XIX Legislatura

III Commissione

COMITATO PERMANENTE SULLA POLITICA ESTERA PER L'INDO-PACIFICO

Resoconto stenografico



Seduta n. 6 di Martedì 28 novembre 2023

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Formentini Paolo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA PROIEZIONE DELL'ITALIA E DEI PAESI EUROPEI NELL'INDO-PACIFICO
Formentini Paolo , Presidente ... 3 
Fasulo Filippo , Co-responsabile dell'Osservatorio Geoeconomia dell'Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI) ... 3 
Formentini Paolo , Presidente ... 8 
Orsini Andrea (FI-PPE)  ... 8 
Formentini Paolo , Presidente ... 8 
Rosato Ettore (AZ-PER-RE)  ... 8 
Formentini Paolo , Presidente ... 8 
Quartapelle Procopio Lia (PD-IDP)  ... 8 
Formentini Paolo , Presidente ... 9 
Billi Simone (LEGA)  ... 9 
Formentini Paolo , Presidente ... 9 
Fasulo Filippo , Co-responsabile dell'Osservatorio Geoeconomia dell'Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI) ... 9 
Formentini Paolo , Presidente ... 11 
Fasulo Filippo , Co-responsabile dell'Osservatorio Geoeconomia dell'Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI) ... 11 
Formentini Paolo , Presidente ... 12

Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
Azione - Popolari europeisti riformatori - Renew Europe: AZ-PER-RE;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Noi Moderati (Noi con L'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE: NM(N-C-U-I)-M;
Italia Viva - il Centro - Renew Europe: IV-C-RE;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
PAOLO FORMENTINI

  La seduta comincia alle 13.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la resocontazione stenografica e la trasmissione attraverso la web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Filippo Fasulo, Co-responsabile dell'Osservatorio Geoeconomia dell'Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle tematiche relative alla proiezione dell'Italia e dei Paesi europei nell'Indo-Pacifico, l'audizione di Filippo Fasulo, Co-responsabile dell'Osservatorio Geoeconomia dell'Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI).
  Ricordo che la partecipazione da remoto è consentita alle colleghe e ai colleghi secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento.
  Anche a nome dei componenti del Comitato, ringrazio per la disponibilità a prendere parte ai nostri lavori il dottor Fasulo, che, tra le altre cose, ha ricoperto anche l'incarico di direttore dell'Italy-China Foundation Centre on business research ed è membro del Comitato scientifico di Mondo Cinese, autorevole rivista italiana sulla Cina contemporanea.
  Considerati i tempi stretti dell'audizione, do subito la parola al dottor Fasulo affinché svolga il proprio intervento. Grazie.

