XIX Legislatura

XII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta antimeridiana n. 7 di Mercoledì 13 dicembre 2023

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA SITUAZIONE DELLA MEDICINA DELL'EMERGENZA-URGENZA E DEI PRONTO SOCCORSO IN ITALIA

Audizione, in videoconferenza, di Francesco Franceschi, direttore UOC Medicina dell'urgenza e pronto soccorso, Policlinico universitario Agostino Gemelli di Roma, di Roberto Pieralli, medico di emergenza sanitaria territoriale 118 e presidente regionale SNAMI Emilia Romagna, di Maria Pia Ruggieri, direttore UOC Pronto soccorso, OBI e breve osservazione, Azienda ospedaliera San Giovanni Addolorata di Roma e di Alberto Zoli, direttore generale dell'Agenzia regionale emergenza urgenza (AREU) della Lombardia.
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 3 
Franceschi Francesco , direttore UOC Medicina dell'urgenza e pronto soccorso, Policlinico universitario Agostino Gemelli di Roma ... 3 
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 4 
Pieralli Roberto , medico di emergenza sanitaria territoriale 118 e presidente regionale SNAMI Emilia Romagna ... 4 
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 6 
Ruggieri Maria Pia , direttore UOC Pronto soccorso, OBI e breve osservazione, Azienda ospedaliera San Giovanni Addolorata di Roma ... 6 
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 8 
Zoli Alberto , direttore generale dell'Agenzia regionale emergenza urgenza (AREU) della Lombardia ... 9 
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 9 
Zoli Alberto , direttore generale dell'Agenzia regionale emergenza urgenza (AREU) della Lombardia ... 9 
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 9 
Zoli Alberto , direttore generale dell'Agenzia regionale emergenza urgenza (AREU) della Lombardia ... 9 
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 9 
Zoli Alberto , direttore generale dell'Agenzia regionale emergenza urgenza (AREU) della Lombardia ... 9 
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 9 
Zoli Alberto , direttore generale dell'Agenzia regionale emergenza urgenza (AREU) della Lombardia ... 9 
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 9 
Zoli Alberto , direttore generale dell'Agenzia regionale emergenza urgenza (AREU) della Lombardia ... 9 
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 11 
Ruggieri Maria Pia , direttore UOC Pronto soccorso, OBI e breve osservazione, Azienda ospedaliera San Giovanni Addolorata di Roma ... 12 
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 12 
Franceschi Francesco , direttore UOC Medicina dell'urgenza e pronto soccorso, Policlinico universitario Agostino Gemelli di Roma ... 12 
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 13 
Zoli Alberto , direttore generale dell'Agenzia regionale emergenza urgenza (AREU) della Lombardia ... 13 
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 13 
Pieralli Roberto , medico di emergenza sanitaria territoriale 118 e presidente regionale SNAMI Emilia Romagna ... 14 
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 14 
Zoli Alberto , direttore generale dell'Agenzia regionale emergenza urgenza (AREU) della Lombardia ... 14 
Ciocchetti Luciano , Presidente ... 14

Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
Azione - Popolari europeisti riformatori - Renew Europe: AZ-PER-RE;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Noi Moderati (Noi con L'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE: NM(N-C-U-I)-M;
Italia Viva - il Centro - Renew Europe: IV-C-RE;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
LUCIANO CIOCCHETTI

  La seduta comincia alle 12.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la resocontazione stenografica e la trasmissione attraverso la web-tv della Camera dei deputati.

Audizione, in videoconferenza, di Francesco Franceschi, direttore UOC Medicina dell'urgenza e pronto soccorso, Policlinico universitario Agostino Gemelli di Roma, di Roberto Pieralli, medico di emergenza sanitaria territoriale 118 e presidente regionale SNAMI Emilia Romagna, di Maria Pia Ruggieri, direttore UOC Pronto soccorso, OBI e breve osservazione, Azienda ospedaliera San Giovanni Addolorata di Roma e di Alberto Zoli, direttore generale dell'Agenzia regionale emergenza urgenza (AREU) della Lombardia.

  PRESIDENTE. La Commissione prosegue oggi le audizioni nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla situazione della medicina dell'emergenza-urgenza e dei pronto soccorso in Italia. Partecipano all'audizione odierna il dottor Francesco Franceschi, direttore dell'UOC Medicina dell'urgenza e pronto soccorso del Policlinico universitario Agostino Gemelli di Roma, il dottor Roberto Pieralli, medico di emergenza sanitaria territoriale 118 e presidente dello SNAMI Emilia Romagna, la dottoressa Maria Pia Ruggeri, direttrice dell'UOC pronto soccorso, OBI e breve osservazione dell'Azienda ospedaliera San Giovanni Addolorata di Roma, e il dottor Alberto Zoli, direttore generale dell'Agenzia regionale emergenza urgenza (AREU) della Lombardia.
  Ricordo che l'odierna audizione sarà svolta consentendo la partecipazione da remoto in videoconferenza sia dei deputati che dei soggetti auditi, secondo le modalità stabilite dalla giunta per il Regolamento.
  Ricordo che allo svolgimento di ciascuna relazione – che pregherei di contenere entro dieci minuti – potranno seguire domande da parte dei deputati e quindi la replica dei soggetti auditi.
  La documentazione acquisita sarà resa disponibile ai deputati attraverso l'applicazione GeoCamera e sarà altresì pubblicata sul sito Internet della Camera dei deputati.
  Darei quindi la parola al dottor Francesco Franceschi, ringraziando chiaramente tutti quanti per la disponibilità ad intervenire in questa nostra indagine conoscitiva.

