XIX Legislatura

III Commissione

COMITATO PERMANENTE SUI DIRITTI UMANI NEL MONDO

Resoconto stenografico



Seduta n. 14 di Giovedì 20 giugno 2024
Bozza non corretta

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Boldrini Laura , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'IMPEGNO DELL'ITALIA NELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE PER LA PROMOZIONE E TUTELA DEI DIRITTI UMANI E CONTRO LE DISCRIMINAZIONI
Boldrini Laura , Presidente ... 2 
Masinara Ilaria , rappresentante di ... 3 
Boldrini Laura , Presidente ... 12 
Loffari Francesca , rappresentante di ... 13 
Boldrini Laura , Presidente ... 18 
Masinara Ilaria , rappresentante di ... 21 
Loffari Francesca , rappresentante di ... 22 
Boldrini Laura , Presidente ... 23 
Loffari Francesca , rappresentante di ... 23 
Boldrini Laura , Presidente ... 23

Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
Azione - Popolari europeisti riformatori - Renew Europe: AZ-PER-RE;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Italia Viva - il Centro - Renew Europe: IV-C-RE;
Noi Moderati (Noi con L'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE: NM(N-C-U-I)-M;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
LAURA BOLDRINI

  La seduta comincia alle 13.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la resocontazione stenografica e la trasmissione attraverso la web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di Amnesty International .

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'impegno dell'Italia nella comunità internazionale per la promozione e tutela dei diritti umani e contro le discriminazioni, l'audizione di rappresentanti di Amnesty International.
  Ricordo che la partecipazione da remoto è consentita alle colleghe e ai colleghi secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento.
  Anche a nome dei componenti del Comitato, saluto e ringrazio per la disponibilità a prendere parte ai nostri lavori la dottoressa Ilaria Masinara, direttrice dell'ufficio campagne per Amnesty International Italia, e la dottoressa Francesca Loffari, rappresentante dell'Ufficio relazioni istituzionali.
  Ricordo che Amnesty International è attiva dal 1961 ed è un movimento globale di persone, fondato sull'adesione volontaria, che opera in solidarietà per promuovere e difendere i diritti umani ovunque nel mondo.
  Indipendente da Governi, da ideologie politiche o religiose, come pure da interessi economici, Amnesty basa le proprie Pag. 3azioni su fatti documentati grazie ai propri ricercatori sul campo – anche ricercatrici, evidentemente –, che verificano e segnalano le violazioni dei diritti umani; si occupa di raccolte firme e di manifestazioni e pressioni sulle Istituzioni, che sono gli strumenti principali per portare attenzione su queste violazioni e sensibilizzare l'opinione pubblica.
  Considerata la sua autorevolezza e la consolidata esperienza, Amnesty potrà dunque offrire un contributo qualificato alla nostra indagine conoscitiva, aiutandoci ad individuare, da un lato, le aree di crisi più gravi a livello globale e, dall'altro, i punti di forza, ma anche le criticità dell'azione dell'Italia per la promozione e tutela dei diritti umani nel mondo.
  Fatta questa breve premessa, do la parola alla dottoressa Ilaria Masinara affinché svolga il suo intervento.

