XIX Legislatura

X Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 14 di Mercoledì 14 febbraio 2024

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'INTELLIGENZA ARTIFICIALE: OPPORTUNITÀ E RISCHI PER IL SISTEMA PRODUTTIVO ITALIANO

Audizione del Prof. Roberto Cingolani, amministratore delegato di Leonardo S.p.A.
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 3 
Cingolani Roberto , amministratore delegato di Leonardo S.p.A ... 3 
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 12 
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido (PD-IDP)  ... 13 
Maerna Novo Umberto (FDI)  ... 13 
Antoniozzi Alfredo (FDI)  ... 13 
Cavo Ilaria (NM(N-C-U-I)-M)  ... 14 
De Micheli Paola (PD-IDP)  ... 14 
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 14 
Cingolani Roberto , amministratore delegato di Leonardo S.p.A ... 14 
Gusmeroli Alberto Luigi , Presidente ... 19

Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
Azione - Popolari europeisti riformatori - Renew Europe: AZ-PER-RE;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Noi Moderati (Noi con L'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE: NM(N-C-U-I)-M;
Italia Viva - il Centro - Renew Europe: IV-C-RE;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ALBERTO LUIGI GUSMEROLI

  La seduta comincia alle 14.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la resocontazione stenografica e la trasmissione attraverso la web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Prof. Roberto Cingolani, amministratore delegato di Leonardo S.p.A.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento, l'audizione del Prof. Roberto Cingolani, amministratore di Leonardo S.p.A. nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'intelligenza artificiale: opportunità e rischi per il sistema produttivo.
  Do quindi la parola al Prof. Roberto Cingolani.

  ROBERTO CINGOLANI, amministratore delegato di Leonardo S.p.A. Grazie, presidente, buongiorno a tutti. Ben trovati, in veste diversa, ma sono contento di vedere molti di voi e vi ringrazio, come sempre, dell'opportunità di poter presentare un'opinione e dare delle informazioni alla Commissione parlamentare e quindi al Parlamento.
  Io non ho preparato uno script perché ho pensato di condividere con voi alcune informazioni e vorrei suddividere questa discussione con voi in due parti. Visto che tutti parlano di AI, vorrei affrontare – prima parte – il problema dell'infrastruttura. AI non è un qualcosa che uno ha nel suo cellulare o che può farsi in casa da solo. AI è uno strumento tecnologico avanzato, che però deve essere, se sistemico – quindi di interesse di un intero Paese – basato su un'infrastruttura. Questa infrastruttura ha una serie di cosiddetti «building box», di strumenti che servono, senza i quali un Paese non è competitivo. Vorrei analizzare rapidamente questa parte con voi.
  Poi c'è una seconda parte che, invece, è più connessa agli aspetti etico-legislativi, opportunità e così via, di cui molti parlano, sulla quale io posso aggiungere alcune opinioni da tecnico che ha lavorato con sistemi autonomi intelligenti, ma che solo si aggiungono alla pletora di opinioni che ci sono già e quindi sono più soggettive. Fatemi dunque partire un attimo con una visione di Paese avanzato che voglia essere competitivo nel mondo AI (chiamiamolo così) ma, più in generale, di tecnologie digitali.
  Noi abbiamo, un po' scolpito nella roccia e possiamo descrivere così, questo modello. Io ho bisogno di una macchina che faccia i conti, che faccia girare algoritmi, faccia molte operazioni matematiche al secondo, quindi tipicamente un computer, un supercomputer. Poi, a seconda del task, può essere il computer che ho a casa, il mio iPad, o può essere un supercomputer di grandi dimensioni. Quindi, la prima cosa è la potenza di calcolo.
  Ho bisogno di un essere umano che sviluppi gli algoritmi, perché quello al momento lo fa l'essere umano, è la componente di intelligenza naturale che serve poi ad alimentare l'intelligenza artificiale. L'algoritmo è una funzione più o meno complessa, con tanti parametri; se è una cosa molto piccola si risolve anche con un telefonino, se è una cosa molto complessa c'è Pag. 4bisogno di una potenza di calcolo estremamente elevata.
  Dopodiché, questo algoritmo normalmente cosa fa? Viene calcolato e risolto da un computer, però c'è bisogno che, in qualche maniera, l'algoritmo venga educato, cioè deve avere una base di dati importante, leggere questi dati e in qualche modo, sulla base di questi dati, attraverso algoritmi complessi, imparare qualcosa, quindi migliorarsi. Questa è l'unica cosa che veramente assomiglia all'intelligenza umana, cioè si può addestrare.
  Avere i dati vuol dire, quindi, avere una base dati molto forte: oggi la chiamiamo «cloud».
  Per cui io ho la memoria di cloud, la macchina che fa i conti – c'è un essere umano che ha fatto degli algoritmi, ma per adesso dimentichiamocelo – e questo mi consente intanto di avere, su una base di dati molto complessa, un algoritmo che prevede qualcosa dopo aver capito questi dati, averli assimilati e correlati, quindi essendo stato addestrato.
  Non basta, perché tutto ciò rimarrebbe chiuso in una stanza.
  Normalmente i dati e le decisioni che vengono prese da questo algoritmo devono andare da qualche parte. Non so: controllare un attuatore, controllare qualcos'altro che beneficerà della decisione dell'intelligenza artificiale. Per fare questo normalmente serve una rete, che non è quella solita a cui siamo abituati, dall'ADSL alla piattina, quasi sempre ormai una rete wireless, parliamo di 5G per dare un'idea (ma non è solo quella, può essere anche satellitare o altro).
  Quindi, umano che fa l'algoritmo, macchina che fa i calcoli, grande spazio di memoria su cui la macchina e l'algoritmo si addestrano. Le conclusioni entrano ed escono da questa macchina attraverso, per esempio, un 5G o una struttura wireless e in qualsiasi momento devo evitare che questo sia attaccabile e quindi devo avere che la connessione, questo trasferimento di dati, sia cyber sicuro (la famosa cybersecurity).
  Sono quattro elementi. Se il Paese vuole essere competitivo in questo settore deve avere queste quattro cose. Se non ce l'ha, non è competitivo. Ovviamente, alla base di tutto quello che vi ho raccontato, c'è una tecnologia di base, che è quella che noi chiamiamo la tecnologia elettronica, che sostanzialmente oggi è la capacità di mettere in un circuito integrato, che è poco più piccolo dell'orologio che io porto al polso, miliardi e miliardi di elementi circuitali, tipicamente transistor. Oggi i transistor che compongono i circuiti integrati, le unità logiche fondamentali, sono grandi poco più di un filamento di DNA, quindi noi in un chip, in un circuito integrato in una di queste che chiamiamo GPU, CPU eccetera, queste unità di processo, mettiamo miliardi e miliardi di transistor. Quanti più elementi ci sono nel mio elemento circuitale, più miliardi di operazioni matematiche al secondo questo elemento può fare, tanto più potente sarà il mio computer.
  Dopodiché, se andate a vedere – vi consiglio una bella cosa! – il sito Top500.org (sono i 500 supercomputer più potenti al mondo), lì è scritto quante unità di core, quanti circuiti integrati hanno, quante centinaia di migliaia di miliardi, se non addirittura miliardi di miliardi di operazioni al secondo fanno, e lì avete una mappa del mondo.
  Per un attimo parlo da amministratore delegato di un'azienda che si occupa di difesa e sicurezza. Dalla guerra in Ucraina noi abbiamo imparato che con un satellite civile, un telefono satellitare, e un drone civile, scaricando una piccola quantità di esplosivo, con un investimento di poche migliaia di euro si distrugge un carrarmato che vale 50 milioni. Questo ha fatto capire, nella tragicità e nella drammaticità della guerra, che io non discuto in questa sede, che ormai il digitale, anche quando parte da tutti oggetti civili (quindi un telefono, un satellite, un drone, uno di quelli per fare fotografie), la parte digitale sta diventando un elemento essenziale di tutto: della prevenzione, della difesa, del funzionamento della pubblica amministrazione, della telemedicina. Ormai è diventata una piattaforma tecnologica trasversale.
  Allora, primo punto, la possibilità di essere autonomi nella fabbricazione dei circuiti elettronici che ci consentono di fare Pag. 5tutto, il telefonino, il computer, eccetera. Questa noi non ce l'abbiamo, l'abbiamo persa nel tempo.
  Secondo punto. Vi ho detto dei quattro elementi. In base a dati recenti, 2023-2024, tutta la tecnologia supercomputer al momento vale circa 42 miliardi di dollari (dati 2022) e con un CAGR (tasso di crescita annuale composto, N.d.R.) dell'8 per cento è previsto arrivare intorno ai 117 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni. Quindi, stiamo parlando di 0,1 trillions, 110 miliardi di dollari, solo di macchine che fanno supercomputazione. Questi saranno i generatori di AI nei prossimi dieci anni.
