XIX Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico



Seduta n. 5 di Giovedì 13 luglio 2023

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Colosimo Chiara , Presidente ... 3 

Audizione del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, Maurizio de Lucia:
Colosimo Chiara , Presidente ... 3 
De Lucia Maurizio , Procuratore della Repubblica di Palermo ... 3 
Colosimo Chiara , Presidente ... 10 
De Lucia Maurizio , Procuratore della Repubblica di Palermo ... 10 
Colosimo Chiara , Presidente ... 11 
Barbagallo Anthony Emanuele (PD-IDP)  ... 11 
Colosimo Chiara , Presidente ... 12 
Scarpinato Roberto Maria Ferdinando  ... 12 
Colosimo Chiara , Presidente ... 13 
Sallemi Salvatore  ... 13 
Colosimo Chiara , Presidente ... 13 
De Lucia Maurizio , Procuratore della Repubblica di Palermo ... 13 
Colosimo Chiara , Presidente ... 17 
Provenzano Giuseppe (PD-IDP)  ... 18 
Colosimo Chiara , Presidente ... 19 
Orlando Andrea (PD-IDP)  ... 19 
Colosimo Chiara , Presidente ... 19 
Russo Raoul  ... 19 
Colosimo Chiara , Presidente ... 20 
De Lucia Maurizio , Procuratore della Repubblica di Palermo ... 20 
Colosimo Chiara , Presidente ... 20 
Guido Paolo , procuratore aggiunto di Palermo ... 20 
De Lucia Maurizio , Procuratore della Repubblica di Palermo ... 21 
Colosimo Chiara , Presidente ... 21 
Sabella Marzia , procuratore aggiunto di Palermo ... 22 
Colosimo Chiara , Presidente ... 22 
De Lucia Maurizio , Procuratore della Repubblica di Palermo ... 22 
Colosimo Chiara , Presidente ... 24 
Orlando Andrea (PD-IDP)  ... 24 
Colosimo Chiara , Presidente ... 24 
Orlando Andrea (PD-IDP)  ... 24 
Colosimo Chiara , Presidente ... 24 
Ascari Stefania (M5S)  ... 24 
Colosimo Chiara , Presidente ... 25 
Della Porta Costanzo  ... 25 
Colosimo Chiara , Presidente ... 25 
Rando Vincenza  ... 25 
Colosimo Chiara , Presidente ... 25 
D'Attis Mauro (FI-PPE)  ... 25 
Colosimo Chiara , Presidente ... 26 
Orlando Andrea (PD-IDP)  ... 26 
Colosimo Chiara , Presidente ... 26 
De Lucia Maurizio , Procuratore della Repubblica di Palermo ... 26 
Colosimo Chiara , Presidente ... 29 
Sabella Marzia , procuratore aggiunto di Palermo ... 29 
Colosimo Chiara , Presidente ... 30

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
CHIARA COLOSIMO

  La seduta comincia alle 13.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Buongiorno a tutti. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche tramite impianto audiovisivo a circuito chiuso, nonché via streaming sulla web-tv della Camera.

Audizione del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, Maurizio de Lucia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo Maurizio De Lucia, accompagnato dai procuratori aggiunti Marzia Sabella e Paolo Guido, a cui do il benvenuto. Li ringrazio veramente di cuore per la disponibilità immediata a venire in audizione.
  Ricordo che la seduta odierna si svolge nelle forme dell'audizione libera ed è aperta alla partecipazione da remoto dei componenti della Commissione. I lavori potranno proseguire in forma segreta, a richiesta dell'audito o dei colleghi, e in tal caso non sarà più consentita la partecipazione da remoto e verrà interrotta la trasmissione via streaming sulla web-tv.
  Al fine di assicurare un ordinato svolgimento dei nostri lavori e consentire la più ampia partecipazione, prego i colleghi di rimanere nel limite dei tre minuti per intervento.
  Vista l'importanza della presente audizione do subito la parola al Procuratore de Lucia, che ancora ringrazio per la cortesia e la disponibilità.

