XIX Legislatura

III Commissione

COMITATO PERMANENTE SUL COMMERCIO INTERNAZIONALE

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Martedì 16 gennaio 2024

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Gruppioni Naike , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE DINAMICHE DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE E INTERESSE NAZIONALE
Gruppioni Naike , Presidente ... 3 
Langella Raffaele , Direttore Generale di Confindustria ... 4 
Gruppioni Naike , Presidente ... 9 
Della Vedova Benedetto (Misto-+Europa)  ... 9 
Gruppioni Naike , Presidente ... 9 
Boldrini Laura (PD-IDP)  ... 9 
Gruppioni Naike , Presidente ... 10 
Langella Raffaele , Direttore Generale di Confindustria ... 10 
Gruppioni Naike , Presidente ... 11 
Loperfido Emanuele (FDI)  ... 11 
Gruppioni Naike , Presidente ... 11 
Billi Simone (LEGA)  ... 11 
Gruppioni Naike , Presidente ... 12 
Langella Raffaele , Direttore Generale di Confindustria ... 12 
Gruppioni Naike , Presidente ... 13

Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
Azione - Popolari europeisti riformatori - Renew Europe: AZ-PER-RE;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Noi Moderati (Noi con L'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE: NM(N-C-U-I)-M;
Italia Viva - il Centro - Renew Europe: IV-C-RE;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE
NAIKE GRUPPIONI

  La seduta comincia alle 14.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la resocontazione stenografica e la trasmissione attraverso la web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di Confindustria.

  PRESIDENTE. Intanto buonasera. Ringrazio i nostri ospiti per aver accettato l'invito. Prima di iniziare desidero porgervi i saluti del Presidente del Comitato permanente sul commercio internazionale, l'onorevole Andrea Di Giuseppe, che purtroppo oggi non è qua con noi perché è dovuto volare negli Stati Uniti per un problema familiare molto grave.
  L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle dinamiche del commercio internazionale, l'audizione di rappresentanti di Confindustria.
  Ricordo che la partecipazione da remoto è consentita alle colleghe e ai colleghi, secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento.
  Anche a nome dei componenti del Comitato ringrazio per la disponibilità a prendere parte ai nostri lavori il dottor Raffaele Langella, Direttore Generale di Confindustria, accompagnato dall'avvocato Camilla Sciacca, Direttore rapporti istituzionali, dalla dottoressa Laura Travaglini Senior Adviser politiche di accesso ai mercati, area Affari internazionali, e dalla dottoressa Francesca Francario Senior Professional Ufficio stampa internazionale, area comunicazione, brand ed eventi.
  Innanzitutto voglio sottolineare che oggi, con l'audizione del dottor Raffaele Langella, inauguro ufficialmente il ciclo di audizioni del Comitato sul commercio internazionale. Questo percorso, costruito nella eterogeneità politica – che io considero assolutamente un valore – porta e porterà alla luce, sempre di più, l'importanza strategica degli italiani nel mondo. Dobbiamo impegnarci a fornire risposte riguardo alle nuove sfide economiche imposte dalla situazione geopolitica. Confindustria rappresenta un punto di riferimento importante, un sostegno che io ritengo fondamentale per le nostre attività imprenditoriali.
  Ritengo fondamentale portare alla luce il valore unico del Made in Italy, simbolo di qualità che trasferisce storia e cultura italiana nel mondo. Il Made in Italy porta con sé l'eccellenza dei nostri prodotti e il prestigio della nostra creatività. La valorizzazione di un ponte identitario può costituire una ricchezza aggiuntiva per la creazione di nuove e significative relazioni ed opportunità.
  Con la sua consolidata esperienza Confindustria può offrirci una prospettiva valida ed esaustiva per comprendere meglio la realtà imprenditoriale italiana ed il suo potenziale. Vorrei sottolineare con forza il valore del Made in Italy e delle piccole e medie imprese italiane come protagonisti dell'economia del nostro Paese e considerate eccellenza nel panorama internazionale.
  La Commissione esteri e il Comitato hanno da tempo avviato un'indagine conoscitiva sul commercio internazionale che ha tra le sue finalità quella di valutare le condizioni di governance della globalizzazionePag. 4 e delle principali criticità che continuamente vanno emergendo: dall'invasione russa dell'Ucraina, alle tensioni nell'Indo-Pacifico e, da ultimo, alla crisi di Gaza e del Mar Rosso. A questo proposito, occorre evidenziare che la crescente tensione nella regione mediorientale, con gli effetti sul traffico di merci che attraversa il Canale di Suez, rende assai aleatorie le ultime previsioni dell'Organizzazione mondiale del commercio pubblicate ad ottobre scorso nel rapporto Global Trade Outlook and Statistics. Secondo tale rapporto, i volumi del commercio globale dovrebbero crescere del 3,3 per cento nel 2024, a fronte dell'incremento dello 0,8 per cento registrato nel 2023. Sul fronte delle esportazioni, gli incrementi più significativi dovrebbero registrarsi in Asia – si parla del 5,1 per cento – ed Africa (+ 4,1 per cento). L'Europa dovrebbe attestarsi a un +2,2 per cento, in linea con i valori del Nord America (2,7 per cento), mentre per il Sud America si prevede una crescita assai più modesta (0,6 per cento).
  Per comprendere i possibili effetti dell'attuale escalation militare nel Mar Rosso basti pensare che il canale di Suez gestisce il 12 per cento del traffico merci globale e il 30 per cento del traffico di container globale, con un valore annuale di circa un trilione di dollari: ritardi nelle consegne, diminuzione dei container e cargo disponibili, aumento delle tariffe di spedizione e dei premi assicurativi, nonché trasferimento dei maggiori costi di trasporto ai consumatori finali, sono purtroppo le conseguenze più dirette. Peraltro, attraverso il canale non transitano solo container, ma anche flussi rilevanti di grano e prodotti petroliferi (80 milioni di tonnellate di grano all'anno e 7 milioni di barili di greggio al giorno).
  Vanno altresì considerate le difficoltà del canale di Panama, altro snodo fondamentale del commercio globale, che è invece alle prese con una grave siccità. Il 7 gennaio il canale ha raggiunto uno dei minimi storici di profondità: si parla di circa 1,8 metri al di sotto della norma, proprio dopo quella che avrebbe dovuto essere la stagione delle piogge. Dal novembre scorso il numero di transiti è stato fortemente ridotto, con le restrizioni più severe emesse dal 1989, quando canale fu chiuso per l'invasione di Panama da parte degli Stati Uniti e, ad oggi, il canale di Panama funziona al 66 per cento delle sue capacità nominali. Il combinato disposto di queste contingenze determina un inevitabile rialzo delle tariffe mercantili, proprio nel momento in cui si stavano smaltendo gli effetti nocivi della pandemia.
  Nella prima settimana di gennaio 2024 il World Container Index ha raggiunto i 2.670 dollari per container da 40 piedi, un incremento del 25 per cento rispetto alla stessa settimana dell'anno scorso e dell'88 per cento rispetto alle tariffe medie del 2019. Tutto ciò rischia di generare un nuovo rallentamento delle catene di approvvigionamento e una ripresa della pressione inflazionistica mondiale che sembrava avviarsi ad una riduzione, dopo la dinamica record dell'ultimo anno e mezzo.
  Forniti questi elementi, dottor Langella, io Le cedo la parola affinché Lei svolga il suo intervento e dia un contributo oggi in questa audizione. Grazie.

