XIX Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere

Resoconto stenografico



Seduta n. 9 di Martedì 7 novembre 2023

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Semenzato Martina , Presidente ... 3 

Audizione di rappresentanti di Amnesty International Italia e di ActionAid Italia:
Semenzato Martina , Presidente ... 3 
Marinari Tina , Responsabile campagna #IoLoChiedo di Amnesty International ... 3 
Loffari Francesca  ... 4 
Semenzato Martina , Presidente ... 5 
Ferrari Sara (PD-IDP)  ... 5 
Semenzato Martina , Presidente ... 5 
Marinari Tina , Responsabile campagna #IoLoChiedo di Amnesty International ... 5 
Semenzato Martina , Presidente ... 6 
Marinari Tina , Responsabile campagna #IoLoChiedo di Amnesty International ... 6 
Semenzato Martina , Presidente ... 6 
Loffari Francesca  ... 6 
Semenzato Martina , Presidente ... 7 
Orfano Isabella , esperta Programmi diritti delle donne ... 7 
Silvestre Rossella , esperta di Politiche di genere e Giustizia economica ... 8 
Semenzato Martina , Presidente ... 10 
Silvestre Rossella , esperta di Politiche di genere e Giustizia economica ... 10 
Orfano Isabella , esperta Programmi diritti delle donne ... 11 
Semenzato Martina , Presidente ... 11 
Orfano Isabella , esperta Programmi diritti delle donne ... 11 
Semenzato Martina , Presidente ... 11

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
MARTINA SEMENZATO

  La seduta comincia alle 13.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di Amnesty International Italia e di ActionAid Italia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento dell'audizione dei rappresentanti di Amnesty International Italia e di ActionAid Italia. Procederemo dapprima ad audire le dottoresse Francesca Loffari, Institutional Affairs Senior Officer, e Tina Marinari, responsabile campagna #IoLoChiedo di Amnesty International Italia, che ringrazio fin da ora per la disponibilità. Poi facciamo le domande e le risposte. A seguire audiremo le dottoresse Rossella Silvestre, esperta di Politiche di genere e Giustizia economica, e Isabella Orfano, esperta Programmi diritti delle donne di ActionAid Italia.
  Do quindi la parola alla dottoressa Francesca Loffari e alla dottoressa Tina Marinari per Amnesty International Italia. Grazie.

  TINA MARINARI, Responsabile campagna #IoLoChiedo di Amnesty International. Grazie. Grazie per questo spazio e per la possibilità di presentare la compagna di Amnesty International e #IoLoChiedo. Tre anni fa Amnesty International ha lanciato una compagna per chiedere l'introduzione del concetto di consenso nel Codice penale italiano ovvero chiedendo di modificare l'articolo 609-bis del nostro Codice dove, descrivendo lo stupro, si fa riferimento all'uso della forza, della coercizione e dell'abuso di autorità.
  Amnesty International chiede, così come gli obblighi internazionali esigono dall'Italia, di modificare il nostro Codice penale, adeguando l'articolo a quanto richiesto dall'articolo 36 della Convenzione di Istanbul. L'articolo 36 della Convenzione di Istanbul fa un chiaro riferimento alla necessità di introdurre all'interno del Codice nazionale un riferimento al consenso fornito ogni volta che si parla di stupro e di violenza sessuale. È una modifica richiesta dal Diritto internazionale, che l'Italia ha l'obbligo di rispettare, che in questi anni già tantissimi Paesi europei hanno fatto. A oggi parliamo di diciassette Paesi europei che hanno già introdotto il concetto di consenso sessuale nella legislatura riferente allo stupro e alla violenza sessuale. E chiediamo, appunto, che anche l'Italia faccia questo passo in avanti.
  Oltre alla modifica legislativa Amnesty International chiede un lavoro culturale, fondamentale, che è quello di sostituire alla cultura dello stupro, che è una cultura deviante nel nostro Paese, la cultura del consenso. Che cosa vuol dire? Vuol dire parlare di consenso sessuale. Capire che quando parliamo di rapporto, di relazioni, di rapporti sessuali tra due persone parliamo di persone che hanno pari dignità, persone che hanno gli stessi diritti, che hanno lo stesso limite fisico, psicologo, che deve essere rispettato e che deve essere preso in considerazione in qualsiasi situazione di relazione con un'altra persona.Pag. 4
  Noi crediamo che sia imprescindibile portare avanti e raggiungere entrambi gli obiettivi perché possiamo avere anche la legge migliore di regolamentazione sullo stupro e sulla violenza sessuale ma se non abbiamo una società civile pronta ad accogliere quella modifica legislativa, se non riusciamo a spazzare via tutti gli stereotipi legati alla violenza sessuale, allo stupro, che incontriamo nella nostra vita quotidiana e che incontriamo anche ripetutamente nelle aule di Tribunale, allora quella cultura dello stupro non potrà mai essere eliminata.
  Il messaggio chiave della nostra campagna è molto semplice, banale, che non dovrebbe neanche essere spiegato, e cioè che il sesso senza consenso è stupro.
  È un messaggio che non dovrebbe richiedere spiegazioni. In realtà quello che abbiamo scoperto in questi tre anni di campagna a livello nazionale, tre anni in cui abbiamo fatto conferenze a livello pubblico, siamo andati nelle scuole per raccontare il concetto di consenso sessuale, ci hanno dimostrato come questo concetto non è così scontato, non fa parte del nostro bagaglio culturale. Tant'è vero che insieme a questa campagna abbiamo lanciato anche un'indagine Ipsos all'interno della società civile italiana, per capire gli stereotipi legati alla cultura: ancora oggi il 39 per cento della società civile italiana crede che una donna che è stata stuprata in qualche modo ha causato lei stessa lo stupro. Questo vuol dire che ancora oggi quella cultura macista di sopraffazione, di violenza, quel considerare la donna come un oggetto, è ancora all'interno della nostra società.
  È per questo che, come Amnesty, camminiamo su due binari: da una parte facciamo pressione sulle istituzioni affinché avvenga la modifica dell'articolo 609-bis del Codice penale inserendo il concetto di consenso sessuale; dall'altra continuiamo a lavorare con la società civile affinché la cultura del consenso sessuale sostituisca finalmente la cultura dello stupro, della violenza contro le donne e della sopraffazione.

