XIX Legislatura

Comitati Riuniti (Comitato per la legislazione della Camera dei deputati e Comitato per la legislazione del Senato della Repubblica)

Resoconto stenografico



Seduta n. 7 di Lunedì 11 marzo 2024
Bozza non corretta

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Tabacci Bruno , Presidente ... 2 

INDAGINE SUI PROFILI CRITICI DELLA PRODUZIONE NORMATIVA E PROPOSTE PER IL MIGLIORAMENTO DELLA QUALITÀ DELLA LEGISLAZIONE

Audizione del Prof. Giuliano Amato, Presidente emerito della Corte costituzionale.
Tabacci Bruno , Presidente ... 2 
Amato Giuliano , Presidente emerito della Corte costituzionale ... 3 
Tabacci Bruno , Presidente ... 12 
Giorgis Andrea  ... 12 
Colucci Alfonso (M5S)  ... 14 
Tabacci Bruno , Presidente ... 16 
Amato Giuliano , Presidente emerito della Corte costituzionale ... 18 
Tabacci Bruno , Presidente ... 23

Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
Azione - Popolari europeisti riformatori - Renew Europe: AZ-PER-RE;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Noi Moderati (Noi con L'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE: NM(N-C-U-I)-M;
Italia Viva - il Centro - Renew Europe: IV-C-RE;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DEL COMITATO PER LA LEGISLAZIONE
DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
BRUNO TABACCI

  La seduta comincia alle 16.35

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto in via preliminare che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la resocontazione stenografica e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Prof. Giuliano Amato, Presidente emerito della Corte costituzionale.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del professor Giuliano Amato. Siamo molto onorati di questo, è presidente emerito di tante cose, da ultimo della Corte, costituzionale, ma non posso rammentare adesso il ruolo che ha avuto Giuliano Amato nella storia politica e istituzionale del nostro Paese, perché direi comunque meno di quello che meriterebbe di essere ricordato.
  Come è noto, questa indagine conoscitiva è in congiunta con il Comitato per la legislazione del Senato e il nuovo Presidente, Andrea Giorgis, è stato eletto qualche giorno fa, quindi lo salutiamo con amicizia e gli chiediamo di concorrere a dare una risposta positiva agli obiettivi che ci siamo dati con l'indagine conoscitiva.
  L'indagine verte sui profili critici della produzione normativa e proposte per il miglioramento della qualità della legislazione.Pag. 3
  Ringrazio ovviamente il professor Amato di aver accettato l'invito a partecipare all'odierna audizione e quindi lo invito a svolgere il suo intervento.

