XIX Legislatura

Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale

Resoconto stenografico



Seduta n. 14 di Giovedì 9 maggio 2024

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Bagnai Alberto , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUGLI INVESTIMENTI FINANZIARI E SULLA COMPOSIZIONE DEL PATRIMONIO DEGLI ENTI PREVIDENZIALI E DEI FONDI PENSIONE ANCHE IN RELAZIONE ALLO SVILUPPO DEL MERCATO FINANZIARIO E AL CONTRIBUTO FORNITO ALLA CRESCITA DELL'ECONOMIA REALE

Audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli investimenti finanziari e sulla composizione del patrimonio degli enti previdenziali e dei fondi pensione anche in relazione allo sviluppo del mercato finanziario e al contributo fornito alla crescita dell'economia reale, dell'amministratore delegato e di altri rappresentanti di CDP Venture Capital.
Bagnai Alberto , Presidente ... 3 
Scornajenchi Agostino , amministratore delegato e direttore generale CDP Venture Capital ... 3 
Bagnai Alberto , Presidente ... 8 
Scornajenchi Agostino , amministratore delegato e direttore generale CDP Venture Capital ... 8 
Bagnai Alberto , Presidente ... 10 
Magni Celestino  ... 11 
Bagnai Alberto , Presidente ... 11 
Occhiuto Mario  ... 11 
Bagnai Alberto , Presidente ... 12 
Furlan Annamaria  ... 12 
Bagnai Alberto , Presidente ... 12 
Scornajenchi Agostino , amministratore delegato e direttore generale CDP Venture Capital ... 12 
Bagnai Alberto , Presidente ... 13 
Scornajenchi Agostino , amministratore delegato e direttore generale CDP Venture Capital ... 14 
Bagnai Alberto , Presidente ... 16

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ALBERTO BAGNAI

  La seduta comincia alle 8.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche tramite l'impianto audiovisivo a circuito chiuso.

Audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli investimenti finanziari e sulla composizione del patrimonio degli enti previdenziali e dei fondi pensione anche in relazione allo sviluppo del mercato finanziario e al contributo fornito alla crescita dell'economia reale, dell'amministratore delegato e di altri rappresentanti di CDP Venture Capital.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dei rappresentanti di CDP Venture Capital nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli investimenti finanziari e sulla composizione del patrimonio degli enti previdenziali e dei fondi pensione anche in relazione allo sviluppo del mercato finanziario e al contributo fornito alla crescita dell'economia reale.
  CDP Venture Capital è il maggior gestore in Italia e uno fra i più rilevanti in Europa nel mondo del venture capital, che identifica – come sappiamo – quell'attività di investimento istituzionale in capitale di rischio di aziende non quotate in fase di start up, caratterizzate da un elevato potenziale di sviluppo.
  Questa audizione si situa, quindi, nello spettro di approfondimento dedicato a quali potenzialità il patrimonio di casse e fondi potrebbe avere per il contributo alla crescita dell'economia reale.
  Per CDP Venture Capital è oggi presente l'amministratore delegato, dottor Agostino Scornajenchi, accompagnato dal dottor Alessandro Scortecci, head of strategy & business development & sustainability, e dal dottor Angelo Grimaldi, responsabile dei rapporti legislativi, vigilanza parlamentare e fondazioni di CDP.
  Nel ringraziare gli ospiti per la disponibilità a partecipare ai lavori della nostra Commissione, do la parola al dottor Scornajenchi per lo svolgimento della relazione, per la quale è previsto l'utilizzo di slide. Al termine, come di consueto, potranno intervenire i commissari che lo richiedano.
  Prego, dottor Scornajenchi.

