XIX Legislatura

III Commissione

COMITATO PERMANENTE SULLA POLITICA ESTERA PER L'INDO-PACIFICO

Resoconto stenografico



Seduta pomeridiana n. 4 di Mercoledì 8 novembre 2023

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Formentini Paolo , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA PROIEZIONE DELL'ITALIA E DEI PAESI EUROPEI NELL'INDO-PACIFICO

Audizione di Stefano Pelaggi, ricercatore presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza».
Formentini Paolo , Presidente ... 2 
Pelaggi Stefano , ricercatore presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza» ... 2 
Formentini Paolo , Presidente ... 5 
Calovini Giangiacomo (FDI)  ... 5 
Formentini Paolo , Presidente ... 5 
Onori Federica (M5S)  ... 5 
Formentini Paolo , Presidente ... 6 
Billi Simone (LEGA)  ... 6 
Formentini Paolo , Presidente ... 6 
Pelaggi Stefano , ricercatore presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza» ... 6 
Formentini Paolo , Presidente ... 8

Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
Azione - Italia Viva - Renew Europe: A-IV-RE;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Noi Moderati (Noi con L'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE: NM(N-C-U-I)-M;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
PAOLO FORMENTINI

  La seduta comincia alle 13.50.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la resocontazione stenografica e la trasmissione attraverso la web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Stefano Pelaggi, ricercatore presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza».

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle tematiche relative alla proiezione dell'Italia e dei Paesi europei nell'Indo-Pacifico, l'audizione di Stefano Pelaggi, che svolge l'attività di ricerca presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza».
  Ricordo che la partecipazione da remoto è consentita alle colleghe e ai colleghi secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento.
  Anche a nome dei componenti del Comitato, ringrazio per la disponibilità a prendere parte ai nostri lavori il dottor Pelaggi; il suo contributo alla nostra indagine sarà certamente prezioso, essendo un esperto di Taiwan, di identità e nazionalismo in Asia, di soft power e della proiezione cinese in Occidente.
  Considerati i tempi stretti dell'audizione, Le darei subito la parola affinché svolga l'intervento.

