CAMERA DEI DEPUTATI

Doc. XXII, n. 38

PROPOSTA DI INCHIESTA PARLAMENTARE

d'iniziativa del deputato BONELLI

Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle pratiche commerciali scorrette, sulle conseguenze ambientali dei metodi di produzione e sulle infiltrazioni criminali nella filiera agricola e alimentare

Presentata il 15 aprile 2024

  Onorevoli Colleghe e Colleghi! – Il peso che porta con sé la protesta dei trattori riguarda le pratiche commerciali sleali e le vendite sottocosto, a politica agricola comune (PAC), il malcontento per il mancato taglio delle accise sul gasolio e per la mancata esenzione dall'imposta sul reddito delle persone fisiche. La protesta rileva ancora una volta come, a livello istituzionale, l'agricoltura continui a rivestire il ruolo della «cenerentola». Nel dibattito politico, occuparsi di alimentazione, ambiente, territorio, agricoltura appare quasi un impegno secondario, eppure, la gestione di tali questioni si riverbera sul territorio, sul turismo, sulla salute, sull'ecologia e sull'economia in generale; tutti ambiti connessi più o meno direttamente con il cibo, la salute e il benessere. Ma tanto è confusa e contraddittoria l'azione dello Stato quanto è viva e mirata quella delle organizzazioni criminali. La criminalità organizzata non ha mai trascurato il settore alimentare, e oggi più che mai è stata capace di coglierne la centralità nonché le sue immense potenzialità di guadagno. La peculiarità di queste organizzazioni è infatti quella di adottare un approccio imprenditoriale per estendere il proprio controllo sull'economia, invadendo settori strategici ed emergenti, come appunto quello dell'agroalimentare. Nell'ambito di questo disegno criminoso, le mafie stanno approfittando della crisi economica per utilizzare anche canali di guadagno legali, visto che il settore agroalimentare è capace di resistere alle congiunture economiche sfavorevoli. La criminalità controlla in molti territori la distribuzione, e talvolta anche la produzione, del latte, della carne, della mozzarella, dello zucchero, dell'acqua minerale, della farina, del pane clandestino, del burro e, soprattutto, della frutta e della verdura. Potendo contare costantemente su una ingente e immediata disponibilità di capitali e sulla capacità di condizionamento — se non di intimidazione — nei confronti degli stessi organi preposti alle autorizzazioni e ai controlli,Pag. 2 spesso si sostituiscono alla stessa imprenditoria «legale». Attraverso attività di estorsione e di intimidazione impongono la vendita di determinate marche e di determinati prodotti agli esercizi commerciali. Approfittando della crisi economica e della contrazione dei finanziamenti bancari alle aziende, rilevano rapidamente imprese e attività commerciali in crisi. Sono almeno 5.000 i locali di ristorazione in Italia direttamente in mano alla criminalità organizzata (bar, ristoranti, pizzerie), nella maggioranza dei casi intestati a prestanome. Questi esercizi non garantiscono solo profitti diretti, ma vengono utilizzati anche come basi logistiche sul territorio per il riciclaggio del denaro sporco. L'attività criminale pone in essere una serie di reati odiosi: usura, racket estorsivo, furti di attrezzature e mezzi agricoli, abigeato, macellazioni clandestine, danneggiamento delle colture, contraffazione e agropirateria, abusivismo edilizio, saccheggio del patrimonio boschivo, caporalato, truffe ai danni dell'Unione europea. Si stima che il volume d'affari complessivo dell'agromafia sia quantificabile in circa 14 miliardi di euro. L'osservatorio Placido Rizzotto della Federazione lavoratori agroindustria (FLAI – CGIL), nel Rapporto sulle agromafie e il caporalato, denuncia come su 1.708 aziende confiscate alle mafie oltre novanta sono attive in ambito agricolo; degli 11.238 beni confiscati, ben 2.500 sono terreni con destinazione agricola. A ciò si aggiunga il fatto che ogni anno l'Unione europea eroga all'Italia 