XIX Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Martedì 27 giugno 2023

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Colosimo Chiara , Presidente ... 3 

Seguito dell'audizione del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Giovanni Melillo:
Colosimo Chiara , Presidente ... 3 
Congedo Saverio (FDI)  ... 3 
Colosimo Chiara , Presidente ... 3 
Cafiero De Raho Federico (M5S)  ... 3 
Colosimo Chiara , Presidente ... 4 
Provenzano Giuseppe (PD-IDP)  ... 4 
Colosimo Chiara , Presidente ... 5 
La Salandra Giandonato (FDI)  ... 5 
Colosimo Chiara , Presidente ... 6 
D'Attis Mauro (FI-PPE)  ... 6 
Colosimo Chiara , Presidente ... 6 
Melillo Giovanni , Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 6 
Colosimo Chiara , Presidente ... 13 
Serracchiani Debora (PD-IDP)  ... 13 
Colosimo Chiara , Presidente ... 14 
Ascari Stefania (M5S)  ... 14 
Colosimo Chiara , Presidente ... 15 
Barbagallo Anthony Emanuele (PD-IDP)  ... 15 
Colosimo Chiara , Presidente ... 15 
Melchiorre Filippo  ... 15 
Colosimo Chiara , Presidente ... 15 
Piccolotti Elisabetta (AVS)  ... 15 
Colosimo Chiara , Presidente ... 15 
Melillo Giovanni , Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 15 
Colosimo Chiara , Presidente ... 18  ... 18

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
CHIARA COLOSIMO

  La seduta comincia alle 8.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Buongiorno a tutti. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche tramite impianto audiovisivo a circuito chiuso, nonché via streaming sulla web-tv della Camera.

Seguito dell'audizione del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Giovanni Melillo.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'audizione del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, dottor Giovanni Melillo, a cui do il benvenuto e ringrazio per questa doppia disponibilità. Ricordo che la seduta odierna si svolge nelle forme dell'audizione libera ed è aperta alla partecipazione da remoto dei componenti della Commissione. I lavori potranno proseguire in forma segreta, a richiesta dell'audito o dei colleghi. In tal caso non sarà più consentita la partecipazione da remoto e verrà interrotta la trasmissione via streaming sulla web-tv. Ho preso nota dei colleghi che si erano iscritti a parlare nel corso della precedente audizione. Chiedo se vi siano altri colleghi che intendano prenotarsi per intervenire nella discussione, ricordando a tutti che avevamo stabilito di concludere l'audizione entro le 10, in modo che ciascuno possa svolgere le ulteriori attività della giornata. Chiedo dunque a tutti coloro che interverranno di mantenersi nel limite dei tre minuti.
  Ricordo infine che la documentazione che il Procuratore ci ha consegnato la settimana scorsa è stata trasmessa per e-mail a tutti i componenti.
  Do la parola all'onorevole Congedo.

  SAVERIO CONGEDO. Sarò veramente breve anche perché la relazione svolta dal Procuratore la scorsa settimana è stata particolarmente esaustiva, sebbene gli spunti che sollevava potrebbero comportare un ampio dibattito. Lei ha confermato che uno degli strumenti più efficaci nel contrasto alla criminalità organizzata è quello del congelamento e della confisca dei beni derivanti da attività illecita. Mi segnalano – e su questo punto chiedo il suo parere – che in base al Regolamento dell'Unione europea n. 1805 del 2018, una delle criticità è costituita dal congelamento o dalla confisca di beni appartenenti a criminalità organizzate nazionali insistenti però all'estero, perché questo pone a carico dello Stato di esecuzione una serie di adempimenti rispetto a un bene che in realtà rimane invece nella disponibilità – uso questo termine generico – dello Stato che emette il provvedimento. Secondo lei si tratta di una una criticità che potrebbe essere superata con un intervento del legislatore nazionale?

  PRESIDENTE. Se il Procuratore è d'accordo, raccoglierei qualche altra domanda dei colleghi.
  Do la parola al vicepresidente Cafiero De Raho.

  FEDERICO CAFIERO DE RAHO. Grazie, presidente. Prima domanda: in apertura del suo intervento lei, Procuratore, ha dato una indicazione in ordine alle diverse mafie ricordando che fondamentalmente Pag. 4oggi è difficile fare una vera e propria distinzione. Purtuttavia esiste una mafia, con Cosa nostra, la Stidda e tante altre organizzazioni, esiste la 'ndrangheta, esiste la camorra, esiste una Quarta mafia, la mafia garganica, la mafia foggiana e così via. In relazione ai risultati delle indagini, almeno quelle ostensibili, risulta che vi siano stati legami, collegamenti o attività criminali, o addirittura la costituzione di società fra esponenti di organizzazioni criminali diverse, come Cosa nostra e 'ndrangheta, o 'ndrangheta e camorra, o addirittura 'ndrangheta, camorra e Cosa nostra. Nell'ambito di questi rapporti le chiedo quale sia stata la posizione della cosiddetta Quarta mafia, nel cui ambito certamente c'è da fare una serie di distinzioni. Vi risultano collegamenti, oltre che con la mafia albanese, di queste organizzazioni con la mafia nigeriana, con la mafia cinese e con le altre mafie che pure operano nel nostro Paese?
  Le piazze di spaccio sul territorio nazionale raccolgono milioni di euro al giorno in contanti. Sono state anche fotografati casi in cui questi soldi sono stati messi in sacchi di plastica e poi ulteriormente utilizzati. Avete verificato attraverso quali canali, all'interno del nostro territorio nazionale, questi sacchi di plastica, contenenti milioni e milioni di euro – se moltiplichiamo appunto gli introiti di una piazza di spaccio e delle altre piazze di spaccio – vengano utilizzati e in che modo si riciclino? Le ipotesi che sono state fino ad oggi approfondite hanno dato risultati? Nei canali bancari o nei canali finanziari sono stati individuati passaggi di danaro riconducibili appunto alle piazze di spaccio? Ancora: nel corso della sua relazione – questa domanda si ricollega a quella precedente – lei ha parlato di un sistema bancario parallelo. Su questo lei è anche tornato per rispondere alla domanda che un collega senatore le ha posto. All'estero, i canali che vengono utilizzati sono canali finanziari o canali bancari che hanno sede nei cosiddetti paradisi fiscali o anche in Europa. Abbiamo collegamenti con soggetti bancari o finanziari che consentono appunto l'intermediazione finanziaria o bancaria di soggetti legati alle organizzazioni mafiose?
  Un'ultima domanda. Con riferimento agli appalti e quindi ai rischi di infiltrazione mafiosa, nell'ambito degli appalti rilevanti per il PNRR, c'è stata e c'è l'esigenza di verifiche? In relazione a queste esigenze, è stata istituita la banca dati dei contratti pubblici, in modo che siano in essa inseriti i dati riguardanti le procedure di appalto di ciascuna stazione appaltante, anche quella riguardante i comuni o su questo, secondo quanto sicuramente a sua conoscenza, si è ancora in ritardo? Il collegamento fra le banche dati della DNA e delle altre istituzioni con questa banca dati è un collegamento che consente ulteriori approfondimenti e verifiche, in modo anche da poter estrapolare eventuali cartelli che operano nell'ambito degli appalti? Per quanto oggi è evidente che, con procedure negoziate e con affidamenti diretti, il problema venga in qualche modo superato sotto alcuni profili. Ancora: l'abuso d'ufficio ha costituito, nell'ambito delle attività investigative sviluppate, lo strumento attraverso il quale si è potuto anche andare oltre con proiezioni non soltanto nel sistema della corruzione, ma anche per quanto riguarda il sistema mafioso e quindi il sistema che ha consentito, con accordi illegali o condizionamenti, l'acquisizione di appalti? Mi fermerei a queste domande. Grazie, presidente.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola all'onorevole Provenzano.