  ILARIA MASINARA, rappresentante di Amnesty International. Signora presidente, grazie davvero per l'opportunità di illustrare oggi alcune delle principali preoccupazioni, in un'ottica di confronto e propositiva di possibili soluzioni che siamo qui, oggi, a portare.
  Come già l'onorevole ricordava, tutti gli elementi che menzioneremo oggi, in una panoramica rapida, ma che abbiamo cercato di rendere quanto più esaustiva possibile, derivano dai nostri percorsi di ricerca. Il principale, quello da cui la maggior parte dei dati sono delineati, è il nostro rapporto annuale, che ogni anno racconta lo stato di salute dei diritti umani nel mondo, un elemento imprescindibile per conoscere, Paese per Paese, le principali criticità e i punti di attenzione che vanno sollevati a livello di area geografica, ma anche a livello di Stato. Vi sono, poi, i rapporti particolari, quelli tematici, come il rapporto sulla pena di morte, che quest'anno, per la prima volta, abbiamo deciso di dividere in due sezioni principali: una «mondo» ed una dedicata esclusivamente all'Iran – sarà da lì Pag. 4che inizierò la mia parte di relazione, per raccontare la gravità della situazione in quel Paese – e i tanti rapporti successivi che si focalizzano su crisi, giustizia di genere intersezionale, migrazione; tutte tematiche che oggi affronteremo cercando di dare un quadro quanto più complessivo possibile della situazione dei diritti umani nel mondo e anche, in alcuni casi, di che cosa possiamo fare a livello Paese e di che cosa è necessario muovere a livello anche europeo.
  Un'introduzione che dà un po' lo stato di salute: nel 2023 il mondo è sfrecciato all'indietro rispetto alla promessa dei diritti umani universale del 1948. Ci troviamo in una fase critica per i diritti umani, così critica che ancora non avevamo rilevato. Perché questo? Di fatto, da un lato, le pratiche autoritarie hanno permeato molti Governi e molte società, non solo in Paesi che tradizionalmente abbiamo la tendenza a catalogare come «autoritari», ma anche all'interno dell'Europa, e le ultime relazioni che l'hanno rappresentato.
  Per «pratiche autoritarie» intendiamo pratiche che hanno la tendenza a mistificare dati e realtà, ad appropriarsi di una narrazione che, di fatto, criminalizza alcuni segmenti della società – che poi vedremo nel dettaglio – ed a rappresentare la possibilità di informazione e di libertà di espressione e pubblica assemblea, restringendo quello spazio di rappresentazione della società civile che non riesce più a trovare uno spazio per esprimersi, anzi viene repressa.
  Abbiamo osservato, in particolare, come le politiche autoritarie abbiano intaccato la libertà di espressione ed associazione, colpito l'uguaglianza di genere ed eroso i diritti sessuali e riproduttivi. Anche su questo, chiaramente, ci sarà una trattazione a parte, che non solo entra trasversalmente sui problemi, ma anche sui Paesi in cui riscontriamo la maggioranza delle criticità.Pag. 5
  Si è alzato il volume sulle narrazioni pubbliche basate sull'odio e radicate nella paura, che hanno invaso lo spazio civico e demonizzato individui e gruppi marginalizzati. A farne le spese sono state soprattutto le persone rifugiate, migranti e gruppi razzializzati. Su questo interverrà la mia collega.
  Cominciamo ad entrare nel vivo degli argomenti.
  In un contesto in cui ormai la maggior parte degli Stati del mondo ha consegnato alla storia la pena di morte, il numero delle esecuzioni registrate nel 2023 è il più alto da quasi un decennio. Quello della pena di morte, considerata come una punizione crudele, disumana e degradante, è un tema su cui il nostro Governo si è sempre espresso chiaramente, supportando richieste ed attività, ma vorrei entrare, anche qua, nel dettaglio, poi, di un punto specifico, che porterò alla fine del quadro e della composizione. Sono 144, al momento, i Paesi che hanno abolito formalmente o di fatto la pena di morte, mentre in 55 è ancora in vigore, un numero spropositato; non tutti questi, chiaramente, applicano le sentenze di morte.
  L'Iran da solo nel 2023 ha rappresentato il 74 per cento di tutte le esecuzioni capitali registrate da Amnesty International. Considerate che questi dati sono parziali, perché molti dei Paesi che prendiamo in considerazione non comunicano dati rispetto alle esecuzioni. Questo vuol dire che nel 2023 sono state comminate 2.428 condanne a morte e 1.153 sono state eseguite, numero più che raddoppiato dal 2021.
  Nel caso specifico, il nostro è un Governo che si è sempre speso e ha sempre supportato le richieste delle organizzazioni e dei movimenti come il nostro di porre fine alla pena di morte nel mondo, ma c'è un caso specifico che voglio portare alla vostra attenzione, il caso di Ahmadreza Djalali – che conoscete, purtroppo, tristemente –, ricercatore con cittadinanza iraniana e svedese, che ha seguito un percorso di dottorato, quindi di Pag. 6supporto all'avanzamento tecnologico nel nostro Paese, che è stato condannato a morte nel 2017 per corruzione sulla terra in Iran. È recentissima la decisione del Governo svedese, proprio di questi giorni, di rilasciare l'ex funzionario carcerario iraniano Hamid Nouri, in uno scambio di prigionieri. È un colpo gravissimo non solo per i familiari e i parenti delle vittime che Hamid Nouri ha contribuito a mettere a morte nelle prigioni iraniane, ma è un colpo gravissimo alla diplomazia internazionale, perché di fatto giustifica l'impunità di un Paese come l'Iran.
  Amnesty International ribadisce, anche in questo contesto, il suo appello al Governo italiano affinché intraprenda con urgenza tutte le azioni necessarie per garantire il rilascio immediato e il ritorno a casa dalla sua famiglia in Svezia di Ahmadreza Djalali, che non è stato conteggiato nello scambio di prigionieri, agendo rapidamente per proteggere i suoi diritti, compreso il diritto alla vita. È urgente farlo adesso, perché non c'è più nessuna garanzia che questa persona possa essere tenuta in vita.