7 miliardi di euro per il sostegno all'agricoltura, una cifra che non può non sollecitare l'appetito mafioso: su tale aspetto si è concentrata la Guardia di finanza, che ha attivato controlli sul corretto funzionamento del sistema delle erogazioni pubbliche in agricoltura. Le organizzazioni mafiose sono consapevoli che si tratta di un settore che garantisce guadagni diffusi e costanti nel tempo con scarsissimi rischi. Ma ciò è possibile soprattutto perché le sanzioni penali previste per questo tipo di reati continuano a essere del tutto insufficienti rispetto alla gravità dei fatti. Il nostro ordinamento infatti tutela più il capitale economico che la salute degli individui, secondo la stessa impostazione seguita dal diritto germanico, che puniva con maggiore severità i reati contro il patrimonio piuttosto che quelli contro la persona. Inoltre, a parte la scarsa incisività delle misure e delle sanzioni, quella che sembra silenziosamente affermarsi è una vera e propria depenalizzazione strisciante dei reati ambientali e di quelli legati alla tutela della salute pubblica. Grazie a questa fragilità del sistema legislativo italiano e a queste carenze sul fronte della repressione, le mafie stanno imponendo il proprio controllo sulla produzione, il trasporto e la vendita di prodotti alimentari. Mettendo le mani sul comparto alimentare, le mafie hanno inoltre la possibilità di affermare il proprio controllo sul territorio. Non solo si appropriano di vasti settori dell'agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l'imprenditoria onesta, ma compromettono in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l'effetto indiretto di minare profondamente l'immagine dei prodotti italiani e il valore del made in Italy. Le organizzazioni, quando operano direttamente o controllano indirettamente le aziende, abbassano infatti in maniera sistematica la qualità delle produzioni sotto il limite di sicurezza pur di massimizzare i profitti: l'«italian sounding» e l'«italian laundering» rappresentano infatti la nuova frontiera dell'arricchimento mafioso. Ormai al grande affare del cibo concorrono nuovi attori capaci di impostare un vero e proprio piano industriale, di operare sui mercati finanziari e gestire i rapporti col sistema bancario e con i grandi buyer, di svolgere attività di lobbying, di orientare scelte e decisioni politiche, di condizionare l'attività stessa di prevenzione e repressione delle Forze dell'ordine, di vanificare, attraverso impercettibili modifiche nell'etichettamento di un prodotto, anni di battaglie per la trasparenza e la tutela della qualità.
  Le più recenti indagini confermano non solo una sempre più forte e marcata presenza delle organizzazioni criminali nel settore agroalimentare ma una vera e propria riconversione in agromafie delle tradizionaliPag. 3 ecomafie (delle quali l'Istituto di studi politici, economici e sociali – Eurispes, il Nucleo operativo ecologico dell'Arma dei Carabinieri e l'associazione Legambiente avevano denunciato il ruolo all'inizio degli anni Novanta). Quello del cibo è un tema con ricadute economiche, sociali, ambientali e demografiche. Esso rappresenta il primo collegamento tra l'essere umano e la terra, è connesso con i cicli ambientali e inserisce l'uomo all'interno della catena alimentare. Lo è in modo evidente nella sua dimensione sociale, espressa dalla condivisione e dalla convivialità.
  Inoltre sappiamo che è la filiera della grande distribuzione organizzata a orientare il mercato, mettendo in difficoltà i piccoli agricoltori. Il risultato è che in Italia, dal 2016 al 2021, il 31 per cento delle aziende (quasi 4.000) ha cessato l'attività. Allo stesso tempo, la superficie agricola utilizzabile (Sau) è diminuita del 2,5 per cento. Tra le prime cause della crisi dell'agricoltura ci sono le pratiche sleali e le vendite sottocosto. Già nel 2013 l'Autorità garante della concorrenza e del mercato aveva condotto un'indagine e segnalato alle autorità competenti le pratiche sleali con cui i distributori riuscivano a spuntare sconti e contributi che valevano in media il 24,2 per cento del fatturato delle imprese fornitrici.