  STEFANO PELAGGI, ricercatore presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza». Grazie mille, presidente, per l'invito ad intervenire di fronte al Comitato sulla politica estera per l'Indo-Pacifico; grazie, onorevoli, per l'attenzione e il tempo dedicato alla mia audizione.
  Sono onorato di presentare la mia prospettiva, da studioso di relazioni internazionali, sull'Indo-Pacifico e spero che la mia testimonianza possa essere utile all'attività del Comitato, e della Commissione più in generale.
  Ho seguito con grande interesse gli ottimi interventi dei miei colleghi nelle settimane precedenti; la relazione odierna tenterà di allargare i temi già egregiamente delineati dagli studiosi che mi hanno preceduto.
  In particolare, nella prima parte mi soffermerò sul significato di Indo-Pacifico e sulla dimensione concettuale e valoriale implicitamente legata alla scelta di questa denominazione.
  Nella seconda parte illustrerò una delle principali sfide della sicurezza tradizionale nella regione dell'Indo-Pacifico, ossia la questione di Taiwan.
  Si tratta di un attore cruciale per gli equilibri dell'Indo-Pacifico, che è stato rappresentato negli ultimi anni esclusivamente all'interno della dicotomia con Pechino o come oggetto della contesa egemonica tra Stati Uniti e Repubblica popolare cinese.
  Cercherò di fornire indicazioni rispetto a una possibile inclusione di Taiwan all'interno della più ampia politica del nostro Paese nell'Indo-Pacifico.
  La decisione di inaugurare un Comitato sulla politica estera per l'Indo-Pacifico segna un importante momento per il posizionamento strategico italiano. Lo straordinario successo dell'economia asiatica negli ultimi venticinque anni e il primato tecnologico degli attori regionali hanno segnatoPag. 3 in maniera determinante gli equilibri geoeconomici globali.
  I mercati asiatici, che ormai rappresentano una quota rilevante dell'export italiano, hanno da decenni destato grandi attenzioni nelle istituzioni, mentre i comparti industriali e commerciali hanno saputo sfruttare in maniera efficace le molte opportunità. Opportunità è stato probabilmente il termine più usato nel passato recente per descrivere le azioni – e talvolta gli obiettivi – del Sistema Paese nella regione, mentre a livello strategico l'approccio di Roma è apparso cauto rispetto alla programmazione di una politica di medio e di lungo termine: anche quando ci sono state delle proiezioni strategiche – e penso, ad esempio, alle operazioni di naval diplomacy recenti – è sembrato sempre che ci fosse una volontà di promuovere il Sistema Paese più che di dare un chiaro indirizzo strategico italiano nella regione.
  Quindi la nascita di un Comitato e la discussione relativa alla possibile pubblicazione di un documento sull'approccio strategico italiano verso la regione costituisce un significativo cambiamento. Ma soprattutto lo è la scelta di nominare questa regione come Indo-Pacifico.
  L'Indo-Pacifico è innanzitutto un concetto operativo, prima ancora che una definizione geografica, quindi la scelta di questa cornice di riferimento implica una prospettiva economica, strategica, politica, ma soprattutto valoriale, di cui qui tutti quanti conosciamo i riferimenti ideali.
  È stato definito come un quadro concettuale che tenta di combinare due quadranti apparentemente distanti, sia geograficamente sia culturalmente, come l'Oceano Indiano e l'Oceano Pacifico.
  Concetti come libertà, rule of law, rispetto della diversità, inclusività e apertura – e qui ho citato il documento programmatico giapponese – sono ricorrenti nei documenti ufficiali dei singoli Paesi. Mentre è di fatto impossibile trovare una definizione chiara dei confini: io non saprei, ad esempio, definire quali Paesi fanno parte dell'Indo-Pacifico, mentre tutti quanti gli analisti che mi hanno preceduto pensano e possono concordare come questi valori siano il vero ago della bussola di questo quadro concettuale che è l'Indo-Pacifico. E – bisogna dirlo – c'è una tendenza ad un'opposizione a quello che è stato definito il revisionismo di Pechino, che è fondante all'interno di questa cornice dell'Indo-Pacifico.
