XIX Legislatura

VII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 14 di Martedì 7 novembre 2023

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Mollicone Federico , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'IMPATTO DELLA DIGITALIZZAZIONE E DELL'INNOVAZIONE TECNOLOGICA SUI SETTORI DI COMPETENZA DELLA VII COMMISSIONE

Audizione di Roberto Sergio, amministratore delegato della RAI e Giampaolo Rossi, direttore generale della RAI, e di Carlo Bartoli, presidente dell'Ordine dei giornalisti.
Mollicone Federico , Presidente ... 3 
Sergio Roberto , amministratore delegato della RAI ... 3 
Mollicone Federico , Presidente ... 5 
Rossi Giampaolo , direttore generale della RAI ... 5 
Mollicone Federico , Presidente ... 8 
Amorese Alessandro (FDI)  ... 8 
Dalla Chiesa Rita (FI-PPE)  ... 8 
Mollicone Federico , Presidente ... 8 
Sergio Roberto , amministratore delegato della RAI ... 9 
Rossi Giampaolo , direttore generale della RAI ... 10 
Mollicone Federico , Presidente ... 13 
Bartoli Carlo , presidente dell'Ordine dei giornalisti ... 13 
Mollicone Federico , Presidente ... 15 
Amorese Alessandro (FDI)  ... 15 
Mollicone Federico , Presidente ... 15 
Bartoli Carlo , presidente dell'Ordine dei giornalisti ... 16 
Mollicone Federico , Presidente ... 17 
Bartoli Carlo , presidente dell'Ordine dei giornalisti ... 17 
Mollicone Federico , Presidente ... 17 

ALLEGATO: Documentazione consegnata dal Presidente dell'Ordine dei giornalisti ... 18

Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
Azione - Italia Viva - Renew Europe: A-IV-RE;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Noi Moderati (Noi con L'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE: NM(N-C-U-I)-M;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
FEDERICO MOLLICONE

  La seduta comincia alle 13.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna è garantita, oltre che con la redazione del resoconto stenografico, anche attraverso la trasmissione in diretta sul canale web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Roberto Sergio, amministratore delegato della RAI e Giampaolo Rossi, direttore generale della RAI, e di Carlo Bartoli, presidente dell'Ordine dei giornalisti.

  PRESIDENTE. La VII Commissione Cultura prosegue l'audizione nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'impatto della digitalizzazione e dell'innovazione tecnologica sui settori di competenza della VII Commissione. Iniziamo con l'audizione di Roberto Sergio, amministratore delegato della RAI, e Giampaolo Rossi, direttore generale della RAI. Ringraziandoli per avere accolto l'invito della Commissione, cedo immediatamente la parola al dottor Sergio per la sua relazione introduttiva. Prego.

  ROBERTO SERGIO, amministratore delegato della RAI. Grazie. Onorevole presidente, onorevoli commissari, è ancora oggi più evidente che il futuro della RAI in campo editoriale ed informativo non possa essere disegnato senza l'apporto delle tecnologie digitali, garantendo e interpretando sempre al meglio la missione e il ruolo di servizio pubblico.
  Il contesto di mercato nel quale operiamo impone oggi scelte importanti, connesse proprio ai temi sottostanti l'oggetto dell'indagine conoscitiva che state conducendo e che seguiamo con grande interesse.
  Come ben noto a questa Commissione stiamo assistendo a una sempre più netta ibridazione delle abitudini di consumo degli utenti, con una parte significativa della popolazione, in particolare gli under 35, che sta progressivamente trasformando le proprie modalità di fruizione, in un mercato in rapida evoluzione sempre più articolato e interconnesso, dove all'utente è offerta la possibilità di disegnare la propria dieta mediatica scegliendo tra molteplici offerte di contenuti sempre più personalizzate.
  Dal punto di vista dell'evoluzione delle piattaforme si affacciano nuove forme di interazione grazie ai dispositivi digitali sempre più numerosi e connessi. Le connessioni wireless più performanti, e sempre il 5G, abilitano una fruizione dei contenuti sicuramente più veloce. Tecnologie, quali la realtà virtuale e la realtà aumentata, aprono la strada a esperienze di fruizione progressivamente più immersive e realistiche. La tv lineare sta scoprendo la potenzialità della digitalizzazione grazie, ad esempio, all'HbbT.
  La rilevanza sul mercato di un fornitore di servizi media è e sarà sempre più legata alla capacità di proporre contenuti appropriati per ogni specifico utente, e all'efficacia di strategie di promozione personalizzate e cross-platform.
  La trasformazione digitale, oltre l'offerta, espande il suo perimetro di intervento apprestandosi a modificare, in modo profondo, anche il modo di lavorare grazie alle opportunità offerte dai dati e dalle nuove modalità produttive. Ad esempio il Pag. 4modello che abbiamo adottato, che ho adottato quando ero direttore di Radio RAI. Il dato assume un ruolo centrale nella competitività delle aziende media, perché facilita la comprensione degli utenti in termini di preferenze, consente di conoscere i desiderata sulla base dei consumi, supporta processi decisionali in ambito editoriale e aziendale fondati su variabili misurabili e misurate.
  Inoltre, la tendenza del mercato si sta sempre più orientando verso un esteso ricorso a processi produttivi cross-mediali e multipiattaforma, dove testo, immagini, audio, video, grafica, sono trattati come elementi digitali autonomi, così da poter essere riorganizzati, riutilizzati e personalizzati per creare diverse versioni di un contenuto, in base alle preferenze dell'utente o a esigenze specifiche.
  Su queste basi poggia il percorso di trasformazione digitale intrapreso dalla RAI. Un percorso di lungo periodo che passa attraverso vari stadi di maturazione, di cui il primo si concluderà una volta che sarà completato il passaggio a media company multipiattaforma.
  È inutile dire che uno degli esempi più straordinari di questa ipotesi, che diventerà a brevissimo realtà, è proprio quell'operazione di Fiorello che stiamo facendo in queste ore. Cioè un programma che viene spalmato su tutte le reti tradizionali, le reti digitali, le piattaforme RaiPlay, RaiPlay Sound, le radio.
  Posso dare un dato, Radio Tutta Italiana, che è una radio che è sul digitale, quindi sulla piattaforma RaiPlay Sound, ieri ha fatto il più 187 per cento grazie proprio alla presenza in diretta del programma di Rosario Fiorello.
