XIX Legislatura

III Commissione

COMITATO PERMANENTE SUI DIRITTI UMANI NEL MONDO

Resoconto stenografico



Seduta pomeridiana n. 5 di Mercoledì 8 novembre 2023

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Boldrini Laura , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'IMPEGNO DELL'ITALIA NELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE PER LA PROMOZIONE E TUTELA DEI DIRITTI UMANI E CONTRO LE DISCRIMINAZIONI
Boldrini Laura , Presidente ... 2 
Elias Shvan Ghazala , Direttrice dei programmi YBDO ... 3 
Birhim Ali Farhan , Direttore esecutivo YBDO ... 3 
Elias Shvan Ghazala , Direttrice dei programmi YBDO ... 3 
Boldrini Laura , Presidente ... 6 
Pastorelli Lia , rappresentante dell'Associazione «Un ponte per» ... 6 
Boldrini Laura , Presidente ... 6 
Amendola Vincenzo (PD-IDP)  ... 6 
Boldrini Laura , Presidente ... 7 
Loperfido Emanuele (FDI)  ... 7 
Boldrini Laura , Presidente ... 7 
Zan Alessandro (PD-IDP)  ... 7 
Boldrini Laura , Presidente ... 7 
Birhim Ali Farhan , Direttore esecutivo YBDO ... 8 
Boldrini Laura , Presidente ... 8

Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
Azione - Italia Viva - Renew Europe: A-IV-RE;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Noi Moderati (Noi con L'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE: NM(N-C-U-I)-M;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
LAURA BOLDRINI

  La seduta comincia alle 14.25.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la resocontazione stenografica e la trasmissione attraverso la web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di Youth Bridge Development Organization (YBDO).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti di Youth Bridge Development Organization nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'impegno dell'Italia nella comunità internazionale per la promozione e la tutela dei diritti umani e contro le discriminazioni.
  Ricordo che la partecipazione da remoto è consentita alle colleghe e ai colleghi secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento.
  Anche a nome dei componenti del Comitato, saluto e ringrazio per la disponibilità a prendere parte ai nostri lavori la dottoressa Ghazala Elias Shvan, che è la Direttrice dei programmi dell'organizzazione, e il dottor Farhan Birhim Ali, che è il Direttore esecutivo. La delegazione è accompagnata dal dottor Alfio Nicotra e dalla dottoressa Lia Pastorelli, rispettivamente presidente e responsabile dei programmi dell'Associazione «Un ponte per».
  La Youth Bridge Development Organization è stata fondata nel 2015 da attivisti della comunità ezida ed è regolarmente registrata come ONG indipendente nel Kurdistan iracheno e nell'Iraq federale. Ha l'obiettivo di rafforzare il ruolo di giovani, donne e gruppi vulnerabili per la stabilizzazione, l'inclusione sociale, l'uguaglianza e la giustizia sociale attraverso programmi umanitari di sviluppo e di peacebuilding.
  È attualmente il principale partner locale di «Un ponte per» in due programmi finanziati dalla cooperazione italiana, quindi ci riguarda direttamente: un progetto affidato all'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, che è il Programme for resilience and return in the Nineveh Governorate through an integrated approach in the education, health and socio-cultural sectors, ed uno finanziato dalla Direzione Generale per gli affari politici e la sicurezza del Ministero degli affari esteri nell'ambito del Piano d'azione nazionale su «Donne, pace e sicurezza».
  Ricordo che l'audizione odierna fa seguito a quella di rappresentanti dell'Associazione "Verso il Kurdistan Odv", svoltasi l'11 ottobre scorso. Già in quella sede erano state fornite numerose informazioni sulla condizione degli ezidi, che continuano ad affrontare sfide significative, tra cui gli ostacoli che impediscono agli sfollati di ritornare alle loro case, in particolare a Sinjar, quindi anche l'accesso limitato che hanno ai servizi sociali di base.
  Al termine di quell'audizione – parlo di quella di ottobre – era stata ribadita la necessità di dare seguito alla risoluzione approvata dalla Commissione affari esteri il 26 marzo del 2019, volta ad impegnare il Governo italiano ad assumere iniziative per sensibilizzare la comunità internazionale sui crimini commessi da Daesh contro il popolo ezida e per valutare le modalità più opportune per riconoscere il genocidio ezida.Pag. 3
  Vi informo che su questi contenuti, e con l'obiettivo dichiarato del riconoscimento del genocidio del popolo ezida, sto lavorando alla presentazione di una risoluzione da proporre all'Assemblea della Camera per la sua approvazione. Molti altri Paesi europei, come accennavo ad alcuni colleghi, lo hanno già fatto.
  Quindi, forniti questi elementi di contesto, do ora la parola alla dottoressa Ghazala Elias Shvan affinché svolga il suo intervento.

