XIX Legislatura

XI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 13 di Mercoledì 7 febbraio 2024

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Nisini Tiziana , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUL RAPPORTO TRA INTELLIGENZA ARTIFICIALE E MONDO DEL LAVORO, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AGLI IMPATTI CHE L'INTELLIGENZA ARTIFICIALE GENERATIVA PUÒ AVERE SUL MERCATO DEL LAVORO

Audizione di Alessandro Paone, avvocato giuslavorista.
Nisini Tiziana , Presidente ... 3 
Paone Alessandro , avvocato giuslavorista ... 3 
Nisini Tiziana , Presidente ... 6 
Laus Mauro Antonio Donato (PD-IDP)  ... 6 
Coppo Marcello (FDI)  ... 7 
Laus Mauro Antonio Donato (PD-IDP)  ... 7 
Nisini Tiziana , Presidente ... 7 
Paone Alessandro , avvocato giuslavorista ... 7 
Nisini Tiziana , Presidente ... 9 

Audizione di Dino Pedreschi, professore ordinario di informatica presso l'Università di Pisa:
Nisini Tiziana , Presidente ... 9 
Pedreschi Dino , professore ordinario di informatica presso l'Università di Pisa (Intervento da remoto) ... 9 
Nisini Tiziana , Presidente ... 12 

Audizione di rappresentanti di Ice Cubes:
Rizzetto Walter , Presidente ... 12 
Mazzolotti Alessio , amministratore delegato di Ice Cubes ... 12 
Rizzetto Walter , Presidente ... 15 
Mazzolotti Alessio , amministratore delegato di Ice Cubes ... 16 
Rizzetto Walter , Presidente ... 17 

Audizione di rappresentanti di Google Italia:
Rizzetto Walter , Presidente ... 17 
Ciulli Diego , responsabile delle relazioni istituzionali di Google Italia ... 18 
Rizzetto Walter , Presidente ... 19 
Scotto Arturo (PD-IDP)  ... 19 
Rizzetto Walter , Presidente ... 20 
Ciulli Diego , responsabile delle relazioni istituzionali di Google Italia ... 20 
Rizzetto Walter , Presidente ... 22 

Audizione di rappresentanti di Manpower:
Rizzetto Walter , Presidente ... 22 
Gionfriddo Anna , Amministratore delegato di Manpower (Intervento da remoto) ... 22 
Rizzetto Walter , Presidente ... 24 
Gionfriddo Anna , Amministratore delegato di Manpower (Intervento da remoto) ... 25 
Rizzetto Walter , Presidente ... 25 

Allegato 1: Documentazione presentata dai rappresentanti di Ice Cubes ... 26 

Allegato 2: Documentazione presentata dai rappresentanti di Manpower ... 32

Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
Azione - Popolari europeisti riformatori - Renew Europe: AZ-PER-RE;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Noi Moderati (Noi con L'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE: NM(N-C-U-I)-M;
Italia Viva - il Centro - Renew Europe: IV-C-RE;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE
TIZIANA NISINI

  La seduta comincia alle 14.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverte che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la resocontazione stenografica e la trasmissione attraverso la web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Alessandro Paone, avvocato giuslavorista.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul rapporto tra intelligenza artificiale e mondo del lavoro, con particolare riferimento agli impatti che l'intelligenza artificiale generativa può avere sul mercato del lavoro, l'audizione di Alessandro Paone, avvocato giuslavorista.
  Ricordo che l'audizione odierna sarà svolta consentendo la partecipazione da remoto in videoconferenza dei deputati secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il regolamento.
  Ringrazio l'avvocato Paone per la disponibilità e gli cedo immediatamente la parola.

  ALESSANDRO PAONE, avvocato giuslavorista. Buonasera a tutti. Grazie dell'invito a questa audizione su un tema attuale e molto interessante.
  Nel rispetto dei tempi che mi sono stati assegnati, cercherò di essere molto sintetico, ma il più possibile esaustivo. Ho suddiviso il mio intervento sostanzialmente in tre macroaree, ovvero un aspetto generale, un aspetto di ricaduta sulla normativa del lavoro italiana e un aspetto specifico, con riferimento al mercato del lavoro, alle conseguenze che la diffusione dell'intelligenza artificiale potrebbe avere di qui a un breve termine.
  Per quanto riguarda il primo aspetto, il piano generale, occorre premettere anzitutto che dal punto di vista giuridico e scientifico una definizione di ciò che possa essere considerato intelligenza artificiale per gli impatti nel diritto del lavoro non riporta con sé una determinazione quantomeno univoca. Parliamo di sistemi che hanno una capacità computazionale, quindi di elaborazione dei dati, che hanno una capacità di intervento e di correlazione con l'attività umana estremamente estensiva.
  Gli effetti che queste strumentazioni tecnologiche potrebbero avere di qui a breve termine sono qualificabili e misurabili dal punto di vista economico e sociale, perché, evidentemente, l'impatto che avranno sulla economia e sui mercati del lavoro tanto più è significativo quanto più sarà diffuso il ricorso a sistemi tecnologici di automazione artificiale con efficacia che, effettivamente, come nel quesito del programma dell'indagine conoscitiva è ben posto, possono avere una sostituzione negativa in termini di impatto sulle risorse umane oppure una forza aggiuntiva e integrativa a carattere positivo, cioè completando l'attività lavorativa.
  È indubbio però, guardando alla bussola della storia, che strumentazioni di tale portata a livello mondiale si inseriscono sostanzialmente in un mutamento dell'assetto produttivo, anche geopolitico, che ha cambiato i paradigmi della nostra economia, tale per cui le sicurezze del passato possono sicuramente essere accantonate per il futuro.Pag. 4
  Questa enorme rivoluzione tecnologica – questo è il dubbio – si inserisce in un sistema economico produttivo che avrà come direttrici quali regole, quali principi ispiratori, con l'effetto di quali impatti sulle persone? Dai primi studi scientifici, che io ritengo francamente un po' allarmanti, perché sono modelli molto negativi, di grandi banche d'affari e grandi istituti mondiali, la componente negativa sostitutiva è decisamente preponderante rispetto a quella integrativa aggiuntiva, che migliora la qualità e il numero degli occupati a livello mondiale; i vari modelli elaborati dimostrano che ci saranno meno persone impiegate e una maggiore concentrazione di ricchezza nei grandi produttori tecnologici.
  Il problema più grande, quindi, riguarda l'assetto delle regole dello stato sociale in tutti gli Stati e i Paesi sviluppati, che poi altro non è che il sostrato nel quale il nostro diritto del lavoro si produce da cinquanta – settanta anni a questa parte.
  Andiamo a vedere gli effetti sull'inquadramento normativo del nostro ordinamento giuslavoristico. Il nostro è un ordinamento che possiamo definire senza dubbio estremamente solido. Dal punto di vista delle tutele in favore dei lavoratori è un ordinamento protezionistico, è un ordinamento a carattere costituzionale estremamente evoluto; ricordiamoci che da molti anni a questa parte ha anche un orientamento eurounitario, per cui la derivazione comunitaria delle norme comporta un aggiornamento costante dei diritti e degli obblighi in capo ai lavoratori, ma soprattutto ai datori di lavoro.
  Il rischio più grande della diffusione di questa tecnologia è, ahimè, purtroppo, l'impatto sul meccanismo di adeguamento dinamico del nostro ordinamento. Le nostre norme hanno una capacità adattiva rispetto ai cambiamenti del mercato del lavoro e del sistema produttivo derivante dalla interpretazione vivente della norma per l'interpretazione costituzionale, ma anche grazie a un'attività creatrice molto spesso della giurisprudenza.
  Uno dei più grandi timori che bisogna considerare è l'impatto dell'intelligenza artificiale in una prospettiva che non viene quasi mai valutata, cioè nel rapporto tra, banalmente, gli attori del contratto di lavoro, il lavoratore e il datore di lavoro, perché l'intelligenza artificiale sfuma l'esercizio dei poteri del datore di lavoro. Può intervenire nel rapporto biunivoco tra quelle due parti, rendendo incerti i meccanismi di collegamento su cui tutte le nostre norme giuridiche sono fondate. Non voglio e non posso dire che il nostro ordinamento, davanti all'intelligenza artificiale, è sottoposto a un attacco al quale non può rispondere, perché non è così. Abbiamo degli anticorpi molto efficaci.
  Voglio precisare, però, che più l'impatto dell'intelligenza artificiale sarà per come la stiamo assistendo, la stiamo osservando nella prassi delle aziende e anche nella conoscenza mediatica, più tenderà a sciogliere e a rendere maggiormente vaghi quei legami tra le due parti del contratto.
  Faccio alcuni esempi molto velocemente. Quando parliamo di sistemi tecnologici, il nostro ordinamento ha delle norme specifiche. Faccio riferimento all'articolo 4 dello Statuto dei lavoratori in materia di strumenti di controllo a distanza. La norma, nata nel 1970 per gli strumenti di registrazione e di videoregistrazione, è stata interpretata dalla giurisprudenza con un obiettivo di razionalità insuperabile di diritto civile, di etica civile, cioè il divieto di un controllo anelastico della prestazione del lavoratore, per questioni di tutela della privacy, di dignità della prestazione lavorativa.
  Un sistema di intelligenza artificiale fondato sulla elaborazione dei dati potrebbe essere un sistema che controlla costantemente la prestazione del dipendente, ma con un elemento in più: non solo la controlla, può avere come portato finale quella di orientarla, tant'è vero che si comincia a parlare di un potere direttivo di controllo, perché può orientare l'aspetto finale della decisione. Immaginate un sistema che è in grado di fare uno screening dei dipendenti e stabilire quale soggetto possa essere più efficacemente maggiormente adibito a una mansione piuttosto che a un'altra rispetto alla valutazione delle performance. Non solo qui abbiamo un problema di controllo delle Pag. 5prestazioni, ma anche in termini di output finale, si pone la questione della determinazione del datore di lavoro che sceglie un dipendente non in forza di una sua valutazione per apprensione diretta, ma sulla base di un sistema nei cui gangli algoritmici è difficile entrare, perché è un sistema di elaborazione autonoma che accorpa dei dati e giunge a delle conclusioni che sono prive di una razionalità interpretabile.
  Logicamente atterro su un tema secondario. Guardate anche come l'onere probatorio, negli eventuali rapporti contenziosi tra un lavoratore e un'azienda, che sono nel diritto al lavoro affievoliti a favore del lavoratore, in questo caso comincerebbe a perdere intensità, perché sarebbe assai complicato dimostrare nei fatti quel sistema cosa ha dietro, come un output di dato viene elaborato con quell'effetto, per non parlare degli eventuali punti di caduta potenzialmente discriminatori, che non sono magari intenzionali da parte del datore di lavoro, ma potrebbero portare a una preferenza di alcune categorie di soggetti semplicemente perché il sistema di intelligenza artificiale soffre un meccanismo di underfitting, cioè pesca ed elabora meno dati di quelli che dovrebbe, o di overfitting, pesca più dati, preferendo categorie per le quali non c'è un effettivo legame con l'attività o la risposta rispetto alla quale quel sistema è preordinato, fino al massimo livello di disvalore oggettivo che è la distonia discriminatoria: un sistema che si autoalimenta di dati e genera un risultato che porta a preferire soggetti di una certa etnia, un'appartenenza politica, una fede religiosa, eccetera.
  Sono tutti meccanismi rispetto ai quali il nostro ordinamento ha delle tutele normative specifiche, sia ben chiaro, ma che tuttavia sono improntate a un rapporto di comportamento diretto tra datore e lavoratore: il nesso di causa fra l'azione e la reazione è l'elemento essenziale su cui la norma intende intervenire. Qui c'è uno strumento tecnologico che rappresenta una bolla oscura nel momento in cui elabora i dati, che potrebbe avere un forte impatto.
  Dalla seconda passo alla terza area, la conclusiva, rispetto alla quale mi collego con uno degli elementi più importanti del contratto di lavoro, cioè le mansioni lavorative. Ciò che più desta preoccupazione riguarda, in effetti, sul mercato del lavoro, l'impatto dei sistemi di intelligenza artificiale in termini di invasività nelle attività. Proviamo a immaginare il mercato del lavoro non sulla base del numero degli occupati, ma sulla base della tipologia di compiti che vengono affidati ai lavoratori e che rappresentano il 100 per cento della torta economica delle attività produttive di un determinato Paese.
  Se l'intelligenza artificiale è sottrattrice di compiti, perché li aggrega mediante meccanismi di automazione, evidentemente i lavoratori vedranno, nel tempo, progressivamente, una riduzione dei loro compiti. Le strutture faranno fatica a mantenere in piedi lavoratori che hanno compiti sempre più basici, a parità di salario. E il rischio qual è? Il rischio è di grandi accorpamenti, dove i sistemi di automazione sono più convenienti – l'ammortamento di un investimento lo vedi nel tempo, quindi quanto più è conveniente l'investimento rispetto al costo del lavoro tanto più quell'investimento l'azienda lo fa – rispetto all'impiego massivo di determinate risorse. Per assurdo qui agiamo sulla parte alta della forza lavoro, non la parte più bassa, manuale, operativa.
  Questo comporterà attendere un effetto sostitutivo che può essere «integrativo-aggiuntivo» in una curva di parabola ascendente per i prossimi 15-20 anni, dopodiché tenderà inevitabilmente a diventare negativo, quindi involutivo ed effettivamente sostitutivo nel momento successivo futuro, con un'effettiva sostituzione di risorse all'interno del mercato.
  Che cosa succederà a quel punto? Qui mi sento di dire che, alla luce della struttura del nostro ordinamento giuslavoristico, io qui, sì, posso concludere dicendo che non siamo pronti come sistema ordinamentale ad affrontare una tale portata di spostamento degli attori del mercato. Perché? Non siamo pronti perché per fronteggiare un cambiamento radicale della forza lavoro nel nostro mercato e delle regole del gioco occorrono strumenti più strutturati Pag. 6rispetto a quelli che abbiamo noi oggi. I momenti di crisi l'Italia li affronta facendo massivo ricorso alle politiche passive. L'obiettivo tendenzialmente è di insistere in un'attività produttiva con efficacia transeunte rispetto a un cambiamento del modello organizzativo della stessa impresa o in capo ad altro imprenditore. Purtuttavia, la gestione dei processi di crisi aziendale conosce in Italia una lentezza e una scarsità di successo, che è un dato storico. Ecco che, allora, bisogna immaginare un cambiamento degli strumenti.
  Ciò che mi sento di indicare, osservando il mercato, è che non si può considerare il fenomeno individualmente, ma occorre affrontare la materia in modo organico. Quindi, probabilmente sarebbe molto più utile, tenendo a mente non solo i rischi dell'intelligenza artificiale sul piano sostitutivo della forza lavoro, ma anche i rischi di contorno, che sono i cambiamenti dell'economia e un abbattimento della natalità, che porterà anche a un'enorme sofferenza dello stato sociale, su cui tutto l'impianto, anche dei diritti, si sostiene, immaginare la creazione di un impianto normativo che abbia come effetto quello di accompagnare i laureati o le persone formate al lavoro in un immediato ingresso nel mondo del lavoro, superando le eccessive giungle contrattuali che abbiamo oggi, anche con un apprendistato eccessivamente farraginoso.
  Dico questo perché ciò che conterà in futuro è la capacità delle persone di essere interscambiate fra attività lavorative nella loro vita con maggiore facilità. L'intelligenza artificiale, sottraendo compiti, obbliga alla fungibilità. Quindi, probabilmente in corso di vita le persone dovranno fare un salto da un posto di lavoro a un altro molto di più di quanto non siano oggi abituati a fare. Per questo c'è bisogno di formazione e strumenti contrattuali adeguati.
  Le politiche passive devono diventare molto più brevi e consentire di essere finalizzate allo scambio di esperienze lavorative, non al mantenimento dello status quo aziendale, perché il problema è che molte delle attività verranno spente in testa. Questo fa sì che nell'ordinamento italiano di derivazione comunitaria – mi riferisco alla legge n. 223 del 1991 sui licenziamenti collettivi –, spenta l'attività, c'è un nesso di causa diretta sullo spegnimento dell'attività lavorativa al di sotto, per cui vuol dire che il licenziamento cadrebbe come una mannaia verticale.
  Non possiamo impedirlo. La libertà di impresa è incomprimibile. Possiamo gestirlo, perché non è domani il momento del rischio. Io lo vedo molto più spostato nel tempo. Ma questa gestione richiede strumentazione, e la strumentazione è quella di agevolare il concambio, educare la popolazione lavorativa al cambio di mansioni, perché molto spesso sarà inevitabile. Ma educare anche le aziende al rispetto di un impianto di regole basato – questo sì che è uno spunto al legislatore – su una condivisione più forte in termini di responsabilità sociale, finalizzata a far sì che quando questi strumenti, anche da una capogruppo, venissero implementati siano condivisi e laddove da questi strumenti discenda una sottrazione di attività che può provocare dei licenziamenti attivino meccanismi di protezione che rendano questi processi più complicati, per difendere il nostro mercato del lavoro, che dal mio punto di vista non ha colore, ma un'entità dimensionale, che va protetta ed espansa.
  Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, avvocato.
  Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