  Quindi successivamente all'orizzonte che travalicherà quello del piano industriale 2024/2026, RAI affronterà con ancora più ambizione la trasformazione in una media company digital first, dove sarà fondamentale la pena integrazione tra processi editoriali e produttivi con un unico workflow tra contenuto e distribuzione.
  La RAI, come dicevo, ha già un'anima digitale. Il prodotto è già digitale sia dal punto di vista dei processi produttivi, sia da quello dei processi trasmissivi. Sono sempre più cross-mediali i canali di diffusione. Sono e lo saranno sempre di più digitali le teche.
  Abbiamo avviato un progetto, che è stato presentato in uno degli ultimi consigli di amministrazione, quello di recupero e digitalizzazione, in questo hub che andiamo a realizzare nella sede di Torino, di tutto il materiale di archivio e di pellicola. E progressivamente lo diventeranno anche di più i processi operativo-gestionali.
  Per quanto, invece, riguarda l'intelligenza artificiale, la consapevolezza della sua importanza e della correlata pervasività è tale che lo stesso contratto di servizio 2023-2028, il cui iter di approvazione è ormai giunto alla fase finale la menziona, in particolare l'articolo rubricato digital media company. Quindi dove viene disegnata proprio la fisionomia che la RAI verrà ad assumere nel prossimo quinquennio; sia laddove apre al suo impiego al fine di favorire una migliore valorizzazione del patrimonio di contenuti e una migliore fruibilità delle piattaforme; sia laddove ne incoraggia, per l'assolvimento del mandato pubblico, l'applicazione e l'utilizzo allo scopo di promuovere i propri contenuti, potenziare l'accessibilità e contrastare la disinformazione. Linee di indirizzo chiare sulla base della comprensione che possiamo avere oggi senza esposizione e inutili rischi dello stato dell'arte.
  La futura applicazione dell'intelligenza artificiale, che allo stato RAI è impegnata ad attuare, attiene all'ambito dei contenuti di intrattenimento di RaiPlay, per l'arricchimento dell'esperienza di fruizione, a quello dei contenuti entertainment di RaiPlay Sound per la personalizzazione dei servizi, e da ultimo all'ambito editoriale.
  Sin dal lancio di RaiPlay, RAI ha avviato un processo di posizionamento strategico rispetto ai suoi competitors più affermati, rafforzato dal presidio del comparto radiofonico e dall'emergente fenomeno dei podcast, grazie al lancio di RaiPlay Sound e dalla traslazione della vasta offerta informativa nella veste grafica rinnovata di RAI News.Pag. 5
  Dopo una prima fase del percorso di approdo al mondo TT, un secondo passo nella strategia di competizione richiede un aumento intensivo del traffico sulle proprie piattaforme, ovvero un incremento del tempo speso all'interno dei servizi RAI. Tale obiettivo richiede l'impiego di avanzate tecnologie di profilazione e recommendation, ed è raggiungibile in primo luogo attraverso la strutturazione di un business intelligence centralizzata, e deve inoltre essere accompagnata da una accurata mappatura del materiale a disposizione degli archivi attraverso una metadazione ampliata rispetto a quella classica editoriale. Ampliamento per il quale è irrinunciabile l'adozione di sistemi automatizzati basati appunto su tecnologie di intelligenza artificiale.
  Attraverso una serie di interventi, che includeranno la trascrizione del parlato, l'identificazione di entità nominali di interesse e il riconoscimento di luoghi, sarà possibile migliorare la ricercabilità dei contenuti, aumentare l'esposizione dei contenuti, e supportare la creazione dei cluster editoriali con finalità di raccomandazione evoluta.
  In questo contesto, fondato sugli atti, è però di fondamentale importanza e distintività per un'azienda di servizio pubblico come la RAI mantenere il controllo degli algoritmi che definiscono la proposta dei contenuti, non solo per preservare l'indipendenza e l'imparzialità editoriali, ma anche per essere all'altezza della fiducia riposta dal pubblico.
  L'impiego delle tecnologie di intelligenza artificiale in ambito creativo-editoriale porta indubbiamente notevoli vantaggi, ma espone anche a potenziali rischi che non sono insiti nella natura di tali tecnologie, bensì legati all'utilizzo che ne viene fatto. Un utilizzo consapevole implica un'attenta scelta dei contesti di applicazione, limitandosi a quegli ambiti in cui eventuali errori, o falsi positivi o negativi, non possono causare danni alle persone o creare una qualunque tipo di discriminazione.
  Per sfruttare appieno i vantaggi dell'intelligenza artificiale, riducendo al contempo i suddetti rischi, prevediamo, almeno per il breve periodo, di circoscriverne l'uso a un supporto in ambito creativo e decisionale anziché impiegandola in processi completamenti automatizzati e non presidiati.
  Ho già citato RaiPlay, ma penso che sia utile aggiungere, nell'ottica di affrontare il tema nella prospettiva del nostro impegno verso la sensibilizzazione della vasta platea del servizio pubblico, che nella sezione e-learning pubblichiamo, tra i tanti argomenti trattati, lezioni dedicate alla robotica, all'intelligenza artificiale, alle fake news, ma anche all'arte digitale, alle nuove tecnologie e ai molteplici modi creativi in cui possono essere utilizzate. Anche sui canali lineari, sia giornalistici che specializzati, dedichiamo anche spazio alle intelligenze artificiali, come ad esempio una delle ultime puntate di Presa Diretta.
  Siamo ovviamente estremamente attenti e attivi in relazione al dibattito innescato dalla rapidissima diffusione delle intelligenze artificiali, in particolare quelle di tipo generativo, convinti che l'innovazione debba essere responsabile e funzionale a creare un ambiente affidabile, che non faccia venir meno la fiducia dei nostri utenti. Rimaniamo quindi aperti, senza pregiudizi, a valutarne attentamente tutti i futuri sviluppi.
  Chiudo, se mi permettete, con una notazione pragmatica. L'innovazione comporta ovviamente rilevanti impegni in competenze sostanziali e nuovi talenti, richiede infrastrutture di nuova concezione ed esige uno spettro sempre più ampio di contenuti di qualità, perché è quello che ci viene richiesto da ogni utente. Il riconoscimento condiviso di questa condizione è irrinunciabile, e lo è altrettanto l'adozione di misure conseguenti. Grazie.

