XIX Legislatura

XII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Martedì 31 ottobre 2023

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Cappellacci Ugo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA SITUAZIONE DELLA MEDICINA DELL'EMERGENZA-URGENZA E DEI PRONTO SOCCORSO IN ITALIA

Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti della Società italiana degli infermieri di emergenza territoriale (SIIET) e Società italiana di medicina di emergenza ed urgenza pediatrica (SIMEUP).
Cappellacci Ugo , Presidente ... 3 
Andreucci Andrea , presidente Nazionale Società italiana degli infermieri di emergenza territoriale (SIIET) ... 3 
Cappellacci Ugo , Presidente ... 6 
Zampogna Stefania , presidente della Società italiana di medicina di emergenza ed urgenza pediatrica (SIMEUP) ... 6 
Cappellacci Ugo , Presidente ... 9 
Quartini Andrea (M5S)  ... 9 
Andreucci Andrea , presidente Nazionale Società italiana degli infermieri di emergenza territoriale (SIIET) ... 9 
Cappellacci Ugo , Presidente ... 10 

Audizione, in videoconferenza, di Domenico Mantoan, direttore generale dell'Agenzia nazionale per i servizi regionali (AGENAS):
Cappellacci Ugo , Presidente ... 10 
Mantoan Domenico , direttore generale dell'Agenzia nazionale per i servizi regionali (AGENAS) ... 10 
Cappellacci Ugo , Presidente ... 12 
Quartini Andrea (M5S)  ... 12 
Cappellacci Ugo , Presidente ... 13 
Mantoan Domenico , direttore generale dell'Agenzia nazionale per i servizi regionali (AGENAS) ... 13 
Cappellacci Ugo , Presidente ... 14 
Girelli Gian Antonio (PD-IDP) , intervento in videoconferenza ... 14 
Mantoan Domenico , direttore generale dell'agenzia nazionale per i servizi regionali (AGENAS) ... 15 
Cappellacci Ugo , Presidente ... 16 
Quartini Andrea (M5S)  ... 16 
Mantoan Domenico , direttore generale dell'Agenzia nazionale per i servizi regionali (AGENAS) ... 16 
Cappellacci Ugo , Presidente ... 17 

ALLEGATO: Presentazione informatica illustrata dal direttore generale dell'AGENAS Domenico Mantoan ... 18

Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
Azione - Italia Viva - Renew Europe: A-IV-RE;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Noi Moderati (Noi con L'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE: NM(N-C-U-I)-M;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
UGO CAPPELLACCI

  La seduta comincia alle 13.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. La Commissione prosegue le audizioni in videoconferenza nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla situazione della medicina dell'emergenza-urgenza e del pronto soccorso in Italia.
  Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la resocontazione stenografica e la trasmissione attraverso la web-tv della Camera dei deputati. Ricordo che l'odierna audizione sarà svolta consentendo la partecipazione da remoto in videoconferenza, sia dei deputati che dei soggetti auditi, secondo le modalità stabilite dalla Giunta per Regolamento.

Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti della Società italiana degli infermieri di emergenza territoriale (SIIET) e Società italiana di medicina di emergenza ed urgenza pediatrica (SIMEUP).

  PRESIDENTE. Partecipano all'audizione odierna la Società italiana degli infermieri di emergenza territoriale (SIIET) con Andrea Andreucci, presidente nazionale, e la Società italiana di medicina di emergenza e urgenza pediatrica (SIMEUP), con la presidente Stefania Zampogna.
  Saluto e ringrazio i nostri ospiti per aver accolto l'invito della Commissione. Ricordo che allo svolgimento di ciascuna relazione, da contenere entro i dieci minuti, potranno seguire domande da parte dei deputati alle quali seguirà la replica dei soggetti auditi.
  La documentazione acquisita sarà resa disponibile ai deputati attraverso l'applicazione Geo Camera e sarà altresì pubblicata sul sito internet della Camera dei deputati.
  Do quindi la parola ad Andrea Andreucci della (SIIET), prego.