  Concordo con i miei colleghi sull'individuazione dei possibili partner indo-pacifici: Vietnam e Corea del Sud partner quasi naturali viste le comuni caratteristiche geografiche e dei comparti industriali, compatibilità di intenti e sostanziale allineamento sui principali temi di politica internazionale. Fondamentali attori regionali come Indonesia e Filippine, ma anche medie potenze regionali come Malesia e Thailandia potrebbero costituire interlocutori importanti. Il rafforzamento delle relazioni con il Giappone e il vibrante interscambio con Singapore.
  Bisogna tenere a mente anche il necessario mantenimento delle relazioni con la Repubblica popolare cinese, una necessità dovuta ai numerosi ed evidenti fattori: l'innegabile nuovo ruolo di Pechino nello scacchiere internazionale e la salvaguardia degli interessi delle tante aziende italiane nel Paese, fino agli importanti numeri dell'export italiano in Cina.
  La politica estera di Taiwan e le relazioni di Taipei con l'Europa e l'Italia sono l'oggetto dei miei studi da ormai più di un decennio, quindi colgo l'occasione di questa audizione per sottolineare il possibile ruolo di Taiwan nella politica italiana per l'Indo-Pacifico.
  Taiwan è l'unico territorio conteso al mondo che ha piena sovranità all'interno dei propri confini, membro del World Trade Organization e del Forum di cooperazione economica Asia-Pacifico. Ha pieni rapporti diplomatici con solo dodici Paesi più la Santa Sede ed è esclusa da tutte le agenzie delle Nazioni Unite. La stragrande maggioranza della letteratura scientifica indica Taiwan come una media potenza, basandosi su indicatori economici, militari e strategici, tuttavia il peculiare contesto diplomatico presenta delle evidenti anomalie rispetto alla definizione di media potenza.Pag. 4
  Queste informazioni sono ben note ai componenti di questa Commissione, insieme alle rivendicazioni di Pechino sulla sovranità taiwanese e alla rapida escalation delle azioni militari nello stretto di Taiwan, che hanno allarmato il mondo intero nell'estate del 2022, portando molti analisti a definire un conflitto per Taiwan inevitabile. Spesso si parla non più di "se", ma di "quando" rispetto a un conflitto per Taiwan.
  Alcuni partner europei che hanno prodotto documenti strategici sull'Indo-Pacifico hanno concettualizzato la propria posizione su Taiwan. Quindi quando ci si è trovati di fronte alla necessità di definire un piano programmatico per la politica nell'Indo-Pacifico, hanno scelto di inserire Taiwan all'interno di questo piano concettuale, rompendo così il silenzioso e tacito compromesso che regolava le relazioni dei membri dell'Unione europea, ossia – citando un diplomatico di Bruxelles –, report informali, mantenendo al minimo essenziale le dichiarazioni ufficiali, oppure – citando un diplomatico taiwanese –, «no news about Taiwan is good news». Il quadro generale e la crescente competizione tra Pechino e Washington hanno cambiato in maniera radicale questa dinamica.
  Quindi ora, sempre più, l'alleato statunitense e in qualche modo l'intero quadro concettuale dell'Indo-Pacifico spingono verso un inserimento, anche formale, non solo più informale, di Taiwan all'interno di questa griglia concettuale che è appunto l'Indo-Pacifico.
  Nei documenti strategici dedicati all'Indo-Pacifico prodotti da Germania, Unione europea e Regno Unito è dedicato ampio spazio a Taiwan, alla necessità di garantire la stabilità nello Stretto e all'importanza della preservazione dello status quo per il mantenimento degli equilibri globali.
  Il documento strategico tedesco sull'Indo-Pacifico ha sottolineato come Berlino – e qui cito testualmente – «lavora per allentare la tensione attorno a Taiwan, poiché la sicurezza nello Stretto è di cruciale importanza per la pace e la stabilità, sia regionale sia globale. Lo status quo nello Stretto di Taiwan può essere cambiato solo con mezzi pacifici e con il consenso reciproco», aggiungendo che l'escalation militare avrebbe conseguenze anche sugli interessi sia tedeschi sia europei. Un netto cambiamento rispetto all'approccio molto equidistante tenuto da Berlino sino a pochi anni fa.
  La strategia dell'Unione europea sull'Indo-Pacifico cita più volte la necessità di impegnare la Cina nel piano dell'Indo-Pacifico, ma tuttavia sottolinea la sfida alla stabilità regionale posta dal rafforzamento militare della Cina e dalla minaccia dei regimi autoritari.
