XIX Legislatura

Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale

Resoconto stenografico



Seduta n. 16 di Giovedì 16 maggio 2024
Bozza non corretta

INDICE

Pubblicità dei lavori:
Bagnai Alberto , Presidente ... 2 

Audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli investimenti finanziari e sulla composizione del patrimonio degli enti previdenziali e dei fondi pensione anche in relazione allo sviluppo del mercato finanziario e al contributo fornito alla crescita dell'economia reale, di rappresentanti di Assogestioni:
Bagnai Alberto , Presidente ... 2 
Loeser Ugo , presidente del Comitato Previdenza di Assogestioni e amministratore delegato Arca fondi SGR ... 3 
Bagnai Alberto , Presidente ... 10 
Occhiuto Mario  ... 10 
Bagnai Alberto , Presidente ... 11 
Loeser Ugo , presidente del Comitato Previdenza di Assogestioni e amministratore delegato Arca fondi SGR ... 11 
Bagnai Alberto , Presidente ... 13 
Loeser Ugo , presidente del Comitato Previdenza di Assogestioni e amministratore delegato Arca fondi SGR ... 16 
Bagnai Alberto , Presidente ... 16 
Loeser Ugo , presidente del Comitato Previdenza di Assogestioni e amministratore delegato Arca fondi SGR ... 17 
Bagnai Alberto , Presidente ... 20 
Loeser Ugo , presidente del Comitato Previdenza di Assogestioni e amministratore delegato Arca fondi SGR ... 21 
Bagnai Alberto , Presidente ... 23 
Loeser Ugo , presidente del Comitato Previdenza di Assogestioni e amministratore delegato Arca fondi SGR ... 23 
Bagnai Alberto , Presidente ... 23 
Loeser Ugo , presidente del Comitato Previdenza di Assogestioni e amministratore delegato Arca fondi SGR ... 24 
Bagnai Alberto , Presidente ... 27

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ALBERTO BAGNAI

  La seduta comincia alle 8.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli investimenti finanziari e sulla composizione del patrimonio degli enti previdenziali e dei fondi pensione anche in relazione allo sviluppo del mercato finanziario e al contributo fornito alla crescita dell'economia reale, di rappresentanti di Assogestioni

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dei rappresentanti di Assogestioni nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli investimenti finanziari e sulla composizione del patrimonio degli enti previdenziali e dei fondi pensione, anche in relazione allo sviluppo del mercato finanziario e al contributo fornito alla crescita dell'economia reale.
  Ricordo che Assogestioni è l'associazione italiana delle società di gestione del risparmio, delle SGR, nata nel 1984. Rappresenta le principali SGR italiane operanti in Italia e diverse banche e imprese di assicurazioni che operano, tra l'altro, nell'ambito della gestione individuale della previdenza complementare.
  Per Assogestioni avrebbe dovuto essere presente il direttore generale, il dottor Fabio Galli, che tuttavia comunicato questa Pag. 3mattina un impedimento. Sono presenti quindi il dottor Ugo Loeser, presidente del Comitato previdenza di Assogestioni e amministratore delegato Arca fondi SGR, la dottoressa Arianna Immacolato, direttrice fisco e previdenza, il dottor Francesco Lupi, senior pensions & AML advisor, e la dottoressa Alessia Di Capua, responsabile affari istituzionali.
  Nel ringraziare i nostri ospiti per la disponibilità a partecipare ai lavori della nostra Commissione, do la parola ai rappresentanti di Assogestioni, nell'ordine in cui vorranno intervenire – mi pare di capire che interverrà il dottor Loeser per primo – per lo svolgimento della relazione, che raccomando di contenere nell'ambito di venti-trenta minuti. Prego, dottor Loeser.