  ANDREA ANDREUCCI, presidente Nazionale Società italiana degli infermieri di emergenza territoriale (SIIET). Buongiorno, signor Presidente. Buongiorno a tutti. In primo luogo, ringrazio per l'invito, è un onore essere qua.
  Abbiamo preso nota del programma dell'indagine che avete inviato con l'invito a partecipare a questa sessione di audizioni e abbiamo rilevato che siete assolutamente consapevoli delle criticità del sistema di emergenza-urgenza italiano in questo momento. Quindi vi faccio i miei complimenti perché avete dimostrato di essere attenti a tutte le segnalazioni che nel tempo vi sono arrivate dai vari stakeholder.
  La Società italiana degli infermieri di emergenza, che sono oggi qui a rappresentare, ponendosi in un'ottica di collaborazione con le istituzioni, vorrebbe formulare proposte atte a migliorare o a cercare di ottimizzare il sistema di emergenza-urgenza.
  Fondamentalmente, abbiamo diviso il nostro elaborato in quattro item. Per quanto riguarda l'organizzazione, la nostra Società ritiene fondamentale l'istituzione di un ente a carattere nazionale (magari inquadrato all'interno del Ministero della salute o in Agenas) che abbia funzione di omogeneizzare tutti i vari sistemi di risposta che sono presenti nel nostro territorio nazionale. Vi ricordo, come anche da voi sottolineato nel vostro programma, che purtroppo abbiamo una disomogeneità totale tra le organizzazioniPag. 4 regionali, con variazioni addirittura su base provinciale. Questo secondo noi non è sicuramente etico, anche nei confronti della risposta che dobbiamo dare alla cittadinanza.
  Riteniamo inoltre che i sistemi di risposta pre-ospedaliera ed ospedaliera debbano essere integrati, al fine di ottimizzare e razionalizzare le risorse professionali ed agevolare contestualmente il mantenimento delle competenze dei professionisti che vi operano.
  Riteniamo necessario, al fine del contenimento del fenomeno del crowding delle strutture di pronto soccorso, l'implementazione di percorsi alternativi per la presa in carico e la cura di situazioni classificabili come urgenze minori, magari proprio mediante la realizzazione di strutture territoriali che siano dotate comunque di tecnologia e di risorse professionali idonee a gestire questa casistica che normalmente, da noi operatori, viene definita impropria. Ma non è mai impropria, perché un bisogno di salute della cittadinanza non è da considerarsi improprio in quanto è improprio forse il setting al quale viene richiesta la risposta.
  Sicuramente occorre sostenere con forza tutta la medicina del territorio e dare una spinta alla progressiva implementazione della figura degli infermieri di famiglia e di comunità, che possono rappresentare soluzioni assolutamente sostenibili e idonee a contrastare tutto il fenomeno del sovraffollamento nelle strutture di pronto soccorso.
  In ultimo, per quanto riguarda il sistema, auspichiamo una rapida e uniforme implementazione del numero europeo armonizzato – 116117 –, come strumento di accesso per tutte quelle casistiche considerate come urgenze temporizzabili.
  Per quanto riguarda il secondo item, ci siamo focalizzati sul personale.
  La valorizzazione del personale infermieristico che opera nei sistemi di emergenza-urgenza è un requisito fondamentale per donare nuova e vitale attrattività al sistema, evitando la 'desertificazione' dei professionisti che vi operano.
  Gli infermieri hanno già dimostrato il loro indiscusso valore e le competenze che ogni giorno mettono a disposizione della collettività. Pertanto, SIIET ritiene necessaria una tempestiva azione legislativa per normare il vuoto di disciplina che attualmente esiste e che impedisce la progettazione di sistemi performanti e coerenti con le risorse. Mi riferisco fondamentalmente al fatto che purtroppo esiste un «gap normativo» sull'agire infermieristico e l'emergenza-urgenza, essendo per la stragrande maggioranza delle situazioni codificata, si presterebbe bene a legittimare l'operato infermieristico in questo setting.
  Va «slegata» la figura infermieristica da anacronistiche visioni in termini di sussidiarietà; in applicazione della legge n. 24 del 2017 vanno istituiti alcuni profili di competenza per il personale che opera nei sistemi di emergenza territoriale e in pre-ospedaliero. In tal senso, ci auguriamo che quanto prima si dia corso all'istituzione di corsi di laurea magistrale a indirizzo clinico, con il conseguente riconoscimento valoriale del ruolo.
  Per quanto riguarda il sistema pre-ospedaliero di emergenza – non sto parlando del servizio del 118 perché ritengo che legare il nome di un sistema a un numero risulti oggi anche questo anacronistico, oggi abbiamo il 112 che deve essere il numero che dà accesso a tutti i servizi di emergenza di qualsiasi natura, nel territorio nazionale ed europeo – esso è da riformare perché siamo legati, dopo più di tre decenni dalla nascita del sistema di emergenza-urgenza, a norme che ci tengono ancorati a un setting che è completamente diverso da quello di oggi.
  Le professioni si sono evolute così come le tecnologie; è cambiato il paradigma del soccorso e dobbiamo cercare di aggiornare alle ultime evidenze il nostro sistema per renderlo performante, sostenibile ed etico in accordo anche con le altre società scientifiche.
  La SIIET ritiene che sia necessaria una rapida e uniforme implementazione del numero unico delle emergenze (112) su tutto il territorio nazionale. Va riconosciuto un ruolo di autonomia e di responsabilitàPag. 5 all'infermiere che opera nei mezzi di soccorso a leadership infermieristica. L'infermiere deve essere legittimato a svolgere tutte quelle funzioni che sono atte al mantenimento delle funzioni vitali dei pazienti soccorsi, ad avviare e a trattare i percorsi per le patologie tempo-dipendenti e a trattare il dolore, magari utilizzando percorsi diagnostici, terapeutici e algoritmi di trattamento.
  L'organizzazione del sistema di emergenza pre-ospedaliero, secondo la nostra società scientifica, fondamentalmente si basa su tre livelli di risposta, a partire da un livello base affidato al personale non sanitario, che fondamentalmente svolge la funzione di trasporto dell'infortunato in ospedale. In questo caso ci deve essere un mezzo avanzato a leadership infermieristica che risponde nella stragrande maggioranza dei casi e ci deve essere un livello massimo di risposta.
  In alcuni casi ci sono équipe multidisciplinari, possibilmente con infermieri specialisti di emergenza urgenza, con un profilo di competenze certificate, avanzate e con medici anche qui possibilmente specialisti MEU (Medicina d'Emergenza Urgenza) o ARTID (Anestesia, Rianimazione, Terapia Intensiva e del Dolore): è infatti dimostrato che effettivamente queste figure possono influire sull'outcome del paziente.
  Per quanto riguarda il sistema ospedaliero di emergenza-urgenza, Pronto soccorso, sappiamo benissimo quello che è successo nell'ultimo decennio, vale a dire una «desertificazione» delle risorse professionali: questo fenomeno risale a circa dieci anni fa e si è amplificato proprio con il fenomeno della pandemia.
  Questa «desertificazione» ha amplificato ancora di più la disparità che c'è tra risorse disponibili e richieste di soccorso e si è alimentato il fenomeno del boarding. Purtroppo dobbiamo prendere atto, come avete fatto voi nel documento che ci avete inviato, che il fenomeno del boarding è oggi uno dei grandi problemi del pronto soccorso.
  Il personale infermieristico può influire favorevolmente sul fenomeno del boarding mediante la standardizzazione, a livello nazionale, del processo di accettazione e di presa in carico, attraverso la diffusione e l'applicazione di algoritmi codificati, la promozione della presa in carico infermieristica attraverso la condivisione di protocolli di avvio diagnostico-terapeutici nelle diverse aree del pronto soccorso, l'attivazione di percorsi fast track e l'attivazione di percorsi a gestione infermieristica, come ha fatto la regione Toscana con il «See and treat».
  Avviare un iter diagnostico dal triage vuol dire fondamentalmente lavorare su un tempo che normalmente per l'utente che arriva in pronto soccorso è un tempo meramente destinato all'attesa di entrare in visita medica.
  Se facciamo intanto partire la diagnostica, probabilmente quel tempo è utile proprio allo sviluppo di quella diagnostica, e quando il paziente accederà alla visita medica, il medico avrà subito a disposizione la refertazione e potrà iniziare una terapia e avviare un percorso di natura diversa.
  Questo è quello che noi, studiando i dati, abbiamo dimostrato, ovvero che, ad esempio per quanto riguarda il dolore addominale, riusciamo addirittura a ridurre il boarding di circa due ore e mezza, che normalmente è il tempo necessario per lo svolgimento proprio della diagnostica.
  Naturalmente si dà appropriatezza al codice di priorità assegnato in triage, ma soprattutto l'utente si sente preso in carico, perché l'utente dice: «Va bene, sto aspettando. Che cosa sto aspettando, la visita medica? Sì anche quella, ma intanto questo tempo lo sto utilizzando per svolgere tutta la diagnostica che avrei dovuto svolgere dopo.».
  Vado alle conclusioni, in modo da lasciare tempo alle domande che spero ci siano.
  La riforma del sistema di emergenza-urgenza oggi non è più una scelta bensì è una necessità. È giunto il momento di riconoscere ai professionisti il loro straordinario impegno e di investire tutte le risorse necessarie per garantire un servizio di emergenza sanitaria di alta qualità per tutta la cittadinanza.Pag. 6
  L'infermiere è quel professionista indispensabile del «sistema salute», riconosciuto quale fulcro di qualsiasi contesto emergenziale. Dobbiamo investire valorizzando questo professionista. È una figura con peculiarità uniche e trasversalità, spendibile sia nel pre-ospedaliero che all'interno dei pronto soccorso, fino ad arrivare alle terapie intensive e alle degenze ad alta intensità di cura.
  Come sempre, la nostra società scientifica si mette a disposizione delle istituzioni per continuare un costruttivo dialogo per la progettazione di un sistema di emergenza-urgenza aggiornato, performante e sostenibile per il bene di tutta la comunità. Grazie.

  PRESIDENTE. La ringrazio. Do a questo punto la parola a Stefania Zampogna della SIMEUP. Prego.