  RAFFAELE LANGELLA, Direttore Generale di Confindustria. Grazie a Lei, presidente, e grazie al Comitato di aver voluto ascoltare le ragioni di Confindustria su un tema che, ovviamente, sta molto a cuore all'Associazione.
  Faccio una breve premessa, soltanto trenta secondi per dire cosa Confindustria sta facendo nel percorso tortuoso che dovrebbe portare, in un futuro non al momento prevedibile, ad una riforma degli strumenti di governance del sistema multilaterale degli scambi.
  Confindustria partecipa ai lavori dell'OCSE, attraverso il suo diretto coinvolgimento nel cosiddetto BIAC (Business and Industry Advisory Committee); ai lavori dell'OIL, che comunque ha una competenza rilevante anche per quanto riguarda le materie legate al commercio internazionale; gestisce direttamente la partecipazione italiana a due esercizi che sono paralleli rispetto agli esercizi politici principali, cioè il B7 – che si riferisce al G7 – ed il B20, che si riferisce ovviamente al G20; incidentalmente,Pag. 5 quest'anno avremo la Presidenza del B7 e Presidente del B7 sarà Emma Marcegaglia in rappresentanza di Confindustria; infine, partecipiamo ai lavori della cabina di regia per l'internazionalizzazione delle imprese, che è uno strumento molto utile di coordinamento delle istanze del settore privato, del settore produttivo in particolare, e del pubblico in materia di promozione degli interessi commerciali italiani all'estero.
  Negli ultimi tempi Confindustria ha ritenuto opportuno di dover mettere un'enfasi ulteriore sull'internazionalizzazione delle imprese. Lo abbiamo fatto aprendo tre uffici di rappresentanza: uno a Kiev – è stato il primo ad essere inaugurato, a gennaio-febbraio se non vado errato del 2023 –, il secondo Singapore, a maggio del 2023, ed il terzo, a giugno dello stesso anno, a Washington. Quindi ci siamo dotati di strumenti ulteriori per l'internazionalizzazione a disposizione delle imprese, a disposizione delle associazioni ed anche dei soggetti non appartenenti al sistema confindustriale, ma che ritengono opportuno avere una visione, forse meno episodica e più approfondita, delle dinamiche che interessano quei mercati.
  L'audizione di oggi mi sembra di capire sia orientata soprattutto a discutere la crisi del sistema multilaterale degli scambi e soprattutto dei mezzi di governance del sistema multilaterale degli scambi.
  Sappiamo tutti che lo strumento per eccellenza che fu ideato al termine del secondo conflitto mondiale per risolvere potenziali controversie commerciali era il GATT (General Agreement on Tariffs and Trade), trasformatosi poi nel 1995 in WTO (World Trade Organization), ed il WTO è stato a lungo il forum principale per la prevenzione e la risoluzione delle controversie commerciali internazionali.
  Il momento più alto del WTO, a parte quello cerimoniale – che fu il vertice di Ginevra organizzato dall'allora Direttore Generale Renato Ruggiero in Svizzera –, ma il momento più alto dal punto di vista negoziale del WTO si raggiunse con la Conferenza di Doha che si tenne, come ricorderete, a poche settimane di distanza dall'attentato condotto contro le Torri Gemelle.
  Ci si presentò a Doha in quell'occasione – mi permetto di parlare così perché ero a Doha, ero in delegazione, il mio background è diplomatico e quindi eravamo lì –, fu una riunione, mi ricordo, abbastanza coinvolgente e concitata, ma comunque ci si presentò a Doha con delle ambizioni particolarmente elevate. Esisteva un'agenda ambiziosissima, che era costituita dai cosiddetti Singapore issues, che doveva portare l'Organizzazione mondiale del commercio ad occuparsi di temi dai quali fino a quel momento era stata assente. Quindi, non più soltanto la riduzione delle barriere tariffarie, ma anche la eliminazione definitiva delle barriere non tariffarie e, possibilmente, l'estensione della normativa multilaterale esistente anche ai temi della proprietà intellettuale, dei servizi, degli appalti pubblici oltre che su materie – soprattutto in quel periodo – particolarmente scottanti, come l'accesso ai farmaci essenziali.
  La Conferenza di Doha fu un successo, i seguiti della Conferenza di Doha – penso che possiamo convenire tutti su questo punto – non sono stati altrettanto lusinghieri. Il WTO, da quel momento in avanti, ha perso slancio, c'è stato un progressivo rallentamento delle attività dell'organizzazione fino a giungere a una situazione di stallo, come quella con la quale ci confrontiamo oggi, che probabilmente è all'origine anche del caos normativo e disciplinare che in questo momento sta caratterizzando gli scambi internazionali.
  Di cosa soffre in particolare il WTO in questa fase storica? Breve premessa, riavvolgo un attimo il nastro: della ambiziosissima agenda di Singapore, confluita poi come testo negoziale alla Conferenza di Doha nel 2001, è rimasta in vita soltanto la cosiddetta Trade facilitation, che è confluita in un accordo – che si chiama appunto accordo sulla Trade facilitation – concluso nel 2013 ed è entrato definitivamente in vigore nel 2017. Tutti gli altri temi – c'erano sei aree negoziali che vennero esplorate in occasione della Conferenza di Doha – in realtà sono stati progressivamente abbandonati. Lo stesso Doha Round, che in Pag. 6astratto avrebbe dovuto continuare in eterno – un po' come accadde per l'Uruguay Round e prima ancora per altri round negoziali – in realtà è stato di fatto chiuso nel 2016. Il WTO, come sapete, è un'organizzazione member-driven, cioè un'organizzazione che si basa sul consenso raggiunto sistematicamente tra gli Stati membri. Si basa anche su delle liturgie che sono tipicamente WTO: una di queste è il cosiddetto single undertaking, per cui tutti gli accordi che vengono negoziati entrano in vigore contemporaneamente e soltanto se si raggiunge un'intesa su tutti i testi.
