XIX Legislatura

III Commissione

COMITATO PERMANENTE SULL'ATTUAZIONE DELL'AGENDA 2030 E LO SVILUPPO SOSTENIBILE

Resoconto stenografico



Seduta n. 9 di Martedì 28 maggio 2024
Bozza non corretta

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Onori Federica , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SUI RISVOLTI GEOPOLITICI CONNESSI ALL'APPROVVIGIONAMENTO DELLE COSIDDETTE TERRE RARE
Onori Federica , Presidente ... 2 
Torlizzi Gianclaudio , fondatore della società ... 2 
Onori Federica , Presidente ... 15 
Torlizzi Gianclaudio , fondatore della società ... 16 
Onori Federica , Presidente ... 19 

ALLEGATO: Le commodities nel contesto di caos e frammentazione ... 20

Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
Azione - Popolari europeisti riformatori - Renew Europe: AZ-PER-RE;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Italia Viva - il Centro - Renew Europe: IV-C-RE;
Noi Moderati (Noi con L'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE: NM(N-C-U-I)-M;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
FEDERICA ONORI

  La seduta comincia alle 12.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la resocontazione stenografica e la trasmissione attraverso la web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Gianclaudio Torlizzi, fondatore della società T-Commodity .

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno del giorno reca nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui risvolti geopolitici connessi all'approvvigionamento delle cosiddette terre rare l'audizione di Gianclaudio Torlizzi, fondatore di T-Commodity Srl.
  Anche a nome dei componenti del Comitato, saluto e ringrazio per la disponibilità a prendere parte ai nostri lavori il dottor Gianclaudio Torlizzi, che vanta una consolidata esperienza nelle attività di analisi e informazione sui mercati emergenti e le materie prime.
  Tra le altre cose, nel marzo 2011 ha fondato la T-Commodity, prima società italiana specializzata nella consulenza indipendente sulle materie prime per utilizzo industriale.
  Considerati i tempi stretti dell'audizione, do subito la parola al dottor Torlizzi affinché svolga il suo intervento.

