XIX Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 13 di Mercoledì 12 giugno 2024
Bozza non corretta

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Mascaretti Andrea , Presidente ... 2 

Audizione di Marco Esposito e di Pino Aprile sulle tematiche relative allo stato di attuazione e alle prospettive del federalismo fiscale (ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Regolamento della Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale) :
Mascaretti Andrea , Presidente ... 2 
Aprile Pino , giornalista e scrittore ... 3 
Mascaretti Andrea , Presidente ... 7 
Esposito Marco , giornalista e scrittore ... 8 
Mascaretti Andrea , Presidente ... 13 
Aloisio Vincenza  ... 15 
Spagnolli Luigi  ... 15 
Guerra Maria Cecilia (PD-IDP)  ... 17 
Caramiello Alessandro (M5S)  ... 19 
Mascaretti Andrea , Presidente ... 21 
Aprile Pino , giornalista e scrittore ... 21 
Esposito Marco , giornalista e scrittore ... 24 
Mascaretti Andrea , Presidente ... 25

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
ANDREA MASCARETTI

  La seduta comincia alle 8.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Buongiorno a tutti. Prosegue il ciclo di audizioni sulle tematiche relative allo stato di attuazione e alle prospettive del federalismo fiscale.
  Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che mediante il resoconto stenografico, anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Marco Esposito e di Pino Aprile sulle tematiche relative allo stato di attuazione e alle prospettive del federalismo fiscale.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Regolamento della Commissione, di Marco Esposito e Pino Aprile, giornalisti e scrittori esperti di meridionalismo, sulle tematiche relative allo stato di attuazione e alle prospettive del federalismo fiscale.
  Ringrazio i nostri ospiti e ricordo che allo svolgimento della relazione potranno seguire eventuali domande da parte dei parlamentari e quindi la replica da parte degli auditi.
  Nel ringraziare gli ospiti per la disponibilità dimostrata, cedo la parola, in prima battuta, a Pino Aprile.
  Chiedo scusa, siccome ci sono delle Commissioni convocate, se non ci sono problemi da parte dei colleghi l'idea sarebbe quella di terminare le domande e le risposte per le 9 di questa mattina, per dare modo ai parlamentari di raggiungere le rispettive Commissioni di Camera e Senato. Grazie.