  GIULIANO AMATO, Presidente emerito della Corte costituzionale. Grazie, presidente. Sono onorato io di essere qua, perché, in realtà, tra i temi costituzionali questo forse meriterebbe di essere più discusso di altri e più al centro dell'attenzione di altri, anche perché noi abbiamo da anni ed anni ormai un avvitamento della produzione legislativa lungo una strada che rende sempre più problematico il ruolo del Parlamento.
  Quell'articolo 70, che dice che la funzione legislativa appartiene alle Camere, in realtà diventa sempre più evanescente nella corrispondenza alla realtà, e questo è davvero un male del nostro sistema, che, a mio avviso, è già in corso di cambiamento, anche se non sempre ci se ne rende conto, ed è un male che non è difficile estirpare del tutto se gli si dedica la necessaria attenzione.
  Come sappiamo, il problema è sorto nel corso dei decenni da due ragioni fondamentali. La prima è l'ingresso della dimensione tempo in procedure parlamentari e pubbliche, che inizialmente la ignoravano. Tanto le procedure amministrative quanto quelle legislative partono costituzionalmente dalle ragioni del contraddittorio e della trasparenza e di queste soprattutto si preoccupano, e fanno bene e sono ben costruite per tali fini.
  Quando arriva il tempo, noi siamo talmente impreparati ad accoglierlo tanto che lo stesso uso del decreto-legge, che compare come naturale davanti ad eventi nuovi, riesce a spalmarsi ignorando le ragioni del tempo.
  Ricordatevi (molti di voi non possono ricordarlo) i decreti congiunturali: nasce la congiuntura negli anni '60, in realtà c'è sempre stata, ma ce ne accorgiamo allora, e i Governi comincianoPag. 4 ad adottare misure destinate a correggere la congiuntura, a raffreddarla, oppure a promuovere un maggior vigore dell'economia.
  Nessuno all'epoca si era posto il problema della reiterazione dei decreti-legge, fatto sta che diversi decreti congiunturali, reiterati e rireiterati e sempre con un'applicazione malcerta, in attesa della conversione definitiva, arrivavano alla conversione quando la congiuntura era già bella e finita (è un ricordo che ho degli anni '60).
  A un certo punto, la Corte costituzionale – questo è rilevante – se ne accorse e disse «non si può fare». È una famosa sentenza scritta da Enzo Cheli, la n. 360 del 1996: le ragioni di necessità e di urgenza alla undicesima reiterazione evidentemente sono sfumate, quindi quel decreto-legge e la sua legge di conversione non si reggono più sul presupposto costituzionale. Questa è finita.
  Questo ha in realtà accentuato l'uso del decreto-legge, che diventa con il passare degli anni la misura che, avendo immediata vigenza, soddisfa di più le ragioni di chi legifera.
  Il Parlamento, che intanto si viene attrezzando per tener conto della dimensione tempo (fra l'altro, non può fare altrimenti con l'ingresso delle procedure ancorate alla tempistica europea, quindi le procedure di bilancio sono le prime ad essere influenzate dalla dimensione tempo, il DEF, il NADEF, l'ottobre, il novembre, la sessione di bilancio) non si attrezza soltanto con questo, adotta anche altri espedienti e modifiche regolamentari, ma non riesce, nonostante questo, ad invertire la tendenza.
  Voglio farla breve, perché non abbiamo poi molto tempo. Fatto sta che (prendo i dati che avete fornito voi con il vostro ultimo rapporto su questa legislatura) dall'ottobre 2022 al febbraio 2024 abbiamo una produzione legislativa che è per la metà di decreti-legge e leggi di conversione (sono i vostri dati, Pag. 544), poi ci sono 45 disegni di legge, una leggera maggioranza del Governo, 25 contro 22 del Parlamento, e colpisce che la sede redigente, che è utilissima per guadagnare tempo, compare in 10 dei disegni di legge di origine parlamentare, non compare in quelli di origine governativa.
  Per non parlare della sede deliberante, che nostro Signore, compresa la Costituzione, aveva previsto come il modo più rapido di legiferare, che risulta usata, in tutta la legislazione di questa legislatura, due volte.
  In concreto, la Camera che, come anche il presidente Giorgis sa, ha fatto più del Senato da questo punto di vista, ha un contingentamento dei tempi, che può essere applicato come e quando si vuole, ha regolamentato la prassi degli emendamenti segnalati (articolo 85-bis del Regolamento della Camera), che consente di ridurre pesantemente nella discussione la massa degli emendamenti ammessi ed è un intervento ben costruito, perché è affidato a quel soggetto che nel tempo è entrato anche nelle procedure parlamentari, che è il Gruppo, quindi è ciascun Gruppo che decide quali degli emendamenti presentati dagli iscritti al Gruppo stesso debbano andare in discussione.
  Se le leggi parlamentari, quindi, hanno dei problemi aperti, sono uno il maxiemendamento, l'altro la monocameralizzazione in diversi casi della legge, che in realtà nella seconda Camera che la tratta è sfiorata ed è quindi trattata solo nominalmente.
  Questi sono profili pericolosi, secondo me, perché nessuno si aspettava una sentenza come quella che prima ricordavo sulla reiterazione, ma prima o poi che l'articolo 72 dica che sono discusse e votate articolo per articolo una Corte costituzionale potrebbe anche ricordarselo, e articolo – non sta scritto nella Costituzione, ma sta scritto nei testi romani, ai quali si ispira la partizione delle leggi – è una piccola unità omogenea ed esiste in quanto unità omogenea (è questo il senso dell'approvazionePag. 6 articolo per articolo), con commi che sono suddivisioni dello stesso tema di cui l'articolo si occupa. Questo è il senso.
  D'altra parte, la controprova l'avete nel voto: si vota articolo per articolo, perché ciascun parlamentare possa esprimersi su ciascun argomento. Se l'articolo ingloba 70 argomenti, tradisce la manifestazione di volontà del parlamentare, così come riteniamo tutti pacificamente che si debbano evitare i Referendum con quesiti pluri-temi, perché si dice che questo falsa il voto dell'elettore, il quale può essere d'accordo sulla cosa A e in disaccordo su una cosa B, ma ha un unico «sì» o «no» per esprimersi.
