XIX Legislatura

III Commissione

COMITATO PERMANENTE SUI DIRITTI UMANI NEL MONDO

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Mercoledì 11 ottobre 2023

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Boldrini Laura , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'IMPEGNO DELL'ITALIA NELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE PER LA PROMOZIONE E TUTELA DEI DIRITTI UMANI E CONTRO LE DISCRIMINAZIONI

Audizione di rappresentanti dell'Associazione «Verso il Kurdistan Odv» e dell'Ufficio di informazione del Kurdistan in Italia (UIKI Onlus).
Boldrini Laura , Presidente ... 3 
Gagliardini Carla , rappresentante dell'Associazione «Verso il Kurdistan Odv» (intervento in videoconferenza) ... 4 
Boldrini Laura , Presidente ... 7 
Bellosi Francesco , rappresentante dell'Associazione «Verso il Kurdistan Odv». (intervento in videoconferenza) ... 7 
Boldrini Laura , Presidente ... 8 
Porta Fabio (PD-IDP)  ... 8 
Boldrini Laura , Presidente ... 8 
Gagliardini Carla , rappresentante dell'Associazione «Verso il Kurdistan Odv» ... 8 
Boldrini Laura , Presidente ... 9 
Peskevin Kaba Yilmaz , rappresentante dell'Associazione «Verso il Kurdistan Odv» (intervento in videoconferenza) ... 9 
Boldrini Laura , Presidente ... 11 
Peskevin Kaba Yilmaz , rappresentante dell'Associazione «Verso il Kurdistan Odv» (intervento in videoconferenza) ... 11 
Boldrini Laura , Presidente ... 11

Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
Azione - Italia Viva - Renew Europe: A-IV-RE;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Noi Moderati (Noi con L'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE: NM(N-C-U-I)-M;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
LAURA BOLDRINI

  La seduta comincia alle 10.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la resocontazione stenografica e la trasmissione attraverso la web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'Associazione «Verso il Kurdistan Odv» e dell'Ufficio di informazione del Kurdistan in Italia (UIKI Onlus).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'impegno dell'Italia nella comunità internazionale per la promozione e la tutela dei diritti umani e contro le discriminazioni, l'audizione di rappresentanti dell'Associazione «Verso il Kurdistan Odv» e dell'Ufficio di informazione del Kurdistan in Italia (UIKI Onlus).
  Ricordo che la partecipazione da remoto è consentita alle colleghe e ai colleghi secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento.
  Anche a nome dei componenti del Comitato, saluto e ringrazio per la disponibilità a prendere parte ai nostri lavori il dottor Yilmaz Orkan, direttore dell'Ufficio di informazione del Kurdistan in Italia-UIKI Onlus - che è qui accanto a me - e il dottor Tiziano Saccucci, rappresentante dell'associazione «Verso il Kurdistan Odv». Saluto, collegati in videoconferenza, il dottor Antonio Olivieri, la dottoressa Lucia Giusti, la dottoressa Carla Gagliardini, il dottor Francesco Bellosi e infine il dottor Yilmaz Peskevin Kaba, che è un giornalista tedesco e attivista per la pace e la libertà degli ezidi.
  L'Associazione verso il Kurdistan Onlus sostiene iniziative per lo sviluppo dei diritti umani in Turchia e promuove progetti di cooperazione nel Kurdistan turco, anche come strumento per interrompere la spirale di violenza che coinvolge la regione.
  UIKI Onlus è stata fondata nel 1999, ha l'obiettivo di fornire informazioni e ricevere sostegno da parte dell'opinione pubblica italiana circa la questione curda.
  Ricordo che nella scorsa legislatura – questo è importante, perché io ho voluto molto questa iniziativa – la Commissione affari esteri e comunitari della Camera ha audito – sempre nel contesto di un'indagine conoscitiva sui diritti umani – Nadia Murad, attivista per i diritti del popolo ezida che - ricorderete bene - fu insignita del premio Nobel per la pace nel 2018 in virtù del suo impegno contro l'uso della violenza sessuale come arma di guerra, avendo denunciato, anche in quanto vittima, gli stupri e le violenze di Daesh in particolare nei confronti della popolazione ezida.
  Ha inoltre audito, il 4 giugno del 2020, UIKI, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui diritti umani. Sempre nella scorsa legislatura, il 26 marzo del 2019, la Commissione affari esteri ha approvato una risoluzione molto importante volta ad impegnare il Governo italiano ad assumere iniziative per sensibilizzare la comunità internazionale sui crimini commessi da Daesh contro il popolo ezida e per valutare le modalità più opportune per riconoscerne ufficialmente il genocidio.Pag. 4
  Questo atto di indirizzo impegnava il Governo anche a farsi promotore, in seno alle Nazioni Unite e in ambito europeo, di iniziative volte a giudicare i crimini relativi al genocidio e a garantire piena giustizia alle vittime; ad assumere iniziative nel consesso internazionale affinché le violenze sessuali, perpetrate durante i conflitti di guerra, vengano punite come crimini di guerra; a monitorare anche le attività del team investigativo che fu attivato nel 2017 con la risoluzione 2379 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, nonché ad assumere delle iniziative per accelerare le procedure per il riconoscimento dei corpi – che sono stati rinvenuti nelle fosse comuni – e per il censimento delle persone ad oggi presenti nei campi profughi, in modo da avere contezza dei possibili sopravvissuti al genocidio. Questo è essenziale ai fini del riconoscimento del genocidio.
  In questo contesto va ricordata l'approvazione, il 15 settembre scorso, della risoluzione 2697, con la quale il Consiglio di Sicurezza dell'ONU, su richiesta del Governo iracheno, ha proposto un solo anno – quindi fino al 17 settembre del 2024 – per il mantenimento del team investigativo delle Nazioni Unite e tale decisione ha suscitato molte critiche, perché rischia di inficiare la raccolta delle prove e delle testimonianze necessarie per documentare e perseguire i crimini commessi da Daesh contro il popolo ezida.
  Purtroppo la comunità ezida in Iraq continua ad affrontare situazioni difficili, di pesante disagio a causa, in particolare, degli ostacoli che impediscono agli sfollati di tornare alle loro abitazioni e anche dell'accesso limitato ai servizi sociali di base, nonché alle preoccupazioni in materia di sicurezza.
  L'audizione di oggi è quindi un'occasione importante per ricevere ulteriori aggiornamenti sulle condizioni degli ezidi e anche per confrontarci su iniziative che questo Comitato può portare avanti – e anche la stessa Commissione esteri – per sostenere le loro rivendicazioni.
  Dunque, inquadrati questi elementi di contesto che era giusto ricordare, do la parola alla dottoressa Gagliardini affinché svolga il suo intervento. Prego dottoressa.

