicasse di più a materie come la sicurezza, la politica estera e tante altre che noi prevediamo rimangano in capo allo Stato, non sarebbe più utile per tutti?

Con questi emendamenti, di fatto, vogliamo liberare lo Stato da prerogative che non sono sue storicamente perché, come ha detto il presidente Pisanu stamattina, appartengono prima ai cittadini: gli ospedali sono stati inventati prima di qualunque forma di Stato (Commenti del deputato Delbono). Tra l'altro, ho citato appositamente la politica estera, che è un tema nazionale su cui siete molto deficitari! Avanzo allora una proposta, che riguarda non tanto il subemendamento in esame quanto il successivo subemendamento Boato 0.6.40.2: il problema, come ormai abbiamo capito, riguarda il verbo «favoriscono», di cui sono state date talmente tante interpretazioni che lo stesso nuovo dizionario del ministro De Mauro «impallidirebbe». Proponiamo, quindi, di sostituire la parola «favoriscono» con le parole «riconoscono e valorizzano», che corrispondono esattamente al contenuto della petizione tanto sottolineata questa mattina. Con tale sostituzione, quel subemendamento diventa per noi accoglibile.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sul subemendamento Pisanu 0.6.40.8 (ex 0.6.22.7), non accettato dalla Commissione né dal Governo.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 411

Votanti 408

Astenuti 3

Maggioranza 205

Hanno votato 156

Hanno votato no 252).

Il subemendamento Moroni 0.6.22.1 è inammissibile.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sul subemendamento Volonté 0.6.40.1, non accettato dalla Commissione né dal Governo.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 421

Votanti 418

Astenuti 3

Maggioranza 210

Hanno votato 158

Hanno votato no 260).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sul subemendamento 0.6.40.6 del Governo, accettato dalla Commissione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).

(Presenti 424

Votanti 413

Astenuti 11

Maggioranza 207

Hanno votato 243

Hanno votato no 170).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sul subemendamento Fontan 0.6.40.4, non accettato dalla Commissione né dal Governo.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 421

Votanti 416

Astenuti 5

Maggioranza 209

Hanno votato 164

Hanno votato no 252).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sul subemendamento Fontan 0.6.40.5, non accettato dalla Commissione né dal Governo.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera respinge (Vedi votazioni).

(Presenti 414

Votanti 411

Astenuti 3

Maggioranza 206

Hanno votato 153

Hanno votato no 258).

Passiamo alla votazione del subemendamento Boato 0.6.40.2.

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Migliori. Ne ha facoltà.

RICCARDO MIGLIORI. Signor Presidente, sia io sia la collega Sestini abbiamo chiesto ai relatori un giudizio sulla possibilità di sostituzione della parola «favoriscono» con le parole «riconoscono e valorizzano»: se il collega Soda, che in altre occasioni ci ha cortesemente risposto, può farlo anche a questo riguardo, gliene saremo grati, insieme ritengo all'intera Assemblea, in quanto capiremo se vi è un motivo per il quale non si vogliono i voti della Casa delle libertà sul subemendamento in esame. Abbiamo detto che il riferimento alla petizione cui lo stesso relatore ha fatto riferimento ieri ci convince, per cui abbiamo ripreso il testo della petizione...

MARCO BOATO. C'è scritto «favorisce».

RICCARDO MIGLIORI. Rileggiamola, l'abbiamo qui, forse ne abbiamo un'altra? Vorremmo capire se si tratta di un errore di stampa o invece di una valutazione politica.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Sestini. Ne ha facoltà.

GRAZIA SESTINI. Signor Presidente, abbiamo tutti lo stesso documento, chiariamo definitivamente la questione. Tutti abbiamo a disposizione due documenti, dei quali uno è la copia della petizione - vedo il ministro Turco che è uno dei firmatari e la ringrazio per questo - firmata da un milione e mezzo di cittadini e da membri di questo Governo che è stata consegnata ai Presidenti di Camera e Senato. Al punto 4, il testo contiene il termine «favorire», ma nell'espressione «favorire forme di finanziamento diretto dei servizi gestiti». Per quanto riguarda la parte riguardante i principi, si parla di «riconoscimento» e di «valorizzazione». Onorevole Soda, il testo dell'emendamento, che le è stato consegnato durante un'audizione, dice esattamente la stessa cosa; infatti, si dice: «La Repubblica garantisce l'esercizio della libertà e dei diritti costituzionalmente protetti, favorisce la libera organizzazione dei cittadini». Tuttavia, lei, di fatto, ha trasferito il termine «favorisce» all'ultimo capoverso dell'emendamento che le era stato presentato dove c'è scritto «riconoscono e favoriscono». Non stiamo parlando del finanziamento, ma dei principi, e vogliamo che le associazioni, quelle create dai cittadini, siano riconosciute e favorite dal punto di vista del reperimento delle risorse. Si tratta di due concetti completamente diversi: avete tagliato da una parte e incollato dall'altra. Scusatemi, ma ciò mi ha ferito profondamente, perché anche io ho firmato i suddetti documenti, così come tanti in quest'aula, ma mi ha ferito soprattutto il fatto che membri del Parlamento compiano operazioni di questo tipo (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia).

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento Boato 0.6.40.2, accettato dalla Commissione e dal Governo.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).

(Presenti 416

Votanti 414

Astenuti 2

Maggioranza 208

Hanno votato 258

Hanno votato no 156).

Prendo atto che i colleghi Galdelli e Brunetti in quest'ultima votazione hanno espresso un voto contrario, mentre intendevano votare a favore.

Passiamo alla votazione dell'emendamento 6.40 della Commissione.

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cè. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO CÈ. Signor Presidente, credo che questo sia il punto cruciale della discussione sul provvedimento in esame, che è tutto meno che federalismo. Abbiamo già affrontato tale aspetto all'articolo 2 e oggi lo ritroviamo a questo punto; non vi è alcuna volontà di inserire nel testo i principi fondamentali che sono alla base di qualsiasi Costituzione che possa definirsi federale, nemmeno il principio di sussidiarietà verticale che viene clamorosamente smentito dall'emendamento 6.40 della Commissione, nel quale non si parla di sussidiarietà delle funzioni legislative regolamentari, ma di sussidiarietà solo delle funzioni amministrative che è tutt'altro rispetto al concetto riconosciuto. A tale proposito devo smentire quanto affermato dal collega Acquarone nel suo ultimo intervento, quando ha detto che il concetto di federalismo è abbastanza confuso a livello internazionale perché non è assolutamente così: esso è stato perfettamente chiarito. Nella sussidiarietà verticale vanno destinate le competenze di tipo legislativo e non di tipo amministrativo; da questo punto di vista il provvedimento in esame è una legge truffa che, per l'ennesima volta, inganna i cittadini. Il significato della sussidiarietà verticale non è un'invenzione, è un significato profondo perché dovrebbero essere le comunità più vicine ai cittadini a svolgere determinate funzioni. Innanzitutto, perché è un diritto di libertà fondamentale, di democrazia; in secondo luogo, perché conoscono esattamente le esigenze dei cittadini; in terzo luogo, perché esiste una perfetta coincidenza fra chi determina l'imposizione fiscale e chi ha la titolarità delle decisioni rispetto a ciò che bisogna fare con i soldi prelevati ai cittadini. La diretta conseguenza di ciò è il principio di responsabilità, secondo il quale è perfettamente individuabile colui che, delegato dai cittadini, cura i servizi ad essi destinati.

Questo è il concetto base che guida la sussidiarietà verticale. Di questa discussione in aula non si è fatto nemmeno cenno.

Per quanto riguarda poi l'altro aspetto affrontato dal subemendamento Boato, che riguarda la sussidiarietà orizzontale, vorrei ricordare che nell'articolo 2 della Costituzione viene sancito come diritto inviolabile del cittadino quello di esercitare la propria iniziativa, che può essere politica, civile, sociale ed economica, all'interno delle formazioni sociali. Pertanto, nella prima parte della Costituzione si dice chiaramente che deve esistere la sussidiarietà orizzontale.

È inutile che i Popolari, attraverso l'intervento della Jervolino ed anche con l'intervento dell'onorevole Bindi che ho letto oggi su Il Popolo, continuino a ripeterci che il concetto giusto di sussidiarietà orizzontale è che lo Stato continui a gestire i servizi. Si tratta di una visione comunista, distorta, accentratrice e statalista che tende a conservare una concezione corrotta del potere, mantenendo il potere al centro per garantirsi nel tempo le clientele, la corruzione, lo spreco di denaro pubblico. Su questo bisogna essere assolutamente chiari.

Pertanto, se vogliamo effettivamente... (Commenti del deputato Delbono). Tu smettila, Delbono, sennò una volta vengo lì e ti do due schiaffoni (Commenti dei deputati del gruppo dei Popolari e democratici-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Onorevole Cè!

ALESSANDRO CÈ. Sembra che il più «intelligentino»...

PRESIDENTE. Onorevole Cè, parli al Presidente (Commenti del deputato Delbono).

ALESSANDRO CÈ. Allora, prendi il microfono, ti alzi e rispondi. Hai capito?

PRESIDENTE. Onorevole Cè, la prego. Ieri il collega Pagliarini ha detto che siete tutti sorridenti.

ALESSANDRO CÈ. Non è possibile; tutte le volte è il «sapientino» ...

Se vogliamo realizzare effettivamente la sussidiarietà orizzontale, come è giusto che sia, poiché esiste nella prima parte della Costituzione, dobbiamo scrivere «riconosce e garantisce l'iniziativa dei singoli, delle famiglie e delle comunità» (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giovanardi. Ne ha facoltà.

CARLO GIOVANARDI. Signor Presidente, intervengo soltanto per riconfermare che il mancato accoglimento o, peggio, l'introduzione... (Commenti del deputato Delbono).

ALESSANDRO CÈ. Delbono, parla al microfono!

PRESIDENTE. Onorevole Cè! Onorevole Pagliarini, un sorriso da quelle parti (Commenti del deputato Cè). Onorevole Cè, la richiamo all'ordine per la prima volta!

ALESSANDRO CÈ. Delbono, imbecille, che non hai mai fatto niente nella tua vita!

EMILIO DELBONO. Ma che vuoi?

PRESIDENTE. Onorevole Cè, la richiamo all'ordine per la seconda volta (Scambio di apostrofi tra i deputati Cè e Delbono). Onorevole Pagliarini! ...Ringrazio il collega Borghezio che è intervenuto. Andiamo avanti. Onorevole Borghezio, stia lì e non si muova.

Prego, onorevole Giovanardi.

CARLO GIOVANARDI. Signor Presidente, volevo sottolineare come noi consideriamo particolarmente grave il combinato disposto della normativa introdotta dal subemendamento precedente, riguardante la solidarietà orizzontale, e quella che verrà introdotta con l'emendamento in discussione, riguardante la solidarietà verticale, per il mancato riconoscimento della sussidiarietà. Infatti, il principio in base al quale - attenzione, diciamo noi - i diritti dei singoli, delle imprese, delle famiglie e delle formazioni sociali vengono prima dei diritti dello Stato, e cioè che lo Stato ed il pubblico devono riconoscere la libertà di questi soggetti, non è passato. Questo riconoscimento non viene inserito in Costituzione; viene usato il termine più che ambiguo di «valorizzazione», ma la valorizzazione di che cosa?

L'onorevole Jervolino ieri ci ha spiegato bene che anche la valorizzazione deve fare riferimento soltanto alle iniziative che non hanno scopo di lucro. È una tesi che non solo mi meraviglia, ma mi sconcerta, perché credevo e continuo a credere fermamente che i singoli, le famiglie, le imprese, le formazioni sociali debbano operare ed anzi che uno dei maggiori contributi allo sviluppo sociale ed economico di questo paese sia stato dato proprio dai singoli, dalle famiglie, dalle imprese familiari. Queste, con il loro lavoro, sono riuscite a creare reddito anche nell'ottica di una giusta retribuzione per le famiglie e per le imprese, permettendo così quella crescita sconosciuta nei paesi socialisti che ha favorito l'attuazione di politiche sociali. Ora non soltanto la sinistra e i Popolari bocciano questo riconoscimento ma ieri l'onorevole Jervolino ha dato un'interpretazione autentica in base alla quale il principio di sussidiarietà dovrebbe riguardare soltanto le iniziative senza scopo di lucro. È un bel passo indietro rispetto ad una realtà che ogni giorno trova ampi riconoscimenti nell'attività svolta in questo paese da quegli imprenditori che hanno voglia di investire, di creare lavoro di contribuire alla crescita del nostro paese. Quando poi si passa ai principi, quando si devono determinare nella Costituzione i limiti e gli ambiti dei rapporti tra il pubblico e queste realtà sottostanti, il Parlamento si rifiuta di riconoscere ai privati, alle famiglie, alle imprese e alle formazioni sociali il diritto di agire senza permessi, condizionamenti o comunque concessioni o autorizzazioni da parte del settore pubblico. Il verbo «favorisce» significa anche atteggiamenti di favore: favorisco te ma non favorisco un altro, mentre se il mio diritto è riconosciuto, non è più il settore pubblico a favorire l'iniziativa ma la deve riconoscere in quanto tale e, nel caso sia insufficiente, intervenire.