  Questo, che ha rappresentato un motivo di promozione della velocità e dell'approfondimento dei negoziati per decenni, in realtà negli ultimi tempi si è rivelato essere un fattore di rallentamento dei processi negoziali. La prossima Conferenza WTO si terrà, come sapete, ad Abu Dhabi, nel febbraio di quest'anno, e rappresenta probabilmente anche l'ultima occasione di cui i Governi disporranno per ridare vita all'organizzazione e riportarla al centro della governance degli scambi internazionali.
  Potrebbe anche essere l'ultima occasione per restituire all'Organizzazione mondiale del commercio la piena disponibilità del suo strumento principale, che è l'organo di risoluzione delle controversie. Sappiamo che a partire dal 2016 gli Stati Uniti hanno ritenuto di non dover rinnovare la nomina dei giudici dell'organo d'appello dell'Organizzazione mondiale del commercio; è un portato tossico della controversia tra Stati Uniti e Unione europea sul tema dell'aviazione civile – Boeing-Airbus, come ricorderete; di fatto, in questo momento l'organo d'appello dell'Organizzazione mondiale del commercio è paralizzato, il che vuol dire che manca lo strumento di enforcement principale di cui l'organizzazione effettivamente dispone. In questo momento non esiste un arbitro internazionale, riconosciuto a livello globale, in materia di controversie commerciali internazionali.
  Le ragioni che hanno portato gli Stati Uniti a non rinnovare il mandato ai giudici dell'organo d'appello sono in parte comprensibili. Gli Stati Uniti hanno lamentato una scarsa trasparenza nelle procedure, soprattutto – per un Paese che ha una cultura giuridica come gli Stati Uniti, questo appare del tutto inevitabile – una scarsa coerenza tra le sentenze che venivano di volta in volta emesse dall'organo d'appello, per cui è impossibile, di fatto, ricorrere ad una giurisprudenza che potesse effettivamente essere applicata. Di fatto l'organo di appello è bloccato e questo, lo ripeto, priva l'Organizzazione mondiale del commercio della sua arma migliore.
  Altro fattore critico che ha inciso sulla efficacia dell'azione del WTO è l'ingresso della Cina all'interno dell'organizzazione nel 2001, seguito dieci anni dopo da quello della Russia. La Russia, di fatto, si è eclissata dalla vita quotidiana dell'Organizzazione mondiale del commercio nel 2014, a seguito dell'invasione della Crimea, per cui di fatto non è stata mai un attore primario e un protagonista della vita all'organizzazione. Viceversa la Cina lo è stata fin dal primo momento; le premesse che portarono l'adesione della Cina nell'Organizzazione mondiale del commercio erano prevalentemente commerciali: si riteneva che dovesse essere aperto il mercato cinese e poi si è visto, in realtà, che l'ingresso della Cina ha portato una modifica radicale, sostanziale e probabilmente irreversibile dei flussi commerciali internazionali.
  Al momento il WTO funziona soprattutto come meccanismo automatico di allargamento a un consesso pressoché globale della cosiddetta «clausola della nazione più favorita». Ogni volta che due membri dell'Organizzazione mondiale del commercio sottoscrivono un accordo che prevede un trattamento di favore all'interno di un quadro normativo più o meno formalizzato, se questi due Stati sono membri dell'Organizzazione mondiale del commercio tutti gli altri Stati membri dell'Organizzazione possono beneficiarne. Il che ha fatto sì che, di fatto, senza avviare dei negoziati formali e dedicati, l'Organizzazione mondiale del commercio è riuscita, nel corso di cinquant'anni, a dimezzare le tariffe che in questo momento vengono riscosse sul commercio internazionale di beni.Pag. 7
  Ripeto: è una specie di artificio giuridico che l'Organizzazione mondiale del commercio ha inventato, che era contenuto già in accordi senz'altro meno recenti rispetto a quello che ha portato alla nascita del WTO, ma che ha funzionato in maniera piuttosto brillante, tanto che il problema delle barriere tariffarie è stato notevolmente attenuato e si può dire che non sia più quello centrale nelle dinamiche del commercio internazionale.
  Cosa è accaduto sulla scena multilaterale? Anche qui vado in maniera molto sintetica, molto rapida, vorrei lasciare spazio eventualmente ad una discussione, se siete d'accordo.
  Innanzitutto, c'è stato un mutamento sistemico nel concetto stesso di multilateralismo: prima la dinamica tradizionale era tra Stati Uniti ed Unione Europea, tra interessi commerciali ed industriali convergenti o divergenti, adesso la dinamica principale è tra Paesi industrializzati e global South e questa è probabilmente un'evoluzione del sistema che non era stata prevista nel 1995, quando l'Organizzazione mondiale del commercio vide la luce.
  Il secondo tema – ancora oggi d'attualità dopo essere stato sulle prime pagine dei giornali per mesi l'anno passato – è quello del cosiddetto friend-shoring. Come si coniuga il friend-shoring e tutte le decisioni politiche che sono alla base dell'applicazione di questo concetto, con il corpus normativo dell'Organizzazione mondiale del commercio? Il friend-shoring, di fatto, incorpora un trade-off tra obiettivi di sicurezza economica, obiettivi di liberalizzazione, obiettivi di accesso al mercato. Fare la sintesi di queste diverse dinamiche spesso è molto complicato; la sintesi che si trova oggi potrebbe non valere domani, l'Organizzazione mondiale del commercio è una struttura tutto sommato rigida e difficilmente emendabile, fa fatica a tenere il passo rispetto a queste evoluzioni imprevedibili.