  Parlando di Iran, abbiamo lucide alla memoria le lotte delle donne nel Paese e le battaglie per l'uguaglianza di genere, che si sono intensificate in maniera esponenziale. Si tratta di richieste di uscire da un circolo di violenza, un circolo di discriminazione, un circolo di emarginazione che, di fatto, equivale ad apartheid di genere. È un termine molto forte quello che uso ed è un termine su cui Amnesty, in collaborazione con i network di attiviste afgane, iraniane, irachene, nigeriane, chiede con forza ai Governi di supportare nei meccanismi internazionali affinché si riconosca come crimine, insieme al crimine di apartheid su base razziale, contenuto nello Statuto di Roma, il crimine di apartheid di genere. Stiamo parlando di un avanzamento, nei meccanismi internazionali e nella giustizia Pag. 7internazionale, importantissimo. Milioni di donne che si sono viste emarginare, disumanizzare, nel significato vero e proprio del termine apartheid, potrebbero vedere riconoscere i loro Governi colpevoli di questo tipo di atrocità.
  È, quindi, molto importante – e questo è un appello che facciamo anche al nostro Governo – supportare questa richiesta, insieme al consesso degli Stati, affinché venga riconosciuto, insieme all'apartheid su base razziale, l'apartheid di genere. Bisogna chiamare con il proprio nome questa forma di oppressione istituzionalizzata, occorrono indagini, processi e pene adeguate per riparare la violenza e l'ingiustizia di cui sono vittime tantissime donne nel mondo. Lo dobbiamo alle persone che ce lo stanno chiedendo, perché questa richiesta parte dalle persone che in prima istanza sono colpite da questa forma di discriminazione e di allontanamento, di fatto, da qualsiasi diritto umano imprescindibile.
  Di nuovo, torno a raccontare dell'Iran, come Paese fortemente toccato da questi punti che abbiamo messo in evidenza. Durante la rivolta del movimento «Donna, vita, libertà» del 2022, le forze di sicurezza iraniane hanno usato lo stupro e altre forme di violenza sessuale per intimidire e punire chi aveva manifestato in forma pacifica. Uno degli ultimi rapporti che abbiamo pubblicato, che è un durissimo colpo alla nostra idea di umanità, è proprio intitolato «Mi hanno stuprata con violenza» e racconta storie di adolescenti, di donne, di madri, che, nella loro esecuzione della partecipazione alla vita pubblica e delle loro richieste, sono state imprigionate, messe a morte e, in alcuni casi, appunto, brutalmente abusate, e le loro vite distrutte.
  In Afghanistan – un altro dei Paesi che abbiamo preso in considerazione – il fatto di essere donna o ragazza è stato criminalizzato dalla presa di potere dei talebani ad oggi. Nel Pag. 82023 i talebani hanno approvato decine di decreti ufficiali volti a cancellare le donne dalla vita pubblica.
  Allo stesso modo, in Iran le autorità hanno continuato a reprimere brutalmente le proteste di «Donna, vita, libertà».
  Si pone una questione anche relativa allo spazio di partecipazione pubblica, a quanto è importante – e anche questo lo diciamo al nostro Governo e lo diremo anche in chiusura – tutelare lo spazio di partecipazione, lo spazio di dissenso, lo spazio di assemblea pacifica, perché è lo spazio in cui la società civile può portare queste istanze, può realmente pensare di incidere e i decisori politici hanno l'opportunità di ascoltare quel cambiamento. Se si chiudono le piazze, se si reprime il dissenso, se si opera in un'ottica di repressione anche solo della possibilità e della volontà di far udire la propria voce, si perde un pezzo fondamentale, si perde un pezzo di umanità, si perde un pezzo di pluralità.
  Il nostro è un mondo trasversale, intersezionale, e non può che essere così. Ogni voce che si toglie, si toglie un pezzo di progresso.
  Passiamo, adesso, ad un'altra parte fondamentale delle nostre ricerche: la parte relativa all'autodeterminazione del corpo delle donne, alla possibilità di avere accesso ai diritti sessuali e riproduttivi. In molti Paesi donne e ragazze rischiano pene detentive se tentano di interrompere la gravidanza. Quella dell'aborto è una battaglia sui diritti umani, è una battaglia sulla vita, perché l'autodeterminazione del corpo delle persone è una battaglia per la vita, non è una battaglia per la morte. Riteniamo fondamentale che il nostro Governo prenda una posizione a livello europeo sul diritto all'autodeterminazione, nella consapevolezza che ogni arretramento nella promozione di un accesso sicuro e legale all'aborto e alle cure post aborto si traduce in attacchi ai diritti della donna, alla vita, alla salute, Pag. 9alla dignità, all'autonomia corporea, all'uguaglianza e alla non discriminazione, nonché al loro diritto a non essere sottoposte a torture e altri maltrattamenti.
  Io sono sicura che per ognuno di questi punti che ho letto vi siete immaginate una donna in difficoltà rispetto al dover portare avanti scelte sul proprio corpo che non sono le sue.
  Il Parlamento e il Consiglio dell'Unione europea hanno raggiunto l'accordo politico sulla direttiva per contrastare la violenza sulle donne e la violenza domestica. In questo contesto, che poteva essere un'opportunità fondamentale, molte eccellenti proposte sono state respinte dagli Stati membri, senza che ve ne fosse alcun bisogno. Ne cito alcuni, anche in questo caso chiediamo al nostro Governo di impegnarsi di più, di impegnarsi diversamente: ad esempio, stiamo ancora aspettando, anche a livello europeo e a livello nazionale, una definizione di stupro basata sul consenso.