  UGO LOESER, presidente del Comitato Previdenza di Assogestioni e amministratore delegato Arca fondi SGR. Grazie presidente. Ringrazio per questa opportunità di articolare e spiegare la situazione del mercato italiano dei capitali relativamente agli investimenti del mondo previdenziale.
  Assogestioni da tempo è impegnata su questo fronte, a cercare di canalizzare i messaggi importanti per lo sviluppo del mercato italiano dei capitali e soprattutto per cercare di convogliare le ingenti risorse finanziarie di cui l'Italia dispone verso l'economia reale, l'accumulazione di capitale e quindi la crescita.
  Partiamo dal primo punto. Il mercato italiano dei capitali è arretrato rispetto ai principali mercati dei capitali sia europei che, soprattutto, mondiali.
  Vi fornisco un dato da cui partire. Noi abbiamo circa 5.000 miliardi di ricchezza finanziaria privata – o un po' meno – che, in qualche modo, non vengono investiti nel capitale delle aziende, ma vengono divisi tra titoli di Stato e conti correnti. Questo per fare un esempio estremo. Se noi andiamo a prenderePag. 4 la proprietà delle aziende quotate rispetto agli investitori istituzionali, vediamo che la proprietà delle stesse aziende quotate è di investitori esteri. Nonostante le aziende quotate siano molto poche e la capitalizzazione del mercato sia molto bassa, noi abbiamo solo investitori esteri che determinano le evoluzioni del mercato dei capitali in Italia.
  Faccio due esempi che a me sono abbastanza cari, da questo punto di vista. Noi oggi, nonostante i 5.000 miliardi di risparmio finanziario privato, quando parliamo di un asset strategico come la rete Tim, negoziamo con investitori privati. Non abbiamo nessun europeo e tanto meno italiano al tavolo. Prendiamo altri asset strategici, come le carte di credito. Nexi era di proprietà delle banche italiane, l'hanno venduta per 1,3 miliardi ai fondi esteri. Adesso è arrivata a valere dieci volte tanto, 13 miliardi. Sono usciti e adesso è quotata in borsa e gli investitori esteri controllano, in qualche modo, le nostre carte di credito.
  Il terzo progetto, che è indicativo, attiene allo sviluppo del MIND a Milano, Milano Innovation District, sulla area ex Expo. Viene finanziato da Lendlease grazie agli investimenti del Fondo pensione canadese.
  Questi sono tutti investimenti piccoli, perché per il più grosso, che è Tim, parliamo di circa 30 miliardi. Noi ne abbiamo 5.000, però non c'è nessuno nemmeno presente con una quota di minoranza. Questo è quello che noi intendiamo quando indichiamo l'arretratezza del mercato dei capitali. Chiaramente, se non riusciamo a convogliare i 5.000 miliardi di ricchezza finanziaria privata, di cui 2,6-2,8 triliardi, dipende da come li contiamo, sono all'interno dell'industria dell'asset management che noi rappresentiamo in parte.
  Se noi non riusciamo a convogliare questa enorme massa di risparmio finanziario privato all'interno delle aziende del mercato dei capitali si crea il problema di far incontrare domanda Pag. 5e offerta: o non c'è la domanda o non c'è l'offerta. Chiaramente, il problema non sta mai da una parte sola, c'è un tema di domanda e c'è un tema di offerta che non si incontrano.
  Dal punto di vista dell'offerta, chiaramente, c'è stata una riluttanza storica e culturale dell'imprenditoria italiana ad aprire il capitale, ad aprirsi a una governance di mercato trasparente. Oggi mi sento di dire che questa riluttanza è sparita, non c'è più.
  Oggi vediamo, anzi, una grande ricerca di capitali e di apertura della governance. Tutto quello che si può fare e che si sta facendo nella ricerca di procedure di quotazione e di costi di quotazione inferiori va nella direzione giusta, e qualcosa si sta facendo.
  Detto questo, il trend globale degli ultimi vent'anni chiaramente va nella direzione opposta, ovvero il numero di aziende quotate a Wall Street negli ultimi vent'anni si è più che dimezzato. Essere quotati oggi non è attrattivo per una serie di motivi che esulano da questa esposizione. Per cui, incentivare la quotazione quando il mondo sta andando verso un mondo di aziende non quotate e in mano alle grandi strutture di private asset, private credit, private equity, infrastructure, chiaramente è una cosa che serve, però non risolve il problema.
  Dall'altro lato, chiaramente, dobbiamo guardare ai temi della domanda. La domanda per quote di capitale in aziende che hanno un rischio imprenditoriale di mercato è generata da investitori che hanno un lungo orizzonte temporale, per definizione: non investo in un'azienda per sei mesi, investo per sei anni. Quindi, l'orizzonte temporale è fondamentale.
  Inoltre, ci vuole una propensione al rischio elevata, perché chiaramente se si investe in singole aziende, specialmente in quelle medie, ma anche in quelle grandi, può andare male anche nel lungo periodo. Quindi, ci vogliono massa critica Pag. 6importante, propensione al rischio, orizzonte temporale elevato.
  Gli investitori che hanno queste caratteristiche sono i fondi pensione. Questo è vero in tutto il mondo. È vero in Olanda, è vero negli Stati Uniti, è vero in Germania, è vero in Australia.
  Se andiamo a vedere quali sono i fondi che si presentano al tavolo di partite importanti e strategiche per il nostro Paese, quali Tim, Nexi o il MIND, si tratta di fondi di private equity che hanno da due terzi a tre quarti delle loro risorse provenienti da fondi pensione.
  Questo è vero per KKR, è vero per Advent, è vero per Bain (potremmo fare la lista). Convogliare le risorse finanziarie del risparmio finanziario privato verso l'economia reale passa per lo sviluppo di questi soggetti, i fondi pensione.
  Gli altri due soggetti che investono nell'economia reale sono i fondi sovrani e i family office.
  All'infuori di questi tre soggetti, il retail e l'investitore medio che compra i fondi investimento, non investe direttamente in private asset. Questa è la premessa.
  Andiamo a vedere ora come è articolato il mercato italiano. Abbiamo fatto delle iniziative che incidono sull'offerta, con la legge sui capitali, e abbiamo fatto alcune iniziative che incidono sui fondi pensione, ma sono poche, non coerenti e frammentate a seconda delle tipologie.
  È importante distinguere, per quanto riguarda l'Italia, tra il mondo dei fondi pensione del secondo e terzo pilastro – il secondo pilastro in realtà non c'è, c'è solo il terzo pilastro – quindi contribuzioni volontarie su veicoli privati, rispetto alle casse di previdenza, che in realtà sono strutture di primo pilastro, dove ci sono contribuzioni obbligatorie su veicoli che, però, garantiscono, in qualche modo, la pensione. Quindi non si tratta di una pensione legata al risultato di mercato, ma di Pag. 7una pensione che verrà erogata a prescindere dal risultato stesso. Le casse oggi sono investitori che hanno, da un lato, maggiore autonomia e, dall'altro, anche maggiore massa critica, quindi hanno delle risorse di capitale umano, di know-how, di possibilità di interazione con il mercato sicuramente più importanti.