  GHAZALA ELIAS SHVAN, Direttrice dei programmi YBDO. Molte grazie per aver presentato Youth Bridge e il nostro partenariato con UPP («Un Ponte Per»). Prima di iniziare parlando della situazione a Sinjar e della situazione degli ezidi, voglio dare un minuto al Direttore Farhan Birhim Ali e poi tradurrò i suoi commenti in inglese.

  FARHAN BIRHIM ALI, Direttore esecutivo YBDO. Molte grazie per averci dato la possibilità di rivolgerci a voi qui oggi, di averci ricevuto nella vostra Commissione e di tutto il lavoro che avete svolto per organizzare questo incontro.
  Ancor prima di considerarmi il fondatore e il Direttore dei programmi di Youth Bridge, vorrei dire che ci riteniamo due vittime che sono la voce della nostra comunità.
  Non molti ezidi sarebbero in grado di arrivare qui e di parlare della propria sofferenza, del genocidio che ha avuto un impatto sulle loro stesse vite, ma adesso siamo qui noi per parlare delle loro sofferenze.
  Sappiamo che l'Italia è un Paese che difende convintamente i diritti umani ed è per questo che siamo qui, per parlare della nostra sofferenza e delle violazioni dei diritti umani di cui siamo vittime. Grazie.

  GHAZALA ELIAS SHVAN, Direttrice dei programmi YBDO. Prima di passare a descrivere la situazione attuale, voglio dirvi qualcosa riguardo all'identità degli ezidi. Lei, Presidente, ha già fatto qualche accenno.
  Gli ezidi sono una minoranza religiosa nell'Iraq settentrionale; li riteniamo i successori delle antiche civiltà dei Sumeri, degli Assiri e dei Babilonesi. La maggior parte di essi vive in Iraq, Ve ne sono anche in Turchia, Siria, Armenia, Russia, Azerbaijan, Iran, Stati Uniti, Canada, Australia e in Europa.
  Il loro numero complessivo è di circa 2 milioni di persone in tutto il mondo, dei quali circa 700 mila vivono in Iraq. La maggioranza è concentrata nella provincia di Dohuk nel Kurdistan e nel governatorato di Ninive, nella città di Sinjar. Gli ezidi sono state vittime di un genocidio, anche di recente. Hanno subito settantaquattro genocidi nella loro storia, quello più recente è stato nell'agosto 2014, a seguito di attacchi da parte dell'Isis. In seguito a questo genocidio, l'Isis ha occupato l'intera città in una notte: il risultato è stato lo sfollamento di circa mezzo milione di ezidi dalla città di Sinjar e dalla piana di Ninive: infatti gli ezidi vivono in diverse zone dell'Iraq. Adesso più di 260 mila persone sono ancora sfollate; circa 200 mila sono emigrate in Europa e in altri Paesi del mondo. Adesso circa ottantasei fosse comuni sono state documentate dalla squadra investigativa di UNITAD. In conseguenza del controllo esercitato dall'Isis si sono registrati anche il rapimento e la riduzione in schiavitù di 6.500 persone, la maggior parte delle quali, circa 3.500, donne. Adesso, dopo nove anni, soltanto 3.500 di queste persone rapite hanno fatto ritorno, tra uomini, donne e bambini. Ancora non sappiamo il destino di circa 2.500 persone, non sappiamo se siano ancora vive o morte.
  Nei primi giorni del genocidio circa 5 mila persone sono state uccise e gettate in fosse comuni, a Sinjar e nelle aree circostanti. Ogni giorno, con il ritorno delle persone nella regione, si sono continuate a scoprire e a ripulire un centinaio tra fosse comuni e tombe singole.
  La percentuale delle persone che sono tornate è stata solo del 32 per cento finora, dopo nove anni, senza alcuna facilitazione o programma di «ritorno sicuro» da parte del Governo. Più dell'80 per cento della zona è ancora distrutta, infrastrutture, edificiPag. 4 delle istituzioni, edifici di servizi e abitazioni.
  Il genocidio ha provocato numerosi danni a donne, bambini e uomini: l'impatto più forte si è registrato a carico delle donne, che soffrono ancora di problemi psicologici quando, pur avendo fatto ritorno a casa, devono reintegrarsi o riprendere una vita normale.
  Quindi, se teniamo conto della definizione di genocidio data dalle Nazioni Unite, possiamo dire che quello che è successo agli ezidi rientra in tutti e cinque i punti previsti e quindi costituisce genocidio.