  Stiamo aspettando, nella dichiarazione europea, l'obbligo di garantire percorsi sicuri di denuncia per le donne in condizioni di irregolarità. Sono due cose separate. Il fatto di essere irregolare sul territorio non deve togliere la possibilità alle donne di denunciare le violenze subite. Lo abbiamo visto, ad esempio, anche nei tragici fatti – devio un po' – di Latina di questi giorni. L'irregolarità non può essere un paravento per denunciare abusi e violazioni. Uno Stato che funziona bene deve garantire a tutte le persone, senza alcuna discriminazione, di poter denunciare quello che succede sulla loro pelle.
  Inoltre, sempre tornando alla direttiva e al contrasto sulla violenza, l'omissione nell'articolo 35 di gruppi che rischiano più di altri di subire violenza di genere, come le donne LGBTQIA+, le donne in condizione di irregolarità o le donne che svolgono lavoro sessuale.Pag. 10
  Ribadiamo, quindi, la nostra richiesta all'Italia di adeguare la legislazione italiana alla Convenzione di Istanbul, ratificata nel nostro Paese nel 2014, con l'introduzione del principio di consenso nei reati di stupro.
  In un contesto di tale complessità, constatiamo una sostanziale inerzia da parte dell'Italia al contrasto al linguaggio d'odio, agli stereotipi e ai pregiudizi di genere, un'impronta securitaria rispetto a sfide epocali, quella migratoria e quella climatica, a discapito di politiche incentrate sul rispetto degli obblighi internazionali dei diritti umani o l'adozione di misure di dubbia efficacia, se non controproducenti. Troppo spesso i diritti umani sono stati lasciati indietro e troppo spesso le autorità non sono state in grado di recepire le istanze di cittadini e cittadine che chiedono un riconoscimento dei propri diritti e una tutela efficace. Questo significa un avanzamento per tutta la società e non la tutela dell'interesse di una categoria o di un gruppo, significa tutela di tutte le persone manifestanti, anche dall'uso della forza da parte delle forze di Polizia non necessaria e non proporzionale; significa tutela delle persone migranti, di tutti i minori, a qualsiasi famiglia appartengano.
  Un punto sulle crisi internazionali, prima di passare la parola alla collega. Nel 2023 – ritorno ad un contesto che parte dal 1948 – le lezioni morali e legali del «mai più» sono andate in pezzi.
  In seguito agli orribili crimini perpetrati da Hamas il 7 ottobre 2023, quando oltre mille persone, per lo più civili israeliani, sono state uccise, in più migliaia ferite e 245 prese in ostaggio. Israele ha avviato una campagna di rappresaglia, che è diventata una punizione collettiva.
  Oggi parliamo di quasi 40 mila morti palestinesi, per la maggior parte civili, parliamo di un incessante bombardamento su Gaza, che ha distrutto completamente le infrastrutture, ha Pag. 11distrutto gli ospedali, la possibilità di curarsi, la possibilità di un rifugio sicuro. Quasi due milioni di persone palestinesi sono sfollate e non trovano rifugio in nessun luogo. Essere una persona palestinese oggi a Gaza significa avere subìto la più violenta e distruttiva catastrofe dopo la Nakba. Per milioni di persone di tutto il mondo Gaza simboleggia il fallimento morale nel supportare l'impegno incondizionato verso l'universalità dei diritti e della nostra comune condizione umana, significa il fallimento delle Istituzioni internazionali, significa il fallimento della politica.
  È necessario agire, prendere scelte importanti, scelte che pavimenteranno il nostro futuro, perché si gioca un nodo fortissimo, che parla di decolonizzazione degli spazi, di valorizzazione dei diritti di tutte e di tutti senza ricorrere a doppi standard, a seconda delle aree di provenienza o della posizione economica o, ancora, del genere delle persone con cui stiamo costruendo il nostro futuro.
  L'Italia, con la ripetuta astensione all'Assemblea Generale, ha dato prova di un pesante doppio standard: è mancata una chiara e inequivocabile condanna per le violazioni perpetrate da Israele; è mancato il supporto per l'operato della Corte internazionale di giustizia in difesa del sistema del diritto internazionale dei diritti umani e umanitario; è continuato il trasferimento di armi verso Israele, pur sapendo a che cosa stanno contribuendo; è stato interrotto il sostegno all'Agenzia delle Nazioni unite per il soccorso dei rifugiati palestinesi.
  Al riguardo, occorre sottolineare che dalla Convenzione sul genocidio del 1948 derivano vari obblighi gravanti sugli Stati terzi, tra cui l'Italia, che ne fa parte, che è chiamata a rispettare e a far rispettare le ordinanze sulle misure provvisorie volte ad evitare il genocidio, adottate il 26 gennaio scorso e reiterate a marzo dalla Corte internazionale di giustizia nell'ambito del Pag. 12procedimento avviato con la denuncia della Repubblica del Sudafrica verso Israele.
  Prima di chiudere e di passare la parola alla collega, di nuovo un accenno ad un'ultima questione rispetto al fatto che, anche a livello europeo, l'Italia è tra gli Stati membri che si sono opposti alla revisione dell'Accordo di associazione Unione europea-Israele, in ragione della mancata osservanza degli obblighi a tutela dei diritti umani da parte di Israele. Infine, una questione – di nuovo – relativa allo spazio di protesta, in cui abbiamo visto espandersi nello spazio europeo e anche internazionale le forme di repressione da parte di diversi Stati sulle proteste tematiche che avevano come oggetto la questione palestinese e la crisi umanitaria in quel contesto.
  Porsi in questo modo rispetto alla repressione del dissenso significa mettere in dubbio due diritti fondamentali, che sono il diritto alla libertà di espressione e alla libertà di manifestazione, da cui nasce lo spazio della protesta. La protesta può cambiare il mondo, va supportata in questo senso e non ostacolata.
  Con questo, passo la parola alla mia collega.