  MAURO ANTONIO DONATO LAUS. Signor Presidente, ho ascoltato con particolare attenzione la competenza e il dettaglio di questa audizione e di questo contributo.
  Vorrei porre una domanda, che ho già avuto modo di porre in un altro contesto (forse non mi sono spiegato abbastanza e, quindi, in quella occasione, è stata male interpretata). Partiamo dal presupposto che lo Statuto dei lavoratori è un grande presidio. Ma ad oggi, con l'inserimento di questo segmento, di questa bolla oscura, come l'ha definita lei, nel momento in cui atterra – in parte è già atterrato – questo Pag. 7strumento tecnologico, non c'è il rischio che questo straordinario presidio dello Statuto dei lavoratori nel giro di poco tempo diventi anacronistico? In tal caso, ci sarebbe la necessità di intervenire, di attenzionarlo, di monitorarlo. Del resto, quando interviene questa forza «oscura», rispetto alle caratteristiche di tale forza non c'è sempre la consapevolezza del dettaglio, nemmeno da parte del datore di lavoro.
  Le chiedo, quindi: queste dinamiche oscure che si sviluppano potrebbero mettere in difficoltà questo nostro grande presidio democratico che è lo Statuto dei lavoratori?

  MARCELLO COPPO. Dell'intervento dell'avvocato Paone mi ha colpito un passaggio in particolare, precisamente quando ha affermato che bisogna superare tutta questa giungla normativa dei diversi rapporti di lavoro, perché bisogna concentrarsi sulla possibilità di interscambio delle mansioni dei lavoratori. Personalmente penso non si tratti tanto di una questione di presidio dello Statuto dei lavoratori – non me ne voglia il collega Laus – quanto della questione che, se io ho delle mansioni che fa qualcun altro, che in questo caso non sono persone, non sono lavoratori, ma un'intelligenza artificiale, bene o male il licenziamento viene effettuato esattamente per come viene definito e legittimato dallo Statuto dei lavoratori. In altri termini, io ho la cessazione della mansione, ho un diverso ciclo produttivo, per cui quello mi è permesso come motivo per il licenziamento, ed è un motivo per il licenziamento oggettivo.
  La mia domanda, dunque, è la seguente: quando lei afferma che bisogna uniformare e modificare il sistema normativo sotto questo aspetto, ha già qualche idea? Oppure, dobbiamo ragionare, invece, su un'altra ipotesi? Personalmente ritengo che si debba uscire dal concetto ottocentesco e novecentesco dell'orario-paga e puntare maggiormente sul concetto di valore del contributo alla produzione in base alle competenze e all'utilizzo di questo nuovo strumento, che rende fluido il tempo. Perché? Perché, bene o male, magari con questo strumento riesco in poco tempo a fare tante cose, ma senza quella professionalità, senza quella persona lì ce ne metterei tanto altro, anche con lo stesso strumento. Quindi, le chiedo se ha già una mezza idea, perché sarebbe interessante. Noi potremmo avere già le nostre, ma se abbiamo anche altre idee da valutare siamo aperti a qualsiasi contributo, visto che è una cosa sconosciuta.

  MAURO ANTONIO DONATO LAUS. La mia domanda non era finalizzata a capire come facciamo a tutelare una normativa, assolutamente no. Io concordo con l'impianto del ragionamento. Il tema è che il monitoraggio e la valutazione da parte del datore di lavoro sfuggono alla domanda: ma chi l'ha fatta? Quindi, si potrebbe innescare una serie di dinamiche difficilmente interpretabili in modo lineare. Era solo per puntualizzare.

  PRESIDENTE. Do la parola al nostro ospite per la replica.

