XIX Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Mercoledì 21 giugno 2023

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Colosimo Chiara , Presidente ... 3 

Audizione di Giovanni Melillo, Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo:
Colosimo Chiara , Presidente ... 3 
Melillo Giovanni , Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 3 
Colosimo Chiara , Presidente ... 10 
Cantalamessa Gianluca  ... 10 
Colosimo Chiara , Presidente ... 10 
Cantalamessa Gianluca  ... 10 
Colosimo Chiara , Presidente ... 10 
Rando Enza  ... 10 
Colosimo Chiara , Presidente ... 11 
Verini Walter  ... 11 
Colosimo Chiara , Presidente ... 11 
Scarpinato Roberto Maria Ferdinando  ... 11 
Colosimo Chiara , Presidente ... 12 
Cantalamessa Gianluca  ... 12 
Colosimo Chiara , Presidente ... 12 
Valente Valeria  ... 12 
Colosimo Chiara , Presidente ... 12 
Sallemi Salvatore  ... 12 
Colosimo Chiara , Presidente ... 13 
Sisler Sandro  ... 13 
Colosimo Chiara , Presidente ... 13 
Melillo Giovanni , Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 13 
Colosimo Chiara , Presidente ... 18 
Pittalis Pietro (FI-PPE)  ... 18 
Colosimo Chiara , Presidente ... 19 
Piccolotti Elisabetta (AVS)  ... 19 
Colosimo Chiara , Presidente ... 19 
De Corato Riccardo (FDI)  ... 19 
Colosimo Chiara , Presidente ... 20 
Orlando Andrea (PD-IDP)  ... 20 
Colosimo Chiara , Presidente ... 20 
Melillo Giovanni , Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 20 
Colosimo Chiara , Presidente ... 24 
Orlando Andrea (PD-IDP)  ... 24 
Melillo Giovanni , Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 24 
Colosimo Chiara , Presidente ... 26 
Melillo Giovanni , Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 26 
Provenzano Giuseppe (PD-IDP)  ... 26 
Colosimo Chiara , Presidente ... 26 
Cafiero De Raho Federico (M5S)  ... 26 
Colosimo Chiara , Presidente ... 26 
Gubitosa Michele (M5S)  ... 27 
Colosimo Chiara , Presidente ... 27 
Serracchiani Debora (PD-IDP)  ... 27 
Colosimo Chiara , Presidente ... 27 

(La seduta termina alle 14.30) ... 27

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
CHIARA COLOSIMO

  La seduta inizia alle 12.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Buongiorno a tutti. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche tramite impianto audiovisivo a circuito chiuso, nonché via streaming sulla web TV della Camera, come convenuto in sede di ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi.

Audizione di Giovanni Melillo, Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, dottor Giovanni Melillo, a cui do il benvenuto e che ringrazio sentitamente per aver voluto anticipare l'orario della sua audizione, per permettere ai senatori di essere qui in presenza e non solo da remoto.
  L'ordine del giorno in questa seduta si svolge nelle forme di audizione libera ed è aperta la partecipazione da remoto anche ai componenti della Commissione che non fossero qui.
  I lavori potranno proseguire in forma segreta a richiesta dell'audito o dei colleghi e, in tal caso, non sarà ovviamente più consentita la partecipazione da remoto e verrà interrotta la trasmissione via streaming sulla web TV.
  Vorrei avvertire che dopo l'intervento del Procuratore potranno intervenire i colleghi che intendono formulare quesiti e/o osservazioni, e verrà data precedenza agli interventi dei colleghi senatori in ragione dell'articolazione dei lavori dell'assemblea al Senato.
  Al fine di assicurare un ordinato svolgimento dei nostri lavori e consentire la più ampia partecipazione, invito i colleghi a contenere i propri interventi nel limite massimo di tre minuti.
  A questo punto, Procuratore, le do la parola nel ringraziarla ancora per la cortesia e la disponibilità.

