CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 14 marzo 2024
269.
XIX LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giunta per le autorizzazioni
COMUNICATO
Pag. 3

GIUNTA PLENARIA

  Giovedì 14 marzo 2024. — Presidenza del presidente Enrico COSTA.

  La seduta comincia alle 8.35.

AUTORIZZAZIONI AD ACTA

Domanda di autorizzazione al sequestro di corrispondenza concernente i deputati Bonifazi e Boschi nonché Luca Lotti, deputato all'epoca dei fatti, proveniente dal GUP presso il Tribunale di Firenze (proc. penale n. 1227/22 RGNR – n. 777/22 RG GIP – Doc. IV, n. 2).
(Seguito dell'esame e rinvio).

  La Giunta riprende l'esame della richiesta in titolo, rinviato da ultimo il 28 febbraio 2024.

  Enrico COSTA, presidente e relatore, ricorda che l'ordine del giorno reca il seguito dell'esame di una domanda di autorizzazione al sequestro di corrispondenza concernente i deputati Francesco Bonifazi e Maria Elena Boschi nonché Luca Lotti, deputato cessato dal mandato (Doc. IV, n. 2). Tale domanda – inviata dal GUP del Tribunale di Firenze – trae origine da un procedimento penale in corso presso il medesimo Tribunale nei confronti, tra gli altri, degli on. Boschi e Lotti (procedimento n. 1227/22 RGNR – 777/22 RGGIP). Fa presente che, invece, l'on. Bonifazi non è indagato.
  Rammenta inoltre che, come concordato nella precedente riunione del 28 febbraio scorso, la seduta di oggi sarà dedicata alla formulazione della sua proposta alla Giunta. Informa quindi i colleghi che, nella seduta di ieri, la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato ha approvato la proposta del relatore, sen. Durnwalder, di rigettare la corrispondente richiesta di autorizzazione al sequestro di corrispondenza del sen. Renzi, inviata dal medesimo GUP presso il Tribunale di Firenze.

  1. Prima di illustrare il contenuto della sua proposta, gli sembra opportuno riepilogare brevemente le tappe più significative che la Giunta ha percorso prima di pervenire alla fase conclusiva del procedimento in esame. A tal fine, ricorda in particolare che:

   a) nella seduta del 14 dicembre 2023, ha esposto l'oggetto della richiesta di autorizzazionePag. 4 al sequestro proveniente dal GUP presso il Tribunale di Firenze nonché i più significativi principi individuati dalla giurisprudenza costituzionale e dalla prassi parlamentare in materia di autorizzazioni ad acta previste dall'articolo 68, secondo e terzo comma, della Costituzione. All'esito di tale seduta, i Gruppi presenti hanno convenuto all'unanimità di invitare l'Autorità giudiziaria procedente a integrare la documentazione trasmessa inviando alla Camera anche la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti degli onn. Boschi e Lotti nonché la richiesta di sequestro probatorio della corrispondenza di tali parlamentari formulate dalla Procura di Firenze;

   b) nella seduta del 18 gennaio 2024, ha sintetizzato i contenuti delle predette richieste di rinvio a giudizio e di sequestro di corrispondenza, trasmesse alla Camera il 4 gennaio. All'esito di tale seduta, tutti i Gruppi presenti hanno convenuto sull'opportunità di acquisire anche le sentenze che la Corte di cassazione ha adottato, tra il 2020 e il 2022, in relazione ai sequestri probatori disposti dalla Procura di Firenze nell'ambito dell'inchiesta sulla Fondazione Open; si tratta, infatti, di decisioni che hanno consentito di comprendere più a fondo le questioni giuridiche sottese al caso che stiamo esaminando. Tali sentenze – e in particolare la n. 12094, la n. 28796, la n. 30225 e la n. 34265 del 2020; nonché le sentenze n. 29409 del 2021 e n. 11835 del 2022 – sono state trasmesse a tutti i membri della Giunta;

   c) nella seduta del 7 febbraio 2024, la Giunta ha ascoltato l'on. Bonifazi ai sensi dell'articolo 18 del Regolamento. Nella stessa seduta egli ha altresì sintetizzato i contenuti delle note scritte inviate dagli onn. Boschi e Lotti il precedente 5 febbraio, che sono state peraltro messe a disposizione dei componenti della Giunta;

   d) nelle sedute del 20 e del 28 febbraio 2024, la Giunta si è confrontata su quelle che sono state individuate come le principali questioni sottese alla richiesta di autorizzazione in esame.

