XIX Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere

Resoconto stenografico



Seduta n. 10 di Mercoledì 8 novembre 2023

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Semenzato Martina , Presidente ... 3 

Audizione delle Consigliere Nazionali della rete D.i.Re Donne in Rete contro la violenza, Manuela Ulivi ed Ersilia Raffaelli, in videoconferenza:
Semenzato Martina , Presidente ... 3 
Ulivi Manuela , Consigliera Nazionale della rete D.i.R.e ... 3 
Semenzato Martina , Presidente ... 5 
Raffaelli Ersilia , Consigliera Nazionale della rete D.i.R.e ... 5 
Semenzato Martina , Presidente ... 6 
D'Elia Cecilia  ... 6 
Semenzato Martina , Presidente ... 6 
Lancellotta Elisabetta Christiana (FDI)  ... 6 
Semenzato Martina , Presidente ... 6 
Ascari Stefania (M5S)  ... 6 
Semenzato Martina , Presidente ... 7 
Valente Valeria  ... 7 
Semenzato Martina , Presidente ... 7 
Ferrari Sara (PD-IDP)  ... 7 
Semenzato Martina , Presidente ... 8 
Ulivi Manuela , Consigliera Nazionale della rete D.i.R.e ... 8 
Raffaelli Ersilia , Consigliera Nazionale della rete D.i.R.e ... 8 
Ulivi Manuela , Consigliera Nazionale della rete D.i.R.e ... 8 
Semenzato Martina , Presidente ... 10 
Raffaelli Ersilia , Consigliera Nazionale della rete D.i.R.e ... 10 
Ulivi Manuela , Consigliera Nazionale della rete D.i.R.e ... 11 
Semenzato Martina , Presidente ... 12

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
MARTINA SEMENZATO

  La seduta comincia alle 8.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione delle Consigliere Nazionali della rete D.i.Re Donne in Rete contro la violenza, Manuela Ulivi ed Ersilia Raffaelli, in videoconferenza.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento dell'audizione, in videoconferenza, delle Consigliere Nazionali della rete D.i.Re Donne in Rete contro la violenza, Manuela Ulivi ed Ersilia Raffaelli. Ben ritrovate.
  A nome di tutti i commissari do il benvenuto alle nostre ospiti, che ringrazio per la disponibilità ad intervenire davanti alla Commissione d'inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, e do subito loro la parola. La rete D.i.Re non ha bisogno di presentazioni, si tratta di uno dei più importanti attori della società civile italiana specializzati nel campo della lotta contro la violenza di genere e il femminicidio. Aderiscono a D.i.Re ben ottantasette organizzazioni distribuite su tutto il territorio nazionale, che gestiscono centosei centri antiviolenza e più di sessanta case rifugio, ascoltando ogni anno circa ventunomila donne. L'audizione di oggi potrà, pertanto, contribuire a fornire alla Commissione un quadro ampio e approfondito sulla materia che è oggetto della nostra inchiesta. Do quindi la parola alle Consigliere Nazionali Manuela Ulivi ed Ersilia Raffaelli. Grazie.