  Attualmente il 53,6 per cento è nel Nord America, praticamente tutto Stati Uniti; 25 per cento in Europa; in Asia meno del 20 per cento. Nonostante in Asia ci siano due o tre delle macchine più performanti (Giappone in particolare), però in realtà gli Stati Uniti hanno un predominio che ora vi traduco in termini di numero medio di operazioni al secondo per abitante dati gli abitanti di un Paese. Se ho tanti computer che fanno miliardi di miliardi di operazioni al secondo, si chiamano exaflops, le macchine exascale, dove «exa» sta per un miliardo di miliardi, quindi le macchine che fanno un miliardo di miliardi di operazioni al secondo – saranno poche decine, ma anche di meno, si contano su due mani – e quindi se sommate la potenza di calcolo di un Paese come gli Stati Uniti, ogni cittadino americano ha una quantità di operazioni al secondo media disponibile che è all'incirca il doppio, il triplo di quello che abbiamo noi.
  Dal punto di vista dei Paesi, quindi non dei continenti, gli Stati Uniti hanno mediamente cinque exaflops, cioè 5 miliardi di miliardi di operazioni al secondo, questa è la loro potenza di calcolo totale; il Giappone ha 870 milioni di miliardi di operazioni al secondo; la Cina 770 milioni di miliardi di operazioni al secondo; la Finlandia mezzo miliardo di operazioni al secondo. L'Italia, che ha avuto una recentissima crescita rapidissima, grazie al privato, compresi noi, ma anche al grande computer rinnovato del CINECA, è arrivata a 460 milioni di miliardi di operazioni al secondo. Quindi, in realtà, come potenza di calcolo saremmo i quinti al mondo, che è rimarchevole, perché se andate a vedere la potenza di calcolo per persona (adesso non ho il dato esatto), se l'America con 350 milioni di abitanti ha 5 miliardi di miliardi di operazioni al secondo e noi con 60 milioni ne abbiamo 460, diciamo che abbiamo circa la metà del pro capite. Niente male, tenuto conto che è un asset così importante.
  Esprimerei una certa soddisfazione sulla sensibilità che il nostro Paese ha avuto. Non è sufficiente per essere proprio world leading, però c'è una crescita esponenziale negli ultimi anni.
  Dove – scusatemi il termine un po' confidenziale – «butta male» è sull'altra componente, cioè sulla memoria. Siamo molto forti sul calcolo, abbiamo dei bravissimi umani che fanno algoritmi, perché la nostra scuola è ottima, ma sulla parte cloud, quella che dovrebbe garantirci il grande deposito di informazioni – è una parte che va intorno ai 100 miliardi di dollari a fine decennio, quindi anche questa è grossa, cresce al 17 per cento di CAGR, quindi roba grossa – purtroppo qui l'informazione è tutta US: Amazon, Microsoft, Google, Oracle, IBM sono le prime; in mezzo c'è Alibaba, unica cinese. Capite che in questa mappa del mondo che io chiamo «digitale», chiaramente in Nord America c'è metà della potenza di calcolo mondiale, l'Italia se la gioca bene su questo, ma è marginale in questo discorso; gli Stati Uniti hanno quasi tutta la memoria di massa.
  Questo è importante perché vorrei che fosse chiaro che, se io ho memoria di massa, ho tutte le informazioni possibili e immaginabili a disposizione, accessibili H24, e con quella potenza di calcolo sono in grado di istruire algoritmi di tutti i tipi, dalla sanità alla pubblica amministrazione, alla difesa, ai sistemi finanziari, alle previsioni del tempo. Vi è chiaro come funziona: se ho un database con tutte le informazioni, ad esempio, meteorologiche, io posso addestrare i miei algoritmi con quelle statistiche in modo che dopo un po' diventino estremamente precisi, non sulle 24 ore, addirittura su una settimana, che è la capacitàPag. 6 di un Paese avanzato di prevedere. Prevedere cosa? Qualunque cosa. Io parlo di previsioni atmosferiche perché forse è l'argomento più semplice, ma immaginate la previsione finanziaria o addirittura la simulazione di cose molto complesse come, per esempio, uno scenario di combattimento o delle previsioni finanziarie molto rilevanti o la medicina. Oggi si può simulare l'interazione di un farmaco con una proteina, per esempio, responsabile di qualche processo letale, dal punto di vista medico, dell'umano, e io posso simulare questa cosa senza farlo nel laboratorio di chimica. I vaccini Covid sono stati accelerati anche dal fatto che sono stati simulati. Pensate un chemioterapico che viene sviluppato in 18 mesi con le simulazioni invece che in anni e anni di prova e riprova. Una volta che la simulazione funziona, se ci azzeccano, se è precisa, dopo mi accelera tutta la parte che viene a valle, cioè di sintetizzare la molecola e fare le prove cliniche: ma così io ho risparmiato dieci anni di simulazione. Questo è un impatto sulla sicurezza, sul benessere delle persone, sull'ambiente, sulle finanze, quindi in generale sul PIL, che è enorme.
  Noi sul cloud siamo totalmente fuori. Vi ricordo che l'Europa non è riuscita ancora a far partire Gaia-X che doveva essere il cloud europeo, tantomeno i 27 Stati membri sono riusciti a farlo. Vi ricordo che non è sufficiente avere una supermemoria. Tra l'altro, fare una memoria non è neanche troppo costoso. Il problema è che il dato sensibile del cittadino, sanitario, finanziario e in generale sicurezza, difesa, questi tre dati devono essere garantiti, veramente sicuri per i cittadini, altrimenti è un disastro. Io ho un cloud potentissimo come Leonardo, l'abbiamo messo su da poco, è una macchina stratosferica, però io sono un'azienda quotata sul mercato, non posso avere i vostri dati. O lo Stato mi chiede, con un accordo specifico, di custodire ad esempio dei dati sulla difesa, oppure in realtà da privato non li posso tenere io. Scusatemi, in fondo, io potrei dirvelo come azienda controllata, avendo il MEF dentro, che potrei dare delle garanzie. In realtà, noi casomai andiamo a mettere i nostri dati da un grande provider americano (i nomi li conoscete, Amazon, Microsoft, Google) e loro ci garantiscono riservatezza e sicurezza, eccetera. Capite, però, che sono i vostri dati, sono i vostri risparmi informativi. Questa è la valuta del futuro.
  E questo è un problema che ci dobbiamo porre: cosa facciamo per garantire il cloud ai cittadini, il cloud protetto, prima a livello domestico e poi a livello europeo, se vogliamo essere un continente che conta. E su questo siamo indietro, nonostante si parli di un mercato che va verso i 100 miliardi di euro a fine decennio. Quindi, non è che stiamo parlando di una robetta c'è anche una prospettiva di mercato. Voi siete la Commissione industria, quindi, al di là della filosofia di certe scelte, io ho parlato di mercati da 100 miliardi, nei prossimi anni, con CAGR che vanno dall'8 al 17 per cento. Stiamo parlando di roba molto grossa. Tra l'altro, noi facciamo aerei e questi numeri, su cose complicatissime come gli aerei, come gli elicotteri, come i satelliti, dove ci sono investimenti enormi per la ricerca e sviluppo, in realtà alla fine sul lungo termine il digitale ha capitalizzazioni più bassa, quindi investi di meno, ma hai un ritorno enorme, perché poi i servizi fanno il 70 per cento dell'economia. Attenzione, perché un'economia sì tecnologica, però con molto servizio, è un'economia che tira. Invece, se uno fa solamente hardware pesante, ha grandi investimenti; quando uno fa hardware, se va bene fa tre-quattro volte l'investimento; quando uno fa software, può fare cento, mille volte l'investimento. Una sana via di mezzo fa un Paese forte.
  Il terzo elemento, come vi avevo detto, è la cybersecurity. È un elemento che credo sia chiaro a tutti: se vi «craccano» il telefonino, il conto in banca, qualunque cosa avete, visto che ormai è tutto digitale, vi possono personalmente rovinare, ma pensate se un attacco a questo punto viene fatto minacciando la sicurezza cibernetica di aeroporti, semafori, ferrovie, linee aeree. Lì è roba pesante. Pensate se uno entra in una rete che gestisce i semafori e li fa impazzire. È una battuta, però è chiaro qual è il rischio. C'è la sindrome della twin Pag. 7tower per certi versi: con un cyber attacco posso fare dei danni serissimi ai cittadini, ma anche alle infrastrutture.