  PRESIDENTE. Passo ora la parola al dottor Giampaolo Rossi, direttore generale della RAI, per lo svolgimento del suo intervento.

  GIAMPAOLO ROSSI, direttore generale della RAI. Grazie presidente. Grazie agli onorevoli membri di questa Commissione. Il tema di cui parliamo oggi è cruciale Pag. 6nell'epoca presente in cui il futuro va definendosi giorno dopo giorno all'insegna della cosiddetta transizione digitale.
  La RAI è coinvolta in prima linea, ed essendo la sua missione finalizzata alla crescita culturale del Paese, questa non può e non deve distinguere dal contesto tecnologico e mediale di riferimento.
  Il lavoro nella dimensione digitale è consuetudine, e infatti nei processi produttivi e trasmissivi RAI offre un prodotto già digitalizzato, canali di diffusione cross-mediali e teche digitali. Il servizio pubblico detiene la memoria storica delle immagini della nostra Nazione, e accoglie su di sé l'onere e l'onore di conservare e diffondere l'immenso patrimonio audiovisivo raccolto negli archivi delle teche, che sono delle vere e proprie miniere di materiali trasmessi e spesso mai sfruttati.
  RAI detiene in pellicola – lo accennava prima l'amministratore delegato – circa un milione di bobine, l'obiettivo primario è proprio quello di preservarle rispetto all'usura del tempo e salvarle da un progressivo deterioramento chimico dei supporti, non tanto e non proprio musealizzandole, ma rendendole vive e fruibili per gli utenti, anche attraverso una successiva valorizzazione editoriale. Cosa che sarà fatta anche nei più recenti palinsesti.
  Per questo nel triennio 2023-2025 l'azienda sosterrà forti investimenti in impianti tecnici, personale specializzato e sviluppo di nuove tecnologie, secondo una massiva operazione aziendale che vede coinvolta una vasta serie di attori, e che prevede di far diventare Torino – lo accennava prima l'amministratore delegato – una vera e propria cittadella della digitalizzazione; quindi un centro di divulgazione e conservazione del materiale digitalizzato a livello nazionale.
  Non vi sarà mai un futuro della RAI sganciato dalla spinta digitale cross-mediale, sia per quanto concerne i nuovi linguaggi e formati che per quanto riguarda l'informazione, per esempio, la quale implica, nella sua dimensione deontologica, anche il contrasto alle cosiddette fake news, che nell'epoca della digitalizzazione sono uno dei problemi verso il quale il servizio pubblico si articola in modo particolare.
  Proseguendo sulla via delle innovazioni intendiamo rafforzare la missione culturale di RAI nel mondo digitale consolidando sempre più un passaggio chiave, ormai già da tempo in atto, e definito anche nel nuovo contratto di servizio in via di approvazione, ovvero l'evoluzione da broadcaster tradizionale a digital media company. Questo al fine di affrontare la progressiva obsolescenza dei players tradizionali, e di assecondare la volontà di mantenersi soggetto attivo nell'organizzazione delle nuove semantiche narrative, con un'offerta editoriale, commerciale e cross-mediale, capace di raggiungere ogni pubblico, in ogni luogo e in ogni momento, senza più limitarsi alla sola distribuzione lineare. In questo la RAI è tra i broadcaster pubblici in Europa uno dei più avanzati nel processo di definizione dei contenuti cross-mediali. Il futuro del servizio futuro passa da qui.
  In tale contesto sarà allora sempre più ineludibile l'impiego dell'intelligenza artificiale. Probabilmente sì, ma seppure nella piena consapevolezza dell'indubbia opportunità che essa apre occorre ovviamente riflettere anche sulle regole da porre a tutela dell'uomo, nonché sulle criticità emergenti legate alla privacy, alla trasformazione del mercato del lavoro, e al rischio di una progressiva riduzione di scelte e controllo. Derive da cui la RAI, in virtù della sua vocazione primaria, dovrà ben guardarsi.
  Il vero pericolo dell'intelligenza artificiale non è ovviamente la sua malvagità, ma la sua competenza, presagiva un profetico Hawking. E per questo deve rimane ad appannaggio della sensibilità umana, valorizzando e non dissolvendo la centralità dell'intelligenza naturale per un progetto innovativo che sia a beneficio degli utenti, e nel caso specifico faccia risaltare il ruolo positivo di RAI nella realtà mediale governata.
  Vorrei poi evidenziare alla Commissione cultura come RAI accolga su di sé anche una missione che è fortemente pluralista. Da un lato la narrazione dell'identità nazionale e la promozione dei nostri valori Pag. 7culturali e sociali. E dall'altro il coinvolgimento in quanto motore e centro dell'industria audiovisiva. RAI cinema, per esempio, ha investito complessivamente 240 milioni di euro nell'ultimo triennio, e ha coinvolto circa trecentotrenta registi e quasi duecento partner produttivi. Nell'anno in corso, ad esempio, la RAI ha stanziato 185 milioni di euro nella produzione di fiction televisiva. Nel 2020 erano 190 milioni, 160 milioni nel 2021. Ed è il player più importante nella tenuta dell'intera industria dell'audiovisivo italiano.
  In altre parole, senza la RAI l'intera filiera dell'industria creativa italiana verrebbe meno, perché nessun partner privato, player privato, italiano o globale, riesce ad investire la quantità di risorse che la RAI, per sua ammissione, investe nell'industria dell'audiovisivo italiano. Questo è un valore che è fondamentale per la funzione del servizio pubblico, ma di gran lunga inferiore a quello che avviene in altri Paesi europei.
  Tanto per fare un esempio, i circa 185 milioni di euro che abbiamo investito nella produzione di fiction televisiva fanno da contrappeso a soggetti come BBC, che investono circa 376 milioni di sterline, o France Télévisions 300 milioni di euro, o la tedesca ZDF che investe 400 milioni di euro. Cifre molto più importanti di quelle che è in grado di investire la RAI.
