XIX Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 15 di Mercoledì 19 giugno 2024
Bozza non corretta

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Stefani Alberto , Presidente ... 2 

Audizione, in videoconferenza, di Sandro Staiano, presidente dell'Associazione italiana dei costituzionalisti, e di Massimo Villone, professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università Federico II di Napoli, sulle tematiche relative allo stato di attuazione e alle prospettive del federalismo fiscale (ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale) :
Stefani Alberto , Presidente ... 2 
Staiano Sandro , presidente dell'Associazione italiana dei costituzionalisti ... 3 
Stefani Alberto , Presidente ... 11 
Villone Massimo , professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università Federico II di Napoli ... 11 
Stefani Alberto , Presidente ... 20 
Aloisio Vincenza  ... 20 
Spagnolli Luigi  ... 21 
Guerra Maria Cecilia (PD-IDP) , intervento in videoconferenza ... 23 
Stefani Alberto , Presidente ... 26 
Staiano Sandro , presidente dell'Associazione italiana dei costituzionalisti ... 26 
Villone Massimo , professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università Federico II di Napoli ... 30 
Stefani Alberto , Presidente ... 33

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ALBERTO STEFANI

  La seduta comincia alle 8.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che mediante il resoconto stenografico, anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione, in videoconferenza, di Sandro Staiano, presidente dell'Associazione italiana dei costituzionalisti, e di Massimo Villone, professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università Federico II di Napoli, sulle tematiche relative allo stato di attuazione e alle prospettive del federalismo fiscale.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione in videoconferenza, ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Regolamento della Commissione, di Sandro Staiano, presidente dell'Associazione italiana dei costituzionalisti, e di Massimo Villone, professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università Federico II di Napoli, sulle tematiche relative allo stato di attuazione e alle prospettive del federalismo fiscale.
  Ricordo che allo svolgimento delle relazioni potranno seguire eventuali domande da parte dei parlamentari e, quindi, la replica degli auditi.
  Nel ringraziarlo per la disponibilità dimostrata, cedo quindi la parola a Sandro Staiano, presidente dell'Associazione italiana dei costituzionalisti.

Pag. 3

  SANDRO STAIANO, presidente dell'Associazione italiana dei costituzionalisti. Buongiorno.
  Il tema mi pare che sia diventato più che attuale. In questo momento, con queste nostre osservazioni, dopo le deliberazioni di questa notte della Camera, è diventato un tema che affrontiamo nell'incandescenza degli eventi.
  Federalismo fiscale. Se fosse ancora possibile un uso se non rigoroso almeno parsimonioso delle parole, dalla locuzione «federalismo fiscale» – io resto convinto di questo – dovrebbe essere espunto il sostantivo, così si risparmierebbe al giudice costituzionale di apporre sempre nelle sue decisioni un prudente «cosiddetto» o di mettere fra virgolette la parola «federalismo», in quanto non c'è dubbio che in questo caso, soprattutto dopo le vicende di normalizzazione da parte della Corte costituzionale dell'attuazione del Titolo V della Parte II della Costituzione, la parola «federalismo» non trova un riscontro nel sistema né di tipo normativo né di tipo descrittivo. Usiamo convenzionalmente questo termine, anche perché ad esso è stata data la dignità della previsione legislativa, dal momento che è contenuto proprio nella rubrica della legge n. 42 del 2009, che reca la delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione all'articolo 119 della Costituzione.
  In realtà, a parte il maggiore appeal che si dà all'intera vicenda, in sostanza si tratta di un'attuazione – e questo basterebbe – dell'articolo 119 della Costituzione, che contiene, appunto, le norme che si riferiscono all'ordinamento fiscale e alle norme sulla finanza locale, che in effetti andrebbero poste in attuazione, ma ad oggi lo sono state soltanto parzialmente. Il fiscal federalism è una traduzione, così come una traduzione pedissequa è residuo fiscale da fiscal residuum, dalla letteratura americana degli anni Cinquanta.Pag. 4
  È opportuno, però, che si metta almeno in chiaro il contesto contestuale. In Italia i termini di finanza locale, federalismo fiscale e residuo fiscale appartengono a un contesto di un assetto di carattere competitivo fra soggetti dell'autonomia (chiamiamoli così) mentre il sistema italiano si fonda su tre capisaldi, ovvero la compartecipazione ai grandi tributi statali, i tributi propri, ma limitati, e la perequazione. Questo è il quadro che emerge dall'articolo 119 della Costituzione, che ovviamente con il federalismo in senso proprio non ha molto a che fare.
  La legge n. 42 del 2009 tenta di razionalizzare il modello innanzitutto quanto al finanziamento della spesa pubblica, quindi per razionalizzare il finanziamento della spesa pubblica occorre superare il criterio della spesa storica, secondo il quale si dà a chi più ha speso nel tempo precedente. Naturalmente da ciò deriva l'osservazione di fondo che questo equivale a premiare gli enti meno virtuosi, perché si finanziano servizi e inefficienze, con il sistema del ripianamento gravante sulla fiscalità generale.
  Con la legge n. 42 del 2009 si introducono i concetti di costo standard e fabbisogno standard, in modo da finanziare il costo del servizio, depurato dalle inefficienze. Costi e fabbisogni standard vengono raccordati con esigenze di perequazione. Il meccanismo è noto: si identificano cinque regioni in equilibrio economico, tre sono scelte dalla Conferenza Stato-regioni come parametro di riferimento, e viene così definita una specie di media di buona amministrazione, quantificando per ogni servizio i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e i livelli essenziali di assistenza (LEA) nonché le risorse necessarie a garantire secondo efficienza ogni singolo servizio. Gli scostamenti dovrebbero gravare sulla fiscalità locale. Quindi, in termini politici si dovrebbe evidenziare la responsabilità del soggetto corrispondentePag. 5 (regioni, province, città metropolitane, comuni). Secondo il modello lo Stato, invece, si assume la responsabilità di una rimodulazione per legge dei livelli essenziali, togliendo risorse ai soggetti di autonomia quando premano imprescindibili esigenze di finanza pubblica che impongono il ridimensionamento della spesa locale.
  Teniamo conto che, per esempio, l'esperienza che è stata compiuta nell'ambito della sanità con i LEA suggerisce il fatto che si stabiliscono i meccanismi per il calcolo dei trasferimenti, ma poi in realtà i risultati dell'applicazione di questi indicatori ogni anno vengono messi da parte dal fatto che poi c'è una decisione centrale che, sulla base delle imprescindibili esigenze di finanza pubblica, pretermettono completamente il meccanismo di calcolo che è stato compiuto.
  Il modello indicato dalla legge n. 42 del 2009 conosce una prima attuazione sotto una cattiva stella, perché non appena vengono approvati i primi decreti delegati abbiamo in concomitanza una crisi finanziaria globale, quella del 2007-2009, che diventa crisi economica, una fase di stagnazione e di recessione di grande lunghezza, che impone tagli lineari delle risorse pubbliche, che sono fatte gravare fondamentalmente sui soggetti delle autonomie locali con la cancellazione dei trasferimenti destinati a finanziare nuove funzioni amministrative che erano state appena decentrate. In realtà, è tutto il risanamento economico che viene fatto gravare in quella fase sul sistema delle autonomie.