  Oggi la cybersecurity vale 183 miliardi di dollari. Il punto è che la sua previsione al 2028, cioè da qui a quattro anni, è 270 miliardi. Sto parlando di una roba che in quattro anni raddoppia, vuol dire che ha un CAGR pazzesco. Il 33 per cento della cybersecurity oggi è dedicata a business e finanza, cioè quella che è la protezione del vostro conto bancario on line, per carità, fondamentale, ma non è solo quello. La cybersecurity a livello governativo è il 24 per cento, cioè pubblica amministrazione; la salute, 12 per cento. Questo perché siamo poco digitalizzati, però capite che nel momento in cui comincia a esserci cartella clinica elettronica per tutti, addirittura medicina teleoperata, io mando la mia TAC o altro al mio medico via computer, lì c'è un'informazione che casomai qualcuno può decidere di usare perché non mi vuole dare il mutuo perché ho un brutto male (perché questa è purtroppo la questione), oppure il mio datore di lavoro non mi assume perché sa che io sono diabetico, ecco per proteggere il cittadino la prima cosa è la cybersecurity, altrimenti è inutile che digitalizziamo. Health adesso è il 12 per cento, ma crescerà enormemente col passo della digitalizzazione. Le telecom 10 per cento e poi retail e vendite. Quando voi comprate con Pay Pal su Amazon eccetera, l'8 per cento dell'investimento in cybersecurity è per proteggere i vostri acquisti on line o le carte di credito, eccetera. Questo è il terzo pezzo.
  Quarto pezzo, e chiudo con la parte infrastrutturale e poi vado alle cose più inerenti AI, è il 5G. Oggi, alla fine, noi stiamo cercando di liberarci dell'infrastruttura di terra. Molti stanno dismettendo la linea telefonica fissa e vanno direttamente con il cellulare, e molte delle azioni che noi facciamo sono fatte via cellulare. Poi ci saranno addirittura le linee satellitari, ma comunque è tutta roba wireless. Il 5G è un fenomeno economico. Il CAGR, quindi il tasso di crescita stimato per il 5G, è 48 per cento, una roba tale che non esiste un settore che stia crescendo così. Va da 18 miliardi di dollari, tutto sommato poco nel 2023, a 994 miliardi nel 2033. Questo decennio andiamo da 18 miliardi a mille miliardi. È un CAGR enorme. Capite la strategicità: chi possiede il 5G possiede le autostrade digitali su cui viaggeranno tutte le informazioni. Fatevi due conti, perché sapete qual è il Paese depositario delle tecnologie prevalentemente 5G: è la Cina, con una concorrenza a livello europeo di Eriksson. Allora, io posso essere potentissimo con le macchine che fanno i calcoli e avere i più grossi database, farli parlare, avere un AI molto evoluta e posso anche cercare di essere cybersicuro, però c'è qualcun altro che mi dà le tecnologie per trasmettere questi dati. È come se io avessi le macchine, però le strade le ha un altro. Chi è più forte? Chi ha la macchina o chi ha la strada? In realtà, senza l'uno l'altro non c'è, però se proprio dovessi scegliere, in questo momento credo che la strategicità del 5G sia molto importante.
  Questi sono i quattro pezzi. La situazione italiana ve l'ho detta. La situazione europea non è molto diversa da quella italiana. A mio parere, quindi, serve una riflessione nazionale ed europea.
  Dopodiché, prima di passare all'ultima parte, quella sull'AI, vorrei anche farvi riflettere su un punto. Questo è un periodo in cui dobbiamo stare molto attenti a tanti problemi. In questo momento è rilevante, per esempio, il problema dell'agricoltura. È un momento in cui in tutta Europa abbiamo il problema di queste manifestazioni degli agricoltori, con i trattori. Ci sono questi problemi drammatici che hanno a che fare con la forza lavoro, con la remuneratività di certi lavori faticosi, con tutto quello che ne consegue. Socialmente ognuno lo interpreta come vuole, ma è un problema europeo, non è un problema italiano. Anche alcune politiche, forse non proprio illuminate, nel senso che si voleva risolvere un problema, ma con una tale velocità e con un tale livello di ideologia che, probabilmente, questo metteva in ginocchio altre filiere, hanno creato degli scompensi.
  Ecco, in questo momento, mentre noi abbiamo questi problemi come Europa, la Pag. 8frontiera della tecnologia agricola è questa: il trattore è un sistema collegato a un GPS, quindi viene guidato con una precisione di un metro su un grande campo. È collegato al sistema che fa le previsioni del tempo, è collegato al magazzino dove ci sono i semi per la semina, è collegato alla rete di sensori idrometrici che stabiliscono l'acidità e l'umidità del terreno. Questo sistema, se ci pensate, è un sistema di sistemi, perché ho il trattore legato a previsioni del tempo, idrometria, deposito di semi, eccetera. Questa macchina si chiama «sistema dei sistemi». È un sistema di sistemi. È un organismo in cui vi sono tanti oggetti che non si sono mai parlati, se non attraverso l'intermediazione umana.
  Prima c'ero io, che avevo la mia impresa, guidavo il trattore, vedevo le previsioni del tempo, poi andavo nel mio magazzino di semi, prendevo con il computer i dati relativi all'umidità del terreno e, con la mia intelligenza naturale, cercavo di fare la cosa migliore. Adesso questa cosa è totalmente AI controlled. Questo risparmia acqua, semi, qualità del terreno. Ha solo vantaggi, dato anche il problema che abbiamo, delle coltivazioni intensive, eccetera. Nello stesso tempo, però, capite bene che va a impattare su una filiera che per un secolo è stata fortemente basata sull'intelligenza naturale. Non possiamo dire al contadino che, visto che non guida più il trattore, si deve trasformare in programmatore elettronico e programmare l'algoritmo che fa l'AI nella fattoria. Quindi, qui c'è un problema fondamentale di, ovviamente, non fermare il progresso (perché chi ferma il progresso ha deciso di ritornare un Neanderthal), ma, nello stesso tempo, di avere una strategia che consenta di investire non una tantum, ma nel corso della vita lavorativa del lavoratore – qualunque sia il lavoratore; adesso ho fatto l'esempio dell'agricoltura di precisione – con un patto pubblico-privato che investa molto sull'aggiornamento continuo. Senza questa operazione noi non potremo sfruttare al meglio le nuove tecnologie.
  D'altro canto, pensare di farne a meno vuol dire che abbiamo rinunciato al percorso della storia. Ci fermiamo e andiamo come prima. Gli altri andranno avanti in un altro modo.
  Io sono molto laico. Essendo un tecnologo, non mi innamoro della tecnologia. La sviluppo e cerco di usarla bene. Per usarla bene la componente umana è sempre fondamentale, però la componente umana richiede investimento, come la componente tecnologica.
  Dopodiché, demonizzare la tecnologia è un errore gravissimo. Dire che una tecnologia è pericolosa è stupido. La tecnologia non fa nulla da sola. Dipende da chi la utilizza.
  Chiudo, quindi, la parte infrastrutturale e rapidissimamente – non vi porterò via molto tempo – passo a un altro tema, che è quello più inerente alla questione AI. Vi porterò via massimo dieci minuti, però ci sono alcuni aspetti che vanno chiariti.
  L'AI ha una storia molto interessante. Se avete tempo, vi suggerirei di andare a vederla. Si trova un po' da tutte le parti. L'AI ha una storia particolarmente interessante. Non so se avete mai sentito parlare dell'«inverno dell'intelligenza artificiale». È una cosa che suona poetica, ma in realtà è stato un inseguimento continuo della società moderna alla capacità di calcolo. Nel 1943 esce fuori una pubblicazione importante: il calcolo logico di un'idea riguardo il sistema nervoso. C'è stato uno scienziato, Warren McCulloch, che ha cominciato a studiare il sistema nervoso come sistema di calcolo. Lì nasceva, come concetto, il primo modello matematico per una rete neurale. La rete neurale è un aggeggio matematico che funziona come i nostri neuroni. L'idea era quella di dire: posso fare l'equivalente di un cervello umano con una macchina? Non esistevano ancora i transistor, i componenti elettronici, però la simulazione si faceva.
  Vado rapidamente. Le tre leggi della robotica, queste cose le avete sentite. Arriviamo, in buona sostanza, intorno agli anni Sessanta, in cui si creano algoritmi che riescono a riconoscere il linguaggio. Per essere molto chiari: questi servivano a intercettare – perché non erano sempre sicure – le telefonate fatte, ad esempio, dai russi o con codici criptati e a interpretarle. Pag. 9Quindi, era una questione, tutto sommato, militare, di sicurezza. Si creano questi algoritmi che interpretano il linguaggio, però le macchine che dovevano farli funzionare non erano abbastanza potenti, perché facevano mille-duemila operazioni al secondo. Bisogna ricordare che quando noi siamo arrivati sulla Luna, come genere umano, nel 1968-1969, il computer che controllava il LEM – ricordate il modulo di atterraggio – faceva un milione di operazioni al secondo. Questo smartphone che ho in mano ne fa quasi un miliardo. Questo qui avrebbe potuto comandare dieci LEM.