  Il primo punto riguarda l'uccisione dei membri di un gruppo, e in questo caso l'impatto si è avuto su più di 11-12 mila persone, che sono state rapite o uccise durante il genocidio nell'agosto del 2014.
  In secondo luogo, creare dei danni gravi fisici o mentali: è evidente che questo sia successo per le donne ezide che subiscono violenza da parte dell'Isis mentre sono ancora in cattività; quelle che sopravvivono e fanno ritorno, riportano ancora danni psicologici e non ricevono alcuna forma di assistenza riabilitativa.
  Colpire le condizioni di vita di un gruppo per distruggerlo fisicamente, del tutto o in parte: ovviamente non tutti gli ezidi sono stati uccisi, ma la stragrande maggioranza di loro è stata danneggiata dagli attacchi dell'Isis.
  Imporre misure volte a limitare le nascite all'interno di un gruppo: anche questo, ovviamente, è accaduto, Isis ha separato i componenti delle famiglie, il che dimostra in modo evidente l'intenzione di ridurre le nascite.
  Quindi trasferire con la forza bambini da un gruppo ad un altro, e anche questo è accaduto. Molti bambini sono stati separati dalle loro famiglie e sottoposti a pressioni per aderire alla causa dell'Isis e diventarne membri.
  Se si considera quello che è accaduto agli ezidi, tutto rientra nella definizione di genocidio.
  Tutti questi crimini sono stati documentati finora dalle Nazioni Unite o dall'équipe di UNITAD.
  Molti Paesi europei e altri Paesi hanno riconosciuto come genocidio quello che è accaduto agli ezidi nel 2014: Germania, Paesi Bassi, Belgio, Stati Uniti, Regno Unito, il Governo regionale del Kurdistan, Canada, Scozia, Portogallo, Irlanda, Armenia, Francia, Australia, alcune Agenzie delle Nazioni Unite, Parlamento europeo, Nazioni Unite e la squadra investigativa di UNITAD hanno riconosciuto il genocidio degli ezidi. Questo è di grande importanza per far luce sui crimini, sostenere l'impegno internazionale volto ad impedirne la ripetizione, aiutare gli ezidi e altre minoranze e sostenere le capacità della regione. Questi Paesi hanno formulato leggi e politiche relative al genocidio degli ezidi e ai diritti di queste minoranze perseguitate.
  Perché per la comunità degli ezidi è importante il riconoscimento del genocidio anche da parte dell'Italia? Perché l'Italia ha un ruolo significativo nel sostenere i diritti umani, la giustizia e il rispetto della diversità all'interno delle Nazioni Unite e in altre sedi internazionali.
  L'Italia ha un ruolo molto importante anche nell'Unione europea e ha rapporti diplomatici molto solidi con diversi Paesi. L'Italia può essere un mediatore efficace per migliorare il dialogo tra le varie parti e per contribuire a trovare soluzioni per proteggere gli ezidi e ricostruire le zone colpite.
  L'Italia può avere un ruolo importante anche per la creazione di una regione sicura e autonoma, con un'adeguata protezione internazionale per gli ezidi e altre minoranze religiose in Iraq. Questo sarebbe un passo importante per noi, che offrirebbe protezione e stabilità agli ezidi e ad altre minoranze religiose in Iraq, e contribuirebbe a prevenire il ripetersi di tragedie e genocidi contro di loro in Iraq.
  Voglio sottolineare alcune delle sfide che abbiamo di fronte, perché ve ne sono tante, quindi ne sottolineerò alcune che sono importanti per la stabilità della zona del Sinjar, per la comunità ezida e per altre minoranze.
  Per prima cosa ottenere la giustizia di transizione e l'azione giudiziaria: continuano a sussistere forti difficoltà a ottenere Pag. 5giustizia per le vittime dei reati commessi contro gli ezidi. Non sono stati ancora istituiti tribunali incaricati di agire contro gli autori dei crimini contro gli ezidi e altre minoranze. Mancano ancora all'appello 2.500 tra uomini, donne e bambini, di cui non si conoscono ancora le sorti.
  In secondo luogo, non ci si è ancora impegnati per ricostruire Sinjar e le sue infrastrutture. I risarcimenti per coloro che hanno perso i propri beni e la propria casa in relazione a queste vicende sono ancora molto lenti: le procedure sono in corso, ma procedono molto lentamente perché finora nessuno è stato ancora risarcito, anche se siamo a nove anni dal genocidio e a otto anni dalla liberazione della zona.