  FRANCESCA LOFFARI. Institutional Affairs Senior Officer di Amnesty International. Grazie. Proseguo io agganciandomi a quello detto precedentemente dalla collega Tina. La modifica del Codice penale italiano si configura come un'esigenza ormai inderogabile, in ottemperanza agli obblighi internazionali assunti dall'Italia con la firma e con la ratifica della Convenzione di Istanbul.
  Anche a livello europeo si sta delineando un dibattito politico che va in questa direzione. Infatti a giugno scorso l'Europa ha ratificato anch'essa la Convenzione. Attualmente si sta discutendo di una proposta di direttiva in cui si configura il reato sessuale come un'assenza di consenso. In particolare mi riferisco all'articolo 5 della proposta di direttiva.
  Nonostante il vuoto normativo a livello italiano la giurisprudenza però si sta orientando verso una valorizzazione progressivamente maggiore del concetto del consenso, definendolo come un elemento soggettivo e oggettivo che va a configurare il reato di violenza sessuale.
  In più possiamo fare riferimento a diverse sentenze della Corte di cassazione, sezione terza. Il consenso viene definito come «elemento costitutivo di reato» e ne viene specificato anche l'arco temporale in cui questo debba sussistere ovvero deve esserci consenso prima, durante e dopo l'atto sessuale. Il consenso viene definito, all'interno del quadro di riferimento della Convenzione di Istanbul, come un'espressione volontaria di autonomia personale e può essere revocato in qualsiasi momento.
  A tal proposito, anche la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo già nel 2003 stabiliva per gli Stati membri un obbligo positivo di punire e perseguire qualsiasi atto sessuale in mancanza di consenso. E qui cito testualmente «ivi compresi i casi in cui la vittima non oppone resistenza». Infatti, come diceva prima Tina, la fattispecie di reato attualmente in vigore all'interno del Codice si definisce reato di violenza solo in presenza di minaccia, violenza o prevaricazione. Bene, questo e l'orientamento giurisprudenziale e diverse sentenze della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, vanno in una direzione opposta. In più, ripeto, c'è un obbligo internazionale che ce lo chiede.Pag. 5
  Mi accingo a concludere. Amnesty International monitora il dibattito parlamentare, l'attività di Governo. Con rammarico constatiamo il fatto che non ci sia attualmente un dibattito aperto su questo tema però ricordiamo che è stato depositato in Senato un disegno di legge (atto Senato 90) in cui si propone la modifica del 609-bis nella direzione del dettato della Convenzione di Istanbul. Quindi si inserisce espressamente l'elemento dell'assenza di consenso. A tal proposito ne auspichiamo fortemente la calendarizzazione e quindi l'avvio di un dibattito che sia il più franco possibile.
  Io ringrazio per l'attenzione, restiamo a disposizione per domande o riflessioni. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie mille. Chiedo se ci sono colleghi che vogliono intervenire. Intanto, in attesa di raccogliere qualche domanda dai colleghi, se posso ve ne faccio due io.
  La prima domanda è quali mezzi di comunicazione avete usato per promuovere questa compagna, e quali secondo voi sono stati i più efficaci? Quali sono stati che hanno dato maggiore reattività?
  La seconda domanda travalica il focus nazionale ma riguarda il vostro modi di approcciare un tema fortissimo quale quello dello stupro in contesti di guerra. Queste due domande, perché oggi lo stupro è un'altra guerra contro le donne che rimane impunita.
  Proviamo a sentire la collega Ferrari in videoconferenza. Grazie.

