XIX Legislatura

XII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Martedì 17 ottobre 2023

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Cappellacci Ugo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA SITUAZIONE DELLA MEDICINA DELL'EMERGENZA-URGENZA E DEI PRONTO SOCCORSO IN ITALIA

Audizione di rappresentanti della Società italiana di medicina d'emergenza-urgenza (SIMEU), Società italiana anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva (SIAARTI).
Cappellacci Ugo , Presidente ... 3 
De Iaco Fabio , presidente della Società italiana di medicina d'emergenza-urgenza (SIMEU) ... 3 
Cappellacci Ugo , Presidente ... 8 
Giarratano Antonino , presidente della Società italiana anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva (SIAARTI) ... 8 
Cappellacci Ugo , Presidente ... 11 
Ciocchetti Luciano (FDI)  ... 11 
De Iaco Fabio , presidente della società italiana di medicina d'emergenza urgenza (SIMEU) ... 11 
Giarratano Antonino , presidente della Società italiana anestesia, analgesia rianimazione e terapia intensiva (SIAART) ... 12 
De Iaco Fabio , presidente della società italiana di medicina d'emergenza-urgenza (SIMEU) ... 13 
Cappellacci Ugo , Presidente ... 13 
Ricciardi Marianna (M5S)  ... 13 
De Iaco Fabio , presidente della Società italiana di medicina d'emergenza-urgenza (SIMEU) ... 13 
Giarratano Antonino , presidente della società italiana anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva (SIAARTI) ... 15 
De Iaco Fabio , presidente della Società italiana di medicina d'emergenza-urgenza (SIMEU) ... 16 
Giarratano Antonino , presidente della Società italiana anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva (SIAARTI) ... 16 
De Iaco Fabio , presidente della Società italiana di medicina d'emergenza-urgenza (SIMEU) ... 16 
Giarratano Antonino , presidente della Società italiana anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva (SIAARTI) ... 16 
De Iaco Fabio , presidente della Società italiana di medicina d'emergenza-urgenza (SIMEU) ... 16 
Giarratano Antonino , presidente della Società italiana anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva (SIAARTI) ... 16 
De Iaco Fabio , presidente della Società italiana di medicina d'emergenza-urgenza (SIMEU) ... 16 
Giarratano Antonino , presidente della Società italiana anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva (SIAARTI) ... 16 
De Iaco Fabio , presidente della Società italiana di medicina d'emergenza-urgenza (SIMEU) ... 16 
Cappellacci Ugo , Presidente ... 16 

Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti di Cittadinanzattiva e dell'Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri italiani emergenza area critica (AAROI-EMAC):
Cappellacci Ugo , Presidente ... 17 
Rosati Elio , segretario regionale Lazio di Cittadinanzattiva ... 17 
Cappellacci Ugo , Presidente ... 18 
Vergallo Alessandro , presidente nazionale della Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri emergenza area critica (AAROI-EMAC) ... 18 
Cappellacci Ugo , Presidente ... 20

Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
Azione - Italia Viva - Renew Europe: A-IV-RE;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Noi Moderati (Noi con L'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE: NM(N-C-U-I)-M;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
UGO CAPPELLACCI

  La seduta comincia alle 13.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la resocontazione stenografica e attraverso la trasmissione attraverso la web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti della Società italiana di medicina d'emergenza-urgenza (SIMEU), Società italiana anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva (SIAARTI).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla situazione della medicina dell'emergenza-urgenza e dei pronto soccorso in Italia, l'audizione di rappresentanti della Società italiana di medicina d'emergenza-urgenza (SIMEU), Società italiana anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva (SIAARTI).
  Ricordo che l'odierna audizione sarà svolta consentendo la partecipazione da remoto in video conferenza sia dei deputati che dei soggetti auditi secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento.
  Partecipano all'audizione odierna la Società Italiana di medicina d'emergenza-urgenza (SIMEU), col presidente dottor Fabio De Iaco e la Società italiana anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva (SIAARTI) col presidente Antonino Giarratano e il responsabile sezione medicina critica dell'emergenza Roberto Balagna.
  Saluto e ringrazio i nostri ospiti per aver accolto l'invito della Commissione. Ricordo che lo svolgimento di ciascuna relazione è da contenere entro dieci minuti, potranno seguire domande da parte dei deputati alle quali seguirà la replica dei soggetti auditi.
  La documentazione acquisita sarà resa disponibile ai deputati attraverso l'applicazione Geo Camera e sarà altresì pubblicata sul sito internet della Camera dei deputati.
  Do quindi la parola al dottor Fabio De Iaco presidente della SIMEU. Prego.