  FRANCESCO FRANCESCHI, direttore UOC Medicina dell'urgenza e pronto soccorso, Policlinico universitario Agostino Gemelli di Roma. Buongiorno. Ringrazio la Commissione per l'opportunità.
  Sono direttore di Medicina d'urgenza e pronto soccorso e sono anche direttore della scuola di specializzazione in Medicina di emergenza-urgenza dell'Università Cattolica del Sacro Cuore: in tale duplice veste, ho contezza sia del modo di lavorare dei nostri medici strutturati – quindi i «pro» e i «contro» del lavorare in pronto soccorso – sia dell'operare delle nuove generazioni di medici che fanno la specializzazione e che quindi si approcciano a questo tipo di lavoro.
  Sicuramente nell'ultimo periodo abbiamo registrato (già prima del Covid, poi c'è stato il Covid...), un'importante ripresa Pag. 4del numero di accessi in pronto soccorso, generando una situazione abbastanza difficile. Purtroppo la popolazione invecchia e la medicina ha «generato» nuove fragilità, con il miglioramento delle terapie.
  Si pensi ad esempio a quanto le terapie oncologiche abbiano migliorato la sopravvivenza dei pazienti, i quali però purtroppo poi hanno varie complicanze durante il loro decorso. Tutte queste complicanze poi vengono inevitabilmente «riversate» nel pronto soccorso, che è sempre pieno, sostanzialmente perché vi è un'enorme difficoltà nel ricovero dei pazienti. Quindi si registra il cosiddetto overcrowding, cioè il sovraffollamento del pronto soccorso, sostanzialmente dovuto al numero di pazienti che restano in attesa di ricovero, ai quali ovviamente provvede poi il personale del pronto soccorso.
  Questo non è un fenomeno soltanto italiano, è un fenomeno internazionale, ben descritto in tanta letteratura scientifica. Io cito per esempio una lettera scritta dall'associazione dei medici urgentisti americani al Presidente degli Stati Uniti, che appunto allarmava il Presidente stesso su questa situazione.
  Quindi, questo è l'attuale scenario in pronto soccorso.
  Per contro, ci sono tanti giovani specializzandi appassionati che scelgono di fare questo lavoro, nonostante le difficoltà. Ci sono quindi specializzandi, – ne ho immatricolati 18 su 20 quest'anno – che scelgono di fare il nostro mestiere.
  Sono veramente giovani appassionati, che vanno supportati nella loro scelta, perché hanno scelto una specializzazione difficile e un mestiere difficile, ma d'altronde nessuno li ha costretti: l'hanno fatto per scelta.
  Se andiamo a vedere la realtà del nostro lavoro, dico sempre che per un appassionato di medicina quello del pronto soccorso è il lavoro più bello del mondo, perché ti permette di poter veramente vedere e affrontare qualsiasi tipo di patologia.
  È chiaro che noi, come direttori di scuola, dovremmo cercare di favorire l'ingresso dei nostri specializzandi, promuovere le attività delle nostre scuole e cercare di trasmettere un senso di positività.
  È chiaro che il medico di pronto soccorso andrebbe supportato con una serie di azioni, alcune delle quali sono al di fuori della portata di un direttore di unità operativa complessa. Penso, ad esempio, che il medico di pronto soccorso vada supportato maggiormente, non soltanto attraverso benefits economici.
  Cito ad esempio l'operato della «Commissione Nordio» sulla depenalizzazione e sulla colpa medica: esentare il medico in regime di emergenza dalla colpa medica sarebbe un passo importante, così come aumentare le indennità economiche a favore del medico che lavora nel setting dell'emergenza-urgenza, che non è solo il pronto soccorso.
  Pensiamo, ad esempio, alla possibilità di un medico che sceglie di lavorare in pronto soccorso di poter uscire, a un certo punto della sua vita lavorativa, per essere destinato ad un'altra mansione, qualora non riesca più a poter dare il suo apporto per questioni di età.
  Se come Paese investiamo nel setting dell'emergenza-urgenza attraverso l'adozione di una serie di provvedimenti, questo migliorerà sicuramente la situazione, migliorerà anche l'immagine del medico di medicina di emergenza-urgenza e favorirà, sicuramente, l'ingresso di medici neolaureati che sceglieranno la scuola di specializzazione in medicina di emergenza-urgenza.

  PRESIDENTE. Grazie, professor Franceschi. Do la parola al dottor Roberto Pieralli.