  GIOVANNI MELILLO, Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Sono io che ringrazio lei, presidente, e la Commissione tutta per l'invito.
  Spero che la mia audizione possa essere l'inizio di un percorso di fertile e leale collaborazione istituzionale fra una così importante istituzione parlamentare e la magistratura requirente, un percorso che deve essere alimentato da fiducia e rispetto reciproci, ma soprattutto dalla consapevolezza della gravità dei fenomeni criminali e della reale portata delle sfide che abbiamo di fronte, perché la realtà impone delle analisi realistiche, che sono assai meno comode di visioni illusorie, edulcorate o, anche peggio, strumentali. Questo esige una comune disponibilità a sciogliere nodi problematici, che sono complessi e che forse anche per questo sono da tempo irrisolti.
  In questa prospettiva prego la Commissione di voler accogliere e considerare il contributo che verrà dal mio intervento. Naturalmente il carattere generale di questa prima occasione di incontro impone di procedere secondo le tecniche descrittive tipiche delle vedute a volo di uccello, confidando però ovviamente che ciò possa comunque concorrere all'individuazione di alcune questioni suscettive di valutazione prioritaria da parte della Commissione.Pag. 4
  Passo dunque ad alcune osservazioni preliminari, ma essenziali, per definire anche la prospettiva di lavoro nel mio ufficio e dei procuratori distrettuali, che una volta al mese si riuniscono nella sala della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo che dal giugno scorso è dedicata a Giovanni Falcone, per discutere non soltanto di indagini collegate fra loro, ma anche dei temi organizzativi e interpretativi che sono essenziali allo sviluppo delle relazioni di coordinamento investigativo.
  È una prospettiva di lavoro che è definita in un progetto organizzativo adottato lo scorso 1° febbraio, che mi permetto di offrire alla valutazione della Commissione, ma lo faccio soltanto per segnalare il rilievo di un metodo di lavoro fondato sul ripudio di ogni visione sovraordinata e separata del rapporto tra le procure della Repubblica e la Direzione nazionale, e sulla condivisa necessità di una sorta di permanente confronto tra i procuratori distrettuali e i procuratori nazionali, un confronto che è necessario per evitare aporie, lacune, contraddizioni, tensioni e persino conflitti, che sono incompatibili con la fiducia che i cittadini devono serbare nei confronti della giurisdizione.
  Può essere utile, anche per l'individuazione di alcune questioni prioritarie, e questa in qualche modo lo è, anche il documento che mi permetto di produrre, che è l'ultimo esempio del metodo di lavoro al quale facevo cenno, ed è una nota che il Procuratore nazionale e i procuratori distrettuali hanno inviato al Ministro della giustizia per sottolineare la gravità dello stato delle infrastrutture che reggono il sistema delle intercettazioni e l'urgenza di decisi interventi di consolidamento e sviluppo dei sistemi informativi, che hanno assetti architettonici e criteri gestionali non adeguati rispetto alle questioni che abbiamo di fronte. Questo è un tema sicuramente sottovalutato. Gli assetti di questa così delicata materia dipendono non soltanto dalle formule normative, ma anche dal modo in cui risultano organizzati i servizi necessari al funzionamento della giustizia. Si tratta di temi delicati e complessi, dei quali ho parlato già dinanzi alla Commissione giustizia del Senato e dei quali nei giorni scorsi si è iniziato a parlare intorno a un tavolo di lavoro voluto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, secondo le logiche e i metodi della leale collaborazione istituzionale. È una cooperazione istituzionale corretta ed essenziale per dare soluzione ai problemi che caratterizzano una situazione persino paradossale, quale quella che attualmente definisce il quadro di impiego delle tecnologie a fini investigativi, perché è una situazione che è bisognosa, da un lato, di maggiori garanzie e, dall'altro lato, di maggiore efficienza.
  Ma vorrei che fosse chiaro che si tratta di accrescere insieme garanzie ed efficienza, effettività della giurisdizione, perché vi è bisogno dell'una e dell'altra cosa, senza alcun arretramento sul versante del ricorso alle intercettazioni.
  Personalmente non conosco intercettazioni inutili, perché le intercettazioni sono disposte da un giudice con un provvedimento motivato, procedendo per reati gravi. Personalmente non riesco a immaginare spostamenti di risorse da un versante investigativo a un altro, dovendo il sistema della prova digitale essere potenziato nel suo complesso, sia sul versante delle garanzie, sia sul versante dell'efficacia delle indagini, perché, da un lato, si tratta di poter proiettare efficacemente l'indagine nel cyberspace quando si procede per i delitti più gravi, ed è necessario e urgente farlo prima che il gap che è già maturato diventi irreparabile. Questo è quello che da tempo chiedono, del resto, le nostre forze di polizia, che sono sempre più a disagio nel confronto con i collaterali organismi stranieri, che si avvalgono di discipline più evolute, che aprono le porte delle piattaforme criptofoniche, delle blockchain, del deep, del dark web, degli altri ambienti cibernetici, che sono piegati ai fini delle criminalità organizzate e del terrorismo.
  Dall'altro lato, si tratta di estendere le garanzie delle intercettazioni ad attività che non sono riconducibili alla nozione classica di intercettazione, ma che non sono meno invasive e che sono oggi prive di adeguate tutele. Faccio un esempio banale: l'acquisizione di uno smartphone trascina Pag. 5nel procedimento penale la vita della persona che usa quello smartphone. Oggi questo è possibile senza rispettare un principio di proporzionalità perché non è indicata una soglia di gravità minima del reato, non c'è alcun controllo preventivo del giudice e non si può neanche utilizzare la protezione offerta per tutto ciò che è acquisito, ma non è rilevante poi ai fini della giustizia, della disciplina dell'archivio delle intercettazioni.
  Insomma, vi sono attività d'indagine oltremodo delicate e invasive, che hanno bisogno delle garanzie che sono già proprie delle intercettazioni, e nel contempo vi è un deficit sempre più grande e visibile della nostra capacità di penetrare nelle reti digitali, negli ambienti cibernetici, che oramai sono l'ambiente consueto di grandi e piccole reti criminali.
  C'è bisogno di tutti per fare questo salto, sottraendo una materia così delicata ai pericoli propri sia dei furori polemici che delle semplificazioni grossolane.
  L'iniziativa della Presidenza del Consiglio aiuta a sperare che ciò possa avvenire all'interno di una cornice che è fatta di rispetto delle attribuzioni e delle posizioni di tutti.
  Il rinvio ai documenti ai quali ho fatto cenno mi consente di sgombrare il campo da ogni altro onere illustrativo.
  Devo dire che, pensando a questa audizione, ho immaginato tanti possibili temi di interesse della Commissione: il sistema della collaborazione con la giustizia, la situazione delle carceri, il controllo mafioso esercitato nelle carceri, il sistema dell'amministrazione giudiziaria dei beni oggetto di sequestro e confisca, la tenuta delle funzioni di prevenzione antimafia dopo i recenti interventi normativi, la stagione dei finanziamenti pandemici e dei bonus edilizi, che forse esigerebbe un bilancio, sia pure provvisorio, non solo dei danni, ma anche del ruolo svolto delle imprese mafiose, le condizioni delle amministrazioni sottoposte a scioglimento degli organi per condizionamento mafioso. Un tema che credo importante da considerare è quello che sta avvenendo nelle curve e attorno alle curve degli stadi italiani, e non parlo soltanto dei grandi stadi, perché è un teatro di penetrazione e di egemonia mafiosa, che va diffondendosi dalla Sicilia al Piemonte, per il quale bisognerebbe aggiornare gli strumenti di analisi. Inoltre altri temi importanti sono: il narcotraffico su scala globale nelle prospettive della collaborazione internazionale; lo statuto normativo del coordinamento investigativo dopo trentun anni dall'istituzione della Direzione nazionale; infine, credo che si imponga la considerazione dei fenomeni criminali che abbiamo davanti.
  Ovviamente il quadro è molto complesso. La presidente, se vuole, potrà interrompermi in qualunque momento, però io credo che sia bene procedere, sia pure per brutali semplificazioni, a indicare alcune cose con molta chiarezza.
  Secondo me, da questo punto di vista, l'analisi va sviluppata tenendo conto di alcuni fondamentali fattori.
  Primo. L'espansione transnazionale delle principali strutture criminali è determinata dal controllo delle rotte di importazione di grandi volumi di stupefacenti. Ciò ha determinato la creazione di network internazionali, che ormai controllano la logistica di interi Stati, controllano una gigantesca rete di servizi, anche di strategie di occultamento e dell'investimento speculativo dei profitti dei traffici. In questa dimensione noi siamo di fronte a una realtà nuova perché le acquisizioni più recenti rivelano l'esistenza di una sorta di sistema bancario parallelo a quello ufficiale, che si sviluppa lungo una dorsale che va dal centro-sud America, attraverso il Medio Oriente, la Turchia, il Pakistan e la Cina, ed è un sistema senza il quale forse il narcotraffico nelle attuali forme non sarebbe possibile, perché questo potente sistema finanziario parallelo gestisce tutti gli scambi commerciali e i cambi di valuta, e questo consente a ogni attore di manovrare le proprie scelte superando ogni sorta di controllo. È un tema sul quale la nostra attenzione è grande e sul quale stiamo sviluppando una significativa collaborazione sul piano internazionale.
  Secondo punto. Molti si affannano a stilare una sorta di classifica di pericolosità Pag. 6dei fenomeni criminali. A me questo metodo non piace, per due fondamentali ragioni: la prima è perché è fuorviante, si perdono di vista i processi di integrazione dei mercati e delle strutture criminali, al contrario, noi sappiamo che sono le tipologie dei mercati a determinare anche la conformazione delle strutture criminali; la seconda ragione è meno visibile ed è persino più insidiosa, perché quando si stilano classifiche di pericolosità queste poi possono anche essere lette al contrario, diventando classifiche di tollerabilità: non credo che questo sia consentito.
  Oggi le mafie si riconoscono nello stesso linguaggio, mentre molti si baloccano dando rappresentazioni mitologiche e anche questo ostacola la comprensione del fenomeno perché le mafie non sono questioni del Mezzogiorno italiano, non sono neanche questioni italiane, bensì europee e internazionali che investono la responsabilità di tutti gli Stati e della comunità internazionale. Da questo punto di vista dovrebbe essere definitivo il superamento di quel concetto che una giurista francese chiamava «sovranità solitaria», per passare invece a un'idea di «sovranità solidale».
  Il terzo fattore di novità è rappresentato dai conflitti armati e dai processi di destabilizzazione politica, che sono visibili su scala regionale e globale. Io credo che ormai sia abbastanza evidente la diretta incidenza anche sull'evoluzione dei fenomeni criminali dei processi di destabilizzazione politica e sociale in atto. Sul punto, ovviamente, bisognerà tornare, però è del tutto evidente che i conflitti e le economie di guerra creano le condizioni ideali per l'espansione del ruolo affaristico delle grandi organizzazioni criminali. Basterebbe pensare a quello che è accaduto nei Balcani venticinque anni fa, in termini di espansione su scala planetaria di forme criminali che erano primitive e locali – il crimine organizzato serbo-croato, quello albanese, quello kosovaro – e cosa abbia significato l'intreccio delle reti contrabbando del traffico di armi e stupefacenti che finanziava quel conflitto sulla trasformazione delle organizzazioni criminali italiani.
  Ci sono altri due punti fondamentali, al primo ho già accennato, che sono le tecnologie digitali, che ormai sono il cardine organizzativo delle reti criminali, non solo delle reti mafiose, ma anche del terrorismo, e l'altro punto è rappresentato dalla trasformazione profonda della relazione che esiste tra mercati e impresa, da un lato, e organizzazioni mafiose.
  Su questo versante occorre, secondo me, liberarsi da alcune rappresentazioni segnate da luoghi comuni e semplificazioni, forse rassicuranti, ma che non pagano. L'idea secondo la quale il crimine organizzato sarebbe una specie di fattore di sottosviluppo del sistema economico non spiega granché del normale svolgimento dei processi economici. La stessa nozione di infiltrazione della criminalità organizzata nell'economia è assolutamente priva di valore descrittivo perché noi, in realtà, siamo in presenza di una sorta di processo sempre più preoccupante di immedesimazione delle strutture di gestione di una parte non secondaria dei circuiti economici e delle componenti più sofisticate delle organizzazioni criminali. Molti pensano che le mafie siano espressione di società del tessuto economico debole e arretrato, una sorta di riflesso della povertà di quelle realtà. La realtà dimostra invece che le organizzazioni criminali sono espressione e strumento di accumulazione della ricchezza economica e di raffinati processi di espansione speculativa. Queste non sono valutazioni improprie di un magistrato. Un economista, non certo sospettabile di analisi avventate, come il professor Barucci, spiegava ormai quindici anni fa, con riferimento alla situazione di quindici anni fa, sostanzialmente all'inizio della trasformazione digitale: «Oggi l'economia criminale conosce la governance mediante holding, conosce la governance per unità produttive di specializzazione, conosce la contabilità per linee di business, conosce l'outsourcing, le tecniche di gestione del gruppo e dell'impresa diffusa, le integrazioni verticali, i mutamenti della fiscalità».
  In altre parole, occorre riconoscere che la criminalità organizzata mafiosa non è un fattore di oppressione dei mercati legali, Pag. 7non è semplicemente questo, è anche una trave portante dei processi di alimentazione finanziaria e di intermediazione relazionale che riguardano l'ordinario sistema d'impresa e non riguardano soltanto il nostro Paese. In definitiva, l'economia criminale non si contrappone al mercato.
  Questo comporta anche grandi trasformazioni delle organizzazioni criminali. Credo che questo sia importante dirlo nel momento in cui una Commissione parlamentare si insedia e inizia a svolgere il proprio lavoro, perché le relazioni con il mercato cambiano anche i gruppi mafiosi. Un'organizzazione che si proponga di entrare nel settore dei servizi finanziari, assicurativi, di mediazione nel mercato del lavoro, di consulenza, di logistica, di distribuzione commerciale, sa che entra in sistemi complessi e deve necessariamente attenuare i profili di rigidità strutturale originaria, i profili di omogeneità culturali. Deve scegliere modelli più flessibili, che sono anche quelli più protetti dai rischi di repressione giudiziaria. Al contempo, l'adozione di questi modelli organizzativi più agili e flessibili che si moltiplicano nei gruppi criminali, moltiplicano anche le opportunità di arricchimento illecito, moltiplicano gli schemi di collaborazione collegati ai bisogni vitali per un'organizzazione mafiosa di reinvestire i profitti illeciti.
  Tutto questo conduce a definire il valore di un'intima e non sopprimibile contiguità del mondo del crimine organizzato e del mondo dell'impresa, ed è una relazione che ovviamente può assumere le forme più diverse, che però soltanto parzialmente, per non dire marginalmente, assumono i caratteri dello schema secondo il quale l'impresa sarebbe vittima di pressioni intimidatorie violente da parte del crimine organizzato. Più spesso quella relazione assume caratteri diversi, dati dallo scambio di reciproci vantaggi.
  Ritengo che il punto di approdo di ogni analisi credibile della realtà debba coincidere con il riconoscimento che ogni visione delle mafie, come crimine organizzato sotto l'insegna di un'emergenza destinata ad essere riportata sotto controllo, è il frutto di una evidente distorsione della realtà. Siamo in presenza di connotazioni strutturali dell'organizzazione sociale ed economica di parte significativa del territorio nazionale, perché nel tempo è cresciuto un tessuto di imprese che serve le esigenze di espansione affaristica del crimine organizzato e che, a sua volta, consente di generare profitti e di espandersi, ma di generare anche consenso sociale e nuove forme di rappresentanza e tutela tecnica e non solo tecnica degli interessi criminali sottostanti. Pensino la leadership dei cartelli mafiosi si definisce su questo versante perché è del tutto evidente che per assumere posizioni di leadership nei grandi cartelli criminali bisogna essere capace di occupare posizioni di controllo e di regia di estese e ramificate reti di imprese. Questo concorre, secondo me, a mettere in luce la straordinaria forza silenziosa dell'espansione delle reti di impresa che sono progressivamente attratte dal crimine organizzato.
  I discorsi ovviamente potrebbero svilupparsi sul piano dell'analisi economica, ma è molto più semplice dire cose relativamente banali. Oggi 'ndrangheta e camorra, ad esempio, sono dei giganteschi hub di servizi illegali per il mondo dell'impresa. Tutto il sistema delle false fatturazioni, la gestione di gigantesche reti di cosiddette cartiere, cioè società che non fanno che produrre false fatturazioni, i servizi di trasporto del contante che serve per recuperare il profitto del carosello, che sono frodi transfrontaliere, la stessa ramificazione della 'ndrangheta nel nord d'Italia e in Europa, segue le logiche e le rotte delle costellazioni di imprese che sono continuamente sospese tra ricorso sistematico a false fatturazioni, a frodi fiscali, a bancarotte fraudolente e insolvenze quasi sempre in danno dell'erario.
  Un'altra misura concreta della dimensione reale di questo tema può essere data da una banale osservazione: oggi l'ufficio del Procuratore europeo, che è pensato per la protezione degli interessi finanziari dell'Unione europea, fa parte integrante del circuito di coordinamento antimafia, noi facciamo normalmente riunioni con il Procuratore europeo, e già si profilano in procedure siciliane o in procedure campane i Pag. 8contorni di organizzazioni mafiose che, pressoché interamente, sono votate solo alla commissione di reati che offendono gli interessi finanziari dell'Unione europea. L'intero sistema delle false fatturazioni, in ogni sorta di comparto economico, dal commercio dei metalli, al lavoro interinale, all'importazione e alla distribuzione degli idrocarburi, ma se ne potrebbero immaginare tanti altri, l'intero sistema di false fatturazioni è presidiato da fiduciarie di organizzazioni mafiose, e interi comparti produttivi ricorrono a questi servizi, anche le imprese che mafiose non sono si avvalgono di questi servizi, perché il linguaggio della frode fiscale e della corruzione delle funzioni di controllo è un linguaggio che è comune all'impresa mafiosa e all'impresa che mafiosa non è.
  Da questo punto di vista ci sono anche grandi problemi per l'efficacia dell'azione di investigazione, perché è del tutto evidente che in queste reti d'impresa le relazioni personali vengono messe in secondo piano rispetto alle logiche di funzionamento dei network d'impresa. È del tutto evidente che, da un lato, le organizzazioni mafiose si ritrovano ad esercitare un'influenza molto più ampia di quella definita esclusivamente dal perimetro delle imprese riconducibili, come dice la legge, direttamente o indirettamente a un'organizzazione mafiosa, ma, dall'altro lato, scricchiolano e ormai si rilevano consunti alcuni tradizionali strumenti dell'azione di contrasto della criminalità mafiosa. La nozione di appartenenza dei beni, che è il pilastro del sistema di sequestro e confisca, non spiega niente di quei moderni sistemi di espansione dell'impresa mafiosa. La stessa nozione di reato di associazione mafiosa, anche se è dilatato nella forma del concorso esterno, ha difficoltà ad essere applicato per spiegare le relazioni tra persone che non hanno diretti contatti personali tra loro, ma che pure partecipano consapevolmente a logiche di coordinazione gestionale che sono comuni.
  Se questa è la realtà, secondo me, occorre guardare con fredda lucidità agli strumenti dei quali disponiamo, dapprima per prevenire l'allungarsi delle ombre mafiose sul PNRR e anche sul piano nazionale di investimenti complementari, e poi anche per reprimere efficacemente le concrete manifestazioni dei fenomeni mafiosi. Non si tratta di considerare i delitti tipici della criminalità economico-finanziaria come reati spia dell'agire mafioso, perché non sono spia dell'agire mafioso. Questo tipo di reati, false fatturazioni, frodi fiscali, insolvenze fraudolente sono ormai l'in sé del crimine organizzato mafioso, a meno che non si voglia pensare che le mafie delle quali ci sia necessità di occuparsi sono soltanto quelle che si dedicano ancora al controllo dei tradizionali mercati illegali. Questa operazione non credo che si possa fare, perché equivarrebbe a far abbassare lo sguardo alla Repubblica, far abbassare lo sguardo allo Stato, proprio dinanzi alla visione delle strutture delle componenti più raffinate e più sofisticate del circuito mafioso.
  L'ultimo profilo preliminare è rappresentato dal fattore tecnologico, perché questa non è semplicemente una questione che riguarda chi è chiamato a utilizzare gli strumenti di indagine, ma è un fattore essenziale per la stessa comprensione degli attuali fenomeni criminali, perché oggi le reti criminali, le reti mafiose e anche le rete terroristiche sono reti cibernetiche, sono reti tecnologiche. Un tratto comune dei fenomeni della mafia e del terrorismo – e ciò è apprezzabile non solo sul versante giudiziario, ma anche su quello della sicurezza nazionale – è costituito dalla dominante dimensione cibernetica dell'uno e dell'altro fenomeno. Il concetto di cybercrime non è più separabile da quello che di organizzazioni mafiose e organizzazioni terroristiche, perché non definisce più soltanto determinate tipologie di illeciti, ma è un cardine organizzativo, è un cardine strutturale delle reti mafiose e delle reti terroristiche.
  Il conflitto in Ucraina è destinato a fungere da moltiplicatore di questa dimensione delle reti criminali. Lungi da me intervenire in questioni che appartengono a un dibattito politico, ma è del tutto evidente che quel teatro di guerra oggi è anche un teatro di sperimentazione di nuove tecnologie aggressive, che inevitabilmente prestoPag. 9 entreranno anche sulla scena insieme agli uomini che sono stati addestrati per impiegarle, perché è difficile pensare che, una volta finito il conflitto, gli uomini che hanno imparato a utilizzare quelle tecnologie e che dispongono di quelle tecnologie si dedicheranno tutti a opere di bene o a lavori agricoli; quelle persone entreranno in parte, speriamo piccola, con ruoli importanti nelle reti terroristiche e nelle reti criminali e utilizzeranno il know-how e quelle esperienze per tutt'altri fini.
  Già da tempo le tecnologie digitali sono un moltiplicatore della capacità operativa delle reti criminali. Chiunque faccia indagini in materia di organizzazioni criminali coglie immediatamente una cosa: che le organizzazioni mafiose, ma anche quelle di limitata complessità e di limitata estensione, sono ossessivamente protese allo sviluppo di autentiche funzioni di security, esattamente come le imprese, sono ossessivamente alla ricerca di informazioni sulle indagini che si svolgono su di loro, sono ossessivamente protese a elevare tutti i meccanismi che possano consentire la sottrazione ad ogni controllo.
  Da questo punto di vista, la cattura di Matteo Messina Denaro e il dissolvimento di una rete di protezione affidata ai pizzini chiude simbolicamente un'epoca, senza nulla togliere alla straordinaria e assolutamente vitale sapienza di circuiti mafiosi così raffinati e complessi come quelli che oggi regolano gli equilibri mafiosi, non soltanto nella Sicilia occidentale. Sono ancora sistemi raffinati e profondi che, peraltro, accanto ai pizzini, hanno imparato a governare i mercati che si reggono sulle reti digitali.
  In generale, le organizzazioni criminali mafiose vivono nel cyberspace, vivono nello spazio cibernetico, lo piegano ai fini più diversi. Questo apre grandi scenari di cambiamento delle funzioni di prevenzione e delle funzioni di investigazione, sull'uno e sull'altro versante, perché il problema riguarda anche la sicurezza della Repubblica, così come in quel tavolo al quale ho fatto preliminarmente cenno si è iniziato a discutere, c'è bisogno di una profonda riorganizzazione delle funzioni, della stessa organizzazione delle forze di polizia e della stessa organizzazione giudiziaria. Il problema forse vale anche per gli apparati di intelligence, che usano più o meno le stesse tecnologie che vengono utilizzate per fini investigativi.
  Qual è il problema? Il primo problema è rappresentato dal fatto che le tecnologie che vengono utilizzate a fini investigativi sono tecnologie private e chi le utilizza si trova in condizioni di subalternità cognitiva e culturale rispetto agli algoritmi che le regolano. Da questo punto di vista è necessaria una riflessione profonda – uso una metafora ferroviaria – i vagoni possono essere privati, ma i binari devono essere pubblici, perché chi fissa i binari è quello che stabilisce le direzioni di marcia, i limiti di velocità, i limiti di carico e i divieti di accesso; poi ovviamente i vagoni devono essere privati, perché soltanto l'apporto della ricerca dell'impresa privata consente l'adeguamento continuo degli strumenti.
  Più in generale, vi è tutto un versante del fronte investigativo rispetto al quale si è accumulato un grave ritardo. Piattaforme criptate, tecnologie blockchain, deep web, rivelano un dato che, per certi versi, è doloroso ammettere: le nostre forze di polizia sono considerate unanimemente da molti anni, da tanti anni, il meglio nel raffronto con gli altri sistemi, sono circondate da ammirazione a livello europeo e internazionale, eppure ormai sono al margine di alcuni circuiti di cooperazione perché quando si tratta di accedere a piattaforme criptofoniche, quando si tratta di operare in ambienti cibernetici dove il concetto di intercettazione non spiega niente, non hanno il know-how necessario per sedersi attorno ad alcuni tavoli. Questo pone la necessità urgente, se posso sommessamente sottolineare, di apprestare una nozione legale di accesso live a sistemi cibernetici, che comportano la trasformazione del nostro modo di lavorare, perché è necessario per le forze di polizia poter utilizzare hacker etici. Noi stiamo imparando a usarli in funzione protettiva, facciamo fare gli stress test dei nostri sistemi da hacker etici. L'ho fatto anch'io appena arrivato in Direzione nazionale antimafia e Pag. 10i risultati sono stati piuttosto sconfortanti. È necessario utilizzare gli hacker etici a fini aggressivi, per penetrare le reti digitali che vengono utilizzate a fini criminosi. Questo in altri Paesi viene fatto, la Francia, per esempio, ha una disciplina che consente il ricorso alle risorse dello Stato, a servizi dello Stato coperti da segreto, che consente progressioni investigative altrimenti per noi attualmente impossibili.
  L'arretratezza del tessuto normativo e tecnologico del sistema giudiziario forse contribuisce ad acuire la sensazione di quello che una volta diceva Giovanni Falcone, secondo il quale i mafiosi hanno sempre una lunghezza di vantaggio su di noi, che è una cosa assai meno banale di come possa sembrare perché esprimeva tutta la consapevolezza che già allora, quando parlava Giovanni Falcone, le organizzazioni criminali erano strutture capaci di immettere nel gioco conoscenza della modernità e conoscenza delle tecnologie, ecco, il sospetto è che quella lunghezza di vantaggio oggi siano diventate molte lunghezze di vantaggio, e non credo che questo divario possa continuare.
  Io non so se mi devo arrestare o devo attendere di essere arrestato, fermato, invitato a non parlare più. Attendo istruzioni dalla presidenza.