Pag. 3

  PINO APRILE, giornalista e scrittore. Buongiorno. A Yanis Varoufakis, appena nominato Ministro dell'economia della Grecia in disastro, grazie alle amorevoli cure dell'Unione europea, l'allora Segretario di Stato, che era stato suo maestro, Larry Summers, chiese «Yanis, tu come giochi? Ci sono due specie di politici, quelli che giocano dentro e quelli che giocano fuori. Tu dove giochi?».
  Ecco, non vale solo per i politici. Sul contenuto dell'autonomia differenziata, quello tecnico, è stato detto tanto e autorevolmente da esponenti di Corte dei conti, Ufficio parlamentare del bilancio e persino dalla Commissione europea, dalla Banca d'Italia, da Svimez, dai maggiori costituzionalisti. Quindi, mi fermo lì per il contenuto tecnico. Sono tutti eccellenti osservatori che giocano dentro, nel senso che operano in istituzioni ed enti la cui esistenza e il cui ruolo concorrono all'equilibrio di poteri. Questo, dunque, pone limiti alla loro intelligente e non sempre coraggiosa azione, sfumandone la forma e talvolta persino la sostanza. Eppure, da quasi tutti costoro il disegno di legge per l'autonomia differenziata è stato chiamato «lo spacca Italia», persino dal professor Sabino Cassese, presidente della Commissione Calderoli, prima dell'improvvisa e per ora ancora inspiegata conversione (forse sulla via del Quirinale?). O anche è stata definita «la secessione dei ricchi».
  Invece, a mano a mano che l'entità del saccheggio delle risorse pubbliche da parte delle regioni più ricche tramite l'autonomia differenziata, esaltazione della spesa storica, diviene evidente, sempre più probabile appare invece un sentimento crescente di voglia di secessione da sud, per sottrarsi ad una certificazione costituzionale del ruolo di colonia interna del Mezzogiorno d'Italia. Se anni fa la Lega Nord si limitava a dirlo della secessione senza volerla davvero, al sud invece questo Pag. 4sentimento indipendentista sorprendentemente fa sempre più proseliti, ed è un allarme che non viene raccolto. Che riguardi una minoranza in crescita non può essere sottovalutato. Ricorderete che 80 anni fa c'è stata una guerra di secessione fra Sicilia e Italia e che gli iscritti al movimento secessionista siciliano erano quasi mezzo milione, ovvero più di tutti gli iscritti a tutti gli altri partiti messi insieme. Ci sono stati dei morti, c'è stata una battaglia campale. Queste cose vengono sottovalutate finché non cominciano. A quel punto è difficile fermarle.
  Una situazione quindi che, specie se alimentata ad arte su disagi e sentimenti veri, può divenire esplosiva. Io per ruolo e carattere – sono un giornalista pensionato e il carattere non mi aiuta – posso giocare fuori, quindi non ci girerò attorno. In primo luogo, hanno riflettuto i componenti di questa Commissione sulle possibili conseguenze delle ulteriori disuguaglianze che l'autonomia differenziata andrebbe a generare, oltre a esasperare quelle esistenti? L'Italia è già il Paese con il divario interno più profondo e duraturo del pianeta, si chiama «questione meridionale». Viene ignorato in Italia, ma ci sono economisti (non di recente) che sugli studi meridionalisti hanno preso il premio Nobel, come lo svedese Gunnar Myrdal.
  Gli economisti studiosi delle disuguaglianze mostrano che quando queste superano il livello 40 della scala del coefficiente di Gini, che le misura, vengono storicamente ridimensionate con la violenza, terrorismo, sommosse, rivolte, colpi di Stato. Scorre il sangue. Chi sottovaluta questo rischio dimentica che tali fenomeni, ripeto, vengono ritenuti irreali finché non si verificano. Ci sono poteri e capitali enormi che aspettano o creano le condizioni di debolezza di alcuni Paesi per prenderne le risorse a prezzo di saldo fallimentare. Si sono chiesti i componenti di questa Commissione se e come stiano agendo i Pag. 5potentati sovranazionali interessati a un'Italia frantumata in una ventina di staterelli conflittuali e astiosi, che cercano di sottrarsi risorse l'un l'altro?
  A chi fa comodo l'Italia a pezzi? Ricorderete, «e ora tocca all'Italia», si disse dopo la Grecia martirizzata dall'Europa per consegnarne i cocci alla Germania. Si obiettò che la Grecia non ha una vera economia, mentre la nostra è una delle maggiori e più complesse, e la popolazione italiana è sei volte quella greca, quindi da noi non può succedere. Vero, ma l'obiezione non regge più se il blocco Italia viene fatto a pezzetti. Se questo avvenisse – e qualcuno ha interesse a favorirlo – poteri sovranazionali sbranerebbero prima il più fragile sud, con partecipazione di avvoltoi nostrani, poi il nord indebolito dalla perdita del suo primo e quasi esclusivo mercato, il Mezzogiorno, e in più da una conflittualità interna al nord che riproporrebbe lo schema nord-sud attuale, dal momento che quattro regioni su otto – Valle d'Aosta, Liguria, Trentino-Alto Adige e Friuli – ricevono più di quanto versino, quindi sono tecnicamente assistite.
  Questo lavoro di lobbisti stranieri avviene ovunque, quindi pure da noi. Non possiamo pensare di essere indenni da questi giochi. La neonazista AfD, Alternativa per la Germania, per dire, ha visto crescere i suoi consensi sino a divenire il secondo partito tedesco. A stravincere nel Congresso furono i più estremisti iperpatrioti Petr Bystron e Maximilian Krahe, salvo scoprire recentissimamente – è questione di poche settimane – che il primo prende i soldi dai russi (la polizia a casa gli ha trovato almeno una decina di lingotti d'oro) e li prende tramite il portale Voice of Europe, mentre il secondo è filomoscovita anche lui, ma si è scoperto che riceve con regolarità contributi da Pechino. Si chiamano «patrioti». I giornali li hanno ribattezzatiPag. 6 «patrioti sì, ma degli altri», per dire di come avvengano questi giochi.
  Perché il Parlamento italiano, quindi, dovrebbe rendersi complice del disegno della distruzione dell'Italia, di quel minimo di coesione nazionale che c'è, perché l'Italia, come abbiamo sotto gli occhi, non è stata mai davvero unita? Molti eletti del nord ritengono così, cioè cercando di trasportare nei loro collegi elettorali la maggiore quantità di risorse possibili, di fare gli interessi del proprio territorio, inteso come patria, contro il Paese che si chiama Italia.
  Quando il Ministro Brunetta fu costretto a fare un concorso per assumere 2400 funzionari a tempo determinato per i comuni del sud, dove ne mancano 20.000 rispetto al nord, scrisse una pubblica lettera di scuse ai veneti: «Respingo con decisione e persino con sdegno l'accusa di essermi trasformato in una sorta di protettore venduto del sud». Era un Ministro della Repubblica e si scusava con i suoi corregionali per aver fatto il suo dovere verso lo Stato e il popolo italiano! Questa è l'idea dominante, purtroppo, nel nostro Paese.
  Gli eletti nel sud, invece, normalmente gestori di un potere subordinato, di fatto, coloniale, quasi sempre assecondano le maggioranze di governo, che sono quasi sempre antimeridionali, perché questo è il sistema su cui è stato costruito questo Paese. È un sistema che era normalissimo un secolo e mezzo fa, con la civiltà industriale, ma ora siamo in una nuova civiltà, quella informatica. Quindi – concludo – come stanno operando i lobbisti dei poteri che vogliono fare l'Italia a pezzi, che trovano più conveniente un Paese spezzettato per potersene impadronire, almeno per i pezzetti più succosi, più importanti?
  Io non so se c'è nel Parlamento italiano qualcuno che lo sa e a quale titolo lo sappia, ma io posso riferire (lo posso fare per via della mia attività di giornalista e scrittore) come il ParlamentoPag. 7 greco consegnò il proprio Paese agli speculatori tedeschi. Il 2 gennaio 2013, al tavolo di un bar sotto i portici dinanzi alla stazione centrale di Milano, un imprenditore italiano discuteva con alcuni investitori arabi. Si avvicinò un tale che l'italiano scambiò per una persona senza fissa dimora. Stava per prendere qualche monetina per dargliela quando i suoi interlocutori arabi gli chiedono di accompagnarlo in banca, poiché lui non ha grande familiarità con la lingua italiana e deve fare un'operazione in banca. Per non contraddire i suoi interlocutori questo imprenditore accompagnò il presunto clochard e si trovò coinvolto nel trasferimento a Dubai di 270 milioni di euro fascettati Deutsche Bank. Infastidito, al ritorno chiese spiegazioni agli arabi («ma in che storia mi avete infilato?») e gli dissero che quelli erano la seconda parte di 500 milioni di euro – la prima parte era già stata inviata da Parigi – da trasformare in diamanti con cui stavano comprando la maggioranza del voto nel Parlamento greco, e il clochard presunto era un sottosegretario del Governo greco. Il tutto a favore della Germania e ai danni della Grecia. Sul Partenone – questa volta senza i Panzer nazisti – è stata rimossa la bandiera greca e sventola quella tedesca.
  Se la Commissione volesse, potrebbe ascoltare direttamente da questo imprenditore il racconto. Dopo la pubblicazione che ne feci in un mio libro, mi disse che avrei potuto riferire il suo nome soltanto se la magistratura o altra istituzione lo avesse chiesto. Questa Commissione si fa domande su chi sta facendo questo tipo di giochi nel nostro Parlamento, nel nostro Paese, a danno dell'Italia?