  MAURIZIO DE LUCIA, Procuratore della Repubblica di Palermo. Grazie, presidente. Siamo noi innanzitutto che ringraziamo la Commissione per l'invito che ci ha rivolto. Riteniamo molto utile e molto importante dialogare con la Commissione parlamentare antimafia che nasce per le questioni di Palermo, sia pure negli anni Sessanta, e che ha una storia che, per molti versi, riguarda le vicende di Palermo.
  Passo subito a parlare delle questioni di attualità. Innanzitutto, credo che possa essere di interesse della Commissione conoscere come sia strutturata la nostra Direzione distrettuale antimafia, l'ufficio preposto al contrasto al crimine organizzato di tipo mafioso in un territorio assolutamente consistente come dimensione sia perché riguarda le tre province caratterizzate da una presenza mafiosa direi secolare, quelle di Palermo, Trapani e Agrigento, sia perché riguarda anche una popolazione notevole in termini di densità abitativa che peraltro varia – questo è un dato che va sempre tenuto in considerazione – anche in ragione, da un lato, dei flussi turistici, quelli positivi, e, dall'altro, dei flussi di immigrazione, che invece creano una serie di preoccupazioni.
  Di recente, abbiamo ristrutturato l'organizzazione della Direzione distrettuale antimafia di Palermo riportandola a quella struttura originaria, cioè una struttura che sta tutta sul territorio, dividendo la Direzione distrettuale in tre aree tutte territoriali – Palermo, Trapani e Agrigento – con al vertice di ciascuna un procuratore aggiunto con funzioni di coordinamento. Sono qui presenti dell'area di Palermo, la dottoressa Sabella, e il procuratore aggiunto coordinatore dell'area di Trapani, il dottor Pag. 4Guido. È assente, per una questione di salute, ma nulla di preoccupante, il dottor De Montis, il titolare della terza area che riguarda l'agrigentino. Da un punto di vista specifico, le aree si occupano settorialmente sia della questione delle misure di prevenzione, assegnate in questo momento alla dottoressa Sabella – poi dirò che a esse attribuiamo un'importanza determinante nel contrasto al crimine organizzato di tipo mafioso – sia del fenomeno della tratta che, per questioni territoriali, è affidato all'area territoriale di Agrigento. Attualmente i magistrati previsti in organico nella direzione distrettuale antimafia sono 25, di cui ventuno sostituti procuratori, tre procuratori aggiunti che ho citato e il Procuratore della Repubblica, che ha anche la responsabilità della Direzione distrettuale antimafia. In realtà, la situazione non è così luminosa come appare dai dati del progetto organizzativo e dalla nostra previsione perché l'organico della Procura di Palermo in questo momento manca di 14 sostituti. Abbiamo un organico di 61 sostituti procuratori, ce ne mancano 14, che sono una quota consistente. Devo dare atto al Consiglio superiore della magistratura di avere deciso, nell'ultima «infornata» di magistrati di nuova nomina, di destinarne 4 alla Procura della Repubblica di Palermo. Ciò, in prospettiva, ci consentirà di portare l'organico dei sostituti dedicati alla Direzione distrettuale antimafia a 14 ma da 21 ne mancano ancora sette. Questa è soprattutto una conseguenza della mancanza, per un non breve periodo di tempo, di concorsi che consentirebbero di riempire le piante organiche. Le piante organiche sono in via generale non piene. La nostra soffre in particolare dei numeri che ho detto e naturalmente non è indifferente avere una pianta organica con meno sostituti in un territorio come quello di Palermo.
  La struttura della nostra Direzione distrettuale antimafia riflette in qualche misura la struttura storica dell'organizzazione mafiosa principale che è presente sul territorio per il quale abbiamo la competenza, che è la Cosa Nostra siciliana, la Cosa Nostra palermitana in particolare, ma non solo, perché poi sono presenti fenomeni di criminalità organizzata comunque importanti Abbiamo ad esempio nell'area di Agrigento un ritorno del fenomeno «stiddaro», nato a cavallo fra la fine degli anni 80 e gli inizi degli anni 90, che per un certo periodo di tempo si è ritenuto sostanzialmente debellato, rispetto al quale invece oggi registriamo la nuova presenza di esponenti della vecchia organizzazione criminale e di nuovi soggetti che si avvicinano al fenomeno «stiddaro» per ricostruire un'organizzazione in qualche modo dialogante con Cosa nostra. Cosa nostra che attualmente – ritengo questo un fatto difficilmente contestabile – attraversa una fase di crisi, che nasce sostanzialmente nel momento di massimo «splendore», per usare un termine non appropriato, dell'organizzazione criminale, cioè nel momento in cui nel 1992, come tutti ricordiamo, vengono poste in essere le due stragi palermitane di Capaci e di via D'Amelio e gli attentati del 1993 che, con una valutazione sia politicamente sia forse anche dal punto di vista di Cosa nostra, sono eventi più eclatanti e più gravi perché non si svolgono nel territorio dove tradizionalmente Cosa nostra governa, cioè la Sicilia occidentale, ma nella penisola, e con un obiettivo molto sofisticato, ovvero i beni del patrimonio artistico nazionale. Cosa nostra manifesta il massimo della sua potenza. Da quel momento, l'organizzazione mafiosa incontra una forma di contrasto che non ha conosciuto in passato. Noi riteniamo che una delle caratteristiche fondamentali di Cosa nostra sia la sua elasticità, cioè la capacità di adeguarsi all'altro soggetto che è presente sul territorio, che è lo Stato. Sappiamo tutti che le due strutture, quella statuale e quella mafiosa, hanno delle similitudini proprio dal punto di vista morfologico del modo di essere, che sono la insistenza sullo stesso territorio – quello statuale – la presenza di regole, che sono presenti anche all'interno dell'organizzazione mafiosa, e la presenza di un popolo su cui si esercita la volontà mafiosa, in particolare quello dei cosiddetti uomini d'onore, e via dicendo. Questa struttura insiste sullo stesso territorio dello Stato e con lo Stato è abituata ad avere a che Pag. 5fare, nel senso che ci sono momenti in cui ci ha dialogato, ci sono dei momenti in cui ha subito il contrasto dello Stato. La caratteristica che si verifica dal 1992 in poi è che l'azione di contrasto dello Stato manifesta un carattere di continuità, nel senso che – non per citare il mio ufficio – fino a ieri, letteralmente, abbiamo applicato misure cautelari che hanno riguardato esponenti dell'organizzazione mafiosa a Palermo, l'avevamo fatto lunedì scorso, continueremo a farlo con una consecuzione che ha la sua origine proprio agli inizi di questa storia, nel 1992, utilizzando strumenti che poi il tempo ha affinato, ha evoluto e anche mutato da certi punti di vista.
  Il carattere della continuità mette in crisi l'organizzazione mafiosa, che si adegua a questa pressione, attuando in un certo periodo di tempo, che possiamo datare grosso modo dal 1995-1996, cioè con la cattura dei più importanti esponenti dell'ala stragista dell'organizzazione – in particolare Leoluca Bagarella e poi Giovanni Brusca – pervenendo a una fase che viene definita di «sommersione» dell'organizzazione, che non è una fase nuova nella storia di Cosa nostra, ma è sempre stata così. Cosa nostra ha sempre avuto più interesse a parlare e a fare affari con le classi dirigenti piuttosto che a dominare con l'uso della forza. L'uso della forza è una parentesi che possiamo datare dal 1978 in poi. L'assassinio di Cesare Terranova e del segretario provinciale della Democrazia cristiana di allora, Reina, sono i momenti in cui si verifica questo diverso modo di atteggiarsi dell'organizzazione mafiosa.
  Possiamo sintetizzare il carattere della continuità mediante l'utilizzo di quattro fondamentali linee di azione nel contrasto, che tuttora continuiamo a seguire. La prima attiene alla cattura dei grandi latitanti perché l'organizzazione mafiosa è una organizzazione – e in questo si differenzia dalle altre mafie italiane – caratterizzata da un profilo di unitarietà. C'è la Commissione provinciale di Cosa nostra che è l'organo di governo ed è anche l'organo che assume le decisioni strategiche dell'organizzazione stessa. È corretto dunque dire che lo Stato ha svolto innanzitutto un'attività di ricerca dei latitanti in questi trent'anni che poi si è definita, in termini assai recenti, con uno di loro, ma non dobbiamo dimenticare che dal 15 gennaio 1993, ma forse anche prima – ora non ricordo quando è stato arrestato Santapaola, comunque mesi dopo la cattura di Riina – dal 1993 in poi, dicevo, il primo sforzo che lo Stato fa è quello di catturare i latitanti, il che significa togliere le intelligenze che comandano l'organizzazione del territorio. Un dato estremamente importante su cui si sono spese risorse e che ha dato risultati positivi.
  Il secondo pilastro sul quale si sviluppa la nostra azione – che continuiamo, ripeto, a esercitare anche oggi e su cui bisogna tenere a mio giudizio molto alta la guardia – attiene al modo in cui i latitanti, una volta catturati, vengono custoditi nelle nostre carceri cioè con l'applicazione del regime speciale di cui all'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario. Questo è uno strumento essenziale perché le caratteristiche di Cosa nostra, ma più in generale di tutte le mafie, sono quelle di cercare continuamente e costantemente vertici che siano in grado di dirigerle. Il fatto che questi vertici siano all'interno del carcere, ma non siano posti in una condizione di non comunicazione con l'esterno, rende sostanzialmente inutile la loro cattura. Questo lo diciamo sulla scorta di decine di deposizioni dei collaboratori di giustizia che ci hanno spiegato come funzionava il regime detentivo prima dell'applicazione del cosiddetto carcere speciale. Da questo punto di vista, bisogna ricordare che questa è una misura di prevenzione che ha lo scopo di isolare il capo dell'organizzazione dall'esterno e impedirgli di continuare a fare quello che faceva da libero. Ed è solo una misura di prevenzione: bisogna stare molto attenti a non immaginarla come una pena in più. Non è una pena in più. Io lo spiego spesso con un esempio. A noi è capitato di non chiedere l'applicazione del regime del 41-bis per killer che hanno commesso numerosi omicidi, perché quei killer sapevano sparare ma neppure sapevano perché sparavano, quale fosse l'obiettivo, quale fosse la strategia che stava dietro la scelta di Pag. 6compiere l'omicidio, mentre soggetti apparentemente in cattive condizioni di salute, anziani, ma con la capacità di comandare e di dirigere, per quelli sì abbiamo chiesto e insistito l'applicazione della misura, anche in situazioni di particolare precarietà di salute. Finché ci fosse stata la possibilità che un capo vero dell'organizzazione potesse dare ordine dall'interno del carcere al suo esterno era necessario, ed è tuttora necessario, impedire che questo avvenga. Ciò detto, è chiaro che i parametri che ci dettano le Corti europee e la Corte costituzionale in materia di 41-bis devono essere rispettati e che alcune cose a nostro giudizio sono insuperabili. L'idea che un vetro separi il nipote dal nonno e gli impedisca il contatto fisico anche se può non piacere e apparire una forzatura dal punto di vista dei diritti umani, non lo è nella misura in cui sappiamo che attraverso quel nipote potrebbe essere lanciata una comunicazione all'esterno, mentre non c'è dubbio che siano irragionevoli una serie di regole che temo siano ancora vigenti. Ad esempio le dimensioni delle foto dei familiari che possono essere tenute in cella: francamente non riesco neppure io a comprendere quali possano essere le ragioni per cui uno debba avere la foto della moglie in un certo formato piuttosto che in un altro. Quindi, anche qui si tratta semmai di rivedere l'istituto, ma solo da questo punto di vista. L'istituto in sé conserva, ed è assolutamente imprescindibile che conservi, l'importanza che ha avuto in questo momento: il fatto di impedire ai capi di continuare a comunicare con l'esterno è una delle ragioni per cui l'organizzazione Cosa nostra è in oggettiva difficoltà.
  Il terzo degli strumenti utilizzati e tuttora per noi di preziosissima utilità nella costruzione degli strumenti di indebolimento dell'organizzazione mafiosa, sta nell'uso degli strumenti e delle misure di prevenzione, e dei sequestri penali in tutte le forme in cui l'ordinamento ce li offre, perché anche qui la ragione pratica, e in qualche modo anche con una ricaduta sul modo di pensare dei mafiosi, è che si diventa mafiosi anche perché si vuole diventare ricchi. È quindi del tutto naturale che lo Stato ponga in essere tutti gli strumenti a sua disposizione per impoverire l'organizzazione mafiosa. L'uso degli strumenti di sequestro e di confisca dei beni sia con il binario delle misure di prevenzione sia con il binario dei sequestri in materia penale – e noi tendiamo a perseguirli entrambi – è anche questo uno strumento imprescindibile rispetto al quale continuiamo massicciamente a investire e a operare. La componente che si occupa di misure di prevenzione credo sia di 12 sostituti ed è massicciamente impegnata su questo fronte. Abbiamo un problema di ricchezza dell'organizzazione mafiosa sul territorio, che proviene dagli investimenti fatti in decenni di presenza di sfruttamento del territorio nelle varie forme, abbiamo un problema di ricerca di quei capitali che non sono stati investiti sul territorio e che hanno subito un fenomeno di finanziarizzazione e che quindi si trovano ovunque sul pianeta, il che pone il problema del rafforzamento delle connessioni e delle collaborazioni in campo internazionale, tema anche questo che il mio ufficio sta cercando di sviluppare in tutti i modi possibili, aprendosi alle collaborazioni non soltanto con gli istituti europei, Eurojust, in particolare, e la stessa EPPO (Procura europea) con cui costantemente ci coordiniamo, ma soprattutto con canali di comunicazione diretta con gli uffici giudiziari del resto del mondo, in cui ci sia una qualunque traccia della presenza di capitali mafiosi.
  Tornando verso il basso, lo sforzo – che ha anche un importante valore simbolico – sta nel sequestro e nella confisca di tutto quello di cui i mafiosi possono disporre. Se immaginiamo che un giovane della borgata di Brancaccio in questo momento senza particolari prospettive nella vita civile, occupazionali, culturali e via dicendo, vede nel mafioso, con la moto di grossa cilindrata comprata con il minimo sforzo della cessione di un po' di stupefacente, un modello, l'idea di non solo sequestrare e confiscare quella moto, ma poi di affidarla, come la legge ci consente di fare, alle forze di polizia, vuol dire mettere su quella moto quelli che loro chiamano gli «sbirri». Questa cosa ha un'importanza forse superiore Pag. 7a quella di appropriarci del bene perché innesta un meccanismo e un ragionamento soprattutto nei ragazzi più giovani, nel senso del: «mi conviene o non mi conviene fare una scelta verso la mafia?». Diversi anni fa per fortuna, tale scelta era con un chiaro saldo positivo per la mafia.
  Oggi non è più così, perché, anche attuando il quarto dei pilastri, cui accennavo all'inizio, cioè la continuità dell'azione investigativa sul territorio che porti in maniera sistematica a processi e condanne, colpisce dal punto di vista strutturale uno dei cardini del pensiero mafioso, cioè l'impunità. Anche qui possiamo dire che fino agli anni ottanta, era scontato che il mafioso il carcere lo avrebbe conosciuto soltanto in via transitoria attraverso la carcerazione preventiva, ma non era la sua destinazione finale, diciamo così. Dagli anni novanta fino, ripeto, a ieri, le catture dei mafiosi attraverso le indagini operate dalle forze di polizia e coordinate dal mio ufficio non si contano, e questo a lungo andare crea un vulnus nel pensiero mafioso perché il ragionamento: «io lo faccio ma poi finisco in galera» diventa una parte prioritaria del pensiero di questi soggetti.
  Questi sono quindi i quattro pilastri fondamentali della nostra azione. Parlo ora degli strumenti fondamentali per potere costruire i processi. Le procure della Repubblica e le direzioni distrettuali antimafia, nella mia valutazione, ma non solo nella mia, sono lo strumento fondamentale di quello che è accaduto dal 1992 in poi. Anche qui non si può che darne atto a chi le ha ideate, cioè a Giovanni Falcone, che ha trasformato i pool in istituzioni e ha creato magistrati esperti che, nel fare sostanzialmente solo questo, acquisiscono una professionalità che altrimenti non sarebbe stato possibile acquisire. Le direzioni distrettuali antimafia hanno fatto tutto questo certamente con un uso di strumenti che dobbiamo rivendicare come a onore di tutto il Paese, ovvero gli strumenti del diritto. Tutto quello che è stato fatto contro le mafie è stato fatto con l'uso degli strumenti del processo e quindi con l'uso e il rispetto delle leggi. Non sempre in altri Paesi questo è avvenuto rispetto a fenomeni paragonabili a quello italiano. Nel nostro contesto e all'interno degli strumenti processuali, quelli determinanti per la nostra azione in passato, e anche oggi, sono fondamentalmente due – stante la natura omertosa dell'organizzazione mafiosa, caratterizzata dal vincolo della segretezza, che occorre penetrare.
  Uno è fornito dai collaboratori di giustizia, l'altro dallo strumento delle intercettazioni, nelle varie dimensioni in cui questo strumento deve essere preso in considerazione. Sui collaboratori di giustizia, che sono stati decisivi in un certo periodo del contrasto a Cosa nostra, oggi registriamo una flessione nella qualità e nel numero. Non è un dato tranquillizzante. Nella qualità, una volta assodato che l'organizzazione tende a diminuire la sua capacità strategica, è forse naturale non avere più i collaboratori della qualità del passato, però non c'è dubbio che i collaboratori sono lo strumento, io direi, ordinario, di contrasto al crimine organizzato. Il fatto che non ne intervengano di nuovi e di un livello qualitativo medio-alto in parte dipende dall'attuale situazione storica in cui si trova Cosa nostra, ma in parte dipende da una legislazione che in questo momento a nostro giudizio potrebbe essere migliorata in termini di elasticità della comprensione del fenomeno. Ciò nel senso che quei 180 giorni iniziali sono uno strumento che probabilmente dovrebbe essere rivisto e chiarito nei termini di capire quali siano veramente i fatti indispensabili che devono essere ricordati in un certo periodo e quali invece non dico possano stare fuori ma è quasi naturale vengano ricordati in un momento successivo. Inoltre occorrerebbe mettere mano al miglioramento di una macchina amministrativa che gestisce il collaboratore di giustizia, macchina che io conosco anche per esperienza personale per essere stato sette anni componente della commissione che si è occupata della gestione dei collaboratori di giustizia. Le persone dedicate a questo lavoro sono di notevolissima qualità però anche qui qualche cosa in più probabilmente si può fare.
  L'altro strumento che in questo momento è davvero decisivo è quello delle Pag. 8intercettazioni, nelle varie forme in cui ne parliamo, intanto per un dato minimale. Se parliamo di crimine organizzato, organizzazione vuol dire comunicazione e i mafiosi fra loro non solo parlano, ma eccome parlano. Se non parlassero non avremmo la mafia, perché non avrebbero la capacità di mettersi d'accordo sugli affari da gestire, quindi è del tutto naturale che delle comunicazioni avvengano. Come si diventa mafiosi per essere ricchi, e quindi siamo tenuti a sottrarre loro i patrimoni così è naturale che i mafiosi parlino tra loro e dunque è, per noi, obbligatorio cercare di entrare all'interno delle organizzazioni ascoltando i mafiosi che mafìano, come si dice a Palermo. Questo pone una serie di problemi perché, da un lato, il meccanismo delle intercettazioni in questo momento paradossalmente ci colloca in una situazione di ritardo rispetto alle forme più evolute di comunicazione che le mafie usano. Avrete sentito parlare di piattaforme criptate oltre che di deep web. Ormai abbiamo una serie di comunicazioni importanti che le mafie praticano attraverso le piattaforme criptate. Rispetto a questi strumenti siamo in ritardo. Altri Paesi europei hanno forze di polizia che sono già riuscite a entrare in queste piattaforme. Noi ancora no. Abbiamo un problema di adeguamento prima che normativo addirittura tecnologico da questo punto di vista. Poi abbiamo naturalmente la necessità di avere un quadro giuridico stabile e un quadro tecnico di risorse forte per poter utilizzare questo strumento. Sul primo aspetto, dico una cosa addirittura banale: è chiaro che le intercettazioni in materia di criminalità organizzata, anzi qualunque tipo di intercettazione, è talmente importante che non posso immaginare riforme in senso limitativo dello strumento. Ci sono però una serie di evoluzioni giurisprudenziali che guardiamo con una certa preoccupazione. Ad esempio in relazione alla definizione di criminalità organizzata. Attualmente alcune sentenze della Cassazione, sia pure isolate, fanno riferimento a una limitazione del concetto ai soli reati riconducibili all'articolo 51, comma 3-bis del codice di procedura penale e 51, comma 3-quater per i delitti di terrorismo, lasciando fuori alcuni reati dalla possibilità di intercettare con gli strumenti previsti per il crimine organizzato. Questo è pericoloso, non soltanto perché in questo momento non si capisce che cosa sia intercettabile e che cosa no, ma perché le conseguenze possono essere importanti dal punto di vista ad esempio dei termini delle indagini e dei tempi delle intercettazioni, conseguenze oggi non prevedibili ma domani, quando ci sarà il processo, sicuramente valutabili. Una delle difficoltà del pubblico ministero, per cui è importante avere un quadro normativo stabile, è proprio quella di potere immaginare quello che accadrà in un momento successivo. Oggi perdiamo molti processi nei dibattimenti, grazie a Dio non di criminalità organizzata, perché il decorso del tempo è tale che una testimonianza, un conto è se venga assunta a pochi mesi dal fatto, un altro se venga assunta dopo cinque anni. In tali casi non è semplice avere la stessa coerente versione che era stata data quando il fatto è avvenuto, ed è una delle ragioni per cui – ma qui non parlo di criminalità organizzata, ma di funzionamento del processo penale e del suo dibattimento – il numero di sentenze di assoluzione è eccessivamente elevato rispetto alle iniziative penali che il pubblico ministero propone.
  Oltre dunque alla necessità di un quadro normativo stabile, vi è la necessità di risorse stabili perché – ma non solo noi Procura distrettuale antimafia di Palermo ma tutte le procure d'Italia – abbiamo problemi in relazione alla dimensione degli archivi riservati che la legge prevede che il Procuratore della Repubblica debba custodire e dove debbano entrare, come è noto, le conversazioni non rilevanti ai fini del processo, perché gli archivi si vanno esaurendo. Lo stesso discorso vale nella fase attiva delle intercettazioni, per la collocazione dei server per essere utilizzati. Anche qui c'è un problema di investimento e di rivisitazione in qualche misura della macchina. Dopodiché, il sistema delle intercettazioni in questo momento indubbiamente funziona. Penso di potere dire che ad esempio il tema della impermeabilizzazione delle intercettazioni non rilevanti, a seguito della Pag. 9intervenuta applicazione e attuazione della riforma Orlando in materia, pone la parola finale. Non ci sono intercettazioni non rilevanti che fuoriescano dagli archivi del Procuratore della Repubblica. Sono stato procuratore di Messina e di Palermo, a me non è mai successo, ma non ho notizie di altri a cui possa essere accaduta una cosa del genere. Intercettare le comunicazioni dei mafiosi rimane quindi lo strumento fondamentale per capire non solo chi siano i mafiosi e quali reati commettano, ma anche quali siano i loro programmi e le loro iniziative. Questo è l'ulteriore strumento indispensabile per potere continuare a proseguire le indagini verso questa organizzazione criminale, Cosa nostra, che io ho detto più volte nel corso del mio intervento si è indebolita ma è tutt'altro che sconfitta.
  Questo è un tema che occorre avere molto chiaro perché, proprio in questi momenti di debolezza, cerca di ristrutturarsi fondamentalmente attraverso due iniziative. Una è quella della ricerca dei nuovi capitali. Un'organizzazione impoverita, prima di diventare forte militarmente, deve diventare forte economicamente. Osserviamo un rinato interesse verso i traffici di stupefacenti a diversi livelli, perché la droga, e in particolare la cocaina, è probabilmente la merce al mondo con il valore aggiunto più alto. È notorio che se si investono 50 dollari in Colombia, si ricavano 50 mila euro dalla vendita dello stesso chilo di cocaina sul mercato nazionale e quindi si ha la possibilità di accumulare capitali in questo modo, atteso che non solo bisogna accumulare ma anche farlo in tempi rapidi e molto efficienti. Ciò è nelle cose dell'organizzazione, la quale lo sta ponendo in essere adesso con due iniziative che emergono dalle nostre indagini. Una è il ritorno massiccio sul territorio, cioè quei luoghi che, con linguaggio non siciliano, si definiscono le piazze di spaccio, cominciano a non essere più appaltate a organizzazioni meno strutturate, penso alle organizzazioni criminali di importazione, famiglie nigeriane e centrafricane in particolare, tradizionalmente delegate alla gestione della distribuzione degli stupefacenti sul territorio. Oggi l'organizzazione torna a gestire, seppure a livelli bassi, anche questo pezzo di territorio, ma soprattutto riallacciando e riaprendo i rapporti con la 'ndrangheta. Abbiamo indagini recentissime che ci indicano come l'importazione venga mediata e accordata con famiglie 'ndranghetiste per potere tornare poi sui mercati internazionali, perché se è vero che la 'ndrangheta ha sostanzialmente il monopolio del brokeraggio degli stupefacenti in particolare dal Sudamerica, è anche vero che un grande brand come quello di Cosa nostra non si abbandona e quindi c'è un interesse anche della 'ndrangheta a riallinearsi e a creare affari insieme, e i luoghi dove si creano affari sono pericolosi per la sicurezza dello Stato perché sono affari criminali che rafforzano entrambe le organizzazioni.
  In questo momento, per accumulare capitali, queste sono le due scelte che l'organizzazione fa. Essa non rinuncia ai suoi traffici tradizionali, relativi alla presenza sul territorio, quindi con manifestazione della sua potestà sul territorio attraverso l'intervento massiccio in materia di estorsioni, e una rinnovata attenzione al tema degli appalti pubblici, perché, in considerazione della crisi dell'offensiva mafiosa e della mancanza oggettiva di appalti pubblici per un breve periodo di tempo, è apparso come se l'organizzazione mafiosa Cosa nostra fosse stata distratta rispetto alla gestione degli appalti pubblici. La situazione è diversa, soprattutto oggi, fra PNRR e altri denari che comunque dopo il COVID-19 sono rientrati in circolazione. Le imprese mafiose, che sempre sono esistite e continuano a esistere e sono strutturate a vari livelli, innanzitutto quelle dove l'impatto tecnologico è minore – penso al trasporto terra e alle imprese dell'edilizia – ma anche ad altri livelli, hanno un rinnovato interesse verso l'intercettazione degli appalti. Uno dei problemi, in termini di prevenzione, sta non soltanto nelle nuove soglie che il codice degli appalti prevede per i diversi moduli di aggiudicazione, ma soprattutto nel numero delle stazioni appaltanti che continua a essere assolutamente eccessivo. Le stazioni appaltanti per enti locali di modeste dimensioni consentonoPag. 10 infatti, una volta che l'organizzazione mafiosa sia infiltrata all'interno dell'ente locale, la gestione delle stazioni appaltanti che esso gestisce. Questo è un altro di quei profili che la mia Procura intende segnalare come luogo nel quale l'attenzione deve essere elevata perché, ripeto, una cosa è avere una stazione appaltante collocata in una posizione più distante rispetto al territorio e formata da tecnici che hanno una loro riconoscibilità e onorabilità anche professionale, oltre che una retribuzione adeguata, una cosa è affidare la gara a personale di un ufficio tecnico di un comune con poche migliaia di abitanti il cui tecnico appunto vive in quel comune e a mezzanotte di una sera qualsiasi d'estate si sente bussare alla porta per essere convocato da quattro ceffi che gli spiegano come deve essere gestito l'appalto. È molto più difficile opporre una resistenza a questo tipo di pressione.
  Presidente, credo di avere svolto un'introduzione soltanto di carattere generale e me ne scuso, ma naturalmente sia io sia i procuratori aggiunti siamo a disposizione per tutti gli approfondimenti che immagino la Commissione voglia richiedere, anche per capire se, nel quadro generale che abbiamo dato, vi siano delle omissioni così gravi da imporci di chiedere scusa alla Commissione stessa. Grazie.