  2. Ciò premesso – e alla luce del dibattito sinora svoltosi – propone alla Giunta di negare al GUP presso il Tribunale di Firenze l'autorizzazione a sequestrare la corrispondenza dei deputati Bonifazi, Boschi e Lotti, così come indicata nel prospetto trasmesso alla Camera il 23 novembre 2023.
  I motivi che lo inducono a formulare tale proposta di diniego sono essenzialmente tre e consistono nel fatto che la predetta richiesta di autorizzazione al sequestro:

   a) è stata trasmessa alla Camera solo dopo l'effettiva acquisizione della corrispondenza dei parlamentari, che è già avvenuta durante le indagini preliminari, in violazione di quanto stabilisce l'articolo 4 della legge n. 140 del 2003 (v. punto 3);

   b) presenta chiari indizi di fumus persecutionis nei confronti dei deputati interessati (v. punto 4);

   c) non è ispirata all'esigenza del «sacrificio minimo indispensabile dei valori di libertà e indipendenza della funzione parlamentare», che la giurisprudenza costituzionale richiede con riferimento alle autorizzazioni ad acta di cui all'articolo 68, secondo e terzo comma, della Costituzione (v. punto 5).

  Nei paragrafi che seguono va a illustrare, per ciascuno dei predetti motivi, gli argomenti che militano a sostegno delle conclusioni indicate.