  Esistono anche sfide politiche: Sinjar è stata ed è ancora oggetto di lunghe dispute e scontri politici tra Governo centrale e Governo regionale del Kurdistan, che ha portato a una mancanza di chiarezza in materia di governance, sicurezza e sovranità nella regione. L'emergere dell'Isis e il genocidio degli ezidi sono stati il risultato della mancanza di attenzione da parte del Governo nei confronti dell'area degli ezidi e delle aree di altre minoranze.
  L'impatto degli scontri politici sulla formazione del Governo locale ha influito sulla capacità di erogare servizi di base: dalla caduta del regime di Saddam Hussein a oggi detti servizi sono stati trascurati. In queste regioni non c'è ricostruzione, né arrivano contributi finanziari dal 2003. Non si è riusciti a trovare una soluzione per garantire il futuro degli ezidi e delle loro vite. Gli ezidi, in realtà, vengono ancora sfruttati e nella loro comunità sono considerati deboli e vulnerabili.
  Per quanto riguarda gli aspetti della sicurezza, gli ezidi e altre minoranze in genere si trovano in una situazione di insicurezza e sono esposti alla minaccia di attacchi terroristici ed estremisti islamici. Sinjar nel 2014 è stata oggetto di attacchi terroristici da parte dell'Isis islamico, con omicidi e rapimenti ai danni di circa 12 mila persone. La distruzione e il saccheggio nei confronti delle proprietà ezide ha colpito il 90 per cento delle persone, la distruzione delle infrastrutture e delle abitazioni ha colpito più dell'80 per cento della popolazione.
  Dal 2003, anno della caduta del regime di Saddam Hussein, e fino al genocidio del 2014, Sinjar e la regione ezida non hanno avuto né stabilità né sicurezza. Quindi anche prima del 2014 non esistevano né sicurezza né stabilità. Gli ezidi hanno subìto da allora molti attacchi terroristici: nel 2007, due esplosioni distinte nei villaggi di Til Ezer e Siba Sheikh Khidir provocano in un solo istante, tra morti e feriti, circa 1.400 vittime. Si registrano, poi, decine di altri attacchi e migliaia di giovani, lavoratori e studenti, sono stati uccisi, senza colpa, per la loro identità religiosa, vale a dire perché non erano musulmani.
  Naturalmente a Sinjar esistono anche problemi amministrativi, che rappresentano una delle principali ragioni dell'instabilità interna all'area. La mancanza di un'amministrazione locale impedisce l'erogazione di servizi di base. Ovviamente, se non esistono autorità locali a Sinjar, non esistono neanche i servizi di base (acqua, rete fognaria, istruzione). La comunità ezida vive nelle condizioni peggiori.
  Vi è la necessità urgente di dotarsi di strutture amministrative efficaci, che concorrano allo sviluppo di una regione autonoma per gli ezidi e per altre minoranze, a Sinjar e nella piana di Ninive. A causa dei conflitti tra il Governo federale e il Governo del Kurdistan la regione non ha potuto gestire le risorse stanziate da Bagdad nel bilancio 2023. Ovviamente, in assenza di servizi e di un'amministrazione locale, anche la situazione economica viene colpita: a causa dei conflitti in corso, i tassi di investimento e le opportunità economiche si sono ridotti, la disoccupazione e la povertà tra i giovani sono aumentate. Il 90 per cento dei frutteti e delle aziende agricole è stato distrutto; l'acqua viene sprecata senza poter arrecare alcun beneficio. Non si costruiscono dighe e il 90 per cento dei terreni sono a rischio di desertificazione a seguito dei cambiamenti climatici e dello stato di abbandono attribuibile al Governo.
  Il costo della vita è molto alto, mentre il tasso di occupazione è ridotto rispetto all'entità della popolazione ezida; quanto alla Pag. 6ricostruzione dell'area, non è stato fatto alcun passo avanti da parte del Governo. Gli sfollamenti e le migrazioni sono ancora in corso. Vi sono poi problemi di ordine sociale e tensioni e conflitti nella regione.
  Tutte queste sfide stanno portando ad una serie di modifiche demografiche, anche nella regione del Sinjar. I locali non restano nell'area e vendono le proprie terre, proprietà e abitazioni ad altri, che quindi subentrano al loro posto.
  Vi ringrazio molto.