  GIANCLAUDIO TORLIZZI, fondatore della società T-Commodity. Buongiorno a tutti. Grazie, presidente.
  Cercherò di andare il più velocemente possibile, per non tediarvi, ma l'intento è quello di trasmettervi, da parte industriale,Pag. 3 quelli che, a mio avviso, sono alcuni messaggi importanti da tenere in considerazione anche in questa fase storica.
  Iniziamo a contestualizzare quello che sta avvenendo nel comparto delle materie prime. Il comparto delle materie prime, dopo anni di sonnolenza, dal 2020 prima – con lo scoppio della pandemia – e poi naturalmente dopo l'aggressione russa dell'Ucraina, ha vissuto un vero e proprio cambio di paradigma.
  Nel caso della pandemia, il primo shock si è avuto dalla reazione che i Governi hanno avuto nell'affrontare naturalmente gli effetti negativi sull'economia legati alle politiche di lockdown, riversando una mole enorme di stimoli di carattere fiscale.
  Solamente per darvi un'idea, tra il 2021 e il 2022 gli Stati Uniti hanno immesso sull'economia 5 mila miliardi di dollari in stimoli fiscali. Da un punto di vista fiscale, si tratta della più importante reazione dal secondo dopoguerra, perché nelle crisi passate – come quella bancaria del 2008, la famosa crisi Lehman Brothers – si era affrontata la problematica con dosi di politica monetaria, con un'azione di politica monetaria, quindi non di politica fiscale.
  Per la prima volta dopo decenni l'economia mondiale, nel corso della pandemia, si ritrova investita di un forte aumento dei consumi di materie prime. Questo è stato un primo elemento di shock fondamentalmente, che sancisce un primo driver, una prima spinta al rialzo del prezzo di tutte le commodities, dal rame all'alluminio, al nichel, tutto il comparto degli acciai e dei metalli non ferrosi.
  Nel 2022, come sappiamo, avviene un secondo shock sul mercato: l'invasione russa dell'Ucraina sancisce quello che in gergo viene chiamato un decoupling, un disaccoppiamento del mercato mondiale delle materie prime, che fino a quel momento, fondamentalmente, era pienamente globalizzato.Pag. 4
  Il decoupling come avviene? Il decoupling è una risultante dei pacchetti sanzionatori applicati dall'Occidente nei confronti della Russia; pacchetti sanzionatori che puntano al settore petrolifero russo – petrolifero e prodotti raffinati –, mentre sul discorso gas l'Europa, in particolare, si auto-sanziona, cioè decide autonomamente di ridurre fortemente la dipendenza di gas russo.
  Il fatto di aver pesantemente sanzionato il comparto petrolifero russo spinge naturalmente Mosca a dirottare altrove l'export di petrolio e quindi succede che vengono traslate le consegne di petrolio verso Cina e India. Quindi, si assiste, come vi dicevo, ad una prima azione di separazione del comparto petrolifero mondiale, in cui si solidifica, si rafforza l'alleanza tra la Russia, da un lato, e Cina e India, dall'altro, sul fronte petrolifero. Cina e India che, chiaramente, chiedono in cambio un forte sconto. Abbiamo assistito in questi due anni ad un grande vantaggio che Cina e India hanno potuto ottenere comprando un petrolio che era sotto sanzione.
  Succede che fondamentalmente le sanzioni non vanno ad intaccare l'export di petrolio russo. Se vedete il grafico (slide n. 2), noterete come dal 2022, cioè dall'inizio del periodo sanzionatorio, l'export di petrolio russo viene minimamente intaccato. Questo è un primo elemento da evidenziare.
  Pensate che oggi il petrolio russo incide per circa il 41 per cento del totale delle importazioni di petrolio da parte dell'India (slide n. 3), da un livello zero nel gennaio 2022. Questo è un primo elemento che a noi serve per contestualizzare il discorso che poi faremo sulla parte metalli e terre rare.
  Sul discorso gas, il danno lì si sente in maniera molto più forte, perché banalmente un gasdotto non lo puoi cambiare. Non puoi cambiare la location di un gasdotto dall'oggi al domani. Il fatto che l'Europa abbia fortemente ridotto – anche Pag. 5se non totalmente ridotto – l'intake di gas dalla Russia ha prodotto naturalmente un danno di carattere economico. Paradossalmente, le sanzioni hanno fatto male al Governo di Mosca quando ci siamo auto-sanzionati più che le sanzioni vere e proprie. Ma anche sul fronte del gas e sul fronte del petrolio, Mosca adesso è impegnata nella costruzione di nuove infrastrutture in grado di collegarla verso l'India e verso la Cina, che rimarranno anche nel futuro i suoi principali mercati di sbocco.