  GIUSEPPE PROVENZANO. Procuratore, tra gli elementi preoccupanti della sua relazione, a mio avviso, non c'è soltanto quell'aspetto legato all'ibridazione tra sistema economico e criminalità mafiosa che rende persino obsoleto il concetto di infiltrazione che noi comunemente abbiamo utilizzato, ma anche la partecipazione sempre più organica delle nostre mafie ai network criminali internazionali, elemento che rende particolarmente difficili le attività investigative sia nei traffici illeciti per così dire tradizionali, narcotraffico o traffico di armi, sia soprattutto per l'utilizzo di reti cibernetiche nella fornitura di quei servizi Pag. 5illeciti all'economia «legale» e alle transazioni finanziarie internazionali, aspetti cui già aveva accennato, sui quali le chiederei di soffermarsi con riferimento a cosa possiamo mettere in campo adesso. Lei ha fatto più volte riferimento alla Procura europea e all'attività di cooperazione internazionale su cui è impegnato il nostro Paese anche sul fronte investigativo. Mi chiedo se a ormai più di trent'anni dalla Convenzione di Palermo sarebbe utile una iniziativa internazionale del nostro Paese su questo fronte e, più nello specifico, mi chiedo quali iniziative, in via anche normativa, ma non solo, si potrebbero adottare per migliorare l'aspetto sia repressivo ma anche preventivo, e se, a suo avviso, nel concetto di sicurezza strategica, oggigiorno sempre più cruciale nella vita politica dei nostri Paesi, sia sufficientemente inserito questo aspetto del contrasto alle criminalità organizzate e alle mafie oppure no. Sappiamo, lei lo ha accennato, quanto siano presenti, per esempio nei contesti militari di guerra, le mafie, in particolare nello scenario ucraino, e quanto esse possano essere legate alla moltiplicazione – in questi giorni all'onore delle cronache – delle milizie private internazionali. Mi chiedo come questa Commissione, nell'autonomia ma nella leale collaborazione, possa essere attivata e quali siano gli investimenti tecnologici necessari a migliorare questi aspetti e infine se, a suo avviso, sia necessaria un'iniziativa di armonizzazione della disciplina delle reti cibernetiche a livello quanto meno europeo che ad oggi mi pare ancora purtroppo lontana dalle iniziative e dalle priorità dei decisori politici.

  PRESIDENTE. La parola all'onorevole La Salandra.

  GIANDONATO LA SALANDRA. Provo a mettermi sulla scia del collega Cafiero De Raho che, già in passato, ebbe a definire la Quarta mafia come il nemico pubblico numero uno dello Stato e approfitto della comune origine nella provincia di Foggia per chiederle di concentrare o quantomeno, se possibile, di prestare particolare attenzione rispetto proprio al fenomeno della Quarta mafia. Di recente, numerosi episodi criminali l'hanno riportata all'attenzione della cronaca e, in particolar modo, già in passato, lei ebbe a evidenziare come la provincia di Foggia non abbia la piena consapevolezza di cosa sia questo fenomeno.
  La provincia di Foggia negli ultimi cinque anni ha visto cinque comuni sciolti per mafia. Già in precedenza lei ha risposto in argomento. Le chiederei quanto sia importante che la normativa crei sistemi per cui, dopo lo scioglimento, – quando dunque ritorna la politica e le amministrazioni tornano al loro stato di normalità – lo Stato continui a monitorare la situazione. Dico questo perché c'è questo sentimento per cui molte volte, almeno da un punto di vista statistico, si è verificato che comuni sciolti per mafia dopo un certo periodo di tempo si sono trovati di nuovo nel fenomeno dello scioglimento e questo credo che sia un dato assolutamente importante.
  In diverse occasioni lei ha parlato di collaborazione tout court tra le istituzioni. Le chiedo quanto, con la riforma della geografia giudiziaria, in particolar modo nella provincia di Foggia, – che, almeno per estensione, è la terza d'Italia – le sofferenze degli uffici giudiziari abbiano paradossalmente favorito il proliferare dei fenomeni della criminalità. Dico questo perché, sempre nella provincia di Foggia, in una relazione del dottor Laronga, si è verificata la peculiarità che macro-criminalità e micro-criminalità operano una sorta di coesistenza tale per cui si ritiene che gli episodi di violenza più gravi costituiscano forme di affermazione periodica della criminalità sullo Stato per determinare un clima di costante tensione.
  Un'ultima domanda – mi concentro sempre sulla provincia di Foggia – riguarda il fenomeno dell'immigrazione clandestina e la proliferazione dei ghetti, che spesso diventano non solo centri criminali a tutti gli effetti, ma anche strumenti per cui diverse associazioni che operano astrattamente – mi assumo la responsabilità dell'affermazione – per la tutela dei diritti, attraverso il sistema del crowdfunding, normativamente previsto esclusivamente per le start-Pag. 6up, riescono a recuperare notevoli quantità di denaro giustificandole con semplici fatturazioni. Le chiedo quanto questi flussi vadano poi a incidere, in base delle sue conoscenze, sul mercato tipico dei ghetti che proliferano.

  PRESIDENTE. Do ora la parola al vicepresidente D'Attis. Ci sono anche altri iscritti a parlare, ma prima darei la parola al Procuratore per un primo giro di risposte.

  MAURO D'ATTIS. Grazie signor Procuratore per la sua presenza oggi, per la corposa relazione che ha svolto in Commissione nella scorsa seduta e per le tante risposte che ha già fornito. Intendo fare tre domande flash.
  La prima riguarda il gioco pubblico legale anche in connessione al gioco illegale, gestito generalmente dalla criminalità mafiosa. Intanto le chiedo se, e immagino di sì, la Procura nazionale antimafia si sia posta il problema e cosa il legislatore dovrebbe fare, dal punto di vista della Procura nazionale antimafia, affinché siano introdotte norme che garantiscano maggiori controlli, con un efficace contrasto al gioco illegale, pur nella consapevolezza che occorra garantire il diritto al gioco, quello legale ovviamente.
  L'altra domanda è sul tema delle interdittive antimafia. Chiedo se ci sia una statistica – e vorrei che anche la Commissione si facesse protagonista nella ricerca – sugli esiti delle interdittive, quando per esempio accade che vengono iniziate le procedure di interdittiva antimafia per poi scoprire, a distanza di tempo, che magari l'azienda non doveva subirla. Abbiamo registrato spesso casi di questo genere che hanno poi portato fino al fallimento delle aziende. Anche qui chiedo, secondo la Procura nazionale antimafia, quale sia la migliore soluzione normativa che da un lato, quando si instaura un procedimento di questo genere, garantisca di mantenere in piedi l'azienda e dall'altro garantisca alla stessa Procura nazionale antimafia, alle prefetture e in definitiva allo Stato di intervenire, senza pericolo di mandare in rovina un'azienda che doveva e poteva rimanere sana.
  Arrivo alla terza questione. Nella scorsa audizione lei ha riportato spesso il riferimento alle conseguenze che stiamo ancora subendo della normativa relativa al bonus edilizio, al cosiddetto super bonus e a tutti gli incentivi di questo genere, che avrebbero prodotto non solo un certo numero di truffe, ma anche che le relative attività sono state gestite spesso e volentieri dalle mafie. Considerato che, in particolare in questa legislatura, sono state introdotte innovazioni che hanno ristretto il campo del bonus edilizio, anche qui chiedo alla Procura nazionale antimafia, visto che si è già posta il problema, data l'attualità e la novità del tema, se sia necessario, a suo modo di vedere, un ulteriore intervento normativo sulla materia del super bonus edilizio al fine appunto di limitare le conseguenze cui ha accennato nella sua relazione. Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola al Procuratore.