  La tecnica dei tagli lineari non va d'accordo con il modello della fiscalità locale come definito dall'articolo 119 della Costituzione, perché questo modello imporrebbe un'analisi articolata dei dati delle misure di differenziazione per perequare progressivamente e incrementare l'efficienza dei soggetti pubblici, tendendo all'eguaglianza in senso proprio. Sennonché, i Pag. 6tagli lineari, essendo tagli grossolani, consolidano le asimmetrie, non distinguono tra efficienze e inefficienze, tra virtù e vizio.
  La storia del cosiddetto federalismo fiscale – utilizzerò la parola «cosiddetto» come fa la Corte, mi ostino a farlo – in Italia è, quindi, una storia di cattiva normazione, fin dall'inizio. Infatti, mentre si affermano solennemente i princìpi, poi interviene una legislazione rapsodica, frammentaria, priva di un'analisi di impatto, decreti-legge, leggi di bilancio, norme nell'ambito della farragine delle leggi di bilancio, leggi finanziarie, leggi di stabilità, varie denominazioni che designano una stessa incongruenza. Quindi, c'è un vizio genetico intorno all'applicazione del federalismo fiscale.
  Sono incontrovertibili due circostanze, che sono fatti storici. Il modello è rimasto quasi del tutto lettera morta per una quindicina d'anni, poi ha conosciuto un'accelerazione a partire dal 2020, ma solo con riferimento a comuni, province e città metropolitane. Per le regioni all'inattuazione è subentrato uno stato di sovrapposizione di prospettive implementative – chiamiamola così con un eufemismo compassionevole – perché irrompe sulla scena la pulsione a una peculiare forma di differenziazione. Quelle che una volta venivano definite le minori autonomie territoriali oggi non si potrebbero definirle tali, perché non sarebbe politicamente corretto, dopo la pari ordinazione che è stata compiuta dall'articolo 114 della Costituzione, che forse non a torto è stata definita ipocrita. Si è tentata l'accelerazione nella determinazione dei LEP, in modo da poter fondare sistemi perequativi adeguati. Sono stati fissati alcuni livelli di servizio con l'individuazione di risorse strutturali per la copertura degli oneri. Ma questo non ha condotto a una razionalizzazione e a una coerenza del quadro, perché occorrerebbero interventi con misure di ricomposizione della normazione in sistema o in sottosistemi, secondo quanto si Pag. 7preferisce, tanto più perché intanto è stato dato corso alle misure e ai finanziamenti del PNRR dopo l'emergenza pandemica secondo modalità inconferenti con la perequazione territoriale, che pure è un obiettivo imposto come vincolo normativo dal piano New Generation EU. Per esempio, si pensi al sistema dei bandi che mettono in competizione enti di una stessa classe, però dotati di risorse organizzative molto diverse. Si pensi alla rinuncia ad affrontare, se non molto marginalmente, con misure straordinarie adeguate e misure incidenti sulle strutture, il deficit di efficienza di interi comparti dell'amministrazione pubblica locale, segnatamente nel Mezzogiorno.
  Ancora una volta qualche elemento di chiarezza è venuto dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 71 del 2023, che ha indotto a riconsiderare il sistema degli obblighi e il modello sanzionatorio per la violazione a carico dei comuni. Questa sentenza della Corte afferma che il vincolo di destinazione può valere solo per gli interventi speciali – qui si riferisce all'articolo 119, comma quinto della Costituzione – e in caso di violazione la sanzione non può essere la restituzione, che si ritiene in contrasto con l'obiettivo di rafforzare i servizi e garantire i livelli essenziali delle prestazioni. Semmai, si dovrà dare corso all'intervento sostitutivo statale (articolo 120), una norma rimasta a lungo nell'ombra e che, invece, adesso viene proiettata al centro del sistema.
  La legge di bilancio per il 2024 si è adeguata e ha istituito un Fondo speciale per l'equità del livello dei servizi per il periodo 2025-2030. Però, sebbene questi meccanismi di razionalizzazione siano stati introdotti, nessuna sentenza normativa, come lo è la sentenza n. 71 del 2023, potrà mai sopperire alla carenza della legislazione organica di derivazione politica.Pag. 8
  Quanto alle regioni, invece, la legge n. 42 del 2009, che per larga parte è una legge di delegazione, ha trovato attuazione nel decreto legislativo n. 68 del 2011. Ma bisogna sottolineare che l'efficacia di questo decreto legislativo è stata procrastinata con una modalità che è difficilmente componibile con il sistema di protezione normativa conformato dalla Costituzione, prima con decreto-legge addirittura, poi con legislazione finanziaria periodica. Da ultimo, la legge di bilancio per il 2023 ha procrastinato l'efficacia del decreto legislativo delegato nientemeno che al 2027.
  Il modello, dunque, è inattuato. Ma qual è il modello inattuato? È quello che ritiene di sostituire ai trasferimenti statali generalizzati alle regioni un incremento dell'aliquota addizionale regionale dell'IRPEF, compensata da un'equivalente riduzione della parte di competenza statale, mantenendo inalterato il prelievo fiscale complessivo a carico del contribuente, il che è un passaggio necessario. D'altronde, questa faccenda di premere sul contribuente o di moltiplicare il carico per il contribuente è questione che era già stata affrontata in Assemblea costituente. Lo diceva Luigi Einaudi quando paventava il rischio del sovraccarico fiscale, dicendo che la materia impositiva è una sola, ovvero il reddito del contribuente. Questo significa che il modello di regionalismo italiano presenta problemi di applicazione che derivano proprio dalla sua perdurante struttura, dai suoi caratteri originali, che non può essere ovviamente obliterato.
  La copertura dei fabbisogni per le spese relative ai LEP dovrebbe, poi, essere garantita attraverso una compartecipazione all'IVA, con un'aliquota fissata al livello minimo sufficiente ad assicurare il pieno finanziamento del fabbisogno, prendendo a riferimento la regione che presenta la distanza minima tra gettito retributivo e fabbisogni. Quindi, le regioni Pag. 9con minori capacità fiscali, vale a dire con un gettito insufficiente al finanziamento integrale dei LEP, dovrebbero fruire del Fondo perequativo. Tutto questo modello è inattuato, nel senso che è stata procrastinata l'efficacia della norma che lo prevede.
  Al centro di questo modello c'è, dunque, la definizione dei LEP e dei fabbisogni standard. Ora che succede? Che, mentre questa riforma è inattuata, sul tronco di questa inattuazione si innesta la legge sul regionalismo differenziato. Questo determina una situazione di potenziale confusione dei piani. Infatti, secondo l'ordine delle cose, un legislatore nazionale avrebbe innanzitutto portato a compimento il processo di attuazione dell'articolo 119, invece il rischio è quello di una nuova legislazione metacronica, ossia caratterizzata da confusione, sovrapposizione e rovesciamento dei piani temporali. Ci sono dei precedenti molto significativi. Tutto il Titolo V della Parte II, con le conseguenze che ne sono derivate, è in realtà una risposta a questo modello di intervento che rovescia i piani temporali: nel caso del Titolo V prima la legislazione a Costituzione invariata lesiva della Costituzione e poi il Titolo V a sanare questa lesione.
  Il disegno di legge che è stato approvato questa notte in via definitiva alla Camera dei deputati considera la preventiva determinazione dei LEP centrale nel disegno normativo per fronteggiare i divari delle prestazioni nel campo dei diritti civili e sociali in caso di differenziazione delle funzioni, con l'attribuzione ovviamente delle corrispondenti risorse erariali. Per definire gli ambiti materiali in cui si collocano le funzioni da trasferire deve essere compiuta la previa determinazione dei LEP. Il Governo, per prefigurare la formulazione dei LEP, si è avvalso dell'opera di un comitato tecnico-scientifico con funzioni istruttorie, che ha prodotto un documento finale dal quale si evince la rinuncia a definire in via preliminare la nozione Pag. 10stessa dei LEP, rinviandone la responsabilità al decisore politico. È detto esplicitamente nel documento.