  Generalmente, il petrolio e il gas – che rappresentano, in termini quantitativi, dei mercati molto più ampi rispetto a quelli dei metalli – hanno già mostrato – questa è la prima parte dell'intervento – questo processo di disaccoppiamento.
  Oggi ci ritroviamo in una condizione in cui il comparto dell'energia e dei beni energetici fondamentalmente sta assistendo ad una fase di separazione, ad una separazione delle filiere tra est e ovest. È come se, in realtà, il contesto di seconda guerra fredda, che è quello in cui oggi noi siamo calati, si stia già visibilmente esprimendo nel commercio mondiale delle materie prime.
  Questa situazione poi si va a traslare anche nel comparto dei metalli, tant'è vero che nel 2023 la Cina è stata il principale importatore di alluminio prodotto dalla Russia.
  Quello a cui noi stiamo assistendo è un'alleanza sempre più forte tra Russia e Cina. La Cina è diventata il principale cliente di energia e metalli prodotti dalla Russia; come abbiamo visto, la Cina oggi è accusata anche di vendere prodotti tecnologici dual use alla Russia.
  A parte questo, succede che così come nell'energia, anche il comparto dei metalli assiste quest'anno a un salto di qualità nel processo di disaccoppiamento delle filiere, perché il 13 aprile Stati Uniti e Regno Unito annunciano delle sanzioni contro il metallo prodotto in Russia, in particolare alluminio, rame e Pag. 6nichel, tant'è vero che subito dopo l'annuncio il prezzo dell'alluminio passa da 2.400 a 2.700 dollari a tonnellata. Quindi, ha una prima reazione, che poi in parte viene assorbita, ma di base l'attuale prezzo dell'alluminio rimane strutturalmente più alto rispetto al periodo precedente alle sanzioni. Peraltro, è ragionevole attendersi che questo nuovo pacchetto sanzionatorio che oggi insiste sul metallo prodotto in Russia accentuerà ulteriormente la separazione delle filiere.
  Io stresso molto sul discorso delle filiere perché, nel momento in cui sono state ideate le politiche climatiche, il mondo viveva in una condizione totalmente diversa rispetto a quella attuale. La Cina era unanimemente riconosciuta come partner commerciale e non c'erano problematiche sul fronte geostrategico; le contrapposizioni con gli Stati Uniti erano certamente presenti, ma erano più latenti: durante la Presidenza Trump c'era stato un inizio di guerra commerciale, però grandi tensioni sembravano non esserci. Il green deal europeo poggiava proprio su quel tipo di architettura, vale a dire un'architettura in cui tutta l'offerta di minerali che potesse provenire da est non fosse soggetta a nessun tipo di stress; stress che, nel comparto petrolifero, dovrà gestire i crescenti accordi di compravendita di petrolio in valuta che non è quella americana.
  In questa slide (slide n. 10) vi ho fatto banalmente l'elenco – chi avrà voglia poi potrà consultarlo – degli ultimi accordi di compravendita di gas e petrolio in valuta non americana. Sapete che le commodities ed i beni energetici sono tradizionalmente quotati in dollari, quindi, il fatto di iniziare a scambiarli in valuta non americana – anche se in quantità ancora risibili – e di aver comunque inaugurato questo processo rappresenta un ulteriore cambio di paradigma rispetto al passato.Pag. 7
  Un aspetto molto importante in questo processo di separazione delle filiere è che negli ultimi mesi abbiamo assistito ad una dinamica particolarmente interessante: l'accelerazione degli acquisti di oro da parte delle banche centrali russa e cinese. Questi acquisti sono stati talmente forti che hanno fatto saltare una correlazione storica inversa tra l'oro e il dollaro. Ve la faccio in maniera molto semplice: l'oro è sempre stato scambiato come una proxy inversa del dollaro, quindi se il dollaro si apprezza l'oro scende, e viceversa. Ebbene, in questa fase di mercato sta avvenendo che gli acquisti di oro fisico da parte della Cina e della Russia sono talmente forti da spingere al rialzo, su record storici, il prezzo dell'oro, malgrado il dollaro non si sia mosso in maniera importante.