  La fiction della RAI è anche un motore di crescita e valorizzazione per le varie professioni, nonché attori di successo anche nei mercati internazionali. Il servizio pubblico rappresenta, inoltre, anche un riferimento vitale per la documentaristica, che costituisce a livello globale un genere strategico per le reti lineari, e non solo per le reti lineari, offrendo ai cittadini relazioni organiche e autorevoli che suggeriscono valide coordinate culturali e valoriali.
  Nel 2023 RAI Documentari è riuscita ad incrementare la propria produzione con ben sessantotto titoli, sia singoli che seriali, coinvolgendo ben cinquantasette società di produzione con cui ha collaborato, e un budget complessivo di oltre 6 milioni e mezzo di euro.
  È chiaro che queste risorse, che sono alla base della funzione del servizio pubblico, sono strettamente legate alla disponibilità delle risorse della RAI, e sono il cardine attorno al quale la RAI tiene in vita l'intera filiera industriale dell'audiovisivo. E quindi la RAI è il punto di equilibrio di un'industria che è cresciuta, ma è molto più complessa rispetto al passato, restando protagonista assoluta del sistema produttivo da cui nascono tutte le economie di sfruttamento della filiera, e che tra le criticità registra anche un notevole incremento dei costi, a partire proprio dal 2020, come anche una scarsità di tecnici e maestranze. Un problema questo che potrebbe divenire una vera e propria emergenza per quel settore.
  L'intervento di RAI nel settore audiovisivo non ha però ricadute solo in termini industriali, ma anche culturali e identitari. Cinema e fiction sono infatti le forme d'arte che meglio sanno restituirci l'immagine della realtà in cui viviamo e le trasformazioni della società contemporanea. Raccontare la memoria storica, l'identità nazionale, veicolando significati profondi e suscitando riflessioni e dibattiti attraverso il cinema, la fiction, ma anche la documentaristica.
  La RAI ha raccontato all'Italia, e lo ha fatto diversificando i linguaggi, sviluppando una forte eterogenea rivolta alle varie tipologie di pubblico. Non dimentichiamo che il servizio pubblico è un'immagine dell'Italia nel mondo e racconta ciò che noi siamo a noi stessi, ma anche agli altri.
  Per questo nel nuovo contratto di servizio in corso di approvazione è stato inserito anche un passaggio specifico dedicato al made in Italy, come anche al patrimonio naturalistico, alla cultura dell'impresa, del lavoro italiano e di quello istituzionale, prerogative proprie della nostra Nazione.
  Nel 1970 il linguista Giacomo Devoto affermò: «Fra trent'anni l'Italia sarà non come l'avranno fatta i governi, ma come l'avrà fatta la televisione».
  Qualsiasi riflessione o valutazione sul finanziamento pubblico della RAI dovrebbe basarsi sul concepire il servizio pubblico non come un gravame inutile, ma come un Pag. 8fondamentale pilastro per la creazione di un patrimonio comune di valori e contenuti. Investire nella RAI con risorse stabili e certe non significa difendere semplicemente la RAI in quanto tale, ma anche rafforzare l'intera industria culturale italiana e credere nella cultura della nostra Nazione.
  È per questo che in questi giorni noi ci stiamo fortemente interrogando su come riorganizzare ovviamente gli assetti produttivi a vantaggio dell'industria dell'audiovisivo con le nuove dinamiche di mercato che si stanno profilando. Proprio ieri abbiamo fatto un incontro con ANICA, con i rappresentanti e i vertici dell'associazione dei produttori, per cercare di condividere insieme gli aspetti più strettamente legati alla valorizzazione dell'industria culturale.
  I traguardi citati e le ricadute sia economiche che culturali sono stati finora possibile attingendo a risorse pubbliche, che sono comunque nettamente inferiori a quelle degli altri Paesi europei, che sono comunque forti produttori, come Francia, Germania e Regno Unito. E comunque attraverso innegabili doti di creatività, innovazione, professionalità e bellezza, che da sempre caratterizzano il nostro DNA. Siamo non a caso la nazionale che ha vinto più Oscar per il miglior film straniero, ed è cruciale che continuiamo ad avere le risorse adeguate per proseguire questa narrazione pluralista e questo racconto dell'Italia, che è il punto di partenza attraverso cui noi rappresentiamo il valore dell'industria culturale italiana nel mondo.

  PRESIDENTE. Grazie. Chiedo se vi siano deputati che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni. Prego.

  ALESSANDRO AMORESE. Io ho una domanda per ciascuno. Intanto ringrazio entrambi per le relazioni, che mi sembrano interessanti ed entrambi avete raccontato la realtà della RAI che spesso sfugge. A volte diamo per scontato alcune cose, e non lo sono. A volte anche spiegare a tutti cos'è e cosa fa questa azienda è essenziale e dobbiamo ricordarcelo.
  Io chiederei al dottor Sergio una considerazione. Spesso assistiamo a dei lamenti, diciamo così, di alcuni conduttori su eventuali cali di ascolti del servizio pubblico. La domanda è: è veramente così? Una sua considerazione su un un ritornello che ultimamente stiamo ascoltando, o leggendo, a seconda dei mass media.
  E, invece, a Giampaolo Rossi chiederei un commento su uno dei fatti del giorno, diciamo di ieri e l'altro ieri, ma insomma i quotidiani sono ancora pieni di questo argomento, e se ne parla molto, sull'«auto-abbandono», l'abbandono da parte di Corrado Augias dopo sessantatré anni di lavoro, di servizio, per un'emittente privata. Vorrei un commento perché ho letto dichiarazioni anche contro il Governo, insomma dichiarazioni forti, e quindi sarebbe importante avere un vostro commento.