  Detto questo, l'investimento nei fondi pensione oggi in Italia rimane molto basso. Se poi escludiamo le casse, che sono il primo pilastro, quindi parte di una pensione – se vogliamo dire così – semipubblica, la parte rimanente è veramente poca cosa rispetto al resto del mondo.
  Cerchiamo, dunque, di capire quali sono i fattori che possono aumentare l'investimento in economia reale rispetto alla situazione attuale. Chiaramente, c'è un tema di dimensione. Se io gestisco un fondo da 10 milioni difficilmente posso partecipare a un'operazione del private equity che, magari, me ne richiede 5. Quindi, è chiaro che la dimensione del fondo è direttamente proporzionale alla possibilità di investire in economia reale.
  C'è anche un tema di frammentazione delle forme pensionistiche: noi abbiamo le casse, abbiamo i fondi preesistenti, abbiamo i fondi negoziali, abbiamo i fondi aperti, quindi varie tipologie giuridiche di attori, all'interno di ciascuna delle quali vi sono centinaia di attori. Questa frammentazione sicuramente fa sì che la tendenza a investire – faccio un esempio estremo – su un conto corrente o su un CCT sia elevata rispetto a complicarsi la vita andando a cercare degli investimenti più complicati, ma redditizi. La derivata di questo è che mancano le strutture professionali adeguate ad affrontare il rischio e la complessità degli investimenti in economia reale.
  C'è, poi, il tema di cultura finanziaria degli aderenti che, non fidandosi dei mercati finanziari – a torto o a ragione –, cercano Pag. 8di andare verso comparti garantiti, ma, per un equivoco, il comparto garantito garantisce che non si avrà mai nessun rendimento, si avrà solo la restituzione del capitale. Il comparto garantito è un qualcosa di estremamente costoso rispetto a quello non garantito, che prova, oltre al capitale, a conseguire un rendimento positivo. Mentre, con il livello dei tassi, i costi di gestione, i costi di transazione e la tassazione, il comparto garantito garantisce che non si recuperi l'inflazione, ma solo il capitale versato. Questo è nell'evidenza di tutti i fondi per quanto riguarda i comparti garantiti.
  Noi oggi abbiamo un dato, che è il 38 per cento: il 38 per cento degli aderenti sceglie un comparto garantito, cioè rinuncia a qualsiasi prospettiva di rendimento.
  Dobbiamo perciò sviluppare il mercato degli investitori istituzionali dando delle opportunità di investimento semplici a chi deve impegnare i capitali raccolti sui fondi pensione. Mi spiego meglio. Esattamente come KKR, Advent, Bain hanno dei prodotti per cui il fondo degli insegnanti della California, con una delibera, compra un prodotto sapendo che quel prodotto ha le caratteristiche adeguate a rispondere agli obiettivi di investimento degli aderenti, che sono insegnanti, che quindi non possono definire quali sono gli obiettivi di un investimento in private equity, così noi dobbiamo sviluppare un mercato di veicoli e di offerte istituzionali adeguate alle possibilità di investimento dei fondi pensione e degli investitori istituzionali.
  È altrettanto auspicabile che all'interno di queste iniziative ci sia anche lo sfruttamento dei pochi incentivi fiscali – che sono pochi, ma ci sono – che oggi non vengono sfruttati. Mi riferisco in particolar modo al mondo dei PIR, che è stato oggetto di vari interventi legislativi, ma che oggi, all'interno degli investitori istituzionali, vengono sfruttati in maniera marginale.Pag. 9
  Per riassumere questa breve esposizione, come Assogestioni, come Comitato previdenza di Assogestioni suggeriamo di lavorare lungo tre direttrici.
  La prima consiste nell'aumentare la partecipazione del mondo della previdenza con una adesione basata sul silenzio-assenso, senza dover necessariamente costruire il secondo pilastro, che è quello che vige nella maggior parte dei Paesi in realtà più sviluppati da questo punto di vista, ovvero dove non si ha l'alternativa di scegliere di non contribuire. È un po' come l'assicurazione della macchina: se vuoi andare in giro, un'assicurazione la compri.
  Il secondo pilastro dice che se si lavora, da qualche parte un fondo pensione lo si deve avere, poi ciascuno sceglie il proprio. Quindi un veicolo privato obbligatorio, però in un mercato dove lo devi scegliere.
  Per quanto riguarda il terzo pilastro, l'opzione di default è comunque quella pubblica: se si vuole, si può volontariamente contribuire a un veicolo privato, che sia un veicolo di Assogestioni, un'assicurazione o un fondo negoziale.
  Il passaggio tra il terzo e il secondo pilastro è quello che cambia le prospettive della previdenza nei Paesi. Senza fare un'operazione ardita, passando dal terzo al secondo pilastro con la contribuzione obbligatoria su veicoli privati, creare una forma di silenzio-assenso porterebbe già delle risorse importanti nella giusta direzione di creare un mercato dei fondi pensione e quindi dei capitali più adeguato.
  Per quanto riguarda la seconda direttrice, noi oggi abbiamo una default option secondo la quale se l'aderente non specifica niente, questi finisce automaticamente nel comparto garantito, che vuol dire che prendiamo questi soldi e li mettiamo su un conto corrente. L'idea di eliminare l'opzione del comparto garantito chiaramente fa riflettere su quale sia il profilo più Pag. 10adeguato e sicuramente è un passo nella giusta direzione di spostare capitali e risorse finanziarie dal mondo dei conti correnti e dei BOT a un mondo dell'investimento nell'economia reale.
  Da ultimo, dovremmo cercare di garantire una maggiore flessibilità in uscita per quando si va dall'accumulazione alla prestazione. Non necessariamente, nel momento in cui vado in pensione, ho bisogno di incassare tutto il risparmio accumulato; però oggi è così. In molti casi si è obbligati ad andare dalla accumulazione che ho fatto, da gestire il montante alla gestione di una rendita. Ma la rendita è come un comparto garantito. Per avere una gestione delle passività, chi gestisce quella rendita va a «matchare» il cash flow di quella rendita, e quindi passa da un investimento che poteva essere in economia reale automaticamente a un investimento su titoli di Stato o sul conto corrente.
  Questo chiaramente non è nell'interesse né dell'aderente, che si vede chiaramente diminuire il rendimento, né del Paese, che vede capitali sottratti all'investimento nell'accumulazione di capitale.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Loeser.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
  Prego, senatore Occhiuto.