  AGOSTINO SCORNAJENCHI, amministratore delegato e direttore generale CDP Venture Capital. Signor presidente, la ringrazio per l'opportunità di illustrare le evoluzioni e le potenzialità del mercato del venture capital in Italia. Buongiorno a tutti.
  Utilizzerò, come anticipato dal presidente, qualche slide semplicemente come supporto.
  Che cos'è il venture capital? Nonostante il nome un po' esotico, che – come vedremo nel corso della presentazione – qualche volta può essere fonte del problema, il venture capital altro non è che l'investimento in imprese. Quindi, non è nulla di diverso da quello che succede tutte le volte in cui è necessario costruire un'impresa. Non è nulla di diverso da quello che è storicamente successo in un Paese che ha fatto dell'innovazione e dell'imprenditoria basata sull'innovazione un pezzo importante della sua storia.
  Investire in venture capital significa investire in equity, quindi diventare comproprietari, supportare in equity iniziative portatePag. 4 avanti da imprenditori che lavorano nel campo dell'innovazione e diventare, quindi, soci di questi imprenditori per aiutarli nella crescita. È chiaro che, per fare questo, investire del denaro è una condizione necessaria. Riteniamo non sia una condizione sufficiente, nel senso che spesso questi imprenditori, che sono giovani, che si occupano di campi di innovazione, hanno bisogno anche di un set di esperienze un po' più ampie che, tipicamente, gli investitori di venture capital sono pronti a offrire.
  Questo significa spingere queste imprese alla crescita e permettere loro di ottenere dei risultati e dei rendimenti che mediamente sono più elevati rispetto ai rendimenti che si ottengono da mercati più maturi, tenuto conto, evidentemente, anche di un coefficiente di rischio che è proporzionale al grado di innovazione. È chiaro che se si investe in una fase embrionale dello sviluppo delle imprese c'è un rischio di mortalità infantile più alto rispetto alla media, ma questo rischio è ben compensato da quelli che, poi, sono i rendimenti complessivi del portafoglio, di quelle iniziative che, invece, hanno successo.
  Il venture capital ha una storia piuttosto lunga, nel corso dello scorso secolo. Questa slide dice qualcosa che siamo abituati a vedere. Tutte le società importanti, come vedete, prevalentemente americane, e mi riferisco in particolare a quelle evidenziate in bianco, hanno ricevuto supporto dall'investimento in venture capital nelle fasi iniziali del loro sviluppo. Non c'è una sorpresa in questo. Conosciamo la storia di Apple, di Microsoft, di Google, di Amazon: tutte imprese nate in un garage o comunque con iniziative molto piccole, molto artigianali, che poi sono state supportate da investimenti privati e hanno scalato, fino a diventare le imprese che dominano il listino del mondo. Come vedete, la terza classificata, la più rilevante tra quelle che non hanno avuto supporto del venture capital è Saudi Aramco, un operatore dell'oil che, per particolari fortune – se vogliamo dire così – logistiche e geografiche, non ha avuto bisogno di granché altro. Il resto, però, è un ecosistema che, come vedete, ha fortemente beneficiato del venture capital. E questo ecosistema, oggi, è quello che domina il listino internazionale.
  Questa slide, quindi, non rappresenta un elemento di particolare novità. Siamo abituati a vederla. Vorrei, però, confrontarla con quella che sarebbe stata la stessa classifica una ventina d'anni fa. Vent'anni fa nessuno di questi brand era presente in questa classifica. Il primo classificato era General Electric. Io ho lavorato per tanti anni nel settore delle infrastrutture e General Electric era un soggetto universalmente riconosciuto, che ha dominato il listino mondiale per quasi cento anni. Nelle posizioni più importanti c'erano i grandi marchi dell'automotive americana, c'era Chrysler, c'era General Motors, e c'erano i grandi marchi dell'oil internazionale, c'era la Shell e c'era la Mobil.
  La cosa che dovrebbe far riflettere, quindi, è come sia stato possibile che un ecosistema di imprese sostanzialmente di matrice industriale pesante, prevalentemente statunitensi, nel giro di vent'anni abbia potuto essere sostituito, all'interno di questa classifica, da un nuovo ecosistema prevalentemente basato sull'economia digitale.
  Anche gli Stati Uniti hanno subìto le grandi crisi industriali che abbiamo subìto noi. La crisi dell'automotive è stata fortissima in Italia, ma è stata fortissima anche negli Stati Uniti. Ricorderete quello che è successo e ricorderete, guarda caso, anche il contributo di qualche italiano, il compianto dottor Marchionne, che si occupò del rilancio in particolare di Chrysler, in piena sintonia con l'allora amministrazione americana.
  Come è stato possibile realizzare questo cambiamento in un tempo, tutto sommato, abbastanza rapido e come un ecosistema prevalentemente basato sull'industria è diventato un ecosistema prevalentemente basato sui servizi e, in particolare, sui servizi digitali? Questo non è accaduto per caso. In riferimento all'ecosistema del venture capital statunitense, contrariamente a quello che si pensa (normalmente gli Stati Uniti sono sempre percepiti come la patria della libera imprenditoria e del rischio assoluto), in realtà, negli Stati Uniti, il supporto alle Pag. 5iniziative di venture capital è – possiamo dirlo – storico. Siamo a prima della metà degli anni Cinquanta, primo provvedimento normativo importante, lo Small Business Investment Act. Siamo nell'amministrazione Eisenhower (1953), che fa partire un'iniziativa di supporto alle giovani imprese innovative, che – tanto per essere chiari – è la gamba nazionale di quello che noi abbiamo visto e di cui abbiamo beneficiato, come gamba internazionale, con il piano Marshall, da noi, quindi investimenti a supporto dello sviluppo. Iniziative rafforzate, poi, dall'amministrazione Reagan (siamo già negli anni Ottanta). Ma, come vedete, il distacco rispetto a quello che è successo nel resto del mondo è molto marcato.
  Il resto del mondo, gli altri Paesi del G7 reagiscono nel 2000. Se avessimo dovuto aggiungere una riga con riferimento all'Italia, vedremmo questa riga prossima allo zero fino a tutto il 2020, con un piccolo incremento a partire dal 2020, che – guarda caso – è coincidente con l'avvio delle prime iniziative di supporto al venture capital, pubbliche, governative, che coincidono con la fondazione di CDP Venture Capital.
  Se facciamo un focus su questo, vediamo effettivamente che CDP Venture Capital nasce proprio nel 2020 e consegue dei risultati tangibili. Ma oggi non vogliamo parlare di CDP Venture Capital. Vogliamo parlare del mercato del venture capital italiano. Le due cose sono ragionevolmente assimilate perché oggi il mercato del venture capital nazionale – lo vedremo fra poco – si aggira tra 1,5 miliardi e 2 miliardi di euro, a seconda dell'annualità. Prima dell'inizio delle esperienze di venture capital il mercato era pressoché assente. Il venture capital italiano, quindi, è ancora all'inizio del periodo di investimento. Tenete conto che un'iniziativa di venture capital ha una durata media di dieci anni. Quindi, si decide su quali settori investire, si raccolgono i denari per fare gli investimenti in questi settori. Questo periodo di raccolta può durare mesi, ma anche anni. C'è un periodo di investimento, che dura fino a un massimo di cinque anni, e poi c'è un periodo di realizzazione di questi investimenti, che dura, normalmente, altri cinque anni.
  Smarchiamo subito un punto. Il venture capital non è un'iniziativa esotica, basata su giovani ragazzi bizzarri, che fanno cose strane, che non si capiscono, che ricevono investimenti da soggetti disposti a sopportare rischi enormi a fronte di rendimenti molto rapidi. È un investimento in infrastrutture, come tanti altri investimenti in infrastrutture, che richiede, evidentemente, il suo tempo di deployment.
  Ad oggi, gli asset che sono stati dati in gestione a CDP Venture Capital per poter investire in questo settore sono 3,5 miliardi di euro. Pensiamo di superare i 5 miliardi alla fine del 2025. Abbiamo presentato un piano che traguarda 8 miliardi alla fine del 2028. Sono già stati deliberati da noi 1,4 miliardi di investimenti. Abbiamo già oggi 500 start-up in portafoglio, sono 500 aziende, con un ecosistema complessivo che impatta 7.500 dipendenti. Pensiamo di arrivare a 10 mila alla fine dell'anno. Sono tanti o sono pochi? Sono pochissimi, perché la media dei paesi OCSE che riguarda il venture capital attribuisce a quest'ultimo il 20 per cento dell'occupazione complessiva. Quindi, c'è veramente una prateria importante che può essere esplorata.
  Normalmente, tutti gli investitori di venture capital investono in minoranze qualificate (il 20 per cento, il 30 per cento). Quindi, al fianco della nostra attività ci sono altri co-investitori privati. Questo spiega il perché abbiamo un «effetto leva» di circa il 160 per cento: tutte le volte che noi investiamo, qualcun altro si affianca a noi. Seppur all'inizio della nostra attività, abbiamo cominciato a realizzare le prime cosiddette «exit», ovvero qualche società su cui abbiamo investito, che si è sviluppata e che è stata valorizzata sul mercato. Il ritorno medio è del 300 per cento. È una media. Ci sono esperienze di ritorni molto, molto più ampi. Avrete sentito parlare di Unobravo o di altre start-up che sono state cedute di recente, con ritorni molto più alti. Evidentemente, è il principio del venture capital: si investe in un numero abbastanza ampio di iniziative; una parte di queste iniziative sconta quella mortalità Pag. 6infantile di cui parlavo in apertura; un numero ristretto è in grado di scalare e di ottenere rendimenti molto alti, e questo permette di remunerare integralmente il portafoglio.