  La stessa cosa, per certi versi e a maggior ragione, vale in Parlamento, altrimenti sarebbe inutile che sia votata articolo per articolo, quindi gli argomenti ci sono e prima o poi può capitare che qualcuno costringa a tirarli fuori: lo segnalo.
  Sull'altro profilo problematico, relativo al procedimento di formazione della legge della monocameralità, io non sono riuscito a pensare altro che una cosa che so essere sgradita in entrambe le Camere, che è l'istruttoria congiunta, e non c'è altro. Non c'è altro, perché i Governi li si può richiamare all'ordine, ma hanno sempre un loro apprezzamento, se arrivano tardi rispetto ad un termine, il tempo poi è poco, e allora l'espediente che utilizziamo è che il bilancio di quest'anno lo faccio io, il bilancio dell'anno prossimo lo fai tu, sono arrangiamenti pratici che, costituzionalmente, francamente non sono compatibili con un sistema bicamerale, che non è che funziona ad anni alterni, dovrebbe essere bicamerale permanentemente, ogni anno.
  Questo è un difetto – permettetemi di dirlo – che hanno le Camere, le cose congiunte non piacciono, non so se dipenda dai parlamentari o dagli apparati, qui siete presenti entrambi. Io ho sperimentato che, in una materia abbastanza collaterale, che è Pag. 7quella delle biblioteche e dei criteri di classificazione, non si è riusciti neanche ad avere un sistema unico tra Camera e Senato, anche se apparentemente la biblioteca è unica, ma sono rimaste due.
  L'istruttoria comune è quella che consente nello stesso tempo di avere le Commissioni parlamentari competenti di entrambe le Camere che lavorano sul testo e lo predispongono per le discussioni di Aula. Io non vedo altro, sarà mancanza di fantasia da parte mia, ma onestamente non riesco a vedere altro.
  Un'indagine parlamentare utile è capire se è vero quello che ora ho detto, che sono sgradite le cose congiunte, e, se è vero, come si può rimuovere la diffidenza e l'ostilità.
  Ora poi, fra l'altro, non vale più neanche molto l'obiezione che con troppa gente intorno a un tavolo poi non funziona, perché molti hanno criticato la riduzione dei parlamentari, ma ormai è avvenuta e di sicuro intorno al tavolo sono meno ora di quelli che erano alcuni anni fa; non sono diventati la metà, ma il taglio è parecchio, sono in tutto diventati 600, com'era la Camera una volta, quindi ci starebbe.
  Voglio passare alla parte più delicata, che è quella dei decreti-legge. I decreti-legge sono diventati veramente il protagonista della nostra legislazione e il grande malato della stessa legislazione, che fa ammalare il Parlamento. È inutile che mi intrattenga qui sul tema che ci appassiona quando ne parliamo fuori, ciascuno nelle sue responsabilità, sull'umiliazione della funzione del parlamentare, a cui basta lasciare un dito in Aula e può anche per il resto non esserci, purché il pulsante risponda «sì» quando è il momento di convertire, perché altro non può fare: eccetera, eccetera, lasciamo perdere tutto questo.
  Certo è che il decreto-legge oggi è costituzionalmente in genere molto discutibile per la non urgenza, la mancanza della Pag. 8straordinaria necessità ed urgenza, perché è diventato legislazione corrente. A me è capitato di leggere, un paio d'anni fa o un anno fa, un articolo che criticava il Governo (non so quale, ma non era questo) perché aveva fatto un disegno di legge e il giornalista testualmente scriveva «è chiaro che il Governo non prende sul serio il tema, perché altrimenti avrebbe fatto un decreto-legge. Il disegno di legge è un messaggio nella bottiglia».
  Questa è un'impressione del tutto sbagliata, perché – ripeto – le Camere hanno già fatto molto e hanno procedure che, salvo la monocameralità di cui sbarazzarsi e il maxiemendamento, che però è molto poco usato ormai, salvo le leggi di bilancio, hanno fatto molto, quindi non è vero che fare un disegno di legge significa infilare un messaggio in una bottiglia e buttarlo in mare, le procedure ci sono, in realtà si preferisce fare tutto con decreto-legge, anche quando non è urgente.
  A quel punto, un Parlamento, che ha quasi tutto il suo tempo occupato nella conversione, infila dentro tutto quello che può infilare, perché in quale decreto si mette quell'emendamento? Gli stessi Governi poi emendano i loro decreti, infilandoci cose che con il tema del decreto non c'entrano assolutamente niente, perché così intanto passano con la legge di conversione.
  Dicevo prima ai due presidenti, chiacchierando, che, fra gli altri effetti nefasti che si producono, c'è quello che, facendo tutto con decreto-legge, si collocano in decreto anche norme di rango tendenzialmente regolamentare, irrigidendo così la nostra legislazione in una misura che tentammo negli anni '80 di ridimensionare, avviando la delegificazione, cioè prevedendo che in molti ambiti la legge stessa autorizzasse modifiche a sé medesima o a leggi connesse della stessa materia, in modo da poter adottare norme regolamentari.
  Per guadagnare tempo e per carità di patria, ho qui un decreto-legge recente in via di conversione, non vi leggo le tante Pag. 9disposizioni regolamentari che stanno qua dentro, proprio minuscole, che entrano nella legge di conversione.
  Io credo che, prima o poi, sia facilissimo a questo punto ipotizzare, se non un'impugnativa da un cittadino, un conflitto di attribuzione sollevato dal singolo parlamentare. La Corte alla quale io ho appartenuto è stata molto restrittiva nei confronti dei conflitti di attribuzione sollevati dai singoli parlamentari, cercando tutte le ragioni per sostenere che in questo caso come in quello non c'è una manifesta lesione delle attribuzioni che al singolo parlamentare la Costituzione conferisce (ne abbiamo avuti diversi).