  CARLA GAGLIARDINI, rappresentante dell'Associazione «Verso il Kurdistan Odv» (intervento in videoconferenza). Buongiorno. Innanzitutto grazie per averci concesso questa convocazione. Vi ringrazio a nome dell'associazione «Verso il Kurdistan» perché abbiamo da portare avanti appunto l'istanza che ci proviene direttamente dalla popolazione ezida, che noi abbiamo visitato lo scorso maggio – in occasione del viaggio che abbiamo fatto in Iraq – dove abbiamo un progetto proprio nella regione di Shengal, a Serdest, con questa popolazione.
  Brevemente, un inquadramento. La popolazione ezida, di origine curda, esiste da più di 4 mila anni. È insediata prevalentemente nella regione di Shengal (nella vallata di Ninive) a nord-ovest dell'attuale Iraq, al confine con la Siria e vicinissima alla Turchia. Ha sempre abitato in quella terra e molti dei problemi che ha incontrato lungo il cammino della propria storia sono legati proprio a questa posizione geografica e al suo credo. Partendo proprio da questo credo, gli ezidi dichiarano di non professare alcuna religione, ma un credo, quello ezida per l'appunto.
  Questo ha subito nel corso dei secoli le contaminazioni dell'Islam, del cristianesimo e della dottrina zoroastriana. Considerati adoratori del diavolo, perché legati al culto del dell'Angelo Pavone, hanno subito nei millenni innumerevoli tentativi genocidiari scatenati dai ferman, che sono degli editti con i quali, soprattutto sotto la dominazione ottomana, si ordinava il loro massacro. Le ragioni del ferman poggiavano sul doppio rifiuto degli ezidi di convertirsi all'Islam e di accettare un controllo sulle loro terre e sulle loro vite da parte dell'autorità centrale.
  Quello del 3 agosto del 2014 è l'inizio dell'ultimo ferman ordinato contro questo popolo. Il genocidio avviene in un contesto, quello iracheno, molto complicato, inaspritosi a causa dell'occupazione del Paese da parte degli Stati Uniti e del Regno Unito avvenuta nel 2003, che ha gettato le basi per la costituzione dello Stato islamico, Pag. 5come ormai accertato con studi sulla regione da parte dei più noti esperti della materia – come ad esempio lo storico Pierre Jean Lizar – o sui fenomeni terroristici e sulle organizzazioni terroristiche, come la studiosa Loretta Napoleoni.
  Lo Stato islamico, che solo poche settimane prima si era autoproclamato califfato, aveva pianificato il genocidio degli ezidi perché ritenuti takfir, ossia infedeli, a causa del loro credo, considerato il più intollerabile fra tutti. A questo elemento si aggiungeva la posizione strategica della zona di Shengal che, se conquistata, avrebbe consentito all'ISIS di far crollare il confine tra Siria e Iraq sulla strada per Raqqa, capitale del califfato.
  È in uno scenario di questo tipo che si è compiuto il genocidio, facilitato dal tradimento delle milizie del Governo centrale iracheno e dei peshmerga del Kurdistan iracheno.
  Entrambe erano schierate a difesa di Shengal e della sua popolazione ed entrambe sono scappate prima dell'arrivo dell'ISIS, svestendo gli abiti militari, indossando quelli civili, abbandonando le armi e rifiutandosi di consegnarle agli ezidi che, assistendo la fuga di chi avrebbe dovuto proteggerli, imploravano di lasciar loro le armi per potersi difendere. Circa 40 mila soldati, di cui 25 mila del Governo centrale iracheno e 12.500 dei peshmerga, chiamati a fermare l'avanzata dell'ISIS, hanno abbandonato la popolazione ezida al suo terribile destino.
  Se ascolterete gli ezidi raccontare quei tragici giorni, sentirete la rabbia per il tradimento subito. Vi diranno, infatti, che fino all'ultimo avevano ricevuto rassicurazioni dai peshmerga che li avrebbero difesi dall'ISIS, incoraggiando la popolazione terrorizzata a rimanere e a non scappare. Sta emergendo, ormai da tempo, la complicità con l'ISIS di chi stava alla guida – allora come oggi – del Kurdistan iracheno, ossia il Partito democratico del Kurdistan, che avrebbe stretto un accordo con il califfato, lasciando a questo la conquista di Mosul, che è avvenuta nella stessa forma con cui l'ISIS è penetrato successivamente in Shengal, e ricevendo in cambio il campo libero per la conquista di Kirkuk, zona ricca di risorse.
  Il genocidio si consuma nei villaggi a valle, ai piedi della montagna di Shengal. Emblematico della tragedia avvenuta è quanto successo a Kocho, villaggio di circa 1.700 abitanti di cui 517 uccisi immediatamente, mentre molte donne e bambini sono stati rapiti. Come documenta l'ISIS nei suoi video propagandistici, le donne più giovani e i ragazzi fino a dodici anni sono stati separati dagli altri membri della comunità. Questi ultimi sono stati immediatamente uccisi e gettati in fosse comuni. Le donne rapite sono state invece spostate in case che l'ISIS aveva occupato, incatenate nell'attesa di essere trasferite sui mercati delle schiave che il califfato aveva costruito in alcuni villaggi iracheni, ma soprattutto a Mosul e a Raqqa. Sono state ripetutamente stuprate, percosse perfino dalle donne dell'ISIS, vendute anche attraverso siti internet allestiti dagli stessi miliziani, forzate alla conversione all'Islam per sradicare per sempre il rapporto con le loro origini.
  Anche sui bambini tra i tre e i dodici anni l'ISIS ha operato per recidere le radici con la comunità ezida, avviandoli all'indottrinamento e al servizio militare per diventare dei combattenti del califfato contro la loro stessa comunità di appartenenza.
  I bambini più piccoli, che accompagnavano le madri rapite, invece, sono stati separati da queste, esposti all'aperto sotto il sole, fra pianti e grida sia dei piccoli, sia delle loro madri.
