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PDL 5561

XVI LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 5561



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa del deputato STUCCHI

Modifiche al codice civile e alle relative disposizioni di attuazione in materia di affidamento condiviso dei figli

Presentata il 7 novembre 2012


      

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Onorevoli Colleghi! — La modifica dell'articolo 155 del codice civile, operata dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54, ha introdotto il principio cardine dell'affidamento congiunto in materia di affidamento dei minori conseguente alla separazione personale dei coniugi.
      In generale, le disposizioni recate da questa legge prevedono che, nei casi di separazione personale dei coniugi, di scioglimento o di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio e nei procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, i figli siano affidati come regola ad entrambi i genitori e soltanto come eccezione in via esclusiva a uno di questi, quando ciò sia necessario per ottemperare alla realizzazione del sempre preminente interesse del minore.
      La ratio della legge n. 54 del 2006 è da individuarsi nell'integrale tutela del diritto dei minori ad un rapporto quanto più possibile omogeneo con entrambi i genitori, da realizzarsi mediante la netta scissione tra il rapporto esistente tra i genitori in quanto coppia e quello invece coinvolgente i figli.
      Prima della riforma, l'istituto dell'affidamento congiunto, pur non essendo previsto dalla normativa vigente in materia di separazione personale, era ammesso espressamente dall'articolo 6 della legge sul divorzio (legge n. 898 del 1970).
      La giurisprudenza di legittimità era già intervenuta ammettendo l'applicazione analogica dell'articolo 155 del codice civile anche alle ipotesi di separazione personale (Cassazione civile, sezione I, sentenza
 

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n. 2210 del 28 febbraio 2000, e n. 127775 del 13 dicembre 1995).
      Sotto la vigenza del vecchio testo dell'articolo 155 nessun sistema di preferenza era espressamente indicato dal legislatore in ordine all'emanazione del provvedimento di affidamento, tuttavia l'ipotesi più diffusa nella prassi era quella dell'affidamento esclusivo alla madre.
      A differenza del precedente, il nuovo dettato normativo prevede un evidente criterio di scelta orientato a sancire il principio di bigenitorialità, individuando come interesse primario della prole quello della continuità nei rapporti con entrambi i genitori e preservando, per quanto possibile, lo stesso equilibrio di frequentazione tra entrambi i genitori.
      La bigenitorialità, pertanto, è oggi l'unica forma di affidamento dei figli, mentre l'affido esclusivo ad un solo genitore diventa un'eccezione al principio generale e si applica, con motivazione, quando il comportamento dell'altro genitore nei confronti del figlio sia contrario all'interesse del minore stesso. Solo in questa eventualità potrà essere limitata la frequentazione, ma mai la potestà di quel genitore.
      Questo principio, valevole per tutti i casi di cessazione della convivenza dei genitori e, quindi, sia per le coppie di fatto che per i casi di separazione e divorzio, è al momento disciplinato dalle norme introdotte con la legge n. 54 del 2006 e definito dall'articolo 155 del codice civile il quale sancisce che «Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale».
      È opportuno menzionare l'obbligo, a carico di entrambi i genitori, di mantenere, istruire ed educare i figli. Il dovere del mantenimento dei figli è un obbligo imposto dalla legge, dalla Costituzione e da ragioni etiche e morali, che si realizza mediante un assegno perequativo che il genitore non prevalente è tenuto a versare mensilmente e congiuntamente ad altre somme corrisposte in relazione alle spese considerate straordinarie (ad esempio quelle scolastiche, ricreative, mediche, sportive o per le vacanze). L'importo, per legge, deve essere rivalutato annualmente secondo gli indici rilevati dall'ISTAT.
      Il giudice può anche stabilire un assegno a favore dei figli maggiorenni, da versare a loro direttamente, quando non abbiano adeguati redditi.
      In proposito è rilevante l'articolo 570 del codice penale in materia di violazione degli obblighi di assistenza familiare, il quale dispone che «Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all'ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà dei genitori, o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire duecentomila a due milioni.
      Le dette pene si applicano congiuntamente a chi:

          1. malversa o dilapida i beni del figlio minore o del pupillo o del coniuge;

          2. fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa.