  Qualcuno però potrebbe avvalersi della giurisprudenza della Corte, la quale giustamente ha detto che questo procedimento in 60 giorni è un procedimento legislativo speciale, che si giustifica nelle sue caratteristiche proprio perché è destinato solo ed esclusivamente alla conversione delle disposizioni del decreto e alla discussione e adozione degli emendamenti che i parlamentari ritengano di introdurre in quel decreto nella sua materia, ma se qui le materie diventano 100.000 e l'estraneità rispetto al tema base del decreto è trasparente, l'obiezione che la Corte fece con la sentenza n. 32 del 2014 è che si priva quell'argomento delle procedure più ampie e più articolate a cui ha titolo per essere discusso e poi approvato dal Parlamento.
  Un parlamentare che faccia valere questo come una violazione della sua attribuzione vede come una costrizione limitativa essere costretto a discutere quell'argomento nei termini ristretti della procedura di conversione, e non come un'opportunità di poter salire anche lui sull'ultimo treno per Roma, come tendenzialmente viene vista, e questa è una cosa grave e seria.
  Qui non c'è altro, perché un presidente di Camera o due presidenti di Camera possono dire a qualunque Governo «guardate,Pag. 10 se presentate un disegno di legge, noi oggi abbiamo le procedure, abbiamo gli emendamenti ridotti, abbiamo i tempi contingentati, vi possiamo aggiungere il tempo certo, e questo lo aggiungiamo, dipende da noi, lo aggiungiamo, quindi smettetela di fare tutti questi decreti-legge».
  L'idea che la modifica costituzionale ci sia per portare i 60 giorni a 90 è proprio l'idea che, avendo il peccatore ancora qualche pudore nel commettere il peccato, si vuole che lo commetta del tutto tranquillo, è esattamente fare il contrario di ciò che serve. Ciò che serve è ridurre la possibilità di adottare decreti-legge, ben sapendo che il Parlamento è attrezzato e ancor meglio si può attrezzare per dare al disegno di legge una strada sufficientemente articolata, come Dio comanda, perché un Parlamento serve a questo, ma anche sufficientemente determinata nei modi e nei tempi.
  Leopoldo Elia – l'atto è il n. 692 della XIII Legislatura Senato – l'11 giugno 1996 presentava un disegno di legge che, secondo me, era un po' troppo cattivo con il decreto, perché guardate quante cattiverie riescono ad esserci in tutte queste righe. Stabiliva i settori (la sicurezza, la tutela della salute, le calamità), i contenuti e i limiti all'emendabilità addirittura (prevedeva che fossero emendabili solo per quanto attiene alla copertura degli oneri finanziari, non nel merito).
  Io non arriverei a tanto: la mia proposta, avvalendomi del testo riformato dell'articolo 81, che per la verità non ha funzionato granché, ma io pensavo a un articolo 76 che dica quando, al verificarsi di circostanze eccezionali, si rendano necessarie misure straordinarie e urgenti, il Governo adotta.
  Cosa c'è qui? C'è da dimostrare che dietro il decreto ci sono circostanze eccezionali, ora tutti i giorni non sono eccezionali, quindi già molti decreti che oggi si fanno cadrebbero, perché non è possibile dimostrarlo.Pag. 11
  Qualcuno mi ha fatto osservare che l'articolo 81, dove abbiamo introdotto le circostanze eccezionali, non ha funzionato, se lo avete presenti è il secondo comma, «il ricorso all'indebitamento è consentito al verificarsi di eventi eccezionali» e, siccome lì dice «previa autorizzazione delle Camere, adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti», le rare volte che la cosa è stata utilizzata è andata sull'indebitamento. Qui aggiungere «circostanze eccezionali» potrebbe produrre un effetto che nell'81, comma 2, non ha prodotto.
  Qui ci sono due varianti, una più cattiva che però mi lascia dei dubbi (dentro di me sono anche un po' filogovernativo, quindi cattiveria cum judicio), perché dice «deve il giorno stesso presentarsi per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate ed entro cinque giorni votano sulla esistenza delle predette circostanze». Questa è la più cattiva.
  Quella meno cattiva, che lascia alle Camere i loro cinque giorni, dice «il Governo adotta sotto la sua responsabilità provvedimenti provvisori con forza di legge, che espressamente menzionano tali circostanze», quindi in uno dei miei due testi le circostanze eccezionali appaiono solo in quanto obbligo motivazionale del decreto, nella versione più cattiva devono essere riconosciute e votate a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti delle Camere.
  Questo però ha poi la disfunzione che, se le Camere dopo cinque giorni negano le circostanze eccezionali, il decreto rimane fermo cinque giorni probabilmente, però un qualcosa del genere (se avete idee migliori, vi suggerisco di abbandonare la mia e di adottare le vostre idee migliori), perché la sintesi è «noi Camere vi offriamo un percorso legislativo praticabile anche in funzione della esigenza tempo, a cui voi siete giustamente sensibili, e, se non basta, possiamo anche aggiungere un Pag. 12termine alla discussione e votazione degli stessi disegni di legge, però vi dobbiamo indurre a ridurre i decreti-legge».
  C'è poi l'altra cosa che può essere fatta per facilitare il Governo. Ricordiamoci che quando nacque la Quinta Repubblica il potere normativo venne diviso in due tra legislazione, che rimase parlamentare, e potere d'ordinanza, che assorbì molta legislazione in Francia, quindi un potere proprio, non con atto provvisorio, con forza di legge, ma un potere proprio.
  Noi questo non lo abbiamo, la primazia del Parlamento continua ad esistere, là non esiste, però nessuno ci impedisce di riprendere la delegificazione, quindi tante piccole cose che trovate, che arrivano proprio dai Governi, perché arrivano dagli apparati che segnalano piccole esigenze, se le facessero con Regolamento e andassero al Consiglio di Stato, anche se questo dava fastidio negli anni '30 e continua a dare fastidio oggi, perché uno preferisce non dover subire pareri da nessuno.
  Mi fermo qua.