  RITA DALLA CHIESA. Io vorrei porre solo una domanda. L'intelligenza artificiale, a prescindere da quello che ha chiesto l'onorevole Amorese, che è chiaro che vorremmo sapere tutti, però è una questione che mi inquieta. A me inquieta un po' l'intelligenza artificiale soprattutto nel contesto della RAI, perché la RAI ha un patrimonio, come dicevate prima, di teche, di filmati, che sono una cosa meravigliosa. È un patrimonio che credo in Europa sia il più grande che ci possa essere.
  Però avete anche la manodopera, però avete anche le risorse umane. Con l'intelligenza artificiale questa risorsa umana vi siete chiesti dove andrà a finire, per esempio? Vi siete chiesti se in qualche modo verrà diminuito il lavoro di queste persone per dare spazio all'intelligenza artificiale? Oppure potrete continuare a mantenerle? Perché i filmati e i video sono meravigliosi, ma dietro c'è sempre il montatore, c'è quello che taglia, c'è quello che manda in onda. C'è un mondo dietro che la gente non conosce, ma che è magico da un certo punto di vista, e nessuna intelligenza artificiale lo può togliere. Questa è la mia domanda.

  PRESIDENTE. Grazie. Aggiungerei una considerazione generale rispetto ai vostri interventi, che devo dire sono stati molto Pag. 9puntuali rispetto a quello che è lo sviluppo della transizione digitale rispetto alla cross-medialità del prodotto RAI. Abbiamo ascoltato anche le considerazioni sullo sviluppo di RaiPlay e della cross-medialità in tutti i contenuti.
  Vorrei porre due quesiti in particolare rispetto a quanto è stato detto dal direttore generale Rossi.
  Sul versante della produzione audiovisiva cosa si prevede da parte della RAI, appunto essendo una sorgente di narrazione e di capofiliera della produzione italiana tra pubblico e privato dell'audiovisivo, cosa si prevede per le prossime annualità come prospettive di sviluppo.
  E più in generale – anche rivolgendomi al dottor Sergio – preannuncio che è mia intenzione presentare una proposta di legge di riforma della legge sull'editoria e del Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione che, come sappiamo, indirettamente, o direttamente, storicamente riguarda proprio la RAI.
  Nel caso sia possibile, ovviamente la proposta di legge verrà condivisa con le forze parlamentari della maggioranza e coinvolgerà tutto il Parlamento, ovviamente confrontandosi anche con il sottosegretario Barachini, con cui ho già parlato, che è il titolare della delega per l'informazione e l'editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri.
  Sarebbe importante avviare una riforma storica di un contesto come quello editoriale, che riguarda appunto anche il Fondo per il pluralismo, e che ad oggi è incardinato nel bilancio della RAI. Impropriamente incardinato, ricordo che è un retaggio dei governi passati. Nell'ipotesi appunto che questo Fondo possa essere, invece, reso indipendente mediante una modifica dei criteri di assegnazione di tali risorse. Ritengo che la riforma non sia più rinviabile, e vorrei su questo un giudizio da parte dei rappresentanti dell'azienda.

  ROBERTO SERGIO, amministratore delegato della RAI. Io comincerei dalla domanda sui cali di ascolto. Intanto credo che sia utile ricordare che l'attuale governance si insedia il 15 di maggio scorso, prendendosi carico sostanzialmente di nove mesi di mandato, dopo i due anni dei predecessori. Questo ha comportato, da un lato, che ci siamo trovati un'azienda sostanzialmente ferma, con un indebitamento finanziario netto cresciuto in maniera esponenziale negli ultimi due anni. E con una necessità di mettere in campo dei palinsesti, quelli che sono in corso, che dovevano essere presentati nell'arco di venti giorni, un mese.
  È di tutta evidenza che non è stato possibile fare analisi di marketing, non è stato possibile fare puntate pilota per verificare il prodotto. Abbiamo fatto una scommessa su alcuni prodotti, perché non potevamo fare diversamente. Ma mi sentirei di dire che se ogni settimana la RAI ha nelle sue reti centodieci programmi, noi in questo momento stiamo parlando di cinque programmi, magari sperimentali, che abbiamo messo in campo con le motivazioni che ho detto. In particolare su Radio 2 e su Radio 3. Ma anche necessitati dal fatto che non per nostra volontà una serie di personaggi che erano in campo fino al maggio, giugno dell'anno scorso, hanno deciso spontaneamente (per motivi professionali, per motivi personali, per motivi di qualunque genere) di andare verso altri lidi.
  Quindi mi sentirei di dire che se andiamo a verificare la coerenza degli ascolti sulle reti generaliste, quindi RAI Uno, RAI Due e RAI Tre sono, sostanzialmente in linea con il passato e vincono regolarmente gli ascolti rispetto a tutti i competitors ogni settimana, ogni mese. E lo sarà anche sull'anno.
  Poi noi abbiamo una valutazione fatta da alcuni istituti che mettono insieme l'intera offerta generalista e digitale di RAI verso il competitor principale. Ma quella è una partita che si gioca in maniera non corretta. Nel senso che noi abbiamo tredici canali, loro ne hanno sedici. Loro acquistano canali aggiungendo share, noi abbiamo quattro di questi canali che sono di puro servizio pubblico e quindi non consentono di avere dei numeri importanti, ma sono certamente dei numeri legati al contratto di servizio. Quindi noi non possiamo che pensare che i parametri debbano essere omogenei. Reti generaliste versus reti Pag. 10generaliste. News versus news. E poi sugli specializzati è un discorso a parte.
  Su questo mi sentirei di dire che a parte alcuni programmi che necessitano sicuramente di essere rivisti, ripensati, o magari non confermati per il futuro, ma sostanzialmente questo racconto, questa narrazione degli ascolti della RAI che vanno male, francamente è molto alimentato da giornali, testate, blog, anche magari in qualche misura aiutati da fonti interne che vogliono in qualche modo creare situazioni di disagio, ma assolutamente non mi sentirei di dire che noi non andiamo come avremmo dovuto. Non a caso le scommesse che abbiamo fatto, come quella di Fiorello, dimostra, invece, un successo straordinario. Tutti i grandi programmi del primetime di RAI Uno, ma anche del daytime, comunque dell'intera giornata vanno molto bene. Non voglio giudicare ovviamente i competitors, ma mi sembra che altri abbiano anche grossi problemi. Quindi, voglio dire, diventerebbe un ragionamento che ci porta fuori dal perimetro. Abbiamo da rivedere delle cose, ma non siamo insoddisfatti di quello che stiamo facendo in questo periodo, con la premessa che ho fatto: quindici giorni di tempo per fare un palinsesto.
  Per quanto riguarda la riconversione del personale e la questione dell'intelligenza artificiale, io francamente non vedo questo problema. Noi abbiamo una presenza di personale con un'età molto avanzata, quindi sono previste molte uscite durante l'anno, e in alcuni casi anche con delle incentivazioni che sono possibili dove la pubblicità, e quindi il risultato conseguito dell'azienda, è favorevole, come sarà nell'anno 2023. Nell'anno 2023 probabilmente noi potremo fare delle politiche di incentivazione che consentiranno ad alcuni di andare in pensione e rimettere in gioco le persone che rimangono attraverso la formazione e attraverso l'utilizzo delle stesse per tutto quel progetto di digitalizzazione che abbiamo messo in campo.
  Quindi noi non è che non abbiamo bisogno delle risorse. Se arriva l'intelligenza artificiale e va ad occupare degli spazi, le persone che sono in azienda comunque riconvertite da formazione saranno utilizzate in aree dove oggi non abbiamo la copertura totale, proprio a causa dei prepensionamenti o dei pensionamenti naturali.
  Quindi io al momento – e comunque saremo molto cauti nell'utilizzo dell'intelligenza artificiale come ho detto nel mio intervento – sinceramente non vedo questo problema, almeno per il prossimo triennio, che è il tempo del piano industriale che noi ci accingiamo, presumibilmente, a varare per la fine dell'anno.
  Sul tema del Fondo per il pluralismo – io ho parlato spesso con il senatore Barachini, con il quale abbiamo un ottimo rapporto e stiamo dialogando – certo questo è un tema, cioè immaginare che i cittadini paghino nel 2024, se sarà confermato, 70 euro di canone, ce ne arrivino solo 58 perché una parte di questi, cioè i 12 rimanenti, vengono assegnati al Fondo dell'editoria, e francamente anche i cittadini che non lo sanno non capiscono, lo pagano per la RAI e contestano che venga pagato per la RAI, ma va a finire ad altri soggetti. Anche questo è un ibrido che probabilmente dovrebbe essere migliorato. Poi esiste anche un ulteriore forma di tassazione. Per cui alla fine di questi 12 euro noi non prendiamo nulla. E questo significa per noi avere risorse non sufficienti, non per la gestione ordinaria dell'azienda, ma per quegli investimenti necessari che porteranno in un piano triennale ad avere dei risparmi importanti in termini di costi, e soprattutto una riduzione significativa dell'indebitamento finanziario netto. Quindi per noi quella è la linfa vitale che ci consente di fare un piano industriale di sviluppo e non un piano industriale di ristrutturazione. Se noi dovessimo dovere andare verso un piano di ristrutturazione questo sarebbe un grave danno per il Paese, per l'azienda, per il servizio pubblico e per l'informazione verso i cittadini.