  MANUELA ULIVI, Consigliera Nazionale della rete D.i.R.e. Grazie presidente. Saluto tutti i presenti e le presenti e vi ringrazio per questa richiesta di intervento.
  La richiesta di intervento riguarda la violenza economica, perché c'è un'attenzione specifica su un tema che non sempre viene considerato e, di fatto, non è stato considerato per molto tempo, se pensiamo che la violenza economica non era nemmeno nominata dall'organizzazione delle Nazionali Unite, che ha fatto la prima dichiarazione che riguardasse tale violenza solo nel 1993. Quindi noi solo dagli anni duemila abbiamo iniziato a mettere a fuoco questa forma di violenza, almeno dal punto di vista istituzionale.
  Quello che noi possiamo dire dalla nostra lunga, ormai anche troppo lunga, esperienza, è che la violenza economica è sostanzialmente all'inizio del ciclo della violenza ed è parificabile alla violenza psicologica. La violenza economica è un aspetto che, secondo noi, nel nostro Paese ancora non è stato affrontato in maniera adeguata. Perché? Perché sono tante le forme di violenza economica e noi non ce le immaginiamo nemmeno tutte. Io sono sicura che se chiedessi a voi, componenti la Commissione, cosa pensate sia la violenza economica ciascuno di voi direbbe una cosa diversa e direbbe una cosa che può essere ascritta all'ambito sociale, quindi all'ambito esterno alla famiglia, o qualcosa ascrivibile direttamente alle relazioni familiari.
  Nessuno ha mai in mente – e questo lo dico anche per esperienza diretta di tanti incontri che ho fatto, e che abbiamo anche organizzato come rete nazionale – nessuno Pag. 4ha mai presente di che cosa si stia parlando. Quindi, a nostro avviso, dovrebbe essere fatto uno studio approfondito dividendo i vari campi in cui la violenza economica ha un riflesso per arrivare al dominio poi della donna e al condizionamento di tutte le scelte che le donne possono fare, sia in ambito familiare, ripeto, che anche in ambito sociale.
  Io sono avvocata, lavoro a Milano, l'altro giorno mi sono occupata di un caso incredibile. Noi abbiamo nel nostro codice civile l'articolo 403, che consente di mettere in situazione di sicurezza i minori che si considerano abbandonati, che si considerano in una situazione di pregiudizio. L'altro giorno tutta una famiglia, di fronte a una situazione di pregiudizio, creata da un uomo violento, alcolista, che non porta tra l'altro nessun apporto familiare ed economico in casa, è stata allontanata da quest'uomo. La signora, la madre, con i due figli, è stata messa in una comunità. Non si è intervenuti – adesso stiamo lavorando perché la situazione cambi – a causa di questo articolo. È un articolo che mette in movimento una procedura incredibile per cui da un giorno all'altro chi denuncia una violenza si ritrova messo praticamente ai margini della società, posto in una comunità, a spese per altro di tutti noi, invece di allontanare il violento. E questa signora sta per perdere il posto di lavoro. Oltre alla violenza fisica che ha subìto, subisce anche la violenza economica di non essere più in grado di procurare l'unico sostento che la famiglia aveva, perché il marito nemmeno lavorava e quindi nemmeno portava a casa qualcosa per sostenere.
  Poi c'è una violenza economica nelle relazioni. Nelle relazioni c'è un condizionamento economico. Un condizionamento economico che è sostenuto da tutto un contesto esterno molto ampio. Penso alle banche, penso al fatto che le donne non hanno – per una percentuale molto alta che in questo momento non ricordo, ma ci sono degli studi appositi su questo tipo di violenza – un conto corrente personale. Penso al fatto che i conti correnti, ad esempio, possano essere da un momento all'altro svuotati quando la donna decide o di fuggire dal violento o comunque di scegliere una strada di separazione. Penso al fatto che questi conti comunque vengono anche fortemente condizionati e gestiti sempre dal marito. Penso a quando le donne devono giustificare tutte le spese e tutte le uscite, portando anche gli scontrini, persino quelli del panettiere. Queste sono le forme di violenza più becere.
  Ma le forme di violenza sono tantissime. Penso anche alle donne che sono coinvolte in situazioni di imprese familiari e non vengono pagate per il lavoro che fanno. Penso alle donne coinvolte, invece, in società di appartenenza dei loro mariti o comunque nominalmente intestate a loro, sono coinvolte magari in crack finanziari, e quindi esposte dal punto di vista debitorio. Penso alle donne che hanno la macchina... Ve ne posso fare mille di esempi. Ditemi quanto tempo ho, perché non vorrei utilizzarlo troppo.
  In conclusione vorrei dire questo, e lascio la parola poi alla mia collega Ersilia Raffaelli, che le forme di messa in atto di una violenza economica sono davvero molteplici. Andrebbero studiate settore per settore, cominciando dai bambini.
  Vi dico una cosa che non so se vi è già nota, esiste anche una piccola forma di inizio alla violenza economica nella paghetta. È stato studiato che le paghette date ai bambini sono maggiori di quelle date alle bambine. Sembrerà una cosa quasi ridicola ma questo è un dato che condiziona proprio dal punto di vista culturale. Una persona che ha fatto questo studio mi diceva: «Io sono rimasta esterrefatta nel momento in cui ho verificato questo fenomeno, ho chiesto: ma perché? Ma perché si danno più soldi ai bambini che non alle bambine?» «Perché magari il bambino a dodici, tredici anni se esce a mangiare la pizza paga la pizza alla bambina». Ma allora questa è ancora una forma veramente antiquata e antichissima di pensiero, per cui le donne non sono autonome per definizione, non sono economicamente autonome e come tali da una parte vanno tutelate ma dove poi c'è una forma di condizionamento vanno messe al loro posto.Pag. 5
  È un dato che parte dai piccoli, sale per età, avviene un condizionamento anche nel momento delle scelte delle scuole che si fanno. La donna viene condizionata anche da giovane su tutte le scelte che poi farà per la sua vita futura. Quindi ci sono tantissimi aspetti che poi sfociano nell'ultimo, che è quello appunto della violenza all'interno delle relazioni. C'è tutto un contesto che va assolutamente approfondito, a nostro modo di vedere, e in parte lo abbiamo anche fatto, che porta a quel risultato, che è sempre quello di pensare che la donna deve essere tutelata, la donna non ha un'autonomia economica, la donna può essere pagata meno eccetera, eccetera.
  Questo è il quadro che vi possiamo dare. Non so come intende lavorare la Commissione femminicidio, anzi ci piacerebbe anche conoscere questo aspetto, vorremmo essere più utili che non in una sola audizione, per capire come approfondire un tema così vasto. Io avrei finito.