      Il delitto è punibile a querela della persona offesa salvo nei casi previsti dal numero 1 e, quando il reato è commesso nei confronti dei minori, dal numero 2 del precedente comma.
      Le disposizioni di questo articolo non si applicano se il fatto è preveduto come più grave reato da un'altra disposizione di legge».
      Riepilogando brevemente, la nuova normativa pone l'affido esclusivo come ipotesi di carattere eccezionale che può essere adottata soltanto nei casi in cui la regola generale dell'affido condiviso si presenti inattuabile.
      Il legislatore ha ritenuto di non dover precisare quali siano tali casi, rimettendo al giudice la valutazione discrezionale del

 

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caso concreto. È difatti rimessa al giudicante la determinazione dei tempi e delle modalità della presenza dei figli presso ciascun genitore, con l'indicazione, altresì, della misura e del modo in cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all'istruzione e all'educazione della prole.
      Alla luce di ciò, ben si comprende che non può considerarsi caso eccezionale quello della semplice conflittualità tra coniugi, la quale è alla base di ogni separazione (in proposito la nota sentenza n. 16593 della Cassazione civile, sezione I, del 19 giugno 2008, ha definitivamente posto termine alle interpretazioni soggettive della magistratura e dell'avvocatura e ha chiarito che l'eccesso di conflittualità intergenitoriale non è motivo ostativo alla concessione dell'affido condiviso), ma deve esserci un elemento ulteriore che induca nel giudice il convincimento che l'affido condiviso sia contrario all'interesse del minore. In particolare, sarà necessario valutare l'atteggiamento complessivo del genitore verso la società e verso il figlio e il rapporto che intercorre con quest'ultimo.
      Le lettera della legge circa una valutazione prioritaria impone come antecedente necessario quello di determinare quali siano le situazioni ostative ad un provvedimento di affidamento congiunto. In assenza di un'espressa codificazione legislativa, se non il generico riferimento all’«interesse morale e materiale della prole», il criterio guida sarà certamente quello della maggiore tutela possibile del minore.
      Oggi le cose dovrebbero cambiare e gli elementi ostativi ad un provvedimento di affidamento congiunto dovrebbero risiedere in situazioni eccezionali (ad esempio il trasferimento di un genitore all'estero) tali da sconsigliare, nell'interesse primario del figlio, il ricorso ad un affidamento congiunto e da giustificare, con provvedimento motivato, il ricorso all'affidamento esclusivo.
      In caso contrario, la riforma dell'articolo 155 del codice civile resterebbe priva di vita giuridica.
      A sei anni dall'entrata in vigore della legge n. 54 del 2006, la concreta applicazione della normativa sull'affidamento condiviso e del principio della bigenitorialità incontra, ancora oggi, forti resistenze culturali in molti tribunali ordinari e dei minori.
      Se numerose sono le testimonianze culturali a sostegno della norma (anche da parte di insigni rappresentanti della magistratura), nulla sembra essere cambiato nel merito. Questo primo lungo periodo di osservanza della legge n. 54 del 2006, infatti, è stato caratterizzato da una vasta disomogeneità dei provvedimenti in cui l'affidamento condiviso è stato spesso negato ora per la reciproca conflittualità, ora per l'età dei figli o, ancora, per la distanza tra le rispettive abitazioni dei genitori. Ciò ha causato nei cittadini interessati la sensazione diffusa di una vera e propria perdita della certezza dei diritti. In molti tribunali della nostra Repubblica sono frequenti i casi in cui il giudice consente ancora l'omologazione di affidamenti esclusivi concordati tra le parti senza che vi siano indicate le ragioni di pregiudizio a carico del genitore da escludere, derivando da ciò un'evidente violazione del diritto indisponibile del minore a un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori (primo comma dell'articolo 155 del codice civile).
      Un'osservanza così parziale e disomogenea pone l'Italia in una posizione di sensibile arretramento culturale, se paragonata agli altri Paesi del mondo occidentale dove i princìpi della bigenitorialità sono affermati e applicati con puntualità. Appare necessario, pertanto, cogliere l'occasione per completare la riforma e per introdurre modifiche che possano riportare il nostro diritto di famiglia verso posizioni di elevata civiltà giuridica e, allo stesso tempo, dare concreta tutela ai diritti dei figli nella separazione.
      Sulla scorta delle esposte premesse e grazie al contributo di diverse associazioni di genitori, svariate proposte di legge sono state depositate in Parlamento (sia alla Camera, sia al Senato), con l'obiettivo di apportare opportune modifiche in materia di affidamento condiviso.
      La proposta di legge atto Camera n. 2209, per esempio, contempla:

          1) la disposizione di tempi di permanenza paritetici dei minori presso entrambi

 

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i genitori, salvi diversi accordi fra le parti o particolari impegni lavorativi che ne impediscano l'attuazione;

          2) l'introduzione della doppia residenza dei minori presso le rispettive abitazioni di entrambi i genitori;

          3) l'introduzione di sanzioni finalmente efficaci per le inottemperanze ai provvedimenti del giudice, valide anche in caso di inadempimento ai doveri di cura della prole (il deplorevole fenomeno dei genitori assenti);

          4) la disciplina della sindrome, che molti bambini sviluppano in occasione della separazione dei genitori, denominata alienazione genitoriale o parentale. Una volta introdotta in ambito legislativo, tale previsione porrebbe il nostro sistema giuridico in posizione di avanguardia pari a quelle dei Paesi più evoluti;

          5) il divieto al genitore di allontanarsi con la prole e un forte deterrente economico contro il trasferimento coatto e arbitrario dei figli con conseguente allontanamento dall'altro genitore e dall'ambiente in cui sono cresciuti;

          6) l'introduzione di una forte sanzione penale contro le false accuse tra coniugi;

          7) la valutazione del comportamento tenuto precedentemente alla cosiddetta udienza presidenziale. In questo periodo, infatti, non trovano disciplina fatti anche gravi che coinvolgono i minori: la previsione di sanzioni per le azioni documentate potrà costituire un valido deterrente in grado di far assumere ai coniugi, anche negli attimi concitati della separazione, un atteggiamento di maggiore responsabilità verso i bambini;

          8) l'introduzione di un passaggio obbligato presso una struttura di mediazione familiare da parte dei genitori in procinto di separarsi;

          9) il rafforzamento del ruolo svolto dai centri di mediazione o di composizione familiare, che dovranno rispondere a determinati requisiti di competenza e professionalità;

          10) la definizione di un assegno perequativo periodico non superiore ad un massimo determinato dal costo dei figli e dal principio di proporzionalità dei redditi, con previsione di competenza, per ognuno dei genitori, secondo capitoli di spesa;

          11) l'attribuzione esclusiva della competenza ai tribunali ordinari, senza alcuna distinzione tra figli di coppie unite in matrimonio e quelli delle cosiddette «coppie di fatto», con conseguente limitazione della competenza dei tribunali dei minori soltanto all'ambito penale (reati commessi da minori).

      Nella generalità dei casi, poi, la più vistosa forma di mancata applicazione della legge n. 54 del 2006 si rinviene nella concessione puramente formale e nominale dell'affidamento condiviso, al quale, però, vengono attribuiti contenuti pressoché identici a quelli di un affidamento esclusivo, soprattutto attraverso l'introduzione della figura del «genitore convivente» o «collocatario prevalente», di origine esclusivamente giurisprudenziale e di cui il legislatore non fa menzione. Così facendo, si svuota di significato e di ambito applicativo la normativa, si riproduce l'antico modello del genitore affidatario (dei figli e della casa coniugale) e si mantiene elevato il livello del conflitto tra ex coniugi, a danno dei figli.
      Ciò, evidentemente, è l'esatto contrario di quello che si era proposta la riforma del 2006, introdotta per sostituire il modello monogenitoriale con quello bigenitoriale.
      Tutto ciò premesso la giurisprudenza dimostra che:

          i tribunali hanno applicato il principio dell'affidamento condiviso solo sulla carta, poiché in caso di separazione giudiziale si decide quasi sempre (nel 98 per cento dei casi) per il collocamento presso

 

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la figura materna che, quindi, continua ad essere sempre e solo il genitore affidatario del minore perché, a priori, la si ritiene la persona più indicata (peculiare la vicenda in relazione alla quale un giudice negli Stati Uniti d'America affermò: «Non ho mai visto i vitelli seguire i buoi, seguono sempre la mucca; perciò io do sempre la custodia alle mamme»: Commissione d'indagine sul pregiudizio legato al sesso nel sistema giudiziario, Relazione alla Corte suprema della Georgia, 1992);

          nell'80 per cento dei casi, le denunce nei confronti dei padri sono false. In alcuni casi sono state prodotte intercettazioni ambientali del minore che viene istigato dalla mamma ad accusare il padre al solo scopo di revocargli la patria potestà;

          dati oggettivi dimostrano che, in caso di mancato pagamento, o anche solo di un ritardo, degli alimenti stabiliti dal tribunale è previsto un reato a carico del padre; di contro, non è previsto reato alcuno per una madre che sottrae il figlio al padre senza farglielo vedere per anni, adducendo scuse pretestuose;

          nella maggior parte dei casi il padre, ancorché veda il minore per qualche ora, non potrà mai vivere con suo figlio la quotidianità che solo la convivenza può offrire.