  PRESIDENTE. Ci mancherebbe, Procuratore, assolutamente no. Però ai commissari sarà molto gradito porle domande. Mi permetto di anticiparli soltanto perché è naturale che in questi mesi si sia a lungo parlato dell'arresto di Matteo Messina Denaro, a cui lei più volte ha fatto riferimento. In una delle sue interviste ho trovato particolarmente interessante un passaggio che lei fa sugli aspetti penali in riferimento al reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Le faccio questa domanda per sgombrare il campo da ogni dubbio, ma soprattutto per provare a capire come la Commissione, anche utilizzando quel termine da lei menzionato in un'altra intervista, «problema civile», possa affiancare e non sostituire o interferire con il lavoro che lei sta svolgendo in sede giudiziaria. Questo lo dico perché è evidente che abbiamo una necessità, come organo politico, di un risveglio delle coscienze civili e anche di sapere come alcune relazioni, complicità e omertà possano essere sconfitte insieme.

  MAURIZIO DE LUCIA, Procuratore della Repubblica di Palermo. La mia prima gravissima omissione è che mi ero riservato di considerare uno degli aspetti fondamentali che distingue Cosa nostra da tutte le formazioni criminali ordinarie, cioè il suo storico rapporto con l'esterno, cioè con entità diverse che in senso ampio possiamo indicare come la politica, dove per politica indichiamo non soltanto gli eletti ma naturalmente tutto il mondo delle amministrazioni e in qualche misura tutto il mondo delle professioni, perché se Cosa nostra è stata ed è tale, questo dipende anche dal fatto che c'è da sempre uno scambio reciproco di, chiamiamoli, favori fra l'organizzazione mafiosa e altri mondi. A questo proposito, prima citavo il tema degli appalti perché anche esso è un canale di comunicazione storico fra l'organizzazione mafiosa e gli altri mondi. Attraverso le rassicurazioni nella gestione degli appalti e gli interventi nei finanziamenti degli appalti, che in passato ci sono stati e sono stati oggetto di processi istruiti dalla Procura di Palermo, e le garanzie, anche di pace sociale, all'interno dei cantieri, si sono intesi realizzare dei favori che sono stati ricambiati dal mondo delle imprese – anche qui non generalizzo ma così è – che hanno consentito di creare poi quei «tavolini», per usare l'espressione di un importante uomo d'onore negli anni novanta, a cui sedevano imprenditori, politici e mafiosi, ciascuno ricevendo importanti vantaggi dal tavolino stesso. Vantaggi che indico, perché poi è utile per guardare al futuro e al tema dell'infiltrazione nel mondo degli appalti oggi. L'appaltatore, utilizzando il meccanismo delle cosiddette griglie, sapeva prima quale appalto avrebbe conseguito, e quindi non avrebbe avuto tutti i problemi relativi ai costi di progettazione per appalti a cui non avrebbe concorso utilmente. Il politico – anche qui, ripeto, in senso ampio – era colui il quale avrebbe ricevuto una tangente per favorire Pag. 11l'intera catena di aggiudicazione dell'appalto, per capirci, non soltanto chi prevede il finanziamento, ma anche il funzionario che ha le chiavi della stanza del sindaco all'interno della quale sono custodite le buste in cui sono presentate le offerte rispetto a cui, se c'è un imprenditore riottoso, l'ultima cosa che si fa è sparargli e la prima è togliere dalla busta un documento per farlo escludere dalla gara. Infine i mafiosi, che non soltanto ricevevano la loro quota di tangente, ma soprattutto si potevano sedere a questo tavolo per iniziare altre «discussioni» anche in termini di modifiche di piani regolatori per poi arrivare al livello della politica alta e quindi ottenere o avviare ragionamenti in materia di modifiche legislative a loro utili.
  Sono rapporti che abbiamo perseguito utilizzando lo strumento degli articoli 110 e 416-bis per venire al cuore della sua domanda, cioè del concorso esterno in associazione mafiosa, tema che per la verità è in discussione credo dal 1930, perché nel Trattato di diritto penale di Manzini si pone il problema del rapporto fra gli articoli 110 e 416-bis e in realtà fin da allora si disse che il problema non è la sola partecipazione all'associazione ma è il concorso. Tutte le volte in cui un soggetto che non compie la condotta descritta dalla norma ma che dà un contributo alla realizzazione dell'evento previsto dalla norma o non lo si punisce oppure lo si deve perseguire con le regole del concorso. Se do una pistola a un soggetto e quello poi ammazza qualcuno, se io so che quella pistola serviva per ammazzare qualcuno non è che ho fatto una cessione di un'arma, ma ho dato un contributo causale a realizzare un omicidio. Per il concorso nella associazione mafiosa è esattamente la stessa cosa. Se io sono un sindaco che sistematicamente favorisce con condotte abusive, ad esempio in violazione delle norme in materia di licenze edilizie, la costruzione di abitazioni che favoriscono il mafioso che ha le imprese che costruiscono in quell'area, ciò allo stato attuale della legislazione si persegue in due modi. O applicando più ipotesi previste dall'articolo 323, cioè l'abuso d'ufficio, oppure, applicando il concorso esterno, una volta raggiunta la prova dell'elemento psicologico, cioè della consapevolezza di porre in essere gli abusi per favorire l'organizzazione del mafioso, si procede alla contestazione ai sensi degli articoli 110 e 416-bis. Siccome lo strumento è oggettivamente delicato può essere oggetto di una riflessione. Ad esempio, al giorno d'oggi, c'è una giurisprudenza molto consolidata per alcune condotte – penso proprio agli imprenditori – che potrebbero essere normate con una modifica legislativa, ma sul lato dell'articolo 416-bis, nel senso di individuare ulteriori forme tipizzate di condotta che non è più di concorso esterno ma di vera e propria consumazione del reato come previsto dalla norma. In ogni caso mi pare assai difficile immaginare di non ricorrere più a uno strumento che, ripeto, esiste nel sistema del 1930. Ciò non perché esiste e non si può toccare, ma perché intanto si è rivelato non solo uno strumento utile – ed è lo strumento corretto, a mio giudizio, per colpire quei disvalori che hanno una rilevanza sotto il profilo dei beni giuridici costituzionalmente protetti che devono essere tutelati dalla norma penale – ma perché il sistema appunto lo consente e in qualche misura lo impone e quindi noi possiamo rivisitare l'area di applicazione del concorso esterno, ma soltanto individuando delle fattispecie ulteriormente tipizzate dal punto di vista della legge penale. Immaginare altre forme di riesame del concorso esterno e una abolizione tout court dell'istituto, mi pare davvero difficile.

  PRESIDENTE. Grazie davvero Procuratore per questa sua aggiunta che non è soltanto di colore o di borghesia, come l'ha chiamata, mafiosa, ma anche specifica verso cosa stiamo andando e di che cosa abbiamo bisogno.
  Do la parola all'onorevole Barbagallo, collegato da remoto.

  ANTHONY EMANUELE BARBAGALLO. Ringrazio il procuratore per la relazione puntuale e attenta su diversi aspetti, anche sull'inquadramento del fenomeno mafioso in questo momento in Sicilia. L'impressione è che negli ultimi 20-25 anni attorno al Pag. 12sistema dei rifiuti in Sicilia si sia creata una serie di attenzioni particolari della criminalità organizzata del sistema mafioso che riesce a utilizzare bene non soltanto i monopoli o alcuni oligopoli che ci sono sia nel sistema delle discariche sia nel sistema della raccolta dei rifiuti. Le volevo chiedere quali siano i possibili correttivi dal punto di vista normativo, anche in considerazione della legislazione speciale siciliana. Più volte è intervenuta in argomento anche la Corte dei conti chiedendo che le società di raccolta dei rifiuti venissero trasformate da private a pubbliche, in particolare nella relazione del 2016. Inoltre, più volte abbiamo chiesto a gran voce di escludere categoricamente il divieto di subappalto, perché l'impressione che abbiamo è che in alcune zone, nonostante cambi l'aggiudicatario, poi il subappaltatore sia sempre lo stesso, e questo crea un circolo vizioso veramente preoccupante.

  PRESIDENTE. Perché i lavori procedano più ordinati, farei intervenire tre colleghi alla volta, alternandoli con le risposte del Procuratore.
  Do la parola al senatore Scarpinato.

  ROBERTO MARIA FERDINANDO SCARPINATO. In questo momento sono in discussione alcune proposte di legge che potrebbero avere gravi ricadute nella capacità di risposta repressiva dello Stato nei confronti della mafia e al riguardo vorrei la sua opinione. La prima è la proposta del ministro Nordio, sposata anche da alcune forze della maggioranza governativa, di impedire l'uso delle intercettazioni, e in particolare del trojan, per reati di corruzione nella pubblica amministrazione, perché ritenuti non sufficientemente gravi da giustificare il sacrificio della privacy rispetto alle esigenze della collettività. Al riguardo, il procuratore Melillo ha evidenziato che ormai le forme più evolute nella mafia non sono quelle che si dedicano all'attività predatoria classica dell'estorsione ma quelle che si muovono sul terreno degli affari dei colletti bianchi, cioè proprio i reati contro la pubblica amministrazione. Per esempio nel centro nord, la maggior parte delle indagini sulla mafia è stato possibile realizzarle iniziando da indagini che riguardavano la corruzione. A sua volta il Procuratore della Repubblica di Roma ha detto che anche a Roma molte delle indagini che sono iniziate per la corruzione hanno poi portato a scoprire che dietro c'è un reticolo di mafiosi tanto che oggi si parla di mafia-corruzione. Lei ritiene che impedire l'uso del trojan e le intercettazioni per reati di corruzione possa avere ricadute negative?
  Per la seconda domanda mi aggancio a quello che lei ha detto a proposito degli appalti. Sono in corso proposte di abolizione del reato di abuso d'ufficio e di ridimensionamento forte del reato di traffico di influenze nello stesso momento in cui il codice degli appalti ha fortemente aumentato il tasso di discrezionalità alla spesa pubblica, lei ne ha fatto cenno. Le chiedo se queste iniziative possano determinare un ulteriore abbassamento del livello di risposta, tenuto conto che l'abuso d'ufficio attualmente esiste soltanto nella limitata forma della violazione dell'obbligo dell'astensione e della violazione delle norme specifiche alle quali non residua alcun margine di discrezionalità. Tenuto conto che la nuova normativa sugli appalti ha previsto la possibilità di bandire gare sino a 10 milioni di euro – il 95 per cento delle gare toccano questa soglia – limitandosi a invitare, quindi facendo uso della discrezionalità, cinque ditte per le gare sino a 5 milioni e 10 ditte per le gare sino a 10 milioni, il fatto che non ci sia gara significa che non solo non si può contestare l'abuso d'ufficio, perché l'esercizio della discrezionalità non è più sindacabile, ma non si può contestare neanche il reato di turbativa d'asta. Salta quindi un doppio livello di controllo legale. Si discute in Commissione giustizia, a proposito della riforma delle intercettazioni, sulla possibilità di impedire l'utilizzazione dei risultati delle intercettazioni quando siano state disposte per un reato e durante l'ascolto siano state accertati altri reati per i quali le intercettazioni sono ammesse dalla legge, cioè per reati con pena superiore a cinque anni, le cosiddette intercettazioni «a strascico». Le chiedo, in base alla sua esperienza, se le intercettazioni a Pag. 13strascico per quanto riguarda la criminalità «a strascico» cioè l'attività mafiosa che non si limita a compiere un reato una volta ma che è una stakanovista del crimine e che nella sua attività compie reati di vario genere, non siano lo strumento che consenta, partendo per esempio dalla intercettazione di un'estorsione, di accertare poi un riciclaggio, un omicidio o l'aggiustamento di un appalto e quindi l'inutilizzabilità delle intercettazioni disposte per altri reati non possa a sua volta compromettere la risposta dello Stato alla comunità mafiosa. Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola al senatore Sallemi.