  FABIO DE IACO, presidente della Società italiana di medicina d'emergenza-urgenza (SIMEU). Buongiorno onorevole presidente e onorevoli membri della Commissione. Spero che mi sentiate bene. Contrariamente al mio solito, mi sono scritto l'intervento perché dieci minuti per chi lavora in emergenza-urgenza sono ovviamente un tempo ridotto e vorrei essere veloce. Per prima cosa naturalmente vi ringrazio sia per l'indagine che per l'invito, nelle prossime ore vi manderemo un nostro documento che non siamo ancora riusciti a concludere per via del poco preavviso.
  Sono il presidente della Società Italiana di medicina d'emergenza-urgenza che è una società scientifica di medici e infermieri di pronto soccorso e 118. Noi siamo la voce, spesso l'unica, certamente lasciatemelo dire la più autorevole sul piano scientifico, dei professionisti che rappresentiamo. Da anni continuiamo a portare all'attenzione dei cittadini e delle istituzioni le condizioni e le esigenze dell'intero sistema nazionale dell'emergenza-urgenza, il che mi obbliga necessariamente a un chiarimento doveroso iniziale.
  Le considerazioni che sentirete da me non provengono da un'organizzazione sindacale, con la quale ha qualche volta siamo Pag. 4stati confusi. Noi siamo una società scientifica che per storia e per statuto ha l'unico obiettivo della garanzia dell'efficacia e dello sviluppo culturale, scientifico e organizzativo dell'assistenza sanitaria in emergenza-urgenza. Tutto quello che dico è ispirato semplicemente a una analisi professionale scientifica, certamente non rivendicativa, ma soprattutto è ispirato ad un ruolo «di servizio» che rivendichiamo. La descrizione della precarietà, per carità evidente, delle condizioni del sistema dell'emergenza-urgenza richiede dei tempi ben maggiori, cerco di essere assolutamente telegrafico.
  Dalla crisi pandemica in poi stiamo registrando di nuovo un costante incremento degli accessi di pronto soccorso in una dimensione che è destinata a superare i 20 milioni di accessi all'anno e sarebbe un errore prendere semplicemente atto di un dato soltanto numerico. È importante comprendere che ogni singolo accesso di pronto soccorso comporta oggi una complessità di approccio in termini di risorse, di tempi e quant'altro, che era sconosciuta fino a qualche anno fa. Certamente il pronto soccorso oggi non è quello del 1978, quando il Servizio sanitario nazionale è nato, e non è più un luogo di transito ma è assolutamente vero che è un luogo di diagnosi. Sempre più il pronto soccorso continua ad assumere una funzione vicariante, purtroppo, rispetto ad altri segmenti del Servizio sanitario nazionale la cui insufficienza è purtroppo nota.
  Le cure primarie, la medicina territoriale, ma anche le cure ospedaliere per acuti, così come molte problematiche socio assistenziali: tutto quello che non trova risposte, in questo momento, si riversa in pronto soccorso e aumenta il numero e la complessità di cui parlavo prima.
  Per questi motivi sarebbe importante che il concetto di sovraffollamento del pronto soccorso, di cui sento parlare molto spesso, debba essere spiegato molto bene abbandonando un punto di vista che sia meramente quantitativo (riferendosi esclusivamente al numero degli accessi), ma intendendolo dal punto di vista qualitativo che è l'unico punto di vista che può spiegare qual è l'intensità del lavoro di diagnosi, cura e assistenza che viene svolto in questo momento in tutti i pronto soccorso italiani.
  Senza dubbio le condizioni cliniche a bassa priorità, i famigerati codici bianchi e verdi, costituiscono la maggior parte degli accessi di pronto soccorso. Questo accade per una serie di motivi, ma in particolare per la difficoltà della medicina del territorio a dare risposte a condizioni che non rispondono a criteri di emergenza-urgenza ma che per motivi che a volte sono oggettivi e altre volte sono di percezione, hanno comunque necessità di soluzioni rapide ed efficaci. Riteniamo che una parte della non urgenza potrebbe essere gestita in un sistema virtuoso sicuramente al di fuori del pronto soccorso, tuttavia ribadiamo che sarebbe un errore considerare aprioristicamente inappropriati tutti gli accessi con codice minore ed è anche da sottolineare come questa categoria di accessi, che pure è una massa critica, ovviamente non è la principale causa delle difficoltà attuali del sistema del pronto soccorso, sfatando un po' un mito quasi giornalistico che sentiamo ripetere quotidianamente. C'è il fenomeno del boarding, ovvero di quell'indefinita attesa (ma spesso aggiungo amaramente infinita attesa) di ricovero ospedaliero una volta che il pronto soccorso ha assolto il suo compito e ha concluso la fase di valutazione. Oggi è una condizione prevalente nei pronto soccorso italiani in genere, non più soltanto in alcune piccole aree nel Paese, e configura, questa sì, la maggiore criticità che affrontiamo quotidianamente.
  Il permanere per giorni in barella in ambienti inadatti ad una degenza ma progettati solo per brevi permanenze produce un disagio inaccettabile per i pazienti; tanto per cominciare da un punto di vista di comfort e di dignità ma, non meno importante, produce effetti deleteri sul piano clinico, organizzativo e non ultimo anche economico. Infatti, ritardare la presa in carico del paziente da parte dello specialista competente significa, secondo la letteratura internazionale, incrementare significativamente la lunghezza del ricovero successivo è la morbidità e la mortalità di Pag. 5questi pazienti. Significa anche obbligare i professionisti della medicina di emergenza-urgenza alla gestione di condizioni cliniche che non sono nelle corde della specialità che hanno abbracciato. Costringe il pronto soccorso a creare quelli che noi spesso definiamo dei veri e propri reparti fantasma al proprio interno, gestiti da medici e infermieri che hanno un rapporto assistenziale con i pazienti che è certamente inferiore rispetto a quello che è il rapporto che esiste nei reparti di degenza e impegna – dato molto importante – non meno del 30 per cento delle risorse umane (medici e infermieri) che sono presenti attualmente per la medicina d'emergenza-urgenza. Risorse che sarebbero, sappiamo bene, preziosissime invece in un altro contesto e se destinate ad altre funzioni.
  Alcuni dati recenti della nostra società scientifica ci dicono che purtroppo è di 18 mila il numero dei decessi che avvengono in pronto soccorso. Attenzione: non è la mortalità di pronto soccorso, ma sono dei decessi che non dovrebbero avvenire in pronto soccorso perché dovrebbero avvenire in un reparto, cioè sono decessi che avvengono ben oltre le prime 24 ore di degenza in un pronto soccorso. Così come sono circa 800 mila all'anno i pazienti che vengono direttamente dimessi dal pronto soccorso, dopo non meno di 72 ore di permanenza, quindi dopo che è stato prodotto un qualche servizio a questi pazienti, probabilmente delle prestazioni cliniche che non vengono riconosciute come attività di pronto soccorso e che sfuggono al conteggio delle attività che il Servizio sanitario nazionale in qualche maniera fornisce.
  Il numero degli operatori dell'emergenza-urgenza è insufficiente da anni, lo sappiamo bene, e continua a diminuire. Secondo le nostre proiezioni siamo a non meno di 5 mila medici assenti ma necessari nel pronto soccorso mentre il numero degli infermieri che mancano, che è ancora più difficile da contestualizzare, probabilmente non è inferiore a quei 10 mila che è indicato nel programma dell'indagine della XII Commissione.
  Le cause sono molte. Oltre all'errata programmazione del passato oggi paghiamo il prezzo di un lavoro che è certamente usurante, che non ha uguali per intensità psicologica e fisica, per il carico di responsabilità per l'esposizione alla violenza e al contenzioso legale, per la limitazione della qualità di vita personale e familiare. È per questo che alla carenza storica e strutturale di professionisti dell'emergenza-urgenza, si aggiunge una continua fuga che non viene compensata dai nuovi ingressi determinando un bilancio costantemente negativo. In questo discorso si ascrive la cosiddetta crisi di vocazione per la quale è ben noto come una gran parte delle borse che questo Paese destina alla specializzazione di medicina di emergenza-urgenza negli ultimi anni sia andata purtroppo inevasa, non assegnata. Fino ad arrivare al dato più recente, che è proprio di questi giorni, per cui pare che siamo al 60 per cento di borse che non verranno assegnate quest'anno, del totale – quasi mille – delle borse di specializzazione di medicina d'emergenza-urgenza.
  Questo è un segnale gravissimo che riflette una serie di fenomeni. Tanto per cominciare la caduta di attrattività che ha la medicina di emergenza-urgenza che è una specialità medica, lo ricordo, assolutamente tra le più affascinanti, intriganti e coinvolgenti sul piano professionale e sul piano anche umano, ma che risente di condizioni di lavoro e di vita personale che sono decisamente difficili e che ho tentato di descrivere sinteticamente sinora. Ma soprattutto questo riflette, ed è forse ancora più importante, una generale caduta di attrattività dell'intero Servizio sanitario nazionale, viste le percentuali drammaticamente alte di borse non assegnate anche in altre discipline non meno attrattive dal punto di vista professionale ed umano della nostra, ma meno sofferenti della nostra. Vedi il 50 per cento di posti di anestesia e rianimazione, il 50 per cento di posti in chirurgia generale e si potrebbe continuare.