  PRESIDENTE. Grazie dottoressa Ulivi. Poi in coda all'intervento della collega la metteremo al corrente di come stiamo pensando di operare in Commissione sul tema della violenza economica, della indipendenza economica e del lavoro. Prego dottoressa.

  ERSILIA RAFFAELLI, Consigliera Nazionale della rete D.i.R.e. Buongiorno, grazie dell'opportunità. Molte cose già sono state dette dalla mia collega Manuela. Condivido naturalmente il fatto che sulla violenza economica si sconta un ritardo che va recuperato.
  La violenza economica è una di quelle violenze invisibili, come quella psicologica, nel senso che sono ancora talmente radicati gli stereotipi relativi alla sottomissione delle donne per cui sembra normale. A questo proposito possiamo dire che la riforma della famiglia ancora non è riconosciuta, per cui si pensa che l'uomo debba provvedere dal punto di vista economico e a volte è difficile, anche per le donne stesse che la subiscono, riconoscere la violenza economica.
  Noi facciamo un grosso lavoro, abbiamo anche impostato una campagna intitolata «Oh, povere donne» per l'8 marzo scorso dove, anche attraverso tutti i dati che ci hanno fornito Linda Laura Sabbadini e altre, abbiamo potuto riconoscere, una volta di più, le diverse forme di disparità di genere vissute dalle donne nell'ambito economico e sociale, per cui talvolta è necessario un ascolto molto attento che faccia poi lavorare le operatrici sugli elementi che la donna ci fornisce. Donna che è sempre al centro del nostro lavoro e vediamo che sono trascurati tante volte gli aspetti che riguardano proprio la finanza, le risorse economiche, a meno che non ci siano situazioni molto gravi. È per questo che sono d'accordo con quanto diceva Manuela che dovremo distinguere forma per forma. Talvolta ci sono situazioni in cui la donna è stata costretta a fare da prestanome rispetto a debiti che il marito ha contratto e si trova in una situazione disastrosa in cui, oltre alla mancanza di sostegno giornaliero, si trova anche a dover far fronte ai debiti. Questo specialmente quando ci sono delle aziende familiari in comune.
  Ma quello che vorrei ribadire, perché mi sembra il nodo, è che nella violenza economica si sconta il fatto che la violenza maschile sulle donne è un problema strutturale e trasversale e per poter porre un argine ma anche delle possibilità di uscita, è necessario affrontarla. I nodi strutturali che questa violenza ha alle spalle riguardano tutte le donne, perché sappiamo che il mercato del lavoro è ancora a misura maschile. Sappiamo bene che il welfare è un sistema che non garantisce donne, bambini e bambine. Le donne quando hanno un lavoro non è standard, è precario, è superficiale e non garantisce un discorso di continuità. Inoltre, il sistema welfare non viene incontro alle donne, come spiega Chiara Saraceno, che dice che laddove non ci sono gli asili nido, ad esempio, le donne hanno un problema molto più grosso anche sul piano del progetto di fuoriuscita.
  A noi piacerebbe farvi conoscere bene quello che facciamo per la fuoriuscita dalla violenza economica. Andiamo anche nelle aziende, io personalmente e altre abbiamo fatto e facciamo formazione nelle aziende perché il problema è riconoscere i segnali Pag. 6della violenza e intervenire prima possibile. Infatti la violenza può essere causa di povertà per le donne che ricade naturalmente sulla famiglia, sui bambini e le bambine, e in alcuni casi può essere proprio una molla che porta al femminicidio.
  Dobbiamo lavorare ancora molto, sul piano della prevenzione e sul piano del contrasto, perché sono necessarie delle politiche strutturali e delle pratiche quotidiane e di riconoscimento del segnale della violenza. Penso che siamo tutte coinvolte come donne, non solo come operatrici e appartenenti all'associazione D.i.Re, e anche voi con noi.

  PRESIDENTE. Grazie. Sapete che la regola di questa Commissione è lasciare spazio agli interventi, non arginarli temporalmente. Noi poi abbiamo degli impegni in aula alle 9 e mezza. Comunque chiedo ai colleghi e alle colleghe se ci sono interventi e domande. Abbiamo la nostra vicepresidente Cecilia D'Elia. Raccogliamo le domande e poi diamo delle risposte uniche.

  CECILIA D'ELIA. Io ho sicuramente una domanda sulle politiche che abbiamo provato a mettere in atto, in questi anni, tipo l'assegno di libertà, il contributo di libertà, se c'è un effetto, perché i percorsi di fuoriuscita mi sembrano la cosa più complicata.
  Però volevo dire che io non avevo capito che questa audizione di D.i.Re fosse finalizzata alla violenza economica. Questo lo dico per la Commissione, ringrazio Manuela Ulivi ed Ersilia Raffaelli per il contributo e per il lavoro che fanno ma per la competenza che hanno sui finanziamenti, la rete dei centri e in generale i percorsi di fuoriuscita, forse vale la pena fare un'audizione non solo finalizzata a questo tema, anche se sono convinta sia un tema essenziale. È una delle tematiche ancora poco esplorate, però io penso che vadano risentite anche su altri aspetti molto rilevanti.