  STEFANIA ZAMPOGNA, presidente della Società italiana di medicina di emergenza ed urgenza pediatrica (SIMEUP). Buongiorno a tutti. È veramente un onore per me essere presente oggi. Ringrazio per l'invito da parte della società scientifica che rappresento, la Società di medicina di emergenza e urgenza pediatrica.
  Mi complimento per il lavoro che state facendo anche perché «sposa» quella che è stata l'indagine che è stata condotta dalla SIMEUP nel corso del 2022, proprio a ridosso della fine dell'emergenza Covid. Effettivamente le problematiche, così come sono state anche esposte dal collega precedentemente, che riguardano l'attività del pronto soccorso e l'attività della medicina d'urgenza, devono focalizzare in un certo qual modo l'attenzione e le priorità anche nei riguardi del bambino.
  Sappiamo bene, ed è risaputo, che il bambino non è un piccolo adulto. È vero che stiamo vivendo dei momenti drammatici di denatalità in Italia, ma è anche vero che i bambini esistono e che comunque è un loro diritto essere assistiti anche nelle situazioni di emergenza-urgenza direttamente dal pediatra. È fondamentale che ci siano delle competenze adeguate non soltanto di tipo medico ma, anche adeguate all'età pediatrica da parte del personale infermieristico.
  Ricordo che da parte nostra, quasi perfettamente in linea con il vostro programma d'indagine, abbiamo attivato nel 2022 un'indagine per conoscere meglio quella che è la mappatura italiana della realtà dei pronto soccorso.
  Abbiamo voluto individuare le regioni italiane che hanno adottato le linee guida approvate dalla Conferenza Stato-regioni del 2019 sul triage e sull'osservazione breve, mentre voi avete focalizzato bene l'attenzione, nella vostra progettualità, sul sovraffollamento. Ma si tratta delle stesse linee guida ministeriali approvate dalla Conferenza Stato-regioni.
  Abbiamo visto che c'è una disomogeneità sulla quale si deve focalizzare molto l'attenzione delle autorità competenti: una disomogeneità che riguarda le diverse regioni e purtroppo penalizza fortemente le regioni del centro-sud e direi, ancora di più, le regioni del sud.
  Nella memoria che vi ho inviato ho cercato anche di evidenziare i nostri dati. Ritengo che possano essere utili alla Commissione perché riguardano ben 252 pediatrie italiane, quindi la quasi totalità. Mancano soltanto i dati di alcune regioni che avremo, ritengo, verso gennaio-febbraio, quando completeremo la nostra indagine.
  I primi dati comunque sono già stati pubblicati su una rivista internazionale. Siamo partiti da un questionario rivolto ai direttori delle unità operative di pediatria per conoscere dove fosse localizzata la pediatria, quindi se all'interno di un Dipartimento di emergenza di primo livello oppure di secondo livello.
  Quello che ci interessa principalmente è sapere se hanno adottato il nuovo triage. In realtà, dai dati che abbiamo avuto a disposizione, le regioni del nord e le regioni del centro hanno quasi completamente adottato in tutte le aziende ospedaliere (su indicazioni proprio delle autorità regionali) il nuovo triage (quindi cinque colori). Mentre ancora ci sono delle regioni del centro sud e nelle isole che utilizzano il triage a quattro colori.Pag. 7
  Questo già comporta dei problemi dal punto di vista organizzativo, che si riflettono prevalentemente sull'età pediatrica. Sappiamo che col nuovo triage abbiamo raggiunto dei traguardi eccellenti, così come veniva anche precedentemente detto. Il momento di attesa deve diventare un processo di cura; quindi, l'infermiere di triage diventa il vero protagonista nella gestione del paziente che giunge in pronto soccorso e magari, attraverso le procedure e i percorsi già stabiliti e condivisi con il direttore dell'unità operativa e con il direttore sanitario, può iniziare a gestire il bambino.
  Ciò significa che il personale del triage (secondo il nuovo triage) deve essere adeguatamente formato per avere le competenze specifiche in ambito pediatrico. Perché non soltanto dovrà essere capace di valutare quelli che sono i parametri vitali e in particolare il quinto parametro vitale, oggi così definito, ovvero la valutazione del dolore, che crea tanta ansia in un bambino ma anche nel nucleo familiare che lo circonda. Deve essere anche capace di interagire in situazioni particolari che possono essere rappresentate dall'abuso, dal maltrattamento e dalle emergenze psichiatriche.
  Non solo: il nuovo triage protegge per la prima volta ancora di più il nucleo familiare, perché destina, anche nell'ambito dell'organizzazione strutturale del pronto soccorso, degli spazi che sono proprio dedicati al bambino e alla famiglia, praticamente una sorta di sala d'attesa. Questo significa che nelle regioni in cui non è stato ancora attivato il nuovo triage i bambini non vengono gestiti come potranno essere gestiti in Lombardia piuttosto che in Toscana.
  Altro aspetto importante che abbiamo voluto valutare è quello dell'osservazione breve. Anche di questo voi avete già fatto cenno nel vostro programma citando l'importanza dei ricoveri inappropriati che è un'evenienza molto frequente.
  L'osservazione breve è una modalità assistenziale alla quale il pediatra non può rinunciare perché consente di stabilizzare e di gestire i bambini con patologie di media complessità (che possono essere rappresentate dall'asma acuta, piuttosto che dalla gastroenterite, piuttosto che dal trauma cranico lieve) in breve tempo, quindi nell'arco di 24-48 ore a seconda delle linee guida regionali.
  Questo cosa comporta? Intanto il vantaggio della deospedalizzazione che ovviamente è l'obiettivo nei riguardi di un bambino; il vantaggio di andare incontro alle famiglie e soprattutto un risparmio economico per l'azienda, perché nel momento in cui non è attivata l'osservazione breve in una azienda ospedaliera, noi avremmo praticamente un ricovero ordinario che comporta un disagio per la famiglia, ma comporta anche costi che potevano essere assolutamente evitati.
  Allora, dalla nostra indagine – e questo ritengo possa essere un momento di riflessione anche per le autorità competenti – si evince che le regioni che hanno adottato le linee guida ministeriali (quindi della Conferenza Stato-regioni del 2019) sono quelle che hanno raggiunto quasi il tetto del 99 per cento di osservazioni brevi attive. Quindi abbiamo circa il 99 per cento di osservazioni brevi attive al Nord, 86 circa (ho mandato i dati precisi nella mia memoria) al Centro e al Sud il 36 per cento. Quindi ancora una volta c'è una disomogeneità organizzativa tra Nord, Centro e Sud Italia. Naturalmente le motivazioni non spettano a me.
  Un altro aspetto è quello dell'attivazione dei letti in terapia sub-intensiva e in terapia intensiva pediatrica. Anche qui abbiamo una notevole disomogeneità nell'ambito del nostro Paese, tra Nord, Centro e Sud. I posti di terapia sub-intensiva sono fondamentali perché consentono un appropriato ricovero in terapia intensiva pediatrica. Abbiamo pochissimi letti di terapia sub-intensiva nei DEA di primo livello, migliorano nei DEA di secondo livello, sono completi nell'ambito degli ospedali pediatrici.
  Anche questo comporta sicuramente delle competenze specifiche in ambito pediatrico ed investe la formazione del pediatra d'urgenza.
  In questo momento, come ben sapete, i pediatri preferiscono lavorare sul territorio, come si evince anche dal vostro programma:Pag. 8 è la realtà che si sta verificando anche nell'ambito della medicina di emergenza. Così come non ci sono medici di emergenza, non ci sono pediatri d'urgenza: bisogna dunque valorizzare queste figure.
  Noi stiamo lavorando molto per identificare anche un Syllabus, un curriculum che possa identificare la figura del pediatra d'urgenza, ma sicuramente dovremmo trovare insieme il modo per poter gratificare, non solo dal punto di vista economico, la figura e la presenza del pediatra d'urgenza nell'ambito di una struttura ospedaliera. Questo comporta anche una riduzione dei posti di terapia intensiva pediatrica.
  Anche qui abbiamo un'Italia che veramente ci «spaventa», con posti di terapia intensiva pediatrica presenti al Nord, pochi al Centro, quasi assolutamente assenti al Sud. Quindi assistiamo a quella migrazione di cui tanto si parla e a quei trasferimenti attraverso l'elisoccorso dalle regioni del Sud per raggiungere gli ospedali pediatrici che sono sicuramente più attrezzati.
  Un altro punto di forte interesse della nostra indagine è stato conoscere quale sia l'età di accesso, nell'ambito pediatrico, nelle diverse strutture ospedaliere nel nostro Paese.
  Anche qui c'è una difformità e dovremmo raggiungere un equilibrio.
  Sicuramente per noi pediatri è importante che il paziente da 0 a 18 anni venga gestito dal pediatra per una serie di motivi che riguardano soprattutto le riacutizzazioni delle patologie croniche. Seguire le patologie croniche dei nostri pazienti a cui siamo già abituati, ma soprattutto quella fase così delicata, che è la fase di transizione dall'età adolescenziale all'età adulta.
  Ci sono delle regioni, come la Lombardia e come anche la Calabria (mi pregio di essere calabrese) che accolgono nelle aziende ospedaliere i bambini e gli adolescenti fino a 18 anni. Ma ci sono delle regioni italiane che consentono il ricovero nei reparti di pediatria solo fino a 14 anni.
  Quindi sicuramente chiediamo omogeneità in tal senso, anche perché questa disomogeneità la si osserva anche nell'ambito della stessa regione. Nell'ambito della stessa regione, infatti, ci sono aziende ospedaliere che accolgono i bambini fino a 18 anni e aziende ospedaliere che accettano i bambini fino a 14 anni.
  L'ultimo punto che ritengo sia estremamente interessante e che rappresenta per l'età pediatrica probabilmente una criticità assoluta è il trasporto pediatrico. Noi abbiamo raggiunto, per quanto riguarda il neonato, livelli di eccellenza con il Servizio di trasporto emergenza neonatale (STEN) nel corso degli anni e non so se riusciremo a raggiungere la stessa eccellenza, in ambito pediatrico. Vediamo che ci sono molte difficoltà legate soprattutto alla carenza di risorse che vengono messe a disposizione.
  Si è parlato di mezzi di rianimazione, il collega ha parlato precedentemente anche di competenze che bisogna avere nell'ambito del trasporto, ma ci sono alcune regioni virtuose (che sono, probabilmente, sempre le solite) che addirittura hanno un personale dedicato per il trasporto pediatrico: un infermiere specificamente preparato per il trasporto pediatrico o il trasporto effettuato dal pediatra. Purtroppo, anche il trasporto dovrà essere attenzionato dalle autorità competenti, perché ci troviamo di fronte ad alcune difficoltà assolute.
  Noi sappiamo che la nostra rete dell'urgenza e dell'emergenza è organizzata in due blocchi fondamentali – quelli di Hub e di Spoke – e i bambini spesso si trovano a dover essere trasferiti da uno Spoke all'Hub e il più delle volte vengono trasferiti in modo non adeguato. Questo è sicuramente un altro punto che va migliorato nell'ambito della rete dell'urgenza e dell'emergenza pediatrica e, più in generale, della nostra sanità.
  Un altro aspetto fondamentale è quello della formazione. Abbiamo parlato di competenze e di valorizzare la figura del pediatra d'urgenza: tutto questo la SIMEUP sicuramente lo sta facendo, essendo leader nell'ambito della formazione in urgenza-emergenza, ma abbiamo bisogno di essere sostenuti sempre di più.
  Quindi, concludendo vorrei garantire insieme a voi la sicurezza dei bambini in tutte le situazioni di urgenza, tutelare la Pag. 9presenza dello specialista pediatra nell'ambito del pronto soccorso, valorizzare la figura del pediatra di pronto soccorso attraverso il riconoscimento della pediatria d'urgenza come area specialistica della pediatria.
  Per questo abbiamo già proposto, attraverso la Società italiana di pediatria, un Syllabus a chi si sta interessando delle sub-specializzazioni.
  Definire percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali pediatrici che prevedano l'integrazione ospedale territorio e soprattutto percorsi di formazione in urgenza-emergenza che coinvolgano tutti i sanitari nell'attesa dell'attivazione di un trasporto pediatrico, che ritengo sia in questo momento un'utopia proprio per la carenza sia di personale sia di risorse.
  È normale che, a vario titolo, dobbiamo essere competenti per assistere i bambini e quindi dobbiamo partire dai medici di emergenza, dal personale infermieristico, dal 118, dai presìdi di primo e di secondo livello e questa formazione deve essere completa, dal territorio all'ospedale.