  SARA FERRARI. Grazie. Volevo ringraziare le nostre audite. Volevo fare presente che nell'ultimo passaggio legislativo in aula alla Camera nel mese di ottobre, con la nuova legge che ha modificato alcuni elementi di procedura penale, in particolare riguardo alle misure cautelari, noi del Partito Democratico avevamo previsto un emendamento che inseriva il concetto di consenso di cui oggi avete parlato. Non solo noi, forse anche qualche altra forza politica. Questo tema è stato totalmente espunto dal dibattito, così come è stato espunto quello sulla cultura, la formazione e l'educazione a una nuova cultura dei rapporti, delle relazioni uomo donna, perché la scelta imposta dal Governo è stata quella di rimanere dentro i limiti della sua proposta di legge, che non comprendeva questi temi. Secondo noi, questo è stato un errore perché le cose si tengono tutte all'interno del dibattito sulla violenza e quindi anche lo stesso utilizzo – come è stato detto da altri auditi – delle misure cautelari deve essere fatto da persone che hanno una valutazione culturale della situazione di rischio che sia scevra dai condizionamenti di pregiudizio di cui avete parlato anche voi.
  Detto questo, sicuramente noi riporteremo questo tema all'interno di quel momento che è stato promesso nel dibattito d'aula successivo, nel quale si andranno ad analizzare le proposte di legge proprio sull'educazione sessuale, sull'educazione sentimentale e sull'educazione alle relazioni nelle nostre scuole. In qualche modo quello sarà un tema che faremo ritornare necessariamente.
  Rispetto a quel tema, tuttavia, c'è un'obiezione che viene spesso sollevata, ossia come rilevare questo consenso e, soprattutto, si osserva che questo stravolgerebbe in maniera ampia l'impianto perché spetterebbe all'uomo dimostrare che il consenso c'era e non, come oggi, alla donna dimostrare che non c'era. Allora vi chiedo come ci aiutereste a rispondere a queste frasi un po' banalizzanti, a queste obiezioni, che hanno un fine preciso ma che fanno abbastanza presa per mettere i bastoni tra le ruote, impedendoci di inserire il consenso nella nostra legislazione nazionale? Grazie.

  PRESIDENTE. Se vogliamo approcciarci alle risposte. Prego.

  TINA MARINARI, Responsabile campagna #IoLoChiedo di Amnesty International. Grazie, comincio dalle prime due domande. In questi tre anni abbiamo prodotto materiale informativo di vario tipo, sia on-line che off-line, che abbiamo lasciato nelle scuole e in tutti gli incontri pubblici. È materiale in cui si spiega che cos'è il consensoPag. 6 sessuale. Perché c'è stata questa necessità? Perché lanciando la campagna in Italia ci siamo accorti che il concetto di consenso era sempre associato alla condivisione dei dati personali ma non c'era una vera e propria cultura del consenso sessuale. Da qui la necessità di spiegare che cos'è il consenso, come si chiede e soprattutto come si risponde a una domanda di questo tipo. Chiarire che non bisogna sentirsi obbligate, obbligate a fare nulla se non siamo favorevoli.
  Abbiamo collaborato con libere sinergie per portare in giro per l'Italia la mostra «Com'eri vestita?», perché uno dei grandi stereotipi contro i quali lottiamo è che se una donna ha un vestito aderente, ha una gonna corta, quello non è un invito ad avere un rapporto sessuale. Quindi spiegare che lo stupro è sempre un'azione di violenza di una persona contro un'altra persona, è un atto di sopraffazione che non ha assolutamente niente di sessuale, è un atto di dominio di una persona su un'altra persona.
  Abbiamo prodotto delle guide per le scuole, sia per le elementari che per le superiori perché, ribadisco, il concetto di consenso non è solo esclusivamente legato al rapporto sessuale, è necessario innanzitutto far capire che le donne, che tutte le persone hanno pari dignità, pari diritti, hanno un perimetro fisico e psicologico che va rispettato sempre, in qualsiasi momento.
  Rispetto, invece, agli stupri di guerra è una violazione, è un crimine di guerra che noi monitoriamo nei nostri rapporti. Qui posso ricordare sicuramente un ultimo rapporto che abbiamo fatto su questo tema per il conflitto del Tigray, dove abbiamo riportato testimonianze agghiaccianti, in cui si dimostra come lo stupro sia ancora di più in una situazione di guerra uno strumento di dominio su una popolazione, in particolare sulle donne.