  MARIO OCCHIUTO. Grazie presidente, e grazie al nostro ospite per la relazione. Ho letto anche la memoria.
  In realtà ci sono, rispetto agli altri Paesi, evidenti problemi in questo settore per incrementare la diffusione della previdenza complementare.
  Volevo capire se ci sono da parte vostra anche delle misure concrete, delle strategie che possano favorire questa diffusione.Pag. 11
  Inoltre, come è possibile orientare questi investimenti verso il supporto delle imprese nazionali, quindi nel mercato reale? Esiste un piano per attrarre maggiori investimenti e per facilitare anche le quotazioni in borsa, a condizioni anche più vantaggiose?
  Quanto alla necessità di avere asset management in Italia, ho visto che la maggior parte dei fondi che sono collegati alle casse investono all'estero per la non presenza, in Italia, di asset management che siano interlocutori privilegiati. Questo sottrae una parte consistente di investimenti all'economia reale italiana, soprattutto alle aree più svantaggiate. Volevo capire se ci sono delle strategie per promuovere, sviluppare e sostenere degli asset management italiani.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Loeser per la replica. Poi aggiungo anche io qualche osservazione.

  UGO LOESER, presidente del Comitato Previdenza di Assogestioni e amministratore delegato Arca fondi SGR. Grazie. Ci sono tre direttrici fondamentali su cui, come Assogestioni, stiamo lavorando, che credo siano abbastanza intuitive e sensate.
  In primo luogo c'è un tema di informazione. Se noi parliamo al lavoratore medio, al giovane medio e chiediamo cos'è la previdenza complementare, se lui ce l'ha, non sa di cosa si parla. Nessuno si è mai posto il problema della sostenibilità della loro pensione. I giovani sicuramente non si pongono il problema del futuro, si pongono il problema del presente. Credo, quindi, che ci sia un vero tema di informazione, di cos'è la previdenza complementare, perché è importante, perché ciascuno dovrebbe assicurarsi una pensione, pensare a come mantenersi dopo il lavoro e a cosa accadrà al proprio tasso di Pag. 12sostituzione in futuro. Non quello che c'è oggi, ma quello che ci sarà tra vent'anni.
  Queste sono tutte cose di cui non si parla o si parla poco e sicuramente non sono percepite come rilevanti. Quindi, l'informazione è il primo passo.
  Il secondo passo è in termini di istruzione, di educazione. L'Italia non brilla, per usare un eufemismo, in termini di educazione finanziaria. Quali sono i principi secondo i quali una persona dovrebbe gestire le proprie finanze e soprattutto investire i propri risparmi? È una cosa ostica, è una cosa di cui si parla poco.
  L'investimento non viene visto mai come investimento, ma sembra che le azioni quotate siano tanti biglietti della lotteria e bisogna andare a cercare di pescare quello giusto, che è molto lontano da una filosofia di investimento.
  La formazione, l'istruzione, l'educazione finanziaria rappresentano l'altra grande direttrice su cui noi dobbiamo lavorare se vogliamo che sia compreso il valore dell'investimento in economia reale piuttosto che il costo di investimento in un capitale garantito dove si rinuncia a qualsiasi rendimento sul proprio capitale.
  La terza direttrice è la famosa spinta gentile, invece che l'obbligatorietà, per incentivare l'adesione e doversi confrontare con la decisione. La decisione è automatica: quando tu firmi un contratto di lavoro da qualche parte il tuo TFR viene indirizzato, per cui devi dire qual è il fondo pensione – deve essere una tua scelta – e il comparto nel quale decidi di investire. In quel caso tu hai un momento di confronto vero.
  Credo che queste siano le tre direttrici. Dopodiché, è chiaro che c'è anche un tema di incentivo fiscale, ma oggi l'incentivo fiscale c'è e non viene sfruttato. Noi abbiamo circa 5.250 euro di detraibilità fiscale dell'investimento dei fondi pensione. SembraPag. 13 un numero strano, perché erano i vecchi 10 milioni. È stato fissato quando esisteva ancora la lira e da lì non è mai stato adeguato. Noi non veniamo mai a suonare il campanello per chiedere dei denari, però è chiaro che ci potrebbe stare che dai tempi della lira un adeguamento ci possa essere. Ad ogni modo, oggi 5.250 euro non vengono sfruttati. La contribuzione media dell'aderente medio è inferiore a quei 5.250 euro. È chiaro che c'è spazio per sfruttare meglio l'incentivo fiscale, ma molti non sanno che esiste e quindi non viene sfruttato.