  Ho cercato di descrivere la situazione molto sinteticamente ma vi rimando al documento che cercheremo di farvi avere quanto prima nel quale spiegheremo più in dettaglio le note di cui ho parlato sinora. Pag. 6Sulla base di tutto questo bisogna rendersi conto che emerge un quadro di tinte assai fosche soprattutto per il futuro, ma sono necessarie alcune considerazioni fondamentali e credo sia questa la sede più importante nella quale portarle avanti. Tanto per cominciare stiamo correndo il rischio di una facile ma assolutamente tragica banalizzazione del problema. Ovvero rischiamo che questo Paese decida di abbandonare il modello specialistico dell'emergenza-urgenza in favore di un ritorno al passato, ad un sistema nel quale ogni singolo medico dell'ospedale veniva comandato per qualche turno in pronto soccorso. È un modello tragico e inattuabile; tragico dal punto di vista dei cittadini e inattuabile dal punto di vista del sistema. Tanto per cominciare perché la storia della medicina e le evidenze (immagino che anche il professor Giarratano dirà la stessa cosa, verosimilmente) dimostrano che, proprio negli ultimi decenni, la gestione specialistica dell'emergenza migliora significativamente l'esito di tutte le patologie tempo-dipendenti per esempio l'ictus, l'infarto, il trauma, la sepsi e quant'altro.
  In secondo luogo pensare di distogliere delle risorse che siano impegnate in altre discipline significa, di fatto, portare un danno diretto ai pazienti che di quelle discipline hanno la necessità. Ma poi soprattutto, realisticamente, per il punto cui siamo arrivati o l'emergenza-urgenza rappresenta davvero una libera scelta del professionista, oppure il «comando» in un pronto soccorso altro non sarà che l'ennesima causa di una fuga dal Servizio pubblico.
  È necessario correggere questa situazione attraverso una profonda riforma del sistema. Credo che sia emerso abbastanza chiaramente, da quello che ho cercato di dire velocemente, che la massima parte delle cause della patologia del pronto soccorso attuale risiedano in condizioni che sono esterne al pronto soccorso stesso. In particolare mi riferisco in primo luogo alla necessità di potenziamento della medicina del territorio che deve intercettare istanze di non urgenza, che a volte sono inappropriate, in pronto soccorso. È un'esigenza sacrosanta, difficile da ottenere ma che non può essere considerata l'unica soluzione. Occorre contestare un una certa forma di pensiero comune che stiamo sentendo molto spesso. Continuiamo a sostenere che per la parte che dovrà occuparsi di distogliere una parte degli accessi inappropriati dal pronto soccorso, alla medicina generale mi riferisco, ebbene lì il governo dovrà essere condiviso anche con gli ospedalieri e segnatamente, in questo caso, con la medicina di emergenza-urgenza pena il fallimento di ogni tentativo attuale.
  In secondo luogo è ovviamente necessario potenziare la capienza e, aggiungo, anche il perimetro delle competenze cliniche degli ospedali per acuti, ma soprattutto la ricettività delle strutture territoriali (ospedali, case di comunità) per la ricezione di pazienti in uscita dal pronto soccorso. Il problema non è solamente intercettare i codici bassi ma è soprattutto quello di poter ridistribuire sul territorio pazienti che dell'ospedale per acuti non hanno bisogno.
  Abbiamo necessità che il problema del boarding, che ho provato a spiegare poco fa, non resti confinato al periodo del pronto soccorso ma, per tutte le ragioni cliniche e organizzative che ho già spiegato, sarebbe necessario e fondamentale che esso venisse affrontato concretamente in termini di ospedale, prevedendo la presa in carico precoce da parte degli specialisti necessari e liberando così le risorse umane della medicina d'emergenza-urgenza che vengono inappropriatamente distolte dalla loro missione. Per questo continuiamo a chiedere che, per esempio, nel nuovo «DM 70» il boarding venga previsto come una realtà concreta, che certamente non sparirà nei prossimi sei mesi e con la quale gli ospedali italiani si devono quotidianamente misurare.
  Non è sufficiente agire soltanto sulle cause esterne del pronto soccorso: bisogna contemporaneamente ridare dignità agli specialisti che si occupano di emergenza-urgenza e di conseguenza anche attrattività a questa disciplina. Come? Attraverso il miglioramento della qualità di vita. Attenzione, non è soltanto un problema economico – di questo parleranno certamente i Pag. 7sindacati – ma è necessario migliorare la qualità di vita delle nostre operatrici e operatori da un punto di vista personale, familiare: turni notturni, weekend, lavoro usurante e quant'altro. E ancora (ricordo che la specialità di medicina d'emergenza-urgenza è una delle più giovani in Italia, è stata approvato nel 2009 e ha cominciato a lavorare nel 2010) è necessario il riconoscimento, che ad oggi manca, di una specificità professionale dei nostri specialisti. Qui mi riferisco alla necessità della costruzione di un rinnovato sistema dell'emergenza-urgenza partendo dalla fase preospedaliera fuori dall'ospedale, che preveda l'impiego dei professionisti medici e infermieri dell'emergenza-urgenza in entrambe le fasi. Questo è un riconoscimento che tuttora manca perché noi viviamo ancora una paradossale situazione per la quale in Italia l'emergenza-urgenza fuori dell'ospedale viene considerata molto spesso appannaggio della medicina generale (con tutto il rispetto per la medicina generale) e addirittura ai nostri specialisti viene negata la possibilità – da specialisti in medicina di emergenza-urgenza – di andare a lavorare, in alcune regioni, sui mezzi del 118.
  La piena attuazione del modello della medicina di emergenza-urgenza è necessaria anche per ridonare dignità agli specialisti, ma soprattutto è necessaria da un punto di vista organizzativo e di ottimizzazione delle risorse dell'intero ospedale e non soltanto del pronto soccorso.
  Questo modello di medicina d'urgenza prevede che tutto quanto faccia parte di un'unica filiera: sia la fase pre-ospedaliera, come ho appena detto, ma anche una fase ospedaliera nella quale deve esistere ovviamente il pronto soccorso, ma deve esistere anche l'osservazione breve intensiva, la degenza in medicina d'urgenza e soprattutto la terapia semi-intensiva di medicina di emergenza-urgenza. In questa maniera si renderà possibile il lavoro ottimale non soltanto nell'emergenza-urgenza, ma anche nelle discipline dell'ospedale che gravitano intorno al pronto soccorso e che spesso si devono confrontare con dei problemi di possibile inappropriatezza o, in altri casi, di difficoltà a reperire le competenze necessarie a gestire situazioni di complessità che invece fanno parte delle corde della nuova specialità in medicina di emergenza-urgenza.
  Sono andato molto di corsa e mi scuso. Naturalmente sono disponibilissimo ad ogni domanda e, ripeto, molto presto arriverà il nostro documento più dettagliato e forse anche più comprensibile del mio intervento.
  Voglio concludere ricordando soltanto una cosa. Nel momento in cui noi stiamo discutendo, e questo accade purtroppo da anni, di come gestire l'emergenza-urgenza e di come donare nuovamente attrattività a questa disciplina, quello che accade continuamente nonostante le discussioni, è che secondo le nostre proiezioni ogni 90 secondi in un pronto soccorso italiano entra un'emergenza potenzialmente letale. Pochi giorni fa ero ad un convegno in cui ho assistito alla proiezione di dati recentissimi che dicono che, nonostante tutto, l'Italia in questo momento è ai livelli assolutamente più alti in Europa per la prevenzione delle morti evitabili.
  Questo è probabilmente l'indicatore più importante della funzionalità, dell'efficienza e dell'efficacia del sistema dell'emergenza-urgenza. Tutto questo si deve al fatto che, per fortuna, alla base abbiamo un tessuto e abbiamo degli specialisti che lavorano nell'area dell'emergenza che, nonostante tutto, sono specialisti ancora efficaci, motivati e che lavorano con passione.
  Noi abbiamo necessità che le istituzioni ci aiutino in questo momento, perché aiutare in questo momento l'emergenza-urgenza significa, ne sono veramente convinto, aiutare l'intero Servizio sanitario nazionale.
  Ricordo, per ultimissima cosa, che il punto di osservazione che noi abbiamo dai pronto soccorso è probabilmente quello più efficace di osservazione della funzionalità almeno del sistema ospedaliero, ma è anche l'avamposto. Quello che accade oggi nel pronto soccorso accadrà fra due o tre anni, ma forse addirittura prima, anche nel resto dell'ospedale. I primi segnali li abbiamo, è necessario assolutamente agire. Vi ringrazio molto.