  FILIPPO FASULO, Co-responsabile dell'Osservatorio Geoeconomia dell'Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI). Grazie. Ringrazio per il cortese invito e ringrazio anche per occuparsi di un tema come quello dell'Indo-Pacifico, che è un tema di crescente interesse a livello internazionale e di crescente importanza anche per la politica estera italiana.
  Ho avuto modo di seguire i lavori delle audizioni precedenti e quindi cercherò nel mio intervento di provare a toccare alcuni temi leggermente differenti; nel senso che il mio contributo cercherà di inquadrare l'interesse italiano nei confronti dell'Indo-Pacifico non soltanto dal punto di vista regionale, ma nel contesto anche del mutato scenario di politica economica internazionale.
  Quindi, per queste ragioni, mi concentrerò soprattutto su tre aspetti: uno è ovviamente l'Indo-Pacifico, l'altro è quello della cosiddetta economic security e il terzo è il tema del de-risking. Sono tre concetti strettamente collegati uno all'altro, che vanno per forza di cose affrontati in maniera contestuale.
  Partiamo dall'Indo-Pacifico, che ovviamente è l'oggetto di questa audizione ed è il tema su cui ci si è più spesi negli scorsi incontri. Il contributo che volevo dare io, però, è quello di porre l'attenzione su un aspetto fondamentale, ovvero il fatto che Indo-Pacifico è un concetto che ha una forte connotazione politica. La nascita del concetto di Indo-Pacifico è una proposta di politica estera da parte del Giappone, in particolare da parte del Premier Shinzo Abe, che a più riprese ha promosso il concetto di Indo-Pacifico.
  Che cos'è l'Indo-Pacifico, e rispetto a cosa si differenzia? Si differenzia soprattutto rispetto al tema dell'Asia-Pacifico, che Pag. 4è soltanto l'area costiera dell'Asia orientale, e con l'Indo-Pacifico il Giappone cercava una sponda verso l'India per trovare un alleato nel contenimento nei confronti della Cina.
  Quindi il concetto di Indo-Pacifico è un concetto che ha appunto una connotazione politica, perché è una proposta giapponese di coinvolgimento dell'India nel contenimento della Cina. Questa proposta, questa idea di Indo-Pacifico, che viene appunto presentata nel corso di più anni da parte del Giappone, ottiene un'eco maggiore a partire dal 2017-2018, quando viene, di fatto, sposata da parte dell'Amministrazione statunitense. Quindi, nel concetto di Indo-Pacifico, come detto, c'è implicitamente l'idea di un'azione di allargamento del perimetro geografico per coinvolgere l'India nel contenere la Cina. Questo è il punto di partenza sul quale si costruiscono poi successivamente tutta una serie di strategie nazionali, di strategie internazionali e di politiche di vario tipo.
  In particolare, quello che accade è che una volta che viene definito un nuovo perimetro geografico, su di esso vengono costruite appunto delle istituzioni. Pensiamo al rilancio dell'iniziativa del Quadrilateral Security Dialogue tra Stati Uniti, India, Giappone e Australia in ambito militare; alla creazione dell'AUKUS (Australia, Regno Unito e Stati Uniti), in ambito ancora militare; ma soprattutto alla nuova definizione dei confini, che – come vedremo tra poco – sono confini in qualche maniera incerti. Quello che accade è che la Francia – e in particolare, oltre a Francia, l'Unione europea – possono considerarsi come attori residenti della regione. Quindi, quello che accade è che rispetto alla più stretta definizione di Asia-Pacifico che conteneva soltanto il margine orientale dell'Eurasia e alcuni Paesi del Sud-Est asiatico, con Indo-Pacifico si amplia enormemente la geografia.
  Cosa vuol dire che si amplia enormemente la geografia? Qui ci sono diverse posizioni, ci sono diverse aree di interpretazione, secondo alcuni si arriva all'India e poco oltre, secondo altri si vanno a toccare addirittura le sponde del Sudamerica o anche dell'America del Nord, tant'è vero che in alcuni casi anche lo stesso Canada viene indicato come un Paese dell'Indo-Pacifico.
  Quello che dal nostro punto di vista può essere più interessante è invece l'inquadramento dell'Unione europea di quello che è l'Indo-Pacifico.
  Da cosa lo desumiamo? Non è stato chiaramente definito all'interno della strategia europea per l'Indo-Pacifico, ma lo desumiamo dalla partecipazione ad una serie di forum ministeriali che si sono tenuti a partire dal 2022 a Parigi, in Repubblica Ceca e a Stoccolma.
  La partecipazione a questi forum, sui quali ora torneremo, vede non soltanto, ovviamente, la partecipazione dei Paesi del Sud-Est asiatico, dell'Asia meridionale, del Pacifico, dell'Australia e della Nuova Zelanda, ma anche la partecipazione dei Paesi delle coste africane orientali – pensiamo anche al Kenya, per esempio – e Paesi del Golfo, quali l'Oman e gli Emirati Arabi Uniti. Quindi si tratta di una geografia estremamente ampia, che permette all'Unione europea di potersi presentare nei confronti della regione come un attore residente e quindi di facilitare le sue relazioni verso quest'area.