  Esiste l'urgenza di una riforma dell'Organizzazione mondiale del commercio? Confindustria ritiene che esistano alcuni aspetti sui quali potrebbe essere opportuno intervenire, anche nel corso dei negoziati che cominceranno a partire dal febbraio di quest'anno, proprio in questa direzione. Il primo aspetto che vorremmo sottolineare: sapete che il WTO si basa su un complesso sistema di notifiche; ogni volta che un Paese emana una normativa che può avere un impatto significativo sui flussi commerciali internazionali deve notificare l'avvenuta adozione di questa normativa all'Organizzazione. Ora, si tratta di un impegno cruciale che gli Stati hanno assunto ma che è ampiamente disatteso, quasi nessuno Stato informa tempestivamente l'Organizzazione mondiale del commercio dell'avvenuta introduzione di norme che possono impattare sui flussi commerciali internazionali. Si potrebbe forse chiedere un'applicazione più rigorosa e sistematica, meno occasionale di un impegno che – come vedremo successivamente – può avere un'importanza decisiva per il funzionamento dell'Organizzazione.
  Secondo punto, i cosiddetti accordi bilaterali: in seno all'Organizzazione mondiale del commercio si è riusciti a fare ciò che si è pensato di poter fare qualche anno fa in ambito Unione europea, cioè l'Unione a più velocità. Ricorderete che era un tema ampiamente dibattuto fino a pochi anni or sono. Di fatto, nell'Organizzazione mondiale del commercio, questo sistema è stato già declinato in soluzioni concrete, in soluzioni pratiche. Esistono degli accordi plurilaterale che sono denominati joint initiatives che prendono spunto da alcuni Paesi, rappresentativi di una porzione significativa dei flussi commerciali internazionali e che sono aperti alla partecipazione successiva di altri Paesi che non ritengano di aderirvi dall'inizio.
  Ora, questo sistema a più velocità effettivamente può funzionare, ci fa uscire dalle secche del cosiddetto single undertaking e soprattutto dell'unanimità richiesta dall'adozione di qualunque accordo in seno all'organizzazione.
  Terzo punto, il trattamento speciale differenziato: sapete che l'Organizzazione mondiale del commercio accorda un trattamento di particolare favore a determinate categorie di Paesi, prevalentemente Paesi in via di sviluppo. Questo fu concepito sin Pag. 8dall'inizio, già in epoca GATT, per consentire a Paesi meno evoluti dal punto di vista industriale di partecipare al sistema multilaterale degli scambi. Oggi questo sistema risulta essere primitivo e tutto sommato poco adeguato rispetto alle sfumature che si possono rinvenire negli scenari internazionali.
  La divisione non è più così netta tra Paesi in via di sviluppo e Paesi industrializzati, esiste un'area grigia intermedia della quale forse bisognerebbe tener conto. Bisognerebbe magari proporre l'istituzione di più categorie e quindi declinare in maniera diversa, di volta in volta, il trattamento speciale differenziato, a seconda del livello effettivo di sviluppo del Paese che assume determinati impegni in ambito internazionale.
  Quarto punto, le cosiddette policy reviews: l'Organizzazione mondiale del commercio conduce delle ispezioni, di fatto, da remoto ovviamente, sul grado di applicazione della normativa internazionale in materia di commercio da parte degli Stati membri. Queste policy reviews sono richieste ogni tre anni per i Paesi industrializzati, ogni cinque anni per le economie in via di sviluppo. Sono diventate, di fatto, un esercizio puramente rituale. L'Organizzazione mondiale del commercio invia due funzionari che redigono un rapporto più o meno approfondito, nella maggior parte dei casi contenente delle modifiche incrementate rispetto al rapporto precedente. L'utilità di queste policy reviews è decisamente limitata, forse potrebbe esser chiesto alla membership dell'Organizzazione e all'Organizzazione stessa di rendere più efficace questo strumento che, di fatto, consente anche di monitorare l'attività dei Governi in materia di commercio internazionale.
  Quinto punto – scusatemi se sono pedante – accordo sussidi e sovvenzioni: ormai questo è uno dei temi che maggiormente perturbano il commercio internazionale. Gli aiuti di Stato che vengono concessi dai Governi al sistema produttivo nazionale e che spesso possono comportare significative deviazioni dei flussi commerciali. Esiste un accordo sulle sovvenzioni, entrato in vigore nel '94, quindi addirittura prima che cominciasse a funzionare il WTO. È un accordo che tiene conto di scenari internazionali che non sono quelli attuali. Dovrebbe essere aggiornato, dovrebbe essere proposta – dal nostro punto di vista – la revisione di uno strumento che è di capitale importanza soprattutto per l'Unione europea, soprattutto in un'ottica di difesa rispetto a pratiche commerciali sleali di alcuni Paesi emergenti. Ovviamente, il riferimento non può che essere a determinati partner asiatici.
  Sesto punto, risorse umane: il WTO rispetto al GATT è enormemente cresciuto in termini di disponibilità di risorse umane e tuttavia queste risorse umane non bastano, non sono sufficienti. Se vogliamo che l'organizzazione sia effettivamente efficace occorre possa disporre di professionalità adeguate ed in numero congruo. Un'ipotesi, sulla quale stavamo ragionando in Confindustria, era quella di prevedere dei distacchi da parte delle amministrazioni pubbliche nazionali presso l'Organizzazione mondiale del commercio, il che produrrebbe come effetto collaterale anche la formazione di una classe di funzionari capaci di interloquire su temi che altrimenti rischierebbero di restare astratti e poco comprensibili.
  Ulteriore punto, coinvolgimento della società civile: il primo, ve lo ricordo, fu Renato Ruggiero, Conferenza di Ginevra. Ci furono gli Stati generali delle organizzazioni non governative interessate ai temi del commercio internazionale. Fu un successo e da allora si tiene un public forum annuale che, anche questo, è diventato una specie di rito ortodosso poco efficace. Probabilmente bisognerebbe coinvolgere maggiormente, all'interno dell'Organizzazione, i rappresentanti del mondo produttivo, i rappresentanti del mondo sindacale e fare in modo che la società civile e le parti sociali esprimano il loro pensiero a proposito della direzione che il commercio internazionale sta adottando.
  Io credo di avere esaurito il tempo a mia disposizione. Mi fermerei qui, ma sono ovviamente pronto a rispondere a ogni domanda.