  PRESIDENTE. Dato questo quadro – che devo dire è abbastanza desolante e sconfortante, ma è giusto averlo reso disponibile ai membri di questo Comitato –, mi chiedo se «Un ponte per», – la dottoressa Pastorelli – intende aggiungere qualcosa su questa situazione. Prego, dottoressa.

  LIA PASTORELLI, rappresentante dell'Associazione «Un ponte per». Grazie, rinnovo i ringraziamenti per averci invitati oggi qui, grazie agli onorevoli deputati e a tutti i membri del Comitato.
  Volevo solamente aggiungere, oltre a quello che ha già detto la dottoressa Ghazala, che soltanto nel 2017 il territorio iracheno invaso dal Daesh è stato liberato, a dicembre del 2017 il Governo iracheno ha dichiarato la liberazione dall'Isis. Tuttora sussistono le stesse motivazioni ideologiche che hanno dato spinta a questo movimento per la nascita e, purtroppo, per l'invasione di Iraq e Siria.
  Ovviamente la popolazione ezida è quella che è stata maggiormente colpita dagli eventi, sono state commesse atrocità che sono state viste anche purtroppo in altri genocidi documentati storicamente, ma che sono state particolarmente odiose in questo caso, perché la maggior parte delle vittime sono donne e bambine, in un numero altissimo ancora nelle mani di sconosciuti, il loro destino non è dato saperlo.
  Quello che ci preme sottolineare è che l'Italia può dare, come membro della Comunità europea, una spinta importantissima nel caso riconoscesse questo genocidio a livello internazionale, anche per far aderire alla stessa scelta altri membri dell'Unione europea e anche per rendere ancora più responsabile il governo iracheno rispetto a tutti i cittadini e le minoranze etniche e religiose che compongono questo meraviglioso Paese.
  Come «Un ponte per», che si trova come organizzazione e associazione in Iraq dal 1991, chiediamo con forza che le istanze dei nostri colleghi - e partner ormai già dal 2015 - vengano riconosciute.
  Vi ringrazio nuovamente per averci dato spazio e voglio cogliere l'occasione per sottolineare che sarebbe importantissimo fare pressione perché nella prossima legge di bilancio venga rifinanziato il nuovo Piano nazionale per la risoluzione «Donne, pace e sicurezza», perché grazie ai fondi di questo Piano noi, insieme a YBDO, siamo stati in grado di portare a termine dei progetti importantissimi per riconoscere il ruolo decisionale, specialmente delle donne, nei processi di pace. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, dottoressa Pastorelli. Ora chiedo se ci sono colleghi e colleghe che vogliono intervenire, fare ulteriori domande, chiedere chiarimenti.
  La parola all'onorevole Amendola.