  GIAMPAOLO ROSSI, direttore generale della RAI. Presidente, grazie innanzitutto della possibilità di rispondere alle domande. Vorrei però tornare anche sulla questione anche degli ascolti, perché credo che sia importante, al netto delle specifiche che ha fatto l'amministratore delegato, provarePag. 11 a fare un quadro attorno a un dibattito che è avvenuto in queste settimane su alcuni giornali di alcuni gruppi editoriali, che è un dibattito surreale. Ma surreale sul serio.
  Faccio questo esempio. Qualche giorno fa c'era un quotidiano che ha titolato in tutta pagina un lungo articolo sul flop degli ascolti della RAI. Lo stesso giorno in cui usciva questo articolo su questo quotidiano un settimanale molto importante, L'Espresso, dedicava quattro pagine al «Caporetto degli ascolti di Mediaset». Quindi c'è qualcosa che ingenera un meccanismo di schizofrenia. Cioè il flop degli ascolti della RAI e la caporetto degli ascolti di Mediaset.
  Perché è un dibattito surreale? Perché è evidente che è un dibattito strumentale. Cioè ha una forte connotazione ideologica. Il punto della riflessione qual è? Come sta cambiando la televisione generalista e come sta cambiando la fruizione lineare.
  Noi assistiamo innanzitutto a un fenomeno molto chiaro, la diminuzione della platea televisiva, cioè le persone guardano meno la televisione, e questo incide necessariamente anche sul calcolo dello share dell'auditel. Su cui poi molto spesso si basano questi articoli. Perché? Perché chiaramente lo share in realtà non sono dati assoluti, sono stime di ascolti che man mano la visione televisiva diminuisce chiaramente ha più fatica ad essere agganciato alla veridicità del dato.
  Poi c'è uno spostamento oggettivo di pubblico su una fruizione che non è più lineare. Le persone guardano di meno la televisione di palinsesti, che è una televisione di abitudine fondamentalmente, e si spostano sulle piattaforme. Quindi noi assistiamo a un fenomeno in cui il mercato televisivo oggi è molto più frammentato rispetto a dieci anni fa, perché ci sono comunque soggetti nuovi che molti anni fa non c'erano. Faccio l'esempio di Discovery o La7, hanno un peso specifico diverso rispetto a quanto ne avevano dieci anni fa o quindici anni fa, o anche qualche anno fa in alcuni casi.
  Ci sono le piattaforme dei grandi players globali che ovviamente intervengono nella disintermediazione della fruizione televisiva. E poi c'è un pezzo di pubblico che i contenuti generalisti non li guarda più in maniera lineare, ma li guarda on-demand, cioè li guarda direttamente sulle piattaforme. E questi dati non vengono in realtà quantificati.
  Una fiction della RAI si può guardare alle ore 21.40 quel determinato giorno mettendosi davanti alla televisione, oppure (per esempio come fanno i miei figli) il sabato, magari tre puntate tutte insieme direttamente sulla piattaforma di RaiPlay. Qual è la differenza? È che il pubblico che guarda la fiction ovviamente sulla piattaforma di RaiPlay non viene conteggiato nello share. È un pubblico a sé stante che quindi incide in uno spostamento, che soprattutto i grandi broadcaster generalisti hanno, di fruizione del contenuto televisivo da lineare alla piattaforma.
  Quindi quello che è in atto, in realtà, è un processo di grande cambiamento della televisione generalista e dei modelli di fruizione, su cui è interessante fare un'osservazione, perché chiaramente questo modifica tanti aspetti, anche il modo in cui vanno raccontati i prodotti televisivi, il modo in cui vanno realizzati, perché chiaramente i modelli di fruizione cambiano anche il modello di ricevimento di un messaggio televisivo e di un prodotto.
  È forse questo, secondo me, è il dibattito più interessante che andrebbe aperto. Non so come spiegarlo, è come se io dovessi mettere insieme dati non omogenei per definire il crollo delle vendite dei quotidiani, della carta stampata. È chiaro che io posso incolpare il singolo direttore, o il singolo articolista di quel giornale, ma in realtà fa parte di un cambiamento complessivo del modo di fruizione dell'informazione.
  Altro dato molto importante è che molto spesso – come diceva prima l'amministratore delegato – questi dati non vengono conteggiati in maniera omogenea. È il caso, per esempio, delle reti specializzate, i broadcaster commerciali, che sono ovviamente reti che non sono paragonabili alle reti RAI. Un po' perché sono di meno, un po' perché in questi anni, per esempio il broadcaster commerciale ha fatto un grande Pag. 12investimento sul library dei film, e quindi ha investito su canali specializzati che sono fortemente verticali, commerciali, dedicati ai film. La RAI ha dei canali specializzati che sono di servizio pubblico. Non è paragonabile, tanto per fare un esempio, TopCrime di Mediaset con RAI Scuola, che ovviamente è una piattaforma di servizio pubblico, e che inevitabilmente non può fare il risultato di TopCrime. È un po' come mettere sullo stesso piano le vendite della Settimana Enigmistica e quelle di Repubblica, non è proprio lo stesso meccanismo.
  Quindi andrebbe fatta una distinzione tra dati che sono comunque dei dati omogenei il più possibile. Questo per quello che riguarda il tema della fruizione.
  La domanda sulla polemica che in questi giorni c'è stata per il fatto di Corrado Augias. È una polemica. Francamente dispiace molto che Corrado Augias abbia deciso di spostarsi su La7, mantenendo però attualmente un contratto con la RAI, perché continua a fare un format con la RAI. Devo dire che questo fa parte un po' delle considerazioni che ha svolto anche prima l'amministratore delegato. Diciamo che nella storia della RAI ci sono stati molti addii storici. Pippo Baudo nel 1987 mi sembra decise di diventare direttore artistico di Canale 5 lasciando la RAI. Fu un caso eclatante. Andando a raggiungere un altro grande volto storico della RAI, che era Mike Bongiorno.
  Ci sono stati altri casi e diciamo che la RAI ce l'ha sempre fatta. Quindi io sono convinto che se se ne è andato Pippo Baudo, che è veramente un pezzo della storia della televisione italiana, per poi tornare in RAI, la RAI sopravvivrà anche all'addio di Corrado Augias immagino. Dispiace perché più che altro questa scelta, che è una scelta del tutto libera, del tutto legittima, rientra ovviamente in scelte che non sono state condivise con l'azienda, ma che sono legittime nella persona che decide di farle, siano state accompagnate da delle polemiche ideologiche che lasciano un po' il tempo che trovano.
  Le persone, i talenti, gli artisti che hanno deciso di andarsene in questi mesi in realtà se ne sono andati tutti per libera scelta, per le ragioni più svariate. Magari ragioni economiche, che però non si possono dire, e quindi si nascondono dietro battaglie di libertà, ma magari sono legittime ragioni economiche. Oppure per scelte professionali o di vita.
  Però la RAI in un mercato televisivo attivo è un'azienda che sta vivendo dei grandi processi di trasformazione e una grande vitalità. Quello che mi preme dire è che quando noi siamo arrivati a giugno scorso in RAI, come diceva prima l'amministratore delegato, noi abbiamo trovato una situazione che definire difficile da un punto di vista strutturale, economico e finanziario è dir poco. Noi ci siamo trovati circa 650 milioni di debiti che questa azienda ha accumulato nei dieci anni precedenti per un effetto di distrazione, mettiamola così, e di leggerezza di chi ha governato la RAI in questi dieci anni, e di disattenzione in chi doveva controllare chi governava la RAI.
  Quindi per me, e credo per l'amministratore delegato, oggi il vero obiettivo non è salvaguardare lo stipendio di Augias, ma quello di 12.000 dipendenti che oggi hanno il diritto di immaginare un'azienda che possa avere una prospettiva verso il futuro. Anche perché quei 12.000 dipendenti, che non hanno gli stipendi di Augias, sono a loro volta i portatori di una filiera industriale di centinaia di migliaia di persone che vivono attorno alla RAI. Tutta l'industria dell'audiovisivo, delle tecniche di supporto. Noi ci dobbiamo preoccupare di questo, non del narcisismo dei talenti che all'età che vogliono si trasferiscono su altre reti, legittimamente a fare il loro lavoro.
  Credo che quello che ci stiamo preoccupando di fare è mettere in sicurezza questa azienda, perché oggi la RAI non è in sicurezza a causa delle cattive gestioni avvenute negli anni precedenti. E questa è una cosa che va detta e ripetuta perché è un elemento molto importante.
  L'ultimo passaggio sull'intelligenza artificiale. Qualcuno ha profetizzato nei giorni passati che attraverso l'intelligenza artificiale finalmente ci liberiamo dal lavoro. È un incubo orwelliano questo ovviamente, non è un atto di liberazione liberarsi dal Pag. 13lavoro. Che cosa porterà l'intelligenza artificiale nei processi produttivi, ma anche nel sistema di relazioni umane, oggi non lo sappiamo.
  Di sicuro sappiamo che un'innovazione tecnologica non è mai neutrale, lo diceva Marshall McLuhan quando immaginava l'evoluzione dei media alla fine degli anni sessanta, perché ogni innovazione tecnologica produce con sé dei cambiamenti radicali del mercato, ma anche dei modelli riorganizzativi del sistema neuronale dell'essere umano. Quindi è chiaro che l'intelligenza artificiale impatterà nel sistema del mercato, nel modello di organizzazione del lavoro, e inevitabilmente anche nel modo in cui noi ci relazioniamo rispetto alla realtà.
  Tutto questo da una parte fa paura, oggettivamente fa paura perché è indefinito. Nell'ultimo Festival del cinema di Venezia non sono venuti gli sceneggiatori e i cineasti americani perché hanno fatto una protesta ufficiale nei confronti del rischio di perdita di lavoro perché domani i film potrebbero essere scritti non più dagli sceneggiatori, ma dall'intelligenza artificiale. E quindi ponevano un problema di se stessi, della propria professionalità, della propria creatività, schiacciato dal rischio dell'innovazione tecnologica. Però è anche vero che l'innovazione tecnologica apre delle prospettive enormi di riorganizzazione del lavoro.
  Quello che possiamo immaginare noi per un servizio pubblico cross-mediale e una digital media company, quale si appresta a diventare la RAI, è sviluppare il più possibile la formazione affinché le forze lavoro, che arriveranno prossimamente, siano in grado di recepire la grande potenzialità dell'innovazione tecnologica, anche con dei rischi che oggi noi però non siamo in grado di anticipare.

  PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti della RAI per il loro contributo e dichiaro chiusa l'audizione.
  Proseguiamo con l'audizione di Carlo Bartoli, presidente dell'Ordine dei giornalisti, accompagnato dal portavoce Giovanni Montesano, ringraziandoli per avere accolto l'invito della Commissione. Cedo immediatamente la parola al dottor Bartoli per lo svolgimento del suo intervento. Prego.

  CARLO BARTOLI, presidente dell'Ordine dei giornalisti. Buongiorno. Grazie presidente, grazie alla Commissione. Siamo particolarmente lieti di essere stati convocati in questa sede, che vuole rappresentare un po' il crocevia di un esame che il profondo impatto della digitalizzazione e dell'innovazione hanno determinato, e che vuole interrogarsi soprattutto riguardo alle prospettive che il futuro ci può riservare. Riteniamo infatti che l'Ordine dei giornalisti possa e debba essere una delle principali istituzioni al centro del processo di modernizzazione e digitalizzazione della società. Per quanto riguarda ovviamente gli aspetti che riguardano l'informazione.
  Vorrei sottolineare due temi in particolare. In primo luogo la contraddizione che è emersa tra l'aumento esponenziale della richiesta di informazione da parte dei cittadini e la perdita di un orizzonte di sostenibilità industriale per le società che hanno come missione la produzione di notizie. In secondo luogo vorrei sottolineare l'accelerazione impressa dall'intelligenza artificiale e generativa al fenomeno, già largamente in atto, di trasferimento che è avvenuto dall'uomo agli algoritmi nel processo di individuazione dei parametri di valutazione, selezione, scelta e adesso anche produzione, dei contenuti. Sono meccanismi che, per la loro potenza del fuoco, possono essere orientati verso obiettivi di condizionamento e travisamento della realtà. Così come è anche emerso nei giorni scorsi al vertice sulla sicurezza dell'intelligenza artificiale a Bletchley Park.
  È da evidenziare anche il cambio di strategia delle piattaforme social e dei motori di ricerca che, per i propri interessi industriali, stanno oscurando sempre più le fonti di informazione qualificate, con una riduzione del traffico di rimando, il cosiddetto referral, verso i siti di informazione che è precipitato dall'11,5 per cento al 6 per cento.
  Diventa quindi centrale l'elaborazione di una strategia che riesca a salvaguardare ciò che resta dell'industria dell'informazione, e che possa dare una prospettiva non Pag. 14solo di resistenza, ma di sviluppo. Una strategia centrale anche soprattutto per la democrazia di cui l'informazione è un pilastro costituzionale. Per quanto riguarda il giornalismo non si può, in verità, parlare più di transizione digitale dato che il nostro mondo ne è pienamente immerso, e in buona parte travolto.
  Questa tumultuosa trasformazione sta portando enormi cambiamenti e l'industria dell'informazione mainstream deve rapidamente spostare la valutazione da logiche di tipo quantitativo a sistemi e metriche qualitative. Il giornale, fulcro per decenni del prodotto editoriale, non è più da tempo un monoblocco, un prodotto unico, ma un insieme di più cose con le sue innumerevoli articolazioni digitali e social comprese.
  Tuttavia, nonostante i tentativi di adeguamenti e gli incrementi delle vendite degli abbonamenti on-line, il fatturato complessivo del sistema editoriale italiano prosegue nella sua inesorabile decrescita. Basti pensare che dal 2010 al 2022 il fatturato di pubblicità dei quotidiani è sceso da 1,253 miliardi, a soli 418 milioni di euro. Le copie vendute, comprese le copie digitali, sono calate da 4,130 milioni a 1,600 milioni.
  Abbiamo apprezzato in questo contesto le scelte del Governo che ha definito un quadro organico di assegnazione delle risorse disponibili, assumendo la qualità come obiettivo prioritario nel sostegno all'editoria. Ma non basta. I gatekeepers dell'informazione sono altrove, oltreoceano, e le loro strategie mirano esclusivamente al profitto e rischiano di oscurare il giornalismo professionale.
  Certo nell'industria dell'informazione ci sono problemi finanziari, disagi tecnologici, errori di strategia, ma è anche vero che il futuro dell'editoria non può consistere in una riedizione aggiornata di strategie e comportamenti del passato. I nuovi scenari della comunicazione, sempre più complessi, pongono con forza il problema del rapporto di fiducia tra il prodotto giornalistico e i fruitori, vanno quindi comprese meglio le dinamiche degli algoritmi, i nuovi flussi delle fonti anche nelle fasi di promozione delle news giornalistiche, e come detto l'impatto dell'intelligenza artificiale. Il giornalista deve avere ancora più attenzione ai propri doveri, alla verifica rigorosa delle fonti, alla continenza del linguaggio, all'accuratezza della narrazione, al rispetto delle persone.
  Riconquistare la fiducia delle comunità deve significare, per il giornalista, agire nell'ambito di un'etica dell'informazione, senza la quale si perde il confronto con il vasto mare della comunicazione digitale. È in questi contesti, difficili e interconnessi, che il giornalismo professionale deve fare il massimo sforzo per mostrare il suo valore aggiunto, qualunque sia la piattaforma in cui svolge la propria attività.
  Altro fondamentale obiettivo, perché l'informazione possa essere equa e plurale, è quello di avere un'opinione pubblica alfabetizzata, in grado di individuare e riconoscere l'informazione veritiera, di qualità e trasparente che i giornalisti sono tenuti a produrre. È per questi motivi che abbiamo avviato una serie di progetti con il Ministero dell'istruzione per portare i giornalisti e la buona informazione anche nelle scuole italiane. Per questi motivi abbiamo avanzato al Parlamento la necessità di una riforma delle norme per noi giornalisti, ferme a sessant'anni fa, al fine di avere profili professionali e regole adeguate alle sfide e all'innovazione. Speriamo vivamente di essere ascoltati con attenzione.
  In conclusione riteniamo che sia necessaria, indispensabile una strategia chiara e forte, affinché il nostro Paese possa giocare un ruolo che non sia solo quello dello spettatore pagante di uno spettacolo che non si è scelto. Per farlo poniamo due questioni, due suggerimenti.
  In primo luogo occorre realizzare uno studio approfondito della situazione attuale in campo dell'informazione e delle possibili soluzioni sull'esempio del vasto e organico rapporto commissionato nel 2015, ahimè, dal Ministero della cultura francese a Jean-Marie Sharon «Presse et numerique. L'invention d'un nouvel ecosystem». È un buon modello a cui potremmo riferirci.
  In secondo luogo, secondo me, è indispensabile elaborare una strategia di sostegno, sviluppo, aggregazione e innovazione che riconoscendo il valore della figura del Pag. 15giornalista permetta, anche ai player italiani di scendere in campo nella partita in corso nell'ecosistema digitale.
  Allegata a questa breve relazione, che lascio agli atti della Commissione, c'è un rapporto sul giornalismo digitale che abbiamo elaborato come Consiglio nazionale nei mesi scorsi, e che contiene numerosi spunti di interesse, di documentazione e di analisi.

  PRESIDENTE. Grazie. Chiedo se vi siano colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

  ALESSANDRO AMORESE. Vorrei fare alcune considerazioni come parlamentare, ma in realtà anche come iscritto all'Ordine e anche membro dell'Intergruppo. Ci siamo infatti incontrati alla presentazione dell'Intergruppo parlamentare dei giornalisti.
  Quando si parla di intelligenza artificiale se c'è un'eventuale classifica di ambiti colti appieno, e dove ci sono più risvolti negativi che positivi, dall'intelligenza artificiale, chiaramente quello del giornalismo è nel podio, quanto meno nel podio.
  Le mie domande, o considerazioni da commentare sono soprattutto due. Una abbastanza cruda, perché poi abbiamo già nel mondo esempi, in occidente e non solo, di protagonismo quotidiano dell'intelligenza artificiale nelle relazioni. Quindi quotidiani, magazine eccetera che non nascondono la presenza preponderante, o comunque importante, di articoli nelle loro piattaforme, o nelle loro anche pubblicazioni cartacee o meno, generati dall'intelligenza artificiale, con quello che ne consegue evidentemente. Lei ha già anticipato alcuni dettagli importanti. Con quello che ne consegue anche nella pesca nel maremagnum del web di fotografie, articoli eccetera. Quindi la prima domanda è che futuro vede, e in parte l'ha già delineato, però tra cinque/dieci anni che sopravvivenza vede, quanto meno in termini lavorativi, di tutti noi giornalisti?
  Secondariamente il grande tema del diritto d'autore. Come possiamo, secondo lei, secondo voi, secondo l'Ordine dei giornalisti, affrontare in maniera seria e concreta il tema di a chi appartengono i diritti, o come arrivare a riconoscere i diritti d'autore di articoli generati dall'intelligenza artificiale, però dai quali l'intelligenza artificiale prende spunto. Questo so che è un tema che anche l'Ordine sta affrontando.

  PRESIDENTE. Grazie collega Amorese. Vorrei porre anche io un paio di quesiti, proprio scaturiti dalla relazione che è stata messa a disposizione di tutti i colleghi, e vi ringrazio.
  Per quanto riguarda la transizione digitale i quesiti sono due, uno che appunto scaturisce dalla vostra relazione, quindi dalla trasformazione sostanzialmente del lavoro editoriale attraverso il digitale e appunto l'intelligenza artificiale.
  L'altra questione, e su questo vi chiedo anche da un certo punto di vista, andando incontro anche a quello che diceva il collega Amorese, se non vediate un rischio della trasformazione di portali di giornali, anche grandi giornali, autorevoli giornali on-line, in aggregatori di notizie attraverso l'intelligenza artificiale sempre più potente. E dall'altra parte nell'affermazione di un giornalismo, che io definirei giornalismo da clickbaiting, che enfatizza titoli o che aggrega notizie surreali, fake news, perché cede la gestione della monetizzazione della pagina ad agenzie specializzate che, di fatto, vanno ad inquinare la credibilità e l'autorevolezza delle fonti giornalistiche dello stesso giornale. E purtroppo non parlo di quelle testate registrate regolarmente al Tribunale, ma che in realtà sono fittizie e servono solo per fare aggregatore di fake news e clickbaiting (che è un aspetto di cui ci dovremmo occupare nel contesto che vi citerò nel secondo quesito). Ma parlo, purtroppo anche di autorevolissimi giornali che sono venduti in edicola, i cosiddetti giornaloni, come li chiama qualcuno, che hanno una grande credibilità editoriale, storica, e che però per monetizzare e indirizzare ricorrono a queste agenzie. Questa degenerazione nel giornalismo da click baiting, dovuto anche appunto alla transizione digitale, secondo voi come si può invertire come tendenza?
  Ho già preannunciato, nel corso della precedente audizione, che stiamo lavorando a una proposta di legge di iniziativa parlamentarePag. 16 che ovviamente dovrà confrontarsi con le proposte e gli indirizzi del sottosegretario all'editoria Barachini, con cui ho già parlato, perché penso sia arrivato il momento di una riforma generale della legge sull'editoria, così come configurata oggi, che non si occupi solo della provenienza del fondo pluralismo per l'editoria, ma anche quindi dei soldi e di dove trovarli (e sicuramente se ne deve occupare), ma che si occupi anche al suo interno di una riforma più generale che riguardi proprio la transizione digitale e questi aspetti. Su questo un vostro giudizio. Grazie.