  Quanto alla definizione dei LEP che quel documento contiene, è molto generica, consiste in mere dichiarazioni di principio prive di significato specifico, di criteri di misurabilità, di possibili declinazioni operative. Naturalmente, in assenza di premesse metodologiche, è priva di fondamento dimostrativo la distinzione fra le funzioni LEP e le funzioni non LEP, queste ultime suscettibili per la loro stessa natura di devoluzione immediata, senza attendere la definizione previa dei LEP.
  Che cosa accade adesso? Teniamo conto che tracciare una linea di demarcazione tra funzioni LEP e funzioni non LEP è dirimente per le sorti del cosiddetto federalismo fiscale disegnato dalla legge n. 42 del 2009. I prevedibili problemi e il conflitto politico che si avranno nell'identificazione della materia non LEP incideranno sulla possibilità di costruire il fondo perequativo, che è centrale nella messa in opera della legge n. 42 del 2009.
  Il finanziamento delle funzioni attribuite in sede di differenziazione avverrà attraverso compartecipazione al gettito dei tributi erariali nei singoli territori. Al momento del trasferimento, per le funzioni LEP l'aliquota sarà fissata per garantire la copertura dei fabbisogni, per le funzioni non LEP sarà stabilito un ammontare pari alla spesa storica. Però, l'intera gestione della compartecipazione sarà affidata all'opera delle Commissioni paritetiche Governo-regioni, senza particolari vincoli – adesso non entro nel merito tecnico di questo discorso – derivanti dalle previsioni della legge testé approvata. Quindi, gli effetti di frammentazione e il rischio di una incompatibilità con i vincoli di spesa primaria derivanti dagli obiettivi europei sono molto elevati.Pag. 11
  Ci troviamo di fronte, quindi, a una situazione di difficile decifrazione sistemica (usiamo questa formula un po' «eufemisitca»), in cui ancora una volta ci troveremo di fronte a grandi difficoltà applicative.
  Voglio ricordare che la legge n. 42 del 2009 è allo stato non attuata. Le difficoltà attuative sono effettivamente strutturali. Una situazione come quella che adesso abbiamo di fronte è resa ulteriormente complessa dall'ingresso di una nuova normazione, anch'essa di assai difficile attuazione.

  PRESIDENTE. Grazie. Lascio la parola al professor Massimo Villone.

  MASSIMO VILLONE, professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università Federico II di Napoli. Signor presidente, la ringrazio per l'invito a partecipare a questa audizione.
  Mi scuso con voi per non essere - come avrei preferito - in presenza. Spero sia comunque utile la partecipazione, che avviene, come ricordava il collega Staiano, proprio in coincidenza con il voto finale sull'Atto Camera 1665 sull'autonomia differenziata.
  Credo ci sia una domanda da porre in via preliminare: se noi riteniamo o no che ci debba essere un obiettivo di fondo, cioè quello della riduzione dei divari territoriali e delle diseguaglianze nei diritti. Questa è una premessa da sciogliere preliminarmente.
  Noi abbiamo due pilastri da guardare, due norme essenziali: l'articolo 117, secondo comma, sui livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali, e l'articolo 119, che riguarda la disponibilità di risorse proprie da parte dei soggetti di governo locale, una disponibilità finalizzata all'integrale finanziamento (questo è un principio importante), il richiamo al fondo perequativo istituito con legge statale e la previsione di interventi speciali aggiuntivi dello Stato in casi particolari.Pag. 12
  Queste due norme (l'articolo 117 e l'articolo 119), nella mia lettura, sono più che sufficienti per dire che abbiamo un obiettivo fondamentale di riduzione dei divari e delle disuguaglianze; il perseguimento di un tendenziale obiettivo di pari dignità di persone e territori. Bisogna dire che questo obiettivo, da circa trent'anni a questa parte, non è stato mai perseguito, se non in modi e misure assolutamente parziali. C'è stato un tentativo, un avvio con la legge n. 42 del 2009, ma il collega Staiano ha fatto un'ampia ricostruzione, che io condivido e che, quindi, non riprendo: è una legge rimasta inattuata. Anzi, è stata seguita una linea opposta, perché è emerso un obiettivo diverso e, in qualche misura, antagonista rispetto a quello della riduzione dei divari e delle diseguaglianze, che è stato sostenuto da economisti di primo livello nel nostro sistema politico e istituzionale, anche da economisti che avevano la stanza accanto a quella del Presidente del Consiglio, per così dire: cioè che non fosse utile destinare risorse pubbliche al superamento dei divari e alla riduzione delle diseguaglianze, ma che, al contrario, bisognava investire risorse disponibili su quelle parti del Paese che potevano più efficacemente farne uso, tesi che sbrigativamente possiamo riassumere nell'etichetta, che è stata spesso utilizzata, della locomotiva del nord. Diversamente ci sarebbe stato uno spreco, non utile al Paese.
  Bisognava, invece, investire in tal modo perché, attraverso la teoria che gli economisti definiscono del «trickle-down», dello sgocciolamento verso il basso. Un vantaggio consentito alle parti più forti ed efficienti del Paese avrebbe comunque recato un qualche utile alle parti più deboli e in ritardo. È una teoria che, a mio modo di vedere, ha dimostrato ampiamente il suo fallimento. Se si guarda alle classifiche europee, che dicono che le nostre regioni di eccellenza sono in caduta libera rispetto alle altre realtà europee, perdono decine di posizioni nelle classifichePag. 13 europee in rapporto al PIL, vuol dire che questa è una tesi che ha rallentato lo sviluppo del Paese e che ha, in realtà, determinato un danno collettivo generalizzato. La locomotiva è finita in deposito.
  Il punto essenziale è questo: abbiamo un quadro generale costituzionale che punta in una certa direzione e una sostanziale attuazione o un'attuazione antagonista, addirittura, in campo da non poco tempo ma da un po' di anni a questa parte. Avete avuto, in questa Commissione, già alcune audizioni che io considero importanti (voglio citare in particolare quella dell'Ufficio parlamentare di bilancio, quella della Corte dei conti, quella del presidente Orlando della Commissione fabbisogni standard e voglio aggiungere anche quella del giornalista e saggista Marco Esposito), che mi sembra siano utili a dare un quadro complessivo delle difficoltà dell'esperienza fin qui condotta e delle prospettive.
  La cosa che emerge con chiarezza è che dove ci sono divari e diseguaglianze lo strumento cruciale finisce con l'essere la perequazione. Nell'articolo 119 si coglie la crucialità, direi assolutamente chiara, della ricostruzione dell'architettura costituzionale, però si coglie anche qui la difficoltà dell'esperienza concreta. Noi abbiamo avuto di recente il definanziamento del fondo per la perequazione infrastrutturale, che da 4,5 miliardi di euro – se non ricordo male – è stato ridotto a 800 milioni. Poi si recupererà, ma chissà come e chissà quando. Troviamo che la perequazione ha avuto un'attuazione assolutamente parziale e ridotta per quanto riguarda il livello comunale, come emerge dalle audizioni che citavo in precedenza.
  In particolare, la perequazione comunale ci dà elementi significativi per comprendere quello che poi veramente accade. La difficoltà che si incontra è che, quando si fa perequazione, chi sta meglio perde qualcosa e chi sta peggio guadagna Pag. 14qualcosa. Se non c'è questo meccanismo di travaso, per così dire, non c'è perequazione.