  PRESIDENTE. La ringrazio. A questo punto chiedo se vi siano deputati che intendono intervenire. Onorevole Quartini, prego.

  ANDREA QUARTINI. La prima persona che è intervenuta, il dottor Andreucci, in maniera abbastanza efficace ha descritto un'ipotesi di lavoro volta ad una massimizzazione valoriale degli operatori dell'emergenza-urgenza, parlando sia di percorso territoriale sia di percorso intraospedaliero nei pronto soccorso. Vorrei chiedere se si hanno riscontri, da un punto di vista anche di letteratura scientifica, su alcuni processi che sono stati identificati anche a livello nazionale.
  In regione Toscana, almeno a suo tempo, fu fatta una valutazione di questo tipo rispetto al triage e all'osservazione breve sul See and treat, che mi sembrava fosse una delle ipotesi anche di valorizzazione della figura infermieristica. In che misura, nella loro esperienza, ritengono praticabili operazioni simili a quelle che avvengono nei Paesi del Nord Europa, ma anche in America del Nord, rispetto alla figura, per certi versi, intermedia, del paramedico?
  Perché per come ha descritto il quadro possibile (su cui ovviamente lo dico, anche da medico, non ho elementi pregiudiziali, ci mancherebbe altro, sappiamo sempre che fra le varie categorie ognuno difende il proprio pezzo corporativo ma non è questo l'interesse mio personale), volevo sapere se in termini di letteratura e di valutazione ci sono espressioni scientificamente validate, in termini di ipotesi di lavoro perché non mi è tanto chiaro da questo punto di vista.
  Ho apprezzato molto quello che ha detto, ma non avevo ben chiaro se c'era un'ipotesi di dare anche vesti nuove alle professioni (perché ha parlato anche di laurea magistrale) oppure viceversa.
  Quindi è chiaro l'esperienza è importante, il triennio in area critica è fondamentale, non entro nel merito di tutti questi aspetti, però mi sembrava che implicitamente ci fossero margini anche per pensare a nuove figure da questo punto di vista nel contesto dell'emergenza urgenza.

  ANDREA ANDREUCCI, presidente Nazionale Società italiana degli infermieri di emergenza territoriale (SIIET). Grazie mille onorevole Quartini. Rispondo alla domanda. Anzitutto, vorrei brevemente rimarcare le differenze tra la figura del paramedico, che non è sul nostro territorio perché qui parliamo di una figura tecnica, e l'infermiere che è una figura sanitaria, un professionista che appartiene ad una professione intellettuale e che ha tutto un altro campo d'azione.
  Lei giustamente ha parlato di riconoscimento, oppure di creazione di nuove figure. Io preferirei il riconoscimento perché queste nuove figure già ci sono, dobbiamo semplicemente riconoscerle.
  Il progetto See and treat toscano è partito ormai da otto anni e ha prodotto una quantità infinita di dati che siamo andati ad analizzare. Dai dati si legge chiaramente di margini estremi di sicurezza nell'affidare un paziente con patologie minori, con criticità minori, alla gestione infermieristica, in tutto quello che è codificato. Viene codificato come? Con alcuni algoritmi di Pag. 10trattamento. Sono redatti in maniera multi-professionale (quindi da un team di medici ed infermieri) che in base alle evidenze scientifiche redigono il percorso di quel paziente, e questo percorso viene affidato al ruolo infermieristico.
  Questo avviene già in Toscana e sono iniziate sperimentazioni anche nel territorio romagnolo, ad esempio Rimini, che ha aperto un'area di trattamento infermieristico per tutto quello che riguarda la casistica a bassa criticità, con, ripeto, margini di sicurezza assolutamente sostenibili e accettabili.
  Questo incide sicuramente sul fenomeno di boarding, e su quello di crowding, perché diamo percorsi alternativi. Poi se vogliamo andare avanti e pensare che il pronto soccorso abbia come propria mission quella di gestire, trattare, curare e prendere in carico le reali emergenze e le urgenze indifferibili e destinare invece ad altre strutture l'urgenza minore improcrastinabile, anche questa può essere una lettura interessante.
  Ci sono esperienze che sono partite in Lombardia, un'esperienza di riorganizzazione viene fatta proprio nella regione dove io lavoro, l'Emilia Romagna, con l'istituzione dei Centri assistenza urgenza (CAU) che dovrebbero andare a regime da qui a breve, anche se già in alcune località sono stati aperti.
  Anche questo potrebbe alleggerire i pronto soccorso di tutti quegli accessi che, come ho detto prima, sono impropri, ma, in generale, una «richiesta» di salute da soddisfare non è mai impropria per la cittadinanza. Quindi dobbiamo creargli strutture.
  Per quanto riguarda la letteratura, ci sono studi che dimostrano l'efficacia di questi sistemi, sia dell'avvio dell'iter diagnostico da triage che dell'utilizzo di percorsi di gestione infermieristica.