Questi voti, signor Presidente, rappresentano un arretramento culturale e politico molto preoccupante e non in sintonia, come la collega Sestini ha dimostrato, con la richiesta proveniente dalla società civile.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Soro. Ne ha facoltà.

ANTONELLO SORO. Signor Presidente, abbiamo colto in questa discussione più di una volta la nostra opinione in merito ad un aspetto non secondario del dibattito che si è aperto in Parlamento in questi giorni in merito ad una legge di riforma che consideriamo molto importante e non una «riformetta». La nostra posizione non va spiegata per la prima volta perché lo ha già fatto l'onorevole Jervolino, l'onorevole Acquarone e lo hanno fatto a lungo in Commissione bicamerale e in questa sede gli onorevoli Cananzi e Cerulli Irelli, che di questo provvedimento è anche relatore. Non abbiamo mai pensato a questa riforma come ad una occasione, una tribuna, un palco dal quale distendere le nostre bandiere per una qualche improbabile propaganda di idee non sempre fresche; abbiamo pensato a questa legge come ad una grande riforma per disegnare di nuovo la dislocazione dei poteri all'interno del nostro ordinamento, per allargare l'area della partecipazione e della responsabilità dei cittadini. Questo è stato l'obiettivo che ha animato la maggioranza ed il mio partito nel partecipare ad uno sforzo di riforma che è importante per gli obiettivi che si propone, per il metodo seguito, per la ricerca di un concorso più largo della maggioranza, che non può mai coincidere però con la pretesa - da parte della maggioranza stessa - di un diritto di veto o di una titolarità esclusiva nel proporre la formulazione della legge di riforma. In questa logica noi abbiamo affrontato il problema della sussidiarietà, consapevoli e in qualche modo fortemente convinti della giustezza e della lungimiranza del legislatore costituente che, scrivendo gli articoli 2 e 3 della Costituzione, ha affermato principi che intendiamo difendere e conservare. Per questo abbiamo respinto un emendamento che si proponeva non già di aggiornare e di ridisegnare le forme di attuazione di quei principi, bensì di stravolgere un principio che è l'essenza degli articoli 2 e 3 della Costituzione. Pensiamo che l'obiettivo di fondo del nostro ordinamento, della nostra Costituzione e della nostra Repubblica sia la missione di riconoscere, difendere e garantire i diritti di libertà dei cittadini, a cominciare dal diritto di cittadinanza degli italiani, nonché l'impegno a rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla piena attuazione e al pieno dispiegarsi della cittadinanza attiva e responsabile degli italiani.

La Repubblica non crea diritti; li riconosce e li tutela. Non esiste una questione di primato dello Stato nei confronti della società, così come oggi è stata posta. Mi riferisco ad un primato dello Stato sulle famiglie, sulle persone e sull'uomo. Esiste un principio di responsabilità che impegna le istituzioni democratiche a favorire lo sviluppo della persona nella pluralità delle sue articolazioni.

Questo testo non sostituisce gli articoli 2 e 3 della Costituzione, ne è semmai lo sviluppo coerente e moderno rispetto ad una società che è cambiata anche nella ricchezza di espressione delle formazioni sociali e nel protagonismo nuovo dei cittadini. Ritengo si sia posto in modo non proprio il rapporto tra il pubblico e il privato. Non siamo per una contrapposizione tra pubblico e privato o per una concezione negativa che esalti o neghi il primato di una dimensione sull'altra: le istituzioni svolgono le funzioni loro proprie, con il limite di rispettare le attività che possono essere svolte dai cittadini e dalle formazioni sociali in un rapporto dinamico, agile e cooperativo, non conflittuale.

L'idea che abbiamo delle istituzioni democratiche nella nostra Repubblica probabilmente non coincide con quella oggi espressa dall'onorevole Pisanu: non è il luogo del potere, ma un potere che sostiene e favorisce lo sviluppo della persona. È cosa diversa rispetto a quello che oggi abbiamo ascoltato. Il termine «favorire» non significa dispensare favori o assecondare clientele, ma concerne l'assunzione di una responsabilità che è il sale della nostra democrazia. Non condividiamo la pretesa di una competizione tra la società e le istituzioni democratiche. Questa idea di competizione maschera forse il desiderio di rimozione della funzione di regola e di garanzia che spetta allo Stato, alle regioni e alle autonomie locali per affidare lo sviluppo della persona ed il destino dei cittadini ad una selezione priva di regole. Non vogliamo uno Stato onnipresente ed intrusivo, né uno Stato che comprima le libertà, ma neppure uno Stato inteso come dimensione contemplativa che, vigilando da lontano sui conflitti e sulle diseguaglianze, rinunci alla missione di ostacolare le differenze e di rimuovere gli ostacoli che impediscono lo sviluppo della persona.

Un moderno principio di sussidiarietà non può avere i caratteri del centralismo totalizzante, ma non può coincidere con la dimensione passiva ed indifferente che affida alla competizione tra le forze sociali il compito di garantire il diritto fondamentale della persona. Siamo contrari all'idea che il mercato possa sostituire...

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Soro, ma dovrebbe avviarsi a concludere.

ANTONELLO SORO. Sto per concludere, signor Presidente. Siamo contrari all'idea che il mercato possa sostituire il vincolo della solidarietà tra i cittadini ed i livelli di autonomia. Ognuno interpreta la propria ispirazione come crede. Noi abbiamo cercato di farlo in questa legislatura e pensiamo di essere coerenti con le ragioni che abbiamo illustrato ai nostri elettori. Riteniamo che la sussidiarietà abbia come orizzonte il bene comune in un concorso di responsabilità e di cooperazione. Altri possono avere legittimamente un'idea differente: essi l'hanno esposta in quest'aula e noi la rispettiamo. Tuttavia, pretendiamo rispetto anche per le nostre opinioni e non accogliamo i toni offensivi che abbiamo colto in questi giorni. La nostra esperienza politica in questi anni si è snodata nella ricerca, non sempre facile, non sempre banale, di una coerenza tra le scelte della politica e la nostra ispirazione. Facciamo un paragone sempre franco e trasparente tra le nostre ragioni ideali ed i nostri comportamenti, ma lezioni di coerenza non possono venirci dall'onorevole Pisanu oggi, dall'onorevole Guarino ieri o da altri colleghi, che con noi hanno avuto parti di storia in comune, ma le cui scelte consideriamo davvero lontane dalle ragioni che hanno reso palese la nostra ispirazione ideale. Per questi motivi abbiamo voluto in questa legge sostenere, insieme alle ragioni di una nuova articolazione dello Stato...

PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Soro, deve davvero concludere.

ANTONELLO SORO. ...anche il principio della sussidiarietà contenuto negli articoli 2 e 3 della Costituzione, ma espresso oggi attraverso l'emendamento Boato in un modo più moderno e coerente (Applausi dei deputati del gruppo dei Popolari e democratici-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Vito. Ne ha facoltà.

ELIO VITO. Signor Presidente, io capisco che l'onorevole Soro abbia sentito l'esigenza di precisare e di giustificare la posizione del suo gruppo e del suo partito di fronte alle votazioni che ci sono state oggi pomeriggio - e per la verità anche nella giornata di ieri - e di fronte al voto che stiamo per esprimere su questo emendamento; di fronte, cioè, alla vanificazione ed alla negazione dell'introduzione del principio della sussidiarietà sociale nella nostra Costituzione, negazione e vanificazione che avvengono anche ad opera di quel gruppo dei popolari che pure, come abbiamo sentito, rivendica una propria presunta coerenza con questi principi; a parte il fatto che è ben strano che in questo Parlamento si litighi sui testi, sul significato da attribuire alle parole, quando queste hanno una loro forza, che deriva dalla loro evidenza. Il principio di sussidiarietà che noi abbiamo proposto di inserire nella Costituzione, e che anche i popolari hanno impedito che vi fosse inserito, era semplicemente il riconoscimento dell'autonoma iniziativa dei privati e delle formazioni della società civile da parte dello Stato e degli enti locali e l'affermazione che lo Stato e gli enti locali riconoscono che il loro intervento deve avvenire solo laddove sia più efficace di quello dei privati e delle formazioni in cui questi liberamente si organizzano.

Sono stati richiamati gli articoli 2 e 3 della Costituzione, che non c'entrano nulla con il principio di sussidiarietà: essi riconoscono i diritti degli individui e delle formazioni sociali e richiamano il dovere alla solidarietà sociale, ma evidentemente questi principi, che appartengono a ciascuno di noi, non c'entrano con il riconoscimento da parte dello Stato - e del Parlamento, in questo momento - che occorre garantire il primato della società civile, dell'iniziativa degli individui e delle organizzazioni sociali in cui gli individui si riconoscono, e che solo in un secondo momento interviene lo Stato.

L'emendamento che ci si ostina a voler presentare come riferito alla sussidiarietà, è di per se stesso la negazione della sussidiarietà, perché si fonda sul principio...

MARCO BOATO. La negazione? La negazione?

ELIO VITO. La negazione, certo, perché si fonda sul principio che lo Stato favorisce - ha detto bene il collega Giovanardi - alcune iniziative private, che hanno particolari caratteristiche, cosa che giustamente ieri difendeva, in base alla sua tradizione, anche la presidente Jervolino. Quindi, non ha nulla a che vedere con il principio di sussidiarietà, con l'intento di lasciare libere l'iniziativa privata e la società civile e di riconoscere che l'intervento dello Stato e degli enti locali è solo successivo e conseguente alla constatazione che possa avere maggiore efficacia. Favorire un certo tipo di iniziativa privata che ha delle caratteristiche di interesse generale non ha nulla a che vedere con la sussidiarietà, che significa riconoscere il primato dell'iniziativa dei privati e della società civile e che lo Stato deve fare un passo indietro rispetto all'iniziativa privata, laddove questa sia più efficace di quella pubblica.

Voglio concludere, signor Presidente, con un richiamo alla coerenza, che spesso ci viene da parte dei popolari e soprattutto, direi anche con particolare accanimento, da parte del collega Soro.

Noi non accettiamo i richiami alla coerenza da parte di chi è collocato in uno schieramento politico che nell'attualità della tradizione europea è all'opposto della tradizione popolare.

GIOVANNI CREMA. Sei stato un radicale e anticlericale fino a ieri!

ELIO VITO. Noi non accettiamo, collega Soro, richiami alla coerenza da chi oggi, per approvare questo testo, è dovuto pervenire ad un compromesso con la formazione comunista che è al Governo (Applausi dei deputati del gruppo di Forza Italia)! Noi non accettiamo richiami alla coerenza da chi oggi fa parte della maggioranza insieme a formazioni politiche che si oppongono allo schieramento dell'onorevole Soro a livello europeo, creando una gravissima contraddizione all'interno del partito popolare europeo!

ANTONIO SODA, Relatore per la maggioranza per i profili inerenti all'ordinamento regionale. Radicale! Anticlericale! Pensa alla tua storia! Sei stato anticlericale fino a ieri con Pannella e con Fortuna!

ELIO VITO. Mi riferisco a chi ha operato uno strappo con la tradizione popolare, a chi ha stretto un'alleanza innaturale per quella tradizione e a chi oggi è costretto a votare e a difendere provvedimenti che sono frutto di un compromesso al ribasso raggiunto con le formazioni della sinistra e dell'estrema sinistra della maggioranza. Questo è il punto, collega Soro.

Capisco che si avverta l'esigenza di doversi giustificare e di dover giustificare in aula la propria posizione, ma la realtà è che tale posizione è incoerente e rappresenta la negazione del principio di sussidiarietà e dei principi di solidarietà sociale ai quali, invano, si cerca di far riferimento, mentre li si tradisce concretamente con l'alleanza stipulata e che oggi viene rivendicata, nonché con i voti che vengono espressi in quest'aula (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia e di Alleanza nazionale).