Pag. 8

  PRESIDENTE. Grazie a lei presidente De Iaco. Passo quindi la parola al presidente Giarratano. Prego.

  ANTONINO GIARRATANO, presidente della Società italiana anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva (SIAARTI). È ovvio che anche da parte di SIAARTI va un ringraziamento alla presidenza e alla Commissione tutta, per aver avuto la sensibilità di coinvolgerci in questa indagine conoscitiva e mi attengo al contenuto del programma che voi stessi ci avete inviato: «Il pronto soccorso è, per sua natura, una delle aree a maggiore complessità all'interno di una struttura ospedaliera avendo la funzione di garantire risposte e interventi tempestivi ai pazienti giunti in ospedale in modo non programmato affrontando rapidamente le situazioni di emergenza e urgenza».
  Quindi quando discutiamo, quando parliamo di emergenza-urgenza storicamente gli anestesisti e i rianimatori e la società scientifica che li rappresenta da novant'anni (noi contiamo in questo momento 11 mila iscritti, quindi rappresentiamo in pratica l'80 per cento degli anestesisti e rianimatori italiani) sotto questo profilo, dicevo, quando si parla di emergenza-urgenza, quando si parla di area critica, la figura professionale degli anestesisti rianimatori diventa centrale. Credo, ed è questo il primo aspetto che intendo sviluppare in questi pochi minuti, che il tema dell'emergenza-urgenza dei pronto soccorso non possa essere separato dalla gestione (come ha detto correttamente anche De Iaco) del territorio e della riorganizzazione interna all'ospedale per tutto ciò che riguarda i servizi.
  La nostra società scientifica è organizzata e strutturata in alcune aree culturali professionali e collabora col Ministero, essendo certificata e accreditata, sviluppando buone pratiche cliniche. Le aree culturali e professionali vedono praticamente la SIAARTI, gli anestesisti e i rianimatori, coinvolti nella gestione dell'emergenza intraospedaliera: nel 98 per cento degli ospedali l'emergenza intraospedaliera è affidata agli anestesisti rianimatori e in buona parte, di una certa tipologia o con certe caratteristiche, l'emergenza preospedaliera.
  È ovvio che il primo problema è quello di avere in qualche modo fatto confusione nel passato, e persino ancora oggi, anche tra illustri professionisti, sul concetto di urgenza e sul concetto di emergenza. L'emergenza richiede un intervento immediato e delle competenze specialistiche di altissima professionalità (e sotto questo profilo gli anestesisti rianimatori si formano in undici anni); l'urgenza può essere differibile e prevede sicuramente una complessità di intervento, ma dei tempi e un modello organizzativo che consente una diversità di strutturazione e di organizzazione.
  Sotto questo profilo, essendo una società scientifica che produce buone pratiche cliniche, abbiamo sempre lavorato con le istituzioni perché la metodologia che applichiamo nello sviluppare buone pratiche cliniche e linee guida diventasse, o cercasse di diventare, un modello per quello che poi doveva essere il decisore politico nello sviluppare progetti di legge.
  Vi abbiamo già trasmesso un documento sintetico e altri documenti che ci hanno visto collaborare; siccome la nostra metodologia è quella di produrre buone pratiche cliniche e di proporre interventi, quindi di svolgere un ruolo tecnico professionale di suggeritore in senso positivo e propositivo nei confronti del decisore politico, le azioni di sistema che vi andrò a proporre ovviamente vanno approfondite e vanno sviluppate. Non si può fare in dieci minuti, ma restiamo in futuro disponibili. Le sintetizzo per specificità, perché riteniamo che solo le azioni di sistema, non una delle azioni ma tutte le azioni di sistema, possano dare una svolta nella gestione dell'area di emergenza dei pronto soccorso, delle aree critiche in generale, delle strutture ospedaliere e territoriali.
  Al primo posto noi pensiamo, pur essendo intensivisti e rianimatori, quindi teoricamente più vocati all'emergenza intraospedaliera e alle strutture ospedaliere, che l'attivazione delle case di comunità, degli ospedali di comunità organizzati secondo il modello Hub e Spoke sia fondamentale per risolvere o per affrontare in maniera coerente e globale il problema, di cui accennava De Iaco, del sovraffollamento e anche Pag. 9il fatto che i pazienti restino in pronto soccorso senza avere accesso nelle unità operative ospedaliere.
  Ormai è palese che le regioni e i sistemi sanitari regionali che hanno attivato il sistema 116 e 117, che hanno attivato (secondo una logica di rete e non secondo una logica, permettetemi il termine, «a casaccio») gli ospedali di comunità e hanno potenziato il sistema territoriale, vedano una flessione significativa degli accessi inappropriati in pronto soccorso che determinano il fenomeno del sovraffollamento.
  Quindi, come avevamo già detto nella precedente legislatura, negli incontri istituzionali, il DM 77 che riforma il sistema territoriale può avere un senso – sicuramente necessita di aggiustamenti – ma diventa fondamentale (cosa che non era stata prevista nella precedente legislatura) che ci sia un'integrazione tra il sistema territoriale e sistema ospedaliero. Cioè i due sistemi non sono avulsi e non devono avere un modello organizzativo che non tenga conto l'uno dall'altro. Quindi sotto questo profilo la prima azione di sistema è far funzionare il sistema territoriale.
  Se ne discute molto anche all'interno del tavolo tecnico presso il Ministero dove anche De Iaco siede; sotto questo profilo la riteniamo una manovra essenziale e fondamentale per ottenere la significativa riduzione del fenomeno del sovraffollamento e per ottenere anche una riduzione dei costi sul Fondo sanitario nazionale.
  È chiaro che se io non ho ricoveri inappropriati determino una riduzione dei costi che posso «shiftare» su strutture territoriali e soprattutto non ho un aumento stratosferico dei costi, non solo per i ricoveri inappropriati ma anche per quei ricoveri per patologie gravi che sarebbero appropriati e che invece in ospedale e in pronto soccorso non trovano il trattamento nei tempi previsti dalla legge medica e sanitaria.
  Una seconda azione è la riforma, la revisione e quindi l'integrazione della rete dell'emergenza-urgenza nella rete ospedaliera in senso assoluto, cioè la cosiddetta riforma del DM 70. È chiaro che noi dobbiamo andare in un senso che deve essere nell'ambito dell'emergenza, sempre richiamando quella complessità di azione che l'emergenza richiede. Cioè in area critica, in area di emergenza, non vanno i medici più giovani, vanno i medici che hanno le migliori competenze perché in pochi istanti si può decidere della sopravvivenza o meno di un paziente. Quindi la revisione della rete ospedaliera e del DM 70 diventa fondamentale, bisogna ottimizzare le competenze. Si parla tanto di task shifting tra medici e infermieri, e anche queste vanno sicuramente applicate, ma nell'applicare il task shifting ovviamente bisogna mantenere fermi i paletti dei ruoli e delle competenze perché non si crei confusione nella gestione del paziente soprattutto quando ha una patologia da trattare in emergenza. Va razionalizzato l'accesso, sotto questo profilo, attraverso il pronto soccorso ed è chiaro che noi ci troviamo oggi a un bivio. Mi permetto di differenziare la mia posizione rispetto a quella che giustamente tiene De Iaco e il problema è concreto. Non ci sono i 15 mila medici che servirebbero, specialisti in emergenza-urgenza, non ci sono e non si vedono neanche fra cinque anni gli specialisti, perché i numeri delle Scuole di specializzazione dell'altro giorno sono drammatici. È chiaro che il modello organizzativo intraospedaliero va cambiato e può essere cambiato solo se c'è una condivisione, da definire secondo buone pratiche cliniche, tra pronto soccorso, emergenza intraospedaliera, emergenza preospedaliera e unità operative specialistiche che, al ricovero dei pazienti, devono assolutamente contribuire e non possono essere avulse.
  Il problema è reale, il problema è cogente, non si risolve fra sei mesi e neanche fra cinque anni considerati i numeri che vediamo, e quindi va affrontato. Sotto questo profilo è chiaro che il sistema dell'emergenza preospedaliera, dell'urgenza preospedaliera, che prevede anche questa distinzione fondamentale che in Sanità noi facciamo ma che spesso la politica in generale – e non voglio assolutamente accusare nessuno – confonde: cioè l'emergenza è qualcosa che richiede un intervento immediato e altamente specialistico; l'urgenza,Pag. 10 anche chirurgica, come i colleghi sanno, può essere differita anche a 36 e a 72 ore, quindi richiede sicuramente un intervento profondamente diverso. Sotto questo profilo la riorganizzazione globale della rete ospedaliera deve essere fatta, e su questo vi abbiamo allegato il documento che abbiamo prodotto anche al tavolo tecnico del Ministero della salute, e passa per una riorganizzazione, non solo del pronto soccorso, ma di tutta l'area critica. Quindi una revisione organizzativa delle aree intensive, delle aree sub intensive, cioè di quelle aree che possono dare un contributo perché i pazienti in emergenza vera e in urgenza vera, reale, che non siano invece pazienti che dovrebbero essere curati sul territorio, possano essere adeguatamente trattati.
  Qui però mi fermo e non mi permetto di interferire anche da professore universitario su quella che è la criticità del percorso formativo specialistico in medicina di emergenza-urgenza, dove probabilmente il corso in cinque anni e anche l'assenza di un Settore scientifico disciplinare universitario ha messo in crisi la partecipazione dei nostri giovani, dei futuri medici a questo settore. Non mi permetto, da Settore scientifico disciplinare di area critica, anestesia e rianimazione, di interferire con i Settori scientifici disciplinari di Medicina Interna o equipollenti che esistono, ma è chiaro che anche lì una rivisitazione va fatta se si vuole affrontare con serietà il problema della carenza delle figure specialistiche che si iscrivono oggi alla specializzazione in medicina di emergenza-urgenza.
  Diventa fondamentale, e qui le società scientifiche hanno dimostrato – quelle che sono strutturate metodologicamente e che hanno un'organizzazione che le vede produrre linee guida specifiche nelle tematiche di loro competenza, perché abbiamo tantissime società scientifiche in Italia, ma non tutte forse rispettano i parametri persino della legge Gelli in termini di capacità formativa-educazionale di emanare buone pratiche cliniche e linee guida. Dicevo, sotto questo profilo, diventa fondamentale la collaborazione (a nostro avviso) tra le società scientifiche che sono metodologicamente strutturate e il Sistema sanitario nazionale, e devo dire che abbiamo trovato parecchio riscontro non solo nel tavolo tecnico, anche in altri incontri. C'è una certa collaborazione e anche oggi, la nostra presenza qui indica che c'è una sensibilità politica diversa nei confronti delle società scientifiche. Quindi questo probabilmente richiede che ci sia una maggiore collaborazione, entrando più tecnicamente in quello che poi potrebbe essere lo sviluppo di specifici progetti di legge o di specifiche normative. Sotto questo profilo – ma questo lo lascio perché mi pare di aver visto, se non vado errato, nel programma delle vostre audizioni che sono invitate anche le Associazioni sindacali della mia disciplina e di altre discipline – c'è il problema normativo contrattuale. Noi speriamo che il prossimo contratto vada ben oltre – perdonami De Iaco – i 100 euro dati ai medici di pronto soccorso, perché crediamo che questa da sola sia una manovra che non risolve. Utile, assolutamente in emergenza andava fatta, però non risolve il fatto che non ci siano colleghi che vogliono spendersi in una delle discipline di area critica che per noi è, insieme alla nostra ovviamente, tra le più affascinanti e le più interessanti della professione medica. È chiaro che probabilmente sono altre le scelte che vanno fatte.
  Su questo lasciamo spazio e speriamo che le organizzazioni sindacali possano intervenire perché è chiaro che, rispetto a svolgere una professione X (oggi non voglio citare nessun'altra specializzazione), lavorare in terapia intensiva giorno e notte diventando eroe nel periodo Covid e poi magari, subito dopo il periodo Covid, essere un po' meno eroe, non paga.
  Quindi è ovvio che non bisogna limitarsi a semplici riconoscimenti economici, che non stanno dando e non daranno (questa è la mia opinione, la nostra opinione) i risultati attesi, ma occorre trovare degli altri strumenti. Per esempio in altre specializzazioni sono previsti dei riposi compensativi, sono previste in altre nazioni delle indennità di area critica, dove non solo i medici di pronto soccorso ma tutti coloro che lavorano in emergenza-urgenza giorno e notte hanno un riconoscimento economico.Pag. 11 E questo, chiaramente in un contesto dove fare attività privata nelle nostre specializzazioni è praticamente impossibile, sicuramente al di là di quello che può essere la vocazione dei nostri giovani, dei nostri futuri colleghi, sicuramente potrebbe migliorare la risposta.
  Queste cinque azioni per noi sono tutte da mettere in campo contemporaneamente se si vuole affrontare con serietà e in maniera definitiva, o comunque si vuole avviare un percorso di risoluzione delle criticità che si registrano nei pronto soccorso e nei nostri ospedali.
  Non dimentichiamo che il problema non è solo il pronto soccorso perché poi i posti letto sono occupati da pazienti che probabilmente, anzi sicuramente, non necessitano, nel 70 per cento dei casi, di un ricovero ospedaliero. Grazie per avermi ascoltato e scusate se sono andato oltre.

  PRESIDENTE. Grazie. Chiedo, a questo punto, se vi siano domande da parte dei deputati.

  LUCIANO CIOCCHETTI. Volevo velocemente chiedere due cose oltre a quelle che avete già chiaramente detto. Ci sono due questioni relative alla gestione dei pronto soccorso. La prima è che, in pratica, si confonde con i compiti dell'SPDC, del Servizio Psichiatrico di diagnosi e cura. Oggi, nella maggior parte delle regioni italiane, chi ha un problema psichiatrico di emergenza e di urgenza va al pronto soccorso insieme con altre situazioni creando, ci è stato segnalato più volte, grandissime difficoltà. Mi chiedo se non fosse invece il caso di prevedere un percorso separato tra il pronto soccorso cosiddetto ordinario e quello dell'SPDC.
  La seconda questione è il meccanismo del triage che oggi viene fatto quando il paziente arriva, (anche quando viene portato dall'autoambulanza del 118) presso il pronto soccorso stesso. Anche qua si è sperimentato, in passato, il tentativo di dividere i codici bianchi e i codici verdi dai codici azzurri, arancione e rosso, così come sono stati recentemente ridefiniti. Non pensate che sia necessario dividere i canali e i percorsi, anche dal punto di vista logistico, di chi è codice bianco e codice verde da chi è codice azzurro, arancione e rosso?