  ROBERTO PIERALLI, medico di emergenza sanitaria territoriale 118 e presidente regionale SNAMI Emilia Romagna. Buongiorno a tutti. Grazie dell'opportunità di intervenire. Sono un medico di emergenza che ha ricoperto un po' tutti i ruoli da una ventina d'anni, partendo dal servizio del 118.
  Vorrei dare oggi alla Commissione un contributo in termini di soluzioni, oltre che, ovviamente, sul piano della descrizione di alcune criticità che vanno sicuramente affrontate nei prossimi anni.Pag. 5
  Noi abbiamo un sistema di emergenza che, come tutti i sistemi sanitari, è la «complessità all'interno della complessità», perché è il sistema che deve gestire «in via generalista» – lo dico così – perché il sistema di emergenza è un po' «la medicina generale dell'acuto», cioè si deve sapere un po' di tutto e si deve saper fare un po' di tutto.
  Questo è quello che porta l'area specialistica ad essere una delle branche più complesse, perché bisogna sapere veramente un po' di tutto: nella fase acuta, in quella di stabilizzazione dei pazienti e in qualunque condizione, sia fuori dall'ospedale che all'interno dello stesso.
  Qui il nostro Paese, in passato, ha potuto insegnare la costruzione di sistemi sia nell'ambito del 118, – vengo da Bologna che è stata la prima centrale operativa in Italia ed il primo sistema organizzato di soccorso pre-ospedaliero – sia per la parte di tutta la rete ospedaliera (hub, spoke, i centri per traumi, quelli per le patologie particolari, come i centri grandi ustionati). Si tratta di una rete che deve lavorare bene.
  In questi anni mi sento di rappresentare che, purtroppo, ci sono state diverse problematiche su una visione complessiva del sistema, (sono un po' in antitesi con altri colleghi). Si è parlato di un medico unico per funzioni che vanno dal pre-ospedaliero all'attività intraospedaliera in pronto soccorso, ricomprendendo anche le attività di terapia subintensiva e medicina d'urgenza: questo ha portato a stravolgere quello che era l'assetto organizzativo dei sistemi.
  Esaminiamo per step: inizio dalla parte pre-ospedaliera per poi aggiungere alcuni elementi sulla parte intraospedaliera.
  Il sistema del 118 è oggi in Italia molto frammentato dal momento che è un sistema che, regione per regione, ha modelli organizzativi anche molto diversi, pur nel rispetto del decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70, che ha definito alcuni standard (che tuttavia sono interpretati e definiti in modo diverso nelle unità nelle varie regioni).
  Questo ha portato a «destrutturare» negli anni, in qualche modo, rapporti matematici che sono utili in tutto il resto della medicina territoriale, tra numero di abitanti e tipologia di territorio (quindi tenendo conto dell'area orogeografica, insulare piuttosto che di pianura). Ciò ha causato non pochi problemi nella programmazione dei fabbisogni, perché se occorre garantire un servizio che deve essere omogeneo, assicurando la stessa possibilità e le stesse chance tanto a chi abita in montagna, su un'isola o all'interno di una grande metropoli, allora occorre avere un parametro di riferimento per capire quanti medici, infermieri e operatori tecnici devo formare.
  Se non dispongo di questo parametro matematico – e già in altri settori dove c'era un parametro spesso la programmazione formativa è «saltata» – difficilmente riesco a garantire servizi che abbiano un numero di professionisti e di posizioni lavorative sufficienti e a garantire non solo tempi di intervento certi ma anche una prestazione, in termini di soccorso, omogenea.
  Sorvolerei su tutto quello che è stato il trascorso pandemico che, ovviamente, sappiamo tutti quanto abbia messo sotto stress il sistema sanitario.
  Il secondo punto – sentivo anche il collega che ha parlato prima di me – , è il tema delle forme contrattuali e dell'incentivazione del personale.
  In diverse discussioni che si stanno facendo, sia nell'ambito sanitario ma anche nel mondo politico, apprendiamo di proposte che sostanzialmente ricalcano modelli contrattuali che oggi purtroppo, lo sappiamo, in Europa non sono sufficientemente attrattivi per i professionisti. Sul punto dei salari, che è il più difficile e il più complesso – e, addirittura, ho avuto il piacere di leggere che nel programma di questa indagine si parla anche della effettiva possibilità di attività aggiuntive (libera professione e sviluppo futuro) – occorre dire che, se non siamo nella possibilità di aumentare in modo veramente importante la «massa salariale» e quindi l'attrattività di certe posizioni che sono più complesse, allora necessariamente bisognerà lasciare una maggiore flessibilità – che non vuol dire «anarchia» – che consenta ai professionisti di accedere ai servizi di emergenza, Pag. 6di lavorare stabilmente e strutturalmente nei servizi di emergenza, ma anche di sviluppare altre possibilità formative. Perché non possiamo paragonare il lavoro in emergenza-urgenza, con turni notturni e festivi fino a 70 anni, a un lavoro di tipo ambulatoriale, che ha delle altre complessità, ma magari è un tipo di lavoro specialistico meno stressante, con meno carichi e orari più sostenibili anche sul lungo periodo.
  Se noi oggi non diamo ai giovani una prospettiva di sviluppo di questo tipo di carriera, più flessibile, non andremo da nessuna parte. Ne parlo molto convintamente perché nell'azienda in cui opero siamo riusciti a invertire completamente il trend (quindi per questo vi dicevo che voglio parlare di soluzioni). Negli ultimi anni, mentre quasi in tutta Italia si perdeva personale, siamo l'unica azienda che non ha inserito una cooperativa e che, soprattutto, con un lavoro fatto «a tavolino» sul piano contrattuale, ha registrato un +53 medici di emergenza territoriale che oggi supportano sia i servizi di pronto soccorso e sia, recentemente, altri servizi ospedalieri che erano in difficoltà di personale.
  Non abbiamo fatto «magie» particolari, ma abbiamo raggiunto un equilibrio flessibile, utilizzando gli strumenti che già oggi sono presenti nei sistemi contrattuali del Servizio sanitario nazionale, garantendo una maggiore libertà ai professionisti. Questo ci ha portato a trovare soluzioni e a risolvere parte dei problemi.
  Per risolvere tutto e realizzare una «cornice», anche normativa, ci vuole ovviamente l'intervento del Parlamento, tuttavia, con gli strumenti disponibili siamo riusciti a fare un piccolo «miracolo», che vi invito, se avrete l'interesse, ad approfondire.
  Sulla parte dell'integrazione tra l'attività pre-ospedaliera e l'attività ospedaliera c'è un tema che va risolto, ovvero quello della figura del medico di emergenza unico. Questo perché ci sono vocazioni che devono essere rispettate nei professionisti: spesso un anestesista rianimatore non vuole lavorare in pronto soccorso, spesso un medico di pronto soccorso non vuole lavorare nel 118 e spesso un medico del 118 non vuole lavorare in pronto soccorso.
  Questo non significa che questi professionisti siano meno bravi o meno compliants col sistema rispetto agli altri; significa piuttosto che occorre mettere tutti nelle condizioni per dare il meglio possibile nell'attività professionale. Questo deve essere fatto misurando e garantendo livelli di performance omogenee, nonché un efficace trattamento delle patologie.
  Vorrei dire infine chiaramente che il sistema non opererà efficacemente se non si affronta il tema della disponibilità dei posti letto. Oggi purtroppo la carenza di posti letto è un tema ben noto: siamo uno dei Paesi con il minor numero di posti letto per mille abitanti nell'ambito dell'Unione europea. Questo è un «imbuto» che se non viene in qualche modo superato, o almeno mitigato anche con altre strategie (ad esempio con i bacini di compensazione), renderà veramente invivibile il lavoro all'interno delle strutture. Se il lavoro è invivibile, noi possiamo anche agire sui contratti e sulla flessibilità, possiamo anche agire sulla volontà dei professionisti di fare una parte della loro carriera all'interno dei servizi di emergenza per poi magari dedicarsi ad altro, ma non riusciremo a creare una sufficiente attrattività.
  Spero di non aver superato il tempo a mia disposizione e sono disponibile per rispondere ad eventuali domande.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola alla dottoressa Maria Pia Ruggeri.