  PRESIDENTE. Ringrazio ancora una volta i nostri ospiti per aver accettato l'invito e soprattutto per i contributi di altissimo valore che hanno dato. Grazie e buon lavoro. Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione, in videoconferenza, di Domenico Mantoan direttore generale dell'Agenzia nazionale per i servizi regionali (AGENAS).

  PRESIDENTE. La Commissione prosegue l'audizione nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla situazione della medicina dell'emergenza-urgenza e dei pronto soccorso in Italia.
  Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la resocontazione stenografica e la trasmissione attraverso la web-tv della Camera dei deputati.
  Ricordo che l'odierna audizione sarà svolta consentendo la partecipazione da remoto, in videoconferenza, sia ai deputati che ai soggetti auditi secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il regolamento.
  Partecipa all'audizione odierna l'Agenzia nazionale per i servizi regionali (AGENAS), con il suo direttore generale, il dottor Domenico Mantoan. Saluto e ringrazio il nostro ospite per aver accolto l'invito della Commissione.
  Ricordo che allo svolgimento della relazione, da contenere entro dieci minuti se possibile, potranno seguire domande da parte dei deputati alle quali seguirà la replica dell'audito.
  La documentazione acquisita sarà resa disponibile ai deputati attraverso l'applicazione GeoCamera e sarà altresì pubblicata sul sito internet della Camera dei deputati.
  Do quindi la parola al dottor Mantoan.

  DOMENICO MANTOAN, direttore generale dell'Agenzia nazionale per i servizi regionali (AGENAS). Buongiorno, grazie dell'invito. Io mi faccio aiutare da alcune diapositive perché ho raccolto i dati degli accessi al pronto soccorso.
  Partiamo dai dati 2022: sugli accessi al pronto soccorso in Italia. Su 1.400 ospedali italiani, 615 hanno il pronto soccorso: 278 hanno il pronto soccorso in una struttura di base, 243 in DEA di primo livello e 94 in DEA di secondo livello. I DEA di secondo livello sono le strutture ospedaliere che hanno anche le alte specialità.
  Secondo gli standard del decreto ministeriale n. 70 del 2015, un pronto soccorso Pag. 11normale dovrebbe avere almeno più di 20 mila accessi, un pronto soccorso di primo livello più di 45 mila accessi e un pronto soccorso di secondo livello più di 70 mila accessi. Noi vediamo che ci sono il 30 per cento delle strutture che hanno meno di 15 mila accessi.
  Quindi sicuramente c'è una frammentazione delle strutture che erogano pronto soccorso: questo vuol dire che c'è un impegno di personale e di medici. Tenete presente che meno di 15 mila accessi è la dimensione che potrebbe avere una casa di comunità, quelle previste dal decreto ministeriale n. 77 del 2022, che servono 50 mila abitanti perché vedremo che più o meno il numero di accessi è 300 su 1.000, cioè il 30 per cento dei cittadini fa un accesso al pronto soccorso all'anno.
  Quindi, il primo dato è che ci sono troppi pronto soccorso con un numero di accessi basso. Abbiamo circa 17 milioni di accessi nel 2022 ai pronto soccorso, 4 milioni di accessi ai pronto soccorso semplici, 5 milioni ai DEA di secondo livello, 8 milioni ai DEA di primo livello.
  Ci sono poi i dati sulla percentuale di abbandoni dal pronto soccorso, cioè un cittadino che è andato in pronto soccorso, ha fatto il triage, è stato quindi accettato, e se ne va prima di essere visto dal medico. In proposito abbiamo una percentuale molto alta in Sardegna con il 25 per cento di abbandoni, poi Sicilia 12, Campania 11,8, Abruzzo 10, mentre le regioni dove c'è il minor numero di abbandoni sono la provincia di Bolzano, l'Umbria, il Veneto e la Basilicata.
  Vedete il numero assoluto: abbiamo avuto in Lombardia 2 milioni e ottocentomila accessi, in Emilia-Romagna un milione e seicentomila, in Lazio un milione e quattrocentocinquantamila.
  L'altro dato caratteristico è il numero dei codici verdi e quello dei codici bianchi. Segnalo che nella maggior parte delle regioni ci sono 9 milioni di codici verdi.
  Il codice verde – vi ricordo – è un codice bianco un po' più grave: quindi comunque bianchi e verdi quasi sicuramente corrispondono a patologie per cui non era necessario utilizzare il pronto soccorso.
  La percentuale dei codici verdi in Val d'Aosta è l'86 per cento, in Lombardia 74-72 per cento in quasi tutte le regioni è sul 60-70 per cento, con una caratteristica: il Veneto è la regione che ha il 50 per cento di codici bianchi (quindi si distingue da tutte le altre) mentre i codici bianchi sono sicuramente in quantità molto inferiore nelle altre regioni. La seconda è il Friuli col 20 per cento per arrivare poi alle regioni Campania, Marche e Lazio dove i codici bianchi sono il 2,2. Quindi sembra che ci sia una modalità di codifica per cui si favoriscono i codici verdi.
  C'è una caratteristica della Toscana che ha il 18 per cento di codici verdi e anche una percentuale bassa (5 per cento) di codici bianchi. Ci sono quindi diverse modalità di classificazione manuale delle stesse patologie.
  Per quanto riguarda gli accessi con valutazione medica per 1.000 residenti: abbiamo l'Emilia Romagna con 333,65, quindi circa il 30 per cento; Toscana e Piemonte, più o meno sono sul 30 per cento, mentre cominciano ad esserci numeri più bassi in Basilicata, Abruzzo, Sardegna, Campania e Val d'Aosta. Apparentemente queste sono regioni dove c'è un minore accesso ai pronto soccorso.
  Queste sono le risultanze in uscita degli accessi in pronto soccorso. I blu sono le persone che sono state rinviate al domicilio, in rosso-arancione i ricoveri in ospedale, in verde il trasferimento in altri istituti. Vi faccio notare che nelle regioni si comincia a registrare l'attivazione degli ospedali di comunità, per cui in Emilia Romagna, in Veneto, in Toscana, in Friuli Venezia Giulia in maniera importante, nella Provincia autonoma di Bolzano e anche nella Basilicata, si registrano percentuali anche importanti – 5-7 per cento, in Friuli Venezia Giulia addirittura 14 per cento – di trasferimento di pazienti che sono andati al pronto soccorso e poi sono stati trasferiti negli ospedali di comunità. Quindi questa struttura nuova prevista dal decreto ministeriale n. 77 del 2022 comincia ad essere attiva e presente.Pag. 12
  Abbiamo visto che il Lazio ha pochi codici bianchi e pochi codici verdi (pochi rispetto alle altre regioni). Ci sono 65 per cento di dimissioni al domicilio, una percentuale importante – il 16 per cento – di ricoveri e un 3 per cento di trasferimenti ad altri istituti. Quindi la somma delle due da una percentuale importante, superiore a quella delle altre regioni, e vi è anche una percentuale importante (in Lazio e Campania – in Campania quasi il 10 per cento) di cittadini che rifiutano il ricovero.
  Per quanto riguarda il dato dei ricavi del ticket del pronto soccorso: i codici bianchi e anche in teoria i codici verdi dovrebbero pagare il ticket. Abbiamo il Veneto che ricava 14 milioni di euro dal ticket, segue l'Emilia Romagna con 7 milioni, tutte le altre regioni hanno introiti del ticket molto ridotti. Cosa si ricava da questa analisi? Sicuramente il fatto di andare nei pronto soccorso esprime un bisogno di salute minore, ma comunque è un bisogno di salute. Il fatto che il 70 per cento dei codici siano codici bianchi e verdi significa che non vengono intercettati dall'organizzazione delle cure primarie e dei medici di medicina generale, per mille motivi.
  Sappiamo che oggi questo modello è un modello deficitario e va sicuramente rinnovato. Il decreto ministeriale n. 77 del 2022 prevede le Case di Comunità sia hub sia spoke. Una Casa di Comunità hub opera in un bacino di circa 50 mila persone e sapendo che il 30 per cento di queste 50 mila persone hanno la necessità di attivarsi per andare in pronto soccorso, potrebbe sicuramente assorbire 10 mila accessi di codici bianchi e codici verdi.
  Quindi questa riforma della medicina territoriale è una riforma importante. Se non si dovesse fare questa riforma, l'alternativa è potenziare i pronto soccorso perché c'è un bisogno di salute ineludibile che va comunque affrontato.
  L'altra cosa che mi permetto di dire è che in pronto soccorso mettiamo dei medici specialisti in medicina d'urgenza ed è uno dei motivi queste strutture hanno carenza di personale medico.
  C'è una rigidità del sistema per cui un direttore sanitario può inserire nei turni in pronto soccorso solo uno specialista in medicina d'urgenza; a mio parere è stato fatto un errore in passato nel rendere così rigido il sistema. Abbiamo visto che il 70-80 per cento degli accessi possono essere curati tranquillamente da un medico di medicina generale. Quindi il tema di chi va a lavorare in pronto soccorso è un tema sicuramente da affrontare.
  Sono da affrontare anche le competenze avanzate da affidare alle professioni sanitarie perché molte delle attività che si svolgono all'interno del pronto soccorso possono essere eseguite in una struttura protetta, come è un ospedale, e possono essere fatte dalle professioni sanitarie, da un infermiere, da un tecnico di radiologia, e così via.
  Quindi, sicuramente, il tema dell'affollamento dei pronto soccorso, che in alcune regioni ha anche degli aspetti veramente drammatici che poi sfociano in violenze nei confronti degli operatori, è sicuramente uno dei nervi scoperti del sistema sanitario italiano.