  Durante il nostro incontro a Shengal con il movimento delle donne ezide ci è stato raccontato che una madre è impazzita a seguito della tragedia vissuta. Dopo giorni in cui si rifiutava di mangiare come segno di protesta per essere stata separata da suo figlio, i miliziani dell'ISIS le hanno promesso di riunirla al piccolo se avesse accettato il cibo. La donna ha acconsentito. Con profondo disprezzo per ogni senso di umanità, i miliziani le hanno successivamente confessato di averle servito e fatto mangiare la carne di suo figlio.
  Per tutte e tutti gli ezidi scampati alla furia dell'ISIS – perché nel mentre la voce Pag. 6sull'orrore che si stava abbattendo su alcuni villaggi si era sparsa – si è aperta la strada dell'esodo. La fuga frettolosa e non organizzata verso la montagna senza il necessario per far fronte alle temperature roventi del giorno e fredde della notte, nonché l'insufficienza di viveri e acqua, sono costati la vita ad altre persone, sopraffatte dalle condizioni estreme. Con l'ISIS alle costole, la salvezza per quella gente è arrivata grazie all'intervento dei soldati del PKK che, scendendo dalla montagna e proteggendo l'esodo degli ezidi dall'avanzata dei miliziani del califfato, hanno garantito la salvezza di centinaia di migliaia di persone.
  I numeri del genocidio avvenuto sono: 1.293 persone uccise in un solo giorno. Il numero totale non è certo, ma si ipotizza che possano essere più di 5 mila le persone giustiziate; 2.745 orfani; 6.417 persone rapite, di cui 3.548 donne e 2.869 bambini. Un esodo di più di 350 mila persone, più di 80 fosse comuni. Ad oggi mancano all'appello ancora 2.693 persone, tra donne e bambini, e più di 200 mila ezidi rimangono sfollati nei campi profughi del Kurdistan iracheno.
  Nella Convenzione delle Nazioni Unite del 9 dicembre 1948 per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio, all'articolo 2 si legge che: «Per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale: a) uccisione di membri del gruppo; b) lesioni gravi all'integrità fisica o mentale di membri del gruppo; c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; d) misure miranti ad impedire nascite all'interno del gruppo; e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro».
  Risulta, dunque, che tutti i punti toccati dalla cornice legislativa che definisce il crimine insopportabile e intollerabile di genocidio si siano drammaticamente realizzati. A supporto dei fatti, per provarne la veridicità, ci sono diverse prove ed evidenze che per ragioni di tempo riassumiamo per titoli: 1) video dell'ISIS che testimoniano le uccisioni di massa degli ezidi, la separazione delle giovani donne dal resto della comunità, l'addestramento dei bambini ezidi e il loro indottrinamento, l'esodo; 2) testimonianze dei miliziani ISIS sotto indagine e processo; 3) testimonianze delle donne ezide, tra cui la più nota è quella di Nadia Murad, insignita del premio Nobel per la pace nel 2018 e dal 2016 ambasciatrice di buona volontà per la dignità dei sopravvissuti alla tratta di esseri umani presso le Nazioni Unite; 4) più di ottanta fosse comuni dove giacciono i corpi delle vittime del genocidio; 5) identificazione, ad oggi, da parte dell'UNITAD di 2.286 miliziani dell'ISIS responsabili del crimine di genocidio, di cui 188 sono foreign fighters; 6) sentenza definitiva di condanna per genocidio da parte della Corte federale di giustizia tedesca contro un membro dell'ISIS, una sentenza di condanna per lo stesso reato da parte della Higher Regional Court di Amburgo e una da parte della Higher Regional Court di Coblenza, in Germania. Oggi sono in corso dei procedimenti per gli stessi delitti da parte dei tribunali olandesi.
  Nell'ultimo sopralluogo che la nostra associazione, impegnata da più di un ventennio al fianco della popolazione curda con progetti in Turchia e in Iraq, ha fatto nella regione di Shengal - dove un progetto è stato dedicato alla costruzione di un poliambulatorio nel villaggio di Serdest, sulla montagna di Shengal - è stato chiaro ed inequivocabile l'appello che la popolazione ezida ci ha rivolto attraverso l'autonomia di Shengal, attraverso il Pade – partito ezida della libertà e democrazia – attraverso il Taje – il movimento delle donne ezide libere – e attraverso il movimento delle donne ezide di Shengal.
  Il popolo ezida chiede ai Parlamenti di tutto il mondo – quindi anche al nostro – di riconoscere il genocidio subito in quell'agosto del 2014 ad opera dell'ISIS. Questo riconoscimento è già stato approvato nel 2016 dal Parlamento europeo e poi dall'ONU. Hanno fatto seguito i Parlamenti dell'Australia, del Belgio, dell'Olanda e - Pag. 7quest'anno - anche della Germania e anche del Governo del Regno Unito, proprio ad agosto. Il riconoscimento del crimine subito ha evidentemente lo scopo di mantenere viva la memoria su quella pagina drammatica della storia di questo popolo, ma direi dell'intera umanità, e getterebbe delle basi più solide per preservare la popolazione ezida da futuri attacchi possibili miranti a cancellarla, come la lunga lista di tentativi messi in atto nel corso della sua storia ci racconta. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, dottoressa Gagliardini, La ringrazio sentitamente per questa ricostruzione degli eventi, dettagliata e - purtroppo - piena di orrori.
  Adesso vorrei anche sapere da voi come vogliamo procedere. Chi altro preferite che venga ascoltato, perché l'ordine di interventi prevede il Dottor Bellosi; mi sente?