  Andiamo adesso a vedere maggiormente nel dettaglio come si presentano e come si definiscono le relazioni dell'Unione europea nei confronti di quest'area; dobbiamo tornare ancora una volta a questi forum ministeriali: il primo forum ministeriale per la cooperazione nell'Indo-Pacifico, organizzato a Parigi il 22 febbraio del 2022; un secondo forum, di taglio inferiore - si chiama infatti High Level Dialogue -, organizzato dalla presidenza della Repubblica Ceca nel giugno del 2022; e un terzo forum, sempre a livello ministeriale, organizzato dalla presidenza svedese nel maggio del 2023.
  Che cosa vediamo? Vediamo sostanzialmente che nell'approccio dell'Unione europea verso l'Indo-Pacifico – e questo credo sia un punto fondamentale – coesistono due anime: un'anima è quella legata alla nascita del concetto, che è quella del contenimento alla Cina; quindi, in un caso, Pag. 5quando si parla di Indo-Pacifico si parla di una strategia volta al contenimento della Cina; in un secondo caso, la seconda anima della strategia nei confronti dell'Indo-Pacifico è invece una strategia che utilizza il concetto di Indo-Pacifico per sviluppare una maggiore integrazione con l'area.
  Quindi, il fatto che un'area che prima già esisteva, in forma però meno coesa, con concetti come Asia-Pacifico o con concetti come Sud-Est asiatico, il fatto che ora vengano integrate all'interno del concetto di Indo-Pacifico permette di sviluppare una strategia di ingaggio, di maggiore coinvolgimento di questa regione.
  Dunque, il punto fondamentale è che ogni volta che noi parliamo di Indo-Pacifico, soprattutto nel contesto dell'Unione europea, stiamo probabilmente utilizzando lo stesso termine per indicare due cose che possono essere collegate, ma non sempre lo sono.
  Da cosa lo capiamo? Lo capiamo appunto perché nel primo forum ministeriale organizzato a Parigi il 22 febbraio del 2022 – ritorno sulla data perché la data evidentemente, nonostante la presidenza francese ci puntasse molto, è stata una data particolarmente sfortunata, perché due giorni dopo è avvenuta l'invasione russa dell'Ucraina e quindi questo ha messo evidentemente in secondo piano l'interesse francese verso l'Indo-Pacifico, l'azione francese-europea verso l'Indo-Pacifico che doveva caratterizzare la presidenza del primo semestre del 2022 – non sono stati invitati né la Cina, che comunque è un soggetto regionale, né gli Stati Uniti, né la NATO. In quel contesto, quindi, c'è stato l'interesse francese di sviluppare una politica indipendente, o perlomeno quanto più autonoma, da quella dell'Unione europea verso la regione.
  Diversamente, nel dialogo di alto livello organizzato a Praga nel giugno dello stesso anno c'è stata una partecipazione differente perché, se prima non era stato così, invece sia gli Stati Uniti sia rappresentanti NATO, ma anche rappresentanti di Paesi come il Canada e il Regno Unito, sono stati invitati e il taglio degli interventi è stato maggiormente focalizzato su temi di sicurezza.
  Nuovamente, quando c'è stato il secondo forum ministeriale a maggio di quest'anno organizzato dalla presidenza svedese sono stati invitati ancora gli Stati Uniti, ancora la NATO, ma, allo stesso modo, il taglio della discussione è stato ancor più rivolto a temi di integrazione verso l'area.
  Quindi, dicevamo, due anime differenti nel momento in cui discutiamo di questo argomento, un'anima di contenimento nei confronti della Cina, che tanto è vero contesta e rifiuta apertamente il concetto di Indo-Pacifico; e un'anima, invece, di utilizzo di una nuova geografia che si è sviluppata a partire da una concezione politica, per avere una maggiore opportunità di incontro e di contatto con questi Paesi.
  Aggiungiamo adesso un altro elemento. L'altro elemento da assolutamente considerare è quello della cosiddetta sicurezza economica, che in inglese si presenta come economic security, che è un concetto che è stato in qualche maniera svolto e presentato in maniera teorica dal National Security Advisor americano Jake Sullivan in un discorso al think tank americano Brookings Institution il 27 aprile di quest'anno.
  Che cos'è sostanzialmente l'economic security? È ciò di cui noi tutti stiamo parlando da dopo la pandemia e dopo l'invasione russa dell'Ucraina, ovvero è la messa per iscritto e messa in bella forma dell'idea che sostanzialmente il concetto che l'interdipendenza economica vincesse sopra le relazioni politiche, e quindi appunto che l'economia pesasse più della geopolitica, attualmente quello che noi stiamo vedendo è invece che il peso della geopolitica è superiore rispetto al peso delle relazioni economiche. Quindi accade che ci si rende conto che l'interdipendenza economica, se asimmetrica, può essere utilizzata come arma di coercizione.
  Il concetto che viene utilizzato è quello della cosiddetta weaponized interdipendence, l'interdipendenza weaponizzata. Questo vuol dire che, dunque, bisogna mettere in pratica una serie di azioni estremamente chiare, che vengono appunto presentate Pag. 6dallo stesso Sullivan, ma le possiamo rivedere all'interno delle azioni fatte dalla Commissione europea, dal Governo americano, ma fatte anche da altri attori nel resto del mondo: sostanzialmente, se l'interdipendenza economica, se non bilanciata, può essere utilizzata come arma di coercizione, l'obiettivo che gli Stati si pongono è quello di ridurre la loro dipendenza nei confronti degli altri Stati.