  PRESIDENTE. Grazie dottor Loeser. Avrei qualche osservazione anch'io.
  Innanzitutto, parto dalla fine, questa è solo una riflessione complessiva. È chiaro che qualsiasi indicazione di soglie in termini nominali per avere un senso da un punto di vista economico dovrebbe essere soggetta a periodiche revisioni in base allo sviluppo – banalmente – dell'inflazione, dell'andamento del PIL, del quadro macroeconomico.
  Qui, però, noi abbiamo un problema, nel senso che l'inflazione è cresciuta, ma le retribuzioni no. Questo forse spiega perché il legislatore è stato un po' cauto, anche se effettivamente si tratta di un favor fiscale che viene accordato e questo è un altro motivo che spiega perché il legislatore è stato cauto. La sua osservazione, però, è assolutamente fondata e riguarda non solo questo, ma anche altri tetti imposti da colleghi che, per esempio, stanno intervenendo in questo momento in Senato sui famosi 240.000 euro, eccetera eccetera. Abbiamo un panorama che è caratterizzato da paletti insensati e per lo più demagogici. Questo, però, è un problema che dobbiamo risolvere noi, non è un'osservazione che faccio a voi.
  Ho apprezzato molto la sua esposizione e anche la vostra memoria che, sostanzialmente, argomenta come la crescita delle dimensioni dei fondi pensione sia un elemento imprescindibilePag. 14 per lo sviluppo del mercato dei capitali e che, ovviamente, bisogna, a questo scopo, incentivare la previdenza complementare.
  Dopodiché, la vostra memoria contiene interessanti confronti anche internazionali e interessanti osservazioni. La prima è che le caratteristiche strutturali del nostro primo pilastro, che è contraddistinto da elevate aliquote contributive, comprimono lo sviluppo del secondo pilastro (tra le aliquote del primo pilastro penso ad esempio ai contributi minimi per gli artigiani e commercianti). Legherei questo a un dato che emerge dalla relazione del Consiglio di indirizzo e vigilanza dell'INPS dove si vede che il monte contributivo, in realtà, ha subìto una flessione. Questa flessione è strettamente connessa a quella del monte retributivo e questo ci porta al discorso fatto dal presidente Draghi nel mese scorso quando ha detto che la risposta europea alla crisi di competitività è stata quella di recuperare competitività di prezzo abbattendo i costi salariali, cioè di fatto comprimendo le retribuzioni.
  Allora abbiamo un primo pezzo di problema che è strutturale, che non dipende né dai consumatori né dal mercato, ma dipende da un'altra cosa, messa in evidenza dall'ultimo rapporto dell'Ambrosetti su questo tema, di cui dava contezza ieri Panorama, ovvero – ed è un paradosso apparente – il fatto che non si può sviluppare un mercato dei fondi pensione robusto perché c'è un grosso vincolo di liquidità che scontano i giovani.
  Un ragazzo che comincia a lavorare a Milano a 1.600 euro al mese non può tecnicamente e materialmente metterne 160 al mese in un fondo pensione. Suppongo che sappia che un giorno non lavorerà, che un giorno deve morire, suppongo che preferisca non pensarci, ma se anche fosse un filosofo costantemente assorbito da questo problema esistenziale, semplicemente non avrebbe i soldi da metterci. Quindi, noi abbiamo sullo sfondo Pag. 15questo gigantesco problema, che l'austerità ha compromesso non solo la sostenibilità del primo pilastro, ma anche lo sviluppo del terzo pilastro. Questo è il giudizio politico, ma anche tecnico, perché se queste sono le evidenze non so quanto sia un tema di informazione che comunque nel campo del secondo pilastro probabilmente incomberebbe su alcuni corpi intermedi, per esempio i sindacati: dovrebbero essere anche loro a occuparsi di educare e istruire i lavoratori su queste opzioni.
  Ci sono, inoltre, una serie di osservazioni che voi fate in chiave costruttiva all'interno di questa relazione che mi sollecitano alcune richieste di approfondimento, come, per esempio, le strategie life cycle. Secondo le strategie di life cycle, in sintesi, se non ho capito male, i giovani dovrebbero adottare strategie più aggressive, privilegiando un maggior rendimento e un maggior rischio, e poi dopo, eventualmente, verso la maturità si dovrebbe prediligere una strategia più prudente. Innanzitutto, sarebbe interessante capire questo come dovrebbe concretamente avvenire; poi c'è un dato: purtroppo oggi il giovane sconta un elevato livello di incertezza determinato dalla precarietà dei profili di carriera, determinato dalla consapevolezza che il giovane ha che in un sistema contributivo questo comunque abbatte le prestazioni del primo pilastro, abbatte il tasso di sostituzione. Penso, quindi, che questo possa determinare una riluttanza psicologica ad adottare una strategia più aggressiva, paradossalmente, nonostante la consapevolezza, che lei ha espresso in modo assolutamente limpido, del fatto che un comparto garantito ti erode il capitale.
  Inoltre, se non capisco male, quello che voi proponete come adesione automatica a un fondo pensione, immagino negoziale, a questo punto, accompagnato da meccanismi di opting out, in concreto dovrebbe avvenire attraverso il contratto di lavoro. Pag. 16Bisognerebbe prevedere delle forme contrattuali che incorporino questo. Ci sono esperienze in questo senso?
  Un'altra cosa che mi colpisce è che noi abbiamo sempre questi confronti internazionali dove c'è una varianza enorme. Per esempio, i fondi pensione dell'OCSE hanno un patrimonio che è in rapporto al PIL 209,5 per cento, cioè il doppio del PIL. In Italia è solo il 9,7, quindi il 10 per cento del PIL. Però, quello che mi manca in questo tipo di dati, che sono oggettivamente molto eloquenti, è sempre capire qual è la struttura complessiva del sistema pensionistico.
  Nel solco della vostra osservazione sul fatto che in Italia l'eccessivo peso delle aliquote, che è un inseguimento del fatto che, sostanzialmente, manca la base, mancano le retribuzioni (quindi alzo le aliquote per avere i contributi) genera un problema, quello che ancora manca – su cui faremo ovviamente degli approfondimenti – è capire se la struttura del primo pilastro fra l'Islanda e la Turchia, ci saranno probabilmente delle differenze, spiega perché in Islanda i fondi pensione del secondo pilastro hanno un patrimonio del 207 per cento del PIL e in Turchia del 3,3.
  Questa è una riflessione che rimane sempre un po' sullo sfondo, però, secondo me, sarebbe interessante, perché non si può promuovere il secondo pilastro se non si tiene conto, e magari si interviene, su come è fatto il primo.
  Non so se queste riflessioni le stimolano ulteriori considerazioni.

  UGO LOESER, presidente del Comitato Previdenza di Assogestioni e amministratore delegato Arca fondi SGR. Assolutamente.

  PRESIDENTE. Grazie. La prego di condividerle con noi.