  PRESIDENTE. Grazie. Proseguiamo con le nostre audizioni sul federalismo fiscale.
  Do la parola a Marco Esposito, che è collegato con noi.

Pag. 8

  MARCO ESPOSITO, giornalista e scrittore. Grazie, presidente. Saluto i deputati e i senatori, saluto Pino Aprile, collega e amico.
  Sul federalismo fiscale oggi proverò a illustrare una cosa che finora, in dieci anni di attuazione, non è ancora emersa, cioè rispondere alla domanda «ma quanto valgono come importo i fabbisogni standard assegnati ai comuni?». Sembra strano, ma non l'abbiamo mai saputo. Sappiamo le percentuali di riparto tra le varie voci (istruzione, trasporto, illuminazione pubblica, asili nido, sociale eccetera) però non conosciamo questo importo. È come se chiedessimo a una persona quanto le costa una vacanza e quella rispondesse il 20 per cento di trasporto, il 50 per cento d'albergo, il 30 per cento di servizi sulla spiaggia e il 20 per cento regali.
  Possiamo finalmente determinare l'importo, perché lo scorso marzo è stata finalmente pubblicata, per una sola delle voci, quella dei servizi sociali, il valore. Visto che conosciamo le percentuali, siamo in grado, per estrapolazione, partendo da un singolo comune (nel documento che ho consegnato parto dal Comune di Roma), di calcolare quello che è il fabbisogno effettivo assegnato ai comuni. Questo fabbisogno è di 20 miliardi 522 milioni. Qual è l'informazione, la notizia? Che è di 312 milioni superiore a quella che è la capacità fiscale assegnata ai comuni, e questo è tecnicamente, costituzionalmente impossibile, assurdo, perché per Costituzione noi dobbiamo coprire integralmente i fabbisogni assegnati e invece i fabbisogni sono superiori alla capacità fiscale. Quindi, c'è uno scostamento, un buco di 312 milioni nel sistema e non è tantissimo, è circa l'1,5 per cento, ma comunque segna un'anomalia. In realtà le capacità fiscali dovrebbero essere superiori ai fabbisogni, perché poi andrebbero perequate integralmente quelle relative ai fabbisogniPag. 9standard e parzialmente quelle superiori, e invece siamo al di sotto.
  È una cosa che si può correggere, peraltro senza danni per l'economia, per i conti pubblici, per il Ministro Giorgetti, perché, come ha ben spiegato in questa Commissione Arachi a fine maggio, c'è una serie di trasferimenti statali ai comuni a statuto ordinario che non sono mai entrati nella capacità fiscale e che andrebbero invece non solo inseriti, ma anche perequati, altrimenti si creano delle distorsioni. Quindi, si segnala un problema tecnicamente e costituzionalmente molto serio, che però è anche correggibile, e si chiede quindi alla Commissione e al Parlamento a invitare il Governo a intervenire in questo senso.
  Una volta, però, che sono noti i numeri, appunto i 20 miliardi 522 milioni complessivi, noi possiamo finalmente entrare nell'analisi di quello che effettivamente viene assegnato come fabbisogno, comune per comune e servizio per servizio, e quindi verificare quelli che possono essere degli scostamenti rispetto al senso di giustizia. La relazione l'ho chiamata «don Milani» alla rovescia, cioè «inalim nod», perché don Milani come sappiamo riteneva sbagliato fare parti uguali tra disuguali, quindi odiava l'uguale pro capite, però noi siamo arrivati a una differenziazione che va al contrario del principio di don Milani, cioè tendenzialmente si assegnano maggiori fabbisogni laddove ci sono maggiori servizi e non maggiori disagi, come sarebbe nello spirito appunto di don Milani.
  Faccio degli esempi concreti per capirsi. Chiaramente si apre un mondo, una volta che conosciamo i numeri, ma mi sono limitato a fare una prima analisi pilota su venti grandi comuni capoluogo, da Roma a Ravenna, e sui venti maggiori comuni non capoluogo, quelli di popolazione tra i 60 mila e i 120 mila Pag. 10abitanti, su due servizi, il trasporto pubblico locale e l'istruzione.
  Sul trasporto pubblico locale vediamo che ci sono dei comuni non capoluogo del Mezzogiorno, sono 5 su 20, che hanno riconosciuto come fabbisogno standard, quindi da garantire assolutamente alla propria popolazione, zero. Il più popoloso di tutti è Corigliano-Rossano, che è comune unico dal 2018. È palesemente un comune non solo popoloso – 74.000 abitanti – ma è un comune sparpagliato, quindi si può immaginare che il trasporto locale sia una necessità, e invece siamo di fronte a quota zero. Il massimo tra i comuni non capoluogo è Sesto San Giovanni, con 30 euro pro capite. Segnalo che Sesto San Giovanni riceve come fabbisogno addirittura più del comune di Bari, che è a quota 27 euro ed è al centro, come è noto, di un'area metropolitana, mentre Sesto San Giovanni fa parte di quella di Milano.
  Ci sono dunque delle anomalie – trovate tutti i numeri nell'allegato al documento che ho consegnato – sulle quali mi permetterei di sollevare attenzione. Peraltro, sul trasporto pubblico locale manca qualunque forma di asticella alla quale agganciarsi ed è stato sottolineato anche da altri tecnici intervenuti in questa Commissione.
  Sull'istruzione la situazione è, se possibile, ancora più seria. L'istruzione per i comuni si riferisce solo alla popolazione di 3-14 anni, quindi i bambini dalle materne fino alle scuole medie, come si dice ordinariamente. Anche qui, abbiamo delle differenze molto forti che sono legate sostanzialmente al fatto che il tempo pieno, come sappiamo, è molto differenziato sul territorio, senza che ve ne sia una reale ragione; anzi, l'assenza di tempo pieno, soprattutto nei comuni del Mezzogiorno, porta un maggior disagio per le famiglie che si accompagna a un minore tasso di occupazione femminile. Quindi, è un tema non Pag. 11solo di istruzione in senso stretto, ma anche un tema sociale. Finora, però, come dicevo prima, non era possibile dare dei numeri, ma solo dei numeri indice assolutamente incomprensibili; invece possiamo arrivare finalmente agli euro pro capite. Arriviamo quindi ad anomalie del tipo che due comuni tra loro distanti appena una ventina di chilometri, come Aprilia e Pomezia nel Lazio, hanno un fabbisogno riconosciuto che è praticamente la metà contro il doppio: ad Aprilia sono 437 euro per bambino, a Pomezia arriviamo a 1092. Si giustifica, alla don Milani, col fatto che a Pomezia ci sono problemi maggiori, è più costoso riscaldare gli edifici? Penso proprio di no. Evidentemente stiamo soltanto certificando delle differenze.
  Mi permetto, però, di sottolineare una cosa. Un conto è statisticamente verificare che c'è un problema ad Aprilia rispetto a Pomezia, altra cosa è scrivere, come purtroppo facciamo con il federalismo fiscale, una regola per cui noi diciamo che il fabbisogno giusto a Pomezia è il doppio di Aprilia. Ho fatto l'esempio di due comuni vicini con uno scostamento molto forte, ma avremo scostamenti simili anche se andiamo a confrontare Reggio Calabria e i suoi 545 euro con Milano e i suoi 1118 euro, più del doppio.
  È chiaro che stiamo parlando di un servizio di prossimità, l'istruzione fino alla scuola media, che quindi devi garantire nei centri grandi come nei centri piccoli, e non c'è alcuna funzione aggiuntiva che una grande città debba svolgere rispetto a una città di rango demografico inferiore. Dovrebbe essere tendenzialmente omogeneo sul territorio o comunque differenziato per ragioni oggettive, come può essere una maggiore o minore presenza di disabili, un diverso costo di riscaldamento e così via, ma chiaramente si evidenziano delle differenze molto forti.