  Questo rappresenta un problema enorme per l'Occidente, ma soprattutto per gli Stati Uniti, che hanno sempre utilizzato – e tuttora utilizzano – la leva del dollaro come arma geostrategica nei confronti di Paesi non allineati: la Fed (Federal Reserve), in maniera più o meno evidente, ha sempre utilizzato la politica monetaria – e, quindi, anche il dollaro – per tenere sotto controllo il prezzo delle materie prime. Se, però, il prezzo delle materie prime inizia a salire indipendentemente dalla politica monetaria della Federal Reserve, questo rappresenta un problema per l'Occidente, dal momento che evidenzia una costante e progressiva perdita di controllo sul pricing delle materie prime.
  Questo è il contesto in cui oggi ci troviamo, un contesto in cui le catene di fornitura delle materie prime si stanno disaccoppiando e la Cina ricopre un crescente ruolo di predominio sul comparto delle materie prime. È talmente forte che lo possiamo vedere proprio nello stoccaggio strategico che Pechino ha adottato negli ultimi anni sul comparto delle commodities. Per darvi un'idea, secondo le ultimissime rilevazioni oggi la Pag. 8Cina controlla circa il 95 per cento del rame a livello mondiale. Ripeto, il 95 per cento del rame a livello mondiale. Parliamo di un metallo che ha, sì, una grande importanza in tutte le applicazioni legate alla transizione energetica, ma è anche un metallo utilizzato in tanti ambiti dell'industria tradizionale – dal comparto dell'auto alle infrastrutture energetiche – nel settore delle costruzioni, nelle caldaie. Dentro una batteria elettrica di un'auto ci sono cento chili di rame; quindi, pensate la strategicità di questo metallo. E oggi abbiamo una situazione in cui Pechino controlla il 95 per cento del rame a livello mondiale.
  Questo evidenzia una vulnerabilità estrema dell'Occidente, non solo dell'Europa, nei confronti di un settore come quello delle materie prime, che per decenni è stato bistrattato perché fondamentalmente ormai non più degno dello stesso status di settori come l'information technology o dei semiconduttori. In altri termini, ci siamo concentrati sulla parte alta della filiera, confidando nel fatto che l'offerta di queste materie prime fosse scontata, fosse qualcosa di cui non preoccuparsi, ma nel momento in cui il mondo torna a dividersi in due blocchi e il blocco a noi contrapposto detiene il controllo dell'intera filiera legata alle materie prime questo diventa un problema. Banalmente, l'Occidente può fare il quantitative easing sulla moneta, ma non lo può fare sull'acciaio o sul legno, non su quello che è fisico. Lì, ahimè, o hai capacità produttiva, oppure rimani in una condizione di dipendenza nei confronti di chi ha quella capacità produttiva.
  Pechino, negli ultimi quarant'anni, ha costruito una leadership assoluta in alcuni ambiti delle materie prime, in particolare quelle legate alle applicazioni green (batterie elettriche, pale eoliche, pannelli solari). Sono materie prime che necessitano di importanti componenti, come le terre rare, la grafite, il Pag. 9rame, l'alluminio, il nichel. La strategia di Pechino è stata molto semplice: da un lato, sviluppare all'interno dei propri confini capacità di raffinazione, che forse è l'aspetto più inquinante e dove sono riposti i maggiori colli di bottiglia nel comparto delle materie prime; dall'altro lato, laddove non aveva nella sua disponibilità un minerale, prendere questo minerale attraverso contratti di fornitura con i Paesi ad alto potenziale, come per esempio molti Paesi africani e del Sudamerica. Lì la Cina da decenni è attiva attraverso l'apertura e lo sfruttamento di miniere, tale per cui oggi la Cina controlla il 70 per cento della produzione mondiale di terre rare e il 90 per cento della loro raffinazione. Quindi, oggi non si può pensare di costruire una pala eolica, un pannello solare o una batteria elettrica senza componentistica cinese. È impossibile da un punto di vista industriale.