  PRESIDENTE. Non mi sarei mai permessa di arrestarla, in nessun senso, Procuratore. Inizierei a dare la parola ai colleghi che si sono iscritti a parlare. Prego, senatore Cantalamessa.

  GIANLUCA CANTALAMESSA. Vorrei intervenire sull'ordine dei lavori, tra dodici minuti in Senato dovremmo cominciare.

  PRESIDENTE. Abbiamo già detto all'inizio che l'orario è stato spostato alle 14.

  GIANLUCA CANTALAMESSA. Alle 14. Chiedo scusa.

  PRESIDENTE. Rimane inteso che intervengono prima i senatori e poi i deputati con i tempi che ci siamo detti, tre minuti, anche per permettere al Procuratore di rispondere.
  Prego, senatrice Rando.

  ENZA RANDO. Grazie presidente e grazie al Procuratore.
  Ho ascoltato con interesse la relazione e anche la visione, che condivido pienamente, rispetto al rapporto vero tra le mafie e l'economia, di come le mafie penetrano dentro l'economia e quali sono le vecchie e le nuove modalità.
  Rispetto a questo, visto che abbiamo poco tempo e non voglio togliere tempo agli altri colleghi, come lei ha detto, gli strumenti sono un po' arretrati, Falcone diceva che siamo sempre un po' indietro, quindi su questo dobbiamo avere una visione e dobbiamo anche comprendere meglio quali sono gli strumenti in più che bisogna darsi. L'altra cosa che a me interessa in questo momento è che noi abbiamo degli strumenti di misure di prevenzione economica, che sono gli strumenti di sequestro e di confisca, ma anche interdittive.
  A suo parere, rispetto anche alla lettura che lei ci ha dato, diversa dalla lettura arretrata della criminalità, ci sono strumenti attuali che si possono ancora di più rafforzare? La cosa che almeno io noto è una voglia di indebolimento di questi strumenti. Poiché le mafie penetrano dentro l'economia, mi chiedo se questi strumenti siano ancora attuali.
  Un'altra cosa mi interessava sapere. Le mafie, lei lo ha anche detto in altri luoghi, hanno una sorta di tradizione, di arretramento, ma anche di modernità. Il tema dei minori a noi dà sempre una grande preoccupazione. Le mafie, specialmente in alcuni territori, guardano sempre all'aumento dell'organizzazione. La Direzione nazionale ha firmato un protocollo importante, che si chiama Liberi di scegliere, in cui si guarda al tema di una protezione e di una garanzia. Siamo in assenza di una cornice legislativa. Lei pensa che questo sia urgente? Lo vediamo nelle indagini, si sta abbassando molto l'età dei minori coinvolti in alcuni reati.
  Grazie ancora.

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  PRESIDENTE. Voglio rassicurare che questa prima audizione, voluta con il Procuratore nazionale antimafia, è l'inizio di un confronto costante, perché credo che sia fondamentale per questa Commissione camminare in parallelo con la Direzione nazionale antimafia. Senatore Verini, prego.

  WALTER VERINI. Grazie presidente. La ringrazio, Procuratore, per questa sua esposizione. Da giornalista, se dovessi fare un titolo alla sua sintetica esposizione, farei riferimento a quella lunghezza di vantaggio. Lei ha detto testualmente: «Oggi le mafie hanno molte lunghezze di vantaggio sullo Stato», e questa naturalmente è un'affermazione che interpella tutti noi, e non solo noi che siamo qui.
  La mia domanda è circoscritta a un punto. Sia nel suo intervento e sia anche in questi mesi, interviste di procuratori e articoli di giornale hanno sottolineato, denunciato, allertato più volte circa rischi, ma anche penetrazioni effettive, delle mafie e della criminalità organizzata sui progetti del PNRR. Per esempio c'è il riferimento alla gestione del bonus 110 per cento e, più in generale, ci sono anche altri ambiti collegati agli appalti, nei quali le mafie penetrano anche con la liquidità che proviene dai traffici illegali.
  La mia domanda in questa sede è: esiste – immagino di sì, ma è utile capire – al di là del singolo intervento e delle singole denunce di cui qua e là abbiamo letto e di cui si è venuti a conoscenza, una mappatura complessiva della dimensione del fenomeno e della sua gravità?
  Questa audizione non è la sede né il momento in cui si possano o si debbano fare polemiche partitiche o politiche tra maggioranza e opposizione, ma se è vero che c'è questa gravità di penetrazione, gli strumenti di prevenzione, non sono soltanto quelli penali, e gli strumenti di contrasto possono essere in qualche misura allentati? Sembra una domanda retorica, ma in realtà credo che il suo parere sarebbe molto importante.

  PRESIDENTE. Grazie. Senatore Scarpinato.

  ROBERTO MARIA FERDINANDO SCARPINATO. Procuratore, lei ha accennato al fenomeno della ibridazione delle aristocrazie mafiose con la criminalità dei colletti bianchi. Tale ibridazione è talmente avanzata che ormai nella letteratura specialistica si usano termini nuovi, tipo comitati crimino-affaristici, sistemi criminali, proprio per descrivere questa evoluzione in corso. Ha anche accennato al fatto che queste forme evolute di criminalità hanno scelto come campo di azione privilegiato quei terreni dove minore è il rischio penale, cioè quello tipico dei reati dei colletti bianchi.
  Fatta questa premessa, io le chiedo se non vi sia il rischio di un ulteriore allungamento del vantaggio di queste forme evolute di criminalità rispetto allo Stato, in conseguenza del fatto che le normative attualmente approvate e quelle che ci si aspetta ad approvare, stanno progressivamente riducendo la capacità di risposta agli anticorpi dell'ordinamento. Mi riferisco, per esempio, alla dilatazione della sfera di discrezionalità degli amministratori nell'affidamento degli appalti diretti previsto dal nuovo codice degli appalti, all'abbattimento del sistema dei controlli sull'erogazione dei fondi PNRR e, contemporaneamente, all'abbattimento delle forme di controllo anche di tipo penalistico, come per esempio il reato di abuso d'ufficio, il traffico di influenze. A questo proposito, se non vede il pericolo, ora che c'è il ritorno dei soldi, anche di un ritorno delle vecchie politiche clientelari, e cioè dell'uso sistematico dei fondi pubblici per finanziare enormi reti clientelari che servono per fidelizzare il voto di scambio grazie al fatto che sono tornati i soldi, c'è aumentata discrezionalità e non ci sono più i controlli.
  Concludo. Se per la riduzione degli anticorpi della capacità di risposta non potrebbe essere determinante il fatto che la magistratura verrebbe privata dello strumento che, come lei sa, si è rivelato essenziale per contrastare queste forme evolute della criminalità, e cioè quello delle intercettazioni, in riferimento alla limitazione dell'uso delle intercettazioni per i reati dei colletti bianchi. Quindi, se le mafie sono Pag. 12più avanti di noi, come diceva Falcone, è perché hanno capito che il nuovo modo per garantirsi l'impunità è quello di percorrere la stessa strada che stanno percorrendo da anni i colletti bianchi. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Senatore Cantalamessa.