  3. Con riferimento al primo motivo anticipato al punto 2, gli sembra innanzitutto opportuno ricordare – in via preliminare e generale – che, secondo quanto afferma la Corte costituzionale (sentenza n. 390 del 2007), l'autorizzazione ad acta di cui all'articolo 68, secondo e terzo comma, della Costituzione «postula un controllo sulla legittimità dell'atto da autorizzare [da parte delle Camere competenti], a prescindere dalla considerazione dei pregiudizi che la sua esecuzione può comportare al singolo parlamentare. Il bene protetto si identifica, Pag. 5infatti, con l'esigenza di assicurare il corretto esercizio del potere giurisdizionale nei confronti dei membri del Parlamento». Infatti – prosegue la Corte costituzionale – «l'art. 68 Cost. mira a porre a riparo il parlamentare da illegittime interferenze giudiziarie sull'esercizio del suo mandato rappresentativo; a proteggerlo, cioè, dal rischio che strumenti investigativi di particolare invasività o atti coercitivi delle sue libertà fondamentali possano essere impiegati con scopi persecutori, di condizionamento, o comunque estranei alle effettive esigenze della giurisdizione». Analogamente, in un'altra decisione (la n. 188 del 2010), la Consulta ha affermato che, in sede di esame della richiesta di autorizzazione proveniente dall'Autorità giudiziaria, le Camere sono chiamate a valutare la sussistenza dei «requisiti di legalità costituzionale» della richiesta medesima.
  Con specifico riguardo al sequestro di corrispondenza dei parlamentari (che è il caso che pacificamente ricorre nella fattispecie), la Consulta ha indicato con estrema chiarezza – nella sentenza n. 170 del 2023 – quali debbano essere le condizioni e i requisiti procedurali che l'Autorità giudiziaria deve rispettare affinché la richiesta di autorizzazione possa essere considerata legittima sotto il profilo costituzionale. In particolare, la Corte ha innanzitutto sottolineato che l'autorizzazione al sequestro (ove appunto riguardi la corrispondenza di parlamentari) è regolata esclusivamente dall'articolo 68, terzo comma, della Costituzione e dall'articolo 4 della legge n. 140 del 2003, ma non anche – neppure in via di estensione analogica – dall'articolo 6 della medesima legge. Da ciò consegue – chiarisce ancora la Consulta – che l'Autorità giudiziaria sia tenuta a chiedere tale autorizzazione alla Camera competente solo prima di eseguire il sequestro, non essendo prevista né dalla legge né dalla Costituzione la possibilità di un'autorizzazione successiva, che è invece riconosciuta dal citato articolo 6 della legge 140 del 2003 esclusivamente con riguardo alle cosiddette intercettazioni casuali delle comunicazioni dei parlamentari.
  Del resto, il menzionato articolo 4, comma 2, della legge n. 140 del 2003, nel disciplinare il sequestro di corrispondenza nei confronti dei membri del Parlamento, stabilisce che l'autorizzazione debba essere richiesta dall'autorità che ha emesso il provvedimento «da eseguire» e che «in attesa dell'autorizzazione, l'esecuzione del provvedimento rimane sospesa».
  La Consulta ha poi precisato che – ove si tratti di «contenitori» di dati informatici appartenenti a terzi (telefoni cellulari, computer o di altri dispositivi) nella cui memoria siano conservati messaggi inviati in via telematica a un parlamentare o da lui provenienti – gli organi inquirenti debbono ritenersi abilitati a disporre, in confronto al terzo non parlamentare, il sequestro di tali «contenitori». Tuttavia – sottolinea la medesima Corte – «nel momento in cui riscontrano la presenza in essi di messaggi intercorsi con un parlamentare, [i medesimi organi inquirenti] debbono sospendere l'estrazione di tali messaggi dalla memoria del dispositivo (o dalla relativa copia) e chiedere l'autorizzazione della Camera di appartenenza del parlamentare, a norma dell'art. 4 della legge n. 140 del 2003, al fine di poterli coinvolgere nel sequestro». Sempre secondo la Consulta, «l'autorizzazione va chiesta a prescindere da ogni valutazione circa la natura “mirata” od “occasionale” dell'acquisizione dei messaggi del parlamentare, operata tramite l'apprensione dei dispositivi appartenenti a terzi». Infatti, «la distinzione tra captazioni “indirette” e captazioni “occasionali” – con limitazione alle prime dell'obbligo di richiedere l'autorizzazione preventiva all'esecuzione dell'atto, ai sensi dell'art. 4 della legge n. 140 del 2003 (sentenza n. 390 del 2007; in senso conforme, sentenze n. 157 del 2023, n. 38 del 2019, n. 114 e n. 113 del 2010) – non è riferibile alla fattispecie di sequestro di corrispondenza riguardante i parlamentari. A differenza delle intercettazioni – le quali consistono in una attività, prolungata nel tempo, di captazione occulta di comunicazioni o conversazioni che debbono ancora svolgersi nel momento in cui l'atto investigativo è disposto – il sequestro è finalizzato all'acquisizione uno actu di messaggi comunicativi già avvenuti. Una Pag. 6volta riscontrato che si tratta di messaggi di un parlamentare, o a lui diretti, diviene quindi in ogni caso operante la guarentigia di cui all'articolo 68, terzo comma, della Costituzione».
  Nel caso all'esame della Giunta, la declinazione delle regole enunciate dal Giudice delle leggi induce a ritenere che la richiesta di autorizzazione inviata dal GUP presso il Tribunale di Firenze si ponga al di fuori del quadro costituzionale che disciplina il sequestro di corrispondenza dei parlamentari e segnatamente dell'articolo 68, terzo comma, della Costituzione e dell'articolo 4 della legge n. 140 del 2003.
  Infatti, nella richiesta pervenuta alla Camera il 23 novembre 2023, il medesimo GUP afferma espressamente che la corrispondenza degli onn. Bonifazi, Boschi e Lotti – oggetto della istanza di autorizzazione – è già stata estratta dai dispositivi elettronici sequestrati ai terzi. Dai prospetti allegati alla stessa domanda e dall'ulteriore documentazione inviata alla Giunta il 4 gennaio 2024, si evince poi chiaramente che le altre comunicazioni intercorse via e-mail tra i predetti parlamentari, di cui si chiede il sequestro, sono state già acquisite in forma cartacea nel corso delle perquisizioni riguardanti altri imputati nel medesimo procedimento penale. Inoltre – come emerge dalla richiesta di rinvio a giudizio che indica, tra le fonti di prova, anche le acquisizioni documentali conseguenti alle attività di perquisizione e sequestro, e come d'altra parte risulta dalle note scritte inviate dagli onn. Boschi e Lotti nonché dall'audizione dell'on. Bonifazi – la corrispondenza dei parlamentari in questione è già stata trasmessa dai pubblici ministeri al GUP unitamente alla richiesta di rinvio a giudizio e fa tuttora parte del fascicolo dell'udienza preliminare.
  Alla luce delle considerazioni che precedono e tenuto ancora una volta conto dei principi contenuti nella fondamentale sentenza della Corte costituzionale n. 170 del 2023, appare chiaro che il GUP presso il Tribunale di Firenze chiede – sì – di essere autorizzato a disporre il sequestro probatorio di corrispondenza di parlamentari, ma che tale sequestro è già stato eseguito nel corso delle indagini preliminari. In realtà, quindi, il medesimo GUP chiede nella sostanza – a sequestro avvenuto – di essere autorizzato ad utilizzare processualmente la corrispondenza già acquisita all'esito di precedenti atti investigativi; in definitiva, cioè, egli chiede una sorta di «autorizzazione in sanatoria». Ciò, però, contrasta con quanto affermato dalla Corte costituzionale che, nella sentenza n. 170 del 2023 più volte richiamata, ha stabilito che «l'autorizzazione resta pur sempre preventiva rispetto al sequestro di corrispondenza, senza trasformarsi in una autorizzazione ex post ai fini dell'utilizzazione processuale delle risultanze di un atto investigativo già eseguito: autorizzazione che l'articolo 6 della legge n. 140 del 2003 prevede solo in rapporto alle intercettazioni e all'acquisizione di tabulati telefonici e non pure al sequestro di corrispondenza».
  Al riguardo, si tenga peraltro presente che, ad avviso della Corte costituzionale, la necessità dell'autorizzazione preventiva al sequestro di corrispondenza «non prefigura un privilegio del singolo parlamentare in quanto tale (...) ma una prerogativa strumentale [...] alla salvaguardia delle funzioni parlamentari, volendosi impedire che intercettazioni e sequestri di corrispondenza possano essere “indebitamente finalizzat[i] ad incidere sullo svolgimento del mandato elettivo, divenendo fonte di condizionamenti e pressioni sulla libera esplicazione dell'attività” (sentenza n. 390 del 2007; in senso analogo, sentenze n. 38 del 2019 e n. 74 del 2013, ordinanza n. 129 del 2020). (...) Condizionamenti e pressioni sulla libera esplicazione del mandato parlamentare possono bene derivare, infatti, anche dalla presa di conoscenza dei contenuti di messaggi già pervenuti al destinatario».