  Il documento prodotto a Bruxelles sostiene che la necessità di una stabilizzazione delle tensioni nel Mar Cinese meridionale e nello Stretto di Taiwan, che descrive come una sfida importante alla sicurezza e alla prosperità europea. Quindi entrambi gli attori hanno chiaramente delineato come lo status quo di Taiwan sia essenziale per la stabilità europea.
  Questo è un significativo cambiamento, perché per la prima volta un elemento strategico fino ad oggi molto lontano da noi inizia ad essere un elemento per la pace e la stabilità europea.
  Ovviamente, il documento del Regno Unito ha diversi paragrafi che delineano in maniera chiara l'impegno di Londra al mantenimento dello status quo e all'importanza di Taiwan. Non c'era neanche bisogno di citarlo, perché poi pochi mesi dopo quel documento il patto trilaterale tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti ha in qualche modo implementato in maniera diretta queste linee guida messe su carta. Ovviamente, i documenti strategici statunitensi hanno interi capitoli dedicati a Taiwan come baluardo per la sicurezza nell'Asia-Pacifico, ma anche il policy paper giapponese dedica ampio spazio a Taiwan come elemento di sicurezza e stabilità. Un elemento, questo, che ha stupito molti analisti.
  Quindi un eventuale documento strategico sull'Indo-Pacifico dovrà o potrà affrontare la questione; si tratta di un'esigenza di informare gli altri attori di una chiara volontà politica o di una dichiarazione d'intenti, del cosiddetto signaling, ossia mettere a conoscenza l'altro di zone rosse da non valicare e comunicare così la determinazionePag. 5 ad agire in contrasto. Ma soprattutto si tratta di un'esigenza di coalizione, ossia di una condivisione degli elementi valoriali che definiscono l'Indo-Pacifico.
  Taiwan, tuttavia, non è esclusivamente una sfida di sicurezza tradizionale, ma anche un'opportunità di cooperazione informale. Viste le ben note limitazioni che la one-China policy attribuisce alle relazioni internazionali con Taipei, la possibilità di sviluppare iniziative informali, compatibili con le direttrici della strategia dell'Unione europea e anche con quelle nazionali, sono numerose. Opportunità che potrebbero essere sviluppate, ad esempio, dal Global Cooperation Training Framework (GCTF), una piattaforma di cui fanno parte Taiwan, Stati Uniti, Giappone e Australia, nata per promuovere la presenza internazionale di Taiwan sia nell'Indo-Pacifico sia in Europa.
  Lo straordinario successo dell'industria dei semiconduttori taiwanesi potrebbe incoraggiare la cooperazione sistematica, sia a livello universitario sia a livello aziendale, per lo sviluppo di risorse umane specializzate.
  I primati imprenditoriali taiwanesi in realtà sono molteplici e non si fermano alle fonderie di semiconduttori. Il Paese ha un ruolo di hub regionale nella fitta rete di cavi sottomarini e a livello globale ospita i principali data center delle più importanti piattaforme di information technology (IT), due elementi che determinano un'esperienza straordinaria nella sicurezza informatica e nel cablaggio sottomarino; oppure la proiezione, sempre di carattere informale o pragmatico, che il Governo taiwanese ha adottato nei Paesi del Sud Est asiatico potrebbe essere sfruttata dal nostro Paese in una sorta di ruolo di gateway.
  Pensare l'Indo-Pacifico, quindi, significa anche necessariamente ragionare del ruolo di Taiwan all'interno dell'Indo-Pacifico e della nostra percezione rispetto a Taiwan, e dunque concettualizzare la posizione italiana. Una dinamica che necessariamente dovrà tenere a mente l'adesione italiana alla politica dell'unica Cina, ma anche tenendo a mente l'esistenza – e qui cito – «di rapporti pragmatici di collaborazione di carattere economico, commerciale e culturale facilitati dalla presenza di un ufficio di rappresentanza di Taipei a Roma e dal 1994 di una delegazione diplomatica speciale italiana a Taiwan e del contributo a livello parlamentare, attraverso le attività di gruppi di amicizia parlamentari, e del foro italo-taiwanese di cooperazione economica, industriale e finanziaria».
  Quindi le reti per dei rapporti informali ci sono, le possibilità per concettualizzare questa percezione di Taiwan all'interno dell'Indo-Pacifico ci sono.
  Con questo concludo il mio intervento e resto a vostra disposizione per domande.