Pag. 17

  UGO LOESER, presidente del Comitato Previdenza di Assogestioni e amministratore delegato Arca fondi SGR. Grazie. Riguardo al primo punto è tutto vero. Le retribuzioni scendono, ci sono le ristrutturazioni, c'è incertezza, però oggi c'è un flusso poco consapevole di TFR e di contribuzioni verso l'INPS, che – tra parentesi – ha poi una passività, perché questi non sono soldi dati a fondo perduto, questa è una passività vera, che potrebbero essere canalizzati nella previdenza complementare. Parliamo di decine di miliardi, senza stare qui a litigare sulle cifre. Però, noi potremmo canalizzare 30 miliardi all'anno verso la previdenza complementare senza fare niente oggi, con tutte le considerazioni che abbiamo fatto prima.
  Parlando della mia azienda, dove c'è stata collaborazione con le strutture del personale e con le parti sociali nel mondo delle banche che, come sapete bene, hanno subito delle ristrutturazioni importanti, delle incertezze, in realtà noi nel mondo delle banche abbiamo più di 200.000 aderenti e gestiamo un fondo pensione da oltre 5 miliardi di massa.
  Nonostante tutto, Arca è il primo gestore di fondi pensione aperti in Italia con questi numeri e l'ha fatto in un momento di grandi ristrutturazioni. L'evidenza è che, rispetto alla situazione attuale, con tutte le considerazioni, che sono verissime, di svalutazione interna, di compressione dei salari reali, la previdenza complementare è oggi a una frazione del suo potenziale. Il suo potenziale vale decine di miliardi all'anno che potrebbero entrare, che, di nuovo, in un'economia da quasi 2.000 miliardi non sono quelli che cambiano la struttura istituzionale del risparmio privato, però sono più di una goccia nel mare, perché parliamo di decine di miliardi.
  Rispetto al patrimonio dei fondi pensione, di cui parliamo, di circa 200 miliardi o anche meno, 30 miliardi all'anno comunque cominciano a essere un numero importante.Pag. 18
  Dall'altro lato, è chiaro che, per rispondere alla seconda domanda, il tema della contribuzione da parte dei giovani, che hanno delle prospettive incerte, è verissimo. Non credo comunque che, anche a fronte di prospettive incerte, il tenere i risparmi in comparti garantiti sia quello che risolve il problema delle prospettive incerte. Una cosa sono i risparmi previdenziali, che lì stanno, e che ha senso vengano investiti secondo delle logiche di life cycle.
  Peraltro, la teoria life cycle è messa molto in discussione oggi. Tra l'altro, la teoria life cycle è uno dei pochi Nobel in economia che l'Italia può vantare grazie al professor Modigliani. Però, oggi, se noi guardiamo a come è fatto il risparmio italiano, e dove si concentra, esso si concentra nelle generazioni più anziane. Il fatto che le generazioni più anziane decumulino, secondo la teoria del life cycle, non è vero, è smentito dall'evidenza, oggi. Secondo i dati delle società di gestione, i patrimoni degli ultrasettantenni o, addirittura, degli ottantenni sono stabilissimi. Sono quelli dei cinquantenni, che hanno spese improvvise, che vanno su e giù, ma quelli dei settantenni non si toccano, non li tocca nessuno. Questa è un'evidenza che – tra parentesi – ci porta a stressare molto il punto di non dover andare in rendita quando vado in prestazione, ma di poter avere flessibilità in uscita. L'evidenza del Paese è che questo è il comportamento che viene richiesto. Questo è uno dei temi.
  Riguardo al tasso di sostituzione, il tema della previdenza pubblica, è chiaro che noi, vedendo questi dati, vediamo i due estremi. Abbiamo un mondo pubblico, che ha poco spazio per i mercati finanziari, dei capitali, dove lo Stato in qualche modo fa l'imprenditore, si finanzia sul mercato e garantisce le pensioni. In quel mondo lì, che è un mondo di banche e debito pubblico, c'è poco spazio per la previdenza complementare. Se lo Stato fosse bravo a fare il suo mestiere, chiaramente potrebbePag. 19 farlo meglio dei capitali privati perché con la garanzia statale, probabilmente, si indebiterebbe a un costo di capitale più basso.
  Il mondo estremo, dall'altra parte – parliamo di Australia, Islanda, Paesi Bassi – è un mondo dove non c'è il debito pubblico, non c'è un ruolo dello Stato. C'è una protezione minima: lo Stato dà a tutti di che vivere, e questo lo garantisce, perché se poi le persone non hanno di che vivere lo Stato un problema ce l'ha; quindi una pensione minima la assicura a tutti (con contributi, senza contributi, eccetera). Dopodiché, è il mercato che fa l'economia. Ci sono grandi capitali che andranno a finanziare i progetti che hanno rendimenti più attraenti, più elevati, e i risparmiatori sanno che non potranno contare su un tenore di vita adeguato solo con la pensione pubblica, ma su un tenore di vita minimo, e devono risparmiare, con meccanismi più o meno obbligatori, per andare ad alimentare questi capitali privati.
  Tra questi due estremi c'è tutto un mondo. Questo grafico che vediamo è funzione del tasso di sostituzione, cioè qual è la percentuale dell'ultimo stipendio che in qualche modo la pensione pubblica garantisce: se tu avessi il 100 per cento, chiaramente ci sarebbe poco spazio per la previdenza privata. Se tu hai il 20 per cento oppure hai il massimo di mille euro, se non ti fai una previdenza privata avrai, in futuro, un problema di tenore di vita.
  All'interno di questi due modelli estremi, il mondo accademico ha evidenziato i pro e i contro di tutti e due. È chiaro che noi, come Paese che cresce poco, con una demografia negativa e un debito pubblico elevato, oggi abbiamo un enorme incentivo a passare da un modello tutto pubblico a un modello molto più simile al mondo anglosassone: segmenti i risparmi, eviti di pesare sul debito pubblico, incentivi la crescita. Solo con la Pag. 20crescita raggiungeremo una sostenibilità sia del debito che del sistema previdenziale.
  L'ultima considerazione riguarda il portafoglio degli investimenti. Esattamente come i pensionati californiani danno i soldi a KKR, che poi viene a comprare Tim, non c'è alcun motivo per cui i pensionati italiani non debbano dare i soldi ad Arca, che poi va a investire all'estero. Il faro o l'obiettivo del fondo pensione non è finanziare l'economia reale, ma dare rendimento all'aderente. Vorrei che non ci fossero dubbi rispetto alla missione. La nostra missione, come gestori, è di massimizzare il rendimento per l'aderente, indipendentemente da dove possiamo investire.
  Detto questo, oggi abbiamo un'economia reale italiana particolarmente attraente. Oggi tutta quella attrattività, tutta quella potenzialità viene sfruttata da fondi esteri e non da fondi italiani, nella maggior parte dei casi. Il mondo delle Casse, il mondo dei fondi pensione si sta solo oggi organizzando, anche grazie al supporto di Cassa depositi e prestiti, con il Fondo italiano di investimento, per creare veicoli che vadano in questa direzione.
  Credo, quindi, che la direzione sia giusta. Credo ci sia proprio la mancanza di una massa critica, non di expertise, ma di capitali che vadano a cogliere queste opportunità.

  PRESIDENTE. Grazie. Questa sua ultima osservazione risponde a un'altra curiosità che avevo, una domanda che abbiamo spesso rivolto ai nostri interlocutori. Con riferimento specifico al ridotto afflusso di risparmio previdenziale nel sistema produttivo e infrastrutturale italiano, il professor Realfonzo, lo scorso 15 febbraio (all'epoca era presidente del Fondo Cometa, adesso la governance di quel fondo è cambiata), era venuto a illustrarci la proposta di introdurre – attraverso un veicolo anche pubblico, che coinvolgesse CDP e sue partecipatePag. 21 – dei meccanismi di protezione del capitale investito, cioè una soglia minima di rendimento per il fondo pensione, con ovviamente, però, una compensazione: sull'extra profitto che si fosse realizzato o si realizzasse in eccesso rispetto a quella soglia, sarebbe non il fondo, ma l'altro interlocutore, chi presta la garanzia, sostanzialmente, ad averne la quota maggiore. Si sta ragionando su veicoli di questo tipo, coinvolgendo CDP Equity.
  Mi sembra di capire che una vostra valutazione rispetto a meccanismi di questo tipo, alla creazione di scatole di questo tipo possa essere interlocutoria, se non positiva, cioè che possano essere considerati, presi in considerazione.
  Non so se mi sono espresso bene. Lei sicuramente la conosce, anche perché questa è una proposta che Assofondipensione porta avanti. Ne parlano sempre.
  Lei, quindi, la conosce meglio di me.