  Come vi dicevo, il venture capital italiano era sostanzialmente assente fino al 2020. Siamo nell'ordine di mezzo miliardo l'anno investiti da investitori storici. Qualcuno ricorda Pino Venture, di Elserino Piol, e poche altre iniziative. Il venture capital comincia ad assumere una dimensione rilevante a partire dal 2021. Nel 2021-2022 record di investimenti annuale: nel 2022, 2,2 miliardi, che ritraccia nel 2023, con 1,4 miliardi. Perché è successo questo? Ricorderete, nel 2021 e nel 2022, tra pandemia, postumi della pandemia e tassi di interesse schiacciati verso lo zero, si registrava una certa pressione per gli investitori a ricercare asset class alternative, perché il concetto di «zero rischio» implicava, in quegli anni, anche «zero rendimento».
  Nel 2023 le cose sono radicalmente cambiate. Siamo tornati a un livello del costo del debito che non vedevamo da diversi anni, forse anche diverse decine di anni. Evidentemente, gli investitori hanno potuto ripiegare su asset class più tradizionali. Noi stessi questa mattina, semplicemente giocherellando con i nostri telefonini, possiamo acquistare titoli di Stato di recente emissione, con rendimenti del 2, del 3, del 4 per cento. È evidente che, quindi, bisogna farsi spazio all'interno di questo mercato.
  Un dato positivo è che la prima versione di questa slide, che abbiamo redatto all'inizio del 2024, prevedeva un 2023 a 1,1 miliardi. In realtà, l'ultimo trimestre del 2023 è stato molto positivo, con una crescita di oltre il 50 per cento rispetto all'equivalente trimestre del 2022. Anche il primo trimestre del 2024 ha fatto registrare un dato positivo. In particolare, se ci confrontiamo rispetto all'anno record, la numerosità dei deal che sono stati conclusi è comunque paragonabile a quella del 2022. Sono mancati, magari, dei big ticket, cioè qualche investimento concentrato di importi elevati, ma è comunque un mercato che mostra una vivacità crescente.
  Quindi, tutto bene? In realtà, non tanto. Se confrontiamo l'incidenza del mercato del venture capital sul PIL nazionale, siamo a circa un terzo della media europea e siamo a circa un quarto del nostro principale peer di riferimento, che è la Francia, che mostra, rispetto a noi, un vantaggio tra i dieci e i quindici anni. Se noi andiamo a vedere i numeri del venture capital italiano di oggi, corrispondono sostanzialmente ai numeri del venture capital francese del 2010-2011.
  Abbiamo provato ad analizzare quali sono le ragioni di questo ritardo strutturale. La prima ragione – che è una ragione sorprendente – è che, nonostante le nostre infrastrutture di ricerca siano riconosciute a livello mondiale e nonostante nel mercato del venture capital, anche nelle tecnologie più avanzate, troverete sempre dei fondatori italiani (che, però, non sono più in Italia), in Italia facciamo ancora fatica a convertire la ricerca in impresa. Il trasferimento della ricerca in impresa, quindi la trasformazione di uno studente in imprenditore è un destino ancora residuale della nostra classe studentesca e anche della nostra classe docente. Tipicamente, gli studenti che si occupano di ricerca sognano di diventare professori e i professori che si occupano di ricerca sognano di diventare rettori. Abbiamo tante università in Italia, ma parliamo di qualche decina. Quindi, è una piramide molto stretta e acuminata, che, evidentemente, ha poco impatto sull'economia complessiva.
  C'è un passaggio culturale importante da fare. Ricordiamo che fino a non molti anni fa uno studente o un professore, un docente che pubblicava una ricerca otteneva un punteggio accademico con il quale poter scalare all'interno del suo percorso di carriera; uno studente o un professore che registrava un brevetto non otteneva nulla. Anzi, in qualche caso veniva additato dalla comunità scientifica come qualcuno che aveva piegato la ricerca alle esigenze dell'impresa. Crediamo che questo sia un atteggiamento un po' antistorico. Ricerca e impresa sono, evidentemente, due facce della stessa medaglia. È dall'impresa che arriva la domanda di innovazione, mentre è dall'universitàPag. 7 che arriva l'offerta di innovazione, ed è importantissimo mettere insieme questi mondi. Anche perché, ancora una volta, non stiamo parlando di qualcosa di nuovo. Investimenti in innovazione questo Paese li ha sempre saputi fare. Il nonno del senatore Agnelli, quello vissuto all'inizio del secolo scorso, quando pensava di mettere i motori a combustione interna all'interno delle carrozze faceva qualcosa che forse tecnicamente non si chiamava venture capital, ma altroché se era venture capital. Così come faceva Adriano Olivetti quando investiva in macchine per scrivere in un Paese che era, in quel momento, martoriato da un tasso di analfabetismo elevatissimo.
  Quindi, la capacità di vedere, la capacità di innovare fa parte del nostro DNA. Cercheremo di analizzare per quale motivo c'è un po' questo paradosso, per quale motivo un Paese come l'Italia, che ha fatto della capacità di innovazione uno dei suoi elementi distintivi, storici, non stia riuscendo a farlo nel corso dell'ultimo ventennio o trentennio.
  Un altro limite che noi vediamo e su cui dobbiamo cercare di indagare su quali siano le ragioni, perché solo comprendendo le ragioni possiamo immaginare delle soluzioni, è che oggi c'è una bassissima partecipazione da parte degli investitori privati nazionali e internazionali nell'asset class del venture capital. Abbiamo ancora pochi fondi di venture capital. Non è un caso che CDP Venture Capital sia by large il più grande operatore del mercato, ma è nato evidentemente con un importante supporto governativo. I 3,5 miliardi di euro di asset under management, che diventeranno 5 miliardi alla fine del 2025, sono fondi della comunità, prevalentemente sono fondi del Ministero delle imprese e del made in Italy e una parte importante è costituita da fondi di CDP Equity; quindi, da una parte fanno riferimento alla raccolta fiscale dello Stato, e dall'altra CDP Equity, come sapete, si rivolge a CDP, che è il gestore del risparmio postale. Pertanto, sono soldi che non definirei pubblici, ma comunque soldi della collettività nazionale. Senza questo accesso, come abbiamo visto, la dimensione del mercato del venture capital sarebbe ancora più bassa.
  I fondi di venture capital sono ancora pochi e di dimensioni ancora piccole. Il nostro mercato è estremamente piccolo se confrontato ad altre esperienze europee ed è, ovviamente, infinitamente piccolo se confrontato rispetto al mercato americano.
  Ci siamo chiesti, allora, quali potessero essere gli elementi di miglioramento per cercare di rimuovere questi tre ostacoli, tenuto conto che ci troviamo – siamo all'inizio del 2024 – in una fase di raggiunta maturità di CDP Venture Capital dopo la sua fase di fondazione.
  È chiaro che, dovendo partire da zero, CDP Venture Capital ha avuto, fino ad oggi, un approccio generalista. Bisognava partire e bisognava partire dappertutto. Sono stati anni molto particolari, impattati fortemente anche dall'emergenza pandemica, quindi CDP Venture Capital ha avuto un approccio generalista di investimento in tutti i settori merceologici, in tutte le fasi di sviluppo delle start-up, a partire dal technology transfer, che è quello che citavo in apertura, ovvero investimenti a favore di ricerca, di studenti e di professori. Parliamo qui di piccoli importi, 100 mila o 200 mila euro, che vengono dati a questi soggetti affinché possano elaborare un brevetto. Quindi, siamo ancora nella fase antecedente l'impresa. Ci troviamo nella fase in cui si cerca di capire se da un'idea su carta si possa realizzare un prototipo e se poi da questo si possa realizzare un prodotto che, infine, possa essere ragionevolmente venduto sul mercato. Abbiamo fatto questi sforzi sia con il cosiddetto «comparto diretto», ovvero diventando noi direttamente soci di iniziative, sia con il cosiddetto «comparto indiretto», essendo noi investitori – paradossalmente – dei nostri concorrenti. Noi facciamo investimenti anche in altre SGR ed essi, a loro volta, fanno investimenti su veicoli di innovazione.
  A valle di questo periodo di maturazione ci siamo chiesti, come dicevo, come fosse possibile stimolare e migliorare l'attrattività del mercato del venture capital e Pag. 8abbiamo identificato tre elementi distintivi su cui vogliamo impegnarci.
  Il primo elemento è la focalizzazione per ambito. Che cosa vuol dire focalizzazione per ambito? È difficile essere competitivi su un numero infinito di settori ad elevato contenuto tecnologico, perché bisognerebbe possedere un numero di competenze altrettanto infinito. Questo è evidentemente difficile. Il mercato non è fatto così. Ci sono SGR internazionali importanti che lavorano in settori ad alta tecnologia, per esempio nel settore del biotech, o in quello dell'aerospazio, che sono fortemente specializzate. Alcune esperienze importanti nella ricerca genica e nella ricerca biotech sono focalizzate sulla ricerca su uno spettro anche limitato di antitumorali. Non ci sono SGR che investono semplicemente nella salute, ci sono SGR che investono su settori specifici. Quindi, anche noi dobbiamo ragionevolmente andare verso quella direzione.
  Il secondo elemento è che essere presenti in un numero infinito di settori richiede anche una quantità infinita di disponibilità finanziarie. Ma questo per il venture capital, così come per qualunque altra attività imprenditoriale, non è evidentemente possibile.
  Abbiamo scelto, quindi, di assumere un atteggiamento maggiormente focalizzato, maggiormente selettivo, in modo tale da poter attrarre e, dunque, catalizzare quelle risorse che fino ad oggi non sono arrivate sul mercato del venture capital. E come abbiamo fatto a fare questo? Ci siamo posti un quesito: quali sono, all'interno della distribuzione di tutti i settori merceologici dell'economia, quelli che riteniamo essere ancora non maturi ma più strategici per il Paese e che meglio...