  Tra i grandi comuni – cito soltanto i primi – Roma è a quota 1091 euro, Milano (l'abbiamo detto) a 1118, per Napoli già si Pag. 12scende a 694, con Torino si risale a 965, Genova 951, Bologna 1040, Firenze 922, Bari 618. Ancora una volta, sembra che la latitudine influenzi quelli che sono i diritti riconosciuti.
  Ultima riflessione, sulla quale vado a chiudere per lasciare spazio alle domande, e vale per l'attuazione del federalismo fiscale, vale – lo ha accennato bene Pino Aprile – per l'autonomia differenziata, che non è altro che l'estensione di quello che è accaduto nelle regioni a statuto ordinario alle regioni, e su molti più servizi rispetto a quelli strettamente comunali. Se noi differenziamo i servizi per residenza, se noi creiamo un aggancio, un legame tra il posto dove vivi e i diritti che ti spettano, inevitabilmente spingeremo le persone a trasferirsi. Visto che la Repubblica dà il segnale che non rimuoverà gli ostacoli, le persone tenderanno a muoversi loro. Questo, in un mondo normale, ordinario, potrebbe essere anche un fattore di riequilibrio; che le persone si spostino verso i luoghi che offrono migliori opportunità è del tutto normale, che debbano offrire anche maggiori diritti non è normale ma rientra in questo sistema. Però noi siamo a un passo dal collasso demografico, tema che avete cominciato ad affrontare in questa Commissione.
  Andare a contare le persone, soprattutto nelle aree interne, non è più un modo per capire qual è il fabbisogno di quei territori, perché, visto che le persone sono sempre di meno, spaventosamente di meno, non si farebbe altro che andare a sottrarre risorse a questi territori già fragilissimi accelerando il loro declino, anzi il collasso. Ecco, applicare questa cosa anche ai grandi comuni, anche alle città, cioè a intere macroaree – il Mezzogiorno sostanzialmente – significa accelerare i trasferimenti Sud-Nord, in una fase che non dobbiamo mai dimenticare è prossima, per l'Italia, al collasso demografico. Non, come dice l'Istat, nel 2080 (fa previsioni giustamente molto avanti nel Pag. 13tempo), ma vicinissimo a noi, nel 2027 avremo in Italia più persone di anni 80 che di anni 18.
  Non è mai accaduto nella storia, non è mai accaduto in un altro Paese sulla faccia della terra: più persone di anni 80 – non gli ottantenni, solo anni 80 – che di anni 18. Questo significa un Paese che non può reggere e che ci costringe a prendere immediatamente delle contromisure. Quali? Non è questo il campo sul quale decidere, ma senz'altro tra le contromisure c'è quella di correggere immediatamente e rapidamente delle distorsioni come queste, che spingono le persone a cercare altro. Certamente non conoscono le tabelle stabilite dalla Commissione tecnica fabbisogni standard, ma ne intuiscono gli effetti una volta che si guardano attorno e vedono i servizi scolastici, vedono i servizi di asili nido, vedono i servizi di trasporto pubblico locale, i servizi sanitari eccetera eccetera. Differenziare per territorio è una cosa che è giusta in assoluto, ma che non possiamo permetterci in questa condizione attuale.
  Naturalmente resto a disposizione per tutte le spiegazioni tecniche su questa documentazione. Ripeto, sono tutti numeri ufficiali, ma per la prima volta sono stati elaborati in questa forma e ci consentono di elaborare analisi che in dieci anni di attuazione del federalismo fiscale non erano state possibili. Una volta che i numeri sono noti, certe distorsioni non sono più tollerabili.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Nel dare la parola ai colleghi che desiderano intervenire, ricordo che il tema è il federalismo fiscale, quindi vi chiederei di essere puntuali su questa tematica, perché il tempo a disposizione è poco.
  Volevo ringraziare innanzitutto i nostri ospiti. Prendo spunto dall'ultimo intervento e anch'io faccio una domanda. Credo che sia molto interessante il tema demografico. Abbiamo guardato Pag. 14il tema prima in dimensione macro, nello specifico credo che sia molto interessante.
  Io arrivo da un'esperienza, quella di Milano, dove il tema è che, ad esempio, il servizio di trasporto pubblico non è calibrato – sapete tutti che è in perdita – su 1 milione 300 mila residenti, ma è calibrato sui city users, che sono molti di più. Abbiamo 1 milione 300 mila residenti e 800 mila utilizzatori che arrivano prevalentemente dall'area metropolitana ma non solo, che si aspettano di trovare nella città dove lavorano evidentemente una serie di servizi che il comune di Milano deve mettere in campo, sebbene queste persone siano residenti nella città metropolitana o addirittura in regione oppure fuori. Credo che si debba tenere conto anche di questa cosa negli spostamenti, bisogna guardare, credo, ed è molto interessante, la demografia dove ci porta.
  Poi c'è sicuramente il tema della globalizzazione, della mobilità delle persone, quindi il tema del lavoro perché poi le persone vanno anche dove sono nelle condizioni di produrre un reddito adeguato per se stessi e per la propria famiglia e lì poi si aspettano di trovare tutti i servizi, considerando anche che c'è una popolazione che, contemporaneamente, sta invecchiando e quindi cambia costantemente l'esigenza dei cittadini dei servizi che richiedono, perché si passa da famiglie giovani con bambini a persone sempre più anziane, quindi con esigenze completamente differenti.
  Ho fatto questa domanda, quindi chiedo ai nostri ospiti se in tal senso ritengono che si possa fare successivamente un approfondimento su queste tematiche, quelle legate alla demografia, ma anche ai bisogni che porta con sé l'immigrazione, quindi il cambiamento anche di cittadini in molti dei nostri territori con bisogni completamente differenti.Pag. 15
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  VINCENZA ALOISIO. Vorrei ringraziare specificamente le due persone audite, in particolare lo scrittore Pino Aprile, che conosco. Mi ha fatto molto piacere ascoltarlo e vorrei approfondire tutti quegli aspetti a cui ha fatto riferimento.
  Tuttavia, mi ero preparata una domanda più specifica sulla politica attuale. A suo avviso, il PNRR avrà un ruolo per assottigliare questa sperequazione o la sua gestione deficitaria da parte di questo Esecutivo incrementerà il gap tra nord e sud?
  Vengo all'altra domanda. Premesso che questo provvedimento rischia di spaccare in due il Paese, indebolendo l'Italia e indirettamente anche il continente europeo, a suo avviso, che interessi si celano dietro un'Europa debole nello scacchiere mediterraneo?
  Colgo l'occasione per dire qualcosa in merito a quanto segnalato dal presidente a proposito dell'emigrazione. Sarebbe, secondo me, un aspetto da approfondire in un altro contesto, in un altro momento.
  A proposito dell'emigrazione non trovo per niente giusto che si debbano assegnare delle diverse somme ai cittadini e ai comuni in base alla distribuzione geografica, perché, secondo me, ci dovrebbe essere un'assegnazione pro capite per cittadino. Questa è la domanda che faccio specificamente al giornalista Marco Esposito, perché ogni realtà geografica pone i cittadini, dal punto di vista antropologico, di fronte a delle realtà di vita quotidiana.
  Penso che ogni essere umano dovrebbe avere la stessa somma assegnata.