  4. Con riferimento al secondo motivo anticipato al punto 2, ritiene che la richiesta dell'Autorità giudiziaria di Firenze sia caratterizzata dalla presenza del fumus persecutionis in senso oggettivo. Secondo la prassi parlamentare, tale fumus ricorre ove emergano «oggettivi indici sintomatici di un uso distorto delle funzioni giudiziarie, quali vizi procedurali gravi, o carenze nella motivazione o una manifesta infondatezza dell'azionePag. 7 giudiziaria, tali da rivelare un utilizzo abnorme degli strumenti giudiziari» (così il DOC. IV, n. 6-A della XVII legislatura; nello stesso senso si veda, per la Camera: DOC. IV, n. 4-A della XVIII legislatura; per il Senato, v. DOC. IV, n. 14-A della XVII legislatura; DOC. IV, n. 13-A della XVII legislatura; DOC. IV, n. 9-A della XVII legislatura. Si vedano, inoltre le sentenze della Corte costituzionale n. 390 del 2007, n. 188 del 2010 e n. 74 del 2013).
  Le ragioni che depongono a favore di tale conclusione si rinvengono essenzialmente dall'analisi delle menzionate sentenze della Corte di cassazione (n. 28796, n. 30225 e n. 34265 del 2020; n. 29409 del 2021 e n. 11835 del 2022) e consistono nel fatto che:

   1) in tre sentenze pronunciate una di seguito all'altra, la medesima Corte di legittimità ha ritenuto insussistente il fumus del reato di illecito finanziamento ai partiti, che è alla base dell'indagine penale in corso (v. par. 4.1.);

   2) nelle stesse sentenze i giudici della Cassazione hanno annullato analoghi decreti di sequestro probatorio (per manifesta sproporzione e perché caratterizzati da finalità meramente esplorative), che erano stati disposti dalla Procura di Firenze (e peraltro confermati dal Tribunale del riesame) nell'ambito della stessa inchiesta da cui trae origine la richiesta di sequestro in parola (v. par. 4.2.).