  GIOVANNI MELILLO, Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Proverò a rispondere alle domande nell'ordine in cui sono state formulate. I parlamentari interroganti mi perdoneranno per eventuali imprecisioni nella mia percezione del significato di alcune domande.
  Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Congedo sulla difficoltà di esecuzione all'estero di provvedimenti di congelamento e sequestro, bisogna avere la consapevolezza che questo è uno dei terreni nei quali il rischio di collisione fra sistemi nazionali è particolarmente elevato. Nondimeno, le cose sono molto cambiate rispetto a molti anni fa perché, in particolare nel sistema dell'Unione europea, si è assistito a una significativa riduzione di queste distanze che rende possibile l'esecuzione anche dei provvedimenti di sequestro e confisca adottati dal giudice della prevenzione. Peraltro ciò non avviene soltanto nella Unione europea: i primi casi per esempio hanno riguardato anche la Repubblica elvetica. Da questo punto di vista, molta strada è stata compiuta, ma molta ne va ancora compiuta. Non vi è dubbio per Pag. 7esempio – e questo è un tema che riguardava anche la domanda dell'onorevole Provenzano – che uno dei profili di implementazione più significativa della Convenzione delle Nazioni Unite sul crimine organizzato transnazionale riguarda proprio i meccanismi del sequestro e della confisca. Da questo punto di vista, c'è un lavoro già in corso perché la Conferenza degli Stati parte della Convenzione di Palermo del 2000 ha adottato una specifica risoluzione alla quale non casualmente è stato poi dato il nome di «risoluzione Falcone» che mira proprio a implementare i processi di armonizzazione normativa su scala globale. Direi che, complessivamente, rispetto al passato, sono stati fatti giganteschi passi in avanti. Residuano molte difficoltà rispetto soprattutto ai casi di confisca e meccanismi di co-sharing, vale a dire la difficoltà di procedere all'assegnazione delle risorse conseguenti all'esecuzione di provvedimenti di confisca perché in questo caso occorrono accordi fra Stati, tra Governi, e non è più sufficiente la dimensione della cooperazione giudiziaria.
  Per quanto riguarda le domande dell'onorevole Cafiero De Raho, le differenze tra organizzazioni mafiose italiane esistono e sono ancora molto importanti. I ragionamenti che provavo a fare la volta precedente riguardano il rischio di perdere di vista i processi di integrazione della loro dimensione operativa. Da questo punto di vista, non vi è indagine significativa che riguardi le proiezioni transnazionali del crimine organizzato italiano o la loro dimensione prettamente affaristica, vale a dire di penetrazione nei mercati di impresa italiani, che non riveli queste forme di integrazione. Forse già la volta precedente ho fatto riferimento al caso di «Petrolmafie», un'indagine in materia di controllo criminale delle attività di importazione e distribuzione sul territorio italiano di oli minerali e di idrocarburi. Da quel punto di vista, l'integrazione dei sistemi criminali calabresi, romani e napoletani sotto la «regia» societaria di gruppi napoletani era evidente. Le società «cartiere» che producevano le false fatturazioni necessarie al funzionamento di un gigantesco meccanismo di sottrazione di questi prodotti al pagamento delle accise erano quasi esclusivamente napoletane, ma credo che questo fenomeno sia osservabile anche in altri e non meno significativi comparti produttivi. Vi sono indagini di procure importanti che riguardano proprio il fenomeno della costituzione di tavoli condivisi di gestione di comuni interessi speculativi in vari settori economici. Certamente questa è una delle dimensioni più significative, così come nel settore del narcotraffico è del tutto evidente che le distanze originarie tra i vari tipi di organizzazioni mafiose italiane vanno a stemperarsi. Anche qui vi è una dimensione di progressiva integrazione. L'ultima conferma investigativa è data dalle misure cautelari seguite dalle procure di Reggio Calabria e di Milano per enormi traffici di cocaina nei quali è dimostrato che le funzioni di brokeraggio anche per conto della 'ndrangheta erano svolte da figure storicamente esponenziali di interessi camorristici, ma ormai trasferitesi su un piano globale. A me è già capitato di dire che esiste una sorta di «OPEC» degli stupefacenti, vale a dire di una organizzazione che definisce il prezzo degli stupefacenti e soprattutto i criteri di ripartizione delle rotte degli stupefacenti verso l'Asia, verso il Nord America, verso l'Europa, e che questa sorta di «OPEC» degli stupefacenti vede riuniti i rappresentanti dei più grandi cartelli criminali. Su questo tema sarebbero necessarie riflessioni profonde.
  Per quanto riguarda le piazze di spaccio, è del tutto evidente che esse costituiscono una sorta di «bancomat» per le organizzazioni che le gestiscono, che a volte sono micro-organizzazioni tenute a riconoscere una sorta di tributi di vassallaggio a cartelli più ampi, in altri casi – ma il fenomeno è sempre più residuale – sono invece gestite direttamente dai principali cartelli criminali. In generale, ormai, la gestione delle piazze di spaccio è affidata a gruppi secondari che non sono necessariamente italiani. Ovviamente il controllo della circolazione di questo denaro è estremamente difficile, però farei molta attenzione a ricorrere a meccanismi, come quelli sperimentati attraverso una sorta di acritica adesione a metodi investigativi di altri Paesi,Pag. 8 come gli Stati Uniti. Le agenzie americane conoscono il meccanismo del «pick-up money» ovvero attività di provocazione finalizzate ad acquisire denaro proveniente da attività illegali per poi quindi immaginare di poterne seguire i percorsi lungo i canali bancari, cosa che forse è possibile nel caso in cui questo denaro sia destinato a sistemi finanziari cooperativi, ma che si rivela assolutamente illusoria quando invece questo denaro, com'è la regola, finisce su sistemi bancari cinesi, turchi, pachistani o di altri Paesi per i quali è discutibile che si possa contare sulla effettiva cooperazione ai fini del recupero di queste somme di denaro. Ciò anche al di là della difficoltà, a volte, di immaginare la sostenibilità, secondo le categorie del nostro diritto penale, di accuse di riciclaggio fondate sulla disponibilità del denaro che poi diviene oggetto del «pick-up», perché è del tutto evidente che se un gruppo di trafficanti di stupefacenti consegna quel denaro in cambio del procacciamento di nuove partite di stupefacenti, quell'attività è verosimilmente non autonoma attività di riciclaggio, ma è una delle condotte dell'associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, per cui anche la sorte processuale di queste contestazioni risulta piuttosto precaria.
  Circa i cambi clandestini o, più precisamente, i cambi paralleli dei quali ho parlato, mi sembrava di essere stato piuttosto chiaro l'altra volta, rispondendo a una richiesta di precisazioni. Non sto parlando di cambi bancari da parte di operatori finanziari o bancari, sto parlando di figure che svolgono la funzione cosiddetta di «cambisti», vale a dire di soggetti che trafficano denaro e che quindi assicurano, grazie a contatti e a transazioni che si realizzano di regola attraverso piattaforme criptofoniche o, in generale, comunque reti cibernetiche, la disponibilità di grandi quantità di denaro che sono preventivamente collocati nei vari Stati. In tal modo il denaro non si sposta e sfugge ai controlli tipici del sistema antiriciclaggio che sono appunto fondati sul presupposto che il denaro si sposti tra una giurisdizione e un'altra, tanto che, quando il sistema antiriciclaggio funziona, si determina l'innalzamento del costo del denaro oggetto di riciclaggio. In effetti i sistemi hanno una loro capacità di funzionamento tanto che di regola, anni fa, queste transazioni comportavano costi intorno al 15 per cento. I cambi paralleli servono ad abbattere questi costi e a ridurre il costo del denaro necessario alla movimentazione delle uniche merci che si spostano, che sono gli stupefacenti. È un problema assai serio che è emerso in indagini molto delicate, attualmente in svolgimento contestualmente presso diverse procure – Milano, Roma, Napoli e Reggio Calabria. A queste quattro indagini è contestualmente applicato un magistrato della Procura nazionale proprio per assicurare una sorta di continua osmosi informativa fra le diverse indagini ed è del tutto evidente che stiamo parlando di operatori paralleli che godono del vantaggio di un'allocazione fisica protetta – Pakistan, Cina, Libano, una volta Siria. In precedenza era significativa la loro presenza anche negli Emirati Arabi Uniti, ma alcuni sforzi del governo degli Emirati di acquisire maggiore credibilità sul piano della trasparenza dei mercati finanziari sembra aver determinato lo spostamento di alcuni di questi operatori verso altri Paesi.
  Per quanto concerne invece la banca dati degli appalti pubblici non ho notizia della sua effettiva operatività e quindi risulta per me difficile immaginarne le potenzialità applicative. Certo sarebbe uno strumento importante, ma le banche dati servono a condizione che se ne utilizzino in modo integrato e razionale i contenuti.
  Per quanto riguarda infine l'abuso d'ufficio, mi sentirei di richiamare le mie osservazioni svolte presso la Commissione giustizia della Camera. In generale, è del tutto evidente che vi sono profili di condotte abusive di pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio del tipo di quelle finalizzate al procacciamento di vantaggi ingiusti, che normalmente hanno trovato applicazione anche in contesti investigativi mirati alla ricostruzione di complessi interessi mafiosi. Si tratta di condotte che hanno formato oggetto di contestazione anche nella mia esperienza di procuratore di Pag. 9Napoli, per esempio con riferimento a imponenti operazioni speculative nel campo della distribuzione commerciale.
  Passo alle domande dell'onorevole Provenzano. I fenomeni che lei, onorevole, ha definito di ibridazione o di integrazione in network internazionali delle organizzazioni criminali pongono sfide alte alla comunità degli Stati. I profili di implementazione della Convenzione di Palermo sono importanti e credo che debba essere sottolineata anche l'importanza dei processi di integrazione che in Unione europea avvengono intorno al concetto di prova digitale. Approfitto tuttavia dell'occasione per sottolineare che l'usuale visione del cyber crime come fenomeno criminale separato dalle strutture criminali più pericolose è una visione destinata a rivelarsi incapace di spiegare granché. Il cyber crime è tema che non si esaurisce nella criminalità mafiosa e nella criminalità terroristica, ma le reti cibernetiche sono ormai un cardine organizzativo comune sia delle reti mafiose sia delle reti terroristiche. Ne risulta dunque tutta la dimensione di una sfida sul versante della sicurezza cibernetica rispetto alla quale siamo in grave ritardo. L'idea stessa di sicurezza nazionale cibernetica è di recente introduzione e può essere forse interessante notare come nello statuto normativo dell'Agenzia per la cybersicurezza nazionale non vi sia alcun riferimento a competenze dell'autorità giudiziaria: questo è un problema, che peraltro è oggetto di interlocuzioni istituzionali perché è evidente che un attacco informatico non è soltanto un reato, può essere ben altro, può essere persino un problema di sicurezza nazionale dinanzi al quale la giurisdizione deve fare passi indietro, non per mia valutazione, ma perché il legislatore prevede espressamente la potestà del Presidente del Consiglio dei ministri di ritardare per alcuni mesi persino la trasmissione della notizia di reato all'autorità giudiziaria. Vi è quindi un percorso di una gerarchia di piani di valori e di interessi da tutelare normativamente fissata e anche consacrata in pronunce della Corte costituzionale. Però va detto che quando la notizia di un attacco cibernetico giunge all'autorità giudiziaria, quell'attacco non è solo un reato, ma è anche un reato e si pone un problema di coordinamento fra le competenze proprie dell'Autorità per la cybersicurezza nazionale e le competenze proprie dell'autorità giudiziaria. Non è un problema di difficilissima soluzione perché il diritto dell'Unione europea, e poi il diritto nazionale che vi si è adeguato, presenta già degli esempi di impianti normativi che consentono l'autonomo e, nello stesso tempo, coerente e coordinato svolgimento di indagini con finalità diverse. Penso per esempio alla disciplina degli incidenti dell'aviazione civile o alla disciplina introdotta in materia di incidenti ferroviari dove appunto si prevede che le autorità per la sicurezza del volo abbiano prerogative che vanno di volta in volta contemperate e raccordate con quelle dell'autorità giudiziaria. Sarebbe quindi urgente introdurre strumenti analoghi in materia di attacchi cibernetici, ma è evidente che si tratta di materia che esige una più ampia rivisitazione, anche dal punto di vista, se mi è consentito, della possibilità di condurre tempestivamente indagini che riguardino gli attacchi cibernetici di matrice terroristica e di matrice prettamente criminale alle quali temo che il futuro ci imporrà di abituarci.