  PRESIDENTE. L'onorevole Ascari, impossibilitata a collegarsi da remoto, mi prega, anzitutto, di complimentarmi con voi per la campagna portata avanti per attualizzare l'articolo 609-bis alla luce della Convenzione di Istanbul. Alla luce dei loro suggerimenti sono stati presentati emendamenti improntati al consenso. Come pensate di rendere sistemico e continuativo l'insegnamento dell'educazione affettiva e sessuale nelle scuole?

  TINA MARINARI, Responsabile campagna #IoLoChiedo di Amnesty International. È assolutamente utile, anche perché va a inserirsi in quel principio che è la prevenzione della violenza contro le donne, che è uno dei principi base della Convenzione di Istanbul.
  Non dobbiamo sempre e solo pensare a che cosa fare dopo la violenza, dopo lo stupro, ma dobbiamo impegnare risorse, leggi e volontà politiche nel prevenire che la violenza avvenga, e che venga registrata. Per questo per noi è fondamentale, appunto, investire sulla cultura dello stupro e quindi sull'educazione a tutti i livelli.

  PRESIDENTE. Scusate, anche l'onorevole Ferrari ha un problema di connessione e mi chiede di integrare la sua domanda: quale legge e di quale Stato europeo ritenete possa essere il miglior esempio a cui ispirarsi per l'Italia?

  FRANCESCA LOFFARI. Institutional Affairs Senior Officer di Amnesty International. Allora, andando con ordine, in merito alla domanda posta dall'onorevole Ferrari, che ringraziamo, se si parla della modifica al Codice penale sì, se si ribalta l'onere della prova la presunzione di innocenza resta. Questa ovviamente è una pietra miliare del diritto.
  In realtà, a oggi i reati di violenza sessuale sono molto difficili da cogliere, proprio perché la prova principale ruota intorno alla testimonianza della persona offesa. Talvolta sia la minaccia che la violenza fisica non lasciano tracce. Eppure noi legittimiamo l'Autorità giudiziaria e la riteniamo in grado di poter appurare la verità. Lo stesso dovrebbe accadere con il consenso. Un'analisi puntuale, caso per caso, delle circostanze all'interno delle quali si è svolta la vicenda, dovrebbe portare l'Autorità giudiziaria ad appurare il fatto. Se non sussistono prove sufficienti sussiste la presunzione di innocenza. Quindi l'imputato, Pag. 7fino a prova contraria, è innocente e non può risultare colpevole. Pertanto il dubbio è legittimo, perché il concetto di consenso può risultare astratto, però la stessa convenzione di Istanbul ne dà una definizione, a maglie ampie, ma questo per evitare di cristallizzare delle forme che poi andrebbero a vincolare l'operato dell'Autorità giudiziaria. Abbiamo seguito anche noi la presentazione degli emendamenti al PdL su violenza di genere e domestica recentemente approvato alla Camera, uno degli emendamenti presentati ricalcava la definizione data dalla Convenzione di Istanbul. Quindi questo potrebbe offrire un quadro di riferimento consono, senza evitare cristallizzazioni eccessive che potrebbero risultare lesive in fin dei conti.
  Come diceva Tina, sono diciassette i Paesi che hanno modificato il proprio quadro legislativo, uno degli ultimi è la Spagna, quindi un Paese considerato molto simile all'Italia. Non per quanto riguarda nello specifico la fattispecie di reato, perché ci sono delle varianti, però quello potrebbe essere considerato un buon modello. Ma anche la Svezia, ad esempio. Lì il Consiglio Nazionale di Prevenzione del Crimine ha effettuato una disamina sull'impatto della modifica legislativa avvenuta nel 2018 ed effettivamente ha rilevato un aumento significativo dei processi, a fronte di un aumento delle denunce, che si va a collocare in un trend di più lungo corso legato al Movimento Me Too. Quindi la nuova fattispecie di reato, che si basa sulla volontarietà dell'atto sessuale, ha permesso di coprire un numero maggiore di casi. E questo effettivamente è un esempio lodevole di legislazione ad oggi riuscita. Grazie.

  PRESIDENTE. Non so se ci sono altri interventi, altrimenti ringraziamo le dottoresse intervenute. Vi chiedo cortesemente se potete fare avere a questa Commissione il materiale prodotto nelle scuole, le guide di cui parlavate prima. Il materiale può essere utile ad approfondire il nostro percorso di sensibilizzazione, che così poi lo mettiamo a disposizione della Commissione. Quello che ritenete utile che questa Commissione analizzi per poi magari ritrovarci e approfondire. Grazie.
  Do ora la parola alle rappresentanti di ActionAid Italia. Grazie. Prego dottoressa.