  PRESIDENTE. Grazie vicepresidente. Conosce l'affetto che ho per questa associazione, ci siamo ritrovate insieme a Venezia, quindi ho chiesto, visto che stiamo indagando in questa prima fase come Commissione proprio la violenza economica, di prendere il primo appuntamento su questo tema. L'associazione D.i.Re, come tante altre associazioni attive sul nostro territorio, ha una trasversalità di contenuti, io non penso che esauriremo gli argomenti solo con questa audizione. Prego onorevole Lancellotta.

  ELISABETTA CHRISTIANA LANCELLOTTA. Grazie presidente. Buongiorno a tutti. Il mio grazie va all'associazione D.i.Re, con la quale abbiamo condiviso, come poc'anzi ci ricordava il presidente, un importante evento a Venezia. Un evento che ha fatto comprendere ancora di più la nostra presenza e la nostra volontà di trasmettere questo messaggio, che è un messaggio trasversale e che contrasta quella che è diventata una vera e propria piaga sociale. Credo che sia fondamentale. Grazie presidente proprio per questo insieme di audizioni. Noi ci stiamo riunendo tantissimo e stiamo ascoltando una serie di associazioni e anche una serie di comunicazioni importanti che ci possono far comprendere sempre di più come dobbiamo intervenire. Noi stiamo puntando tantissimo sull'indipendenza economica e sull'aspetto preventivo. Credo che il fulcro sia proprio quello, offrire alle donne gli strumenti per poter denunciare, perché molte non denunciano proprio perché hanno difficoltà ad essere indipendenti. Per cui questo è il nostro tema principale, il tema che abbiamo deciso di sposare sin da subito con questa Commissione.
  L'appello che noi facciamo a D.i.Re, lei lo ha detto poc'anzi, è proprio quello di interloquire costantemente, perché chi più di loro ci può guidare su quelli che sono i nostri interventi a sostegno e a tutela delle donne. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Abbiamo collegata l'onorevole Ascari. Prego onorevole.

  STEFANIA ASCARI. Grazie presidente. Ringrazio l'associazione D.i.Re per l'importante impegno e lavoro. Io vorrei chiedere questo.Pag. 7
  Quando una vittima, una donna denuncia violenza è prassi che sia sempre allontanata dal nucleo familiare, dalla casa mentre è difficile che venga allontanato l'uomo. Questo è già di per sé una pecca, dal momento che lo stesso codice di procedura penale, in realtà, prevede l'allontanamento. Poi vorrei chiedervi, in base alla vostra esperienza, quanto oggi sia sostituito il termine PAS (Parental Alienation Syndrome) con il termine conflittualità. Io sto ritrovando sempre più spesso procedimenti in cui la parola conflittualità racchiude in sé la violenza con tutte le sue sfaccettature, ovviamente a danno della donna, che viene considerata conflittuale, ribaltata come un calzino, sottoposta a controlli continui da parte dei Servizi Sociali. Vorrei chiedervi se, in base alla vostra esperienza, avete notato questo cambiamento di termine, di maschera, e come ritenete si debba affrontare, perché è un aspetto gravissimo che implica il rischio che vengano allontanati i figli sulla base della conflittualità.
  Sull'ultimo provvedimento approvato, invece, è passato un emendamento molto importante relativamente all'anticipo della provvisionale, per quanto riguarda gli orfani e le vittime di femminicidio, ma ovviamente non basta. C'è anche un aspetto di welfare, di progetti all'autoimprenditorialità che ancora oggi non sono stati rinnovati. Penso, per esempio, alle cuoche combattenti, che grazie a un progetto del Ministero dell'interno hanno dato vita a una struttura che consente di insegnare a fare la pasta, la pasticceria, ad altre donne vittima di violenza e diventare autonome. Anche su tale aspetto vi domando quanto è importante sostenere questi progetti dell'autoimprenditorialità.
  Però ci terrei, gentilmente, a un focus sulla parola conflittuale, perché è un nodo centrale che la Commissione d'inchiesta è importante ascolti. Grazie.

  PRESIDENTE. Senatrice Valente, grazie.

  VALERIA VALENTE. Saluto le nostre audite, le ringrazio per la disponibilità. Avendo ascoltato con attenzione quanto detto, mi farebbe piacere se le nostre audite accendessero con noi un focus su che cosa significa la violenza economica e cosa rappresenta la violenza economica nel tema che, in modo particolare, abbiamo chiesto di continuare a seguire anche dopo i lavori fatti nella scorsa legislatura, cioè il tema degli affidi dei minori nel caso di separazioni giudiziarie. Quindi separazioni non consensuali, tema di affido dei minori nell'ambito del rapporto di coppia: quanto e come incide e impatta su questo terreno la violenza economica? Come rileva? Come siamo in grado di farla pesare? Anche se oggi abbiamo gli strumenti utili e necessari per fare valere questo tipo di violenza e se, soprattutto, la nostra magistratura è pronta a leggerla come tale e tenerne conto rispetto ai criteri che devono determinare il regime di affido dei figli. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie senatrice Valente. Prego onorevole Ferrari.