  UGO LOESER, presidente del Comitato Previdenza di Assogestioni e amministratore delegato Arca fondi SGR. Sì presidente, si è espresso benissimo.
  Per essere chiari, il mondo fondi pensione, il mondo delle casse e il mondo dei fondi aperti sono mondi diversi, con competenze e dimensioni diverse.
  Oggi direi che il mondo dei fondi aperti è rappresentato dai gestori professionali del risparmio. Su tutte le asset class non ha gap rilevanti di expertise e massa critica. Quindi, dal nostro punto di vista, di SGR, non vediamo la necessità di un intervento pubblico per essere capaci di investire nel private equity.
  Parlando, di nuovo, della mia azienda, il Fondo italiano e la Cassa sono essi stessi investitori nel nostro fondo di private equity, di Arca Space Capital. La capacità di investire nel mercato del private equity non si improvvisa. È un mestiere complicato. Non è un asset liquido. Quindi, se si sbaglia si paga, Pag. 22non si riesce a uscire. Il ruolo istituzionale che può avere una Cassa, un fondo italiano nell'accompagnare strutture che non sono dotate delle adeguate expertise in un mercato difficile è sicuramente auspicabile.
  Per quanto ci riguarda, come SGR che promuovono fondi di private equity o fondi di private asset, come private credit, mezzanine, infrastructure, ne sentiamo meno l'esigenza.
  Su questo permettetemi un ultimo inciso. Probabilmente, nel momento in cui cerchiamo di canalizzare più risorse degli aderenti – sono i loro risparmi – verso asset più liquidi e anche più rischiosi, ritengo sia nell'interesse degli aderenti vedere aumentare le loro prospettive di offerta, il livello di trasparenza e il livello di concorrenza del mercato. È esattamente come per l'assicurazione del motorino: io sono obbligato a dotarmi di un'assicurazione per circolare con il motorino, però, poi, è il mercato che, in regime di concorrenza, mi offre il prodotto migliore. La stessa cosa dovrebbe avvenire per quanto riguarda la previdenza, come avviene negli altri Paesi.
  Ultimo inciso. Credo che le proposte di trovare sempre garanzia o simil-garanzia non vadano nella direzione giusta. Gli investimenti in private equity con garanzia non li fa nessuno al mondo. O siamo furbi noi e loro sprovveduti, o viceversa: non è nell'interesse dell'aderente avere garanzie, che non servono e che costano tanto, invece.
  La definizione del profilo di rischio, sia in termini statici che in termini di life cycle, del prodotto, passa, quindi, per una diversificazione, per una massa critica del portafoglio, dove qualsiasi tema di garanzia viene in qualche modo diluito. Se io avessi tutti i miei soldi in un singolo fondo di private equity che fa cinque operazioni, allora su questo, chiaramente, andrei a cercare una garanzia. Se io, invece, investo in 30 fondi che fanno 150 operazioni e metto il 30 per cento del patrimonio, Pag. 23allora la garanzia su ognuno di questi mi uccide il rendimento, ma non mi serve. Perché poi, in media, convergerò sul profilo di rischio statistico. È questo quello che si fa nel mercato degli altri Paesi.

  PRESIDENTE. La ringrazio.
  Se posso approfittare, visto che abbiamo ancora un po' di tempo, ho un altro paio di curiosità.
  Banalizzo, ma lo faccio perché lei mi corregga. Noi ci diciamo da tempo – lo abbiamo ribadito anche oggi – che l'Italia è caratterizzata da una situazione in cui il settore privato, le famiglie hanno una massa di risparmio ingente. Al tempo stesso, però, vediamo che le fabbriche di prodotti italiane sono relativamente più piccole rispetto a quelle di altri Paesi. Questo potrebbe dipendere da vari fattori, per esempio dalle dimensioni degli altri Paesi.
  Il tema è «diversificazione versus economie di scala». Immaginiamo un mercato chiuso. Lei dice che, per minimizzare il rischio, posso diversificare. Sì, ma la massima diversificazione comporta in re ipsa una riduzione della scala degli operatori a cui mi rivolgo. Non so se sono stato chiaro.

  UGO LOESER, presidente del Comitato Previdenza di Assogestioni e amministratore delegato Arca fondi SGR. Chiarissimo.

  PRESIDENTE. C'è inoltre un altro tema, che riguarda, secondo me, l'efficienza di questo mercato dei fondi pensione, la struttura dei costi. Da alcune valutazioni, indagini statistiche, emerge che queste gestioni di terzo pilastro – visto che secondo non è – risultano mediamente più costose rispetto ad altri investimenti in OICVM. Vorrei capire se ci sono delle motivazioni. Anche questo può contribuire a comprimere l'appetito del futuro pensionato, dal momento che costi più alti riducono Pag. 24le prestazioni future. Non so se anche questo è legato alle piccole dimensioni, a temi di efficienza, a temi di favor fiscale. Sarebbe utile avere un suo parere su questo.