  Quindi, quando vi parlo degli anni Cinquanta-Sessanta, con un milione di operazioni al secondo era difficilissimo interpretare un linguaggio e crittografarlo. Ci voleva un sacco di tempo. Quindi, ci fu il primo inverno dell'intelligenza artificiale. Le grandi agenzie di finanziamento, soprattutto negli Stati Uniti, dissero: è inutile che voi fate algoritmi che possono capire tutto, tanto non abbiamo le macchine che li possono risolvere. Molti algoritmi matematici non si possono risolvere a mano, facendo i conti. Devono essere risolti in maniera numerica. Le macchine, però, non erano potenti, quindi non riuscivano a risolverli in tempo rapido, in tempo reale. Ci mettevano due giorni. Io non potevo aspettare due giorni per capire la parola che avevo sentito al telefono. Primo inverno dell'intelligenza artificiale.
  Poi, pian piano, l'elettronica si è evoluta, le macchine sono diventate più potenti, sono usciti computer più potenti. Tutti quegli algoritmi sono stati rimessi in questi computer, e quindi: «fantastico, riusciamo a tradurre». Allora nuovo slancio all'intelligenza artificiale, nuovi algoritmi sempre più complicati. Di nuovo le macchine non riuscivano a risolverli. E c'è stato il secondo inverno dell'intelligenza artificiale.
  Quando vi parlo di «inverno» intendo dire che le agenzie (Department of Defense, DARPA, eccetera) non davano più i soldi. A un certo punto, si diceva: basta, questa ricerca è interrotta, quindi tutta la filiera industriale conseguente, perché tanto, anche se fate degli algoritmi pazzeschi, io non ho la macchina per risolverli.
  Nel frattempo, l'industria elettronica continuava a migliorare. Uscivano, dopo dieci anni, computer più potenti e c'era di nuovo la corsa all'intelligenza artificiale.
  Siamo nel 2020. Che cosa abbiamo fatto? Alexa, ChatGPT. Che cosa fanno? Quello che volevamo fare negli anni Cinquanta: linguaggio, interpretano, poi leggono i dati, ti danno una risposta. Alla fine, era natural language processing, un sistema di processamento del linguaggio naturale, che capiva indipendentemente dall'accento, eccetera, quello che dicevo e me lo traduceva. Settant'anni, con l'inverno in mezzo, perché non c'era una sincronizzazione tra la macchina, che doveva far girare l'algoritmo e capire, e l'algoritmo, che era una formula complicatissima che, però, non riuscivamo a risolvere perché analiticamente non si risolveva.
  Questa storia vi fa capire che, in realtà, l'intelligenza artificiale sono settant'anni, ma anche di più, che cerca di lavorare sul linguaggio naturale. Ovviamente, adesso bisogna essere onesti, l'intelligenza artificiale è di più. Abbiamo quelle verticali (Alexa o cose del genere) e poi abbiamo quella generale. Quella generale è una cosa molto più ampia, perché io imparo dalla Generative AI e poi posso avere un sistema quasi autonomo, che anche su problemi estremamente complessi prende le decisioni. È il caso che abbiamo noi quando dobbiamo pilotare un aereo in situazioni complicate, gestire una rete satellitare, analizzare una TAC, una risonanza magnetica, cose di questo tipo.
  Con questa situazione, adesso la domanda che noi ci dobbiamo porre, sostanzialmente, un po' come Paese, un po' come Europa è: abbiamo capito quali sono i building blocks? Sappiamo che su alcuni proprio non ci siamo e su altri siamo abbastanza competitivi. Ha senso completare il pacchetto tecnologico? Ve lo dico francamente: non avrebbe molto senso che l'Italia si mettesse in proprio con super-computer, cloud, 5G. Non avrebbe senso. Noi dobbiamo fare la cybersecurity, sicuramente, perché quella è sicurezza nostra, dei cittadini. Probabilmente, dovremmo risolvere il problema del cloud, almeno quello Pag. 10sicuro per i cittadini, e spingere perché a livello europeo i grandi Paesi creino infrastruttura continentale. Più facile a dirsi che a farsi.
  Non abbiamo grandi risorse dal punto di vista dell'elettronica. Perché vi ho raccontato la storia degli inverni dell'AI? Perché alla fine, come avete capito, l'AI accelerava e decelerava in funzione di quanto potenti erano i computer. Avere computer potenti dipendeva dalla bravura degli elettronici nel fare chip sempre più potenti. È chiaro che se io chiudo, non investo sui chip, non investo sull'industria elettronica, non mi si fermano solo le automobili che hanno le centraline, non mi si fermano solo i pc (oggi, per comprare una macchina ci vuole un anno, perché c'è la crisi dopo il Covid). Mi si ferma anche tutta la filiera di sviluppo dell'AI. Questa è una scelta di politica industriale. Forse la si può fare anche questa a livello europeo. Se devi fare dei colossi, li fai europei, non li fai nazionali. Però bisogna giocare un ruolo.
  Vale anche per la difesa. Per noi è esattamente lo stesso.
  Infine, il problema delle normative. È molto evocativo dire che la macchina ci sopravanzerà e così via. Chiudo con un aspetto un pochino più filosofico. Prendete un essere umano. Un essere umano ha una caratteristica unica: ha un'intelligenza naturale, ma comunque un'intelligenza generativa, che genera idee, eccetera, collegata a un sistema di attuatori. Il sistema di attuatori è il corpo umano: io penso e, in base a quello che ho pensato, faccio. «Fare» vuol dire: parlo, sento, vedo, mi muovo, afferro. Però ho degli attuatori e ho un'intelligenza. L'equivalente artificiale di questa cosa potrebbe essere un'intelligenza artificiale, quindi computer e memoria, e un robot, perché qualcuno deve attuare. Un conto è riconoscere un linguaggio. Un conto è fare qualcosa che attua.
  Abbiamo detto già che l'intelligenza artificiale non la faccio con il telefonino, perché, se è una roba che deve essere competitiva con me essere umano, è un computer grande come questa stanza, che consuma 10 megawatt di potenza. Noi abbiamo un cervello a base di acqua che con un pezzo di cioccolata per due giorni pensa, con la stessa capacità di pensiero di un super-computer che consuma come un quartiere di Roma. Questa è la verità. Io sono frutto di un'evoluzione di tre miliardi di anni. Il computer sono cinquant'anni di tecnologia. Questo computer, presa la sua decisione, deve dare a un robot il comando «fai quello che io ho deciso». Fare quello che io ho deciso può essere: «prendi questa bottiglia e spostala», sennò cade.
  Questa combinazione non sarà – almeno per un periodo lungo – competitiva con noi, quantomeno come costi. Avete sentito tutti che il costo energetico dei server, eccetera, è un costo enorme. Anche il costo ambientale. Si parla di frazioni percentuali di qualche «per cento» del greenhouse gas totale emesso per via delle super-macchine, dei grandi server, dei provider di cloud, dell'industrializzazione digitale, eccetera.
  La prima osservazione è che questa roba va usata quando ne vale veramente la pena. Difficilmente sostituiremo l'artigiano con una macchina così complessa e costosa per fare una roba in cui la capacità di improvvisare quasi gratuita dell'essere umano è irriproducibile da una macchina complessa. Se poi la vogliamo far riprodurre, vediamo quanto costa. Se per riparare il bagno dovete spendere 10 milioni di dollari, forse conviene chiamare il tecnico umano piuttosto che la macchina.
  Questo ci porta a una considerazione che, un po' ridendo, io chiamo «giuslavoristica». In questo momento, sono in recessione una serie di lavori, di sistemi professionali basati su routine cognitiva o su routine meccanica. Sono le classi più deboli, purtroppo. Certamente, l'artigiano, basato sull'arte e sulla capacità di improvvisazione e di adattamento, e non di routine, difficilmente viene rimpiazzato da queste tecnologie. I lavori ad alto contenuto cognitivo non saranno rimpiazzati da queste tecnologie, anche se si ventila di utilizzare alcuni di questi sistemi per giornalismo, per analisi di sentenze, per analisi diagnostiche. Però, attenzione: un conto è che io ho una macchina che molto velocemente mi legge 150 mila sentenze e mi fa il Pag. 11sommario statistico, però poi il giudice sono io che utilizzo questa cosa, come se duecento collaboratori avessero fatto la lettura per me; un conto è che la macchina che ha fatto questo, poi, decide. L'analisi ultraveloce è una caratteristica verticale. La decisione non è una caratteristica verticale, ma una caratteristica orizzontale. L'uomo decide. Utilizza una macchina per andare più veloce. Quando vado a giocare a pallone, la macchina mi porta al campo, ma poi non gioca lei per me a calcio. Sono io che gioco. Mi faccio portare. Quindi, sono degli acceleratori di competenza. Se li utilizziamo così, in maniera intelligente, sono molto utili e hanno anche una buona cost effectiveness, però l'impatto sulla job force, sulla forza lavoro, è quello che vi ho detto: i lavori di routine sono minacciati. È vero, quindi, che l'intelligenza artificiale creerà una quantità di lavori nuovi che nemmeno adesso immaginiamo, ma è altrettanto vero che adesso noi mettiamo a repentaglio delle fasce di lavoro debole. Qui bisogna fare una riflessione, che di nuovo è pubblico-privato. Non può essere solo pubblico o solo privato. Investimento in aggiornamento continuo sul lavoratore.