  Come fare a ridurre la dipendenza nei confronti degli altri Stati, in particolare Stati che non hanno una condivisione politica valoriale? Attraverso tre tipi di azione.
  Una è quella che possiamo definire come build capacity, ovvero costruire capacità industriali nei settori chiave – e abbiamo visto tutti i vari Chips Act, ARI, eccetera – che va esattamente in questa direzione, e questo si traduce nell'ipotesi del cosiddetto reshoring, quindi portare in casa la produzione dei settori critici. Questo però non è sempre possibile, per evidenti ragioni di costo, quindi un'alternativa è quella del cosiddetto friend-shoring, che vuol dire fare reshoring nei confronti di un Paese che ha una vicinanza politica.
  Ma come farlo, quindi? Il secondo concetto che viene utilizzato dopo build capacity è build alliances, costruire alleanze. In questo senso, alleanza principale che vediamo in questo momento è il cosiddetto IPEF (Indo-Pacific Economic Framework for Prosperity), che è un accordo economico – attenzione, un accordo economico, un accordo commerciale – proposto dall'Amministrazione Biden nel 2022, che sta portando una serie di risultati, avrebbe dovuto ottenere un ulteriore avanzamento in occasione dello scorso vertice IPEF, ma poi non si è portato avanti. Il punto, sostanzialmente, è la creazione di reti di Paesi che abbiano una vicinanza politica e dei quali ci si possa fidare – politicamente – nel caso ci sia una dipendenza nei confronti di questi Paesi.
  Il terzo elemento fondamentale è, se esiste un tema di dipendenza e devo ridurre la mia dipendenza nei confronti di un Paese considerato non allineato politicamente, che invece io sia il soggetto che ha il potere di coercizione e quindi che l'altro Paese sia potenzialmente dipendente. Quindi il terzo elemento in questo caso è quello di mantenere il gap tecnologico nei confronti dell'altro Paese.
  L'esempio più chiaro in questo senso è la misura adottata da parte degli Stati Uniti il 7 ottobre del 2022, che ha limitato le esportazioni di prodotti e macchinari per la produzione di microchip avanzati nei confronti della Cina. Una misura ritenuta estremamente impattante e che poi rientra in quel contesto, che vediamo ogni tanto, delle limitazioni da parte cinese delle esportazioni di terre rare e materie prime. Il tutto rientra all'interno di questa fattispecie.
  Arriviamo dunque al terzo termine che proponevamo oggi: Indo-Pacifico, economic security e il terzo è de-risking. Attenzione, aggiungo che con l'economic security quello che avviene, dal punto di vista teorico, è che il cosiddetto Washington consensus, che presupponeva la promozione del libero mercato, in qualche modo venga riscritto e che il punto fondamentale della politica economica internazionale non sia più tanto la ricerca dell'interdipendenza, quanto piuttosto la ricerca della sicurezza economica.
  Questo lo vediamo nel comunicato del G7 dello scorso maggio in Giappone, lo vediamo nella presentazione dell'European economic strategy dello scorso maggio ed è portato avanti dall'azione anche dell'Unione europea, che sta proseguendo all'interno del perimetro definito dall'European economic strategy.
  Dunque, il de-risking, di fatto, è la messa in pratica di questo concetto di economic security: il punto è quello di ridurre gradualmente la propria esposizione verso la Cina e, di fatto, diversificare le supply chains verso altri Paesi. Questo è anche centrale all'interno della strategia europea verso l'Indo-Pacifico presentata nel settembre del 2021, che mette al centro della sua azione il tema di costruire catene del valore resilienti e di diversificazione, vuol dire esattamente questo.
  Questo si collega, a quanto abbiamo detto, con l'Indo-Pacifico perché evidentemente la prima area verso cui diversificare la produzione non può essere altro che Pag. 7l'Indo-Pacifico. Non può essere altro che l'Indo-Pacifico perché nell'Indo-Pacifico ci sono competenze adatte per costruire prodotti di alta qualità, ci sono costi del lavoro che sono ancora inferiori rispetto agli Stati Uniti e rispetto all'Unione europea e, oltre a questo, hanno una visione politica più in linea con quella dei Paesi occidentali, appunto gli Stati Uniti e l'Unione europea. Dunque l'Indo-pacifico risulta essere l'ambito di predilezione per fare de-risking, l'ambito di predilezione per cercare di diversificare le linee di produzione.
  Non a caso i Paesi del Sud-Est asiatico, le sette principali economie dell'ASEAN – tranne Laos, Cambogia e Myanmar – sono tutti quanti Paesi che hanno fatto parte dell'IPEF, dell'Indo-Pacific Economic Framework, che è quell'accordo economico che abbiamo descritto in precedenza e sul quale è bene tornare un secondo. Perché l'IPEF è importante per gli Stati Uniti? Perché noi qui dobbiamo risalire al cosiddetto pivot to Asia, che era la strategia di Obama promossa nel 2011 di spostare l'attenzione e il fulcro principale della sua politica estera dal Medi Oriente, dal Mediterraneo, all'Asia.