  UGO LOESER, presidente del Comitato Previdenza di Assogestioni e amministratore delegato Arca fondi SGR. Grazie. Parto dal primo tema, la dimensione degli asset manager domestici. L'Italia ha avuto come missione quella di distribuire prodotti finanziari tramite i network: in qualche modo farli, ma impacchettando delle componenti. Su questo si è concentrata l'Italia. Non ha mai avuto – nonostante avesse potuto, teoricamente, in passato, vista la massa critica di risparmi di 5 mila miliardi – l'ambizione di fare il produttore.
  Faccio un esempio, così forse si comprende meglio. L'Italia produce automobili, ma assemblando pezzi fatti da terzi. Il motore me lo fa un Paese, le ruote un altro, la carrozzeria un terzo. Io li metto assieme e li distribuisco tramite una rete di concessionari. Questo è stato il modello perseguito dall'Italia. Non ha avuto l'ambizione di definirsi la prima nei motori. Nel fare i componenti ci sono delle economie di scala importanti. Oggi quel mercato è esploso, è andato verso dimensioni enormi. Il primo player europeo ha 2 mila miliardi. Arca ne ha 40. Sto parlando di Amundi. Il primo mondiale, che è BlackRock, ha più di 10 mila miliardi. Questo è un mestiere fatto di enormi investimenti in tecnologia, di enorme scala, per tenere bassi i costi ed essere competitivi.
  Oggi la componentistica è accessibile a tutti, dal singolo risparmiatore retail, che con 100 euro va sul trading online e compra l'ETF, fino ai grandi investitori istituzionali, come lo siamo noi, che per i pezzi che ci servono andiamo a comprare i pezzi di rischio nel mercato prendendo gli ETF, prendendo il fondo a gestione attiva, piuttosto che comprando il rischio virtuale – so che qui si entra nel tecnico – facendo un total Pag. 25return swap, un derivato, un credit default swap, eccetera, dove io lascio i soldi sul conto del fondo, però in realtà compro pezzi di rischio in maniera estremamente efficiente.
  È chiaro che in mezzo non si vive. O sei quello che fa il prodotto finito per la distribuzione, per il cliente finale o sei quello che ha la grandissima scala e fa la produzione per tutto il mondo. Non per il tuo Paese: per tutto il mondo. In mezzo muori, se cerchi di fare un po' l'uno e po' l'altro.
  L'Italia si è concentrata, saggiamente, sul fare quello che è in grado di fare. Quindi, i margini della distribuzione sono in mano comunque a un'industria nazionale importante.
  Credo – se posso fare una considerazione – che questa industria sia stata un po' negletta per quanto riguarda la sua importanza strategica. Abbiamo comunque dei player esteri che, vedendo l'ammontare della massa critica del risparmio italiano, hanno voluto investire massicciamente in Italia. Sono molto più pesanti in Italia, in termini relativi, rispetto a quanto lo siano in Francia o in Germania o in altri Paesi. I brand name anglosassoni e francesi sono particolarmente importanti nel nostro Paese.
  Detto questo, gli italiani sanno fare benissimo i prodotti. Anche a livello di Assogestioni europee abbiamo una reputazione unica per la nostra capacità di innovazione, di time to market, di capire il cliente. All'interno di questo mondo abbiamo avuto anche grandi imprenditori e iniziative nate in Italia, che non dico che il mondo ci invidia, ma che non sono seconde a nessuno al mondo.
  Per quanto riguarda, invece, il tema della massa critica del risparmio italiano, la considerazione che posso fare è che gli italiani sono incredibili risparmiatori, eccezionali, ma sono pessimi investitori. Se noi avessimo, su 5 mila miliardi (non saranno 5 mila, saranno 4 mila, dipende da come li contiamo, Pag. 26tra conti correnti e passività), l'1 per cento in più di rendimento su questi risparmi finanziari, noi parleremmo di 40-50 miliardi in più, che sono PIL. Noi aumenteremmo il PIL di 40-50 miliardi, ottenendo l'uno per cento in più di rendimento sui nostri risparmi solo finanziari. È chiaro che c'è un valore strategico. Lo otterremmo tutti gli anni, non è uno «one of».
  C'è un grafico che – guardando al valore dei fondi pensione – vale sempre la pena di vedere, che ogni tanto faccio vedere, relativo alla ricchezza finanziaria pro capite tra gli italiani e gli olandesi negli ultimi 25 anni. Gli olandesi hanno abbracciato il modello che li ha portati in cima alla classifica. Quando sono partiti, gli italiani avevano circa un quarto, se non un terzo di ricchezza pro capite in più degli olandesi. Adesso sono alla metà della ricchezza pro capite. Gli italiani hanno investito zero sul conto corrente, mentre gli olandesi hanno investito nello sviluppo in giro per il mondo, negli asset rischiosi. Oggi questo si vede nei loro numeri, al di là dei numeri di crescita, molto importanti, che hanno generato.
  L'ultimo punto riguarda i costi. I costi sono determinati, da un lato, dal grado di trasparenza e di concorrenza. La dimensione conta. I grossi prodotti, tendenzialmente, sono più visibili e trasparenti, quindi tendono ad avere costi molto più allineati, perché la valutazione su di loro avviene in maniera più puntuale. Dall'altro, la grande differenza tra i costi dei prodotti dipende dal costo della distribuzione. Se io devo pagare un intermediario che vada a vendere il fondo pensione, il prodotto previdenziale all'azienda, quell'intermediario costa mediamente due terzi del costo del fondo. Questo è, circa, il numero. Se il costo industriale del fondo è di 40 punti base, 0,4 per cento, il costo del prodotto sarà dell'1,2 per cento, se viene venduto tramite intermediari. Se, come i fondi negoziali, come la nostra Classe R del fondo pensione, che viene venduta ai colleghi delle Pag. 27banche, alle aziende, che copriamo direttamente, ci salta il costo della distribuzione, il costo è dello 0.4 per cento, come i fondi negoziali e come tutti gli altri prodotti.
  Questa è la riflessione. È chiaro che l'adesione automatica salta molto il costo della distribuzione. Non è semplicemente una tassa, il costo della distribuzione. Il distributore si fa carico di un sacco di lavoro. Esattamente come il negoziante: una cosa è se si vendono direttamente i prodotti; un'altra cosa è se bisogna affittare il negozio, fare la pubblicità, eccetera. Nel mercato finanziario sappiamo che questo ha un costo estremamente elevato.
  Massa critica, adesione obbligatoria, semplificazione delle procedure, standardizzazione della formazione sono tutte cose che vanno nella direzione di ridurre i costi per gli aderenti, in assoluto.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Loeser, tutti gli altri intervenuti, tutti i rappresentanti di Assogestioni.
  Non mi sembra ci siano ulteriori richieste di intervento.
  Pertanto, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.35.