  MARIA PIA RUGGIERI, direttore UOC Pronto soccorso, OBI e breve osservazione, Azienda ospedaliera San Giovanni Addolorata di Roma. Buongiorno, onorevole Presidente e onorevoli membri della Commissione, vi ringrazio per l'attenzione su un tema a noi così caro.
  Sono direttore di un dipartimento d'urgenza di secondo livello a Roma e sono stata anche presidente nazionale della SIMEU (attualmente sono all'interno del consiglio nazionale Simeu e del consiglio direttivo dell'associazione Salutequità). Questo per dirvi quanto il tema dell'emergenza-urgenza mi sia caro e come lo sia anche per tutti coloro che rappresento, ovvero i miei colleghi medici e infermieri dell'urgenza.Pag. 7
  È chiaro che per me è più facile parlare – perché hanno già parlato i colleghi prima di me – , e cercherò di seguire quanto mi sono appuntata nella mia memoria, che poi lascerò, per dirvi che sicuramente gli accessi di pronto soccorso, dopo la pandemia, stanno aumentando e probabilmente ci attesteremmo intorno di nuovo ai 20 milioni di accesso.
  Il numero degli accessi di pronto soccorso è sicuramente un dato importante, ma oggi dobbiamo pensare anche a qualche altro indicatore di complessità assistenziale in pronto soccorso, di complessità clinica e non solo guardare al numero di accessi di pronto soccorso. Sto dicendo che il calcolo dello standard del personale medico, infermieristico e OSS, del team dell'emergenza-urgenza in pronto soccorso, deve necessariamente essere calcolato in maniera diversa dal solo numero degli accessi. Oggi il ruolo del pronto soccorso non è più quello di quarant'anni fa – quando avevamo pazienti che passavano dal pronto soccorso semplicemente per essere ricoverati. Oggi, come hanno detto i miei colleghi, i professionisti dell'emergenza fanno diagnosi, cura e prendono anche decisioni di dimissioni a domicilio oppure di ricovero.
  Su questo occorre fare l'osservazione importante del boarding, cioè dell'attesa al ricovero. Questo è veramente un problema critico, come hanno sottolineato i miei colleghi precedentemente, perché, da una parte, determina grossi problemi di aumento del rischio clinico per i malati, come è ben noto (mortalità, cure inefficaci, ritardi di diagnosi, di terapia e quant'altro), ma crea anche una disaffezione dello specialista urgentista e dell'infermiere che ha scelto quel lavoro. Perché non è la scelta che loro hanno fatto professionalmente di gestire, all'interno del pronto soccorso, un reparto «fantasma» in barelle. Probabilmente, anzi sicuramente, bisogna mettere in campo alcune azioni di miglioramento sull'ambito del boarding. Il boarding è un problema che non riguarda il pronto soccorso, ma deve essere preso in carico da qualcosa che si chiama ospedale (anche se il pronto soccorso fa parte dell'ospedale).
  Oltre a questo, vorrei fare una piccola chiosa sugli accessi di pronto soccorso. Oggi si sente tanto parlare di accessi impropri, i famigerati codici bianchi e verdi, le problematiche socio-assistenziali di tipo psichiatrico, degli oncologici terminali, il fine vita.
  Intanto, abbiamo un problema serio: parliamo di codici bianchi e verdi perché in Italia alcune regioni hanno il triage a cinque codici, come stabilito dalla Conferenza Stato-regioni nel 2019, altre regioni «viaggiano» ancora a quattro codici. Quindi, occorre attenzione quando vogliamo attribuire a questi codici una sorta di «inappropriatezza» in termini di accesso al pronto soccorso.
  Apro e chiudo una parentesi: per me, medico di pronto soccorso, chiunque varchi la soglia di quel pronto soccorso è chiaro che è un accesso proprio per il paziente, perché è evidente che sta esprimendo un bisogno di salute. Comunque ben vengano gli ospedali di comunità, ben vengano soluzioni che possano sgravare il pronto soccorso da accessi che erano i «vecchi» codici bianchi (oggi codice 5).
  Per quanto riguarda il problema del numero dei professionisti: è ben noto a tutti come quest'anno il 70 per cento delle borse di studio per la specializzazione in medicina di emergenza-urgenza siano rimaste non occupate. Perché c'è ovviamente una crisi fortissima, non solo della fidelizzazione di chi lavora e fugge dal pronto soccorso – mancano all'appello 5.000 medici, ogni mese in Italia 100 medici abbandonano il pronto soccorso – ma anche una crisi della vocazione, cioè di coloro, come ha detto prima il collega, che avrebbero voglia di fare il medico dell'urgenza ma preferiscono alla fine non farlo.
  Allora, quali le azioni possibili per migliorare in maniera pratica?
  Intanto, sostengo il modello specialistico dell'emergenza-urgenza con un medico specialista: perché «suona strano» che in rianimazione non ci sia il rianimatore e che in sala operatoria cardiochirurgica non ci sia il cardiochirurgo; allo stesso modo, nel modello dell'emergenza pre-ospedaliera e ospedaliera deve essere individuata la figuraPag. 8 del medico urgentista specialista in medicina di emergenza-urgenza.
  Il modello organizzativo è fondamentale e chiedo pertanto a questa Commissione di individuarlo correttamente, con grande passione e con grande umiltà: l'emergenza pre-ospedaliera, quella ospedaliera in pronto soccorso, OBI e letti di terapia semi-intensiva, che vengono seguiti dallo specialista urgentista. Perché questo fidelizza, aumenta la vocazione professionale ma soprattutto dà qualità e sicurezza di cure al paziente nel percorso dell'emergenza-urgenza. E la letteratura scientifica ben lo dimostra nelle patologie tempo-dipendenti.
  Venendo alle azioni necessarie per migliorare ulteriormente e al tempo stesso investire nel futuro delle specialità (e quindi del professionista), elencherei le seguenti:

   l'efficientamento dell'accreditamento delle scuole di specializzazione;

   favorire la formazione, com'è in alcune regioni, nella rete della formazione extra universitaria, oltre che universitaria; cambiare l'inquadramento del medico in formazione specialistica, evolvendo la sua figura da vincitore di borsa di studio universitaria post laurea a medico in formazione assunto con contratto ad hoc; garantire il trattamento degli specializzandi, al pari di coloro che sono presi a contratto collettivo nazionale a tempo indeterminato (quindi: monte ore, straordinari, malattia, gravidanza e tutto quello che compete); indennità del medico in formazione equiparata ai colleghi medici in formazione in Europa – un'indennità di esclusività, perché anche questo fa parte della qualità della vita; ottimizzazione delle incompatibilità e delle equipollenze;

   assicurare un incremento delle tutele per i medici contro le aggressioni e le crociate giudiziarie che oggi nel contenzioso trovano l'ulteriore fuga dei professionisti dal servizio dell'emergenza-urgenza;

   incentivare l'ingresso con un contratto a tempo indeterminato e non con contratti atipici – basta con queste cooperative che sono il vero competitor del Servizio sanitario nazionale dell'emergenza-urgenza;

   programmare ovviamente ingressi a medicina e contratti di formazione, cosa che ad oggi è stata fatta, negli anni passati, veramente molto male.