  LUIGI SPAGNOLLI. Ringrazio anch'io gli auditi. Butto sul tavolo brevemente qualche considerazione. Io vengo dall'Alto Pag. 16Adige, quindi sono stato direttamente toccato dalle considerazioni fatte dagli auditi. Vorrei precisare che ormai da diverso tempo, da diversi decenni, l'Alto Adige non è più assistito e utilizza per il proprio bilancio il 90 per cento delle entrate fiscali complessive del proprio territorio e a questo aggiunge il fondo di solidarietà per le altre regioni e un fondo di solidarietà per i comuni delle regioni confinanti. Per cui, non siamo assistiti, ma siamo contribuenti netti.
  Dopodiché, si può discutere se in misura sufficiente o meno, però ricordo che l'Alto Adige gestisce direttamente competenze che altrove gestisce lo Stato, quindi quello che lo Stato spenderebbe da noi non lo spende e su questo fare i conti diventa piuttosto complicato e guarda caso nessuno li ha mai fatti. Questo un pochino mi stupisce. Perché nessuno li ha mai fatti? Io vengo da un territorio storicamente mitteleuropeo e la Mitteleuropa è articolata in regioni con una competenza molto alta su diversi servizi rispetto agli Stati cui appartengono. I bavaresi sono orgogliosissimi di essere bavaresi, ma sono anche tedeschi, anche se sono molto diversi dai prussiani e molto diversi dai sassoni. I tirolesi sono molto diversi dai viennesi e dagli abitanti della Stiria o della Carinzia, ma hanno una loro autonomia e si sentono profondamente austriaci.
  Non è vero che è avere una più forte autonomia delle regioni comporta automaticamente che lo Stato si disgrega. Ci si può benissimo sentire comunque italiani, ma come? Ci si può sentire italiani se lo Stato supera questo suo voler essere un controllore e basta, cioè uno che va a guardare come vengono fatte le cose nei diversi territori e permettersi di dire che cosa va bene e cosa va male attraverso le sue varie strutture, a partire dall'Agenzia delle entrate, per arrivare alla giustizia eccetera. Diventa, invece, uno stimolatore.Pag. 17
  Perché i tedeschi sono orgogliosi di essere tedeschi? Perché lo Stato fa poche cose, ma le fa bene. Da noi, invece, lo Stato vuole fare tutto e il suo tutto non lo fa tutto bene.
  Non ci si sente orgogliosi di essere italiani quando lo Stato non funziona, ed è questo, secondo me, il vero problema del nostro Paese, che però insiste a voler fare di tutto ovunque, da un lato perché questo consente a un certo sistema politico di avere consensi che, diversamente, probabilmente non avrebbe. Pensiamo, per esempio, alla Sicilia, che ha una autonomia paragonabile a quella dell'Alto Adige, però di fatto è perennemente in default, deve continuamente chiedere a Roma sostegni economici extra per poter chiudere i conti. Questo è un po' il senso delle cose. Non mi permetto di sindacare o di discutere su quello che è stato detto qui, però mi sento di dire che ci vorrebbe un cambio di passo che dia alle singole popolazioni delle diverse regioni italiane la capacità di gestire autonomamente i loro servizi. In questo modo non ci si arriva.
  In questo modo si continua a dire «vi do l'autonomia, ma poi io vi controllo per vedere se la fate bene». Autonomia significa che dare un tot di soldi per poi gestirli. Dopodiché, vediamo come si gestisce l'autonomia, ma non per poi eliminarla, ma per dire agli abitanti di una Regione «avete una classe politica che non funziona, cambiatela».