  SALVATORE SALLEMI. Grazie procuratore per la sua chiara illustrazione. Vorrei fare una riflessione, se mi consente, presidente, partendo anche da una sua domanda per fare chiarezza anche nei confronti degli interventi che ci sono stati e magari ci saranno. È chiaro ed è evidente che sul tema delle intercettazioni e soprattutto sul tema del concorso esterno, non vorrei che si commettesse un errore interpretativo. Noti e autorevoli esponenti del Governo, hanno chiaramente più volte ribadito – e questo è stato fatto anche in Commissione giustizia – che sia per il 41-bis sia per le intercettazioni sia per il concorso esterno non c'è nessuna volontà di limitare la capacità offensiva delle procure nei confronti dell'organizzazione criminale di stampo mafioso. Questo è giusto dirlo per fugare il campo da ogni interpretazione distorta e sbagliata, questo ci tengo a precisarlo, presidente, quindi mi scusi se ho fatto questa puntualizzazione.
  Vorrei porre al Procuratore una domanda sul fenomeno stiddaro che, nello specifico, è un fenomeno che si evolve nella zona dell'agrigentino, ma lambisce anche la provincia di Ragusa. Essendo io vittoriese ho vissuto negli anni novanta una delle peggiori faide criminali che hanno colpito la città di Vittoria nel ragusano, cioè lo scontro fra il clan Dominante e Carbonaro. La recrudescenza del fenomeno, cioè il fatto che fenomeni di associazione criminale di tipo stiddaro ricomincino a galoppare in quella zona può dipendere dal fatto che molti esponenti o affiliati arrestati negli anni novanta stanno ritornando in libertà e quindi questo ritornare in libertà può condizionare e far aumentare la capacità «bellicosa» di questa organizzazione criminale? In caso negativo, allora quale potrebbe essere il motivo per cui un fenomeno criminale che negli ultimi 15-20 anni si era sostanzialmente ridotto nella sua capacità di fuoco sia di nuovo spuntando?
  Un'altra domanda riguarda la vicenda di Matteo Messina Denaro. Un noto esponente ha affermato che le notizie che Matteo Messina Denaro fosse in condizioni di circolare e muoversi liberamente o che addirittura si sapesse che si fosse consegnato spontaneamente alle forze dell'ordine, siano state fatte trapelare da soggetti che erano in regime di 41-bis. Ritiene che informazioni segretissime possano uscire fuori da persone sottoposte a questo regime? Qual è il suo punto di vista?

  PRESIDENTE. Do la parola al Procuratore per un primo giro di risposte.

  MAURIZIO DE LUCIA, Procuratore della Repubblica di Palermo. La questione dei rifiuti è una delle emergenze siciliane non da oggi, ma da sempre direi, e si ricollega al tema della gestione degli appalti. In questo momento, per quanto riguarda la mia area territoriale, cioè la Sicilia occidentale, non abbiamo evidenze di infiltrazioni attive in materia di appalti e non abbiamo particolari procedimenti che riguardano questa materia che però è la stessa a cui ho fatto cenno quando ho parlato degli appalti. Dal punto di vista della prevenzione torniamo a due questioni. Una è la trasparenza nell'aggiudicazione degli appalti – e anche qui bisognerebbe prima capire quali – e l'altra, e questo è un tema invece su cui siamo particolarmente attivi, è quella della gestione dei subappalti. Oggi non abbiamo imprese mafiose di grandi dimensioni ma continuiamo ad avere un rilevante numero di imprese mafiose che gestiscono proprio il sistema dei subappalti, anche sostituendosiPag. 14 agli ordinari aggiudicatari del subappalto. Lo strumento che dobbiamo utilizzare è duplice: da un lato – ma questo lo prevede la legge regionale siciliana – la tracciabilità dei finanziamenti e soprattutto del pagamento delle retribuzioni per i lavoratori, salvo che naturalmente non vi sia poi un accordo occulto per cui quanto si è versato venga restituito in contanti, il che ci è capitato di riscontrare. L'altra questione dipende dal nostro lavoro e dal lavoro delle polizie giudiziarie, che ho dimenticato di ringraziare, ma senza le quali naturalmente nulla di quello che facciamo sarebbe possibile, e cioè il controllo sul campo. Non bastano cioè né i controlli formali né i controlli telematici, se prima non abbiamo personale che sia in grado di fare un oculato servizio di osservazione, per vedere la cosa fondamentale, perché, anche se è rispettata l'intera catena di aggiudicazione dell'appalto, noi poi ci troviamo con il camion che, seppure sia dell'impresa che si è aggiudicata il subappalto, è guidato dall'esponente della famiglia mafiosa o da chi l'esponente della famiglia mafiosa ha designato. In via del tutto generale, le indicazioni sono il massimo della trasparenza nell'aggiudicazione degli appalti e controlli in materia di subappalti che solo in parte dipendono dall'autorità amministrativa e in larga misura dipendono dal tipo di attività che svolgiamo.
  Per quanto riguarda le intercettazioni, intanto devo dire che io sono il Procuratore della Repubblica di Palermo, quindi sono un magistrato e quindi io per primo mi inchino alla sovranità del Parlamento. Qualunque cosa il Parlamento decida è semplicemente nostro dovere porla in esecuzione. Però, quando veniamo consultati come tecnici nelle varie audizioni, che ho già avuto in Commissione giustizia e anche in questo momento, ho il dovere di dire le cose in maniera assolutamente laica, ma anche in maniera concreta, altrimenti non daremmo nessun contributo alla vostra capacità di decidere e non avrebbe neanche senso la nostra presenza qui. I reati di corruzione sono, da un lato, un profilo moderno, ma anche antico di come la mafia agisce. La mafia ha come caratteristica fondamentale l'uso della violenza, ma questa è anche l'extrema ratio dell'organizzazione mafiosa. I trent'anni di dominio corleonese hanno significato un'inversione del ragionamento ordinario dei mafiosi, cioè ricorrere in maniera massiccia ed evidente alla violenza prescindendo da tutti gli altri strumenti che si devono usare nell'insegnamento mafioso prima della violenza. La violenza sta tornando a essere quello che è sempre stata cioè la extrema ratio dell'organizzazione mafiosa. Ci deve essere consapevolezza da parte delle vittime che la mafia è in grado di usare la violenza, ma c'è consapevolezza da parte della mafia che la si deve usare soltanto quando davvero serve. Quindi si devono usare tutti gli strumenti alternativi, ma la differenza, fra ambienti criminali non mafiosi e mafiosi, ripeto, sta nel fatto che al fondo ci sono quelli che sparano e sono capaci di sparare, dopodiché qualunque mafioso utilizza tecniche di infiltrazione. Quando parliamo di pubblici funzionari o di politici, loro usano il termine «ce lo siamo messi nelle mani» cioè effettuano una serie di favori e il mafioso è consapevole che da quel momento un soggetto non potrà più dire di no, è nelle mani dell'organizzazione mafiosa. Lo strumento con il quale questo si attua è lo strumento corruttivo. Prima si fa il favore al pubblico funzionario o al politico e a quel punto costoro non si possono più tirare indietro e il meccanismo corruttivo è avviato. Il reato di corruzione ha una caratteristica assolutamente simile a quello di mafia. Abbiamo detto che la mafia è caratterizzata dall'omertà e anche nella corruzione è così. Né il corrotto né il corruttore hanno un interesse a denunciare la corruzione, perché dovrebbero? Anche il meccanismo previsto dalla normativa non è un meccanismo incentivante in concreto. Non credo di conoscere un avvocato che abbia mai suggerito al suo assistito i meccanismi di collaborazione previsti perché oggettivamente non convengono, anche per tutta un'altra serie di ragioni relative al funzionamento del nostro processo penale in questo momento, fatto sta che non si registrano forme di collaborazione. Anche lì, se il reato è chiuso fra i due soggetti che Pag. 15lo commettono, e nessuno viene a dirmi che è stato commesso, ho un solo strumento, che è quello di andare ad ascoltarli. Qui torniamo quindi alla necessità dell'uso delle intercettazioni. Io qui ribadisco che la scelta è esclusivamente politica, nel senso che se si vuole fare un'attività di repressione del fenomeno corruttivo, bisogna pensare all'utilizzo di strumenti che siano anche particolarmente invasivi come certamente lo è il trojan, che è davvero uno strumento invasivo perché entra nella vita delle persone. Nel momento in cui si entra in uno smartphone, si scopre tutto di quella persona, quindi è vero che devono essere approntate misure idonee a bilanciare gli interessi in gioco, ma questo vuol dire un più puntuale controllo da parte del giudice delle indagini preliminari in sede di autorizzazione all'uso dello strumento e un più puntuale controllo in materia di proroga delle attività di intercettazione, che devono essere evidentemente motivate in maniera più puntuale, ma non credo possa voler dire la rinuncia a questo strumento.
  Ho sempre avuto delle perplessità rispetto alla corruzione percepita, perché percepita è quella che si dice. Da quando sono Procuratore della Repubblica, prima a Messina e poi a Palermo, ci sono stati casi di corruzione e di rinvenimento di ingenti somme di denaro, banali funzionari, neanche di grado molto elevato nella loro amministrazione, a casa dei quali sono stati trovati sacchi di denaro per 5-600 mila euro, frutto di corruzione. L'importante è avere consapevolezza che il fenomeno esiste – poi sta al Parlamento dare un giudizio sulla gravità o meno di questo fenomeno – che se si vuole contrastare in quanto tale, l'uso dello strumento intercettivo è indispensabile, ma che questo uso dello strumento intercettivo deve essere evidentemente regolato in maniera puntuale, ci mancherebbe che non fossimo d'accordo. Occorre però avere la consapevolezza che, non per la parte dell'intercettazione che si svolge, ma per la parte dell'intercettazione non rilevante in materia processuale, attualmente gli strumenti per fare sì che quelle parti non escano dal famoso archivio riservato mi pare siano un dato di fatto accertato.
  Sull'articolo 323 penso di avere già parlato, sono stato anche audito in Commissione giustizia. Le nostre perplessità su un'abolizione tout court di questo strumento sono molto forti, perché, a parte i vincoli europei, mi riferisco a quando ho parlato della questione del sindaco che rilascia un numero significativo di concessioni edilizie in favore dell'impresa mafiosa. Se non ci fosse l'articolo 323, come si agirebbe, con quale strumento? Anche qui, ripeto, si creerebbe un vulnus al sistema perché l'articolo 323 è parte di un sistema. Se è vero che il Procuratore della Repubblica di Roma ricorda come dai processi di pubblica amministrazione si arriva alla criminalità organizzata, a Palermo, dove i processi di criminalità organizzata non sono mai mancati, da quei processi siamo arrivati, anche per completare il quadro dei soggetti indagati o imputati e poi da processare, a diverse contestazioni di abuso d'ufficio per quei soggetti, magari minori, della pianificazione del delitto che però avevano posto in essere una serie di attività di favore naturalmente sussumibili sotto la fattispecie dell'articolo 323. Per andare a un caso concreto – non so chi possa averne memoria perché ormai è passato molto tempo – c'è stato un imprenditore siciliano anche del settore della sanità, che era allora il secondo contribuente siciliano, al quale, fra i tanti reati, venne contestata una mega truffa dell'ordine di diverse decine di milioni di euro in danno della Regione Siciliana. Questo reato comportava che tutta una serie di funzionari minori dell'amministrazione che in qualche modo chiudevano un occhio – ma in realtà consumavano la fattispecie prevista dall'articolo 323 – consentissero la formazione di queste fatture che costituivano pagamenti totalmente abnormi per delle cure mediche. Quei soggetti sono stati perseguiti attraverso l'applicazione dall'articolo medesimo.
  Noi dobbiamo segnalare la problematicità dell'assenza eventuale di questo reato, però dobbiamo anche ricordare che una abolizione dell'articolo 323 ragionevolmente Pag. 16comporterebbe una espansione di altri reati, cioè non è che non si indagherebbe più, perché ragionevolmente le indagini avrebbero un'altra forma di iscrizione. Potrebbe essere l'elemento indiziante quello che importa una iscrizione per un reato di corruzione, ma potrebbe anche essere un ampliamento dell'area del cosiddetto peculato d'uso, che era scomparso, e che invece potrebbe ritrovare una sua collocazione nel nuovo ordinamento, monco di questa norma. Sono una serie di criticità che abbiamo già evidenziato, però continuiamo a dire che occorra attenzione quando si tocca un punto del sistema perché esso poi potrebbe risentirne nel suo complesso. Non è poi detto che l'abolizione risolva il famoso problema della paura della firma, anche perché, nella fase procedimentale, tutti possiamo essere oggetto di un'indagine penale. Bisogna ridimensionare anche il fenomeno dell'iscrizione e dell'avviso di garanzia per questo reato, che appunto si chiama «avviso di garanzia». Poi, certo, se c'è una speculazione politica su un soggetto investito da un avviso di garanzia, siamo in una fase che non riguarda più noi tecnici del diritto ma riguarda una questione politica. Torno a dire che l'avviso di garanzia in sé non dovrebbe comportare null'altro che il cittadino sappia che c'è un'indagine nei suoi confronti e che quindi deve apprestare le sue difese. Non sempre la responsabilità è di chi fa l'avviso di garanzia ma di chi lo usa. Se guardiamo alle amministrazioni comunali, molto spesso quello che si verifica è che l'opposizione, una volta che non vengono soddisfatte le sue richieste, denuncia gli esponenti della maggioranza per abuso d'ufficio. Poi bisognerebbe discutere sulla qualificazione esatta del concetto di notizia di reato, ma alcune procure iscrivono la denuncia che poi diventa una iscrizione ai sensi dell'articolo 323, ad esempio del sindaco. Il sindaco, però, è semplicemente iscritto perché il suo oppositore politico l'ha denunciato, dopodiché si farà l'indagine. Molto spesso l'indagine non porterà a nulla o, se porta a qualche cosa, non sarà certo per la denuncia, ma perché quella notizia di reato ha originato un'indagine che ha una sua sostanza. Anche qui non vorrei che, abolito l'articolo 323, poi ci trovassimo davanti a denunce ai sensi degli articoli 353 o 346. Non è detto che l'abolizione sia risolutiva per quanto riguarda la questione della paura della firma. Ripeto, comincerei a preoccuparmi nel momento in cui scattano le garanzie del processo, cioè quando si venga chiamati, ai sensi dell'articolo 415-bis, a prepararsi ad affrontare un processo. Prima è solo una questione di garanzia ed è anche una questione culturale ovvero comprendere quale sia l'effettivo valore di un avviso di garanzia.
  Per quanto riguarda le intercettazioni «a strascico», francamente io non le chiamerei così, perché quelle secondo me sono un fatto abnorme che deve essere censurato. Non si intercetta, tanto per vedere cosa succede. Qui va richiamata la funzione del controllo da parte del giudice delle indagini preliminari nel momento in cui gli viene chiesta l'intercettazione. Una volta che l'intercettazione è autorizzata in presenza dei presupposti di legge, è assai difficile, anche dal punto di vista non più giuridico ma davvero di fatto, immaginare che se c'è un reato grave sopra i 5 anni – la legge fa già un discrimen che non è quello per il quale è stata autorizzata l'intercettazione – si debba rinunciare all'utilizzo delle informazioni acquisite in quella intercettazione, che però, insisto, non è l'intercettazione a strascico che è questione assolutamente deleteria. Nel mio ufficio non esiste questa parvenza di istituto perché se l'intercettazione non produce un qualche risultato nei termini di legge, la conseguenza è che l'intercettazione cessa, non si continua in eterno a fare intercettazioni nei confronti di alcuno.
  Per quanto riguarda la stidda, non sono in grado di indicare naturalmente una causa, perché questo dipende da molte questioni, dipende anche dall'indebolimento di Cosa nostra nell'agrigentino, su cui però abbiamo acceso un faro perché, non dico che ci siamo distratti, perché non è così, però abbiamo fatto in questi anni un massiccio investimento sul palermitano, da sempre, e, sul trapanese, per le evidenti ragioni che c'era un'esigenza, secondo me doverosa, nei confronti dello Stato, cioè quella di cercare Pag. 17di catturare Matteo Messina Denaro. Non ci siamo distratti sull'agrigentino, però oggi che abbiamo recuperato energie, abbiamo ristrutturato il nostro ufficio, dedicando un'area ai magistrati esclusivamente al contrasto di Cosa nostra e quindi della stidda agrigentina su cui abbiamo riscontrato un dato. Abbiamo trovato che alcuni storici appartenenti all'organizzazione sono ritornati a svolgere attività legate alla organizzazione stessa dopo aver ottenuto la declaratoria di impossibilità della collaborazione. Hanno cioè sfruttato la disciplina premiale prevista per i detenuti ergastolani per ritornare ad agire sul territorio con i metodi già collaudati in passato e così hanno rivitalizzato in qualche misura la stidda stessa. L'istituto della impossibilità della collaborazione è stato cioè usato da soggetti che non potevano pentirsi, ma hanno goduto della possibilità del pentimento impossibile per tornare a delinquere. Questo, in qualche misura, è merito loro che sono stati bravi nel fare passare questa cosa, ma in qualche misura è anche colpa nostra, nel senso che le nostre investigazioni non sono state capaci di prevedere la non interruzione di quei contatti con l'ambiente criminale che, appena usciti, hanno ripristinato. Le nostre indagini – ne cito una del febbraio del 2021 – lo hanno evidenziato e questo è uno dei segnali di carattere più generale che ci induce a prestare particolare attenzione rispetto a questi istituti.
  Rispondendo alla sua domanda, presidente, non siamo certamente noi a poter indicare il ruolo della Commissione. Circa il problema che abbiamo registrato con la latitanza di Matteo Messina Denaro – sul quale abbiamo però indagini attivissime in questo momento, il 16 gennaio lo abbiamo arrestato e dal 17 gennaio, perché qualche ora di legittima soddisfazione ce la siamo presa, abbiamo ricominciato queste investigazioni – quello che possiamo dire in termini generali è che è vero che c'è una importante area di quel territorio che, per usare un eufemismo, avrebbe potuto dare un contributo a trovarlo prima e non lo ha fatto. In questo momento però le nostre indagini sono volte anche a individuare chi in quell'area non solo non ha dato il contributo – che è un gesto di impegno civile ma non importa una responsabilità penale – ma chi invece una responsabilità penale ce l'ha. C'è poi questa grande domanda – condivido pienamente l'intento della Commissione di cercare di capire – ed è quella sul perché in alcune zone del nostro territorio, in particolare di quello siciliano, si individuano ancora consistenti sacche di, non voglio usare il termine collateralismo, però è quello il termine in realtà, o di distrazione. Sono un Procuratore della Repubblica, il compito, mio e dei miei colleghi, è di fare i processi, quindi di individuare i colpevoli dei reati e di ottenere la loro condanna a una giusta pena. Non c'è dubbio che la questione sia quella dello sviluppo culturale ed economico di quelle terre perché senza di esso, avremo sempre un ambiente favorevole al lavoro delle organizzazioni criminali. Anche laddove si creino fenomeni virtuosi di ricchezza, il rischio dell'inquinamento è altissimo. Per cui il grande sforzo che la Commissione vorrà fare nel cercare di individuare in dettaglio quali siano gli approfondimenti su questo tema è sicuramente apprezzabile, però io penso di poter dire che sia davvero uno sforzo di tutto il Paese quello di creare le condizioni dello sviluppo, perché senza quello continueremo ad avere insegnanti che vengono arrestate per questo tipo di attività. Questo è un fatto gravissimo. Non do giudizi, ci mancherebbe altro, su un procedimento che è ancora in corso, però certo deve fare riflettere il fatto che in ambienti che non sono quelli dove noi ci aspetteremmo di trovare il mafioso ma ambienti nei quali si formano i giovani, si possano verificare fenomeni di questo genere.