  Tenete conto che, se la vita media di un lavoratore è quarant'anni, oggi in questa durata, di quarant'anni, cambiano tre-quattro generazioni di tecnologie. Quindi, il lavoratore mediamente ogni dieci anni diventa un dinosauro. A partire da me, che ho dedicato tutta la vita alla tecnologia. Pensate a uno che si è diplomato a diciotto anni e adesso ne ha sessanta: questo è partito con il telefono fisso e oggi deve governare con un joystick il drone per fare una foto del tetto della sua fabbrica. Ragazzi, se questo qui non viene in qualche modo aiutato noi semplicemente stiamo perdendo forza lavoro. Non credo qualcuno voglia dire di non usare i droni o di fermare lo sviluppo dei droni. Dobbiamo avere una strategia.
  L'ultima cosa che volevo dirvi riguarda gli aspetti normativi. C'è, poi, una considerazione etica piccolissima, brevissima, molto personale. Sugli aspetti normativi, in questo momento dovete tener conto che abbiamo una Commissione europea che ha fatto diversi lavori regolatori, che, però, sono basati sostanzialmente su un approccio estremamente giuridico. Ovviamente si fa bene a parlarne, però il rischio di questo approccio è che facciamo il Codice della strada prima di avere le automobili e le strade. Questo diventa limitante anche per lo sviluppo.
  Negli Stati Uniti non l'ha fatta la Commissione Legal Affairs, come nella nostra Commissione europea. L'ha fatta la House Office of Science and Technology, quindi un approccio totalmente tecnologico. Forse lì si è stati un po' troppo permissivi, l'eccesso opposto. È stato fatto un modello centrato sull'AI come strumento utile per una Good AI Society. Scontava l'ottimismo della Silicon Valley. Anche la bolla digitale della Silicon Valley, detto onestamente. Alla fine, se la sono cavata dicendo: l'etica ce la dà la trasparenza. Ma non è proprio così. L'etica contiene la trasparenza, ma non basta la trasparenza.
  Ci sono, poi, esempi intermedi. Se andate a vedere la Società internazionale di ingegneria nel 2017 ha fatto una global initiative sull'etica delle macchine intelligenti e autonome, quindi non solo l'AI, ma tutto quello che è generato dall'AI, in cui ha trattato dei diritti umani, del benessere dell'essere umano, che deve essere sempre garantito dalla macchina, dell'accountability, cioè il fatto che se una macchina fa una cosa qualcuno è responsabile. Se una macchina autonoma fa un errore, come la trattiamo? Essendo autonoma, la puniamo? Ma la macchina non se ne importa nulla se la spegniamo, la condanniamo a morte, o se la mettiamo in galera, la priviamo della libertà, perché non ha istinto di conservazione, istinto di sopravvivenza, non ha fame, non si riproduce. La mettiamo in una scatola. Non puoi educare una macchina dal punto di vista etico. La trattiamo come un minus habens oppure come un bambino? Quindi, la responsabilità di chi è? Del genitore. Chi è il genitore? Il costruttore. Però, un momento, se io costruisco computer e telefonini non è che sono responsabile per qualunque macchina possa aver fatto una cosa strana, tra l'altro programmata da chissà chi. Oppure cosa faccio? Pag. 12Dico che comunque la colpa è sempre e per forza del possessore, quindi non del produttore, ma di chi ha comprato quella macchina? Io mi compro una Tesla. Non funziona il pilota automatico. Siccome l'ho comprata, è colpa mia? Questi sono casi giuridici reali, su cui non c'è un indirizzo. Quindi, l'accountability è importante.
  Poi c'è la trasparenza: devo dire esattamente cosa può fare e cosa non può fare la mia macchina autonoma e intelligente. E poi c'è un aspetto fondamentale, difficilissimo da quantificare: la consapevolezza del possibile abuso. Questo ha fatto la società di ingegneria internazionale dal 2017, è un «papierone» pieno di pagine da leggere molto interessante. Questo è un terreno fertile di diritti umani, di aspetti legali, tutte queste cose che vanno messe insieme.
  Non c'è, a questo punto, una definizione senza confusione dell'AI. Se vi dicono che l'AI è ChatGPT o altro, no. Quella non è l'AI. Quella è una delle possibili applicazioni, che è un po' l'evoluzione del natural language recuperation, che – per carità – sarà anche utile, ma è un aspetto. L'AI potrebbe essere un domani un sistema che pilota quaranta aerei, il traffico aereo tutto in automatico. In fondo, noi oggi già facciamo atterrare i grandi aerei con il pilota automatico. È una forma di AI. Insomma, l'AI ce l'abbiamo da tanto tempo in casa. L'AI non è la domotica, ma anche quella. Come non siamo in grado di definire cosa sia l'intelligenza, non siamo in grado di definire cosa sia l'intelligenza artificiale, se non una combinazione di algoritmi girati da un potente computer, che ha una base di dati da qualche parte, protetti ciberneticamente e fatti viaggiare su una portante, il 5G o quello che vi pare. Alla fine è questo. Poi, il resto scala.
  Concludo con una domanda. Parliamo di intelligenza artificiale, ma voi pensate che fosse più intelligente Caravaggio, Einstein o Pelé? Non mi potreste mai rispondere, perché l'intelligenza fisica e motoria di Pelé, come quella di un altro grande atleta, l'intelligenza artistica di Caravaggio o di Picasso e l'intelligenza scientifica e tecnica di Einstein sono sostanzialmente tre cose completamente diverse, processate da cento milioni di miliardi di neuroni che sono appallottolati in una sfera, fatta per il 75 per cento di acqua, che chiamiamo cervello. Le stesse identiche cose, un videogioco, un aereo pilotato, un algoritmo che produce previsioni meteorologiche, sono fatte da centinaia di miliardi e miliardi di transistor che processano elettroni su cavi di rame, che fanno girare un algoritmo, che prendono dati che sono stati accumulati da qualcuno e mi danno una risposta, un modello, una figura, o decidono di far fare a un robot, qualcosa. È esattamente la stessa cosa.
  Noi, quindi, abbiamo un dovere tecnico e industriale di capire chi vogliamo essere, quello che ci manca, quello che non ci manca, dove vogliamo andare. Abbiamo un dovere, ovviamente, regolatore e legislativo, ma da non mettere davanti alle scelte, perché se prima non abbiamo scelto è inutile che regoliamo ciò che non è regolabile. L'intelligenza è difficile da regolare by the way, anche se è artificiale. Poi, dobbiamo educare il cittadino, perché alla fine chi è l'utilizzatore della tecnologia in ultima analisi, a partire dai social, che sono una tecnologia abbastanza semplice, è il cittadino che ne usufruisce. Ma se il cittadino non è consapevole dell'abuso o dell'errore, qualunque tecnologia, anche la più utile e buona, diventa nociva. Questa bottiglia di acqua sul mio tavolo non è nata come arma da guerra, ma se io – scusatemi – la tiro in faccia al mio amico Filippo gli faccio molto male. Nessuno vorrà fare una discussione sul pericolo della bottiglia. Semmai, la deve fare sul pericolo della mia maleducazione, della mia incapacità di considerare le conseguenze dell'abuso.
  Gli educatori, gli industriali, i politici hanno questa grande responsabilità: prima di preoccuparsi di una macchina, che non ci farà mai del male, perché non è nella catena alimentare, dobbiamo preoccuparci di noi come gestiamo queste tecnologie.
  Spero di aver contribuito alla vostra analisi e vi ringrazio per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre questi o formulare osservazioni.

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  VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Signor presidente, ringrazio tantissimo il professor Cingolani. Per certi aspetti stavo pensando, ascoltandola, che stiamo facendo questa indagine conoscitiva e questa poteva essere una sorta di premessa, anche per come ha cercato di sistematizzare alcuni aspetti, come ha definito, in termini infrastrutturali, e poi invece la parte che ci riguarda più direttamente, quelli etico-legislativi.
  Intanto, credo che due aspetti che sono stati messi in evidenza, anche per il lavoro che poi saremo chiamati a fare, siano piuttosto rilevanti. Il primo è che qui si tratta di compiere delle scelte di politica industriale. Quindi, in una discussione talmente complessa che il nostro Parlamento sta affrontando nei due rami con diverse indagini conoscitive, questo, secondo me, è un aspetto fondamentale. Qui si tratta come sistema Paese di fare alcune scelte politiche industriali.