  FRANCESCO BELLOSI, rappresentante dell'Associazione «Verso il Kurdistan Odv». (intervento in videoconferenza). Sì, buongiorno. Una cosa che ci ha colpito, durante il viaggio che abbiamo fatto, è stata l'insistenza dolorosa con la quale le organizzazioni che abbiamo incontrato – in particolare, le organizzazioni delle donne – ci hanno chiesto di perorare, presso il Parlamento e il Governo italiano, il riconoscimento del genocidio subìto.
  Questa cosa, molto probabilmente, è legata a tre fattori. Il primo è che quel genocidio, anche stando alla definizione ricordata da Carla Gagliardini prima, c'è stato ed è stato il tentativo di distruggere una comunità etnica, anche con una religione propria. Quindi quel tentativo c'è stato, il genocidio è avvenuto.
  Il secondo è però legato agli eventi successivi: nel 2017 una parte della popolazione ezida è tornata nella terra abitata da millenni e in cui ha vissuto la propria storia. Però solo una parte, l'altra parte fa fatica a rientrare. Non solo per le condizioni, ad esempio, di una città come Shengal, che è stata quasi completamente distrutta, è impressionante entrare in quella città. Non solo per quello, ma anche perché il territorio della montagna di Shengal, al confine con la Siria e vicino alla Turchia, è un territorio strategico dal punto di vista geopolitico.
  Quindi disincentivare il ritorno della popolazione vuol dire, in una qualche misura, correre il rischio che quel territorio diventi preda degli appetiti delle potenze vicine. Essi hanno piena consapevolezza che il ritorno di tutti e di tutte le ezide, comprese le donne rese schiave da Daesh, è un passaggio fondamentale. Quindi il riconoscimento va anche in questa direzione.
  Il terzo aspetto è quello che è avvenuto dopo il 2017, vale a dire che quel territorio, quella comunità si è completamente rigenerata, è come se fosse rinata attorno ai princìpi del confederalismo democratico, vale a dire un governo del territorio che è in mano praticamente al Consiglio dell'autonomia, un Consiglio che è composto rigorosamente da una parità assoluta di genere, tredici uomini e tredici donne: colpisce, in questa dimensione, soprattutto la giovane età di molte donne, che all'epoca del massacro erano delle bambine. Quindi questa voglia di protagonismo, di essere costantemente presenti e di guardare al futuro.
  Pensiamo anche al secondo punto del confederalismo democratico, che è appunto quello dell'assoluta parità di genere. Pensiamo anche a quello che ha prodotto in Siria, con le donne protagoniste della liberazione di Kobane, nel Rojava, e pensiamo anche a quello che è avvenuto e sta avvenendo in Iran, dove la prima ragazza morta per la questione del velo, Mahsa Amini, è una ragazza curda; per dire come questo movimento attraversa tutta la popolazione curda, ed è un movimento di liberazione, è un movimento di reale parità di genere. Anche per questo è importante il riconoscimento del genocidio.
  Il terzo punto del confederalismo è quello di un'ecologia umana ed ambientale che rispetti quel territorio, quelle zone che sono abitate da millenni.
  In sintesi: c'è tra le macerie un fiore, che è appunto l'autogoverno territoriale. Tra l'altro, la Costituzione irachena riconosce le autonomie locali – formalmente –, poi nei confronti di questa invece pone Pag. 8molti problemi; e credo che noi dobbiamo aiutare questa popolazione, ma non solo questa popolazione, aiutare tutti questi tentativi di costruire, nel cuore del Medio Oriente, un futuro di pace e di coesistenza pacifica anche tra etnie diverse, perché le associazioni delle donne ezide, ad esempio, non accolgono solo donne ezide, ma anche donne espressione di altre etnie. Ci sono donne arabe, ci sono donne cristiane, ci sono donne assire e quindi questo è fondamentale.
  Per questo l'appello al Parlamento italiano, a voi della Commissione e al Governo italiano è quello che, al più presto, come hanno fatto altri Parlamenti, riconoscano il genocidio del popolo ezida, non solo per quanto riguarda il passato, ma soprattutto per quanto riguarda le speranze di futuro.