  Per quanto riguarda il personale, è necessario consolidare il professionista attualmente in servizio che tende a fuggire, riconoscere e promuovere un'identità professionale ai nostri specialisti, riconoscere un'attività stressante, usurante, psicologicamente difficile (non so, però va riconosciuta, perché è indubbio che è un lavoro abbastanza pesante e in alcuni momenti anche mortificante), quindi riconoscere l'indennità di rischio.
  Probabilmente occorre mettere mani anche sull'orario di servizio, perché l'orario settimanale di un medico d'urgenza in ambulanza, in pronto soccorso, in elicottero o nel reparto di terapia semintensiva del pronto soccorso, non ha lo stesso carico di lavoro e lo stesso stress dello stesso orario di lavoro di un collega, che magari fa bene il suo lavoro ma lo esplica in ambulatorio.
  Possibilità di uscita da questo tipo di lavoro. In che modo? Probabilmente maturata un'età, che è 55/60 anni, bisognerà dare un percorso in uscita ai colleghi che ovviamente a sessant'anni non possono fare cinque, sei, sette notti di pronto soccorso.
  Quindi sicuramente anche un incentivo economico, ma come vedete non sono solo proposte di tipo economico ma anche proprio di qualità della vita.
  Tutela legale, perché oggi purtroppo si è allo sbaraglio.
  Iscrizione a specializzazione di chi già lavora in pronto soccorso e non è specialista continuando a lavorare.
  Riconoscimento di specialità del pronto soccorso nell'applicazione della «legge Gelli», per ridurre probabilmente quella che oggi è un'altra piaga, che è la medicina difensiva.
  Purtroppo il tempo è poco, ma sarò ben lieta di lasciare una memoria abbastanza esaustiva in modo tale che, chissà, possiamo finalmente guardare al futuro con ottimismo.

  PRESIDENTE. Grazie, dottoressa. Attendiamo chiaramente la sua memoria come Pag. 9quella degli altri auditi, alcuni ci hanno già inviato documentazione scritta.
  Do infine la parola al dottor Alberto Zoli.

  ALBERTO ZOLI, direttore generale dell'Agenzia regionale emergenza urgenza (AREU) della Lombardia. Buongiorno a tutti. Grazie dell'opportunità e, per quanto mi riguarda, di poter esporre le mie opinioni relativamente alle difficoltà...

  PRESIDENTE. Dottor Zoli, mi scusi, la sentiamo male. La vediamo meno, non so che cosa sia successo.

  ALBERTO ZOLI, direttore generale dell'Agenzia regionale emergenza urgenza (AREU) della Lombardia. Proviamo a sistemare. Mi sentite meglio?

  PRESIDENTE. Le sue parole vengono modificate. Provi a togliere il video.

  ALBERTO ZOLI, direttore generale dell'Agenzia regionale emergenza urgenza (AREU) della Lombardia. Adesso mi sentite?

  PRESIDENTE. Sentiamo meglio.

  ALBERTO ZOLI, direttore generale dell'Agenzia regionale emergenza urgenza (AREU) della Lombardia. Dal momento in cui ho letto, non solo con interesse ma con la mia totale approvazione, il documento della XII Commissione sull'indagine conoscitiva sulla medicina dell'emergenza- urgenza e del pronto soccorso in Italia, non mi limiterò a formulare una lista dei problemi ma mi impegnerò a darvi o a proporre delle soluzioni per sostenere la tenuta dei pronto soccorso e della medicina di emergenza-urgenza in Italia. Devo dire che la prima considerazione è che la fuga dei professionisti dai pronto soccorso non è un segno di disaffezione professionale, ma una resa sofferta a due situazioni particolarmente critiche, ovvero la disfunzione del sistema ospedaliero e l'inadeguatezza dell'offerta a livello di cure intermedie e della rete territoriale, particolarmente critica nel caso di pazienti fragili.
  Parole pesanti, però secondo me è così.
  Dobbiamo agire sulla leva organizzativa e quindi nei confronti dei professionisti, medici e infermieri.
  Sul piano delle proposte: chi mi ha preceduto ha già citato abbondantemente il problema che oggi affligge i pronto soccorso, ovvero il boarding. Per risolvere il problema del boarding, occorre procedere con il ricovero entro le otto ore dal triage!
  Quali azioni perché ciò avvenga? Garanzia da parte delle aree di degenza, gli slot e quindi posti letto predefiniti...

  PRESIDENTE. Non la sentiamo più. È la «potenza» della Regione Lombardia questa. Purtroppo non la sentiamo. Perché non prova a scollegarsi e a ricollegarsi per favore? Dottor Zoli, ci sente? Purtroppo la voce va e viene.

  ALBERTO ZOLI, direttore generale dell'Agenzia regionale emergenza urgenza (AREU) della Lombardia. Adesso mi sentite?

  PRESIDENTE. Sembra andare meglio.