  Per quanto riguarda le domande dell'onorevole Lasalandra sulle mafie foggiane, il plurale è necessario, perché si tratta di organizzazioni distinte. C'è quella cerignolana, quella foggiana, quella garganica. Però tutte queste organizzazioni criminali sono da un certo punto di vista un esempio piuttosto emblematico del rapporto di proporzionalità diretta che vi è tra debolezza delle funzioni statuali e crescita di poteri criminali, perché il problema delle mafie foggiane ha radici dentro il fenomeno della debolezza delle funzioni statuali che a lungo hanno caratterizzato la risposta preventiva e repressiva all'affiorare e al formarsi stesso di questi cartelli mafiosi. La risposta degli apparati repressivi e anche degli apparati giudiziari nella provincia di Foggia, negli anni Ottanta e Novanta, è stata largamente insufficiente. Non è un caso che nelle file degli apparati statali, anche di quelli giudiziari, si rivelavano profili di profonda Pag. 10contaminazione etica innanzitutto, ma anche giudiziariamente apprezzabile proprio in termini di contiguità rispetto ai fenomeni criminali di questo tipo. A lungo la provincia di Foggia è stato un luogo nel quale tutte le forze di polizia non hanno investito ciò che avrebbero dovuto investire, così come bisogna riconoscere che da almeno quindici anni il segno della risposta è invece cambiato. Tutte le forze di polizia investono alcune delle migliori risorse umane proprio nella guida dei processi di prevenzione e repressione della criminalità foggiana. La situazione però continua a essere molto grave, anche perché in generale c'è una sottovalutazione complessiva della pericolosità di questo fenomeno, una sottovalutazione che è anche frutto di un deficit di conoscenza perdurante. Ad esempio, stiamo lavorando sui profili di collegamento tra le mafie foggiane e la 'ndrangheta, in particolare le famiglie reggine, perché vi è una serie di indici innovativi che dimostrano come gli stessi processi di selezione delle leadership delle organizzazioni mafiose foggiane a un certo punto richiedano il placet, anche all'interno del sistema carcerario, dei vertici delle famiglie di 'ndrangheta reggine. Sono processi che hanno ovviamente radici profonde, come quelli che hanno segnato i rapporti tra criminalità pugliese e criminalità camorristica che, proprio perché lasciati sottovalutati e lasciati sviluppare senza adeguato contrasto, danno la misura della pericolosità estrema di questo fenomeno. Fornisco un esempio banale che peraltro può trovare corrispondenza anche nella realtà camorristica. Ci sono molti collaboratori gestiti, per così dire, dall'autorità giudiziaria barese, vale a dire dalla procura distrettuale antimafia, che da anni sta facendo un lavoro straordinario anche sulla criminalità foggiana, ma non c'è nessun collaboratore significativo che provenga dalle file delle organizzazioni mafiose foggiane. Vi è ancora una totale impenetrabilità a processi di defezione e di dissociazione. È un fenomeno che può essere interessante sottolineare anche dal punto di vista della camorra. Esistono centinaia e centinaia di collaboratori di giustizia, ma il cartello camorristico che da oltre trent'anni controlla l'intera area metropolitana, vale a dire l'alleanza di Secondigliano, non ha mai visto significativi fenomeni di dissociazione. Anzi, in verità, vi fu un caso di un'importante dissociazione, quella di uno dei capi dell'alleanza di Secondigliano. Si chiamava Costantino Sarno. Proveniva dal Montenegro, dove curava gli interessi dell'intero cartello del contrabbando di stupefacenti negli anni immediatamente successivi al conflitto in Jugoslavia. Si consegnò, arrivando all'aeroporto di Firenze con il suo aereo privato, ma dopo un po' la sua collaborazione cessò. Indagini successive hanno dimostrato che, oltre a una straordinaria pressione intimidatoria sulla famiglia, valse a determinare il silenzio di questo unico importante collaboratore il pagamento di enormi somme di denaro in favore della sua famiglia. Ciò ha fatto sì che questa persona sia rimasta in carcere per 24 anni, sia stata recentemente scarcerata quando era ormai in gravi condizioni di salute, con lui chiudendosi l'unica finestra sulla conoscenza delle strutture dall'interno. Questo è dunque un fenomeno di assenza di «finestre», per così dire, che consentano di osservare dall'interno strutture e dinamiche delle organizzazioni foggiane, e che è tuttora lontano dal potersi superare. Paolo Borsellino diceva che vengono prima i giudici e poi i collaboratori, nel senso, profondamente giusto, che prima si esercita la magistratura e quindi lo Stato dimostra credibilità, attraverso un'intensa, efficace e rigorosa attività di contrasto, e questo soltanto determina significativi processi di dissociazione. Questa attività è in corso da ormai non pochi anni e speriamo che possa determinare risultati importanti, necessari anche per illuminare le capacità di condizionamento che le mafie foggiane hanno sulla pubblica amministrazione. Gli scioglimenti dei consigli comunali a cui lei faceva riferimento, compreso quello di Foggia, cioè di un capoluogo di provincia, ne sono dimostrazione.
  Con riferimento alla riforma della geografia giudiziaria, francamente ritengo che passi indietro su questo versante non si possano fare. Nel 2012 è stata realizzata Pag. 11un'importante scelta, ovvero quella della concentrazione degli uffici giudiziari. La realtà dimostra, con specifico riferimento alla realtà criminale foggiana, che lo status quo ante non era una condizione così idilliaca e che è bene che le risorse disponibili siano utilizzate razionalmente, concentrando le competenze giudiziali soltanto nel tribunale di Foggia e, del resto, recenti scelte legislative come quella della collegialità nella fase cautelare rendono francamente impensabile addirittura il ripristino di uffici giudiziari chiusi da tempo. Così come ho sempre considerato molto pericoloso il vagheggiamento della duplicazione delle direzioni distrettuali antimafia. È un ragionamento che ebbe negli anni passati anche una sua coltivazione con riferimento alla situazione di Santa Maria Capua Vetere, come centro giudiziario di maggiore rilevanza per il contrasto della criminalità casertana ma, come in quel caso, credo che occorra favorire la concentrazione delle conoscenze, delle analisi e dei processi di direzione delle indagini preliminari che sono essenziali per l'efficacia del contrasto. Lascerei lavorare la procura distrettuale di Bari senza immaginare competizioni all'interno di quel distretto che sembrano anche un po' fuori dal sistema.
  Infine, per quanto riguarda i «ghetti», credo che la ferita alla coscienza civile e alla stessa dignità delle istituzioni repubblicane, rappresentata da luoghi di sfruttamento, di degrado e di umiliazione delle persone che sono costrette a vivere e alle quali non casualmente si è dato il nome di «ghetto», che ha connotazioni drammatiche per la coscienza europea, tutt'oggi davvero impongano di non considerare queste entità estranee alle dinamiche anche della società foggiana e del circuito d'impresa. Ogni volta che le indagini hanno puntato sulla ricostruzione dei rapporti tra caporalato e impresa agricola si è dimostrato che il caporalato non è una forma di vessazione del mercato del lavoro, è una forma di gestione del mercato del lavoro richiesta dalle imprese agricole per abbattere i costi, né più né meno, e forse davvero ci sarebbe bisogno di una nuova stagione di umanesimo, prima ancora che di nuovi strumenti normativi.
  Circa le domande del vicepresidente della Commissione D'Attis in materia di gioco pubblico legale, si fa riferimento al gioco pubblico e ai sistemi di concessioni dei Monopoli. Ciò però non esaurisce il concetto di gioco legale, anche in considerazione della dimensione delle reti cibernetiche. Si tratta di un settore tradizionalmente, e non soltanto in Italia, pervaso largamente da interessi criminali, e vi è anche abbondante letteratura nonché una consistente dimensione cinematografica a illustrarlo. Stiamo parlando di un settore nel quale è sfidata anche la capacità dello Stato, nel momento in cui decide di essere presente in questo settore di impresa, di dotarsi di regole capaci di assicurare l'osservanza di queste medesime regole.
  Sulle interdittive antimafia e in particolare sul costo sociale che esse hanno nell'ipotesi in cui interventi prefettizi si rivelino infondati, ormai siamo chiamati a ragionare alla luce di un quadro normativo cambiato: il decreto-legge n. 152 del 2021 prevede già il contraddittorio anticipato, la preventiva comunicazione del complesso delle informazioni che possono determinare l'adozione di provvedimenti interdittivi, la possibilità per l'impresa di controdedurre, la necessità per la pubblica amministrazione di dar conto delle controdeduzioni difensive e una serie di percorsi alternativi rispetto all'esito negativo della procedura di interdittiva. Un'impresa infatti può richiedere l'ammissione a procedure di cosiddetta prevenzione collaborativa che consentono l'introduzione di un controllo amministrativo finalizzato a sottrarre la società al – si ipotizza – occasionale e quindi transitorio condizionamento mafioso. È una procedura modellata su una analoga procedura prevista dal Testo unico sulle leggi antimafia in materia di misure di prevenzione, mi riferisco alla disciplina dell'articolo 34-bis. Francamente non è neanche facile distinguerle, anche se il Consiglio di Stato ha provato nelle scorse settimane a tracciare una linea di demarcazione tra la procedura collaborativa che si svolge dinanzi al prefetto e la procedura Pag. 12di controllo giudiziario che può svolgersi dinanzi al tribunale, ma è evidente che in questo nuovo approccio legislativo è inscritta l'accettazione, non del rischio, ma del dato fattuale rappresentato da ciò che un'impresa nella quale siano accertati i condizionamenti mafiosi continui a operare nel mercato, continui a eseguire gli appalti anche pubblici che siano stati a essa già conferiti. È del tutto evidente che è una scelta di campo rispetto alle esigenze di ripresa del Paese nell'epoca post-pandemica, è del tutto evidente che prevalga l'esigenza di garantire la continuità aziendale e lo svolgimento dell'attività di impresa rispetto all'esigenza di controllo. Non è facile trovare il punto di equilibrio perché dietro l'angolo c'è il rischio che si decida di considerare la prevenzione antimafia e i controlli su un'impresa mafiosa come un problema da rinviare alla stagione successiva all'attuazione del PNRR. Sarebbe un profilo assai grave. Queste modifiche hanno già determinato dei costi significativi. Il Sole 24 Ore di qualche settimana fa dava conto di ricognizioni di dati che rivelavano una significativa riduzione del numero delle interdittive già dopo un anno dall'entrata in vigore della nuova disciplina. In questo momento, come forse ho segnalato troppo concisamente la volta precedente, è in corso uno sforzo anche del ministero dell'Interno, e del ministro in particolare, di occupare e razionalizzare gli spazi di intervento che esistono e, da questo punto di vista, gli spazi ci sono perché lo stesso sistema della prevenzione antimafia va probabilmente ripensato. I processi di lavoro che ne sostengono lo sviluppo sono largamente lontani dalle logiche di condivisione dei patrimoni informativi, di unitarietà delle analisi e dei processi di elaborazione necessari per assicurare l'effettività di questi strumenti.
  L'altra domanda del vicepresidente riguardava i bonus edilizi. Quello che è accaduto era facilmente prevedibile e certamente il crimine organizzato e le imprese fiduciarie di suo interesse che operano nel settore edilizio, l'avevano parimenti largamente previsto. Era largamente prevedibile per due ragioni. Da un lato, perché la sua introduzione ha corrisposto con la previsione di meccanismi di cartolarizzazione che rendevano evidente il rischio di volatilizzazione delle risorse destinate alle imprese. È come se il sistema avesse rinunciato proprio a ogni anticorpo. Ed era altresì prevedibile perché introdurre il meccanismo dei bonus edilizi verso il sistema dell'edilizia privata anziché per esempio verso il sistema degli alloggi popolari, dell'edilizia residenziale pubblica e delle periferie, comportava la rinuncia ad avvalersi di apparati di controllo come quelli degli enti pubblici che, almeno astrattamente, hanno la gestione del patrimonio immobiliare destinato alla edilizia pubblica e che avrebbero consentito l'introduzione di controlli. Una scelta di questo tipo avrebbe anche probabilmente posto riparo queste risorse dal rischio di essere destinate integralmente alla proprietà immobiliare anziché a processi di risanamento delle periferie e di riduzione delle diseguaglianze, tema che non occupo abusivamente perché in molti contesti le condizioni di degrado urbanistico sono determinanti per la gestione delle attività criminali. Basterebbe un qualsiasi giro nelle periferie della Capitale, per non parlare di quelle napoletane, per averne contezza. Alcune correzioni sono state fatte, ma ormai probabilmente era tardi. Siamo ancora lontani dal calcolare l'entità del «buco» determinato dall'impiego criminale di queste risorse, nonostante alcuni esperimenti di funzioni di prevenzione e di organizzazione nazionale dei controlli che sono stati fatti. Per esempio, a Napoli, il Comando provinciale della Guardia di finanza, forse ne ho già parlato la volta precedente, aveva costruito un meccanismo, anche informatico, di elaborazione dei dati in ordine alle società edilizie, che dimostrava un aumento delle imprese esercenti attività edilizia del 62% in pochi mesi, con alcune punte pittoresche come la trasformazione in 24 ore di una macelleria in un'impresa edile. Forse avrebbe potuto farsi meglio, ma ormai occorre prendere atto che, in molti casi, queste risorse sono valse a finanziare il peggio del mercato delle imprese e in questo peggio ci sono anche imprese fiduciarie di interessi mafiosi, e Pag. 13che, oltretutto, i meccanismi di cartolarizzazione hanno favorito il ricorso a strumenti di trasferimento all'estero con operazioni di messa al sicuro di queste risorse – ma ormai vi è un'ampia letteratura giudiziaria che se ne occupa. Credo personalmente – mi permettevo di sottolineare la volta precedente – che la Commissione parlamentare antimafia molto potrebbe su questo versante, non soltanto per aiutare a capire meglio quello che è accaduto, ma anche per indicare quello che si possa fare affinché ciò non accada più. Credo di aver esaurito le domande e spero di avere risposto in modo soddisfacente.

