XIX Legislatura

I Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Mercoledì 26 aprile 2023

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Pagano Nazario , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MATERIA DI ATTIVITÀ DI RAPPRESENTANZA DI INTERESSI:

Audizione di Andrea Longo, professore di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi La Sapienza di Roma, di Pierluigi Petrillo, professore di teorie e tecniche del lobbying presso l'Università LUISS (in videoconferenza), e di Francesco Clementi, professore di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi La Sapienza di Roma (in videoconferenza)
Pagano Nazario , Presidente ... 3 
Longo Andrea , professore di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi «La Sapienza» di Roma ... 3 
Pagano Nazario , Presidente ... 6 
Petrillo Pierluigi , professore di teorie e tecniche del ... 6 
Pagano Nazario , Presidente ... 9 
Clementi Francesco , professore di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi «La Sapienza» di Roma, intervento in videoconferenza ... 9 
Pagano Nazario , Presidente ... 11

Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
Azione - Italia Viva - Renew Europe: A-IV-RE;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Noi Moderati (Noi con L'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE: NM(N-C-U-I)-M;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
NAZARIO PAGANO

  La seduta comincia alle 14.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta sarà assicurata mediante la resocontazione stenografica e la trasmissione attraverso la web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Andrea Longo, professore di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi La Sapienza di Roma, di Pierluigi Petrillo, professore di teorie e tecniche del lobbying presso l'Università LUISS (in videoconferenza), e di Francesco Clementi, professore di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi La Sapienza di Roma (in videoconferenza)

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di attività di rappresentanza di interessi, di Andrea Longo, professore di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi «La Sapienza» di Roma, di Pierluigi Petrillo, professore di teorie e tecniche del lobbying presso l'Università LUISS, in videoconferenza, e di Francesco Clementi, professore di diritto pubblico comparato presso Università degli Studi «La Sapienza» di Roma, in videoconferenza.
  Avverto che i deputati possono partecipare in videoconferenza alla seduta odierna secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il regolamento.
  Do quindi la parola ad Andrea Longo, professore di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi «La Sapienza» di Roma. Prego professore, a lei la parola.

  ANDREA LONGO, professore di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi «La Sapienza» di Roma. Presidente, la ringrazio moltissimo e ringrazio voi per l'attenzione che volete dedicarmi. Cercherò di essere quanto mai sintetico.
  In primo luogo, io ritengo che quella sul lobbying sia una legge quantomeno necessaria. È necessaria, innanzitutto, perché una regolamentazione esiste in tutto il mondo, quanto meno in tutto il mondo democratico; poi perché ci porterebbe ad adeguarci agli standard che già invalgono in Europa e che l'Europa ci chiede, e infine per un motivo empirico: il lobbying è un fenomeno (come voi mi insegnate) assolutamente presente all'interno della nostra scena politica ed è un fenomeno il cui mercato del lavoro sta progressivamente aumentando, con cifre che variano con un incremento tra il 25 e il 30 per cento annuo negli ultimi anni. Si parva licet componere magnis, un esempio di questo grande interesse è anche l'alto numero di iscritti che abbiamo avuto al master istituito per la prima volta quest'anno presso «La Sapienza», a riprova che questo è un settore che comincia a farsi largo anche nella coscienza dei giovani, e suscita un interesse che magari negli anni ottanta suscitavano le professioni forensi.
  Quella che siete chiamati a redigere è una legge che presenta nodi tecnici importanti, ma che soprattutto ridonderà in alcuni nodi politici, in alcune scelte che sarete chiamati a fare, e addirittura in alcune eco simboliche e culturali. Perché il lobbying in Italia è oggi un tema che va a impattare su quella che è la cultura radicata nel nostro Paese.Pag. 4
  Allora, tanto per show my colors, come dicono gli americani, tanto per dichiarare subito la mia idea: io credo in un approccio pluralista, cioè un approccio che pone tutti gli attori sociali sullo stesso piano. Ritengo che la democrazia non si esaurisca nella rappresentanza ma viva nella continua interazione con i corpi sociali. E credo che la normativa che andrete a porre in essere dovrà essere una normativa improntata a questi princìpi, che abbia come finalità la trasparenza e che, nel metodo, sia una normativa leggera e probabilmente una normativa imperniata su quello che spesso viene definito con diffuso anglismo il nudging cioè il pungolo, l'incentivo selettivo: più che un sistema di obbligatorietà e di sanzioni, quindi, un sistema di incentivi e disincentivi selettivi.