  Il secondo aspetto è che la dimensione europea è fondamentale, perché rispetto a quei quattro asset in termini infrastrutturali il «fisico» di cui abbiamo bisogno non può che essere a livello europeo.
  La domanda che volevo fare è questa. Siccome il professor Cingolani ha spaziato molto, a me veniva in mente questo ascoltando diverse audizioni. Oltre a esserci questa discussione su rischi e opportunità dell'intelligenza artificiale, nel nostro Paese è iniziato un dibattito rispetto alla curva demografica, cosa di cui forse è da trent'anni che dovevamo accorgerci, e sta diventando di grande evidenza. Allora, forse in questa discussione che facciamo sull'intelligenza artificiale almeno una parte delle scelte di politica industriale che si compiono non potrebbe avere un atterraggio che ci consenta anche di guardare a quelli che sono gli scenari di tendenza sulla curva demografica in maniera diversa? Bisogna incentivare la scelta consapevole di fare figli, benissimo. Politiche migratorie in termini diversi, benissimo. Però, forse possiamo guardare all'applicazione della tecnologia e dell'intelligenza artificiale come a un modo per poter in parte dare una risposta ad un Paese che avrà una dimensione e una densità di popolazione completamente diverse anche in termini di mercato del lavoro. Insomma, non può essere un modo per guardare, con un certo ottimismo anche, a un aspetto così delicato dello scenario del nostro Paese?

  NOVO UMBERTO MAERNA. Professor Cingolani, la ritrovo con grande piacere. Ho avuto modo di conoscere le sue capacità, il suo pragmatismo e la sua capacità di vedere il futuro, quindi sono qui a porle alcune questioni.
  Lei ci ha spiegato alcune priorità, quali il cloud per i dati, la cybersecurity eccetera. La domanda è questa. È vero che dobbiamo lavorare a livello europeo, non solo nazionale, ma bisogna cominciare anche dal nazionale. Lei prima accennava al discorso dei transistor eccetera. Noi non abbiamo le Silicon Valley americane, però qualcosa c'è, e anche lì di alta qualità, come anche nel settore della robotica. Quindi, le domando: che cosa possiamo fare noi come Italia? È questo il suggerimento che chiedo. Quando ero dall'altra parte dicevo sempre: la politica è bene che ci ascolti. Adesso che sono di qua chiedo: chi ha un'esperienza come la sua qual è la prima cosa che farebbe se fosse da questa parte?
  Un ultimo aspetto. È giusto che le problematiche normative, i casi giuridici e gli abusi vengano analizzati quando si è deciso cosa fare e come. Il problema energetico: noi abbiamo approvato recentemente un decreto-legge «Energia» che prospetta un certo futuro e una certa azione nei prossimi anni. Ebbene, io credo che il problema energia vada considerato alla luce di quello che si intende sviluppare con l'intelligenza artificiale.
  Grazie.

  ALFREDO ANTONIOZZI. Buonasera, professore. Grazie per la sua esposizione.
  Intanto, in termini elementari, che cosa manca all'Italia a livello di infrastrutture per essere allineati con i big player degli altri Paesi? Cosa ci manca?
  Un'altra questione. L'avanzamento dell'intelligenza artificiale produrrà sicuramentePag. 14 una serie di nuovi modelli, ma anche una serie di questioni etiche da affrontare, non so ancora se a livello legislativo. Certamente l'avanzamento dell'intelligenza artificiale pone tanti interrogativi, molti di questi anche legati a questioni etiche e alla sfera umana. Che cosa ne pensa?
  Grazie.

  ILARIA CAVO. Grazie, ovviamente, per questa spiegazione molto puntuale e stimolante.
  Io vorrei fare una domanda un po' più specifica, che deriva dalla possibilità che ho avuto di fare un viaggio negli Stati Uniti per l'altro Comitato a cui partecipo, che è quello della documentazione della Camera, che peraltro oggi ha annunciato che utilizzerà l'intelligenza artificiale per la documentazione degli atti della Camera. In una delle visite che abbiamo fatto è stato evidente che negli Stati Uniti si sta puntando tantissimo sulla ricerca del computer quantistico, cioè sul calcolo e l'aumento della capacità di calcolo dei computer, più che su tutto il resto. Addirittura è stato detto – non voglio citare nomi specifici – che la sfida è riuscire ad arrivare a un calcolatore, e stanno arrivando, che varrebbe quasi cento dei nostri. È pensabile tutto questo? È realizzabile? È vero? Ci state pensando, riflettendo, oppure è insostenibile dal punto di vista anche ambientale e tecnologico?
  Grazie.

  PAOLA DE MICHELI. Grazie, professore. In questi giorni ci sono trecento convegni e seminari all'università e io sto cercando di ascoltare un po' tutti, perché credo che questa sia anche una grande sfida per la politica e per la regolazione.
  Acconsentendo alla tesi di fondo che lei oggi ci ha illustrata, è vero, prima decidiamo a cosa ci serve, dove vogliamo andare e cosa vogliamo essere sotto il profilo anche industriale, poi regoliamo e diamo i confini etici di questo agire. Emerge, però, chiaramente, anche da quello che ha detto lei, che la prospettiva è quella di una sostituzione di alcune tipologie di lavoro di attività umana. E se è vero, come diceva prima il collega Peluffo, che questo ha qualcosa a che fare con l'organizzazione sociale del futuro, dove noi avremo, se non ci sono particolari investimenti in controtendenza, probabilmente una società più anziana, che quindi ha molto più bisogno di quella formazione di cui parlava lei prima, magari anche in tempi addirittura più ristretti del decennio, proprio perché – lo vedo per me, che non mi sento ancora vecchia – vi è il bisogno di una formazione più accelerata già ora, ci sarà comunque una sostituzione di un lavoro, che non è per forza negativo. Siccome io credo che l'obiettivo sia la felicità, probabilmente non tutti i lavori ripetitivi generano felicità in chi li compie, la sostituzione di quel lavoro con altri lavori meno ripetitivi potrebbe essere anche un'opportunità.
  C'è un tema, però, di redistribuzione della ricchezza prodotta dalle macchine e dall'intelligenza artificiale. Nell'alveo delle regole che lei individua come necessarie una volta deciso cosa facciamo fare, a cosa serve per l'uomo e all'uomo questa intelligenza artificiale, deciso questo, noi dobbiamo anche decidere come usiamo quella ricchezza, a cosa la destiniamo, perché la sostituzione della ricchezza prodotta dal lavoro nel nostro sistema di welfare o di pensionamento evidentemente potrebbe determinare uno sbilanciamento. Quindi, nel pacchetto di regole immagino che noi dobbiamo incominciare a ragionare anche su questa tipologia, per evitare che ci siano ulteriori scivolamenti verso la concentrazione della ricchezza per chi detiene la tecnologia, cosa che è già accaduta nella prima fase dell'accelerazione tecnologica soprattutto dell'Occidente, e invece chi si impoverisce progressivamente in assenza della possibilità di utilizzare la tecnologia.

  PRESIDENTE. Non essendovi ulteriori interventi, cedo la parola al professor Cingolani per la replica.

  ROBERTO CINGOLANI, amministratore delegato di Leonardo S.p.A.. Grazie, presidente. Provo a rispondere in maniera sintetica.
  L'onorevole Peluffo parlava di crescita demografica, un punto assolutamente focale.Pag. 15 Faccio due esempi, sperando di fare una sintesi. Innanzitutto, noi dobbiamo alfabetizzare dal punto di vista digitale i ragazzini, a partire dall'età di sei anni. Del resto, il cittadino del futuro sarà un cittadino digitale, con identità digitale. Insomma, sarà tutto digitale. Se noi non lo rendiamo consapevole dall'età di sei anni, da quando comincia, e ci basiamo sul concetto che sei nativo digitale solo perché sei nato in un momento storico particolare, la traduzione di nativo digitale è: sei un autodidatta. È come se uno avesse detto: tu sei nato nel 1900, quando i libri erano disponibili a tutti, quindi tu sei un nativo lettore. No. Quindi, primo punto: io la demografia la vedo addirittura a partire dai sei anni, dall'inizio.
  Chi deve fare questo investimento per rendere le nuove generazioni consapevolmente digitali? Certo, la scuola in questo momento richiede che qualcuno addestri l'educatore, aggiorni l'educatore. Per carità, ho un passato da professore universitario e mi rendo conto che persino per l'università, che comunque ha un punto di vista più evolutivo, l'aggiornamento è fondamentale. Figuratevi un insegnante che si trova i bambini di sei anni e su cui nessuno investe per l'aggiornamento. Questo è il primo punto.