  PRESIDENTE. Grazie infinite dottor Mantoan. Le chiedo di inviarci quelle diapositive che trovo veramente molto interessanti.
  Chiedo se vi siano deputati che intendano fare domande. Onorevole Quartini, prego.

  ANDREA QUARTINI. Sì, grazie per la relazione. Mi riservo di guardare anche più attentamente le diapositive quando le avremo. Saltava molto agli occhi il tasso d'abbandono della Sardegna in questa prima fase, quasi il 25 per cento se ricordo bene, dal pronto soccorso. Mi chiedevo se era stata fatta un'ipotesi valutativa del perché è così alto questo tasso di abbandono.
  Mentre c'è una coerenza, in qualche modo, sui codici verdi e i codici bianchi per le regioni dove il Servizio sanitario nazionale viene ad oggi considerato «migliore» – uso questo termine senza voler «squalificare» le altre regioni. Mi sembra di aver visto che c'è coerenza anche in termini di pagamento dei ticket per i codici bianchi e i codici verdi per quanto riguarda Toscana, Pag. 13Veneto ed Emilia Romagna che sono le tre regioni storicamente ai primi posti nelle performance. Quindi c'è una certa coerenza interna che viene a essere manifestata.
  Ipotizzavo in passato che potesse avere un senso, per incoraggiare i cittadini a recarsi nelle Case della Comunità (Case della salute come si chiamavano qualche anno fa, laddove almeno queste strutture funzionavano) piuttosto che nei pronto soccorso, non far pagare il ticket perché tanti cittadini andavano al pronto soccorso per questo motivo. In questo momento si registra questa trasformazione: c'è una sorta di ticket che viene pagato per i codici verdi e per i codici bianchi. Però – lo dico da medico – la tendenza di gran parte dei colleghi è quella di cercare di non far pagare il ticket. Perché è evidente, e anche umano, pensare che la persona che si reca al pronto soccorso non ci va per divertirsi ma perché ha un disagio. Magari ha un disagio procrastinabile secondo il giudizio del medico, ma conta l'aspetto soggettivo della persona. L'aspetto prevalente è che non trova una risposta e va in pronto soccorso perché c'è un disagio importante, che può essere anche solo esistenziale, ma sempre un disagio è! Quindi tendenzialmente si tende, mi scuso per la ripetizione, ad alzare un pochino il codice per non far pagare il ticket.
  Se si eliminasse il ticket per chi va alla Casa della Comunità forse si incoraggerebbe il cittadino a non congestionare il pronto soccorso. Ora che si cerca di realizzarle queste Case della Comunità, un lavoro di questo tipo potrebbe essere un elemento incentivante.
  Non ho ben chiaro invece quanto il pronto soccorso, secondo le stime di AGENAS, soffra della riduzione dei posti letto in ospedale, vale a dire l'«imbuto» che si crea quando c'è bisogno di ricoverare il paziente in ospedale, perché abbiamo assistito anche nelle ultime settimane a persone che sono state nel pronto soccorso fino a 90 giorni. È stata una cosa scandalosa per molti versi, però è una spia del fatto che a volte l'ospedale con la riduzione dei posti letto dovuta al decreto ministeriale n. 70 del 2015, in qualche modo non ce la fa a smaltire la congestione che si crea al pronto soccorso e questo crea disagio negli operatori, nonché violenza, perché laddove il lavoro si accumula, si crea una situazione di stress.
  Mi chiedevo se poteva avere un senso pensare a un'idea di ospedale di Comunità che sia presente direttamente nella struttura dove c'è il pronto soccorso, perché la «fantasia» che molti hanno è che l'ospedale di Comunità sia magari più adiacente rispetto alla Casa della Comunità. Siccome ci sono molti reparti dismessi negli ospedali principali, che abbiamo utilizzato e riaperto durante il Covid, forse potrebbero essere adibiti anche ad ospedale di Comunità. Quindi si potrebbe trovare l'ospedale di Comunità dentro il policlinico che è attrezzato con un pronto soccorso di grande valore e di grande efficienza, e a quel punto forse lo stesso ospedale di Comunità aiuterebbe a decongestionare il pronto soccorso rispetto all'«imbuto» di cui parlavo prima.

  PRESIDENTE. Grazie onorevole Quartini. Prego dottor Mantoan.