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  PRESIDENTE. Grazie Direttore. Chiedo ai colleghi e alle colleghe di porre domande e osservazioni. L'onorevole Della Vedova, prego.

  BENEDETTO DELLA VEDOVA. Grazie. Io mi scuso, tra l'altro devo lasciare la seduta. Volevo ringraziare la presidente del Comitato e il Direttore Generale di Confindustria, trovo nelle sue parole una rinnovata fiducia nel multilateralismo per quanto riguarda, in questo caso, il commercio mondiale.
  Sono confortato dalla sua relazione e, in qualche modo, dallo stimolo che dà al Parlamento a lavorare per rilanciare il ruolo del WTO che, come Lei diceva...Io avevo avuto modo in quella fase, nella delegazione del Parlamento europeo, di partecipare a Doha e poi a Cancun; già a Cancun, due anni dopo rispetto a Doha, si vedeva che quello slancio politico che fu anche una reazione all'11 settembre, sulla decisione non scontata di ingresso della Cina, si accelerò anche proprio sull'onda del desiderio di inaugurare una stagione nuova. Comunque, detto questo, prendo la sua valutazione come uno stimolo positivo. Io magari temevo che gli operatori economici, più che quelli istituzionali, potessero suonare un de profundis, quindi io credo che noi dobbiamo, dalla sua relazione, prendere come stimolo molto positivo una valutazione che è realistica, ma che non è pregiudiziale rispetto alla possibilità di dare un futuro al WTO, magari guardando oltre la fase attuale, che è quella in cui soprattutto le grandi potenze commerciali pensano a se stesse, mettono soldi che dal piano per la riduzione dell'inflazione negli Stati Uniti a quello che continua a fare la Cina in molti settori – non solo quello legato alle batterie e l'auto elettrica – e io credo che questo – e chiudo – dirlo dall'Italia è importante, dovrebbe essere un compito che si assume innanzitutto l'Unione Europea, che ha interesse più di tutti a tenere aperti i canali commerciali sulla base di una globalizzazione 2, 3, 5, 18.0 trainata dalle regole e non dall'affermazione di potenza. Grazie mille, non ho una domanda specifica.