  Questa strategia aveva due pilastri: uno era un pilastro militare, spostare la flotta verso quella regione; e il secondo pilastro economico era quello di creare un accordo commerciale che integrasse gli Stati Uniti con quell'area. Il pilastro economico era il TPP, il Trans Pacific Partnership, che però viene meno dopo che il Presidente Trump, come suo primo atto, decide di ritirarsi dal TPP. Dunque, la strategia americana nei confronti dell'Asia, che si basava su un pilastro militare e su un pilastro economico, trova l'assenza di un pilastro economico.
  Nel frattempo succede che, mancando questo pilastro economico, i Paesi contraenti, i Paesi che facevano parte del TPP, hanno deciso di proseguire nel loro accordo e hanno dato vita al CPTT – Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership – e, alla stessa maniera, la Cina si è fatta promotrice di un'azione, che in realtà era nata all'interno del contesto ASEAN, e ha portato alla chiusura del cosiddetto RCEP, Regional Comprehensive Economic Partnership.
  Quindi è successo che gli Stati Uniti si sono trovati ad avere un contesto in cui avevano un pilastro militare e un pilastro economico, il pilastro economico non c'era più e al posto del pilastro economico altri Paesi avevano realizzato altri accordi di questo tipo. Allora è successo che hanno proposto l'IPEF per cercare di sopperire a questa mancanza.
  Qual era stato il problema del TPP? Questo lo ricolleghiamo alle vicende attuali: il problema del TPP è che, essendo un accordo di libero scambio, poteva avere un impatto negativo sulla base manifatturiera statunitense e per queste ragioni sia Trump – che poi ha così agito – sia in realtà anche all'interno del Partito democratico statunitense c'erano posizioni contrarie al TPP, soprattutto si pensava che questo accordo non potesse passare all'interno del Congresso.
  L'IPEF era un accordo non commerciale, ma economico, perché si riteneva che in questa maniera non dovesse passare per il Congresso o comunque avesse una minore esposizione a dinamiche di politica interna. In realtà, essendo composto da quattro pilastri, uno di questi pilastri è proprio il trade: quello che è avvenuto prima dell'APEC (Asia-Pacific Economic Cooperation) è che, se non sbaglio, i rappresentanti dell'Ohio si sono opposti e dunque non è passato il pilastro commerciale di IPEF che doveva essere annunciato all'APEC.
  Arrivo alla conclusione per stare all'interno dei venti minuti che abbiamo individuato: l'Italia deve quindi costruire una sua strategia verso l'Indo-Pacifico? La mia risposta potrebbe essere che, se questa strategia dovesse allontanarsi da quella europea del 2021, probabilmente questo non avrebbe senso, anche perché sappiamo che la posizione dell'Italia nei confronti dell'Asia orientale è sotto l'attenzione internazionale. Ricordiamo che adesso si sta gestendo l'uscita dal memorandum of understanding sulla Via della seta, quindi una qualunque azione italiana che dovesse essere o più aggressiva o meno aggressiva nei Pag. 8confronti della Cina potrebbe esporre il Paese ad una critica internazionale molto maggiore di quanto non avvenuto per altri Paesi, come la Repubblica Ceca, che ha presentato la sua strategia nel 2022 senza per questo essere nell'occhio dell'attenzione internazionale.
  Se invece la strategia italiana dovesse puntualizzare le priorità italiane e le modalità attraverso cui portarla avanti, io credo che sia sicuramente opportuna. Quello che è estremamente importante, dal mio punto di vista, è di considerare l'Indo-Pacifico all'interno di questa cornice che abbiamo inquadrato. Ovvero, l'Indo-Pacifico non è un'area qualunque o un'area di sviluppo qualunque e quindi una strategia nei confronti di questa regione può essere come quella fatta per altre aree del mondo, ma in realtà l'Indo-Pacifico è al centro della competizione fra grandi potenze, fra Stati Uniti e Cina, ed è l'area di particolare predilezione per l'ascesa, molti Paesi sono estremamente interessati ad aumentare il loro posizionamento lì perché lì è dove ci sarà probabilmente la diversificazione economica di Francia, Germania, Spagna e altri Paesi ancora, e quindi è importante essere presenti.
  Qui ci sono diverse componenti che vanno considerate. Per esempio si è parlato – e so che è noto a questa Commissione – il tema della diplomazia navale. La diplomazia navale in questo senso è estremamente utile, perché dimostra ai Paesi dell'area che c'è un interesse anche alle loro prerogative di sicurezza in quel contesto. Quindi la diplomazia navale non va vista come un'effettiva capacità di incidere sulle dinamiche marittime locali, quanto piuttosto come un segno di buona predisposizione verso la regione.
  Bisogna considerare anche – e qui mi fermo – che quest'area è fortemente corteggiata in questo periodo e quindi la competizione per essere presenti in quel quadrante è molto forte; essendo molto forte è importante che il Governo italiano e, in generale, le Istituzioni italiane siano estremamente presenti in quel contesto. Mi fermo qui. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie mille. Si è già prenotato da remoto il collega Andrea Orsini, capogruppo di Forza Italia. Prego.