  PRESIDENTE. Grazie al professor Giuliano Amato.
  Sono presenti in Aula i colleghi sia della Camera che del Senato, il presidente del Comitato del Senato e altri sono in collegamento.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre questi o formulare osservazioni.

  ANDREA GIORGIS. Rompo io il ghiaccio.
  Intanto voglio ringraziare in maniera non formale il Presidente Amato, perché anche in questa occasione ci ha fornito spunti e riflessioni preziose.
  Condivido l'analisi e anche la preoccupazione che il decreto-legge possa diventare ancora di più una modalità ordinaria, fisiologica di produzione del diritto. Il rischio è infatti che il decreto-legge, pur essendo descritto come una patologia, tenda a diventare sempre più accettato come una fisiologia.Pag. 13
  Da questo punto di vista la critica che lei, presidente Amato, ha fatto alla ipotesi, che è in discussione in Commissione Affari costituzionali al Senato, di una riforma che estenda i tempi di conversione è paradigmatica, perché significa, come lei stesso ha sottolineato, assumere la decretazione d'urgenza non più come una patologia, ma come una modalità ordinaria, inevitabile di produzione del diritto.
  Questo rischio quindi c'è e lo si percepisce anche nelle difficoltà che entrambe le Assemblee incontrano nel far valere, attraverso gli strumenti magari non decisivi che però ci sono, un freno, un argine, un limite alla decretazione d'urgenza.
  I presidenti di entrambe le Assemblee e la maggioranza parlamentare potrebbero reagire all'abuso della decretazione d'urgenza, e, da un punto di vista astratto, si potrebbe anche immaginare che i primi soggetti politici sostanziali a dover reagire siano proprio le maggioranze parlamentari, perché alla fine il decreto-legge mortifica, svaluta il ruolo del Parlamento e in particolare il ruolo dei parlamentari di maggioranza, che si vedono completamente espropriati di fondamentali prerogative.
  Il fatto che non ci sia una reazione, che non ci sia neanche un segno in questa direzione mi fa pensare – e chiedo quale sia la sua opinione – che nel contesto politico dato e nel consolidarsi ormai di una prassi, che è difficile immaginare che la politica riesca a contrastare, sia forse necessario passare attraverso l'introduzione del ricorso diretto alla Corte costituzionale da parte delle minoranze.
  Questo incontra certo una serie di controindicazioni, ma nel contesto dato potrebbe alla fine rivelarsi indispensabile per innescare una reazione, che certo si sposterebbe sul piano maggioranza/opposizione, anziché sul piano Parlamento/Governo, ma consentirebbe comunque un intervento della Corte Pag. 14costituzionale in tempi molto rapidi e forse potrebbe anche indurre a una mitigazione dell'abuso.
  La seconda domanda che le faccio invece è se lei ritiene che possa essere di qualche utilità, al di là dell'aspetto simbolico e politico, immaginare di introdurre nella Costituzione, perché nella fonte regolamentare c'è già qualcosa di molto simile, l'istituto del cosiddetto «voto a data certa», quindi prevedere espressamente un istituto giuridico che garantisca al Governo, in relazione a determinati disegni di legge, la certezza dei tempi.
  Anche da questo punto di vista sono state presentate alcune proposte di legge, in particolare è stato presentato sia un disegno di legge che cerca di arginare l'abuso della decretazione d'urgenza, sia emendamenti alla riforma costituzionale, relativa all'elezione diretta del Presidente del Consiglio, che si muovono proprio sulla strada del positivizzare a livello costituzionale la garanzia di tempi certi per l'approvazione di disegni di legge governativi, e contemporaneamente, guardando anche alle proposte che in questi anni si sono moltiplicate, porre un argine di competenza per materie al decreto-legge.