  PRESIDENTE. La ringrazio, dottoressa, per questa chiara esposizione, in cui è riuscita anche a mettere a punto l'obiettivo di questa audizione. Lei sa che sull'Iran ci siamo già espressi recentemente, nel marzo scorso, con una risoluzione, approvata all'unanimità; nel testo che io avevo presentato avevo anche messo il reato di apartheid di genere, ma nella trattativa – che in questi casi si avvia con gli altri gruppi – questo è stato considerato un punto da approfondire, specialmente da parte del Ministero degli esteri, dunque è stato espunto dal testo della risoluzione. Mi impegno a ritornare su questo ambito ed eventualmente chiedere anche a voi di avere un aggiornamento Pag. 13sullo stato dell'arte in sede multilaterale, se ci sono già state adesioni su questa proposta, che trovo molto sensata.
  Cedo la parola alla dottoressa Loffari, che ci fornirà alcune sue riflessioni. Prego.

  FRANCESCA LOFFARI, rappresentante di Amnesty International. Signora presidente, la ringrazio.
  Proseguo parlando di frontiere, in particolare dell'esternalizzazione delle frontiere.
  Da almeno vent'anni i Governi dei Paesi più ricchi, in particolare dell'Europa, del Nord America, dell'Oceania, hanno concepito e sviluppato politiche incentrate sull'esternalizzazione del controllo delle frontiere e del trattamento delle richieste di asilo, vale a dire sul loro collocamento al di fuori dei confini nazionali. Queste politiche mirano a scoraggiare gli attraversamenti irregolari delle frontiere, in particolare quelli marittime, attraverso il contenimento delle persone nel territorio di Paesi terzi.
  Le politiche di esternalizzazione si concentrano solitamente su una maggiore cooperazione con le autorità straniere, responsabili del controllo delle frontiere e della gestione della migrazione, o sull'istituzione di centri ad hoc nei Paesi stessi per l'esame delle domande di asilo.
  Amnesty International ha ripetutamente criticato questo approccio e ha sottolineato la natura impraticabile, se non palesemente illegale di numerose proposte di esternalizzazione e i gravi rischi per i diritti umani insiti nelle misure in questione.
  Per quanto riguarda l'Italia, il nostro Paese ha giocato un ruolo chiave nelle politiche di esternalizzazione. Già ai tempi di Gheddafi ha fatto da apripista nella collaborazione con la Libia, che è uno dei principali punti di partenza per persone rifugiate e migranti, sub-sahariane e non. Nei primi anni del Duemila ha promosso la creazione di centri di detenzione in Libia, ha Pag. 14effettuato respingimenti marittimi verso la Libia. Dopodiché, dopo che la Corte europea dei diritti umani ha confermato che i respingimenti marittimi violavano il diritto internazionale, ha fornito ai guardiacoste libici motovedette, addestramento e varie forme di assistenza, per incoraggiare e sostenere le operazioni di intercettazione e di ritorno nel Paese, ovvero la Libia.
  Ancora oggi l'assistenza dell'Italia e dell'Unione europea continua a consentire ai guardiacoste libici di intercettare ogni anno migliaia di persone in mare e di riportarle nei centri di detenzione, dove sono sottoposte a detenzione arbitraria e prolungata, sparizioni forzate, tortura, altri maltrattamenti, incluso lo stupro, lo sfruttamento e, ovviamente, omicidi, rimasti poi senza giustizia.
  Le terribili conseguenze della cooperazione tra Unione europea e Libia nel controllo delle frontiere sono state ampiamente documentate, al punto che la Commissione d'inchiesta indipendente delle Nazioni unite in Libia ha invitato gli Stati interessati a cessare ogni sostegno, diretto e indiretto, agli attori libici coinvolti in crimini contro l'umanità e in gravi violazioni dei diritti umani contro le persone migranti.
  Tuttavia, ad oggi il Governo italiano non solo ha continuato questa cooperazione, ma ha anche cercato di estenderla ad altri Paesi. Qui arriviamo all'inizio del 2023: dopo che la Tunisia ha superato la Libia come principale punto di partenza verso l'Italia, il Governo italiano ha concentrato i propri sforzi diplomatici sul rafforzamento della cooperazione con il Governo tunisino. Ciò ha portato alla firma di un memorandum di intesa tra l'Unione europea e la Tunisia, volto – anche qui – a frenare la migrazione verso l'Europa in cambio di un sostanziale sostegno finanziario.Pag. 15
  Nei mesi e nelle settimane che hanno preceduto la firma dell'accordo, le persone rifugiate e migranti di origine sub-sahariana avevano subìto gravi violazioni dei diritti umani in Tunisia e, in generale, la popolazione civile era oggetto di una dura repressione, fatta di condanne penali o interrogatori in relazione a meri commenti pubblici che erano ritenuti critici dalle autorità.
  Ciononostante, l'accordo è stato firmato, senza alcuna condizione che richiedesse il rispetto degli obblighi in materia di diritti umani durante la sua attuazione e senza alcun meccanismo per monitorare e valutare il suo impatto sui diritti umani e sospendere la cooperazione in caso di violazioni. Dopo la firma dell'accordo, le autorità tunisine hanno continuato, infatti, a spingere le persone migranti verso il confine libico e ad abbandonarle in aree desertiche, in condizioni di urgente bisogno di assistenza umanitaria.
  In questo quadro di estrema complessità, i media internazionali hanno riferito di numerose morti, rispetto alle quali, tuttavia, i leader dell'Unione europea non hanno ritenuto di esprimere una condanna pubblica. Come ben noto, il passo successivo in materia di esternalizzazione è stato fatto con l'Albania: a novembre 2023 il Governo italiano, come ben sappiamo, ha firmato un accordo con la controparte albanese, finalizzato alla costruzione di due centri in Albania per trattenere le persone soccorse e intercettate in mare da navi di Stato italiane.
  A differenza dei precedenti accordi con la Libia e la Tunisia, che si concentrano sulla cooperazione per il controllo delle frontiere e cercano di contenere a tempo indeterminato le persone rifugiate e migranti in quei Paesi, l'accordo con l'Albania compie un passo successivo e persegue, ovvero, il trattamentoPag. 16extra-territoriale delle richieste di asilo, con l'intento di creare un deterrente per le traversate in mare.
  Tuttavia, l'accordo Italia-Albania non esternalizza la responsabilità dell'esame delle domande d'asilo all'Albania; al contrario, prevede che la giurisdizione, le leggi e le procedure italiane continuino ad applicarsi a tutte le persone portate nei centri appositamente istituiti nel Paese, ovvero l'Albania, per l'attuazione delle procedure di screening, asilo e rimpatrio. Tuttavia, l'accordo rientra nel più ampio approccio dell'esternalizzazione, anche perché si avvale del sostegno di un Paese di fatto più povero, in una condizione economica più svantaggiata e, come la Libia, di fatto, una ex colonia italiana, per introdurre misure deterrenti volte a ridurre il numero di persone che arrivano in Italia in cambio dell'impegno a sostenere l'adesione dell'Albania all'Unione europea.
  Amnesty International segue con preoccupazione questo processo, in quanto i centri nel Paese sono centri chiusi, in cui le persone sbarcate vengono grosso modo automaticamente trattenute e sottoposte a procedure di frontiera, che comportano una valutazione accelerata delle loro richieste di protezione internazionale, ed eventualmente a procedure di rimpatrio, come previsto dalla normativa italiana ed europea; di rimpatrio, ad esempio, perché arrivano da Paesi di origine ritenuti sicuri.
  Arrivo al terzo e ultimo punto, che riguarda proprio i Paesi ritenuti sicuri: il 7 maggio 2024 il Governo ha aggiornato e ampliato l'elenco dei Paesi di origine sicura per i richiedenti protezione internazionale. L'elenco è passato da sedici a ventidue Paesi, includendo Bangladesh, Camerun, Colombia, Egitto, Perù e Sri Lanka, con conseguenze molto problematiche per le persone richiedenti asilo provenienti dai Paesi della lista. Di fatto, è uno strumento che, in ultima analisi, limita le tutele legali e l'accesso all'asilo.Pag. 17
  In particolare, l'inclusione dell'Egitto tra i Paesi di origine ritenuti sicuri dall'Italia è motivo di profonda preoccupazione, in quanto mette seriamente a rischio la possibilità per le persone egiziane richiedenti asilo di ottenere protezione internazionale. La decisione, tuttavia, non appare sorprendente se la interpretiamo alla luce dell'attivismo dell'Italia nell'ultimo decennio nel rafforzare i legami tra Egitto e Unione europea attraverso iniziative nel campo della cooperazione di polizia e della gestione delle frontiere.
  Tuttavia, tutt'oggi l'Egitto si contraddistingue tristemente per la violazione sistematica dei diritti fondamentali sia dei propri cittadini che delle persone rifugiate e i migranti che ospita. A tal proposito, Amnesty International ha appena pubblicato un rapporto che documenta come le autorità egiziane abbiano rimpatriato forzatamente circa ottocento cittadini sudanesi tra gennaio e marzo 2024, senza effettuare valutazioni individuali o concedere loro la possibilità di chiedere asilo o di impugnare le decisioni di espulsione. Dalle prove che abbiamo raccolto emerge che le guardie di frontiera egiziane, che operano sotto il Ministero della difesa, e la polizia, che opera sotto il Ministero degli interni, hanno effettuato arresti arbitrari di massa di persone migranti sudanesi e hanno trattenuto donne, uomini e bambini in condizioni crudeli e disumane, in attesa del loro rimpatrio forzato in Sudan. Gli arresti di massa e le espulsioni collettive sono avvenute dopo una campagna governativa di stigmatizzazione delle persone rifugiate e migranti.
  In conclusione, Amnesty International chiede ancora una volta all'Unione europea e, quindi, anche all'Italia di non essere complice delle violazioni dei diritti delle persone rifugiate e migranti in Egitto, in Tunisia e in Libia attraverso la garanzia che tutti gli accordi di controllo delle frontiere e di cooperazione migratoria con Paesi terzi includano una preventiva Pag. 18valutazione del rischio sull'impatto sui diritti umani di tali accordi, nonché di efficaci meccanismi di monitoraggio e accountability. Chiediamo, inoltre, che venga espressamente richiesto alle autorità dei Paesi terzi di adottare misure concrete e verificabili per tutelare i diritti delle persone rifugiate e migranti.
  Concludo qui. Vi ringraziamo e restiamo a disposizione per qualsiasi riflessione o domanda.