  SARA FERRARI. Buongiorno a tutte. Spero che avremo molte ulteriori occasioni per incontrarci, perché oggi è stato scelto di settorializzare sulla violenza economica ma l'esperienza di D.i.Re è per noi fondamentale anche per tutti gli altri molteplici complessi aspetti della violenza.
  Fermandomi su quanto detto oggi, l'allontanamento del maltrattante, dell'autore di violenza, e non della donna coi bambini, nella provincia autonoma di Trento, da dove io arrivo, negli anni più recenti si è provato a seguire questa strada. Ha funzionato per le prime esperienze, poi si è arenata di fronte al fatto che negli anni è stato costruito un sistema che prende in carico la donna che fuoriesce da questa situazione coi propri figli, le strutture, proprio il percorso di accoglienza della fuoriuscita in sicurezza. Quindi il pubblico è in grado di seguire questa situazione attraverso la presa in carico di questi soggetti (la donna e i figli), non il contrario.
  E quindi che cosa è successo? È successo che quell'esperienza si è fermata di fronte al fatto che non era previsto un percorso di gestione del maltrattante, che sicuramente ha di solito una condizione Pag. 8economica più favorevole di quella della compagna e quindi potrebbe anche essere più autonomo e più indipendente una volta fuoriuscito, ma talvolta no e questo genera un problema sociale che fino ad oggi non si è immaginato come risolvere.
  Anch'io sono d'accordo che strappare una donna e i propri figli dal loro contesto di vita genera una violenza secondaria ma noi ci siamo oggettivamente scontrati con questa situazione, che ovviamente va affrontata, gestita. Io non dico che si debba rimettere in discussione il principio, però va incontro all'esigenza di nuove risposte, che non sono quelle che abbiamo dato in passato. Quindi vi chiedo: voi che cosa immaginate rispetto a questo problema? Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie onorevole. Se non ci sono altri interventi poi lascio la parola alle nostre audite. Volevo condividere con la dottoressa Ulivi che è stata deliberata, proprio in questa Commissione, l'indagine conoscitiva sulla violenza economica.
  Lei prima ci ha detto: come possiamo collaborare? Magari proprio risentendoci, anche in sede di appuntamento insieme alle nostre vicepresidenti, per dare una linea guida su questa indagine conoscitiva, che sicuramente è fatta di tante audizioni, ma è anche finalizzata a scoprire i numeri e la tipicità della violenza economica.
  La domanda che volevo farvi io è sul tema del rapporto pubblico-privato, quanto importante sia oggi il privato, per privato intendendo le aziende. Quale deve essere il rapporto e in che modo dialogare con loro. Poi farò una domanda specifica alla dottoressa Raffaelli, perché ne parlammo a Venezia, sui percorsi di formazione che D.i.Re fa già all'interno delle aziende: come vengono strutturati, la reattività, che ricaduta hanno e di che numeri parliamo.
  Ancora. Oggi si parla dell'importantissimo tema della formazione affettiva e sentimentale: quanto è importante introdurre, fin da piccoli, come prima ha evidenziato la dottoressa Ulivi, il tema della educazione economico-finanziaria che riguarda, senza ombra di dubbio, le donne e le bambine, ma anche i bambini, per un approccio differente al sistema economico e al sistema famiglia? Grazie.

  MANUELA ULIVI, Consigliera Nazionale della rete D.i.R.e. Le domande sono tantissime. Ersilia parto io su quelle più tecniche che mi riguardano.

  ERSILIA RAFFAELLI, Consigliera Nazionale della rete D.i.R.e. Per quanto riguarda gli aspetti più legali magari se puoi intervenire sull'affidamento e quant'altro.