  DOMENICO MANTOAN, direttore generale dell'Agenzia nazionale per i servizi regionali (AGENAS). Sarà perché siamo medici, ma mi trovo molto d'accordo con quello che ha detto l'onorevole Quartini. In primo luogo: se le Case di Comunità venissero attivate e funzionassero 24 ore su 24, 7 giorni su 7, prevedendo un triage con un infermiere e un medico di medicina generale, è ovvio che non ci sarebbe l'erogazione di un ticket perché sono prestazioni da cure primarie, quindi appropriate. Quindi, solo nei casi in cui il cittadino si rechi al pronto soccorso con un codice bianco o un codice verde, a quel punto dovrebbe pagare un ticket anche importante, perché si tratterebbe di un servizio aggiuntivo rispetto a quello garantito vicino casa e con la rete di mezzi e di medicina generale raggruppati in Aggregazione funzionale territoriale (AFT), che ti hanno in cura e che ti conoscono meglio rispetto al medico del pronto soccorso. Quindi, sicuramente, la messa in opera di queste Case Pag. 14di Comunità dovrebbe in parte diminuire l'afflusso ai pronto soccorso e non ci sarebbe la necessità di far pagare i ticket.
  Quanto al tema degli ospedali di Comunità, noi ci siamo «autoridotti» e abbiamo il più basso numero di posti letto ospedalieri d'Europa. Nel frattempo la nostra popolazione è diventata sempre più anziana e sempre più malata e uno dei problemi che hanno i medici di pronto soccorso è che trovano i reparti occupati, «ingolfati»; c'è difficoltà a dimettere le persone, non ci sono le strutture della riabilitazione, le famiglie non sono più quelle di una volta e quindi non hanno certe possibilità.
  L'Assistenza domiciliare integrata (ADI) in mezza Italia non esiste o esiste in termini molto marginali – e quindi l'attivazione degli ospedali di Comunità (avete visto che in alcune regioni questo processo è stato avviato) è di grande ausilio perché molti degli accessi ai pronto soccorso sono dovuti a patologie croniche che si riacutizzano e che non hanno bisogno di un ricovero in ospedale per acuti, ma hanno bisogno di un ricovero in un ospedale che ha meno intensità medica e più intensità infermieristica. Quindi sicuramente l'attivazione di ospedali di Comunità all'interno di un policlinico, all'interno di un DEA di secondo livello, aiuterebbe molto il decongestionamento del pronto soccorso, nonché per il ricovero di casi «sociali». Infatti sempre di più ci sono dei casi in cui non si riesce a dimettere i pazienti perché non c'è una struttura sociale, non c'è una famiglia, non c'è qualcuno che accolga queste persone.
  Quindi bisogna che il modello organizzativo del nostro Paese cambi e si adegui alle nuove necessità, perché questi sono dati reali e oggettivi e quindi dobbiamo creare un modo più accogliente per andare incontro alle esigenze dei nostri cittadini. Come diceva giustamente l'onorevole Quartini, non ci sono solo problemi di salute ma a volte ci sono anche problemi legati al disagio e a situazioni ambientali.
  Quanto al tasso di abbandono, confermo il dato. Noi lo comunichiamo al Ministero, ma è in possesso anche della regione Sardegna. Se si vuole fare un audit noi siamo anche disponibili, l'importante è che ci sia un accordo tra Ministero e regione per capire perché succedono queste cose. Anche se non è difficile da capire, perché i tassi di abbandono, sono determinati da tempi di attesa troppo lunghi; è gente che aspetta e decide di andare da qualche altra parte. Non è un caso che, non in Sardegna ma in qualche altro posto d'Italia, stanno sorgendo i pronto soccorsi a pagamento. È un modo per intercettare i bisogni e sempre di più si sta diffondendo la sanità integrativa, con i fondi integrativi e con le assicurazioni. Sicuramente questo è un settore dove potremo anche trovare, in futuro, qualche attivazione di pronto soccorso privati.

  PRESIDENTE. Grazie dottore, sono passati i bei tempi delle nostre interlocuzioni tra AGENAS e regione Sardegna. Grazie del contributo.
  Ci sono altre domande? Prego, onorevole Girelli.

  GIAN ANTONIO GIRELLI, intervento in videoconferenza. Volevo fare una considerazione di carattere generale e poi alcune domande. Lei faceva riferimento, dottor Mantoan, e la ringrazio per la relazione, al basso numero di accessi ad alcuni pronto soccorso, dato che indubbiamente è vero. Però magari sono soprattutto in quelle zone, anche interne o montane, dove il numero della popolazione è ridotto, ma le distanze sono notevoli e quindi è naturale che ci siano pochi accessi. Però è impensabile chiudere quei pronto soccorso perché ciò renderebbe difficoltoso l'accesso stesso a chi vive in quei territori già di per sé disagiati.
  Il numero di accessi impropri, da quanto ci ha detto lei, aumenta dove manca una rete di medicina di prossimità e territoriale, perché il cittadino che ha una difficoltà e non è in grado di autovalutarsi va dove può trovare una risposta. Quindi, è indubbio che investire sulla medicina territoriale, riscoprire il ruolo dei medici di medicina generale, è la strada da seguire. Però è difficile visti i numeri di operatori disponibili e la difficoltà di far partire Pag. 15esperienze di questo tipo laddove non erano già esistenti con la Casa della Salute. Penso alla Lombardia, la mia regione, dove fino adesso è stata più un'operazione da «imbianchini» che da organizzazione sanitaria quella delle Case delle Comunità.
  Aggiungo anche un altro tema: il grande accesso della popolazione immigrata al pronto soccorso in mancanza di una cultura di medicina territoriale, ma anche di riferimenti a cui potersi rivolgere. Quindi il tema della medicina internazionale, con quello che ne consegue.
  Tutte queste difficoltà nell'immediato, a suo giudizio, come possono essere affrontate? Perché è indubbio che i processi avviati e l'incremento di personale sanitario hanno bisogno di tempi di attuazione. Sta di fatto che la cosa sta implodendo, e come lei giustamente sottolineava, sta scattando un meccanismo di risposta privata che, però, vorrei sottolineare, si occupa solo di casi molto remunerativi e anche semplici dal punto di vista dell'accoglienza, salvo poi dirottare sul pronto soccorso pubblico tutto quello che ha una qualche complicazione. Perché è questo che sta avvenendo di fatto nelle realtà private.
  Aggiungo che molte volte – questo non è un fatto bello ma è umanamente comprensibile – il pronto soccorso diventa anche un mezzo per saltare le liste di attesa per alcuni tipi di diagnostica, e i cittadini che si trovano a dover aspettare un anno per avere un esame, a volte scelgono quella strada. Fra di noi, per fare un esame serio della situazione, dobbiamo dircelo.
  Da questo punto di vista non pensa che riuscire a trovare il modo di intervenire sulle liste d'attesa, dovute a volte anche ad alcune prescrizioni improprie sia uno dei campi di azione? La ringrazio.