ROSA JERVOLINO RUSSO, Presidente della I Commissione. È solo comico!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Moroni. Ne ha facoltà.

ROSANNA MORONI. Signor Presidente, credo che tutta l'Assemblea riconosca all'onorevole Vito una grande esperienza, una grande capacità e una grande bravura. Pertanto, è con estrema umiltà che mi permetto di suggerirgli di rileggersi anche solo una parte del resoconto stenografico dell'altro ieri per farsi almeno una pallida idea della varietà di interpretazioni che vengono date, all'interno della Casa delle libertà, in materia di sussidiarietà sociale. Gli consiglierei di rileggersi, ad esempio, l'interpretazione fornita dal presidente di gruppo della Lega - facente parte della Casa delle libertà - in sede di Commissione Affari costituzionali: «Il sistema pubblico, gli enti pubblici e lo Stato devono dismettere, non decidere, lasciar fare ai privati, alle libere associazioni e così via». Lo invito a riflettere insieme ai colleghi di Alleanza nazionale.

VALENTINA APREA. Siamo d'accordo!

ELIO VITO. Siamo perfettamente d'accordo!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Luciano Dussin. Ne ha facoltà.

LUCIANO DUSSIN. Signor Presidente, vorrei ricordare all'onorevole Soro, il quale afferma che il diritto di libertà dei cittadini è garantito, a suo dire, dall'attuale testo del provvedimento, che libertà vuol dire soprattutto tutela della sicurezza dei cittadini, la prima cosa che essi chiedono. Questa riforma, invece, va contro la gestione della sicurezza a livello regionale, questione molto cara e portata avanti dal gruppo della Lega nord Padania.

Voi popolari volete imporre la sicurezza di Stato, ma io vedo come oggi lo Stato si comporta per tutelare i vostri cittadini. Il prefetto di Padova - vostro padrone - ha rilasciato un'intervista in cui afferma: «Per la sicurezza dei cittadini: chiudete bene le porte. Niente panico, ma non si potrà più pretendere la stessa sicurezza di dieci anni fa». Questo è quanto afferma un rappresentante dello Stato a cui voi intendete lasciare la gestione della sicurezza, violando i diritti di salvaguardia del cittadino (Commenti dei deputati del gruppo Popolari e democratici-l'Ulivo). Questi sono i diritti di libertà che sostenete!

ANGELO MUZIO. Ci siete stati anche voi al Ministero dell'interno!

LUCIANO DUSSIN. È quindi evidente che vi fa paura la gestione regionale della sicurezza, ma continuate a proporre di farla gestire a chi, pagato dallo Stato, suggerisce ai cittadini di chiudere le porte (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania)!

PRESIDENTE. È comunque un contributo per la sicurezza: non è decisivo, ma può servire.

DIEGO ALBORGHETTI. Smettila di replicare!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Guidi. Ne ha facoltà.

Le ricordo che ha due minuti a disposizione.

ANTONIO GUIDI. Signor Presidente, vorrei chiarire che si sta cercando di mascherare la realtà. Non ci sono due concetti di sussidiarietà che si contrappongono, ma una sussidiarietà che, nonostante tutta la complessità della sua interpretazione, conferisce libertà di scelta, di aggregazione e di intervento ai cittadini e una parte dei parlamentari della maggioranza che propone lo Stato e soprattutto la burocrazia, che autofinanzia se stessa, in un simulacro di sussidiarietà. Questo va detto! Credo non si possa barare sulla realtà attuale perché è una realtà difficile e sofferta; la gente si trova sempre più in difficoltà. Mai come adesso occorre dar fiducia ai cittadini nella libera interpretazione della solidarietà che lo Stato controlla ma non gestisce. Questa è la vera sussidiarietà! Il resto è una riproposizione su termini diversi e raccogliticci di una sussidiarietà che non c'è e che è il solito ed eterno statalismo burocratico che non regge, non ha retto e non reggerà.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fei. Ne ha facoltà.

SANDRA FEI. Presidente, parlerò a titolo personale. Dopo aver ascoltato quanto ieri è stato detto, è nato in me spontaneo il desiderio di un chiarimento nella nostra Costituzione a proposito del principio di sussidiarietà e non, come ha scritto l'onorevole Boato, dei principi di sussidiarietà. Il concetto, infatti, è uno solo ed è molto chiaro.

Sfortunatamente anche dai banchi della maggioranza abbiamo sentito ieri dare delle definizioni in ordine alla sussidiarietà che facevano veramente rabbrividire. In alcune di esse si partiva addirittura dal contrario, ossia si diceva che, se lo Stato non ci arriva, sono allora i gradi inferiori (arrivando fino ai cittadini) a sopperire. Ma il principio di sussidiarietà è esattamente il contrario; con esso si stabilisce che là dove le città, i comuni e via dicendo non arrivano, sono i livelli di grado superiore a dare, diciamo così, una mano. Esiste poi il principio di sussidiarietà che a livello nazionale riguarda anche l'interazione delle regioni.

Credo che stabilire un principio di sussidiarietà sia corretto; cerchiamo però di dare una definizione, di chiarire di che cosa si tratta. È vero che tecnicamente e scientificamente è conosciuto da tutti; è vero che tale principio è stato stabilito dal Trattato di Maastricht ma è altrettanto vero che noi stiamo facendo una grossa confusione; rendiamo infatti difficile una cosa che è estremamente semplice e chiara e che dovrebbe far parte della mentalità non solo dei cittadini ma anche delle istituzioni.

Ricordo che la Commissione bicamerale propose di inserire una definizione del principio di sussidiarietà in Costituzione. Chiedo di valutare se questo non possa essere un elemento aggiuntivo al quale può rifarsi la Commissione o il Governo, e che potrebbe favorire la soluzione della questione in oggetto.

PRESIDENTE. Onorevole Fei, la ringrazio per aver richiamato l'attenzione su tale questione. Ho visto i testi e ho constatato che vi era un errore di stampa. Nell'emendamento originario 6.22, infatti, si parlava di «principio di sussidiarietà»; successivamente è stato compiuto un errore. Il testo va letto nel seguente modo «sulla base del principio di sussidiarietà», come lei ha giustamente precisato.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Teresio Delfino, al quale ricordo che ha disposizione due minuti di tempo. Ne ha facoltà.

TERESIO DELFINO. Signor Presidente, noi non ci appassioniamo alla richiesta e alle sollecitazioni di coerenza che provengono da più parti, perché riteniamo di essere tra persone che sicuramente su questo e su altri campi si sono mosse e hanno compiuto delle scelte sulla base di precise convinzioni.

Dobbiamo però svolgere due osservazioni. La prima - non me ne vogliano gli amici Popolari - è che riteniamo l'elemento di carenza essere rappresentati da emendamenti di altri colleghi, anziché da un'iniziativa specifica del partito popolare in questa materia, senza nulla togliere all'autorevolezza del collega ed amico Boato che come forza politica rivendica su questa materia, pur nella sua collocazione strategica delle alleanze, una posizione di grande coerenza. Vogliamo sottolineare questa carenza d'iniziativa che non significa abdicazione ad una storia, ma è espressione di una difficoltà esistente all'interno della loro coalizione di maggioranza.

Signor Presidente, vorrei ricordare la discussione che facemmo sul testo della bicamerale quando l'onorevole Guarino, allora deputato del PPI, presentò un emendamento specifico sul principio di sussidiarietà. Fin da allora si riteneva che la difesa delle formazioni sociali e del ruolo che esse debbono svolgere fosse una battaglia specifica e precipua del partito popolare. Prendiamo atto che così non è stato e ribadiamo che su questo principio si debba fondare, in larga misura, il cambiamento del nostro patto costituzionale.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, l'onorevole Lombardi che dispone di due minuti. Ne ha facoltà.

GIANCARLO LOMBARDI. A me sembra che nel dibattito vi siano stati interventi inutilmente aggressivi e semplificanti. Ho apprezzato però l'intervento dell'onorevole Pagliarini che ci invitava a tenere i piedi per terra. Tenendo i piedi per terra, Pagliarini, vorrei spiegare la nostra posizione.

Pagliarini sostanzialmente sostiene che se si creano più occasioni di mercato si può garantire il massimo della qualità e il minimo dei costi. Questo non è sempre vero; è vero quando si realizzano le condizioni per vera concorrenza, in questo caso è sicuramente vero. Se una serie di beni viene offerta da molte persone, si cerca di migliorare la qualità e di ridurre il prezzo, ma è chiaro che se facessimo una parziale privatizzazione della RAI e se avessimo in Italia soltanto due o tre gruppi, che magari si fanno concorrenza tra loro, ciò potrebbe portare ad un peggioramento della qualità perché i gruppi interessati perseguono legittimamente scopi di profitto. Ciò vale per la sanità e per la scuola ed è il motivo per cui credo che Pagliarini non sia d'accordo con la posizione di alcuni liberisti estremi che pensano che il miglioramento della qualità nella scuola si possa garantire introducendo regole di mercato e cioè scuole in pura concorrenza tra loro.

A me sembra che la differenza tra noi e voi - ed è il motivo per cui mi dispiace l'aggressività di Vito o di altri colleghi - sia sul limite del principio di sussidiarietà che, come è stato detto bene anche nell'ultimo intervento, è affermata da tutti, anche se non tutti concordano sui limiti. Può darsi che alcuni colleghi dell'estrema sinistra abbiamo ancora convinzione o nostalgia per un estremo totalitarismo e pensino che la cosa migliore è che tutto sia gestito dallo Stato. Non lo so, può darsi che sia così, ma non è questa la posizione del partito popolare. Rispettiamo la loro posizione, ma spostiamo il livello della sussidiarietà. È un dibattito legittimo e spiega perché abbiamo posizioni diverse rispetto ad alcuni emendamenti. Tuttavia, non mi sembra che si possano giustificare una serie di interventi che giudicano noi comunisti, se sosteniamo una tesi, e voi lontani dagli interessi dei cittadini, se ne sostenete un'altra. Non credo sia vero, abbiamo soltanto valutazioni che nel merito possono essere diverse.

Pur condividendo la tesi che il mercato spesso introduce elementi positivi con la concorrenza, affermiamo che ciò non accade sempre; la privatizzazione non sempre è foriera di miglioramento del servizio: si può privatizzare qualcosa ed ottenere un peggioramento del servizio ed un aggravio dei costi. Queste sono osservazioni che meritano di essere tenute presenti quando ci si giudica vicendevolmente (Applausi dei deputati dei gruppi dei Popolari e democratici-l'Ulivo e dei Democratici di sinistra-l'Ulivo).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole La Malfa. Ne ha facoltà.

Onorevole La Malfa, ha due minuti a disposizione.

GIORGIO LA MALFA. Signor Presidente, intervengo soltanto per osservare che non è esatto affermare che il testo sulla sussidiarietà contenuto nella proposta emendativa presentata dal collega Boato equivalga a quello che la Camera ha respinto due giorni fa, perché una cosa è stabilire che le funzioni vengono attribuite agli enti pubblici, salvo che possa essere riconosciuto spazio ai privati, cosa molto diversa è affermare che tutto spetta ai privati, salvo ciò che venga dimostrato necessario per il pubblico. Si tratta di due impostazioni fra loro molto lontane; devo dire che, entrando nel merito dell'argomento, preferisco la formulazione che il Parlamento ha respinto due giorni fa rispetto a quella, molto equivoca, che si appresta ad approvare in questo momento.

Colgo l'occasione, avendo detto che non voterò a favore dell'emendamento 6.40 della Commissione, nel testo emendato, per ripetere ai colleghi del centrosinistra che considero un errore molto grave insistere nell'approvazione di una riforma costituzionale di questa portata, o di qualunque portata, nella fase finale di una legislatura e a colpi di maggioranza (Applausi di deputati del gruppo di Forza Italia). La Costituzione italiana è materia troppo importante, troppo delicata, perché si possa venir meno al principio sulla base del quale essa fu scritta negli anni 1946-1948: un grande patto costituzionale che vide le grandi correnti di pensiero economico, politico e culturale incontrarsi o scontrarsi, comunque collaborare.