  ANDREA ORSINI(intervento in videoconferenza). Buongiorno. Mi scuso se non attivo il video, ma ho qualche problema di collegamento.
  Volevo ringraziare per l'interessantissimo scenario descritto dal nostro relatore e fare una domanda che forse è un po' un esercizio di futurologia, mi rendo conto che non sia semplice: come potrebbe cambiare lo scenario che ha descritto in base agli effetti delle prossime elezioni americane, soprattutto se si dovesse – come appare possibile – arrivare ad una vittoria repubblicana o, viceversa, se comunque gli equilibri del Partito democratico dovessero cambiare perché Biden decidesse di non ricandidarsi? Grazie.

  PRESIDENTE. Onorevole Rosato, di Azione.

  ETTORE ROSATO. Grazie. Ringrazio anch'io per l'ampia relazione. Volevo chiederle quali sono, secondo il suo punto di vista, le più marcate differenze all'interno dell'Unione europea rispetto allo scenario dell'Indo-Pacifico?

  PRESIDENTE. Onorevole Quartapelle, Partito Democratico.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Anch'io ringrazio molto Filippo Fasulo per la relazione. La domanda è più di carattere generale. Si parlava di diversificazione dei rapporti economici per ridurre la nostra dipendenza da regimi con cui possiamo trovarci in difficoltà. Questo è un cambio di paradigma rispetto a quanto avvenuto negli anni '90 e primi anni 2000, quando l'ingresso della Cina nel WTO (World Trade Organization) faceva pensare che invece ci sarebbe stato un avvicinamento dei blocchi e l'elemento economico sarebbe stato uno degli elementi di rafforzamento della stabilità delle relazioni internazionali, e non un elemento di rischio.Pag. 9
  Per non rifare lo stesso errore, siccome una serie di questi Paesi dell'Indo-Pacifico sono Paesi che non sono necessariamente assimilabili a delle democrazie di stile Westminster, quali sono gli elementi che ci dicono che si può tentare una strategia di de-risking e di friend-shoring nell'Indo-Pacifico?
  Non so se è chiara la domanda: cioè, siccome rischiamo, facendo il friend-shoring, di compiere lo stesso errore che fu fatto negli anni '90 e negli anni 2000, quali sono gli elementi che ci dicono se si possono fare gli investimenti – parlo di Paesi africani per non nominare nulla, ma si possono fare degli investimenti in Sudafrica piuttosto che in Nigeria –, quali sono gli elementi da guardare, rispetto ovviamente all'Indo-Pacifico?

  PRESIDENTE. Onorevole Billi, capogruppo della Lega.

  SIMONE BILLI. Grazie. Io aggiungerei a quello che diceva la collega Quartapelle, secondo la sua esperienza, quali sono quindi i Paesi più vicini al nostro con cui poter attuare una politica di friend-shoring? Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Aggiungo anch'io una domanda. Diversi auditi ci hanno detto della necessità di adottare una vera e propria visione italiana dell'Indo-Pacifico, richiesta che è già stata avanzata e approvata in ambito parlamentare, sia con un ordine del giorno della scorsa legislatura sia addirittura con una risoluzione votata a larghissima maggioranza. Ecco, se Paesi come la Repubblica ceca hanno adottato una propria visione, dottrina dell'Indo-Pacifico, perché l'Italia, che – ricordiamo – confina con la Francia, che è una potenza dell'Indo-Pacifico, ma è anche fortemente integrata con la Germania, e questi due Paesi hanno una propria visione, perché l'Italia secondo Lei dovrebbe averla?