  PRESIDENTE. Grazie, dottoressa Loffari, per questo sguardo sull'esternalizzazione del diritto d'asilo e sulla gestione delle frontiere, che purtroppo è uno degli ambiti in cui i diritti umani vengono pressoché ignorati o compressi, attraverso pratiche che rendono difficile l'accesso alla procedura ma anche l'ottenimento di una forma di protezione.
  È vero che normalizzare una situazione di questa natura ha ripercussioni sulla credibilità della Comunità internazionale, dell'Europa, perché se nella sfera globale l'Europa ha un ruolo che le viene riconosciuto è proprio quello di essere la culla dei diritti, il continente dove si è sviluppata la cultura giuridica, dove è sempre stato possibile reclamare che altri Paesi evitassero pratiche discriminatorie e vessatorie in quanto avevamo le carte in regola per poterlo fare. Nel momento in cui, invece, si applicano quelle stesse violazioni che si pretende non vengano messe in atto in altri Paesi, si perde assolutamente ogni forma di credibilità. Quindi, c'è un arretramento totale rispetto ai diritti in questo tempo che ci è dato vivere.
  Vi informo che oggi questa Camera, dopo aver raccolto più di settanta firme di deputati e deputate, sta per inviare una lettera al Presidente della Tunisia Kaïs Saïed accogliendo il vostro appello per la liberazione di Sonia Dahmani e di tutti i prigionieri politici e di coscienza. Tra poco renderemo pubblica questa notizia. Abbiamo avuto un riscontro importante: avere Pag. 19settantadue firme non era assolutamente scontato. Purtroppo sono firme solo di colleghi dell'opposizione, di tutti i gruppi di opposizione. Io, invece, ho mandato la lettera a tutti, anche ai colleghi e alle colleghe di maggioranza, ma non hanno dato risposta.
  Voi siete state molto chiare nell'illustrazione della vostra relazione, comunque consentitemi di porvi alcune questioni. Non so se voi avete informazioni su quali Paesi abbiano già fatto l'endorsement dell'apartheid di genere riguardo all'Iran. Sarebbe interessante avere già un quadro di riferimento per poter sollecitare il Governo ad associarsi agli altri Paesi nella richiesta.
  Per quanto riguarda Gaza, sapete che lunedì ci sarà in Aula una mozione per il riconoscimento dello Stato di Palestina. Nel 2015 abbiamo già approvato una mozione in cui l'Italia riconosceva lo Stato di Palestina, ma nessun Governo, purtroppo, ha mai dato seguito a questa richiesta del Parlamento. Lunedì avremo la discussione generale in Aula, in cui io interverrò, per chiedere al Governo di riconoscere lo Stato di Palestina. Il Governo ripete sempre che per il Presidente Meloni e il Ministro Tajani quello che conta è «due popoli, due Stati»: io penso che, se esiste una coerenza, sia ovvio partire dal riconoscimento dell'altro Stato, quello che manca, altrimenti quella formula è vuota, è priva di consistenza, è solo un prendere tempo e non voler fare sul serio. Quindi, vi anticipo che lunedì ci sarà questo dibattito e in settimana dovremmo concludere la discussione delle mozioni.
  Vorrei anche capire alcuni aspetti relativi ai fenomeni di odio. Anche qui vi devo dare un'informazione che forse vi serve: è vero, l'Italia è inerte rispetto al contrasto ai crimini d'odio, ma non è sempre stato così. Quando presiedevo questa Camera, istituii la Commissione parlamentare «Jo Cox» sull'intolleranza,Pag. 20 la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio, dedicata alla deputata laburista che venne uccisa dall'odio politico, perché era contro la Brexit. Dopo aver subìto minacce di morte in rete, la uccisero. Questo per dire che quello che accade in rete non è vero che rimane in rete, spesso purtroppo si traduce anche fuori della rete. In quel momento facemmo un lavoro molto serio, a cui parteciparono un parlamentare per gruppo, esperti esterni, associazioni e rappresentanti delle Nazioni Unite, per studiare il livello dell'odio nella nostra società. Facemmo una relazione molto articolata e la rappresentammo visivamente come una piramide – la piramide dell'odio – al cui vertice c'erano le ragazze, le donne, quindi la misoginia come punto più alto del discorso di odio attraverso i social media e nella sfera pubblica.
  Poi c'erano altri gruppi – chiaramente la comunità LGBTQ+ – e poi c'erano i migranti. Io scrissi tante lettere a tutte le Istituzioni per dire: se questo è il quadro – parliamo di quasi dieci anni fa – forse bisogna mettere in campo delle politiche di contrasto prima che sia troppo tardi. Purtroppo queste lettere non hanno avuto molto seguito e abbiamo visto crescere questo fenomeno, con l'incremento dell'utilizzo dei social media, in un'ottica che ci sia impunità. Non c'è impunità. Le ragazze, le donne, le persone che sono vittime di odio devono poter avere la certezza di difendersi, perché con la violenza non si convive. Dunque, anche qui mi sono trovata e tuttora mi trovo davanti a tanti processi come parte lesa proprio per dimostrare alle giovani generazioni che c'è una giustizia, c'è uno Stato di diritto, e quando si è vittima di odio bisogna contrastarlo. C'è anche una proposta di legge: in questo Parlamento, in questa legislatura c'è anche una proposta di legge contro i fenomeni di odio, che io ho mutuato da quella tedesca, perché in Germania hanno fatto una legge che ha portato questi colossi Pag. 21del web a fare grossi investimenti per fare contrasto, segnalazioni, rimozioni dei messaggi di odio. Quella proposta di legge è pronta, ma purtroppo non viene considerata una priorità.
  Questa continua sottovalutazione dei fenomeni di odio è molto grave, anche da parte di chi dovrebbe intervenire, anche se non in modo definitivo. Del resto, sappiamo che il web è uno spazio libero e illimitato. Comunque, sarebbe un segnale di tutela verso le figure che di questo odio sono vittime. Quindi, bisognerebbe fare pressione affinché quella proposta di legge – ce ne saranno anche altri, immagino, di colleghe e colleghi – venga portata all'attenzione del Parlamento.
  Badate, l'odio può portare a far saltare l'assetto democratico, perché spesso le persone si autocensurano, non esprimono più il proprio parere per paura della gogna. Quindi, in ultima istanza le persone rinunciano allo spazio di confronto, all'esercizio democratico perché temono la gogna. D'altronde, l'odio e le fake news incidono sugli esiti elettorali. Quindi, se non si corre ai ripari, siamo tutti compartecipi di questa deriva. Io penso che chi ha le intuizioni le debba mettere al servizio della comunità, alcuni di noi lo hanno fatto, ma purtroppo la situazione ancora oggi è questa.
  Io conosco la legge tedesca, però vorrei sapere da voi se siete a conoscenza dell'esistenza di altre leggi, in altri Paesi, sui crimini di odio e sulle false notizie, se conoscete altri Paesi che su questo punto sono corsi ai ripari.