  ALBERTO ZOLI, direttore generale dell'Agenzia regionale emergenza urgenza (AREU) della Lombardia. Quali azioni predisporre? Abbiamo bisogno di slot e di posti letto predefiniti per i ricoveri da pronto soccorso ovviamente. Sette giorni su sette, sulla base dello storico degli anni precedenti.
  Secondo punto: l'attivazione di posti letto aggiuntivi in ogni area di degenza, in inglese Full Capacity Protocol.
  Attenzione, quando parliamo di area degenza parliamo prevalentemente di area medica: la maggior parte dei ricoveri sono nei dipartimenti di area medica.
  In caso di persistenza di boarding, occorre prevedere l'apertura di admission room diffuse in aree di degenza o centralizzate con spazi e organico infermieristico non di PS, o in alternativa gestione di «Boarding AREA» da parte di specialisti in aree ben definite di PS.
  Prevedere l'accesso a posti letto di area subacuta e di cure intermedie, anche in strutture private (sette giorni su sette), governati dal Servizio di Bed ManagementPag. 10dell'Azienda Ospedaliera o da centrali regionali.
  Prevedere l'attivazione di progetti di dimissioni precoci da PS, con il supporto di Team di Risposta Rapida Domiciliare/UCA e dei servizi previsti dalle COT, nonché di slot dedicati ai percorsi ambulatoriali POST PS, secondo protocolli condivisi con gli specialisti di riferimento.
  Un altro punto: per quanto riguarda i letti di osservazione breve intensiva, (OBI, per gli addetti ai lavori), non occupati dal boarding. Signori, tutta l'Italia ha i posti letto di OBI piena di pazienti in boarding. Questo è lo stato di fatto!
  Per migliorare l'appropriatezza dei ricoveri occorre che ogni PS/DEA abbia dei letti dedicati di OBI (non occupati da boarding) e una degenza di Medicina d'urgenza (afferente alla SC Meu/PS), con letti dedicati a degenza breve.
  Sempre per quanto riguarda la leva organizzativa, possiamo dire che abbiamo fatto l'esperimento prevalentemente nell'area metropolitana Milano, nel 2022-2023, e abbiamo visto che ha funzionato molto bene.
  Vi do una dimensione: abbiamo avuto 12.000 trasporti in meno in un anno nelle strutture di PS della città di Milano, attivando una centrale medica integrata, (quindi una «sovra-centrale»), con medici MEU, ovvero medici di pronto soccorso senior, che operano dentro una sala operativa.
  Questa sala operativa prende le chiamate dei codici verdi, che sono circa il 50 per cento delle chiamate di soccorso (e quindi pervenute e trasferite alle centrali operative del 118), e con il supporto della telemedicina si gestisce questo 50 per cento di codici verdi.
  Vi assicuro che è significativo avere 12.000 trasporti in meno in un anno nei pronto soccorso della città di Milano e contestualmente trattare codici verdi e pazienti a domicilio, nel senso che, con la televisita e addirittura la prescrizione dematerializzata, ci si può presentare in farmacia con la prescrizione sul proprio smartphone.
  Questo ha prodotto il seguente risultato: sul 50 per cento di codici verdi, soltanto una piccolissima percentuale arriva in pronto soccorso.
  La stessa logica è stata attivata e può essere attivata per una centrale di secondo livello attiva 24 ore su 7 giorni. Nella nostra regione questo sistema è attivo da quattro anni. Questa è l'azione per cercare di combattere la cosiddetta «auto presentazione» (auto medicazione si diceva una volta). Attenzione, si ricordi che questa percentuale dei flussi in pronto soccorso è elevatissima: si sfiora l'80 per cento di autopresentazioni e il 21 per cento per il trasporto in pronto soccorso.
  Come dicevo prima, si costituisce così una sorta di community emergency medicine. Questa è un'azione rivolta prevalentemente verso i pazienti fragili.
  Questo team di risposta rapida porta di fatto il pronto soccorso a domicilio. E anche con l'ausilio, e soprattutto la forza di queste azioni, si sono ridotti a tal punto gli accessi in codice verde.
  Per migliorare l'appropriatezza degli accessi in PS è fondamentale la segmentazione della domanda all'accesso a triage, prevedendo l'attivazione di percorsi per la gestione di codici 4 e 5, con organico e spazi esterni al Pronto Soccorso, tra cui percorsi fastrack (mono-specialistici) e ambulatorio codici minori da prevedersi in tutti i DEA I e II.
  Per quanto riguarda l'organico, ci sono già i documenti prodotti da Agenas e dalla SIMEU che dicono tutto. Basta farlo, non c'è bisogno di inventarsi nulla. Quindi, lo ribadisco: devono essere gli stessi professionisti che lavorano dentro e fuori a rotazione e quindi in emergenza pre-ospedaliera e ospedaliera.
  Occorre favorire un costante monitoraggio della attività di PS, attraverso progetti di miglioramento di qualità e di performance secondo metriche condivise a livello regionale e nazionale, in un'ottica di benchmark.
  Per agire sulla leva professionale, ripeto quello che ho appena detto: per rendere operativi le strutture MEU, è indispensabile garantire la rotazione (da noi sta funzionando). È necessario definire in modo univoco ruolo e funzione degli specialisti MEU Pag. 11nel contesto ospedaliero e pre-ospedaliero, favorendo l'integrazione armonica e sinergica con tutte le specialità medico/chirurgiche operanti nella rete Emergenza-urgenza e prioritariamente con gli anestesisti rianimatori.
  Per rendere attrattiva la professione del MEU è indispensabile non relegare tali specialisti alla sola attività di turnista in Pronto soccorso; a tal fine le direzioni delle strutture ospedaliere sede di DEA/Pronto soccorso, devono garantire la rotazione del personale assegnato alle strutture complesse «pronto soccorso e medicina d'emergenza-urgenza» o ai pronto soccorso.
  Anche la figura infermieristica deve essere adeguatamente valorizzata, riconoscendo la piena autonomia nelle attività di presa in carico e cura dei pazienti in qualunque area del PS, secondo protocolli condivisi e in team con il personale medico, in una logica di Rapid assessment & treatment e, dopo adeguata formazione, anche nei percorsi di See & treat.
  Per quanto riguarda la riduzione del ricorso alle cooperative – questo è un auspicio – può avvenire favorendo l'adesione da parte dei medici specialisti ospedalieri di area medica e chirurgica a turni aggiuntivi incentivati in PS, a partire dalle aree a bassa complessità (ambulatori codici minori, che ho citato prima).
  Per quanto riguarda la formazione, che deve essere continua cito, a titolo esemplificativo, la collaborazione con le università e il nostro centro di formazione.
  La nostra è un'agenzia che segue 10 milioni di cittadini, un sesto dell'Italia (quindi sono attività portate su base regionale): ebbene, la Lombardia ha avviato in questo senso un percorso virtuoso pianificando, in collaborazione con l'Università, la formazione di specializzandi MEU e specialisti, garantendo presso il Teaching center di AREU, tutta la formazione per l'abilitazione all'attività nel pre-ospedaliero.
  Da ultimo, per quanto riguarda la leva economica, richiamo i provvedimenti già adottati. I destinatari sono i medici di PS del sistema di emergenza-urgenza, però vanno previste delle azioni dedicate anche al personale del comparto.
  In ultimo mi permetto di suggerire che i contratti libero-professionali per gli specializzandi debbano passare da 8 a 12 ore.
  Ho finito e spero che almeno il 50 per cento di quello che vi ho detto vi sia arrivato: il resto è contenuto nella mia memoria.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Zoli. Siamo riusciti a comprendere, comunque abbiamo il suo documento che ci ha inviato e che riporta tutto quello che ha affermato nella sua audizione. Volevo fare io una domanda sul tema degli accessi cosiddetti impropri.
  Si dice sempre che il 60/70 per cento degli accessi al pronto soccorso dovrebbero essere gestiti diversamente: ci si riferisce quindi ai codici bianchi e verdi, almeno per le regioni dove è stato applicato il triage a cinque colori; ai pazienti psichiatrici, a quelli con particolari cronicità che potrebbero essere seguiti diversamente e anche a molti pazienti malati terminali, che non trovando altri tipi di assistenza, vengono chiaramente portati dai familiari al pronto soccorso e poi normalmente finiscono nei reparti di medicina dopo tanti giorni.
  Credo che sia sicuramente la prima questione, oltre a tutte quelle altre che avete giustamente posto, vista la vostra esperienza diretta nel campo, su cui dobbiamo un po' chiarire meglio il passaggio organizzativo. Per cercare la risposta semplice: dobbiamo potenziare il territorio! Siamo tutti d'accordo, è la prospettiva su cui in qualche modo si sta lavorando a livello di Governo e anche noi a livello parlamentare. Però, vista la vostra esperienza diretta, in merito a tale questione credo che sia una domanda da approfondire.
  L'altra domanda che mi pongo sempre – ho qualche anno e quindi mi ricordo che una volta «pronto soccorso» e «accettazione» erano separati, poi a un certo punto sono stati messi insieme nei i dipartimenti di emergenza e accettazione, i cosiddetti DEA. Non pensate che sia arrivato il momento di dividere nuovamente questa funzione? Da una parte, l'emergenza e dall'altra parte invece una struttura che gestisce l'accettazione, che oggi in qualche modo, soprattutto negli ospedali dove esistono i Pag. 12pronto soccorso, sono costretti a passare per il pronto soccorso.