  PRESIDENTE. Sì, questo ragionamento va assolutamente sostenuto, dottor Bellosi. Chiaramente mi rendo conto che è veramente una situazione anche strategica rispetto alla posizione geografica, quindi ci sono tante implicazioni geopolitiche che non favoriscono il rientro della metà della popolazione ezida a Shengal.
  Io adesso direi ai colleghi se qualcuno vuole fare delle domande, in modo da avere poi una replica da parte vostra. Il collega Porta, perché il collega senatore Tino Magni – che è venuto ad ascoltare – come sappiamo, in base al Regolamento non può prendere la parola. Prego, collega Porta.

  FABIO PORTA. Grazie presidente. Mi fa piacere, anche se per il nostro Regolamento non può intervenire, la presenza del collega senatore e credo che insieme al Senato, ciascuno nella sua autonomia parlamentare, dobbiamo in qualche modo intervenire. Il Comitato ovviamente è il luogo e anche l'autorevolezza della presidente credo che ci aiuterà a trovare la maniera anche formale – attraverso immagino un atto parlamentare – per procedere in qualche modo al riconoscimento di questo genocidio.
  Non mi riferisco ai numeri riportati nel documento e illustrati dalla dottoressa Gagliardini rispetto a quanto è accaduto nel 2014. È chiaro che, senza ovviamente voler fare nessun tipo di analogia, ma insomma i numeri stessi ci portano a riflettere: si parla di mille morti soltanto in quella giornata del 2014, un numero pressoché analogo appunto a quelli che sono stati uccisi pochi giorni fa nell'atto terroristico di Hamas in Israele. Questo semplicemente ci porta al dovere, come Parlamento italiano, rispetto a questi attentati contro la civiltà e contro l'umanità, ad avere un'attenzione e una sensibilità che non può avere confini o soffrire di differenze o di disattenzioni come spesso accade e purtroppo, quello che succede col popolo curdo, è un esempio in tal senso.
  Quindi da parte mia volevo soltanto ringraziare la presidenza del Comitato, i nostri ospiti, sia in aula oggi che collegati da remoto, e ribadire anche a nome del gruppo del Partito democratico, la grande sensibilità, attenzione e disponibilità a procedere nella maniera che questo Comitato riterrà opportuna. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, collega Porta. Io so che al Senato il senatore Tino Magni ha lavorato ad una interrogazione, credo che abbia già presentato un'interrogazione. Anch'io vorrei esprimermi in questo senso, ma prima di farlo vorrei fare una domanda in merito alla ricostruzione che così dettagliatamente ci ha fatto la dottoressa Gagliardini, quando appunto ha parlato di quello che accadde sul terreno quando l'ISIS arrivò, uccise molte persone e rapì anche donne che vennero poi abusate e vendute.
  Come è stato possibile, perché ci fu quel tradimento, perché vennero lasciati soli gli ezidi e le ezide, perché i peshmerga si voltarono dall'altra parte, come è possibile? Io vorrei avere un po' più di informazioni su questo, su quel tradimento che poi è stata la base sulla quale è avvenuto tutto il resto, quindi tutte le violenze di cui Lei ci ha parlato.