  MANUELA ULIVI, Consigliera Nazionale della rete D.i.R.e. Sì, infatti pensavo proprio a questo. Intanto la prima domanda sull'assegno di libertà. Per quanto mi consta, l'assegno di libertà è stato utilizzato e, dove le donne sono riuscite ad averlo, non ha dato loro veramente tanta libertà ma l'avvio verso la libertà sicuramente. Ovviamente per ragioni economiche l'assegno non poteva essere compensativo di uno stipendio, però sicuramente è stato utile e molte donne, per quanto so io dal mio centro, lo hanno potuto utilizzare. Quindi è stato richiesto. Anche a livello nazionale mi sembra che tanti centri abbiano detto di avere aiutato le donne a fare la domanda per l'assegno di libertà. Quindi probabilmente potrebbe essere anche rivisto, incrementato. Io denuncio di non averlo studiato precisamente, però si potrebbe forse migliorare questo assegno.
  Per quanto riguarda la questione della denuncia della violenza, qui io devo lanciare un grido di allarme. Ormai sento sempre più spesso donne che dicono «Se avessi saputo non avrei denunciato». Una volta lo dicevano perché finivano sul banco degli imputati o perché venivano addirittura respinte dalla polizia o comunque dovevano fare un percorso ad ostacoli per riuscire a portare avanti la loro denuncia. Oggi lo dicono più per quello che succede in ambito civile. Prima citavo l'articolo 403 del codice civile non a caso. C'è un effetto domino di questa denuncia che va contro le donne. Avremmo voluto che l'effetto di segnalazione da parte della polizia della situazione di violenza, quando la polizia interviene chiamata in una situazione di Pag. 9emergenza, fosse positivo per le donne. In realtà si sta rivelando molto negativo. Io credo che la Commissione, mi permetto di dire, dovrebbe lavorare su questo articolo 403, perché vengono ritenute non tutelanti le donne che hanno subìto violenza perché rimaste lì con il violento e in una condizione di debolezza tale per cui viene disposto il loro inserimento in comunità. Cioè, questo articolo sta veramente diventando un boomerang incredibile per le donne. Lo avevamo già denunciato. È entrato in vigore a giugno dell'anno scorso nelle riforme che sono state messe in campo ma oggi dobbiamo dire che vorremmo quasi – un mio pensiero dell'altro giorno – lanciare una campagna provocatoria «Donne non denunciate». Se la denuncia deve provocare così tanti danni, a questo punto noi ci domandiamo come possiamo evitare alle donne di entrare in situazioni di disagio ulteriori rispetto a quelle che hanno già vissuto.
  Questo vale anche per la questione conflitto. Ovviamente conflitto è un termine ancora, onorevole Ascari, utilizzatissimo. Non abbiamo relazioni dei Servizi Sociali dove c'è violenza e che nominino la violenza. Abbiamo ancora relazioni dei Servizi Sociali che nominano solo e sempre il conflitto. Il panorama giudiziario non ci dà migliori prospettive. Tranne qualche magistrato un po' più sensibile, illuminato, preparato, abbiamo ancora una magistratura che parla di conflitto. Nonostante la Relazione della precedente Commissione femminicidio Valente, che ha fatto un lavoro egregio rispetto a tutto ciò che accade nei tribunali quando viene messa in evidenza la violenza, le consulenze tecniche d'ufficio ancora parlano di madre non malevola ma di madre simbiotica, di madre alienante. Usano ancora comunque il termine alienante. Quindi, onorevole Ascari, devo dire che su questo aspetto siamo veramente in grave difficoltà. In grave difficoltà sempre per quello che dicevo all'inizio. Noi rischiamo che le donne, che hanno un tam-tam molto potente, si passino il messaggio: attenzione a quando denunci, non denunciare perché chissà cosa ti succederà. Ormai questo io lo sento quotidianamente dalle donne. Anche solo fare un contenzioso di separazione, che a un certo punto è inevitabile, «Oddio arrivano i Servizi. Oddio cosa deciderà il magistrato? Oddio cosa farà il consulente tecnico d'ufficio?» Guardate che è veramente difficile, sul nostro fronte, continuare a dire alle donne di avere fiducia, che possono uscire dalla violenza. È molto avvilente per chi è su questo tema da trent'anni.