  ILARIA MASINARA, rappresentante di Amnesty International. La ringrazio, presidente, dei commenti e degli approfondimenti. È molto proficuo questo scambio.
  Sulla definizione di apartheid di genere siamo ai blocchi di partenza. Abbiamo lanciato, proprio questa settimana, questa proposta, insieme al network. Prima è stata oggetto di una lunga riflessione interna al movimento, chiaramente, anche rispetto Pag. 22all'idea di essere lanciata adesso, in un contesto internazionale molto attento a tante delle crisi globali e a tante delle questioni che ancora si legano all'apartheid su base razziale. Quindi, siamo ai blocchi di partenza per cominciare interlocuzioni e rapporti con Governi e Stati per fare un movimento di pressione che possa andare verso il riconoscimento di questo come crimine internazionale. Questo è il primo momento in cui ne parliamo in un contesto istituzionale.
  Sulla questione relativa ai fenomeni di odio, crimini di odio e contrasto all'odio, ricordo benissimo il rapporto della Commissione «Jo Cox», perché è quello che ha informato gran parte del lavoro iniziale di Amnesty International Italia di contrasto all'odio. È stato un materiale fondamentale non solo di formazione, ma anche di ispirazione di tutta la modalità di barometro dell'odio, che poi abbiamo portato avanti per anni. Nasce proprio dal confronto a partire da quel documento e su tanti altri che poi abbiamo cominciato a raccogliere anche grazie alla bibliografia e alle proposte che erano raccolte in quel documento. Quindi, ne approfitto anche per ringraziarla di questo lavoro.
  Non so se sulla questione relativa alle legislazioni di altri Paesi vuole intervenire la collega.