  4.1. Il primo indice sintomatico del fumus persecutionis consiste dunque nel fatto che la Corte di cassazione ha escluso per ben tre volte di seguito (v. sentenze 28796 del 2020; n. 29409 del 2021 e n. 11835 del 2022) la sussistenza del fumus del reato di illecito finanziamento ai partiti (articolo 7 della legge n. 195 del 1974 e articolo 4 della legge n. 659 del 1981) nell'ambito della stessa inchiesta da cui trae origine la richiesta al sequestro di cui la Giunta si sta occupando. Ciò, essenzialmente per i due motivi che espone di seguito.

   a) Non dimostrata natura di articolazione politico-organizzativa di partito della Fondazione Open.

  Nelle sentenze appena citate la Cassazione ha affermato innanzitutto che l'Autorità giudiziaria (Procura e Tribunale del riesame di Firenze) non avrebbe adeguatamente provato quello che è un pilastro fondamentale dell'accusa e cioè che la Fondazione Open fosse una articolazione politico-organizzativa di partito, come tale rilevante ai sensi e per gli effetti del citato articolo 7 della legge n. 195 del 1974. La Corte ha sottolineato, in particolare, che la magistratura inquirente non avrebbe dato adeguata dimostrazione del fatto – ritenuto essenziale ai fini della configurabilità del reato di illecito finanziamento – che la Fondazione Open fosse uno «strumento nelle mani del partito o di suoi esponenti» e che vi fosse una «simbiosi operativa» tra i due enti. Ciò, in quanto non sarebbe stata tenuta in sufficiente considerazione una cospicua attività della Fondazione di promozione di iniziative culturali e politiche, autonoma e distinta da quella del partito.
  Chiamata per la terza volta a stabilire se il Tribunale del riesame di Firenze si fosse attenuto ai principi stabiliti nelle due precedenti sentenze di annullamento con rinvio (n. 28796 del 2020 e n. 29409 del 2021), la Corte di cassazione ha definitivamente annullato – senza rinvio – i decreti di sequestro disposti dalla Procura. Nella menzionata pronuncia n. 11835 del 2022 la Corte ha di nuovo censurato l'operato del Tribunale del riesame di Firenze sottolineando che tale Ufficio giudiziario – nel qualificare la Fondazione Open quale «articolazione politico-organizzativa del Partito Democratico», in ragione della funzione asseritamente servente dalla stessa svolta in favore della cosiddetta corrente renziana – «non ha precisato sotto quale profilo la concreta attività della Fondazione avrebbe esorbitato l'ordinaria attività di una fondazione politica e l'ambito dell'agire lecito delineato dall'articolo 5, comma 4, del decreto-legge n. 149 del 2013, nel testo vigente all'epoca dei fatti. Questa disposizione, infatti, espressamente riconosce e consente che le fondazioni di partito possano raccogliere fondi, erogare somme a titolo di liberalità e contribuire al finanziamento di iniziative in favore di partiti, movimenti politici o loro Pag. 8articolazioni interne o di parlamentari o consiglieri regionali, in misura superiore al dieci per cento dei propri proventi di esercizio dell'anno precedente. Il giudice del rinvio, dunque, in ossequio ai principi affermati dalle sentenze rescindenti, avrebbe dovuto, in via preliminare, verificare se l'attività della Fondazione Open avesse esorbitato o meno dall'ambito fisiologico della fondazione politica delineato dal legislatore e solo successivamente verificare se l'eventuale presenza di una attività distonica rispetto al modello legale consentisse di considerare la stessa quale “articolazione politico-organizzativa del Partito Democratico (corrente renziana)”. Il Tribunale del riesame di Firenze, nel provvedimento impugnato, ha, invece, invertito i poli logici della verifica giudiziale allo stesso demandata, prescindendo nella verifica della operatività della Fondazione Open dal confronto con il modello delineato dal legislatore per le fondazioni politiche. Il giudice del rinvio, obliterando lo statuto legislativo delle fondazioni politiche, ha, pertanto, considerato la Fondazione Open una “articolazione politico-organizzativa del Partito Democratico” esclusivamente in ragione della funzione asseritamente servente dalla stessa svolta in favore della corrente renziana. L'erogazione di finanziamenti e di servizi a titolo gratuito nei confronti di un partito o di un parlamentare è, tuttavia, espressamente contemplata dall'articolo 5, comma 4, del decreto-legge n. 149 del 2013 e, dunque, non può essere invocata per dimostrare che una fondazione politica abbia esondato dall'ambito fisiologico della propria attività».