  ALESSANDRO PAONE, avvocato giuslavorista. Grazie delle domande e degli interventi, entrambi pertinenti e molto interessanti.
  Parto dalla domanda dell'onorevole Laus. Ritengo che lo Statuto dei lavoratori sia un pilastro di norma che, a prescindere dalla sua qualificazione o attribuzione di una paternità e di colore politico, sia uno degli esempi di norme di maggiore successo nell'ordinamento recente. Sa per quale motivo? Perché è una norma semplice, scritta con un obiettivo, che al tempo era quello di essere intelligibile da parte dei lavoratori in fabbrica. Quindi, era scritta in maniera chiara e conteneva dei princìpi enunciati. La prima parte dello Statuto si basa sui princìpi del lavoro, a tutela del lavoro e per ricostituire la legittimità del rapporto tra datore e lavoratore. Fu un raggiungimento a valle di un'epoca di enormi conflitti, le cui dinamiche storiche conosciamo tutti. In queste stanze ci sono i discorsi della politica che accompagnò la produzione di quella norma, che sono di una meraviglia incredibile.
  Solo che sta diventando, ormai da tempo, un abito elegante per pochi, mi sento di Pag. 8dire, perché riguarda una parte dei lavoratori del panorama professionale italiano e non tutti. Ma indubbiamente lo Statuto dei lavoratori risente, per età, una certa vetustà rispetto al mondo, che sta cambiando. È quasi endemico. Il rischio è assumersi la responsabilità di mettere mano a un testo che è talmente dinamico, talmente disponibile all'interpretazione adattiva della giurisprudenza, quindi nativamente congegnato, un po' come la nostra Costituzione, per essere dinamicamente adattivo con il cambiare dei tempi, che poi una legge così bella non la riusciamo più a fare, perché richiede una convergenza di vedute, di idee, di volontà davvero impegnativa.
  Quindi, alla sua domanda rispondo: sì, ritengo che lo Statuto dei lavoratori abbia fatto il suo e sia ancora molto attuale. Ad oggi è un impianto ancora enormemente efficace. Temo – e lo dico con una certa malinconia – che, rispetto a un evento che impatta il mondo economico e, con esso, quello produttivo e per effetto quello dei rapporti lavorativi, che ne sono parte, ne sono l'anima, lo Statuto dei lavoratori verrà sminuito, svilito, perché è concepito ed è congegnato per regolamentare, per buona parte, un fenomeno in cui la prestazione lavorativa vede quella relazione diretta tra lavoratore e datore di lavoro. Non riesci, in quella norma, a intravedere quell'oscurità che la tecnologia fortemente avanzata porta con sé. Non da cancellarlo o superarlo, indubbiamente da sottoporlo a un'opera di refitting e di ammodernamento. Questo, sì, mi sento di dire.
  Credo che a breve arriverà il momento in cui bisognerà parlarne, per evitare un effetto distorsivo. Sa qual è? La libertà eccessiva della giurisprudenza. Non in chiave negativa, perché i giudici si assumono spesso delle enormi responsabilità, ma proprio in chiave di eccessivo gravame di responsabilità sulla magistratura, spesso chiamata ad anticipare dei provvedimenti normativi, rispetto ai quali, invece, il decisore politico dovrebbe intervenire.
  Vado alla seconda domanda che mi è stata posta, per la quale ringrazio. Quale potrebbe essere un'idea? Ci sto ragionando, come penso altri colleghi professionisti o accademici in Italia, per preparare uno strumento che sia una risposta al cambiamento che verrà. Dobbiamo immaginare anzitutto una produzione normativa che tenga già conto di quello che è l'effetto applicativo della tecnologia nei rapporti lavorativi, immaginando qual è il luogo nel quale, nel mondo produttivo, la tecnologia insisterà. Se, allora, noi riteniamo, per dato statistico, per verifica scientifica, per immaginazione piuttosto pragmatica, che colpirà i compiti, provocando come rebound la sottrazione di attività e licenziamenti, gli strumenti contrattuali debbono operare per gradi, anzitutto spingendo il più possibile l'ingresso nel mondo del lavoro di coloro i quali, a fronte dell'avvento di una tecnologia, potrebbero trovarsi un po' nel fenomeno cinese o coreano, che attualmente si sta verificando, ovvero l'over preparazione rispetto all'offerta materiale di posti di lavoro nel mercato, che genera una sorta di bolla nella quale i laureati o i diplomati eccessivamente specializzati, non trovando corrispondenza nelle professioni disponibili nel mercato, smettono di cercare lavoro.
  È una forma di costo che noi – credo – non ci possiamo permettere, anche a guardare i costi dei bilanci sociali del nostro principale ente, unico ente previdenziale e di quello che potrebbe arrivare nel futuro, da un lato immaginando l'aumento di vetustà della nostra popolazione lavorativa, che uscirà sempre più tardi per mancanza di professionalità all'ingresso.
  Bisogna, allora, spingere i lavoratori mediante l'unione tra il percorso formativo e il percorso dell'attività lavorativa. Considerate che è inutile iper-formare le persone quando buona parte di quell'attività, poi, sarà assorbita da una componente tecnologica. La formazione va fatta nella collaborazione tra il lavoratore e lo stesso strumento tecnologico, è questo il lavoro del futuro, di modo che l'accompagnamento avvenga fin dal processo formativo. Bisogna mettere mano al meccanismo di formazione universitaria e al rapporto tra scuola e lavoro.Pag. 9
  Dopodiché, lo strumento contrattuale nella stessa genesi deve comportare il cambio dei posti di lavoro. Dobbiamo immaginare una libertà di mutamento di mansioni, anche da un'azienda all'altra, in processi di crisi, che preveda non una cassa integrazione, ma un unico strumento di cassa on the job, con formazione incorporata e integrata, per fare in modo che un lavoratore entri in un processo guidato, che lo porti direttamente in una mansione disponibile, laddove un dipendente subisca un licenziamento a fronte del quale tecnicamente è impossibile dire di no, se non opporre un no, come spesso accade, soprattutto a opera sindacale. Non che non sia giusto, non che non sia ragionevole, ma davanti a un cambiamento così immenso è come gridare «no» alle maree, il fenomeno della vita: la marea sale e scende, tu puoi urlare, ma accade comunque.
  Si stanno sciogliendo i vincoli, anche territoriali. Noi non possiamo sapere – chiudo con questo warning – dove il lavoro sarà disponibile. Ma non nel territorio italiano. In un panorama di scacchiere molto più grande. Se il lavoro in Italia ha un costo troppo alto e anche un costo di gestione troppo elevato, perché è farraginoso, incancrenito, molte attività verranno semplicemente svolte all'esterno, in altri Paesi, e questo comporterà in automatico lo spegnimento dell'attività in Italia. Abbiamo un impianto normativo sulle delocalizzazioni che ha una ratio, anche condivisibile, di difesa del nostro territorio, ma è tecnicamente impraticabile nello stato attuale delle cose. La normativa non consente un esito di successo di un cambiamento di azienda. Immaginate cosa vuol dire l'avvento di una tecnologia evolutiva che spegne a monte tutte le attività. È un gigante che non possiamo combattere con gli strumenti che abbiamo.
  Quindi, le idee ci sono. Vanno maggiormente declinate, perché bisogna capire quanto si può intervenire nell'assetto delle regole attuali. Probabilmente, con queste idee, il diritto del lavoro va un pelino modificato – un po' tanto – sulle politiche attive e le politiche passive. Però bisogna farlo guardando molto più avanti dell'immediato.

  PRESIDENTE. Ringraziamo l'avvocato Paone per il prezioso contributo. Vedo il collega Laus molto soddisfatto.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di Dino Pedreschi, professore ordinario di informatica presso l'Università di Pisa.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul rapporto tra intelligenza artificiale e mondo del lavoro, con particolare riferimento agli impatti che l'intelligenza artificiale generativa può avere sul mercato del lavoro, l'audizione di Dino Pedreschi, professore ordinario di informatica presso l'Università di Pisa.
  Ricordo che l'audizione odierna sarà svolta consentendo la partecipazione da remoto, in videoconferenza, di deputati e di auditi, secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il regolamento.
  Ringrazio il professor Pedreschi per la disponibilità e gli cedo immediatamente la parola.

  DINO PEDRESCHI, professore ordinario di informatica presso l'Università di Pisa (Intervento da remoto). Signor presidente, grazie. Sono professore di informatica dell'Università di Pisa e sono un ricercatore nell'ambito della cosiddetta «Human-centered AI», cioè l'intelligenza artificiale a misura di persona, che ha come obiettivo il potenziamento delle capacità delle persone, dei lavoratori nel fronteggiare compiti difficili. Sono direttore del progetto del partenariato PNRR su questi temi, sul futuro della ricerca in materia di intelligenza artificiale.
  Oggi vorrei brevemente raccontare della mia esperienza come delegato italiano nella Global Partnership on Artificial Intelligence, che è un'organizzazione internazionale scaturita dall'OCSE, fondamentalmente, che raggruppa trenta Paesi democratici a livello globale, per ragionare dell'impatto dell'intelligenza artificiale sulla società e sull'adozionePag. 10 responsabile di queste tecnologie, in particolare anche con un gruppo di lavoro che ha studiato il futuro del lavoro nell'ambito delle trasformazioni legate all'intelligenza artificiale.
  Vorrei brevemente riportare alcuni elementi di questa discussione, visto che questa Global Partnership on Artificial Intelligence nasce proprio con l'obiettivo di portare contributi e raccomandazioni alla politica, ai Governi su azioni collegate. Vado dritto sul tema per dire che, ovviamente, il potenziale trasformativo delle tecnologie di AI generativa, i grandi modelli linguistici, il loro impatto sul lavoro rappresentano un soggetto di grandissima rilevanza perché, a differenza dell'AI che abbiamo conosciuto fino a pochi anni fa, che focalizzava sull'automazione di compiti molto ben definiti, specifici, i modelli generativi hanno la versatilità, la grande possibilità di essere utilizzati andando ad impattare i lavori che stanno praticamente in ogni ambito industriale, economico e sociale, anche impattando su diversi livelli di competenze dei lavoratori.