  PRESIDENTE. Grazie Procuratore, credo che la sua, la vostra legittima soddisfazione sia condivisa da tutti i membri della Commissione e quindi la comprendiamo perfettamente. Sarà nostra premura approfondire, magari anche venendo in sede quando questo non interferirà con le indagini in corso, per capire come raccontare alle giovani generazioni anche degli eroi positivi che alla fine sono vincenti rispetto a quelli negativi.Pag. 18
  Do la parola all'onorevole Provenzano.

  GIUSEPPE PROVENZANO. Partirei proprio da queste ultime parole per rivolgere anche io un ringraziamento al Procuratore, e, attraverso di lui, al dottor Guido e a tutti gli altri che hanno lavorato a una cattura che ha messo in discussione proprio il mito dell'impunità, cioè l'idea che ci possa essere qualcuno al di sopra della legge e al di sopra dello Stato.
  Mi permetto, tuttavia, Procuratore, di chiederle su questo punto maggiore precisione su quello che emerge – senza entrare nelle indagini in corso – su questa latitanza e sulla rete di complicità. In particolare le chiedo una domanda molto secca, cioè quanto la grande disponibilità di utilizzo del contante abbia favorito la latitanza e anche la vita che Matteo Messina Denaro ha svolto nel corso di questi mesi e se, non necessariamente alla luce delle indagini in corso, ma delle tante indagini che hanno via via sempre più ristretto e tagliato la rete di complicità e di protezione intorno a Messina Denaro, emergano ulteriori elementi di conoscenza che a suo avviso possano essere utili alla Commissione. In particolare, mi riferisco alle relazioni con associazioni segrete, come la massoneria, in quel territorio o comunque con quei soggetti che in quella provincia – che, ricordo, è uno più sviluppati della Sicilia – condividono con l'organizzazione criminale mafiosa un effettivo controllo e il governo di quel territorio. Sempre su Messina Denaro, lei ha fatto un'affermazione molto interessante secondo cui le organizzazioni criminali mafiose si distinguono per la continua necessità di ricerca di un capo, di qualcuno che possa dirigerle e comandarle. Alla luce di questo, mi chiedo – senza necessariamente entrare nelle indagini in corso – se emergano a suo avviso elementi utili per questa Commissione sui nuovi assetti che si possono determinare pur fuori dalle mitologie sul capo dei capi eccetera, ma utili a una maggiore comprensione del fenomeno. Ancora su Messina Denaro mi permetto di farle un'altra domanda. Sull'ingente patrimonio – com'è noto, c'è una vasta letteratura sui capitali di cui si è persa traccia a trent'anni dalla stagione stragista di Cosa nostra – che tipi di attività, anche di connessioni internazionali, sono via via emerse e quali Paesi oppongono e frappongono maggiori ostacoli a un'azione di ricerca di questi capitali?
  Avrei mille domande, ma provo a concentrarmi su alcuni elementi a mio avviso molto interessanti che lei ha toccato circa un certo ritorno all'antico seppur con metodi e con tecnologie moderna di Cosa nostra nel controllo del territorio, attraverso appalti, estorsioni e spaccio di droga. Sugli appalti credo molto utile l'indicazione che è stata data su una concentrazione delle stazioni appaltanti. Ricordo che in Sicilia sono più di 400. Si tratta di un tema antico, ma credo che questa sottolineatura sia molto opportuna. Alla luce della stagione di enormi investimenti che si apre, ci sono evidenze – lei ha accennato al famoso sistema del «tavolino» – che ci sia qualcosa del genere o ci sia un tentativo di ricostruire quel tipo di sistema, anche perché, non vorrei essere troppo pessimista con la ragione, l'assenza di quel tipo di sistema potrebbe invece innescare fenomeni di conflitto molto intenso tra le organizzazioni criminali nella vicenda degli appalti.
  Non torno su abuso d'ufficio e concorso esterno, di cui si è già parlato. Invece a suo avviso le nuove norme sul codice degli appalti potranno esporre gli amministratori a un più forte condizionamento da parte dalle organizzazioni criminali? Prima parlava di buste, ma adesso le buste non ci saranno più, nel senso che si faranno gli inviti e si potrebbe dire che non si potranno rifiutare, e quindi c'è una maggiore esposizione degli amministratori, oltre al tema della liberalizzazione dei subappalti.
  Chiudo l'intervento sul problema della droga e affido al presidente la valutazione se sia necessario segretare o meno la parte della eventuale risposta del Procuratore. Abbiamo letto in questi giorni che emerge uno scenario che rivela un grande degrado delle istituzioni regionali in Sicilia proprio sul tema del consumo degli stupefacenti, in particolare della cocaina. Se unisco a questo una valutazione che lei ha fatto qui, cioè del fatto che Cosa nostra stia tornando Pag. 19a occuparsi direttamente del traffico e addirittura della gestione dello spaccio, e se quelle piazze di spaccio coinvolgono, come sta emergendo a Palermo, ambienti che si potrebbero definire, come lei ha più volte fatto, vista questa relazione con Cosa nostra, di «borghesia mafiosa», se non sia proprio – questa la domanda – l'approvvigionamento e il traffico della droga, una delle forme attraverso le quali Cosa nostra in questo momento stabilisce e sta stabilendo una certa reciprocità di favori anche con i vertici delle istituzioni regionali, alla luce di un sistema che sta emergendo in tutta la sua gravità e in tutta la sua estensione.

  PRESIDENTE. La parola all'onorevole Orlando. Voglio solo pregare il Procuratore che se ritiene di dover dire alcune cose in via riservata, di farlo alla fine della seduta, in modo si possa chiudere il collegamento con i colleghi che seguono i lavori da remoto.

  ANDREA ORLANDO. Quando fu licenziato l'ultimo codice antimafia i suoi colleghi che all'epoca dirigevano le principali procure impegnate nel fenomeno, diedero sostanzialmente un giudizio di adeguatezza dell'insieme degli strumenti ricompresi in quel testo. Volevo capire se questo giudizio complessivo sia ancora valido o se nel frattempo siano sorti elementi che possono dire che ci sia stato un invecchiamento di quella strumentazione, al netto della sua valutazione che ha fatto sul tema del concorso sul quale naturalmente non solo la questione è aperta dal 1930 ma la discussione è stata ampia e anche parecchio divisiva. Le chiedo dunque questo giudizio di carattere complessivo.
  Nello specifico, una questione riguarda le misure di prevenzione. Quel codice fu licenziato anche in costanza dell'emergere di alcune vicende che riguardarono anche la realtà in cui voi operate. Volevo capire se quelle norme anti-collusione sul tema degli incarichi e sul tema della commensalità in qualche modo abbiano retto alla prova dei fatti o se invece abbiano necessità di una ulteriore valutazione. Purtroppo nella realtà palermitana si sono misurati anche i limiti delle norme precedenti.
  Tornando a un tema che ha richiamato il collega Provenzano, voglio solo fare un'integrazione per capire un dato. Non solo rispetto alla vicenda della latitanza di Messina Denaro, ma più in generale si può parlare oggi di un utilizzo delle organizzazioni segrete come camera di compensazione tra i soggetti del cosiddetto «tavolino»? Abbiamo visto che questo è sistematicamente utilizzato in alcune realtà, pensiamo solo alla Calabria. Mi chiedo se questo dato si possa trasporre nella stessa misura e nella stessa dinamica in una realtà come quella siciliana.
  Un'ultima notazione. Lei ha parlato di una capacità di interagire, anche questa non nuova, su fronti nei quali l'aspetto della strumentazione finanziaria è tutt'altro che marginale. La domanda è se in qualche modo emergano forme di sostegno o comunque di interazione con intermediari finanziari, con soggetti che sostengano le attività imprenditoriali di Cosa nostra, perché è evidente che se i numeri sono anche lontanamente vicini a quelli che vengono normalmente raccontati, è difficile pensare che questi flussi di denaro siano semplicemente gestiti dalla capacità imprenditoriale dei boss, quindi vorrei capire se ci sia qualcosa di nuovo anche su questo fronte.

  PRESIDENTE. La parola al senatore Russo.