  PRESIDENTE. Assolutamente sì. Ricordo ancora l'impegno che abbiamo preso di non andare oltre le 10.00. Continuando con gli interventi dei colleghi, do la parola all'onorevole Serracchiani, collegata da remoto.

  DEBORA SERRACCHIANI. Ringrazio il dottor Melillo per gli approfondimenti e per la puntualità delle risposte che ci ha dato, non solo nella scorsa audizione, ma anche in questa. Alcune questioni sono già state sollevate dai colleghi, quindi le chiedo solo tre informazioni. La prima. So che lei ha già risposto ampiamente sul tema dell'abuso d'ufficio, lo ha fatto nella scorsa audizione in Commissione giustizia della Camera, ma le chiedo una puntualizzazione in più, anche alla luce di ciò che ci ha detto in audizione. Lei ha sottolineato la necessità che vi sia un coordinamento molto forte con la Procura europea e che ci sia anche una organizzazione diversa che investa molto sui mezzi e sull'innovazione tecnologica, visto che ormai la criminalità organizzata si è ampiamente spostata da tempo su reati che hanno più natura finanziaria rispetto al passato. Le chiedo una precisazione. Ricordo che nella scorsa legislatura, quando arrivò alla Camera il decreto legislativo n. 156 del 2022, fummo costretti a modificare l'articolo 322-bis del codice penale per includere l'abuso d'ufficio tra i reati contro la pubblica amministrazione, estendendolo a ulteriori platee rispetto a quelle già previste, tra cui i funzionari pubblici e noi stessi, cioè i parlamentari. Questa richiesta venne fatta in ottemperanza alla legge di delegazione europea del 2018 che recepiva la direttiva sulla protezione degli interessi finanziari nell'Unione europea. La mia richiesta è quindi questa: posto che quella direttiva chiedeva in particolare che fosse prestata attenzione su quello che in Italia definiamo il peculato per distrazione – oggi ampiamente ritenuto assorbito nell'abuso d'ufficio – le chiedo se non ritiene che l'abolizione del reato dell'abuso d'ufficio, anche e soprattutto per questo aspetto, non possa crearci problemi proprio in quell'attività di coordinamento con la Procura europea che lei ricordava, visto che, proprio sulla protezione dei reati finanziari, la cosiddetta direttiva PIF, oggi, con l'abolizione dell'abuso d'ufficio, ci esporrebbe anche a una procedura di infrazione europea. Le chiedo dunque se su questo punto ha ulteriori informazioni e se ritiene che effettivamente questo rischio vi sia.
  Le chiedo poi una seconda cosa che non ho ascoltato – spero non mi sia sfuggita – dai colleghi. Io, come molti italiani, seguo con ansia e apprensione la vicenda della bambina rapita a Firenze. Ho letto – ovviamente sono notizie di stampa quindi non ho la possibilità di dirle che siano notizie comprovate, ma pongo a lei la domanda – che di questa vicenda si stia interessando anche l'antimafia, proprio in virtù del fatto che sul tema degli immobili occupati siamo ormai andati oltre alle vicende che abbiamo conosciuto anche nel passato, che riguardavano spesso criminalità di livello anche locale che erano intervenute all'interno di situazioni legate alle case popolari o a particolari situazioni appunto locali. Ho letto qualcosa negli ultimi mesi secondo cui anche sul tema degli immobili occupati la criminalità organizzata abbia fatto un salto di qualità e che vi sia un interesse che ormai supera le vicende meramente locali o limitate ad alcuni territori. Volevo dunque chiederle se poteva fornirci qualche indicazione in argomento.
  Passo alla terza e ultima domanda. Anche grazie al Piano nazionale di ripresa e Pag. 14resilienza, uno dei luoghi in cui ci sono maggiori risorse e a mio parere maggiormente permeabili è il porto. I porti italiani in questo momento sono nodi nevralgici non solo della nostra logistica ma, ripeto, anche dei nostri investimenti per la crescita presente e futura. Rispetto agli investimenti che oggi si stanno effettuando in alcuni dei porti maggiori italiani – tra l'altro con una ampia estensione territoriale, penso a Trieste, a Gioia Tauro, a Genova, a tutti gli altri porti nevralgici per i nostri interessi – che toccano anche vicende su cui saranno fondamentali in futuro – penso alla ricostruzione dell'Ucraina ad esempio – le chiedo se c'è un focus particolare che l'antimafia sta ponendo su tali investimenti, anche alla luce di alcune vicende che hanno toccato alcuni dei porti italiani. Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Ascari.