  FABIO DE IACO, presidente della società italiana di medicina d'emergenza urgenza (SIMEU). Grazie per entrambe le domande onorevole Ciocchetti. In realtà con la domanda sulla psichiatria ha evidenziato un aspetto che avevo saltato perché volevo essere assolutamente ligio ai tempi. Sul discorso della psichiatria c'è evidentemente un problema importantissimo nei pronto soccorso italiani: in questo momento tutto ciò che è sia disagio psichico e, in qualche caso, psicosociale o anche soltanto sociale ma inteso come psichico, sia la vera patologia psichiatrica, giacciono necessariamente nei pronto soccorso italiani. Devo dire molto sinceramente che lo specialista psichiatra è il consulente che passa più tempo di tutti in pronto soccorso in questo momento. Abbiamo un problema enorme, da questo punto di vista, che condividiamo con la Società italiana di psichiatria, con la quale stiamo anche iniziando una collaborazione su questo.
  Però non so come potremmo pensare di dividere il percorso del paziente psichiatrico dal pronto soccorso generale, cosa che farei molto volentieri sia chiaro, con le risorse che in questo momento sono presenti anche, non dovrei dirlo, sul versante psichiatrico.
  Con gli psichiatri stiamo condividendo un disagio continuo che ci vede protagonisti, per esempio, sotto il punto di vista delle aggressioni ai sanitari. Anche questo è un punto sostanziale. Quindi assolutamente l'esigenza è del tutto concreta, particolarmente importante, ma questa è una delle grandi difficoltà che il sistema ha.
  Per quanto invece riguarda il Triage e la separazione dei codici a bassa priorità da quelli a medio-alta priorità: fermo restando che si compie un'estrema banalizzazione, come in qualche caso è stato fatto e viene fatto spesso dalla stampa, quando si identifica nell'80 per cento dei codici a bassa priorità che entrano in pronto soccorso una totale inappropriatezza, questa cosa non è assolutamente corretta. Ricordiamoci che noi l'inappropriatezza la giudichiamoPag. 12 sempre ex post, ovvero tutte le volte che abbiamo finito di valutare un paziente. Ma il problema è che il rischio, il sospetto e quant'altro, che possono essere presenti nella presentazione clinica di un paziente vanno valutati in un ambito di emergenza.
  Questo non significa che noi vogliamo tutti i codici bianchi al pronto soccorso, sia chiaro, tanto che stiamo anche collaborando con realtà sul territorio (mi viene in mente la regione Emilia-Romagna in questo momento) che stanno cercando di separare questi percorsi.
  Noi condividiamo del tutto il fatto che la medicina del territorio e in qualche maniera la continuità assistenziale debbano farsi carico del grosso di questi accessi inappropriati. Il problema è particolarmente difficoltoso. Voglio dire, tanto per cominciare, che noi abbiamo chiesto a più riprese, per esempio in Emilia-Romagna ma non solo, di essere direttamente coinvolti non nella gestione in prima persona ma nel coordinamento, nella formazione, nella condivisione di percorsi con la medicina del territorio rispetto alla problematica dei codici a bassa priorità. Deve essere chiaro che deve esistere comunque un link col pronto soccorso, perché in quel grande serbatoio vengono fuori una serie di emergenze che noi quotidianamente vediamo e che meritano naturalmente tutta la nostra attenzione.
  Il punto fondamentale sulla divisione dei percorsi però risiede anche in un'altra questione che non viene mai affrontata. Noi siamo in grado di conoscere molta dell'inappropriatezza che si presenta al pronto soccorso sin dal momento del Triage e quindi potremmo, in un sistema virtuoso, dirottare, deviare questi pazienti su altre strutture. Questa cosa non può accadere e non accadrà mai fino a che non esisterà la possibilità di prevedere quello che tecnicamente viene chiamato Triage out, ovvero l'allontanamento, la deviazione del paziente dal pronto soccorso. Non accadrà mai fino a che non ci sarà una copertura rispetto alla responsabilità professionale del singolo professionista, in questo caso l'infermiere di Triage piuttosto che il medico.
  Ogni paziente che entra in un pronto soccorso va registrato e visitato, anche se si presenta con (lo dico per ridere) la caduta di capelli; è un fatto reale che mi è accaduto qualche anno fa.
  Qui noi abbiamo veramente bisogno, su questo siamo disponibilissimi, come sul resto naturalmente, a collaborare; abbiamo veramente bisogno di instaurare un nuovo regime di gestione della responsabilità professionale e del possibile contenzioso. Il Triage out, sulla base di criteri che noi potremmo tranquillamente condividere così come abbiamo già fatto per esempio con i criteri di Triage e quant'altro, deve poter diventare una opzione per i professionisti dell'emergenza-urgenza e deve far parte proprio del coordinamento del sistema. Se mai fosse noi ne saremmo assolutamente felici.

  ANTONINO GIARRATANO, presidente della Società italiana anestesia, analgesia rianimazione e terapia intensiva (SIAART). Se posso velocemente rispondere anch'io, onorevole Ciocchetti, lei ha perfettamente ragione e non solo sul problema psichiatrico, io rilancio. Cioè lei fa riferimento alla patologia psichiatrica, io posso fare riferimento alla patologia dolore. Nove milioni di italiani all'anno vanno in pronto soccorso per dolore; è una delle prime due motivazioni per cui si chiama il medico, per cui si va in pronto soccorso: febbre e dolore. Allora noi nel progetto di riforma, che lei troverà e che stiamo portando al tavolo tecnico, finalmente riorganizziamo la rete del dolore, che era solo citata nel DM 70.
  Immaginate 9 milioni di accessi gestiti in maniera adeguata sul territorio come potrebbero cambiare, sommati a quelli che interessano ovviamente i pazienti psichiatrici, l'assetto generale del nostro sistema regionale.
  Sul discorso del Triage assolutamente d'accordo; io vado ancora più a monte di come non faccia Fabio De Iaco. Noi abbiamo che dal 40 al 70 per cento dei codici verdi (dipende dall'area di emergenza del pronto soccorso) – che rappresentano, poi De Iaco mi correggerà, il 50 per cento, il 60 per cento degli accessi in pronto soccorso – Pag. 13tornano a casa. Non necessitano di ricovero. Allora a questo punto è ovvio che se il sistema territoriale e delle centrali operative, il numero 116-117 insieme al 112-118, se si crea una struttura adeguata e adeguatamente formata – e anche qui le società scientifiche possono avere un ruolo – è ovvio che il Triage è a monte, cioè il paziente non deve neanche arrivare in codice verde al pronto soccorso, dovrebbe andare dove la caduta dei capelli può essere gestita e trattata con calma e tranquillità.
  Quindi, sotto questo profilo, onorevole Ciocchetti, assolutamente d'accordo su tutti e due gli aspetti. Ma nei nostri interventi, anche nei tavoli istituzionali, ci sono una serie di azioni che, ripeto, devono essere integrate. Cioè se non funziona la rete del dolore, 9 milioni di pazienti vanno in pronto soccorso per dolore perché è chiaro che la notte, il sabato pomeriggio e il sabato notte, la domenica o se il dolore è malattia, è un dolore cronico (e qui raggiungiamo numeri da 900 mila pazienti l'anno), se questi pazienti non hanno una risposta di salute perché non risponde nessuno al telefono, non solo li visita ma non rispondono al telefono, andranno in pronto soccorso.

  FABIO DE IACO, presidente della società italiana di medicina d'emergenza-urgenza (SIMEU). Posso aggiungere una piccolissima cosa? Proprio quello che diceva il professor Giarratano mi faceva venire in mente una brevissima considerazione, che ripropongo perché credo che debba essere tenuta presente nel momento in cui affrontiamo questa materia.
  Una figura che usiamo da sempre per quanto riguarda la funzione di pronto soccorso, mi veniva in mente rispetto al problema dolore sul quale concordo totalmente con il professore, è questa. Il pronto soccorso è la rete di sicurezza delle reti di sicurezza. Cioè noi in questo Paese abbiamo una serie di reti, per esempio di reti cliniche o quant'altro, di gestione di una quantità enorme di patologie e di pazienti. Il pronto soccorso, purtroppo ma per fortuna, non è soltanto la sede dell'emergenza-urgenza, non è soltanto la sede in cui entra l'infarto, ma è anche la sede che raccoglie tutto quello che passa attraverso le maglie delle altre reti e che sono più o meno fitte purtroppo, per ragioni oggettive e strutturali.
  Il vero problema è che noi stiamo aprendo tantissimo anche le maglie del pronto soccorso in questo momento, nonostante il ferreo tentativo degli operatori che resistono, di tenerle più strette possibile.

  PRESIDENTE. Prego onorevole Ricciardi.

  MARIANNA RICCIARDI. Grazie presidente. Volevo chiedere a entrambi gli auditi, tra le varie criticità esposte dei motivi per cui il pronto soccorso non risulta essere più attrattivo per medici e infermieri, quanto nello specifico il carico di responsabilità che hanno gli operatori sanitari possa essere un fattore determinante nella scelta e, in particolare, anche nella scelta da parte dei giovani medici all'ultimo concorso di specializzazione, che hanno visto non utilizzate il 70 per cento delle borse in medicina di emergenza-urgenza. Quanto ritenete che in particolare questo fattore possa incidere e quanto quindi possa essere prioritario intervenire su questo.