  GIANLUCA CANTALAMESSA. Grazie presidente. Grazie, signor Procuratore, per l'esposizione a 360 gradi della situazione attuale.
  Io ho colto tre punti, oltre a quello che diceva il collega Verini, che condivido, dell'aumento della distanza della criminalità rispetto a chi la combatte.
  Uno, l'internazionalizzazione; due, il digitale; tre, la confluenza nell'economia legale.
  Nella vecchia legislatura, a proposito della internazionalizzazione, sempre qui in audizione lei parlò della difficoltà che avevano gli investigatori in Italia quando le persone o i soldi arrivavano o partivano in Stati nei quali era difficile poi seguirli, e quindi ritornavano sotto altra forma e c'erano delle difficoltà.
  Volevo sapere se su questo, come Stato, siamo riusciti a fare qualche passo in avanti e, nel caso, cosa potremmo fare.
  Per quello che riguarda la confluenza delle attività criminogene nell'ambito dell'economia legale, condivido chiaramente solo in parte quello che diceva il collega Scarpinato, perché non possiamo far pagare un eccesso di controlli a tutti gli imprenditori perbene, che già hanno una serie di carichi burocratici. Però il rischio c'è, vista e considerata questa confluenza nell'ambito dell'economia legale. Da quello che è il suo punto di vista, cosa potrebbe fare il legislatore, senza appesantire l'attività dell'economia sana nell'ambito dell'economia legale, per cercare di stanare la presenza del fatturato, del PIL afferente alla criminalità organizzata nell'economia legale? Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Senatrice Valente.
  Ho iscritti ancora la senatrice Valente e il senatore Sallemi, per i senatori.
  Se non ho altri, facciamo rispondere il procuratore.

  VALERIA VALENTE. Molti degli interventi riprendono quello che avrei voluto chiedere.
  A proposito del vantaggio competitivo tra Stato e criminalità, approfittando della sua conoscenza e della sua sapienza, quali sarebbero, dal suo punto di vista, le indicazioni che può dare al Parlamento e allo Stato, con particolare attenzione all'attività della pubblica amministrazione, piuttosto che a quella della polizia giudiziaria?
  Lei ha fatto riferimento, giustamente, a una polizia giudiziaria che è rispettata, è stimata ed è considerata nel contesto internazionale per essere molto avanti, ma sollecitava anche a dire: «Attenzione a fare investimenti importanti, rischiamo di perdere anche su quel terreno competizione, soprattutto dal punto di vista degli impianti tecnologici e di conoscenza».
  Cosa potrebbe veramente fare la pubblica amministrazione per ridurre questo vantaggio competitivo che oggi è sbilanciato a favore dei poteri criminali? Quali indirizzi seguire per essere un'amministrazione che compete e vince da questo punto di vista?

  PRESIDENTE. Grazie. Senatore Sallemi.

  SALVATORE SALLEMI. Grazie presidente. Buongiorno Procuratore.
  In ordine alla legislazione sullo scioglimento dei comuni per infiltrazioni di tipo mafioso, è sempre più ricorrente il fenomeno di comuni che vengono prima sciolti e poi, all'esito dell'attività dibattimentale, ci si rende conto che probabilmente quei comuni non andavano sciolti. Accade così che intere amministrazioni comunali vengano spesso distrutte, magari quel tipo di azione non andava fatta. Lei ritiene, Procuratore, che quel tipo di legislazione vada rivista, vada modificata, cablata più sulla necessità di fermare determinati tipi di infiltrazioni di stampo mafioso e, allo stesso tempo, Pag. 13garantire il diritto di intere comunità amministrative, legittimamente e democraticamente elette, di poter non essere danneggiate? Grazie.

  PRESIDENTE. Senatore Sisler, prego.

  SANDRO SISLER. Grazie presidente e grazie Procuratore per la sua presenza.
  Intanto non possiamo che cogliere con favore la notizia che ci ha dato dell'istituzione del tavolo con Palazzo Chigi, secondo il principio della leale collaborazione, come lei l'ha definita, che noi diamo per scontato, ma a volte è utile ribadire l'ovvio. Credo che questo tavolo servirà per costruire delle buone pratiche per migliorare la lotta alla criminalità organizzata, e quindi è un bene da questo punto di vista.
  Un tema che in particolare mi ha colpito, ribadito anche in Commissione giustizia da più procure e probabilmente anche da voi è quello dell'esigenza di una maggiore competenza tecnica, in particolare in ambito digitale, per poter meglio combattere l'evoluzione tecnologica che le mafie riescono a cogliere con un certo anticipo rispetto alla pubblica amministrazione. Ricordo in particolare l'esempio dei binari pubblici e dei vagoni privati.
  Tutte le procure hanno il problema della carenza di competenze tecniche per poter, da un lato, scegliere i vagoni privati, ossia le imprese private che devono erogare il servizio e, dall'altro, la mancanza di competenze tecniche per poter adeguatamente seguire l'esecuzione di questo servizio, altro elemento fondamentale, perché se le procure fossero in grado di controllare adeguatamente la corretta esecuzione del servizio sarebbe un vantaggio per tutti. Lei che idea ha rispetto alla costituzione di un organismo pubblico che vi aiuti, una sorta di vademecum per tutte le procure? Sarebbe importante per dotare la Direzione antimafia di adeguate competenze tecniche, ma anche per aiutare tutte le procure nazionali. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Procuratore, le chiederei di rispondere ai senatori prima di dare la parola ai deputati.