  MARIA CECILIA GUERRA. Ringrazio anch'io gli auditi, però prima di tutto vorrei rivolgermi proprio a lei, presidente, e alla Commissione. Nel prosieguo dei nostri lavori, secondo me, noi dobbiamo definire anche meglio i temi di queste audizioni, perché i temi che sono stati sollevati oggi, tutti interessanti, però spaziano sull'universo mondo e magari non ci permettono di essere così efficaci rispetto all'oggetto specifico della nostra indagine.Pag. 18
  Mi rivolgo in particolare al dottor Esposito, che ringrazio specificamente per l'esercizio – lo chiamo «esercizio» non in modo limitativo – che ci ha portato, per i dati che ci ha fornito e per le elaborazioni che ha fatto basandosi sui dati ufficiali.
  Nelle audizioni che abbiamo svolto questo tema della definizione delle coperture dei fabbisogni sulla base di percentuali e non sul valore pieno era stato sollevato e io stessa avevo chiesto lumi sia ad ANCI che al Comitato dei fabbisogni standard, adesso non mi viene in mente il nome esatto della Commissione.
  Prenderei spunto – mi rivolgo ancora una volta al presidente – da questa audizione per chiedere alla Commissione che elabora fabbisogni standard e capacità fiscali se potesse prendere in esame questa audizione che oggi abbiamo visto e fornirci, anche in via ufficiale, senza sminuire, ma al contrario valorizzando il lavoro che oggi ci è stato presentato, questo tipo di valutazione, cioè l'incompletezza. Quando manca? È un esercizio che peraltro è stato già fatto ufficialmente ad esempio per quanto riguarda le province ed ha portato anche a una ridefinizione di quel finanziamento, perché lì il tema si era posto in maniera tale da compromettere l'esistenza stessa di quegli enti. Questo gap, quindi, è stato valorizzato proprio in termini di politica.
  Siccome questa è anche la nostra funzione, una funzione conoscitiva al fine di fare proposte, avere una validazione, un completamento delle suggestioni che oggi ci sono venute per via ufficiale potrebbe essere assolutamente importante, anche e secondo me addirittura prioritariamente, al fine di valutare le esigenze di perequazione. Se facciamo un collegamento fra la discussione che qui dovremmo fare, che riguarda l'attuazione del federalismo e invece il tema che non dovremmo discutere, ma è inevitabile che ne discutiamo perché è collegato, dell'autonomiaPag. 19 differenziata, questo punto è particolarmente delicato. Mi riferisco al fatto di essere già in un quadro in cui alcune parti delle funzioni fondamentali, che sono comunque lato sensu considerate LEP, non vengono pienamente e integralmente finanziate.
  Lo dico perché quando gli organismi preposti andranno a definire le materie «LEPizzabili» e non «LEPizzabili» – uso questo bruttissimo termine – all'interno delle materie LEP, per esempio l'istruzione, il tema diventerà molto scottante, perché alle une, quelle «LEPizzabili», deve essere garantito il finanziamento integrale, e alle altre no.
  Per esempio, il dottor Esposito citava il tempo pieno. Il tempo pieno non rientra ancora fra i LEP. Gli elementi che lui ci ha dato della sua offerta in maniera così differenziata fra regioni e fra territori è un elemento che diventa fondamentale, perché se non viene «LEPizzata», quindi non si garantisce un criterio non solo di finanziamento integrale, ma di finanziamento integrale in quanto assistito da perequazione, noi potremmo trovarci in un meccanismo che, attribuendo la spesa storica, perché questo è il concetto per le materie non LEP che viene esplicitato dal disegno di legge Calderoli, attribuendo alle regioni la spesa storica fotografiamo e congeliamo una situazione di forte sperequazione. Non so se mi sono spiegata.