  FABIO DE IACO, presidente della Società italiana di medicina d'emergenza-urgenza (SIMEU). La ringrazio per la domanda e mi piacerebbe anche ampliare un po' la risposta.
  Primo, la risposta che io ricevo tutti i giorni dagli specializzandi o dai giovani medici che entrano in pronto soccorso, magari per rotazioni e quant'altro, è sempre la stessa «Tu fai un lavoro bellissimo ma io non voglio fare la tua vita». Questo lo sento ripetere tutti i giorni. Deve essere chiara una cosa: la medicina d'emergenza-urgenza, ma devo dire tutto l'impiego in area critica perché immagino che per l'anestesia e la rianimazione sia la stessa cosa, assolutamente, sono delle discipline mediche tra le più affascinanti, lo dicevo prima, tra le più appaganti anche sul piano professionale, umano e personale, ma non possono questi elementi superare il grado di disagio che in questo momento vivono gli Pag. 14operatori, medici e infermieri, in particolare del pronto soccorso. Dico in particolare ma non soltanto del pronto soccorso. Quindi questo è il tema sostanziale: i giovani d'oggi (per usare un termine da vecchio) hanno imparato, probabilmente molto meglio di noi e io credo che sia del tutto legittimo, che per il proprio futuro devono trovare un bilanciamento tra l'impegno professionale e la qualità di vita personale, cosa sulla quale noi vecchi probabilmente non abbiamo mai ragionato a sufficienza. In questo momento la medicina di emergenza-urgenza sarebbe probabilmente la prima scelta di tantissimi giovani medici se soltanto la qualità di vita personale, familiare e aggiungo anche economica (anche se non mi compete), fosse proporzionata al resto dell'Europa, per esempio. Se soltanto questi criteri venissero rispettati, sicuramente questo inciderebbe moltissimo.
  Il tema dei giovani medici, degli specializzandi e della fuga dalle borse che giustamente proponeva l'onorevole Ricciardi, che so essere impegnata direttamente su questi temi, è fondamentale. Noi non siamo universitari, noi siamo una Società scientifica che accoglie anche gli universitari, ma non siamo solo universitari. Qui noi da tempo predichiamo qualcosa di particolare, ovvero che è necessaria una riforma delle scuole di specializzazione che metta insieme l'Università e il Servizio sanitario nazionale.
  Attenzione, questa Società scientifica che io ho l'onore di presiedere, che spesso viene accusata di essere contraria alle prerogative degli universitari, invece annovera come il proprio risultato storico in assoluto più importante e lo fa orgogliosamente, proprio la creazione della Scuola di specializzazione e noi la vogliamo e la sosteniamo.
  Questo però non significa non dover riconoscere che in questo momento la Scuola di specializzazione, in particolare di medicina d'emergenza-urgenza ma forse anche in altre discipline (non mi permetto di entrare), è probabilmente abbastanza anacronistica, così com'è strutturata. Oggi un giovane di 26 anni se si è appena laureato (dopo 6 anni di intenso studio in medicina) e se anche ha voglia di lavorare in pronto soccorso può scegliere se iscriversi alla scuola di specializzazione, sapendo che guadagnerà 1.600-1.700 euro al mese per un po' di anni e che dovrà lavorare duro, com'è giusto che sia, oppure non entrare neppure in specializzazione, agganciarsi ad una di queste cooperative, fare la propria esperienza e il proprio lavoro che ama, magari un po' improvvisato, per due-tre anni. Comprarsi la macchina, la casa nel frattempo e poi eventualmente fare dopo la specializzazione.
  Secondo noi è necessario che gli specializzandi – decidiamo come insieme all'Università, senza nessun intento negativo o ostativo nei confronti delle prerogative dell'Università – che venga fuori un regime misto per cui lo specializzando quanto prima, forse dal primo anno, forse dal terzo, discutiamone insieme, diventi un dirigente medico in formazione, che abbia tutte le prerogative contrattuali innanzitutto del Servizio sanitario nazionale e non soltanto della borsa dell'Università, che possa sviluppare le proprie competenze in un ambito sereno anche dal punto di vista assicurativo e di tutela professionale, che gli venga garantita la formazione ma che contemporaneamente non sia (come si dice con uno slogan) trattato come un vecchio studente per cinque anni di specializzazione. Questi non sono vecchi studenti ma, lo dimostrano tutti i giorni, sono giovani medici e quelli degli ultimi anni di specializzazione, per conoscenza diretta, sono dei validissimi giovani medici che sin d'ora, con quel necessario monitoraggio che pure è previsto e che la formazione richiede, metterei certamente in un turno stratificato di pronto soccorso nel quale ci sia un tutor, che sia lo strutturato dirigente medico attempato magari come me o un po' meno di me, insieme ad uno specializzando che continui a lavorare e che abbia un riferimento di tutoraggio che possa chiamare e via dicendo. Questo è di fatto il futuro. In questo momento noi lo stiamo facendo, stiamo stratificando le professionalità che lavorano nei pronto soccorso in questa maniera, ma dovendoci adattare rispetto a quello che ci mandano le cooperative. Ovvero, io in questo momento nel Pag. 15mio pronto soccorso, ma tanti colleghi come me, sono costretto a prendere un medico della cooperativa, benissimo, ma del quale non so nulla (e in alcuni casi ci sono delle cadute di qualità anche importanti), metterlo nel turno del pronto soccorso e mettergli sempre accanto, almeno finché potrò averne, uno strutturato dirigente medico di esperienza.
  Sarebbe molto più fruttuoso per questo Paese se tutto questo venisse ricondotto a un sistema differente in cui tutto questo io lo possa fare sì, ma con uno specializzando del terzo, quarto, quinto anno di medicina di emergenza-urgenza piuttosto che di medicina interna. Sarebbe una garanzia di miglior qualità, sarebbe una garanzia di miglior formazione professionale per gli specializzandi, sarebbe una garanzia di sicurezza e qualità del servizio per il cittadino.

  ANTONINO GIARRATANO, presidente della società italiana anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva (SIAARTI). Scusate intervengo rapidamente, perché credo che su questo ci sia un vulnus, onorevole. Al di là del fatto che le azioni che noi abbiamo proposto, e che lei troverà nel nostro documento, tutte azioni che tendono a migliorare la qualità di vita anche professionale dei colleghi e quindi a incentivare la partecipazione di medicina di emergenza-urgenza, il mio essere stato nel ruolo ospedaliero ed essere ora un professore universitario mi fa dire a De Iaco, che evidentemente forse questa esperienza adesso non ce l'ha, che quello che lui pone come futuro è il presente. Con eccezione forse di una o due strutture universitarie in tutta Italia, da 14 anni la scuola che io dirigevo prevede nelle reti formative ben 16 ospedali dove ruotano tutti, in formazione, gli specializzandi.
  Questa è già norma di legge sotto tutti i profili e quindi quello che il dottor De Iaco vede come futuro è una realtà, dal punto di vista legislativo anche normata. E questa non è un'opposizione a quello che diceva De Iaco, nel senso che comunque gli specializzandi in questo momento si formano. Voi poi conoscete benissimo il decreto Calabria e le altre normative che poi si sono sovrapposte; semmai potrebbe essere cambiato lo status giuridico di questi borsisti, convertendoli in quelli che quando io ero giovane si chiamavano assistenti medici. È un discorso diverso, ma in questo momento di fatto la scuola di specializzazione del mio ateneo di anestesia e rianimazione, ha avuto in prima tornata 65 iscritti su 65. Quindi penso di avere la possibilità anche di parlare di questo. Dei 95 specializzandi per esempio, che abbiamo avuto due anni fa quando c'è stato il grosso ingresso, solo 11 stanno nel percorso universitario ma tutti a rotazione con i 16 ospedali. Cioè quello che dice De Iaco è già legge, semmai il problema è cambiare la normativa elevando le borse di studio ed evitando delle assunzioni, come quelle previste dal secondo anno, in ospedali che potrebbero non garantire la loro formazione e che sarebbero devastanti.
  Voi immaginate uno specialista in anestesia, rianimazione e terapia intensiva che studia cinque anni dopo la laurea e che dopo il primo anno viene assunto in un ospedale periferico e deve fare l'anestesista rianimatore. Come si forma questo collega sul bambino critico, sulla neuro-anestesia, neuro-rianimazione, sulla cardio-rianimazione. Allora l'università deve mantenere a mio avviso, e non perché sono professore universitario, la funzione di garanzia della qualità della formazione dei nostri specializzandi. Gli ospedali devono essere il terreno dove i nostri specializzandi già vanno e probabilmente va cambiato lo status giuridico. Però il modello di De Iaco è un modello che è vigente da otto anni. Poi se ci sono uno o due Università in Italia che in medicina d'urgenza non lo rispettano quelle, lo dico da professore universitario, vanno «punite» severamente perché non rispettano la legge. Ma la norma è così ormai da dieci anni, non c'è nessuno specializzando che sta nelle università.
  Un'ultima cosa. Leggevo che giustamente i ragazzi si lamentano perché le borse che sono andate deserte in medicina d'urgenza, nella microbiologia, nella patologia medica in piccola parte, ma comunque significativa, anche in rianimazione, se fossero state date ad altre specialità non Pag. 16sarebbero andate deserte. Allora io oggi mi spingo oltre, e poi mi fermo e mi taccio definitivamente, perché è una mia amica la direttrice della scuola di chirurgia plastica; vorrei capire cosa ce ne faremmo o cosa se ne potrebbe fare il sistema sanitario nazionale di cento chirurghi plastici e due anestesisti rianimatori. Cioè a cosa servirebbero nel sistema sanitario. Quindi è chiaro che io capisco le posizioni dei giovani studenti che preferiscono una specializzazione comunque molto bella e affascinante e validissima come la chirurgia plastica, ma che offre un'opportunità in più che De Iaco non sarà mai in grado di dare ai suoi, perdonami De Iaco, che è quella dell'attività privata.
  Allora sotto questo profilo, per favore, credo che le funzioni dell'Università siano determinanti, non significa che l'Università debba tenere, non lo fa più, non è più previsto, non esiste questo modello, al proprio interno gli specializzandi.
  Quindi perdonatemi, ma questo intervento dovevo farlo.