  Ci sono voluti diversi anni per avere una reazione dell'Unione europea con l'approvazione della direttiva (UE) 2019/633 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare, che non solo vieta ben sedici pratiche commerciali considerate sleali, ma anche la riduzione, da parte degli Stati membri, delle tutele assicurate ai fornitori di prodotti agricoli e alimentari. Tra le pratiche sleali vietate, ricordiamo: i pagamenti in ritardo, gli annullamenti di ordini dell'ultimo momento, il rifiuto di fornire contratti scritti, ma anche le aste online al doppio ribasso, con cui la catena della distribuzione chiede ai fornitori quale è il prezzo minimo che sono disposti ad applicare per un prodotto, scegliendo quello più basso di tutti (e che diventa la base di una seconda asta a ribasso). Pratiche che comportano pressioni sui fornitori più deboli della filiera, con conseguenze durissime per gli anelli più deboli, come i piccoli agricoltori e i braccianti.
  Il decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 198, che attua la citata direttiva, esclude dal suo ambito di applicazione i conferimenti dei soci nelle cooperative e le cessioni di prodotti agricoli e alimentari alle organizzazioni di produttori: ciò significa che chi trasferisce le sue derrate alla cooperativa o all'organizzazione dei produttori non può contare sulle tutele previste nella direttiva, sia rispetto ai termini di pagamento sia ai divieti di vendite sottocosto. Le cooperative e le organizzazioni di produttori possono quindi ottenere prezzi ribassati dai fornitori e, per esempio, pagare il latte 46 centesimi di euro al litro invece che 51 centesimi.
  Dunque, il decreto legislativo sopra ricordato ha finito per favorire le cooperative e le organizzazioni di produttori — che, secondo alcune stime, rappresentano circa un terzo della produzione — penalizzando i piccoli agricoltori che le riforniscono, ma anche gli altri agricoltori che offrono i loro prodotti sul mercato in concorrenza con le cooperative. Un'anomalia gravissima che riguarda la legislazione italiana, dal momento che la direttiva europea prevede controlli sistematici e adeguati e l'obbligo per le autorità di presentare relazioni annuali sulle verifiche eseguite: di tutto questo non c'è traccia. Il decreto legislativo ha infatti affidato la vigilanza all'Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF) del Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste nonostante tale ente non sia tenuto a eseguire tale mansione e non disponga nemmeno delle risorse necessarie a tale scopo.
  L'altro problema riguarda la vendita sottocosto, che il decreto vieta, affidando la stima dell'indice dei prezzi ai rapporti dell'Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA). Questi rapporti non solo non possono fornire dati puntuali relativiPag. 4 a tutta la filiera e a tutte le regioni italiane, ma si basano su fatture a loro volta viziate dal problema del sottocosto e della concorrenza sleale.
  In ogni caso spetta all'ICQRF di vigilare sul rispetto delle disposizioni in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare attraverso l'unità di contrasto delle pratiche commerciali sleali, avvalendosi del supporto dei Carabinieri per la tutela agroalimentare e del Corpo della Guardia di finanza. Se l'intenzione era quella di istituire una «task force» incaricata della programmazione, della gestione e del monitoraggio delle attività di indagine e di accertamento dello squilibrio negoziale che affligge le relazioni commerciali e contrattuali nella filiera agroalimentare, tale fine sembra essere stato del tutto disatteso.
  Pertanto, sono ancora troppi i casi di concorrenza sleale che si manifestano quotidianamente nel nostro Paese, come ad esempio:

   a) la restituzione da parte dell'acquirente al fornitore dei prodotti agricoli e alimentari rimasti invenduti presso l'acquirente, senza corresponsione al fornitore di alcun pagamento per tali prodotti invenduti ovvero per il loro smaltimento, o per entrambi;

   b) la richiesta al fornitore di un pagamento come condizione per l'immagazzinamento, l'esposizione, l'inserimento in listino dei suoi prodotti agricoli e alimentari, o per la messa a disposizione sul mercato;

   c) la richiesta al fornitore di farsi carico, in toto o in parte, del costo degli sconti sui prodotti agricoli e alimentari venduti dall'acquirente come parte di una promozione;

   d) la richiesta al fornitore di pagare i costi della pubblicità, effettuata dall'acquirente, dei prodotti agricoli e alimentari;

   e) la richiesta al fornitore di pagare i costi del marketing, effettuato dall'acquirente, dei prodotti agricoli e alimentari;

   f) la richiesta al fornitore di pagare i costi del personale incaricato di organizzare gli spazi destinati alla vendita dei prodotti del fornitore.

  Sovente infatti il fornitore che si trova a subire la pratica commerciale sleale sceglie di non denunciare per il timore di essere estromesso dal novero dei fornitori che gli acquirenti — grandi imprese di trasformazione o della distribuzione organizzata — prendono in considerazione per i loro acquisti di prodotti agroalimentari.
  L'obiettivo della presente proposta di legge è quindi quella di istituire una Commissione parlamentare d'inchiesta sulle pratiche commerciali scorrette nella filiera agricola e alimentare, allo scopo di individuare proposte e iniziative volte a:

   a) tutelare i fornitori più piccoli;

   b) impedire che i costi dovuti ad abusi di operatori di medie dimensioni ricadano sui produttori primari;

   c) garantire maggiore trasparenza degli studi scientifici, migliorare la sostenibilità della governance e i risultati scientifici dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA);

   d) vietare le pratiche commerciali sleali dannose nella filiera alimentare, al fine di assicurare un trattamento più equo per le piccole e medie imprese alimentari e agricole;

   e) consentire alle autorità nazionali di irrogare sanzioni nel caso di comprovato ricorso a pratiche abusive;

   f) rafforzare la posizione degli agricoltori nella filiera alimentare nonché il contrasto delle pratiche commerciali sleali.

  La Commissione in particolare avrà il compito di svolgere indagini sul fenomeno consistente nell'uso di parole, di immagini, di combinazioni cromatiche, di riferimenti geografici e di marchi evocativi dell'Italia per promuovere e commercializzare prodotti che in realtà non sono made in Italy, cosiddetto «italian sounding», e sulla presenza della criminalità organizzata nella filiera agroalimentare.

Pag. 5

PROPOSTA DI INCHIESTA PARLAMENTARE

Art. 1.
(Istituzione e compiti della Commissione)

  1. È istituita, ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione, per la durata della XIX legislatura, la Commissione parlamentare di inchiesta sulle pratiche commerciali scorrette, sulle conseguenze ambientali dei metodi di produzione e sulle infiltrazioni criminali nella filiera agricola e alimentare, di seguito denominata «Commissione».
  2. La Commissione ha il compito di:

   a) svolgere indagini sulle pratiche di violazione della concorrenza, quali accordi sui prezzi conclusi tra imprese concorrenti, abusi di posizione dominante sul mercato o accordi esclusivi con i fornitori di fatto limitativi della concorrenza;

   b) verificare la diffusione di pratiche contrarie alla normativa vigente in materia di sicurezza alimentare, quali la vendita di prodotti alimentari scaduti, la manipolazione impropria dei prodotti o il mancato rispetto dei livelli e criteri minimi di igiene nell'ambito dell'intera filiera alimentare;

   c) individuare eventuali violazioni dei diritti dei lavoratori, come pagamenti inferiori ai minimi contrattuali, inadeguatezza dei contratti di lavoro applicati, condizioni di lavoro pericolose o disumane, discriminazioni sul posto di lavoro o mancanza di tutele per la salute e la sicurezza dei dipendenti;

   d) svolgere indagini sulle pratiche di marketing vietate, come la pubblicità ingannevole, l'uso di etichette fuorvianti o la manipolazione dei prezzi a danno dei consumatori;

   e) accertare l'esistenza di violazioni della normativa vigente in materia ambientale, come lo smaltimento illegale di rifiuti e l'uso eccessivo di imballaggi non sostenibili;

Pag. 6

   f) valutare la diffusione di condotte che comportino abusi nei confronti dei fornitori, come pratiche commerciali sleali, ritardi nei pagamenti o pressioni indebite al fine di ridurre i prezzi al di sotto di livelli economicamente sostenibili;

   g) accertare l'esistenza di violazioni della riservatezza e della sicurezza dei dati dei clienti, anche attraverso la raccolta e la gestione non autorizzate dei dati personali;

   h) svolgere indagini sui metodi di produzione dei prodotti agricoli e sul loro impatto sul cambiamento climatico;

   i) svolgere indagini sui fenomeni dell'italian sounding, delle frodi alimentari e della presenza della criminalità organizzata nella filiera agroalimentare.

  3. La Commissione riferisce alla Camere, con singole relazioni o con relazioni generali, annualmente e comunque ogniqualvolta ne ravvisi la necessità. La Commissione presenta alla Camera dei deputati una relazione finale sull'attività svolta.