  PRESIDENTE. Le chiedo scusa, ma conviene un po' di concisione, in quanto stanno arrivando domande anche da fuori, altrimenti sforiamo sugli impegni d'Aula dei colleghi.

  AGOSTINO SCORNAJENCHI, amministratore delegato e direttore generale CDP Venture Capital. Perfetto, sarò rapido.
  Ci siamo concentrati su un numero limitato di settori, che sono quelli in cui noi riteniamo che la combinazione fra strategicità del settore medesimo e livello di maturazione richieda un intervento. Così facendo, ne abbiamo identificati sei, anzi, sei più uno: l'agrifood, lo spazio, il mondo delle scienze della vita, il mondo cleantech (energy ed economia circolare), il mondo delle tecnologie applicate all'industria e il mondo delle tecnologie applicate alle infrastrutture e alla mobilità. Questi sono i settori che in questo momento hanno ancora un livello di maturità basso, che possono godere di un grande beneficio dall'innovazione tecnologica.
  Infine, ce n'è un settimo, che è il mondo dell'intelligenza artificiale e della cybersicurezza, che, come vedete, è sia un settore di investimento proprio – siamo nel campo della ricerca pura, nella definizione dei modelli di linguaggio e nella definizione dei foundation model – ma sappiamo già, così come è stato per il digitale negli ultimi vent'anni, che l'intelligenza artificiale attraverserà i vari domini tecnologici con applicazioni che faranno parte, evidentemente, anche degli altri settori.
  E in effetti sull'intelligenza artificiale abbiamo immaginato uno strumento dedicato, a seguito anche di prolungate interlocuzioni con le istituzioni e con il Governo, di un miliardo di euro a sostegno dell'intelligenza artificiale italiana. Noi abbiamo fatto una stima del mercato complessivo dell'intelligenza artificiale per questo Paese e riteniamo che nei prossimi anni ci siano almeno 3 miliardi di euro di investimenti che possono essere allocati. Devo dirvi che questa stima l'abbiamo fatta qualche mese fa; se la ripetessimo oggi, probabilmente, dovremmo aumentarla.
  Come abbiamo allocato questi investimenti? Dal punto di vista giuridico, una metà, 500 milioni di euro, sarà destinata alla creazione di un fondo di nuova creazione, che sarà gestito da CDP Venture Capital, che investirà, appunto, negli aspetti tecnologici puri, e l'altra metà, i restanti 500 milioni di euro, proprio seguendo quel meccanismo a matrice della slide precedente, sarà investita dagli altri fondi settorialiPag. 9 che saranno dedicati alle varie tecnologie.
  Se ripartiamo lo stesso importo, invece, sulle fasi di sviluppo delle start-up, dedichiamo un po' più di 100 milioni di euro alla fase del technology transfer. È molto importante: sembra un importo non grande, ma in realtà è un importo grandissimo, perché, come vi dicevo, sul technology transfer, noi investiamo in piccoli ticket. Stiamo parlando con studenti e professori a cui diamo 100 mila, 200 mila o 300 mila euro per portare avanti le loro ricerche. Attenzione, non c'è bisogno di noi per fare questo, perché quei soldi, comunque, loro li riceveranno. Il problema è che, se non li ricevono da noi ma da qualcun altro, e questo qualcun altro molto spesso non risiede in questo Paese, li prende, li sposta dall'altra parte dell'oceano e consente loro di sviluppare le proprie iniziative. Se andate a vedere la composizione dei management team delle più promettenti iniziative di intelligenza artificiale, anche quelle di cui si legge sui giornali, entro la seconda pagina troverete almeno tre italiani. Noi riteniamo che sia impossibile trattenere questa forza, ma dovremmo non farla sparire, altrimenti la vedremo ricomparire fra venti o trent'anni quando magari torneranno da noi per fare investimenti immobiliari o turistici. Non mi sembra una buona cosa.
  Abbiamo, inoltre, 580 milioni sull'ecosistema delle start-up che già oggi utilizzano applicazioni di intelligenza artificiale. Qui parliamo di ticket un po' più grandi, pari a 5 o 10 milioni di euro l'uno.
  L'ultimo intervento, pari a 300 milioni di euro, è un intervento concentrato nell'identificazione di un campione nazionale dell'intelligenza artificiale. Noi dobbiamo fare massa critica e trovare uno o due soggetti per dare un po' di peso specifico e permettergli, poi, di fare da aggregatore rispetto a quegli altri soggetti di cui avremo accelerato la crescita negli anni precedenti.
  Se noi riusciamo a fare queste cose, riteniamo che il mercato nazionale possa crescere sensibilmente. Questi sono gli investimenti annuali attesi nel mercato. Noi pensiamo a un mercato che possa quintuplicarsi da qua al 2028 con un contributo di CDP Venture Capital più o meno pari a quello attuale. Noi rappresentiamo circa il 20 per cento del mercato ma, come vedete nella parte sfumata verso il bianco, come dicevo in apertura, se CDP Venture Capital entra in un investimento, tipicamente entra anche un altro soggetto privato.
  Ci rivolgiamo, in particolare, a una classe di investitori che spesso viene tirata in ballo nelle discussioni nazionali per salvataggi o iniziative varie. Noi non vogliamo dare fastidio a questi soggetti per iniziative di salvataggio. Noi ci occupiamo evidentemente di altro. Vogliamo fare in modo che il venture capital sia una infrastruttura di trasferimento di risorse dal capitale privato, dal capitale paziente nazionale, dal risparmio nazionale, che è ricchissimo, verso l'impresa reale. È così che vogliamo rappresentare il venture capital.
  Il Paese ha importanti infrastrutture che trasportano energia, che trasportano acqua, che trasportano persone, che permettono di spostarci sul territorio; c'è bisogno anche di un'infrastruttura di trasferimento di risorse finanziarie dal risparmio nazionale verso l'economia reale.
  Se vedete il fundraising che il venture capital italiano raccoglie da investitori istituzionali, siamo al 3 per cento, rispetto al 18 per cento della Francia. Se vedete il focus relativo alle casse di previdenza e ai fondi pensione italiani, vedete che sono sostanzialmente assenti. Ci sono delle ragioni, anche comprensibili, del perché questo, purtroppo, avviene. Innanzitutto, il venture capital è un asset class ancora poco matura ed è un asset class percepita – se vogliamo – in qualche caso come confusa. Ma questa è la conseguenza di quell'approccio generalista che necessariamente – non è una critica – è stato seguito fino a oggi per raggiungere una dimensione.
  Ciò che ci proponiamo di fare oggi è spiegare – la presentazione di oggi serve anche a questo – che cosa vogliamo fare e che cosa non vogliamo fare, quali sono i settori su cui noi riteniamo importante che ci sia un contributo del risparmio nazionale per permettere al potenziale investitore di fare le sue valutazioni, pesare i Pag. 10fattori di rischio connessi, ma avere una presenza nel portafoglio di questi investitori che cominci ad avvicinarsi rispetto alle altre esperienze.
  Come sapete – i miei numeri forse non sono aggiornatissimi – almeno 340 miliardi di euro oggi sono presso casse di previdenza e fondi pensione. L'1 per cento di questo ammontare fa 3,4 miliardi di euro: praticamente tutto il piano industriale di CDP Venture Capital. Quindi, c'è uno spazio di education, c'è uno spazio di investimento importante in questa asset class. Ovviamente abbiamo avviato i confronti con questi soggetti. Ma è importante anche ragionare su altri limiti normativi. Noi li consideriamo investitori privati, ma sappiamo che le casse di previdenza sono pezzi del sistema previdenziale nazionale e, come tali, sono anche assoggettati a tutta una serie di controlli da parte della Banca d'Italia, della Corte dei conti, sui loro investimenti. Quindi, capiamo bene che ci possono essere delle difficoltà, ma noi ci dobbiamo impegnare per cercare di rimuoverle, né più né meno come è stato fatto in altri Paesi. A questo scopo sarebbe anche utile riprendere i ragionamenti circa i regolamenti di investimenti delle casse e dei fondi di previdenza, che sono all'attenzione delle istituzioni già da un po' di tempo.
  Ciò che stiamo cercando di fare è muoverci da un approccio generalista, che è quello che ha caratterizzato i primi anni della nostra attività, a un approccio maggiormente focalizzato per ambito, che serve a darci efficacia, ovvero poter fare meno cose ma fatte bene, e spiegare ai nostri potenziali investitori quali sono.
  Dobbiamo continuare a essere supportati da risorse pubbliche. Siamo all'inizio del nostro percorso. Vedete, la risorsa pubblica è la nostra principale forza, ma è anche la nostra principale debolezza. Oggi abbiamo grandi dotazioni, che fanno di noi il primo operatore del mercato, ma dobbiamo affiancare a queste risorse pubbliche anche risorse raccolte dal mercato, che quindi sono capaci di stare da sole sul mercato, dal momento che non potremo contare in eterno sul supporto pubblico.
  Non vogliamo essere soltanto un investitore finanziario. Investire, come ho detto in apertura, è condizione necessaria ma non sufficiente. Dobbiamo noi stessi metterci attivamente a supporto di questi imprenditori e di queste iniziative di investimento affinché possano esprimere il loro valore. Siamo molto fiduciosi su questo, perché non c'è un motivo per cui un Paese come l'Italia, dove la capacità di sviluppo imprenditoriale ha tratteggiato ed è stata da esempio anche per tanti Paesi, non possa riprendere questo percorso.
  Noi oggi abbiamo un sistema industriale – anche qui è cronaca, non è critica – che è sostanzialmente lo stesso della metà degli anni Novanta, diviso in due parti: grandi imprese legate a esperienze di capitali familiari che sono stati sviluppati e fatti crescere nel secolo scorso, mentre l'altra metà del listino è composto da grandi imprese che derivano dai processi di liberalizzazione degli anni Novanta. Quindi, oggi se andiamo a vedere come è fatto il nostro listino troviamo questa bipartizione. Non ci sono state grandi novità.
  Ciò che osserviamo – anche qua faccio riferimento, e concludo, alle esperienze di altri Paesi – è che il tempo inevitabilmente fa invecchiare tutto, fa invecchiare gli uomini, fa invecchiare anche le imprese, quindi necessariamente, se non rialimentiamo dal basso il mercato delle imprese e delle piccole imprese innovative di oggi, non potremo avere grandi imprese domani. È un'esperienza che ha avuto – lo ripeto – grandi successi in giro per il mondo, ha avuto grandi esperienze anche in Italia un po' di anni fa, forse ce lo siamo dimenticato, adesso è il momento di riannodare questo filo.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Scornajenchi.
  Si sono iscritti a parlare i colleghi Magni e Occhiuto, ma c'è anche una domanda da fuori, perché abbiamo anche molti senatori e deputati collegati da remoto. Se me lo permettete, intanto riferisco una domanda che mi è arrivata via WhatsApp dall'onorevole Lovecchio, che si scusa, ma ha una connessione non ottimale. Il collega LovecchioPag. 11 le chiede come valutate il potenziale di crescita economica nel sud Italia e quali sono le vostre previsioni e strategie di investimento a lungo termine per queste regioni.
  Adesso raccoglierei altre domande, per cui do la parola ai colleghi parlamentari che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni. Prego, senatore Magni.