  FILIPPO FASULO, Co-responsabile dell'Osservatorio Geoeconomia dell'Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI). Grazie mille. In particolare, sulla prima domanda, quella più «futurologa», capire cosa potrà avvenire nel caso della vittoria di Trump. Noi quello che possiamo fare è riprendere cosa era avvenuto nei confronti della Cina quando Trump era Presidente e quindi cercare di capire quali sono le differenze dell'approccio verso la Cina di Trump e di Biden. C'è una differenza molto marcata, ovvero l'approccio di Trump nei confronti della Cina era un approccio duro ma negoziale, tant'è vero che il 15 gennaio 2020, poco prima dello scoppio della pandemia – o perlomeno che diventasse globale una crisi che stava nascendo in quei giorni – era stato siglato il famoso accordo di Phase One, un accordo commerciale che impegnava la Cina a comprare tutta una serie di prodotti dagli Stati Uniti per ridurre il surplus commerciale cinese nei confronti degli Stati Uniti. Quindi, quello che potremmo immaginare è che un'eventuale vittoria di Trump potrebbe essere rivolta alla ricerca di un accordo negoziale, che potrebbe comunque essere penalizzante nei confronti dell'economia cinese, però comunque cercando di trovare un equilibrio.
  Il punto di vista democratico, invece, è leggermente differente, perché quello che era avvenuto con Trump prima dell'approccio negoziale era quello di rendere esplicita la competizione fra Cina e Stati Uniti, una competizione che appunto, se prima era negoziale, con l'Amministrazione Biden aggiunge un altro elemento, che è un elemento ideologico. È un elemento ideologico perché aumenta la contrapposizione fra un sistema autocratico e un sistema democratico. Ricordiamo, in particolare, il Summit for democracy del 2021 e poi nuovamente di quest'anno, in cui vengono chiaramente definiti e creati dei presupposti per rilevare le differenze politiche fra questi due Paesi.
  In realtà, se poi andiamo ad osservare quello che può essere invece un tratto in comune, lo troviamo vedendo alcuni degli scritti dei componenti dell'Amministrazione Biden. Io cito sempre questo articolo di Kurt Campbell e di Jake Sullivan, il National Security Advisor e il vice di Blinken, che prima di entrare in carica avevano scritto un articolo sui rapporti fra Cina e Pag. 10Stati Uniti che si intitolava «Competizione senza catastrofe», che sostanzialmente punta a trovare un livello di equilibrio che riconosce l'esistenza di una competizione fra i due Paesi, ma nel mantenimento comunque di un quadro di stabilità nel contesto delle relazioni fra i due Stati, e questo è quello che potremmo vedere.
  Le differenze tra i Paesi UE: le possiamo capire soprattutto vedendo i primi tre Paesi che hanno presentato una loro strategia per l'Indo-Pacifico, che sono Francia, Paesi Bassi e Germania, che l'hanno presentata prima del documento europeo e quindi in qualche modo l'hanno anche rafforzato. La Francia aveva evidentemente un taglio più militare di quanto non lo facessero gli altri Paesi, perché la Francia è un Paese residente nell'Indo-Pacifico, ma è anche il Paese che ha la sovranità sulle porzioni di mare più ampia degli altri Paesi rivieraschi. Quindi, se noi andiamo a contare i chilometri quadrati di mare e oceano sotto la sovranità dei vari Paesi della regione, la Francia è prima di gran lunga, grazie ai suoi possedimenti nell'Oceano Indiano e nell'Oceano Pacifico. Quindi uno sguardo francese più rivolto alla componente militare, mentre invece lo sguardo tedesco e olandese era maggiormente rivolto alle relazioni commerciali e alla libertà di navigazione nel Mar Cinese meridionale, in ragione, però, della libertà commerciale.
  Aggiungo un altro elemento: se l'Unione europea è interessata all'Indo-Pacifico, allo stesso modo lo è anche il Regno Unito, che è entrato a far parte negli scorsi mesi del CPTPP, ovvero quell'accordo figlio del TPP che è stato messo in piedi dai Paesi che erano rimasti all'interno di questo contesto. L'idea del Regno Unito è quella di essere più presente nella regione attraverso la partecipazione a un accordo regionale di questo tipo.
  Qui aggiungo che è sicuramente importante per l'Unione europea riuscire ad aumentare la sua integrazione economica con i Paesi della regione: non è un caso che una delle prime azioni della presidenza spagnola di questo semestre è stata la firma di un Free Trade Agreement (FTI) con la Nuova Zelanda, che è un altro attore regionale in questo senso.
  La Cina e l'interdipendenza economica: quali condizioni per tentare una strategia di de-risking ed evitare di cadere nuovamente nelle trappole precedenti? Io credo che qui la parola chiave sia una sola: diversificazione. Diversificazione è la parola fondamentale in questo contesto e diversificazione è il termine chiave, nonostante si sia parlato in precedenza di decoupling e oggi de-risking, che è un concetto leggermente moderato rispetto a decoupling, ma in realtà in tutti i casi non si parla d'altro che di diversificazione. Quello che bisogna fare, in qualche modo, è di evitare di concentrare la produzione in un unico Paese; questo non sarà sempre possibile per alcune questioni logistiche, per alcune questioni di presenza di materie prime.
  L'altra cosa da considerare è il grado di democraticità di questi Paesi. In questi ultimi mesi c'è stato un Paese che rappresenta un caso-studio più di questi, ovvero, senza dubbio, l'India; perché il contesto che stiamo vivendo è quello in cui si ragiona sulla riduzione della presenza industriale in Cina per ragioni politiche, nonostante la presenza industriale in Cina per ragioni economiche sia ancora vantaggiosa. Quindi, di contro, emerge l'India come soggetto per localizzare la produzione industriale, sebbene i costi economici siano alti, ma perché la valutazione politica è largamente favorevole.
  Quindi quello che stiamo vivendo oggi è una finestra di opportunità per l'India, che diventa attrattiva per gli investimenti per ragioni politiche, pur non essendolo ancora – seppur in altri casi ci sono sicuramente opportunità – dal punto di vista economico. Ma, allo stesso modo, la stessa India sta vivendo una fase complessa della propria esperienza democratica, ci sono diverse critiche che sono state mosse nei confronti dell'India negli ultimi mesi e ci sono stati in particolare due episodi, perlomeno controversi, con al centro il tema dei diritti umani, che è il caso delle relazioni fra India e Canada – nel caso dell'uccisione di un attivista locale – e, notizia degli ultimi due o tre giorni, dell'ipotesi di Pag. 11un caso analogo anche negli Stati Uniti; al di là della veridicità o meno, però il tema sta emergendo.
  Questo è un punto fondamentale: l'esposizione al rischio di essere nuovamente esposti ad un'autocrazia esiste – anche se non è il caso dell'India, parliamo di casi ipotetici nella regione – per ridurlo bisogna occorre diversificare.
  I Paesi più vicini: anche in quel caso, bisogna valutare l'India; dal punto vista politico sicuramente lo è, ricordiamo che, essendo l'Indo-Pacifico un concetto con una forte trazione politica, senza l'India non esiste l'Indo-Pacifico, perché l'Indo-Pacifico è l'aggiunta dell'India al concetto di Asia-Pacifico che c'era in precedenza e questo permette all'India di avere un posizionamento particolare nella questione. I Paesi che sono sotto una lente migliore sono inevitabilmente quelle economie del Sud-Est asiatico che non sono pienamente alleate con la Cina – questo ovviamente dal punto di vista occidentale – e hanno un'economia particolarmente florida e vivace: quindi il Vietnam, l'Indonesia, la Malesia, le Filippine, Paesi nei quali quello che emerge più di tutto è la forza delle relazioni economiche, del dinamismo economico, non essendo Paesi così nettamente autocratici – in alcuni casi sono sicuramente democrazie, seppur non col «modello di Westminster,» – rispetto ad altri.
  Quindi, perché è importante per l'Italia avere una visione verso l'Indo-Pacifico? È importante innanzitutto per inserirsi all'interno di una dinamica che è una dinamica trainante.
  Quello che posso vedere dal punto di vista di chi si occupa soprattutto di Cina è che anche le crisi e le guerre che stiamo vivendo – dal punto di vista di chi si occupa delle relazioni fra Cina e Stati Uniti – purtroppo risultano marginalizzate, risultano in qualche modo relativizzate rispetto a questa competizione di più ampio spettro.
  Ci si interrogava, nel programma di questa indagine conoscitiva, su quali potrebbero essere i rischi di sicurezza per il nostro Paese: credo che i rischi di sicurezza vadano visti soprattutto da un punto di vista economico, ovvero il rischio di sicurezza non sarà tanto – come certamente lo può essere nel contesto della hard security – nel contesto di guerra, ma il contesto della perdita di indipendenza economica e il rischio di esposizione alla coercizione economica perché estremamente dipendenti verso un Paese col quale si hanno relazioni non per forza allineate.