  Altra cosa, quello che diceva la senatrice Valente, cosa significa la violenza economica e le conseguenze sull'affido dei minori? Anche questo è un tema sicuramente da approfondire perché ormai con l'affido condiviso noi abbiamo papà che chiedono la paritarietà. Cioè papà che non si sono mai occupati dei figli fino a quel momento, che chiedono la paritarietà di giorni di permanenza dei figli con l'uno e con l'altro genitore e, attraverso questo, cercano di avere la pronuncia sul mantenimento diretto. Cosa vuol dire? Che viene sostanzialmente quasi eliminato quell'assegno perequativo che dovrebbe pagare il genitore che ha guadagni superiori all'altro, ove non venisse eliminato, a meno che i guadagni non sono veramente molto differenti, ma dobbiamo andare a differenze del doppio. Cioè uno guadagna 2.000 e l'altro guadagna 4.000, uno guadagna 3.000 e l'altro ne guadagna 8.000. Allora, solo in quel caso, vengono disposti assegni perequativi. Assegni perequativi risibili.
  Quindi noi abbiamo un'altra forma di violenza economica indiretta che agisce sui figli, dove i figli subiscono le conseguenze non solo di un contrasto tra i genitori ma anche di una volontà del violento. Normalmente questo accade quando l'uomo ha agito violenza, quando l'uomo vuole farla pagare alla donna che è uscita da questo ciclo della violenza e lo fa attraverso i soldi. Quindi c'è una forma di violenza economica indiretta che subiscono anche i figli, perché con la madre non possono fare delle cose e vengono attratti dal padre perché ha disponibilità economiche maggiori. Quindi anche su questo aspetto sicuramente andrebbe fatta giustizia. Siamo in grado di farla attraverso la magistratura? Io lascio il punto interrogativo anche a voi perché, Pag. 10come prima, dove ci sono magistrati attrezzati, che hanno approfondito l'argomento eccetera, riusciamo a ottenere dei provvedimenti più equilibrati, laddove non ci sono, veramente abbiamo interi nuclei familiari lasciati in situazioni di indigenza. Io metto sempre in campo anche la mia esperienza professionale, ho presente una signora che con tre figli ha veramente fatto miracoli per riuscire a stare in piedi di fronte al padre, all'uomo che, invece, avrebbe potuto dare una più dignitosa condizione di vita a tutta la famiglia.
  Su quello che diceva l'onorevole Ferrari, l'allontanamento del maltrattante dovrebbe essere prassi comune. Noi abbiamo la legge n. 154 dal 2001, quindi l'ordine di allontanamento è una cosa che io ho seguito agli inizi degli inizi con altri onorevoli per introdurre una norma che fosse utile nell'immediato alla donna che stava subendo violenza, non sapendo – nel 2001 non avevamo la Convenzione di Istanbul, non avevamo le leggi che sono arrivate poi dopo, non avevamo neanche lo stalking – che potesse dare alla donna una condizione di sicurezza. Non è stato messo in campo come strumento utile, proprio perché non è stata riconosciuta, da parte della magistratura, la condizione di violenza.
  Per tutti gli anni duemila c'è stato il problema di far riconoscere la violenza. E sempre c'era il conflitto di cui parlava prima l'onorevole Ascari. Ma c'è dal 2001 questa norma, ventidue anni, possibile che noi non abbiamo ancora oggi...? Per altro con la nuova Riforma Cartabia le norme sono addirittura state inserite dentro al percorso di separazione, divorzio e nella regolamentazione affidi in modo ancora più cogente. Ma dobbiamo metterla in campo questa cosa.
  Io ritorno, e chiudo, all'articolo 403 del codice civile, secondo me andrebbe riletto, è un articolo mostruoso perché è un articolo di due pagine di Codice. Per chi ha studiato Giurisprudenza sa che cosa sto dicendo. È mostruosa anche la lettura, vi invito a farla. È un articolo che mette in campo una procedura assolutamente sbagliata e scorretta. Dobbiamo su questo prestare attenzione perché togliamo alle donne non solo la voglia di denunciare, ma togliamo loro anche la vita normale dopo che hanno subìto quello che hanno subìto.