  CELESTINO MAGNI. Signor presidente, grazie, le domande sarebbero tante. Innanzitutto vorrei sottolineare un dato. Ho letto nella sua esposizione una leggera sottolineatura critica nei confronti dell'università italiana, però ciò che noto è che molti nostri ragazzi laureati vanno all'estero e si affermano. Quindi, il problema non è l'università – mentre invece ho avuto questa lettura, quindi vorrei fare, a mia volta, questa sottolineatura – semmai il problema è che noi investiamo e costruiamo dei talenti che si affermano all'estero. Noi siamo un Paese che guarda più ai vecchi, a quelli della mia età, che non ai giovani: questo è il dato fondamentale. Le chiedo al riguardo una sua opinione.
  Vorrei sottolineare un altro elemento. Lei ha parlato, ad esempio, di nanismo industriale o della scarsa propensione della borsa agli investimenti. In altre audizioni, ma l'ha detto anche lei quest'oggi, abbiamo appreso che vi è una certa quantità di risorse nei fondi, che vent'anni fa non c'erano, vent'anni fa i fondi pensione privati o quelli contrattualmente definiti non esistevano, mentre oggi ci sono, e che questi fondi hanno il compito – questo lo dobbiamo sapere – di garantire il futuro di coloro che vi hanno investito. Per garantire questa cosa, i fondi investono all'estero. Abbiamo visto che il 98 per cento sostanzialmente investe all'estero. Il capitale italiano viene investito all'estero.
  Il problema è la credibilità di questa scelta che bisogna fare. È la politica, in questo caso, che deve fare uno sforzo. Lei nei suoi passaggi ha sottolineato un'altra cosa, che sulla trasformazione, da sempre, negli Stati Uniti d'America, Paese capitalistico per eccellenza, lo Stato è sempre intervenuto. Questo vuol dire che è lo Stato che in qualche modo deve dare un messaggio perché si possa avere fiducia negli investimenti, nonché per avere quella garanzia su ciò che io ho investito, perché questo è il dato fondamentale. Io almeno lo leggo così. Il pubblico ha un grande ruolo. In più c'è la scelta degli indirizzi, perché anche qui lei ha sottolineato che vent'anni fa imprese come la Apple o Amazon e via dicendo sono state frutto di una trasformazione dal punto di vista della tecnologia e della forma di impresa, perché poi c'è anche questo.
  Come viene aiutata questa forma di impresa in Italia da parte degli indirizzi pubblici? Non dell'occupazione del pubblico, ma dell'indirizzo pubblico.
  Capisco che il mio è più un ragionamento che un insieme di domande, però vorrei sottolineare che se c'è questa situazione è perché le persone non si fidano. La fiducia è una cosa importante. Io sono un brianzolo e i miei soldi voglio sapere dove vanno a finire, perché poi la gente ragiona così.