  ALESSANDRO CARAMIELLO. Permettetemi qualche considerazione.
  Ringrazio i giornalisti Pino Aprile e Marco Esposito per la disamina puntuale, come sempre. Ho ascoltato una serie di cose in quest'Aula, come il calo demografico e i servizi di trasporto. Generalmente il trasporto pubblico è sempre in perdita. Per esempio, a Parigi, per compensare le tredici linee di metropolitana, annualmente lo Stato mette dei fondi per andare a coprire quelle perdite. Quindi, è una scelta politica che si fa.Pag. 20
  Se in Molise non abbiamo proprio il treno, di quali servizi stiamo parlando? Chiaramente i responsabili non solo in questa stanza, ma sono centocinquant'anni di responsabilità della politica italiana unita che ci portano a dire che sono stati fatti una serie di errori gravissimi abbandonando il sud, andando solo verso il nord.
  Perché c'è un calo demografico? Se parliamo di federalismo fiscale e contestualmente in Aula stiamo discutendo dell'autonomia differenziata, cosa succederà? Se non hanno servizi i nostri giovani, se non hanno la possibilità di investire al sud, come potranno rimanere dall'Abruzzo alla Sicilia? Dovranno forse andare nuovamente a Milano, forse in Alto Adige, forse a Bolzano, forse in Emilia-Romagna. Questo è un problema serio che ha il sud, che non potrà essere abbandonato. Se dobbiamo distribuire fondi sulla base della popolazione, quei paesi, soprattutto quelli delle aree interne, andranno sempre di più a desertificarsi. Non arriveranno più fondi.
  Vi faccio un piccolo esempio e vado a chiudere. Il comune di Dogliola, un piccolo comune dell'Abruzzo, oggi conta 288 abitanti su un'estensione molto vasta. Il sindaco ha circa 960 ettari di terreno che non sa a chi dare. Li potrebbe dare a qualcuno che decide di andare a vivere lì e fare figli, però dovrebbe avere qualche servizio, dovrebbe avere qualche possibilità di vita futura, cosa che oggi non c'è.
  Annualmente muoiono per anzianità quasi 20 dogliolesi e nasce un bambino ogni tre anni. Ciò significa che tra quasi dieci anni il comune di Dogliola, così come tanti altri comuni del sud, andrà a desertificarsi e a sparire. Chiuderanno le scuole, forse chiuderanno gli ospedali, con una serie di considerazioni da fare.
  Mi rivolgo alla politica italiana tutta. Se D'Azeglio diceva: «Abbiamo fatto l'Italia, dovremo fare gli italiani», cosa che Pag. 21ancora, a distanza di centocinquanta anni, non è stata fatta, c'è un problema serio che non può essere risolto con il federalismo fiscale quando non puoi mandare i soldi perché non c'è più nessuno al sud. Non puoi basarti sull'autonomia differenziata.
  A questo punto, noi ci dobbiamo interrogare, noi di questa Commissione, e ci interrogheremo e ci stiamo interrogando anche in Aula su cosa possiamo mettere in campo effettivamente per aiutare l'Italia intera, perché se muore il sud sicuramente poi il nord avrà meno possibilità. Ragioniamo a trecentosessanta gradi, ragioniamo come italiani veramente, cosa che ancora dopo tanto tempo non siamo riusciti a fare. Siamo fratelli? E allora cerchiamo di aiutarci a vicenda per eliminare questo muro che nascerà dall'Abruzzo alla Sicilia e dall'Abruzzo a salire.
  Queste sono una serie di considerazioni che volevo fare. Ringrazio nuovamente i giornalisti che sono qui oggi.

  PRESIDENTE. Riguardo alle richieste dell'onorevole Guerra, ce ne faremo carico come Presidenza.
  Visto che abbiamo sforato con i tempi, lascerei tre minuti ad ognuno dei nostri ospiti per la replica.