Se noi, onorevoli colleghi, stabilissimo oggi un precedente diverso da quello con il quale abbiamo impostato la legislatura, che si è aperta con la Commissione bicamerale affidata alla leadership del leader del partito di maggioranza relativa, e si introducesse il principio che la Costituzione italiana è materia sulla quale si possa intervenire a semplici colpi di maggioranza, si introdurrebbe un principio politico del quale molti si pentirebbero (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale e della Lega nord Padania).

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 6.40 della Commissione, nel testo subemendato, accettato dal Governo.

(Segue la votazione).

Colleghi, per cortesia, ciascuno voti per sé.

Onorevole Conti, decida.

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).

(Presenti 394

Votanti 387

Astenuti 7

Maggioranza 194

Hanno votato 222

Hanno votato no 165).

Passiamo alla votazione dell'articolo 6.

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Cè. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO CÈ. Signor Presidente, ho apprezzato molto l'intervento dell'onorevole Lombardi, perché mi è sembrato che avesse un'impostazione sicuramente molto più equilibrata rispetto a quella espressa ieri dall'onorevole Jervolino Russo e che ho letto oggi su Il Popolo in un'intervista all'onorevole Bindi.

Credo, comunque, che il problema della sussidiarietà orizzontale vada impostato diversamente. Come già detto, esiste solo una forma di sussidiarietà orizzontale, quella secondo la quale la titolarità prioritaria di alcune funzioni, di alcuni servizi, deve essere appannaggio dei cittadini singoli ed associati, delle famiglie, delle comunità.

Il quadro di riferimento entro il quale la sussidiarietà orizzontale si deve esplicare chiama chiaramente le istituzioni pubbliche a svolgere un ruolo fondamentale. Ma di quale tipo deve essere tale ruolo dello Stato, delle regioni, delle province e dei comuni? Un ruolo che fissi le regole di assegnazione degli appalti, i requisiti necessari per partecipare alle gare di appalto, i parametri di efficienza e qualità che devono essere conseguiti, i controlli che devono essere fatti.

Tutte queste regole logicamente le deve fissare lo Stato. Il rischio a cui ha accennato Lombardi ci è ben presente: infatti, quando Pagliarini interviene sull'importanza di mettere in competizione le formazioni sociali, il privato e il pubblico, sottintende - alcune volte lo dà per «superscontato», perché mille volte lo ha detto - che vi debba essere un'adeguata regolamentazione antitrust con la quale, ad esempio, si preveda che nei servizi svolti nei comuni - o perlomeno a livello provinciale - la quota massima di determinati servizi possa essere del 20 per cento. Altrimenti, logicamente, andremmo nella direzione di un monopolio privato che sicuramente sarebbe più grave, dannoso e rischioso per la comunità di un monopolio pubblico.

Su questo siamo d'accordo!

Due anni fa l'onorevole D'Alema, nel discorso di insediamento del suo Governo, aveva fatto un'apertura che andava molto più in là rispetto alle posizioni non tanto forse dell'onorevole Lombardi, quanto di altri esponenti del partito popolare; in tal senso questi ultimi, forse, si pongono in una posizione più conservatrice rispetto a quella che era stata enunciata come programma di Governo da D'Alema due anni fa. Quei propositi non vennero però mantenuti per difficoltà interne alla maggioranza, ma questa era l'impostazione che venne indicata. In quel documento si diceva che un conto è parlare di servizi pubblici e un altro conto è affermare che questi ultimi debbano essere espletati dal pubblico, perché privato e pubblico sotto quel profilo andavano messi sullo stesso piano!

Quando, invece, parliamo addirittura di sussidiarietà orizzontale dobbiamo ricordarci che, specialmente nel settore sociale, vi deve essere addirittura una priorità, un diritto perché non ha alcun senso che, se un cittadino, una famiglia o una piccola comunità riescono a svolgere adeguatamente un compito, l'istituzione pubblica si debba gravare anche di questo. Non ha alcun significato, oltre ad essere irrispettoso delle libertà personali e della sovranità della comunità fondamentalmente rispetto alle istituzioni!

È allora importante fare chiarezza su tale argomento.

Presidente, concludo il mio intervento leggendo quanto invece smentisce tale impostazione. Infatti, in un articolo apparso su Il Popolo l'onorevole Bindi - che purtroppo non mi sta ascoltando perché è impegnata al telefono - ci dice che, ad esempio in materia di salute, di lavoro e di istruzione, è necessario che le istituzioni pubbliche assumano dirette responsabilità nell'organizzazione e nella gestione dei servizi; non nel fissare le regole, ma nella gestione! Questo è il contrario della sussidiarietà orizzontale (Applausi dei deputati dei gruppi della Lega nord Padania, di Forza Italia e misto-CCD).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole D'Alema. Ne ha facoltà.

MASSIMO D'ALEMA. Vorrei fare alcune osservazioni sul tema della sussidiarietà e riprendere uno spunto di carattere più generale proposto dall'onorevole La Malfa.

Sul tema della sussidiarietà vorrei dire che con il testo che è all'esame del Parlamento, nella forma sostenuta dalla maggioranza, noi facciamo un passo in avanti importante.

Il ruolo dell'iniziativa privata è riconosciuto e garantito nella nostra Costituzione e certamente non compete a noi di introdurre questo principio. Vi è già; vi hanno provveduto i padri costituenti!

Anche il principio di sussidiarietà, in realtà, è contenuto, nelle forme e nel linguaggio di allora, nella prima parte della Costituzione.

Il passo in avanti che noi facciamo è nel riconoscere la necessità oggi di favorire l'azione della società civile nella forma dei cittadini singoli, associati, delle associazioni e delle imprese nello svolgimento di attività pubbliche. Qui noi non parliamo della libera iniziativa privata, ma della necessità, dell'opportunità che le istituzioni favoriscano tale azione. D'altro canto, noi accompagniamo un processo che è in atto e non vi è dubbio che nel corso di questi anni, attraverso le privatizzazioni e anche attraverso una riforma dello Stato sociale che sta promuovendo la partecipazione attiva dei cittadini, del volontariato e dell'associazionismo, il principio costituzionale rifletta una realtà in movimento e una concezione nuova, non più esclusivamente statale, della gestione di grandi servizi pubblici.

Il punto sul quale vi era un dissenso (poi dirò una parola sul metodo e sulla possibilità di un dialogo vero anche se bisogna vedere chi ha la responsabilità di aver spezzato un dialogo vero che avrebbe consentito di chiarire questo dissenso) riguarda una interpretazione della sussidiarietà che, francamente, ha avuto una torsione privatistica e mercantile, o mercatistica, se vogliamo usare un'espressione un po' più raffinata. Infatti, quando si dice che lo Stato svolge soltanto le funzioni che non possono essere svolte più efficacemente dal privato (questo era il cardine, anche ideologico, della posizione della Casa delle libertà) non si propone la sussidiarietà, ma si propone un determinato principio: il confine tra il pubblico e il privato è l'efficacia e l'efficienza, ma lo Stato democratico moderno non può ammettere che ci sia solo questo confine.

C'è un confine che è l'equità. Perché non si è proposto che lo Stato fa tutto quello che i privati non possono garantire in modo più equo?

C'è un confine che è l'interesse nazionale. Vi sono determinate attività pubbliche che non possono essere svolte dai privati, anche se, magari, le svolgerebbero più efficacemente. Per esempio, può darsi che l'ordine pubblico possa essere garantito più efficacemente dalle ronde di qualche parlamentare che non dalla polizia, però, al di là dell'efficacia, ci sono altri principi che precludono che quella funzione pubblica possa essere giocata sul mercato. Allora, il punto era questo. Il punto non era la sussidiarietà, ma il punto è: quali sono i principi che noi poniamo su questo confine.

A me sembra che una interpretazione della sussidiarietà che si fonda sul principio dell'efficacia e dell'efficienza, ed esclusivamente su questo, sia un'idea della sussidiarietà che non ha fondamento nella cultura cattolico-democratica. Lo ha certamente in una visione liberista - che io rispetto -, ma non l'ha certamente in una cultura cattolico-democratica. Credo che questo sia stato il contenuto del confronto.

Forse un approfondimento avrebbe consentito di trovare una formulazione accettabile. Vorrei qui rispondere all'onorevole La Malfa.

Certo, a tutti si può imputare, ma è difficile imputare a questa parte e a chi parla, di non aver compiuto lo sforzo di promuovere una riforma costituzionale attraverso il metodo del confronto e del coinvolgimento. Vorrei ricordare che su questo tema specifico della forma di Stato non abbiamo avuto solo il lavoro della bicamerale, ma abbiamo avuto un appassionato lavoro dell'Assemblea che ci aveva portato ad un testo che era largamente espressione di una convergenza. È difficile rimproverare, adesso. Credo che il rimprovero che La Malfa muove alla maggioranza è totalmente fuori dal contesto politico di oggi. Oggi siamo di fronte ad un'altra emergenza. Siamo di fronte ad una visione politica che da una parte mira a frenare la possibilità che il Parlamento faccia una riforma e, dall'altra parte, l'affida ad una sorta di plebiscito popolare, che è quanto di più lontano dallo spirito dei costituenti. Credo che, purtroppo, noi siamo di fronte ad un problema che viene ancora prima del problema che tu poni, La Malfa. Il problema è che in questo momento noi dobbiamo rivendicare il diritto del Parlamento di fare le riforme. Certo, questo segnala un motivo di allarme sullo stato della vita pubblica e del sistema politico italiano, ma se in questo momento si accettasse l'idea che il Parlamento può essere paralizzato perché le riforme le faranno i plebisciti, non torneremmo allo spirito dei costituenti, andremmo non so dove, ma in una direzione che non mi pare auspicabile per l'Italia (Prolungati applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-l'Ulivo, dei Popolari e democratici-l'Ulivo, dei Democratici-l'Ulivo, Comunista, dell'UDEUR, misto-Verdi l'Ulivo, misto-Socialisti democratici italiani e misto-Rinnovamento italiano).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Colletti. Ne ha facoltà.

LUCIO COLLETTI. Signor Presidente, vorrei sviluppare alcune considerazioni sull'intervento dell'onorevole D'Alema, considerazioni prive di asprezze polemiche, perché, muovendo da posizioni assai diverse, nel corso di questa legislatura ho imparato ad apprezzare anche i meriti dell'onorevole D'Alema, che considero un rappresentante di spicco della maggioranza.

Sono d'accordo, lo concedo immediatamente, sul fatto che, per quanto riguarda il principio di sussidiarietà, si sarebbero richiesti approfondimenti ben diversi da quelli che, in un clima surriscaldato e, diciamolo pure, improvvisato, si stanno producendo in quest'aula. Però, onorevole D'Alema, se sono d'accordo con lei e con la sua parte sul fatto che al Parlamento spetta fare le riforme, lei mi concederà che il Parlamento ha avuto un'intera legislatura per farle e che le responsabilità del fatto che le riforme, malgrado la bicamerale, non siano giunte in porto non si possono addebitare a qualche intemperanza dell'onorevole Berlusconi...

Dai banchi dei deputati del gruppo dei Popolari e democratici-l'Ulivo: No! No!

LUCIO COLLETTI. Se vogliamo procedere ad una rappresentazione più fedele e più stringente rispetto allo svolgimento reale dei fatti, dobbiamo riconoscere che il fallimento della bicamerale espresse una impasse che aveva innanzitutto il suo luogo d'origine all'interno della maggioranza stessa. Lei, onorevole D'Alema, non avrà certamente dimenticato che, se da presidente della bicamerale esordì affermando che le maggioranze in bicamerale non sarebbero state minimamente condizionate dalla maggioranza di Governo allora esistente, negli sviluppi dei lavori della bicamerale ciò che si produsse fu quanto meno, per usare un'espressione blanda, per una concessione nei suoi confronti, l'impressione che dentro la bicamerale si fosse arrivati ad un vicolo cieco in conseguenza del divario tra le maggioranze possibili in bicamerale rispetto alle maggioranze reali in sede di Governo.