  PRESIDENTE. Raccogliamo le domande dei senatori, erano iscritti a parlare il senatore Occhiuto e la senatrice Furlan, che poi hanno impegni d'Aula. Prego, senatore Occhiuto.

  MARIO OCCHIUTO. Sì, grazie presidente. Mi riallaccio un po' a quello che diceva il collega Magni, che condivido. Volevo chiedere, appunto, quali rapporti avete, se li avete, o che intenzioni di collaborazione avete con università e con i centri di ricerca italiani, non solo per stimolare, ma per ricercare anche magari delle start-up innovative e se avete rapporti anche per trasformare poi queste start-up in prodotti industrializzati.
  Secondo me, sarebbe importante anche per il sud dell'Italia perché queste infrastrutture tecnologiche e materiali potrebbero avere una grande ricaduta in termini non solo di mercato reale, ma di occupazione, nelle regioni più svantaggiate che sono più distanti dai centri economici europei.
  Data l'importanza – vengo alla seconda domanda – di questi investimenti di innovazionePag. 12 in Italia, soprattutto nelle aree più svantaggiate del Paese, se è possibile, c'è anche la necessità di questi investimenti. Dall'altro lato, rispetto ai fondi degli enti previdenziali e assistenziali, c'è anche l'importanza di come bilanciare il rischio, come diceva lei, che è abbastanza elevato rispetto agli investimenti in start-up innovative con la necessità di generare ritorni stabili. Tutto ciò è prevedibile anche per gli investitori istituzionali come nel caso degli enti previdenziali e assistenziali.
  Queste sono le domande che volevo porre. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie senatore Occhiuto. Prego, senatrice Furlan.

  ANNAMARIA FURLAN. Sarò brevissima.
  Nell'ascoltare gli interventi, nelle audizioni che abbiamo fatto sui fondi, spesso si è rimarcata la poca propensione di investimenti finanziari sul mercato finanziario dei fondi stessi, anche per un problema di «sicurezza e copertura» nell'investimento. Parliamo di soldi delle imprese, dei lavoratori.
  Voi potreste giocare un ruolo di garanzia rispetto a questo? Anche perché nel nostro Paese non vedo tanti che potrebbero svolgere questo ruolo. Sicuramente voi sì.

  PRESIDENTE. Grazie senatrice Furlan. Do la parola immediatamente al dottor Scornajenchi per questo primo giro di repliche. Poi, eventualmente, se ci sono altre domande, le aggiungiamo, così liberiamo i senatori. Prego.

  AGOSTINO SCORNAJENCHI, amministratore delegato e direttore generale CDP Venture Capital. Grazie. Se il presidente è d'accordo, proverò a tratteggiare una risposta che comprenda tutte le domande che sono state fatte.
  In merito alle questioni che riguardano il sud, di cui parlava il senatore Lovecchio, noi abbiamo avviato in Italia diversi poli di trasferimento tecnologico, che sono quelli che hanno attivato una relazione diretta fra noi e il mondo universitario. Molti di questi sono al sud. Abbiamo parlato di intelligenza artificiale. C'è un polo importantissimo sulla cybersicurezza e l'intelligenza artificiale all'Università della Calabria, che sta portando grandi e buoni risultati.
  Certamente, se vediamo oggi la mappa delle start-up in Italia, per il 95 per cento sono a nord di Roma e, di questo 95 per cento, l'80 per cento è nell'area sopra Bologna. Quindi, certamente c'è ancora molto spazio, però i nostri poli di trasferimento tecnologico e i nostri acceleratori, che sono le nostre iniziative, che fanno sostanzialmente dei bandi, delle application su aree tematiche specifiche, anche questi cominciano a raccogliere tante domande da parte dei territori. Per quanto riguarda il mondo dell'università, lungi da me, assolutamente, anzi è il contrario, criticare la qualità della formazione universitaria. Anzi, proprio perché la qualità della formazione universitaria è così elevata, i nostri sono così facilmente attirabili da ecosistemi che sono più abituati all'investimento in venture capital, che quindi fanno meno fatica a prendere dei giovani e a trasportarli dall'altra parte.
  Quello che manca è proprio il tema del trasferimento tecnologico. Su questo bisogna fare due cose. Come prima cosa bisogna creare iniziative, che è quello che noi stiamo cercando di fare con i nostri poli di trasferimento tecnologico. Abbiamo già oggi relazioni con i principali centri di ricerca nazionale. C'è anche, però, un tema culturale. Noi dobbiamo fare in modo che l'attività di impresa non sia vista da uno studente come un destino residuale se non è riuscito a ottenere l'assunzione da parte della grande corporate o l'assunzione da parte di istituzioni pubbliche o di grandi istituzioni finanziarie.
  L'investimento su sé stessi, cioè la capacità e la voglia di provare la strada imprenditoriale, è ancora oggi una voglia un po' troppo residuale.
  Pochi giorni fa eravamo a colloquio con il Ministro dell'economia di Israele. Quello è un ecosistema capovolto rispetto a questo. Lo studente universitario medio vuole fare l'imprenditore; una minoranza vuole andare a lavorare per un'impresa. È un Pag. 13estremo opposto rispetto al nostro. Sono economie – come quella del Regno Unito, che si sta trasformando – fortemente basate sulle start-up e meno basate sulle grandi imprese.
  Per quanto riguarda la propensione al rischio, certamente qui abbiamo bisogno di equity. Al giovane imprenditore non possiamo certo dare il mutuo. Il mutuo lo possiamo dare al dipendente che ha lo stipendio, può pagare le rate del mutuo, ha la casa a garanzia se qualcosa va male. Qui parliamo di giovani imprenditori che evidentemente hanno poco da mettere a garanzia ed è soltanto un investimento in capitale di rischio che può supportarli. Quello che noi stiamo cercando di spiegare ai potenziali investitori è che certamente è un asset class che presenta rendimenti più alti, ma presenta anche un rischio più alto. Ma noi vorremmo focalizzarlo e pesarlo questo rischio, cercare di valutarlo in modo oggettivo. Noi non pretendiamo che i fondi pensione o le casse di previdenza investano l'80 per cento dei loro denari da noi, però crediamo si possa fare un po' di più rispetto a quello che è stato fatto oggi.
  Gli strumenti di garanzia sono senz'altro strumenti importanti. Ci sono ragionamenti in corso a livello istituzionale. Stiamo dialogando con i nostri colleghi di SACE per cercare di aiutare anche il mercato di chi queste garanzie le deve prestare nella creazione di strumenti a mercato che possono essere valutati in modo tale che l'investitore, nel momento in cui investe, possa decidere se assumere il rischio pieno o se possa, invece, mitigare questo rischio con una garanzia che abbia un costo ragionevolmente accettabile.
  Certamente è un ambito su cui chiederemo il supporto delle istituzioni, però con l'ordine che abbiamo descritto. Per noi era importante prima descrivere l'asset class, descrivere quali sono gli ambiti in cui riteniamo prioritario investire, quali sono le opportunità e i rischi connessi a questi ambiti e, sulla base di questo, chiedere un supporto affinché questo mercato sia anche maggiormente garantito e ci sia una valutazione dei rischi che possa essere più accettabilmente supportata da parte degli investitori.
  Spero di aver coperto tutte le domande che sono state formulate.