  ISABELLA ORFANO, esperta Programmi diritti delle donne. Buon pomeriggio. Grazie mille per l'invito e per questa opportunità di condividere con voi una serie di considerazioni e soprattutto di proposte rispetto alla materia di cui oggi qui trattiamo.
  ActionAid si occupa di violenza contro le donne da moltissimi anni e, principalmente, è impegnata nella rimozione delle cause strutturali della violenza contro le bambine, le ragazze e le donne, favorendo non solo il loro accesso a percorsi di empowerment ma anche elaborando proposte politiche per garantire l'avanzamento dei loro diritti. È proprio di questo che oggi vorremmo parlarvi, a partire dal fatto che da anni noi monitoriamo le politiche antiviolenza pubbliche, producendo un report che esce più o meno in questo periodo. Infatti il report 2023 uscirà proprio nei prossimi giorni.
  Vorremmo, quindi, proporvi una serie di considerazioni sulla base dello studio che abbiamo realizzato nel 2022 che ha interessato in particolare le politiche per supportare le donne nel loro percorso verso l'indipendenza socio-economica. È chiaro che l'autonomia economica svolge un ruolo fondamentale nel percorso di fuoriuscita dalla violenza, perché la sicurezza finanziaria incide sia sulla scelta della donna di lasciare l'autore di violenza, sia quella di uscire anche da una casa di accoglienza, perché significa avere la possibilità di terminare il percorso iniziato e quindi ha un duplice impatto positivo. Permette di allontanarsi, appunto, dalla situazione di violenza e di prevenire eventuali recidive, così come contribuisce a liberare più velocemente la disponibilità di posti nelle case rifugio. Questo significa anche consentire a un numero maggiore di donne di essere accolte.
  Se parliamo di numeri secondo l'ISTAT le donne che hanno detto di aver subìto violenza economica, accolte dai centri antiviolenza, sono circa il 37,8 per cento. In realtà questa percentuale si alza di molto se le donne non sono autonome economicamente e stiamo parlando di circa il 60,5 Pag. 8per cento delle donne che sono accolte nei centri antiviolenza. Tra l'altro questa percentuale aumenta nel caso di donne che hanno un'età più bassa. Tra le donne che hanno tra i diciotto e i ventinove anni, per esempio, questa percentuale si alza quasi al 70 per cento. La percentuale si alza anche nel caso di donne straniere.
  Quindi quali sono le politiche necessarie per supportare le donne in questo loro percorso di empowerment socio-economico? Disporre di un reddito sufficiente, di un alloggio sicuro, un lavoro dignitoso, servizi pubblici ben funzionanti: questi sono i presupposti essenziali per consentire alle donne non solo di abbandonare situazioni di violenza ma anche di accelerare il loro processo di empowerment e, come dicevo, diventare economicamente autonome e quindi esercitare il pieno controllo delle loro vite e delle loro scelte. Ed è per questa ragione che quelli che ho citato poc'anzi devono essere gli elementi costitutivi nella politica pubblica per supportare le donne nel loro percorso verso l'indipendenza economica.
  È vero che questi diritti sono già contemplati nelle norme italiane, sono contemplati nelle convenzioni anch'esse citate poc'anzi. Nella realtà dei fatti però le donne non riescono appieno ad accedere a questi diritti sociali ed economici.
  Mi concentro brevemente, per esempio, sulla questione di supporto al reddito. Per garantire una sicurezza economica nel breve e medio periodo le donne spesso fanno ricorso a delle misure nazionali e regionali di contrasto alla povertà o di supporto alle famiglie in difficoltà. In realtà anche in questo caso incontrano diversi limiti, spesso di carattere normativo, e quindi hanno difficoltà ad accedere anche a questo contributo.
  Noi accogliamo con grande soddisfazione il fatto che nel ddl bilancio 2024 è prevista la strutturalità del reddito di libertà – che è stato introdotto, ci ricordiamo, nel 2020, in piena epoca pandemica – a decorrere dal gennaio 2024. Questo è molto importante perché noi riteniamo – lo abbiamo scritto nel report l'anno scorso e lo abbiamo ricordato in molte occasioni – che sia uno strumento funzionale fondamentale per supportare le donne nell'immediato. Tuttavia pensiamo anche che presenta alcune aree di miglioramento che vogliamo sottoporvi. Ci concentriamo su due. Pensiamo che sia necessario rendere flessibile la durata di questo contributo. Attualmente è erogabile per massimo dodici mesi mentre dovrebbe essere prorogabile per almeno altri dodici mesi o comunque per un periodo di tempo che è da stabilire con il centro antiviolenza che è responsabile della presa in carico della donna, perché in questo modo si possono tenere in conto i bisogni specifici delle singole donne. Inoltre riteniamo fondamentale aumentare l'importo mensile almeno a 600 euro, perché l'importo mensile attuale non è sufficiente. Pensiamo anche che sia fondamentale introdurre eventuali correttivi a questa cifra, magari anche grazie al contributo finanziario di ciascuna regione, perché questo può permettere di tenere conto delle variazioni del potere di acquisto delle diverse aree geografiche. In questo modo si possono offrire a tutte le donne le stesse opportunità indipendentemente dal luogo in cui vivono.
  Poi noi abbiamo anche analizzato il supporto all'occupazione, raccogliendo una serie di evidenze ed elaborando una serie di proposte, che ora la mia collega Rossella Silvestre condividerà.