  GIOVANNI MELILLO, Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. È inutile dire che le misure di prevenzione sono lo strumento fondamentale, sarebbe banale dire che trent'anni fa era quasi un'eccezione che i patrimoni mafiosi fossero sottoposti a sequestro e confisca, mentre oggi consideriamo normale questa realtà. Anche se va sottolineato ciò che ho già accennato in ordine alla difficoltà di applicare lo strumento proprio in relazione alle dimensioni imprenditoriali più raffinatamente attratte nei circuiti di influenza mafiosa. Pur tuttavia bisogna continuare a tener conto che questo strumento non è utilizzato in modo omogeneo sul territorio nazionale, nonostante le indicazioni del Consiglio Superiore della Magistratura. Non tutti i grandi tribunali hanno sezioni specializzate in materia di misure di prevenzione, perché è uno strumento talmente delicato che esige una specializzazione del giudice.
  Qualche anno fa fu fatta una rilevazione, verificando che soltanto il 30 per cento degli uffici giudiziari ricorreva a questo strumento, il che potrebbe anche essere difficile da spiegare, visto che l'azione di prevenzione, anche se non è in Costituzione direttamente, è obbligatoria esattamente come l'azione penale, sussistendone i presupposti.
  Se proprio dovessi indicare un punto di criticità delle misure di prevenzione, secondo me, esso è rappresentato dal sistema di amministrazione. I giudici non sono fatti per amministrare i beni. L'amministrazione dovrebbe essere in mani giudiziarie per un periodo limitato di tempo: tre mesi, sei mesi, il tempo necessario alla ricostruzione del compendio probatorio, alla raccolta di tutti gli elementi utili a fini investigativi. Poi bisognerebbe passare la mano, perché quello che si è verificato a Palermo, che ovviamente ha una dimensione patologica, in realtà esprime un'obiettiva linea di sovraccarico della funzione giudiziaria di compiti impropri e, ogni volta che si pone lo sguardo su un'amministrazione appena appena complessa, si scopre che il giudice per amministrare ricorre ad amministratori che, per amministrare, hanno bisogno di consulenti di ogni genere, e sovente le Pag. 14spese delle amministrazioni di giustizia consumano la stessa ragion d'essere del sequestro e della confisca.
  Da questo punto di vista il sistema va ripensato, tornando indietro rispetto alle scelte fatte nel 2017. Tali scelte furono viziate da un eccesso di fiducia verso le capacità del sistema giudiziario di farsi carico del problema dell'amministrazione dei beni sequestrati e confiscati. Da questo punto di vista le scelte del legislatore del 2010 promettevano di più, ma secondo me sarebbe necessario un intervento persino più radicale.
  In merito al tema dei minori, io credo che il fenomeno sia uno delle cartine tornasole più rilevanti e più importanti del rischio di considerare il crimine organizzato una questione affidata a magistrati e a forze di polizia, perché è del tutto evidente che nell'attrazione di giovani e giovanissimi nelle fila di organizzazioni criminali, si rivela un profilo fallimentare del complesso delle politiche pubbliche, che dovrebbero invece reggere il sistema. Le mafie sono questioni che coinvolgono la responsabilità di tutte le politiche pubbliche, quelle educative, quelle della formazione, quelle dei servizi sociali, delle forme di integrazione, le politiche del lavoro; persino le politiche urbanistiche sono decisive per un'azione efficace nel contrasto dei fenomeni mafiosi.
  Da questo punto di vista anche le esperienze più avanzate, come quella del protocollo che lei citava, non possono nascondere quella realtà, perché quel protocollo funziona nei casi estremi, non è suscettivo di applicazione diffusa e discriminata, non è suscettivo di porsi come via di fuga da ben altre responsabilità. Ciò nulla togliendo al fatto – ed è questa la ragione per la quale il mio ufficio continua a dare convinto sostegno all'applicazione di quel protocollo – che vi sono casi nei quali il ricorso a quello strumento così traumatico è obiettivamente necessario.
  Le domande poste dal senatore Verini per certi versi coinvolgono temi posti anche dal senatore Scarpinato e dal senatore Cantalamessa. Come intervenire senza gravare le imprese di controlli inutili? Io credo che alcune cose debbano dirsi, perché se quello che ho provato a dire sulla trasformazione delle strutture mafiose in costellazioni di imprese e quanto noto anche sulla perdurante carica di intimidazione e di violenza che caratterizza ancora l'agire mafioso in molte aree del Paese, tutto ciò contribuisce a definire automaticamente la natura stessa e la misura del rischio che l'attuazione del PNRR, del Piano nazionale complementare, ma in particolare quanto al PNRR, va detto che i rischi non gravano soltanto sul sistema delle opere pubbliche e sul sistema ammissione grandi infrastrutture, ma i rischi gravano anche soprattutto sulla missione transizione ecologica, non soltanto perché stiamo parlando di 60 miliardi circa, anziché 30, come sulla missione grandi infrastrutture, ma anche e soprattutto perché il settore degli interventi della transizione ecologica, da un lato, è un settore che, come quello dell'edilizia, è tradizionalmente pervaso di presenze imprenditoriali di segno mafioso, e, dall'altro lato, è un sistema che soffre la mancanza anche di strumenti di prevenzione antimafia che normalmente si applica a un sistema degli appalti di opere e servizi. I meccanismi di spesa pubblica della missione transizione ecologica, per quello che è dato comprendere, sono estremamente diversificati, perché vanno dalla cessione di crediti a meccanismi di finanziamento cosiddetto a pioggia. Da questo punto di vista io non posso che esprimere una grande preoccupazione, perché il rischio di esporre questa gigantesca manovra della finanza pubblica a rischi di spogliazione delle risorse destinate alla ripresa del Paese è un rischio grande, che va colto anche in un'altra dimensione. Se il rischio è concreto vuol dire che abbiamo dinanzi a noi anche un teatro di trasformazione delle organizzazioni criminali.
  Io ho ben presente, per la mia storia professionale, cosa è significato per la camorra mettere le mani sui finanziamenti della ricostruzione del sisma del 1980, in termini proprio di trasformazione di sé, delle proprie logiche e delle proprie leadership, per non proiettare questa esperienza sullo scenario che ci attende.Pag. 15
  C'è però una caratteristica positiva: la partita non è una partita solo italiana, la partita si svolge sotto gli occhi dell'Unione europea, anche con la partecipazione di nuove funzioni di controllo, come quelle della Procura europea. Credo che la prova che darà il sistema della prevenzione antimafia prima e della macchina giudiziaria dopo comporterà amarissimi prezzi per la credibilità del Paese, se questa prova sarà insufficiente. Non riguarda soltanto il sistema dei controlli, riguarda anche il sistema giudiziario, perché la magistratura deve assumere su di sé la responsabilità sociale di dar conto del proprio operato anche su questo versante, perché l'organizzazione giudiziaria ha bisogno di robuste iniezioni di modernità, di trasparenza e di responsabilità sociale, abbandonando logiche burocratiche e corporative. Se qualcuno pensa che le indagini e i processi sulle ruberie e sugli abusi che inevitabilmente accompagneranno l'uso delle risorse europee, potranno – come oggi è regola, parlando dei reati dei colletti bianchi a cui prima faceva cenno il senatore Scarpinato – continuare silenziosamente a essere in qualche modo accantonate nelle priorità degli uffici giudiziari in attesa di incamminarsi verso la scure della prescrizione, credo che da questo punto di vista anche la credibilità del sistema giudiziario sarà in gioco, così come sarà in gioco la credibilità degli uffici del pubblico ministero se tarderanno a darsi programmi investigativi adeguati alla complessità di questi scenari, che comportano rapporti di collaborazione feconda con l'ufficio del Procuratore europeo, comportano stringere i bulloni del coordinamento in ambito nazionale, comporta investimenti, comporta concentrazione di attenzioni e di energie, comporta la creazione di gruppi di lavoro specializzati all'interno anche delle procure distrettuali, e anche gruppi di lavoro misti tra direzioni distrettuali antimafia e altri gruppi di lavoro.
  La stagione del PNRR renderà evidente a tutti che la lezione che è cara soprattutto agli economisti lontani dal mainstream che la sorte delle attività economiche non dipende soltanto dal modo in cui operano i soggetti d'impresa, ma la sorte delle attività economiche dipende anche dal modo in cui operano le istituzioni. Fu un economista, il premio Nobel Douglass North, a dire che il cambiamento istituzionale – aggiungerei sommessamente e il non cambiamento istituzionale – influenza l'evoluzione dei processi sociali ed è la chiave per comprenderli. È una consapevolezza dalla quale nasce la responsabilità di tutte le istituzioni, anche della magistratura.
  Potenziare e innovare gli strumenti dell'azione di prevenzione. Voi sapete che gli strumenti sono stati recentemente modificati con il decreto-legge n. 152 del 2021, introducendo il principio del contraddittorio e gli strumenti della cosiddetta prevenzione collaborativa, tutte cose sulle quali non si può non convenire in linea di principio, perché riducono il rischio che prima veniva sottolineato nell'esposizione delle domande, di interventi privi di giustificazione, una volta sottoposti ad attenta verifica. Però bisogna anche essere consapevoli che ciò comporta: un appesantimento della funzione prefettizia; la necessità di potenziare le funzioni di prevenzione antimafia; infine un altro rischio che da magistrato avverto nitidamente. È del tutto evidente che l'arretramento della funzione di prevenzione determinerà inevitabilmente la drammatizzazione poi dell'impatto dell'intervento giudiziario, anche in termini di sorte delle missioni da realizzarsi. Questo sarà inevitabilmente un teatro futuro di tensioni e di polemiche istituzionali, e non solo.
  Cosa fare? Per fortuna ci sono cose positive che piano piano e silenziosamente si fanno, non ne parla nessuno, però sono utili. Per esempio, l'UIF, l'Unità di informazione finanziaria di Banca d'Italia, ha elaborato codifiche specifiche per selezionare le segnalazioni di operazioni finanziarie sospette che sono riconducibili al PNRR, e questo consente, se ben utilizzate, di orientare e anticipare anche l'azione di controllo; da questo punto di vista c'è una rinnovata sinergia anche tra il mio ufficio, la Guardia di finanza e l'UIF. Inevitabilmente poi queste codifiche specifiche dovranno progressivamente affinarsi e soprattutto poi dovrà coordinarsi il sistema della Pag. 16disseminazione delle segnalazioni di operazioni finanziarie sospette, che è materia sulla quale forse non c'è la dovuta attenzione. Oggi queste SOS contengono dati molto più delicati di quelli delle intercettazioni, perché il contenuto dell'intercettazione è sempre disputabile, ma il contenuto di un'operazione finanziaria sospetta è quello che viene registrato dall'operatore finanziario e dagli algoritmi che trasmettono dal sistema finanziario alle unità di intelligence finanziaria, i dati dell'operazione.
  Le cose positive. Una delle cose positive è la lettera che nei giorni scritti ho ricevuto dal Ministro dell'interno, che invita il mio ufficio – e io ovviamente gli ho risposto positivamente, dicendo che in realtà è una disponibilità che sollecito anche ai procuratori distrettuali – a costruire nuove forme di cooperazione istituzionale intorno alla responsabilità propria della funzione prefettizia di svolgere le funzioni di prevenzione, del rischio di condizionamento mafioso del sistema degli appalti pubblici. Da questo punto di vista io credo che molte cose si possono fare, e alcune possono forse farsi senza nuove leggi. Per esempio, mi sembra inevitabile una sorta di concentrazione delle competenze prefettizie su base regionale, perché questo consente anche di assicurare uniformità e maggiore visione alle funzioni di controllo; penso che sia una cosa inscritta anche nella scelta che il legislatore ha già fatto nella legge di delegazione europea, di prevedere la distrettualizzazione anche delle competenze degli uffici giudiziari. Ora io non so in che termini sarà poi esercitata la delega, perché è del tutto evidente che un'interpretazione ampia della direttiva di delega, che è molto generica, può avere effetti anche disastrosi su quello che ancora c'è di residuo di efficienza della macchina giudiziaria, e cioè trasferire tutti i cosiddetti PIF, cioè tutti i reati che offendono gli interessi finanziari, sulla competenza dei tribunali, significa certamente agevolare il lavoro del Procuratore europeo, ma poiché il Procuratore europeo, diversamente dai procuratori italiani – e di questo poi un giorno bisognerà interrogarsi – può scegliere i casi dei quali occuparsi, ne discende poi il rischio che tutto il resto precipiti sulle spalle non soltanto della singola procura, ma anche di un tribunale, perché è in gioco la distrettualizzazione non solo delle attribuzioni processuali del pubblico ministero, ma anche delle competenze del giudice.
  Abbiamo cominciato a lavorare e a parlare di queste cose. Però io credo che alcune cose vadano dette con chiarezza. Da un lato, io – non sono il primo, non ho assolutamente pretese di primazia – sono assolutamente pronto a riconoscere che l'azione antimafia deve fare i conti con le esigenze di rapidità dell'attuazione del PNRR. Sono esigenze che sono alla base di interventi normativi, appartengono alla responsabilità del legislatore e, per quanto riducano gli spazi dell'azione di prevenzione antimafia, non possono non essere condivise, per due ragioni: la prima, perché non è possibile pensare che l'azione di prevenzione possa avere effetti paralizzanti sulla ripresa del Paese perché, se questo fosse il risultato, verrebbe meno la stessa ragion d'essere di un'azione di prevenzione; la seconda, perché io non credo alla possibilità di formulare una sorta di elegia di una macchina dei controlli lenta e farraginosa, non soltanto perché macchine del genere non hanno mai frenato le mafie, ma perché sono state esse stesse fattore di accelerazione di processi criminosi, perché sono una delle condizioni ideali per corruzione e ogni sorta di abusi.
  Quindi sono pronto a dire che il rapporto tra azione di prevenzione e azione giudiziaria va ridefinito, che va intensificato, può persino cambiare forma, e i margini di miglioramento sono grandi. Però ci sono alcune cose – e vengo alla domanda del senatore Cantalamessa – che io francamente non comprendo perché non si facciano e che comporterebbero possibilità di controllo preventivo e successivo, senza alcun impatto frenante sull'attuazione delle misure. È un tema che posi da procuratore di Napoli, insieme al procuratore di Milano del tempo, dinanzi alle Commissioni riunite della Camera bilancio e finanza, quando fu approvato il primo decreto pandemico, il decreto liquidità. Già allora ponemmo il Pag. 17problema, dicendo: «Chi riceve soldi dallo Stato usi, per impiegare quei soldi, conti correnti dedicati, in modo da consentire la tracciabilità dei flussi finanziari». A me francamente questa sembra una banalità, nel senso che chiunque riceve soldi dallo Stato dovrebbe, in qualche modo, avere una sorta di dovere di rendicontazione, non stiamo parlando di un'invasione della sfera di autonomia dell'impresa. Se l'impresa non vuole finanziamenti dello Stato userà gli strumenti finanziari che crede, ma l'impresa che accede a finanziamenti pubblici perché non deve utilizzare strumenti che consentono la tracciabilità dei flussi finanziari?
  Questa non è un'invenzione di uno o due magistrati, è uno dei pilastri del sistema dei pagamenti elettronici della direttiva europea adottata nel 2014. Già oggi dovrebbe essere così nel sistema delle grandi opere, perché sin dal 2014 le imprese che partecipano all'attuazione delle grandi opere dovrebbero impiegare conti correnti dedicati, ai quali dovrebbe poter accedere il DIPE, non un occhiuto censore giudiziario, ma il Dipartimento della Presidenza del Consiglio dei Ministri che si occupa di programmazione economica. Peccato che dal 2014 questo sistema non funzioni, perché banche e imprese non sembrano estremamente impegnate a far funzionare questo sistema. Eppure sarebbe possibile molto agevolmente costruire un modello persino da presentare all'Unione europea come modello virtuoso e credo che il Paese ne avrebbe tutto da guadagnare. Vi è una proposta di Banca d'Italia che prevede, con un piccolo inserto normativo, di consentire all'Istituto di autorizzare un soggetto pubblico individuato dal legislatore, che anziché porsi in posizione a valle, cioè di attendere la trasmissione dei dati, li possa estrarre dal database di Banca d'Italia. Banca d'Italia già conosce il meccanismo dell'autorizzazione di soggetti pubblici ad accedere all'anagrafe dei rapporti finanziari. Francamente questo è uno strumento di responsabilità sociale che in alcun modo rallenta i controlli, ma che forse, se tempestivamente utilizzato, avrebbe avuto effetti deterrenti sulla commissione degli incredibili abusi che hanno segnato la stagione del 110 per cento, dove risorse per milioni sono state immediatamente riversate in una giurisdizione offshore e in bitcoin, perdendosi ogni possibilità di controllo.
  Credo che da questo punto di vista esista anche una mappatura delle imprese che hanno fatto ricorso a questo tipo di finanziamenti, presentando indici di anomalia. È stato fatto dalla Guardia di finanza e i risultati, da un certo punto di vista, sono interessanti, perché abbiamo assistito anche all'improvvisa trasformazione di macellerie in imprese edili impegnate in lavori, finanziate per milioni di euro. Va da sé che questo è uno strumento fondamentale, molti lo chiamano il follow the money, ed è connesso con questo concetto la memoria di Giovanni Falcone, però a me la lezione del follow the money sembrerebbe imprescindibile anche per le funzioni di prevenzione e quindi per la tutela della sorte del denaro pubblico.
  Io ho provato a dirlo anche pubblicamente, senatore Scarpinato, quello che penso sulla relazione tra funzioni di prevenzione e responsabilità dell'intervento giudiziario, quindi nel senso che ho detto che considero legittima la scelta legislativa di ridurre i controlli esterni, perché questo comporta l'assunzione di responsabilità politica e di responsabilità non soltanto in dimensione nazionale, ma anche in dimensione europea e internazionale. Ho detto anche che considererei più credibile questo tipo di pretesa se fosse accompagnata da una rivendicazione di controlli interni, nel senso di dire: «Giudice amministrativo, giudice contabile, giudice penale state un pochino più indietro, perché controlliamo noi e controlliamo efficacemente». Non mi pare che ci siano tracce visibili nella legislazione, nella lunga stagione legislativa di processi di intensificazione dei controlli interni alla pubblica amministrazione. Da questo punto di vista credo che le valutazioni siano possibili per ciascuno.
  Cosa può fare la pubblica amministrazione? Questa era la domanda della senatrice Valente. Tanto per cominciare, rivendicare i principi di disciplina e onore, che imporrebbero l'introduzione di controlli interniPag. 18 e anche di disponibilità ad assoggettarsi a controlli esterni, maggiore rispetto a quella di cui comunemente si dà diffusamente prova. La pubblica amministrazione potrebbe ragionare perché le funzioni della prevenzione della corruzione sono diventate, in quasi tutte le amministrazioni, una sorta di incarico onorifico o di macchina produttiva di noiosi oneri burocratici, ma prive di pratica effettività. Questi ragionamenti sono ragionamenti che ovviamente dovrebbero svilupparsi tenendo conto che le pubbliche amministrazioni non sono semplicemente quelle di cui io ho appreso con grande piacere – per esempio a Bergamo hanno dato vita al consorzio di piccoli e medio-piccoli comuni, che gestisce l'aeroporto di Orio al Serio, divenuto uno dei più importanti aeroporti italiani – perché in realtà le pubbliche amministrazioni in questo Paese presentano aspetti differenziati. Uno di questi aspetti non è esattamente secondario, che è quello delle amministrazioni che sono esposte al rischio di condizionamento mafioso del proprio operato, e non per valutazione giudiziaria – questo vorrei segnalarlo al senatore Sallemi – ma per valutazione dell'autorità politica. Le valutazioni giudiziarie seguono dopo, in caso di invocazione del sindacato del giudice amministrativo, ma di regola la decisione è una decisione politica, c'è un'istruttoria prefettizia proposta al Ministro dell'interno e una deliberazione del Consiglio dei Ministri. Questo tipo di interventi negli ultimi trentadue anni, dal momento della loro introduzione, ci sono stati nelle situazioni più diverse, non sono i piccoli comuni ad essere sciolti, sono sciolti comuni nei quali abitano decine di migliaia e a volte anche più di centomila persone, Foggia, Giugliano in Campania. Ci sono comuni di decine di migliaia di abitanti che sono stati disciolti quattro volte negli ultimi trent'anni. Certo, forse rivelano un problema di tenuta dello strumento, ma forse rivelano anche un problema di emergenza democratica, perché se in una comunità di sessantamila abitanti ci si ritrova per trent'anni ad avere ogni sette anni e mezzo di media aritmetica gli organi elettivi prescelti sciolti per accertato condizionamento mafioso, io credo che non ci sia semplicemente un problema così banale.
  Potrebbe essere interessante, per un'azione della Commissione parlamentare antimafia, che si tracci un bilancio di questa trentennale esperienza, attingendo anche alla sapienza di funzionari prefettizi che umilmente e coraggiosamente si vanno a sostituire agli organi dell'amministrazione disciolta. Si tratta di relazioni estremamente interessanti. Io, da procuratore di Napoli, ho spesso ascoltato e ricevuto le denunce, a volte anche semplicemente gli sfoghi di funzionari prefettizi che si trovano ad avere a che fare con amministrazioni di comuni di decine di migliaia di abitanti, in stato di totale collasso. Ricordo una funzionaria prefettizia che diceva di non poter spedire una e-mail in un comune relativamente importante, quello di Arzano, perché addirittura il responsabile dei servizi informatici di questo comune si rifiutava di utilizzare le e-mail, perlomeno lei diceva così. Il quadro che emerge della debolezza delle funzioni pubbliche attraverso questo strumento, che non è uno strumento azionato per via giudiziaria, ma è uno strumento azionato per via politica e amministrativa, è estremamente sconfortante, però rivela una condizione che non può essere circoscritta ai comuni strettamente interessati, perché è sintomo di una tradizionale debolezza delle funzioni pubbliche che nel Mezzogiorno ha radici antiche. Studiosi di storia del diritto pubblico potrebbero essere molto più efficaci di me nell'indicare le ragioni di ciò, ma credo che non sia un problema esclusivamente proprio delle regioni a tradizionale radicamento delle organizzazioni mafiose.
  Non so se ho mancato di provare a dare risposta ad alcuni dei vostri interrogativi. Ho il sospetto di aver parlato troppo, quindi sarei incorso in un duplice errore.