  VINCENZO AMENDOLA. Ringraziamo per questa presenza, per averci ricordato l'atrocità che è successa in quella parte di mondo al suo popolo e confermiamo tutto il sostegno nel riconoscere quella forma di massacro come un genocidio del popolo ezida e chiedere al Governo di fare i passi conseguenti alla mozione che questo Parlamento ha già discusso in passato. Quindi, La ringraziamo per questa visita e ovviamente dalla nostra parte anche il sostegno alla risoluzione delle Nazioni Unite sul ruolo delle donne nella mediazione di pace, che credo sia uno dei progetti che abbiamo sempre supportato, con la presenza insieme alla Farnesina di vari esponenti e di un lavoro per noi molto importante; quindi confermiamo il doppio sostegno alle vostre richieste.
  La mia domanda, sentendo il suo racconto e soprattutto i numeri che parlano di questa atrocità, Lei ha menzionato anche Pag. 7un numero considerevole di donne e bambine che sono tecnicamente scomparse, non sono ancora nelle tracce dell'atrocità né sono ritornate nel Sinjar. Io volevo chiederle chi è oggi, qual è l'entità, l'authority, qual è il soggetto istituzionale che si occupa di censire e di interrogarsi sul destino di queste persone. C'è qualche entità, le Nazioni Unite, che lavora su questo?
  Perché credo che sia ancora un'ingiustizia che si perpetua e ci sono persone che devono tornare a casa, quindi la mia domanda è proprio su questo elemento dal punto di vista dell'attuale situazione. Sapendo che la Siria è ancora un terreno ovviamente ostico per qualsiasi attore istituzionale sovranazionale, che l'Iraq anch'esso vive una stagione non facile; l'Italia credo che adesso sia a capo della coalizione antiterrorismo in Iraq, quindi giocano un ruolo la nostra Ambasciata e il nostro Paese. Però volevo capire chi concretamente, oltre ovviamente al popolo ezida e alle sue forme politiche, chi è che si occupa di rintracciare, di censire, di comprendere il destino di queste migliaia di persone ancora disperse, soprattutto donne e bambine.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Amendola. Ci sono altri colleghi e colleghe che intendono intervenire? La parola al vicepresidente Loperfido, prego.

  EMANUELE LOPERFIDO. Grazie, presidente. Soprattutto grazie anche agli ospiti per la testimonianza e anche per aver riconosciuto nella relazione il peso internazionale dell'Italia, che appunto, grazie al ruolo internazionale, può essere influente anche per il riconoscimento da parte di altre istituzioni.
  Sicuramente le tematiche legate al genocidio per una sorta di accanimento rispetto ad una identità religiosa è un qualcosa che non può essere assolutamente accettato da parte del Governo italiano e del nostro Parlamento, quindi rispetto alla proposta fatta dalla presidente, nel momento in cui analizzeremo a fondo, valuteremo come eventualmente procedere per dare un riconoscimento ad un genocidio che è stato comunque riconosciuto già da diversi Stati e diverse istituzioni.

  PRESIDENTE. Grazie. La parola al deputato Zan, prego.