  PRESIDENTE. Se posso, aggiungo anch'io qualche considerazione.
  L'osservazione sul mondo universitario e sul suo ruolo – a meno che non vi siano indicazioni di altri colleghi, non voglio prevaricare, ma non vedo da fuori mani alzate – l'avevo letta anche io non tanto nel senso che il sistema si schieri – diciamo così – con i vecchi, quanto che indichi ai giovani forse degli obiettivi non pienamente centrati in termini del loro sviluppo di carriera. Ma questo può essere tranquillamente letto anche in altre forme.
  Ricordiamo quando la lettera della BCE dell'agosto 2011 propugnava un impiego sistematico di indicatori di performance negli organismi pubblici, soprattutto nel sistema dell'istruzione. Questo è quello che ci ha regalato l'ANVUR con il suo sistema di incentivi distorti, così come è distorto molto altro.
  Ci sono università straniere che si stanno togliendo dalle classifiche delle migliori università perché sono basate sulle pubblicazioni. C'è questa idea un po' platonica. Noi siamo ancora schiavi di un platonismo oleografico, tale per cui il mondo delle idee è superiore al mondo della materia e quindi i brevetti non vengono considerati. Nella nostra incapacità di brevettare ci sono sicuramente degli indirizzi politici e culturali di lungo periodo che vanno sovvertiti. Oggettivamente, appartenendo a quel mondo, posso dire che il mondo universitario si caratterizza, in alcuni contesti, come un clero conformista, il che offre a chi dice una cosa diversa infiniti spazi di crescita, però – diciamo così – si può intervenire. Lo dico nel bene e nel male.
  Avrei alcune curiosità. Voi avete investito in circa cinquecento start-up e prevedete di triplicare questo numero nel corso dei prossimi cinque anni. La domanda che mi viene è: ma quante ne sono state analizzate? Quali sono state le start-up vocate a fronte di cinquecento elette? Come funziona questo meccanismo?Pag. 14
  Inoltre, qual è il meccanismo più utilizzato nella fase di uscita? Quando voi restituite e realizzate il vostro moltiplicatore, qual è il meccanismo prevalente? Poi, a seconda di quale sia, è chiaro che si possono fare delle considerazioni, perché credo che ci sia un tema proprio di sviluppo del mercato.
  Torno poi sul tema, che è stato sollevato più volte, del rischio. Abbiamo avuto qui, il 15 febbraio scorso, il professor Realfonzo che ci ha parlato di un'esperienza specifica, che mi risulta che stia andando avanti, tra l'altro anche con aziende del gruppo CDP, cioè l'idea di introdurre meccanismi di protezione del capitale investito tramite una soglia minima di rendimento.
  Intanto, non so se lei ne ha contezza, esistono o non esistono in altri Paesi europei meccanismi simili? In altre parole, quel ritardo dell'Italia rispetto alla dimensione del venture capital si spiega solo – abbiamo visto che noi siamo partiti dopo – con questo ritardo in partenza (probabilmente, visti i tassi di sviluppo), oppure ci sono anche meccanismi istituzionali che, in qualche modo, incentivano l'investimento in questa asset class?
  Come valutate la possibilità di introdurre classi di quote che consentano di incentivare gli investitori più prudenti, che devono essere prudenti, come fondi e casse, ad avvicinarsi al mondo del venture capital? Per esempio, si potrebbe pensare a classi di quote con rendimento minimo garantito, ma con un minore ritorno in caso di sovra-profitti, naturalmente. Come ogni garanzia, anche questa andrebbe, ovviamente, pagata. È chiaro che il socio che la offre deve, poi, avere un maggiore ritorno.
  Quest'ultima domanda è semplicemente una specificazione di un tema che è stato sollevato anche da tutti gli altri colleghi, che fa riferimento a un'audizione precedente e a un'esperienza su cui credo ci sia un'interlocuzione in corso.
  Prego.