  PRESIDENTE. Grazie Procuratore. Passiamo agli interventi dei deputati. Onorevole Pittalis. Prego.

  PIETRO PITTALIS. Grazie presidente. Grazie a lei, signor Procuratore, perché la sua relazione, esprimendo anche il punto Pag. 19di vista del gruppo di Forza Italia, mi pare esaustiva e condivisibile. Devo però dire che ci preoccupa quanto lei ha rappresentato in ordine alle carenze e alle problematiche, perché riteniamo che nel contrasto alle organizzazioni criminali non debba fare difetto nulla, dal punto di vista soprattutto dell'organizzazione e dell'efficienza degli strumenti e dei mezzi che devono essere messi a disposizione della Direzione nazionale e delle procure distrettuali.
  Io penso che la nota a cui lei ha fatto riferimento, inviata al Ministro Nordio, contenga proposte rispetto alle quali, per parte nostra, faremo tutto il possibile perché vengano colmate lacune.
  Sorvolo su alcune questioni sulle quali sono intervenuti già i colleghi. Una domanda in particolare è se il suo ufficio ha già fatto un'analisi, se si è fatto un'idea del rapporto tra organizzazioni criminali e immigrazione, soprattutto quella clandestina.

  PRESIDENTE. Grazie. Onorevole Piccolotti.

  ELISABETTA PICCOLOTTI. Grazie presidente. Abbiamo molto parlato d'Italia, ma lei nella sua relazione, che ho trovato davvero interessante, ha tenuto a puntualizzare che le mafie non sono un fenomeno del Meridione, non sono un fenomeno solamente italiano, ma sono un gigantesco fenomeno transnazionale, e in particolare ha indicato alcuni elementi di destabilizzazione politica e geopolitica internazionale come fattori di una potente accelerazione dei fenomeni criminali; in particolare in alcuni passaggi ha fatto riferimento alla guerra in Ucraina, sostanzialmente facendo riferimento al traffico di armi, che è facile immaginare si muovano anche oltre i confini del conflitto ucraino, ma, dal mio punto di vista, anche accennando in maniera per me molto interessante al tema dell'addestramento di uomini e quindi di militari all'uso di nuove e più avanzate tecnologie, che poi potrebbero finire in mano anche alle organizzazioni criminali.
  Le volevo chiedere se si hanno evidenze già oggi di presenze di uomini nella criminalità organizzata italiana negli scenari in guerra, in particolare in Ucraina, oppure se si hanno evidenze di altro tipo rispetto a questi processi.
  Lei ha fatto riferimento anche al sistema bancario alternativo, che in alcuni Paesi si sta mettendo in campo, penso alla Cina e alla Turchia, un sistema di transazioni finanziarie e cambi di valuta, che servono anche a ripulire e a far viaggiare il denaro delle organizzazioni criminali. Volevo sapere da lei che tipo di iniziative potrebbe prendere il Governo italiano nei confronti di questi Paesi e di questi sistemi bancari paralleli, per cercare di limitarne l'utilizzo.

  PRESIDENTE. Grazie. Onorevole De Corato.

  RICCARDO DE CORATO. Io volevo ringraziare il Procuratore Melillo e porgli alcune domande flash, considerando che i tempi sono limitati.
  L'onorevole Pittalis ha ricordato, anche se indirettamente, la questione delle mafie straniere, quando ha parlato di reti cibernetiche. Qualche riferimento è stato fatto, ma credo che un minimo di approfondimento lo faremo nel corso dei lavori della Commissione.
  La domanda che faccio è un'altra. Ho appreso che a Palazzo Chigi c'è stato un tavolo con il Presidente Meloni sulla questione intercettazioni, credo che sia un dato importante. Lei ha fatto un'affermazione in ordine alla gravità delle strutture delle intercettazioni, vorrei capire a cosa si fa riferimento, anche perché lei ha parlato di intercettazioni inutili. Io ho sentito parlare dell'uso delle intercettazioni, non tanto dell'inutilità delle intercettazioni, questo è quello che io ho capito.
  Un'altra questione. Lei ha fatto un accenno veloce ai mafiosi nelle curve degli stadi. Questa è una novità importante. Io non vado mai allo stadio, però conosco i frequentatori delle curve. Sentire parlare il Procuratore di mafiosi nelle curve credo che sia un fatto rilevante. Chiedo qualcosa di più sull'argomento.
  Sul narcotraffico sarebbe utile un maggiore approfondimento del livello di contrastoPag. 20 a cui siamo giunti in questo Paese, perché ha fatto alcuni riferimenti, ma credo che serva un approfondimento.
  Anche sulla questione dei rapporti tra impresa e crimine organizzato, credo che qualche ulteriore accenno da parte del Procuratore sia necessario.
  Ultima questione. Procuratore, in alcuni casi lei ha fatto degli accenni alle reti cibernetiche. Ci può dare qualche ragguaglio in più? Questa è una questione fondamentale, lei lo ha sottolineato, però vorrei avere qualche dato maggiore in merito. Grazie.

  PRESIDENTE. Prego, onorevole Orlando.

  ANDREA ORLANDO. Grazie. Anche io i volevo unirmi ai ringraziamenti al Procuratore per le indicazioni emerse dalla sua relazione.
  Vorrei fare sinteticamente queste domande. Quando si parla di reati legati ai colletti bianchi, di criminalità economica, spesso l'attenzione è messa, anche opportunamente, sulla pubblica amministrazione. Riprendo un ragionamento che faceva il Procuratore. Volevo capire se e come avverte una risposta, se c'è, nelle organizzazioni che organizzano – scusate il bisticcio – le imprese. Abbiamo avuto una stagione alle spalle abbastanza disastrosa di presunta antimafia che nasceva dalle imprese stesse, che poi si è risolta molto male. A mio avviso è interessante capire se quella fase è stata in qualche modo superata e colmata con altro tipo di indicazioni.
  Vorrei fare analogo ragionamento chiedendo se e come gli ordini professionali stanno reagendo o non stanno reagendo a elementi di contiguità. È del tutto evidente che i fenomeni di infiltrazione ormai richiedono anche competenze sempre più sofisticate, che hanno bisogno di supporti di carattere professionale. Come ritiene ci possano essere risposte che prescindono naturalmente il dato normativo, che lo prevede?
  Chiedo lo stesso ragionamento riguardo al tema della finanza. Anche a me è interessato molto il richiamo a una sorta di finanza parallela, o meglio, di sbocchi internazionali delle risorse che accumulano le organizzazioni criminali. Però è del tutto evidente che anche questa finanza parallela debba avere una qualche forma di interazione con la finanza vigilata, prima o poi, se questi capitali ritornano sul mercato dei capitali legali.
  La domanda che volevo fare è se, al di là degli organi di vigilanza che sicuramente nel corso di questi anni hanno fatto grandi passi in avanti, le istituzioni finanziarie e le banche si sono dotate di strumenti di attenzionamento e di anticorpi adeguati a questa nuova fase di finanziarizzazione del capitalismo mafioso. Al di là della normativa, i corpi intermedi e i soggetti imprenditoriali si sono dati in qualche modo degli strumenti per agire, o, se no, quali potrebbero essere?

  PRESIDENTE. Visto che ci sono ancora molti interventi, farei intanto rispondere il Procuratore nazionale prima di continuare.