  Se guardiamo a quello che è accaduto per i comuni, vediamo che per il 2024 si è arrivati al 52,5 per cento. Già è curioso che una perequazione si faccia al 52,5 per cento. In realtà, c'è stato un passettino in avanti, perché – se non ricordo male – si partiva dal 48-49, ma si prevede che si arrivi al 100 per cento della perequazione, a livello comunale, addirittura nel 2030. Stiamo parlando, quindi, di un obiettivo che va molto al di là, per esempio, di tutto il quadro complessivo del PNRR. Noi dovremmo concludere con il federalismo fiscale del PNRR nel 2026.
  Vi è tutto il problema, per esempio, del temperamento delle conseguenze negative a carico di chi perde qualcosa con la perequazione. Ci sono stati dei recuperi per renderla meno dolorosa, diciamo così, temperamenti per evitare variazioni negative troppo ampie. Perché? Perché, ovviamente, chi perde qualcosa protesta. È chiaro, quindi, che negli equilibri politici generali entra un elemento di contrasto che, in qualche modo, si fa valere. Questo è un punto, per esempio, colto con particolare chiarezza dall'Ufficio parlamentare di bilancio. Leggo un passaggio in particolare: «L'azzeramento delle variazioni annuali negative del fondo di solidarietà comunale non è sostenibile nel tempo – proprio il temperamento di cui adesso parlavo – e appare in contrasto con le finalità perequative del fondo». L'Ufficio parlamentare di bilancio cita la sentenza n. 63 del 2024 della Corte costituzionale, che, non a caso, ha detto che se si sterilizzano gli effetti derivanti dall'avanzare del criterio perequativo si contraddice l'obiettivo stesso della riforma del federalismo fiscale. Qui abbiamo un meccanismo che opera in senso contrario.Pag. 15
  In questo quadro si pone anche la sentenza n. 71 del 2023, che citava prima il collega Staiano, in cui la Corte costituzionale dice: «Non si vada alla restituzione delle risorse, ma si passi all'articolo 120 della Costituzione», quindi poteri sostitutivi e nomina dei commissari.
  Non è la prima volta che l'Ufficio parlamentare di bilancio solleva l'allarme sulle conseguenze generali sul sistema di finanza pubblica. Voglio ricordare che l'Ufficio parlamentare di bilancio è un organismo di alta qualificazione professionale, che merita la più grande attenzione. Hanno parlato di questi scenari anche la Corte dei conti e la Banca d'Italia, quando hanno espresso la loro posizione in questa sede, come anche nelle audizioni fatte in tema di autonomia differenziata.
  Per non farla troppo lunga, vediamo che cosa accade. Credo sia stato molto opportuno l'aggancio fatto dal collega Staiano all'approvazione di questa notte, al voto finale sull'Atto Camera 1665. Vedo, qui, un processo antagonista rispetto alla prospettiva del federalismo fiscale. Lo capiamo anche da quello che è stato detto in Aula dallo stesso Ministro Calderoli. In Aula che cosa è accaduto? Le opposizioni hanno attaccato a fondo sull'Atto Camera 1665, sul profilo delle riforme delle materie devolvibili. Che cosa dice il Ministro Calderoli? Calderoli ha fatto un solo intervento, quindi è un intervento che fa testo rispetto al pensiero del Ministro Calderoli, che è molto importante. A breve partirà un procedimento di attuazione dell'autonomia differenziata che farà capo allo stesso Ministro Calderoli, essenzialmente. Quindi, quello che dice il Ministro Calderoli pesa, e non poco. Anzitutto, il Ministro Calderoli respinge qualunque critica sul punto di poter avere una limitazione della materia oggetto del trasferimento devolutivo. Io non voglio dire che trucca le carte, ma di certo nasconde una parte del problema. Dice una cosa certamente giusta, dal punto Pag. 16di vista tecnico, ma c'è una parte non detta: io non posso, con questa legge, che è una legge ordinaria togliere dal tavolo alcune materie piuttosto che altre, perché me lo dice la Costituzione. Questo è un punto indiscutibilmente esatto, perché l'Atto Camera 1665 non potrebbe cancellare questa o quella materia.
  Io condivido questa sua valutazione, tant'è vero che quando ero ancora in Parlamento, nel 2003, quindi subito dopo la riforma del 2001, proponevo un disegno di legge costituzionale in cui sopprimevo il 116, terzo comma, cioè l'autonomia differenziata, e spostavo dalla potestà legislativa concorrente a quella esclusiva proprio le materie che il Ministro Calderoli adesso dice che era sbagliato mettere dentro.
  Non a caso, proprio in quest'ultima fase, ho organizzato una raccolta firme su una proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare, che è arrivata in Senato con 106 mila firme. Con essa, che è giunta alla discussione in Aula del Senato e la maggioranza l'ha respinta, si proponeva lo spostamento di materie dalla potestà concorrente alla potestà esclusiva.
  Il Ministro cos'è che non dice? È vero che l'Atto Camera 1665 non potrebbe togliere questa o quella materia, ma avrebbe potuto limitare il negoziato, dal punto di vista del Governo, su questa o quella materia, perché avrebbe vincolato il Governo senza produrre effetti sul sistema delle fonti, quantomeno sotto un profilo di responsabilità politica. Tanto è vero che lo stesso Atto Camera 1665 prevede che questo lo possa fare il Presidente del Consiglio dei ministri con un suo atto. In altre parole, il Presidente del Consiglio dei ministri può dire che su questa cosa non si negozia (articolo 2, secondo comma), ma se lo può fare il Presidente del Consiglio dei ministri con suo atto, avrebbe potuto sicuramente farlo anche il Parlamento, con una volontà legislativa. Questo mi sembra evidente, ma non si è fatto, tra l'altro, perché il Ministro non ha voluto.Pag. 17
  Il Ministro non dice, inoltre, che l'autonomia differenziata si applica anche alle materie non LEP, cioè – come ricordava il collega Staiano – non condizionate all'adozione di livelli essenziali delle prestazioni, e a funzioni non LEP nelle materie LEP, perché ci sono anche queste. Nell'ambito delle materie che sono nel complesso condizionate ai LEP ci sono funzioni che non lo sono.
  Per tutto questo, che riguarda un paio di centinaia di funzioni statali nelle materie complessivamente interessate, su oltre – sono dati che derivano da uno studio dello stesso Ministero per le autonomie – 500 funzioni statali devolvibili, trasferibili, uno studio recente ci dice che, per le materie non LEP e le funzioni non LEP, un paio di centinaia possono essere trasferite anche domani, e sono materie di rilievo. Tanto è vero che non io, ma il presidente della regione Calabria, Occhiuto, in un'intervista di qualche giorno fa al Corriere della Sera, si preoccupava della concessione di un'autonomia differenziata nel commercio con l'estero, che è devolvibile subito, da domani, perché è parte delle materie non LEP. Teme – il presidente della regione Calabria, ripeto, non io – che questo possa generare un danno alla competitività di altre regioni. Per chiarire l'interazione tra il tema del federalismo fiscale e questo dell'autonomia differenziata con un esempio pratico, se accadesse, ovviamente, questo avrebbe un'incidenza. Se un'autonomia differenziata nel commercio con l'estero determinasse un danno competitivo ad altre regioni, si inciderebbe sulla loro capacità fiscale, quindi si avrebbe un ritorno sulle necessità perequative a favore di quelle regioni. Qui vediamo chiaramente l'interazione tra l'autonomia differenziata e il tema del federalismo fiscale.