  PRESIDENTE. Grazie. Ci sono domande e osservazioni? La parola all'onorevole Calovini.

  GIANGIACOMO CALOVINI. Grazie, presidente. Grazie al professore per il suo intervento. Due domande abbastanza veloci.
  La prima è se magari può darci qualche dettaglio in più in merito a quello che stava dicendo adesso, cioè la posizione italiana, visto che comunque c'è anche un interesse nuovo da parte della politica estera sulla situazione dell'Indo-Pacifico.
  La seconda, sempre riguardo a Taiwan: ci sono le elezioni presidenziali – previste per il prossimo gennaio mi pare, comunque abbastanza imminenti –, volevo capire se da queste elezioni, dal suo punto di vista, può nascere qualche scenario oppure se ci si aspetta una continuità con gli ultimi anni.

  PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Onori.

  FEDERICA ONORI. Grazie, presidente. Grazie al professore per il suo intervento. La mia domanda riguarda un possibile infittimento delle relazioni commerciali tra Italia – o più propriamente Unione europea – e Taiwan. Se vede un approfondimento delle relazioni commerciali, specificatamente in ambiti critici come quello dei semiconduttori, che Lei prima ha citato, come un elemento di stabilizzazione della regione anche nelle relazioni internazionali Pag. 6tra Unione europea e Taiwan, o un elemento di rischio, oppure se la risposta dipende anche dal contesto, che però è in evoluzione. Quindi se potesse darci il suo punto di vista su quale strategia a livello commerciale è più o meno rischiosa dal nostro punto di vista.

  PRESIDENTE. Ci sono altre domande? La parola all'onorevole Billi.

  SIMONE BILLI. Anch'io ringrazio il professore per la sua disponibilità oggi.
  Io Le volevo chiedere, secondo la sua esperienza...Taiwan è ormai da tempo, da decine di anni, un leader tecnologico in campo mondiale. Si possono far risalire le cause di questa fortissima innovazione tecnologica nell'isola agli anni Cinquanta, quando la politica taiwanese ha puntato sulla ricerca e lo sviluppo tecnologico; negli anni Sessanta si sono specializzati in elettronica, negli anni Settanta ancora di più, sempre puntando sull'elettronica, e negli anni Ottanta invece la politica taiwanese ha cominciato a diversificare anche in altri settori.
  Io mi chiedo, però, secondo la sua esperienza, considerando anche che Taiwan è un'isola, però è vicina alla Cina e vicino ad altri Paesi dell'Indo-Pacifico che non sono così evoluti, quindi è quasi come una bolla ad altissima tecnologia in un'area geografica dove la tecnologia non è così sviluppata.
  Quindi, a parte le spinte della politica taiwanese, secondo la sua esperienza professionale, si possono rintracciare altri motivi che hanno spinto l'isola e Taiwan a diventare uno dei leader tecnologici a livello mondiale?