  Rovescio il problema demografico: cittadino digitalmente consapevole non semplicemente nativo digitale dall'età di sei anni. Mio figlio più piccolo ha quattordici anni ed è uno «schizzo» con tutto quello che è digitale. Non so dove abbia imparato. I miei figli più grandi erano generazione PlayStation, avevano ancora i pulsanti. Il primo addirittura generazione tastiera. Io un dinosauro. Però, mi ricordo mio figlio, a pochi anni, il piccolo, che andava sul televisore e diceva: papà, è rotto. Questo perché non era touch screen. Perché lui è nato con l'idea che una lastra di vetro su cui c'è un'immagine sia una lastra interattiva. Ma ci pensate che rivoluzione è? Io sono nato che il televisore non c'era. A casa mia è arrivato che io ero già grandicello. Forse qualcuno ce l'aveva dalla nascita. Io ho sessantadue anni e ricordo quando mia mamma mi disse: «abbiamo comprato una televisione». E c'era lo stabilizzatore con il pulsante a terra, le valvole, e si doveva scaldare. Per me quella fu una rivoluzione. Mio figlio è nato con uno schermo piatto nero in casa – mio figlio quello di quattordici anni – e appena è arrivato in età, quattro anni, non sapeva leggere, ma riconosceva i codici colori e sapeva usare i programmi delle app senza saper leggere. Ma li sapeva usare con codici colori e per una estetica del programma. E diceva: il televisore è rotto perché non posso fare il touch screen. Questa è una rivoluzione culturale che loro apprendono intanto in maniera ingiusta, perché casomai a casa mia c'era l'iPad e a casa di un altro non c'era. Questo è un momento di svantaggio culturale che noi creiamo senza volere.
  Poi c'è l'altra parte, l'anziano. Visto che andiamo verso una generazione in cui nel 2035 avremo il 40 per cento di sessantenni, o giù di lì, che cosa si può fare? Innanzitutto fare in modo che per gli anziani la familiarità con il digitale sia superiore, perché, mentre per il ragazzino nativo digitale è naturale, per l'anziano il digitale è una barriera. Ha faticato a imparare a usare il floppy disk, poi c'è la chiavetta, poi c'è il cloud, adesso non si capisce più nulla. Da questo punto di vista è esattamente lo stesso discorso del ragazzino: bisogna aiutare le generazioni della silver economy a sfruttare al meglio il digitale. Dopodiché, le prospettive sono infinite: semplificazione della pubblica amministrazione, diminuzione dello spostamento, che per l'anziano può essere complicato, sistemi di banking, di acquisto, telemedicina. Se io insegno bene all'anziano a utilizzare il touch screen – chiamiamolo così, per richiamare la metafora precedente – e i sensori diffusi, la sua pressione, il suo battito cardiaco, insomma tutta una serie di cose, le può mandare con interfacce amichevoli (friendly interface) al suo medico. Ma questo richiede la banda larga o il 5G, insomma tutta una serie di infrastrutture che non abbiamo.
  Vedo enormi opportunità per facilitare il pacchetto demografico anche di un Paese che invecchia, però ancora una volta bisogna fare in modo che questo mistero del Pag. 16digitale sia reso più scolare, più accessibile a tutti. Provate a fare delle operazioni in cui vi dicono: registrati per fare qualcosa on-line. Ecco, il natural language processor potrebbe essere una roba che ti registra a voce e ti fa tutto quanto, invece che stare a scrivere e impazzire. Sono cose molto semplici, però credo che sia un'enorme opportunità.
  Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Maerna, sì, noi abbiamo l'elettronica e abbiamo la robotica. Però, il vero problema è che abbiamo perso un po' di indipendenza tecnologica. Guardiamo il caso di Atos. Atos era il più grande costruttore, modernissimo, franco-tedesco, di supercomputer, macchine altamente performanti, ma adesso è in crisi. L'unico europeo. Ma possibile che con un mercato – vi ho dato i numeri prima, non voglio sbagliare – da 42 miliardi di dollari nel 2022 e 117 miliardi nel 2032 l'unico costruttore europeo di supercomputer, consorzio franco-tedesco, credo che sia, non ce la fa? C'è qualcosa che non va. Puoi dire: sì, perché deve comprare le GPU fuori, e le GPU sono alcuni dei componenti essenziali. Allora, io sono un costruttore di auto, ma non faccio i motori. Ho sbagliato la filiera industriale. Faccio delle auto bellissime, però i motori li devo comprare da un'altra parte. Ovviamente il motore di ultima generazione l'altra parte prima lo tiene per sé e a me dà quello della penultima, e io perdo terreno.
  Sicuramente ci sono analisi più complicate da fare, però qui è un po' il problema europeo, vale a dire tutta la furbizia che noi abbiamo avuto delocalizzando le produzioni. Io me lo ricordo. Tra l'altro, a quei tempi eravamo in un altro mondo e facevamo optoelettronica, ricerca eccetera. Ebbene, c'è stato un momento in cui si è detto: io porto la produzione di chip, di diodi, di tutto in Cina perché costa di meno, e poi la roba ce la danno a basso costo; a un certo punto hanno imparato il mestiere e ci hanno superato. Il risultato è che noi oggi abbiamo perso la capacità manifatturiera su dei componenti essenziali. Ci pensavamo molto furbi a delocalizzare a basso costo da un'altra parte, ma è una furbizia che è durata poco. Avremo fatto un po' di Ebitda più alto per una decina di anni, ma non era lungimirante. Le partite che noi stiamo discutendo sono partite che funzionano in un arco di tempo che guarda al mezzo secolo. Noi stiamo parlando del futuro, al 2080. Pensare che io guadagno un po' di più sino al 2028, per esempio delocalizzando, è un atto un po' miope. Chi ha visto il futuro l'ha visto in questo modo.
  Ho un piccolo privilegio, che lavorando in un settore dove i prodotti, gli aerei, gli elicotteri durano trenta-quarant'anni, sono costretto a pensare a quarant'anni. Vengo da un mondo, quello della scienza e della ricerca, dove pensavamo a cinquanta, cento anni, tanto era il nostro mestiere, quindi mi è abbastanza congeniale. Attenzione, però, sull'high tech non si può ragionare sul massimo profitto a cinque anni. Le scelte industriali e sociali, e quindi politiche, devono tener conto che l'high tech è una roba che ha un'onda lunga. Attenzione, il digitale non sono i social, è la roba di cui stiamo parlando. I social, è chiaro, a tre anni fai la bolla, li apri e li chiudi. Questa è una roba molto più lunga e non abbiamo avuto la capacità di discernere.
  La prima cosa che farei io è quello che ho fatto a Leonardo. Sono entrato a settembre del 2017, non come amministratore delegato, ma come capo della tecnologia, e la prima cosa che ho detto è che eravamo digitalmente indietro. Ho fatto una proposta al consiglio di amministrazione (che fu valutata fortunatamente bene), cioè supercomputer, supercloud, interfaccia veloce. Siamo fra i primi tre-quattro al mondo come cloud computing nella aerospace and defense, ovviamente, il mio settore (non è che potevo far tutto) e questo adesso non avete idea di come ci sta pagando, su tutti i programmi, il GCAP (Global Combat Air Program), tutti i nuovi programmi strategici. Ci troviamo pari se non addirittura in vantaggio rispetto anche ai grossi competitor perché abbiamo una capacità di calcolo, di sviluppare AI eccetera che gli altri nostri competitors anche più grossi non hanno, e ora vengono da noi, ci vengono a cercare.
  Sono passati cinque anni. Cinque anni sono tanti nella fase infrastrutturale, ma se Pag. 17tu fai lo sforzo e ci vedi un po' prima, ecco... Questo sarebbe fantastico che diventasse un argomento di discussione. Ovviamente, scusatemi, non c'è politica dietro questa cosa, o meglio c'è politica industriale, non c'è industria della politica. È una cosa diversa, è una cosa su cui dovremmo essere tutti d'accordo.
  Chiudo dicendo che non dobbiamo dimenticarci la questione energetica. Anche sul management dell'energia AI e queste infrastrutture aiutano a ottimizzare. In secondo luogo, noi abbiamo illuso generazioni pensando che le piattaforme digitali come i social fossero gratis. Abbiamo fatto una cosa tremenda. Quando un prodotto è gratis, vuol dire che il prodotto sei tu, ed è quello che sta succedendo. Tutti questi social che cosa fanno? Profilano le nostre informazioni e guadagnano sulle nostre informazioni.