   b) Non dimostrata natura illecita dei contributi in denaro erogati alla Fondazione Open.

  L'ulteriore motivo per cui la Corte di cassazione ha ritenuto insussistente il fumus commissi delicti ipotizzato dalla Procura di Firenze consiste nel fatto che tale Ufficio giudiziario (così come successivamente il Tribunale del riesame) non avrebbe dimostrato il carattere illecito del finanziamento erogato alla Fondazione Open. Il particolare, la suprema Corte ha sottolineato che «il Tribunale del riesame ha obliterato che nel delitto di illecito finanziamento ai partiti il perimetro dell'area del penalmente rilevante muta a seconda della natura del soggetto contributore e, segnatamente, a seconda che sia un soggetto pubblico (o a partecipazione pubblica) o una società privata e che, in tal caso, illecita non è l'erogazione del contributo in sé considerata ma l'inosservanza all'obbligo di trasparenza sub specie di adozione di una delibera assembleare e di iscrizione del finanziamento in bilancio» (sentenza n. 11835 del 2022). In effetti, nella richiesta di rinvio a giudizio, non è neppure fatta menzione della circostanza che i contributi finanziari erogati alla Fondazione Open – oggetto dell'ipotizzato finanziamento occulto illecito – non sarebbero stati deliberati dai competenti organi societari né iscritti nel bilancio (circostanze, queste, che rappresentano gli elementi costitutivi del reato di cui all'articolo 7 della legge n. 195 del 1974 e all'articolo 4 della legge n. 659 del 1981).