  Vi è, poi, un altro punto assolutamente fondamentale, quello delle Commissioni paritetiche. Che cosa succede? Anche in questo caso possiamo citare il Ministro Calderoli. Lo cito dal Pag. 18resoconto. Quando le opposizioni lo hanno attaccato dal punto di vista delle risorse, il Ministro Calderoli ha detto: «Io non posso parlare di risorse in questa legge, perché è una legge ordinamentale. Le risorse devono essere messe là dove devono essere messe, ovvero definite nelle varie intese, nell'intesa definitiva le modalità con cui calcolare quelle risorse, poi finanziate al livello delle varie leggi di bilancio». Che cosa ci sta dicendo il Ministro Calderoli? Nelle intese, secondo le modalità previste dalle intese, devono essere valutate e misurate le esigenze in termini di risorse, che poi vanno finanziate al livello delle varie leggi di bilancio. Noi abbiamo l'idea di una legge di bilancio che è fatta ex post, abbiamo un sistema frammentato in cui ci sono tanti soggetti, che sono le Commissioni paritetiche, che si fanno i loro conti e li passano al centro, che costruisce la legge di bilancio.
  Badate, non stiamo parlando dell'Abruzzo o del Molise, sennò si potrebbe dire che queste sono cose marginali. Noi stiamo parlando di un procedimento nel quale le regioni più forti di questo Paese (Lombardia, Veneto, Piemonte, Liguria) separatamente si autodeterminano, in una trattativa «uno a uno», su quelle che sono le esigenze e poi passano le carte al centro, che ne prende atto e costruisce il bilancio.
  Quale controllo possiamo pensare che si abbia ancora da parte dello Stato? Come controlliamo il bilancio? Da ciò comprendiamo le perplessità sulla sostenibilità per il bilancio avanzate dall'Ufficio parlamentare di bilancio, dalla Corte dei conti, dalla Banca d'Italia. Affidare gli equilibri di finanza pubblica a una contrattazione decentrata è una cosa che, probabilmente, ci mette in una condizione non sostenibile e non gestibile nella prospettiva futura.
  Dice ancora l'Ufficio parlamentare di bilancio, che su questo punto è stato, forse, quello in assoluto più chiaro tra le Pag. 19audizioni che vi ho citato: «Una gestione della compartecipazione affidata esclusivamente a trattative bilaterali all'interno delle Commissioni paritetiche – come è, badate, non è un'ipotesi, perché è così – potrebbe non garantire l'uniformità delle valutazioni e mettere a rischio il rispetto degli obiettivi di crescita della spesa primaria netta prevista dalle nuove regole europee e si potrebbe arrivare a un contesto – dice ancora l'Ufficio parlamentare di bilancio – in cui occorra compensare la maggiore spesa delle regioni ad autonomia differenziata con riduzioni in quelle delle altre regioni o degli altri comparti delle amministrazioni pubbliche. Permane, quindi, l'esigenza di prevedere una sede istituzionale unica dove le valutazioni e le decisioni possano essere prese in modo coordinato e con una valutazione complessiva» che non c'è. Di qui la difficoltà, in prospettiva, di gestire il bilancio, che conduce, ovviamente, alla residualità del concetto di livello essenziale della prestazione, che è proprio l'ultima delle cose.
  Infatti, il Ministro Calderoli, che cito ancora testualmente, sempre in questo suo fondamentale intervento in chiusura della trattazione in Aula dell'Atto Camera 1665, dice: «Mi accontenterei, come ha già fatto il Governo Draghi e come sta facendo il Governo attuale, di stanziare anno per anno risorse per alcuni di questi LEP». Credo sia molto chiaro che siamo in un contesto nel quale è veramente difficile vedere la componibilità del disegno del federalismo fiscale, come l'abbiamo faticosamente messo a terra e molto parzialmente attuato fin qui, e un'evoluzione che parte con un passo che sembra essere molto veloce. Non a caso ho fatto l'esempio del commercio con l'estero. Il commercio con l'estero può partire domani. Può arrivare il presidente Zaia con le carte che chiedono funzioni in materia di commercio con l'estero, tutte le nove materie non LEP di cui si discuteva o le funzioni non LEP nell'ambito di materie LEP.Pag. 20
  Si sarebbe pensato che l'evoluzione in chiave di autonomia differenziata potesse essere messa in standby, quantomeno per completare entro il 2026 l'architettura di federalismo fiscale, ma questo non è e probabilmente non accadrà.
  Mi chiedo, quindi, se non stiamo facendo una riflessione ormai obsoleta nei suoi snodi fondamentali. Non tanto la Commissione dovrebbe chiedere a noi cosa pensiamo del federalismo fiscale, ma dovremmo essere noi cittadini della Repubblica a chiedere alla Commissione cosa pensa di fare sul federalismo fiscale in rapporto a quello che accade in Parlamento.
  Termino qui. Grazie, presidente, per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  VINCENZA ALOISIO. Signor presidente, ringrazio sia il relatore Staiano che il professor Villone per la loro ampia, analitica e puntuale relazione svolta sugli aspetti tecnici.
  Mi rendo conto che c'è poco tempo. Professor Staiano, lei ha detto che la legge n. 42 del 2009, che delegava l'attuazione del federalismo fiscale (articolo 119), è cristallizzata, ha creato inefficienze (puntualizzo solo questo aspetto, anche se ci sarebbe da dire tanto), che è stata rapsodica e frammentaria e che sono state emanate varie leggi slegate che non hanno risolto il problema delle diseguaglianze dei territori. La mia domanda è: che cosa propone, lei, per superare questi aspetti? Mi riferisco soprattutto alla spesa storica, alla costituzionalizzazione della spesa storica, che ha determinato un ampio divario nell'assegnazione dei fondi tra le varie regioni. Specificamente, mi riferisco all'assegnazione della spesa per la sanità, nonostante fossero stati definiti ogni anno i LEA.Pag. 21
  Vorrei mettere in evidenza quale danno è stato fatto con la spending review del 2011, determinando la chiusura di varie aziende e una riduzione dello sviluppo dell'Italia intera.
  Al professor Villone vorrei chiedere una sua proposta, un suo suggerimento per la risoluzione di queste differenze che esistono. Lei ha messo in evidenza, facendo riferimento a tutti i vari auditi e soprattutto all'audizione fatta dall'Ufficio parlamentare di bilancio, che esistono queste diseguaglianze. Quindi, allo stato attuale c'è una paralisi e si sono cristallizzate le diseguaglianze. Ebbene, qual è la sua ipotesi di risoluzione a breve termine?

  LUIGI SPAGNOLLI. Anch'io ringrazio i relatori dei loro interventi.
  Pongo quattro temi sul tavolo a tutti e due, poi vediamo se vorranno prenderli in esame e darmi qualche chiarimento. Il presidente Staiano ha fatto riferimento alla necessità di una diversa ripartizione dell'IRPEF, mantenendo il carico fiscale uguale al passato, ma è evidente che, se si vuole arrivare al federalismo fiscale, bisogna dare più soldi agli enti locali e meno soldi allo Stato. Questo comporta evidentemente che lo Stato, per quanto riguarda il proprio bilancio, deve ridurre le entrate e, a questo punto, deve ridurre le spese, ma per ridurre le spese deve sostanzialmente dimagrire, ovverosia ridurre la propria struttura, ma per ridurre la propria struttura deve tagliare alcuni settori. Credo che questo non sia tanto facile nel nostro Paese, perché i dipendenti statali, tra l'altro, sono estremamente sindacalizzati e sono concentrati in determinate aree, da cui evidentemente non hanno intenzione di spostarsi, cosa che dovrebbero fare se, invece, determinati servizi andassero alle regioni. Vorrei capire cosa pensa di questo aspetto.