Art. 2.
(Composizione della Commissione)

  1. La Commissione è composta da dieci deputati nominati dal Presidente della Camera dei deputati in proporzione al numero dei componenti dei gruppi parlamentari, assicurando comunque la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo. I componenti sono nominati tenendo conto anche della specificità dei compiti assegnati alla Commissione.
  2. Il Presidente della Camera dei deputati convoca la Commissione, entro dieci giorni dalla nomina dei suoi componenti, per la costituzione dell'ufficio di presidenza.
  3. La Commissione, nella prima seduta, elegge il presidente, due vicepresidenti e due segretari. Si applicano le disposizioni dell'articolo 20, commi 2, 3, 4 e 5, del Regolamento della Camera dei deputati.

Pag. 7

Art. 3.
(Poteri e limiti della Commissione)

  1. La Commissione procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria.
  2. La Commissione non può adottare provvedimenti attinenti alla libertà e alla segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione nonché alla libertà personale, fatto salvo l'accompagnamento coattivo di cui all'articolo 133 del codice di procedura penale.
  3. La Commissione, per le finalità dell'inchiesta di cui all'articolo 1, ha facoltà di acquisire copie di atti e documenti relativi a procedimenti e inchieste in corso presso l'autorità giudiziaria o altri organismi inquirenti nonché copie di atti e documenti relativi a indagini e inchieste parlamentari, anche se coperti da segreto.
  4. La Commissione garantisce il mantenimento del regime di segretezza fino a quando gli atti e i documenti trasmessi in copia ai sensi del comma 3 siano coperti dal segreto.
  5. Per il segreto di Stato nonché per il segreto d'ufficio, professionale e bancario si applicano le norme vigenti.
  6. Fermo restando quanto previsto dal comma 4, la Commissione stabilisce quali atti e documenti non devono essere divulgati, anche in relazione a esigenze attinenti ad altre istruttorie o inchieste in corso. Devono essere coperti dal segreto gli atti e i documenti attinenti a procedimenti giudiziari nella fase delle indagini preliminari.
  7. Il segreto funzionale riguardante atti e documenti acquisiti dalla Commissione in riferimento ai reati di cui agli articoli 416 e 416-bis del codice penale non può essere opposto ad altre Commissioni parlamentari di inchiesta.
  8. Ferme restando le competenze dell'autorità giudiziaria, per le audizioni a testimonianza davanti alla Commissione si applicano le disposizioni previste dagli articoli da 366 a 384-bis del codice penale.

Pag. 8

Art. 4.
(Obbligo del segreto)

  1. I componenti della Commissione, il personale addetto alla stessa e ogni altra persona che collabora con la Commissione o compie o concorre a compiere atti di inchiesta, oppure ne viene a conoscenza per ragioni d'ufficio o di servizio, sono obbligati al segreto per tutto quanto riguarda gli atti e i documenti di cui all'articolo 3, commi 4 e 6.
  2. La diffusione in tutto o in parte, anche per riassunto o informazione, di atti o documenti del procedimento di inchiesta coperti dal segreto o dei quali è stata vietata la divulgazione è punita ai sensi delle leggi vigenti.

Art. 5.
(Organizzazione dei lavori)

  1. L'attività e il funzionamento della Commissione sono disciplinati da un regolamento interno, approvato dalla Commissione stessa prima dell'inizio dei suoi lavori. Ciascun componente può proporre la modifica delle norme regolamentari.
  2. Le sedute della Commissione sono pubbliche. La Commissione può deliberare di riunirsi in seduta segreta.
  3. La Commissione può organizzare i propri lavori anche attraverso uno o più comitati, costituiti secondo il regolamento di cui al comma 1.
  4. La Commissione si avvale dell'opera di agenti e di ufficiali di polizia giudiziaria nonché di magistrati collocati fuori ruolo e può avvalersi di tutte le collaborazioni che ritenga necessarie di soggetti interni ed esterni all'amministrazione dello Stato, autorizzati, ove occorra e con il loro consenso, dagli organi a ciò deputati e dai Ministri competenti. Con il regolamento interno di cui al comma 1 è stabilito il numero massimo di collaboratori di cui può avvalersi la Commissione.
  5. Per lo svolgimento dei suoi compiti la Commissione fruisce di personale, locali e strumenti operativi messi a disposizione dal Presidente della Camera dei deputati.

Pag. 9

  6. Le spese per il funzionamento della Commissione, stabilite nel limite massimo di 100.000 euro annui, sono poste a carico del bilancio interno della Camera dei deputati.
  7. La Commissione cura l'informatizzazione dei documenti acquisiti e prodotti nel corso della propria attività.