  GIOVANNI MELILLO, Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Onorevole Pittalis, si diceva preoccupato. Sono contento che condivida la mia preoccupazione.
  Per quanto riguarda specificamente la domanda, che è quella dei rapporti tra organizzazioni mafiose e traffici di migranti, bisognerebbe richiamare le indicazioni che prima dava il senatore Scarpinato sulla capacità delle organizzazioni mafiose di scansare i settori dove le pene sono altissime e i profitti sono bassi. Non c'è alcun mafioso che abbia pulsioni a occupare un settore come quello. Le reti che gestiscono il traffico sono reti internazionali, che si sviluppano nei Paesi dai quali i flussi provengono, perlomeno nell'ultima fase, vale a dire la Turchia da un lato e la Libia e la Tunisia dall'altro, e anche dal punto di vista della composizione riflettono questa matrice, sono persone turche, siriane, curde e libiche. Di organizzazioni mafiose non si trova traccia nelle indagini che sono attualmente in corso, alcune sono anche importanti e sono faticosissime perché la collaborazione internazionale su questo versante è vicina allo zero, nel rapporto Pag. 21con Paesi come Libia o Turchia. Le prime tracce di interessi mafiosi si colgono quando vengono in discussione le funzioni pubbliche che sono sorrette da finanziamenti statali, vale a dire, quando in alcune regioni si tratta di gestire la fase dell'accoglienza con risorse pubbliche, inevitabilmente scattano tutti i meccanismi di avvicinamento e di assolvimento delle risorse pubbliche con pratiche abusive e corruttive assolutamente consuete. L'assenza di una mano mafiosa nei traffici dei migranti è talmente evidente che persino i servizi di trasporto dei migranti che giungono in Italia e che vengono tenuti nei centri di permanenza e che poi da lì vanno via per raggiungere le destinazioni finali, persino questi servizi di trasporto sono organizzati dalle reti internazionali, quindi i servizi di trasporto dalla Sicilia alla Calabria verso il confine di Ventimiglia, piuttosto che altrove, sono servizi gestiti da organizzazioni in alcun modo riconducibili alle organizzazioni mafiose.
  Per quanto riguarda le domande poste dall'onorevole Piccolotti, io credo di dover fare chiarezza. Io ho parlato di un sistema di cambi clandestini, che non ha niente a che fare con i sistemi finanziari. Questo sistema di cambi clandestini è un sistema che regge attualmente l'impalcatura del narcotraffico mondiale perché tutte le strategie di contrasto del riciclaggio proveniente dal narcotraffico e, in generale, del riciclaggio, si fondano sul principio del tracciamento delle operazioni finanziarie. Da anni, accanto al traffico degli stupefacenti, si è affiancato un fenomeno di traffico del denaro, nel senso che vi sono una serie di figure che svolgono funzioni di cambio, che consentono di non spostare il denaro, per esempio, dalla Colombia all'Olanda, dall'Olanda all'Italia e così via, ma consentono di acquisire la disponibilità di quel denaro, detratte le commissioni per questa funzione di mediazione, nel Paese dove i denari servono. In pratica il denaro non si muove più, si muovono i token che consentono di utilizzare quel denaro. Questo è un fenomeno che ruota intorno al narcotraffico, anche se vi sono elementi per ritenere che questa dorsale di cambi clandestini, anche per la sua conformazione, possa servire anche finalità di finanziamento del terrorismo.
  Diverso è invece il campo, che poi credo sia stato anche illuminato da alcuni interventi pubblici sia della Guardia di finanza, ma anche da alcune inchieste giornalistiche, del dirottamento verso alcuni mercati finanziari di risorse provenienti da attività prettamente tipiche della criminalità organizzata e denaro da frode fiscale. Da questo punto di vista è emerso un rilevantissimo fenomeno che vede i profitti di 'ndrangheta, come quelli dell'evasione fiscale, seguire le rotte verso il sistema finanziario cinese, in alcuni casi con tecniche tipiche dell'hawala islamica, spostando il denaro da un Paese all'altro, mettendo il denaro a disposizione in un altro Paese, altre volte invece attraverso i canali propri del sistema finanziario cinese. Da questo punto di vista sono in corso delle indagini molto complesse e molto articolate, è in corso anche un'attività di analisi di elaborazione informativa del Comando generale della Guardia di finanza, ma non c'entra nulla con il sistema dei cambi paralleli dei quali prima parlavo, che è il sistema che invece consente a un signore che vuole importare 5 tonnellate di cocaina in Olanda di mettere a soldi a disposizione in Brasile, semplicemente con un comando digitale che trasferisce le credenziali per utilizzare il denaro, che già si trova in quel luogo per svolgere questi servizi.
  Per quanto riguarda le domande dell'onorevole De Corato, che sono tante e tutte complesse, le provo ad indicare. Le mafie straniere sono un problema. Ieri c'è stata, come avviene da vent'anni e più, una riunione con i magistrati della SPAK albanese, cioè della Procura speciale anticorruzione e anticrimine organizzato, lì le due cose vanno strettamente di pari passo, e questi contatti sono sempre più frequenti, non c'è procura italiana che non abbia a che fare con la criminalità albanese, e ogni visione di questo fenomeno volta a considerarli fenomeni di secondaria importanza o riconducibili all'agire di figure di organizzazioni primitive è proprio lontana dalla realtà. Le organizzazioni albanesi sono ormai Pag. 22uno dei principali players sia sul mercato mondiale del narcotraffico e sia sul mercato mondiale del riciclaggio. Tutte queste astratte gerarchie mafiose sono state scalate rapidamente grazie a una straordinaria vitalità di questi circuiti criminali. Da questo punto di vista non è l'unico elemento di preoccupazione, ma è sicuramente un versante estremamente importante da considerare.
  Quanto al tavolo delle intercettazioni vorrei fare chiarezza. Il tavolo era della Presidenza del Consiglio e non significa che ci fosse il Presidente Meloni, infatti il Presidente Meloni non c'era. È un tavolo convocato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri per un primo esame di questioni che attengono anche alla tenuta delle infrastrutture informatiche, perché io sento molte lodi al sistema dell'archivio digitale delle intercettazioni. Il Garante della privacy nell'audizione in Commissione giustizia del Senato ha detto che non sono mai stati segnalati abusi e violazioni da quando è stato istituito. Tuttavia è bene che si sappia che l'archivio delle intercettazioni poggia su un'architettura informatica obsoleta che necessita di continue iniezioni di ossigeno perché non riesce a reggere il peso delle masse informative che per legge devono farvi ingresso. Da questo punto di vista c'è un rischio di collasso grave di queste infrastrutture e c'è la necessità di andare verso un'assunzione di responsabilità, perché il Ministero della giustizia per Costituzione ha la responsabilità dell'organizzazione del funzionamento dei servizi relativi alla giustizia. Da questo punto di vista la soluzione non è una soluzione personale, è una soluzione indicata persino in un importante decreto interministeriale dell'ottobre scorso, che ha non soltanto ridefinito le cosiddette tariffe delle intercettazioni, ma per la prima volta ha indicato anche una sorta di identikit del fornitore delle prestazioni funzionali ai servizi di intercettazioni, un identikit necessario non solo in termini di affidabilità soggettiva, ma un identikit necessario anche per definire dei parametri essenziali per avere garanzie appena appena bastevoli sull'integrità alla sicurezza e alla correttezza del trattamento dei dati personali che confluiscono in questo settore.
  Qual è la soluzione? La soluzione è che il Procuratore nazionale e i procuratori distrettuali, con il documento al quale io facevo cenno in apertura del mio intervento, hanno chiesto al Ministero della giustizia di assicurare l'urgente apprestamento di quattro sale server interdistrettuali. Perché quattro? Perché sono quattro le sale server nazionali delle quali dispone il Ministero della giustizia, perché è del tutto evidente che un sistema fondato su centoquaranta sale intercettazioni, quante sono le procure, è un sistema che non regge, è un sistema costoso e, soprattutto, è un sistema privo di giustificazione tecnologica e organizzativa e persino di giustificazione razionale. Questo è un passaggio fondamentale che è stato al centro delle interlocuzioni che si sono svolte attorno a quel tavolo, che forse esige anche di correttivi normativi, perché oggi la legge subordina l'utilizzazione delle intercettazioni alla condizione che siano fatte negli impianti di ciascuna procura, ma verosimilmente pensare che la sicurezza dei sistemi informatici possa essere polverizzata in centoquaranta strutture, dove peraltro le macchine sono tutte macchine private, che tutt'oggi sono sottratte anche a una possibilità di controllo eteronomo, è un sistema che non può reggere. Pensate che per tracciare i file di log, per sapere cosa è avvenuto in quelle macchine ogni procuratore deve chiederlo alla stessa società proprietaria della macchina, mentre è del tutto evidente che occorre una relazione tra le due figure. Questa è la relazione tra binari e vagone, il server può essere privato, ma l'infrastruttura pubblica deve avere la capacità di monitorare quello che avviene all'interno di quel server. Nessun tipo di relazione è stata istituita tra potenziamento della sicurezza delle infrastrutture, sviluppo normativo necessario per accedere alle reti cibernetiche, agli ambienti cibernetici a fini investigativi e riduzione delle intercettazioni in altri campi, nessun tipo di relazione di questo tipo.
  Per quanto concerne i mafiosi nelle curve, le assicuro che non si tratta di una percezionePag. 23 empirica non controllabile, perché forse converrebbe che ci fosse maggiore attenzione al dato che un capo tifoso a Milano viene ammazzato così come è accaduto anche a Roma, affinché si prenda atto che le curve sono un fenomeno complesso: attorno al controllo delle curve ruota un sistema di affari che va dal bagarinaggio al controllo dei servizi funzionali alla gestione degli stadi, dal controllo dello spaccio di stupefacenti all'essere un bacino di reclutamento da parte di organizzazioni criminali e di organizzazioni neonaziste e suprematiste dove quest'ultime cavalcano e sfruttano le pulsioni di razzismo di cui gli stadi italiani sono vergognosamente pieni. Sono fenomeni talmente rilevanti che il mio ufficio ha costituito un gruppo di lavoro per la ricognizione delle esatte dimensioni di questo fenomeno che non riguarda soltanto alcuni picchi. C'è il controllo non solo delle curve, ma anche delle società di calcio, perché il condizionamento dell'operato di una società di calcio è un meccanismo molto allettante per le organizzazioni mafiose, perché consente non soltanto di espandere la propria influenza, ma anche di acquisire consenso sociale. Per esempio, i colleghi di procure del Nord hanno segnalato che ci sono significativi indici di controllo di 'ndrangheta su società persino di serie inferiori, società di calcio nell'Italia settentrionale, alcune dal nome una volta glorioso. Questo è un fenomeno che nel Mezzogiorno e nelle regioni meridionali è estremamente radicato nel tempo, tant'è che la procura di Napoli ha un piccolo pool di magistrati che di questo si occupa da quindici anni. È un fenomeno largamente sottovalutato perché a lungo è prevalsa la logica del contenimento dei pericoli per l'ordine pubblico all'interno degli stadi, ma intanto è cresciuta una capacità delle organizzazioni mafiose di piegare gli eventi sportivi a fini criminali. È cresciuta parallelamente anche una straordinaria capacità di circuiti apertamente neonazisti e suprematisti di considerare lo stadio un luogo intanto di ostentazione di sé e, in secondo luogo, anche di reclutamento nelle proprie file.
  Il narcotraffico. Nello scorso marzo ho partecipato a una riunione in America centrale, dove erano presenti i Procuratori generali di tutti gli Stati dell'America centrale e di molti Stati dell'America meridionale, e ritornerò il prossimo mese perché sono stato invitato, unico Procuratore europeo, a partecipare alle loro riunioni. Forse sarebbe bene per la Commissione parlamentare antimafia acquisire dalla voce dei Procuratori dei Paesi sudamericani cosa è il narcotraffico oggi in termini di destabilizzazione politica, economica e sociale di interi Paesi, perché oggi, al di là dei Paesi produttori, ci sono Paesi che sono travolti dal narcotraffico perché semplicemente sono luoghi essenziali alla logistica del narcotraffico, come ad esempio l'Ecuador. Dai porti dell'Ecuador parte gran parte dello stupefacente del cloridrato di cocaina destinato ai mercati americani, asiatici ed europei, ma sono porti addirittura gestiti direttamente dalle organizzazioni criminali, senza neanche che le forze di polizia possano avervi accesso. Per non sottacere circa le condizioni dei Paesi dell'America centrale, dove la stessa effettività delle tradizionali prerogative della sovranità nazionale è piuttosto discutibile. Sono Paesi dove migliaia e migliaia di omicidi vengono ogni anno commessi da narcos che hanno una capacità di pesante condizionamento anche dei processi politico-istituzionali di quei Paesi. Forse varrebbe la pena ricordare in questa sede che appena un anno fa è stato ucciso il magistrato Marcelo Pecci Albertini, magistrato paraguaiano; è stato ammazzato in Colombia; la magistratura colombiana ha fatto la sua parte perché ha arrestato buona parte degli esecutori, ma è del tutto evidente che le ragioni e quindi i mandanti di quell'omicidio non erano molto lontani dal luogo in cui esercitava le sue funzioni quel coraggioso magistrato. C'è una dimensione di fenomeni criminali che a noi sfugge e che ormai assume formule semplificate. La Tripla Frontera, l'incrocio delle frontiere paraguaiane, brasiliane e argentine, è uno snodo fondamentale del narcotraffico, è verosimilmente lo snodo che ha deciso anche della vita di Marcelo Pecci. Credo che da questo punto di vista Pag. 24una riflessione profonda vada fatta anche sulle tecniche di contrasto del narcotraffico. Questi sono forse temi incompatibili con gli spazi che oggi posso ambire a occupare.
  Adesso le domande dell'onorevole Orlando. Francamente io non credo che sulle spalle della magistratura possano riversarsi responsabilità che spetta ad altri sostenere. Credo che da questo punto di vista la partita è chiusa nel momento stesso in cui si dovesse riconoscere che la questione è soltanto della magistratura e delle forze di polizia.
  Nei pochi minuti preliminari a questo incontro ne parlavamo con il presidente Colosimo, che l'aveva appreso dai carabinieri. Poche settimane fa sono stato ad Africo, perché i carabinieri hanno finalmente trovato una sistemazione dignitosa alla stazione dei carabinieri. Si è svolta una manifestazione in una sorta di piazza del paese – circondata da porte, finestre e balconi sprangati – non un solo cittadino di Africo partecipava a questa cerimonia, persino i bambini, che in modo commovente partecipavano con bandierine con il tricolore, provenivano da altri paesi, dove coraggiosi insegnanti avevano avuto l'autorizzazione dei genitori a condurli ad Africo per ascoltare il discorso del Comandante generale dei carabinieri, del Ministro dell'interno, eccetera. È un episodio banale, però dà una misura dell'effetto anche plasticamente rilevabile dell'isolamento delle funzioni repressive quando esse non sono accompagnate dalla responsabilità dei decisori e di tutte le altre funzioni pubbliche. È evidente che in quel paese vi è un problema ambientale, visto che nasce dal disastro di Africo vecchia, una gigantesca frana che tanti anni fa determinò la distruzione dell'antico insediamento, ci sono problemi urbanistici, visto che credo che l'abusivismo edilizio sia un tratto tipico di quell'area, ci sono problemi di politiche educative, di presenza dei servizi sociali, ci sono problemi complessi che poi definiscono la cifra reale dell'effettività dell'azione di prevenzione e contrasto della criminalità mafiosa.
  Non so se ho mancato qualche osservazione.