  RAOUL RUSSO. Naturalmente oltre a ringraziare il procuratore De Lucia per l'ampia ed esaustiva relazione, vorrei svolgere alcune considerazioni. La prima, che mi ha molto incuriosito, riguarda il problema dei collaboratori di giustizia. Lei ha detto che, pur essendo uno dei principali strumenti di contrasto alla mafia, in questo momento, vediamo venir meno in parte il loro apporto sia dal punto di vista qualitativo sia dal punto di vista quantitativo. Volevo comprendere se secondo lei ciò sia dovuto a una generale mutazione del fenomeno, a un problema di adeguamento alla normativa in essere o a quale altra causa. Pag. 20Quanto, secondo lei, questo fenomeno può avere incidenza? La seconda domanda riguarda l'utilizzo dello spaccio di stupefacenti. Da palermitano preoccupa quanto si stia diffondendo lo spaccio di stupefacenti soprattutto tra i giovani. Negli ultimi anni c'è un grosso problema relativo al crack, quindi non alla cocaina, droga dei ricchi, ma al crack, droga dei poveri, soprattutto in certe piazze di spaccio, Ballarò nello specifico. Mi chiedo quanto il diffondersi di droghe di basso livello sia correlato a questo ritorno all'investimento negli stupefacenti da parte di Cosa nostra, perché teoricamente si tratta di droghe che non portano un grande ritorno economico, comportano una notevole esposizione e quindi mi chiedo se, conseguentemente, essa si avvalga di spacciatori «spendibili» come nigeriani, ragazzi o comunque spacciatori di piccolo calibro. Come mai questo fenomeno, secondo il vostro osservatorio, si sta espandendo con un impatto molto importante sulla nostra città?
  Mi ricollego anche alla domanda del collega Provenzano sul tema relativo alle indagini, per quello che naturalmente le è possibile comunicarci, sul finanziamento a Matteo Messina Denaro e quanto questo possa essere stato correlato, oltre a tutti i contesti culturali e sociali che lei ha evidenziato prima, anche a eventuali collusioni con associazioni segrete e alcune logge massoniche nello specifico.
  Infine, lunedì scorso c'è stata una importante operazione a Palermo che ha riguardato il mandamento di Resuttana e ha portato alla emersione di importanti connessioni con aspetti della borghesia palermitana. Sono stati arrestati tra gli altri, un importante notaio e un commercialista. C'è quindi un ritorno, anche se lei prima ha parlato di fenomeno «calante», a una connessione importante con una certa parte della borghesia palermitana. Vorrei sapere il suo punto di vista. Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola al Procuratore De Lucia.

  MAURIZIO DE LUCIA, Procuratore della Repubblica di Palermo. Siccome abbiamo istituito un gruppo di lavoro che si occupa principalmente della latitanza e delle conseguenze della latitanza di Messina Denaro, affidato al procuratore aggiunto Guido, se il presidente è d'accordo, lascerei la parola a lui per le risposte sulla questione di Messina Denaro.

  PRESIDENTE. Senz'altro. Do la parola al procuratore aggiunto Guido.

  PAOLO GUIDO, procuratore aggiunto di Palermo. Procedendo in ordine cronologico, comincerei proprio dalla questione dei contanti sottolineata dall'onorevole Provenzano. Che Messina Denaro abbia avuto disponibilità di contante è sempre stata una costante, per due ordini di ragioni. La prima perché al centro delle sue attività mafiose e di dominio mafioso c'è sempre stata la grande distribuzione. Il primo grande distributore dell'isola è stato arrestato e condannato per partecipazione ad associazione mafiosa e per essere stato uno dei finanziatori della latitanza di Matteo Messina Denaro. Questo anche per una questione molto pratica che si collega con la nozione di contante, nel senso che i supermercati sono naturalmente strumenti che drenano una quantità considerevole di contanti, a differenza di altre attività commerciali dove invece questo tipo di uso è nettamente diminuito. I supermercati continuano invece ancora a essere luoghi dove si spende tanto contante. Quindi avendo il supermercato disponibilità di contante è chiaro che esso costituisce l'attività economica ideale per poter ottenerne in modo facile, semplice e senza rischiare pericoli di tracciabilità. Abbiamo trovato nella sua disponibilità e dei suoi familiari somme di denaro non indifferenti, non straordinarie, ma regolarmente custodite, pronte a essere utilizzate al bisogno. Dalla documentazione sequestrata è stata rinvenuta una contabilità che in modo ossessivo e anche puntuale lui gestiva mese per mese, grazie anche – almeno questo ci dicono le indagini – alla condotta della sorella. Quindi sicuramente il contante negli ultimi anni della malattia in cui si è riavvicinato al suo Paese d'origine gli ha consentito di vivere in un modo, Pag. 21almeno da questo punto di vista, sicuramente non tracciabile e di occultarsi bene.
  Accanto a questo, naturalmente, Messina Denaro non ha mai trascurato i grandi affari. Anche qui ci sono molti processi, ci sono state condanne. Sono stati dimostrati contatti e rapporti di imprenditori nel campo dell'energia rinnovabile, dell'eolico per esempio, con l'associazione mafiosa e con Messina Denaro. Anche lì ingenti capitali sicuramente saranno stati da qualche parte custoditi. Questo è ciò di cui ci stiamo occupando, soprattutto con riferimento alla importante quantità di documentazione che abbiamo rinvenuto in occasione dell'arresto del latitante e di tutte le perquisizioni che abbiamo fatto contestualmente. Anche in ragione di tutta questa documentazione stiamo avviando un percorso di ricostruzione, indizio per indizio, delle risorse finanziarie di cui il latitante al momento dell'arresto aveva disponibilità. Attenderemo dunque gli sviluppi dell'indagine e vedremo che tipo di ricostruzione riusciremo a ottenere.
  Con riferimento all'altra domanda relativa alla presenza delle associazioni segrete, anche questa è una storia abbastanza datata. La provincia trapanese, in particolare, ha sempre avuto un legame storico con le associazioni segrete e massoniche, non certamente per una questione idealistica o di condivisione di valori. Soprattutto quando queste associazioni si sono tradotte in centri di affari dove si concordavano importanti operazioni economiche, esse sono il luogo dove Cosa nostra ci ha messo il piede. Famosa su tutte, storicamente, è stata la costituzione di una società in cui negli anni Ottanta si è scoperto dopo ne facessero parte tutti i capi delle famiglie mafiose trapanesi, a cominciare dal padre di Matteo Messina Denaro, e che aveva al suo interno importanti componenti massoniche. Questo è stato all'epoca uno dei più chiari esempi di cointeressenze di tipo economico tra Cosa nostra trapanese e le associazioni massoniche. Che le associazioni massoniche abbiano potuto in qualche modo favorire la latitanza di Matteo Messina Denaro, dal punto vista pratico, è tutto da dimostrare. Abbiamo sicuramente degli elementi, uno per tutti il medico di base arrestato dopo la cattura di Matteo Messina Denaro, accusato al momento di essere colui il quale ha gestito tutti gli aspetti sanitari del latitante e che negli ultimi mesi è risultato essere iscritto a una loggia massonica. Questo quindi è sicuramente un dato che da un certo punto di vista ha profili inquietanti, ma altro è il coinvolgimento dell'intero contesto massonico che, al momento, ripeto, non è provato.

  MAURIZIO DE LUCIA, Procuratore della Repubblica di Palermo. Proseguo con le altre domande, mentre per il complesso delle misure di prevenzione lascerei poi la risposta alla dottoressa Sabella, che attualmente ha la delega sulla materia.
  Per quanto riguarda i fenomeni oggettivamente patologici che hanno portato a processi, i rimedi approntati – salvo che poi magari domani non succeda un disastro – si sono rivelati idonei. In particolare, una nuova disciplina del meccanismo degli amministratori giudiziari e delle loro nomine, che è appunto fondamentale. Probabilmente si potrebbe anche ragionare – ma anche qui bisogna trovare il punto di equilibrio – sulla permanenza dei colleghi all'interno dei collegi. Abbiamo in generale una permanenza decennale che presenta vantaggi e svantaggi. Magari per le misure di prevenzione o per gli uffici dove c'è particolare sensibilità economica, penso alle sezioni una volta dette fallimentari, si potrebbe ragionare in questi termini di rivisitazione, ma anche lì ci si deve creare una professionalità e quindi un po' di tempo ci vuole. Il sistema in questo momento sta dando buona prova di sé, dopo avere registrato quelle patologie che sono accadute. Devo anche dire però che il tribunale sulle misure di prevenzione di Palermo gestiva la metà dei beni confiscati in Italia, quindi un patrimonio enorme, per cui si potrebbe anche ragionare in termini di osservatorio sui giudici che svolgono una certa attività ma che comunque rimane quello che ho detto, cioè assolutamente irrinunciabile.

  PRESIDENTE. Do la parola alla dottoressa Sabella.

Pag. 22

  MARZIA SABELLA, procuratore aggiunto di Palermo. Integro la risposta sulla materia delle misure di prevenzione. Certamente la riforma del codice antimafia, che nasce anche da questa Commissione nella XVII legislatura, è più che apprezzata, parlando in linea generale, anche perché ha aiutato il lungo processo di giurisdizionalizzazione di questa materia che ha costituito da sempre la pecora nera, dal punto di vista costituzionale, del nostro sistema giudiziario. Come ogni legge, anche questa è ovviamente migliorabile. Quello che possiamo dire noi, dal nostro punto di vista di organo inquirente, è che notiamo essere una riforma molto incentrata sulla figura del giudice e sui suoi poteri e forse poco si è previsto nei confronti di quello che deve fare il pubblico ministero. Questi già si scontra con un problema di discrezionalità, perché la libertà che dà la discrezionalità poi porta, ai fini del controllo, a esercitare di fatto l'azione di prevenzione tutte le volte come se fosse obbligatoria, proprio per non incorrere in questioni attinenti all'arbitrio cioè all'utilizzo arbitrario di quella libertà che il sistema ci concede.
  La questione più importante è soprattutto la permanenza per ragioni storiche che non stiamo qui a ripercorrere della pluralità degli organi di proposta. Sullo stesso argomento, che si parli di pericolosità semplice o si parli di pericolosità qualificata, ci sono la Procura della Repubblica del distretto, la Procura circondariale, il direttore della DIA, il Procuratore nazionale antimafia e il Questore. Sullo stesso fatto in teoria possono quindi lavorare cinque soggetti completamente diversi con rischio di sovrapposizione e spreco di energia. Vero è che c'è un potere di coordinamento da parte del procuratore distrettuale, ma non è un potere di veto, quindi nessuno può impedire a un altro di svolgere un'indagine di prevenzione. Tutto questo poi lo risolviamo tramite protocolli, cioè, di fatto, sono problemi che da un punto di vista pratico riusciamo a superare, però sono rimessi alla buona volontà e ai buoni rapporti che ci sono tra Procuratore della Repubblica e tutti gli altri titolari del potere di proposta. La pluralità di poteri di proposta, soprattutto se consideriamo l'organo giudiziario e quello amministrativo, può creare anche una situazione di disparità di trattamento all'interno dello stesso territorio del distretto perché si potrebbero avere criteri non necessariamente coincidenti.
  Altra cosa, dal punto di vista del pubblico ministero, è che ci sarebbe da rivedere il ruolo del pubblico ministero nella fase esecutiva. Nel momento in cui viene eseguito un sequestro di prevenzione su proposta del pubblico ministero o comunque dell'organo proponente, il pubblico ministero in teoria queste cose le apprende dalla stampa, non può coordinare quel momento di sequestro con eventuali indagini penali in corso e si può creare un corto circuito. Sono cose a cui noi poniamo rimedio, però sono possibilità comunque previste dalla legge.
  Inoltre, e concludo, capiamo che le misure di prevenzione sono tutt'altro rispetto ai procedimenti penali. Per esempio è prevista solo la possibilità di sequestri di documenti e non altre attività investigative chiamiamole invasive. Però è anche vero che prevedere una perquisizione al momento dell'esecuzione del sequestro di prevenzione potrebbe essere risolutiva, perché di fatto noi possiamo sequestrare il bene ma non compiere la perquisizione in quel momento, con la possibilità – che è quello che avviene nella stragrande maggioranza dei casi – che il proposto ha tutto il tempo addirittura per dare alle fiamme i documenti. Ci è capitato infatti chi, in fase di sequestro di prevenzione, li ha incendiati, mi riferisco per esempio a Becchina che poteva detenere una documentazione importante anche dal punto di vista economico sui suoi rapporti con Messina Denaro. Prevedere quindi quantomeno una perquisizione limitata alla fase dell'esecuzione del sequestro potrebbe portare tutta una serie di vantaggi. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio la dottoressa Sabella. Do nuovamente la parola al Procuratore De Lucia.