  ALESSANDRO ZAN. Grazie, presidente. Io, pur non facendo parte di questa Commissione, ci tenevo ad essere presente e a mostrare tutta la mia solidarietà a questo popolo, che ha subìto un genocidio acclarato ormai della comunità internazionale, che però è un genocidio dimenticato, perché se ne parla troppo poco; dunque ringrazio i rappresentanti iracheni del popolo ezida che sono venuti qui a sollecitare un intervento dell'Italia.
  Io penso che siamo tutti d'accordo, con i colleghi deputati, sulla proposta della presidente Boldrini di portare in Aula una risoluzione che appunto sostenga il popolo ezida, confermi questo genocidio e di conseguenza renda grande attenzione anche per migliorare le condizioni di vita di questo popolo, che ancora è sfruttato e subisce delle discriminazioni inaccettabili come minoranza religiosa e come minoranza culturale. Per cui grazie ancora della vostra presenza.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Zan. Abbiamo altri interventi? Se non ne abbiamo, allora anch'io vorrei fare una domanda.
  Intanto vorrei dire che qui si è trattato di un episodio di ferocia, direi sì di genocidio, simili forse ad altri, mi viene in mente Srebrenica, a quello che accadde lì, ma in quel caso fu principalmente a danno di circa 9 mila uomini musulmani; qui siamo invece di fronte a gran parte di donne non musulmane, di una minoranza religiosa, punite, violentate, rese schiave in quanto appartenenti a quella minoranza religiosa e in quanto donne. Quindi, se possibile, un atto di sfregio, di disprezzo ancora più feroce, senza voler fare la graduatoria degli errori – per l'amor del cielo –, ma credo che meriti tutta la nostra attenzione per manifestare vicinanza alle richieste di questo popolo di survivors; siamo tra sopravvissuti a un'idea di cancellare Pag. 8questa minoranza dalla faccia della terra. Poi ci fu una morsa, perché non è stato raccontato, ma tutti dovremmo ricordare come accadde l'assedio alla popolazione ezida, ci furono diverse componenti che lo resero possibile – vigliaccamente – e vennero abbandonati tutti.
  Allora io volevo chiedere ai nostri ospiti: quali sono i Paesi contrari al riconoscimento del genocidio? E se ce ne sono, perché sono contrari, quali sono le motivazioni?
  Voi ci avete detto quali Paesi europei – anche gli Stati Uniti, il Canada e l'Australia – hanno riconosciuto, ma io chiedo quali sono quelli che non vogliono il riconoscimento e perché non lo vogliono.

  FARHAN BIRHIM ALI, Direttore esecutivo YBDO. Per quanto riguarda la prima domanda, relativa a chi sia il responsabile del censimento delle vittime, non solo delle vittime di uccisioni ma anche delle vittime di sequestri: la competenza è dell'Ufficio per le questioni dei sopravvissuti, che raccoglie tutti i dati sulle vittime del genocidio e sui sopravvissuti, e della squadra investigativa di UNITAD, che è stata istituita per documentare i reati commessi contro gli ezidi e contro altre minoranze.
  Per quanto riguarda la domanda su quali siano i Paesi contrari al riconoscimento del genocidio degli ezidi, non possiamo citare un particolare Paese che sia direttamente contrario a tale riconoscimento. Ma tutti quelli che sono vicini alla causa ezida, nella maggior parte dei casi hanno già riconosciuto il genocidio. I Paesi che non l'hanno ancora fatto, forse sono legati a particolari interessi politici o potrebbero essere coinvolti essi stessi, in qualche maniera, nel genocidio. Di solito queste sono le ragioni principali, quindi non siamo in grado di indicare specificamente quali sono i Paesi contrari al riconoscimento, perché non lo sappiamo.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altre domande dichiaro chiusa questa audizione e ringrazio i nostri ospiti. Mi auguro che riusciremo a collaborare insieme, tra tutti i gruppi politici, per poter arrivare a questo giusto riconoscimento. Grazie e buon lavoro.

  La seduta termina alle 15.10.