  PRESIDENTE. Assolutamente no.

  ANDREA ORLANDO. Solo un'integrazione. Volevo capire se, a suo avviso, c'è stato un salto di qualità nella capacità di risposta degli istituti finanziari alla nuova fase che si è venuta a determinare, non alla vigilanza, ma alle banche in quanto tali.

  GIOVANNI MELILLO, Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Il tema è complesso e davvero esigerebbe una sessione di lavoro della Commissione parlamentare antimafia.
  Quello che si può dire è questo: oggi il sistema delle segnalazioni di operazioni finanziarie sospette genera circa 145 mila segnalazioni, che significa che ogni anno vengono prodotte segnalazioni di operazioni finanziarie sospette per circa quasi un milione di soggetti fisici e giuridici. Da questo punto di vista c'è un problema innanzitutto di grande rilevanza costituito dalla nostra capacità di utilizzare questa gigantesca massa informativa che cresce ogni anno, sia per le funzioni di prevenzione e sia per le funzioni investigative. È anche vero che questo sistema di generazione delle operazioni finanziarie sospette è un sistema complesso. Molte di queste segnalazioni sono generate da algoritmi. È un meccanismo anche protettivo rispetto alla responsabilità dei singoli operatori finanziari, ma è anche vero che vi sono categorie di soggetti obbligati a segnalare le operazioni finanziarie sospette che o danno interpretazioni formali di questa responsabilità o non ne danno alcuna. Nella stagione PNRR, per esempio, potrebbe essere importante esplorare il tema della responsabilità delle stazioni appaltanti di procedere a segnalazioni di operazioni finanziarie sospette, sarebbe importante verificare quale tipo di segnalazioni provengano dall'amministrazione centrale, perché stazioni appaltanti che ormai credo si contino in misura superiore ad alcune decine di migliaia, possano districarsi, con le risorse e le competenze delle quali dispongono, tra il Pag. 25problema dell'individuazione dell'effective owner, dell'interlocutore contrattuale, al problema della segnalazione delle operazioni finanziarie sospette.
  È del tutto evidente che nel sistema finanziario è decisiva anche un'implementazione di quella dose di responsabilità che può essere sostenuta solo dalla conoscenza personale del cliente. In alcuni casi, quando questa responsabilità viene esercitata, i risultati sono molto importanti, ma le asimmetrie all'interno del sistema sono facilmente individuabili, vi sono categorie di soggetti obbligati che hanno performance notevolmente diverse da altre categorie.
  Da questo punto di vista credo che l'Unità di informazione finanziaria possa fornire – e lo faccia abitualmente nella sua relazione annuale, credo che sia nei prossimi giorni – un quadro estremamente complesso. È aumentata la capacità anche della polizia giudiziaria e del sistema giudiziario di utilizzare le segnalazioni di operazioni finanziarie sospette perché è stata semplificata durante la pandemia la fase della disseminazione delle SOS e sono stati eliminati alcuni ostacoli di natura burocratica che ritardavano grandemente l'effetto di disseminazione, vale a dire di trasmissione ai soggetti titolari delle funzioni di controllo, la Guardia di finanza da un lato e la magistratura dall'altro, di questo strumento. È uno strumento delicatissimo, sul quale il mio ufficio sta svolgendo una grande azione di potenziamento di questa attività e lo stiamo facendo insieme ai procuratori distrettuali. Il dato positivo che mi sento di riconsegnare è che oggi la presenza delle SOS nelle indagini è molto più frequente rispetto al passato. Nasce dalle indagini il bisogno di raccogliere e di analizzare la segnalazione di operazioni finanziarie sospette. Da questo punto di vista la DNAA svolge una funzione di impulso, come soggetto che riceve le SOS rilevanti per l'esercizio delle funzioni di impulso e coordinamento investigativo. Tale funzione si è dimostrata in molti casi importante, anche sul versante del terrorismo, facendo leva sulle segnalazioni che provengono dalle istituzioni estere. Sono temi estremamente complessi.
  Devo poi ricordare che il sistema della trasmissione dei dati nella cornice delle grandi opere, che ruota intorno al sistema bancario, finora non ha dato grande prova di sé. È anche vero però che le proposte alle quali prima accennavo e che Banca d'Italia ha messo in campo, consentirebbero al soggetto pubblico, verosimilmente collocato in area MEF, di accedere a quei dati per l'esercizio di funzioni di prevenzione amministrativa e anche di regolazione della programmazione, funzioni che possono prescindere dalla collaborazione volontaria.
  Ribadisco, trovo davvero difficile comprendere la riluttanza ad accettare il principio che chi utilizza denaro pubblico, chi riceve denaro pubblico debba dare conto di come lo utilizza. Ormai i buchi nella finanza pubblica da finanziamenti edilizi sono stati già ampiamente illustrati. Non credo che siano ancora visibili i buchi che deriveranno dal primo decreto (il «decreto liquidità»). Il costo delle garanzie prestate dallo Stato e previste dal citato decreto è ancora tutto da determinarsi perché si rivela nel momento dell'inadempimento. Forse sarà quello il momento in cui si rileverà tutta la gravità del mancato tempestivo apprestamento di strumenti di prevenzione e anche di intervento sanzionatorio. All'epoca, per esempio, segnalammo che in materia di malversazione, ma anche di truffa ai danni dello Stato, mal si applicavano al meccanismo dell'erogazione, perché il codice parlava di erogazione e non di concessione di garanzia. L'intervento normativo non ci fu. È intervenuta la Corte di cassazione, che ha svolto una funzione di ricucitura del sistema molto importante, affermando che la garanzia è assimilabile al concetto di erogazione. Io ho però perplessità sulla funzionalità effettiva di questo grande sforzo che ha fatto la giurisprudenza, perché, se si deve far capo al meccanismo dell'erogazione della garanzia, allora vorrà dire che le indagini partiranno molto in ritardo rispetto al momento di consumazione del reato, perché soltanto dopo molto tempo, a volte anche anni, si scoprirà che quelle risorse, anziché essere destinate a sostenere l'impresa e i livelli Pag. 26occupazionali dell'impresa, sono stati utilizzati per creare provviste all'estero o per svolgere altre attività non esattamente meritevoli di finanziamenti pubblici.
  Anche da questo punto di vista credo che un'azione della Commissione parlamentare antimafia di monitoraggio della sorte di quella stagione e dell'adeguatezza degli strumenti normativi che ne hanno presidiato il funzionamento, possa essere molto importante. I primi dati su quel decreto liquidità sembrano indicare, per esempio, che una quota consistente delle garanzie è andata a sostituire garanzie private di linee di credito traballanti, piuttosto che a immettere denaro nel tessuto economico; sostanzialmente le banche hanno sostituito a garanzie poco affidabili la garanzia molto più tranquillizzante dello Stato, senza che ciò abbia determinato immissione di liquidità nel tessuto imprenditoriale.
  Credo che ci siano ancora molti problemi da individuare esattamente nei loro contorni. Da questo punto di vista credo che gli strumenti di lavoro di una Commissione parlamentare siano molto più efficaci di quelli della magistratura, che si occupa necessariamente delle singole manifestazioni patologiche, per quanto si possa sforzare di cogliere le connessioni tra fatti e relazioni che possono sembrare tra loro lontane.

  PRESIDENTE. Ci sono ancora nove colleghi che desiderano intervenire. Io non voglio abusare della sua voce, Procuratore, che da oltre due ore e mezza ci guida in questa audizione. Se i presenti e i gruppi sono d'accordo, potremmo pensare di aggiornarci. Se però lei preferisce, possiamo proseguire a oltranza.

  GIOVANNI MELILLO, Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Normalmente i pubblici ministeri sono abituati a udienze molto lunghe, solitamente fanno le domande piuttosto che riceverle, però la durata dei lavori non è esattamente un ostacolo per me, non c'è problema.

  GIUSEPPE PROVENZANO. Se posso, sempre sull'ordine dei lavori, presidente, vorrei dire questo: la rilevanza delle analisi e delle preoccupazioni espresse dal Procuratore, nonché la rilevanza delle risposte che sta dando alle domande, a mio avviso, imporrebbero che tutta la Commissione partecipasse a questo lavoro.
  Possiamo continuare, compatibilmente con la ripresa dei lavori anche alla Camera, che è tra venticinque, trentacinque minuti; tuttavia forse non riusciamo comunque a esaurire lo spazio degli interventi e delle domande, quindi forse comunque sarà necessario aggiornarsi, anche per portare avanti questo lavoro di collaborazione istituzionale tra Commissione e Direzione nazionale antimafia.

  PRESIDENTE. Onorevole De Raho, sempre sull'ordine dei lavori. Prego.

  FEDERICO CAFIERO DE RAHO. Sull'ordine dei lavori. Devo rappresentarle che io ho sospeso la Commissione giustizia, che presiedevo, per proseguire le audizioni alle ore 15, e quindi dovrei raggiungere la Commissione giustizia.
  Mi associo fondamentalmente all'onorevole Provenzano, perché stiamo parlando di temi particolarmente delicati, che dopo due ore e mezza possono anche essere tali da determinare stanchezza, per quanto sicuramente i pubblici ministeri siano particolarmente resistenti, insieme agli avvocati, ma potrebbe essere utile forse trovare un aggiornamento. Grazie presidente.

  PRESIDENTE. Io sono particolarmente felice che questa audizione riceva questa partecipazione, perché è stato mio intendimento, condiviso con l'ufficio di presidenza, iniziare dal Procuratore nazionale, perché pensavo che non ci fosse nessuno di più adeguato a tracciare le linee di cui noi dobbiamo prendere atto per sviluppare i filoni che questa Commissione intenderà approfondire.
  Non era però mia intenzione abusare della disponibilità del Procuratore, che già ha anticipato la sua presenza su nostra richiesta, a causa del calendario dei lavori del Senato. Non voglio neanche togliere d'importanza a questa audizione, non solo perché mi sembra che le priorità che stanno emergendo sono priorità che – per utilizzare una frase Pag. 27detta spesso dal Procuratore in questa audizione – devono andare su un binario parallelo, quella della Direzione nazionale e quella della Commissione parlamentare che ho l'onore di presiedere, ma perché su quel binario parallelo possano camminare serenamente anche quei vagoni privati, intesi anche come imprese, che hanno bisogno di sapere che la lotta alla criminalità organizzata non ferma il progresso e l'iniziativa imprenditoriale di questa nostra Italia.
  Chiedo perdono al Procuratore pubblicamente per averlo interrotto. Sarà mia premura concordare il seguito di questa audizione.
  Approfitto e chiedo ai gruppi, siccome la presidenza l'ha già fatto, di chiedere in riunione dei capigruppo che sia scelto uno slot per le Commissioni bicamerali, altrimenti avremo questo problema costantemente.
  Prego, onorevole Gubitosa.

  MICHELE GUBITOSA. Sull'ordine dei lavori, non per aggiungere alle domande. Mi sembra, forse mi sbaglio, che non sia stato detto nulla sulla domanda della collega in merito al tema delle armi, se ci sono già dei sentori, dei sospetti che possono essere intercettati da mafie.

  PRESIDENTE. Propongo che questa integrazione sia rimandata al seguito dell'audizione del Procuratore anche per correttezza verso i colleghi che devono ancora intervenire. Grazie.

  DEBORA SERRACCHIANI(intervento da remoto) Scusi presidente, avevo chiesto di intervenire. Solo sull'ordine dei lavori, per chiederle una gentilezza. Nel caso in cui si anticipino i lavori della Commissione, come è accaduto, le chiederei la cortesia di far telefonare ai commissari, perché non tutti stanno sull'email o sul telefono in modo pronto e puntuale, cosa che è capitata a me questa mattina, per cui ho raggiunto la Commissione in ritardo. Grazie.

  PRESIDENTE. Siccome nella riunione di ieri era stata concordata questa possibilità, io avevo avvisato l'ufficio di presidenza e sono stati chiamati i capigruppo principalmente a causa della ristrettezza dei tempi. Grazie a tutti. Arrivederci.

  La seduta termina alle 14.30.