  STEFANIA ASCARI. Grazie Procuratore del suo importante contributo. Vorrei chiederle un focus per quanto riguarda le mafie e la massoneria. Le interconnessioni tra mafia e massoneria emergono in modo palese in varie inchieste giudiziarie, e non solo in Sicilia e in Calabria, dove ormai è documentato attraverso numerose indagini che Cosa nostra e 'ndrangheta siano cresciute proprio grazie alla massoneria, perché la segretezza delle logge massoniche agevola gli incontri tra parte della classe dirigente e i boss. Vorrei sapere se lei crede che questo legame sia ancora sottovalutato e perché, e se secondo lei esistano leggi sufficienti a contrastare questo fenomeno – mi riferisco alla legge Anselmi su cui abbiamo presentato una proposta di integrazione e riforma. Le chiedo altresì se crede che il rapporto privilegiato tra mafie e massoneria abbia avuto un'evoluzione. È notizia di una settimana fa che il gran maestro Bisi abbia depennato dalle logge due condannati.
  Un altro focus che le chiedo è quello relativo a mafia e politica. Da tempo le mafie cercano l'appoggio politico e in alcuni casi sono un tutt'uno con la politica, basti pensare a «Geenna» la prima grande inchiesta sulla 'ndrangheta nella regione Valle d'Aosta terminata con «Egomnia», prosecuzione del lavoro degli inquirenti che svela la vicinanza tra istituzioni locali e la 'ndrangheta. Le vorrei chiedere quanto questo fenomeno sia diffuso a livello nazionale, facendo un focus particolare su Roma e Lazio, dove le inchieste degli ultimi anni e le prime condanne hanno acceso un faro sull'economia parallela delle famiglie criminali che si sono trasferite dal Sud nel Lazio per investire denaro sporco in attività lecite. È bene ricordare che a maggio 2022 è stata scoperta la prima 'ndrina romana, capeggiata da Vincenzo Alvaro e Antonio Carzo, entrambi appartenenti a storiche famiglie della 'ndrangheta, originarie di Cosoleto in provincia di Reggio Calabria. Procuratore, le chiedo una sua valutazione del fenomeno, anche in vista del Giubileo, del PNRR e probabilmente di Expo 2030.
  Presidente, chiudo con una richiesta, nell'ottica della collaborazione cui lei Procuratore accennava e di cui ringrazio, in riferimento a una vicenda che abbiamo trattato nella scorsa Commissione antimafia e che si è conclusa con una relazione, votata all'unanimità, sul massacro di Ponticelli, una vicenda terribile che è avvenuta nel 1983. All'interno della caserma Pastrengo di Napoli accaddero probabilmente fatti gravissimi di violenza disumana e lì, tra l'altro, alloggiavano gli stessi pentiti che accusarono Enzo Tortora. Sulla scorta di quanto si è appreso nella Commissione d'inchiesta della precedente legislatura, uno di questi, Mario Incarnato, successore di Luigi Riccio quale capo della zona di Ponticelli, avrebbe preso parte in maniera fattiva alle indagini sul duplice omicidio di due bambine, Barbara Selini e Nunzia Munizzi. Incarnato avrebbe avuto la libertà di ricostruire la dinamica dei fatti con Carmine Mastrillo, diventato poi supertestimone, che ha accusato tre persone, allora ragazzi diciottenni, Luigi Schiavo, Giuseppe La Rocca e Imperante che hanno scontato 27 anni di carcere. All'interno del carcere la stessa camorra, nell'ambito del processo, li ha protetti, in quanto non è Pag. 15mai successo niente in questi 27 anni di carcere. Secondo la Commissione antimafia della scorsa legislatura si è trattato di uno dei peggiori e più gravi errori giudiziari della nostra storia più recente. Intendo poi sollevare una ulteriore questione in seduta segreta.

  PRESIDENTE. Propongo di consentire ai colleghi che si sono iscritti a parlare di svolgere il loro intervento. Dopodiché passeremo in seduta segreta.
  La parola all'onorevole Barbagallo.

  ANTHONY EMANUELE BARBAGALLO. Anch'io ringrazio il Procuratore per la relazione puntuale e precisa. C'è un argomento che da addetti ai lavori abbiamo sempre avuto l'impressione sia di esclusiva pertinenza di alcune realtà territoriali nel Mezzogiorno, soprattutto in Sicilia. Si tratta del sistema dei rifiuti. Continuano a esserci alcune zone che sembrano di esclusivo interesse della mafia, è sempre più difficile il meccanismo della concorrenza in alcune zone. Certamente, a nostro giudizio, il divieto di subappalto crea un sistema sostanziale di oligopolio. Cambiano gli aggiudicatari ma i subappaltatori sono sempre gli stessi in alcune zone del Paese. Volevamo sapere a suo giudizio quali siano gli strumenti per rompere questo sistema, se gli strumenti di indagine oggi a disposizione degli investigatori siano sufficienti e se il legislatore possa offrire nuovi strumenti.

  PRESIDENTE. Prego senatore Melchiorre.

  FILIPPO MELCHIORRE. Quando poco fa le ho chiesto di poter intervenire pensando di parlare di un fatto di cronaca piuttosto attuale, qualche minuto dopo ho visto che lo Stato in Calabria e in Sicilia ha provveduto a operare degli arresti e quindi il fatto che sto per esporre non è più solo di cronaca, e credo sia però giusto evidenziarlo.
  Sono di Bari. Qualche giorno fa, davanti al carcere della città, c'è stato il cosiddetto inchino da parte di 100 ciclomotoristi con un carro funebre che ha scorrazzato per la città percorrendo le strade anche contromano, all'indomani della morte di un ragazzo la cui mamma lo stesso giorno sui social aveva minacciato un carabiniere. È stato un fenomeno che ovviamente ha indignato tutta la città. Volevo chiedere una sua valutazione su questo fenomeno, che non va sottovalutato, e anche su quella che può essere la reazione più giusta. Oggi l'antimafia sociale, nella persona di un sacerdote, ha detto che l'indifferenza è il luogo nel quale la mafia attecchisce di più. Volevo conoscere il suo parere rispetto a questo fenomeno, che ha colpito fortemente i baresi e in generale i pugliesi, ma anche gli italiani tutti, perché è stato reso noto anche dalla cronaca nazionale. Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Piccolotti.

  ELISABETTA PICCOLOTTI. Intervengo solo per chiedere al Procuratore se poteva dare risposta al quesito inerente alle armi che gli avevo posto la volta scorsa.

  PRESIDENTE. Do la parola al Procuratore per le risposte, in modo che ci possano ascoltare anche i colleghi da remoto, in particolare la collega Serracchiani che ha posto delle domande, prima di dare nuovamente la parola all'onorevole Ascari, che ha chiesto di intervenire in seduta segreta, e quindi di interrompere il circuito.
  Prego, Procuratore Melillo.