  Il primo problema che dovete affrontare è quello dei soggetti: vale a dire quali saranno i soggetti sottoposti a questa normativa. Questo problema ha due corni: quello dei decisori e quello dei rappresentanti degli interessi.
  Il nodo dei decisori è un nodo meramente tecnico, anche se con conseguenze di non poco momento. Chi sarà il soggetto di questa normativa dal punto di vista del versante pubblico? Esiste un nucleo quasi indefettibile: sicuramente i soggetti eletti, sicuramente coloro che hanno incarichi di governo e probabilmente anche coloro che sono in posizione apicale rispetto all'amministrazione di appartenenza. Questo, mi pare, per opinione condivisa in dottrina, è il minimo da normare. Starà a voi la scelta se incrementare questo ambito aggiungendo capi di gabinetto, capi legislativi, direttori generali. Questa è una scelta che dovete fare voi, e avrà sicuramente, in un senso o nell'altro, notevoli conseguenze.
  Ancora più complesso però, dal punto di vista della scelta politica, è individuare i soggetti di parte privata: quali sono i soggetti che dovranno essere sottoposti a questa normativa? Direi, i cosiddetti lobbisti conto terzi, quelli che hanno diversi clienti o che lavorano presso un'agenzia che ha diversi clienti. Sicuramente i lobbisti in house, quelli strutturati presso grandi società. Il problema politico però sorge quando andiamo a toccare altri soggetti, e qui ci sarà una scelta di campo culturale da fare: vale a dire, abbracciare un modello puramente pluralista o rimanere in continuità con quello che in sostanza è l'attuale modello ordinamentale, e per certi versi costituzionale, in sostanza un modello neo corporativo in cui ad alcuni corpi intermedi è data una rilevanza superiore nell'interazione col pubblico rispetto a quella che hanno gli altri; tanto per essere chiari, mi riferisco ai sindacati. Nello scorso disegno di legge i sindacati erano stati tenuti fuori, e questo chiaramente ha un certo fondamento all'interno della Costituzione, ma si è portato dietro la conseguenza politica che comunque anche le associazioni imprenditoriali hanno preteso altrettanto.
  Come risolvere questo nodo politico? Ci potrebbe essere anche una soluzione intermedia: assoggettare anche i sindacati alla normativa sul lobbying per ciò che è estraneo alla contrattazione collettiva. Questa potrebbe essere un'ipotesi mediana. Ma, ripeto, questa è un'altra scelta politica sicuramente di non poco momento.
  Il secondo punto riguarda la struttura vera e propria della normativa. Abbiamo esempi ormai in tutte le parti del mondo e sono sicuro che i miei colleghi comparatisti, che mi seguiranno, daranno una visione molto più compiuta. Per rimanere all'essenziale, il modello prevalente è quello che potremmo definire del registro e dell'agenda, insieme a quello che possiamo chiamare un codice etico; questo è un altro dato minimale.
  Abbiamo il registro, all'interno del quale sono contenuti i nomi dei portatori di interessi; e abbiamo un'agenda, che ciclicamente ci racconta le interazioni tra il singolo organo dello Stato e il singolo lobbista, sintetizzando anche i temi trattati, in modo da dare trasparenza.
  Allora quali sono i problemi secondo me che dovete affrontare per quanto riguarda questo registro? Quello dell'inclusione soggettiva l'abbiamo già detto. Ma un altro problema è quello della sede di questo registro. Sul punto, nel tempo, tra la dottrina e tra i progetti di riforma sono circolate diverse ipotesi: istituirlo presso una Pag. 5nuova autorità indipendente, quindi creare un'autorità indipendente ad hoc; oppure collocarlo presso un ufficio costituito ad hoc, in un'autorità indipendente già esistente (per esempio l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, oppure l'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC). Ci sono pro e contra rispetto ad entrambe le soluzioni: qualcuno in dottrina ha detto che attribuirlo all'Autorità garante della concorrenza e del mercato vorrebbe dire dargli una visione troppo settoriale; altri hanno sostenuto che attribuirlo all'ANAC, dal punto di vista simbolico comporterebbe una connotazione negativa del lobbying, qualcosa che naturalmente è prossimo alla corruzione.
  Io credo che il punto dirimente sia un altro. Le autorità indipendenti, in virtù delle loro competenze regolatorie e a volte decisorie, hanno una continua prossimità con gli stakeholder, quindi sono in realtà anche loro soggetti al lobbying. Se devo dire, l'ipotesi che mi convince di più è quella di collocare questo registro presso il Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro (CNEL). Il CNEL non vive le stesse pressioni che vivono le autorità indipendenti, è un organo di rilevanza costituzionale, è un organo che naturalmente è la sede dell'intermediazione tra le parti e il tutto ordinamentale, così era stato pensato dai costituenti. E quindi, dal punto di vista simbolico, inquadrerebbe il fenomeno del lobbying come un fenomeno di naturale espressione delle parti rispetto al potere pubblico. E in più il CNEL già svolge un'attività similare, perché conserva e aggiorna l'archivio nazionale dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro del settore pubblico. Quindi questa sarebbe la scelta che a me sembrerebbe la più naturale e per certi versi anche la meno costosa.
  Passo alla questione dell'agenda, molto rapidamente. Chi deve gestire l'agenda, cioè chi è gravato dall'onere di rendicontare gli incontri con il decisore pubblico?
  Nel progetto di legge della scorsa legislatura questi oneri erano in gran parte (e anche in misura un po' asfissiante, onestamente) attribuiti ai soggetti privati, ai rappresentanti di interessi.
  Per quanto mi riguarda, sarebbe meglio che invece l'attività di rendicontazione dell'agenda fosse attribuita al decisore pubblico.
  Io, a dire la verità, immaginerei una sorta di modello ibrido dal punto di vista del registro e dell'agenda. E questo diversamente da quanto accade in altre realtà: ad esempio, in Europa il registro è stato istituito con un accordo interistituzionale tra Commissione, Consiglio e Parlamento. In Italia il grado di autonomia di questi organi è sicuramente maggiore, soprattutto per quello che riguarda il Parlamento. Non è possibile con legge imporre alcun comportamento interno al Parlamento; voi mi insegnate che addirittura i regolamenti parlamentari, nemine contradicente, possono essere disapplicati. Allora io immaginerei un sistema ibrido in cui registro e agenda sono tenuti ciascuno dall'organismo di appartenenza (quindi uno per la Camera, uno per il Senato, uno per il Governo, autorità indipendenti, regioni). Questi registri vengono trasmessi al CNEL, e così le agende.
  Perché prima ho parlato di incentivo selettivo, di spinta dolce come si dice? Di solito questo è un termine che si utilizza per indicare l'azione con la quale si sollecita l'agire privato. Però in questo modo secondo me sarebbe anche possibile sollecitare gli stessi organismi pubblici, non chiaramente in termini cogenti, vincolanti, obbligatori, ma semplicemente facendo ricorso alla trasparenza. Nel registro generale (tenuto ipoteticamente da CNEL) potrebbero quindi essere semplicemente segnalate quelle parti che i singoli organi non aggiornano, o che le singole parti sociali non aggiornano. In questo modo noi produrremmo due effetti, che fanno entrambi perno sulla trasparenza. Per quanto riguarda i cosiddetti lobbisti, la segnalazione di una mancanza nella propria rendicontazione è un danno reputazionale gravissimo, e chi studia queste cose – il professor Petrillo ve lo dirà molto meglio di me – conta come asset sulla cosiddetta reputation, sulla reputazione. Questo per un lobbista sarebbe un grave danno. Ma allo stesso modo segnalare, semplicemente segnalare, che un determinato pezzo dello Pag. 6Stato non si sta adeguando a queste norme sulla trasparenza, coagulerebbe secondo me una forma di responsabilità politica.
  Io non credo che serva null'altro. E credo che questo sistema debba essere gestito evitando di ampliare l'area della sanzione e soprattutto l'area del penalmente rilevante che, per quanto mi riguarda, è fin troppo estesa (io sono professore di diritto costituzionale ma da quasi due decenni faccio di professione il penalista, quindi ho una certa frequentazione con questi temi), soprattutto per quanto riguarda la fattispecie del traffico di influenze, sulla quale però non mi voglio dilungare.
  Per cui, secondo me le sanzioni, che ovviamente deriverebbero o da una mancanza nella rendicontazione o dalla contravvenzione rispetto a un eventuale codice etico, dovrebbero risolversi in primo luogo in un danno reputazionale o di responsabilità politica, in termini di assenza di trasparenza, e in secondo luogo nella esclusione dal registro.
  Abbiamo parlato della parte negativa; qual è la parte positiva e incentivante dell'appartenenza al registro? Sicuramente l'accesso ai luoghi del Governo e del Parlamento, l'interazione con il potere pubblico, e da qualche parte si ventila anche la possibilità di accedere in maniera precoce, magari attraverso una banca dati dedicata ai rappresentanti di interesse, ai lavori preparatori dei vari atti giuridici.
  Quindi, questo meccanismo di incentivo e disincentivo è secondo me tutto ciò che occorre. Va segnalato tuttavia che tanto la legislazione americana, tanto forse adesso anche quella europea, si stanno muovendo verso una maggiore severità; credo però che come punto di partenza quello proposto sarebbe sufficiente e adeguato.
  Vi ringrazio e non vi faccio perdere altro tempo.

  PRESIDENTE. Non stiamo perdendo tempo, anzi grazie professor Longo, davvero grazie, anche di essere venuto qui da noi. Adesso do la parola al professor Pierluigi Petrillo, professore di teorie e tecniche del lobbying presso l'Università LUISS, collegato da remoto. Prego, a lei la parola.

  PIERLUIGI PETRILLO, professore di teorie e tecniche del lobbying presso l'Università LUISS, intervento in videoconferenza. Grazie presidente per l'invito e grazie anche per aver voluto dare vita a questa indagine conoscitiva, che rappresenta una prima volta su questo tema. Su un tema che, come diceva bene il collega e come dirà meglio di me il professor Clementi, è cruciale se si vuole rafforzare e potenziare la democrazia nel nostro Paese.
  Ora, andando molto velocemente, visto il tempo a mia disposizione, e rinviando poi al testo scritto che farò avere agli uffici, l'analisi comparativa – che pure l'ottimo dossier predisposto dagli uffici evidenzia almeno nelle sue linee principali – individua tre diversi modelli di approccio al fenomeno lobbistico.
  Quasi tutti gli ordinamenti democratici nel mondo hanno approvato una legge sul lobbying. Ce ne sono quattro che non hanno approvato una legge sul lobbying e fra questi c'è l'Italia; per il resto le democrazie stabilizzate hanno tutte quante una legislazione sul lobbying.
  Il primo approccio con cui hanno affrontato la tematica delle relazioni tra lobbisti e decisori pubblici è rappresentato dal modello che si chiama di regolamentazione e trasparenza, che noi ritroviamo in Gran Bretagna, in Canada, in Israele, in Nuova Zelanda, in Australia, in tanti altri Paesi. Sostanzialmente cosa prevedono le leggi di questi Paesi? Introducono un registro per tutti i lobbisti (chiunque vuole esercitare questa professione si deve iscrivere in un elenco pubblico) e pongono una serie di obblighi di trasparenza sia in capo al portatore di interessi sia, soprattutto, in capo al decisore pubblico. Sostanzialmente in questi ordinamenti, con un clic da qualsiasi parte del mondo, si può scoprire quali sono gli interessi privati che entrano in gioco nella dinamica del processo decisionale e quali decisori pubblici hanno assecondato quegli interessi.
  Il secondo approccio è quello della regolamentazione e partecipazione, che troviamo negli Stati Uniti d'America, che è stato il primo Paese ad avere regolato in maniera organica il lobbying nel 1946. Ma Pag. 7lo ritroviamo anche a livello di istituzione dell'Unione europea, specialmente a seguito delle modifiche introdotte dopo il cosiddetto scandalo Qatargate, che tuttavia non riguardava alcuna attività di lobbying. Lo troviamo in Germania, in Irlanda, in Sudafrica e in altri Paesi. In sostanza, in questo secondo modello la legislazione non si limita ad introdurre meccanismi di trasparenza. La legislazione infatti non soltanto prevede, come nel primo modello, il registro dei lobbisti e l'agenda dei decisori - al fine di rendere pubblici gli interessi che entrano in gioco e che vengono coinvolti nel processo decisionale -ma stabilisce un vero e proprio diritto dei lobbisti a partecipare al processo decisionale. Ciò significa che i soggetti iscritti nel registro devono essere coinvolti nel procedimento, e se non vengono coinvolti il procedimento si interrompe. Ad esempio, negli Stati Uniti questo avviene, durante l'esame dei provvedimenti da parte della Camera e del Senato, attraverso le cosiddette hearings, termine che noi erroneamente traduciamo con "audizioni". Si tratta proprio delle occasioni attraverso le quali i gruppi di pressione intervengono nel processo decisionale depositando le loro proposte normative.
  Poi c'è il terzo modello, formato sul caso italiano e che riguarda oltre al nostro Paese la Spagna, la Grecia, il Brasile, il Messico, il Costa Rica, il Cile. Si tratta del modello che più di dieci anni fa ho classificato come regolamentazione strisciante ad andamento schizofrenico. Questo è un modello caratterizzato da due fattori: l'assenza di una regolamentazione organica del fenomeno lobbistico e, parallelamente, la presenza – come accade in Italia – di una marea di disposizioni che riguardano le lobby e la relazione tra decisore e lobbista. Perché in Italia noi contiamo più di 400 disposizioni, da leggi costituzionali a direttive ministeriali, che in qualche modo, ma in maniera frammentata, riguardano la relazione tra il lobbista e il decisore pubblico. Quindi la prima caratteristica è questa natura disorganica, disomogenea e strisciante della normativa. La seconda caratteristica è la dimensione schizofrenica: queste norme, nel momento stesso in cui sono state approvate, sono state anche sostanzialmente disapplicate. Quindi, anche nel caso italiano, tutte queste norme, pur essendo vigenti, vengono di fatto aggirate. Pensiamo ad esempio alla legge del 1982 sull'anagrafe patrimoniale degli eletti e alla sua applicazione: per quanto riguarda la Camera e il Senato una reale applicazione si è avuta soltanto dalla scorsa legislatura e tuttora è rimessa a un'azione volontaristica del parlamentare che decide di rendere pubblico, appunto, il proprio patrimonio.
  Ora, riassunta in maniera così superficiale quella che è la modellistica che la dimensione comparata offre, il tema che noi ci dobbiamo porre è a che cosa dovrebbe servire una legge sul lobbying in Italia, perché a seconda della risposta che diamo a questa domanda possiamo individuare nella comparazione istituti giuridici utili.
  Si parte da un dato di fatto, lo diceva il collega prima: i gruppi di pressione sono un elemento indefettibile del sistema democratico, dunque la loro partecipazione alla costruzione del processo decisionale è essenziale. Occorre farli emergere, per evitare che nell'oscurità si celino situazioni patologiche.
  Dunque, serve regolare le lobby? La risposta è senz'altro positiva, e per questo mi sono complimentato per l'azione intrapresa dal presidente della I Commissione. Che serva ce lo dicono una serie di dati anche economici.
  Quanto al primo dato, l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), in un rapporto di qualche anno fa, esaminando la legislazione sulle lobby in tutti i Paesi membri e contestando la mancata regolazione della materia in Italia, significativamente disse che tale mancata regolazione pesava almeno un punto sul PIL del nostro Paese. In altri termini, regolare il lobbying produce un effetto virtuoso sull'economia di un Paese, perché ovviamente la regolamentazione ha la capacità di attrarre investimenti stranieri, che altrimenti verrebbero allontanati da un Paese in cui non si capisce qual è la dinamica di relazione tra privato e pubblico.Pag. 8
  Ma poi ci sono altri profili che è bene evidenziare a mio avviso in questa Commissione: in Italia il lobbying è regolato oggi esclusivamente nella sua dimensione patologica. La norma presente nel codice penale – vale a dire la norma sul traffico di influenze illecite, inserita nel 2012 e poi modificata nel 2019 fondendo questa fattispecie con il reato di millantato credito – per come è formulata è un grimaldello che rischia di essere utilizzato in maniera estremamente vaga per qualsiasi tipologia comportamentale. È una norma problematica, visto che poi rinvii a giudizio non ce ne sono stati quasi per nulla e le condanne si contano sulla dita di una mano, tuttavia ci sono tante indagini su questo aspetto. Quella norma manca di qualcosa: la norma colpisce infatti il comportamento illecito di chi vuole influenzare il decisore pubblico. Ma come ci dice la Corte di cassazione, da ultimo in una sentenza che ha riguardato Arcuri e Benotti se non sbaglio (si tratta di colui che avrebbe venduto mascherine all'allora commissario per il COVID-19), se manca la disciplina del lobbying lecito io non posso applicare la norma penale, altrimenti rischio di applicarla a casi troppo vasti.
  Dunque serve una legislazione in Italia anche per definire meglio quella che è la disciplina penalistica.
  Come intervenire? Qui, a mio avviso, dovremmo essere un po' più originali di quello che fino a ora è stato fatto e detto. I modelli classici sono quelli che sono stati dichiarati prima dal collega e che emergono dai disegni di legge presentati fino ad ora in Parlamento: il registro dei lobbisti a cui si devono iscrivere tutti i lobbisti o alcune categorie di lobbisti, l'agenda, e via dicendo. Questo è il modello classico, se volete è il modello più semplice.
  A mio avviso bisognerebbe provare a ragionare in termini diversi. Prima di tutto non regolamentando la persona, ma regolamentando la funzione: cioè, in altri termini, io non devo dire «colui che all'interno di una società fa queste cose si deve inscrivere»; oppure, «colui che ha una società per conto terzi si deve inscrivere». In pratica in questo caso, si tratterebbe di concentrarsi sul soggetto e di creare quasi un albo professionale. Personalmente, per cultura, essendo liberale, sono contrario a nuovi albi professionali: l'idea del registro assomiglia quasi ad un nuovo albo professionale. Piuttosto, bisognerebbe dire che chi esercita quella funzione (regolamentando quindi la funzione e non il soggetto) deve rispondere a una serie di norme comportamentali.
  E in più, aggiungo, occorrerebbe a mio avviso invertire l'ordine: non creare nuovi oneri in carico al soggetto privato, ma creare oneri di trasparenza reale, e non burocratica, in carico al decisore pubblico. In altri termini, se l'obiettivo che la legge si pone è quello di rendere trasparente la relazione tra pubblico e privato, cerchiamo di rendere trasparente il comportamento del pubblico, in maniera tale da rendere evidente quando il privato, il portatore di un interesse particolare, va a influenzare il pubblico, evitando di creare nuovi albi professionali e di aumentare in maniera significativa gli oneri su un mercato che è certamente in crescita ma che potrebbe essere limitato negativamente, anche con la ricerca di scappatoie, da regole eccessivamente puntuali.
  Dunque, in conclusione, il suggerimento umile che mi permetto di trasmettere in questo ciclo di indagine è quello di una legislazione minimale, che vada ad assicurare la trasparenza attraverso l'introduzione di norme effettive in carico al decisore pubblico, evitando di creare albi professionali, e che consenta in questo modo anche di considerare quello che è il lobbying posto in essere da organizzazioni straniere. Nei disegni di legge attualmente depositati non viene colto questo aspetto, che è sempre più rilevante, nel bene e nel male.
  Dunque, suggerisco una legislazione minimale che potrebbe essere anche a tempo, utilizzando una clausola che nel contesto straniero è molto utilizzata, quella che si chiama sunset clause, la clausola del tramonto. In sostanza, introduciamo una norma con finalità precise, diamole tre, quattro anni di vigenza, e al termine di questo periodo verifichiamo che impatto ha avuto. Se questa norma ha raggiunto gli Pag. 9obiettivi sperati, allora resta permanentemente in vigore; se non li ha raggiunti, decade automaticamente.
  Presidente, la ringrazio per questa opportunità, rinviando al testo scritto, spero di aver dato qualche elemento utile alla discussione.

  PRESIDENTE. Grazie professor Petrillo, è molto interessante questa sua idea di andare oltre il registro e avere un approccio molto light, per usare un termine inglese, a questa materia.
  Adesso passiamo la parola al professor Francesco Clementi, professore di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi «La Sapienza» di Roma. Professor Clementi, a lei la parola.

  FRANCESCO CLEMENTI, professore di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi «La Sapienza» di Roma, intervento in videoconferenza. Grazie presidente. Mi consenta di ringraziare lei e per il suo tramite la Commissione per il gradito invito. È sempre un grande onore, a maggior ragione è un onore poter contribuire con questo confronto a una proposta di legge che possa regolare in maniera efficace e uniforme, su tutto il territorio nazionale, il fenomeno delle lobby. Si tratta di uno dei temi principali, nonostante un dibattito pubblico spesso asfittico sulla questione: è un tema che rappresenta in realtà, come hanno detto molto bene i miei colleghi, a partire dal professor Petrillo, uno degli elementi più importanti delle democrazie. Le democrazie considerano il lobbying perché consentono la partecipazione dei privati alla vita pubblica del Paese, cosa che le autocrazie non fanno.
  Quindi, una legge sul lobbying è innanzitutto una legge sulla democrazia, una normativa che legge la società come un luogo aperto, trasparente e responsabile, dove appunto la poliarchia e il pluralismo esistono e coesistono, come appunto giustamente è stato già sottolineato dagli opportuni materiali predisposti dagli uffici della Camera dei deputati sul caso italiano e sulle esperienze comparate.
  Dunque, stiamo discutendo, e ci avete invitato a discutere, di una legge che consenta di migliorare la qualità della nostra democrazia. Questo punto, secondo me, è decisivo. E questa indagine conoscitiva a maggior ragione è un elemento strutturale, perché essa rappresenta un traguardo importante all'interno del nostro panorama legislativo, che da sempre segnala questa necessità, come da ultimo nella scorsa legislatura si è visto con grande chiarezza.
  Su questa base, l'esperienza comparatistica già dimostra come l'Italia sia un ordinamento fortemente in ritardo rispetto ad altre esperienze. E la necessità quindi di procedere con grande efficacia si manifesta anche sotto la spinta dell'intervento delle grandi organizzazioni internazionali. Penso all'OCSE e penso naturalmente al Consiglio d'Europa, penso a tutte le realtà rispetto alle quali l'Italia vive da protagonista momenti decisionali.
  Il mio breve intervento si articola sostanzialmente su tre grandi linee di indirizzo.
  Quanto alla prima, io penso che noi dovremmo mirare a un approccio equilibrato, in cui la responsabilità è tanto in capo al rappresentante di interessi privato quanto naturalmente al decisore pubblico. Non deve esserci uno sbilanciamento nella posizione tra gli attori di quello che è un processo di confronto pubblico, per il miglioramento della qualità della legislazione nel dialogo fra pubblico e privato.
  La seconda linea di indirizzo è relativa alla logica premiale. Occorre pensare a una regolazione che incentivi al tempo stesso la partecipazione alla scelta delle regole da parte dei privati e la trasparenza comune e collettiva, anche da parte del pubblico. Occorre cioè che tra pubblico e privato ci sia un vantaggio reciproco nell'affrontare i processi di confronto pubblico che il lobbying prevede, dentro una logica che sia per tutti vincente, senza forme di nocumento per alcuno, a partire dai privati che decidono giustamente di entrare in una logica di confronto pubblico con il Paese, per il Paese, su tematiche nelle quali naturalmente sono esperti o sono portatori di interessi privati.
  Quanto al terzo elemento, su queste basi la normativa più adatta a mio avviso è una Pag. 10normativa di tipo leggero – come è stato già detto da alcuni colleghi –, minimale. Perché la normativa sia efficacemente praticata, noi non dobbiamo costruire camicie di Nesso nelle quali inserire la società italiana o la società europea per meglio dirsi, se non addirittura mondiale. Dobbiamo invece costruire strumenti che reticolarmente consentano ai cittadini di controllare cosa fa il decisore pubblico, che consentano al decisore pubblico di non chiudersi dentro una turris eburnea decidendo senza aver preso atto fino in fondo delle opportunità che il mondo degli interessi può offrire per giungere a una decisione migliore.
  La modellistica comparata è stata già definita – per cui mi consentirete di non tornare su quello che è stato già detto molto bene dal collega Petrillo – e i tre elementi chiave sono sostanzialmente quelli dell'accesso, dell'ascolto e del dialogo e, quanto al terzo punto, della vigilanza.
  L'accesso, cioè l'ambito soggettivo della normativa, a mio avviso deve essere il più largo possibile, perché questa normativa deve essere lo specchio del Paese, che si specchia dentro la rappresentanza di interessi, dentro una logica che evidenzia naturalmente il ruolo e la forza dei soggetti politici: è chiaro che l'accesso che può essere consentito si debba basare su una regola. Se ne è già parlato: il registro come strumento di classificazione e in qualche modo di governo e di controllo di coloro che accedono a un dialogo con il Parlamento, con il decisore pubblico più largo.
  Naturalmente penso a questa dinamica non soltanto per il Parlamento ma anche per il Governo, per cui questo tema si è posto molto limitatamente - tuttavia esiste - e per gli altri soggetti. La immagino anche per le regioni evidentemente: com'è noto esistono già alcune normative regionali più o meno simili ma decontestualizzate rispetto a una logica collettiva unitaria per l'intero Paese.
  Quanto al secondo elemento, si tratta di decidere dove collocare il registro per rendere il più possibile trasparente l'attività e l'uso del registro stesso, potendo scegliere tra le varie opzioni: in Parlamento, fuori dal Parlamento, presso un'autorità indipendente, come l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, o come l'ANAC, o presso lo stesso CNEL. Forse il registro in Parlamento ancora conserva una forza, non da ultimo perché consente anche di mantenere dentro la logica della rappresentanza politica quella che in fondo è la scelta di un dialogo con la rappresentanza di interessi.
  L'altro tema è quello dell'agenda. A mio avviso l'agenda, e dunque la sua rendicontazione, non può non trovare un punto di caduta in Parlamento. Insomma, noi dobbiamo poter utilizzare la legge sul lobbying anche come una legge per riscoprire l'importanza del Parlamento, oltre che per riscoprire e scoprire, se posso dirla così, l'importanza degli interessi. Immaginare che questa agenda sia costruita esternamente al Parlamento a me sembrerebbe una deminutio, più che un miglioramento del dialogo Governo-Parlamento.
  Infine, quale elemento ulteriore, vi è il tema della vigilanza, più che del controllo. Il tema della vigilanza a mio avviso deve essere letto anche in prospettiva comparata in una logica bidirezionale, evitando che si costruiscano posizioni di asimmetria tra il decisore pubblico e il rappresentante di interessi privati. Qui c'è un tema dietro, forse poco considerato, che è giusto far emergere.
  È chiaro che il parlamentare vive l'esperienza del confronto con il modello di lobbying con un ricarico diverso, che non può essere semplicemente ridotto all'articolo 54 della Costituzione, ai sensi del quale i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore. Penso quindi che sarebbe opportuno e utile implementare e rafforzare il codice di condotta dei parlamentari, già adottato da entrambe le Camere, individuando un collegamento tra la futura legge sulle lobby e quanto già esiste all'interno dell'ordinamento. Ciò al fine di costruire un circuito di coordinamento che consenta al cittadino di essere ben consapevole di tutte le attività e di tutte le condotte dei suoi parlamentari, tanto verso l'interno quanto verso l'esterno, espressionePag. 11 al tempo stesso di autonomia e di autodichia di una comunità di appartenenza, che non si chiude verso l'esterno ma che invece, proprio perché è ben consapevole della sua funzione costituzionale, è aperta verso l'esterno. Quindi correttezza, imparzialità e procedure di garanzia devono essere tutte dentro questa logica.
  In merito, se posso dire presidente, c'è un elemento ulteriore. I colleghi non l'hanno sfiorato ma io penso sia utile sottolinearlo. È importante mantenere nel Parlamento tutti questi elementi, anche perché c'è un nuovo insieme di lobbying di tipo digitale, che spesso e volentieri fuoriesce dai classici canoni a noi noti (appunto il registro, l'agenda, o gli elementi comparatistici che possiamo evidenziare). Ed è invece sempre più potente, grazie naturalmente ai social media, per incentivare il decisore pubblico a prendere decisioni sotto la spinta di una pressione che viaggia attraverso questi veicoli.
  Tutti questi elementi mi fanno dire che il luogo centrale di questa rendicontazione, di questo controllo, di questa vigilanza, deve essere il Parlamento; tutti questi strumenti devono poi arrivare a un punto finale, come in parte diceva anche il collega Pierluigi Petrillo. Io credo che questo Parlamento dovrebbe evitare la costruzione di un nuovo abito – il lobbista – dentro un mercato del lavoro nel quale appunto il lavoro è estremamente mobile, fluido e flessibile. Dovrebbe invece rafforzare la funzione di apertura che il lobbying fa e dà a un modello poliarchico di democrazia aperto verso l'esterno.
  Quindi, in conclusione del mio intervento, presidente, a mio avviso servono pochi interventi mirati e puntuali per arrivare in tempi compatibili con la durata dell'attuale legislatura all'approvazione di una normativa adeguata alla complessità di queste dinamiche: una normativa che muova dalla logica di rafforzare il dialogo tra l'interno e l'esterno, tra Parlamento e piazza, se mi si consente questa semplificazione; una regolamentazione che miri a premiare e a incentivare il confronto fra pubblico e privato e che usi un approccio equilibrato dove il dialogo è cercato e non è subìto e dove il dialogo è uno strumento utile tanto al rappresentato (cioè al portatore di interessi privati) quanto al rappresentante (cioè al portatore di interessi generali pubblici), perché nel dialogo tra l'uno e l'altro migliora in se stesso il concetto di democrazia nel nostro Paese. Presidente, la ringrazio e ringrazio per il suo tramite la Commissione.

  PRESIDENTE. La ringrazio tanto, professor Clementi.
  Se non vi sono richieste di intervento possiamo concludere la sessione di oggi dell'indagine conoscitiva sulla rappresentanza di interessi.
  Ringrazio quindi calorosamente i nostri ospiti per essere intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.45.