  FABIO DE IACO, presidente della Società italiana di medicina d'emergenza-urgenza (SIMEU). Allora perdonatemi, anche io devo spiegare un po' meglio. Molto rapidamente, le chiedo 30 secondi presidente, ma è importante. Sono d'accordo con il professor Giarratano ma c'è un punto sostanziale. Io in pronto soccorso, in questo momento, ho tre specializzandi in rotazione insieme agli strutturati che stanno lavorando. Ma se stanotte devo metterne uno in turno insieme allo strutturato io non lo posso fare. È vero che sono presenti, ma non hanno dignità di firma, non possono prendere nessuna decisione in questo momento, se non tutorati, ma attenzione più che tutorati. E vengono utilizzati nell'ambito...

  ANTONINO GIARRATANO, presidente della Società italiana anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva (SIAARTI). Ma questa è garanzia per la salute del paziente.

  FABIO DE IACO, presidente della Società italiana di medicina d'emergenza-urgenza (SIMEU). Adesso non avevo voglia di entrare su questo, però perdonatemi. Vi sto dicendo, noi in questo momento stiamo accettando dei neolaureati con le cooperative, di cui non sappiamo nulla, nei pronto soccorso da soli di notte e non accettiamo specializzandi del quarto anno con tutta una serie di competenze note, magari tutorato dal Dirigente medico più esperto.

  ANTONINO GIARRATANO, presidente della Società italiana anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva (SIAARTI). La pensiamo alla stessa maniera.

  FABIO DE IACO, presidente della Società italiana di medicina d'emergenza-urgenza (SIMEU). Sì, però non si può dire in questo momento che quello che chiedo io è quello che già esiste, perché non esiste.

  ANTONINO GIARRATANO, presidente della Società italiana anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva (SIAARTI). No, tu facevi riferimento alla formazione che non avviene in ospedale, non è così.

  FABIO DE IACO, presidente della Società italiana di medicina d'emergenza-urgenza (SIMEU). No, io faccio riferimento al fatto che ho bisogno che gli specializzandi vengano considerati dirigenti medici in formazione e che possano agire proattivamente su questo servizio, su questo sistema, almeno dal terzo anno, dando una mano agli strutturati, formandosi ed essendo garanzia di qualità.

  ANTONINO GIARRATANO, presidente della Società italiana anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva (SIAARTI). È previsto dal decreto Calabria e dalle norme successive; già è prevista questa cosa.

  FABIO DE IACO, presidente della Società italiana di medicina d'emergenza-urgenza (SIMEU). Io credo che ne parleremo con più calma.

  PRESIDENTE. Grazie. Ringrazio entrambi i nostri ospiti per i contributi preziosissimiPag. 17 e, nel ringraziarli, dichiaro conclusa questa audizione.

Audizione, in videoconferenza, di rappresentanti di Cittadinanzattiva e dell'Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri italiani emergenza area critica (AAROI-EMAC).

  PRESIDENTE. Buongiorno a tutti. La Commissione prosegue l'audizione nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla situazione della medicina dell'emergenza-urgenza dei pronto soccorso in Italia.
  Partecipano all'audizione odierna Elio Rosati, segretario regionale Lazio di Cittadinanzattiva; Alessandro Vergallo, presidente nazionale della Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri italiani emergenza area critica (AAROI-EMAC).
  Saluto e ringrazio i nostri ospiti per aver accolto l'invito della Commissione. Ricordo che allo svolgimento delle relazioni, da contenere entro dieci minuti, potranno seguire domande da parte dei deputati alle quali seguirà la replica dei soggetti auditi. La documentazione acquisita sarà resa disponibile ai deputati attraverso l'applicazione Geo Camera e sarà altresì pubblicata sul sito internet della Camera dei Deputati. Do quindi la parola a Elio Rosati.

  ELIO ROSATI, segretario regionale Lazio di Cittadinanzattiva. Signor Presidente, onorevoli gentilissimi, vi ringrazio intanto della possibilità di intervenire in questa audizione. Come Cittadinanzattiva porto i saluti di tutta la nostra organizzazione. Logicamente il tema del pronto soccorso ci interessa da tantissimo tempo e abbiamo, sottolineo questo, lavorato spessissimo con la SIMEU, abbiamo prodotto a suo tempo la Carta dei diritti al pronto soccorso che è già stata allegata alla documentazione che abbiamo inviato.
  Dati i tempi, vorrei andare velocemente su alcuni punti che riteniamo centrali. Il primo tema, sicuramente ribadito credo anche da altri, è quello del personale sanitario, della carenza dei medici e degli infermieri in ambito di pronto soccorso, ma non solo. Però questo dato non è sufficiente a coprire e a sostenere le attività di pronto soccorso. Qui dobbiamo essere determinati e determinanti sul tema vero che è quello dell'integrazione tra ospedale e territorio. Basti vedere, ad esempio, i dati del rapporto che abbiamo presentato nel 2019, insieme a SIMEU del Lazio, da cui risulta che ben il 68 per cento degli accessi in 24 pronto soccorso (parliamo di oltre 750 mila accessi su un milione circa di accessi) erano definiti come codici bianchi e codici verdi. Questo significa sostanzialmente che il territorio non ha più la capacità di drenare le richieste dei cittadini di accesso alla salute e quindi vedono nel pronto soccorso l'unico punto di accesso alla salute pubblica. Questo è un problema che logicamente, con il fenomeno drammatico del Covid, è esploso in tutta la sua criticità.
  Logicamente ci sono, li abbiamo riportati nei documenti, delle azioni che si stanno facendo anche in diversi contesti e che vanno nel senso di aprire l'ospedale al territorio e di creare quelle condizioni virtuose che potrebbero alleggerire in prima battuta gli operatori del pronto soccorso. Porto l'esempio di quello che si sta facendo a Tor Vergata con il Distretto 6 della ASL Roma 2 e il VI Municipio dove praticamente, grazie a uno studio e all'impegno del direttore generale Giuseppe Quintavalle e del professor Palombi, sono stati identificati coloro che nell'anno precedente avevano avuto accesso al pronto soccorso da 4 a 80 volte. Un nucleo di circa 400 persone che, a questo punto, sono state prese in carico e seguite in modo coordinato dal Tor Vergata e dal Distretto 6, ma anche dal VI Municipio, in una connessione di competenze che è stata messa in gioco.
  Questo per dire che cosa, che è possibile alleggerire il carico del pronto soccorso perché logicamente quelle 400 persone in questo modo non hanno più avuto accesso o hanno avuto un accesso adeguato e sono stati presi sostanzialmente in carico nel territorio per le proprie esigenze.
  Allora qui passo rapidamente alla terza questione che per noi diventa una visione; l'integrazione del sociale e del sanitario deve passare anche attraverso il coinvolgimentoPag. 18 attivo degli enti locali e in particolar modo degli Assessorati alle Politiche Sociali, perché è evidente che non si può pensare di sostenere gli operatori del pronto soccorso senza mettere mano al sistema intorno al pronto soccorso. Le situazioni che abbiamo ancora oggi è di sovraffollamento, di boarding, che per noi è un parcheggio, perdonate la brutalità ma così è, perché quando ci sono persone che attendono otto-dieci giorni prima di avere un posto letto e il carico assistenziale è totalmente delegato agli operatori del pronto soccorso, questo significa aumentare stress, aumentare il livello di violenza verso gli operatori sanitari. Cosa che noi condanniamo, ma che purtroppo è parte di un sistema che non regge più le sfide che abbiamo davanti. Quindi che cosa fare? Alcune proposte sono quelle di realizzare (come credo abbiate intenzione voi e noi siamo altamente disponibili a sostenere questo percorso) un monitoraggio dei pronto soccorso e del loro stato.
  Ne approfitto anche per dire che noi in settimana, proprio qui nel Lazio, lanceremo con SIMEU un secondo monitoraggio sullo stato del pronto soccorso e vi daremo logicamente (entro 40 giorni, perché crediamo che questo sia il tempo per produrre il documento) gli atti aggiornati in modo tale che possano essere anche un elemento di valutazione e di riflessione per questa Commissione.
  Auspichiamo quindi di mantenere aperto un confronto costante con tutti i voi e restiamo a disposizione per qualsiasi richiesta voi vogliate fare.

  PRESIDENTE. Ringrazio e do quindi la parola ad Alessandro Vergallo, presidente nazionale della (AAROI-EMAC). Prego.