  Questo tipo di tecnologie, anche se oggi sono largamente immature per la scarsa affidabilità che ancora hanno e la presenza di errori, bias, eccetera, anche se è probabilmente prematuro pensare che l'impatto, specialmente in lavori di alto livello sarà rapidissimo, però certamente hanno un potenziale a breve termine o medio di impattare in modo molto più forte e molto più dirompente delle ondate precedenti di AI.
  Nonostante questo, però, misteriosamente, la discussione a livello di policy globale sui temi dell'impatto dell'AI generativa sul lavoro è ancora abbastanza modesta. Quindi, apprezzo molto il lavoro che questa Commissione svolge nel porre questo tema nelle agende politiche.
  Se guardiamo all'agenda dell'Hiroshima AI Process del G7, lanciato dalla presidenza giapponese e ora passato a quella italiana, che si occupa di aspetti legati agli impatti dell'AI, c'è una rimarchevole assenza di discussione sui temi dell'impatto sul lavoro, così come si nota anche nella dichiarazione del G20 di Nuova Delhi. C'è proprio un'omissione da questo punto di vista.
  È veramente importante, invece, che questo tipo di discussione venga fatta anche in questa fase in cui è difficile, ovviamente, ragionare sugli impatti, misurarli, prevederli con accuratezza, a fronte di una tecnologia che sta ancora largamente maturando, anche se la sua diffusione è molto ampia.
  Le capacità che hanno queste tecnologie di creare contenuti, risolvere problemi complessi, mimare in modo realistico la capacità umana di scrivere testi o altri contenuti porta un insieme diverso di sfide e anche di opportunità che vanno un po' oltre la nozione classica di automazione.
  Il dibattito è veramente – lo dico in inglese – fra automation e augmentation, automazione e quindi rimpiazzamento di certi compiti dei lavoratori da un lato o amplificazione, potenziamento delle capacità del lavoratore per migliorare la capacità di raggiungere obiettivi sia in qualità che in quantità.
  Inoltre, c'è una terza categoria, che sta emergendo, di lavori che non rientrano in modo molto preciso in queste due categorie. Non si sa ancora bene, non è ancora largamente chiaro se potranno essere maggiormente automatizzati o invece aumentati o amplificati, nel senso che dicevamo.
  Questa categoria, molto ampia, secondo gli studi che conosciamo fino a questo momento, è un territorio non esplorato ancora. Quindi, è una sfida, ma anche una grande opportunità per la politica. Focalizzandosi su quest'area ancora parzialmente sconosciuta, che può essere o automatizzata o aumentata, la politica può avere anche un ruolo di guida nello sviluppo della tecnologia e del suo uso, in un modo che possa massimizzare i benefici per i lavoratori, per l'economia e per la società nel suo complesso.
  Non ho il tempo di riportare molti dati, ma dico semplicemente che tutti i principali studi più recenti da parte di Forrester negli Stati Uniti, del World Economic Forum, del Boston Consulting Group e dell'International Labour Organisation delle Nazioni Unite a Ginevra, danno stime leggermente diverse, ma concordano nel dire che l'AI generativa andrà a influenzare Pag. 11molti più lavori di quanti ne rimpiazzerà, di quanti ne renderà obsoleti. Si parla di una stima che va da quattro e mezzo fino a sei volte in più lavori che verranno impattati, influenzati, aumentati rispetto a quelli che verranno cancellati.
  È interessante notare come, ad esempio, sulla base di studi che riguardano l'uso dei modelli linguistici complessi come GPT4, il modello dietro ChatGPT, i lavori knowledge intensive di alto livello hanno in qualche modo un tipo di impatto che è molto variabile, perché l'AI può essere eccellente in alcuni aspetti di supporto e in altri può essere invece piuttosto debole. Ci sono due tipi di integrazione fra persone e AI, che stanno emergendo; vengono chiamati centauri quelli che riescono a dividere abbastanza bene essi stessi e l'AI in un rapporto sinergico ed altri che vengono chiamati cyborg, che diventano, invece, assolutamente integrati, ovvero riescono ad integrare complessivamente il loro flusso di lavoro nelle tecnologie di AI.
  Rimane forte questo aspetto di incertezza, in molti tipi di lavoro, di quanto sarà la componente automazione e quanto sarà la componente amplificazione. Si vedono certamente tendenze che, almeno per ora, con applicazioni ad alto rischio in ambito giuridico o in ambito medico, difficilmente saranno impattate in modo profondo rapidamente. Ciò è dovuto al fatto che c'è una limitata affidabilità degli strumenti dell'AI generativa per fare previsioni, per supportare decisioni difficili. C'è di fatto una grande incertezza.
  Una analisi recente dell'International Labour Organization delle Nazioni Unite fa vedere come, in realtà, la maggior parte dei lavori saranno aumentati piuttosto che automatizzati e concentra il rischio di automazione, quindi di rimpiazzamento maggiore dei lavoratori, nel lavoro impiegatizio, nel lavoro di supporto nell'amministrazione.
  Peraltro, è un aspetto importante, da tenere in considerazione, perché è una massa di lavoratori molto importante nei Paesi sviluppati, ad alto reddito, con una prevalenza femminile. Quindi, è presumibile che, secondo questo tipo di tendenze, possa esserci un maggiore impatto nei Paesi a maggiore sviluppo e in particolare per le donne. Questo fa capire l'importanza di avere un approccio proattivo al problema perché, come dicevo prima, il rapporto della GPAI chiama questa fascia di lavori incerti «the big unknown», il grande sconosciuto. Certamente c'è una grande quantità di lavoratori, che prevalentemente include professionisti e tecnici a vari livelli, che ha una maggiore incertezza rispetto al fatto se questi lavori saranno prevalentemente rimpiazzati o saranno prevalentemente potenziati. Chiaramente è auspicabile la seconda possibilità, il potenziamento e la condivisione di risorse che vengono da questa rivoluzione. Ma questo non succederà per caso, succederà se ci sarà una forte spinta da parte della politica verso questo aspetto.
  Il primo step essenziale per la politica è identificare i settori demografici di lavoratori che sono in questa categoria per capire come poterli aiutare, perché data la natura incerta di questi ruoli questi lavoratori sono particolarmente a rischio di un outcome negativo se c'è un passaggio all'intelligenza artificiale fortemente sbilanciato verso l'automazione. Da questo punto di vista una politica proattiva può, invece, assicurare una distribuzione molto più equa dei benefìci dell'intelligenza artificiale potenziando questi lavoratori, invece che eliminandoli.
  Concludo con una breve serie di raccomandazioni che emergono da questa discussione. C'è un documento che chiaramente potrò fornire alla Commissione, se è di interesse, che riassume i punti della discussione che ho portato oggi, che in qualche modo mette in evidenza alcune linee di azione che possono aiutare i Governi, i legislatori, i partner sociali e i sindacati a minimizzare gli aspetti negativi e spingere le opportunità verso la crescita della produttività e il lavoro dignitoso, nonché lo sviluppo di tecnologie di intelligenza artificiale – che è la ricerca che facciamo in Europa, e non solo, compreso il nostro gruppo – che, essendo umanocentriche, tendano a privilegiare l'aspetto del potenziamento della persona.Pag. 12
  Vi illustro brevemente queste linee di azione che potrebbero essere importanti. La prima è incentivare gli investimenti per il potenziamento dei lavoratori, quindi spingere verso l'incentivazione, sia a livello normativo che di altri strumenti, di tecnologie e usi della tecnologia dell'intelligenza artificiale generativa per potenziare i lavoratori, esplorando, ad esempio, incentivi fiscali per chi investe nell'amplificazione, supportare l'adozione nelle piccole imprese, prevedere grant per le imprese per la riqualificazione dei lavoratori.
  La seconda linea di azione è creare un burden anche nazionale di advisory su come sta procedendo l'adozione nel mondo del lavoro dell'intelligenza artificiale, al fine di aumentare la trasparenza sul processo e, quindi, poter avere un dibattito con tutti gli stakeholder interessati a mano a mano che questa innovazione va avanti.
  La terza linea di azione, che ritengo molto importante, è finanziare la ricerca per mitigare l'impatto dell'AI sul lavoro in generale o, anzi, spingere, come dicevamo, verso forme di potenziamento dei lavoratori anche attraverso la ricerca e l'innovazione.
  La quarta linea di azione è sviluppare programmi di retraining e formazione continua per i lavoratori. Sarà fondamentale accelerare da questo punto di vista, assistendo gli impiegati a riqualificarsi nell'ambito della collaborazione fra persone e intelligenza artificiale.
  La quinta linea di azione è investire nell'accesso all'educazione superiore, all'educazione universitaria. Questo è fondamentale per poter, in prospettiva, avere un tasso maggiore di lavoratori e lavoratrici che possano avere gli strumenti per continuamente aggiornarsi, resistere e non diventare obsoleti rispetto all'innovazione.
  La sesta linea di azione è monitorare l'impatto dell'AI generativa. È importante, a mio modo dare compiti, specialmente alle grandi aziende, monitorare al loro interno e riportare, come sta succedendo sugli effetti dell'integrazione delle AI generative, nella loro organizzazione.
  La settima linea di azione è raggiungere la consapevolezza del pubblico. Occorre educare la pubblica opinione su questo importante dibattito, avere consapevolezza ed evitare radicalizzazioni e paure.
  L'ottava, e ultima, linea di azione è promuovere lo sviluppo di benchmark, di buone pratiche standard di riferimento per l'adozione di forme di intelligenza artificiale e di lavoro giusto e dignitoso nell'ambito di tutti i contesti in cui l'intelligenza artificiale ha un ruolo importante, in modo particolare per i lavoratori delle piattaforme che possono essere particolarmente a rischio di automazione e perdita di capacità.
  Questo è il discorso complessivo che vi volevo fare. Sono assolutamente a disposizione per domande e chiarimenti.