  MARIA PIA RUGGIERI, direttore UOC Pronto soccorso, OBI e breve osservazione, Azienda ospedaliera San Giovanni Addolorata di Roma. Grazie per le domande perché significa che questo è un dibattito vero, quindi grazie.
  Provo a dare i miei contributi sulle sue due domande. La prima: gli accessi in pronto soccorso dei pazienti psichiatrici, oncologici terminali, diciamo quegli accessi che potremmo considerare più di pertinenza del cosiddetto territorio.
  Io credo che questo è un punto a cui bisogna tendere, però bisogna darsi delle regole di gioco. Perché i pazienti non hanno (dico sempre io) una scritta in fronte che dice: «sono paziente oncologico terminale, mi sento male e vado in pronto soccorso».
  Bisogna trovare una strategia per identificarli e quindi capire chi fa l'identificazione di questi pazienti, chi fa la presa in carico e come decide e dove decide di trattarli.
  Perché fino a quando noi non avremo definito chi intercetta questi pazienti e dove, ovviamente facendo anche una politica di buona informazione e comunicazione alla cittadinanza italiana, essi autonomamente o chiameranno il 118 o chiameranno il taxi o prenderanno la propria automobile e verranno al pronto soccorso del San Giovanni.
  Quindi vanno definite le regole di ingaggio, e di gestione, con criteri clinici di arruolamento e quindi i percorsi clinici e assistenziali dedicati in altro setting, che non è il pronto soccorso.
  Concordo con Alberto Zoli su un'area non in pronto soccorso per i pazienti con i codici minori. Aggiungo, se mi è possibile dirlo, che dovrebbero essere lontane dal pronto soccorso, proprio per cominciare a fare anche un po' di informazione e di vero empowerment del cittadino che non confonda quest'area con quella del pronto soccorso solo perché sono limitrofe.
  Per quanto riguarda il dipartimento di emergenza e accettazione, impropriamente questo termine ci porta la parola «accettazione», ma oggi dai pronto soccorso non passano i ricoveri predeterminati e preorganizzati, ovvero la cosiddetta preospedalizzazione. Oggi quella «A» di accettazione sta sempre per accettazione in urgenza di pazienti in emergenza-urgenza.
  Ma in ogni modo, a buon conto, cambiamo il nome, non chiamiamoli più DEA, chiamiamoli DEU, ovvero dipartimenti di emergenza-urgenza.
  Però non pensiate che, con il termine «accettazione», dai pronto soccorso transitino pazienti che sanno già che devono essere ricoverati, perché oggi non è più così e già da diversi anni.

  PRESIDENTE. Il problema vero è legato al fatto che di elezione ormai ne riusciamo a fare talmente poca che chi ha urgenza in qualche modo di farsi operare, anche se non è un'urgenza immediata, è costretto a passare dal pronto soccorso. Questa era la mia riflessione.
  So che c'è la pre-ospedalizzazione, ma purtroppo fare elezione nelle nostre strutture pubbliche, almeno in quelle che io conosco, è un po' più complicato, vista la risposta che chiaramente bisogna dare alle questioni di emergenza-urgenza. Era solo per un chiarimento.