  CARLO BARTOLI, presidente dell'Ordine dei giornalisti. Grazie mille. I quesiti posti sono importanti e meriterebbero una risposta estremamente approfondita, ma provo a delineare alcune tracce. L'intelligenza artificiale generativa ha già – lo vediamo – un impatto molto forte nel campo editoriale. Noi vediamo con molta preoccupazione tutte quelle applicazioni che puntano a determinare una riduzione dei costi, cioè una sostituzione della figura umana con meccanismi automatici. Non tanto e non solo per un fatto di mera conservazione dei posti di lavoro, che poi dobbiamo riconoscere la storia ci insegna che le cose che non hanno più una ragione di essere poi alla fine le puoi difendere per un periodo, ma poi vanno a sparire. Ma quanto per il fatto che si snatura completamente e si perde il valore dell'informazione, che diventa un'altra cosa. Diventa al limite svago e intrattenimento.
  Ci sono degli ambiti di applicazione dell'intelligenza artificiale che sono interessanti per il giornalismo. Cioè ci sono ambiti nei quali l'intelligenza artificiale può rappresentare un importante ausilio, e liberare il giornalista da incombenze o quantitativamente troppo impegnative, cioè io devo gestire una massa tale di dati che con l'intelligenza artificiale riesco a fare in un'ora, e non in un anno. E questo mi permette di dare un prodotto importante, perché tiene presente di tutta una serie di dati oggettivi che io ho raccolto. Oppure dal punto di vista molto più banale, operativo, semplice, faccio l'esempio per capirsi.
  Le Monde molti anni fa ha fatto il resoconto delle elezioni dipartimentali in Francia utilizzando l'intelligenza artificiale. Non per fare il commento, non per dare la spiegazione, ma per fare semplicemente il resoconto comune per comune di come erano andate le votazioni. E invece di mettere un giornalista a fare un articolo noioso, ripetitivo eccetera, eccetera, quello può essere fatto dall'intelligenza artificiale. Ovviamente presentandola come tale.
  Quindi l'aspetto è multiforme. Credo che il compito di tutti noi sia quello di indirizzare nella direzione positiva questa risorsa, da cui non potremo prescindere, non potremo negare, non potremo cancellare.
  Che futuro tra cinque/dieci anni? Io credo che intanto bisogna avere la percezione chiara, netta, discostandoci da guru e da aspiranti stregoni, che l'evoluzione sarà discontinua nelle direzioni e nelle velocità. Quindi non immaginiamo oggi un futuro che è oggi alla seconda o alla terza, ma immaginiamoci una cosa estremamente più discontinua. Ricordo solo che se questa audizione fosse stata fatta tre mesi fa avremmo parlato della nuova invenzione di Meta e del metaverso, e non dell'intelligenza artificiale, per capire come velocissimamente cambiano gli scenari.
  Di sicuro ci avviamo, secondo me, secondo noi, in uno scenario di perdita, di distruzione ulteriore di cultura di saper fare, di capacità, di tradizione, che è una dispersione enorme se non riusciamo a mettere in campo quella che segnalavo alla fine dell'intervento, una strategia coerente. Cioè, voglio dire, riallacciandomi poi anche alla domanda, non servono solo più soldi, non servono soldi solo per tamponare, servono soldi per mettere in moto una strategia coordinata che possa permettere a una serie di players importanti, di gruppi importanti, di avere un futuro domani. Perché dei gruppi editoriali grandi che ci sono oggi non sappiamo quanti di questi ce ne saranno tra cinque anni. Gruppi editoriali che noi consideriamo importanti e rilevanti.
  C'è evidentemente una trasformazione importante del lavoro editoriale, e questo io voglio riallacciarlo alle esigenze di un cambiamento della legge istitutiva dell'Ordine. Noi abbiamo una legge istitutiva che Pag. 17è fatta per giornalisti che scrivono su giornali di carta, esclusivamente. E quindi noi dobbiamo commisurare anche i percorsi formativi e le modalità di formazione dei nuovi giornalisti a questo nuovo scenario, altrimenti si sta creando un'asincronia tra questi due momenti che non può generare niente di positivo, perché possibilità di impiego, di guadagno, percorsi professionali ci sono, ma sono completamente diversi da quelli che abbiamo vissuto o che abbiamo visto noi in passato.
  Che ci sia una deriva di trasformazione e aggregatori di notizie sì, questo sicuramente, anche perché ci sono due parametri, i ricavi e le spese. Abbasso drasticamente le spese, quindi i ricavi anche se diminuiscono comunque mi procurano un guadagno, anche se è un guadagno – e qui mi riallaccio alla seconda domanda che lei faceva sul clickbaiting anche da parte di grosse aziende editoriali – è chiaro che è una strategia che può solo ritardare un esito infausto. Non può garantire un futuro. Basta poi fare un confronto con i siti dei grandi organi di informazione internazionali, non ce n'è traccia. Proprio non ce n'è traccia. Anzi si va a colpire quello che è il valore principale, che è il marchio di queste aziende, il brand, e a svilirlo.
  Come arginare tutto questo? Secondo me l'unica possibilità è quella di mettere in campo una strategia molto articolata, coinvolgendo gli editori ovviamente, coinvolgendo tutti gli attori del sistema, perché in Italia abbiamo delle richieste stratosferiche che vendiamo in tutto il mondo, ma il dramma è che potremmo non essere noi a vendere e a vendere ad altri. Intendo con prodotti culturali.
  Io credo che in questo senso, se mi posso permettere, occorrerà tanto coraggio in questa proposta di legge, di riforma, perché i piccoli colpi di timone, a mio avviso, potrebbero non essere sufficienti.
  Occorre proprio ripensare e ripartire, perché bene o male questa strategia di contenimento, di ammortizzazione, di riduzione degli effetti sociali, che sono fondamentali, però ha dimostrato che ci porta solo a un rallentamento, a una riduzione dell'impatto, ma non a un'inversione di tendenza. L'inversione di tendenza bisogna che ci sia, e questo si può fare, a mio avviso, solo con una strategia organizzata, coerente e molto ben studiata.

  PRESIDENTE. Ho dimenticato, e concludo poi davvero, su questo quesito ultimo che le ho fatto, sull'intelligenza artificiale vorrei sapere anche cosa penserebbe l'Ordine se nell'ambito della riforma si inserisse la identificazione di due marchi – tra virgolette – che le testate e i portali dovrebbero appunto rendere palesi alla fine dell'articolo, dell'intervento, che potrebbe essere, per quanto riguarda l'italiano, IA e IU. Cioè realizzato dall'intelligenza artificiale o realizzato dall'intelligenza umana. Questo renderebbe palese anche la qualità e potrebbe essere un valore aggiunto?

  CARLO BARTOLI, presidente dell'Ordine dei giornalisti. La ringrazio. Senz'altro sì. È un primo passo per iniziare a dare poi coscienza e contezza all'opinione pubblica di quello che sta avvenendo, per la parola, per l'immagine ferma, per l'immagine mobile (cioè il video), per tutto ciò che è prodotto editoriale.

  PRESIDENTE. Si tratterebbe, in sostanza, di un marchio di tutela, diciamo, della creatività umana rispetto a quella artificiale, ma anche di concomitanza di entrambi gli apporti, per far sapere quale parte è fatta dall'uomo e quale parte è fatta dalla macchina.
  Ringrazio i rappresentanti dell'Ordine dei giornalisti, il dottor Bartoli, il dottor Montesano per essere intervenuti e autorizzo la pubblicazione, in calce al resoconto stenografico della seduta odierna, della documentazione pervenuta (vedi allegato). Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.

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ALLEGATO

Documentazione consegnata dal Presidente dell'Ordine dei giornalisti

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