  CARLA GAGLIARDINI, rappresentante dell'Associazione «Verso il Kurdistan Odv». Grazie per la domanda. Le riporto in primisPag. 9 a quello che ci è stato detto proprio nel corso delle audizioni che abbiamo avuto andando a Shengal, in particolare con le donne ma non solo, in realtà anche poi con l'autonomia e con il Pade.
  La popolazione ezida era stata più volte rassicurata in particolare dai peshmerga, ancora prima che dai militari del Governo centrale iracheno, che avrebbero comunque presidiato la zona e che li avrebbero difesi da questa avanzata, in qualche modo preannunciata, dell'ISIS.
  Erano stati tranquillizzati, per cui la popolazione, proprio come ci hanno raccontato, sentiva che sarebbe stata protetta. Questo in realtà non è avvenuto ed è stato vissuto come un vero e proprio tradimento. Parlando con la popolazione ezida di quelle zone, ripetono in continuazione questo sentimento, questo fatto di essere stati appunto traditi dai peshmerga e per questa ragione rivendicano la loro autonomia e anche la loro autodifesa militare, perché non confidano più in una tutela che possa arrivare dai peshmerga o dalle milizie del Governo centrale.
  Dalle analisi che poi si sono lette, in particolare quelle di Jean Pierre Lizard – che è uno storico molto preciso sulla questione irachena e curda – emerge che c'erano degli accordi – quello che sta emergendo – tra PDK, il Partito democratico del Kurdistan, che allora governava la regione del Kurdistan iracheno e anche oggi, e l'ISIS, ovviamente degli interessi anche geostrategici.
  L'ISIS aveva interesse ad espandersi, cioè abbattere il confine tra Siria e Iraq, e invece il PDK aveva interesse ad espandersi sulle zone di Kirkuk, regione molto ricca di risorse. Queste sono le analisi che circolano rispetto a questo. Di fatto c'è che i peshmerga – questo era già avvenuto a Mosul, perché anche Mosul faceva parte della trattativa, e avviene anche a Shengal – di fatto proprio fisicamente si tolgono le divise militari, indossano gli abiti civili per potersi confondere e scappare dai territori, abbandonano le armi, si rifiutano di consegnare le armi alla popolazione ezida – questo ci è stato raccontato ripetutamente da persone che hanno vissuto quei momenti tragici – lasciando completamente sprovvista la popolazione anche della possibilità di difendersi da sola, e se ne sono sostanzialmente andati, lasciando la popolazione in balia di questo triste destino.

  PRESIDENTE. Quindi un accordo tra PDK e ISIS sullo sfondo di tutto questo, insomma. Molto cinica come modalità, ma purtroppo non ci meraviglia.
  Non so se il dottor il Yilmaz Peskevin Kaba vuole aggiungere qualcosa. So che è collegato, è un giornalista tedesco. Come dicevo è un attivista anche per la pace e la libertà degli ezidi. Abbiamo la traduzione. Se intende intervenire mi faccia un cenno.