  ROSSELLA SILVESTRE, esperta di Politiche di genere e Giustizia economica. Grazie. Io passerei brevemente a illustrare alcune delle proposte per migliorare le politiche per promuovere il reinserimento lavorativo delle donne che hanno subìto violenza, nonché per preservare l'occupazione per le lavoratrici. Ricordando che il lavoro, l'occupazione è lo strumento che può garantire il reddito nel tempo, quindi quella stabilità e quell'indipendenza economica sostenibile nel lungo periodo.
  Per quanto riguarda l'inserimento lavorativo e il reinserimento lavorativo lo Stato italiano, il Governo, negli ultimi dieci anni ha finanziato soprattutto interventi frammentari – ad esempio in borse lavoro, corsi di formazione, tirocini – utilizzando i fondi che sono stanziati per l'attuazione del piano antiviolenza e trasferendoli alle Regioni. Il Pag. 9problema è che le Regioni hanno comunque la possibilità di programmare queste risorse in base alla propria programmazione. Quindi sono autonome nella scelta di utilizzare questi fondi per finanziare interventi per l'inserimento lavorativo oppure per la prevenzione o per altre attività. Questo comporta che ogni donna, a seconda del territorio in cui vive, si trova ad avere opportunità diverse. Proprio per questo motivo è innanzitutto necessario che ci sia una norma a livello nazionale, all'interno per esempio della legge n. 119 del 2013, che preveda un finanziamento strutturale per la realizzazione di questa tipologia di interventi.
  Poi se parliamo di borse lavoro o tirocini è importante che questi tirocini o queste borse lavoro conducano a un inserimento effettivo della donna all'interno del mondo del lavoro. Questo come si fa? Questo si fa se a livello territoriale viene realizzata una mappatura del fabbisogno del tessuto produttivo, se vi sono accordi e un effettivo dialogo con le imprese locali. È necessario programmare borse lavoro o corsi di formazione che tengano conto dei desiderata delle donne ma anche dei bisogni delle aziende, delle imprese, delle cooperative che sono sul territorio.
  Un altro strumento che è stato utilizzato per favorire il reinserimento lavorativo sono gli incentivi per promuovere l'assunzione delle donne che hanno subìto violenza introdotti per la prima volta nel 2017, però riservati solo alle cooperative sociali. Quindi il primo problema di questo strumento è che sono rivolti a una platea molto limitata. Innanzitutto andrebbe ampliata la platea includendo imprese o comunque altri soggetti, datrici o datori di lavoro. In secondo luogo è necessario garantire che all'interno delle aziende vi sia formazione. Una formazione obbligatoria di tutto il personale, compreso ovviamente il management. Come fare questo? Noi nella scorsa legislatura avevamo proposto di includere questa formazione obbligatoria tra i criteri per ottenere la certificazione di parità. Purtroppo questa proposta non è stata accolta. Questo però potrebbe essere un modo per intervenire sulla normativa.
  Passo agli strumenti per favorire il mantenimento del lavoro. Ne abbiamo due nella nostra normativa attuale: il congedo indennizzato per le vittime di violenza e il ricollocamento per le dipendenti pubbliche.
  Per quanto riguarda il congedo permette ad oggi alle donne che hanno subìto violenza di astenersi per novanta giorni. Questo congedo andrebbe esteso da tre mesi a sei mesi. È una proposta contenuta anche nel piano antiviolenza. Perché? L'Istat ci dice che una donna trascorre un tempo medio all'interno dei servizi di accoglienza di centotrentasette giorni, quindi già oltre i novanta giorni. Poi pensiamo che un percorso di fuoriuscita dalla violenza può durare anche due o tre anni, è ovvio che è necessario estendere il congedo. C'è un altro problema riguardante il congedo, è la previsione di spesa. Annualmente vengono stanziati 12 milioni di euro per coprire questo strumento, tuttavia le domande che riescono a essere soddisfatte sono circa il 35 per cento delle presentate. Nel 2022 su circa 1600 domande presentate ne sono state accolte solo 500. Quindi è necessario aumentare la previsione di spesa. A tal proposito in questi giorni abbiamo condiviso un brief per emendare la legge di bilancio al fine di aumentare la previsione di spesa, ma anche estendere il congedo.