  PRESIDENTE. Non vedo altre richieste di domanda. Aggiungo soltanto una richiesta, di fornirci in modo schematico – lo ha già fatto nella relazione – due-tre punti che indichino chiaramente qual è l'interesse italiano a rafforzare la propria presenza a Taiwan a livello diplomatico, commerciale, industriale e qual è l'interesse italiano ad essere presente in ogni modo nell'area, anche partecipando ad esercitazioni militari congiunte, e ribadendo la libertà di navigazione.

  STEFANO PELAGGI, ricercatore presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza». Grazie mille per le domande, inizierei dalla prima, dell'onorevole Calovini.
  A gennaio ci saranno le elezioni presidenziali che sono diventate un elemento importante non solo per la stabilità regionale, ma anche per la stabilità globale. Ricordo brevemente che tra i due principali partiti – anche se c'è un candidato presidenziale che sembra aver rotto questo bipolarismo perfetto che ha contraddistinto la politica taiwanese sino ad ora – diciamo che c'è un partito, un lato che è più vicino, che spinge un po' di più rispetto ad una cooperazione economica maggiore e più intensa con la Cina, facendo presagire anche un possibile avvicinamento di qualche tipo politico, e l'altro che invece resta più fermo su una volontà di mantenere lo status quo e ben separate le due entità.
  Io penso che difficilmente le elezioni porteranno grandi sconvolgimenti; il possibile pericolo potrebbe venire da un Presidente – ed è una possibilità abbastanza concreta – che non abbia la maggioranza nello Yuan legislativo, il sistema unicamerale, quindi un Presidente senza una maggioranza in qualche modo sarebbe un'instabilità politica. Nel passato, già in due diverse occasioni, in casi di questo tipo di instabilità politica i rapporti con Pechino sono andati deteriorandosi, perché in qualche modo la presenza, anche sull'opinione pubblica taiwanese, delle pressioni cinesi è sempre più forte, quindi ovviamente senza una maggioranza politica diventa più difficile. Spesso nel passato la rincorsa è stata in una contrapposizione sempre più decisa con la Cina, ogni qualvolta c'erano dei problemi «interni», quindi andando poi ulteriormente ad esacerbare le relazioni con Pechino.
  Diciamo che i tempi sono anche molto, molto diversi, l'attenzione dell'alleato statunitense nei confronti della stabilità interna sembra molto maggiore, quindi non penso che possiamo delineare dei veri e propri pericoli in questo senso.Pag. 7
  Per quanto riguarda la posizione italiana, come molti altri Paesi europei l'Italia si è tenuta ben distante dalla questione taiwanese: ogni menzione diventava un possibile problema, una politica che non è poi molto dissimile da quella degli altri Paesi insomma. Fino a pochi anni fa praticamente tutti i nostri partner europei hanno adottato questa politica, magari cercando di sviluppare più rapporti informali rispetto a noi.
  Ecco, adesso questa «discesa in campo», questo scontro egemonico, che sembra sempre più visibile, tra Washington e Pechino ha in qualche modo messo Taiwan sempre più al centro di questo scontro. Un ruolo che assolutamente non piace né ai politici né ai taiwanesi stessi, ma ci si sono in qualche modo trovati.
  Quindi le dichiarazioni in questo senso, proprio rispetto a un sistema valoriale democratico e aperto anche dai partner europei, sono sempre più presenti ma lo si fa sempre, in qualche modo, in maniera non estremamente visibile, che è una modalità assolutamente comune ai nostri partner europei.
  Per quanto riguarda la domanda dell'infittimento dei rapporti tra Unione europea e Taiwan, semiconduttori, rischi e stabilizzazione, io penso che la filiera dei semiconduttori abbia in Taiwan un attore fondamentale, ossia a Taiwan si producono un numero tra il 70 e l'85 per cento dei chip di altissima velocità; tuttavia, si tratta di un ruolo che Taiwan non svolge da sola, nel senso che comunque i macchinari per costruire questi semiconduttori arrivano dall'Olanda, i chip vengono disegnati con un software giapponese a Londra e le materie prime vengono per lo più dagli Stati Uniti e dal Giappone, quindi si tratta di una filiera globale. Non penso che Taiwan sia l'unico elemento all'interno di questa filiera; lo straordinario successo del comparto industriale tecnologico taiwanese si è abbeverato della vicinanza con la Cina e adesso in qualche modo si sta confrontando con queste problematiche geopolitiche, questo nuovo confronto, che somiglia sempre di più ad uno scontro. Quindi queste chiamate alle principali industrie dei chip taiwanesi a produrre negli Stati Uniti, a produrre in Europa, di nuovo vanno riferite all'interno di questa scelta valoriale a cui Taiwan non si può sottrarre, essendo in qualche modo chiamata a partecipare.
  Ci sono state molte notizie, sforzi, spinte rispetto alla produzione anche in territorio italiano di aziende di semiconduttori. Io sinceramente la vedo abbastanza complicata, mi sembra che i tempi per entrare nella produzione di semiconduttori siano dei tempi lunghi e lunghissimi, almeno dieci anni, non penso che ci possa essere un significativo ingresso dell'Italia, ma neanche dell'Europa, all'interno della filiera dei semiconduttori. Ci sono, tuttavia, realtà italiane che fanno segnare degli ottimi numeri, proprio a Taiwan, nel comparto dei semiconduttori. Bisogna comunque tentare di mantenere dei contatti continui.
  Rispetto alla domanda successiva, probabilmente possiamo fare un discorso abbastanza organico anche rispetto al perché Taiwan è diventata un leader tecnologico. Non si tratta solo di semiconduttori, si tratta di personal computer negli anni Settanta e Ottanta, si tratta, ad esempio, dei data center negli anni Novanta: più dell'85 per cento dei data center sono a Taiwan e sono costruiti con materiale taiwanese.
  Cinque o sei anni fa, in una straordinaria operazione logistica, gli Stati Uniti hanno richiesto che tutti i data center ritornassero in suolo taiwanese. Questo forse è un qualche cosa di meno conosciuto, però insieme alla straordinaria esperienza nel campo della logistica quello dei data center e del cablaggio sottomarino è un'altra eccellenza di Taiwan, su cui Taiwan potrebbe essere molto utile all'Europa e al nostro Paese.
  Il percorso dei semiconduttori taiwanesi è stato preparato all'inizio degli anni Settanta, ha iniziato a dare i propri frutti a metà degli anni Novanta, quindi parliamo di tempi lunghi o lunghissimi. Una programmazione industriale di lunghissimo termine con sovvenzioni statali, a cui lo stesso Stato ha deciso, dopo un periodo iniziale, di vendere a privati per non formare dei conglomerati simili a quelli sudcoreani, e in qualche modo impedire la competizione interna. Quindi un possibile percorso di Pag. 8emulazione mi sembra abbastanza complicato in questo momento, a Taiwan ma anche in Corea del Sud, in Giappone, in tanti posti della regione; ormai da cinque o dieci anni si guarda al futuro, chi lavora nei semiconduttori dà in qualche modo come finito quel comparto. Tra dieci anni sia la Repubblica popolare cinese sia molti altri attori saranno in grado di produrre chip alla stessa velocità e con la stessa quantità dei taiwanesi e probabilmente non avremo più bisogno di quella velocità di chip.
  Le nuove sfide le conosciamo tutti, sono quelli dell'auto elettrica e dell'intelligenza artificiale, settori in cui Taiwan sta lavorando – insieme a Corea del Sud, Giappone e Cina, ovviamente – ormai da più di dieci anni. Sono Paesi che hanno delle peculiarità socio-economiche, per cui hanno avuto anche una necessità specifica rispetto a un indirizzo su un comparto tecnologico come quello che ha fatto Taiwan, quindi è abbastanza complesso pensare a un processo di emulazione.
  Va ricordato che questi grandi successi non sono casuali e sono sequenziali, quindi abbiamo il grande processo di terziarizzazione delle industrie, personal computer, data center, semiconduttori, nonché auto elettriche e intelligenza artificiale per il prossimo futuro.

  PRESIDENTE. Grazie mille. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.25.