  PINO APRILE, giornalista e scrittore. Comincio rispondendo alle domande della senatrice Aloisio. L'Europa è letteralmente, anche se la cosa non viene presentata così, terrorizzata dall'esplosione delle disuguaglianze, perché tutti gli studi della linea degli studi economici sulle disuguaglianze, che è la branca più nuova, dicono che l'aumento delle disuguaglianze può far letteralmente disgregare i sistemi sociali.
  Per questo, dopo il Covid, l'Europa ha deciso di intervenire per il rilancio del continente, facendo una cosa che aveva sempre voluto negare – c'è il no soprattutto della Germania, terrorizzata dall'inflazione – ovvero un debito europeo. Come Pag. 22è stato stabilito, quanto per ogni Paese, per ognuno dei ventisette Paesi? Ovviamente ci volevano dei criteri che fossero uguali per tutti. Questi criteri sono stati in rapporto alla popolazione – e ci siamo, è normale – in rapporto alla povertà, quindi al reddito medio delle popolazioni e in proporzione inversa al tasso di disoccupazione. La più grande area europea con i più bassi redditi e il più alto tasso di disoccupazione, per via delle politiche discriminatorie di un secolo e mezzo di Governi sotto il Regno, sotto la dittatura e sotto la Repubblica, di destra, di centro, di sinistra e tecnici, in Europa è il Mezzogiorno d'Italia.
  Grazie a questo sono arrivati dall'Europa 200 miliardi all'Italia, 200 su 800 totali, cioè 200 solo all'Italia e 600 per altri ventisei Paesi, fra cui Germania, Francia, Spagna e via di seguito. Quindi, applicando quei criteri alla ripartizione di quei fondi c'era la formula nel rapporto europeo. Nel messaggio con cui l'Europa manda questi soldi c'è la formula per la ripartizione dei soldi. Si mettono i dati: disoccupazione, reddito, popolazione. Viene fuori che di quei soldi al Mezzogiorno doveva andare il 70 per cento, aggiuntivi rispetto agli investimenti nazionali.
  Di quel 70 per cento il Governo Conte annunciò che ne avrebbe dati 50, cioè meno 20. Conte saltò e arrivò il Governo Draghi che disse che sarebbe stato il 40, ovvero meno 30. Poi si scoprì che era il 40 sì, ma solo delle somme territorializzabili. Che significa territorializzabili? Che si sa dove vanno a finire. Si scoprì che nel PNRR venivano dichiarate non territorializzabili delle una ingente quantità di miliardi che negli allegati al PNRR era detto che venivano spesi per le ferrovie del nord. Quindi, era il 40 per cento, ma solo di una parte.Pag. 23
  Il professor Viesti andò a contare quanti soldi poi effettivamente, oltre le dichiarazioni dell'allora Ministra Carfagna e del Presidente Draghi, c'erano e ci trovò il 10 per cento.
  Quindi, quel PNRR, quei soldi inviati all'Italia per abbattere le più gravi disuguaglianze esistenti in Europa e nel mondo, ce lo dimentichiamo questo, sono usati per aumentare queste disuguaglianze.
  Perché l'Europa, e rispondo quindi anche alla seconda domanda, è preoccupata di questo? Perché l'Europa in quasi tutta la sua storia è stata potente quando ha avuto il dominio del Mediterraneo. Non dimentichiamo che per otto secoli l'Europa ha fatto guerre per rimandare il potere orientale, che si configurava con l'Islam, ma poteva essere qualunque altra cosa, sulla sponda est e altri due secoli di guerra per impedire alla Russia di affacciarsi nel Mediterraneo e quindi mettere piede in un terzo continente, l'Africa, oltre che in Europa e in Asia.
  Oggi l'Europa, che nel 1900 aveva la metà della ricchezza di tutto il pianeta, e dopo la Seconda guerra mondiale ancora aveva un terzo della ricchezza di tutto il pianeta, dopo essere stata un gigante economico e un gigante politico ed essere diventata un gigante economico e un nano politico, oggi è un nano politico e un nano economico.
  Per tornare ad avere un ruolo deve avere il Mediterraneo. Invece, oggi abbiamo di nuovo i turchi a Tripoli, i russi, per la prima volta nella storia, a Tobruk e le rotte commerciali marittime nel Mediterraneo, le più intense del mondo, sono in mano alla Cina.
  Ecco perché l'Europa ha bisogno di far sviluppare l'Italia, perché ogni euro investito nel sud dell'Italia, lo dice la Banca d'Italia, genera 1,41 euro. Quei 41 centesimi finiscono al nord e mettono in moto la parte produttiva del nord che è propedeutica a quella tedesca. La Germania assembla quello che Pag. 24l'Italia produce. Quindi, se parte il sud, parte il nord, parte l'Italia e parte la Germania. Se parte la Germania, parte l'Europa. Facendo fallire il PNRR nel sud, l'Italia sta distruggendo il piano di rinascita europeo.

  MARCO ESPOSITO, giornalista e scrittore. Cerco di essere rapidissimo. Abbiamo parlato tante volte dell'indice di copertura degli asili nido, lo avete fatto anche voi. Se spariscono i bambini e quindi ci troviamo finalmente tanti asili nido, non è che abbiamo risolto il problema, abbiamo semplicemente creato un problema aggiuntivo alla mancanza di bambini. Ecco perché invito a fare della demografia una variabile oggettiva.
  Invito a riflettere su un dato particolare della demografia, che trovate tutti nell'ultimo rapporto Istat uscito dieci giorni fa sulle migrazioni interne e internazionali e in particolare sulle migrazioni di laureati. Non c'è bisogno di specificare perché siano così importanti. Ebbene, nell'ultima tabella di questo rapporto – la trovate facilmente – è evidente che da tutte le regioni italiane, compreso l'Alto Adige, compreso il Trentino, compresa la Lombardia, che contiene Milano, compresa l'Emilia-Romagna, siamo in rosso nei confronti con l'estero. Noi non siamo attrattivi nei confronti del resto del mondo da nessuna regione italiana.
  In Lombardia e in Emilia-Romagna c'è un saldo molto positivo grazie alle migrazioni interne di laureati da sud a nord. In dieci anni sono andati via 20.000 laureati dalla Lombardia e dall'Emilia-Romagna, ma ne sono arrivati 100.000 dal Mezzogiorno, cinque volte di più.
  Quindi, in un'impresa dell'Emilia-Romagna, in un'impresa della Lombardia non si avverte il problema della debolezza sui laureati, ma, come ha ben detto il Governatore della Banca d'Italia, noi paghiamo poco i nostri laureati. Ecco perché vanno all'estero. Perché li paghiamo poco? Perché avendo tanti laureatiPag. 25 del sud trattati malissimo nel proprio territorio, sia per i servizi sia per le occasioni di lavoro, questi giovani laureati sono disposti a lavorare a basso costo nelle imprese del nord, magari aiutati addirittura dalle loro famiglie, e questo rende oggettivamente più debole l'intero Paese.
  Se non comprendiamo qui, perché se facciamo le differenze nord-sud non andiamo da nessuna parte, che trattare male il Mezzogiorno e avere un Mezzogiorno debole significa che anche il nord Italia apparentemente ha gli spostamenti interni, ma questi spostamenti interni, anche solo per ragioni demografiche, si vanno a esaurire, comunque già oggi rendono debole l'intero sistema Paese. Essere in termini relativi in Emilia-Romagna contenti di essere meglio della Calabria non aiuta l'Emilia-Romagna e la Calabria a essere posti eccellenti in Europa.
  Se fosse così, arriverebbero dal resto del mondo più laureati anche nella splendida Emilia-Romagna. Apriamo un faro su questo. Io ho invitato con questi numeri a far sì che la Commissione tecnica fabbisogni standard possa fornirvi tutte le indicazioni ufficiali per quanto, come ha ben ricordato la senatrice Guerra, io su dati ufficiali sono partito, ma è sempre un giornalista che lo fa. Facciamolo fare a un ente ufficiale e rendiamoci conto di quali sono le distorsioni da correggere quanto prima, nell'interesse di tutti i territori.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Nel ringraziare nuovamente i nostri ospiti, dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.10.