  FRANCESCA LOFFARI, rappresentante di Amnesty International. Abbiamo seguito con molto interesse la discussione sul disegno di legge Zan della scorsa legislatura, che poi si è arenato, purtroppo è stato affossato. In termini di analisi, però, non stiamo prendendo in considerazione altri Paesi. Comunque, possiamo senz'altro approfondire e magari poi tornare qui a riferire.
  Sicuramente sarebbe auspicabile e per noi rappresenterebbe un passo avanti in termini legislativi di riforma dell'ordinamento giuridico, quindi del codice penale, aggiungere ai motivi Pag. 23punibili anche la discriminazione basata su misoginia, abilismo e orientamento sessuale e di genere.

  PRESIDENTE. Mi permetto di dire che il disegno di legge Zan era mirato alla omolesbobitransfobia, misoginia e abilismo, mentre qui parliamo di altro, di crimini di odio in generale a mezzo rete. Quando parlo della legge tedesca, mi riferisco non a crimini di odio con movente omotransfobico o misogino, mi riferisco a crimini di odio per motivi diversi – anche quelli, ma non solo quelli –, al fine di responsabilizzare le piattaforme digitali, che è fondamentale. Del resto, se essi non si devono confrontare con le responsabilità, lasciano andare, anzi a loro fa anche comodo.
  Sono due livelli un po' diversi. Peraltro, ricordo che sull'omolesbobitransfobia siamo uno dei pochi Paesi a non avere ancora una legge, purtroppo.

  FRANCESCA LOFFARI, rappresentante di Amnesty International. Aggiungo brevemente che la nostra attività di monitoraggio, poc'anzi citata dalla collega, relativa ai commenti di odio contenuti nel cosiddetto «barometro dell'odio» effettivamente conferma la tendenza da Lei richiamata in precedenza, ovvero i target principali dei discorsi di odio, o almeno dei commenti problematici, restano le donne, la comunità LGBT, i rifugiati e i migranti, anche chi lavora per la solidarietà. Quindi, resta problematico, sicuramente. Responsabilizzare le piattaforme dovrebbe essere l'impegno del nostro Paese a livello istituzionale.

  PRESIDENTE. Intanto vi auguro di riuscire nell'intento di mettere in atto questa campagna, che deve essere capillare, sull'apartheid di genere. A volte le missioni almost impossible sono possible. Questo l'ho visto con il Trattato sulla proibizione Pag. 24delle armi nucleari: quando ricevetti il primo gruppo di volontari e militanti che girava il mondo per convincere i Parlamenti a sostenerlo sembrava impossibile. Mi chiesi: quando mai si potrà arrivare ad un Trattato delle Nazioni Unite per la proibizione delle armi nucleari? Invece, ci riuscirono e presero anche il Premio Nobel. Adesso questa è realtà. Quindi, vi prego, vi esorto a mettercela tutta, perché anche quando sembra che la montagna sia altissima, si può scalare. Mi raccomando, compriamoci delle buone scarpe e cominciamo la marcia.
  Nel ringraziare le nostre ospiti, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.35.