  MAURIZIO DE LUCIA, Procuratore della Repubblica di Palermo. Vorrei aggiungere Pag. 23qualcosa su due temi che sono stati affrontati nelle domande. Circa la collaborazione dei Paesi stranieri, tutto il sistema giustizia investe moltissimo nella collaborazione con gli altri Paesi. Sostanzialmente questa collaborazione funziona, anche perché oramai ci sono dei canali diretti che consentono ampiamente questa comunicazione. Circa le resistenze che troviamo, se devo indicare la lista dei «cattivi» in Europa, c'è una resistenza del Regno Unito di un certo pregio. È sempre difficile avere risposte dalle autorità inglesi, non dalle autorità giudiziarie ma dalle autorità in genere. Il sistema dell'accusa è molto frastagliato, appartiene alla polizia, è complicato e incontriamo delle difficoltà. Altre difficoltà troviamo sull'altro lato del Mediterraneo. Caso a parte è la Libia che si trova nella situazione che sappiamo e dove abbiamo soggetti in stato di latitanza, in particolare un grosso trafficante di persone che gode della protezione di milizie sul posto, con un'ordinanza di custodia cautelare che non riusciamo a eseguire, ma è sostanzialmente una situazione bellica che ce lo impedisce. Inoltre, abbiamo dei rallentamenti su tutte le attività in quell'area. Siamo molto interessati ad avere collaborazione con la Tunisia, anche con riferimento alle vicende che riguardano Messina Denaro, e qui abbiamo una risposta di tipo formale ma non abbiamo la risposta di tipo sostanziale di cui invece avremmo bisogno. Quindi registriamo queste resistenze, ma in un complesso positivo di collaborazione in realtà. Ad esempio, con le autorità svizzere abbiamo avuto una collaborazione molto importante, tuttora in corso, non solo sul versante cui facevo riferimento, ma anche su altri versanti. In qualche misura è cambiato l'approccio. Si tratta però anche di un problema, oltre che di norme, anche di credibilità degli organi giudiziari con cui ci si raffronta e per come ci si presenta, e questo è un problema in particolare di formazione dei magistrati.
  Passo alla questione delle sostanze stupefacenti di cui parlava il senatore Russo, relativamente al crack. Si tratta di un tema di estrema preoccupazione nella città di Palermo perché sostanzialmente abbiamo due mercati, quello più raffinato, verso cui c'è un grande interesse dell'organizzazione Cosa nostra – forse non lo avevo specificato, e me ne scuso, nel corso della prima parte dell'intervento – cioè per le droghe «nobili», ovvero la cocaina per cui un grammo costa quello che costa. C'è un certo disinteresse verso la fascia delle droghe «povere», anche qui ci sono droghe «di classe». Questo è però pericolosissimo, perché il crack, a differenza delle altre droghe, non solo è offerto a un prezzo 5 euro la dose alla popolazione di giovanissimi in alcune aree della città, ma soprattutto causa danni irreversibili. Noi stiamo cercando di mettere in piedi due fronti. Uno è quello della prevenzione, sul quale non possiamo che dare un'attività di consiglio e di ausilio agli enti che se ne devono occupare, uno è nostro e ci viene dalla tradizione delle investigazioni in tema di criminalità organizzata, perché a noi non interessa tanto prendere lo spacciatore sulla cosiddetta piazza di spaccio – per uno che prendi ne troverai altri dieci che sono disposti a fare lo stesso mestiere – quanto svolgere un'investigazione che cerchi di ricostruire l'associazione, perché di associazione si tratta, che organizza la produzione, la distribuzione, da un lato, e, dall'altro lato, il riciclaggio dei soldi che sono tanti in funzione della domanda che è molto alta. È una questione difficile, ma secondo me risolutiva. L'idea sarebbe, da un lato, – pur essendo io sempre contrario a manifestazioni eclatanti – di instaurare in alcune piazze della città di Palermo un controllo di tipo militare per un periodo di tempo limitato che scoraggi la distribuzione, solo se, dall'altro lato, sia accompagnato al vero strumento di prevenzione, che rimane sempre l'investigazione, perché soltanto attraverso le investigazioni siamo in grado di disarticolare le reti e la disarticolazione delle reti è lo strumento fondamentale per il contrasto.
  Sull'altro tema devo dire che giudizi di carattere morale non ne diamo per nessuno. Il consumo di sostanze stupefacenti purtroppo è una piaga che ritroviamo in tutte le parti della popolazione. Nel momento in cui costruiamo una imputazione, Pag. 24siccome viene prima il diritto di difesa, abbiamo il dovere di consentire all'indagato, futuro imputato, di conoscere tutti gli estremi della sua imputazione. È fin troppo evidente che se si accusa Tizio di avere ceduto sostanza stupefacente e si sa chi era Caio, io non solo devo dire chi era Caio, ma devo offrire tutti gli elementi che dimostrano che quell'acquisto è avvenuto. Per la verità nel nostro ordinamento anche l'acquisto di sostanza stupefacente, sia pure non a livello penale, è illegale, cioè non è che il nostro ordinamento preveda il libero consumo della cocaina, ma, ripeto, questa è la situazione in termini giuridici. In termini di contatti, è chiaro che ci si rivolge a un mercato che dire opaco è poco, perché quello della cocaina è un mercato illecito, quindi, sia pure in diversi step, un contatto indiretto con le organizzazioni criminali è possibile da parte di chiunque faccia l'acquisto. Chiunque faccia l'acquisto sa che si espone al rischio di diventare ricattabile e questo può essere un problema per soggetti che hanno un profilo istituzionale. Non parlo del caso concreto a cui lei stava chiaramente facendo riferimento, che è noto, e quindi non abbiamo nessun elemento per dire una cosa diversa dal fatto che un parlamentare regionale ha acquistato sostanza stupefacente da un soggetto che la cedeva e quindi ha commesso un reato. Noi su quello faremo il processo, non abbiamo nulla di più da contestare né all'uno né all'altro, poi sono tutte valutazioni che non spettano a noi e che non facciamo e non abbiamo fatto, però in linea generale se ti rivolgi a un mercato illecito, è chiaro che il gestore di questo mercato assume nei tuoi confronti, quantomeno in astratto, un potere di pressione che può essere preoccupante quando si rivestano cariche pubbliche.

  PRESIDENTE. Ci sono ancora quattro iscritti a parlare.

  ANDREA ORLANDO. Volevo chiedere che il Procuratore rispondesse a due quesiti che ho posto.

  PRESIDENTE. È il presidente che dà la parola, onorevole Orlando.

  ANDREA ORLANDO. Allora le chiedo la parola, se non mi dà la parola, ne prenderò atto.

  PRESIDENTE. Le darò la parola una volta che saranno intervenuti i colleghi che si sono iscritti a parlare. È una questione di ordine dei lavori e di correttezza verso chi sta attendendo di poter porre le domande al Procuratore. Sono ancora iscritti a parlare l'onorevole Ascari, i senatori Della Porta e Rando e l'onorevole D'Attis. Prego, onorevole Ascari.

  STEFANIA ASCARI. Ringrazio il Procuratore per l'importante contributo. Nella scorsa legislatura ci siamo occupati del «sistema Montante». Vorrei chiederle se crede che il «sistema Montante» sia venuto meno con l'arresto del suo creatore – so che ora ha l'obbligo di dimora ad Asti. Questa è la prima domanda. Per quanto riguarda invece Matteo Messina Denaro, innanzitutto complimenti per il lavoro che avete fatto. Lei parlato della connivenza con il territorio e degli aspetti massonici. Chiedo scusa se per caso ha già risposto, però le volevo fare un'altra domanda a proposito di Messina Denaro. La criminalità mafiosa, come abbiamo visto nel corso di tutti questi anni, è abituata a perdere i propri capi. Lo ha già fatto in passato e lo ha fatto ora con Messina Denaro. Volevo sapere se è stato sostituito e se lei crede che costui eventualmente segua le linee tracciate dal boss trapanese catturato a gennaio. Le chiedo poi se lei ritiene che ad oggi i regimi di 41-bis siano idonei a impedire il passaggio di messaggi dall'interno all'esterno, siano adeguati a garantire quella impermeabilità e separatezza e quindi a bloccare anche dal sistema carcerario la possibilità dei boss mafiosi, da ultimo Matteo Messina Denaro, di comunicare con l'esterno.
  Ultima domanda. Le mafie sono sempre più liquide, come vediamo, e ci sono stati numerosi familiari di boss mafiosi che si trovano al 41-bis che, attraverso canzoni trap e neomelodiche, pur nel rispetto dell'arte e della libertà di espressione, hanno utilizzato parole e modalità di messaggi che Pag. 25non avvengono più solo con i pizzini, ma anche attraverso la musica e i social network. Le chiedevo, Procuratore, se da un punto di vista legislativo e quindi parlamentare, ritiene che il legislatore possa coprire un vuoto presente nell'articolo 414 del codice penale, prevedendo l'aggravante dell'istigazione del delitto di associazione mafiosa per mettere un freno a questi nuovi messaggi che inneggiano o comunque istigano a entrare nell'associazione mafiosa e commettere reati. Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola al senatore Della Porta.

  COSTANZO DELLA PORTA. Grazie al Procuratore della Repubblica e ai procuratori aggiunti anche per la chiara esposizione. Le farò una domanda su un argomento che non è stato ancora toccato, quello della tratta di esseri umani. Lei ci ha ricordato poc'anzi come le mafie siano alla ricerca continua di risorse economiche in maniera sistematica. Questo evidentemente è anche il frutto e la conseguenza dell'azione dello Stato e dello sforzo dell'autorità giudiziaria e delle forze dell'ordine che hanno inferto colpi alle loro economie. Si pensi all'applicazione di misure cautelari come il sequestro e la confisca che comunque vanno a ledere i conti e i patrimoni delle mafie. Partendo dal presupposto che secondo me anche la tratta è un'attività molto remunerativa, le chiedo come si innesta il fenomeno mafioso nel contesto della tratta e se è possibile dare qualche elemento per comprendere come la mafia oggi si muova all'interno di questo fenomeno globale, con riflessi economici molto rilevanti.

  PRESIDENTE. Do la parola alla senatrice Rando.

  VINCENZA RANDO. Grazie al Procuratore De Lucia e ai procuratori aggiunti anche per la chiarezza e per la complessa esposizione su tanti punti. Vorrei concentrarmi su tre questioni. Con riferimento alla grande accumulazione economica delle mafie, di cui avete parlato diffusamente anche in riferimento agli stupefacenti, come si evidenzia il tema del riciclaggio e del reinvestimento? Ci sono settori nuovi? Per esempio il dottor Guido parlava prima dell'eolico, ma c'è anche il settore sociosanitario. Si evidenzia un investimento su questi settori? Mi chiedo altresì se il reinvestimento della grande accumulazione economica rimanga nel territorio oppure si rivolga ad altri luoghi.
  L'altra questione è rappresentata dall'usura, uno dei reati che ha sempre rappresentato un modo per espandersi nei territori per controllarli. Spesso chiamo il tasso usuraio tasso di investimento, perché più che della restituzione delle somme prestate, si è interessati a investire e appropriarsi delle aziende o altrimenti si cerca di strozzare gli imprenditori, che però spesso più che vittime sono collusi. Si evidenzia dunque una trasformazione rispetto al reato classico che conosciamo. Come voi avete detto in modo chiaro la vera questione è la prevenzione, una cultura della legalità, una cultura diffusa specialmente in territori molto particolari, anche in riferimento al tema dei minori. Si evidenzia una fascinazione maggiore e anche una debolezza rispetto al mondo minorile. Osservate una espansione del fatto che le mafie assoldino i minori, anche rispetto all'età? Su questo mi pare di aver letto che anche voi come Tribunale e come Procura di Palermo abbiate un rapporto con il Tribunale per i minori perché avere un rapporto e ragionare già preventivamente su questo aspetto credo sia importante. Queste riflessioni ci interessavano anche per capire meglio quali possano essere gli strumenti di rafforzamento di una cultura della prevenzione rispetto anche ai minori di cui forse troppo poco ci occupiamo.

  PRESIDENTE. Do la parola al vicepresidente D'Attis.

  MAURO D'ATTIS. Ringrazio anche io anch'io il signor Procuratore e i procuratori aggiunti per la loro disponibilità. Un tema non è stato toccato, ma mi interessa molto ci venga raccontato dalla prospettiva «periferica», facendo riferimento alle dichiarazioniPag. 26 del Procuratore nazionale antimafia dottor Melillo a proposito del superbonus. Anche con mia sorpresa, il procuratore ha dato degli alert molto preoccupanti rispetto agli effetti del superbonus, non tanto dal punto di vista che obiettivamente anche noi che abbiamo partecipato a tutto l'iter normativo sapevamo, cioè quello delle truffe, ma addirittura di un consistente protagonismo delle mafie che, a detta dello stesso dottor Melillo, addirittura non si è nelle condizioni ancora di quantificare, nel senso che dava prospettive di risultati avvenire rispetto alla gestione dei crediti con lo Stato in mano alle mafie molto, ma molto preoccupanti. Volevo sapere quindi, anche in ragione della competenza distrettuale, se il signor procuratore avverte le stesse preoccupazioni o, meglio ancora, se ci siano già dati rilevanti che le preoccupazioni renderebbero concrete.

  PRESIDENTE. La parola all'onorevole Orlando sui chiarimenti che voleva chiedere.

  ANDREA ORLANDO. Volevo soltanto chiedere una risposta alle domande che avevo posto e che naturalmente, tra le molte, sono probabilmente andate in secondo piano. La prima riguarda la questione del rapporto con la finanza e la seconda faceva riferimento alla questione specifica del ruolo che eventualmente si può, dal suo osservatorio, misurare sul ruolo delle logge segrete, quindi non solo rispetto alla vicenda Messina Denaro. La ringrazio.

  PRESIDENTE. Grazie. Procuratore, abbiamo terminato le domande. A lei la parola.