  Io non uso i social, però tutti i ragazzi che pensano che siano gratis, se uno dicesse loro di pagare 5 centesimi per ogni post, comincerebbero a chiedersi perché dovrebbero pagare per mettere il post del panino con la cioccolata, e non lo farebbero. A quel punto verrebbero meno le informazioni, a quel punto avere un social non sarebbe più conveniente. Ecco, se un oggetto è gratis, non lo è; è che il prodotto sei tu e non te ne accorgi. Questa è una deformazione, perché tutti pensano che questo sia un effetto dell'AI, ma manco per niente, questa è una stortura di natura se volete commerciale, comportamentale ed educativa. E qui la scuola, sei anni, nativo digitale: facciamo capire che mandare una mail o un messaggio di un megabyte (non mandi nemmeno una foto) produce la stessa anidride carbonica di una lampadina da 60 watt accesa per 30 minuti (perlomeno, questo era sino a poco tempo fa). Io mando una cosa inutile, piccola piccola, e produco la CO2 come se avessi tenuto sul mio comodino mezz'ora accesa la lampadina senza motivo. Questo i ragazzi non ce l'hanno, perché pensano che sia gratis, perché pensiamo che sia tutto gratis. Ogni volta che faccio un search e vado a vedere cosa c'è al cinema, io penso che sia gratis; in realtà quello brucia corrente, mi profilano, perché sto vedendo i film da andare a vedere. Quindi, il problema è educativo.
  Cosa manca all'Italia. Non potendo fare tutto e avendo – penso – perso la corsa al 5G, mancano delle grosse alleanze europee e poi sicuramente punterei a un cloud nazionale molto forte. C'è adesso un tentativo, però siamo un po' lenti. Già se avessimo buona competenza di calcolo e informazioni dei cittadini protette in un cloud mi sentirei in un Paese più sicuro. Poi, con un consorzio europeo, con tecnologie europee, cercare di potenziare la rete 5G, tanto quella non riusciamo ad averla noi, e molto forti sulla cybersecurity, quella sì nazionale, nostra. Io devo essere sicuro, se tre su quattro li ho, per essere un Paese, non un continente, vado bene. E dopo forse potremo essere un po' da ispiratori per il resto dell'Europa.
  Sulle questioni etiche. Io ho provato prima ad addentrarmi un po' nell'etica, ma purtroppo sono un fisico e non ho una preparazione filosofica. Ripeto, però, che sono molto preoccupato della stupidità naturale, poco preoccupato dell'intelligenza artificiale, e conto sull'intelligenza naturale. Questa è la mia sintesi. Non bisogna esagerare in regole, perché tanto le regole non prevedranno mai tutti gli abusi, però, come vi dicevo prima, la capacità di discernere la possibilità di un abuso con queste tecnologie è fondamentale. Abbiamo i precedenti: un'automobile lanciata a 150 all'ora in città è un'arma, infatti abbiamo fatto il Codice della strada, che tutto sommato serve a dare informazioni e coscienza a chi guida del fatto che il cattivo utilizzo è pericoloso. E poi ci sono delle regole e ovviamente delle sanzioni. Ma non è nato così, si è evoluto con l'automobile e con le strade.
  Ecco, secondo me noi dovremmo partire sulla formazione, cioè sulla «scuola guida», nel caso dell'AI nelle scuole in tutte le fasce, e far evolvere le regole in funzione della pervasività di questa tecnologia. Oggi sembra che questa tecnologia venga da Marte, non si capisce chi la porta. Ne parlano tutti, però sembra sempre che la faccia un altro. Invece no. Prima l'onorevole Cavo, parlando della sua trasferta negliPag. 18 Stati Uniti con il Comitato della documentazione della Camera, ha riferito che avrebbero utilizzato l'AI per la documentazione degli atti della Camera. Sì, ma è come se avessero detto che utilizzeranno il computer. È come se quindici anni fa avessero detto: da domani negli uffici della Camera utilizzeremo il telefax. Certo, ci sta, lo usi. Non è che se usi AI chissà che stai facendo, stai usando un computer che fa due conti, tratta dei dati e ti dà una risposta. Il punto è come usi la risposta.
  Purtroppo, si ricollega tutto al modello di preparazione del cittadino, la public awareness, la coscienza, la consapevolezza pubblica – dai 6 anni ai 150, augurando a tutti una lunga vita – che noi dobbiamo avere quando abbiamo questi strumenti. Esattamente come quando guidiamo la macchina, è uguale.
  L'onorevole Cavo non c'è, mi ha salutato, la conosco per questioni genovesi, come immaginate, quindi casomai le risponderò di persona. Sulla questione quantum computing vi dico questo: il transistor è stato inventato nel 1951, se non vado errato, e gli inventori hanno vinto il Nobel nel 1957; non serviva assolutamente a nulla, serviva a studiare le caratteristiche elettriche del germanio, un materiale che è totalmente sparito dall'orizzonte perché inutile. Ecco, 65 anni dopo il transistor è tutto, intelligenza artificiale, tutto quanto.
  Io ho fatto il mio primo progetto europeo sul quantum computing, sul quantum bit. Era il 1994, son passati già trent'anni, ma non siamo andati molto avanti rispetto ad allora. Era un progetto europeo. È come il transistor che, inventato nel 1951, nel 1980 a che punto era? Il quantum computer arriverà, sarà molto più potente dei computer attuali, è vero. Se ne funzionerà uno sul serio sarà come cento supercomputer attuali. Prepariamoci a una questione di diversi decenni e quando succederà avremo una potenza di calcolo straordinariamente elevata e ci porremo il problema che questo è molto superiore a quella che abbiamo oggi. Ma se vi chiedessi: dieci anni fa, ricordate com'era il telefono che avevate? Guardate questo che ho in mano, è molto più potente del telefono che avevo, anche la vostra smart tv o la macchina interconnessa, eccetera. È la natura delle cose, la tecnologia cresce. Preoccupiamoci se non dovesse crescere, vorrebbe dire che il genere umano si è fermato.
  Infine, onorevole De Micheli: job force replacement; la ricchezza prodotta. Do una risposta da industriale e poi una risposta da scienziato, da tecnico. Da industriale dico che nel momento in cui l'economia tira e questi prodotti sono ben utilizzati fanno PIL; se fanno PIL, direttamente o indirettamente creano lavoro. Se c'è lavoro, la società va meglio. Dopo c'è un problema di distribuzione su cui io sono totalmente d'accordo e consapevole, però intanto creiamo più lavoro possibile, perché se non c'è, il problema della distribuzione, quella a monte, non lo risolvi.
  Siccome l'intelligenza artificiale ottimizza tutto, e se ottimizzi riesci a far funzionare meglio la società, è vero che puoi perdere posti di lavoro, però, attenzione, come è sempre successo in ogni rivoluzione industriale, hai sostituito qualcosa con qualcos'altro.
  Mentre prima impiegavi trent'anni perché un prodotto nuovo diventasse pervasivo, e in quei trent'anni la gente andava in pensione e i nuovi si formavano, adesso ne impieghi cinque, quindi è troppo veloce, però ritorni al problema di un aiuto ad aggiornarsi, perché questi step tecnologici sono troppo ravvicinati, però è sicuro che creeranno nuovi scenari. Si pensi a quanta gente adesso fa app. Dieci anni fa che cos'era una app? È scomparso quello che ripara i telefoni a rullo, ma si pensi a quanti sono quelli che fanno app.
  Questa cosa la dobbiamo affrontare senza piglio ideologico, cioè senza demonizzare la tecnologia, ma senza far finta che non sia un problema, perché il problema c'è, e la tecnologia che l'ha creato in parte lo risolve, se noi mettiamo in condizione le persone di poter operare sulla tecnologia stessa. Io lo dico come azienda: se lo Stato ci dicesse «facciamo qualcosa per la consapevolezza digitale dei cittadini, a 6 anni e a 60», ecco, io credo che questa sarebbe un'area in cui Leonardo avrebbe la possibilità e la volontà di investire, perché sarebbePag. 19 una cosa di impatto sociale enorme, che crea PIL, soprattutto, e poi fa comodo anche a me, se la società va bene.
  L'AI migliora la sostenibilità e anche questa è una cosa che crea PIL, che in qualche modo ha un impatto molto positivo, perché ottimizza il ciclo dei rifiuti, il ciclo dell'acqua, il ciclo energetico, come dicevamo prima. Prendiamo le cose buone e utilizziamole. Per il resto, se democratizziamo la tecnologia, la rendiamo fruibile a tutti, la tecnologia non può che fare bene, però occorre un utilizzatore informato e una tecnologia realmente utilizzabile e realmente democratica. Se la tecnologia è di élite e l'utilizzatore non è informato, perdiamo gran parte del beneficio.

  PRESIDENTE. La ringraziamo perché è stata un'audizione molto interessante, proficua e anche con tanti esempi in qualche modo semplici, che hanno reso molto bene l'idea di un problema complesso.
  Non essendoci altre richieste di intervento, ringrazio l'ospite intervenuto e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.25.