  4.2. Il secondo indizio sintomatico della sussistenza del fumus persecutionis nel caso concreto è rappresentato dal fatto che la Corte di cassazione – nelle sentenze prima richiamate – ha giudicato sproporzionati, e caratterizzati da meri fini esplorativi di notizie di reato, altri (analoghi) sequestri disposti dalla Procura di Firenze nell'ambito della stessa indagine da cui scaturisce la richiesta in esame.
  Ad esempio, nella già citata sentenza n. 34265 del 2020, la Corte critica il fatto che «il Tribunale [del riesame], che pure era stato investito di specifiche questioni relative alla pertinenza delle cose sequestrate ed alla adeguatezza e proporzionalità del mezzo di ricerca della prova, non ha spiegato (...) perché, a fronte di isolati versamenti in favore della Fondazione Open da parte di persone terze estranee, dovesse considerarsi legittimo, rispetto al reato per cui si procedeva (...), un sequestro onnivoro ed invasivo di una serie indifferenziata di dati personali. (...) Un sequestro, quello oggetto della ordinanza impugnata, strutturalmente asimmetrico rispetto alla notizia di reato per cui si procedeva, rispetto al fatto per cui si investigava, rispetto al ruolo che in detto fatto Pag. 9avrebbero avuto gli odierni ricorrenti, rispetto al suo oggetto; un sequestro che finisce per assumere, sul piano quantitativo e qualitativo, una non consentita funzione esplorativa, finalizzata alla eventuale acquisizione, diretta o indiretta, di altre notizie di reato».
  Analogamente, nella menzionata sentenza n. 11835 del 2022, la Corte afferma che «la generalizzata acquisizione del materiale informatico (...) pare, dunque, irrelata rispetto alle verifiche documentali necessarie per affermare la sussistenza del reato di finanziamento illecito dei partiti, tanto da fare assumere al vincolo cautelare reale carattere esplorativo e sproporzionato (sul punto, ex plurimis: Sez. 6, n. 34265 del 22/09/2020, Aleotti, Rv. 279949 – 02; Sez. 6, n. 56733 del 12/09/2018, Macis, Rv. 274781 – 01). (...). Tali rilievi – termina la Corte – unitamente a quelli formulati in ordine alla carenza della dimostrazione, sia pure in termini di fumus commissi delicti, del carattere illecito del finanziamento e alla distonia tra i beni in sequestro e il reato per il quale la misura cautelare è stata disposta, impongono l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata, nonché del decreto di sequestro probatorio». Conseguentemente, la Corte ha disposto la restituzione dei beni acquisiti, ivi compresa la copia integrale del contenuto dei supporti informatici (cosiddetta copia forense). Richiamando infatti una pronuncia delle Sezioni Unite in tema di sequestro di materiale informatico, (SS.UU, sentenza n. 40963 del 20/07/2017), essa ha affermato che «la mera reintegrazione nella disponibilità del titolare del bene fisico oggetto di un sequestro probatorio non elimina il pregiudizio determinato dal vincolo cautelare su diritti fondamentali certamente meritevoli di tutela, quali quello alla riservatezza e al segreto o, comunque, alla disponibilità esclusiva del patrimonio informativo, tutelati anche dall'art. 8 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e dall'art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo».
  Per concludere sul punto, ritiene quindi che, nella fattispecie in esame, la presenza del fumus persecutionis sia comprovata dal fatto che l'Autorità giudiziaria procedente ponga a fondamento della propria richiesta il medesimo impianto accusatorio che è già stato reiteratamente censurato dalla Corte di cassazione e, inoltre, chieda di avallare (peraltro ex post) l'esecuzione di un sequestro analogo a quelli che, nell'ambito della medesima inchiesta, già sono stati qualificati dalla medesima Corte di legittimità come sproporzionati e caratterizzati dalla presenza di finalità meramente esplorative, cioè di ricerca di altre notizie di reato.