  Vado avanti con la seconda misura, che riguarda la ricollocazione delle dipendenti pubbliche. Questa permette alla dipendente pubblica di chiedere un trasferimento in altra sede. Il problema di questo strumento è che non vi è un monitoraggio, non vi sono dati sull'efficacia di questo strumento. Sarebbe necessario avere dati sull'efficacia di tale strumento perché si potrebbe pensare a una sperimentazione anche nel mondo del lavoro privato, quindi non solo all'interno del mondo pubblico. Questa potrebbe essere un'altra opportunità.
  In generale, le politiche attive e passive del lavoro dovrebbero comunque tener conto di tutti gli ostacoli che le donne incontrano nell'accesso al lavoro, quindi anche ostacoli quali i carichi di cura. A questo proposito, per quanto riguarda le donne che hanno subìto violenza, si potrebbe pensare di introdurrePag. 10 dei criteri prioritari nell'accesso agli asilo nido o ai servizi per l'infanzia e anche per quanto riguarda la mobilità geografica. Noi abbiamo una rete del trasporto pubblico precaria. Soprattutto se pensiamo alle province o al sud Italia. Anche raggiungere un posto di lavoro che è a dieci chilometri di distanza dal proprio domicilio può essere un ostacolo all'accesso al lavoro. Quindi è importante intervenire anche sulle politiche per la mobilità, tenendo conto dei bisogni delle donne.
  Brevemente, gli interventi per garantire l'indipendenza economica alle donne devono essere composti da politiche di supporto al reddito, di supporto all'occupazione ma anche di supporto all'abitare. Le donne che hanno subìto violenza hanno quattro volte in più la probabilità di vivere situazioni di disagio abitativo, cioè non riuscire a pagare l'affitto, non riuscire a pagare le rate di un mutuo, traslochi frequenti. Per questo motivo anche sulle politiche dell'abitare bisogna intervenire. Lo Stato, il Governo negli ultimi dieci anni è sempre intervenuto con finanziamenti una tantum ma ci sono una serie di interventi normativi che si potrebbero fare.
  Ad esempio, riprendo una proposta che è stata presentata molte volte, che è quella di introdurre criteri prioritari nell'accesso all'edilizia residenziale pubblica. In alcune regioni già esiste questa possibilità di accedere con criteri di priorità, in altre no. Anche qui c'è bisogno che a livello nazionale ci sia un'indicazione di omogeneizzare le opportunità, per fare in modo che ogni donna, al di là di dove vive, possa avere accesso alle stesse opportunità. A livello nazionale un'altra proposta potrebbe essere l'approvazione di domande per la sospensione di ordinanze di sfratto o, ancora, l'inserimento di donne in fuoriuscita dalla violenza nella platea beneficiaria di fondi per l'emissione di garanzie in caso di inadempimenti riguardanti il pagamento dell'affitto. Ci sono una serie di normative a livello nazionale che potrebbero essere modificate e potrebbero essere introdotte delle specifiche proprio per le donne che hanno subìto violenza.
  Tutte le proposte sono comunque contenute nel rapporto che lasceremo, che è «Diritti in bilico». Ci sono proposte sia riguardanti il supporto al reddito, sia il supporto all'occupazione, sia il supporto all'abitare. Concludo qui.