  Il secondo punto riguarda un tema di cui non si parla mai. Il federalismo, ovvero l'autonomia gestionale della cosa pubblicaPag. 22 nei diversi territori sia a livello regionale che a livello comunale, deve essere praticato da qualcuno che lo sa fare. Io vengo da un territorio storicamente autonomo come l'Alto Adige e noi abbiamo maturato una certa esperienza e una certa capacità nel gestire l'autonomia. Che cosa significa? Che quando c'è un problema proviamo a risolverlo da soli, senza dover andare con il cappello in mano a Roma a chiedere aiuto. Invece, nel resto del Paese purtroppo c'è una forte tendenza, soprattutto quando ci sono grossi problemi, a recarsi a Roma per chiedere di risolverli. Ebbene, per creare una classe dirigente sia a livello di dirigenti pubblici sia a livello di politici bisogna avere risorse umane, per cui vi chiedo: come si può conciliare questa necessità, questa esigenza con la migrazione dei cervelli a cui assistiamo quotidianamente nel nostro Paese, sia dalle regioni del sud verso le regioni del nord, sia verso l'estero? Dobbiamo impostare un nuovo sistema di crescita dell'economia locale che consenta ai cervelli di rimanere a casa loro.
  Anche il terzo punto riguarda un tema di cui non si parla mai, vale a dire la questione delle spese correnti, spese correnti che sono il male per la normativa europea che dobbiamo rispettare. Dobbiamo ridurre le spese correnti. Certo, è giusto, è sacrosanto, però ci si dimentica sempre che, quando si fanno gli investimenti poi vanno mantenuti e per mantenerli si fanno spese correnti. Allora, come si ovvia a questo problema? Se io ho raddoppiato i chilometri di strade nel mio ente – io ho fatto il sindaco – ovviamente dovrò spendere di più per quelle strade, ma per spendere di più avrò bisogno di più spese correnti. Dunque, come faccio a conciliare questo aspetto che ci viene richiesto dall'Europa con la necessità di corrispondere ai bisogni della popolazione? Parlo di questo ambito, perché chiaramente è l'ente locale che corrisponde ai bisogni della popolazione, molto più che lo Stato centrale.Pag. 23
  L'ultimo punto che vorrei porre riguarda la questione della competenza concorrente. La competenza concorrente genera spesso, quasi sempre, sovrapposizioni tra lo Stato e l'ente locale, che comportano disguidi e difficoltà burocratiche. Io credo che una vera autonomia comporti un netto confine tra quello che deve fare l'uno e quello che deve fare l'altro. Nel nostro Paese purtroppo non si fa mai una norma in questo senso. Tendenzialmente le norme sono sempre fatte in modo tale che lo Stato mantenga una possibilità di controllo su quello che fanno gli enti locali, quindi sì imposta tutto sulla base di una concorrenza, quindi su una sovrapposizione di competenze e un'inefficienza già scontata in partenza.
  Chiederei su questi quattro punti una riflessione da parte dei relatori.

  MARIA CECILIA GUERRA, intervento in videoconferenza. Anch'io ringrazio i nostri ospiti.
  In realtà abbiamo chiuso la votazione questa mattina, alle 8.30, facendo tutta la notte, per cui non sarò lucidissima. Sarebbero tantissime le domande che vorrei fare, anche per sfruttare ulteriormente le vostre competenze disciplinari, comunque cercherò di limitarmi e di essere precisa.
  Professor Staiano, una questione nello specifico riguarda un tema che lei ha accennato, ossia quello della difficoltà che il nuovo quadro di autonomia differenziata può porre rispetto al rispetto dei vincoli europei. Questo è un tema che avevamo posto in Commissione bilancio, dove abbiamo svolto un lungo lavoro, anche perché avevamo individuato alcuni problemi di tenuta del sistema, il che creava forti preoccupazioni. Infatti, la norma, al comma 4 dell'articolo 9, stabilisce che, al fine di garantire il coordinamento della finanza pubblica, resta ferma la possibilità di prevedere anche per le regioni che hanno sottoscritto le intese il concorso agli obiettivi di finanza pubblica.Pag. 24 Ebbene, questo elemento a nostro avviso era da correggere, per cui vorrei una sua valutazione al riguardo, anche in punta di diritto.
  Passo a un secondo tema, comunque sempre legato al precedente. Abbiamo questo doppio impianto complesso, vale a dire un federalismo fiscale non completato, un federalismo differenziato che si sovrappone e la tenuta delle finanze pubbliche anche in relazione ai nuovi obiettivi europei. Il rispetto dei nuovi vincoli europei potrebbe alterare significativamente il quadro finanziario che si va delineando con la nuova autonomia differenziata, così come ha fatto impedendone l'attuazione e, quindi, anche distorcendola in qualche modo con il processo di attuazione del federalismo simmetrico. Infatti, con la fase di consolidamento delle finanze pubbliche quell'impianto è saltato completamente. Però, in questo caso vedrei una difficoltà in più, proprio perché siamo di fronte a una questione asimmetrica, in cui un intervento è molto più difficile da calibrare in quanto si sono affidate alcune competenze alle regioni, ma gli sono state tolte le risorse. Adesso lo dico guardando la questione dal punto di vista delle regioni differenziate.
  Quest'ultimo tema richiama una terza questione, che avete ripetuto entrambi, ma che è stata sottolineata con più forza dal professor Villone, ovvero i tempi rispetto all'attuazione del federalismo fiscale. Noi abbiamo detto al Governo che ci sembrava assurdo passare all'attuazione del federalismo differenziato rispetto a quello fiscale simmetrico. Il Governo ha riconosciuto che il percorso dell'autonomia differenziata non può prescindere dall'attuazione del federalismo fiscale nel suo complesso, ci ha ricordato che c'è la scadenza del PNRR e ci ha detto che dobbiamo guardare a questo come a un sistema integrato. In realtà, l'impressione che noi opposizioni abbiamo avuto è che partirà il federalismo differenziato senza che sia Pag. 25completato l'altro federalismo, perché non c'è nessun elemento cogente all'interno della legge che lo vincoli a questo passaggio, il che potrebbe generare diverse complicazioni.
  Altro tema che vorrei porre sempre al professor Villone riguarda la questione dei tempi. Lui faceva il quadro, che anche a noi preoccupa molto, di una contrattazione decentrata, che non è spiegato come possa arrivare a una situazione che tenga. Io faccio sempre un esempio matematico: è un sistema di equazioni sovradeterminato, che dunque non ha una soluzione. Però, vorrei capire questo aspetto. Io pongo una questione prettamente tecnica: tempi diversi. A me preoccupa non solo che la contrattazione sia decentrata, ma anche che la «devoluzione» possa avvenire in tempi diversi. Questo è un ostacolo ulteriore rispetto alla questione del decentramento. Ma vorrei capire se è giusta la mia interpretazione, vale a dire che i tempi possono essere diversi anche per la stessa regione. Le tesi possono essere più di una. Diversamente, non mi spiegherei come sia possibile partire immediatamente con le funzioni non LEP in materie non LEP. Quello è immediatamente decentrabile non appena la legge viene pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale. Però, se domani una regione partisse con questa cosa, non si precluderebbe la possibilità di avere poi anche affidate le funzioni non LEP in materie LEP, quando saranno definite. Quindi, è possibile – vorrei una conferma su questo – che ci siano più intese in momenti diversi e fondamentalmente senza limiti nell'ambito delle ventitré materie che possono essere decentrate?