  PRESIDENTE. Grazie mille. Sulla visione italiana dell'Indo-Pacifico?

  FILIPPO FASULO, Co-responsabile dell'Osservatorio Geoeconomia dell'Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI). L'importanza dell'Italia di essere presente nel dibattito: credo che la visione italiana nell'Indo-Pacifico sia importante metterla appunto per iscritto, come è impegno di questa Commissione, anche per creare consenso politico verso questa iniziativa.
  Il rischio è che questa vostra attenzione nei confronti dell'Indo-Pacifico possa restare confinata a questa Commissione; per questo è importante avere una visione scritta e sulla quale investire, per creare consenso sia dalla parte politica sia dalla parte economica italiana, che capiscano quali sono le sfide verso cui noi ci rivolgiamo, ovvero l'ambito della sicurezza economica che stiamo delineando e che quando incontriamo anche imprenditori può sembrare ancora un'ipotesi fantascientifica, ma in realtà è al centro dei comunicati del G7 ed è il punto di riferimento attorno al quale si stanno costruendo le agende economiche della Commissione europea, degli Stati Uniti, ma anche del Giappone e della Corea del Sud.
  E non dimentichiamo – questo è importante: operare de-risking nei confronti della Cina non è soltanto una scelta degli altri Paesi verso la Cina, ma è importante ricordare che la Cina stessa sta mettendo in atto un'azione di de-risking, che prende un altro nome, il nome di strategia della doppia circolazione, ma assolutamente l'idea di dover ridurre l'esposizione alla dipendenza degli altri Paesi è centrale nelle politiche economiche di ogni Paese. Se nelle strategie e nelle azioni italiane – penso a livello di Pag. 12Ministero dell'economia, dello sviluppo economico e altro ancora – non si avesse questa concezione in mente, si perderebbe un'opportunità.
  E, aggiungo: il rapporto verso l'Indo-Pacifico non va inteso soltanto come aumentare l'interscambio con un'area in crescita, ma invece è aumentare la relazione con un Paese che è centrale nelle strategie globali di diversificazione, che penso cambi radicalmente il punto di vista.

  PRESIDENTE. Grazie. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.20.