  YILMAZ PESKEVIN KABA, rappresentante dell'Associazione «Verso il Kurdistan Odv» (intervento in videoconferenza). Perfetto, grazie mille. Innanzitutto, tanti saluti dalla Germania all'Italia. Io sono ezida, sono un'attivista, un giornalista tedesco, sono felice che questa tematica quest'oggi venga affrontata in seno al Parlamento italiano, e in particolare in seno al Comitato sui diritti umani.
  Vorrei precisare un punto soprattutto, in riferimento all'ultima cosa che è stata detta prima: non sono lo Stato islamico e il PKK, ma lo Stato islamico e la KDP. Si tratta di una considerevole differenza. Il PKK è costituito da coloro che ci hanno salvato. Il KDP rappresenta il partito di Barzani, che in quel territorio domina letteralmente il governo regionale, secondo una vera e propria struttura a clan, e che ha abbandonato completamente gli ezidi. Lo dico perché prima è stato nominato il partito sbagliato. Lo Stato islamico non ha avviato una cooperazione con il PKK, ma con il KDP, che per esteso si chiama Partito democratico del Kurdistan. Si tratta proprio del clan di Barzani, che ha fatto sì che i peshmerga, senza neanche sparare un unico colpo in difesa degli ezidi, si ritirassero completamente.
  Altra cosa importante, che va sicuramente ricordata, è che né lo Stato islamico né il KDP hanno operato da soli: lo hanno fatto in collaborazione con la Turchia, che è membro della NATO e Paese Pag. 10candidato all'ingresso nell'Unione europea. Il Bundestag ha presentato una ricerca, secondo la quale nel momento in cui furono attaccate la parte nord-orientale della Siria, vale a dire Rojava, e la parte nord dell'Iraq, la maggior parte dei membri dello Stato islamico è riuscita a raggiungere quella regione passando senza problemi attraverso la Turchia, che è diventata un hub per l'islamismo e per il jihadismo.
  E per rispondere alla domanda della presidente su come sia stato possibile che gli ezidi siano stati traditi e abbandonati al loro destino: dopo che nel giugno 2014 Mosul fu conquistata senza che l'esercito iracheno fosse riuscito a difendersi, nonostante gli aiuti militari degli Stati Uniti e di parte della comunità internazionale, fu chiaro che il passaggio successivo sarebbe stato l'annientamento totale degli ezidi. Il forte appello degli ezidi e di tante altre organizzazioni curde, fra cui anche PKK e YPG, che hanno combattuto attivamente contro lo Stato islamico, è rimasto purtroppo inascoltato a livello internazionale. In altre parole, gli ezidi hanno denunciato più di una volta il bisogno urgente e impellente di aiuto. Dunque, come hanno detto anche gli oratori che mi hanno preceduto, se da un lato il Governo centrale iracheno di Baghdad e dall'altro il Governo regionale di Kurdistan – ovvero quel clan di Barzani di cui parlavamo prima – avevano giurato che non sarebbe successo nulla agli ezidi, invece si è avverato esattamente il contrario.
  Dunque stiamo parlando di un genocidio. Sì, sono stati fatti dei parallelismi, è stato sicuramente un genocidio, vale a dire l'eliminazione consapevole e sistematica degli ezidi come comunità religiosa, fondata essenzialmente su razzismo e su fascismo. Gli ezidi sono etichettati come infedeli e sostenitori del male, il che non corrisponde affatto alla verità. Gli ezidi, e lo yazidismo come filosofia, si contraddistinguono come comunità religiosa umanitaria. Nella nostra religione, nel nostro credo non esiste alcuna idea di evangelizzazione o di costrizione. L'unica cosa che siamo riusciti a fare, come hanno detto gli oratori che mi hanno preceduto, è stato, da millenni, difendere più o meno il nostro credo e non farci islamizzare con la forza, motivo per il quale lo Stato islamico ha sempre avuto l'intenzione di attuare una pulizia etnica contro di noi e realizzare una geo-strategia, con l'aiuto di un membro della NATO, la Turchia, e del KDP, il clan di Barzani.
  Sono tantissime le tematiche che sono state affrontate e che sottoscrivo in pieno con dovizia di particolari, che anch'io avrei citato. Grazie infinite. Soprattutto mi fa piacere riscontrare che le persone che hanno parlato conoscono la realtà locale. Noi, in quanto ezidi, in tutto il mondo, ma soprattutto in Europa, sosteniamo e apprezziamo che così tanti Stati – da gennaio 2023 la Germania, da agosto 2023 anche la Gran Bretagna e prima ancora tanti altri Stati – abbiano riconosciuto effettivamente questo genocidio. Per noi tutto questo è importante non solo per riuscire a rielaborare e a superare in maniera autentica, ma anche come forma di prevenzione, per impedire il verificarsi di genocidi come questo, non solo contro di noi. Noi oggi ci riconosciamo, come ezidi, non solamente come vittime ma anche come ambasciatori, con un motto e un messaggio importante, che nella nostra visione del mondo non vi è posto per i genocidi, non vi è posto per i crimini di guerra, non vi è posto per i crimini contro l'umanità. I diritti universali dell'uomo devono essere protetti e difesi: noi ci vediamo, ripeto, non solamente come vittime ma sicuramente come ambasciatori di questo messaggio e lo dimostriamo sul campo, come hanno ricordato gli oratori che mi hanno preceduto.
  La costituzione di un'amministrazione autonoma democratica, nonostante la guerra, gli scontri e il genocidio mostra quanto forte e potente siano il popolo e la comunità religiosa ezida: dal profondo dolore del genocidio è nata tanta rabbia, ma da questa rabbia è scaturito anche l'enorme coraggio che ci ha permesso di portare avanti questo messaggio. Da un Pag. 11punto di vista politico, portando avanti la causa del riconoscimento del genocidio tramite i Parlamenti nazionali in Europa, ma anche facendo seguire alle parole degli atti concreti, come ad esempio il riconoscimento dell'amministrazione autonoma e democratica che è nel nord dell'Iraq, che è guidato dagli ezidi stessi. Come hanno detto gli oratori che mi hanno preceduto, soprattutto le donne sono in prima linea, impegnate nella difesa dei diritti umani e della democrazia nonostante il genocidio, ed è importante dare un segnale netto e deciso: il Governo centrale iracheno deve proteggere gli ezidi con ogni mezzo, non emarginandoli, e il governo regionale del Kurdistan deve smettere immediatamente di sfruttare gli ezidi a proprio vantaggio. Questo è particolarmente importante perché continua ad accadere. Uno dei punti più importanti è anche il fatto che continuano a verificarsi incessantemente attacchi con droni, ma non ad opera dello Stato islamico, quanto - e lo dico con profondo rammarico e tristezza - da parte della Turchia, un Paese membro della NATO. In questo caso la Turchia deve essere richiamata all'ordine: le persone che oggi vivono nei campi profughi vogliono rientrare a Sinjar, nella loro patria, per continuare a proteggere la propria lingua e la propria cultura, le proprie donne e i propri bambini. Ebbene, io sono in contatto con numerose persone direttamente attive sul campo a Sinjar e raccontano che proprio gli attacchi con i droni sono il pericolo più grande per gli ezidi. La diretta conseguenza di ciò è che i gruppi islamisti e jihadisti si sentono nuovamente liberi di riorganizzarsi e ciò conferma che purtroppo la minaccia dello Stato islamico è onnipresente e continua. Io, come giornalista e come attivista politico, anche a nome della mia organizzazione, auspicherei che il Parlamento italiano porti avanti e riconosca questo importante riconoscimento, non solamente per proteggere e per dare un chiaro segnale agli ezidi, ma per tutelare i diritti dell'uomo a livello internazionale.
  Abbiamo visto nei giorni scorsi che cosa succede quando entrano in azione organizzazioni radicali, islamiste e jihadiste, se non si contrappone al loro attivismo un chiaro no, se non si ricorda loro che questo mondo è diverso, non è guidato dal male, ha buone intenzioni e non si lascia ricattare né minacciare dal radicalismo islamista. Sarebbe importante appunto che l'Italia, la Germania, tutta l'Europa, tutti gli Stati che ritengono importante la democrazia riuscissero ad esprimere il proprio sostegno.
  Ripeto, sono felice di vedere che l'Italia si sia così interessata alla questione; per gli ezidi sarebbe un passo importante perché per noi non si tratta semplicemente di un riconoscimento simbolico, per noi significa che questa tematica viene dibattuta dall'opinione pubblica e, guardando al futuro, ci permetterà di costruire dei ponti affinché gli ezidi riescano – anche sulla base della democrazia e della difesa dei diritti umani – a ricostituire la propria comunità.
  Se pensiamo che una comunità religiosa è riuscita per oltre 4 mila anni a difendersi...