  PRESIDENTE. Grazie. È stato esaustivo. La ringraziamo per il suo prezioso contributo.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
WALTER RIZZETTO

Audizione di rappresentanti di Ice Cubes.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul rapporto tra intelligenza artificiale e mondo del lavoro, con particolare riferimento agli impatti che l'intelligenza artificiale generativa può avere sul mercato del lavoro, l'audizione di rappresentanti di Ice Cubes.
  Ricordo che l'audizione odierna sarà svolta consentendo la partecipazione da remoto, in videoconferenza, dei deputati secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il regolamento.
  Sono presenti il dottor Mazzolotti, amministratore delegato di Ice Cubes S.r.l., e il dottor Filippo Cipriano, amministratore delegato di Bad Idea S.p.A.
  Ringrazio i nostri ospiti e cedo immediatamente la parola al dottor Mazzolotti.

  ALESSIO MAZZOLOTTI, amministratore delegato di Ice Cubes. Signor presidente, facendo seguito a chi mi ha preceduto nelle audizioni, mi concentrerei sulla condivisione della nostra esperienza professionale,Pag. 13 raccontandovi l'ambito nel quale ci muoviamo e quale ruolo riveste l'intelligenza artificiale all'interno del nostro quotidiano imprenditoriale e professionale.
  Ice Cubes fa parte di un gruppo industriale, Bad Idea, governato dal dottor Cipriano, qui accanto a me, ed è un polo che si occupa di intrattenimento in varie forme, nello sviluppo di contenuti in molti ambiti. La società che amministro io, Ice Cubes, si occupa specificamente della realizzazione di contenuti interattivi, soprattutto nell'ambito della simulazione e della formazione del personale in ambito medico, paramedico e in altri ambiti industriali specifici.
  Ci occupiamo dello sviluppo di contenuti per la facilitazione all'accesso di contenuti culturali. Per esempio, produciamo supporti all'inclusività per spazi museali, per esperienze artistiche di vario tipo. Lì in mezzo, poi, c'è tutta una componente – molto importante per noi – legata alle cosiddette «extended reality», cioè tutto ciò che sta tra la realtà aumentata, la realtà mista, la realtà virtuale, sino ad arrivare al Metaverso, oggi un po' meno vituperato di ieri, di quanto mediaticamente non sia stato fatto nei mesi scorsi, in virtù, adesso, di una ripresa di interesse in funzione, per esempio, dell'uscita del noto visore Apple.
  L'intelligenza artificiale in questo ambito per noi è innanzitutto uno strumento, un attrezzo, un cacciavite, nei confronti del quale abbiamo un approccio assolutamente laico. Non siamo né dei tecno-entusiasti né viviamo derive neo-luddiste vedendo in esso un rischio di sottrazione di opportunità professionali. Quello che vediamo quotidianamente nel nostro lavoro è che la cosiddetta «intelligenza artificiale generativa», di cui chi mi ha preceduto ha parlato diffusamente, esprime sicuramente una capacità oggettiva di produrre contenuti originali, in qualche modo, partendo da dei dataset. Ci sarebbe da affrontare tutto il tema sul training di queste intelligenze artificiali, perché, come un bambino, ci ridanno quello che abbiamo insegnato loro precedentemente.
  Contemporaneamente, noi dissentiamo sul fatto che siano in grado di esprimere, almeno ad oggi, una reale e compiuta capacità creativa, per quello che nel nostro ambito professionale è una capacità creativa, ovvero una capacità senior. L'intelligenza artificiale generativa, ad oggi, è in grado di assolvere a molti task, anche in ambito proto-creativo o pseudo-creativo, ma in ambito junior. È comunque richiesta una supervisione dell'umano esperto che vada a controllare come essa ha fatto i compiti. Questo diventa relativamente facile in attività come quelle di produrre riassunti di grandi masse documentali, attività che noi svolgiamo molto spesso. Magari abbiamo documenti scientifici che devono essere trasformati in sintesi per profili di utenti diversi. Immaginiamo, ad esempio, della documentazione archeologica di un museo, che deve essere trasformata in qualcosa che possa renderla accessibile a un bambino di otto anni. L'intelligenza artificiale ci aiuta nel fare un ottimo lavoro di sintesi, ma questa sintesi va, poi, sempre elaborata dall'umano.
  Molto più difficile, quindi anche potenzialmente molto più critico, è quando l'intelligenza artificiale noi la utilizziamo, per esempio, per lo sviluppo di codice, software. Quando noi dobbiamo mettere le mani in migliaia di righe di codice, che non abbiamo scritto noi, se non sappiamo dove sta l'errore, scovarlo diventa molto spesso molto più oneroso che rifare da zero quel lavoro. Questo perché? Come già è stato detto, l'evoluzione è stata esponenziale. Noi siamo stati arruolati da OpenAI come start up che ha testato la beta chiusa di OpenAI molto prima che esistesse. Parliamo di un'epoca pre-pandemica. Abbiamo fatto dei test sui sistemi di OpenAI e ci siamo resi conto di una aspetto, per esempio, sull'analogia, concetto che normalmente i mezzi informatici difficilmente riescono a esprimere e a comprendere. Cosa intendiamo, banalmente, per «analogia»? Considerare un fatto, porlo all'interno di un contesto e chiedere a una macchina di capire cosa potrebbe essere qualcos'altro che riveste un ruolo analogo in un altro contesto. Questo implica una comprensione profonda del ground n. 1, del ground n. 2 e del ruolo che il soggetto «A» vive con il ground n. 1 e che il soggetto che vogliamo chiedergli di Pag. 14rappresentare debba vivere nel ground n. 2. Siamo rimasti assolutamente sorpresi nel vedere la capacità di intuire – usiamo un termine che non appartiene al mondo informatico – questi concetti, ma mai ci saremmo aspettati che nei due anni e mezzo successivi saremmo arrivati alle performance che vediamo espresse oggi.
  Contemporaneamente, però, lo ribadiamo, oggi tutto quello che noi vediamo è, comunque, compatibile con un contesto di juniority professionale e non di seniority, in ambito creativo. Premetto che tutte le aziende del gruppo si occupano di sviluppo di contenuti per l'intrattenimento. Non si tratta semplicemente di scrivere la letterina dell'assicurazione che ti deve ricordare che devi pagare il premio assicurativo a fine mese.
  Vorrei anche rammentare, però, che strumenti di content automation non sono nati con ChatGPT o con OpenAI. Esistono da moltissimi anni. Secondo me, un'attività importante a livello informativo che andrebbe fatta attualmente è anche un'attività di disinnesco di determinate aspettative o concezioni errate nei confronti di che cosa oggi – non dico domani – l'intelligenza artificiale sia in grado di fare, proprio per permetterci di valutare in maniera più oggettiva ed equilibrata le potenzialità che essa oggettivamente esprime e anche tutto il mondo dei rischi, dei pericoli che essa oggettivamente ci mette dinanzi, come una qualsiasi evoluzione tecnologica. Il Red Light Act bloccò il transito delle prime automobili a scoppio a Londra, permettendo ai cavallanti disoccupati di andare in giro con una lampada rossa. Ancora oggi i semafori hanno il rosso per lo stop come eredità di quella memoria.
  Quello che è certo è che non possiamo pensare di fermare una piena con le mani. Dall'altra parte, quello che possiamo fare è cercare di interpretare un fenomeno, di utilizzarlo. Noi vediamo veramente delle opportunità esaltanti, per esempio, nell'ambito dell'accessibilità a livello cognitivo e sensoriale. Noi, oggi come oggi, riusciamo a sviluppare contenuti in grado automaticamente di profilarsi sulla base delle istanze del singolo soggetto. La bellezza dell'intelligenza artificiale generativa di oggi è la capacità di ascolto, quindi di adattamento dei contenuti, ovviamente se approntata per svolgere un'attività di questo tipo, per rispondere in maniera puntuale alle esigenze del singolo soggetto. Potremmo dire che ha una capacità di ascolto, una capacità di vivere.
  Chi mi ha preceduto parlava di intelligenza artificiale umanocentrica. Io aggiungerei l'elemento di Human-Centered Design, cioè la capacità di tenere l'uomo al centro e di utilizzare la tecnologia per facilitare la vita dei vari profili utenti che l'umanità, nella sua variabilità, esprime.
  Esistono, poi, attività che l'intelligenza artificiale oggi rende possibili e che fino a ieri non lo erano. Vi faccio un esempio. Una delle nostre attività, come vi anticipavo, è lo sviluppo di contenuti immersivi per le realtà miste e nel Metaverso. Noi, oggi, attraverso dei sistemi di reti neurali, quindi di intelligenza artificiale, che si chiamano «NeRF», siamo in grado di partire da video o da immagini statiche, quindi da fotografie o filmati bidimensionali di tipo tradizionale, e ricostruire degli ambienti tridimensionali immersivi.
  Siamo in grado di recuperare la memoria del passato, per esempio, di architetture che non esistono, partendo semplicemente da immagini di repertorio. Questo offre delle enormi potenzialità, per esempio, nell'ambito della didattica, della storicizzazione anche di determinate fasi evolutive del nostro patrimonio artistico, culturale, paesaggistico e quant'altro.
  Quindi, è un attrezzo che ci permette di rispondere meglio alle esigenze dei nostri clienti, sicuramente dei nostri utenti, è un attrezzo che ci permette di fare cose che erano impensabili, è un attrezzo che ci permette più velocemente, non sempre meglio, di svolgere attività che prima venivano esperite con altre modalità.
  Nell'atto di convocazione che ci avete trasmesso, nel programma dell'indagine, abbiamo letto un dato sul quale abbiamo aperto un dibattito internamente. Mi riferisco a questo forecast che prevederebbe che il 9 per cento di una serie di lavori verrebbero fagocitati dall'AI in tempi drammaticamentePag. 15 brevi; in maniera un po' provocatoria, ci verrebbe da dire che queste attività già oggi, se possono essere sostituite, sono attività subumane.
  A nostro avviso, quindi, il focus andrebbe spostato altrove. Andrebbe focalizzato sull'upskilling o il reskilling delle risorse umane, non tanto sul frenare la forza dirompente di uno strumento che fatalmente travolgerà queste masse di lavoratori.
  Abbiamo visto che ci sarà Manpower dopo di noi. Per esempio, Manpower sta facendo un grande lavoro – abbiamo anche condiviso alcuni punti di vista con loro – su come utilizzare l'intelligenza artificiale come strumento per la formazione del personale. Tutto il mondo dell'industria 4.0 ha, nell'intelligenza artificiale come strumento di formazione, un asset importantissimo per accelerare e migliorare la performance dei contenuti di formazione.
  Come diceva Stewart Brand, il grande filosofo ponte fra il mondo della controcultura hippie e l'innovazione di Silicon Valley, non possiamo cambiare direttamente il modo di pensare delle persone, però, se diamo alle persone degli strumenti diversi con cui fare le cose che già facevano, il loro modo di pensare evolve.
  Per usare una metafora ingegneristica, esiste un momento elastico nella mente umana in cui ci adattiamo a fare delle cose per poi ritornare ad essere quelli che eravamo prima, ma se noi perduriamo nel fare le cose in modo nuovo subentra il momento plastico, cioè la nostra mente si modifica. Questo è, dal nostro punto di vista, quello su cui dovremmo porci degli interrogativi a livello universitario soprattutto, a livello di ricerca – sono due mondi molto diversi che molto spesso tendono a confondere, a nostro avviso, i loro ruoli – e poi soprattutto nel mondo della formazione, anche a livello molto basso. Partiamo dalle scuole primarie. La capacità di creare nuove modalità di interagire con la macchina, lo special computing nei prossimi due anni diventerà una realtà. Siamo partiti da computer in cui si scrivevano linee di comando su schermi neri con i caratteri verdi. Siamo passati all'interfaccia grafica, ai mouse, alla metafora della realtà. Tra un po' la nostra realtà sarà compenetrata di contenuti digitali. Questo lo potremo fare solo attraverso l'intelligenza artificiale. Questo renderà l'interazione fra uomo e macchina molto più trasparente, molto più assimilabile. Come diceva Neil Gershenfeld del MIT di Boston, «la tecnologia è matura quando è invisibile, quando non mi accorgo di utilizzarla». L'intelligenza artificiale è uno strumento per tutto questo. Però – altrimenti farei il tecno entusiasta che ho dichiarato di non essere – esprime una serie di criticità e di potenziali pericoli che vanno gestiti con la formazione e l'informazione, quindi, non essendo preda, come dicevo, né di terrore o panico neoluddista, da un lato, né da entusiasmi acritici.
  Sedendomi davanti a un legislatore, abbiamo un altro problema che dobbiamo affrontare, molto più di ampio respiro, che è quello dei dataset. Attualmente ci sono soltanto le grandi corporation e non abbiamo una capacità muscolare come Stato sovrano per tenere botta rispetto alla loro capacità. L'unico modo di avere un'intelligenza artificiale generativa efficace è che sia alimentata con quantità imponenti di dati. Questi dati, però, non li abbiamo noi e quindi bisogna mettere dei paletti, bisogna imporre che almeno questi dati siano condivisi e non rischiare, invece, di fare esattamente il contrario, cioè di vendere l'isola di Manhattan per una cassa di whisky. Per ora lo abbiamo fatto spesso in questi ambiti.
  Io avrei concluso.

  PRESIDENTE. Grazie. È stato molto chiaro.
  In realtà, le avrei chiesto qualcosa rispetto ai dataset. Mi ha risposto abbondantemente sul tema. Sono d'accordo con lei quando dice che noi dobbiamo comunque interpretare questo tipo di passaggio, molto importante, dobbiamo interpretare questo attrezzo, come giustamente lei ha ricordato, in termini di opportunità. Sono assolutamente d'accordo. A un certo punto lei ha ricordato che, in ogni caso, il dato o perlomeno quanto emerge va comunque elaborato dall'uomo.Pag. 16
  Formulo la prima domanda. Arriveremo al punto in cui questo percorso non dovrà più essere elaborato, ma sarà affinato? Faccio anche il paio con una recente intervista da parte di un personaggio molto importante sotto questo punto di vista, che è stato l'inventore di un famoso social network. Lo ha ricordato e ha cercato di spiegarlo meglio anche il professor Quintarelli in un'intervista su Huffington Post circa due settimane fa. Arriveremo all'intelligenza artificiale generale? Io ritengo di sì. Ritengo possano esserci delle possibilità incredibilmente virtuose e ampie utilizzando bene, attraverso la formazione, questo tipo di attrezzo. Io ne sono convinto, come anche ha cercato di sintetizzare Susskind in un libro che si chiama Il futuro delle professioni. Già nel titolo si pongono dei dubbi. Ci sono delle professioni che probabilmente verranno più attaccate, non dico sconfitte, rispetto ad altre. Noi cerchiamo di interpretare il fenomeno.
  La seconda domanda attiene all'interpretazione del fenomeno. Se noi oggi ci dichiarassimo soddisfatti rispetto alla nostra interpretazione del fenomeno, quanto durerebbe questa nostra soddisfazione rispetto all'interpretazione? Correremmo il rischio fra due mesi di essere già obsoleti in termini di soddisfazione?