  ALFONSO COLUCCI. Presidente Amato, innanzitutto grazie per la sua illustrazione.
  Anch'io temo che la proposta che lei ha definito «cattiva» in realtà risulti esserlo molto meno di quanto lei stesso immagini, nella misura in cui, sia pure con la maggioranza assoluta, come lei propone, entro cinque giorni sia la stessa maggioranza parlamentare, espressione di quel Governo che adotta il decreto-legge, a doversi pronunciare sulla sussistenza di quei requisiti, quelle circostanze eccezionali, come lei suggerisce.
  In questa logica, mi sembrerebbe che la proposta, così paventata dal senatore Giorgis, possa avere un suo pregnante significato. Peraltro, riporta anche quanto mi pare sia in Costituzione francese, cioè la possibilità che sia esattamente la Pag. 15Corte costituzionale o di default a dover fare questo giudizio, o su richiesta di una minoranza qualificata ad essere investita della sussistenza dei requisiti formali, dei presupposti formali, non contenutistici, non sostanziali del decreto-legge, quelle circostanze eccezionali o quelle straordinarie ragioni di urgenza, di cui all'articolo 77.
  Questa soluzione da un lato porterebbe fuori dall'agone politico una valutazione così strettamente procedurale e formale, però naturalmente densa di significati sostanziali, come noi sappiamo, dall'altro avrebbe forse l'effetto di degiurisdizionalizzare l'intervento della Corte costituzionale, metterla dentro una tensione maggioranza/minoranza, Governo/Parlamento, il che può essere un indebolimento del sistema, laddove la terzietà di un organo così importante come la Corte costituisce un elemento essenziale.
  Mettendomi anche al seguito di quanto richiesto dal presidente, senatore Giorgis, vorrei avere le sue osservazioni in materia e, se mi consente, vorrei sviluppare con lei, se potesse darci le sue osservazioni su quest'altro tema. A me sembra che uno dei motivi di questo progressivo indebolimento del Parlamento rispetto all'attività del Governo, rispetto al Governo stesso dipenda anche da un indebolimento della struttura dei partiti politici, cioè è il fatto che i partiti politici non esprimano più quell'alta rappresentatività all'interno del Parlamento che consente davvero al Parlamento di ergersi quale centro autorevole di indirizzo dell'attività esecutiva.
  Questo progressivo indebolimento dei partiti politici e in genere dei corpi intermedi, quindi mi riferisco per certi aspetti, sia pure fuori dalla dinamica parlamentare, anche ai sindacati, è probabilmente una delle origini profonde del male che oggi affligge questo difficile rapporto tra Parlamento e Governo.Pag. 16
  Noi sappiamo che la nostra Costituzione, all'articolo 49, non disciplina i partiti politici, a differenza di quanto fatto in altri ordinamenti, per esigenze diverse e anche per una storia diversa. Sappiamo che solo con la legge n. 3 del 2019 si è cercato di dare un contenuto di democraticità agli Statuti dei partiti politici, sia pure solo per ragioni fiscali: la possibilità di essere iscritti nel relativo registro, di accedere ai benefici fiscali del 2 per mille o della deducibilità delle contribuzioni liberali a favore dei partiti politici.
  Manca però una disciplina organica del partito politico, che possa restituire ai partiti il necessario ruolo di rappresentatività e anche di responsabilità nei confronti del corpo elettorale.
  Volevo chiederle se lei condivida questa seconda analisi e, sia pure nelle ristrettezze di questo incontro, che dovrebbe essere molto più lungo e articolato di quanto i tempi parlamentari consentano, nel caso lei condivida questa analisi se voglia fornirci delle indicazioni su un'ipotesi di riforma anche costituzionale o con legge ordinaria della disciplina dei partiti politici. Grazie.