  AGOSTINO SCORNAJENCHI, amministratore delegato e direttore generale CDP Venture Capital. Grazie presidente. Per quanto riguarda la prima domanda, su come le start-up hanno accesso a CDP Venture Capital e su come vengono valutate, nel nostro caso abbiamo canali di approvvigionamento, di iniziative diverse. Quando siamo nel mondo del technology transfer sono le università che ci mettono a disposizione una pipeline potenziale, che noi, poi, valutiamo. Quando siamo nel mondo degli acceleratori, ovvero piccole imprese nella fase embrionale, che sono ancora in fase di pochi ricavi o addirittura di ancora nessun ricavo, facciamo loro delle call for applications, cioè lanciamo un'iniziativa, diciamo che stiamo lanciando un'iniziativa di sviluppo in un determinato ambito (abbiamo appena lanciato un acceleratore proprio sull'intelligenza artificiale e la cybersicurezza in Sardegna), riceviamo delle domande, le selezioniamo e poi decidiamo quali sono i soggetti su cui investire.
  Quando andiamo, invece, nelle fasi più mature, cominciamo a parlare di aziendine che cominciano a essere strutturate, quelle hanno accesso libero alle nostre infrastrutture. In qualche caso, quando parliamo di aziende che arrivano nel comparto cosiddetto «large venture», che sono aziende già fatte e finite, siamo più nel mondo del private equity, siamo noi che andiamo, evidentemente, a cercare.
  È chiaro che l'estremo sinistro, technology transfer e acceleratori, è un estremo dove non c'è molto mercato. Il principale operatore su technology transfer e acceleratori siamo noi, evidentemente. Non ci sono altri grandi soggetti privati che investono in quell'area, perché è l'area a maggiore potenzialità, ma anche a maggiore rischio. Siamo ancora prima del proof of concept, quindi siamo veramente all'idea embrionale: l'impresa deve ancora nascere.
  Quando, invece, andiamo sull'estremo destro – diciamo così – di società che cominciano a essere più grandi, il tema si ribalta: siamo noi che spesso dobbiamo farci spazio rispetto ad altri investitori, spesso internazionali, per poter finanziare delle iniziative che si ritengono promettenti.
  Tipicamente, se facciamo una media, noi abbiamo un tasso di selettività complessivo del 2 per cento. Per tirare fuori Pag. 15due aziende su cui investire, quindi, bisogna averne viste un centinaio. Abbiamo una poderosa attività di preselezione, scrematura e selezione. Abbiamo ventiquattro comitati investimenti, in funzione dei vari fondi che noi abbiamo, che settimanalmente fanno esattamente questo mestiere, che non è un mestiere facile e che va fatto sempre con la massima equità, perché è un mestiere in cui si creano inevitabilmente aspettative e delusioni, e bisogna sempre poter spiegare, tempo per tempo, quali sono stati i criteri che ci hanno portato a una scelta di investimento positiva o anche a una scelta di investimento negativa, un diniego.
  Per quanto riguarda le uscite, tipicamente i canali sono due. Il primo è una vendita a un soggetto aggregatore più grande, quindi si vende l'azienda tipicamente a un'altra azienda, che può beneficiare dell'innovazione prodotta. Questo è il caso classico di quello che succede, per esempio, sul biotech. Nel mondo farmaceutico, le imprese farmaceutiche fanno sempre meno ricerca propria. Definiscono quali sono le direttrici di ricerca e poi ci sono tante start-up, sguinzagliate sul mercato, che sviluppano ricerche specifiche. Come sapete, il mondo del biotech è un mondo ad alto rischio, come poteva essere – se vogliamo – la ricerca del petrolio: bisogna fare tanti buchi per trovare il giacimento. Anche lì bisogna fare tanti tentativi, dove c'è un importante dispendio di capitali, e soltanto un numero ristretto di questi tentativi va a buon fine. A quel punto, c'è un farmaco che ha superato i vari test di applicabilità e utilizzabilità per la salute umana, quelle aziende si valorizzano molto e vengono tipicamente comprate da grandi gruppi.
  Un'altra uscita classica è l'accesso a un mercato strutturato dei capitali, quindi le quotazioni in borsa nei vari segmenti. In questo momento è impossibile: siamo ancora nella fase iniziale. Oggi ciò che vediamo come exit è prevalentemente la prima categoria. La seconda è ancora poco sviluppata o, in qualche caso, ho citato il caso di Unobravo, si quoterà in borsa, ma guarda caso non si quoterà in borsa in Italia, ma ha un percorso che la porterà a una quotazione all'estero.
  C'è una terza categoria che, secondo me, va sviluppata: quella del riavvicinamento tra le corporate nazionali e il mercato del venture capital. Erroneamente noi pensiamo che il mercato del venture capital sia cosa diversa dall'impresa. In realtà, non è così. Si tratta di impresa all'inizio della sua storia, né più e né meno delle imprese grandi che oggi noi abbiamo, che sono state anche loro start-up qualche anno fa. Certamente le grandi imprese rappresentano un supporto importante per il venture capital, perché sono portatrici di possibile finanziamento e anche di ordine. I prodotti delle start-up possono essere acquistati dalle corporate. È anche vero che sono le start-up che possono portare innovazione alle corporate. Questi mondi vanno riavvicinati. Abbiamo diverse iniziative per stimolare questo dialogo. Vogliamo farlo a tutti i livelli. Abbiamo anche un mondo – lasciatemi dire – interno all'amministrazione dello Stato, che è il mondo delle corporate statali, il mondo delle grandi aziende, che oggi hanno modelli di business maturi, ma che potrebbero trarre grande beneficio dall'incrocio con il mondo dell'innovazione delle start-up. Noi lavoriamo con le nostre iniziative di corporate venture building proprio per creare e rafforzare questi ponti.
  L'ho detto in chiusura, mi permetto di ripeterlo. Non ci sarà una grande impresa domani se non abbiamo una piccola impresa innovativa oggi, perché le grandi imprese di oggi sono state piccole imprese innovative in passato. Questo lo dobbiamo ragionevolmente rimettere insieme.
  Circa il passaggio sull'università, non aggiungo molto. È un tema in cui dobbiamo fare in modo che il percorso imprenditoriale diventi un percorso di elezione, non un percorso – per così dire – residuale e meno che mai di penalizzazione. Questo è un Paese dove la piccola-media impresa è un pezzo fondamentale del tessuto produttivo nazionale. Quindi, sarebbe paradossale smettere di fare questo.
  Sappiamo, peraltro, che questo è un Paese che, nel corso dei prossimi dieci-quindici anni, vedrà un numero importantissimoPag. 16 di aziende che dovranno attraversare percorsi di passaggio generazionale. Sappiamo che nei percorsi di passaggio generazionale qualche cosa può andare bene e qualche cosa no. Purtroppo, fa parte dell'obsolescenza degli umani e anche delle aziende: qualche esperienza inevitabilmente è destinata a finire o a essere trasferita. Non ci si può fare nulla, se non rialimentare dal basso, con imprese giovani.
  Circa gli strumenti di garanzia e se siano stati previsti in altri Paesi, tipicamente no. Come ho detto prima, per sviluppare l'imprenditoria dal basso c'è bisogno di equity, c'è bisogno di capitale di rischio. In qualche caso ci sono iniziative miste, come ci sono, peraltro, anche da noi. Ci sono iniziative dei nostri cugini di Invitalia, con strumenti che permettono dei grant, permettono dei finanziamenti a tassi agevolati, che in qualche caso possono trasformarsi in finanziamento a fondo perduto e che certamente possono rappresentare un blend. Lavorare, quindi, su strumenti di garanzia che possano essere intelligentemente dosati. Perché, vedete, diventa molto facile essere percepiti come un «investimentificio» agevolato di Stato. Noi non vogliamo essere percepiti così: se veniamo percepiti così, automaticamente le start-up buone non verranno da noi e i soggetti privati non investiranno.
  Il rendimento del venture capital è un rendimento elevato. Il rischio è un rischio maggiore rispetto alle altre asset class. Qua noi abbiamo un tema di misurazione. Dobbiamo fare in modo che le metriche di misurazione siano il più possibile oggettive, determinate, in modo tale che il potenziale investitore possa fare i suoi conti di rischio-rendimento e dare un contributo all'investimento in queste imprese.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Scornajenchi.
  Visto che i numeri ci dicono che basterebbe che l'1 per cento del patrimonio di casse e fondi fosse investito in questa asset class per raddoppiare, sostanzialmente, il portafoglio, per esempio, del più grande operatore di mercato, un 1 per cento, per quello che ricordo, è abbastanza tollerabile, anche con livelli di rischio misurati potenzialmente elevati.
  In questo senso, naturalmente, tutti noi aspettiamo di capire quali indicazioni ci arriveranno dal regolamento sugli investimenti, in particolare delle casse, che i Governi – perché ormai è una storia decennale – promettono da tempo. Speriamo che questa commissione possa assistere al parto.
  Ringrazio il nostro ospite e ringrazio anche i colleghi che hanno partecipato numerosi, in collegamento e in presenza.
  Se non ci sono ulteriori interventi, dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.35.