  ALESSIO MAZZOLOTTI, amministratore delegato di Ice Cubes. Se mi consentite, parto dalla seconda domanda, perché il tema dell'inseguimento che la norma fisiologicamente fa nei confronti di un fenomeno, per di più un fenomeno come questo, che è un fenomeno emergente, esiste.
  Due anni e mezzo fa noi non avremmo mai immaginato che il campo latente, così si chiama, espresso da OpenAI, arrivasse a creare i presupposti, con ChatGPT, di arrivare a questo livello. Lo stesso fondatore Altman ha detto che ci aspettavamo un orizzonte di cinque-otto anni in tal senso. Studiavamo qualcosa che pensavamo sarebbe appartenuta al nostro futuro, non al nostro immediato futuro o al nostro presente. Quindi, il tema della rincorsa è, purtroppo, fisiologico. Però, possiamo, secondo me, aggredire il tema da un punto di vista più sostanziale ed epistemologico. Se noi prendiamo per dato il fatto che se apriamo il cofano di una AI, quella di oggi o quella generale un domani, non siamo in grado di capire che cosa sia il carburatore, che cosa sia lo spinterogeno, perché nessuno è in grado di farlo, possiamo fare semplicemente una cosa, possiamo prendere un assunto. Lei citava Susskind, io cito invece Skinner. Assumiamo che sia un black box, noi possiamo soltanto concentrarci sull'input e l'output. È per questo che io insistevo sul tema dei dataset. Quello che noi possiamo fare è dire che quello che succede qui dentro non lo possiamo governare. È importante continuare a cercare di capirlo, ma saremo sempre soccombenti, perché quello che vediamo non è quello che sta succedendo nei laboratori, quello che vediamo è successo nei laboratori. Già questo ci pone un problema.
  Contemporaneamente, questo tipo di iniziativa è fisiologicamente legata all'iniziativa imprenditoriale privata, quindi dobbiamo comunque trattare e negoziare con questo tipo di realtà. A volte magari anche subire. Tuttavia, dal mio punto di vista se già assumessimo la natura di black box e acquisissimo consapevolezza di quali sono i rubinetti di cui possediamo le chiavi, potremmo anche esprimere delle leve, che possono tradursi in moral suasion e tanto altro su determinati grandi player.
  Altro esempio, anche se non è il tema di questa Commissione, è il tema del copyright, del diritto d'autore come rilevanza sull'intelligenza artificiale. Già il fatto stesso che noi siamo un Paese che vive in un regime di civil law e non di common law fa sì che per il legislatore italiano è difficile approcciarsi con aziende che, invece, lavorano sul copyright, sul diritto di copia, che è espressione, invece, di un regime di common law, perché la pratica è soltanto di tradizione economica. Noi abbiamo il testo unico sul diritto d'autore, che risale al 1939, se non sbaglio, che parla, invece, della qualifica morale del ruolo di autore come creatore.
  Noi, allora, ci poniamo un'altra questione, e qui arrivo alla sua seconda domanda. L'intelligenza artificiale generale potrà esprimere la natura di singolarità per Pag. 17usare le categorie logiche del transumanesimo? Quindi, potrà diventare un soggetto di diritto per la creazione di qualcosa? Questo è un altro punto alquanto sfidante e affascinante. Senza voler in questa sede prendere una deriva transumanistica, questi sono temi assolutamente attuali.
  Che cosa credo succederà sull'intelligenza artificiale? Credo che arriveremo a qualcosa che sicuramente i giornalisti etichetteranno come intelligenza artificiale generale, esattamente come oggi definiamo generativo, come vi dicevo poc'anzi, qualcosa che è in grado di realizzare costrutti logici di senso compiuto, ma che sono plausibili, come tali plausibilmente veri o plausibilmente falsi.
  L'intelligenza artificiale oggi non è educata a pagare il costo degli errori, come invece è educato un qualsiasi bambino che sia stato sgridato da un genitore. I primi test che abbiamo fatto con OpenAI – vi racconto un aneddoto –, visto che ci siamo resi conto che questa era una mente bambina, sono stati quelli di dare in pasto all'intelligenza artificiale gli Esercizi di fantasia di Gianni Rodari. Abbiamo visto quali tipi di feedback produceva e abbiamo visto un percorso di apprendimento assimilabile a quello di un bambino. Però, un bambino prima o poi sbaglia e in un modo più o meno veemente gli dobbiamo spiegare qual è anche la conseguenza del suo errore. Invece, le attuali intelligenze artificiali generative, per una logica anche di marketing, perché non a caso le aziende devono vendere queste cose, sono più portate a dare comunque una risposta, per non farsi scovare di non sapere qualcosa, piuttosto che dire «non lo so, aspetta, mi informo e ti faccio sapere».
  Vi porto altri esempi di attività che abbiamo svolto. Subito dopo la pandemia, il dataset su cui era trainato OpenAI aveva svolto l'ultimo training alla fine del 2019, quando ancora non si sapeva quasi nulla del Covid. A qualsiasi domanda o a qualsiasi suggerimento sulla pandemia le risposte erano assolutamente randomiche e pericolose, se uno avesse voluto vedere in quello strumento un oracolo. Paradossalmente vi posso dire che dare in pasto a un'intelligenza artificiale protocolli di prima e seconda linea di trattamento oncologico crea il super-oncologo. Lo abbiamo visto. Lo stiamo già vedendo. È ovvio che la gestione di volume di dati enormi è qualcosa che muscolarmente l'intelligenza artificiale sa fare molto meglio anche di Pico della Mirandola.
  Tornando alla domanda, avremo qualcosa che verrà definito come intelligenza artificiale generale? Sì. Che sia una singolarità non lo credo. In questo sono particolarmente d'accordo con la posizione, spesso criticata, di Federico Faggin, l'inventore del microchip e della tecnologia touch, secondo cui l'umano esprime un ineffabile – badate, lo dice chi con quegli uno e quegli zero ha costruito il nostro attuale presente – che non è trasformabile in un algoritmo.
  Lo spazio a «n» dimensioni – qui dovremmo disturbare Gödel, Heisenberg e via elencando – fa sempre sì che ci sia qualcosa che non sappiamo dove sia o come funzioni. Ebbene, l'uomo ha la capacità di convivere con questa realtà e addirittura di costruirci un pensiero su questa inconsapevolezza, mentre la macchina è in grado di creare qualcosa che assomiglia a quel pensiero. Questa è la mia sensazione. Poi, io sono un sociologo della comunicazione e, nonostante mi rapporti con tecnici di altissimo livello, non sono un data scientist, però questa è la mia sensazione. Chiaramente mi assumo tutta la responsabilità della mia personale risposta.

  PRESIDENTE. Grazie. Avverto che gli auditi hanno messo a disposizione della Commissione una documentazione, di cui autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 1).
  Ringrazio ancora una volta i nostri ospiti per il prezioso contributo fornito e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di Google Italia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul rapportoPag. 18 tra intelligenza artificiale e mondo del lavoro, con particolare riferimento agli impatti che l'intelligenza artificiale generativa può avere sul mercato del lavoro, l'audizione di rappresentanti di Google Italia.
  L'audizione viene svolta consentendo la partecipazione da remoto dei deputati.
  È presente, per Google Italia, il dottor Diego Ciulli, capo degli affari istituzionali e regolamentari, che ringrazio per la disponibilità e al quale cedo immediatamente la parola.

  DIEGO CIULLI, responsabile delle relazioni istituzionali di Google Italia. Signor presidente, ringrazio la Commissione per l'invito e per una indagine conoscitiva su un tema veramente cruciale per i prossimi decenni.
  Forse sforerò lievemente i cinque minuti che mi sono stati assegnati, anche per avere più tempo per le vostre domande, curiosità e approfondimenti.
  Come prima cosa vorrei lanciare una provocazione, onestamente. L'unico elemento di riferimento, proprio per capire cosa succede al rapporto tra tecnologia e il lavoro, è l'analisi storica. Più o meno cento anni fa John Maynard Keynes scriveva che la nostra progenie potrà lavorare quindici ore la settimana, tre ore al giorno. La progenie di Keynes più o meno siamo noi e noi nemmeno vagamente lavoriamo tre ore al giorno. Questo non perché Keynes avesse sbagliato le previsioni, ma in realtà Keynes nella sua analisi era stato molto poco ottimista, cioè aveva immaginato tecnologie molto meno potenti rispetto a quelle che abbiamo realmente.
  L'analisi degli ultimi cento anni ci dimostra un aumento clamoroso della produttività del lavoro e dell'impatto della tecnologia sul lavoro, ma a questo aumento clamoroso non ha fatto da contraltare una riduzione dei posti di lavoro, né tantomeno del tempo che lavoriamo. Anzi – permettetemi una seconda provocazione – noi lavoriamo più dei nostri nonni. In termini di ore lavorate, in Italia oggi – il dato più attendibile che ho trovato risale al 1970 – si lavora più ore. Individualmente forse lavoriamo un po' meno. Nel frattempo, per fortuna, buona parte del mondo femminile è entrata nel mondo del lavoro. Quindi, a fronte di un clamoroso aumento della produttività noi continuiamo a lavorare molto o, comunque, più che in passato.
  C'è un altro dato che desidero portare all'attenzione della Commissione, che forse è quello più importante per la nostra riflessione. Negli ultimi vent'anni questa clamorosa crescita della produttività ha subìto in Italia una divaricazione. Mentre nei Paesi occidentali, nostri competitor, si è continuato con una crescita molto rapida, a partire dagli anni Ottanta la crescita della produttività e del lavoro in Italia è sostanzialmente piatta. Per dirla in maniera semplice, il sistema produttivo italiano, a causa di molti fattori concatenanti, negli ultimi vent'anni non è stato in grado di adottare le tecnologie di aumento della produttività e, quindi, di aumento della ricchezza che hanno attuato i loro competitor. Questo spiega molto anche del ritardo industriale e di competitività del nostro Paese.
  Questo per dirvi che davvero è importante la riflessione su lavoro e intelligenza artificiale che state facendo, perché ne va del futuro economico del nostro Paese. Faccio solo per un attimo il tecnologo, poi magari se ci sono delle domande ci torno. L'intelligenza artificiale è prima di tutto un acceleratore di produttività, un acceleratore di produttività molto più potente rispetto a quello che abbiamo vissuto negli ultimi 20-30 anni. Se l'Italia è in un declino di competitività decennale, a fronte di un mondo tecnologico che ha portato a un aumento della curva di produttività di quest'ordine, aspettiamoci un incremento esponenziale.
  Se noi, nei prossimi vent'anni, subiamo lo stesso ritardo, nell'adozione di tecnologie, che abbiamo subìto negli anni passati, distruggiamo, sì, posti di lavoro. Non li distrugge l'intelligenza artificiale. Li distrugge la non adozione dell'intelligenza artificiale. Rischiamo, cioè, che le nostre produzioni strategiche si spostino in quei Paesi in cui si è più capaci di adottare la tecnologia. Su questo, magari, torniamo in un'altra occasione. Ho già fatto un'audizione in Commissione Attività produttive, perché riguarda più quel settore. L'intelligenzaPag. 19 artificiale davvero avrà un impatto trasformativo sui settori strategici del made in Italy e sulla nostra manifattura. Quindi, la capacità di adottare quelle tecnologie è cruciale per mantenere posti di lavoro nel nostro Paese.
  Mi permetto di dare tre indicazioni alla Commissione per cogliere questo potenziale e far fronte ai rischi. Ovviamente, alcuni posti di lavoro saranno distrutti e altri saranno creati. Francamente, non credo questo sia il momento per poter dire se saranno di più o di meno. È un dibattito affascinante, ma preferisco essere cauto rispetto alle stime numeriche. Sicuramente, però, alcuni lavori saranno distrutti e altri saranno creati.
  L'unica strategia possibile credo sia mettere il nostro Paese e i lavoratori italiani nelle condizioni di fare i lavori che saranno creati e di essere il meno possibile dipendenti, come sistema, dai lavori che saranno distrutti. Il primo punto è sviluppare tecnologie disegnate intorno alle esigenze del nostro tessuto industriale. Oggi l'intelligenza artificiale è, prima di tutto, grandi modelli di base prodotti dalle aziende come Google, ma poi serve qualcuno che quei grandi modelli di base li attui nelle realtà produttive concrete delle imprese. Questo «qualcuno» non è un soggetto globale. È tipicamente un soggetto che sta sul territorio, che ne conosce le esigenze del tessuto produttivo. Questo ecosistema è molto debole nel nostro Paese. Quindi, la capacità di far crescere una rete di imprenditori sviluppatori che prendano le tecnologie base dell'intelligenza artificiale e le applichino al nostro sistema economico è la chiave per non essere solo importatori di tecnologia costruita da altri, ma soggetti che la disegnano pure qui.
  La seconda è, ovviamente, spingere il tessuto industriale verso l'innovazione. È una provocazione anche questa, ma noi siamo un po' abituati a sostenere che bisogna disincentivare chi inquina. Chi non innova è molto simile a chi inquina. Stante quello che vi ho detto, un sistema che non innova, cioè non sta al passo con i tempi, tende a decadere, quindi a distruggere posti di lavoro, che noi, invece, abbiamo bisogno di accelerare. Quindi, disegnare politiche che spingano il sistema imprenditoriale ad adottare rapidamente, prima di altri competitor, la tecnologia dell'intelligenza artificiale è cruciale.
  Il terzo è il tema delle competenze. Alla fine, l'intelligenza artificiale è il prodotto di algoritmi, dati e competenze. Algoritmi e dati, al di là della narrativa un po' diffusa, sono ampiamente disponibili, nel senso che i dati sono ovunque intorno a noi. Grazie al cloud computing, essenzialmente, algoritmi e capacità di calcolo si comprano all'ingrosso, ormai, come l'elettricità: si attacca la spina e si acquista. Ma se non ci sono le persone in grado di costruire i sistemi non si fa intelligenza artificiale. Anche su questo noi abbiamo una carenza di lavoratori in grado di sviluppare applicazioni di intelligenza artificiale per le nostre imprese.
  Sono stato già più lungo di quanto avevo immaginato, quindi mi taccio e resto a disposizione della Commissione.

  PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

  ARTURO SCOTTO. Signor presidente, è stato molto interessante l'esordio con la massima di Keynes. Chiaramente, ne deriva qualche ricetta da mettere in campo. La prima. Può darsi che sia banale, ma in ogni rivoluzione industriale c'è stata una riduzione degli orari di lavoro. Non c'è una rivoluzione industriale che non si sia portata appresso questo. Il tema è che la riduzione dell'orario di lavoro non automaticamente produce anche una scarsità di lavoro. Le chiedo, dunque, se accanto a un necessario intervento da questo punto di vista, non si pensi che, probabilmente, si deve andare verso una qualche forma di reddito universale.
  Secondo: quale impatto può avere la formazione. Lei diceva prima che chi non innova è peggio di chi inquina o è come chi inquina. Molto spesso, nello scontro anche politico o tra sindacati e datori di lavoro, il tema è: non si alzano i salari perché la produttività è bassa; bisogna rendere ancora più flessibile – e molto spesso più Pag. 20precario – il mercato del lavoro per incentivare la produttività. Il problema è la produttività, non sono i salari. Se aumenta la produttività, aumentano anche i salari. Eppure, probabilmente la produttività è piatta, come dice lei, perché non si è innovato, perché non c'è stata innovazione di processo, di prodotto, di organizzazione degli orari di lavoro, della produzione, eccetera. Dunque, da questo punto di vista, quale può essere uno sbocco?
  Nel corso degli ultimi anni non è che non siano stati messi in campo strumenti, incentivi per innovare l'industria, per innovare la produzione. Però, se siamo ancora a un livello di crescita della produttività così basso, forse c'è qualcosa di più da fare.

  PRESIDENTE. Per quanto mi riguarda, vorrei dire due cose molto rapide. La prima. Io sono perfettamente d'accordo con lei quando dice che abbiamo già perso o, perlomeno, siamo rimasti fermi in termini di produttività dalla fine degli anni Ottanta, inizi anni Novanta in poi, indicativamente. Essendo questo ambito già calato rispetto al mercato del lavoro, oggi ci troviamo di fronte a una classe di lavoratori che, obiettivamente, in alcuni ambiti può essere sprovvista delle conoscenze di base per poter sviluppare meglio, in termini di produttività, il proprio lavoro.
  Lei, oggi, come interpreta il nostro sistema formativo sotto questo punto di vista? C'è una formazione, ci sono dei corsi, tutti i corsi universitari lo trattano (chi più, chi meno). Stiamo ponendo le basi rispetto a una formazione sufficientemente ampia, per non perdere posti di lavoro e per, chiaramente, trasformarli? Io sono assolutamente d'accordo con lei quando, di fatto, e mi corregga se sbaglio, dice che chi troverà un posto di lavoro nei prossimi anni sarà anche e soprattutto chi saprà utilizzare meglio questo tipo di tecnologia. Quindi, come siamo messi, secondo lei, in termini formativi?
  In seconda battuta, l'ho fatta anche prima questa domanda, le chiedo se la cosiddetta «intelligenza artificiale generale» sia una possibilità o sia, fondamentalmente, già una realtà che si imporrà di qui ai prossimi tempi.

  DIEGO CIULLI, responsabile delle relazioni istituzionali di Google Italia. Parto dall'ultima, perché è la più difficile. Sull'intelligenza artificiale generale, francamente, c'è un dibattito scientifico abbastanza ampio. Non credo sia una realtà e non credo nemmeno che in tempi ragionevoli lo sarà. Ovviamente, è un'opinione personale, ma abbastanza consolidata. Noi siamo molto concentrati sul far vedere quali sono le applicazioni concrete di intelligenza artificiale che abbiamo e quelle del futuro prossimo. Poi, ovviamente, dove va l'evoluzione scientifica lo sapremo, però sicuramente è un oggetto molto diverso rispetto a quelli di cui stiamo parlando adesso. Oggi parliamo, fondamentalmente, della capacità di riconoscere le immagini o di riconoscere i suoni, di prendere decisioni o, per esempio, di generare immagini o scrivere testi o analizzare mole di dati e prevedere gli andamenti. L'intelligenza artificiale generale è una cosa che sta bene in letteratura, ma è davvero molto diversa rispetto all'intelligenza artificiale che oggi noi abbiamo.
  I temi della formazione. Mi sembra la domanda delle domande. Io credo due cose. La prima è che noi produciamo troppi pochi laureati in materie scientifiche. Ovviamente, questo è un elemento di debolezza del nostro sistema e del sistema Paese. Credo, però, che sia solo una parte del problema. L'altra è che noi abbiamo un sistema formativo estremamente debole quando si tratta di formare le persone che a lavoro ci sono o per formare quelle persone che non ambiscono a diventare ingegneri, ma a entrare nel mercato del lavoro prima.
  L'esperienza degli ITS in questo senso è positiva. Noi abbiamo avuto un po' di collaborazioni con loro, però, certo, andrebbe portata a scala maggiore, perché, stando al tema dell'audizione, l'intelligenza artificiale sarà essenzialmente due o tre cose, e noi dobbiamo preparare i lavoratori per tutte e tre le cose.
  La prima riguarderà chi inventa gli algoritmi, e riguarda i massimi gradi degli Pag. 21studi. Noi ne produciamo pochi, però, obiettivamente, l'Italia ha dei livelli di eccellenza su quello.
  Poi, abbiamo bisogno di chi disegna le applicazioni, che, dal mio punto di vista, davvero sono prevalentemente quelli che escono dagli ITS, e ce ne servono molti di più, perché oggi – così rispondo anche a parte di un'altra domanda – uno dei motivi del ritardo (abbiamo investito, lo diceva lei, moltissimo in incentivi all'innovazione) è che manca il mercato.
  Ho la sensazione che se oggi tutte le aziende italiane decidessero di investire in tecnologie digitali, faticherebbero a trovare chi gliele vende, cioè chi gliele fa. Su questo c'è anche un aspetto legato alle necessità formative. Su questo, noi siamo estremamente deboli.
  L'ultimo aspetto è diverso da tutti gli altri a cui siamo abituati. L'intelligenza artificiale è una tecnologia cosiddetta «general purpose». Questo significa che cambierà tutti i lavori. Dovremmo, in linea teorica, inserire questo tipo di insegnamento in ogni scuola di ordine e grado da oggi, ma comunque saremmo in ritardo. Quindi, inevitabilmente, dobbiamo non solo pensare a chi fa l'intelligenza artificiale, ma anche insegnare a tutti i lavoratori a lavorare con l'intelligenza artificiale, cioè come un impiegato d'azienda lavora meglio con l'intelligenza artificiale generativa e così via.
  Su questo c'è bisogno di uno sforzo un po' più creativo rispetto al sistema formativo, perché, obiettivamente, nel nostro ordinamento la parte della formazione, per la stragrande maggioranza dei lavoratori, finisce a un certo punto e poi si lavora per il resto della vita. Invece, questa è quasi del tutto da disegnare e anzi su questo un'azienda come Google può anche dare una mano alle istituzioni, volentieri.
  Onorevole Scotto, sul reddito di base, ovviamente, Google non ha una posizione. Io ce l'ho, ma ne parliamo a parte, nel senso che questa è l'audizione di Google in Commissione. Certo, c'è il tema di come distribuire la ricchezza che si genera attraverso gli aumenti di produttività. Su questo credo che il ragionamento principe da fare sia capire dove si genera quella ricchezza e in che modo possiamo esserne compartecipi.
  Semplifico molto, lo dicevo in parte durante lo svolgimento della relazione. Oggi abbiamo bisogno di creare un sistema di imprese, un ecosistema dell'intelligenza artificiale italiana, che faccia crescere qui i nostri modelli e li adatti alle esigenze del nostro sistema produttivo, cioè che prenda i grandi modelli fondamentali globali di AI e li adatti alle esigenze dell'agricoltura di precisione, dell'arredamento, dell'industria tessile e di tutto il sistema del made in Italy.
  Su questo io credo che ci sia un grande margine su cui lavorare, su cui far aumentare la produttività, l'ultimo punto che lei sollevava.
  C'è una differenza sostanziale tra le tecnologie che abbiamo conosciuto fino a oggi e le tecnologie di cui stiamo parlando, soprattutto per un sistema come quello italiano. Una parte del ritardo italiano sull'adozione di molte tecnologie si spiega con il fatto che le tecnologie internet, per capirci, sono essenzialmente tecnologie che hanno investito la sfera della promozione e della distribuzione.
  L'Italia storicamente fatica a innovare in quest'ambito. Tradizionalmente siamo molto bravi, almeno così mi si racconta, a innovare nel processo. Quando arriva un nuovo macchinario, gli imprenditori italiani lo adottano rapidamente, ma quando c'è da cambiare tutto per fare l'e-commerce ci si è messo un po' di più.
  Le tecnologie di intelligenza artificiale andranno a modificare non solo la distribuzione e la comunicazione, ma anche la produzione, quindi la base manifatturiera. Questo può essere molto più in linea con la lunghezza d'onda tradizionale dell'impresa italiana. Certo, c'è da fare uno sforzo per farglielo capire, perché poi il dato di fatto è che le grandi innovazioni degli ultimi decenni non sono state recepite rapidamente, si diceva bene prima, e questo ha portato a una perdita di competitività.
  L'elemento di speranza è che questo tipo di tecnologie sono più simili a quelle di innovazione, di processo a cui siamo più abituati e quindi, con uno sforzo collettivo, Pag. 22credo che il nostro Paese possa avere la possibilità di non restare indietro.

  PRESIDENTE. Grazie.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di Manpower.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul rapporto tra intelligenza artificiale e mondo del lavoro, con particolare riferimento agli impatti che l'intelligenza artificiale generativa può avere sul mercato del lavoro, l'audizione di rappresentanti di Manpower.
  L'audizione sarà svolta consentendo la partecipazione anche da remoto – in videoconferenza – dei deputati auditi.
  Intervengono, in videoconferenza, per Manpower, l'amministratore delegato, la dottoressa Anna Gionfriddo, e il direttore delle relazioni istituzionali, Gianantonio Bison.
  Ringrazio i nostri ospiti per la loro disponibilità.
  Cedo immediatamente la parola alla dottoressa Gionfriddo.