  PRESIDENTE. Grazie onorevole. Onorevole Boldrini, prego.

  LAURA BOLDRINI. Sì, grazie presidente. Ringrazio il direttore Langella per questa presentazione, questa audizione. Mi scuso per essere arrivata in ritardo, dunque magari vado a chiedere cose che Lei ha già esposto in questa Comitato.
  Mi interessava capire un po' il rapporto di WTO con e-commerce, cioè come tutta la partita digitale viene gestita e regolata da WTO, che di fatto nasce comunque su una dimensione tradizionale degli scambi commerciali. Quindi, se c'è stata un'evoluzione da questo punto di vista e di che tipo, visto che oggi c'è una grande sperequazione delle piattaforme digitali rispetto alle aziende tradizionali, sia in termini di tassazione sia in termini proprio di extra-territorialità e questo pone una serie di questioni molto stringenti anche per il legislatore. Perché, è chiaro che se arriviamo a fare il 15 per cento di tassazione quando un'azienda tradizionale paga il 40 per cento e oltre, capisce bene che c'è una differenza che, a mio avviso, rischia di non essere sostenibile nel medio e lungo termine.
  Poi, siccome rientro dal sud-est asiatico – da un una visita che ho fatto nei Paesi che un tempo si chiamavano dell'Indocina – vorrei capire anche rispetto alla Cina il potere di penetrazione. Perché io ho visto un Paese come il Laos dove la Cina inaugura la ferrovia: prima di questo progetto non c'era una ferrovia in Laos. Quindi la Cina arriva, fa una ferrovia, poi gestisce però anche i termini dell'utilizzo. Ad esempio, i nostri bagagli sono stati tutti aperti, controllati, da personale del Laos, ma su indicazione dell'investitore. Se Lei va in Cambogia vede scritte in cinese ovunque, cioè c'è un investimento che veramente espropria il potere degli Stati membri, degli Stati sovrani, perché poi ci sono prestiti che vengono dati... Quindi Paesi, come il Laos, che è ancora un Paese comunista...Cioè anche la declinazione del comunismo con questo capitalismo sfrenato e questo utilizzo degli affari commerciali in modo spregiudicato. Dal punto di vista di chi osserva è molto interessante, però desta anche molte domande, molti interrogativi: Pag. 10una capacità di penetrazione pazzesca, anche perché la Via della seta... Cioè in Cambogia i cinesi fanno le dighe, le ferrovie, i porti, gli aeroporti; se vai a vedere è un po' quello che fanno in America Latina e che hanno tentato di fare anche qui.
  Allora noi dobbiamo capire questo soft power, dal vostro osservatorio, che dimensioni sta assumendo? Perché ogni tanto si legge su vari quotidiani internazionali quello che fa la Cina in Argentina: in Argentina la Cina sta avendo un ruolo determinante, anche nella gestione – temo, ma Lei me lo saprà dire adesso – del disastro economico che Milei ha davanti.
  Quindi io volevo una valutazione di prospettiva, di come una superpotenza come la Cina, col suo soft power – utilizzando l'aspetto commerciale – si sta allargando e come se poi noi tutto questo lo vediamo solo in minima parte. Ecco, vorrei capire se voi lo vedete invece con una visione più allargata e più globale, omnicomprensiva, se ci fa capire un attimo le varie direttrici di modus operandi che oggi la Cina mette in atto, non solo nel sud-est asiatico, ma un po' tutto il pianeta. Grazie.

  PRESIDENTE. Direttore vuole rispondere o raccogliamo un po' di domande?

  RAFFAELE LANGELLA, Direttore Generale di Confindustria. Posso cominciare a rispondere a queste magari. Breve cenno a quanto osservato dall'onorevole Della Vedova.
  Personalmente – ma so che questa è un'opinione condivisa anche da parte degli altri colleghi di Confindustria, dai vertici politici dell'associazione – ritengo che il multilateralismo sia l'unica ancora di salvezza per l'Unione europea e, nell'ambito dell'Unione europea, per uno Stato membro come l'Italia. Non ci sono cure alternative, nel senso che soltanto un sistema di regole multilaterali, applicate quanto più possibile a livello globale, possono consentire ad un Paese che voglia evitare di lanciarsi nella lotta nel fango commerciale, di difendere i propri valori e contemporaneamente tenere in piedi il proprio sistema produttivo, questa è l'unica soluzione che si intravede.
  Dunque, ribadisco il punto: per quanto la tentazione di ricorrere ad azioni unilaterali possa essere forte e talvolta sentita, occorre resistere e bisogna difendere il multilateralismo esistente, possibilmente portarlo su sponde aggiornate.
  A lungo si è dibattuto in OMC su come approcciare il tema dell'e-commerce. In particolare si è pensato che l'e-commerce fosse disciplinabile attraverso una estensione del perimetro del cosiddetto GATS (General Agreement on Trade in Services), cioè l'accordo che disciplina il commercio dei servizi. Ci si è arenati dopo anni di discussioni su un punto: se io sono in Austria, il mio cliente è in Italia e io cedo un servizio informatico dall'Austria all'Italia, per un servizio che magari è residente in un server australiano, qual è l'attore di riferimento? Non si è usciti da questo blocco concettuale e da allora manca una disciplina reale, vera, dell'e-commerce da parte di OMC.
  Però questo apre una finestra, secondo me, su una riflessione più ampia che dovremmo fare: l'OMC ha i suoi tempi, che sono quelli del negoziato, che sono quelli del consolidamento del consenso, che sono quelli dell'applicazione delle norme che vengono di volta in volta decise. La tecnologia ha altri tempi. Questo vale anche per l'autonomia strategica aperta dell'Unione europea, vale anche per la normativa recentemente varata dalle Istituzioni comunitarie, o meglio presa in considerazione dalle Istituzioni comunitarie, sull'intelligenza artificiale: i tempi della burocrazia, della politica, perfino del legislatore sono diversi rispetto a quelli letteralmente prorompenti e tumultuosi della tecnologia.
  Il fatto che si possa arrivare in tempi rapidi ad un accordo multilaterale sul commercio elettronico che possa essere effettivamente efficace ed implementabile, francamente mi sembra di poterlo escludere al momento. Troppo grande è la differenza degli interessi in gioco, troppo grande anche il potere contrattuale di diversi partner all'interno dell'OMC.
  Sulla Cina: ha citato l'influenza cinese, il soft power cinese nell'area, un'area – il sud-est asiatico – che incidentalmente conosco piuttosto bene; è vero, non soltanto Pag. 11nel sud-est asiatico ma anche in altri in altre regioni, a cominciare dall'Africa ad esempio. I cinesi ormai stanno finanziando dei progetti letteralmente ciclopici, che soltanto loro possono finanziare a quelle condizioni, anche in termini di costo. I Governi locali spesso sono volentieri attratti dalla possibilità di ricorrere a delle risorse finanziarie inaspettate, tendono a farne uso, spesso e volentieri in maniera non trasparente, e diventano in questo modo dipendenti dal Governo cinese. Cito tra tutti il progetto «123 Africa», che è un progetto che la Cina sta portando avanti nel continente africano per la realizzazione di 123 aree urbane in quarant'anni, interamente finanziate dal Governo cinese. Ora, ci rendiamo conto del fatto che la scala di questi progetti è tale da non ammettere da parte nostra alcuna replica più o meno plausibile.
  Io però vorrei soffermarmi ancora una volta su un altro aspetto del soft power cinese, conoscendo – ripeto – molto bene l'area, avendo vissuto a Singapore per quattro anni e oltre.
  Non è soltanto l'influenza finanziaria, industriale e commerciale della Cina che in questo momento è forte, ma anche l'influenza culturale: la Cina è diventata ciò che non era fino a pochi anni fa, cioè una grande potenza culturale, un grande attore di produzione culturale e sta nascendo – questa è un'osservazione personale, non ascrivibile a Confindustria – un problema di nazionalismo cinese con il quale, secondo me, prima o poi dovremo misurarci. Nel senso che le comunità cinesi – che alcuni Paesi sono particolarmente numerose, ad esempio a Singapore e anche in Cambogia o in Indonesia – si sentono sempre più parte di una nazione cinese allargata. Il successo delle Università cinesi...Insomma, questa è un'altra declinazione del soft power cinese alla quale, rispetto alla prima che invece richiede l'impiego di risorse finanziarie imponenti, noi potremmo reagire forse in maniera più mirata ed efficace. Cioè, resistere sul piano culturale a questo tipo di attività da parte della Cina secondo me è cosa che possiamo senz'altro permetterci, grazie anche all'entità del nostro soft power in materia culturale. Quindi potremmo reagire in tempi più rapidi e forse con maggiore efficacia.