Quindi, d'accordo in linea di principio, però faccio appello alla sua intelligenza (Commenti del deputato Rizzi) ed al suo senso di responsabilità: ci troviamo in un momento serio e difficile, è una situazione che durerà presumibilmente ancora dei mesi e che, nel corso di questi mesi, probabilmente andrà incontro ad accelerazioni anche preoccupanti; se facciamo passare in questo momento la riforma in esame, a pochi mesi dalla scadenza della legislatura e probabilmente a pochi mesi, o a poche settimane, dall'esaurimento delle funzioni di Governo da parte del Presidente del Consiglio Giuliano Amato, creiamo un precedente sulla cui gravità, come democratico, e non come rappresentante del centrodestra, indipendentemente dal colore di parte, la invito a riflettere. Tale precedente, infatti, sancirebbe il fatto che una maggioranza può votarsi riforme costituzionali per conto proprio. Questo sarebbe un precedente gravissimo. Se dimenticassimo che, a suo tempo, il centrodestra mostrò disponibilità candidandola a presidente della bicamerale, con una prova di grande apertura a possibili intese, cacceremmo il paese su una strada molto pericolosa. Faccio appello alla sua capacità di riflessione (Applausi dei deputati dei gruppi di Forza Italia, di Alleanza nazionale e misto-CCD).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Selva. Ne ha facoltà.

GUSTAVO SELVA. Signor Presidente, l'eccezionalità dell'intervento di Massimo D'Alema, che, come ha detto il collega Colletti, riconosco esponente di primissimo piano dell'attuale maggioranza, ma soprattutto come presidente della Commissione bicamerale, merita anche da parte mia una risposta sul punto che l'onorevole Colletti ha già trattato, al quale però desidero aggiungere qualche altra riflessione.

Nell'incontro che abbiamo avuto con i presidenti delle regioni, ho già detto che il mio gruppo non vedeva l'opportunità, in questo momento, di uno scontro su un tema che riguarda la modifica della Costituzione e l'avvio verso la forma federale dello Stato. La nostra proposta era dunque di non dare luogo, in fine di legislatura, ad un dibattito aspro quale quello che si è svolto e che viene portato avanti con determinazione esattamente nella direzione contraria allo spirito costituente del quale lei, onorevole D'Alema, giustamente ha parlato e che creò la Costituzione. Essa nella prima parte resta ancora un modello significativo e credo non solo per l'Italia.

Accettando l'invito alla riflessione da lei rivolto, ritengo che ad essa vada portato un supplemento di considerazioni: se non sia necessario che la sua maggioranza, che peraltro si è dimostrata alquanto confusa e incerta perché troppe volte sono stati cambiati punti importanti e nodali di questa riforma, rifletta sull'opportunità di non portare a conclusione questo processo in una fase nella quale l'asprezza del dibattito è tale da essere impedimento per una buona riforma. È vero che siamo stati invitati anche da alcuni presidenti delle giunte regionali a meditare sul poco piuttosto che sul nulla, ma, onorevole D'Alema, quando il poco emerge da un contrasto così aspro e, soprattutto, si concretizza nel voto solo di una parte, sia pure maggioritaria - magari per pochi voti -, credo che questo poco si riduca quasi al nulla.

Da parte mia, vorrei fare un appello. Mi chiedo se non sia il caso, visto che lei ha parlato a nome dell'intera maggioranza rivendicando il merito di ciò che viene realizzato, che lei rifletta su un aspetto: se tutto ciò sia positivo agli effetti di ciò che noi vogliamo, vale a dire trasferire maggiori poteri alle regioni, avvicinare la gente alle istituzioni o se, invece, non sia il caso di fare un supplemento di riflessione perché non si mescolino gli elementi positivi con quelli negativi rappresentati dall'asprezza di un dibattito che, sicuramente, non contribuisce a realizzare una riforma in senso federale dello Stato quale quella che noi vogliamo (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Giovanardi. Ne ha facoltà.

CARLO GIOVANARDI. Signor Presidente, devo dare atto al presidente D'Alema di intervenire sempre in termini pacati ed anche abili e convincenti, nel senso che non avrei nulla da dire sulle sue parole, se non fossero in qualche modo in contrasto con la realtà dei fatti relativi allo svolgimento di questi due lavori in Assemblea e magari costruiti anche su qualche equivoco di fondo che permane, almeno dal mio punto di vista.

Quando il presidente D'Alema parla di funzioni essenziali del pubblico - possiamo ricordare la difesa, la giustizia e la moneta - sfonda una porta aperta. Credo che nessuno mai dalla nostra parte politica abbia messo in discussione che, quando vi sono valori essenziali o interessi nazionali da difendere, non è certamente il privato a doversene fare carico.

Se vi era bisogno di un chiarimento su questo punto, è presto dato. Rivendico a mio merito di aver contribuito, nel corso della discussione di ieri, ad inserire in questa riforma non il principio della minima garanzia dello Stato rispetto all'essenziale da assicurare ai cittadini per quanto riguarda i diritti civili e sociali, ma di averlo modificato nel senso del massimo della garanzia di questa essenzialità, perché lo Stato federale certamente deve intervenire quando le realtà autonome non riescono a garantire ai cittadini quello che spetta loro e che deve essere uguale per tutti su tutto il territorio nazionale.

Ma noi stiamo parlando di qualcos'altro: stiamo parlando dell'onorevole Bindi che scrive su Il Popolo che lo Stato, le regioni e i comuni devono gestire direttamente anche quelle imprese sociali che potrebbero invece essere gestite diversamente. Lo stesso presidente D'Alema ha poc'anzi detto che la novità dell'evoluzione del pensiero della sinistra è proprio che, al di là del principio costituzionale che riconosce ai privati la libertà di intrapresa, essa è arrivata a concludere che anche nella gestione di determinati servizi, in vista del bene comune, l'intervento del privato può essere più efficace di quello del pubblico, che in questo paese storicamente era arrivato anche a produrre i panettoni, come tutti noi ben ricordiamo.

Ma questo lo dice il presidente D'Alema; non lo dice il partito Popolare che ha sostenuto il contrario. Prova ne sia che il punto d'incontro poteva essere proprio sull'emendamento da noi presentato, che prevedeva il riconoscimento di questo principio e cioè che il Parlamento, attraverso questa riforma, prendesse atto di un principio, che poi andava mediato nelle forme, su cui forse a parole siamo tutti convergenti.

Certo che anch'io preferivo l'ENEL di una volta, che mi garantiva un servizio ed un'efficienza della rete, rispetto all'ENEL di oggi che non so se sia pubblica o privata, ma certamente fa decadere l'intera rete, mentre le tariffe sono alte e i servizi per i cittadini diventano sempre più scarsi. Quella forma di privato monopolistico non mi piace, perché, se la distribuzione dell'energia in Italia è in mano a un solo soggetto monopolistico - che è privato anche se si chiama Chicco Testa -, non mi sta bene, anche se sto nel centrodestra.

Certamente è necessario fare qualche riflessione comune nella traduzione dei principi costituzionali. Ma purtroppo lo scontro non vi è stato su questioni che apparentemente ci avvicinano e ci fanno arrivare alla stessa conclusione, come lo stesso D'Alema ammette. Lo scontro si è verificato perché larga parte di questa maggioranza non condivide quello che il presidente D'Alema ha detto, ma non con riserve mentali: lo ha detto attraverso l'intervento dell'onorevole Jervolino, che ha parlato solo di riconoscimento di un privato che svolge funzioni senza scopo di lucro, nonché attraverso l'articolo dell'onorevole Bindi su Il Popolo.

Non si tratta di posizioni arretrate rispetto a quello che il Governo D'Alema o, all'inizio della legislatura, il Governo Prodi voleva realizzare, ma di posizioni arretrate rispetto ad un'evoluzione che si è verificata negli ultimi venti anni. Ciò che noi proponevamo rappresentava certamente un punto equilibrio ragionevole. Andava mediato, limato - eravamo disponibili a farlo - ma ciò è stato negato.

Anch'io sono preoccupato come l'onorevole La Malfa. Non vorrei che la Carta costituzionale mutasse ad ogni legislatura al mutare della maggioranza. Se qualcuno oggi pensa di fare una riforma a colpi di maggioranza, nella prossima legislatura qualcun'altro può pensare di fare a colpi di maggioranza una controriforma, e così via, di legislatura in legislatura. Credo che la Costituzione sia talmente importante e sia talmente un patrimonio di tutti che non si possa modificarla, se non vi è un vasto consenso: meglio lasciarla così (Applausi dei deputati dei gruppi misto-CCD, di Forza Italia e di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Pagliarini. Ne ha facoltà.

GIANCARLO PAGLIARINI. Vorrei spiegare come ragioniamo noi della Lega. Fuori da quest'aula D'Alema è anche simpatico ma, quando parla, mi fa capire il motivo per cui quest'aula si chiama «Parlamento» e non «lavoramento»: si è arrampicato sui vetri per dire cosa? Per spiegare la differenza che esiste fra efficienza ed equità. Ma se c'è gente che ruba con equità e a piede libero, se c'è gente che spaccia e con equità continua a spacciare, noi preferiamo che con efficienza se ne vada in galera (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania)! Questo lo pensiamo noi ma lo pensa anche la gente comune.

Una voce dai banchi dei deputati del gruppo dei Popolari e democratici-l'Ulivo: Barbari!

GIANCARLO PAGLIARINI. Sì, siamo dei barbari e teniamo pure i furti nelle case e gli spacciatori, però con equità! L'equità purtroppo la decide questa maggioranza.

Come si fa poi ad aver paura dei referendum? Se la gente manifesta la propria opinione, poi in quest'aula ne terremo conto, com'è logico. In questi giorni stiamo approvando una riforma che è lontana anni luce dal pensiero della gente. Basti un esempio banale: ieri abbiamo assegnato sovranità legislativa esclusiva allo Stato in materia di immigrazione senza sentire le regioni perché avete bocciato l'emendamento che avevamo proposto. Penso che, su mille cittadini, novecentonovantanove o forse tutti e mille direbbero che è meglio sentire il parere delle regioni.

È inutile andare avanti tanto perché questo è il pensiero della Lega e io spero che in futuro ci sia efficienza nel sistema paese (Applausi dei deputati del gruppo della Lega nord Padania).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Armani, che ha due minuti perché per il suo gruppo ha già parlato l'onorevole Selva. Ne ha facoltà.

PIETRO ARMANI. Signor Presidente, vorrei fare due precisazioni in merito al discorso interessante e nobile dell'onorevole D'Alema. Egli ha sostenuto che efficacia ed efficienza sono componenti del mercato mentre del settore pubblico sono competenze l'equità e l'interesse nazionale. Vorrei dirgli che l'efficienza e l'efficacia sono strumento per realizzare l'equità (Applausi del deputato Cè) perché, se di fronte a risorse scarse non vi fosse l'efficienza e l'equità, si finanzierebbe l'equità con il disavanzo pubblico. Questo è il meccanismo attraverso il quale sono stati creati 2 milioni e mezzo di miliardi di debito pubblico nel nostro paese.

Quanto all'interesse nazionale, esso può essere realizzato anche dal privato; per esempio, chi dona allo Stato la propria collezione d'arte comprendente opere di Raffaello e Michelangelo evidentemente fa l'interesse nazionale. Quando l'armatore Rubattino a sue spese prestò a Garibaldi due vapori - il Piemonte e il Lombardo - per andare a liberare il Regno delle due Sicilie nel 1860, fece l'interesse nazionale. Come si vede, anche il privato può realizzare l'interesse nazionale. Non si tratta di uno steccato che divide il pubblico dal privato perché i due settori possono marciare insieme e direi che nel quadro della globalizzazione si verificano sempre più questi fenomeni di necessità di intervento privato anche per realizzare degli interessi di carattere generale.

ALESSANDRO REPETTO. Devono pagare le tasse!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Rebuffa, che ha due minuti. Ne ha facoltà.

GIORGIO REBUFFA. Innanzitutto rivolgo un ringraziamento all'onorevole La Malfa per avere posto una questione che meritava di essere inserita in un dibattito che è stato molto stanco ancorché molto aspro. In secondo luogo, rivolgo un ringraziamento all'onorevole D'Alema per aver posto un problema vero.

Le mie osservazioni riguardano il merito normativo ed il merito politico di questo provvedimento per cercare di definire dove siamo. È vero che vi sono principi dello Stato moderno come l'equità, lo Stato di diritto, il primato della legge, l'interesse nazionale, che sono tutte questioni che vanno al di là dell'efficienza.