  PRESIDENTE. Vorrei semplicemente aggiungere un'osservazione, ringraziando per gli interventi i colleghi che sono intervenuti.
  Il collega Colucci adesso sollevava una questione che si tocca con mano: la crisi dei partiti ha portato con sé l'indebolimento della qualità della rappresentanza, e questo tema è diventato centrale.
  La configurazione del Parlamento, per come io l'ho conosciuto qualche decennio fa, è molto diversa da quella di oggi, per cui l'impatto di questa legislazione, che avviene solo attraverso decreti-legge, ha due tipi di conseguenze.
  Il primo è il gonfiamento dei testi in sede di conversione, per cui entrano con sette articoli ed escono con cinquanta o con Pag. 17settanta, che solleva anche il problema della qualità della controfirma del Presidente della Repubblica, che non è notarile per quello che si può capire, ma che è un primo controllo della procedura legata all'emanazione del decreto-legge.
  Il mancato utilizzo di disegni di legge da parte del Governo, perché tutto viene concentrato sui decreti-legge, ha poi come effetto, in particolare negli ultimi anni, che la qualità della legislazione d'iniziativa parlamentare sia caratterizzata dalla microsettorialità.
  Non voglio fare l'esempio di alcuni dei provvedimenti che abbiamo adottato recentemente, perché non è il caso, però a volte ci si chiede se ci sia bisogno di fare una legge per dire questo, quindi vuol dire che rispetto a quel 50 per cento di cui lei ha parlato di decreti-legge, l'altro 50 per cento non bilancia il primo 50 per cento, anzi aggrava la situazione, perché la qualità della legislazione che emerge è a tratti imbarazzante. Non mi riferisco alle sagre di paese, ma siamo lì.
  Il punto è questo: dobbiamo cercare di correggere il tiro, perché come si fa a pensare che qualcuno possa trarre vantaggio dall'indebolimento della funzione parlamentare?
  Non era possibile, per quel che ricordo io, anche nella sessione di bilancio, non solo il monocameralismo alternato, ma se la presenza parlamentare era di qualità ed era radicata sul territorio, pretendeva di discutere i testi nella loro interezza, articolo per articolo, non c'era tanto da scherzare, magari ti votavano anche contro. Questo è un problema non di poco conto.
  Si obietterà che c'erano le imboscate parlamentari, ma in realtà era qualcosa di molto diverso da quello di oggi, perché con il voto di fiducia viene tutto mascherato, ma la procedura che si innesca è una procedura che ormai sta superando il livello di guardia, ed è nell'interesse di tutti ragionare su queste Pag. 18cose con spirito distaccato, come stiamo facendo, quindi il tempo che abbiamo dato al nostro illustre audito è un modo per darci un po' di forza a vicenda.
  Questo è un passaggio di estrema delicatezza e noi abbiamo voluto, anche con il presidente Matera, predecessore di Giorgis, fare questa cosa per lanciare un segnale, poi ognuno si prenderà le sue responsabilità, perché non trovo neanche giusto che si debba arrivare ad un'iniziativa dei singoli parlamentari nei confronti della Corte, perché potrebbe poi porsi il problema di quel che è accaduto in America a proposito della Corte, che, invece di diventare qualcosa di sacrale, diventa espressione della maggioranza di volta in volta, quindi, invece di rimediare, questo dà vita a degli estremi che sono molto preoccupanti.
  Non aggiungo altro, sono contento che il professor Amato abbia potuto svolgere questo suo intervento così importante anche per la proposta che ha fatto, che adesso cercheremo di approfondire con il prosieguo delle audizioni nelle prossime sedute.
  Lascio la parola al presidente Amato per la replica.