  PRESIDENTE. Onorevole Loperfido, prego.

  EMANUELE LOPERFIDO. Io sarò velocissimo, però ci tenevo a chiedere questa cosa: io sono del Friuli Venezia Giulia ed è proprio notizia di oggi: «Guerra: reshoring, le imprese a caccia di nuovi fornitori, filiere più corte»; quindi, ovviamente tutto l'interesse nei confronti dell'area balcanica, e non solo, ma anche Nordafrica. Chiaro che per facilitare questo c'è anche necessità di avere magari degli accordi per accelerare i tempi che le aziende chiedono, rispetto ai tempi che invece le Istituzioni normalmente forniscono.
  Tenendo conto che ci potrebbe essere tutto lo scibile umano, quali potrebbero essere i principali supporti alle nostre aziende per fare in modo che, accorciando la filiera, si desse supporto a loro, alla nostra economia e magari anche generare stabilità nell'area di interesse?

  PRESIDENTE. Onorevole Billi, prego.

  SIMONE BILLI. Grazie mille, anch'io sarò velocissimo, perché alle 15 si vota in Aula. Ringrazio il Direttore Langella. Volevo fare un'osservazione. Nella mia attività quotidiana sul territorio, all'estero – sono stato eletto nella circoscrizione Europa – ho notato come molto spesso nei Paesi o nelle zone dove la comunità italiana è forte è forte anche il contrasto all'Italian sounding ed è anche più forte la promozione commerciale degli interessi commerciali del nostro Paese. Non so se ha qualche commento al riguardo o se avete fatto degli studi su questa cosa.
  La seconda cosa che Le volevo chiedere riguarda il Tribunale unificato dei brevetti, di cui mi sono occupato: come Lei si ricorderà, è entrato in vigore dal 1° giugno del 2023, con delle divisioni centrali che sono a Parigi e in Germania, a Monaco; la divisione centrale di Milano dovrebbe entrare Pag. 12in funzione a breve, per ora a Milano c'è solo una divisione locale.
  Volevo sapere il vostro commento, come lo reputate e come, secondo voi, sta andando la cosa.

  PRESIDENTE. Grazie. Qualche altra domanda?