Noi, però, stiamo parlando di un'altra cosa, sulla quale non ho opinioni definitive, ma che vorrei affidare ad un attimo di riflessione problematica. È vero che quel modo di realizzare l'equità che abbiamo conosciuto negli ultimi cento anni di storia dello Stato occidentale è ancora il metodo più efficiente per realizzare l'equità stessa, ma dobbiamo domandarci: gli strumenti centralizzati dello Stato sociale sono ancora quelli maggiormente in grado di realizzare gli obiettivi per cui lo Stato sociale è noto? Il dibattito è molto aspro, non solo in Italia, ma anche in altre nazioni a noi vicine culturalmente. Pertanto, non avrei le sicurezze che sono state qui manifestate. Certo, sappiamo che la strada intrapresa dall'Europa continentale, ovvero quella di uno Stato sociale molto forte, è rischiosa dal punto di vista dell'efficienza, nonché - come vediamo in questi giorni - della collocazione internazionale della nostra comunità e dell'Europa nei confronti di un diverso modello.

La seconda questione è il merito politico. Al riguardo, non ho dubbi: questa legislatura è stata caratterizzata da una volontà di fare le riforme che non siamo riusciti a realizzare. Tentare di realizzarle in questa fase incantata (che è una fase pre-elettorale), non per la volontà delle parti, ma per la ristrettezza dei tempi, rischierebbe di trasformarsi in una forzatura; rischiamo, cioè, di trasformare una discussione sulla riforma costituzionale in una discussione propagandistica. Questo è un rischio enorme, che crea un precedente ancora più pericoloso, a mio giudizio, di quello - pur pericoloso - cui accennavano l'onorevole La Malfa e l'onorevole Colletti, di una Costituzione riformata a colpi di maggioranza; ovvero, crea il precedente di una Costituzione riformata per obiettivi propagandistici in vista di uno scontro elettorale.

Onorevole D'Alema, se mi consente, forse anche con un po' di emotività sentimentale (che tutto sommato avverto), ritengo che lei sia stato tra i protagonisti dell'attuale legislatura. Sarebbe una dimostrazione del senso di responsabilità (attribuisco a tale ragione il suo intervento) cercare di evitare che una legislatura che avrebbe dovuto essere riformatrice, finisca per essere una legislatura che della Costituzione (o della riforma costituzionale) fa un vessillo di propaganda. Forse siamo ancora in tempo.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Fiori, al quale ricordo che ha due minuti di tempo a disposizione. Ne ha facoltà.

PUBLIO FIORI. Signor Presidente, mi corre l'obbligo di far presente che non sono d'accordo sul concetto di solidarietà e di sussidiarietà che alcuni rappresentanti dell'opposizione hanno espresso, creando una sorta di perequazione tra sussidiarietà ed efficienza. Non c'è dubbio che l'efficienza può essere un presupposto di equità e di giustizia sociale; anzi, è certamente più facile fare giustizia sociale ed equità disponendo di un sistema efficiente ed efficace. Tuttavia, non è vero il contrario: può accadere che efficienza ed efficacia vadano su una strada completamente opposta, quella dell'equità.

I termini come efficienza e modernizzazione sono neutrali: possono far pensare ad un processo positivo, ma possono far pensare anche ad un processo negativo. Persino il boia può usare sistemi più efficienti per dare la morte al condannato. L'efficienza non può, perciò, essere trasformata in un principio morale, se non è commisurata all'obiettivo da realizzare.

Specialmente in questo periodo nel quale, guardando indietro, ricordiamo una fase del secolo scorso nella quale troppo spesso è accaduto di dover osservare sistemi che promettevano giustizia a scapito delle libertà, non vorremmo oggi affrontare il cammino verso un sistema nuovo e moderno nel quale venga valorizzata ed esaltata la libertà a danno della giustizia. Credo quindi che all'interno dell'opposizione...

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Fiori.

PUBLIO FIORI. Concludo, Presidente.

Credo che questo sia un tema sul quale è necessario un approfondimento in questo Parlamento e certamente anche all'interno delle forze di opposizione (Applausi dei deputati del gruppo di Alleanza nazionale).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole Teresio Delfino. Ne ha facoltà.

TERESIO DELFINO. Signor Presidente, intervengo molto brevemente, solo per sottolineare che anche a nostro parere l'intervento dell'onorevole D'Alema è sicuramente un invito autorevole ad una maggiore capacità di penetrazione e di approfondimento e pone un problema giusto. Riconosciamo nelle sue parole la sottolineatura di un passo avanti, ma anche certamente l'indicazione di un'insufficienza nel cambiamento e nei principi che dovrebbero reggere il nuovo assetto costituzionale.

La nostra interpretazione del principio di sussidiarietà ci pone in qualche misura in una posizione differente: per noi sussidiarietà significa soprattutto meno Stato e maggiore coinvolgimento delle formazioni sociali e della famiglia, quindi un'elevazione del tasso di umanità nell'erogazione soprattutto di quei servizi sociali nei quali riteniamo si debba realizzare nel prossimo futuro un cambiamento profondo e sostanziale. Certamente non è questa la sede per affrontare tale tema, però desideravo sottolineare che questo intervento porta alla luce un problema che noi abbiamo sempre posto: le riforme non si possono fare con spirito di parte, né di corsa.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo 6, nel testo emendato.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

Comunico il risultato della votazione: la Camera approva (Vedi votazioni).

(Presenti 408

Votanti 402

Astenuti 6

Maggioranza 202

Hanno votato 249

Hanno votato no 153).


 

 

 

 


Allegato A

 

Seduta n. 775 del 21/9/2000

 

PROGETTI DI LEGGE COSTITUZIONALE: POLI BORTONE; MIGLIORI; VOLONTÈ ED ALTRI; D'INIZIATIVA DEL CONSIGLIO REGIONALE DEL VENETO; CONTENTO ED ALTRI; SODA ED ALTRI; FONTAN ED ALTRI; MARIO PEPE ED ALTRI; D'INIZIATIVA DEL GOVERNO; NOVELLI; PAISSAN ED ALTRI; CREMA ED ALTRI; FINI ED ALTRI; GARRA ED ALTRI; D'INIZIATIVA DEL CONSIGLIO REGIONALE DELLA TOSCANA; ZELLER ED ALTRI; CAVERI; FOLLINI ED ALTRI; BERTINOTTI ED ALTRI; BIANCHI CLERICI ED ALTRI: ORDINAMENTO FEDERALE DELLA REPUBBLICA (4462-4995-5017-5036-5181-5467-5671-5695-5830-5856-5874-5888-5918-5919-5947-5948-5949-6044-6327-6376)

 

(A.C. 4462 - sezione 1)

 

 

ARTICOLO 6 DEL TESTO UNIFICATO DELLA COMMISSIONE

 

Art. 6.

1. L'articolo 118 della Costituzione è sostituito dal seguente:

«Art. 118. - La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni.

Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da legge dello Stato.

La Regione, nelle materie di sua competenza, provvede all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza».

 

 

EMENDAMENTI E SUBEMENDAMENTI PRESENTATI ALL'ARTICOLO 6 DEL TESTO UNIFICATO

 

ART. 6.

Sostituire con il seguente:

Art. 6.

1. L'articolo 118 della Costituzione è sostituito dal seguente:

«Art. 118. - La legge regionale ratifica le intese della Regione con individuazione di organi comuni. Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e con enti territoriali interni ad altro Stato.

La Regione, nelle materie di sua competenza, provvede all'attuazione ed all'esecuzione

egli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza; partecipa, nelle forme e con le modalità stabilite con legge dello Stato, alla formazione degli atti dell'Unione europea».

 

 

 

Testo alternativo del relatore di minoranza, on. Fontan.

Sostituirlo con il seguente:

«Art. 6.

1. All'articolo 118 della Costituzione il primo e il secondo comma sono sostituiti dal seguente:

Lo Stato, le Regioni, le Province e i Comuni esercitano le funzioni ad essi attribuite, in conformità alle finalità di interesse generale previste dalla Costituzione ed in maniera proporzionata all'obiettivo di volta in volta perseguito, quando il conseguimento di tali finalità non può essere adeguatamente assicurato dall'autonomia dei privati, anche attraverso le formazioni sociali. La titolarità delle funzioni compete rispettivamente a Comuni, Province, Regioni e Stato in base a principi di sussidiarietà e differenziazione e secondo criteri di omogeneità e ragionevolezza. La legge garantisce le autonomie funzionali«.

6. 1. Volontè, Buttiglione, Tassone, Teresio Delfino, Marinacci, Grillo.

 

Al comma 1, sostituire il capoverso con il seguente:

«Art. 118. È attribuita ai Comuni la generalità delle funzioni amministrative fatte salve le funzioni espressamente attribuite alle Province, alle Regioni o allo Stato dalla Costituzione, dalle leggi costituzionali, dalla legge o quelle che in base al principio di sussidiarietà verticale a motivo delle dimensioni o degli effetti possono più adeguatamente essere svolte dallo Stato e dalle Regioni, senza duplicazione di funzioni e con l'individuazione delle rispettive responsabilità.

Ai privati e alle formazioni sociali sono attribuite in base al principio di sussidiarietà orizzontale le funzioni amministrative che in ragione della natura e delle dimensioni possono essere più adeguatamente svolte da tali soggetti.

Senza oneri finanziari aggiuntivi possono essere istituite aree metropolitane anche con ordinamenti differenziati.

I Comuni con popolazione inferiore al minimo stabilito dalla legge, ovvero situati in zone montane, esercitano anche in parte le funzioni loro attribuite mediante forme associative, alle quali è conferita la medesima autonomia riconosciuta ai Comuni.

Gli atti dei Comuni, delle Province e delle Regioni non sono sottoposti a controlli preventivi di legittimità o di merito.

Nelle materie ad esso riservate lo Stato può delegare, con oneri a proprio carico, alle Regioni l'esercizio di funzioni amministrative non spettanti ai Comuni o alle Province.

6. 27. Peretti, Follini, Giovanardi, Baccini, Carmelo Carrara, D'Alia, Del Barone, Galati, Liotta, Lucchese, Marinacci, Savelli.

 

Subemendamenti all'emendamento 6. 22 (nuova formulazione) .

All'emendamento 6. 22, capoverso, premettere il seguente comma:

L'attribuzione delle funzioni pubbliche a Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato si effettua sulla base del principio di sussidiarietà, quando si renda necessaria per attività che non possono essere efficacemente svolte dai soggetti privati e dalle formazioni sociali nella loro autonomia. La titolarità delle funzioni spetta, rispettivamente, ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane, alle Regioni e allo Stato, secondo i criteri di omogeneità, adeguatezza e differenziazione.

Conseguentemente, al medesimo capoverso, sopprimere il terzo comma.

0. 6. 22. 2. Calderisi, Taradash, Landi di Chiavenna.

 

All'emendamento 6. 22, capoverso, premettere il seguente comma:

Spettano ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane, alle Regioni e allo Stato solamente le attività che essi possono svolgere più adeguatamente dei privati nella loro autonomia. Le funzioni amministrative sono ripartite sulla base del principio di sussidiarietà, nel rispetto di criteri di omogeneità e in modo da attribuirne la titolarità a strutture organizzative adeguate.

Conseguentemente, al medesimo capoverso, sopprimere il terzo comma.

0. 6. 22. 3. Calderisi, Taradash, Landi di Chiavenna.

 

All'emendamento 6. 22, capoverso, premettere il seguente comma:

I Comuni, le Province, le Città metropolitane, le Regioni e lo Stato esercitano solamente le funzioni e le attività che non possono essere svolte in modo più efficace dai soggetti privati nella loro autonomia. La titolarità delle funzioni è attribuita, nell'ordine, ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane, alle Regioni e allo Stato sulla base dei principi di autonomia e sussidiarietà, secondo il criterio dell'adeguatezza dimensionale e organizzativa.

Conseguentemente, al medesimo capoverso, sopprimere il terzo comma.

0. 6. 22. 4. Calderisi, Taradash, Landi di Chiavenna.

 

All'emendamento 6. 22, capoverso, premettere il seguente comma:

I Comuni, le Province, le Città metropolitane, le Regioni e lo Stato esercitano solamente le attività che non possono essere svolte in modo più efficace dall'iniziativa autonoma dei privati. La titolarità delle funzioni pubbliche è attribuita, in base al principio di sussidiarietà, ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane, alle Regioni e allo Stato, nell'osservanza dei criteri di differenziazione, omogeneità e adeguatezza delle proprie strutture organizzative e nel rispetto delle autonomie funzionali riconosciute dalla legge.

Conseguentemente, al medesimo capoverso, sopprimere il terzo comma.

0. 6. 22. 5. Calderisi, Taradash, Landi di Chiavenna.