  Il controllo di Pechino sul green non è solamente legato alle materie prime, ma è anche più a monte – anzi, in questo caso più a valle –, legato alle applicazioni che vengono vendute sui mercati esteri. Negli ultimi anni la scelta strategica del Governo cinese è stata quella di fare sempre meno affidamento, come elemento di traino, sul settore delle costruzioni, che per decenni ha rappresentato la maggiore fonte di sostegno all'economia, a favore dell'export di prodotti ad alto valore aggiunto. In questo, per esempio, gli Stati Uniti sono stati molto veloci a recepire questa dinamica annunciando, due settimane fa, un inasprimento dei dazi contro i beni green prodotti in Cina. Attendiamo che adesso anche l'Europa decida cosa fare nelle prossime settimane in questo ambito. Ma il punto è che, se non verranno modificati i target di decarbonizzazione – che sono molto stringenti, in particolare quelli europei – non si potrà prescindere dall'aumentare fortemente la nostra dipendenza geostrategica nei confronti della Cina.Pag. 10
  È come se noi dovessimo decidere in ambito europeo che cosa tutelare: o la sicurezza economica o i processi di decarbonizzazione, naturalmente tenendo fede agli attuali target. Questo che cosa significa? Significa che da un punto di vista strategico, per mitigare i rischi legati alla sicurezza economica, dovremo seriamente rivedere i target di decarbonizzazione in questa fase. Quei target potevano avere un senso quando la disponibilità di materie prime dalla Cina non era messa in discussione. Ma Pechino, già in passato, ha dato prova di poter militarizzare l'utilizzo dei metalli nei confronti di Paesi che adottassero misure contro gli interessi cinesi. Il caso giapponese è evidente: il Giappone ha subìto in passato un'azione di ritorsione sui metalli da parte di Pechino proprio perché aveva adottato pratiche commerciali che ledevano gli interessi della Cina.
  La Cina per il momento non ha ancora visibilmente adottato dinamiche del genere, però già lo scorso anno ha lanciato messaggi in tal senso nel settore della difesa, annunciando restrizioni all'export di metalli che magari dicono poco ai più, ma che hanno, invece, un'importanza strategica nel nostro comparto della difesa. Lo scorso anno gallio, germanio e grafite hanno registrato dei contingentamenti all'export da parte di Pechino. Questi sono piccoli messaggi che la Cina lancia proprio per indurre l'Europa, nel caso specifico, a più miti consigli, nel caso in cui dovesse adottare provvedimenti contro l'interesse dell'industria cinese.
  Nel comparto del solare, per esempio, la strategia di Pechino è molto lineare: poter fare affidamento sul controllo totale della filiera, quindi poter produrre a un costo molto più basso rispetto ai produttori europei e americani per invadere il mercato, estromettere dal mercato i nascenti players occidentali e, una volta consolidata la loro leadership sul mercato, fare il Pag. 11prezzo. Questo è il motivo per cui gli Stati Uniti sono stati molto veloci – la decisione è stata presa un paio di settimane fa – ad innalzare i dazi protezionistici. L'obiettivo degli Stati Uniti, in particolare, era rivolto ai produttori americani di batterie elettriche: hanno innalzato il livello dei dazi ad un punto tale da rendere più conveniente la produzione di batterie negli Stati Uniti, piuttosto che importarle dalla Cina.
  È in atto, quindi, questa guerra commerciale molto aspra nel comparto delle commodities, su cui bisogna riflettere, che però da osservatore esterno non sembra interessare più di tanto l'Europa. Questo lo devo dire in maniera molto chiara: lo scorso anno l'Europa ha un po' recuperato il gap di consapevolezza in questo ambito elaborando il Critical Raw Materials Act, che perlomeno ha avuto il merito di aver fotografato uno stato di dipendenza nell'ambito dei metalli critici e strategici.
  Fondamentalmente sono state identificate due categorie di metallo. Sono stati anche illustrati dei target per quanto riguarda l'approvvigionamento interno, l'utilizzo del riciclo e quant'altro. Però, a terra non è stato messo assolutamente nulla, non si è fatto nulla di concreto finora che possa alleviare i timori di una dipendenza strettissima nei confronti della Cina nel momento in cui non riducessimo i target di decarbonizzazione.