  ANNA GIONFRIDDO, Amministratore delegato di Manpower (Intervento da remoto). Onorevole presidente, onorevoli deputati, buon pomeriggio.
  Prima di tutto ringrazio l'XI Commissione Lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati per il coinvolgimento in questa audizione finalizzata ad acquisire elementi utili e di conoscenza, con particolare riferimento all'impatto che l'intelligenza artificiale può generare nel mondo del lavoro.
  Con piacere presento velocemente il nostro gruppo. Manpower Group è una multinazionale americana. Siamo leader mondiale nelle soluzioni innovative per la gestione del lavoro, della ricerca e selezione, somministrazione di lavoro a tempo determinato e a tempo indeterminato, formazione e consulenza organizzativa.
  Siamo in Italia da oltre trenta anni e da più di venticinque anni con la somministrazione, a termine e a tempo indeterminato. Abbiamo più di 270 uffici operativi in tutto il territorio italiano, circa 2.400 persone impiegate ogni giorno su tutto il territorio italiano. Ogni anno assumiamo più di 110.000 persone e ne formiamo più di 25.000 lavorando con più di 15.000 aziende.
  Alcuni numeri a livello globale, perché, come dicevo prima, siamo una realtà americana. A livello globale, più di 2 milioni di persone sono inserite ogni anno nel mercato del lavoro. Abbiamo più di 75 anni di esperienza nel mondo dei servizi HR.
  Circa 150 esperti del nostro team globale lavorano proprio nell'analisi e nella ricerca delle migliori tecnologie che offrono valore. Poi abbiamo più di cento proof of concept, che sono proprio queste ricerche sulle quali noi lavoriamo sistematicamente, che realizziamo con una vista sui diciassette-venti Paesi più importanti negli ultimi dodici anni.
  Nella memoria, che dovreste avere con voi, trovate anche alcuni insight e alcune ricerche, non ultima per esempio quella che abbiamo presentato a Davos, al World Economic Forum a gennaio di quest'anno, legata al concetto di age of adaptability, quindi quali sono i quattro macro trend fondamentali che oggi noi stiamo vedendo, sempre a livello globale, all'interno del mercato del lavoro.
  Sempre nel documento che vi abbiamo allegato, trovate una ricerca, uno studio predittivo che si intitola proprio «Il futuro delle competenze nell'era dell'intelligenza artificiale». La nostra azienda ama lavorare insieme ad altri stakeholder, altri operatori e, insieme a loro, cercare veramente di ottimizzare tutto il knowledge, i punti di vista, per cercare proprio di rispondere ai trend, agli insights del mercato del lavoro.
  In questo caso, con EY e Sanoma abbiamo presentato lo studio predittivo «Il futuro delle competenze nell'era dell'intelligenza artificiale». Questo studio predittivo è alla seconda edizione. La prima edizione era stata realizzata tre anni fa. Dopo tre anni di analisi e di sviluppo, abbiamo aggiornato il nostro machine learning, quindi abbiamo aggiornato il motore che ci ha fornito tutte le indicazioni che sottendono questo studio predittivo, e lo abbiamo attualizzato e focalizzato proprio sull'impattoPag. 23 delle competenze nel modo dell'intelligenza artificiale.
  Voglio condividere qualche piccolo insight. Trovate – ripeto – nella memoria che vi abbiamo mandato maggiori informazioni e dettagli. Se ci sono altre domande, siamo assolutamente a vostra disposizione.
  Quali sono i contenuti più importanti? Intanto, un primo contenuto importante è la previsione che fino al 2030 il mercato del lavoro aumenterà la domanda per tutte quelle professionalità ad alta qualifica. In questo momento, quindi, tutte quelle professionalità che hanno qualifiche medio o alte avranno un continuum incremento di domanda.
  Sempre leggendo e cercando di dare, anche qui, qualche insight un po' diverso, sottolineo che, per esempio, in maniera un po' sorprendente, comunque non così immediato, anche tutte quelle professioni legate alla cura della persona, continuerà ad aumentare. Mentre, come abbiamo già sentito anche nelle audizioni precedenti, diminuiranno sicuramente tutte quelle richieste di professionalità legate, appunto, a professioni con qualifica più bassa.
  Il dato più importante da evidenziare rispetto a questo studio predittivo è che le competenze richieste – il cosiddetto «skill set» di competenze – cambieranno per almeno l'80 per cento dei profili ricercati. Qual è la preoccupazione che noi abbiamo operando, come vi dicevo all'inizio, da più di trent'anni nel mercato del lavoro italiano? La preoccupazione che oggi noi abbiamo è che questo tipo di cambiamento, questo tipo di indagine predittiva rispetto alle competenze richieste nei prossimi sei anni – perché stiamo parlando veramente di un arco temporale abbastanza breve – aumenteranno il cosiddetto «talent shortage», il cosiddetto «mismatch», cioè la distanza tra la domanda di professionalità e di competenze richieste e l'offerta delle professionalità e competenze ricercate.
  Per cercare di rispondere anche alle provocazioni o, comunque, alle riflessioni che ha svolto Google durante l'audizione prima di me, mi piace condividere l'esperienza della nostra azienda, dell'azienda che ho l'onore e il privilegio di gestire. La nostra azienda da tanti anni lavora con tematiche di intelligenza artificiale. Ormai da più di cinque anni lavoriamo, nel nostro normale processo quotidiano, con tecniche di intelligenza artificiale, ma negli ultimi due anni abbiamo anche incrementato l'utilizzo di tutta l'intelligenza artificiale generativa. Qualche informazione su come la nostra quotidianità oggi è impattata. Come vi dicevo prima, noi avviamo al lavoro parecchie centinaia di migliaia di lavoratori in somministrazione a tempo determinato o a tempo indeterminato. L'80 per cento del processo di assunzione di questi lavoratori avviene quotidianamente in modalità digitale, quindi con delle attività che vengono supportate in maniera importante da tutti gli strumenti dell'intelligenza artificiale.
  Gli investimenti che la nostra azienda fa annualmente nel mercato del lavoro italiano sono, ormai, veramente di svariati milioni di euro, sia a livello globale che a livello di Paese italiano. La riduzione dei costi grazie all'intelligenza artificiale viene sistematicamente misurata ogni mese e può, in qualche modo, essere quantificata sul risultato, sulla chiusura del bilancio 2023, con un 5 per cento in meno di impatto sui costi. Per noi, però, non è semplicemente una riduzione dei costi. Per noi l'impatto dell'intelligenza artificiale viene misurato soprattutto sull'aumento che questa maggiore efficienza del processo – per esempio, di digitalizzazione delle attività di assunzione – genera, con un 9 per cento in più sull'impatto dell'incremento del fatturato.
  Capite, quindi, che oggi questo impatto dell'intelligenza artificiale sta decisamente cambiando il modo di attrarre e di ricercare le persone. Gli annunci che possiamo realizzare possono essere – in questo caso, utilizzando l'intelligenza artificiale generativa – più precisi e più efficaci. La raccolta, lo screening delle candidature, gli assessment, la candidate experience diventa assolutamente fondamentale, in questo momento, nella nostra normale attività quotidiana.
  Tutto questo, però, tengo a sottolinearlo, senza minimamente fare in modo che l'intelligenza artificiale sostituisca il lavoro degliPag. 24 oltre mille professionisti nei servizi HR che la nostra azienda oggi ha attivi nel mercato del lavoro. Ci tengo veramente a sottolinearlo, perché in questo momento il fattore umano, la componente umana diventa un abilitatore, un acceleratore, tale per cui, se innescata correttamente nel processo – vi ho fatto un esempio – di assunzione dei nostri lavoratori, ci porta sicuramente a un incremento di fatturato importante.
  Per questo, oggi tutte le tematiche legate al mondo dell'intelligenza artificiale, a come utilizzarla correttamente, tutti gli investimenti di upskilling, reskilling, di formazione, in primis dei nostri oltre duemila dipendenti, vengono assolutamente realizzati su tutte le tematiche di digitalizzazione, per permetterci di utilizzare tutti questi strumenti di intelligenza artificiale in maniera molto efficace, molto mirata e molto fitting.
  Tornando allo studio predittivo sull'impatto dell'intelligenza artificiale che vi citavo prima, due sono le conclusioni a cui noi arriviamo con i nostri partner EY e Sanoma. Il primo, sicuramente, è che la formazione è il principale strumento per supportare le persone nello sviluppo e nell'acquisizione di quelle competenze oggi veramente richieste. Lo abbiamo sentito anche prima, negli interventi precedenti. Diventa veramente fondamentale questa attività di upskilling, ma anche di reskilling, quindi la volontà, in questo momento, di «reskillare» quelle competenze che l'impatto dell'intelligenza artificiale renderà sicuramente più obsolete.
  Le conclusioni, le indicazioni che questo nostro studio predittivo dà sono di due ordini. Uno di più breve periodo, che è quello di trovare soluzioni a questo mismatch di competenze che oggi le aziende dichiarano, quindi lavorando sul breve termine, formando con modalità brevi, anche più veloci, più mirate, più fitting, i profili specializzati di cui le diverse aziende e settori hanno bisogno. Lo abbiamo sentito prima. Ringrazio anche per la citazione di un nostro partner, con il quale abbiamo costruito dei modelli di formazione sempre più scalabili, le cosiddette «Academy», che in questo momento ci permettono di co-creare percorsi di formazione insieme, in sinergia con partner, con stakeholder formativi, ma mirati a specifiche aziende, a specifici settori, a specifici territori o distretti. Si tratta poi, contemporaneamente di studiare e pianificare soluzioni di più lungo termine che portino anche la scuola e le università ad allineare i propri programmi alle necessità future delle aziende e del mondo del lavoro.
  La nostra azienda suggerisce, quindi, che vengano presi in considerazione i seguenti aspetti. Il primo. Seguendo l'ultima ricerca, l'ultimo MEOS, quindi questo Osservatorio che la nostra azienda produce ogni quarter rispetto al mercato del lavoro, possiamo dire che l'83 per cento delle aziende prevede che l'integrazione dell'intelligenza artificiale in azienda creerà nuovi lavori e mansioni e sa anche che l'upskilling e il reskilling dovranno essere parte integrante oggi del normale percorso e delle normali strategie che le aziende dovranno realizzare.
  Contemporaneamente sarà veramente fondamentale stanziare e prevedere piani per la gestione delle transizioni digitali, e in questo caso le agenzie per il lavoro potranno essere un soggetto sicuramente da coinvolgere in quanto esperto e competente, al fine di agevolare l'incontro tra domanda e offerta ancora una volta in maniera molto precisa rispetto al mercato del lavoro.
  Il nostro augurio, quindi, è proprio che le agenzie per il lavoro, per questa visione, per questo approccio assolutamente legato a questa co-creazione e co-formazione delle esigenze che il mercato del lavoro riflette, vengano assolutamente considerate e coinvolte come attore fondamentale in questo mercato del lavoro che è veramente in cambiamento.
  Concludo ringraziando nuovamente il presidente e tutti voi per averci convocato.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, dottoressa Gionfriddo.
  Temo che siamo arrivati un po' lunghi con i tempi, ma vorrei, se possibile, veramente in modo molto rapido, porle una domanda, considerato che voi rappresentatePag. 25 un player estremamente importante per quanto riguarda questo tema, ma più in generale per quanto riguarda tutti i temi che sono di quotidiana attualità per questa Commissione. Ovviamente, vi ringraziamo per il lavoro che state svolgendo.
  Lei ha parlato di un più 9 per cento di aumento di produttività, quando vi trovate di fronte ad una platea di lavoratori o di persone da inserire nel mercato del lavoro che sono sufficientemente o più che sufficientemente formate. Vorrei capire questo aspetto: rispetto ai vostri feedback quotidiani, mensili, trimestrali e annuali sulle persone che voi di fatto profilate ogni giorno qual è la percentuale di persone trovate, alla ricerca di un'eventuale occupazione, che sono dotate di specifiche o sufficiente formazione sul tema che oggi stiamo trattando?

  ANNA GIONFRIDDO, Amministratore delegato di Manpower (Intervento da remoto). È una domanda molto pertinente e molto importante. Relativamente alla modalità di reclutamento rispetto a questi profili, che sono i profili che verranno maggiormente ricercati – prima abbiamo detto che entro il 2030 queste professionalità saranno quelle che avranno la maggiore domanda e la maggiore richiesta – bisogna partire dal presupposto che in questo momento il numero, per esempio, dei laureati con laurea triennale è decisamente insufficiente a rispondere alla domanda che questo studio predittivo evidenzia sarà richiesta nel mercato del lavoro.
  La risposta, dunque, è che oggi non ci sono abbastanza competenze rispetto alla domanda. Quindi, la sfida, di conseguenza ancora una volta il ruolo, che la nostra azienda, il nostro settore può e deve cogliere, anche per una responsabilità sociale, che noi sentiamo di avere, a cui il mercato del lavoro deve cercare di rispondere, è proprio quella di costruire queste competenze, magari con delle alleanze, con questa co-creazione, con varie partnership tra i vari interlocutori, tra un mondo pubblico e un mondo privato. Solo così riusciremo ad aiutare la competitività e, quindi, ad aumentare la produttività del sistema Italia. Sicuramente questa è una sfida decisamente importante.
  Il più 9 per cento di fatturato è legato, in primis, alla nostra azienda. La sfida sulla competitività legata al concetto di produttività è veramente importante e, riprendendo quanto il relatore prima di me ricordava sulle sfide di oggi del Paese Italia, rappresenta un punto sul quale lavorare.

  PRESIDENTE. Grazie. È stato molto interessante. Avverto che l'audito ha messo a disposizione della Commissione una documentazione, di cui autorizzo la pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 2).
  Ringraziando la nostra ospite, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.40.

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ALLEGATO 1

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ALLEGATO 2

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