(Assumerà il numero 0. 6. 40. 7 nel corso della seduta).

 

All'emendamento 6. 22, capoverso, premettere il seguente comma:

Ad esclusione delle attività che possono essere svolte in modo più efficace dall'autonoma iniziativa dei cittadini, anche attraverso le formazioni sociali, le funzioni pubbliche sono attribuite a Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato sulla base dei principi di sussidiarietà e differenziazione. La titolarità delle funzioni compete rispettivamente a Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato secondo i criteri di omogeneità ed adeguatezza.

Conseguentemente, al medesimo capoverso, sopprimere il terzo comma.

0. 6. 22. 6. Calderisi, Taradash, Landi di Chiavenna.

 

All'emendamento 6. 22, capoverso, primo periodo, sostituire le parole da: salvo che fino alla fine dell'emendamento con le seguenti: . I Comuni, le Province, le Regioni e lo Stato esercitano solo le attività che non possono essere svolte in modo più efficace dall'iniziativa autonoma dei privati. La titolarità delle funzioni pubbliche è attribuita, in base al principio di sussidiarietà, ai Comuni, alle province, alle Regioni e allo Stato, nell'osservanza dei criteri di differenziazione, omogeneità e adeguatezza delle proprie strutture organizzative e nel rispetto delle autonomie funzionali riconosciute dalla legge.

0. 6. 22. 7. Pisanu, Selva, Pagliarini, Follini, Volontè, Rebuffa.

(Assumerà il numero 0. 6. 40. 8 nel corso della seduta).

 

All'emendamento 6. 22, capoverso, secondo comma, sopprimere le parole:Città metropolitane.

0. 6. 22. 8. Fontan, Stucchi, Fontanini, Luciano Dussin.

 

All'emendamento 6. 22, capoverso, sopprimere il terzo comma.

0. 6. 22. 1. Moroni.

 

All'emendamento 6. 22, capoverso, terzo comma, sostituire le parole da: Stato fino a: Comuni con le seguenti: Comuni, Province, Regioni, Stato.

0. 6. 22. 9. Fontan, Stucchi, Fontanini, Luciano Dussin.

 

Al comma 1, sostituire il capoverso con il seguente:

«Art. 118. - Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base del principio di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.

I comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.

Stato, Regioni, Province, Città metropolitane e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà«.

6. 22 (nuova formulazione) .Boato.

 

Subemendamenti all'emendamento 6. 40.

All'emendamento 6. 40, capoverso, primo comma, sopprimere le parole da: salvo che fino a: Stato.

0. 6. 40. 3. Fontan, Pagliarini.

 

All'emendamento 6. 40, capoverso, primo comma, sopprimere le parole: , differenziazione e adeguatezza.

0. 6. 40. 1. Volontè, Teresio Delfino, Tassone, Grillo, Cutrufo, Buttiglione, Paissan.

 

All'emendamento 6. 40, capoverso, sopprimere il terzo comma.

0. 6. 40. 4. Fontan, Pagliarini.

 

Aggiungere alla fine del terzo comma le parole: e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei Beni Culturali.

0. 6. 40. 6. Governo.

 

All'emendamento 6. 40, capoverso, comma 1, aggiungere, in fine, il seguente periodo: La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle prorie funzioni, anche con l'individuazione di organi comuni. Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e con enti territoriali interni ad altro Stato. La Regione, nelle materie di sua competenza, provvede all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione Europea.

0. 6. 40. 5. Fontan, Pagliarini.

 

All'emendamento 6. 40, capoverso, aggiungere, in fine, il seguente comma:

Stato, Regioni, Province, Città metropolitane e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.

0. 6. 40. 2. Boato, Paissan.

 

Al comma 1, sostituire il capoverso con il seguente:

«Art. 118. Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.

I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.

La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere a-bis) e g) dell'articolo 117, secondo comma».

6. 40. La Commissione.

 

Subemendamenti all'emendamento 6. 28.

All'emendamento 6. 28, capoverso, premettere il seguente comma:

L'attribuzione delle funzioni pubbliche a Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato si effettua sulla base del principio di sussidiarietà, quando si renda necessaria per attività che non possono essere efficacemente svolte dai soggetti privati e dalle formazioni sociali nella loro autonomia. La titolarità delle funzioni spetta, rispettivamente, ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane, alle Regioni e allo Stato, secondo i criteri di omogeneità, adeguatezza e differenziazione.

0. 6. 28. 1. Calderisi, Taradash, Landi di Chiavenna.

 

All'emendamento 6. 28, capoverso, premettere il seguente comma:

Spettano ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane, alle Regioni e allo Stato solamente le attività che essi possono svolgere più adeguatamente dei privati nella loro autonomia. Le funzioni amministrative sono ripartite sulla base del principio di sussidiarietà, nel rispetto di criteri di omogeneità e in modo da attribuirne la titolarità a strutture organizzative adeguate.

0. 6. 28. 2. Calderisi, Taradash, Landi di Chiavenna.

 

All'emendamento 6. 28, capoverso, premettere il seguente comma:

I Comuni, le Province, le Città metropolitane, le Regioni e lo Stato esercitano solamente le funzioni e le attività che non possono essere svolte in modo più efficace dai soggetti privati nella loro autonomia. La titolarità delle funzioni è attribuita, nell'ordine, ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane, alle Regioni e allo Stato sulla base dei principi di autonomia e sussidiarietà, secondo il criterio dell'adeguatezza dimensionale e organizzativa.

0. 6. 28. 3. Calderisi, Taradash, Landi di Chiavenna.

 

All'emendamento 6. 28, capoverso, premettere il seguente comma:

I Comuni, le Province, le Città metropolitane, le Regioni e lo Stato esercitano solamente le attività che non possono essere svolte in modo più efficace dall'iniziativa autonoma dei privati. La titolarità delle funzioni pubbliche è attribuita, in base al principio di sussidiarietà, ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane, alle Regioni e allo Stato, nell'osservanza dei criteri di differenziazione, omogeneità e adeguatezza delle proprie strutture organizzative e nel rispetto delle autonomie funzionali riconosciute dalla legge.

0. 6. 28. 4. Calderisi, Taradash, Landi di Chiavenna.

 

All'emendamento 6. 28, capoverso, premettere il seguente comma:

Ad esclusione delle attività che possono essere svolte in modo più efficace dall'autonoma iniziativa dei cittadini, anche attraverso le formazioni sociali, le funzioni pubbliche sono attribuite a Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato sulla base dei principi di sussidiarietà e differenziazione. La titolarità delle funzioni compete rispettivamente a Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato secondo i criteri di omogeneità ed adeguatezza.

0. 6. 28. 5. Calderisi, Taradash, Landi di Chiavenna.

 

All'emendamento 6. 28, capoverso, comma 1, sopprimere le parole da: salvo che fino a: Stato.

0. 6. 28. 8. Fontan, Fontanini.

 

All'emendamento 6.28, al capoverso, primo comma, sopprimere le parole: Città metropolitane.

Conseguentemente, al medesimo capoverso, secondo comma, sopprimere le parole: e le Città metropolitane.

0. 6. 28. 8. Selva, Anedda.

 

All'emendamento 6. 28, capoverso, comma 1, aggiungere, in fine, il seguente periodo: La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle prorie funzioni, anche con l'individuazione di organi comuni. Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati ed enti territoriali interni ad altro Stato. La Regione, nelle materie di sua competenza, provvede all'attuazione e all'esecuzione degli accordi internazionali e dgli atti dell'Unione Europea.

0. 6. 28. 9. Fontan, Fontanini.

 

All'emendamento 6. 28, capoverso, aggiungere, in fine, i seguenti commi:

I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa.

Per l'esercizio delle funzioni legislative ed amministrative nelle materie di sua esclusiva competenza, lo Stato stabilisce ed applica tributi propri.

Per l'esercizio delle funzioni legislative ed amministrative nelle materie di loro esclusiva competenza, le Regioni stabiliscono ed applicano tributi propri.

Le spese per l'esercizio delle funzioni derivanti dalla legislazione concorrente sono ripartite in proporzione tra lo Stato e le Regioni.

La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per le aree svantaggiate.

I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, trasferito con legge dello Stato. Possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento. È vietato allo Stato garantire i prestiti da loro contratti.

0. 6. 28. 7. Pisanu, Selva, Pagliarini, Follini, Volontè.

 

Sostituirlo con il seguente:

1. L'articolo 118 della Costituzione è sostituito dal seguente:

«Art. 118 - Le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a province, città metropolitane, regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.

I comuni, le province e le città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze«.

6. 28. La Commissione.

 

Subemendamenti all'emendamento 6. 21.

All'emendamento 6. 21, sopprimere le parole da: salvo fino alla fine dell'emendamento.

0. 6. 21. 6. Fontan, Stucchi, Fontanini, Luciano Dussin.

 

Al comma 1, sostituire il capoverso con il seguente:

«Art. 118. - Le funzioni amministrative nelle materie di competenza legislativa statale e regionale sono esercitate dai Comuni, singoli o associati, dalle Province o dalle Città metropolitane sulla base del principio di sussidiarietà, salvo nei casi in cui ne sia necessario l'esercizio unitario da parte delle Regioni o dello Stato sulla base di quanto disposto con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze».

6. 21. Orlando, Massa, Crema, Scoca, Boato, Palma.

 

Al comma 1, sostituire il capoverso con il seguente:

«Art. 118. Non possono essere istituiti da nessun ente dazi di importazione o esportazione e transito tra le Regioni, né adottati provvedimenti tendenti a limitare e ostacolare in qualsiasi modo la libera circolazione di persone e cose tra le Regioni, né l'esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale».

6. 15. Nardini.

 

Al comma 1, capoverso Art. 118, primo comma, sostituire le parole: le intese con le seguenti: gli accordi.

6. 7. Fontan, Ballaman, Bosco, Paolo Colombo, Covre, Dalla Rosa, Fontanini, Galli, Michielon, Pittino, Santandrea.

 

Al comma 1, capoverso Art. 118, secondo comma, sopprimere le parole: e intese.

6. 8. Fontan, Ballaman, Bosco, Paolo Colombo, Covre, Dalla Rosa, Fontanini, Galli, Michielon, Pittino, Santandrea.

 

Al comma 1, capoverso Art. 118, secondo comma, sopprimere le parole: nei casi e con le forme disciplinate da legge dello Stato.

6. 9. Fontan, Ballaman, Bosco, Paolo Colombo, Covre, Dalla Rosa, Fontanini, Galli, Michielon, Pittino, Santandrea, Luciano Dussin, Stucchi.

 

Al comma 1, capoverso Art. 118, secondo comma, sostituire le parole: nei casi e con le forme disciplinate da legge dello Stato con le seguenti: istituendo all'occorrenza autorità comuni per la gestione di servizi ed ogni altra attività di rilevanza transfrontaliera.

6. 11. Borghezio, Fontan, Ballaman, Bosco, Paolo Colombo, Covre, Dalla Rosa, Fontanini, Galli, Michielon, Pittino, Santandrea.

 

Al comma 1, capoverso Art. 118, secondo comma, sostituire le parole: nei casi con le seguenti: nelle materie, con i limiti.

6. 2. Garra.

 

Al comma 1, capoverso Art. 118, secondo comma, aggiungere, in fine, le parole: , approvata secondo la procedura di cooperazione con la Conferenza delle Regioni.

6. 4. Crema, Boselli, Albertini, Ceremigna, Sergio Fumagalli, Parenti, Schietroma, Villetti.

 

Al comma 1, capoverso Art. 118, secondo comma, aggiungere, in fine, le parole: , che prevede anche forme di consenso tacito.

*6. 23. Zeller, Brugger, Widmann, Caveri, Detomas.

 

Al comma 1, capoverso Art. 118, secondo comma, aggiungere, in fine, le parole: , che prevede anche forme di consenso tacito.

*6. 26. Fontan, Fontanini, Luciano Dussin, Stucchi.

 

Al comma 1, capoverso Art. 118, dopo il secondo comma, aggiungere il seguente:

Le Regioni partecipano costantemente all'elaborazione delle politiche comunitarie nelle materie nelle quali abbiano competenza. In tali materie, prima della stipula dei trattati internazionali concernenti l'Unione europea, il Governo procede ad informare e consultare la Conferenza delle Regioni, associando dei rappresentanti di essa alla delegazione nazionale incaricata di svolgere le relative trattative con gli altri contraenti. L'autorizzazione alla ratifica di tali trattati avviene in cooperazione con la Conferenza delle Regioni. Nell'elaborazione degli atti comunitari che riguardino le Regioni, la Conferenza viene debitamente informata in modo da poter prendere posizione. La legge, approvata in cooperazione con la Conferenza delle Regioni, prevede la partecipazione di rappresentanti regionali negli organi di preparazione delle decisioni comunitarie.