  Questo è un qualcosa che gli Stati Uniti, invece, hanno iniziato a prendere in considerazione. L'Inflation Reduction Act, benché accusato di gonfiare il deficit federale, ha il grande merito di aver dato il via ad un processo di investimenti manifatturieri che, nel tempo, produrranno un sensibile calo dell'inflazione. D'altronde, l'unico vero antidoto contro l'inflazione in questa fase di disaccoppiamento delle materie prime non è l'innalzamento dei tassi di interesse, come fa la Banca centrale europea (BCE), bensì l'ampliamento della capacità Pag. 12produttiva; e l'ampliamento della capacità produttiva lo si ottiene se si mettono le aziende nelle condizioni di poter investire.
  Questo non si sta facendo assolutamente in Europa ed è l'aspetto più preoccupante, che probabilmente nasce dall'assenza – non solo in Italia, ma anche in Europa – di un grande player nel comparto dell'estrazione mineraria. Noi paghiamo questa assenza, fondamentalmente. Ci siamo concentrati nello sviluppare tutti i settori a valle dell'utilizzazione, ma per quanto riguarda il settore a monte – dell'estrazione mineraria e della raffinazione – siamo stati molto carenti. Questo deficit nel settore dell'estrazione e della raffinazione, che riguarda anche l'energia, è acuito da una zelante politica climatica che disincentiva fortemente le aziende ad investire in capacità produttiva.
  Questo – lo ripeto – in un contesto di piena globalizzazione poteva avere un senso, perché si lasciava, in maniera anche un po' ipocrita, il lavoro sporco ad altri Paesi; però, nel momento in cui ogni Paese fa valere le proprie risorse per aumentare la propria influenza nello scacchiere internazionale, noi non possiamo più permetterci di far fare il lavoro sporco ad altri, ma dobbiamo iniziare a prendere in considerazione l'ampliamento della capacità produttiva e, quindi, aumentare gli investimenti in questi settori. Questo è un aspetto molto importante.
  In questo ambito il «Piano Mattei» è sicuramente in linea, a mio avviso, con queste istanze, con queste criticità, dal momento che l'Africa è un continente che detiene enormi ricchezze sul fronte minerario. L'esempio è quello che la Cina sta portando avanti in Paesi come l'Indonesia, per esempio. Infatti, oggi come oggi qualsiasi Paese è consapevole della propria ricchezza mineraria, ha capito che detenere dei giacimenti di rame, bauxite o nichel rappresenta una ricchezza Pag. 13enorme, quindi non è più disposto, giustamente, ad essere «saccheggiato» della propria materia prima, che poi viene lavorata altrove. Oggi qualsiasi Paese vuole che si costruisca una filiera all'interno dei propri confini – chiaramente con l'aiuto di capitali esteri –, da cui poi esca un prodotto finito e che crei valore per il Paese. Ebbene, la Cina con l'Indonesia ha fatto questo, a volte anche esagerando. Basta fare una visita in alcune aree dell'Indonesia dove hanno creato enormi città industriali, che oggi la espongono anche a critiche sul fronte ambientale. Però, di base il modello di business applicato, ovvero quello di creare una filiera nel Paese che ospita l'investimento, rappresenta probabilmente una delle strade da perseguire, proprio per evidenziare non l'approccio predatorio nei confronti di Paesi esteri, ma un approccio costruttivo, in cui si investe insieme, si crea insieme. L'Italia, in questo caso, chiaramente, metterebbe a disposizione il know how – perché il know how lo abbiamo sotto questo aspetto – per la creazione, poi, di prodotti ad alto valore aggiunto. Questa è una delle possibili chiavi.
  La seconda, collegata a questo, è poter fare questo genere di investimenti in partnership con altri Paesi. Per il momento sembra mancare un approccio veramente comunitario da parte della Commissione di Bruxelles. Finora, almeno, non ha dato alcuna prova di ricercare una vera collegialità: basta guardare come la Commissione ha messo ogni singolo Paese nella condizione di investire in settori – come quello dei semiconduttori – connessi alla transizione energetica; manca una vera e propria regia europea; ogni Paese, fondamentalmente, sembra essere lasciato un po' a sé stante.