  MAURIZIO DE LUCIA, Procuratore della Repubblica di Palermo. Comincio dalle ultime che in realtà sono le prime che, non dolosamente, avevo omesso, proprio perché fra le tante erano sfuggite. Il ruolo della finanza è un problema che si collega un'altra delle domande che è stata posta, perché noi abbiamo avuto per il passato un notevolissimo accumulo di risorse illecite da parte dell'organizzazione criminale. Una parte importante di queste risorse, anche per ragioni storico-culturali, è stata investita sul territorio e riguarda soprattutto l'edilizia ed è una questione antica in cui è parte anche la vicenda degli anni sessanta del «Sacco di Palermo» e ha continuato a essere investita in maniera massiccia fino agli anni ottanta circa. Un'altra parte di questo denaro è andato all'estero. Di questo abbiamo tracce soprattutto in contanti quindi con meccanismi a-finanziari, diciamo così, nella stagione del grande traffico di stupefacenti e in quel caso, siccome il denaro naturalmente non dorme, soprattutto quando affidato alle sapienti mani dei banchieri, ha prodotto investimento. Abbiamo ora una struttura investigativa di qualità che è il Nucleo valutario della Guardia di finanza, a Palermo da alcuni anni, che sta svolgendo un'attività investigativa sulla gestione di alcune banche e di alcune attività finanziarie perché in questo momento, non avendo notizie di reato specifiche sui flussi finanziari e sulle loro destinazioni, ci stiamo dedicando alla struttura di queste organizzazioni più finanziarie che bancarie, dato che ormai sono poche le banche rimaste operative e sono soggette a un regime di controllo particolare. Questo è lo stato dell'arte.
  Per quanto riguarda la questione più generale delle logge, siccome incontriamo soggetti iscritti a logge massoniche che sono in contatto con esponenti di Cosa nostra – lo abbiamo fatto per il passato e si continua a registrarlo anche nelle indagini più recenti – quello a cui assistiamo è un raffinarsi dell'uso dello strumento della loggia, nel senso che non troviamo più, come in passato, il mafioso dentro la loggia. Sebbene in punto di ortodossia delle regole, un mafioso non potrebbe essere un appartenente alla loggia massonica perché si giura per una sola cosa e se si giura per Cosa nostra non si giura per altro, però le regole sono fatte anche per essere interpretate in maniera elastica, quando serve: abbiamo quindi avuto nel passato la presenza di importantissimi esponenti mafiosi in loggia. Oggi, secondo il nostro osservatorio, il meccanismo si è raffinato nel senso che il mafioso non dialoga più direttamente Pag. 27e quindi entra nella loggia e nella loggia stabilisce le relazioni che gli servono: lo fa attraverso un soggetto, lui sì, intraneo alla loggia e ciò, ma lo stiamo ancora elaborando, può configurare un nuovo profilo di quel concorso esterno di cui si diceva poco fa nell'ambito di questa audizione. Una delle forme di collaborazione del soggetto non mafioso è proprio quella di garantire l'accesso e la veicolazione dentro la loggia, che serve per tante cose utili all'organizzazione mafiosa, che se non fossero fatte da chi le fa per conto del mafioso non avrebbero molto di illecito, ma siccome sono fatte da quel soggetto crea quei vantaggi, di cui abbiamo parlato prima, che rafforzano anche l'organizzazione mafiosa.
  Riprendendo dalla prima domanda dell'onorevole Ascari «sul sistema Montante» ovviamente non dico niente perché si tratta di un processo in corso, oltretutto istruito presso un distretto di Corte d'appello diverso dal nostro e quindi non ritengo di potere dire nulla.
  Ho qualche difficoltà sulla identificazione di chi viene dopo Messina Denaro perché è chiaro che stiamo facendo valutazioni e anche svolgendo attività. Devo però precisare alcune cose forse utili per la Commissione. Noi non abbiamo mai detto che Messina Denaro sia il capo di Cosa nostra, perché Messina Denaro non è il capo di Cosa nostra, per una questione di regole ma anche di realtà di fatto, nel senso che di fatto lui non ha mai governato l'organizzazione. Le regole dell'organizzazione vogliono che sia la commissione provinciale di Palermo a nominare il capo e che questo capo deve essere di Palermo. Poi, anche qui ci dobbiamo intendere fra costituzione formale e costituzione materiale, però lui è stato il capo della provincia di Trapani sia dal punto di vista materiale sia dal punto di vista formale e sulla provincia di Palermo e su tutta Cosa nostra ha svolto una funzione carismatica, nel senso che essendo l'ultimo stragista libero e il soggetto in qualche misura anche mitizzato il cui ruolo è cresciuto in forza della sua importanza anche a mano a mano che gli altri venivano catturati, è chiaro che alcune decisioni che riguardavano vicende importanti dell'organizzazione mafiosa hanno ottenuto il suo consenso o quantomeno il suo non dissenso. Gli viene riconosciuto in punto di fatto una funzione anche carismatica, ma non è il capo di Cosa nostra. Cosa nostra tende, non da ora, a ricostituire non tanto il suo capo quanto il suo vertice. Questa è una tendenza che registriamo almeno dal 2006. Nell'aprile del 2006 – la dottoressa Sabella è stata protagonista in prima persona – viene catturato Bernardo Provenzano, lui sì il capo di tutta Cosa nostra. Noi registriamo da allora una tendenza dell'organizzazione a tentare di ricostruire il suo vertice perché essendo naturalmente una struttura unitaria ha bisogno di questo vertice. Ci sono almeno due processi, uno del 2009 e uno del 2016 – non ero allora nella Procura di Palermo – che evidenziano proprio questo, cioè come si cerchino personaggi anche anziani, ma autorevoli, che possano aiutare a ricostituire la commissione, che siano i custodi delle regole che poi possono essere in qualche modo osservate e distribuite al resto del popolo di Cosa nostra.
  Per quanto concerne il 41-bis, torno a ribadire, che è uno strumento indispensabile del contrasto, non voglio dire che lo strumento sia in crisi però tutto può essere rimodulato. Intanto da qualche giorno abbiamo ricevuto una notizia per noi assai positiva e cioè che si sono esaurite le liste d'attesa dei soggetti, per i quali era predisposto il decreto di applicazione del regime ma che non potevano essere messi a regime perché mancavano i posti. Per noi è una notizia assolutamente confortante che significa che l'amministrazione penitenziaria ha raggiunto un risultato, ripeto, importante. Oggi se proponiamo e otteniamo il decreto per un soggetto al regime del 41-bis siamo in grado di vederlo ristretto al 41-bis senza che debba trascorrere del tempo. Poi è chiaro che bisogna fare una riflessione sul 41-bis. Dato per scontato quello che ho detto sulla sua validità, è chiaro che non deve neanche essere inteso come un provvedimento eterno, ma deve tenere conto sia del ravvedimento del soggetto sottoposto a regime sia, soprattutto, della situazione esterna. Non parlo di Cosa nostra perché Pag. 28per Cosa nostra il problema di un rapporto con il territorio rimane sempre costante. Però ad esempio in terra di camorra la continua fluttuazione delle realtà criminali fa sì che chi è stato capo in un certo periodo non solo smette di esserlo, ma anche il clan a cui apparteneva smette di esistere, non perché siano andati tutti a fare i boy scout, ma perché sono confluiti in altri clan, quindi questo destruttura completamente l'organizzazione e bisogna porsi la domanda se un soggetto deve ancora rimanere o meno in regime di 41-bis. Così come deve essere rivalutata una proposta del Garante per i detenuti che poneva il problema degli ultimi sei mesi di detenzione in regime di 41-bis di un soggetto che comunque sarebbe stato riposto in libertà. Anche qui deve essere oggetto di valutazione vedere cosa faccia meno danni e quanto senso debba avere per un soggetto che di lì a sei mesi torna libero, conservarlo ancora in regime di 41-bis. Occorre ancora dire che questo regime per la verità si applica prevalentemente a soggetti che non hanno una prospettiva di tornare in libertà perché condannati a pena definitiva. Dobbiamo poi considerare il singolo soggetto che può essere un capo riconosciuto di Cosa nostra il cui valore sia insostituibile, e quindi non gli si possa consentire in ogni caso di tornare a comunicare con l'esterno. Ferma restando l'assoluta validità del regime, esso deve essere tarato, anche dal punto di vista di come il soggetto rimane detenuto, perché devono naturalmente essere assicurati spazi congrui, devono essere considerati quei minimi di parametri individuati dalla giurisprudenza costituzionale, però, se mi è consentito, il regime del 41-bis che viene talvolta raffigurato come una forma di tortura nei confronti dei soggetti che vi sono sottoposti, è veramente lontano dalla realtà. Sono in una situazione carceraria molto peggiore – e questo me lo dicono appartenenti alla Polizia penitenziaria – soggetti che sono ristretti in numero di cinque o sei, magari di etnie diverse, all'interno di un carcere, chiamiamolo ordinario, per i quali ogni sera c'è una battaglia anche solo per determinare quale canale televisivo poter vedere. Il tema del 41-bis è delicato ma la questione del trattamento di tutti i nostri detenuti è altrettanto delicato e crea, a mio giudizio, dal punto di vista dei diritti umani, situazioni di maggiore criticità.
  Sulla tratta lascerò la parola alla dottoressa Sabella che ha un'esperienza radicata molto forte sul tema.
  Il tema del riciclaggio è connesso in qualche modo al tema dei finanziamenti. Anche lì cerchiamo di selezionare quanto più è possibile la qualità delle nostre indagini e abbiamo esiti più confortanti quando riusciamo a individuare beni materiali oggetto di riciclaggio attraverso strumenti anche alternativi a esso, penso alla fittizia intestazione di beni.
  Per quanto riguarda l'usura, debbo dire che nelle indagini di criminalità organizzata di tipo mafioso non riscontriamo questo reato, bisogna dire le cose per come sono. Si tratta di un reato oggetto di indagine da parte di un altro dipartimento della mia Procura, il dipartimento di contrasto al crimine economico. Non abbiamo però notizie di interessi diretti del crimine organizzato su questo tipo di reato, che, in qualche misura, è conforme alle regole perché è noto che i mafiosi a due reati guardano con particolare diffidenza: uno è l'usura e l'altro è la prostituzione. Però, siccome i soldi dell'usura non puzzano come tutti gli altri, storicamente si è fatto in passato di applicare il pizzo agli usurai, ma, ripeto, al momento l'usura, che pure colpisce una fascia della popolazione, non è oggetto di interesse del crimine organizzato, per quanto ci dicono le nostre indagini. C'è un problema che riguarda la vittima di usura. Secondo noi va sempre più distinta dalla vittima di estorsione perché la vittima di usura ha bisogno di essere accompagnata in un percorso particolare, è un soggetto che ha un rapporto ambiguo con l'usuraio è vittima e carnefice al tempo stesso. C'è capitato di incontrare recidive dal punto di vista della vittima. Ad esempio un sistema di protezione adeguato della vittima di usura deve sì prevedere ristori economici, ma soprattutto deve prevedere la capacità di riaccompagnarla in un circuito virtuoso.Pag. 29
  Il nostro ufficio ha di recente stipulato un protocollo con la procura dei minori che ci impone indagini «discoverate», come si dice con un brutto termine, di informare il procuratore dei minori rispetto a situazioni di particolare complessità che riguardano famiglie di soggetti che hanno commesso reati di particolare interesse per il crimine organizzato perché poi naturalmente abbiamo tutta un'altra serie di meccanismi reattivi per quanto riguarda i reati del codice rosso. Qui però, ma questo è rimesso all'autorità giudiziaria minorile, bisogna fare molta attenzione rispetto alle questioni che riguardano i minori figli dei mafiosi. Semplifico, perché una cosa a mio giudizio noi non dobbiamo fare, ma la semplifico veramente, ovvero togliere i figli ai padri perché se no rischiamo che appena diventano maggiorenni solidarizzino con i padri e odino lo Stato per quello che a loro dire ha fatto. E la mafia avrebbe gioco facile nel sostenere un meccanismo del genere, a meno che questo meccanismo, molto costoso ma necessario, non sia accompagnato da un percorso di recupero sapiente, nel senso che il giovane deve essere messo nella condizione di capire perché ha subito quella procedura, che l'intera famiglia deve essere messa in condizione di capire, e, in qualche misura, che lo stesso mafioso debba essere messo in condizione di capire. Non esistono cioè situazioni drastiche, ma esistono situazioni che non si possono esaurire con un provvedimento del giudice, ma devono essere accompagnate da uno sforzo in qualche misura anche sociale, che però è anche economico perché vuole dire risorse, psicologi, assistenti sociali. Insomma per realizzare il contrasto globale nella lotta alla mafia le risorse servono e sono importanti.
  Infine, quanto al superbonus, abbiamo constatato una mafia che «aspettava» come, fatte le dovute proporzioni, per ciò che sta accadendo per il PNRR. Cioè la mafia ha aspettato che partissero i meccanismi relativi al superbonus, poi siccome erano complicati – ma questo lo dico sull'esperienza di alcuni processi che si sono avuti a Palermo e anche per la mia esperienza precedente come procuratore distrettuale di Messina, ma c'è poca differenza nei comportamenti dal punto di vista territoriale – le organizzazioni mafiose hanno cercato di gestire gli appalti privati. Una volta acquisito il superbonus erano loro che decidevano chi ci metteva i materiali, chi lavorava, chi forniva gli infissi e via discorrendo. Hanno dunque cercato di alimentare un binario economico gestito da loro sulla scorta delle risorse che si potevano realizzare attraverso il superbonus, che è un po' quello che sta succedendo con il PNRR perché non sono stati in grado, come accadeva in un ormai remoto passato, di intercettare i finanziamenti. Però adesso che siamo nella fase dei cantieri, quella sì è la fase di interesse. In quella fase troviamo la loro presenza appunto in quei meccanismi di cui si diceva prima, relativi ai subappalti. Del resto la prima parte degli obiettivi era soprattutto legislativa, adesso c'è il problema della cantierabilità e questa è una cosa che a loro interessa molto.
  Infine sulla tratta avevo detto che sarebbe intervenuta la collega.

  PRESIDENTE. Do la parola alla dottoressa Sabella.

  MARZIA SABELLA, procuratore aggiunto di Palermo. La domanda è complessa quindi la mia risposta dovrebbe in teoria essere complessa, ma cercherò di semplificare molto. Ci si chiedeva il rapporto con il sistema mafioso, immagino che si intendesse sia la tratta sia le associazioni finalizzate all'immigrazione clandestina. Dobbiamo distinguere due aspetti che, pur all'interno dello stesso fenomeno, sono completamente diversi. Parliamo di rotte. Se guardiamo il traffico di migranti provenienti dalla rotta libica, tutto questo avviene all'estero. Noi abbiamo la competenza per tutta una serie di altre questioni che non credo possano essere di particolare interesse in questa sede, ma, avvenendo tutto all'estero, almeno secondo la nostra esperienza del distretto, non c'è nessun rapporto con le associazioni mafiose o le altre associazioni criminali che operano sul territorio. Addirittura una volta gli scafisti venivano ad accompagnare il natante Pag. 30fino alle coste siciliane, ma poi hanno smesso persino di fare questo, utilizzando la figura del cosiddetto autore mediato, ossia uno dei migranti. Anche il circuito dei flussi di denaro che riguarda l'immigrazione clandestina passa attraverso canali, come per esempio il cosiddetto metodo «Hawala», praticamente un canale fiduciario ma non bancario, e quindi anche questo aspetto prescinde dal nostro territorio. Abbiamo diversi procedimenti che riguardano le associazioni e i trafficanti libici, ma in nessuno di questi procedimenti abbiamo verificato il contatto con l'associazione mafiosa.
  Diverso invece quello che accade con la rotta tunisina, sia per ragioni storiche, dovute a un insediamento, che risale a molto tempo addietro, della popolazione tunisina nel territorio siciliano, e quindi per l'esistenza di pregressi rapporti, sia per la vicinanza della costa tunisina soprattutto con le coste trapanesi. Tali fattori hanno comportato che il traffico di migranti sia servito anche al trasporto di stupefacenti, al trasporto di tabacchi lavorati esteri, talvolta al trasporto di armi. In questi casi invece abbiamo riscontrato il rapporto con la criminalità organizzata locale, ma anche con l'associazione mafiosa, che ha ordinato tabacchi e stupefacenti. Siccome nella rotta tunisina si assicura anche il sistema dell'accoglienza e del trasferimento all'interno del territorio italiano, i contatti sono più stretti perché grazie all'italiano, grazie all'associazione criminale del territorio, il migrante viene trasferito e spostato in Francia o comunque nel Paese di destinazione finale.
  Se poi parliamo di tratta vera e propria, ancor meno abbiamo contatti con l'associazione mafiosa. Abbiamo invece contatti e rapporti con altre forme associative o spesso addirittura con singoli criminali. Se guardiamo per esempio alla tratta finalizzata allo sfruttamento sessuale di solito è la «maman» di altri Paesi, che vive e opera in Italia, che gestisce lo sfruttamento sessuale, avvalendosi di complici anche palermitani. Questo l'abbiamo accertato in diversi procedimenti, come anche la tutela da parte di associazioni nigeriane che pure operano sui territori.
  Per quanto riguarda invece la tratta finalizzata allo sfruttamento lavorativo essa è sempre opera del singolo o di associazioni, ma non sono le associazioni mafiose, almeno secondo le nostre ricostruzioni, che operano lo sfruttamento lavorativo. Poi se quell'impresa produce profitto e questo profitto finisce, come spesso accade, anche nelle tasche dell'organizzazione mafiosa, il rapporto in questi casi è semplicemente indiretto ma non diretto.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Procuratore e i procuratori aggiunti, nonché i commissari. Anche questa è stata un'audizione molto lunga, ma molto proficua per i nostri futuri lavori.

  La seduta termina alle 16.10.