  5. Con riferimento al terzo e ultimo motivo anticipato al punto 2, ritiene che la richiesta del GUP presso il Tribunale di Firenze non sia ispirata – come richiede la Corte costituzionale nella sentenza n. 188 del 2010 – all'esigenza del «sacrificio minimo indispensabile dei valori di libertà e indipendenza della funzione parlamentare».
  Al riguardo, è opportuno ribadire nuovamente che, secondo la giurisprudenza costituzionale, la capacità intrusiva degli strumenti investigativi oggetto delle autorizzazioni ad acta di cui all'articolo 68, secondo e terzo comma, della Costituzione «assume significati ulteriori laddove siano in questione le comunicazioni di un parlamentare. Non già perché la riservatezza del cittadino, che è altresì parlamentare, abbia un maggior valore, ma perché la pervasività del mezzo d'indagine in questione può tradursi in fonte di condizionamenti sul libero esercizio della funzione». In tali casi – sottolinea il Giudice delle leggi – si possono aprire «squarci di conoscenza sui rapporti di un parlamentare, specialmente istituzionali, di ampiezza ben maggiore rispetto alle esigenze di una specifica indagine, e riguardanti altri soggetti (in specie, altri parlamentari) per i quali opera e deve operare la medesima tutela dell'indipendenza e della libertà della funzione» (così la sentenza n. 38 del 2019. Con riferimento alla fattispecie in esame, ricorda peraltro che l'Autorità giudiziaria chiede di poter sequestrare anche la corrispondenza che riguarda parlamentari diversi dagli onn. Bonifazi, Boschi e Lotti, per i quali però non è stata avanzata una specifica richiesta).
  Nella stessa prospettiva la Consulta evidenzia, in un'altra decisione, che «tutti gli organi costituzionali hanno necessità di disporrePag. 10 di una garanzia di riservatezza particolarmente intensa, in relazione alle rispettive comunicazioni inerenti ad attività informali, sul presupposto che tale garanzia – principio generale valevole per tutti i cittadini, ai sensi dell'art. 15 Cost. – assume contorni e finalità specifiche, se vengono in rilievo ulteriori interessi costituzionalmente meritevoli di protezione, quale l'efficace e libero svolgimento, ad esempio, dell'attività parlamentare e di governo» (sentenza n. 1 del 2013).
  Proprio in considerazione della particolare idoneità intrusiva degli strumenti investigativi oggetto delle autorizzazioni ad acta di cui all'articolo 68, secondo e terzo comma, della Costituzione e del rischio che un uso improprio di tali strumenti possa essere indebitamente finalizzato a incidere sullo svolgimento del mandato elettivo, la Corte costituzionale esige che, nella richiesta di autorizzazione ad actum, l'autorità giudiziaria dia compiutamente conto di aver effettuato un adeguato bilanciamento degli interessi costituzionali in rilievo: da un lato quello sotteso alle esigenze investigative e, dall'altro, quello al libero e indipendente svolgimento del mandato parlamentare. Ad avviso della Consulta, serve dunque «un adeguato e specifico corredo motivazionale che possa consentire al destinatario della richiesta di valutare l'avvenuto contemperamento [da parte dell'autorità giudiziaria procedente] degli interessi in gioco. Ciò che conta è, dunque, che questo contemperamento avvenga e che le ragioni siano palesate». In proposito, la Corte si spinge pertanto ad affermare che l'autorizzazione ad actum possa essere concessa «solo se la [sua] necessità emerge in modo palese e stringente dalle prospettazioni dell'Autorità giudiziaria che, coerentemente con quanto imposto dalle esigenze di leale collaborazione tra i poteri dello Stato, deve dare conto di avere esperito le soluzioni alternative ragionevolmente ipotizzabili (...) ovvero della presumibile impraticabilità delle medesime. (...) E non vi è dubbio che la mancanza o anche solo la carenza di motivazione sul punto può costituire legittimo fondamento per il diniego dell'autorizzazione da parte della Camera competente, senza alcuna esorbitanza dai propri poteri» (sentenza n. 188 del 2010).
  Nella richiesta proveniente dall'Autorità giudiziaria, invece, non appare in alcun modo considerata l'incidenza della misura richiesta sul libero esercizio del mandato parlamentare né è giustificata l'impossibilità di ricorrere a soluzioni procedimentali alternative a un così massiccio sequestro di corrispondenza, che peraltro è intercorsa in un periodo che va dal 2011 al 2019 ancorché i reati contestati sarebbero stati commessi tra il 2014 e il 2018. Pur chiedendo di essere autorizzato a sequestrare un enorme numero di comunicazioni riguardanti deputati (circa 4.200), il GUP presso il Tribunale di Firenze sembra dare per scontato – in quanto sul punto non fornisce motivazione alcuna – che l'interesse sotteso alle esigenze investigative e probatorie dell'Autorità giudiziaria debba prevalere, integralmente e automaticamente, su quello al libero e indipendente svolgimento del mandato parlamentare. Ma tale impostazione metodologica contrasta – oltre che con i principi sopra esposti – anche con un ulteriore orientamento della giurisprudenza costituzionale, secondo cui tutti i valori fondamentali tutelati dalla Costituzione «si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri [...]. Se così non fosse, si verificherebbe l'illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe 'tiranno' nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette» (sentenza n. 85 del 2013). Per questo – prosegue la Consulta – «la Costituzione italiana, come le altre Costituzioni democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra princìpi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi, nel rispetto dei canoni di proporzionalità e di ragionevolezza» (così la sentenza n. 20 del 2017).
  Per tutte le considerazioni sinora esposte, propone alla Giunta di negare al GUP presso il Tribunale di Firenze l'autorizzazione al sequestro della corrispondenza concernente i deputati Bonifazi, Boschi e Pag. 11Lotti, contenuta nella richiesta pervenuta alla Camera il 23 novembre 2023.

  Non essendovi interventi, rinvia il seguito dell'esame a una prossima seduta che si riserva di convocare.

  La seduta termina alle 9.10.

AVVERTENZA

  Il seguente punto all'ordine del giorno non è stato trattato:

UFFICIO DI PRESIDENZA, INTEGRATO
DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI