XIX Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere

Resoconto stenografico



Seduta pomeridiana n. 12 di Martedì 21 novembre 2023

INDICE

Sul femminicidio di Giulia Cecchettin:
Semenzato Martina , Presidente ... 3 

Sulla pubblicità dei lavori:
Semenzato Martina , Presidente ... 3 

Audizione, in videoconferenza, della Professoressa Marina Calloni, ordinaria di filosofia politica e sociale presso l'Università degli Studi di Milano-Bicocca, direttrice del Centro di Ricerca Dipartimentale ADV-Against Domestic Violence e dell'Academic Network UN.I.RE. (Università in Rete):
Semenzato Martina , Presidente ... 3 
Calloni Marina , ordinaria di filosofia politica e sociale ... 3 
Semenzato Martina , Presidente ... 9 
Ferrari Sara (PD-IDP)  ... 9 
Calloni Marina , ordinaria di filosofia politica e sociale ... 10 
Semenzato Martina , Presidente ... 11 
Calloni Marina , ordinaria di filosofia politica e sociale ... 12 
Semenzato Martina , Presidente ... 12 
Calloni Marina , ordinaria di filosofia politica e sociale ... 12 
Semenzato Martina , Presidente ... 12

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
MARTINA SEMENZATO

  La seduta cominciaalle 15.05.

Sul femminicidio di Giulia Cecchettin.

  PRESIDENTE. Buongiorno a tutti e a tutte. Vorrei iniziare questa seduta dichiarando, a nome di tutti i commissari e tutte le commissarie che la compongono, la nostra vicinanza alla famiglia di Giulia Cecchettin e che ci impegneremo a portare tutto il nostro rumore in tema di violenza di genere e in tema di femminicidi.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione, in videoconferenza, della professoressa Marina Calloni, ordinaria di filosofia politica e sociale presso l'Università degli Studi di Milano-Bicocca, direttrice del Centro di Ricerca Dipartimentale ADV-Against Domestic Violence e dell'Academic Network UN.I.RE. (Università in Rete).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento dell'audizione, in videoconferenza, della professoressa Marina Calloni, ordinaria di filosofia politica e sociale presso l'Università degli Studi di Milano-Bicocca, direttrice del Centro di Ricerca Dipartimentale ADV (Against Domestic Violence) e dell'Academic Network UN.I.RE. (Università in Rete). A nome di tutti i commissari do il benvenuto alla nostra ospite che ringrazio per la disponibilità a contribuire ai nostri lavori e le do subito la parola. Dottoressa Calloni, lei sa che farà la sua relazione, poi ci saranno le eventuali domande dei colleghi commissari e delle colleghe commissarie, cercando di rimanere nei tempi previsti. Grazie.

  MARINA CALLONI, ordinaria di filosofia politica e sociale. Grazie a voi. Sono davvero onorata di poter essere audita da questa Commissione. Ringrazio naturalmente l'onorevole Martina Semenzato, che ho avuto il piacere di incontrare il 28 scorso insieme alla senatrice Valente. Oggi vorrei condividere con voi alcune esperienze condotte a partire dalla direzione del centro ADV e di UN.I.RE. ma anche dalle esperienze condotte come delegata dell'ex Ministra Messa, per la quale avevo lavorato sulle politiche antiviolenza all'interno del Ministero dell'Università e della Ricerca. Cercherò anche di spiegare, sulla base delle mie esperienze, quali possibili misure possono essere prese o attuate con riferimento particolare alle forme di violenza di tipo economico e digitale, purtroppo in una giornata in cui dobbiamo compiangere un'altra vittima, una donna uccisa oggi, strangolata dal marito. Cosa ho imparato? Durante questi dieci anni ho imparato molto, soprattutto dal basso, dai centri antiviolenza, dalle donne e dal loro dolore. Ho imparato anche mettendo insieme questo centro, che è stato fondato con un accordo internazionale con la baronessa Patricia Scotland, segretario generale del Commonwealth, e con la scrittrice Simonetta Agnello Hornby con il libro «Il male che si deve raccontare», perché volevamo raccontare questo male di cui non si parlava soprattutto in termini di violenza domestica. Infatti ADV è il primo centro Pag. 4italiano che si occupa specificamente di violenza domestica, intesa anche come violenza in situazioni di intimità.
  E cosa abbiamo svolto? Anche grazie alle colleghe e ai colleghi, non da sola certamente, abbiamo sviluppato corsi multidisciplinari rivolti a studenti come futuri professionisti, corsi di perfezionamento, master e corsi di formazione intra e interprofessionali perché c'è la questione dell'acquisizione dei CFU, soprattutto rispetto allo sviluppo di servizi rivolti a studenti o comunque a personale tecnico amministrativo e a docenti, anche in termini di politiche discriminatorie.
  UN.I.RE., invece, è nato nel 2018, grazie anche al finanziamento del Dipartimento pari opportunità. Sostanzialmente si interessa all'applicazione della Convenzione di Istanbul del Consiglio d'Europa che è stata ratificata in Italia nel 2013, è entrata in vigore nei Paesi sottoscrittori nel 2014 e, soprattutto, vi ha aderito l'Unione europea il primo giugno 2023. Ciò che noi facciamo con il Consiglio d'Europa è sostanzialmente applicare le indicazioni contenute nella parte concernente la prevenzione. Il mese scorso abbiamo svolto una conferenza europea all'interno del progetto Ocean, che sarebbe Open Council of Europe Academic Networks e il Consiglio d'Europa ha preso il nostro network, formato da università italiane. Quindi si tratta di una rete di scambio di buone pratiche, informazioni e politiche comuni, è stato preso anche da GREVIO come una buona pratica che potrebbe essere introdotta, chiaramente con le necessarie differenze, anche in altre università e ambiti di ricerca degli altri quarantacinque Paesi membri del Consiglio d'Europa.
  In questi dieci anni, dicevo, ho imparato molto, ho imparato soprattutto dall'ascolto, da un atteggiamento di umiltà, perché la questione della violenza domestica, il contrasto ad essa, è entrato soltanto recentemente nell'università come impegno accademico, insediamento e ricerca. Soprattutto ho imparato dagli altri, quindi dall'ascolto: da figure istituzionali, da centri antiviolenza, più di tutto, come dicevo prima, dal dolore delle vittime, dal loro timore di non essere credute, perché la paura le lega ancora a situazioni di violenza secondaria, hanno vergogna e quindi non parlano. Ho imparato il paradosso della violenza contro le donne, cioè che parlare di violenza aumenta la violenza, nel senso che aumentano coloro che non si vergognano più, le querele di chi le ha subite e, soprattutto, si comincia a contare la violenza, a contare i numeri perché la violenza di genere contro le donne è stata riconosciuta dalle Nazionali Unite solo nel 1993 ed è dal 1995 che si cominciano a raccogliere alcuni dati. Nel caso dell'Italia, solo una legge dello scorso anno ha indicato la necessità di una raccolta organica dei dati.
  Sappiamo che rapine, furti, omicidi volontari sono in diminuzione, costante purtroppo è il numero dei femminicidi. Quello che più colpisce è la crudeltà con cui gli omicidi, i femminicidi vengono compiuti – con le mani, con i coltelli –, come è stato messo in mostra anche dall'Istat, ma soprattutto l'accanimento e questo ci deve fare pensare.
  Ci sono state molte leggi dopo che è stata approvata la Convenzione di Istanbul ma, come dicevo prima, i numeri dei femminicidi sono accresciuti rispetto allo stesso periodo del 2022, come citava questa settimana l'Osservatorio sugli omicidi volontari, violenza di genere del Ministero dell'interno. Aumenta, cioè, il numero degli omicidi commessi dal partner o ex partner. Siamo ormai, con gli ultimi due femminicidi, a oltre sessanta.
  Sono in aumento anche gli ammonimenti da parte del questore, perché sapete che con il protocollo Zeus c'è la necessità, per coloro che attuano minacce e atti persecutori, di venire trattati. Però nella ricerca «L'uomo», che sto conducendo con il CPM per ATS Milano, emerge che la maggior parte di uomini che si sottopongono a trattamenti – e che speriamo vengano anche finanziati – sono invitati da Avvocati. Soprattutto perché, voi sapete, c'è la questione dello sconto di pena. In seconda battuta ci sono i Servizi. Soltanto un esiguo numero di uomini perché invitati dalla partner o per loro decisione.Pag. 5
  Quindi quello che ci dobbiamo chiedere – io ne parlo come ricercatrice e docente – è se le misure punitive siano sufficienti, perché vediamo al momento il fenomeno attraverso nuove modalità, attraverso la cyberviolence (la violenza cibernetica) e quella digitale, soprattutto fra i minorenni o gli adolescenti, è un fenomeno che, secondo me, sta diventando veramente un'emergenza. Ritengo che una rivoluzione culturale dovrebbe rivedere il tutto secondo un approccio che chiamerei olistico, qui mi riferisco alle due relazioni presentate nelle due precedenti Commissioni, quella presieduta dalla senatrice Puglisi, poi quella successiva dalla senatrice Valente. Perché ne parlo? Perché purtroppo ci sono ancora problemi da cui ho imparato, facendo queste ricerche.
  La prima era legata al processo della domestic homicide review, che è un procedimento adottato nel Regno Unito, consistente in una ricerca post mortem incentrata sulla vittima che non è sopravvissuta, per capire cosa si è sbagliato, perché non è stata messa in protezione o perché la donna stessa non si è resa conto dei rischi.
  Quello che io ho concluso dall'analisi delle sentenze italiane è che tutti i femminicidi, quelli che avevo analizzato random, che mi erano stati forniti dalla Commissione, erano predeterminati, preparati nel tempo e quindi diventavano irrevocabili. Erano, inoltre, caratterizzati da un'escalation di violenza, per cui bastava un attimo per commettere il femminicidio. Soprattutto avvenivano anche per futili motivi. Non c'era resipiscenza o dolo, cioè non c'era riconoscimento dell'omicida, la colpa veniva sempre estroflessa e avevano tutti a che fare con l'ossessione del controllo, il pedinamento, la gelosia, la frustrazione, l'incapacità a gestire i conflitti, di accettare la libertà altrui.
  Quello che volevo mettere in mostra, per cui poi proporrò anche delle linee sull'autovalutazione del rischio per le donne, è che in molti casi – almeno i tre femminicidi recenti, tra cui purtroppo quello di Giulia, ma anche quello di Sofia Castelli, una nostra studente di vent'anni di Bicocca, uccisa dall'ex mentre dormiva, accoltellata anche lei – i femminicidi non sono preceduti da forme di violenza fisica bensì da forme di accanimento, da minacce, da controllo anche attraverso azioni di stalkeraggio o persecutorie. Questo è un altro elemento importante che emerge negli ultimi femminicidi.
  La seconda relazione che ho fatto, che abbiamo presentato anche all'onorevole Semenzato, riguarda il ruolo centrale del sistema educativo delle scuole, dell'università, della ricerca e quindi cosa andiamo a sviluppare. La nostra idea con il gruppo di colleghe e colleghi, con cui lavoriamo a livello nazionale e internazionale, è quella di sviluppare un metodo integrato, che ammetta la prevenzione del rischio. Quindi una collaborazione con istituzioni, ministeri, processi continui di monitoraggio, perché l'Italia, avendo messo in atto la Convenzione di Istanbul, ha anche dei doveri vincolanti, e quindi deve attenersi alle raccomandazioni del gruppo GREVIO. È importante sviluppare delle reti territoriali, nel senso di avere una gestione coordinata dei vari casi, grazie alla costituzione di un sistema multiagency, e inoltre bisogna prendere in carico l'intero ambito affettivo: cura delle donne e dei minori ma anche trattamento degli uomini maltrattanti, dei sex offenders, perché vogliamo evitare la recidiva.
  L'altra proposta, che faccio sulla base delle nostre ricerche, è l'obbligatorietà della valutazione del rischio. Sappiamo che attualmente il rischio è considerato dalle forze dell'ordine, dai centri antiviolenza ma non ne è obbligatoria la valutazione mentre, secondo me, è fondamentale. Dagli studi fatti coi servizi, anche da quanto ci hanno detto molti centri antiviolenza, il metodo che viene usato, predittivo, che però è legato anche a interpretazioni personali, è il DASH, utilizzato soprattutto nel Regno Unito, in cui viene individuato il grado di rischio per la donna, rendendola edotta di cosa succede. Quindi consiglierei una formazione specialistica anche di operatrici e di operatori sociosanitari, assistenti sociali e personale interessato. Come dicevo prima, sarebbe importante, visti gli ultimi casi di femminicidio dove non c'era Pag. 6violenza fisica ma violenza cibernetica, violenza digitale, persecuzione e continua mania del controllo – potremmo fare uno studio, proporlo come UN.I.RE. – fornire linee guida per l'autovalutazione del rischio, cioè quali sono quei segnali che le donne devono vedere. Il problema è che si viene segnate dalla paura, quando la donna comincia ad avere paura è perché c'è un rischio reale e quindi questi segni possono arrecare loro danni, traumi, se non addirittura la morte, come abbiamo visto. Sarebbe molto importante questa autovalutazione se non fatta da centri antiviolenza, da assistenti sociali eccetera, quella sostanzialmente di individuare quei comportamenti abnormi dell'abusante o dell'ex in modo che possa essere trattato. Quindi trattamento non soltanto, secondo me, per reprimere la propria rabbia e le pulsioni ma anche per accettare la libertà altrui, perché le donne non si devono sempre difendere. Non fare questo, non uscire, non fare quello. Bisogna che gli uomini si rendano conto di cosa non devono fare. Quindi campagne pubbliche anche su questo. Come abbiamo visto, nessuna classe è immune. Le ultime morti sono universitarie, appunto Giulia ma, come dicevo, anche la nostra studente, la ricorderemo venerdì 24 novembre, Sofia Castelli, che aveva vent'anni ed era al primo anno di Sociologia. La perseguitava il suo ex. Quindi bisogna fare un lavoro anche sulle donne, sulle giovani donne, senza che questo pregiudichi le loro esperienze amorose e i loro sentimenti. Però questi due casi di universitarie sono un tormento per noi docenti perché ci chiediamo: cosa avremmo potuto fare?
  Per quanto riguarda il sistema educativo, come dicevamo anche nelle raccomandazioni, io ho coordinato il gruppo di lavoro con i colleghi, il professor Vaccari di Palermo e la professoressa Giomi di Agcom, e con la senatrice Leone come relatrice al Senato. È importante che le scuole intraprendano delle iniziative sulla rispettosità nel linguaggio, se n'è parlato molto, e su percorsi finalizzati alla non violenza, soprattutto per la costruzione delle relazioni positive. Si è parlato anche di educazione emozionale, ma io aggiungerei anche sessuale, appropriata al livello cognitivo, affettivo ed emotivo degli allievi, anche perché sono in aumento le malattie sessualmente trasmissibili, come mi ha detto un collega primario e professore universitario di Infettivologia. Ancora, la raccolta di buone pratiche e interazione fra le scuole, perché dalla nostra ricerca non siamo riuscite ad avere un quadro esaustivo; formazione degli insegnanti – questo è cruciale – inserendo nel nuovo percorso di selezione dei docenti dei CFU obbligatori su questo tema, prevedendo anche aggiornamenti durante la carriera dei docenti. Sapete che, a differenza degli altri Ordini professionali, gli insegnanti di primo e secondo grado non sono soggetti a CFU. L'indicazione dell'obbligatorietà della formazione insegnanti è indicata fra le raccomandazioni del GREVIO.
  Per le università, e questa è l'esperienza fatta con l'ex ministra Messa, soprattutto per quanto riportato anche nel Piano Nazionale Antiviolenza, che è in scadenza quest'anno, c'è la necessità di stabilizzare corsi disciplinari e interdisciplinari, programmi inter e intra professionali, perché sono legati alla necessità di crediti formativi. Con il progetto Sfera, da me diretto e finanziato con i fondi Stato-Regioni dalla Regione Lombardia, in un anno abbiamo formato 1800 professionisti, tra cui polizia di Stato e Arma dei Carabinieri (sono stati molto bravi come partecipanti e come docenti), Polizia locale, centri antiviolenza, operatrici del sistema sociosanitario, assistenti sociali e poi giornalisti e insegnanti. Quindi questi progetti, secondo me, dovrebbero essere finanziati. Attualmente abbiamo ricevuto un incarico da parte della regione Valle d'Aosta. Poi naturalmente occorre fare ricerche, dei dottorati, che quindi non siano focalizzati e ristretti nel tempo ma che ci diano una visione localmente più ampia, a livello nazionale.
  Quello che abbiamo fatto negli ultimi anni, anche grazie ai CUG, è implementare le politiche per il benessere di studenti, docenti, ricercatrici e ricercatori e personale tecnico amministrativo, perché l'università è un ambito molto ampio. Le persone che fanno la guardia o che sono Pag. 7addette alle pulizie. Nel senso che nell'università c'è una compagine molto complessa, quindi è fondamentale che tutti i componenti possano vivere in un luogo di lavoro rispettoso, antimolestie. E quindi procediamo tramite codici di comportamenti, sportelli e assistenza. Per esempio, nel caso del mio dipartimento all'inizio di ogni anno scolastico nei vari corsi informiamo gli studenti del servizio a disposizione nel caso avessero bisogno. Maggiore collaborazione.
  Nonostante i nostri sforzi cosa succede? Non solo le violenze contro le donne non sembrano recedere bensì sembrano aumentare in gravità. Abbiamo parlato della crudeltà, della ferocia degli ultimi femminicidi; anche molti centri antiviolenza ci hanno detto che durante la pandemia, quando la violenza domestica è cresciuta, le donne mandate al pronto soccorso con ferite e abusi erano veramente aumentate.
  Cosa vediamo? A mio parere, almeno dalle ricerche che ho svolto, ho notato che accanto a tradizionali forme per un controllo ossessivo e compulsivo della partner o dell'ex partner, perché non si ammette l'abbandono, la propria felicità, si assumono, si assommano nuove forme e modalità persecutorie, in particolar modo la violenza economica e la violenza cibernetica e digitale.
  Cosa si intende per violenza economica? La violenza economica appare nel 1995, nella conferenza Roma Pechino, prima venivano nominate soltanto la violenza fisica, sessuale e psicologica, quindi si assomma a queste; negli ultimi anni si è aggiunto il riconoscimento di altre forme come anche l'isolamento sociale, la molestia, la mutilazione dei genitali, il matrimonio forzato, l'aborto forzato, la tratta e la violenza su donne migranti. La violenza economica molto spesso è la somma di tutto questo tra nuove e antiche tradizioni, soprattutto perché è l'impedimento per la donna, il controllo, il monitoraggio dell'uomo rispetto al denaro e con la costante minaccia di negare risorse economiche. La deprivazione di proprie risorse finanziarie impedisce anche l'autonomia e impedisce l'esercizio delle proprie capacità.
  Questo, come accennato con la presidente Semenzato, crea problemi alle donne che non riescono ad uscire da relazioni tossiche perché non hanno un'occupazione. Molto spesso le donne vengono indebitate dai loro compagni e mariti, che fanno firmare loro cambiali, impegni finanziari, lasciandole con debiti enormi, difficili da colmare.
  Il sindacato ha riconosciuto che, purtroppo, le donne subiscono anche forme di violenza economica nei luoghi di lavoro, molestie e discriminazioni di genere. Ad esempio, le dimissioni in bianco e la retribuzione inferiore per lo stesso lavoro, ma qui si passerebbe a un'altra analisi. La violenza economica è grave in un Paese come il nostro dove solo il 49 per cento delle donne gode di un lavoro salariato, mentre il resto ha lavori di cura oppure lavori in nero. La recente ricerca del Global Thinking Foundation ha rilevato che solo il 58 per cento delle donne ha un conto corrente personale e una ricerca dell'Ipsos sull'approccio degli italiani alla finanza, mostra un grande divario tra uomini e donne sulla conoscenza finanziaria o nella pratica dell'investimento. In effetti il rapporto tra donne e denaro è estremamente complesso, va al di là del controllo finanziario, perché rimanda a un'idea patriarcale della donna come proprietà fisica, sessuale, secondo il famoso libro di Carole Pateman, come possesso di una merce che, come tale, deve essere gestita e controllata dal pater familias. Noi sappiamo che tradizionalmente le donne se sposate non potevano gestire i soldi, non potevano avere un conto in banca. Ci meraviglia il fatto che è soltanto dal 1965, con una legge francese e quindi in Francia, che le donne possono avere un conto bancario. In Italia arriva dopo, arriva nel 1975 con la legge n. 151 che riforma il Codice Civile nel diritto di famiglia, stabilendo la parità tra uomini e donne. Quindi cessa l'idea del pater familias.
  Cosa possiamo fare? Negli ultimi tempi si è molto parlato di come poter dare un orizzonte di vita alle donne a partire dall'autonomia economica, che significa ripensare se stesse. Quindi si sono proposti molti Pag. 8progetti di educazione finanziaria. A mio parere la semplice educazione, che dipende molto dal livello di informazione, di istruzione delle donne, non è sufficiente se non viene accompagnata da misure adeguate, bisogna fare un accompagnamento delle donne interessate grazie alla mediazione di centri antiviolenza oppure mi sembra molto interessante un attuale progetto di associazioni di ex vittime, che è come «Il diritto di contare», dell'Associazione Manden che mira a restituire fiducia e autostima alle donne, a partire dalla loro esperienza di ex vittime (sottolineo ex). Poi bisogna fare attivazione dei percorsi al lavoro in case di seconda accoglienza come il progetto della Kustermann, della Cascina Ri-Nascita di Milano. Ultimamente è stato avviato anche il progetto «Microcredito di libertà», «Riparti da Te», su fondi del Dipartimento pari opportunità, che prevede un finanziamento bancario, compatibile con altri sussidi economici.
  Sulla base della mia interlocuzione con bancari, penso sia fondamentale che siano formati anche gli educatori e gli operatori finanziari, perché si trovano di fronte a donne impaurite, ancora con l'ansia, e gli eventuali prestiti o l'eventuale gestione delle finanze e della propria autonomia non è un semplice prodotto bancario bensì è un progetto di vita. Noi sappiamo che attraverso l'autonomia economica c'è la possibilità di disporre di sé e del popolo futuro.
  Vengo dunque all'ultimo punto, e vi ringrazio davvero per l'attenzione, sulla violenza cibernetica e digitale, che secondo me è veramente un'emergenza nel senso che emerge con una grande gravità, tanto da dover essere presa in considerazione soprattutto per i minorenni. Se la violenza economica può sembrare riferirsi a retaggi tradizionali di tipo patriarcale, quindi a uomini, diciamo, più avanti nell'età, immaginari di violenza e linguaggi d'odio si rafforzano attraverso l'utilizzo dannoso dei nuovi social media che inducono spesso nelle vittime, anche minorenni, depressione, suicidi, provocando femminicidi anche senza una previa violenza fisica, come dicevo prima. I nuovi media quindi producono nelle relazioni intime o pseudo amicali una nuova società della sorveglianza. Difatti noi vediamo la sorveglianza tramite piattaforme digitali, cellulari, ma anche video-telecamere. E così, con manifestazioni persecutorie e diffamanti attraverso lo spazio illimitato di internet, si allargano le definizioni delle nuove forme di violenza, nonostante tutto il nostro lavoro.
  Addirittura, secondo l'Economist Intelligence Unit, l'85 per cento delle donne dice di avere assistito a violenze on-line e il 40 per cento di averle personalmente subite. Noi sappiamo che una forma di cyber harassment, quindi di molestia attraverso internet, è il revenge porn, che fortunatamente dal 2019 nel Codice Rosso viene punito in quanto è una divulgazione non consensuale di foto intime. E abbiamo ora, come dicevo, il cyberbullismo, e il cyberstalking, soprattutto tra i minorenni.
  Quindi è un metodo coercitivo che viene esercitato anche da ex, soprattutto da ex oltre che da partner attuali. Gelosia, narcisismo patologico, paura dell'abbandono, incapacità di gestire la perdita, una possibile perdita, sotto forma di atto persecutorio. E quindi questa cosa induce nella vittima? La paura, come se la violenza fosse fisica, con gravi ripercussioni psicologiche.
  Ci sono forme di sorveglianza di tipo palese, quindi in cui l'abusante te lo dice. Sorveglianza segreta, come mi è capitato con la manomissione di molti cellulari. Mi è capitato in un negozio di telefonia, per caso, in cui la donna si è accorta che il suo ex la seguiva. Perché? Perché con il love bombing gli aveva detto: «Ti sistemo io il cellulare», e purtroppo era geolocalizzata e la seguiva dappertutto. Oppure restrizioni di accesso ai dispositivi, quindi non usi o lo usi quando ti dico io, minacce e abusi.
  Facendo ricerche mi sono molto soffermata sui nuovi nomi che vengono dati alla violenza digitale. Si parla di sexting, grooming on-line (che è l'adescamento), lo sfruttamento sessuale e l'abuso dei minori, il sex tortion che sarebbe la forma di ricatto, truffa on-line. Il numero sta crescendo tra minorenni. Da una ricerca del Tribunale di Milano, c'è il dottor Roia, con cui lavoriamo, si rileva che il 40 per cento degli stalkers e dei violenti sono quelli tra i Pag. 9quindici e i venticinque anni. Il maggior numeri di stalkers e di violenti. E soprattutto, anche se non ho gli ultimi numeri del Ministero, c'è un aumento di minorenni in carcere minorile.
  Quali sono le cause? Secondo me una delle cause a cui noi non abbiamo prestato sufficiente attenzione – e lo dico come docente, perché lo vedo anche nei miei studenti universitari adulti – è l'effetto del lungo isolamento da Covid, che ha impedito le relazioni in presenza, la maturazione delle emozioni e, soprattutto, ha reso impossibili esperienze di affettività. Si è avuto un abuso di YouPorn, che può portare a ritenere che la normalità delle relazioni sociali sia quella abusante e rapace che si vede in queste piattaforme.
  C'è poi l'emulazione del branco, come il caso di Palermo, una sessualità di stupro di gruppo, da cui con l'aumento di minorenni in istituti penali.
  C'è poi l'affermazione del sé secondo una mascolinità perversa attraverso linguaggi d'odio. Io ho letto per caso da una mia amica le chat di minorenni, ed è sconvolgente, soprattutto rispetto alle compagne di origine straniera o con delle disabilità. C'è poi l'apprendimento di linguaggi violenti attraverso rapper e influencer. Qui mi riferisco al libro, anche nell'edizione inglese, delle professoresse Giomi e Magaraggia.
  Cosa si rende necessario, a mio parere, per i minorenni? Prevedere nelle scuole programmi per un buon uso dei social media, soprattutto messaggi positivi da parte degli influencer. Noi abbiamo visto, invece, anche le gang qui a Milano. Progetti soprattutto per una nuova idea di mascolinità capace di rispetto ed emozioni. Che cosa significa? Significa apertura all'inclusione e accettazione della libertà altrui. Soprattutto un'adeguata preparazione dei formatori, degli educatori e di coloro che operano nei Servizi Sociali.
  Quindi se l'ossessione del controllo è esercitata da uomini maturi per paura del cambiamento rispetto alla tradizione dei padri, bisogna abbandonare il mito del padre, perché altrimenti si continua a seguire retaggi del passato. Con riguardo, invece, ai minorenni e ai giovani, a mio parere, devono rifiutare la trappola che la mascolinità può essere solo quella della sopraffazione attraverso la perpetuazione di immaginari di violenza che noi troviamo fin dalla mitologia greca e romana. Gli uomini dovrebbero piuttosto abbracciare l'idea di un rinnovamento di un modello di mascolinità che continua a legarli a tradizione e a pregiudizi passati.
  Io penso che la libertà delle donne significa anche liberazione consapevole degli uomini dai lacci di un maschilismo misogino che reprime le loro stesse facoltà e capacità di adeguamento. E quindi la nostra idea – e posso parlare anche a nome delle colleghe straordinarie e di tutte le persone, professionisti, centri antiviolenza con cui ho lavorato nel corso di questi dieci anni – è che un lavoro di prevenzione della violenza contro le donne debba essere attuato nelle scuole, nelle università, attraverso i media, che significa necessità di una strutturazione non episodica dei corsi, progetti, servizi, politiche integrate e soprattutto una sensibilizzazione pubblica attraverso raccolta dati, monitoraggio e così via. Incontro naturalmente con i cittadini perché siamo tutti uniti da uno stesso interesse. Soprattutto attenzione ai minorenni, nel loro netto rifiuto della violenza di genere e in tutte le consolidazioni umane. Quindi la frase conclusiva è che combattere e prevenire la violenza contro le donne, la violenza di genere, è possibile solo se lo facciamo insieme, a partire dalle nostre conoscenze ed esperienze, ma soprattutto come riflessione quotidiana sul nostro modo di agire perché la violenza è sempre dietro l'angolo. Dobbiamo riflettere come donne, cittadine, docenti, sempre su tutte le pratiche e i nostri lavori quotidiani, perché abbiamo grosse responsabilità. Vi ringrazio per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie, dottoressa Calloni per questa puntuale narrazione. Noi ci siamo conosciute in Senato, la ringrazio per la sensibilità. So che c'è l'onorevole Ferrari che vuole fare una domanda.

  SARA FERRARI. Grazie. Grazie professoressa per questa panoramica così ampia. Pag. 10Una sottolineatura, più che una domanda. Nella legge che domani probabilmente il Senato approverà, che è sicuramente una legge che fa un passo avanti rispetto al rafforzamento delle misure cautelari, che però purtroppo non fa alcun passo sulla prevenzione primaria, quella con cui lei ha appena concluso il suo intervento, è però ricompreso un nuovo articolo sulla formazione degli operatori che hanno, a vario titolo, a che fare con le donne vittime di violenza. Lei prima ha parlato di progetti di cui lei stessa è stata artefice nei confronti delle forze dell'ordine, dei centri antiviolenza, del sistema sociosanitario, dei giornalisti e degli insegnanti; le chiedo come lei immagina che possano essere finanziati da un'unica fonte. Cioè lei stessa ci ha parlato di questi progetti come comunque sporadici, comunque finanziati probabilmente, e quindi volevo una conferma, sui diversi rivoli e sulle diverse fonti e probabilmente anche istituzioni diverse. La legge prevede formazione obbligatoria e, rispetto alla formazione obbligatoria degli operatori, laddove non è possibile che questa sia obbligatoria, diciamo è molto sostenuta attraverso eventuali punteggi aggiuntivi dei crediti formativi. Tutto questo verrà formulato all'interno di linee guida che il Ministero gestirà insieme all'osservatorio. Quindi le chiedo se può darci un suo veloce riscontro su quello che potrà essere il percorso che andrà fatto con quelle linee guida. Io auspico siano finanziate da un'unica fonte.
  Infine le chiedo, lei prima ha accennato al metodo Scotland, che io personalmente da assessora nella mia regione ho potuto adottare, in particolare con uno strumento che io ritengo importantissimo che è il gruppo MARAC, che è un gruppo ristretto che fa valutazione del rischio. Tutto questo però io l'ho potuto fare perché vivo in una provincia, che coincide con la regione, che ha 500.000 abitanti, che è la provincia autonoma di Trento. Mi viene sempre replicato quando racconto questa esperienza come un'esperienza positiva finché è durata, perché poi è stata chiusa, che quella è una scala particolare. In realtà io credo – e questo lo chiedo a lei – che sia replicabile anche su scala diversa, che forse non è quella regionale ma che potrebbe essere quella provinciale o quella delle varie procure che possono mettere attorno a un tavolo gli operatori della giustizia e anche altri professionisti. Lei che ha un'esperienza su questo le chiedo se conviene su quanto sto dicendo o se si è fatta un'idea diversa. Grazie.

  MARINA CALLONI, ordinaria di filosofia politica e sociale. La ringrazio molto perché mi dà una buona notizia su cui noi da anni battevamo e cioè la formazione obbligatoria degli operatori. Questo è dovuto anche a un obbligo, a un rilievo fatto dal GREVIO, che l'Italia deve fare una formazione obbligatoria. Ci manca, invece, la formazione obbligatoria degli insegnanti che, come sapete, anche per motivi sindacali, non hanno l'obbligo dei crediti formativi e quindi non hanno l'obbligo di aggiornamento. Questa per me è la successiva misura che potrebbe prendere il Parlamento, soprattutto prevedendo che dei sessanta CFU che gli insegnanti devono prendere per entrare nel sistema scolastico, alcuni ne vengano dedicati già prima di entrare in servizio. E quindi vi chiedo la cortesia di lavorare anche su questo, perché altrimenti non si può pensare a quella rivoluzione culturale di cui parlavo.
  Rispetto, invece, al metodo inter e intradisciplinare sono molto contenta che lei parli di Trento. Non vorrei sembrare vanagloriosa però è stato merito mio. Si chiama metodo Scotland in maniera molto riduttiva, è stato chiamato così anche un po' dai giornali però, di fatto, poi l'avevamo riorganizzato, riadattato al modello italiano tramite il progetto che avevamo istituito anche qui da noi. Non so se lei lo sa ma avevo organizzato un viaggio di lavoro con un gruppo proprio della provincia di Trento, portandoli a vedere le MARAC, e poi con il vice questore Maggio, cercando di dare una conformazione anche regionale. Poi non ho più saputo come si è proceduto, mi dispiace molto sapere che, invece, si sia concluso.
  Io ho partecipato a molte MARAC perché la ricerca che ho fatto sulla domestic homicide reviews era stata fatta durante un mio periodo di soggiorno in un centro di Polizia a Gloucester, nel Gloucestershire in Pag. 11cui, di fatto, avevo perfezionato un lavoro sulle MARAC, ed è per questo che chiedo al Parlamento di pensare a un approccio multiagency oltre che integrato, per questo fondamentale, per la gestione dei casi. Per esempio, se una donna viene accolta al pronto soccorso, poi è necessario che ci sia una rete che faccia monitoraggio rispetto all'uomo maltrattante. E naturalmente anche alle scuole. Però se volete facciamo un'altra riunione e possiamo parlare di questo.
  Rispetto al progetto Sfera in qualche maniera lo abbiamo reinventato. Siccome facciamo molti corsi di formazione, la Regione Lombardia, soprattutto una funzionaria, mi ha invitato a cercare di pensare a corsi di formazione legati all'acquisizione del CFU. Allora quello che io ho semplicemente fatto era riunire istituzioni, a partire appunto anche da Roia, e da altri, e poi coloro che erano interessati. Sia quindi i centri antiviolenza sia Ordini professionali. Era un tavolo partecipato di formazione, diciamo, di programmazione partecipata, di raccolta dei bisogni che c'erano a livello di formazione e, soprattutto, per cercare di individuare in questi ordini professionali chi potesse fare da docente. Avevamo costruito un programma con i diversi livelli, un livello iniziale e un livello avanzato (che comunque potete vedere anche on-line se andate sotto Sfera Unimib). Il programma è stato di 217 ore di formazione e, soprattutto con la seconda parte, mi sono resa conto che una formazione soltanto intraprofessionale non funzionava se non era anche interprofessionale, perché i professionisti avevano bisogno di parlare tra di loro. Pertanto abbiamo fatto anche molti corsi in cui emergevano problemi e anche buone pratiche, veramente è andata molto bene. Forze dell'ordine, Arma dei carabinieri e polizia di Stato sono stati molto attenti, avevano interesse. Abbiamo allora formato soltanto i quadri, colonnelli eccetera, però è importante anche formare le pattuglie, coloro che affrontano la violenza domestica e violenze intime. Però su questo naturalmente possiamo andare avanti. Era un progetto condiviso con la Prefettura di Milano.
  Rispetto alla sua domanda: come si può fare? Questi erano soldi legati allo Stato-Regione, quindi la Regione Lombardia ha devoluto questi soldi dando l'incarico alle università di fare questi corsi con il riconoscimento di CFU. È stato on-line, perché per le forze dell'ordine, per professionisti o per centri di violenza ci potevano essere casi per cui era difficile spostarsi all'interno della regione. Ogni modulo aveva una valutazione di gradimento ed era circa 3,7 su 4, quindi è un ottimo risultato utile per la loro professione.
  Adesso dovremmo farlo per la regione Valle d'Aosta che è più piccola. Però è fondamentale avere una visione, certamente provinciale, certamente territoriale, ma è anche necessario forse avere un modello regionale e poi cercare di restringerlo a province. Però cercherei di farlo in maniera più ampia perché restringendo in province ristrette – non è il caso di Trento perché è autonoma – c'è il problema di non comprendere altri problemi. Perché noi in Lombardia abbiamo la mobilità sia di forze dell'ordine che di centri antiviolenza e così via. Però possiamo programmarlo e pensarci.
  Rispetto alle MARAC è il multiagency approach di cui vi parlavo, soprattutto nel modello cosiddetto britannico, però siamo andate molto avanti come ricercatrici su questo, è la funzione dell'IDVA, che noi presentiamo nei nostri corsi. IDVA (Independent Domestic Violence Advisers) è chi aiuta la donna se è nei rifugi o nei momenti in cui la sua valutazione del rischio è media o alta. Queste sono professioniste formate nel Regno Unito che ho incontrato del Safelives, che danno quindi dei certificati. Prossimamente avremo un incontro con una IDVA di origine italiana, che lavora a Hackney, che è un quartiere soprattutto di persone di origine africana, perché è stata ampliata poi alla questione razziale, la questione dei migranti e così via. Non so se le ho risposto, però potremmo poi iniziare tavoli separati e quindi procedere. Però sono importantissimi CFU e crediti.

  PRESIDENTE. Dottoressa Calloni, la ringraziamo perché, come sempre, ha messo a disposizione la tanta competenza e la tanta Pag. 12professionalità. Ringrazio anche l'onorevole Ferrari perché ha fatto una bellissima domanda di approfondimento. Noi consideriamo queste audizioni sempre come l'inizio di un percorso con cui poi continuare il dialogo e approfondire. Quindi grazie dottoressa, a nome di tutti i commissari e le commissarie.

  MARINA CALLONI, ordinaria di filosofia politica e sociale. Grazie a voi. Volevo chiedere se voi volete la relazione, anche eventualmente come bozza ovviamente da approfondire, perché è molto dialogato quello che ho detto. Se la volete e vi interessa da mettere agli atti.

  PRESIDENTE. Sì, assolutamente dottoressa. Grazie, è anche una regola di questa Commissione, perché così poi diamo la possibilità ai commissari che non erano presenti per concomitanti impegni di approfondire l'argomento ed eventualmente riprogrammare una discussione. Grazie.

  MARINA CALLONI, ordinaria di filosofia politica e sociale. Grazie a voi dell'attenzione. Spero vi siano altri momenti per costruire qualcosa insieme.

  PRESIDENTE. Certo dottoressa Calloni, che non è una minaccia, è una promessa ci rivedremo assolutamente. Grazie mille.

  La seduta termina alle 15.55.