  Vorrei chiedere un'altra cosa, che è proprio da costituzionalisti, sempre legata al discorso del Ministro Calderoli, a cui il professor Villone ha fatto più volte riferimento. Lo chiedo comunque a entrambi. Ciò che è stato detto dal Ministro ma anche da altri intervenuti, rispetto alla lamentela che noi Pag. 26facciamo sul fatto che il Parlamento si trova di fronte a un'intesa rispetto a cui può dire solo «sì» o «no» e non entra mai nel processo di determinazione di questi accordi, né sotto il profilo delle materie decentrabili né sotto il profilo finanziario – questo è un altro aspetto che adesso non voglio prendere in considerazione, altrimenti starei qui a parlarne per ore –, è che quella modalità per le intese è costituzionalmente obbligata. La mia impressione è che questo derivi dal fatto che queste intese vengono assimilate alle intese con le confessioni religiose, ma vorrei capire intanto se ho detto una cosa sbagliata, dato che questa non è la mia materia, nel caso chiedo scusa subito, e se si può estendere questo concetto tanto da considerare che un'intesa di questo tipo obbligatoriamente non possa che avere queste caratteristiche.

  PRESIDENTE. Non essendovi ulteriori richieste di intervento da parte dei colleghi parlamentari, do la parola ai nostri ospiti per la replica. Poiché ci eravamo prefissati di chiudere attorno alle 9.15, vi chiedo che le risposte siano riassuntive, in modo da permettere ai commissari di adempiere ai loro impegni. Grazie.

  SANDRO STAIANO, presidente dell'Associazione italiana dei costituzionalisti. Sull'attuazione della legge n. 42 del 2009 mi è stato chiesto di fare una proposta. Questo mi pone la domanda, in realtà sempre drammatica, sull'utilità che ci sforziamo di dare a queste audizioni. Certo, la proposta non spetta ai tecnici. In sostanza, quello che abbiamo di fronte è una mancata attuazione della legge n. 42 del 2009, il che mi fa anche interrogare sull'attuabilità e sull'effettiva attuazione del disegno di legge approvato dalla Camera in via definitiva questa notte. Le difficoltà attuative di messa in opera di questi strumenti sono molto elevate.Pag. 27
  Per quanto riguarda la legge n. 42 del 2009, come ho detto, la parte inattuata, procrastinando l'efficacia del decreto legislativo posto in essere in attuazione della legge n. 42, ovvero con una modalità che è sicuramente in contrasto con l'assetto costituzionale delle fonti, mi fa interrogare sulla fase di attuazione e sulle difficoltà applicative di questa legislazione, che sono considerevoli. Peraltro, anche qui sono state richiamate alcune prospettive, da ultimo dall'onorevole Maria Cecilia Guerra.
  Segnalo che queste difficoltà applicative, peraltro, questi dubbi applicativi sono stati ripresi in alcuni ordini del giorno che sono stati approvati, nei limiti in cui ho potuto seguire i lavori notturni svolti dalla Camera. Ordini del giorno che sono esattamente intesi ad affrontare i nodi e i dubbi che derivano dalla fase applicativa, non ultimo quello dei rapporti fra materia LEP e materia non LEP. Il problema è quello del carattere vincolante di questi ordini del giorno. Secondo me questi ordini del giorno denunciano una difficoltà applicativa, essi stessi, soltanto che le soluzioni che prospettano sono destinate a essere prive di qualsiasi efficacia normativa. Gli ordini del giorno sono dichiarazioni piuttosto evanescenti quanto all'applicazione. Eppure, essi rivelano una serie di questioni, che sarebbe stato opportuno risolvere magari mediante la presentazione di un emendamento al disegno di legge, cosa che non è avvenuta. Quindi, non essendoci un obbligo costituzionale da rispettare, questa accelerazione rispetto alla posta in gioco si rivela piuttosto incomprensibile.
  Con riferimento alle intese, anche qui emerge una difficoltà evidente. Per quanto riguarda il trasferimento delle funzioni, LEP o non LEP, poi staremo a vedere, bisognerà vedere rispetto a questi ordini del giorno che sono stati approvati quale esecuzione coerente intenderà dare il Governo. Ma in sostanza Pag. 28dovremo passare per una legge di devoluzione, in cui l'attività di controllo parlamentare è piuttosto limitata e marginale.
  Aggiungo che la confusione che si aprirà in questa fase deriva anche dal fatto che la legge che è stata approvata non riesce, per la sua natura di legge ordinaria, a essere conformativa del procedimento successivo né dei contenuti delle intese né del procedimento successivo. Figurarsi poi gli ordini del giorno. Ma gli stessi contenuti e gli stessi vincoli della legge avranno grande difficoltà a intervenire su questo punto e a orientare questa attività e i contenuti e le modalità di approvazione delle intese. Quindi, evidentemente c'è una possibilità di collisione sul piano sia delle previsioni costituzionali sia delle previsioni che vengono dal PNRR. Nel PNRR c'è un vincolo giuridico a superare i divari territoriali. Non è un'opzione qualsiasi. Non c'è dubbio che questo obbligo di superare i divari è un obbligo che oggi non è rispettato, è un obbligo la cui osservanza oggi non è assicurata. Quindi, staremo a vedere. Evidentemente la fase attuativa sarà complessa per le scelte che saranno prodotte, ma è assai probabile, come è accaduto con riferimento ad altre leggi che nascevano sotto queste premesse, che si avrà un grande contenzioso in sede giurisdizionale e costituzionale, un grande contenzioso probabilmente anche a livello di giurisdizione europea.
  Appare, dunque, evidente che la mancata soluzione di questi nodi evidentemente genererà conseguenze nella fase applicativa.
  Per quanto riguarda la discussione sulla capacità di gestire l'autonomia, chiaramente il caso del Trentino-Alto Adige non può essere assunto a riferimento della vicenda attuale, dal momento che il Trentino-Alto Adige è una regione ad autonomia speciale. Anzi, uno dei temi che sono stati al centro del dibattito è l'impossibilità di perseguire con l'attuazione dell'articoloPag. 29 116, terzo comma, la costituzione di nuove regioni ad autonomia speciale, che pure è una questione che rimane sullo sfondo.
  La partecipazione all'IRPEF è un dato che ho segnalato. Questa domanda trova una risposta in questo: il modello dei trasferimenti statali alle regioni da sostituire – trasferimenti statali generalizzati alle regioni – con un incremento dell'aliquota addizionale regionale dell'IRPEF, compensata da una equivalente riduzione della parte di competenza statale, mantenendo inalterato il prelievo fiscale, è il modello della legge n. 42 del 2009, che è, appunto, inattuato. Si tratterà di vedere come si coordinano questi interventi con queste previsioni inattuate, che prima o poi bisognerebbe o sarebbe stato necessario decidere di attuare.
  Insomma, credo che questa legislazione che si è susseguita nel tempo, a partire dalla legge n. 42 fino adesso, fino all'odierna approvazione della legge sul cosiddetto «regionalismo differenziato» o sull'autonomia differenziata, in sostanza riveli questa difficoltà. Noi abbiamo una produzione legislativa che viene fatta anche sull'onda di alcune esigenze narrative, ma che viene concepita senza un'analisi di impatto, senza interrogarsi sulle possibilità effettive di attuazione, di razionalizzazione del sistema. Credo si possa ascrivere tutto questo al novero della cattiva legislazione parlamentare.