6. 5. Crema, Boselli, Albertini, Ceremigna, Sergio Fumagalli, Parenti, Schietroma, Villetti.

 

 

Al comma 1, capoverso Art. 118, sostituire il terzo comma con il seguente:

La Regione partecipa, nelle forme e con le modalità stabilite con legge dello Stato, alla formazione degli atti dell'Unione europea e provvede, nelle materie di sua competenza, all'attuazione degli accordi internazionali e all'esecuzione degli atti dell'Unione europea. Nel caso di violazione da parte della Regione delle norme di procedura al riguardo stabilite dalla legge dello Stato, compete al Governo un potere di annullamento degli atti regionali difformi.

6. 3. Garra.

 

Al comma 1, capoverso Art. 118, terzo comma, sopprimere le parole da: nel rispetto fino alla fine del comma.

*6. 14. Ballaman, Fontan.

 

Al comma 1, capoverso Art. 118, terzo comma, sopprimere le parole da: nel rispetto fino alla fine del comma.

*6. 16. Zeller, Brugger, Widman, Detomas.

 

Al comma 1, capoverso Art. 118, terzo comma, sostituire le parole da: , nel rispetto delle norme fino alla fine del comma con le seguenti: . In tali materie lo Stato può intervenire solo in via sostitutiva, previa intimazione alle Regioni inadempienti e con la procedura di cooperazione con la Conferenza delle Regioni.

6. 6. Crema, Boselli, Albertini, Ceremigna, Sergio Fumagalli, Parenti, Schietroma, Villetti.

 

Al comma 1, capoverso Art. 118, aggiungere, in fine, il seguente comma:

L'ordinamento italiano si adegua automaticamente alle norme di rilevanza comunitaria relative ai poteri locali.

6. 10. Borghezio, Fontan, Ballaman, Bosco, Paolo Colombo, Covre, Dalla Rosa, Fontanini, Galli, Michielon, Pittino, Santandrea.

 

Al comma 1, capoverso Art. 118, aggiungere, in fine, il seguente comma:

Le Regioni e le province autonome sono rappresentate presso l'Unione europea, con la quale, nelle materie di propria competenza, intrattengono rapporti diretti.

*6. 24. Zeller, Brugger, Widmann, Caveri, Detomas.

 

Al comma 1, capoverso Art. 118, aggiungere, in fine, il seguente comma:

Le Regioni e le province autonome sono rappresentate presso l'Unione europea, con la quale, nelle materie di propria competenza, intrattengono rapporti diretti.

*6. 25. Fontan, Fontanini, Luciano Dussin, Stucchi.

 

Al comma 1, capoverso Art. 118, aggiungere, in fine, il seguente comma:

Le Regioni sono rappresentate presso l'Unione europea, con la quale, nelle materie di propria competenza, intrattengono rapporti diretti.

**6. 12. Fontan.

 

Al comma 1, capoverso Art. 118, aggiungere, in fine, il seguente comma:

Le Regioni sono rappresentate presso l'Unione europea, con la quale, nelle materie di propria competenza, intrattengono rapporti diretti.

**6. 20. Zeller, Brugger, Widmann, Caveri, Detomas.

 

 

 


 



[1]    Al riguardo cfr., per gli interventi dell’on. Calamandrei, Atti Ass. cost., II, 157-158; per l’on. Einaudi, Atti Ass. cost., II, 1538.

[2]    Corte costituzionale, sentenza n.17 del 1976.

[3]    Con l’art. 4, comma 4-quinquies, del d.l. 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39, introdotto dall'art. 1, comma 10, del d.l. 28 agosto 2008, n. 134, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 ottobre 2008, n. 166.

[4]    Si ricordi, comunque, che, come ha chiarito la giurisprudenza costituzionale, essi consistono in orientamenti o criteri direttivi di così ampia portata da potersi desumere, di norma, soltanto dalla disciplina legislativa relativa a più settori materiali ovvero, eccezionalmente, da singole materie, sempreché il principio sia diretto a garantire il rispetto di valori supremi collocabili a livello di norme di rango costituzionale o di quelle di immediata attuazione della Costituzione (sent. 1107/1988).

[5]    Con le sentenze n. 30 e n. 31 del 1971 la Corte Costituzionale, pur riconoscendo il primato del diritto comunitario, ha affermato che le norme di altri ordinamenti che vengono immesse nel nostro per effetto di rinvii (artt. 7, 11 e 10 comma 1 Cost.) non possono violare i principi supremi dell’ordinamento costituzionale.

[6]    Sent. 1146/1988 e 366/1991. Ad ogni modo, spetta alla Corte il compito di valutare, di volta in volta, se il bene costituzionalmente protetto sia o meno compromesso dalla norma contrastante.

[7]    L. 7 agosto 1990, n. 241, Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi. L’articolo 19, comma 1, della legge n. 241 del 1990, nella sua originaria formulazione, aveva introdotto nell’ordinamento la denuncia di inizio attività (DIA), attraverso la sostituzione degli atti amministrativi ampliativi – nei soli settori tassativamente indicati a livello regolamentare – con dichiarazioni sostitutive da parte dei privati interessati (alle condizioni e con i limiti indicati dal medesimo articolo 19). Successivamente prima con l’art. 2, co. 11, della L. n. 537/1993 e, poi, con l’articolo 3, comma 1, del D.L. n. 35 del 2005, l’articolo 19, comma 1, della legge n. 241 del 1990, è stato riformulato, trasformando la DIA da istituto eccezionale a istituto generale, ammesso in tutti i casi in cui il provvedimento ampliativo è configurabile come atto vincolato, con le sole eccezioni ivi espressamente stabilite.

[8]    D.L. 31 maggio 2010, n. 78, Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica.

[9]    D.L. 25 giugno 2008, n. 112, Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria.

[10]   D.P.R. 7 settembre 2010, n. 160, Regolamento per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive, ai sensi dell'articolo 38, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.

[11]   D.P.R. 9 luglio 2010, n. 159, Regolamento recante i requisiti e le modalità di accreditamento delle agenzie per le imprese, a norma dell'articolo 38, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.

[12]   D.L. 31 gennaio 2007, n. 7, Misure urgenti per la tutela dei consumatori, la promozione della concorrenza, lo sviluppo di attività economiche, la nascita di nuove imprese, la valorizzazione dell'istruzione tecnico-professionale e la rottamazione di autoveicoli.

[13]   D.Lgs. 26 marzo 2010, n. 59, Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno.

[14]   Alcuni servizi sono espressamente esclusi; tra questi, le attività connesse con l’esercizio di pubblici poteri, i servizi di interesse economico generale assicurati alla collettività in regime di esclusiva, taluni servizi di natura sociale, i servizi sanitari e farmaceutici forniti a scopo terapeutico e i servizi finanziari.

[15]   In linea generale, il “silenzio-assenso” consiste in una qualificazione giuridica formale del silenzio, per la quale, decorso il termine di provvedere senza che la P.A. si sia pronunciata, l’istanza presentata dal privato si intende accolta. Al pari della Scia, il silenzio-assenso risponde ad esigenze di semplificazione del procedimento ed è ispirato ad una logica di liberalizzazione dell’attività dei privati. Ma, a differenza della Scia che – come visto – riguarda procedimenti autorizzatori a carattere vincolato, il silenzio-assenso riguarda procedimenti volti ad ottenere un’autorizzazione a contenuto discrezionale. L’art. 20 della legge 241/1990, come interamente riformulato dal D.L. 35/2005, in tutti i casi in cui la pubblica amministrazione non risponde con un provvedimento di diniego ad un’istanza di rilascio di provvedimenti amministrativi nei termini fissati dai regolamenti o dalle leggi, il silenzio della stessa ha valore di provvedimento amministrativo di accoglimento. L’istituto non opera per alcuni tipi di procedimenti. In ogni caso, al pari di quanto prescritto per la Scia, il silenzio assenso non esclude la potestà di autotutela della P.A. (annullamento o revoca) per ragioni di pubblico interesse (comma 3); né i suoi compiti di vigilanza, prevenzione e controllo sulle relative attività (art. 21, co. 2-bis).

[16]   Si veda per tutte la sentenza del 14 maggio 1974, causa 4-73, Nold, Racc. 1974, pag. 491, punto 14, e la sentenza del 27 settembre 1979, causa 230/78, SPA Eridania e a., Racc. 1979, pag. 2749, punti 20 e 31.

[17]   Cfr., tra l'altro, la sentenze Sukkerfabriken Nykøbing, causa 151/78, Racc. 1979, pag. 1, punto 19; e la sentenza del 5 ottobre 1999, Spagna c/Commissione, causa C-240/97, punto 99.

[18]   Il riferimento agli interessi generali riconosciuti dall'Unione comprende sia gli obiettivi citati nell'articolo 3 del trattato sull'Unione europea sia altri interessi tutelati da disposizioni specifiche dei trattati come l'articolo 4, paragrafo 1 del trattato sull'Unione europea e gli articoli 35, paragrafo 3, 36 e 346 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Si veda, su tale tema, la sentenza Metro del 25 ottobre 1977, C-26/76.

[19]   A questa definizione il legislatore nazionale si è adeguato con il decreto dell’allora Ministro delle attività produttive del 18 aprile 2005.

[20]   Pubblicato nella Gazz. Uff. 12 ottobre 2005, n. 238.

[21]   Struttura e dimensione delle imprese - Anno 2008. Istat, Statistiche in breve, 3 giugno 2010.

[22]   Merusi, Commento sub art. 47, in Comm. Branca, p. 153 e ss.

[23]   La ragione di questo consenso deriva dalla necessità di tutelare quei risparmi che, per esiguità e lentezza nella formazione, trovano difficoltà ad essere investiti in azioni, e quindi sono più soggetti, rispetto ai grandi patrimoni, agli effetti negativi dell'inflazione. Il risparmio popolare viene dunque inteso dalla dottrina principalmente come il risparmio del lavoratore, in opposizione a quello del semplice rentier o dello speculatore. Questa politica di incentivazione si realizza non solo con gli investimenti, più tradizionali, della prima casa e della proprietà del fondo, ma anche con lo strumento dell'investimento azionario.

[24]   Atti Ass. Cost, IV, 1768; Merusi, op. cit.

[25]   Corte Cost., Sent. n. 128/1966.

[26]   F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, Vol. I – Parte generale, UTET, 2009, 78.

[27]   Fantozzi, Il diritto tributario, Torino, 2003, 50.

[28]   Corte Cost, sent. n. 2/2006.

[29]   L. 11 febbraio 2005, n. 15, Modifiche ed integrazioni alla L. 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull'azione amministrativa.

[30]   L. 18 giugno 2009, n. 69, Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile.

[31]   Per quanto riguarda i princìpi del diritto comunitario, le fonti per la loro identificazione sono essenzialmente il Trattato istitutivo dell’Unione europea, e successive modificazioni, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma nel 1950 e richiamata dal citato Trattato istitutivo, la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea di Nizza, e la giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee. Tra i princìpi fondamentali, interessanti il diritto amministrativo, fissati dalle fonti comunitarie si ricordano: il principio di legalità, secondo il quale le autorità pubbliche non possono agire in maniera difforme dal diritto; il principio di eguaglianza, o di imparzialità, per cui situazioni uguali devono essere trattate in modo uguale; il principio di proporzionalità, inteso nel senso che i mezzi utilizzati dall’amministrazione devono essere commisurati allo scopo cui sono preordinati e non devono comportare sacrifici sproporzionati per i privati; il principio di legittimo affidamento, in base al quale le amministrazioni devono tenere conto delle aspettative che i privati possono avere circa la stabilità degli effetti di precedenti decisioni dell’amministrazione.

[32]   D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.

[33]   D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni.

[34]    Il bonus viene assegnato entro il mese di aprile dell’anno successivo. A tal fine, l’articolo 55 del D.Lgs. 150, modificando l’articolo 45 del D.lgs. 165/2001, ha disposto apposite risorse nell’ambito di quelle previste per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro per premiare il merito e il miglioramento della performance dei dipendenti.