  PRESIDENTE. Chiedo ai colleghi e alle colleghe se c'è qualche domanda, altrimenti le faccio io.
  Voi sapete che il tema particolarmente sensibile della nostra Commissione è quello della violenza economica, dell'indipendenza economica e del lavoro per le donne. Quindi ho ascoltato con interesse il vostro percorso e anche le vostre sollecitazioni; non vi nego che su alcune si sta lavorando. Volevo chiedervi, in base alla vostra esperienza, quante donne vittima di violenza riescono a rientrare nel mondo del lavoro? Una percentuale a grandi linee. È un tema che magari possiamo approfondire. In quali settori riescono a rientrare? E poi quali sono i canali più importanti per lavorare sul reinserimento delle donne nel mondo del lavoro?

  ROSSELLA SILVESTRE, esperta di Politiche di genere e Giustizia economica. Non abbiamo dati sul successo del percorso di reinserimento. Anzi dovrebbe esserci una raccolta dati. Il grande problema è proprio che, in questo percorso di reinserimento lavorativo, le donne che hanno subìto violenza sono invisibili. Sono invisibili alle politiche attive del lavoro. Pensiamo al Piano GOL finanziato dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Il Piano GOL è dedicato comunque a delle persone in stato di temporanea vulnerabilità. Le donne in fuoriuscita dalla violenza non sono state considerate all'interno di quel piano. Poteva essere un'opportunità per accompagnarle verso il reinserimento lavorativo.
  Non abbiamo quindi neanche il dato riguardante quali sono i settori in cui maggiormente vengono reinserite.
  Questo tema mi riporta a evidenziarne un altro, che è quello della mancata formazione dei centri per l'impiego, che continuano a offrire alle donne opportunità formative e lavorative stereotipate. E quindi Pag. 11ritorniamo al problema che l'offerta formativa e lavorativa non risponde al fabbisogno del mercato del lavoro e se non risponde al fabbisogno del mercato del lavoro non è possibile pensare di riuscire a trovare un'occupazione che sia stabile nel tempo.

  ISABELLA ORFANO, esperta Programmi diritti delle donne. Aggiungo solamente che queste domande che lei pone, questi dati che al momento non sono disponibili, in realtà sono molto importanti per orientare le politiche, non solo antiviolenza ma anche le politiche di cui abbiamo parlato finora. Forse sarebbe importante richiedere all'Istat che, come sappiamo, ha il compito di fare statistiche, di raccogliere periodicamente tutte le informazioni e fare un'indagine proprio sulla violenza, anche attraverso questa legge del 2022. Finalmente ci siamo dotati di questa legge in Italia, finalmente non avremo delle ricerche una tantum ma periodiche. Quindi all'interno di quel set di dati che sono stati ideati potrebbe essere richiesto di avere un focus specifico per quanto riguarda l'inserimento nel mondo del lavoro ma anche del ricollocamento.

  PRESIDENTE. Non vi nego che abbiamo deliberato in questa Commissione di dare avvio proprio a un'indagine conoscitiva sul tema della violenza economica.
  Invito le colleghe, se hanno qualche domanda, altrimenti termino con una mia domanda. Oggi sentiamo molto di educazione affettiva e sentimentale nelle scuole; chiedo a voi quanto importante sarebbe approcciare i giovani e le giovani a un'educazione economico-finanziaria fin dalla giovanissima età. Sappiamo che moltissime donne vittime di violenza non hanno neanche la percezione di potere avere un conto corrente autonomo, oppure l'economia della spesa, di quanto spendo, quanto mi rimane. Insomma anche delle cose molto umane, perché, ad esempio, i parrucchieri ci dicono che le donne fanno la cresta sulla spesa per poter poi andare dal parrucchiere. Insomma delle dinamiche molto particolari. Quindi vi chiedo quanto anche il tema dell'economia, della formazione economico-finanziaria fin da piccoli può essere un tema da esplorare.

  ISABELLA ORFANO, esperta Programmi diritti delle donne. Sicuramente riteniamo che sia un tema fondamentale perché ha a che fare proprio con l'empowerment delle persone e in primis in questo caso delle bambine, delle ragazze e delle donne. Questo tema ci riconduce a quello macro generale che è stato anche citato prima dalle colleghe di Amnesty, dell'educazione contro gli stereotipi, perché tutto parte sostanzialmente da lì, perché fin da bambine non ci viene insegnato ad occuparci anche di questa parte fondamentale della vita, che man mano che cresciamo poi dobbiamo comunque affrontare. Al punto tale che proprio non si riesce a volte neanche a fare dei meri calcoli, perché non veniamo abituate a confrontarci con i numeri, con la matematica e così via. Questo tema degli stereotipi è assolutamente fondamentale.
  Noi abbiamo realizzato due ricerche proprio di recente che sono uscite una prima dell'estate e una subito dopo l'estate, con dei campioni di giovani. Una ricerca con Ipsos sugli adolescenti, quindi stiamo parlando della fascia 14/19, e poi un'altra che ha indagato più la violenza di genere on-line con un campione di giovani con un'età un po' più alta. In entrambi i casi tutti i campioni hanno sottolineato l'importanza di combattere gli stereotipi di genere, perché è proprio da questa realtà che poi derivano tutte le forme di violenza cui sono sottoposte. Soprattutto hanno sottolineato l'importanza di combattere tutte queste forme di violenza che nascono da un set valoriale che affonda le proprie radici nel patriarcato, che non è un termine antico perché fa parte della nostra società quotidiana, delle nostre azioni quotidiane. Come donne, come ragazze, come bambine ci troviamo a doverci confrontare con le conseguenze di questo modo di intendere il mondo.

  PRESIDENTE. Grazie mille. Se non ci sono altri interventi ringrazio le rappresentanti di ActionAid e di Amnesty International.Pag. 12 Vi ringrazio per queste sollecitazioni. Anche nel vostro caso, cortesemente, attendiamo il materiale in modo da metterlo a disposizione delle commissarie e dei commissari. Dichiaro conclusa l'audizione. Grazie mille.

  La seduta termina alle 14.25.