  Questo, però, non toglie che non si possano cercare partnership bilaterali o trilaterali con altri Paesi per investire in specifici progetti di interesse comune. Un po' come avviene nel comparto della difesa: uno dei progetti più di punta del compartoPag. 14 della difesa, il Gcap, l'aereo di sesta generazione, è un progetto portato avanti da Italia, Giappone e Regno Unito, ed è una partnership che funziona. Quindi, anche negli investimenti minerari, nulla toglie a progetti risultanti di interessi di più Paesi, che mettono a disposizione le loro risorse per poter sfruttare, crescere e sviluppare nel Paese che ospita l'investimento una filiera vera e propria.
  Ultimo punto, e concludo: tutto questo, però, è possibile se anche il nostro Paese si dota di un veicolo che coordini questa attività di estrazione, di raffinazione e di trading, per quello che riguarda l'aspetto relativo all'approvvigionamento di materia prima. Noi – ripeto – sul discorso energetico abbiamo un grande campione, che è l'ENI, che ha saputo guidare il Governo nei momenti più delicati della crisi energetica due anni fa. Manca – perché non lo abbiamo avuto mai, per tradizione – un campione nel comparto dell'estrazione mineraria.
  Oggi più che mai è necessario iniziare a prendere in considerazione la nascita di un'agenzia, un veicolo, in cui la difesa abbia una voce sul fronte strategico, ma che comprenda anche, naturalmente, l'ingresso di partecipate statali e di capitale privato. A mio avviso, è un qualcosa di cui il Paese necessita assolutamente, di cui forse oggi si sente poco la necessità, banalmente, perché il rame – che sta veleggiando oggi su livelli massimi storici – non fa notizia; non è il petrolio, ché non ha un'immediata traduzione nella vita di tutti i giorni, quindi c'è anche poca sollecitazione nei confronti del Governo. Questo è un errore. È un errore perché, nel momento in cui dovessimo accorgerci della carenza, che si andrà a sviluppare necessariamente sul comparto dei metalli e delle terre rare, non essersi mossi non voglio dire «in anticipo» – perché siamo in grande ritardo –, ma non aver neanche provato a mitigare questo rischio metterebbe in seria difficoltà l'industria italiana, che – Pag. 15è importante sempre evidenziarlo – rimane un'industria di trasformazione.
  La nostra dorsale economica è una dorsale di aziende che acquistano materia prima, la lavorano, creano valore aggiunto e la vendono nei mercati internazionali. Se viene compromessa la prima attività, cioè l'approvvigionamento di materia prima, questo mette sicuramente a rischio anche l'interesse nazionale.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Torlizzi. Chiedo alle colleghe e ai colleghi, anche collegati da remoto, se intendono porre domande o svolgere osservazioni.
  Inizio io, ringraziandola per il suo intervento. Ha toccato diversi punti molto importanti, anche quello del riutilizzo e del riciclo, aspetti che pure sono emersi in altre audizioni. Vorrei innanzitutto chiederle che tipo di ruolo e di importanza possono avere questi due processi in riferimento all'obiettivo finale, che è quello non di un'autarchia o di un'indipendenza, ma di una minore dipendenza, in riferimento anche al fatto che sui processi di riutilizzo e riciclo si può fare un discorso nazionale o europeo in maniera più agevole rispetto ad altri processi, tipo estrazione o raffinazione.
  Sul riciclo e sul riutilizzo magari possiamo già cominciare a fare qualcosa. Quindi, secondo Lei, che tipo di ruolo ha questo tipo di approccio e che cosa può fare la politica in assenza di grandi campioni economici in questo campo. Ad esempio, l'inaugurazione di un'agenzia di coordinamento sarebbe sicuramente di utilità, intanto per intavolare ragionamenti comuni. Se, però, l'assenza di un grande attore economico in questi settori dovesse protrarsi, che tipo di iniziativa potrebbe prendere la politica per incentivare, magari, la presenza di attori simili?
  Intanto Le pongo queste domande.