  PRESIDENTE. Scusi, ma purtroppo i tempi sono ristretti. Siamo molto in ritardo e dobbiamo scendere in Aula.

  YILMAZ PESKEVIN KABA, rappresentante dell'Associazione «Verso il Kurdistan Odv» (intervento in videoconferenza). Va bene.

  PRESIDENTE. Io ringrazio veramente tutti coloro che hanno preso parte a questa audizione. Colgo l'occasione per esprimere la mia solidarietà e, immagino, quella dei colleghi e delle colleghe che hanno ascoltato le vostre testimonianze.
  Ritorneremo di nuovo a presentare interrogazioni, alla Camera e al Senato, al Governo affinché dia seguito all'impegno che noi avevamo chiesto di prendere nella scorsa legislatura. Se non basta, faremo anche una mozione o una risoluzione per chiedere che venga riconosciuto il genocidio.Pag. 12
  Questo è un impegno che io mi prendo e spero che ci sia un seguito e che anche l'Italia possa essere un Paese, insieme ad altri, che fa questo passaggio formale, necessario proprio per restituire alla popolazione ezida anche il riconoscimento di questa immensa sofferenza.
  Vi ringrazio e continueremo a risentirci. Dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 11.20.

Gli interventi in lingua straniera sono tradotti a cura degli interpreti della Camera dei deputati.