  PRESIDENTE. Grazie dottoressa Ulivi. Prego dottoressa Raffaelli.

  ERSILIA RAFFAELLI, Consigliera Nazionale della rete D.i.R.e. Inizio dalle domande che mi ha fatto la presidente, rispetto alla formazione nelle aziende e le ricadute. Ormai sono anni che D.i.Re è disponibile a questo, su richiesta delle aziende. Noi abbiamo fatto formazione a Koering, a Korian, a Lidl. Come avvengono questi interventi?
  Intanto riguardano sia i dipendenti e le dipendenti, sia i decisori, dirigenti e le dirigenti. Cosa posso dire rispetto alla mia esperienza diretta? Che c'è una grande fame di conoscenza. Tutte le volte che vado, ritorno molto contenta del fatto che diventiamo veramente delle agenti di conoscenza e anche di possibili cambiamenti.
  Il lavoro è una parte importantissima, quando c'è, nella vita di una donna, ed è sul lavoro che possono essere osservate tante situazioni e tanti segnali che portano poi alla violenza. Se l'azienda è attenta rispetto a frequenti assenze oppure addirittura al contrario al fatto di fare straordinari su straordinari, anche cambiamenti di comportamento, cambiamenti umorali. Il lavoro più grosso che facciamo è la pratica della relazione, noi portiamo questa pratica della relazione anche nelle aziende perché è possibile che siano intercettati questi cambiamenti, è possibile che siano visti, e naturalmente a quel punto lì, va anche considerato cosa fare, perché certamente le aziende non possono fare i centri antiviolenza. Ma i centri antiviolenza sono da tutte le parti in Italia, quindi sono anche nei luoghi vicini alle aziende. Solo con il consenso della donna è possibile intercettarli, però si può dare a lei l'informazione. Agli interventi di sensibilizzazione invitiamo anche le formatrici dei centri antiviolenza più vicini all'azienda e con loro facciamo un incontro che è sempre molto importante perché non è cattedratico, ma interattivo e colloquiale. E purtroppo noi Pag. 11sappiamo che – come dice la giudice Paola Di Nicola Travaglino – quando c'è un gruppo di persone in cui si trovano uomini e donne, guarda caso c'è sempre una presenza di violenza esperita. Quindi c'è necessità che questo lavoro continui in molte più aziende.
  Detto questo, mi interessava fermarmi sul discorso della prevenzione nelle scuole. Io credo che sia importantissimo cominciare il prima possibile ad introdurre l'educazione finanziaria ed economica (le paghette, conti correnti e altro). Far capire che i soldi non sono né negativi né positivi, rispetto ad essi dobbiamo avere un atteggiamento realistico ma anche sano, soprattutto sano. Non possiamo però affrontare solo in maniera tecnica tutto quello che riguarda la violenza economica, se non lo accostiamo alla violenza psicologica. Quindi l'educazione affettiva/sentimentale e sessuale nelle scuole non può essere disgiunta dall'educazione economico-finanziaria. Certo, ci saranno dei moduli, ma nell'esperienza diretta che abbiamo visto, perché noi vediamo soprattutto la violenza economica nelle case rifugio. Mi piacerebbe molto che se ne potesse parlare di più, perché è lì che la donna arriva, magari dopo aver lasciato il lavoro se ce l'aveva, ed ha necessità di ricostituire tutto un progetto di vita. È lì che le donne fanno un percorso di ripresa della stima di sé, sulla visione che la donna ha di sé, ma a fianco di questo percorso ci debbono essere possibili aiuti economici. Noi cosa facciamo? Si parlava prima del reddito di libertà. Ben venga, ma è assolutamente insufficiente rispetto alle necessità. D.i.Re, aiuta i centri antiviolenza attraverso le doti di autonomia e attraverso gli sportelli lavoro, che ormai sono in ogni centro. Il 93 per cento delle operatrici oggi sono esperte sulla violenza economica. Ma a fronte di questo vorrei dire che subiamo noi stesse una violenza economica, cioè il grado di volontariato nei centri antiviolenza è ancora molto alto. Quindi noi aiutiamo le altre donne, insieme a loro facciamo un percorso, ma nello stesso tempo dovremmo poter disporre di una continuità di lavoro e di risorse economiche che ci permettano di portarlo avanti.
  Voglio dire un'ultima cosa rispetto alla conflittualità. Sì, sono d'accordo con chi diceva che più che sulla condizione di reato ci si ferma a considerare stati di conflittualità a danno del soggetto donna e della possibilità di crederle; se non lo facciamo, è chiaro che va tutto a rifluire nel conflittuale. Ora la differenza tra il conflitto e la violenza è grandissima. Nel ciclo della violenza i conflitti ripetuti poi portano a un'esasperazione tale per cui si risolvono in violenza. A quel punto bisogna vedere se siamo in grado di intervenire nel ciclo della violenza. Infatti quando si sono, incrostate davvero, diciamo così, le esplosioni della violenza è molto molto più difficile sia intervenire che, nel percorso di fuoriuscita, portare fuori definitivamente.
  Però tornando al tema della violenza economica io credo che, nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza, se non andiamo a incidere sul discorso del lavoro e sul discorso dell'abitazione per le donne che la subiscono, rischiamo una vittimizzazione secondaria. Infatti, anche qualora questa donna fosse pronta a tutto, se non ha le risorse è difficile denunciare e si sente in una situazione di ingiustizia veramente grossa.

  MANUELA ULIVI, Consigliera Nazionale della rete D.i.R.e. Se il presidente me lo permette – so che è un tema a lei molto caro quello delle aziende –, la contrattazione collettiva ha messo in atto in alcune aziende, dove siamo andati a fare formazione, una contrattazione integrativa. Alcune aziende si sono dotate di questi contratti integrativi in cui si prevede aspettativa non retribuita per dodici mesi nel caso ci siano delle necessità, legate alla violenza, per cui la lavoratrice non possa andare a lavoro. Oppure specifica turnazione. Oppure, ancora, aumento o riduzione dell'aumento di lavoro, a seconda delle necessità. Il trasferimento, con il pagamento delle spese di viaggio e contributi per canoni di locazione. E supporti psicologici e legali pagati dalle aziende. Quindi le aziende, e molte lo stanno facendo, possono inserire nella contrattazione collettiva una normativa specifica che potrebbe essere ampliata a tutto il territorio. Quindi le aziende, a Pag. 12nostro avviso, hanno delle antenne molto sensibili e hanno la possibilità di intervenire avendo però delle disponibilità economiche. Questo mi premeva dire. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie dottoressa Ulivi per questa specifica e grazie alla dottoressa Raffaelli per questo nutrito intervento. È una base di partenza per condividere insieme un percorso che riguarda la violenza economica e anche le tante sfaccettature su cui la rete D.i.Re si adopera con cuore, passione e grande capacità. Quindi io ringrazio le audite e dichiaro chiusa l'audizione. Grazie mille.

  La seduta termina alle 9.30.