Pag. 16

  GIANCLAUDIO TORLIZZI, fondatore della società T-Commodity. La ringrazio.
  Sulla parte «riciclo», la premessa è che l'Italia è assolutamente il campione europeo, almeno per quanto riguarda la filiera legata ai metalli. Siamo campioni nella raccolta di rottame – ferroso e non ferroso – e nel suo riutilizzo all'interno della filiera.
  Il punto, però – e su questo a volte ci può essere un grande equivoco –, è pensare che l'attività di riciclo possa essere sufficiente a soddisfare il fabbisogno dell'industria. Questo in alcuni ambiti può essere possibile, in altri, in realtà, no. Perché? Ci sono anche ragioni proprio di carattere fisico: il fatto che l'Europa sia da parecchi anni in una fase di crescente deindustrializzazione comporta la minore produzione di scarti. La minore produzione di rottame, per esempio, fa sì che oggi l'offerta di rottame sia fortemente limitata. Basta, quindi, un piccolo aumento dei consumi per produrre l'impennata del prezzo del rottame.
  Una delle cause, in queste settimane, in cui il prezzo dell'acciaio inossidabile – che è una componente fondamentale per lavelli, lavatrici, quindi un qualcosa che attiene alla vita di tutti quanti noi – ha intrapreso, negli ultimi mesi, un forte aumento, è non tanto la spinta dei consumi, che rimangono stagnanti, quanto le tensioni crescenti nel comparto del rottame. Anche in questo caso, pensare ad una filiera che si autoalimenta solamente attraverso il rottame rischia di ingenerare un problema di carenza di materie prime futuro, che ci porterebbe, comunque, ad importare questo rottame da altri Paesi.
  Come tutte le cose, non esiste una bacchetta magica, una ricetta assoluta. Ciò che va perseguito è quello che gli economisti dell'energia chiamano «ridondanza energetica»: in altre Pag. 17parole, va perseguito un processo di approvvigionamento ridondante, in cui certamente si cerca di utilizzare il più possibile la parte del riciclo, ma nella migliore delle ipotesi il riciclo può soddisfare il 10-15 per cento del fabbisogno industriale. Non possiamo salire oltre questo livello, proprio per un discorso fisico, di carenza. Ecco dove è importante, secondo me, fare anche un po' di luce. A tutti piacerebbe che l'industria si autoalimentasse; questi sono gli equivoci su cui, a volte, un'ideologia molto spinta sul lato «green» preme.
  A tutti piacerebbe un mondo in cui non si estraesse rame, non si bruciasse gas e quant'altro. Però, poi, bisogna fare i conti con la realtà. Con le tecnologie che abbiamo oggi a disposizione, non siamo in grado di prescindere da metallo estratto e raffinato. Chi fa trading sulle materie prime ha bene in testa il proverbio «il miglior antidoto contro i prezzi alti sono i prezzi alti stessi»; nel senso che più il prezzo sale e più l'industria attiva un processo di innovazione tecnologica o per sostituire quel metallo o addirittura, tra qualche decennio, per trovare una sorta di alternativa sintetica. Questi sono discorsi, chiaramente, molto alla lunga. Più la pressione al rialzo dei prezzi sale e più questa istanza viene seguita.
  La parte del riciclo, però, non può soddisfare tutto il fabbisogno industriale, questo mi preme dirlo. L'Europa si sta già attivando per ridurre l'export di rottame. Noi oggi stiamo assistendo ad un fenomeno di esportazioni, quindi di fuoriuscita di quella che un domani sarà sempre più materia prima. Più decarbonizzo il sistema economico e più utilizzo rottame. Faccio un esempio: l'acciaio, tradizionalmente, si produce da altoforno; nel caso di Taranto, per esempio, per produrre acciaio si usa minerale, carbone e un po' di rottame; nel momento in cui io vado avanti nel processo di decarbonizzazione, dovrò sempre più utilizzare il forno elettrico, quindi Pag. 18utilizzare rottame. È chiaro che tra vent'anni ci sarà una carenza nel mercato europeo di rottame. Quindi, già oggi in Europa si sta lavorando per ridurre l'export di rottame che lascia il continente europeo, per aumentare l'offerta interna. Questo vale anche per i rottami non ferrosi.
  La tematica, quindi, è presente, però aumentare l'offerta di rottame è possibile solamente bannando l'export. Però bisogna fare attenzione: bannare tout court l'export di rottame oggi provoca, sì, un forte abbassamento del prezzo e forse di disponibilità, ma va a danneggiare l'industria della raccolta del rottame, chi effettivamente raccoglie rottame e lo distribuisce al comparto della trasformazione. Bisogna fare dei ragionamenti. Per questo dico che sono tematiche complesse, che richiedono ragionamenti strategici, che osservino tutta la filiera. Non si può fare l'interesse di una filiera specifica. Bisogna cercare di fare un interesse strategico. Sul rottame e, generalmente, sul riciclo se ne possono fare, però questo non prescinde dal fatto che dobbiamo comunque, a mio avviso, attivarci verso la parte estrattiva e di raffinazione.
  Passo alla seconda domanda: sì, credo che arriveremo, prima o poi, a creare un'agenzia italiana che si preoccupi di garantire un approvvigionamento sui metalli critici alle nostre industrie, ma probabilmente è ancora un terreno un po' ostico. Secondo me, finché non scatta l'emergenza, chi oggi avrebbe le capacità finanziarie e il know how per poterlo fare non lo fa perché, magari, attende che vi sia un'indicazione precisa da parte del Governo; quindi, sono un po' alla finestra. Fondamentalmente, parliamo di mercati complicati, temo ci sia questo.
  Prima che si arrivi a questo punto, però, la creazione di una task interministeriale può avere un senso. L'aspetto importante di questo dossier legato alle commodities è che è veramente Pag. 19interdisciplinare, perché è di competenza un po' del MIMIT (Ministero delle Imprese e del Made in Italy), un po' del MASE (Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica), un po' della Difesa, un po' degli Esteri. Se ognuno si arrocca dietro le proprie competenze, alla fine succede che non si decide mai nulla. Questo è un classico esempio, ma in realtà tutto il comparto industriale, in questo contesto di nuova guerra fredda, è sempre più incastrato con dinamiche relative agli esteri, con dinamiche relative all'ambiente...È finito, secondo me, quel tempo in cui le sfere di competenza erano per compartimenti stagni, proprio perché noi oggi dobbiamo fare i conti con potenze industriali come la Cina, come la Turchia, come la Russia.
  Oggi l'intervento dello Stato nell'economia è sempre più presente. Quindi, dobbiamo ragionare anche con questi criteri, secondo me.

  PRESIDENTE. Grazie ancora, dottor Torlizzi, per il suo contributo.
  Dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.05.

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ALLEGATO

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