      Al momento la legge 8 febbraio 2006, n. 54, sancisce solo in teoria il principio dell'affido condiviso, permanendo, nella prassi, il collocamento della prole presso il domicilio materno.
      Con l'articolo 1 della presente proposta di legge, che introduce il nuovo articolo 155-bis.1 del codice civile, si specifica il contenuto necessario dei provvedimenti e degli accordi tra le parti per l'affidamento condiviso dei figli minori ad entrambi i genitori. Salvi i casi in cui sussistano ragioni per adottare una scelta diversa, che dovrà essere adeguatamente motivata, tali provvedimenti e accordi devono prevedere la permanenza del minore alternativamente presso il domicilio dell'uno e dell'altro genitore. Inoltre, sia nel caso di affidamento condiviso, sia nel caso di affidamento esclusivo (quando non vi siano gravi motivi per escluderlo), è stabilito che, durante i periodi di permanenza presso un genitore, l'altro genitore ha diritto di visitare il minore e di mantenere rapporti con esso nei tempi determinati dal provvedimento del giudice o dall'accordo intervenuto tra le parti. Infine, si introduce una sanzione idonea e dissuasiva contro i comportamenti del genitore che, con azioni, omissioni, artifizi o raggiri, impedisca la permanenza del minore presso l'altro genitore ovvero la visita e il mantenimento dei rapporti nei tempi determinati dal provvedimento del giudice o dall'accordo. Si prevede a questo fine che il responsabile, a querela del genitore offeso, sia punito con le pene comminate dall'articolo 570 del codice penale, ossia la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 103 a euro 1.032.
      L'articolo 2 interviene invece sulla competenza giurisdizionale per i provvedimenti di affidamento dei minori. Attualmente, su ciò pronunzia il tribunale, nell'ambito del procedimento di separazione, quando la decisione riguardi l'affidamento dei figli di genitori tra loro coniugati; quando si tratti invece di figli naturali riconosciuti, non potendo esistere in tal caso alcun procedimento di separazione, la materia rientra nella competenza del tribunale per i minorenni, secondo l'interpretazione giurisprudenziale dell'articolo 38 delle disposizioni per l'attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 30 marzo 1942, n. 318 (si veda a questo riguardo l'ordinanza della Corte di cassazione, sezione I civile, 3 aprile 2007, n. 8362). La questione viene infatti ricondotta nell'ambito dei provvedimenti previsti dall'articolo 317-bis del codice civile, riguardante l'esercizio della potestà sui figli naturali riconosciuti, relativamente ai quali l'articolo 38 delle citate disposizioni per l'attuazione del codice civile stabilisce la competenza del tribunale per i minorenni.
      Invero, l'articolo 317-bis del codice civile, al secondo comma, attribuisce ad ambedue i genitori l'esercizio della potestà

 

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qualora il figlio sia stato riconosciuto da entrambi (è questo, ordinariamente, il caso della prole delle cosiddette «coppie di fatto»), rinviando, per la soluzione di eventuali contrasti su singole questioni relative all'esercizio della potestà, all'articolo 316, che disciplina i provvedimenti del giudice per dirimere tali contrasti quando essi si verifichino tra due genitori coniugati.
      Qualora invece i genitori che hanno riconosciuto il figlio naturale non convivano, l'esercizio della potestà spetta al genitore con il quale il figlio convive ovvero, se non convive con alcuno di essi, al primo che ha fatto il riconoscimento (salvo comunque il potere di vigilanza dell'altro genitore). Nell'esclusivo interesse del figlio, il giudice può disporre diversamente, o anche escludere dall'esercizio della potestà entrambi i genitori, provvedendo alla nomina di un tutore. Queste disposizioni sono evidentemente applicabili anche nel caso in cui si sciolga la convivenza di fatto.
      La modifica prevista nella presente proposta di legge interviene soltanto per quest'ultima ipotesi, trasferendo nell'ambito della competenza del tribunale – come nel caso delle coppie coniugate – i provvedimenti di affidamento dei figli minori delle coppie di fatto. A ciò si provvede con la minore alterazione possibile della sistematica dell'articolo 38 delle disposizioni per l'attuazione del codice civile, relative alla competenza del tribunale per i minorenni.
      Tale competenza rimane quindi invariata quanto alle restanti materie, compresi i contrasti su singole scelte relative all'esercizio della potestà sul minore, non implicanti una controversia sull'attribuzione della potestà medesima, sia nel caso di genitori uniti in matrimonio (articolo 316 del codice civile) sia nel caso di genitori di figli naturali conviventi (articolo 317-bis, secondo comma, secondo periodo, mediante rinvio).
      Le modifiche proposte intervengono su due distinti ma correlati aspetti, incidendo, rispettivamente, sul primo e sul secondo comma dell'articolo 38 delle disposizioni per l'attuazione del codice civile:

          a) sono rimessi alla competenza del tribunale i soli provvedimenti modificativi dell'esercizio della potestà nel caso di figli naturali di genitori non conviventi (o non più conviventi), in conformità a quanto stabilito circa la competenza per gli analoghi provvedimenti nel caso dei figli di genitori coniugati (ove, peraltro, il provvedimento è adottato nell'ambito di un procedimento di separazione personale dei coniugi);

          b) si dispone che, ove siano in corso dinnanzi al tribunale procedimenti di separazione o divorzio, siano proponibili dinnanzi al medesimo le domande relative alle controversie riguardanti l'esercizio della potestà dei genitori, ossia quelle previste dagli articoli 316 (contrasti su singole questioni relative all'esercizio della potestà), 330 (decadenza dalla potestà), 332 (reintegrazione del genitore decaduto), 333 (condotta pregiudizievole ai figli), 334 (provvedimenti sulla gestione del patrimonio del minore e rimozione del genitore dall'amministrazione) e 335 (reintegrazione del genitore rimosso) del codice civile. Questa deroga alla competenza del tribunale per i minorenni – contemplata anche nel più vasto intervento in materia di potestà genitoriale e filiazione naturale contenuto nella proposta di legge atto Camera n. 3755 (approvata dal Senato) – risponde a un'evidente ragione di economia dei procedimenti, allo scopo di evitare che questioni palesemente connesse debbano essere trattate da un giudice diverso da quello che – nell'ambito del procedimento di separazione – deciderà sull'affidamento della prole.

 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Dopo l'articolo 155-bis del codice civile è inserito il seguente:
      «Art. 155-bis.1. — (Disposizioni comuni in materia di affidamento del minore e sanzione). — I provvedimenti e gli accordi intervenuti tra le parti per l'affidamento condiviso dei figli minori ad entrambi i genitori, adottati dal giudice ai sensi dell'articolo 155, secondo comma, prevedono, di norma, la permanenza del minore alternativamente presso il domicilio dell'uno e dell'altro genitore.
      Durante i periodi di permanenza presso un genitore, l'altro genitore ha diritto di visitare il minore e di mantenere rapporti con esso nei tempi determinati dal provvedimento del giudice o dall'accordo intervenuto tra le parti. La disposizione del primo periodo si applica anche nel caso di affidamento esclusivo ad un solo genitore, qualora il provvedimento del giudice lo preveda.
      Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il genitore che, con azioni, omissioni, artifizi o raggiri, impedisce la permanenza del minore presso l'altro genitore, nei periodi stabiliti, ai sensi del primo comma, ovvero la visita e il mantenimento dei rapporti nei tempi determinati, ai sensi del secondo comma, è punito con le pene previste dall'articolo 570 del codice penale. Il delitto è punibile a querela della persona offesa».

Art. 2.

      1. All'articolo 38 delle disposizioni per l'attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 30 marzo 1942, n. 318, e successive modificazioni,

 

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sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) al primo comma le parole: «316, 317-bis,» sono sostituite dalle seguenti: «316, anche nel caso previsto dall'articolo 317-bis, secondo comma, secondo periodo,»;

          b) al secondo comma è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Qualora sia in corso tra le parti un procedimento di separazione, di scioglimento del matrimonio o di dichiarazione della cessazione dei suoi effetti civili, per tutta la durata del procedimento spetta al tribunale ordinario la competenza per i provvedimenti di cui agli articoli 316, 330, 332, 333, 334 e 335 del codice civile».


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