  GIULIANO AMATO, Presidente emerito della Corte costituzionale. Vi ringrazio anche di queste domande. Le tratto nell'ordine.
  Sul ricorso diretto delle minoranze devo dire che ho dei dubbi per le ragioni che sono state dette. È assolutamente importante che, nel ruolo a cui può ulteriormente essere chiamata in relazione al procedimento legislativo e alle sue pecche, la Corte costituzionale sia e sia percepita al di fuori del processo politico, e che possa quindi decidere sulla base di argomentazioni che stanno nella giusta sfera della costituzionalità.
  Anni fa, io feci fare una tesi sui ricorsi della minoranza nei confronti delle leggi di bilancio in Francia e quello che venne Pag. 19fuori era che gli avvocati trasformavano in linguaggio giuridico gli argomenti politici che l'opposizione aveva usato nei confronti del bilancio.
  Il Consiglio costituzionale si trovava quindi in una posizione dubbia, difficile, perché a quel punto o dava ragione alla maggioranza o dava ragione all'opposizione. Non esistevano allora in Francia gli organi di stampa che esistono oggi in tutti i Paesi, tuttavia il rischio di trovarsi schiacciati politicamente o con l'uno o con l'altra era un rischio che stava in re ipsa.
  Per questo io dicevo che la strada che il nostro ordinamento già offre è quella del conflitto di attribuzioni, sollevabile anche da un singolo parlamentare quando ritenga che siano state o possano essere violate le sue attribuzioni. Tra le sue attribuzioni ci sono quelle che attengono al non uso della procedura di decreto-legge per misure eterogenee, che spesso già sono tali.
  Noi avevamo inventato il Milleproroghe come luogo di Sodoma, qualunque peccato nel Milleproroghe è consentito dall'origine, e va bene, ma qui rischiamo che molti decreti-legge acquistino il ventaglio illimitato del Milleproroghe. A questo punto è violata una mia attribuzione, che è quella di disporre delle procedure legislative ordinarie per discutere le cose che sono estranee al core, alla materia propria del decreto-legge. La stessa cosa se il decreto-legge è adottato fuori dalle ragioni di necessità e di urgenza.
  Se si introducessero le circostanze eccezionali, mi sentirei ancora più tranquillo, e tra le due ipotesi mi piace di più la meno radicale, cioè quella che non prevede il voto, perché se c'è il voto delle Camere, come ricordiamo, perché abbiamo avuto l'esperienza del filtro di costituzionalità delle Commissioni in passato, se c'è il voto, essendo un giudizio anche politico, se le Camere hanno ritenuto che ci sia, quale giudice può andare a dire che non c'era?Pag. 20
  Se ci si limita a prevedere le circostanze eccezionali e si dice che devono essere esplicitate, si facilita sia il Capo dello Stato, sia, eventualmente, la Corte, sollecitata in sede di conflitto. Non dimentichiamo che il Capo dello Stato non ha molta voce in capitolo sul decreto-legge. Cossiga, che conosceva il diritto costituzionale meglio di tanti altri, fu il primo ad adottare la prassi della lettera (ho letto molte lettere di Cossiga al Governo), in cui diceva «guardate, voi il decreto-legge lo adottate sotto la vostra responsabilità, non sotto la mia, quindi io vi devo dare la firma, però vi dico che qui non c'è, secondo me...». Se mancano addirittura le circostanze eccezionali, il Capo dello Stato può dire «come potete farmi firmare un decreto-legge che è fuori?», quindi suggerirei di tener conto della strada aperta al conflitto di attribuzioni per il singolo parlamentare più che infilarsi su una strada che metta a repentaglio il ruolo della Corte.
  In merito al voto a data certa non ho il minimo dubbio, ritengo disadatta la legge come fonte per introdurre una cosa simile, quindi o in Costituzione, ma la nostra Costituzione dà ai regolamenti un bello spazio, i regolamenti hanno già fatto molto, si può fare con regolamento parlamentare, a prescindere dalle riforme, e sarebbe per la Camera il completamento di un lavoro che il Senato deve fare ancora per metà, ma che potrebbe trovare le Camere d'intesa.
  Certo, la grande difficoltà del Parlamento è quella, ma anche nel tenere i Gruppi, perché ricordo ancora che, quando ero Presidente del Consiglio la prima volta, quindi oltre 30 anni fa, un Gruppo si spappolò e io parlai con loro, mi lamentai, mi chiesero «ma tu con chi avevi parlato?» dissi «con il capogruppo» e commentarono «allora...», come a dire che non contasse, per cui scoprii che un capogruppo conta quanto i componenti del Gruppo.Pag. 21
  È un grosso discorso, sono accadute tante cose, fatto sta che contemporaneamente c'è stata la individualizzazione delle vite dei cittadini con l'urbanizzazione e tutto il resto, e correlativamente l'essiccarsi delle identità collettive che i partiti avevano costruito. Questo è il punto, perché l'identità collettiva è stato un fattore formidabile di coesione sia sociale, sia del lavoro nelle Istituzioni, perché ciascuno sentiva che, in nome di questa identità collettiva, cose che potevano anche non convincerlo però andavano fatte.
  Oggi come ricostituirla? Io ne ho pensate tante, la prima a cui ho pensato e continuo a pensare è che chi è abituato all'azione per gli altri, che è il volontariato, potrebbe prestare un po' del proprio personale alla politica. La politica ha dentro di sé troppe persone che la fanno esclusivamente come professione, una professione come un'altra, senza sentire la rappresentatività, come diceva il Presidente.
  Chi vive l'esperienza del terzo settore ha dentro di sé gli interessi degli altri, ai quali dedica gratuitamente le proprie giornate e spesso le proprie nottate. Non penso alla sovrapposizione tra politica e volontariato, penso che una parte di quel personale, che è abituato così, può diventare una trasfusione di sangue se entra in politica.
  Un'altra idea, che avevo avuto molti anni fa e che ho ritirato fuori ora, è che si potrebbe tornare ad un finanziamento pubblico dei partiti, finalizzato alla istituzione pratica di procedure partecipative, attraverso le quali legare gruppi di cittadini attraverso la discussione di temi di interesse collettivo e delle possibili soluzioni.
  A questa cosa arriveremo per forza con il cambiamento climatico, dovremo arrivarci per forza. La vicenda dei trattori, che ha scosso tutta l'Europa, dimostra una cosa assolutamente semplice: che, per contrastare il cambiamento climatico, noi Pag. 22abbiamo bisogno di misure che comportano dei costi ad attività che oggi molti di noi svolgono. Misure così non possono piovere dalle Gazzette Ufficiali europee o nazionali, misure così debbono essere discusse, ancor prima di essere adottate, per un'azione di convincimento reciproco, per la messa in opera dei meccanismi finanziari per lenirne gli effetti.
  Qui – permettetemi di dirlo, non c'entra niente, ma lo penso – è ingiusto accusare Bruxelles, anche Reagan accusava quelli di Washington anche quando lui era il Presidente degli Stati Uniti, non aveva mai smesso di dirlo, era un uomo fra l'altro molto simpatico, diceva «quelli là a Washington», poi qualcuno gli faceva notare «ora ci sei tu a Washington». Se andate a leggere la prima comunicazione della Commissione sul Green Deal a dicembre 2019, si prefigurano le misure anche costose che dovranno essere adottate e si dice «misure così potranno essere adottate solo se i cittadini ne saranno resi partecipi», quindi già oggi, alla vigilia di vedere tutto questo in azione, noi sentiamo il bisogno di forze politiche legate ai cittadini.
  Ne avremo ancora più bisogno, quindi se pensiamo a quel che è rimasto dei partiti, si può provare a costringerli a farlo loro, vediamo se ci riescono.
  Vi dico scherzosamente una cosa che dico alla gente quando ne parlo, che ci sarebbe un modo efficace, un piccolo decreto-legge con una norma unica che vieta ai politici di assumere i comunicatori, trovando naturalmente ai comunicatori un altro lavoro, perché non li voglio disoccupati, povere creature!
  Questo li costringerebbe a parlare direttamente con gli esseri umani, anziché farsi dire dal comunicatore cosa pensano gli esseri umani e poi reagire con dichiarazioni e, ahimè, anche con misure, a ciò che il comunicatore ha suggerito, ma questo credo che sia irrealizzabile.

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  PRESIDENTE. Ringrazio a nome di tutti i colleghi presenti il professor Giuliano Amato per questa sua presenza e per le cose che ci ha detto, che ci serviranno, nella continuazione di questa indagine conoscitiva, a mettere a fuoco con equilibrio e serietà queste problematiche, che ci ha così utilmente ribadito oggi.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 17.40.