XIX Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Mercoledì 27 settembre 2023

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Formentini Paolo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA PROIEZIONE DELL'ITALIA E DEI PAESI EUROPEI NELL'INDO-PACIFICO

Audizione di Gabriele Abbondanza, docente presso l'Università di Madrid e l'Università di Sydney e ricercatore presso l'Istituto Affari Internazionali (IAI).
Formentini Paolo , Presidente ... 3 
Abbondanza Gabriele , docente presso l'Università di Madrid e l'Università di Sydney e ricercatore presso l'Istituto Affari Internazionali (IAI) ... 3 
Formentini Paolo , Presidente ... 8 
Calovini Giangiacomo (FDI)  ... 8 
Abbondanza Gabriele , docente presso l'Università di Madrid e l'Università di Sydney e ricercatore presso l'Istituto Affari Internazionali (IAI) ... 8 
Formentini Paolo , Presidente ... 9 
Onori Federica (M5S)  ... 9 
Coin Dimitri (LEGA)  ... 9 
Abbondanza Gabriele , docente presso l'Università di Madrid e l'Università di Sydney e ricercatore presso l'Istituto Affari Internazionali (IAI) ... 9 
Formentini Paolo , Presidente ... 10 
Billi Simone (LEGA)  ... 10 
Pizzimenti Graziano (LEGA)  ... 10 
Abbondanza Gabriele , docente presso l'Università di Madrid e l'Università di Sydney e ricercatore presso l'Istituto Affari Internazionali (IAI) ... 10 
Formentini Paolo , Presidente ... 11 
Loperfido Emanuele (FDI)  ... 11 
Abbondanza Gabriele , docente presso l'Università di Madrid e l'Università di Sydney e ricercatore presso l'Istituto Affari Internazionali (IAI) ... 11 
Formentini Paolo , Presidente ... 12 
Di Giuseppe Andrea (FDI)  ... 12 
Abbondanza Gabriele , docente presso l'Università di Madrid e l'Università di Sydney e ricercatore presso l'Istituto Affari Internazionali (IAI) ... 12 
Formentini Paolo , Presidente ... 12 

Audizione di Lorenzo Termine, ricercatore presso il Centro Studi Geopolitica.info e docente presso l'Università degli Studi Internazionali di Roma:
Formentini Paolo , Presidente ... 13 
Termine Lorenzo , ricercatore presso il Centro Studi ... 13 
Formentini Paolo , Presidente ... 17 
Quartapelle Procopio Lia (PD-IDP)  ... 17 
Termine Lorenzo , ricercatore presso il Centro Studi ... 18 
Formentini Paolo , Presidente ... 19 
Billi Simone (LEGA)  ... 19 
Termine Lorenzo , ricercatore presso il Centro Studi ... 19 
Formentini Paolo , Presidente ... 19 

ALLEGATO: Documentazione depositata da Gabriele Abbondanza, docente presso l'Università di Madrid e l'Università di Sydney e ricercatore presso l'Istituto Affari Internazionali (IAI) ... 20

Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
Azione - Italia Viva - Renew Europe: A-IV-RE;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Noi Moderati (Noi con L'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE: NM(N-C-U-I)-M;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
PAOLO FORMENTINI

  La seduta comincia alle 15.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la resocontazione stenografica e la trasmissione attraverso la web tv della Camera dei deputati.

Audizione di Gabriele Abbondanza, docente presso l'Università di Madrid e l'Università di Sydney e ricercatore presso l'Istituto Affari Internazionali (IAI).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del professor Gabriele Abbondanza, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle tematiche relative alla proiezione dell'Italia e dei Paesi europei nell'Indo-Pacifico.
  Ricordo altresì che la partecipazione da remoto è consentita alle colleghe e ai colleghi secondo le modalità stabilite dalla giunta per il Regolamento.
  Anche a nome dei componenti del Comitato, ringrazio per la disponibilità a prendere parte ai nostri lavori il professor Abbondanza, docente presso l'Università di Madrid e l'Università di Sidney e ricercatore presso l'Istituto Affari Internazionali (IAI), che ha particolarmente approfondito il ruolo dell'Italia nella regione dell'Indo-Pacifico.
  Considerati i tempi stretti dell'audizione, do subito la parola al professor Abbondanza affinché svolga il suo intervento.

  GABRIELE ABBONDANZA, docente presso l'Università di Madrid e l'Università di Sydney e ricercatore presso l'Istituto Affari Internazionali (IAI).
  Benvenuti e grazie per essere qui.
  Come vedete, necessità e contenuti sono due elementi sui quali io verterò tanto in questa audizione. Sarò breve, prometto.
  Grazie per l'ospitalità e l'invito, dovuto chiaramente all'onorevole Formentini.
  Sono qui perché mi occupo di questo tema, in particolare dell'Italia e dell'Indo-Pacifico, oramai da diversi anni.
  Qui c'è una brevissima lista delle attività che ho fatto (slide n. 2), proprio per promuovere il ruolo di una Italia più proattiva e più multilaterale nell'Indo-Pacifico: dai congressi internazionali, ai centri di ricerca, incontri non solo con colleghi accademici, ma anche con diplomatici, ufficiali delle Forze armate di Paesi alleati, interviste con media di diversi Paesi, soprattutto dell'Indo-Pacifico e anche dell'Italia, e la prima ricerca completa sul ruolo dell'Europa e dell'Italia nell'Indo-Pacifico, che è stata pubblicata proprio il mese scorso.
  Tutta questa introduzione per dire che sono anni che mi occupo in particolare di questo tema e che la conclusione della mia analisi è che i tempi sono decisamente maturi per una strategia italiana per l'Indo-Pacifico. Una strategia che sia, però, non solo di ampio respiro e di lungo termine, come è normale per una strategia ufficiale, ma che sia anche multilaterale, inclusiva e attenta a tutti i diversi punti di vista.
  Questo è il concetto di Asia Pacifico (slide n. 3) al quale eravamo tutti abituati dalla fine della Guerra Fredda fino a una quindicina di anni fa.
  Questo invece è l'Indo-Pacifico (slide n. 4) come lo conosciamo oggi: l'Indo-Pacifico è una macro-regione che spazia dalle coste Pag. 4orientali del continente africano alle coste occidentali del continente americano, è tutto quello che è bagnato dall'Oceano Indiano e dall'Oceano Pacifico.
  Questa è una cosiddetta road map (slide n. 5) di come gli altri Paesi hanno approcciato l'Indo-Pacifico prima di noi. Come potete vedere si comincia circa una quindicina di anni fa, sedici per la precisione, con il Giappone, poi è stato il turno dell'India, dell'Australia, degli Stati Uniti e poi via via altri Paesi del cuore Indo-Pacifico.
  Come possiamo vedere, altresì, l'Europa ha atteso molto, perché il primo documento ufficiale che menziona esplicitamente l'Indo-Pacifico in Europa è quello francese del 2018; hanno seguito Germania e Olanda nel 2020, Regno Unito e Unione europea nel 2021, la Lituania quest'anno; l'Italia ancora non ha un documento programmatico che guidi il proprio impegno nell'Indo-Pacifico.
  L'Indo-Pacifico è fondamentale, lo sentiamo sempre, perché due terzi della popolazione mondiale vivono lì, perché due terzi del PIL globale trovano luogo e trovano casa nell'Indo-Pacifico e perché questi trend e questi andamenti sono in crescita.
  Ci sono chiaramente anche degli attriti geopolitici estremamente significativi.
  Quello del Mar Cinese Meridionale, chiaramente, che è stato non legalmente rivendicato e occupato per circa il 90 per cento da Pechino, ma anche potenziali conflitti di altra natura, Taiwan uno su tutti.
  È dunque da un lato sia il terreno di sfide generazionali essenziali, ma anche di grandissime opportunità.
  A questo punto vorrei anche ribadire il fatto che altri Stati e altre istituzioni dell'Indo-Pacifico incoraggiano molto attivamente una maggiore presenza europea e anche italiana. Io qua ho elencato solo alcuni dei principali Stati che la incoraggiano. Quelli che invece la scoraggiano, d'altro canto, sono di meno, e sono Cina, Russia e Corea del Nord, in sostanza.
  L'Indo-Pacifico è importante per l'Europa economicamente perché il 40 per cento del commercio globale passa attraverso il Mar Cinese Meridionale, che quindi necessita di essere stabile. Perché Europa e l'Indo-Pacifico assieme rappresentano più dei due terzi del commercio mondiale, e questa chiaramente è una tendenza che continua a crescere. Ma anche dal punto di vista dei valori e delle norme e del diritto internazionale, tutti gli elementi più importanti che Stati e istituzioni, come l'Italia, perseguono sono esattamente comparabili agli obiettivi di lungo termine degli Stati e delle istituzioni dell'Indo-Pacifico. Dunque una convergenza di interessi è nell'interesse di entrambi.
  Vi è poi una prospettiva strategica, perché è chiaro a questo punto – il passato insegna – che l'Europa ha un interesse nel difendere sia le rotte commerciali che sono vitali per il nostro commercio – abbiamo visto dove passa il commercio italiano –, ma che sono anche vitali per mantenere un diritto internazionale che poi governa tutte le questioni politiche, economiche e strategiche del mondo.
  È importante, infine, per l'Italia – e questa è la cosa curiosa, se ne parla molto di più all'estero e molto meno in Italia – perché l'Italia già approccia l'Indo-Pacifico, in maniera se volete informale, da quindici anni attraverso commercio, sicurezza e diritto internazionale, o meglio la sua difesa.
  A livello economico è fondamentale per l'Italia l'Indo-Pacifico, perché la maggior parte delle economie dell'Indo-Pacifico sono del tutto complementari a quella italiana. Loro cercano, e non hanno, quello che noi produciamo e vogliamo esportare.
  Dal punto di vista, invece, valoriale le sfide che noi ci ritroviamo ad affrontare, sia quelle tradizionali – come quelle delle tensioni geopolitiche – sia quelle più recenti – come i cambiamenti climatici, i flussi dell'immigrazione irregolare – sono le stesse sfide che loro si trovano ad affrontare.
  Dal punto di vista, invece, strategico, come menzionavo prima, la maggior parte di questi Stati e istituzioni molto fortemente auspica un maggiore coinvolgimento, aperto ed inclusivo, dell'Italia.
  Dal nostro canto l'Italia, a sua volta, offre una base importante per i suoi partner nella regione.Pag. 5
  Non dimentichiamo che l'Italia rimane l'ottava economia del mondo, rimane il settimo esportatore e Paese manifatturiero nel mondo – il secondo in Europa – e rimane tra i primi dieci Paesi sia per il cosiddetto soft che per hard power.
  Allo stesso tempo, guardiamo come funziona la politica estera italiana. Noi abbiamo tre pilastri che generalmente vengono ricondotti alla nostra politica estera: i rapporti con l'Europa e, in parte, le Nazioni Unite; i rapporti cosiddetti transatlantici, quindi USA e NATO; e il Mediterraneo allargato, termine che negli ultimi dieci-quindici anni è diventato molto più diffuso.
  Un altro elemento di cui si parla troppo poco è che il Mediterraneo allargato e l'Indo-Pacifico si intersecano, quindi questo è un essenziale punto di partenza per un maggiore coinvolgimento dell'Italia.
  In questa mappa (slide n. 10) ho disegnato nell'ovale blu l'Indo-Pacifico, come viene inteso oggi da tutti, e il Mediterraneo allargato come lo intende Roma. È chiaro che nel quadrante occidentale le due sfere si intersecano, e non dimentichiamo che è proprio in quelle acque che l'Italia ha ruoli economici, diplomatici e politici, ma anche strategici, di primissimo piano, incluso il comando di moltissime missioni internazionali.
  Questa dunque è una fotografia (slide n. 11), che viene dalla ricerca che ho appena pubblicato, quindi i dati sono recentissimi: dal punto di vista commerciale negli ultimi dieci anni l'Italia ha aumentato i propri interscambi di 1/6. Dal punto di vista della difesa i nostri interscambi sono aumentati quasi del 50 per cento, sempre negli ultimi dieci anni. Poi, dal punto di vista strategico tutti ricordiamo che abbiamo avuto la Fregata Carabiniere per un tour Indo-Pacifico nel 2017; abbiamo avuto fino a pochissimi mesi fa il comando della missione Agenor nell'Indo-Pacifico occidentale, lo stretto di Hormuz. Abbiamo tuttora il pattugliatore polivalente d'altura Morosini, che sta rientrando da un tour Indo-Pacifico proprio in questo momento nelle acque del Mediterraneo.
  Poi c'è un altro elemento, anch'esso poco noto e poco discusso in Italia, che è quello delle partnership italiane con questo Indo-Pacifico.
  Abbiamo partnership di crescente importanza da quindici anni a questa parte, solo nell'ultimo anno Giappone e India. Poi chiaramente anche l'attività di guida italiana nella strategia Indo-Pacific Oceans Initiative (IPOI) dell'India, nella quale guidiamo le attività scientifiche e tecnologiche.
  Questa è una foto che ho scattato io stesso all'Indo-Pacific Expo dello scorso anno, che in quell'anno era a Sydney, in Australia. Vedete Leonardo, vedete Fincantieri, vedete Nevi.
  Questa è una fotografia (slide n. 12) che attesta la seconda presenza più importante, quella dell'Italia, subito dopo quella degli Stati Uniti. Paesi come il Giappone, che sono dei pilastri tradizionali dell'Indo-Pacifico, come presenza all'Indo-Pacific Expo venivano dopo di noi; stesso dicasi per il Regno Unito, per la Germania e anche per Singapore.
  Questa (slide n. 13) è la Fregata Carabiniere nella baia di Sydney, nel 2017.
  E questa chiaramente è la foto-ricordo (slide n. 14) dell'ingresso dell'Italia nell'ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico) come partner allo sviluppo.
  Dunque, analizzando in maniera molto secca e molto fredda i pro e i contro di una strategia italiana per l'Indo-Pacifico cominciamo con i pro.
  Dal punto di vista economico, l'Indo-Pacifico continuerà sempre di più ad accentrare l'economia globale. In più – questo è fondamentale da ribadire – le nostre economie e le economie dell'Indo-Pacifico sono complementari, questa è un'opportunità che non abbiamo ancora minimamente sfruttato appieno.
  C'è poi il punto di vista della cooperazione. È vero che siamo presenti nell'Indo-Pacifico, anche se ce lo ricordiamo poco in Italia, tuttavia lo spazio e le potenzialità per una maggiore cooperazione multilaterale, attenta ed inclusiva con i partner dell'Indo-Pacifico – e io qui ho elencato solo alcuni degli aspetti – va ancora sviluppata molto.Pag. 6
  Ci sono poi i valori e le visioni comuni, che sono quelle che, se volete, giustificano alcuni tratti delle politiche estere delle nazioni. Il discorso del primato del diritto internazionale, il discorso del mantenimento di uno status regionale che permetta stabilità, e dunque possibilità a tutti. Questo è un qualcosa che noi abbiamo in comune con tutti i nostri partner locali dell'Indo-Pacifico.
  Quanto ai contro, noi abbiamo alcune debolezze strutturali, noi come Italia. Abbiamo avuto dodici governi in venti anni, quindi c'è un'instabilità governativa che chiaramente all'estero conoscono, soprattutto in Australia e in Giappone, e abbiamo una stagnazione economica negli ultimi quindici anni.
  Pur essendo del tutto vero, nulla di tutto ciò ha precluso una politica estera italiana sempre più attiva e dinamica nel corso del ventunesimo secolo, in questo caso in Africa e in Medio Oriente. Il secondo potenziale contro di una strategia italiana è quello dell'instabilità regionale nel nostro cosiddetto orto, cioè il Mediterraneo allargato. Ci sono sfide di sicurezza tradizionale e non tradizionale – anche qui ne ho elencate soltanto alcune – che potrebbero dunque dare una cosiddetta distrazione dal punto di vista strategico.
  Anche questo è del tutto vero, ciò nonostante l'Italia ha informalmente già approcciato l'Indo-Pacifico negli ultimi quindici anni, nonostante tutti questi limiti.
  Il terzo limite potenziale è quello di un deterioramento delle relazioni Italia-Cina nel caso adottassimo una strategia ufficiale per l'Indo-Pacifico.
  Vi sono altre quattordici documentazioni ufficiali di altre nazioni e istituzioni sull'Indo-Pacifico e questo non è mai accaduto con nessuno di questi Paesi. In più, il mancato rinnovo dell'adesione italiana alla Via della seta non ha ancora prodotto conseguenze negative, perché chiaramente è stato annunciato per tempo, spiegato e sostituito da qualcosa di più pragmatico.
  Dunque io qui presento molto brevemente la prima analisi, perché non è ancora stata fatta, delle quattordici strategie ufficiali di Paesi e Nazioni per l'Indo-Pacifico, perché noi non stiamo scoprendo l'acqua calda, non stiamo reinventando la ruota, lo hanno già fatto quattordici volte.
  Io, nel farlo per la prima volta, ho analizzato tutti gli elementi principali di tutte queste altre strategie per vedere cosa c'è in comune e in che modo possa essere utile per l'Italia.
  Io ho analizzato Giappone, India, Australia, ASEAN – che, ricordiamo, comprende dieci Nazioni –, Stati Uniti, Corea del Sud, Francia, Germania, Olanda, Regno Unito, Unione Europea, Italia – nello specifico, il contributo particolare alla strategia dell'Unione europea –, Canada e perfino la Lituania, che ha sorpreso non poche persone quest'anno con una strategia per l'Indo-Pacifico.
  Dopo aver evidenziato gli elementi principali di queste quattordici strategie, li ho interpretati secondo le specificità del nostro Paese, che chiaramente ha una cultura strategica e politica tutta sua e nell'interpretare questi interessi chiaramente si deve tener conto degli interessi dei nostri alleati europei, ma anche dei nostri partner dell'Indo-Pacifico. Io ho quindi formulato quelli che ritengo essere i sette elementi principali per una potenziale strategia italiana per l'Indo-Pacifico che – ci tengo a sottolinearlo – sono in armonia con le strategie europee e con le strategie dell'Indo-Pacifico.
  Questi (slide n. 20) sono i sette pilastri che ho evidenziato.
  Il primo – non è un caso che sia il primo – è il multilateralismo. L'approccio dell'Italia, a mio parere, deve essere inclusivo e apertamente rispettoso delle diversità, perché vi sono diversità in Europa, figuriamoci all'interno dell'Indo-Pacifico stesso. È fondamentale menzionare la centralità dell'ASEAN per chiunque voglia approcciarsi all'Indo-Pacifico e al contempo mantenere, anche con le parole e la terminologia, un importante ruolo per l'Europa.
  In secondo ordine la stabilità. Il primato del diritto internazionale è qualcosa che moltissimi, se non la maggior parte dei Paesi dell'Indo-Pacifico, fatica a difendere, perché chiaramente c'è una situazione interna all'Indo-Pacifico dove c'è una superpotenzaPag. 7 che non è soddisfatta delle condizioni attuali e che quindi cerca di apportare un cambiamento colossale al diritto internazionale. Ecco, questo va difeso con i partner locali, perché in questo modo un ordine regionale stabile è chiaramente un ordine regionale equo per tutti.
  Il terzo punto, la prosperità. Questa è una parola, in particolare, che è molto apprezzata da moltissimi dei nostri partner asiatici. Il commercio deve essere libero, ma deve essere anche legale, quindi deve essere basato sui princìpi del diritto commerciale. Allo stesso tempo è fondamentale – perché ci sono gli strumenti e c'è lo spazio – creare una governance economica includendo quelle nazioni che non sono nel G20 ma ci entreranno molto presto, che ci piaccia o meno.
  Quarto, cooperazione. Le sfide globali, ma anche quelle regionali, sono molteplici e vista la complementarietà non soltanto delle economie, ma anche dei mezzi – di quello che noi sappiamo fare e non sappiamo fare, e di quello che loro sanno e non sanno fare –, la cooperazione multilivello in questo caso è sicuramente ancora molto importante. Alcune delle sfide sono i cambiamenti climatici, i disastri ambientali – sappiamo chiaramente di città che stanno lentamente affondando, pensiamo all'Indonesia –, le pandemie, ma anche gli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. In questo caso il partenariato, dunque le partnership, sono strumenti molto utili.
  Quinto, la sicurezza. Un tema importante, perché spesso c'è una insicurezza nell'Indo-Pacifico. Da un lato la difesa dei diritti umani e dei princìpi democratici, perché questi aiutano ad avere un ordine regionale stabile sul quale tutti gli Stati – non soltanto quelli europei che si avvicinano ma quelli che sono già lì – possono contare. Ma dall'altro anche la libertà di navigazione e di sorvolo nelle acque internazionali. Questa libertà è costantemente minacciata dalla Marina militare, dalla Guardia costiera, dalle Forze armate in generale di Pechino, ed è quindi molto importante effettuare missioni, anche simboliche, sempre chiaramente in collaborazione con gli alleati e con i partner di Europa e di Indo-Pacifico.
  Vi è poi la sinergia, un'altra parola molto cara ai nostri partner asiatici. Dunque, in soldoni, cooperazione culturale, sociale ed accademica, ma anche scientifica. Ricordiamo qui il ruolo molto importante che l'Italia ha recentemente assunto, gli scambi di persone, gli scambi di lavoratori, di studenti, tutto questo può essere facilitato con fondazioni e centri.
  Settimo, ultimo ma non ultimo, la connettività. In poche parole, le infrastrutture sia digitali, che chiaramente apriranno la strada per il futuro dell'economia, ma anche quelle fisiche. Qui il nuovissimo IMEC (India-Middle East-Europe Economic Corridor), il corridoio economico che collegherà India, Medio Oriente e Italia è un qualcosa in cui noi dobbiamo non soltanto essere protagonisti, ma prenderlo come modello per il futuro, perché questo aiuta uno sviluppo regionale – perché un Indo-Pacifico più prospero vuol dire un mondo più stabile –, ma è anche chiaramente un trampolino per rafforzare i rapporti Europa-Indo-Pacifico, rapporti nei quali la nostra complementarietà con questi Paesi e il loro desiderio di vederci molto più attivi è ancora un desiderio inespresso.
  Tre considerazioni finali.
  I concetti chiave sono essenziali. Come ho accennato all'inizio, io ho vissuto undici anni nel cuore dell'Indo-Pacifico e i miei colleghi erano di tutte le nazionalità che vivono, lavorano e operano in questa macro-regione. Non menzionare alcuni di questi concetti è più dannoso che menzionarli male, perché dà un'idea che alcune delle problematiche e anche delle difficoltà, perché stiamo parlando di molti Paesi in via di sviluppo ancora, non vengano comprese da una ricca e sempre più anziana Europa. Questo non deve essere il caso, i concetti chiave devono essere tutti lì nella strategia.
  Poi la terminologia. Se è vero che l'Europa è fatta di molte lingue e di molti popoli, è altrettanto vero che l'Indo-Pacifico ha più popoli, più Nazioni e ancora più lingue, perché chiaramente geograficamente è più grande; tuttavia, la lingua strategica e diplomatica è una sola. Non utilizzare o Pag. 8utilizzare male alcune parole e alcuni termini può essere effettivamente molto deleterio. Un esempio tra tanti: non menzionare la centralità dell'ASEAN bloccherebbe qualsiasi tentativo di avvicinarsi all'Indo-Pacifico in una maniera aperta e inclusiva.
  Tre – e questa è l'ultima chiarificazione che faccio alla fine –, la sintesi tra tutti i molteplici interessi.
  Vi sono gli interessi italiani, e io sono qui a parlare anche di questo in quest'aula del Parlamento italiano. Vi sono gli interessi europei, che spesso sono contrastanti, ma le strategie aiutano proprio a chiarire nero su bianco la direzione. E vi sono gli interessi dell'Indo-Pacifico, che a loro volta qualche volta sono discordanti all'interno.
  Bene, trovare una sintesi – o la quadra, per usare un termine che in questo edificio si usa molto spesso – è assolutamente essenziale. Per farlo è necessario conoscere le altre strategie degli altri Paesi, gli obiettivi degli altri Paesi, in questo modo formulare un approccio strategico italiano per l'Indo-Pacifico che sia sì negli interessi nostri e dei nostri alleati, ma anche dei Paesi dell'Indo-Pacifico stesso, in maniera aperta, inclusiva, franca e rispettosa delle diversità. Noi non possiamo fare la differenza da soli, la Francia non fa la differenza da sola, il Giappone non la fa da solo; tuttavia, una cooperazione con gli stessi obiettivi, gli stessi mezzi e un linguaggio che chiaramente apra porte intere di politiche per il futuro, questo sì che aiuterebbe davvero tanto.
  Dunque io continuo a lavorare su questi temi e di conseguenza mi rimetto ai vostri commenti, rimango a disposizione per interventi futuri. Molte grazie.

  PRESIDENTE. Grazie di cuore, professore, per aver aperto i lavori del Comitato sull'Indo-Pacifico. Come si è evidenziato, è interesse nazionale italiano occuparsi anche di questa area, e proprio da qui può partire il nuovo interesse italiano per l'area.
  Va elaborata una visione, lo abbiamo chiesto anche con atti parlamentari, e auspichiamo che quanto prima si arrivi ad averla anche come Italia.
  Do la parola all'onorevole Calovini.

  GIANGIACOMO CALOVINI. Grazie innanzitutto, presidente, per iniziare oggi questo percorso sul tema dell'Indo-Pacifico, che viste anche le slides è sicuramente una cosa non secondaria, e grazie anche al professore.
  Stavo riguardando le strategie che Lei ci ha elencato. Mi può spiegare meglio magari la differenza tra quella italiana e quelle degli altri Paesi europei, cioè se noi siamo deficitari, dove eventualmente possiamo migliorare, quale direzione potremmo prendere per cercare di essere un po' più presenti in questo territorio sicuramente importante.

  GABRIELE ABBONDANZA, docente presso l'Università di Madrid e l'Università di Sydney e ricercatore presso l'Istituto Affari Internazionali (IAI). Grazie mille, la domanda è veramente molto appropriata, perché è quello che all'estero stanno chiedendosi, perché chiaramente oramai si sa che l'Italia è interessata a sviluppare una strategia di questo tipo.
  Noi abbiamo i colleghi inglesi che hanno sviluppato una strategia che non è discutibile, ma è decisamente molto diversa da quella degli altri Paesi europei. Gli inglesi hanno sviluppato una strategia che è completamente focalizzata sul cosiddetto hard power, quindi sulle misure più dure e meno cooperative con i Paesi dell'Indo-Pacifico, per mantenere il diritto internazionale, lo status quo, la libertà di sorvolo e di navigazione; un approccio che è estremamente simile a quello americano e australiano, chiaramente non è una coincidenza.
  Gli altri Paesi europei – coloro che hanno un'idea dell'Indo-Pacifico – presentano idee variegate.
  L'approccio francese, che è il più antico, ricordiamolo, tra quelli europei, è un approccio abbastanza ampio e tuttavia si focalizza su quattro pilastri principali, che chiaramente lasciano molto terreno da scoprire per eventuali novità nella regione.
  L'approccio tedesco e olandese – che è estremamente simile, sono quasi uguali, si chiamano linee guida e non strategie le loro – è un approccio che lascia aperta la porta sia ad un engagement, ad una presenza importante di quei Paesi sia ad una presenzaPag. 9 molto piccola, dunque è stato accolto con non particolare brusio nell'Indo-Pacifico.
  L'approccio italiano, secondo me, sulla base di quello che ho visto, sulla base dei discorsi che ho fatto, sulla base dell'analisi che ho fatto, dovrebbe essere un approccio che cerca di fare la sintesi tra tutti questi.
  Assolutamente non focalizzarsi solamente sul cosiddetto hard power, non possiamo semplicemente mandare fregate, perché questo è un messaggio sbagliato, questo fa parte dell'equazione, ma concentrarsi sugli aspetti economici, sugli aspetti culturali e sociali, sul cambiamento climatico, che è un problema estremamente sentito nell'Indo-Pacifico e che i Paesi anglosassoni, che si sono mossi prima, hanno tendenzialmente ignorato, inimicandosi i Paesi locali. L'Italia, col fatto che arriva soltanto adesso a creare una strategia, si può permettere il lusso di imparare dagli errori altrui e di fare meglio. Noi possiamo farlo, abbiamo gli strumenti, abbiamo il tempo e soprattutto abbiamo i partner dell'Indo-Pacifico che già conoscono la nostra politica estera e aspettano un nostro ruolo più proattivo e collaborativo.

  PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Onori. Poi l'onorevole Coin.

  FEDERICA ONORI(intervento in videoconferenza). Grazie, presidente. Un ringraziamento al professor Abbondanza per l'interessante relazione.
  La mia domanda verteva sul memorandum d'intesa con la Repubblica popolare cinese e quindi il progetto di Via della seta. Dalle sue parole capisco che la fuoriuscita, anche progressiva, da questo progetto sembrerebbe non aver causato delle conseguenze misurabili, quantomeno per il momento. Mi chiedevo se invece l'ingresso avesse dal suo punto di vista avuto una qualche sorta di effetto, magari migliorativo, nei rapporti con questa regione e nel ruolo dell'Italia in questa regione.

  DIMITRI COIN. Grazie professore e grazie presidente, sarò velocissimo.
  Visto l'interesse che c'è in quest'area, interesse strategico e interesse commerciale, l'area è vastissima, il quesito è funzionale anche a una lettura rispetto alle tensioni militari che ci sono in Europa con la guerra in Ucraina piuttosto che in Africa.
  Qual è il livello di tensione militare che c'è oggi in quest'area e in questi mari?

  GABRIELE ABBONDANZA, docente presso l'Università di Madrid e l'Università di Sydney e ricercatore presso l'Istituto Affari Internazionali (IAI). Grazie ad entrambi, domande anche qui molto appropriate.
  Dunque, per cominciare con la domanda sulla Belt on Road Initiative, dunque sul memorandum of understanding della Via della seta.
  I nostri colleghi che sono riusciti ad entrare e ad uscire dalla Cina ci hanno raccontato molte volte che l'adesione dell'Italia o di un Paese del G7 è stata utilizzata moltissimo nella politica domestica cinese ai fini della propaganda, come è normale, ogni Stato ha la sua. In questo caso è stata «venduta» questa adesione come il fatto che un Paese, ricordiamolo, cruciale dell'Europa – il secondo Paese manifatturiero, il terzo per PIL – abbia praticamente quasi accettato le condizioni che sono annesse al memorandum of understanding. Sappiamo tutti della cosiddetta diplomazia predatoria nel caso alcuni Paesi non riescano a ripagare gli interessi degli ingenti investimenti di Pechino.
  Dunque, all'inizio è stata utilizzata semplicemente per rafforzare questa politica, tuttavia, come tutti sappiamo, non è uscito moltissimo da questo accordo. L'ingresso dell'Italia nella Via della seta non ha comportato grandi investimenti, non ha comportato un incremento dei rapporti bilaterali significativo e tangibile ed è anche questo uno dei motivi tale per cui la sua uscita, se fatta e se proposta per tempo come è stato fatto, se proposta insieme ad una promessa di un rapporto che comunque rimane di partnership strategica, può non fare danni e può essere una lezione per il futuro.
  Quindi, per rispondere alla domanda, l'ingresso, a parte per motivi di convenienzaPag. 10 politica interna della Repubblica popolare cinese, non ha avuto una eco particolarmente forte.
  Invece la terza domanda, le tensioni militari nella regione dell'Indo-Pacifico sono oramai quasi all'ordine del giorno. Ne parlavo prima con l'onorevole Formentini, io durante il mio primo anno di docenza all'Università di Sidney ho avuto due casi praticamente di spionaggio nelle mie aule. Mi è stato poi spiegato da un collega che lavorava da più tempo all'università che era pratica comune e difatti poi uscì un report ufficiale della ABC, che è la RAI australiana, proprio su queste attività.
  Le tensioni si sentono da diversi anni, l'Australia per esempio è stato un Paese che ha vissuto sulla propria pelle la economic retaliation, quindi la quasi vendetta economica e commerciale per un atteggiamento meno accomodante rispetto al passato. Abbiamo i colleghi di Hong Kong che hanno lasciato Hong Kong. Abbiamo i colleghi di Taiwan che non sanno se è il caso oppure no e abbiamo i colleghi chiaramente di tutti gli altri Paesi – Giappone, Corea, Indonesia – che non sanno bene cosa fare.
  Quindi le tensioni ci sono, a furia di avere queste tensioni capiteranno anche incidenti isolati, perché quelli sono capitati in passato, non c'è motivo per cui purtroppo non debbano capitare in futuro: un marinaio che viene speronato durante una missione Fonop, per esempio, è sicuramente una possibilità. Tuttavia, se l'Italia riesce a mantenere un approccio aperto, multilaterale, che non agisce da solo, che è rispettoso delle differenze che vi sono e che quindi riesce addirittura quasi a sfruttarle per trovare una sintesi politica tra Europa e Indo-Pacifico, credo che anche questi incidenti isolati, che sicuramente accadranno prima o poi, riusciranno a rimanere quello che sono, dunque incidenti isolati.
  Spero di aver risposto alla domanda.

  PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Billi.

  SIMONE BILLI. Anch'io sarò velocissimo. Lei prima, professore, ha accennato all'hard power britannico. Io mi chiedo qual è la differenza, perché sostanzialmente si può parlare di hard power sia per gli Stati Uniti, ma – se si possono rintracciare – quali sono le differenze di approccio tra gli Stati Uniti e il Regno Unito, considerando che gli Stati Uniti hanno puntato l'attenzione su questa parte del globo ormai da tanti anni, da circa quindici anni, mentre il Regno Unito ha puntato l'attenzione su questa parte del globo direi dopo la Brexit e proprio come cardine economico dopo la Brexit. Quindi non so se si possono rintracciare delle differenze di approccio tra questi due Paesi in questa particolare regione.

  GRAZIANO PIZZIMENTI. Chiedevo, visto che sono molti gli Stati interessati, qual è lo Stato con cui l'Italia ha più rapporti e quello con cui ne ha meno invece, quindi da incrementare. E soprattutto quali sono le categorie merceologiche o quali sono la logistica per esempio, i trasporti in se stessi, che hanno più senso in quell'area, rispetto all'Italia ovviamente.

  GABRIELE ABBONDANZA, docente presso l'Università di Madrid e l'Università di Sydney e ricercatore presso l'Istituto Affari Internazionali (IAI). Ancora domande veramente molto interessanti.
  La differenza tra l'approccio britannico e quello statunitense l'ha già delucidata l'onorevole quando ha posto la domanda. Gli Stati Uniti hanno approcciato e approcciano l'Indo-Pacifico come una nuova visione per la loro politica estera nel ventunesimo secolo, alla quale, poco alla volta, loro sperano tutti gli alleati si adeguino, chi più chi meno.
  Il Regno Unito ha utilizzato l'Indo-Pacifico come sostituzione di quello che aveva prima della Brexit. In parte perché è vero che il commercio con l'Indo-Pacifico per Londra è molto importante, ma non così importante come lo è per esempio per Germania o Italia. In parte perché era necessario per l'elettorato inglese veder sostituito un qualcosa con qualcos'altro, questa è chiaramente una delle regole basilari di politica: la politica non tollera il vuoto e nemmeno quello elettorale.Pag. 11
  L'approccio di oggi dei due Paesi è sostanzialmente lo stesso, ad oggi. Chiaramente ci sono differenze in termini di capacità tra gli Stati Uniti e Regno Unito, ma ad oggi le politiche sono esattamente le stesse. E un approccio estremamente comparabile a quello di Stati Uniti e Regno Unito lo si trova in Australia.
  Poi l'ultima domanda, lo stato dei rapporti commerciali tra Italia e Indo-Pacifico.A dispetto di quello che pensano molte delle persone che conoscono e apprezzano l'Italia per la cultura e per l'arte, la prima voce di interscambio commerciale dell'Italia con quasi tutti i Paesi dell'Indo-Pacifico sono macchinari da ingegneria pesante o farmaceutica. Il comparto del food and beverage qualche volta è terzo, qualche volta è quarto, qualche volta è quinto, con fatturati molto più piccoli.
  Non è un problema di immagine, perché non lo chiamerei così, ma abbiamo una differenza tra quello che è l'output effettivo del Paese Italia – ricordiamo che è il settimo Paese manifatturiero al mondo e il secondo in Europa – e l'immagine che noi proiettiamo.
  Questo non è necessariamente, però, un difetto o una cosa negativa, perché credo che anche questo approccio italiano, che punta più su aspetti di cosiddetto soft power e influenza, abbia aiutato l'Italia a vincere alcune resistenze, quando abbiamo cominciato ad avvicinarci all'Indo-Pacifico; in poche parole non veniamo visti come un Paese che è «arido» dal punto di vista strategico, ma il fatto che noi veniamo visti come un Paese che ha anche cultura, società, arte, questo può aiutarci ad avere un ingresso più agevolato non solo nei mercati, ma anche nelle aule politiche, perché non scordiamoci che – come voi mi insegnate – i politici e i loro consiglieri sono esseri umani, quindi anche loro sono influenzati o influenzabili da queste percezioni.
  Quindi moltissimo lavoro ancora da fare, perché queste sono Nazioni che senza dubbio necessitano di quello che noi produciamo ed esportiamo, ma non lo esportiamo ancora sufficientemente.

  PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Loperfido.

  EMANUELE LOPERFIDO. Intanto grazie, molto interessante.
  Una domanda collegata più che altro rispetto alla precedente esperienza professionale, ovvero sicuramente, come dice Lei, dal punto di vista degli scambi commerciali, tendenzialmente, in precedenza era visto come un mercato privo di disciplina e regolamentazione sui brevetti. È invece un mercato maturo per poter fare scambi commerciali, mantenendo appunto anche il rispetto di questa disciplina? È un tema molto importante, soprattutto per le aziende italiane.

  GABRIELE ABBONDANZA, docente presso l'Università di Madrid e l'Università di Sydney e ricercatore presso l'Istituto Affari Internazionali (IAI). Effettivamente questa è una puntualizzazione necessaria.
  In passato si temeva un po', e tutti i vari documenti del Ministero dell'economia e finanze italiane e dell'ICE lo evidenziavano, si temeva una disconnessione tra le potenzialità di questo commercio e poi la realtà dovuta al fatto che sono Paesi con tradizioni diverse e che quindi implementano in maniera diversa le leggi internazionali e il diritto commerciale.
  Questo sta cambiando moltissimo. Io non ho avuto, per motivi di tempo, l'opportunità di farvi rivedere nel dettaglio i quattordici documenti, compresi quelli di Paesi dell'Indo-Pacifico che si riferiscono all'Indo-Pacifico, ma il fatto che vi sia un rules-based trade, dunque un commercio basato sulle norme internazionali, è tra i primi cinque pilastri di ciascuno di questi documenti; dunque un qualcosa su cui i nostri partner dell'Indo-Pacifico sanno che è importante lavorare, stanno già lavorando. E, ancora di più – di questo giustamente gli va dato atto – non disdegnano minimamente un suggerimento – chiamiamolo così, in maniera prosaica – su alcune modalità fatto da fuori, se fatto in maniera educata, se fatto in maniera preparata mesi e mesi prima; alcune di queste leggi vengono poi direttamente implementata in altri Paesi, compresa la terminologia, che loro magari ancora non hanno.
  Quindi lo spazio qui per lavorare – e l'Italia ha una tradizione conciliatoria nelle Pag. 12relazioni internazionali – secondo me, e secondo anche i miei colleghi e la letteratura scientifica, è uno spazio che va assolutamente sfruttato.
  La strategia italiana per l'Indo-Pacifico sulla quale io, e per fortuna non solo io, punto da molto tempo è nient'altro che una bussola, che in maniera accorta può guidare l'azione di Roma a prescindere da chi sia al Governo. Questo chiaramente dà anche la cifra di quello che l'Italia vuol fare ai Paesi che ci guardano dall'altro lato dell'oceano.

  PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Di Giuseppe.

  ANDREA DI GIUSEPPE. Buon pomeriggio. Concordo con quello che diceva Lei, anche perché mi pare che la maggior parte dei Paesi dell'Indo-Pacifico adottano il common law, quindi in termini di protezione siamo sotto quella sfera.
  Il tema interessante su cui riflettere per il futuro è che questi Paesi chiedono sempre di più una trasformazione in loco, cioè un export certamente della materia prima, ma c'è una richiesta di una trasformazione in loco, quindi con partnership in loco. Dove al partner industriale italiano viene chiesto di poter aprire e quindi con il know-how di trasformazione dal semilavorato, dalla materia prima al prodotto finito, e questo è un tema estremamente interessante e che secondo me va approfondito bene, perché è un tema che può cambiare in maniera abbastanza importante i pesi e le misure.

  GABRIELE ABBONDANZA, docente presso l'Università di Madrid e l'Università di Sydney e ricercatore presso l'Istituto Affari Internazionali (IAI). Verissimo. In particolare con alcuni di questi Paesi c'è il rischio che il cosiddetto know-how venga visto, venga poi replicato e si taglino i collegamenti con il Paese d'origine, in questo caso l'Italia, che come sappiamo produce, costruisce e poi esporta molto.
  In realtà, però, noi abbiamo un esempio molto buono da seguire nell'area, quello dell'Australia, che è un Paese occidentale in maniera imposta - chiaramente, vista la storia del Paese -, ma che è collocato nel cuore dell'Indo-Pacifico. L'Australia è oggi il Paese che ha la più rispettata politica di accordi di libero scambio e la più invidiata storia e track record di accordi di libero scambio in tutto l'Indo-Pacifico. Loro sono riusciti, pur non avendo un settore manifatturiero neanche lontanamente paragonabile a quello italiano, sono riusciti a mantenere il giusto equilibrio, la giusta equidistanza tra il continuare a commerciare moltissimo con queste Nazioni e al contempo a non perdere know-how che era strategicamente, almeno in origine, del Paese.
  Al contempo, se questi rapporti commerciali vengono mantenuti – ed è questo che aiuterebbe a fare una strategia, o meglio a prescindere da chi sia in via 20 Settembre o a Palazzo Chigi, quella è la linea guida – questo aiuta a mantenere dei rapporti politici, che chiaramente seguono quelli economici, molto importanti in caso di crisi, perché prima o poi capita una crisi bilaterale; e i rapporti in loco con tutta la società civile, dalla politica in giù, aiutano ad appianarla. Se non si hanno questi rapporti economici si punta un po' sulla fortuna.
  Quindi io credo che un approccio più strategico - e lì la strategia - ci aiuta moltissimo e d'altro canto – scusatemi se mi ripeto – non dobbiamo reinventare la ruota, hanno già pensato cose simili i nostri alleati e i nostri partner.
  Abbiamo visto dei pro, abbiamo visto dei contro, sfruttiamo la situazione, impariamo dagli errori e facciamo meglio.

  PRESIDENTE. Professore, La ringrazio moltissimo, anche per la documentazione, che sarà pubblicata in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato). È stato un inquadramento e un inizio dei lavori per il Comitato Indo-Pacifico davvero di grande spessore, chiarissimo. Abbiamo molto su cui lavorare e lavoreremo nei prossimi mesi. Ci risentiremo senz'altro.
  Dichiaro conclusa l'audizione, auspicando che l'Indo-Pacifico più prospero porti a un mondo più stabile.

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Audizione di Lorenzo Termine, ricercatore presso il Centro Studi Geopolitica.info e docente presso l'Università degli Studi Internazionali di Roma.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del dottor Lorenzo Termine, ricercatore presso il Centro Studi Geopolitica.info e docente presso l'Università degli Studi Internazionali di Roma.
  Anche a nome dei componenti del Comitato, ringrazio per la disponibilità a prendere parte ai nostri lavori il dottor Termine e gli do subito la parola affinché svolga il suo intervento.

  LORENZO TERMINE, ricercatore presso il Centro Studi Geopolitica.info e docente presso l'Università degli Studi Internazionali di Roma. Grazie mille, presidente, per l'onore di intervenire in questo neo-istituito Comitato sulla politica estera per l'Indo-Pacifico; grazie onorevoli per il tempo dedicato a questa audizione.
  Prima di addentrarmi nel tema, mi permetta di salutare con grande favore la costituzione di un Comitato sulla politica estera italiana verso l'Indo-Pacifico. È una novità decisamente rilevante di questa legislatura e sono onorato di essere tra i primi auditi e di portare la mia testimonianza di studioso delle relazioni internazionali, e in particolare di Indo-Pacifico. Spero possiate trovarla di utilità per l'attività del Comitato, e della Commissione più in generale.
  La mia relazione sarà divisa virtualmente in due sezioni, che vogliono rispecchiare quello che è il mandato di questo Comitato.
  Una prima parte sarà dedicata all'analisi teorica della politica estera italiana, in quanto e in qualità di politica estera di una media potenza, quindi soggetta a vincoli e opportunità peculiari.
  La seconda parte sarà invece dedicata all'Indo-Pacifico, alla sua costituzione politica come macro-regione e allo status quo delle relazioni nell'area.
  Mi soffermerò, in particolare, sugli aspetti che ho più il piacere di studiare. Io non sono un economista, studio gli aspetti più securitari e strategici e quindi quelli saranno il focus del mio intervento, e spero che ci possa essere occasione prossimamente per relazioni invece su aspetti più economici e commerciali.
  Questa seconda parte sarà dedicata anche alle relazioni tra Italia e attori dell'Indo-Pacifico, per evidenziare le tendenze e i trend attuali della politica estera italiana e i possibili spazi di approfondimento dei rapporti con i Paesi e gli attori principali dell'area.
  Passando alla prima parte del mio intervento, inizio rilevando quello che la letteratura dice dell'Italia e della politica estera italiana. Il nostro Paese è inequivocabilmente identificato come una media potenza. Cosa vuol dire essere una media potenza? Le medie potenze sono caratterizzate da una posizione ovviamente intermedia nella gerarchia internazionale del potere e del prestigio, in primo luogo perché sono dotate di risorse che sono deficitarie in almeno una delle dimensioni cruciali della potenza internazionale (territorio, popolazione, economia, capacità militari).
  Ne consegue che, per via di questo vincolo di risorse, le medie potenze abbiano una proiezione esterna che è necessariamente più circoscritta e un'influenza che è necessariamente più circoscritta rispetto alle potenze loro superiori, ovviamente le grandi potenze.
  Solitamente individuiamo per le medie potenze nella regione di appartenenza il perimetro fondamentale d'azione: per via del gradiente di potenza, infatti, le medie potenze perdono efficacia a mano a mano che ci si allontanano. Ovviamente, ça va sans dire, più ci si allontana dalla propria regione d'appartenenza più la capacità di influenza di una media potenza diminuisce. Come già Carlo Maria Santoro evidenziava in un bel volume sulle costanti della politica estera italiana, Roma ha dunque trovato nella regione euromediterranea – anche detta del Mediterraneo allargato in una riformulazione più recente – il centro di gravità della sua politica estera.
  Il primo dato che quindi voglio portare all'attenzione di questo Comitato e della Pag. 14Commissione è che il bilanciamento asiatico della politica internazionale, sia come fenomeno strutturale sia come conseguenza di scelte politico-strategiche – vedremo in particolare di chi –, ha due implicazioni fondamentali.
  La prima è quella più immediata e che distoglie l'attenzione dal Mediterraneo allargato, e questo ovviamente è un effetto di cui siamo le principali vittime e i principali soggetti che lo soffrono. Distolgono l'attenzione dal Mediterraneo allargato di quegli attori che hanno interessi strategici globali. Questo ha significato che in un contesto internazionale in cui il potere e l'influenza internazionale stanno sperimentando una costante, seppur graduale, redistribuzione in favore dell'Asia, il principale alleato dell'Italia, gli Stati Uniti, abbia deciso di disimpegnarsi dalla regione del Medio Oriente e del Nordafrica per concentrare il grosso dei suoi sforzi diplomatici, politici, economici e militari verso quella regione che chiama nei suoi documenti strategici appunto Indo-Pacifico. In quest'ottica il monumentale impegno americano nel sostegno all'Ucraina sembra anticipare in realtà due possibili esiti.
  Il primo è una soluzione della crisi ucraina in una versione massimale, che comporterà probabilmente per gli Stati Uniti la messa in sicurezza del Paese attraverso l'ingresso nella NATO e nell'UE di Kiev.
  Il secondo scenario è una possibile soluzione che possiamo definire più minimale, che implicherà la neutralizzazione della Russia da attore riottoso in grado di sconvolgere manu militari l'assetto europeo. Questo è quanto è stato prospettato dal Segretario alla Difesa Lloyd Austin in più discorsi.
  In entrambi i casi gli Stati Uniti potranno tornare al disimpegno dall'Europa una volta conclusa la crisi ucraina, a favore ovviamente dell'Indo-Pacifico.
  Quindi, comunque si chiuda – e speriamo prima possibile – la crisi ucraina, la sensazione dall'altra parte dell'Atlantico è che si tornerà a concentrare sforzi, risorse e attenzione verso l'Indo-Pacifico come baricentro della politica estera americana.
  La seconda implicazione, che penso rappresenti quella che è un po' la variabile causale della mia presenza oggi in quest'Aula, è che la nuova trazione asiatica della politica internazionale comporta una necessaria rivalutazione della politica estera delle medie potenze non asiatiche, tra cui appunto l'Italia.
  Su di esse, quindi sul nostro Paese, infatti pesa un rischio concreto, un rischio che esiste storicamente – ce lo dice Paul Kennedy – che è il rischio di overstreaching qualitativo e quantitativo, ovvero fare troppo rispetto a quante risorse si hanno a disposizione verso una regione che è distante e che è diversa, sia dal punto di vista delle dinamiche di sicurezza che dal punto di vista delle strutture: pensiamo a quanto diverso è l'Indo-Pacifico in termini di pattern di alleanze. Abbiamo in Europa una struttura multilaterale di alleanza, mentre invece abbiamo nell'Indo-Pacifico quello che viene chiamato sistema hub and spoke, cioè del mozzo, del centro e dei raggi (il mozzo ovviamente sono gli Stati Uniti, i raggi sono quelli che portano i vari attori della regione).
  Quello che voglio evidenziare è che alla luce di questa tensione tra le risorse di potenza che l'Italia ha e questo spostamento del baricentro strategico internazionale verso l'Asia, a mio parere va quindi affrontato, proprio in questa luce, il dibattito sulla possibilità di una strategia italiana per l'Indo-Pacifico, che immagino sia stato centrale anche nell'intervento che mi ha preceduto.
  Negli ultimi mesi, infatti, i decisori politici italiani, i commentatori e gli esperti a vario titolo di politica estera e politica internazionale hanno iniziato a discutere più concretamente della possibilità per Roma di pubblicare un documento sull'approccio strategico italiano verso questa regione. Lungi dal voler prendere posizione in quello che è un dibattito squisitamente politico, nella mia opinione penso che ci siano alcuni motivi che ricorrono e per cui gli Stati si dotano di documenti strategici, e che penso valga la pena analizzare.
  La prima logica che sottende alla stesura di un documento strategico è quella di Pag. 15guidare, ovviamente, la comunità di politica estera nazionale. Per quanto capillare, infatti, la comunicazione intra ed interistituzionale non sempre raggiunge tutti gli stakeholders della politica estera di un Paese; ovviamente, avere un documento strategico pubblicato fornisce l'autorità politica e strategica che ispira e guida l'azione esterna di un Paese in tutte le sue dimensioni e componenti, mettendo in raccordo risorse e obiettivi di uno Stato nella sfera internazionale.
  La seconda logica – e qui usciamo dall'arena interna e ci proiettiamo nel contesto internazionale – è informare l'audience esterna. L'audience esterna che, in particolare, è composta dalle alte unità del sistema internazionale, gli altri Stati. In un documento strategico un Paese definisce interessi e minacce per come le percepisce. In questo senso svolge una funzione chiarificatrice, aprendo una finestra sulla valutazione strategica fatta da uno Stato del suo ambiente esterno. In tal modo la tipica opacità dei rapporti internazionali è parzialmente ridotta, quindi appunto ha funzione chiarificatrice.
  La terza logica è quella che possiamo definire del signalling, ovvero dell'attività fatta da uno Stato nei confronti delle potenze avversarie rivali quando include una loro politica, una loro azione all'interno del novero delle opportunità, delle minacce, ma anche all'interno di vere e proprie linee rosse da non valicare, e in questo modo segnala chiusura o apertura al dialogo, determinazione ad agire in contrasto o invece, al contrario, in accordo.
  La quarta logica è quella che possiamo definire coalizionale, perché i documenti strategici non hanno come obiettivo solo i rivali, i nemici, i potenziali competitor, ma anche i partner e gli alleati.
  Da un lato, infatti, il documento è volto a consolidare la cooperazione tra un gruppo di alleati o partner nei confronti di un particolare fenomeno internazionale, lasciando così possibilmente poco spazio a free riding (ovvero al fatto che qualcuno possa approfittare dell'impegno di un soggetto senza pagarne i costi), buch passing (cioè lo scaricabarile, che qualcuno possa semplicemente decidere di disimpegnarsi e lasciar fare a qualcun altro) o il semplice disinteressamento dei nostri partner. Dall'altro, può costituire una manifestazione ufficiale di impegno in una determinata area o per una determinata funzione. Infine, la produzione di un documento strategico può essere fonte di status internazionale, perché mostra la rilevanza vera o presunta di una Nazione e la integra nel club di coloro che hanno già rilasciato simili documenti.
  Tuttavia – e qui passo a quelli che possono essere i contro della pubblicazione di un documento strategico – si noti che la pubblicazione di un documento comporta anche responsabilità. Una media potenza ha vincoli più pesanti sulla sua politica estera e solitamente segue la guida di un alleato maggiore. Essere eccessivamente solerti nel definire minacce, soprattutto in un quadro politico-strategico in mutamento come quello dell'Indo-Pacifico, può rischiare di intrappolare la politica estera nazionale. Nel caso in cui le condizioni mutassero, l'Italia si troverebbe intrappolata e rischierebbe di trovarsi vincolata con partner rivali da un testo divenuto improvvisamente obsoleto. Quindi pubblicare un documento strategico non dovrebbe essere mai concepito come un automatismo.
  In alternativa, una strategia italiana per l'Indo-Pacifico potrebbe seguire gli esempi tedeschi e francesi, ovvero focalizzarsi più sugli interessi italiani e i princìpi fondamentali da salvaguardare nella Regione, che invece nell'individuazione di minacce e rivali contingenti. Vale la pena menzionare – e poi passo alla seconda parte – ciò che una parte della letteratura sugli studi strategici rileva, ovvero che la strategia è un fenomeno emergente, ovvero emerge dalle condizioni esistenti; pertanto, un documento sancisce spesso quello che la realtà ha già determinato. Non avere un documento quindi può essere a volte una strategia.
  La seconda parte del mio intervento è sull'Indo-Pacifico. Inizio fondamentalmente dicendo che l'Italia deve necessariamente ragionare di Indo-Pacifico, che si doti di un documento strategico o meno, e farlo sicuramentePag. 16 in un'ottica più organica e whole-of-society, cioè coinvolgendo la società (la società intesa in tutte le sue componenti, politiche, militari e civili).
  Le condizioni strutturali della politica internazionale lo rendono necessario: la partita strategica per il futuro delle relazioni internazionali si gioca primariamente in Asia, mentre l'Europa subisce – come rileva chiaramente il professor Alessandro Colombo dell'Università di Milano – una parziale periferizzazione.
  Ora, che cos'è l'Indo-Pacifico e perché lo distinguiamo dall'Asia?
  L'Indo-Pacifico è una parte fondamentale del disegno strategico di Washington, che cerca un contrappeso alla crescente influenza cinese nell'Asia meridionale e ha individuato nell'India – da cui appunto Indo-Pacifico – un partner strategico.
  Con Indo-Pacifico intendiamo, quindi, la macro-regione che comprende gli spazi terrestri e marittimi che vanno dalla costa orientale del continente africano fino alle isole del Pacifico. Il termine ha un'origine giapponese, perché è un termine inizialmente battezzato dal premierato di Shinzo Abe, come rilevato da Giulio Pugliese. E, a partire dal 2017 con l'Amministrazione Trump, anche gli Stati Uniti definiscono la regione come Indo-Pacifico, appunto per sottolineare il ruolo giocato dall'India e dalla regione dell'Oceano Indiano.
  Ma l'Indo-Pacifico è in realtà una macro-regione composta da sotto-sistemi regionali, che sembrano fondersi oggi per via dell'ascesa della Repubblica popolare cinese, per via del protagonismo giapponese e indiano, e per la proiezione di potenza degli Stati Uniti- che fonde appunto questi sotto-sistemi. Il sotto-sistema regionale più prossimo all'Italia è ovviamente quello costituito dall'Oceano Indiano, in particolare gli spazi marittimi di fronte agli stretti di Bab el-Mandeb e di Hormuz.
  Rispetto a questo macro-sistema, che chiamiamo convenzionalmente Indo-Pacifico, l'Italia ha un ruolo securitario che possiamo definire secondario, avendo preferito nei decenni concentrarsi - coerentemente con la sua vocazione di media potenza - sul Mediterraneo allargato. Questo rilevano ad esempio gli studi di Fabrizio Coticchia e di Matteo Mazziotti di Celso.
  Dal punto di vista delle missioni militari, terminata quella in Afghanistan oggi rimane il marginalissimo United Nations Military Observer Group in India e in Pakistan (due unità militari impegnate); molto più rilevante però è la EU NAVFOR Atalanta, per il contrasto alla pirateria nella vasta area che va dal Corno d'Africa all'India, e l'operazione Agenor, organizzata nell'ambito dell'iniziativa EMASOH (European-led Maritime Awareness Strait of Hormuz).
  Si noti, però, che negli ultimi anni, tralasciando l'aspetto operativo e militare, l'Italia ha mostrato maggiore attivismo in due settori, quello diplomatico e quello della cosiddetta Naval Diplomacy.
  In relazione al primo farò una breve disamina di quello che è l'ultimo anno della diplomazia italiana. Con la Cina le relazioni continuano in un clima tutto sommato cordiale e di collaborazione, come è dimostrato dall'incontro tra il Presidente del Consiglio Meloni e il Presidente Xi Jinping, e dalla seguente visita del Vicepresidente del Consiglio e Ministro degli esteri Antonio Tajani in Cina. Da ultimo, lo stesso Ministro Tajani ha ricevuto neanche una settimana fa un importante membro del Partito comunista cinese, per parlare appunto di questioni di sicurezza internazionale. E, notizia di ieri, il Presidente Xi Jinping, nel suo messaggio di condoglianze per la morte del Presidente Napolitano, ha invitato il Presidente Mattarella a un approfondimento delle relazioni sino-italiane.
  La Cina costituisce infatti, al di là delle tensioni, un partner economico-commerciale imprescindibile, ed è quello che ovviamente sia il Presidente Meloni che il Vicepresidente del Consiglio Tajani hanno sottolineato più volte. L'Italia avrebbe difficoltà a separarsi da questo attore.
  Con l'India le relazioni stanno conoscendo un approfondimento significativo, si veda il bilaterale a margine del G20, la firma dell'India Middle East Europe Corridor con India, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Stati Uniti, Unione Europea, Francia e Germania, in particolare. IMEC rappresenta un progetto infrastrutturale profondamentePag. 17 significativo, che lega l'Italia appunto alla zona dell'Oceano Indiano.
  Con Tokyo, con cui Roma ha attivo un partenariato strategico, i rapporti sono al massimo storico, come dimostra l'importante progetto GCAP, per lo sviluppo di un caccia di sesta generazione, che è anche un progetto che sta attirando l'attenzione di nuovi partner, come la stessa India e l'Arabia Saudita.
  Più recente l'intensificazione dei rapporti con il Vietnam, come dimostrato dalla visita del Presidente vietnamita a Roma a fine luglio scorso. Voglio sottolineare che l'approfondimento di questa cooperazione avviene sotto i buoni auspici della potenza americana, che ha appena firmato una partnership strategica comprensiva con Hanoi.
  I rapporti sono eccellenti anche con il Pakistan e con il Bangladesh.
  Infine, in sede multilaterale l'Italia è attiva con l'ASEAN, come partner di dialogo, con l'Indian Ocean Rim Association, con il Pacific Islands Forum, e anche all'interno della NATO l'Italia ha sviluppato un protagonismo nel dialogo con i partner del Pacifico (Australia, Giappone, Nuova Zelanda e Corea del Sud). Il framework NATO può infatti essere un utile forum di cooperazione securitaria con quella regione.
  Passando alla Naval Diplomacy – e poi mi avvio alla conclusione –, l'anno in corso si è caratterizzato per un'intensa attività di Naval Diplomacy. Le crociere della FREMM Bergamini e del PPA Morosini, nonché il tour prossimo del gruppo portaerei Cavour dimostrano un'attenzione marittima verso l'Indo-Pacifico. Tuttavia, non bisogna confondere queste attività importanti di diplomazia navale con un potenziale operativo della Marina militare italiana, che continua invece a guardare al Mediterraneo allargato come epicentro delle missioni e degli impieghi.
  Sicuramente queste visite hanno significative conseguenze per il soft power italiano, nonché per l'industria nostrana della Difesa, che mette in mostra alcuni dei suoi prodotti di punta.
  In conclusione, la mia relazione ha avuto come obiettivo quello di fornire una possibile griglia interpretativa per la politica estera nazionale verso l'Indo-Pacifico. Permettetemi di sottolineare brevemente gli aspetti di maggior rilievo.
  Il primo: l'Italia rimane profondamente ancorata al Mediterraneo allargato, come suo baricentro strategico fondamentale. Il secondo: il Mediterraneo allargato si sovrappone nella zona del Golfo Persico e dell'Oceano Indiano con la nozione geopolitica di Indo-Pacifico. In quest'area Roma è già attiva da tempo dal punto di vista militare e sta approfondendo il proprio coinvolgimento attraverso progetti importanti come IMEC e con relazioni bilaterali con India e Pakistan.
  Il terzo punto è che l'Asia orientale e il Pacifico sono teatri distanti, con cui l'Italia può interagire all'interno di forum multilaterali in cui è già coinvolta: NATO, ad esempio, si vedano gli studi di Gabriele Natalizia; ASEAN, Pacific Islands Forum, Indian Ocean Rim Association. In particolare, per le questioni di sicurezza si tratta di dare effettiva attuazione a quanto già stabilito dalla NATO nel Concetto strategico del 2010, in materia di cooperative security, e poi ribadito nel Concetto strategico 2022.
  Ultimo punto: una strategia per l'Indo-Pacifico, lungi dall'essere uno sviluppo automatico, può costituire un progresso politico rilevante se preceduta da un'adeguata riflessione strategica, con tutti gli attori della politica estera italiana (Esteri, Difesa, Parlamento, think-tank, accademia).
  Vi ringrazio per l'attenzione e sono ovviamente a completa disposizione per eventuali domande e osservazioni.

  PRESIDENTE. Grazie davvero. Ci sono interventi? Onorevole Quartapelle.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. La ringrazio molto per questa relazione. C'è una parola, di quelle che Lei ha usato, che secondo me è particolarmente interessante per noi.
  Premesso che io penso che si debba elaborare una strategia italiana per l'Indo-Pag. 18Pacifico, perché se no il rischio è che ci si muova e il nostro intervento diventi una somma di interventi di vari ambiti dello Stato senza che sia chiaro che cosa stiamo facendo. Lei citava la diplomazia navale, è uno dei casi, c'è una parte di diplomazia economica in atto, ma rischiamo di essere molto sparsi.
  Lei ha usato la parola overstretching, che forse è la parola che in questi anni ha più di ogni altra inibito lo sviluppo di una strategia. Cioè, già l'Italia fa fatica a far sentire il proprio peso nelle regioni più vicine, cosa ci mettiamo in testa di fare una strategia per l'Indo-Pacifico?
  Per rispondere a questa obiezione io credo sia particolarmente importante ragionare su quello che Lei suggeriva, cioè definire interessi e definire princìpi da difendere.
  In particolare, sul tema degli interessi sarebbe interessante per questa Commissione capire – al di là di un generico interesse economico che ovviamente c'è per un Paese che deriva un terzo della propria ricchezza dall'export – come si possono articolare gli interessi verso l'Indo-Pacifico, tenendo conto del fatto che altri Paesi stanno pensando a una strategia di reshoring o di sganciamento, di decoupling rispetto ad alcuni Paesi dell'Indo-Pacifico.
  Questa è la ragione principale – vedi il cambiamento di altri attori che hanno una struttura dell'export simile alla nostra, penso alla Germania – per la quale noi abbiamo bisogno di una strategia per l'Indo-Pacifico. Perché laddove altri Paesi che esportano tanto come noi stanno pensando di rilocalizzare o di sganciarsi da alcuni Paesi dell'Indo-Pacifico, andando alla cieca noi rischiamo davvero di perdere il bandolo della matassa e di perdere anche alcuni punti di difesa dell'interesse nazionale.
  Quindi Le chiederei se Lei può ragionare un po' su questo, perché si può fare anche una strategia che tenga insieme le preoccupazioni legate all'overstretching con le preoccupazioni legate a una difesa dei nostri interessi.

  LORENZO TERMINE, ricercatore presso il Centro Studi Geopolitica.info e docente presso l'Università degli Studi Internazionali di Roma. Grazie, onorevole Quartapelle, per la domanda, che coglie un punto che è centrale nel dibattito politico attuale, tanto italiano quanto ovviamente di tutti gli alleati transatlantici e all'interno dell'Unione europea.
  Il termine overstretching aveva a che vedere con un'overstretching di tipo militare e strategico, ovvero il tentare troppo dal punto di vista operativo con risorse che sono ancora limitate.
  Riguardo agli interessi, Lei menzionava reshoring e decoupling: io penso che come bussola fondamentale per il linguaggio, per gli interessi, si possa andare a vedere la strategia dell'Unione Europea per la cooperazione nell'Indo-Pacifico, che infatti menziona il concetto di derisking come alternativa a quello decoupling, perché ovviamente i Paesi europei hanno relazioni meno conflittuali con la Cina e quindi hanno una maggiore sensibilità a mantenere rapporti cordiali, rapporti di collaborazione con la Repubblica popolare cinese. Infatti, hanno preferito al termine decoupling, che invece proviene dall'altro lato dell'Atlantico, quello di derisking, ovvero compartimentare i settori strategici e cercare di metterli in sicurezza, ovvero di evitare il rischio di penetrazione esterna.
  Ovviamente c'è anche il tema del reshoring, del friendshoring e del nearshoring, che sono tutti i termini che sono stati impiegati negli anni e che hanno a che vedere con il tentativo di rimodulare le catene del valore. Non sono un economista, ma l'idea è ovviamente che il commercio si sia politicizzato e che quindi avere degli amici all'interno della catena del valore sia meglio che avere dei potenziali rivali, questa è l'idea del friendshoring.
  Di nuovo, penso che la bussola utile da andare a vedere per questo genere di relazioni, quelle economiche-commerciali, sia di nuovo la strategia europea per la cooperazione dell'Indo-Pacifico.
  Ci tengo a sottolineare che l'assenza di una strategia per l'Indo-Pacifico non significa l'assenza di un ragionamento su come approcciare investimenti esteri in Italia o penetrazione nel Mediterraneo di attori potenzialmente rivali o competitor. La strategiaPag. 19 per l'Indo-Pacifico avrà a che vedere anche con l'attivismo diplomatico italiano nell'area, quindi nell'area Indo-Pacifica, non per forza le relazioni bilaterali con i Paesi che invece vogliono investire e vogliono arrivare nel Mediterraneo allargato.
  Quindi, dal punto di vista degli interessi e dei princìpi io penso di nuovo alla libera navigazione, tant'è che il gruppo portaerei Cavour va a fare quello che hanno già fatto Germania, Francia e Inghilterra, ovvero le cosiddette FONOP (Freedom Of Navigation Operation), cioè la dimostrazione che le rotte commerciali devono essere libere e liberamente navigabili.
  Io penso che l'Italia possa rifarsi alla strategia europea per l'Indo-Pacifico.

  PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Billi.

  SIMONE BILLI. Anch'io ringrazio per la presenza. Volevo chiederLe se, in base alla sua esperienza nell'Indo-Pacifico, è possibile identificare delle regioni, dei Paesi che abbiano una capacità di recepire o comunque su cui il nostro Paese possa maggiormente e in modo migliore interfacciarsi rispetto ad altri Paesi.
  Lei prima menzionava il Pakistan, l'Australia, il Giappone, la Corea del Sud, tutte operazioni che l'Italia sta intraprendendo o ha intrapreso nel passato. Però, per dare invece uno sguardo al futuro, si possono identificare i Paesi in cui il nostro Paese può più agevolmente incidere rispetto ad altri in cui il nostro Paese può trovare più difficoltà? È possibile fare questa differenziazione, secondo la sua esperienza?

  LORENZO TERMINE, ricercatore presso il Centro Studi Geopolitica.info e docente presso l'Università degli Studi Internazionali di Roma. Grazie, onorevole. Sicuramente gli ultimi anni hanno visto una parziale riconfigurazione dei pattern di amicizia all'interno dell'Indo-Pacifico; in particolare, mi riferisco al caso del Vietnam, che diventa un partner sempre più centrale dei Paesi occidentali, penso in particolare agli Stati Uniti, che ovviamente colpisce, perché vedere gli Stati Uniti che firmano una partnership strategica comprensiva col Vietnam qualcuno avrebbe avuto da ridire qualche decennio fa. Però il Vietnam è un Paese che potenzialmente ha tanto da offrire, non solo dal punto di vista economico-commerciale, ma anche dal punto di vista di expertise su come gestire, su come approcciarsi ad esempio alla Repubblica popolare cinese.
  La stessa cosa vale per le Filippine. Possiamo fare di più ad esempio nella formazione, nell'addestramento, nella consulenza rispetto alla Guardia costiera filippina, alle Forze armate filippine, anche sulle Filippine c'è un grande margine di possibile manovra per una maggiore cooperazione. E poi ovviamente, ça va sans dire, i Paesi con cui esiste già una cooperazione che può essere approfondita, in particolare Giappone, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda. Con l'India c'è un grandissimo margine di manovra, di nuovo sotto gli auspici e sotto i buoni uffici dell'alleato statunitense.
  Penso che il Presidente Meloni e il Ministro Tajani si stiano muovendo in questa direzione e lo testimonia la firma di IMEC a margine del G20, quindi penso che queste siano esattamente le direttrici e le linee guida della politica estera rispetto a quell'area.

  PRESIDENTE. Non vedo altri interventi. Quindi ringrazio per il contributo fondamentale per inquadrare i temi di nostro interesse, lavoreremo nei prossimi mesi su questi temi e, se possiamo permetterci, magari La ricontatteremo anche.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.30.

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