  GIOVANNI MELILLO, Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Passo a rispondere alle domande poste dall'onorevole Serracchiani. Per quanto riguarda l'abuso d'ufficio, credo di avere parlato apertamente – ma non è una valutazione mia, è una valutazione largamente diffusa nella cultura giuridica – dell'esistenza di profili di tensione tra l'abrogazione del reato, cioè l'eliminazione di tutte le condotte oggi previste come delitto dall'articolo 323-bis, e gli obblighi assunti dall'Italia in sede internazionale e in sede europea. Vi sono quindi profili di tensione rispetto alla Convenzione delle Nazioni Unite sulla corruzione, Pag. 16la Convenzione di Merida, e da questo punto di vista ci sono anche incognite riferite alla possibilità di considerare una scelta del genere in contrasto con la disciplina dell'articolo 117 della Costituzione. Vi sono sicuramente profili di tensione rispetto agli obblighi assunti in sede sovranazionale. Ho veramente poco da aggiungere. Credo che siano profili che il dibattito parlamentare dovrebbe considerare con grande attenzione, ma che costituiscono materia tipica di responsabilità politica del Parlamento e del Governo.
  Per quanto riguarda la bambina di Firenze, francamente non sono in condizioni di dare nessun elemento. È una vicenda drammatica sulla quale i colleghi di Firenze stanno lavorando. L'intervento della procura distrettuale antimafia di Firenze è legato alla necessità di considerare, tra le tante ipotesi possibili, quella di un sequestro a scopo di estorsione ma il sequestro a scopo di estorsione è uno di quei delitti equiparati ai delitti di mafia che ovviamente è possibile invece commettere in tutt'altro contesto. Già nella legge istitutiva delle direzioni distrettuali antimafia e della Direzione nazionale antimafia fu considerato necessario assimilarlo ai delitti di mafia. È del tutto evidente che le indagini siano delicate e obiettivamente, per quello che so, ostacolate anche dal contesto in cui i fatti si sono verificati, ma credo che questo sia il momento di lasciar lavorare in silenzio la magistratura e le forze di polizia fiorentine.
  Per quanto riguarda i porti, innanzitutto vorrei dire che il mio ufficio non svolge attività di analisi su ciò che non ha assunto le forme di un reato. Noi ci occupiamo dei reati già commessi e, da questo punto di vista, le infrastrutture portuali costituiscono già materia significativa per il nostro ruolo perché le strutture portuali sono largamente coinvolte nei processi di importazione di sostanze stupefacenti e in una serie di traffici illegali, per esempio quelli in materia di idrocarburi che prima indicavo, merci in sé lecite ma le cui modalità di importazione comportavano la sottrazione delle stesse al pagamento delle imposte dovute. In particolare, sul versante di stupefacenti vi sono molti elementi di allarme. Gioia Tauro – per quanto sia notevolmente migliorata la capacità di controllo dei flussi di merci che attraversano quell'infrastruttura – resta un hub importante del traffico degli stupefacenti, ma questo riguarda anche i porti collocati in ben diversa con posizione geografica. I porti liguri, come Vado, Genova e La Spezia, i porti toscani come Livorno, i porti del Lazio, come Civitavecchia, quelli campani come Napoli e Salerno. Sono in corso attività di raccolta, analisi ed elaborazione dei dati necessari per avere un quadro aggiornato della situazione per imbastire anche specifiche azioni di collaborazione sul piano internazionale. In particolare, sono in corso contatti con le autorità francesi e spagnole per realizzare una sorta di polo investigativo unitario in grado di seguire con maggiore efficacia le attività di importazione di stupefacenti che si realizzano anche intorno alle infrastrutture catalane e francesi.
  Per quanto riguarda le domande dell'onorevole Ascari, esse francamente costituiscono un programma impegnativo per chiunque si accinga a tentare una risposta. I rapporti tra organizzazioni criminali tipicamente mafiose e le reti massoniche sono rapporti antichi. In letteratura si ribatte anche intorno alle radici storiche di questo fenomeno, forse collocate persino in epoca preunitaria. Si tratta però anche di un fenomeno straordinariamente attuale, e la cattura di Messina Denaro sembra rivelare un mondo di relazioni protettive della sua latitanza che ha anche alcune connotazioni di quel tipo. D'altra parte, la provincia di Trapani è storicamente uno dei luoghi in cui le relazioni tra cosche mafiose e reti massoniche hanno avuto più consolidato sviluppo sino ai limiti di reciproca integrazione e in alcuni contesti quasi di immedesimazione. Questo è un tema che rende del tutto peculiare il dibattito intorno all'associazionismo massonico in Italia. Probabilmente il nodo principale da sciogliere riguarda la segretezza delle organizzazioni massoniche che in altri Paesi è bandita, avendo le varie obbedienze di mira proprio il valore della trasparenza Pag. 17della loro organizzazione. Si tratta però di temi complessi che forse esigono ben altra capacità di approfondimento di quella che io oggi posso rivelare.
  Analogo discorso vale per la domanda sui rapporti tra mafia e politica. Per fortuna, la specificazione intorno al contesto romano rende forse plausibile una risposta. Roma è un teatro importante di operatività delle organizzazioni criminali, di quasi tutte le organizzazioni, e anche di organizzazioni criminali autoctone, per così dire, in quanto assolutamente autonome e sganciate dai contesti criminali originari. È anche un luogo nel quale ormai la presenza di organizzazioni criminali di origine straniera assume alcune connotazioni di grande pericolosità. Traffico di stupefacenti e riciclaggio nel comparto turistico-alberghiero e nel settore dell'edilizia sono forse una delle tracce per dare spiegazione dell'intensità di questo fenomeno, sul quale la Procura di Roma sta svolgendo da tempo un importante ed efficace lavoro.
  Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Barbagallo relativa alla materia dei rifiuti, la prima indagine di criminalità organizzata che seguii più di 30 anni fa riguardava la materia dei rifiuti. Si tratta di un settore nel quale la penetrazione delle organizzazioni criminali è particolarmente forte ma non bisogna nascondersi che è direttamente proporzionale alla difficoltà del sistema pubblico di organizzare in maniera compiuta e trasparente un ciclo di gestione dei rifiuti che valga a ridurre la necessità di avvalersi di servizi legali. La Sicilia, da questo punto di vista, è uno degli epicentri delle attività di traffico organizzato di rifiuti perché tutto depone nel senso dell'incapacità del sistema regionale siciliano di smaltire i rifiuti prodotti nell'isola. Da questo punto di vista, ci sono anche indagini in svolgimento delle quali ovviamente nulla in questo momento posso dire.
  Circa la domanda del senatore Melchiorre, non vi è dubbio che quanto accaduto a Bari sia un fenomeno preoccupante di emersione di una cultura mafiosa che giunge alla protesta pubblica e all'affermazione della propria identità in maniera eclatante. Avendo quasi sempre lavorato a Napoli, ho meno propensione alla sorpresa e allo stupore, dal momento che in quella città, ma non solo in quella città, ma in buona parte del Mezzogiorno, esiste anche una iconografia mafiosa fatta di murales, di edicole votive e di tanti altri segnali di ostentata celebrazione di figure e di imprese criminali. Da questo punto di vista, sorprende il ritardo nella risposta delle istituzioni statuali. A Napoli soltanto un paio d'anni fa si è realizzata un'importante azione di cancellazione delle tracce di queste celebrazioni iconografiche che sono dai più considerate normali. Sono indici di pericolosità non soltanto dei fenomeni mafiosi ma anche dell'abbassamento dello sguardo delle istituzioni. Lei ha usato l'espressione «indifferenza». In un vecchio libro si ritrova l'ammonimento a non riservare indifferenza agli altri e a non riservare indulgenza per sé. Credo che questa dovrebbe essere una lezione che innanzitutto le istituzioni pubbliche statuali dovrebbero avere ben presente perché c'è un po' di autoindulgenza rispetto a questo. Il fenomeno è molto più ampio e riguarda anche i riti religiosi: l'inchino è un'espressione elaborata proprio sul versante della distorsione del valore di cerimonie religiose, piegate ai fini della esaltazione di figure e poteri mafiosi.
  Per quanto concerne la domanda dell'onorevole Piccolotti, il tempo non consente l'indicazione di esempi. Se ci fossero dimostrazioni concrete di quello che provavo a dire l'altra volta, esse sarebbero oggetto di indagini in attuale svolgimento e dunque segrete, però proverò a risponderle così. Se venisse sequestrato un TIR con una tonnellata di tabacco lavorato di contrabbando proveniente dall'Ucraina con autista moldavo, chiunque potrebbe dire che siano cose che capitano per cui ci sono asimmetrie del mercato del tabacco intorno ai confini dell'Europa che fanno sì che un pacchetto di sigarette possa variare nel suo costo da un euro a 15 euro. Per chi invece si ricordava, come me, dei TIR che 30 anni fa trasportavano sigarette di contrabbando provenienti dai paesi della ex Jugoslavia, ricorda anche che quei primi traffici servivano ad aprire la strada al traffico, prima Pag. 18di stupefacenti e poi di armi, perché si aprivano canali, rotte e si creavano infrastrutture logistiche necessarie anche alla esportazione di quei materiali. Questa è la ragione per la quale un evento banale come il sequestro in quel di Torino di un TIR contenente sigarette di contrabbando proveniente dal sud-est Europa secondo me oggi ha un valore emblematico superiore all'apparente banalità del dato. Credo che il resto sia necessario tributo al dovere di interrogarsi sull'evoluzione degli scenari che abbiamo di fronte e, da questo punto di vista, non credo che le mie valutazioni siano semplicemente sintomo di inclinazioni pessimistiche.
  Circa la domanda sulla vicenda di Ponticelli, francamente non ho avuto modo di esaminare la relazione approvata dalla Commissione parlamentare antimafia, quindi il mio dire ovviamente sconta questo deficit cognitivo e non ho notizia di procedure giudiziarie finalizzate alla revisione delle sentenze definitive pronunciate in relazione a quella drammatica vicenda, ma potrebbe anche questo essere una mia personale ignoranza. Naturalmente il semplice sospetto che degli innocenti possano essere ancora detenuti giustifica qualsiasi sforzo di accertamento della verità, però attenderei a definire errore giudiziario quello che è ancora la conclusione di una vicenda processuale che ha completato tutti i gradi di giudizio e che non risulta ancora in revisione. Comprendo però perfettamente tutto il suo allarme e la sua preoccupazione.

  PRESIDENTE. Prima di passare alla seduta segreta, mi permetto di ringraziare, a nome di tutti i commissari, il Procuratore nazionale Melillo, non solo per la disponibilità, ma perché questa audizione credo sia stata molto utile – sia per la sua relazione iniziale sia per le domande dei commissari – per iniziare a individuare una linea che questa Commissione potrà tenere nei prossimi mesi. È evidente che sul filone dell'attualità con quello che ci ha detto il procuratore Melillo, sono emerse priorità ed emergenze che passano certamente da questioni già note come l'attenzione che lo Stato deve all'utilizzo dei fondi del PNRR e affermare eventuali infiltrazioni, ma anche dalla richiamata emergenza sulla necessità di aggiornare gli strumenti tecnologici e normativi – il riferimento al cybercrime mi sembra abbastanza urgente e necessario. Inoltre, nel frattempo abbiamo appreso dalle agenzie di stampa del continuo lavoro degli inquirenti, che ringraziamo, perché la DDA in Calabria su Catanzaro e Crotone, la DDA di Palermo e la DDA di Milano confermano il grande lavoro che alcuni svolgono e che noi dobbiamo in tutti i modi supportare.
  Per questo ringrazio tutti i commissari e ringrazio particolarmente il Procuratore che spero sarà un fidato e continuo compagno di viaggio della Commissione parlamentare antimafia perché questo ci permetterà di raggiungere maggiori risultati. A questo punto saluto chi è collegato da remoto, perché da questo momento non ci potrà più ascoltare. Se non ci sono obiezioni, passerei alla seduta segreta.

  Dispongo la disattivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso e della web-tv.

  (La Commissione prosegue in seduta segreta).

  PRESIDENTE. Dispongo la riattivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso e della web-tv.

  (La Commissione riprende in seduta pubblica).

  Ringrazio nuovamente il Procuratore Melillo e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 10.20.