  DOMENICO MANTOAN, direttore generale dell'agenzia nazionale per i servizi regionali (AGENAS). Quando vi ho fatto vedere che ci sono i pronto soccorso da 25 mila accessi non intendevo certamente sostenere che andavano chiusi. Volevo dire che se c'è un pronto soccorso con 25 mila accessi, si tratta di una struttura sottoutilizzata con un medico specialista 24 ore su 24, e un minimo di due infermieri, e questo vuol dire che ci sono sei medici, dodici infermieri (sto parlando da direttore sanitario), e ciò assorbe delle risorse.
  Quei pronto soccorso da 25 mila accessi, o 15 mila accessi, non sono solamente in montagna. Dalla nostra analisi risulta che ci sono delle città importanti dove a pochi chilometri (a 2-3 chilometri di distanza) ci sono due pronto soccorso, ognuno dei quali con 15 mila accessi. Quindi in quel caso sarebbe auspicabile che la regione accorpasse i pronto soccorso. Però noi forniamo i dati, poi l'organizzazione, nel nostro Paese, è in mano alle regioni.
  È altrettanto vero che finché non diamo alternative ai cittadini, non facciamo la riforma della medicina territoriale, oggi il cittadino italiano o extracomunitario, quello che ha un problema vero, quello che ha un problema presunto, quello che vuol sapere, che non riesce ad avere una prestazione, va in pronto soccorso. Sono tutte motivazioni alla base del fatto che il 70-80 per cento sono codici bianchi o codici verdi. Ma sono problemi che i nostri cittadini hanno e quindi occorre fare velocemente due, tre cose: la prima è la riforma dei medici di medicina generale, che non significa farli diventare dipendenti; possono rimanere come sono, convenzionati, però nel contratto di lavoro, che in questo momento è in discussione, se crediamo nelle Case di Comunità, va scritto nero su bianco: «ti pago anche di più, però tu devi organizzare il tuo modo di lavoro attivando queste Case di Comunità, 24 ore su 24». Va scritto nel contratto di lavoro e se ci sono dei medici che non vogliono, si può anche usare il doppio binario: cioè, chi sta per andare in pensione, chi ha pochi anni di attività professionale, può continuare con l'attuale contratto di lavoro. Per i giovani si può pensare a un contratto diverso, parlate coi giovani medici: loro vogliono lavorare nelle Case di Comunità. Queste Case di Comunità, se ci crediamo, vanno attivate e se non ci crediamo vanno chiuse e dobbiamo creare l'alternativa. L'alternativa qual è? Quadruplichiamo i pronto soccorso e mettiamo i medici di medicina generale a lavorare nei pronto soccorso. Non è che ci siano tante alternative, perché il bisogno del cittadinoPag. 16 che si reca al pronto soccorso perché non trova nient'altro esiste.
  Come vi ho detto, siamo in presenza di una popolazione anziana, con un contesto sociale che non è più quello di qualche decennio fa. Le famiglie non sono più quelle di un tempo e viviamo di più, ma in presenza di patologie croniche che si riacutizzano e quindi bisogna trovare un sistema per prenderci in carico questi problemi minori dei nostri cittadini. Esiste anche il tema delle liste d'attesa: oggi anche nelle regioni del Nord è difficile per un cittadino ricevere una prestazione sanitaria.
  Ognuno ha la sua ricetta per capire come è successo questo, ma è un dato di fatto oggettivo: le liste d'attesa sono un problema importante per i nostri cittadini che quindi trovano alternative in pronto soccorso con tutte le conseguenze. Il nostro è un sistema che ha bisogno di essere velocemente ammodernato in un modo o in un altro. A me piace il modello della Casa della Comunità, ma se qualcuno ha un modello diverso andiamo pure verso modelli diversi.
  Si dice: «Ma la Germania ha il 10 per cento del PIL, 2 punti in più del nostro». Sì, ma la Germania ha tre volte i nostri posti letto ospedalieri. In Germania qualsiasi problema hai, ti ricoverano da qualche parte. Hanno trovato un sistema, hanno i pronto soccorso vuoti e gli ospedali pieni, però hanno tre volte il numero di posti letto che abbiamo noi. È come se noi triplicassimo gli ospedali: non è che costino poco gli ospedali, noi li abbiamo ridotti perché costavano troppo.

  PRESIDENTE. Prego, onorevole Quartini.

  ANDREA QUARTINI. Osservo anch'io che la pensiamo nello stesso modo anche rispetto al discorso della medicina generale e dei contratti, e lo apprezzo ovviamente. Ha già risposto parzialmente alla domanda che volevo fare, però la «amplifico» per vedere se riusciamo a trovare, anche come Commissione, alcune idee da questo punto di vista.
  Alla domanda ha risposto parzialmente, nel senso che quella che volevo fare era la seguente: quanti pronto soccorso che hanno meno di 15 mila accessi l'anno rispondono al requisito previsto dal decreto ministeriale n. 77 del 2022, vale a dire sono pronto soccorso collocati in aree interne o disagiate o insulari? Lei parzialmente ha già risposto perché ha detto che ci sono anche pronto soccorso che hanno meno di 15 mila accessi l'anno collocati in città. Volevo capire in realtà quanti di questi hanno i requisiti per le deroghe previste nel punto n. 9 dell'allegato al decreto ministeriale n. 70 del 2015.
  Mi chiedevo questo perché è un tema molto sentito nelle varie regioni, per quello che ho capito: cioè ogni regione, a un certo punto, definisce al proprio interno quali siano le aree disagiate. Non avrebbe più senso che ci fossero dei parametri più chiari su base nazionale? So di una regione che ha un'area disagiata che è collocata in un contesto dove nel giro di venti chilometri ci son tre ospedali – ospedali tutti e tre dotati di pronto soccorso. E conosco un'area dove c'era un ospedale che è collocato a un'ora e mezza dall'ospedale provinciale più vicino (un'ora e mezza nei fatti: secondo Google Maps sono cinquantacinque minuti, però siccome è una strada con problematiche importanti da un punto di vista infrastrutturale, ci vuole un'ora e mezza). Quest'area non è stata giudicata in quella regione area disagiata e quindi le è stato tolto il pronto soccorso mentre nella stessa regione c'è stata una scelta politica diversa, evidentemente legata alle pressioni sociali, alle pressioni dei vari comuni, dei vari sindaci della zona perché lì ci sono serbatoi elettorali più interessanti rispetto all'area montana con 10 mila abitanti. Questo è un po' il ragionamento. Allora se si riuscisse a definire tutto ciò a livello nazionale almeno si eviterebbe di creare questo tipo di difficoltà nelle regioni.

  DOMENICO MANTOAN, direttore generale dell'Agenzia nazionale per i servizi regionali (AGENAS). Onorevole Quartini, se vuole io le mando l'elenco dei pronto soccorso che hanno meno di 20 mila accessi e vedrà che qualcuno è in area disagiata, molti invece sono in aree cittadine e quindi rientriamo nel tema che ha sollevato. Il Pag. 17decreto ministeriale n. 70 del 2015 è un documento nazionale, ancorché derivato da un accordo Stato-regioni. Poi per applicarlo è stato istituito un tavolo (si chiama «tavolo DM70» che è presso il Ministero della salute) che avrebbe dovuto vagliare gli atti programmatori delle regioni, compresi i punti nascita (un altro tema sempre scottante), compresa appunto l'attivazione dei vari pronto soccorso, dei punti di primo intervento, dei DEA di primo e di secondo livello.
  E qui entriamo nella discussione sul rapporto tra Stato centrale e regioni: abbiamo infatti le regioni, che hanno capacità e potere organizzativo, e lo Stato, che dovrebbe fare rispettare i provvedimenti nazionali, e invece registriamo una certa «cedevolezza». Quindi, quando si dice che ci sono 21 regioni e 21 sanità diverse probabilmente questo è dovuto anche al fatto che in questi anni lo Stato centrale e il Ministero (e questi tavoli tecnici) non sono stati molto cogenti; questo è il tema. Poi nelle scelte regionali sicuramente entrano tutta una serie di fattori che conosciamo bene, per cui certe volte vengono anche fatte delle scelte che non sono di tipo tecnico ma sono di tipo ambientale, politico e sociale. Diciamo che la verità sta sempre nel mezzo: bisognerebbe cercare di fare scelte tecniche importanti tenendo anche presente le esigenze dei cittadini, le esigenze della politica, anche di quella locale.
  Da parte mia non c'è nessuna indicazione per chiudere i pronto soccorso fin tanto che non è completata la nuova organizzazione territoriale, altrimenti andremmo solo a tagliare ulteriormente i servizi ai nostri cittadini.

  PRESIDENTE. La ringrazio dottor Mantoan anche per la sua presentazione informatica, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato). Abbiamo abbondantemente sforato i tempi e questo credo che sia l'indice migliore della qualità del contributo. Grazie e buon lavoro. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.40.

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ALLEGATO

Presentazione informatica illustrata dal direttore generale
dell'AGENAS Domenico Mantoan.

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