  RAFFAELE LANGELLA, Direttore Generale di Confindustria. Il primo tema evocato è un tema di grande interesse per le aziende: obiettivamente, uno dei portati del reshoring, del friendshoring, è proprio l'accorciamento delle catene globali del valore e quindi la necessità di poter contare, per certi versi, su un sistema autorizzativo più efficiente, su un quadro normativo più facilmente decifrabile; tutte cose che attengono fondamentalmente, da un lato, all'autorità regolamentare e, dall'altro, al decisore politico fondamentalmente. Quindi ciò che Confindustria chiede è obiettivamente che le procedure siano quanto più possibile semplificate e che si possa arrivare all'adozione di un sistema autorizzativo semplificato, proprio alla luce dell'urgenza di certe decisioni. Poi ovviamente tutto cambia a seconda di almeno due diversi fattori: Innanzitutto di che filiera stiamo parlando; esistono delle filiere dove il friendshoring o il reshoring è obiettivamente più facile, nel senso che se parliamo di idrocarburi fossili allora è fondamentalmente più facile effettuare il reshoring. Abbiamo visto cosa è successo con l'Algeria dallo scoppio della guerra in Ucraina, lì tutto sommato la galassia di problemi che è stato necessario risolvere era relativamente contenuta. Erano enormi problemi politici, forse meno complicati da risolvere sul piano amministrativo e sul piano autorizzativo. In media, però, un'azienda, anche un'azienda di medio-piccole dimensioni, nella maggior parte dei casi ha dei manuali che riguardano tutta la ricostruzione della catena del valore che possono arrivare a migliaia di pagine e spesso e volentieri il contenuto di questi manuali – che sono frutto dell'attività di esperti, peraltro giustamente ben retribuiti – può cambiare da un momento all'altro semplicemente per un'evoluzione tecnologica, per un cambio di corsi sul mercato... Effettivamente fa premio su tutto la rapidità nell'applicazione delle procedure, la semplificazione delle procedure che vanno applicate e, possibilmente, la prevedibilità dei processi.
  Noi – faccio un esempio – abbiamo istituito una sorta di unità di crisi in Confindustria, allo scoppio della guerra in Ucraina: il problema si è presentato nel momento in cui le Istituzioni comunitarie hanno varato i regolamenti sanzionatori contro la Russia. Fondamentalmente, i problemi erano di carattere interpretativo, spesso il legislatore comunitario deve intervenire prima ancora che si sia sedimentato abbastanza lo scenario e quindi spesso la formulazione è enorme, non è completa e perfettamente decifrabile. Il risultato è stato che, nel dubbio sulla interpretazione e sull'applicazione delle norme, anche le aziende che almeno in quella prima fase avrebbero legittimamente potuto continuare la loro attività in Russia si sono astenute dal farlo. C'erano obiettivamente delle difficoltà interpretative, difformità interpretative, con uffici doganali magari distanti poche centinaia di chilometri che applicavano la stessa norma in maniera diversa e c'erano soprattutto delle lacune nella normativa che non spetta all'operatore colmare.
  Un esempio che valga per tutti: l'elenco delle persone rispetto alle quali non era possibile entrare in rapporti commerciali, cioè la cosiddetta black list degli operatori russi. Sacrosanta, il problema è che per come è stata varata dall'Unione europea era di fatto impossibile – se non sopportando un rischio probabilmente eccessivo per una piccola o media azienda – svolgere qualunque attività commerciale con qualunque soggetto russo, perché bisognava ricostruire tutta la catena di partecipazioni di quel soggetto. Per cui Raffaele Langella, anche se non era iscritto nella black list varata dalla Commissione, poteva essere in qualche maniera collegato ad un'azienda che invece era iscritta in black list e la ricostruzione di questi giochi di partecipazione, spesso e volentieri acrobatici, scoraggiava la maggior parte degli operatori Pag. 13economici. Noi abbiamo cercato di aiutarli, però questo è il classico esempio di come probabilmente la vita delle imprese potrebbe essere semplificata con una formulazione più corretta, più precisa dei margini di applicazione di una normativa.
  Infine – termino qui prima di rispondere all'onorevole Billi –, un ruolo fondamentale ce l'hanno anche gli accordi di libero scambio; sono degli accordi molto importanti, soprattutto quelli WTO plus che l'Unione europea sta stipulando con Paesi che erano fuori dal radar dell'Unione europea. Due anni fa è entrato in vigore l'accordo con Singapore e lì esistono dei meccanismi non soltanto di semplificazione delle procedure, ma che prevedono anche la disapplicazione delle procedure, perché c'è una convergenza regolamentare. Cioè, se io so che lo standard è stesso tra Unione europea e Singapore, se devo esportare un bene verso Singapore o da Singapore verso l'Unione europea, sarò agevolato dal fatto che, verosimilmente, anche i controlli che verranno effettuati sulle mie spedizioni saranno molto più rapidi e certi negli esiti. Quindi questo è un aspetto sul quale occorrerebbe insistere, a maggior ragione sull'Unione europea, sulla Commissione, proprio se vogliamo salvaguardare quel sistema di governance del sistema multilaterale degli scambi che sta a cuore a tutti.
  Sull'Italian sounding Confindustria è ovviamente fortemente impegnata. Ci sono intere filiere nazionali che sono direttamente travolte dall'Italian sounding. È vero anche che dove c'è una comunità italiana più ampia c'è forse una vigilanza maggiore rispetto all'Italian sounding. Però su questo... L'Italian sounding è terribilmente insidioso, nel senso che è molto difficile capire quando si può effettivamente intervenire, quando si è legittimati a farlo. Parliamo magari di protezione dell'indicazione geografica, che forse è un tema meglio definito da un punto di vista normativo. Anche lì, gli accordi di nuova generazione, le zone di libero scambio forniscono uno strumento formidabile. Ancora una volta, lo dico perché l'ho riletto qualche giorno fa e quindi è quello che mi viene in mente, oltre che per motivi personali, ma l'accordo con Singapore ha portato all'introduzione di un registro a tutela delle indicazioni d'origine europee in un Paese che non conosceva neppure il concetto di denominazione di origine. Conosciamo tutti Singapore, è una cosa lontana anni luce rispetto... Bisogna avere molta pazienza, bisogna insistere, non è ancora forse maturo il momento in cui sarà possibile arrivare a una normativa che abbia una sua applicabilità globale, però già se si comincia a lavorare con i nostri principali partner commerciali si creano le premesse perché questo un giorno possa accadere.
  Sul Tribunale dei brevetti, ovviamente aspettiamo, siamo molto fiduciosi che il processo si concluda nelle modalità auspicate, cioè che Milano possa trovare una centralità anche all'interno del sistema europeo del Tribunale dei brevetti. Lo aspettiamo con aspettative molto alte, nella convinzione che tutto ciò che rafforza la proiezione italiana nel contesto comunitario non faccia altro che beneficiare l'intero sistema produttivo nazionale. Quindi, il fatto che Milano trovi anche su questo fronte – peraltro un fronte di grandissimo interesse per le nostre imprese, la proprietà intellettuale – una sua centralità, noi ovviamente lo valutiamo con estremo favore e speriamo insomma che il processo si concluda in maniera positiva.

  PRESIDENTE. Grazie Direttore. Se non ci sono altre domande, anche per questioni di votazioni in Aula, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.