  FRANCESCO FRANCESCHI, direttore UOC Medicina dell'urgenza e pronto soccorso, Policlinico universitario Agostino Gemelli di Roma. Riguardo al problema dell'accesso in pronto soccorso, con riferimento ai cosiddetti accessi impropri, porto l'esperienza di tante persone anziane che devono fare un accertamento abbastanza urgente – che può essere un prelievo piuttosto che una radiografia – e che purtroppo trovano molta difficoltà nel territorio. Allora, se devi fare un esame rapidamente, l'unica possibilità resta il pronto soccorso.
  Io credo che anche questo sia un grosso problema. Se noi, ad esempio, potessimo dotare gli studi dei medici di medicina generale, come avviene in Germania, di un laboratorio di analisi e di una radiologia, il paziente non deve necessariamente venire in pronto soccorso per fare una lastra, un emocromo, la creatinina piuttosto che la Pag. 13glicemia. Potrebbero farlo in altri setting, ancor meglio – questo soprattutto per il paziente anziano – se potesse farlo al proprio domicilio.
  Proprio oggi ho ricevuto la chiamata di un collega che segnalava la caduta in casa di una persona anziana: aveva dolore all'anca ed è chiaro che, in quel caso, se uno riuscisse a fargli una radiografia a casa, non sposterebbe il paziente in un pronto soccorso, sovraffollando spazi che sono già sovraffollati.
  Secondo me, noi dovremmo quindi investire molto nella medicina territoriale – ma intendendo la medicina domiciliare come un andare a casa del paziente per risolvere il problema.
  Le tecnologie ci sono: mi riferisco agli ecografi portatili e a radiografi portatili. Gli esami del sangue si possono fare a domicilio e questo già aiuterebbe molto. Perché il problema è che quando si finisce in pronto soccorso, si fanno ovviamente ore di attesa, a volte, per fare un accertamento molto rapido.
  Quindi è chiaro che noi risolviamo il problema dei pronto soccorso se ragioniamo in maniera olistica, partendo dal malato a casa fino all'ospedale.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire il dottor Zoli.

  ALBERTO ZOLI, direttore generale dell'Agenzia regionale emergenza urgenza (AREU) della Lombardia. Ripeto che, per «fare filtro» sul territorio, ci sono a nostro avviso due modelli, che hanno funzionato e stanno funzionando: la centrale per i trasporti, che riduce i trasporti dei codici bianchi sicuramente e dei codici verdi. E le assicuro che se riduce del 75 per cento questi trasporti alla fine, questa centrale, insieme ai team di risposta rapida domiciliare, se non sono la soluzione definitiva, sono comunque molto efficaci. Questa attività non la teniamo soltanto per i trasporti sanitari, cioè per il soccorso sanitario – su quello funziona bene – ma anche per quanto riguarda la continuità assistenziale.
  Ricordavo il dato del 70/80 per cento di autopresentazione: ebbene, questo flusso lo si può orientare verso la telefonata, anziché verso la presentazione in pronto soccorso, lo si intercetta con le televisite e le visite a domicilio attraverso il team di risposta rapida domiciliare. Quindi, come dicevo prima, si intercetta anche questa parte di popolazione.
  Per finire: è ovvio che questa attività deve essere portata all'esterno. Prima citavo le case di comunità: per me, la differenza tra pronto soccorso e casa di comunità è una differenza fisica, quindi occorre capire che per i codici minori i pazienti non devono andare al pronto soccorso ma nella casa di comunità; se non c'è la casa di comunità, allora devono andare in un'altra ala dell'ospedale dove si fa ambulatorio per i codici minori.
  Riguardo all'accettazione, innanzitutto quando scrivemmo (ho l'età per poterlo dire) DEA ci riferivamo all'accettazione sanitaria e non a quella amministrativa. Ma i nostri pronto soccorso, in questi quarant'anni, sono cambiati fisicamente; tuttavia, ci dimentichiamo che l'accettazione amministrativa è ancora molte volte dentro alla sala d'attesa del pronto soccorso e per questo motivo, si genera l'ingorgo. Se infatti concentriamo tutto sull'accesso e sul ricovero in urgenza costringiamo questi flussi in spazi fisici che sono sicuramente angusti, anche se dovessimo costruire un nuovo pronto soccorso. Dobbiamo separare i flussi fisici in modo che i codici minori siano trattati da un'altra parte.

  PRESIDENTE. Era esattamente quello che intendevo. Purtroppo è chiaro che la difficoltà di operare gli interventi di elezione, come sapete bene, soprattutto nelle aree chirurgiche, ortopediche porta a liste d'attesa immense, per cui in molti casi il pronto soccorso diventa anche la «scorciatoia» per tentare di essere operati prima, oppure di avere prima un intervento sanitario.
  Probabilmente questo, dal punto di vista organizzativo, dovrebbe essere un po' più chiaro per i pazienti. Oggi purtroppo un paziente, soprattutto il sabato e la domenica, chi chiama? La guardia medica. La guardia medica, in nove casi su dieci, ti dice: «vai al pronto soccorso». Credo che Pag. 14questa sia un'altra situazione che deve essere attenzionata. Non so se il dottor Pieralli vuole aggiungere qualcosa.

  ROBERTO PIERALLI, medico di emergenza sanitaria territoriale 118 e presidente regionale SNAMI Emilia Romagna. Non intendo aggiungere nulla. Sono concorde con gran parte di quello che hanno detto i colleghi.

  PRESIDENTE. Il dottor Zoli ha chiesto di intervenire nuovamente.

  ALBERTO ZOLI, direttore generale dell'Agenzia regionale emergenza urgenza (AREU) della Lombardia. Vorrei rimarcare come il fast-track non specialistico (in particolare per patologie minori), collegato agli ambulatori dei codici minori, è quello che ti «sposta» questi flussi: magari può essere attivato all'interno del pronto soccorso dal punto di vista del flusso sanitario, ma se si attiva il fast-track, almeno per l'ortopedico e per la traumatologia minore, questo aiuta molto a ridurre quel flusso che finisce in chirurgia, come diceva lei, sui traumi minori.
  Quindi gli strumenti per fare questo ci sono già, bisogna che vengano adottati nei pronto soccorso (o lontano o vicino ai PS), ma direi che sui codici minori più lontano è meglio è.
  Siamo in una fase nella quale i medici che sono in pronto soccorso devono insegnare al territorio a «riappropriarsi» di quella che è la loro attività, in tal modo «recuperando» l'attività che inopinatamente è finita integralmente presso le strutture di pronto soccorso per questa cultura «ospedalocentrica» che abbiamo tutti noi.

  PRESIDENTE. Vi ringrazio. Non possiamo più proseguire con l'audizione perché sono iniziati i lavori in Aula. Dobbiamo quindi chiudere questa interessantissima sessione di audizioni.
  Vi ringrazio di cuore per i vostri contributi e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.15.