  Sapete quale sarà la conseguenza? La stessa che si è prodotta quando è stato sottoposto a revisione il Titolo V, Parte II. Là dove il decisore politico oggi ha questo senso di onnipotenza per aver fatto passare questo tipo di legislazione, il riscontro della realtà sarà molto semplicemente quello che nella fase applicativa si aprirà un contenzioso giurisdizionale, soprattutto costituzionale, molto forte e che, alla fine, a razionalizzare il sistema, che non è razionalizzato, penserà la Corte Pag. 30costituzionale, penseranno i giudici. Questo, ovviamente, contrasta con questo senso di onnipotenza che attualmente si può nutrire. È chiaro? Tutto sommato, quando si produce una legislazione di questo tipo, la prima cosa che succede è che il legislatore politico depone lo scettro, che passa in altre mani. Questa credo che dovrebbe essere una riflessione già nascente dall'esperienza pregressa.
  Qui la memoria storica è molto corta. Che vi debbo dire? Quando ci chiedete che cosa proponiamo, che cosa vi posso dire? Noi non siamo preposti a proporre, evidentemente. Siamo, tutto sommato, chiamati a fare opportune e moralmente doverose prediche inutili, che forse qualche traccia magari lasceranno in alcuno, quindi la nostra presenza non sarà stata del tutto inutile.

  MASSIMO VILLONE, professore emerito di diritto costituzionale presso l'Università Federico II di Napoli. Concordo con il collega Staiano sul punto delle prediche inutili. Per quanto riguarda in generale il tema, le diseguaglianze e i divari territoriali si affrontano soltanto in un modo: investendo sullo sviluppo delle aree in ritardo, in particolare sotto il profilo infrastrutturale, perché solo questo può eliminare nel tempo lo squilibrio territoriale, che diversamente non trova risposta. O si fa o non si fa, e al momento non si fa.
  Per quanto riguarda la gestione delle autonomie, io sono d'accordo con quello che dice il senatore Spagnolli. È da considerare che si gestisce l'autonomia con quello che si ha. Sfido chiunque a gestire l'autonomia differenziata, o quello che sia, quando, per esempio, la parte tecnica in un comune sta in mano - che so - a un solo geometra, come accade, purtroppo, in moltissimi comuni, soprattutto al sud.
  Come evitare l'emigrazione dei cervelli? Investendo sulla crescita delle aree in ritardo. Non c'è alternativa. Noi abbiamo Pag. 31un'emigrazione dal sud verso il nord e adesso abbiamo anche l'emigrazione dal nord verso l'estero, perché anche le nostre regioni di eccellenza stanno perdendo risorse qualificate, che credo sia stata in tempi recenti valutata in circa 20 mila giovani laureati e diplomati in cerca di sorte migliore.
  La spesa corrente. È chiaro che la spesa corrente è necessaria là dove si vuole gestire l'autonomia. Io ho fatto anche l'esperienza di consigliere comunale, quindi condivido i dolori con il senatore che è stato sindaco. So perfettamente che cosa significa. Allo stesso modo, condivido l'opportunità di ridurre l'elenco delle potestà legislative concorrenti, che sicuramente è ipertrofico e non nell'interesse di un sistema efficiente.
  Tutti questi sono obiettivi o non perseguiti o non perseguibili perché richiedono uno sviluppo sostenuto e protratto nel tempo o non voluti politicamente. Quindi, non sono problemi ai quali non c'è risposta tecnica. La risposta tecnica c'è ed è perfettamente ovvia: si tratta di vedere se si vuole perseguire oppure no.
  Onorevole Guerra, lei ha perfettamente ragione quando vede questi tre piani, federalismo fiscale, autonomia differenziata e rispetto dei vincoli europei: c'è un intreccio che in questo momento non è risolvibile nei modi in cui si pone. Insisto: qui la prospettiva veramente decisiva è quella dei tempi. Qui c'è un'autonomia differenziata che parte ora, e ce l'ha detto il presidente Zaia, l'ha cantato in tutti i modi possibili, che lui viene il giorno dopo. A questo punto, io me lo aspetto domani a Palazzo Chigi con la lista dei desiderata della regione Veneto, alla quale si aggiungerà, suppongo, il presidente Fontana e anche Cirio (Toti ha i suoi problemi, quindi forse no).
  La domanda è: ci possono essere intese per momenti diversi? Io penso di sì, perché è quello che dice Zaia: lui viene a trattare intanto per le materie non LEP, e io penso anche per le funzioni non LEP nelle materie LEP. È chiaro che ci potrà Pag. 32essere un secondo round se, quando e come ci sarà il disco verde per il resto, se le cose rimangono come sono adesso. È chiaro che si possono avere anche intese che non rispettano – come è stato chiarito benissimo – questa distinzione tra materie LEP e non LEP e i tempi dell'Atto Camera 1665, proprio perché – come è stato detto giustamente anche adesso dal collega Staiano – questa legge Calderoli non è conformativa dal punto di vista del sistema delle fonti, non può obbligare niente e nessuno. Quindi, se domani si facesse un'intesa anche su materie non LEP, varrebbe la legge approvativa dell'intesa.
  Qua c'è da capire bene: servono a qualcosa gli atti di indirizzo, gli ordini del giorno? Molto poco. Lo dico per la mia lunga esperienza di parlamentare. Quando arriva un ordine del giorno di maggioranza arriva perché – lo sappiamo – c'è qualche forza di maggioranza che voleva un emendamento e il Governo ha detto: «Io non ti do parere favorevole su questo emendamento. Fai un ordine del giorno», ed è arrivato l'ordine del giorno, ma lascia il tempo che trova. Che cosa succederà, molto probabilmente? Si aprirà il negoziato sull'intesa. Badate, la domanda è: ma poi il Parlamento è vincolato? Personalmente credo non sia tecnicamente vincolato. Non c'è possibilità alcuna di impedire al Parlamento di modificare un'intesa, se volesse. Cosa succederà? Che cosa arriva nell'Aula parlamentare? Arriva un'intesa che è stata negoziata tra l'esecutivo regionale e il Ministro delle autonomie, il Governo; arriva un'intesa stipulata e firmata dal Presidente del Consiglio. È su quella intesa che l'Aula si pronuncia. Che fa, smentisce il Presidente del Consiglio? Il giorno dopo è crisi di governo. Quindi non è tecnicamente imposto, ma politicamente è insuperabile la stipula già acquisita dell'intesa con la firma del Presidente del Consiglio. A quel punto, il Parlamento che fa? A quel punto, il Parlamento approva.Pag. 33
  Questo è lo scenario che si prefigura fin d'ora, da adesso, su un certo numero di materie, alcune delle quali sicuramente incidono anche sulla prospettiva del federalismo fiscale, che lo si voglia o non lo si voglia vedere. Io ho fatto l'esempio non a caso del commercio con l'estero, che può incidere direttamente sulla capacità fiscale dei territori.
  Questo è lo scenario. Non è uno scenario in cui prevalga il profilo tecnico. Il profilo tecnico è anche abbastanza semplice, se vogliamo, ricostruibile. Si potrebbero certamente dettare formule normative semplificate rispetto alla giungla che attualmente c'è, ma quello che veramente è in campo è un nodo politico, e di questo si deve tenere conto se si vuole realmente dire una parola significativa sul tema.
  Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Grazie, professore.
  Nel ringraziare nuovamente i nostri ospiti, dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.45.