  ALESSANDRO VERGALLO, presidente nazionale della Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri emergenza area critica (AAROI-EMAC). Buongiorno. AAROI nasce nel 1952, rappresentando all'epoca esclusivamente gli anestesisti rianimatori. Dopodiché, nel 2009, inizia a rappresentare anche i medici della medicina di emergenza-urgenza. Nonostante sia sostanzialmente quasi mono categoriale, bicategoriale da poco, noi annoveriamo circa 12 mila soci e siamo il terzo sindacato della dirigenza medica e sanitaria. Il fatto che poi fossero unificate le aree contrattuali non ci ha impedito di restare tale con 8 mila quasi soci rappresentativi ai fini ARAN, cioè di coloro i quali sono assunti con contratto collettivo nazionale di lavoro dipendente degli ospedali.
  Questo lo dico perché gli interventi delle due società scientifiche che mi hanno preceduto SIAARTI e SIMEU convergono verso l'identificazione dell'area critica, sostanzialmente espressione di due discipline specialistiche, cioè la disciplina AARTI (anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva) e la disciplina MEU (medicina di emergenza-urgenza).
  Voglio partire dal fatto che il sindacato AAROI-EMAC condivide in toto ciò che è stato espresso dai due presidenti Giarratano e De Iaco e quindi non starò a ripetere cose che hanno già detto loro, sia nell'esposizione iniziale sia nella risposta ai quesiti e cercherò di contenere questa mia in maniera più sintetica possibile, anche per dare spazio ad eventuali quesiti degli onorevoli parlamentari in ascolto ed eventualmente raccogliere delle osservazioni anche in tempo reale. Partiamo dal fatto che gli interventi dei due presidenti Giarratano e De Iaco non hanno fatto altro che seguire un filo logico di appropriatezza, efficientamento ed efficacia del sistema anche in termini di riduzione dei costi. Faccio un banale esempio a quest'ultimo proposito con la riduzione degli accessi impropri ai pronto soccorso e in generale agli ospedali.
  Allora bisogna che si parta con iniziative di natura parlamentare e poi di Governo, sia nazionale che regionale, coraggiose e che affrontino senza ulteriore indugio problematiche che giacciono sul terreno da anni. Vado subito al dunque con quello che, al netto della condivisione di tutti i punti espressi prima dalle due società scientifiche, il sindacato intende sottoporre alla vostra attenzione.
  Intanto bisogna partire dal fatto che è assurdo che la medicina di emergenza-urgenza, la MEU, sia ancora codificata con Pag. 19un codice MED/09 che la fa a ascrivere esclusivamente in una sorta di recinto della medicina interna. Io credo che a distanza di tanti anni da cui è nata essa meriti una dignità che deve in qualche maniera seguire la falsariga dell'anestesia rianimazione, cioè avere una identificazione specialistica.
  Questo lo dico perché al netto di tutte le cortine fumogene che vengono esposte da altre istituzioni, e tra esse molti sindacati, in realtà l'intenzione generale è scarsa nel voler identificare le unità operative di pronto soccorso come delle unità operative fatte da medici specialisti in quel settore, perché forse qualcuno ambisce a che si ritorni ai cosiddetti pronto soccorso interdivisionali, laddove i turni vengono gestiti in maniera saltuaria, da medici di tutti i reparti.
  In questo momento questo è necessario senz'altro, per le carenze drammatiche in cui versa la MEU; tuttavia in una prospettiva a medio lungo termine bisogna ragionare in modo diverso. Intanto bisogna probabilmente ridurre la durata del percorso formativo MEU da cinque a quattro anni. Poi bisogna contestualmente prevedere un insegnamento progressivo della formazione specialistica post-laurea a professionisti, quindi a medici, che lavorano stabilmente nei pronti soccorso. Ad oggi oltre il 90 per cento, a differenza dell'anestesia rianimazione dove gli insegnamenti sono fortemente caratterizzati da professionisti di questa disciplina specialistica, degli insegnamenti di ambito scuola di specializzazione MEU sono di ambito internistico. Dirò di più, la gran parte della formazione della specialità AARTI si svolge nelle sale operatorie, nelle rianimazioni, nelle terapie iperbariche, in tutti gli ambiti di questa disciplina che abbraccia numerosi settori. La formazione di ambito MEU invece è in larghissima parte svolta nelle geriatrie e nelle medicine interne, dove i ragazzi si trovano a ricopiare cartelle, a scrivere anamnesi e a fare il giro in questi reparti invece che lavorare in pronto soccorso.
  Gli obiettivi sono quindi una specifica caratterizzazione della disciplina MEU, che è quella più critica; è un po' la Cenerentola di tutte non solo per gli sbocchi lavorativi, ma anche quanto a formazione. Questo lo dico perché nonostante le ultime divergenze, i due presidenti che mi hanno preceduto in realtà dicono la stessa cosa soltanto che partono da punti di vista completamente diversi. Il punto di vista dell'appropriatezza formativa espresso da SIAARTI è reale per la disciplina AARTI ma non lo è assolutamente, e quindi in quel settore ha ragione De Iaco, non avviene in maniera appropriata per la disciplina MEU finalizzata al lavoro sia nei pronto soccorso sia nel sistema dell'emergenza preospedaliera.
  Ora è chiaro che queste differenze nascono con le differenze formative nella scuola di specializzazione e poi si protraggono negli sbocchi lavorativi anche perché ricordiamoci che la specialità più scelta, dopo gli abbandoni delle borse MEU, è esattamente la disciplina AARTI perché ovviamente i giovani neolaureati (quei pochi che la trovano attrattiva e poi bisognerà trovare il modo di renderla più attrattiva e diremo come) si iscrivono a MEU e poi l'abbandonano perché non trovano negli sbocchi reali della scuola di specialità ciò che si aspettano. Cioè si trovano a passare la maggior parte del tempo nei reparti di medicina interna intesi in senso generale, tra cui anche addirittura le geriatrie, e quindi è chiaro che sono delusi. Questa è una delle più forti motivazioni di abbandono delle borse.
  Oltre a questo bisogna fare anche un altro atto di coraggio, come qualcuno ha già detto, ma io voglio scendere più nello specifico perché la società scientifica naturalmente parla di sistemi formativi, di qualità eccetera, al sindacato tocca purtroppo scendere nel concreto e andare in un terreno che impone maggior chiarezza. La maggior chiarezza è la seguente: bisogna assolutamente prevedere, per tutti i medici in formazione, che non possono essere considerati degli studenti a vita, l'assunzione automatica obbligatoria negli ultimi due anni. Coloro i quali non ritengono di doverlo fare possono tranquillamente abbandonare la borsa. Ma questo va detto in senso molto chiaro, perché chi sceglie la formazione della medicina ospedaliera in Pag. 20una scuola di specialità non può permettersi di restare studente fino a 30-32 anni, laddove nei Paesi esteri questo assolutamente non avviene.
  In Italia bisogna prevedere un'assunzione automatica che è l'unica soluzione, insieme alla revisione del percorso formativo, per avere la qualità, l'appropriatezza, l'efficienza e l'efficacia delle cure che vengono assicurate nelle varie discipline ospedaliere. Ovvio che va previsto per tutte le discipline. L'AAROI ha avuto una recente audizione con esponenti del Ministero dell'Università e della ricerca e qui devo lamentare un'assoluta arretratezza di pensiero (questo lo dico in maniera molto chiara) perché alcune cose sono state negate rispetto alla necessità di riformare i percorsi formativi. Io credo che un'interlocuzione virtuosa e costruttiva col MUR e con gli esponenti universitari va assolutamente fatta.
  Aggiungo gli aspetti poi contrattuali e normativi, che sono stati accennati dal professore Giarratano. Finalmente noi con la pre-intesa del CCNL, che è stato recentemente firmata, abbiamo ottenuto notevolissimi passi avanti in senso normativo. Sotto il profilo economico questo non era possibile, ma sotto il profilo normativo sono stati valorizzati gli aspetti organizzativi del lavoro basati sulla turnistica. E non ci sono discipline specialistiche, con le rispettive unità operative di afferenza come AARTI e MEU, con più turnisti in ospedale. Questo vuol dire che il medico di queste due discipline, nelle rispettive unità operative, fa parte di un ingranaggio, di un sistema e ciò rende il sistema assolutamente funzionale a erogare prestazioni quantificabili, certificabili. Basti pensare a come è facile valutare la produttività nei turni di pronto soccorso piuttosto che nei turni di sale operatorie e di rianimazione, e parlo solo dei due settori più importanti per AARTI.
  Questo nuovo contratto ha previsto sicuramente una valorizzazione della quantificazione del lavoro svolto, in termini di gratificazione economica per il pronto soccorso (seppur di poco) ma anche sotto il profilo del riconoscimento orario con l'articolo 27, comma 3, del CCNL, che se volete poi in separata sede posso anche spiegare.
  Concludo dicendo che sarebbe ora, nel prossimo contratto, ma per questo ci occorre una mano sia dal Governo ma anche dalle regioni, attraverso il comitato di settore (con un nuovo atto di indirizzo per il CCNL 2022-2024 che andremo a discutere, mi auguro quanto prima), affinché siano valorizzate e differenziate alcune remunerazioni specifiche. Parlo di voci stipendiali tipiche che possono essere le indennità di area critica che accomuna le due specializzazioni, che per i pronto soccorso e per il sistema di emergenza pre-ospedaliero 118, laddove esso affidato a professionisti assunti con contratto collettivo nazionale (quindi del pubblico impiego), possono essere soltanto virtuosi, consentendo di abbattere la concorrenza di un privato che lucra sulle spalle del pubblico con le famose cooperative che possono spingere i prezzi così verso l'alto esclusivamente perché a pagare è il pubblico erario.

  PRESIDENTE. Non essendoci richieste di intervenire da parte dei deputati, ringrazio ancora una volta i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.20